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Indice

Riassunto ............................................................................................................................. 3
Introduzione ......................................................................................................................... 5
CAPITOLO I: STORIA E CARATTERISTICHE DEL CAFFÈ ....................................... 6
1. Le origini del caffè................................................................................................... 6
2. Cenni sulla composizione ........................................................................................ 8
3. Effetti sulle malattie neurovegetative .................................................................... 15
4. Effetti sul sistema nervoso autonomo .................................................................... 17
5. Effetti sulla memoria ............................................................................................. 18
6. Effetti sull’omeostasi del glucosio......................................................................... 19
7. Effetti sul fegato .................................................................................................... 20
8. Effetti sulla colecisti .............................................................................................. 21
9. Consumo di caffè e cancro .................................................................................... 21
10. Caffè e rischi per la salute ................................................................................. 22
CAPITOLO II: SISTEMA NERVOSO VEGETATIVO .................................................. 24
1. Sistema Nervoso Autonomo .................................................................................. 24
2. Regolazione sistemica operata dal sistema nervoso .............................................. 28
2.1 Innervazione del cuore......................................................................................... 28
2.2 Barocettori ........................................................................................................... 29
2.3 Fattori che influenzano la frequenza cardiaca ..................................................... 30
3. Prove cliniche e stimolazione ................................................................................ 31
4. Heart rate variability .............................................................................................. 34
4.1 Come viene misurata la HRV .............................................................................. 37
CAPITOLO III: STUDIO .................................................................................................. 41
1. Il caffè espresso aumenta l’attività parasimpatica in giovani sani. ...................... 41
2. Soggetti e metodi. .................................................................................................. 42
3. Risultati sperimentali ............................................................................................. 43
4. Analisi statistica. .................................................................................................... 44
5. Risultati .................................................................................................................. 44
6. Discussione ............................................................................................................ 50
Conclusioni ........................................................................................................................ 53
Bibliografia ........................................................................................................................ 54
Sitografia ........................................................................................................................... 58
Riassunto

Il caffè è ricco di sostanze chimiche quali: i terpeni, l’acido clorogenico di natura

fenolica, la caffeina, un alcaloide naturale che può essere ritrovato maggiormente

nel caffè rispetto ad ogni altro prodotto della dieta. Si riscontrano molti altri

costituenti come il potassio, il magnesio, la niacina e sostanze antiossidanti come i

tocoferoli, che potrebbero avere un ruolo importante nella sua attività biologica.

Tale bevanda può avere differenti concentrazioni di caffeina in base al metodo di

preparazione e al tipo di caffè.

La quantità annuale di caffè consumata a persona è circa 4 kg in USA e 3 kg nel

Regno Unito.

Negli ultimi anni è stato dimostrato che il consumo di caffè può portare benefici

alla salute in quanto influenza diversi sistemi biologici. Le persone che bevono

caffè regolarmente hanno minor rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2,

cancro del colon, cirrosi epatica e calcolosi biliare. Siccome i benefici del caffè

sulla salute sembrano superare gli effetti negativi, il caffè può essere considerato

un alimento funzionale.

Questo studio ha analizzato l’effetto prodotto da una tazza di caffè espresso

sull’analisi spettrale dell’heart rate variability (HRV). Tale metodo è in grado di


fornire una valutazione della scarica simpatica e parasimpatica. In soggetti giovani

sani sedentari (10 uomini e 10 donne) con età compresa tra i 25 e i 30 anni, lo spettro

dell’HRV è stato valutato in un periodo di 150 minuti dopo la somministrazione di

caffè espresso (caffeina 75mg) o caffè decaffeinato (caffeina<18mg) in posizione

supina o seduta. I valori assoluti dello spettro sono stati sommati alle alte (HF) e

alle basse frequenze (LF). Gli spettri LF ed HF sono stati impiegati per valutare

l’attività simpatica e parasimpatica. In posizione seduta, HF non viene modificato

dal caffè o dal caffè decaffeinato. In posizione supina il caffè aumenta HF, mentre

il decaffeinato provoca piccole modifiche di HF. Il caffè e il caffè decaffeinato,

invece, non provocano nessuna modifica di LF in entrambe le posizioni. Questo

esperimento mostra che il caffè espresso influisce sull’attività parasimpatica in

posizione supina.
Introduzione

Questo studio si è prefisso come obiettivo quello di indagare gli effetti provocati

dal caffè sul sistema nervoso vegetativo e di fornire un’analisi accurata di tale

argomento, analizzando l’effetto prodotto da una tazza di caffè espresso sull’analisi

spettrale dell’HRV (Heart Rate Variability).

La caffeina è ritenuta una sostanza psicoattiva ed il modo più comune di assumerla

è bere caffè [17]. Solitamente raccomandato come una bevanda da ridurre o evitare

a causa del suo profilo di rischio globale, il caffè è progressivamente passato ad una

posizione meno negativa per la sua meglio conosciuta fitochimica. Il caffè è una

complessa combinazione di sostanze tra le quali, la caffeina è forse quella più

ampiamente conosciuta; inoltre, si riscontrano altre sostanze bioattive che hanno

una vasta gamma di effetti psicologici. La lista comprende fino a 1000 composti

fitochimici descritti. Tra questi vi sono i fenoli, fra cui acido clorogenico e acido

caffeico, lattoni, diterpeni, tra cui cafestol e kahweol, niacina e trigonellina,

precursore della vitamina B3, magnesio e potassio.


La caffeina determina diversi effetti come la stimolazione del sistema nervoso

centrale, l’aumento della frequenza respiratoria, broncodilatazione, lipolisi, disturbi

gastrointestinali e aritmie cardiache e palpitazioni con ipertensione [41].

CAPITOLO I: STORIA E CARATTERISTICHE DEL

CAFFÈ

1. Le origini del caffè

“A parte la filosofia non conosco un propellente del cervello migliore degli scacchi

e del caffè.”

- Jean Paul

L’origine del caffè ha ormai assunto toni leggendari. Ma a chi la primogenitura?

Difficile trovare il bandolo di questa matassa nera, a cominciare dal nome: fu

l’altopiano di Kaffa in Etiopia, ricco di colture, ad aver dato il nome alla celebre

pianta o fu quest’ultima ad aver dato il nome all’altopiano?

Gli studiosi discordano su tale argomento, ma si trovano d’accordo nell’affermare

che il termine caffè derivi dal turco “kahveh”, a sua volta proveniente da “qahwah”,

che nel linguaggio arabo classico, indicava una bevanda prodotta dal succo di alcuni

semi.

Nella maggior parte delle lingue ha un nome che si assomiglia molto nell'ortografia

e nella pronuncia: con piccole differenze di accento lo chiamano caffè, oltre a noi

italiani, gli altri popoli di razza latina, gli inglesi, i tedeschi, gli olandesi, i danesi,

gli svedesi, i russi, i polacchi, gli egiziani, gli arabi, i persiani e i turchi.
Alla base delle virtù del caffè c’è la caffeina. Nel 1820 fu scoperta ed estratta dal

medico tedesco Friedlieb Ferdinand Runge. Egli dimostrò una curiosità scientifica

e una spiccata capacità di osservazione che fecero presagire la sua carriera creativa

nella chimica analitica. Mentre preparava una medicina con estratto di belladonna,

una goccia gli finì accidentalmente in un occhio ed egli notò la sua pupilla dilatata

e la vista annebbiata. Dieci anni dopo quella sua osservazione gli valse l’invito di

Goethe e l’occasione per la scoperta della caffeina. La caffeina la si può riscontrare

in moltissimi altri prodotti della natura, ed è un miracolo che uomini della maggior

parte del mondo abbiano saputo individuare questa sostanza chimica inodore: i

boscimani del Sud Africa l’estraevano dalle foglie di ciclopia, i neri del Sudan la

trovavano nella noce di kola e la mangiavano, gli indiani dell’Amazzonia tostavano

i semi di Paulinia Sorbilis e ne ottenevano la pasta di caffeina detta “guaranà”, gli

antichi brasiliani, infine, avevano imparato a ricavare la bevanda eccitante per il

cervello a partire dall’herva-maté. Un profondo bisogno fisico ed intellettuale deve

aver spinto sin dal principio l’umanità a desiderare la caffeina, che una volta ingerita

provoca una sollevazione di forza meravigliosa.

Secondo il medico Orazio Wood, la caffeina consente alla muscolatura contrazioni

più ampie senza produrre in seguito una depressione. Sicché il lavoro prodotto da

un uomo con l’aiuto della caffeina è maggiore di quello senza la stessa, se ne deduce

quindi che il muscolo è capace di lavorare più economicamente, cioè di compiere

con la stessa quantità d’energia un lavoro maggiore. Il caffè ha quindi cambiato il

mondo rafforzando i muscoli dell’uomo. Dopo la scoperta del caffè le giornate

lavorative dell’uomo non sono state più (ipoteticamente) di dodici ore, ma potevano

esserlo addirittura di ventiquattro; divenne un mezzo per tener sveglio il corpo.


La bevanda ha acuito e trasformato impensabilmente l’attività del nostro cervello

[6].

2. Cenni sulla composizione

La caffeina fu scoperta quasi per caso agli inizi ’800 in Germania dal giovane Runge

[2]. Si racconta che il medico fu motivato ad iniziare lo studio in seguito all’incontro

con Johann Wolfgang Goethe, grande bevitore ed amante del caffè. Il filosofo

riconosceva alla bevanda grandi proprietà stimolanti ma allo stesso tempo,

lamentava il fatto che non lo lasciasse dormire la notte. Chiese, allora, se fosse

possibile separare le molecole che danno il gusto al caffè da quelle che provocavano

l’insonnia.

La caffeina, nota anche con il nome di teina, è un alcaloide a scheletro purinico di

formula bruta C8H10N4O2.

Figura: Composizione chimica di caffeina (contenuta nel caffè), Teofillina


(contenuta nel tè) e Teobromina (contenuta nel cacao).

Da un punto di vista strettamente chimico, la caffeina è un derivato della xantina

metilato in posizione 1, 3, 7 (1,3,7-trimetil -xantina).


A temperatura ambiente si presenta allo stato solido, in una soffice polverina simile

alla maizena, oppure in cristalli prismatici lunghi. Ha un sapore leggermente amaro

ed è inodore, è moderatamente solubile nell’acqua a temperatura corporea, ma

estremamente solubile in acqua calda.

Il composto non si liquefa, come il ghiaccio secco sublima, passando direttamente

dallo stato solido a quello gassoso (a temperatura compresa tra 234 e 239°C).

La ritroviamo in numerose piante quali il thè, il cacao, la noce di cola, l’erba mate

e il guaranà; le foglie di thè ne contengono il 2-4% contro l’1-2% dei semi di caffè.

In totale sono conosciute circa 60 specie di piante che contengono la sostanza.

Molti alimenti e bevande contengono caffeina ma grandi quantità possono essere

assunte bevendo caffè. Si possono ritrovare diverse concentrazioni di caffeina nel

caffè, a seconda del metodo di preparazione e della tipologia.

Una tazza di caffè può contenere un range di caffeina che va da 65 mg fino a 360

mg, invece la quota contenuta in una tazza di decaffeinato è meno di 10 mg [21].

La quantità di caffè attualmente consumata a persona è 8-12 kg nei paesi scandinavi,

4.2 kg in USA e 2.8 kg nel Regno Unito.

Studi condotti sul consumo del caffè tra gli adulti canadesi, documentano un

consumo diverso in base all’età. Per uomini di età superiore ai 50 anni, il consumo

di caffè è superiore al consumo di acqua. Inoltre, altri studi dimostrano che il caffè

è una delle più importanti risorse di fenoli, in particolare CQAs. Si contano circa

71 specie di CQAs ritrovate nei chicchi di caffè, frutta e verdura. Nei chicchi di

caffè verdi, sono presenti 8 CQAs e la concentrazione di acido 5-caffeilchinico (5-

CQA) è maggiore (40-50 mg/g). Uno studio dimostra che 5-CQA presenta solo
lieve attività pro-ossidante a livelli relativamente elevati (100 e 200 microg/ml),

mentre presenta modesta attività anti-ossidante a livelli più bassi (5 microg/ml).

I chicchi di caffè tostati esibivano attività antiossidante maggiore rispetto ai chicchi

non tostati, anche se il contenuto di CQAs tende a diminuire con la tostatura.

Tali risultati suggeriscono che, nel processo di tostatura, CQA produca potenti

antiossidanti.

Al gruppo degli alcaloidi, appartengono anche la Teofillina (contenuta nel thè) e la

Teobromina (contenuta nel cacao), la loro composizione chimica differisce solo per

l’assenza del gruppo CH3 in posizione 7 per la Teofillina ed in posizione 3 per la

Teobromina. In questo risiede la spiegazione dei loro effetti che in parte coincidono

ed in parte differiscono.

Dato che la caffeina è solubile in acqua, riesce ad attraversare facilmente le

membrane cellulari, viene velocemente e totalmente assorbita dallo stomaco e

dall’intestino, per poi finire nel circolo sanguigno che la distribuisce a tutti gli

organi. La sua alta permeabilità ne permette una distribuzione uniforme: peculiarità

eccezionale se comparata a quella degli altri agenti farmacologici.

I suoi effetti stimolanti dipendono soprattutto dalla sua capacità di infiltrarsi nel

sistema nervoso. Tale infiltrazione è possibile solo attraversando la barriera

ematoencefalica, che protegge il sistema nervoso, da virus e altre esposizioni

dannose, impedendo il passaggio alle grosse molecole. Il segreto della caffeina

risiede nella sua capacità di attraversare facilmente tale barriera come se essa non

esistesse affatto.
La massima concentrazione di tale sostanza viene raggiunta normalmente dopo

circa un’ora dalla sua assunzione. Il suo assorbimento, però, è più lento se è

disciolta in sostanze analcoliche.

Dopo esser stata trasportata dal sangue ai vari organi, giunge al fegato. Tale organo,

adibito al suo metabolismo, la converte in prodotti secondari espulsi, poi, con le

urine. La caffeina entra ed esce velocemente dal nostro corpo: l’elevata solubilità

che ne facilita la distribuzione nel corpo, ne accelera anche l’espulsione.

Rallentano il metabolismo Accelerano il metabolismo

·alcol · sigarette

· asiatici · caucasici

· uomini · donne

· neonati · bambini

· contraccettivi orali

· gravidanza

Tabella: Fattori che incidono sul tasso di metabolismo della caffeina


Riuscendo ad attraversare completamente i tessuti, la caffeina non si accumula in

nessun organo. Il grado con cui una “droga” permane nel corpo è quantificato dal

cosiddetto “emi-vita”, ovvero il tempo necessario affinché la concentrazione di una

sostanza chimica presente nel sangue si riduca della metà del suo valore iniziale.

L’emivita della caffeina, per la maggior parte degli individui, è compresa tra le due

e le quattro ore, il che significa che più del 90 per cento viene espulso dal corpo in

dodici ore.

Si possono però riscontrare grandi variazioni in base alla tipologia di individuo che

l’assume.

Le donne, ad esempio, metabolizzano la caffeina ad una velocità maggiore del 25

per cento rispetto agli uomini, tasso rallentato con l’uso di contraccettivi orali.

Nelle donne in gravidanza il tempo di permanenza aumenta, accrescendo così anche

l’esposizione del feto alla sostanza.

I neonati, invece, rappresentano la categoria che, più di tutte, è incapace di

metabolizzare la caffeina, probabilmente perché il loro fegato non è ancora in grado

di produrre gli enzimi necessari.

Soggetto Emi-vita (in ore)

Adulti sani Da 3 a 7,5 (in media 3,5)

Donne in gravidanza Meno di 18

Neonati prematuri Da 65 a 100

Neonati maturi 82
Bambini dai 3 ai 4 anni e mezzo 14,4

Tabella: Emi-vita della caffeina

Nonostante gli strumenti e le tecniche di ricerca degli ultimi anni siano sempre più

accurate e sofisticate, ad oggi è ancora difficile spiegare il modo in cui la caffeina

agisca sul corpo umano. La teoria più accreditata prende il nome di “Teoria del

blocco dell’adenosina”, ovvero il blocco competitivo dei recettori di adenosina

[22]. Affinché un neurotrasmettitore sia efficace, deve raggiungere i recettori

designati a comunicare l’impulso al sistema nervoso. Qualsiasi sostanza che blocchi

questo tipo di trasmissione riduce o annulla la funzione del neurotrasmettitore

coinvolto. L’adenosina è un neurotrasmettitore con proprietà rilassanti, narcotiche

e anticonvulsive, induce ipotensione, bradicardia e vasodilatazione. Riduce inoltre

la minzione e le secrezioni gastriche. Nel cervello riduce il tasso di metabolismo

delle cellule nervose, inibendo il rilascio degli altri neurotrasmettitori che

controllano l’eccitabilità e la reattività dei neuroni centrali.

Secondo la teoria più recente, essa agisce come un antagonista competitivo dei

recettori adenosinici: realizza cioè i suoi effetti stimolanti bloccando la ricezione e

dunque l’azione dell’adenosina [19].

Più semplicemente, come per ogni serratura esiste una chiave specifica, così

l’adenosina necessita di specifici recettori per accedere al sistema nervoso. La

caffeina manipola la chiave bloccando in più punti l’accesso all’adenosina,

sottraendo l’organismo agli effetti depressivi e narcotici dell’adenosina.

Il risultato è che quando noi ingeriamo caffeina, siamo meno esposti alla stanchezza

o al sonno che altrimenti avremmo avvertito [3]. La teoria sostiene che la caffeina,

inibendo l’azione dell’adenosina, produce una serie di effetti opposti a quelli


dell’adenosina, un meccanismo che spiegherebbe il potere della caffeina di favorire

la respirazione, la minzione e le secrezioni gastriche [43].

Un limite della teoria in questione però è rappresentato dal fatto che non tutti gli

effetti complessi della caffeina risultano essere spiegati. Ad esempio, la capacità di

attenzione è controllata da svariati sistemi neurotrasmettitori. Poiché l’uso cronico

di caffeina determina alterazioni in vari altri neurotrasmettitori, resta per i futuri

ricercatori il compito di determinare quale ruolo, se alcuno, giochino queste

alterazioni negli effetti comportamentali associati all’uso di caffeina.

La pianta del caffè, genere Coffea, è un arbusto sempreverde appartenente alla

famiglia delle Rubiacee, originaria dell’Africa orientale, più precisamente

dell’Etiopia, dove molte delle oltre venticinque specie della pianta di caffè crescono

allo stato selvatico. Malgrado il genere Coffea si divida in quattro gruppi botanici,

il caffè che consumiamo deriva da piante che appartengono tutte al genere Eucoffea.

La specie conosciuta e coltivata da più tempo è la Coffea Arabica, nativa

dell’altopiano etiope, oggi la sua produzione copre circa il 75 per cento del mercato

mondiale.

L’altra specie importate sul piano commerciale è la Coffea canephora, della quale

la robusta è la varietà principale, forse nativa dell’Uganda e del Congo.

La caffeina apporta uno stimolo fisico e mentale in chi la consuma, ma perché le

piante hanno sviluppato questa capacità di produrla? La risposta è che la caffeina

ha proprietà antibatteriche e antifungine e rende sterili alcuni insetti distruttivi,

procurando quindi alle piante un effetto protettivo. Dal momento che con il passare

degli anni la caffeina permea anche il terreno circostante alla pianta, essa riesce ad

inibire la crescita di erbacce. I potenti poteri antibiotici, antifungini e disinfestanti


della caffeina possono spiegare anche il motivo per cui la Coffea robusta sia più

resistente della Coffea arabica. Tuttavia, le piante che usano la caffeina come arma

biochimica periranno della stessa sostanza che usano per difendersi.

Le piante di caffè si proteggono producendo e immagazzinando la caffeina in un

luogo diverso da quello in cui avviene la divisione cellulare, molto vulnerabile alle

tossine. Col tempo la caffeina distrugge la pianta che lo produce, perché negli anni

il terreno si arricchisce sempre più di caffeina, assorbita dalle foglie e dalle bacche

che cadono, al punto da diventare tossico non solo per gli insetti ma per la pianta

stessa. È anche per questo che le piantagioni di caffè tendono a degenerare dopo un

periodo di dieci o dodici anni. In un certo senso, queste piante perdono la vita come

risultato di un’intensa produzione della droga più amata dall’umanità.

3. Effetti sulle malattie neurovegetative

L’Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente

invalidante con esordio prevalentemente in età presenile e, nonostante i miglioramenti

raggiunti negli ultimi anni di ricerca, la conoscenza dei fattori di rischio ambientali

correlati a questa patologia è ancora scarsa. La caffeina, essendo un fattore

ambientale facilmente modificabile, potrebbe avere un ruolo protettivo sulla

probabilità di sviluppare l’Alzheimer.

Alcuni dati di studi sperimentali a favore di questa tesi hanno alimentato l’ipotesi

che la caffeina, l’acido clorogenico o la combinazione di entrambi, potrebbero avere

un ruolo protettivo contro il deterioramento cognitivo o contro caratteristiche

biologiche della malattia di Alzheimer nel SNC.


Sebbene studi epidemiologici riportino che l’assunzione regolare di caffè sembri

essere protettiva nella malattia di Alzheimer in soggetti canadesi, ulteriori ricerche

dovrebbero essere effettuate per determinare se la caffeina possa avere un maggiore

effetto nello sviluppo del declino cognitivo nell’Alzheimer o nella demenza età-

correlata. I risultati ottenuti da studi caso-controllo e di ricerca prospettiva negli

uomini suggeriscono che il consumo di caffè sia anche protettivo contro il morbo

di Parkinson, ma il costituente attivo non è chiaro.

A supporto di tale ipotesi, Ascherio et al. si sono concentrati sulla relazione tra caffè

e consumo di caffeina e il rischio di malattia nei pazienti in due coorti: la Health

Professionals’ Follow-Up Study e la Nurses’ Health Study.

La ricerca include 47.351 uomini e 88.565 donne che non hanno morbo di

Parkinson, ictus o cancro. All’inizio sono stati somministrati ai partecipanti dei

questionari sulla dieta, aggiornati ogni 2-4 anni.

Durante il follow-up (10 anni negli uomini, 16 anni nelle donne) sono stati

documentati 288 casi accidentali di Parkinson. Tra gli uomini, tenendo in

considerazione età e fumo di sigaretta, il rischio relativo di morbo di Parkinson era

0.42 nel primo quinto di consumatori di caffeina rispetto all’ultimo quinto.

È stata anche osservata un’associazione inversa tra consumo di caffè, di caffeina da

altre fonti e thè (ma non con il caffè decaffeinato).

Tra le donne, la relazione tra assunzione di caffeina, caffè e rischio di Parkinson,

era a forma di U (nel grafico), con il rischio più basso osservato per il livello di

consumo “moderato” (1-3 tazze al giorno). I risultati suggeriscono che moderate

dosi di caffeina possano ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.


L’associazione tra assunzione di caffeina e tale riduzione del rischio è stata

osservata in modo simile nei metabolizzatori rapidi e lenti di caffeina, supportando

prove sperimentali in modelli animali che sottolineano il ruolo neuroprotettivo della

caffeina e del suo maggior metabolita, la paraxantina [20].

Areshad e Cao riportano che l’assunzione moderata di caffeina nei topi sia

protettiva nei confronti dello sviluppo del morbo di Alzheimer e, pertanto, di

efficacia simile anche negli uomini.

4. Effetti sul sistema nervoso autonomo

Diverse sostanze e/o manipolazioni sperimentali coinvolgono il sistema nervoso

simpatico. Monda et al. hanno potuto esaminare gli effetti del caffè sul sistema

nervoso autonomo in persone giovani e sane. Questo studio analizza il ruolo di una

tazza di caffè espresso sulla variabilità della frequenza cardiaca (HRV) con la

“potenziale dell’analisi spettrale’’, metodica che consente la valutazione della

scarica simpatica e parasimpatica. Nei soggetti giovani, sani e sedentari la HRV-

spectrum analysis è stata valutata per 150 minuti dopo l’assunzione di caffè

espresso (75 mg di caffeina) o caffè decaffeinato (<10 mg di caffeina) sia in

posizione supina che seduta. I valori dell’HRV sono stati aggiunti nelle frequenze

basse (LF) e nelle frequenze alte (HF). Le LF valutano l’attività simpatica mentre

le HF valutano l’attività parasimpatica. In posizione supina, il caffè aumenta le HF

mentre il caffè decaffeinato provoca piccole modifiche delle HF. In posizione

seduta HF non viene modificato né dall’espresso né dal decaffeinato. In entrambe

le posizioni l’espresso e il decaffeinato non provocano modificazione di LF. I


risultati dimostrano che il caffè influenza l’attività parasimpatica nella posizione

supina. Corti et al. mostrarono che il caffè determina degli aumenti nell’attività

simpatica e nella pressione sanguigna in soggetti che solitamente non assumono

caffè, mentre nei soggetti abituali consumatori di caffè è stato dimostrato il mancato

innalzamento di pressione nonostante l’attivazione del simpatico dovuta a tale

bevanda [18].

Dato che con tale esperimento è stato dimostrato che anche il caffè decaffeinato

aumenti la pressione sanguigna e l’attività simpatica nei soggetti che abitualmente

non assumono caffè, altre sostanze potrebbero essere responsabili dell’attivazione

cardiovascolare. L’assunzione di caffè o di qualsiasi altra bevanda contenente

caffeina possono indurre l’aumento della pressione sanguigna e l’attivazione del

simpatico nei soggetti che abitualmente non assumono caffè [30]. La limitazione di

sostanze contenenti caffeina non è più indicata nel settimo rapporto delle linee guida

del Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment

of High Blood Pressure (JNC 7) per la gestione dell’ipertensione. Infatti, non è

presente alcuna chiara correlazione tra l’assunzione di caffè e rischio di ipertensione

o infarto del miocardio. Recenti studi dimostrano che assunzioni abituali di caffè

non siano dannose per la salute ma piuttosto potrebbero avere dei benifici

significativi sulla salute cardiovascolare.

5. Effetti sulla memoria

Il caffè agendo sulla corteccia prefrontale, ha un effetto positivo sulla memoria a

breve termine. Delle immagini di risonanza magnetica funzionale sono state

utilizzate da Koppelstaetter et al. per poter stabilire come il caffè riesca ad attivare
diverse aree del cervello. I soggetti esaminati non hanno assunto caffeina e nicotina

per almeno 24h e hanno digiunato da 4 a 6 ore prima del test. A ciascuno di loro è

stata data una tazza di caffè contenente 100 mg di caffeina o una tazza di una

bevanda priva di caffeina (placebo). Dopo circa 20 minuti tutti sono stati sottoposti

alla fMRI (risonanza magnetica funzionale) mentre svolgevano un test di memoria

e di concentrazione. Il test è stato ripetuto a pochi giorni di distanza, ma ad ognuno

è stata data l’altra bevanda. Durante il test di memoria ai candidati venivano

mostrate delle sequenze rapide di lettere maiuscole, poi gli veniva mostrata una

singola lettera e gli veniva chiesto se quella lettera fosse la penultima della

sequenza. Dovevano rispondere premendo un pulsante con Y (yes) e N (no). Il

gruppo ha presentato l’attivazione della parte del cervello della memoria di lavoro,

ma coloro che avevano assunto caffè hanno presentato una migliore attivazione del

lobo prefrontale, conosciuta come “cingolato anteriore” e “giro del cingolato

anteriore”. Queste aree sono coinvolte nei processi di memoria esecutiva,

attenzione, concentrazione e pianificazione. Questi risultati suggeriscono che la

caffeina cambia l’attività neuronale, come evidenziato dalla fMRI, nella rete di aree

cerebrali associate alle funzioni di esecuzione e attenzione durante i processi di

memoria.

6. Effetti sull’omeostasi del glucosio

Alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che il consumo di caffè sia correlato

alla diminuzione del rischio di insorgenza del diabete mellito di tipo 2 [27]. Altri

studi, invece, dimostrano che la caffeina causi iperglicemia acuta post-prandiale e

riduca la sensibilità all’insulina in tutto l’organismo. Ciò vuol dire che una

componente del caffè, che non sia la caffeina, possa essere responsabile dei benefici
dati dal consumo di tale bevanda. Questa review esamina le specifiche componenti

del caffè che potrebbero agire sulla protezione dal DM2 e le loro possibili

implicazioni in meccanismi psicologici [34]. Quando il caffè verde viene tostato ad

elevate temperature, la reazione di Maillard genera un certo numero di sostanze. La

tostatura produce una certa quantità di antiossidanti e di acido clorogenico da

trasformare in chinoni, noti per la capacità di alterare i livelli di glucosio ematico.

Il consumo di caffè potrebbe anche mediare i livelli dei peptidi gut (polipeptide

glucosio-dipendente e peptide-1 glucagone-like), ormoni implicati nella sazietà e

nella produzione di insulina [25]. Il caffè potrebbe avere attività probiotica-simile,

cambiando la flora batterica e eventualmente anche la digestione. È chiaro che

possono essere effettuate maggiori ricerche sul ruolo del caffè nello sviluppo e nella

prevenzione del DM2 per nuovi targert terapeutici e formulazioni nutraceutiche.

7. Effetti sul fegato

Diversi studi si sono soffermati sulla correlazione tra l’assunzione di caffè e

patologie epatiche e i dati ottenuti, grazie alla loro omogeneità, confermano una

relazione inversa tra l’enzima sierico gamma-glutammil-transferasi e

alaninaamminotrasferasi. Il consumo di caffè è inversamente correlato al rischio di

cirrosi epatica; malgrado ciò, non è stato possibile confermare il ruolo del caffè

nella protezione contro le lesioni epatiche. Modelli animali e studi di colture

cellulari indicano come i diterpeni kahweol e cafestol (componenti del caffè)

possano agire modulando diversi enzimi coinvolti nella detossificazione

carcinogenica. Queste molecole, inoltre, alterano il metabolismo xenotossico

inducendo gli enzimi glutatione-s-transferasi e inibendo l’N-aciltransferasi. Il

beneficio indotto dal caffè sull’epatocarcinoma può essere attribuito alla relazione
inversa che questa possiede con il rischio di sviluppo di cirrosi epatica. Tale

condizione, però, non risulta molto chiara. Sarebbe opportuno proporre esperimenti

con modelli animali con danno epatico per valutare l’effetto del caffè e/o delle sue

singole componenti, non solo per testare il possibile ruolo causale ma anche per

spiegare il suo meccanismo di azione. Sono utili anche studi clinici prospettici in

doppio cieco.

8. Effetti sulla colecisti

Le patologie della colecisti colpiscono più di 20 milioni di adulti negli USA ed è

una importante causa di comorbidità. L’abitudine di bere caffè è connessa ad un

ridotto rischio di patologie della colecisti anche se, i fattori di rischio per patologie

a carico di tale organo non sono del tutto noti. Per i soggetti che abitualmente

bevono almeno 2 tazze di caffè al dì (473 ml), c’è un rischio di sviluppare patologie

della colecisti sintomatiche ridotto del 60% rispetto a chi, invece, non assume caffè.

9. Consumo di caffè e cancro

È stata dimostrata una correlazione inversa tra il consumo di caffè e l’incidenza di

cancro, in particolar modo del cancro del colon-retto. Ricerche su modelli animali

supportano studi di chemioprevenzione del caffè. È stato condotto uno studio per

individuare le componenti del caffè responsabili di tali benefici. Nei modelli

animali e nelle colture cellulari, si è visto che i diterpeni del caffè cafestol e kahweol

(C+K) posseggano diversi effetti biochimici, tra cui la riduzione della

cancerogenicità di multipli cancerogeni. Diversi meccanismi sembra siano

coinvolti in tale chemioprotezione: l’induzione della coniugazione enzimatica,

un’aumentata espressione di proteine coinvolte nella difesa antiossidante e


inibizione dell’espressione e/o attività dei citocromi P450 coinvolti nell’attivazione

cancerogenica. Nei modelli animali gli effetti di C+K mediano l’induzione e

l’attivazione di enzimi antiossidanti nel tessuto epatico, intestinale e renale.

Nel piccolo intestino è stato verificato che queste induzioni siano causate da fattori

dall’attivazione trascrizionale Nrf2-dipendente. Ricerche in vitro eseguite in colture

di cellule di origine umana indicano che gli effetti e i meccanismi osservati in test

animali con C+K siano rilevanti anche per gli uomini. Nel fegato umano delle linee

cellulari sono state transfettate per esprimere AFB (1), attivante i citocromi p450.

La cura con C+K determina una riduzione di AFB (1) legante il DNA. Questa difesa

è correlata all’induzione di GST-mu, un enzima noto perché coinvolto nella

detossificazione da AFB (1). Inoltre, C+K inibiscono P450 2B6, uno degli enzimi

umani responsabile dell’attivazione di AFB (1). Tutti i dati biologici su C+K,

derivanti da studi epidemiologici e in modelli animali, rendono attendibile l’ipotesi

secondo cui nel caffè siano presenti alcune componenti con attività

anticancerogenica. Recenti meta-analisi propongono che il consumo di caffè possa

avere un ruolo nella riduzione dell’incidenza di alcune neoplasie ed un’associazione

inversa in altre. Un incremento del consumo di caffè al dì è stato associato ad una

riduzione di incidenza del cancro del 3%. In analisi per sottogruppi, tale valore è

stato rilevato per il cancro orofaringeo, endometriale, esofageo epatico, vescicale,

pancreatico, prostatico, mammario, oltre che per il carcinoma del colon-retto e per

la leucemia.
10. Caffè e rischi per la salute

La frazione lipidica del caffè costituita da cafestol e kawehol aumenta il colesterolo

sierico, quindi, potrebbe rivestire un certo ruolo in patologie a carico delle arterie

coronarie, cerebrali ed altre complicanze cardiovascolari oltre che nell’insonnia

[28]. La caffeina agisce, nella maggior parte dei casi, antagonizzando tutti i tipi di

recettori dell’adenosina e ciò è correlato a fatica muscolare e comporta problemi

nei soggetti dipendenti dal caffè [14]. Le evidenze in donne incinte o nelle donne

in post-menopausa suggeriscono di non consumare caffè, perché potrebbe

interferire con contraccettivi orali o ormoni post-menopausali [26].


CAPITOLO II: SISTEMA NERVOSO
VEGETATIVO
1. Sistema Nervoso Autonomo

Figura: Sistema nervoso parasimpatico e simpatico

Il Sistema Nervoso Autonomo innerva la maggior parte degli organi e dei tessuti

effettori, incluso il muscolo cardiaco, le cellule muscolari lisce dei vasi ematici e

vari organi viscerali (per esempio lo stomaco e le vie respiratorie), le ghiandole

(sudoripare, salivari, alcune ghiandole endocrine) ed il tessuto adiposo.


Il Sistema Nervoso “Autonomo” è definito in tal modo in quanto la sua attività si

svolge in modo inconscio, per tale motivo è talvolta definito sistema nervoso

involontario.

I neuroni pregangliari del sistema nervoso parasimpatico originano nel tronco

encefalico o nel midollo spinale sacrale, pertanto il sistema nervoso parasimpatico

è anche noto come divisione craniosacrale del SNA. Nella porzione craniale, gli

assoni dei nervi pre-gangliari originano dai corpi cellulari localizzati nel tronco

encefalico, che inviano i propri assoni nei nervi cranici. Un importante nervo

cranico è il nervo vago (X paio di nervi cranici), che origina nel bulbo ed innerva

molti visceri, inclusi polmoni, cuore, stomaco, intestino tenue e fegato. Altri nervi

che contengono gli assoni parasimpatici pregangliari sono il nervo oculomotore

(III), facciale (VII) e glossofaringeo (IX); la parte sacrale, invece, è costituita dai

nervi II, III, IV sacrale, queste fibre trovano un secondo neurone (neurone post-

gangliare) in gangli localizzati presso il viscere da innervare.

Il sistema simpatico ha il primo neurone nella colonna intermedio-laterale dei

metameri I-XII toracico e I-III lombare del midollo spinale. Le fibre che si

originano dal midollo spinale possono avere un duplice destino: o si fermano nei

gangli para-vertebrali, che si trovano lateralmente alla colonna vertebrale o trovano

il secondo neurone nei gangli prevertebrali.

I due sistemi lavorano in parallelo bilanciandosi l'un l'altro e direttamente o

indirettamente influenzano quasi tutte le attività vegetative (Es: attività cardiaca,

pressione renale, ed attività gastrica).


Il parasimpatico ha principalmente una funzione "rilassante". La «trasmissione»

dell’impulso nervoso avviene attraverso la liberazione dell’acetilcolina, sia nei

gangli che a livello dell’organo o del tessuto bersaglio. I recettori a livello gangliare

sono di tipo nicotinico, a livello dell’effettore sono di tipo muscarinico.

Il simpatico, invece, ha una funzione attiva di "eccitamento". La «trasmissione»

dell’impulso nervoso avviene a due livelli: a livello del ganglio, le fibre pre-

gangliari liberano l’acetilcolina, invece, a livello dell’organo o del tessuto bersaglio

le fibre post-gangliari liberano la noradrenalina [12];

Il sistema nervoso autonomo (SNA) è fondamentale in due situazioni:

situazioni di emergenza che causano stress e ci richiedono di "combattere" o

"scappare", e situazioni di non-emergenza che ci permettono di "riposare" e

"digerire". Il S.N.A. si attiva anche in situazioni "normali" per mantenere

funzionalità nomali interne e collaborare con il sistema nervoso somatico. Quando

il corpo reagisce a segnali di pericolo, ad esempio, sono le fibre del simpatico che

fanno sì che i polmoni e i bronchi si dilatino per darci più ossigeno.

Da un punto di vista della loro azione sugli organi, le due componenti svolgono le

funzioni specificate nella tabella seguente.


Simpatico Organi Parasimpatico

Incremento frequenza Cuore Decremento battito

Forza di contrazione Cuore Decremento vigore

Muscoli bronchiali Polmoni Muscoli bronchiali contratti

rilassati

Dilatazione pupille Occhi Costrizione pupillare

Motilità ridotta Intestino Digestione facilitata

Sfintere contratto Vescica Sfintere rilassato

Ridotta secrezione Reni Aumentata secrezione urinaria

urinaria

Il sistema nervoso autonomo è di fondamentale importanza nella regolazione

dell’omeostasi cardiovascolare e pressoria [11]; esso infatti:

1) controlla l’attività elettrica e meccanica del muscolo cardiaco, modulando

frequenza cardiaca, velocità di conduzione, contrattilità e rilasciamento

ventricolare;

2) interagisce con altri sistemi umorali coinvolti nell’omeostasi come i peptidi

natriuretici atriali, vasopressina;

3) controlla il tono vasomotore a livello di vari distretti vascolari;

4) interviene nel controllo della termogenesi e del bilancio calorico.


Questa complessa attività di regolazione nervosa coinvolge sia strutture periferiche

(chemiorecettori, barorecettori, fibre nervose simpatiche e parasimpatiche) che

centrali (bulbari e soprabulbari, aree corticali, centro vasomotore, lobo limbico),

che interagiscono tra loro attraverso una complessa rete di riflessi a feed-back

positivo o negativo.

2. Regolazione sistemica operata dal sistema nervoso

I vasi, in ogni parte del corpo, ricevono fibre noradrenergiche con azione

vasocostrittrice; inoltre, i vasi di resistenza dei muscoli scheletrici ricevono anche

fibre colinergiche, che pur decorrendo insieme alle fibre simpatiche, hanno invece

un’azione vasodilatatrice (sistema vasodilatatore simpatico) [39].

2.1 Innervazione del cuore

Il controllo nervoso del cuore è mediato dal SNA. Le fibre di tale sistema proiettano

su quasi tutte le regioni del cuore, inclusi il sistema di conduzione e il tessuto

miocardico, e regolano sia la frequenza cardiaca che il volume di eiezione

ventricolare [38]. Queste fibre includono sia quelle che appartengono al sistema

nervoso simpatico che parasimpatico. Nei diversi siti cardiaci, i neuroni simpatici e

parasimpatici esercitano effetti opposti. Tuttavia, la distribuzione delle fibre

parasimpatiche nei ventricoli è relativamente scarsa. Di conseguenza, il miocardio

ventricolare è regolato principalmente dal sistema nervoso simpatico [9].

I nervi simpatici noradrenergici hanno sia un effetto cronotropo positivo che

ionotropo positivo, aumentando rispettivamente la frequenza cardiaca e la forza

delle contrazioni cardiache. Gli impulsi simpatici inoltre inibiscono gli effetti della
stimolazione vagale, probabilmente liberando il neuro peptide Y, cotrasmettitore

nelle terminazioni simpatiche [4].

Le fibre colinergiche del vago cardiaco, ne riducono la frequenza.

I nervi simpatici, che determinano costrizione delle arteriole e delle vene, con un

aumento della frequenza cardiaca e del volume-sistole, scaricano in modo fasico.

Variazioni di frequenza di tale scarica regolano la pressione sanguigna.

La frequenza cardiaca e il volume-sistole aumentano a causa dell’attività dei nervi

simpatici del cuore, e di conseguenza, si ha un aumento anche della gittata cardiaca.

Di solito, si ha una concomitante diminuzione nell’attività tonica delle fibre vagali

sul cuore.

Al contrario, una diminuzione nella frequenza di scarica delle fibre vasocostrittrici

determina: vasodilatazione, una caduta della pressione sanguigna ed un aumento

del deposito di sangue nei serbatoi venosi.

2.2 Barocettori

I barorecettori o barocettori sono recettori di stiramento situati nelle pareti del

cuore e dei vasi sanguigni.

Vengono stimolati dalla distensione delle strutture nelle quali si trovano e, pertanto,

scaricano ad una frequenza maggiore quando la pressione in tali zone aumenta.

L’aumentata scarica barocettiva inibisce la scarica tonica dei nervi vasocostrittori

ed eccita l’innervazione vagale del cuore, determinando vasodilatazione,

venodilatazione, bradicardia, diminuzione della gettata cardiaca e caduta della

pressione sanguigna [7].


In generale, gli stimoli che aumentano la frequenza cardiaca, aumentano anche la

pressione sanguigna, invece, quelli che riducono la frequenza, abbassano anche la

pressione. La tabella fornisce un sommario delle condizioni in grado di influenzare

la frequenza cardiaca:

Accelerano:

• Diminuita attività dei barocettori in arterie, ventricolo


sinistro, circolo polmonare;
• Aumentata attività dei recettori di stiramento atriali;
• Inspirazione;
• Eccitazione;
• Ira;
• Quasi tutti gli stimoli dolorosi;
• Ipossia;
• Lavoro muscolare;
• Adrenalina;
• Ormoni tiroidei;
• Febbre;
• Riflesso di Bainbridge.

Rallentano:

• Noradrenalina;
• Aumentata attività dei barocettori in arterie, ventricolo
sinistro, circolo polmonare;
• Espirazione;
• Paura;
• Angoscia;
• Stimolazione di fibre dolorifiche nel nervo trigemino;
• Aumento della pressione intratoracica;
3. Prove cliniche e stimolazione

Le modifiche a carico della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna che si

osservano in un soggetto in ortostatismo o in clinostatismo, sono dovuti soprattutto

a riflessi barocettivi.

La funzionalità di questi recettori può essere valutata in diversi modi tra cui la

registrazione delle variazioni del polso e della pressione sanguigna in risposta a

brevi premiti (sforzo espiratorio a glottide chiusa: manovra di Valsalva).

Tale manovra comporta un aumento della pressione intratoracica, con conseguente

riduzione del ritorno venoso al cuore e attivazione della risposta del sistema nervoso

simpatico attraverso i barocettori.

All’inizio si assiste all’innalzamento della pressione sanguigna perché alla

pressione aortica si associa un aumento della pressione intratoracica. Quest’ultima,

comprimendo le vene e riducendo il ritorno venoso e la gittata cardiaca, determinerà

un abbassamento della pressione. La riduzione della pressione arteriosa e

dell’ampiezza del polso riduce lo stimolo per i barocettori determinando tachicardia

e aumento delle resistenze periferiche. Con la riapertura della glottide, la pressione

intratoracica si normalizza, la gittata si ripristina. Essendo i vasi periferici ancora

costretti, però, la pressione sanguigna supera il livello normale tanto da stimolare i

barocettori, con conseguente bradicardia e ritorno della pressione sanguigna a valori

normali.
Tilt test

Il Tilt test è un particolare esame diagnostico che viene utilizzato per valutare come

l’organismo regola la pressione sanguigna in risposta ad alcuni sforzi molto

semplici [16][42].

Talvolta, i nervi adibiti al controllo della pressione sanguigna non funzionano

correttamente e possono causare una reazione che causa paradossalmente la caduta

improvvisa della pressione arteriosa (risposta vasoinibitoria). Tale reazione può

produrre un periodo di svenimento (sincope) o un certo numero di altri sintomi

compreso un grave capogiro. La prova della tavola basculante serve a determinare

la probabilità che un paziente sia suscettibile a questo tipo di reazione (Beneditt DG

et al.1996).

Per poter svolgere l'esame, il paziente deve essere a digiuno. Viene fatto

accomodare su un particolare letto basculante (tilt table) e legato a questo ultimo

grazie ad apposite fasce avvolgenti, indispensabili per sostenere l'individuo in caso

di perdita di coscienza. Il tavolo nella prima fase rimane in posizione orizzontale -

quindi il paziente rimane in posizione supina - per circa 5 minuti. Nel frattempo, i
parametri vitali vengono continuamente monitorati. Dopodichè, viene inclinato a

60 gradi per 45 minuti minuti. La pressione sanguigna, la frequenza cardiaca ed

eventuali altri sintomi sono registrati ogni 3-5 minuti mentre l’ECG è registrato

continuamente (protocollo Westminster).

La prima parte della prova valuta come la pressione sanguigna risponde all’azione

della gravità.

La seconda parte della prova valuta come la pressione sanguigna risponde ad uno

stimolo farmacologico. La molecola che si adopera è l’isoproterenolo o la

nitroglicerina.

Se dopo i primi 45 minuti il paziente non manifesta alcuna alterazione può essere

somministrata nitroglicerina per via sublinguale o isoproterenolo per via endovena

e si prosegue l’osservazione per altri 20 minuti. (Brignole M. et al. 2001).

4. Heart rate variability

La frequenza cardiaca (FC) – in inglese "heart rate" – è la velocità delle contrazioni

o pulsazioni del cuore misurate dal numero di battito al minuto (bpm). Questo

numero, per esempio 70 b/m, è solo un valore medio, perché in realtà il tempo che

intercorre fra un battito cardiaco e l'altro, non è costante, anzi cambia in

continuazione [10]. La Heart Rate Variability (HRV) è una tecnica utilizzata per

analizzare e misurare la variabilità della frequenza cardiaca. Tale metodica ci


consente di dedurre molteplici informazioni: si può valutare il rischio di aritmie

cardiache, di infarto ed è in grado di valutare il bilanciamento dell'attività tra il

sistema nervoso Simpatico e Parasimpatico [5].

La HRV è nata all'origine nell'ambito della CARDIOLOGIA, ma numerosi studi

scientifici, negli ultimi anni, hanno dimostrato la sua importanza come indicatore

attendibile anche in altri ambiti applicativi riguardanti per es. la

PSICOFISIOLOGIA, la PSICOLOGIA, la PSICHIATRIA, la PSICOTERAPIA, la

MEDICINA DELLO SPORT ed il numero di campi applicativi sta crescendo

continuamente.

Gli studi clinici pubblicati sulla HRV hanno infatti riguardato i seguenti argomenti:

1) cardiologia 6) psichiatria

2) ipnosi 7) terapie psicologiche

3) depressione 8) asma

4) ansia 9) gravidanza

5) stress 10) diabete

La HRV non è altro che la variabilità della frequenza cardiaca in risposta a diversi

fattori quali: il ritmo del respiro, gli stati emozionali, lo stato di ansia, lo stress, la

rabbia, il rilassamento, I pensieri, etc. In un cuore sano, la frequenza cardiaca

risponde velocemente a tutti questi fattori, modificandosi a seconda della

situazione, per meglio far adattare l'organismo alle diverse esigenze [32].

In generale, un individuo sano mostra un buon grado di variabilità della frequenza

cardiaca, cioè un buon grado di adattabilità psicofisica alle diverse situazioni [15].
La HRV è correlata alla interazione fra il Sistema Nervoso Simpatico e

Parasimpatico.

In particolar modo, il Sistema nervoso Simpatico, quando attivato, produce una

serie di effetti: accelerazione del battito cardiaco, dilatazione dei bronchi, aumento

della pressione arteriosa, vasocostrizione periferica, dilatazione pupillare, aumento

della sudorazione.

I mediatori chimici di queste risposte vegetative sono la noradrenalina, l'adrenalina,

la corticotropina, e diversi corticosteroidi.

Il Sistema Nervoso Simpatico è la normale risposta dell'organismo a una situazione

di allarme, lotta, stress.

Invece, il Sistema Nervoso Parasimpatico (chiamato anche Attività Vagale),

quando attivato, produce un rallentamento del ritmo cardiaco, un aumento del tono

muscolare bronchiale, dilatazione dei vasi sanguinei, diminuzione della pressione,

rallentamento della respirazione, aumento del rilassamento muscolare, il respiro

diventa più calmo e profondo, i genitali, le mani e i piedi diventano più caldi.

Esso agisce attraverso il tipico mediatore chimico acetilcolina. Il Sistema

Parasimpatico rappresenta la normale risposta dell'organismo ad una situazione di

calma, riposo, tranquillità ed assenza di pericoli e stress.

Il nostro corpo, in ogni momento, si trova in una situazione determinata

dall'equilibrio o dalla predominanza di uno di questi due sistemi nervosi.

La capacità dell'organismo di modificare il proprio bilanciamento verso l'uno o

l'altro sistema, è molto importante ed è un meccanismo fondamentale che tende


all'equilibrio dinamico dell'organismo sia dal punto di vista fisiologico che

psicologico.

Da ciò la grande importanza di avere oggi uno strumento scientifico come la HRV

in grado di valutare lo stato relativo del sistema nervoso Simpatico e Parasimpatico.

4.1 Come viene misurata la HRV

Figura 2: Sensore fotopletismografico

In ambito cardiologico, la HRV viene misurata attraverso un apparecchio

elettrocardiografico (ECG), con normali elettrodi di superficie che si applicano a

livello del cuore, ed un software speciale per l'analisi dei dati [37].

In ambito diverso dalla cardiologia, la HRV può essere più facilmente misurata

mediante un sensore fotopletismografico applicato ad un dito. Tale sensore

funziona attraverso l'emissione e la captazione di luce infrarossa, che è assorbita dal

sangue.

Il sensore rileva le variazioni cicliche del tono pressorio nei capillari delle dita, che

rappresentano esattamente il battito cardiaco.

I dati, dopo essere stati digitalizzati, vengono analizzati da un software molto

complesso, capace di calcolare la distanza esatta tra un battito cardiaco e l'altro (tale
distanza è espressa in millisecondi). Si può creare quindi un diagramma che esprime

tale distanza.

Figura 2-1: Tacogramma

Esempio di Tacogramma: le diverse onde rappresentano ogni battito cardiaco

mentre le linee blu rappresentano il punto in cui il programma riconosce l'apice di

ogni onda e quindi da qui calcola la distanza esatta in millisecondi fra un battito e

l'altro.

La distanza temporale fra un battito e l’altro viene definito tempo R-R ed è espresso

in millisecondi (ms).
Il tacogramma viene raccolto normalmente nell'arco di 4-5 minuti (cioè vengono

conteggiati circa 300 battiti cardiaci in tutto).

Figura: Spettro di potenza

Il software, a questo punto, esegue altre analisi più complesse, attraverso operazioni

chiamate "Resampling del tacogramma" poi segue la “Trasformata di Fourier” ed

il “calcolo dello Spettro di Potenza del tacogramma” (espressa in millisecondi al

quadrato ms^2).

Tale spettro rappresenta le componenti di frequenza del tacogramma e contiene le

informazioni essenziali ai fini della stima del bilanciamento fra Simpatico e

Parasimpatico.

Lo Spettro di potenza (nel dominio delle frequenze) esprime la potenza delle

frequenze comprese fra 0.01e 0.4Hz [1].

Gli studi e le ricerche degli ultimi 15 anni hanno permesso di distinguere all’interno

di tale spettro, tre sotto-bande di frequenze, chiamate rispettivamente:


1) VLF (Very Low Frequency) frequenze comprese fra 0.01 e 0.04 Hz.

La banda VLF è dovuta in parte all'attività del Sistema Nervoso Simpatico,

ma anche dai cambiamenti nella termoregolazione, ed in ambito psicologico,

è influenzata dalle preoccupazioni e dai pensieri ossessivi (worry and

rumination).

2) LF (Low Frequency) frequenze comprese fra 0.04 e 0.15 Hz.

La banda delle LF è dovuta principalmente all'attività del Sistema Nervoso

Simpatico e all’attività di regolazione dei barocettori.

3) HF (High Frequency) frequenze comprese fra 0.15 e 0.4 Hz.

La banda delle HF è considerata invece espressione dell'attività del Sistema

Nervoso Parasimpatico.

Questa zona di frequenze viene in particolar modo influenzata dal ritmo e dalla

profondità della respirazione [29]. Infine, per l’analisi dell’HVR, sono importanti

anche i parametri "Deviazione Standard" del tacogramma o il parametro "Total

Power" che è proporzionale al quadrato della deviazione standard.

Questi ultimi due parametri esprimono il grado complessivo della variabilità della

frequenza cardiaca, quindi l’attività complessiva del Simpatico e Parasimpatico.

Il rapporto invece fra Simpatico e Parasimpatico viene invece misurato dal rapporto

fra LF/HF.
CAPITOLO III: STUDIO
1. Il caffè espresso aumenta l’attività parasimpatica in giovani

sani.

L’apporto di cibo influenza l’attività del sistema nervoso autonomo. Questo sta a

dimostrare che esiste una connessione tra i comportamenti alimentari e l’attività

vegetativa [24]. L’analisi spettrale dell’HRV risulta essere un metodo non invasivo

ed in grado di fornire una valutazione dettagliata qualitativa e quantitativa della

funzione neuro autonoma, in diversi ambienti clinici e di ricerca [31]. In generale,

tale analisi ha mostrato almeno 2 regioni distinte di periodicità in intervalli “RR”

dell’elettrocardiogramma. Il componente HF (> di 0,15 Hz) è quello che riflette

maggiormente l’attività del sistema nervoso parasimpatico. Il componente LF (< di

0,15Hz), invece, è associato all’attività simpatica e parasimpatica.

A differenza delle metodiche invasive, l’analisi spettrale dell’HRV mostra il carico

imposto sui soggetti durante un esperimento ed è un approccio valido ed adeguato

alla valutazione dell’attività vegetativa in ambito di ricerche su larga scala.

L’ingestione di caffeina ad una dose di 240mg aumenta la modulazione dell’attività

nervosa parasimpatica. Le compresse contenenti 400mg di caffeina aumentano sia

i valori LF che HF durante il sonno. Le capsule di caffeina da 300 mg provocano

un aumento di LF sotto sforzo in soggetti sani, mentre le capsule di 250mg assunte

2 volte al giorno per 2 settimane modificano HRV.

Tutto ciò non è altro che una conseguenza dell’aumento dell’attività parasimpatica

con una relativa riduzione di quella simpatica.


Nonostante le suddette indagini mostrino che l’ingestione di caffeina ad una dose

di 240-400mg (assumendo bevande, pillole o capsule) provochi alterazioni di HRV,

non ci sono prove scientifiche che attestino gli effetti su HRV esercitati da una tazza

di caffè espresso, che ha una dose più bassa di caffeina (circa 75 mg).

L’obiettivo di tale studio è stato quello di esaminare le modifiche indotte da questa

bevanda sul sistema nervoso autonomo.

2. Soggetti e metodi.

Dal dipartimento clinico dietetico della seconda università di Napoli sono stati

analizzati soggetti sedentari (10 maschi e 10 femmine con un’età compresa tra i 25

e i 30 anni), con un’altezza tra 160-165 cm ed un peso compreso tra i 58 e 62 kg, in

modo tale che i campioni fossero omogenei. I volontari sono stati definiti sedentari

in quanto non praticavano sport o attività fisica intensa da almeno 3 anni.

Il consenso informato è stato dato da tutti i partecipanti e il comitato della rivista

per i valori etico-umani della seconda università di Napoli ha approvato lo studio.

I soggetti in questione presentavano diverse caratteristiche: erano sani, avevano un

peso che rimaneva invariato durante gli ultimi 3 mesi, tutti non fumatori, non

consumatori di alcol e bevitori di caffè in piccole quantità (2 o 3 tazze di espresso

al giorno). Ogni soggetto presentava valori di pressione sanguigna nella norma.

I partecipanti digiunavano di notte per almeno 12 ore. I valori venivano rilevati tra

le ore 8 e le ore 10. Prima di effettuare gli esami i soggetti dovevano restare a riposo

per 30 minuti. La frequenza respiratoria era stabile a 12-14 atti al minuto.


Ad ogni soggetto veniva chiesto di non consumare caffè, thè, cioccolato e cocacola

e di riportare su un diario tutti i cibi assunti nei 2 giorni precedenti l’esperimento.

Dall’ analisi dei diari è emerso che i cibi che hanno un effetto sul metabolismo della

caffeina erano stati esclusi.

3. Risultati sperimentali

L’analisi di spettro di HRV è stata valutata prima in posizione supina e poi in

posizione seduta, prima (periodo di riferimento) e per 150 minuti dopo aver bevuto

un caffè espresso (circa 75 mg di caffeina) o un caffè espresso decaffeinato (minore

di 18mg di caffeina). Le bevande hanno la medesima composizione, ad essere

diversa è solo la concentrazione di caffeina che nel caffè decaffeinato è ridotta,

invece le altre sostanze rimangono intatte, come viene riportato sull’etichetta del

produttore.

I soggetti sono rimasti seduti durante la pausa di 5 minuti tra le sessioni per la

valutazione dei parametri. La pressione sanguigna è stata misurata anche prima e

ogni 30 minuti per 150 minuti dopo aver bevuto la bevanda contenente la caffeina.

Ogni candidato ha ripetuto lo stesso esperimento in 2 giorni diversi, con almeno 7

giorni di distanza l’uno dall’altro, usando un giorno il caffè e nell’altro il

decaffeinato. I soggetti non sapevano quale delle 2 bevande fosse usata in ogni

sessione.

L’analisi spettrale di HRV è stata valutata con un ECG della durata di 5 minuti. Il

segnale di ECG è stato riportato su un computer ad una frequenza di campionatura

di 100 campioni al secondo con un elettrocardiografo C (Cardioline, delta-1plus)

collegato alla porta seriale del pc; un software realizzato con LabView è stato
utilizzato per l’acquisizione e l’analisi dei dati. Tutte le onde “R” sono state

riconosciute automaticamente e tutti gli intervalli RR sono stati calcolati. La

sequenza degli intervalli RR è stata ricampionata per ottenere un segnale costante

nel tempo (10 campioni al secondo). A questo segnale è stato poi applicato il “Fast

Fourier Transform” e visualizzato in forma di spettro, i cui valori assoluti sono stati

infine sommati al range di bassa frequenza (0.04-0.15Hz) e a quello di alta

frequenza (0,15-0,40). I valori LF e HF erano quelli utilizzati per valutare l’attività

simpatica e parasimpatica.

4. Analisi statistica.

I valori sperimentali appaiono come valori medi con intervalli al 95%. L’analisi

statistica è stata eseguita con l’analisi di varianza di due fattori e le rilevazioni sono

state ripetute su entrambi i fattori ovvero la terapia (2 livelli) e il tempo (3 livelli).

L’analisi è stata calcolata con il software Systat. Con il test Scheffe Post hoc sono

stati fatti vari confronti.

5. Risultati

Dopo la somministrazione di caffè o caffè decaffeinato, nella figura 1 sono riportati

i valori di HF. In posizione supina il caffè provoca un aumento dei valori di HF con

una soglia massima a 105 minuti, mentre quello decaffeinato provoca piccole

alterazioni di HF. In posizione seduta la somministrazione di caffè o caffè

decaffeinato non altera HF.

L’analisi della varianza ha mostrato un effetto importante per la terapia

[F(1,19)=507; P<0,01], per il tempo [F(2,228)=89; P<0,01] e per la terapia x tempo

[F(12,228)=24;P<0,01].
Il test post Hoc ha mostrato che “il gruppo in posizione supina che aveva assunto

caffè” era diverso da quello “sempre in posizione supina che aveva assunto caffè

decaffeinato” a 30-120 minuti.

Figura 1: Potenza ad alta frequenza (HF) in posizione supina o seduta soggetti


dopo la somministrazione di una tazza di caffè espresso caffè o caffè decaffeinato
al momento 0. * Post-hoc verificare la differenza statistica (P <0,05) tra il
gruppo di caffè e gruppo decaffeinato in posizione supina.
Figura 2: Potenza a bassa frequenza (LF) in posizione supina o seduta soggetti
dopo la somministrazione di una tazza di caffè espresso caffè o caffè decaffeinato
al momento 0.

Nella figura 2 vengono mostrati i valori di LF in soggetti dopo la somministrazione

di caffè o caffè decaffeinato che invece non hanno provocato alcuna alterazione sia

in posizione supina che seduta. Non è stata notata nessuna differenza statistica.
Nella figura 3 sono riportati esempi di spettri in un soggetto in posizione supina con

precedente o successiva assunzione di caffè espresso. Qui si nota un aumento

dell’area nero scuro del grafico (range di frequenza elevato come espressione

dell’attività parasimpatica) dopo la somministrazione di caffè. Nelle figure invece

non vengono riportati esempi di spettri in un soggetto in posizione supina che abbia

assunto caffè decaffeinato o in un soggetto in posizione seduta che abbia ingerito

caffè o caffè decaffeinato, perché non ci sono differenze tra le condizioni precedenti

e successive all’assunzione.

Figura 3: Esempi di spettri di potenza per un soggetto supino con pre e post-
iniezione di caffè espresso. Area grigio pallido, bassa frequenza (0,04-0,15 Hz);
buio area grigia, alta frequenza (0,15-0,40 Hz).
Nella figura 4 sono riportati i valori della pressione sistolica in soggetti dopo la
somministrazione di caffè o caffè decaffeinato, che non provocano nessuna
alterazione sia in posizione supina che seduta. Non si sono notate differenze
statistiche.

Figura 4: Pressione sistolica sanguigna in posizione supina o seduta di soggetti


dopo la somministrazione di una tazza di caffè espresso caffè o caffè decaffeinato
al momento 0.
Nella figura 5 sono riportati i valori della pressione diastolica in soggetti dopo la
somministrazione di caffè o caffè decaffeinato.

Figura 5: Pressione arteriosa diastolica in posizione supina o seduta di soggetti

dopo la somministrazione di una tazza di caffè espresso caffè o caffè decaffeinato

al momento 0.

Il caffè e il caffè decaffeinato non provocano nessuna alterazione si in posizione

supina che seduta. Non si sono notate differenze statistiche.


1. Discussione

Questo studio è il primo a dimostrare come una tazza di caffè espresso sia in grado

di aumentare l’attività parasimpatica in giovani sani in posizione supina. In

posizione seduta, invece, il caffè non provoca alterazione della scarica

parasimpatica, avendo essa una certa influenza sull’attività del sistema nervoso

autonomo e non modificandosi con l’assunzione di una tazza di caffè. Dunque,

parte degli effetti osservati sono dovuti alla posizione.

I risultati di questa indagine sono compatibili con quelli di Rauli ed altri, che non

hanno riscontrato particolari differenze nei parametri di HRV fino a 90 minuti dopo

l’assunzione di 100 o 200 mg di caffeina [33].

In precedenza, non si era giunti però ad una conclusione importante: la posizione

supina può rivelare gli effetti prodotti da una bassa dose di caffeina, non

riscontrabili in posizione seduta.

Del resto, l’effetto della caffeina sull’attività vagale cardiaca potrebbe essere

indiretto, attraverso un riflesso dei barorecettori, e più evidente in posizione supina.

Hibino ed altri hanno dimostrato che dopo l’assunzione di 240mg di caffeina si

verifica una piccola alterazione nell’analisi spettrale di HRV. Tale analisi è stata

eseguita ad intervalli regolari solo in posizione supina prima e dopo l’assunzione di

caffeina o di un eccipiente. Dal punto di vista statistico i risultati sono stati

significativi solo in un paio di punti nella successione cronologica [13][35].

Il risultato da noi ottenuto è compatibile con quello di Hibino e altri; per di più,

abbiamo dimostrato che è possibile migliorare la sensibilità del metodo e rivelare


le alterazioni autonome prodotte da una piccolissima dose di caffeina.

Le differenze principali nel protocollo qui utilizzato sono:

• l’utilizzo di soggetti sedentari;

• l’esclusione di cibi contenenti caffeina per 2 giorni prima della sessione

sperimentale;

• il ricorso ai consigli della Task Force per l’analisi spettrale di HRV;

• lo studio di HRV sia in posizione supina che seduta.

L’ultimo punto è presumibilmente il più importante per mostrare una diffusa

alterazione simpatica (migliorata in posizione seduta) e/o un’alterazione

parasimpatica (migliorata in posizione supina). Il modello presentato è quello che

si avvicina maggiormente alla dose abituale di caffeina somministrata

quotidianamente nell’Europa meridionale. Per poter descrivere i meccanismi

molecolari di questi effetti occorrono altri studi. Per giunta, questo esperimento

mostra che una tazza di caffè espresso (75mg di caffeina) non comporta modifiche

alla pressione sanguigna in giovani sani e quindi non ha effetti ipertensivi.

I nostri risultati confermano i dati di altre letterature mediche: un consumo abituale

di caffè non è legato alle modifiche della pressione sanguigna.

Al contrario Waring ed altri hanno dimostrato che la caffeina (300mg) ha degli

effetti sulla pressione sanguigna in adulti giovani a riposo. L’esercizio fisico

determina un innalzamento della pressione sistolica più di quella diastolica dopo

l’assunzione di caffeina; quest’ultima ha, quindi, degli effetti non solo su HRV ma

anche sulla pressione sanguigna [40]. Occorrerebbero altri esperimenti per


dimostrare che tale effetto non ipertensivo si eserciti anche in individui anziani sani

o soggetti ipertesi.

Inoltre, i risultati del presente lavoro sono utili nella gestione di soggetti

bradicardici. Benché occorra una prova diretta per dimostrare che una tazza di caffè

espresso sia in grado di provocare aritmia ipocinetica in persone suscettibili, questo

esperimento suggerisce ai soggetti con alterazione del ritmo cardiaco, di consumare

con cautela il caffè espresso. Considerata la maggiore suscettibilità di soggetti con

ipertono vagale ad alterazioni di tale ritmo, un aumento del tono vagale indotto dal

caffè potrebbe portare ad aritmia [23].

I risultati dimostrano che l’analisi di HRV sia un metodo efficace in grado di

rivelare anche piccole alterazioni dell’attività del sistema nervoso autonomo.

Una dose di 75mg di caffeina provoca effettivamente delle alterazioni

parasimpatiche rivelate da tale analisi, ma non da altri metodi non invasivi come ad

esempio la misurazione della pressione sanguigna.


Conclusioni

Lo studio da noi condotto chiarisce quelli che sono gli effetti della caffeina, una

sostanza di cui si fa uso ed abuso, sull’attività del sistema nervoso autonomo.

La caffeina è la sostanza del caffè maggiormente studiata. È stata originariamente

isolata dal caffè nel 1820 ed è stata oggetto di intensi studi farmacologici e

applicazioni cliniche. La visione generale del caffè è passata da “dannosa” a

“benefica”. I dati a favore di questa prospettiva ottimistica derivano da chiari

benefici nella protezione epatica, riduzione del rischio dello sviluppo del morbo di

Parkinson e dalle recenti osservazioni sulla mortalità globale. Il caffè diviene

promotore della buona salute, dove dieta e attività fisica continuano ad avere un

ruolo chiave e insostituibile.

In conclusione, dati maggiori derivanti da studi epidemiologici suggeriscono che

bere caffè sia correlato ad un minor rischio di contrarre varie patologie.

In ogni caso, devono essere effettuati ulteriori studi randomizzati per poter avere

delucidazioni sulla relazione tra consumo di caffeina e alcune patologie e per

analizzare metodi di consumo a favore degli effetti benefici sulla salute.


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