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Eneide

Libro I
Come l'Iliade e l'Odissea anche I' Eneide si apre con la protasi, in cui il poeta enuncia
l'argomento del canto e invoca la Musa perché lo inspiri; quindi inserisce una profezia
allusiva al destino di Enea, che fonderà, con i suoi compagni, esuli come lui da Troia,
una nuova città.

Enea, in mare da molti anni, sta navigando dalla Sicilia alle coste d'Italia, quando
Giunone, ancora adirata per il giudizio di Paride, che le aveva preferito Venere, decide
di disperdere le navi dei troiani, per tenerli lontani dall'Italia, dove sa che essi
giungeranno per fondare quello che è destinato a diventare un potente regno. La dea si
reca da Eolo, dio dei venti e, promettendogli in sposa una ninfa, lo convince a scatenare
una tempesta. Il dio obbedisce a Giunone: Enea e i compagni sono travolti dal
fortunale, ma Nettuno, dal fondo del mare, irato contro i venti e il loro re, che hanno
osato turbare il mare, suo dominio, ristabilisce la pace.

Enea riesce ad approdare con sette delle venti navi con cui era partito dalla Sicilia;
dopo una caccia che consente un ristoro, Enea nasconde angosce e preoccupazioni per
fare un discorso di incoraggiamento ai compagni. Nel frattempo, sua madre Venere,
che ha assistito alla sventura del figlio, si reca da Giove pregandolo di rivelarle se sono
mutati i piani del Fato, che, appunto, prevedono l'approdo di Enea in Italia. Giove
rassicura la figlia e le rivela la sorte futura di Roma; invia poi Mercurio a Cartagine, per
predisporre una felice accoglienza da parte della regina
Didone.

Enea, afflitto dalla perdita di tanti compagni e preoccupato perché non sa dove si trovi,
decide di fare una ricognizione nella zona insieme ad Acate, suo fedele amico; durante
l'esplorazione, incontra la madre che, celata sotto l'aspetto di una fanciulla, descrive i
luoghi e narra la storia della gente che vi incontrerà: la regina Didone, che, esule a Tiro,
città fenicia, si è rifugiata lì dopo che il fratello Pigmalione aveva vilmente ucciso suo
marito Sicheo, per impadronirsi del regno e delle ricchezze.
Didone, avvisata dall'ombra del marito che le apparve in sogno, fuggì da Tiro con
alcuni fedeli cittadini e approdò sulle coste dell'Africa, dove fondò la città di Cartagine,
di cui si stanno costruendo gli edifici nel momento in cui Enea vi è approdato.

Dopo questo racconto, Enea rivela la sua identità e, quando ormai la fanciulla sta
dileguando, riconosce la madre dall'ambrosia che da lei spira. Venere avvolge Enea e
Acate di una nuvola e così nascosti i due salgono su una collina, da cui vedono
Cartagine e i suoi abitanti intenti alla costruzione della città; di lì si recano al tempio di
Giunone, sulle cui pareti sono raffigurati episodi della guerra di Troia; compare allora
Didone che avanza nello splendore regale e va dettando in trono le leggi del suo nuovo
regno. Ed ecco Enea vede sopraggiungere i compagni che credeva dispersi: Ilioneo, il
più anziano, si lagna dell'ostilità dei primi Cartaginesi incontrati sulla costa e invoca
ospitalità da Didone: essa accoglie benevolmente gli esuli promettendo loro anche di
ospitarli nel suo regno, se essi vorranno fermarvisi.
Eneide
Improvvisamente la nuvola che celava Elea e Acate si dissolve ed essi appaiono a
Didone e ai compagni . Didone accoglie anche Enea con parole di solidarietà e lo
conduce nella reggia, per offrire ai naufraghi un bacchetto ospitale. Acate, per ordine di
Enea, torna alle navi a prendere Ascanio, il figlio di Enea, e doni portati da Tria, da
offrire a Didone.

Venere, intanto, escogita un nuovo piano: decide di rendere più sicura l'accoglienza di
Didone, facendola innamorare di Enea e dunque manda Cupido, che ha assunto
l'aspetto del piccolo Ascanio, alla reggia, perché leghi in un incantesimo d'amore la
regina dei Cartaginesi. Durante lo splendido banchetto Didone resta ammaliata da
Enea e, dopo aver ascoltato i canti del cantore Iopa, che rallegra il banchetto, la regina
prega il Troiano di narrare le sue avventure.

Libro II
Nonostante sia ormai calata la notte, Enea, nel silenzio generale e fra l'attenzione degli
astanti, comincia il suo doloroso racconto dell'ultima notte di Troia.

Ricorda come, mediante l'inganno del cavallo, i Greci fossero riusciti a entrare nella
città. Fingendo di partire, essi abbandonano l'accampamento: i Troiani, illudendosi che
la guerra sia finita, aprono le porte della città e vanno nell'antico campo greco, dove i
nemici hanno lasciato un immenso cavallo di legno di cui non si comprende lo scopo.
Alcuni pensano di portarlo nella città altri di distruggerlo: fra questi ultimi si schiera
Laocoonte, sacerdote di Nettuno.

Viene catturato però Sinone, un greco che finge di essere caduto in disgrazia presso i
compagni, e soprattutto di essere odiato da Ulisse: egli era compagno di Palamede,
ucciso con accusa di tradimento causata dall'odio di Ulisse. Sinone racconta che,
sconvolto dal dolore, aveva promesso di vendicare l'amico e proprio per questo si era
attirato l'odio di Ulisse. Egli narra che i Greci, già a tempo stanchi della guerra avevano
tentato di partire, ma erano stati bloccati dai veti: allora l'indovino Calcante li aveva
consigliati di propiziarsi gli dei con un sacrificio umano e la vittima designata sarebbe
stato proprio Sinone, che però era riuscito a mettersi in salvo; Sinone rafforza il suo
racconto con una solenne e spergiura preghiera di clemenza.
Interrogato da Priamo sul significato del cavallo, il Greco afferma che dopo il furto del
Palladio (la statua di Atena conservata nella città, furto di cui erano responsabili Ulisse
e Diomede), tutto il campo greco era stato pervaso da funesti prodigi. Calcante allora
aveva profetizzato che avrebbero dovuto partire subito per prendere nuovamente gli
auspici e poi tornare a Troia e sconfiggerla; il cavallo lasciato è una sorta di compenso,
in cambio del Palladio: se i nemici lo introdurranno in città, essa sarà salvata.

I troiani,ingannati dall'abile discorso di Sinone e, nello stesso tempo inclini a credere


che la guerra sia finalmente finita, decidono di far entrare il cavallo in città: a nulla
valgono le parole di Laocoonte, che, per la sua ostinazione è punito dall'ira degli dei:
due immensi draghi sbucano improvvisamente dal mare e, dopo aver avvolto e
stritolato nelle loro spire lui e i suoi due figli, si celano sotto lo scudo di Minerva, nel
suo tempio. Anche questo mostruoso prodigio rafforza il racconto di Sinone: i Troiani
Eneide
aprono una breccia nelle mura per far entrare il cavallo, incuranti delle profetiche
parole di Cassandra.

Durante la notte, mentre tutti dormono ignari, Sinone spalanca il ventre del cavallo, dal
quale escono gli uomini in armi che vi si celavano; essi fanno entrare i compagni che,
nel frattempo, si sono riavvicinati alla città, lasciando il nascondiglio dietro l'isoletta di
Tenedo. Mentre Enea dorme, gli appare in sonno l'ombra sfigurata di Ettore che gli
ordina di fuggire subito dalla patria che è ormai perduta. Enea si risveglia sconvolto, si
reca sul tetto della casa e vede incendi divampare in tutta la città.
Nonostante ciò, veste le sue armi, sperando di poter ancora lottare, poi raccoglie un
gruppo di eroici compagni con i quali si impegna in una serie di scontri; vede la triste
sorte di Cassandra, trascinata fuori dal tempio dai Greci e tenta vanamente di
difenderla; di lì corre alla casa di Priamo, dove si lotta furiosamente. Enea riesce a
entrare per un passaggio segreto e tenta un'estrema difesa con armi di fortuna; al
ingresso del palazzo infuria Pirro Neottolemo, il figlio di Achille, che osa addirittura
affrontare il vecchio Priamo, il quale, pur tremante per la vecchiaia, ha indossato le
armi per lottare un'ultima volta. Ma Pirro lo uccide barbaramente proprio sull'altare
della casa, dopo aver finito davanti ai suoi occhi il figlio Polite.

Enea comprende che tutto è perduto e la scena della morte di Priamo gli ricorda il
padre Anchise, la moglie Creusa e il piccolo Ascanio: corre verso casa e solo l'intervento
della madre Venere lo fa desistere dall'avventarsi contro Elena, la causa dei mali dei
Troiani, che se ne sta nascosta presso gli altari. Venere rivela al figlio che gli dei stessi
stanno abbattendo Troia e lo invita a tornare a casa.

Vi trova il padre che non vorrebbe fuggire, nonostante Creusa e Ascanio lo supplichino
di partire con loro; allora Enea, che non vuole partire senza il padre, decide di buttarsi
di nuovo nella mischia, per ottenere una morte gloriosa, ma un prodigio sul capo del
nipotino Ascanio convince Anchise ad accettare la fuga, voluta ormai dagli dei.

Enea carica sulle sue spalle l'anziano padre, zoppo, e reca con sé gli dei Penati, ma nella
fuga concitata Creusa si smarrisce: non appena Enea se ne accorge, lasciati al sicuro i
fuggiaschi, si mette affannosamente in ricerca della moglie. Essa gli appare come
un'ombra e lo invita ad andarsene, poiché il Fato non gli concede di portarla con se; gli
profetizza che, dopo un lungo viaggio, giungerà alla terra ove scorre il Tevere e lì avrà
un'altra sposa, di stirpe regale. Enea cerca per tre volte invano di abbracciare l'ombra
di Creusa; poi desolato, torna ai suoi cari e trova con loro altri compagni, scampati alla
strage, pronti alla fuga. Ripreso il padre sulle spalle, con tutti i superstiti si volge ai
monti.

Libro III
Il libro è dedicato alla narrazione del lungo peregrinare di Enea e dei suoi compagni
dopo la fuga da Troia. Costruita una flotta con il legname del monte Ida, giunta ormai
l'estate, i superstiti partono guidati da Enea che porta con se il figlio, il padre e gli dei
Penati.
Eneide
Dopo qualche tempo sbarcano in Tracia, dove fondano le prime mura, fiduciosi del
fatto che un tempo quella terra era amica ai Troiani. Tuttavia, quando Enea strappa
rami da un cespuglio per ornare un altare, gli appare un orrendo prodigio: i rami
spiccati grondano sangue e si sente una voce: è quella di Polidoro, figlio di Priamo, che
mandato dal padre con molti doni da Licurgo, re di Tracia, perché scampasse alla
rovina della città, è stato invece ucciso a tradimento. Enea desolato celebra a Polidoro
un rito funebre e abbandona con i compagni la Tracia, per recarsi a Delo a consultare
l'oracolo. Questo prescrive ai Troiani di cercare l'antica madre, cioè la terra che per
prima generò la stirpe troiana (vv. 94-96).

Anchise pensa che l'oracolo alluda a Creta, dove rapidamente si dirigono, sapendo che
una parte della terra è priva di un re. Giunti lì, nuovamente gli esuli innalzano mura,
ma una pestilenza e una carestia sono la prova della disapprovazione degli dei e quindi
Enea e i compagni sono costretti a ripartire. Ritornati a Delo, gli dei Penati,
apparendogli in sogno, danno un nuovo oracolo a Enea e gli ordinano di continuare il
viaggio, finché giungerà in Esperia (il nome greco dell'Italia) (vv. 163-171).

Quindi essi ripartono, ma, costretti da una tempesta, sbarcano alle Strofadi, sede delle
Arpie, mostri alati dal volto di una donna; qui gli esuli vedono pascolare grassi buoi e li
ammazzano per sfamarsi, senza trascurare un'offerta a Giove. Nonostante questa
cautela essi offendono le Arpie, a cui i buoi erano sacri: Enea e compagni devono
lottare contro un assalto di questi mostri, senza riuscire a respingerlo. Celeno, una di
esse, pronuncia una funesta profezia: i Troiani giungeranno in Italia, ma non
riusciranno a cingere di mura la loro città prima che l'orrenda fame li costringa a
divorare le mense, per punizione dell'offesa arrecata alle Arpie.

Costernati, i Troiani, guidati nel sacrificio da Anchise, invocano gli dei di liberarli da
quell'infausto presagio. Ripartiti precipitosamente, si dirigono ad Azio, in Epiro, dove
si fermano e celebrano i giochi; quindi a Brutoto, dove vengono a sapere che Eleno,
figlio di Priamo, sposata Andromaca, vedova di Ettore, regna sui Greci del luogo.
Infatti, la donna rimasta vedova anche di Pirro, è potuta tornare sposa a un Troiano;
Andromaca ed Eleno hanno ricostruito insieme una città a immagine di Troia e
accolgono felici i superstiti. 

Andromaca, stupita di rivedere Enea, narra la sua triste storia. In seguito Eleno spiega
a Enea che il volere divino gli ha destinato di solcare il mare, ma prima di giungere in
Italia, che egli crede vicina, dovrà ancora vagare molto, finché, dopo aver visitato
l'Averno, approderà alla terra cercata: quando vedrà una scrofa con trenta maiali, lì
fonderà la città.

Eleno consiglia poi Enea di cercare di ingraziarsi Giunone e di fermarsi a Cuma dove
interrogherà
la Sibilla; inoltre dovrà stare lontano dalle coste di fronte all'Epiro, dove regnano i
Greci e dirigersi invece verso la Sicilia. Quindi gli esuli partono, salutati con affetto da
Eleno e Andromaca, che colma di doni gli amici e Ascanio, in cui vede il piccolo
sventurato Astianatte.
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Partiti di lì, giungono sulla costa della Sicilia, dopo aver evitato Scilla e Cariddi:
approdati nel porto ai piedi dell'Etna incontrano un greco, Achemenide, e compagno di
Ulisse, da quest'ultimo abbandonato nella precipitosa fuga dalla terra dei Ciclopi. Egli li
esorta a tenersi lontano dai Ciclopi, ed essi, prestandogli fede, lo accolgono e
riprendono il mare, mentre l'ospite illustra loro i luoghi che costeggiano.

Dopo aver circumnavigato la Sicilia, gli esuli approdano a Drepano, dove Anchise,
stremato dalle fatiche muore. Enea conclude così il suo racconto; partiti di lì, sono
infine approdati a Cartagine.

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