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Dodicesima edizione
Jean Cambier
Membre de l’Académie de Médecine
Professeur de Clinique Neurologique
Maurice Masson
Professeur de Neurologie
à la Faculté Xavier-Bichat de Paris
Catherine Masson
Responsable de l’Unité de Neurologie
de l’Hôpital Beaujon (AP-HP)
Henri Dehen†
Professeur de Neurologie
à la Faculté Xavier-Bichat de Paris
Elsevier
Indice
Neurologia
Jean Cambier
Membre de l’Académie de Médecine
Professeur de Clinique Neurologique
Maurice Masson
Professeur de Neurologie
à la Faculté Xavier-Bichat de Paris
Catherine Masson
Responsable de l’Unité de Neurologie
de l’Hôpital Beaujon (AP-HP)
Henri Dehen †
Professeur de Neurologie
à la Faculté Xavier-Bichat de Paris
Neurologia
DODICESIMA EDIZIONE
Edizione italiana a cura di
Claudio Mariani
Professore Ordinario di Neurologia
Direttore UO di Neurologia
Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco”
Università degli Studi di Milano
Pierluigi Bertora
Professore Aggregato di Neurologia
Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco”
Università degli Studi di Milano
Credits
Elsevier Srl
Via Paleocapa 7, 20121 Milano
Tel. 02.88.184.1
www.elsevier.it
Printed in Italy
Finito di stampare nel mese di febbraio 2013 presso “Printer
Trento” S.r.l., Trento
Presentazione della dodicesima edizione
italiana
Claudio Mariani
Fabio Visintini
Jean Cambier
Maurice Masson
Catherine Masson
P. Castaigne
Sistema lemniscale
Le capacità discriminative riguardanti il tatto e la pressione, la
sensibilità vibratoria e il senso di posizione dipendono dal sistema
lemniscale. Le a erenze originano da recettori specializzati
collocati nella pelle, nel tessuto sottocutaneo e nelle capsule
articolari (corpuscoli di Meissner e di Pacini, dischi di Merkel,
terminazioni associate al follicolo pilifero). Questi recettori
conferiscono alla bra la capacità di rispondere a una stimolazione
tramite una scarica intensa e di breve durata.
Le bre a erenti sono bre mieliniche di medio diametro (Aβ)
a conduzione relativamente rapida (30-70 m/s). Il prolungamento
centrale dei neuroni sale nel cordone posteriore omolaterale. La
prima articolazione di questa via è situata a livello bulbare nei
nuclei gracile e cuneato. Il secondo neurone, previa decussazione,
costituisce il nastro di Reil o lemnisco mediale, che raggiunge il
nucleo ventrale posterolaterale del talamo. Da qui un terzo
neurone assicura la proiezione alle aree somestesiche corticali
(Fig. 1.1). L’area somestesica primaria (SI) è costituita dalla
circonvoluzione parietale ascendente su cui la sensibilità
dell’emicorpo controlaterale disegna l’homunculus inverso, con la
testa nella parte bassa della circonvoluzione e l’arto inferiore
rivolto verso l’interno dell’emisfero. L’area somestesica secondaria
(SII) è situata a livello del labbro superiore della scissura di Silvio.
Figura 1.2 Articolazioni sinaptiche a livello del corno posteriore del midollo. Le bre
mieliniche di piccolo diametro (Aδ) proiettano sui neuroni nocicettivi all’origine della via
neospinotalamica. Le bre C amieliniche terminano sugli interneuroni del corno posteriore
che 1) attivano i ri essi nocicettivi segmentari e 2) proiettano sui neuroni nocicettivi
all’origine della via spinoreticolotalamica. Le bre mieliniche a conduzione rapida (Aβ),
all’origine della via lemniscale omolaterale, hanno proiezioni collaterali sugli interneuroni
del corno posteriore ed esercitano un’azione inibitoria sui neuroni nocicettivi all’origine
della via spinoreticolotalamica.
Figura 1.3 Rappresentazione schematica delle a erenze somestesiche del sistema
extralemniscale. Le vie sono essenzialmente controlaterali, anche se esiste un contingente
omolaterale. La maggior parte delle bre termina nella formazione reticolare del tronco
encefalico. Si noti, in ne, la proiezione corticale bilaterale.
Sindrome spinotalamica
Una lesione del fascio spinotalamico nel cordone anterolaterale del
midollo spinale produce un’anestesia termodolori ca di tutta la parte
dell’emicorpo controlaterale sottostante la lesione. Le altre modalità
sensitive sono conservate. Una sindrome dolori ca cronica si
sviluppa talvolta in maniera secondaria nel territorio in cui la
percezione del dolore è ridotta o assente.
Sindrome di Brown-Séquard
La sindrome di Brown-Séquard deriva da una lesione conseguente a
un’emisezione del midollo spinale e vede associate una sindrome
cordonale posteriore e una sindrome piramidale dal lato della
lesione a una sindrome spinotalamica dal lato opposto. Nella
pratica clinica questa sindrome è spesso presente in forma parziale
come espressione della lateralizzazione di una lesione intra- o
extramidollare.
Sindrome siringomielica
La sindrome siringomielica è caratterizzata da un’anestesia
dissociata termodolori ca in un territorio segmentario nel quale
viene invece conservata la sensibilità tattile. La lesione responsabile
è situata nel corno posteriore o nella sostanza grigia
centromidollare e interrompe i deuteroneuroni della sensibilità
termodolori ca nel tragitto dal corno posteriore verso il fascio
spinotalamico controlaterale. Nel territorio interessato l’anestesia
termica è variabile: talvolta il malato non distingue minimamente
le qualità termiche della stimolazione, in altri casi interpreta tutti
gli stimoli termici indi erentemente come caldi o freddi. Per
quanto riguarda il dolore, può veri carsi una vera e propria
anestesia o una semplice ipoestesia. Talvolta, all’interno dell’area
di anestesia “sospesa”, può essere presente una regione in cui la
sensibilità tattile è soppressa ma ai cui con ni superiore e inferiore
si trova un’anestesia dissociata caratteristica.
Lesioni talamiche
Una lesione talamica che interessa il nucleo ventrale
posterolaterale e il nucleo ventrale posteromediale per le bre
trigeminali comporta un de cit sensitivo dal lato opposto del
corpo (Fig. 1.4). Una piccola lesione può provocare un de cit
sensitivo localizzato in una parte dell’emicorpo.
Figura 1.4 Principali nuclei talamici e loro proiezioni corticali.
Dolore e nocicezione
De nizione
Il dolore è una sensazione che sopraggiunge quando una
stimolazione, per sua natura o intensità (stimolazione nocicettiva),
provoca o rischia di provocare una lesione tissutale: ha pertanto la
funzione di proteggere, determinando fenomeni di evitamento.
Ancora prima di essere trasmesso ai centri superiori, il
messaggio nocicettivo induce ri essi integrati di difesa a livello
segmentario. Questi ri essi primitivi, del tipo triplice essione,
dipendono dai collaterali delle a erenze nocicettive primarie che
hanno una proiezione sugli interneuroni del corno posteriore. Il
controllo discendente esercitato dai centri sopraspinali tende a
inibire questi ri essi primitivi e a sostituirli con risposte più
localizzate, quale la essione delle dita del piede, più adatte alla
stazione eretta.
Il dolore in senso stretto è un’esperienza soggettiva che
comporta diverse componenti:
• la componente discriminativa assicura la percezione dello stimolo
e l’analisi dei suoi caratteri qualitativi e spazio-temporali;
• la componente a ettiva esprime la connotazione della so erenza
collegata alla percezione dolorosa;
• la componente cognitiva comprende un insieme di processi
suscettibili di modulare il vissuto doloroso: attenzione,
distrazione, suggestibilità, anticipazione, riferimenti a
esperienze passate;
• la componente comportamentale corrisponde all’insieme delle
manifestazioni osservabili: siologiche (parametri
somatovegetativi), verbali (gemiti, lamenti) o motorie
(immobilità, agitazione, atteggiamenti antalgici).
Dolori nocicettivi
I dolori nocicettivi sono innescati da svariati processi patologici
che coinvolgono le terminazioni nocicettive presenti nei tegumenti
e nelle strutture profonde (muscolari, osteoarticolari, viscerali,
vascolari, meningee, ecc.). Gli stimoli che attivano queste
terminazioni possono essere di natura meccanica, termica o
in ammatoria e possono agire in maniera diretta o inducendo il
rilascio di sostanze di origine endogena: ioni K+, H+,
prostaglandina E2, bradichinina, ecc.
Il trattamento del dolore nocicettivo mira a risolverne la
causa, laddove possibile, con la concomitante somministrazione di
analgesici e antin ammatori, la cui scelta e somministrazione (via
e posologia) dipende dalle caratteristiche peculiari del singolo
paziente. La cronicizzazione del dolore nocicettivo è di norma il
risultato della persistenza del processo patologico causale. Tuttavia
è necessario tenere conto del fatto che, contrariamente alle altre
modalità della sensazione, la persistenza di uno stimolo doloroso
non porta a un adattamento, ma piuttosto a una sensibilizzazione
che interferisce con la modulazione del dolore a tutti i livelli:
recettori e a erenze nocicettive periferiche, recettori postsinaptici,
strutture di relè del tronco encefalico, integrazione corticale.
Un’iperalgesia (dolore eccessivo provocato da uno stimolo
normalmente poco doloroso) e un’allodinia (dolore provocato da
uno stimolo meccanico o termico di solito indolore) sono la
conseguenza di questa sensibilizzazione. Tali fenomeni di
sensibilizzazione in uiscono sull’eventuale evoluzione verso un
dolore permanente, divenuto più o meno indipendente dalla causa
iniziale. È questo il caso di alcune cervicalgie, dorsalgie e
lombalgie croniche in cui il trattamento sintomatico del dolore
deve prevalere su azioni locali a scopo curativo.
Dolori neuropatici
I dolori neuropatici sono, per de nizione, causati da una lesione o
una disfunzione del sistema nervoso periferico o centrale. La
natura neuropatica di un dolore può essere riconosciuta grazie alla
sua localizzazione sistematica determinata dalla sede della lesione
e grazie all’esame che evidenzia, nel territorio corrispondente, i
segni sensitivi de citari e/o le disestesie o parestesie (si veda sopra,
“Semeiologia sensitiva topogra ca”). L’esame può obiettivare altri
segni neurologici in relazione con la lesione causale, ma può anche
essere del tutto normale in alcune nevralgie; d’altra parte,
l’assenza di un qualsiasi segno neurologico associato è un criterio
diagnostico delle cosiddette nevralgie essenziali, come la nevralgia
del trigemino.
I dolori neuropatici sono, di norma, permanenti,
preferibilmente del tipo bruciore, spesso con recrudescenze a tta
o scarica elettrica, ma possono anche essere intensi cati da
stimolazioni (iperalgesia e/o allodinia). Più raramente sono solo
intermittenti: in questi casi si tratta di dolori prevalentemente
folgoranti, a carattere stimolo-dipendente.
Dolori neuropatici periferici
I dolori neuropatici periferici sono riconducibili a processi
patologici che interferiscono con l’attività delle bre amieliniche o
mielinizzate di piccolo calibro ( bre C e Aδ) che trasportano lo
stimolo doloroso. Tali lesioni possono essere relativamente
selettive (neuropatie delle piccole bre) – dando luogo a un de cit
sensitivo termodolori co – o non selettive allorché interessano
l’insieme delle a erenze sensitive, dando luogo a un de cit
sensitivo più globale.
La causalgia è un dolore simile al bruciore, permanente,
particolarmente penoso, esacerbato dalle stimolazioni tattili o
emozionali. Si osserva in seguito alla lesione parziale di alcuni nervi,
in particolare il mediano e lo sciatico. Si accompagna a disturbi
vasomotori regionali e a disturbi tro ci. L’intervento delle bre
simpatiche (sympathetically-mediated pain) potrebbe essere
chiamato in causa in questo tipo di dolore, come nel caso delle
algodistro e, in relazione con la up-regulation dei recettori α-
adrenergici sulle terminazioni nocicettive periferiche.
La causalgia attualmente viene ricondotta alla sindrome
dolori ca regionale complessa, o distro a simpatica ri essa. I criteri
diagnostici di questa sindrome sono:
Trattamento medico
I medicinali che agiscono sui dolori neuropatici sono stati valutati
nelle diverse indicazioni, in particolare per le neuropatie
diabetiche dolorose e le algie postzosteriane. Alcuni di questi sono
utilizzati anche per il trattamento del dolore neuropatico centrale.
Trattamenti topici
L’applicazione locale di cerotti anestetici a base di lidocaina al 5%
è spesso e cace nelle algie postzosteriane.
I cerotti a base di capsaicina e la somministrazione per via
sottocutanea di tossina botulinica A (non registrata in Italia per
tale indicazione; N.d.C.) costituiscono un’ulteriore opzione
terapeutica per le neuropatie dolorose.
Antidepressivi triciclici
Trattamento intratecale
La somministrazione intratecale prolungata di alcuni farmaci
(oppioidi, agonisti β2-adrenergici, antagonisti dei canali del calcio
voltaggio-dipendenti di tipo N) può essere prescritta nella cura di
casi selezionati di dolore neuropatico refrattario.
Trattamento chirurgico
Spesso le tecniche basate sull’interruzione neurochirurgica delle vie
del dolore hanno un’e cacia temporanea (i dolori ricompaiono nei
mesi o negli anni successivi). Pertanto tali metodiche sono indicate
solo nei malati con prognosi di sopravvivenza limitata (patologie
maligne).
Le tecniche che mirano a rinforzare i sistemi di controllo
inibitorio, per contro, hanno visto moltiplicarsi le loro indicazioni:
ciò vale fondamentalmente per l’elettrostimolazione delle vie
lemniscali a livello dei cordoni posteriori, ma anche per le
neurostimolazioni centrali, in particolare corticali. Risultati
interessanti sono stati inoltre ottenuti con una metodica non
invasiva, ossia la stimolazione magnetica transcranica della
corteccia motoria.
E etto placebo
L’esistenza di un e etto placebo è un evento assai frequente in
tutte le situazioni in cui si tratta un dolore mediante farmaci,
procedure chirurgiche, stimolazioni, ecc.
Osservazioni compiute in pazienti con dolori postoperatori
gravi hanno dimostrato che l’e etto placebo è presente nel 35%
circa dei casi. Questa media, spesso sottostimata, in alcune
circostanze può essere di gran lunga superiore.
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Capitolo 2
Semeiologia della motilità
Sistematizzazione
L’unità motoria è rappresentata dall’insieme delle bre muscolari
innervate da un motoneurone α del corno anteriore del midollo
(Fig. 2.1).
Figura 2.1 Schema della costituzione dell’unità motoria.
Fibra muscolare
La bra muscolare è una cellula gigante la cui lunghezza può
raggiungere parecchi centimetri per un diametro da 0,01 a
0,1 mm. Le mio brille allungate longitudinalmente occupano la
totalità dello spazio citoplasmatico, respingendo alla periferia i
nuclei. In quanto supporto della striatura trasversale, esse sono
l’agente della contrazione muscolare che deriva da uno
scivolamento relativo delle molecole di actina e di miosina
costituenti le mio brille.
I metodi istochimici hanno dimostrato che le bre muscolari
di eriscono per quanto riguarda il corredo enzimatico. Esse si
ripartiscono in due grandi tipi: il tipo I è particolarmente
predisposto per il metabolismo ossidativo del glucosio
(succinicodeidrogenasi, NADPH-diaforasi, ecc.); il tipo II utilizza
l’energia fornita dalla glicolisi (ATPasi, fosforilasi,
glicerofosfatodeidrogenasi). Secondo la predominanza di uno di
questi due tipi di bre, i muscoli possono essere classi cati in
muscoli rossi, a contrazione lenta e attività predominante di tipo
tonico ( bre di tipo I) e in muscoli bianchi, a contrazione rapida e
attività predominante di tipo fasico ( bre di tipo II).
Nella maggior parte dei casi, all’interno di un medesimo
muscolo sono presenti entrambi i tipi di bre. Tuttavia le bre che
appartengono alla stessa unità motoria sono sempre del medesimo
tipo istochimico. Le caratteristiche istochimiche sono conferite alla
bra muscolare dalla bra nervosa, che ne assicura l’innervazione.
Le unità motorie lente contengono generalmente un maggior
numero di bre muscolari ( no a 1.500 per unità motoria nei
muscoli gemelli) rispetto alle unità motorie rapide, in particolare
laddove i movimenti devono essere eseguiti con estrema
precisione: nei muscoli oculomotori ad esempio si contano una
quindicina di bre. Nella maggior parte dei muscoli questi due tipi
di unità motorie coesistono frammisti all’interno di uno stesso
fascio muscolare.
Placca motrice
La placca motrice è la regione del sarcolemma in cui si stabilisce la
sinapsi con la bra nervosa (Fig. 2.2). La trasmissione provoca il
rilascio di acetilcolina dalla terminazione nervosa; questa, legandosi
ai recettori per l’acetilcolina, modi ca la permeabilità agli ioni
calcio dei canali speci ci associati al recettore e provoca una
depolarizzazione (potenziale di placca). La reversibilità del
fenomeno è assicurata dalla presenza di acetilcolinesterasi.
Quando il potenziale di placca raggiunge un’ampiezza su ciente,
si ha la partenza di un potenziale propagato all’insieme della bra
che induce la contrazione.
Figura 2.2 Giunzione neuromuscolare (placca motrice).
Semeiologia
L’unità motoria può essere danneggiata a livello del motoneurone
(processo neurogeno), della bra muscolare (processo miogeno) o
della sinapsi (blocco neuromuscolare).
Il de cit motorio e l’amiotro a sono le principali manifestazioni
di danno neurogeno o miogeno. Il de cit motorio, ricercato a
livello di ciascun muscolo, deve essere valutato utilizzando una
scala di codi ca che va da 0 a 5 (Tab. 2.1).
5 Forza normale
Crampi
Il crampo muscolare è una contrattura involontaria, intensa e
dolorosa di un muscolo, che lo colpisce in toto o in parte ed è
spesso preceduta da alcune fascicolazioni. Esso è dovuto a una
scarica ad alta frequenza che coinvolge molteplici unità motorie.
La comparsa dei crampi è favorita dalla disidratazione, dagli sforzi
sici, dalla gravidanza e da posture che accorciano il muscolo, in
particolare durante il sonno. Lo stiramento passivo del muscolo
contratto fa cessare il crampo. Pur essendo frequenti nel corso di
malattie del motoneurone, i crampi sono un fenomeno banale,
seppur potenzialmente invalidante, nel soggetto sano. I derivati
del chinino sembrano avere una certa e cacia, tuttavia non se ne
raccomanda l’utilizzo.
Fascicolazioni
Le fascicolazioni sono scosse repentine di un gruppo di bre
muscolari, il più delle volte isolate, talvolta ripetitive. Compaiono
spontaneamente nel muscolo a riposo, ma sono favorite
dall’esposizione al freddo o dalla percussione del muscolo.
Corrispondono all’attivazione spontanea di un’unità motoria in
toto (origine prossimale) o di parte di essa (origine distale), a
di erenza delle brillazioni che corrispondono all’attività di bre
muscolari isolate. Le fascicolazioni, se associate a un de cit
motorio, a un’amiotro a o a un tracciato EMG di tipo neurogeno,
sono sintomo di una malattia del motoneurone. Se invece sono
completamente isolate, la loro natura “benigna” o “idiopatica”
viene generalmente confermata valutandone l’evoluzione
temporale (sindrome crampi-fascicolazioni benigne).
Miochimie
Le miochimie si presentano sotto forma di piccole contrazioni o
movimenti ondulatori muscolari sottocutanei risultanti da scariche
ripetitive di più unità motorie (multiplette) che possono durare
diversi secondi. Esse nascono a livello dell’assone, in un qualsiasi
punto del suo percorso. Possono essere correlate a un cambiamento
dell’ambiente assonale (ipocalcemia, iperventilazione), alla
compressione di una radice o di un nervo o a una
demielinizzazione periferica (Guillain-Barré, plessopatia attinica) o
centrale: nella sclerosi multipla le miochimie sono soprattutto
facciali e risultano indicative di demielinizzazione della porzione
intrassiale del nervo facciale.
Miotonia
La miotonia è un’anomalia della decontrazione muscolare. Dopo
una contrazione volontaria il muscolo permane in uno stato di
contrazione prolungata che si oppone al suo rilasciamento, il quale
è ottenuto soltanto a costo di uno sforzo da parte degli antagonisti.
La miotonia è favorita dal freddo e si esaurisce nel momento in cui
viene ripetuta la contrazione. Non compare quando si evocano i
ri essi tendinei. L’elettromiogra a evidenzia la miotonia come una
ra ca di potenziali di ampiezza ridotta e alta frequenza che
assumono l’aspetto di potenziali di brillazione. Il fenomeno è il
risultato di un’attività ripetitiva delle bre correlata a un’anomalia
della loro ripolarizzazione. La miotonia viene osservata in alcune
malattie primitive del muscolo (malattia di Thomsen, malattia di
Steinert). La miotonia deve essere distinta dal semplice ritardo
della decontrazione che si osserva durante la registrazione dei
ri essi nel quadro di alcune malattie sistemiche, in particolare nel
mixedema. Quest’ultimo fenomeno è privo di signi catività
neurologica ed è legato a un’alterazione dello svolgimento dei
processi biochimici che assicurano il rilasciamento del muscolo.
Neuromiotonia
La neuromiotonia (o sindrome di Isaacs-Mertens) è la conseguenza
di un’attività anomala che ha origine nel nervo periferico e che,
all’EMG, si presenta con treni di potenziali di azione delle unità
motorie che scaricano a frequenza elevata (sindrome di attività
continua delle bre muscolari). Si presenta con miochimie, crampi e,
soprattutto, con un disturbo del rilasciamento muscolare
(“pseudomiotonia”) responsabile di una rigidità tale da ostacolare
la deambulazione e che può essere la causa di una postura
anomala. Una terapia a base di fenitoina o carbamazepina è
solitamente e cace. Questa sindrome è legata alla presenza di
anticorpi anti-canale del potassio voltaggio-dipendenti che
provocano il prolungamento della durata del potenziale d’azione
del nervo e l’aumento del numero di quanti di acetilcolina liberati.
Anticorpi anti-canale del potassio sono riscontrati anche nella
corea brillare di Morvan, che associa manifestazioni
neuromuscolari (corea brillare), segni di disautonomia e
manifestazioni centrali (insonnia, confusione, allucinazioni) che
talvolta ricordano un’encefalite limbica. Nella sindrome crampi-
fascicolazioni benigne potrebbe anche essere chiamata in causa
una canalopatia del potassio.
Organizzazione
Il corno anteriore del midollo contiene i motoneuroni α che
innervano le bre muscolari dell’unità motoria, i motoneuroni γ
che innervano le bre muscolari intrafusali sensibili allo
stiramento e i neuroni di Renshaw. Questi ultimi, attivati da un
collaterale dell’assone del motoneurone, esercitano un’inibizione
ricorrente sui motoneuroni vicini.
A questo livello sono integrati i ri essi propriocettivi, attivati
in particolare dalle a erenze fusali, e i ri essi esterocettivi attivati
dalle a erenze cutanee.
Ri essi propriocettivi
Il ri esso miotattico si basa su un dispositivo monosinaptico (Fig.
2.3). L’eccitamento partito dai recettori dei fusi neuromuscolari
raggiunge il midollo spinale per mezzo di bre mieliniche a
conduzione rapida 1a. Prima di terminare nei neuroni della
colonna di Clarke, queste bre generano dei collaterali a formare
sinapsi sui neuroni motori del muscolo da cui ha preso origine
l’eccitamento. Pertanto lo stiramento di un muscolo ne provoca la
contrazione.
Figura 2.3 Organizzazione elementare del ri esso miotattico. Il recettore del ri esso
monosinaptico è formato dalla terminazione primaria del fuso neuromuscolare, che è
sensibile alla trazione. La via a erente raggiunge il midollo spinale per mezzo delle bre del
gruppo Ia a conduzione rapida. Esse entrano in contatto monosinaptico con i
motoneuroni α del muscolo da cui provengono. Le bre α terminano nel corpo muscolare. I
motoneuroni γ innervano la parte contrattile del fuso neuromuscolare assicurando in tal
modo il controllo dell’eccitabilità fusale, che permette l’adattabilità del ri esso miotattico
(esistono infatti motoneuroni γ statici e γ dinamici che sono controllati in modo
indipendente dalle strutture soprasegmentarie).
Ri essi esterocettivi
Rispondono all’attivazione di terminazioni nervose non speci che
situate nello spessore dei tegumenti o nelle strutture profonde.
Sono ri essi polisinaptici nei quali avviene l’integrazione del
messaggio che ha raggiunto il corno posteriore del midollo spinale
percorrendo bre a erenti poco mielinizzate o amieliniche a
conduzione lenta (Fig. 2.4).
Figura 2.4 Organizzazione elementare del ri esso polisinaptico nocicettivo (ri esso
di essione). Il ri esso polisinaptico inibisce i motoneuroni α e γ dei muscoli estensori. A
questa azione inibitoria si aggiunge un’azione eccitatoria sui muscoli essori antagonisti
che determina il ri esso in essione.
Fascio piramidale
Il fascio piramidale indica, in senso stretto, l’insieme delle bre che
costituiscono la piramide bulbare (Fig. 2.5). Origina nella corteccia
motoria prerolandica e costituisce la via corticospinale le cui bre
sono praticamente tutte incrociate e in cui la decussazione
avviene, essenzialmente, nella parte bassa della piramide bulbare
e, in minima parte, nel midollo. Queste bre terminano sugli
interneuroni del midollo e, in piccola parte, direttamente sui
motoneuroni del corno anteriore. Questa via controlla la motilità
dell’emicorpo controlaterale nei movimenti più ni come, ad
esempio, il movimento separato delle dita (Fig. 2.6).
Figura 2.5 Fascio piramidale.
Figura 2.6 Terminazione midollare del fascio piramidale. Raramente la via piramidale
raggiunge direttamente i motoneuroni α (3). La maggior parte delle connessioni si realizza
tramite interneuroni (1-2)
Vie corticoreticolospinali
Le aree motorie sono anche il punto di partenza delle vie
corticoreticolospinali che si interrompono nel tronco encefalico.
Queste vie multisinaptiche hanno proiezioni bilaterali e
controllano la motilità della parte assile del corpo e della radice
degli arti in maniera globale e sincinetica.
Sindrome piramidale
La sindrome piramidale associa:
De cit motorio
Può essere serio e importante nel caso di una lesione acuta o
particolarmente estesa. Al di fuori di questi casi il de cit motorio
ha caratteri topogra ci particolari.
Agli arti superiori predomina negli estensori delle dita e nel
tricipite brachiale; agli arti inferiori, nei muscoli della loggia
anteroesterna della gamba e negli ischiotibiali. Viene messo in
evidenza da alcune prove: agli arti superiori, braccia tese in
avanti; agli arti inferiori, con la manovra di Barré (soggetto prono,
gambe sollevate ad angolo retto) o di Mingazzini (soggetto supino,
cosce e gambe ad angolo retto).
La paralisi facciale centrale è caratterizzata dalla
compromissione elettiva del facciale inferiore. L’asimmetria dei
tratti risulta esasperata dall’eloquio e dalle smor e volontarie.
L’interessamento del facciale superiore si manifesta mediante il
segno delle ciglia di Souques.
Alcune predominanze topogra che caratterizzano le lesioni
corticali: difetto limitato faciobrachiale o chiro-orale; associazione
di paralisi centrale dell’emifaccia, dell’emilingua e dell’emivelo del
palato, che corrisponde alla lesione dell’opercolo rolandico o del
fascio genicolato (sindrome opercolare).
Sincinesie
La motilità che persiste dopo lesione delle proiezioni corticospinali
risulta dalla liberazione delle attività motorie più primitive, di tipo
sincinetico, integrate a livello sottocorticale.
Le sincinesie globali si manifestano con l’esagerazione
dell’ipertonia di un arto o dell’emicorpo in occasione del
movimento volontario.
Le sincinesie di coordinazione sono movimenti che avvengono
nel territorio muscolare paralitico in occasione di movimenti
volontari eseguiti in un’altra parte del corpo: essione combinata
della coscia e del tronco quando il soggetto tenta di sedersi;
estensione e divaricazione delle dita nell’innalzamento volontario
dell’arto superiore, ecc. Questi diversi movimenti sembrano
dipendere da vie discendenti proiettanti sui motoneuroni α ma non
facenti parte del sistema piramidale.
Le sincinesie da imitazione non appartengono propriamente
alla semeiologia piramidale. Manifestano la perdita del controllo
che il sistema lemniscale esercita sulla via motoria principale e
consistono in movimenti involontari di un arto che replicano i
movimenti volontari eseguiti da un altro arto. Sono scatenate
selettivamente dai movimenti distali ( esso-estensione della mano
o del piede) e, in genere, si manifestano omolateralmente.
Sindrome pseudobulbare
Con questo nome si indica la paralisi dei muscoli a innervazione
bulbare in seguito a compromissione sopranucleare. Questa
sindrome è il risultato di lesioni bilaterali delle vie corticonucleari
(fascio genicolato). Le conseguenze di una lesione sopranucleare
unilaterale, in e etti, sono limitate in quanto i nuclei motori del
bulbo dispongono di un controllo emisferico bilaterale.
Il quadro clinico è dominato dai disturbi della fonazione e della
deglutizione associati a un de cit bilaterale del comando dei
muscoli della lingua, del velo palatino, della faringe e della
laringe. Il ri esso del velo palatino è abolito. A livello della lingua
si nota l’assenza di amiotro a e di fascicolazioni. Una diplegia
facciale e un de cit dei masticatori possono essere associati alla
sindrome pseudobulbare propriamente detta in seguito alla
compromissione delle proiezioni corticonucleari destinate ai nuclei
motori del facciale e del trigemino. La sindrome de citaria è
spesso accompagnata da un elemento di spasticità (aumento
abnorme del ri esso masseterino) e da fenomeni di liberazione
della mimica automatica: riso e pianto spasmodici.
Le lesioni delle vie corticonucleari all’origine della sindrome
pseudobulbare possono risiedere a livelli variabili: parte bassa
della circonvoluzione frontale ascendente, ginocchio della capsula
interna, tronco encefalico. Devono essere bilaterali, ma non
necessariamente simmetriche. Nella maggior parte dei casi sono di
origine vascolare e compaiono sotto forma di infarto bilaterale o
lacune multiple. Possono essere presenti anche lesioni di natura
tumorale, in ammatoria (sclerosi multipla) o degenerativa
(sclerosi laterale amiotro ca, malattia di Steele-Richardson).
Sistematizzazione
La corteccia cerebellare è composta da tre strati de niti, dal più
interno al più esterno, strato dei granuli, strato delle cellule di
Purkinje e strato molecolare.
I nuclei cerebellari, presenti in tre coppie (nuclei del tetto,
nuclei interpositi [globoso ed emboliforme], nuclei dentati),
costituiscono il punto di partenza delle e erenze cerebellari.
Le a erenze alla corteccia cerebellare inviano collaterali
eccitatorie ai nuclei profondi del cervelletto. Le a erenze
cerebellari sono di due tipi:
Lobo occulonodulare
Il lobo occulonodulare, composto dal nodulo (mediano) e dai due
occuli (laterali), è localizzato nella parte anteroinferore del
cervelletto. Le sue a erenze provengono dai canali semicircolari e
dagli otoliti, direttamente o con l’intermediazione dei nuclei
vestibolari (vestibolocerebellum). Sono inoltre presenti a erenze
visive. Esso proietta sui nuclei vestibolari ed esercita un controllo
sui muscoli assiali implicati nel controllo dell’equilibrio e sui
movimenti oculari ri essi.
Semeiologia cerebellare
L’analisi della semeiologia cerebellare permette di riconoscere
diversi disturbi elementari. Se la lesione è unilaterale tali disturbi
sono ipsilaterali.
Ipotonia
Sindromi cerebellari
È possibile distinguere in maniera schematica tre diverse forme.
Figura 2.10 Nuclei della base. Circuiti funzionali. Circuiti motori cortico-striato-
talamo-corticali. Circuiti distinti che terminano sulla regione frontale da cui originano
(circuiti chiusi) o su una diversa regione frontale (circuiti aperti) permettono di correlare
gli aspetti motivazionali, di programmazione ed esecutivi.
DM = nucleo dorsomediale; GPi = globo pallido interno; GPv = globo pallido ventrale;
LNpr = locus niger pars reticularis; M = corteccia motoria; PF ass. = corteccia prefrontale
associativa; PF limb. = corteccia prefrontale limbica; PM = corteccia premotoria;
VA = nucleo ventrale anteriore; VL = nucleo ventrolaterale.
Sindrome parkinsoniana
La sindrome parkinsoniana (Cap. 13) è dovuta a una disfunzione
della via nigrostriatale dopaminergica. Si associa a rigidità
plastica, acinesia e tremore a riposo. La sindrome parkinsoniana
comporta anche disturbi della postura e della locomozione in cui la
compromissione del nucleo peduncolopontino sembra svolgere un
ruolo importante.
Movimenti coreici
La comparsa dei movimenti coreici può essere spiegata con la
perdita del controllo esercitato dallo striato sul nucleo subtalamico
tramite la via indiretta che attraversa il pallido esterno.
Il movimento coreico mette in atto una scarica breve e
sincrona di potenziali elettromiogra ci senza attivare gli
antagonisti. Il movimento è brusco, esplosivo, incontrollato e
imprevedibile e può essere costituito da una smor a del viso, dal
sollevamento della spalla o dalla essione o estensione di uno o
più dita della mano. La caduta può essere la conseguenza del
piegamento brusco di un arto inferiore. La fonazione e la
deglutizione possono risultare disturbate. Il movimento coreico è
facilitato dall’emozione, dall’attenzione o dall’attività motoria in
un distretto distante; è attenuato dall’isolamento e scompare nel
sonno. Compare su una base di ipotonia e disturba il movimento
volontario.
Emicorea
Atetosi e distonia
Questi disturbi motori sono la conseguenza di un disordine nel
controllo esercitato dallo striato sulla distribuzione del tono
muscolare in relazione alla postura e al movimento.
Atetosi
L’atetosi è un movimento anomalo involontario predominante alle
estremità, lento, eccessivo e “serpeggiante”, associato a
un’ipotonia di fondo che può condurre a deformità. Il movimento
volontario è ritardato e male si adatta alla situazione percettiva, e
“si di onde” a distanza. Spasmi tonici sono provocati da stimoli
sensoriali. L’atetosi può essere unilaterale o bilaterale. Se interessa
il viso, questo può assumere un aspetto contratto in una smor a.
L’emissione della parola può essere disturbata dal coinvolgimento
dei muscoli fonatori.
L’atetosi è la conseguenza di lesioni neonatali subcorticali, in
particolare dello striato: anossia o ittero nucleare se l’atetosi è
bilaterale, complicanza vascolare nell’emiatetosi. La comparsa è
tardiva, talvolta persino nell’adolescenza.
Distonia
La distonia è un disturbo dell’innervazione reciproca dei muscoli
agonisti e antagonisti. Si manifesta con contrazioni muscolari
involontarie sostenute che impongono a un segmento dell’arto o a
una parte del corpo alcuni movimenti o atteggiamenti di
contrattura spasmodica. Il movimento distonico è lento, ma può
acuirsi sotto forma di spasmi ripetitivi quasi clonici (distonia
mioclonica). Il fenomeno distonico non si veri ca durante il sonno.
Durante la veglia può comparire in maniera subentrante o soltanto
in caso di movimenti volontari (distonia d’azione, talvolta per
attività molto speci che) o di mantenimento di un atteggiamento
(distonia di atteggiamento). La distonia è spesso associata a
tremore: si tratta di un tremore distonico che compare quando il
paziente lotta contro la “forza distonica” o di tremore di tipo
essenziale.
I diversi tipi di distonia sono analizzati nel Capitolo 13.
Tremori
Il tremore è de nito come l’oscillazione ritmica involontaria di un
segmento corporeo. Il rispetto dell’alternanza agonista-antagonista
è caratteristico nella registrazione del tremore. È possibile
distinguere i tremori in base all’insorgenza a riposo, nel
mantenimento di un atteggiamento (tremore posturale) o durante
il movimento (tremore cinetico).
Tremore siologico
Esiste un tremore siologico (8-12 Hz) che può comparire nel
soggetto normale qualora gli sia richiesto di estendere gli arti
superiori. Si acuisce nell’ipertiroidismo, nella sindrome da
astinenza da alcol o sotto l’in usso di diversi farmaci (litio,
antidepressivi triciclici, acido valproico, agonisti β-adrenergici,
amiodarone, ecc.). Il tremore neuropatico constatato in diverse
neuropatie periferiche, in special modo in varie neuropatie
demielinizzanti croniche, potrebbe anche corrispondere a
un’esagerazione del tremore siologico.
Tremore a riposo
Il tremore a riposo compare in un segmento corporeo mantenuto
in modo tale da non necessitare di attivazione muscolare. È
soppresso, almeno temporaneamente, da un’attivazione volontaria
muscolare. Spesso è aggravato dall’attività mentale o
dall’attivazione motoria in un’altra parte del corpo. Il prototipo è
il tremore della malattia di Parkinson.
Tremore cinetico
Il tremore cinetico disturba lo svolgimento del movimento
volontario rendendone discontinua la traiettoria a causa di
oscillazioni successive di ampiezza progressivamente crescente via
via che ci si avvicina al bersaglio, e per questa ragione viene
denominato tremore intenzionale. Nelle sue forme più marcate
comporta un grave handicap. Il tremore cinetico fa parte della
semeiologia cerebellare.
Tremore essenziale
Il tremore essenziale è un tremore cinetico e posturale. Esso
provoca disturbi più o meno gravi nell’esecuzione del movimento,
sebbene possa comparire anche quando il paziente desidera
mantenere una postura costante. Di solito compare inizialmente
agli arti superiori, nei quali è generalmente bilaterale ma
asimmetrico. Il tremore essenziale può estendersi ai muscoli del
collo, determinando come conseguenza un tremore del capo, e a
mandibola e muscoli della fonazione (voce tremula).
Può presentarsi a qualsiasi età, ma la sua incidenza aumenta
con gli anni. Nella metà dei casi ha un carattere familiare, con
un’ereditarietà spesso autosomica dominante. Sono stati
individuati alcuni legami con i cromosomi 2p22, 6p e 3q13, con un
possibile ruolo del gene del recettore D3 della dopamina in 3q13.
In alcuni pazienti appare elettivamente in forma di un disturbo
della scrittura che va di erenziato dal crampo dello scrivano.
Il tremore ortostatico è una variante del tremore posturale che
compare agli arti inferiori quando il soggetto è immobile in piedi e
che scompare quando si siede.
In tutte queste manifestazioni il tremore essenziale, che risente
notevolmente dell’a aticamento e delle emozioni, è modi cato
favorevolmente dall’assunzione di una dose moderata di alcol. Se il
tremore è fastidioso, la terapia di prima scelta si basa
sull’assunzione di propranololo o primidone che, eventualmente,
possono essere associati. È sensibile anche al gabapentin, al
topiramato e alla nimodipina. Nelle forme invalidanti refrattarie
alla terapia medica è possibile il ricorso a una terapia chirurgica
stereotassica con stimolazioni unilaterali o bilaterali del nucleo
ventrale intermedio del talamo.
Alcuni studi neuropatologici (in realtà poco numerosi) hanno
evidenziato anomalie che possono essere localizzate nel cervelletto
(aumento della glia di Bergman e del numero di “torpedo” sulla
parte iniziale degli assoni delle cellule di Purkinje) o nel tronco
encefalico (aumento del numero dei corpi di Lewy, in particolare
nel locus coeruleus).
La distinzione fra tremore essenziale e malattia di Parkinson è
solitamente facile. Tuttavia una componente di riposo è presente,
talvolta, nel tremore essenziale a uno stadio tardivo, quando il
tremore è intenso. Può essere presente anche un segno della ruota
dentata (Cap. 13), ma mancano la rigidità e l’acinesia della
sindrome parkinsoniana. In ne, un tremore essenziale può
evolvere secondariamente verso una sindrome parkinsoniana.
Mioclonie
La mioclonia è una contrazione muscolare brusca, breve e
involontaria, in grado o meno di generare il movimento di un
segmento corporeo. Interessa una parte di muscolo, un muscolo o
un gruppo muscolare. Mette simultaneamente in azione più unità
motorie; in questo di erisce dalla fascicolazione, che è una scarica
spontanea di una unità motoria, e dalla miochimia, espressione
dell’attività ripetitiva di un’unità motoria.
Le mioclonie possono essere di use o localizzate, possono
insorgere isolatamente o presentarsi come una scarica di scosse ad
ampiezza crescente. Nella maggior parte dei casi le mioclonie sono
spontanee, talvolta scatenate da stimoli somestesici o sensoriali,
oppure da un movimento (mioclonie intenzionali o d’azione).
Le mioclonie possono far parte della semeiologia di una forma
di epilessia, di un’encefalopatia, di un’encefalite, di una malattia
degenerativa.
Le mioclonie segmentarie sono connesse a una patologia del
midollo (mioclonie spinali) o del tronco encefalico (mioclonie del
velo palatino) di origine ischemica, in ammatoria o tumorale.
Possono essere irregolari o ritmiche.
La sindrome delle mioclonie del velo palatino consiste in
un’attività ritmica rapida (da 100 a 180 al minuto) del velo
palatino, continua e persistente anche durante il sonno. Questa
attività può di ondersi al volto e ai muscoli faringei, oppure ai
muscoli intercostali e al diaframma e anche ai muscoli oculomotori
estrinseci. Può determinare un rumore schioccante percepito
uditivamente dal paziente e correlato all’attivazione del muscolo
stapedio. Le mioclonie ritmiche del velo sono la conseguenza di
una lesione che interessa, in un punto qualunque, le bre che,
originate dal nucleo dentato (omolateralmente alle mioclonie),
raggiungono l’oliva bulbare controlaterale dopo essersi incrociate
al di sotto del nucleo rosso. Questa lesione ha come conseguenza
un’ipertro a dell’oliva bulbare.
Flapping tremor
Il apping tremor è un tremore attitudinale particolare. Interessa gli
arti, ma anche il volto, la mandibola e la lingua, ed è costituito da
due componenti: una lenta che abbassa la mano estesa, l’altra
rapida che la fa sollevare, da cui l’aspetto a battito d’ali.
Il apping tremor è stato descritto nell’encefalopatia epatica,
ma può essere osservato anche in altre encefalopatie metaboliche o
tossiche. Si può associare a brusche cadute posturali irregolari che
si manifestano sul tracciato elettromiogra co come un silenzio
elettrico.
Queste mioclonie negative costituiscono l’asterixis. L’asterixis è
osservato non solo nelle encefalopatie metaboliche, ma anche in
relazione a lesioni controlaterali del talamo, della corteccia
parietale o del putamen.
Tic
I tic sono movimenti involontari che interessano gruppi di muscoli
sinergici in una o più parti del corpo. Sono movimenti bruschi,
sovente stereotipati e iterativi. Ricordano, in maniera caricaturale,
certe attività mimiche o gestuali della vita relazionale. Scompaiono
durante il sonno e possono essere soppressi volontariamente per
un breve periodo, per ripresentarsi poi in modo compulsivo.
La sindrome di Gilles de la Tourette è caratterizzata
dall’associazione di tic motori e vocali. La prevalenza della
patologia è dell’1% nei bambini in età scolare, con una forte
preponderanza nei soggetti maschi. Esistono argomentazioni a
favore della possibile origine genetica e/o autoimmune.
Il tic è spesso preceduto da una sensazione di tensione che
spinge a compiere il movimento per averne sollievo.
I tic motori, semplici o complessi, precedono abitualmente i tic
vocali: rumori della glottide, grugniti (tic di abbaiamento),
proferire interiezioni spesso volgari (coprolalia).
Il disagio sociale risultante dai tic può essere aggravato dalla
coesistenza di disturbi psichiatrici, in particolare in forma di
disturbo ossessivo compulsivo o di disturbo di iperattività con
de cit dell’attenzione. Può essere osservata una tendenza
all’automutilazione.
L’approccio comportamentale può determinare miglioramenti
signi cativi. Il trattamento farmacologico non è giusti cato, a
eccezione dei casi in cui i tic provochino un disagio sociale; in tale
eventualità si ricorre a un neurolettico, di solito la pimozide.
Spesso si osserva un miglioramento dopo i 20 anni di età.
Una disfunzione dei nuclei della base che interessa
particolarmente il circuito limbico sembrerebbe coinvolta nella
siopatogenesi della malattia. Per le forme più gravi è stata
proposta la stimolazione cerebrale profonda a livello delle stazioni
pallidali o talamiche facenti parte di questo circuito.
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Capitolo 3
Semeiologia dei nervi cranici
Richiamo anatomofunzionale
Retina
La retina contiene, dall’esterno verso l’interno, i fotorecettori, i
neuroni bipolari, completamente intraretinici, che rappresentano i
protoneuroni visivi, in ne i neuroni gangliari o deuteroneuroni
visivi, i cui assoni si estendono no al corpo genicolato laterale
(Fig. 3.2).
Nervo ottico
Esso è formato dall’unione degli assoni dei neuroni gangliari. A
partire dal punto di uscita dal globo oculare, questi assoni
presentano un rivestimento mielinico avente le stesse
caratteristiche della mielina del sistema nervoso centrale, formata
dagli oligodendrociti. Dapprima intraorbitario, il nervo ottico
diventa intracranico attraversando il canale ottico. Esso è
vascolarizzato dall’arteria centrale della retina e dall’arteria
oftalmica. Lo spazio subaracnoideo si estende all’intorno del nervo
ottico, no al polo posteriore del globo oculare.
Chiasma
Nel chiasma ha luogo una decussazione parziale delle bre ottiche
(Fig. 3.3). Le bre provenienti dal campo nasale della retina,
comprese le bre del settore nasale della macula, incrociano la
linea mediana, per raggiungere il tratto ottico controlaterale. Le
bre provenienti dal campo temporale della retina non si
intersecano e si innestano nel tratto ottico omolaterale.
Figura 3.3 Vie ottiche e sindromi cliniche dovute a una loro lesione.
Tratti ottici
I tratti ottici si estendono dal chiasma al corpo genicolato laterale
contornando i peduncoli cerebrali. Ogni tratto ottico contiene le
bre dirette e le bre crociate provenienti dalle due emiretine che
esplorano il campo visivo controlaterale.
Radiazioni ottiche
Le radiazioni ottiche si estendono dal corpo genicolato laterale alla
corteccia occipitale e corrispondono al terzo neurone delle vie
visive. Le bre provenienti dai quadranti superiori della retina
decorrono in profondità nel lobo parietale; quelle provenienti dai
quadranti inferiori decorrono in profondità nel lobo temporale,
all’esterno del corno temporale.
Corteccia visiva
La corteccia visiva primaria (V1) occupa i due bordi e il fondo della
scissura calcarina nella faccia interna del lobo occipitale. Prende il
nome di area striata (area 17 di Brodmann) dalla presenza della
stria di Gennari, costituita da bre mieliniche di associazione. Le
bre di origine maculare ne occupano una vasta porzione vicino al
polo occipitale. Le bre di origine periferica hanno una
rappresentazione più ristretta e più marginale. Le bre
provenienti dai quadranti superiori della retina terminano
nell’estremità superiore della scissura calcarina, quelle provenienti
dai quadranti inferiori nel bordo inferiore.
La corteccia visiva associativa circonda la corteccia visiva
primaria, in particolare con l’area V2 (aree 18 e 19 di Brodmann).
La corteccia visiva associativa riceve le proprie a erenze
prevalentemente dalla corteccia visiva primaria, ma sembra
disporre anche di a erenze visive dirette.
Oltre all’area V2 è possibile distinguere due grandi vie:
Lesioni retiniche
L’occlusione dell’arteria centrale della retina si manifesta con una
brusca perdita della vista. Quando l’occlusione è limitata alla
branca superiore o inferiore della retina, il quadro è quello
dell’emianopsia altitudinale. Quando l’ischemia è passeggera, si
manifesta con un episodio di cecità transitoria (amaurosi
transitoria), indicativo di una migrazione embolica originata da un
focolaio di stenosi ateromatosa della carotide interna, che però
può anche derivare da un meccanismo angiospastico.
Le trombosi venose retiniche si manifestano con un calo
improvviso dell’acuità visiva e, nel fondo dell’occhio, con
emorragie retiniche massive. Devono spingere a ricercare una
patologia generale (emopatie, disglobulinemie, carcinoma,
diabete).
La corioretinopatia sierosa centrale, provocata da un distacco
sieroso della retina, comporta una riduzione dell’acuità visiva con
scotoma centrale.
Le retiniti pigmentose si manifestano con emeralopia (riduzione
dell’acuità visiva in presenza di illuminazione oca) e
restringimento concentrico del campo visivo, mentre la visione
centrale resta inalterata a lungo. Dal punto di vista anatomico, il
processo patologico è caratterizzato dalla scomparsa prima dei
bastoncelli e successivamente dei coni, rimpiazzati da cellule
pigmentate la cui agglomerazione conferisce al fondo dell’occhio
un aspetto caratteristico.
La degenerazione maculare si distingue dalla retinite
pigmentosa per la compromissione elettiva dei coni della regione
maculare, con perdita della visione centrale.
Retinite pigmentosa e degenerazione maculare sono
comunemente malattie degenerative ereditarie, che possono
insorgere talvolta in modo isolato, altre volte nel quadro di una
degenerazione multisistemica del sistema nervoso.
Alcuni farmaci, quali fenotiazine e clorochina, possono
causare retinopatia. Una complicanza indotta molto
frequentemente dal vigabatrin è una retinopatia che si manifesta
con restringimento concentrico irreversibile del campo visivo.
La compromissione degli strati interni della retina (neuroni
gangliari), osservata in alcune s ngolipidosi, provoca un’atro a
ottica con abbassamento dell’acuità visiva e, nel fondo dell’occhio,
pallore della papilla. Numerose sostanze tossiche possono ledere le
cellule gangliari e determinare un’atro a ottica (chinino). In
realtà, di fronte a un quadro di atro a ottica, spesso è di cile
capire se il processo patologico interessi originariamente le cellule
gangliari o il nervo ottico.
La retina, inoltre, può essere sede di tumori (retinoblastoma,
emangioma), di lesioni più o meno di use di origine in ammatoria
o vascolare (retinopatia diabetica, retinopatia ipertensiva,
ischemia retinica cronica legata a una stenosi grave dell’arteria
carotide interna). L’elettroretinogramma (ERG) è un utile
complemento per l’esame delle malattie retiniche.
L’ERG è piatto nelle lesioni degli strati esterni della retina
(cellule fotosensibili), come nelle retiniti pigmentose; è invece
normale nelle lesioni che coinvolgono gli strati interni.
Neuropatie ottiche
Una neuropatia ottica ha come conseguenza una riduzione
dell’acuità visiva in relazione alla compromissione delle bre del
fascio maculare. L’insorgenza di neuropatia ottica può essere acuta
o progressiva.
Neuropatie ottiche acute
Di solito sono unilaterali, ma possono diventare rapidamente
bilaterali. La loro localizzazione sul nervo ottico può essere
anteriore (testa del nervo ottico), determinando edema della
papilla, oppure posteriore (retrobulbare), senza anomalie del
fondo dell’occhio nelle fasi iniziali. Le due cause principali sono
rappresentate da neuropatie acute ischemiche, solitamente
anteriori, e neuropatie acute di origine in ammatoria, solitamente
posteriori (neurite ottica retrobulbare).
Malattia di Leber
Si tratta di una neuropatia ottica ereditaria che provoca una
rapida riduzione dell’acuità visiva e che colpisce in sequenza
entrambi gli occhi. La patologia ha trasmissione materna (eredità
mitocondriale) e può colpire entrambi i sessi, con una maggiore
prevalenza nei giovani di sesso maschile (Cap. 21).
Neuropatie ottiche progressive
Neuropatia ottica unilaterale o marcatamente asimmetrica
Si deve sospettare una causa compressiva o in ltrativa: glioma del
nervo ottico, tumore della regione ipo saria, meningioma della
piccola ala dello sfenoide, aneurisma della parte anteriore del
poligono di Willis, sarcoidosi, meningite carcinomatosa.
Lesioni chiasmatiche
La conseguenza più frequente è un’emianopsia bitemporale,
raramente binasale. La sintomatologia visiva è spesso complessa a
causa della compressione associata delle vie visive pre- e
retrochiasmatiche. Queste lesioni sono spesso conseguenza di
lesioni compressive. Gli adenomi ipo sari e i craniofaringiomi ne
sono le cause principali.
Lesioni retrochiasmatiche
Una lesione retrochiasmatica unilaterale ha per conseguenza
un’emianopsia laterale omonima controlaterale con conservazione
dell’acuità visiva dei due occhi, perché la metà delle bre maculari
provenienti da ciascun occhio non è interessata dalla lesione.
Le bre a erenti del ri esso fotomotore si separano dalle bre
visive arrivando nel corpo genicolato laterale. L’abolizione del
ri esso fotomotore per illuminazione del solo campo emianopsico
(ri esso emiopico) consente di distinguere le lesioni del tratto
ottico da quelle delle radiazioni ottiche e da quelle della corteccia
occipitale, nelle quali il ri esso è conservato. Peraltro, in pratica,
la di usione del raggio luminoso nei mezzi ottici rende molto
illusoria la ricerca di questo segno.
Il nistagmo optocinetico (NOC), la cui via a erente parte dalla
regione parieto-occipitale, può essere diminuito quando
l’emianopsia dipende da lesioni emisferiche (l’anomalia riguarda il
NOC che batte verso il lato sano). Resta invece simmetrico nelle
emianopsie da lesione del tratto ottico.
Quando la lesione delle radiazioni ottiche è limitata e
interessa soltanto il contingente parietale o temporale, il risultato
è una quadrantopsia laterale omonima localizzata rispettivamente ai
quadranti inferiori o superiori. Mentre si avvicinano alla scissura
calcarina, le bre corrispondenti provenienti dai due occhi
tendono ad a ancarsi, in modo che l’emianopsia diventi sempre
più “congruente”, cioè esattamente sovrapponibile nei due occhi.
Una lesione bilaterale delle radiazioni ottiche o della scissura
calcarina provoca cecità corticale, riconoscibile per la
conservazione dei ri essi fotomotori e distinguibile dalla cecità
isterica per l’abolizione del nistagmo optocinetico.
In assenza di interruzione delle vie visive retrochiasmatiche e
di emianopsia vera si può osservare un’emianopsia relativa messa in
evidenza dalla presentazione simmetrica di due oggetti identici nei
due emicampi. Questo fenomeno di “estinzione” o di “negligenza”
visiva può essere correlato a una lesione parietale o frontale.
Nervi oculomotori, motilità oculare
Figura 3.6 Muscoli responsabili dei movimenti verticali degli occhi nelle diverse
posizioni dello sguardo.
Movimenti di lateralità
Il nucleo del VI contiene due tipi di neuroni: motoneuroni che
generano le bre del VI e interneuroni i cui assoni attraversano la
linea mediana e risalgono nel fascicolo longitudinale mediale per
terminare sui motoneuroni del III destinati al muscolo retto interno
controlaterale (Fig. 3.7).
Figura 3.7 Vie della lateralità verso sinistra.
Movimenti di verticalità
Questi movimenti sono assicurati dal III (muscolo retto superiore e
inferiore, muscolo obliquo inferiore) e dal IV nervo (muscolo
obliquo superiore), i cui nuclei si attivano contemporaneamente da
entrambi i lati grazie alla distribuzione bilaterale delle proiezioni
delle strutture pre- e sopranucleari su questi nuclei.
Le strutture premotorie coinvolte nella verticalità sono il
nucleo rostrale interstiziale del fascicolo longitudinale mediale
(riFLM) e i nuclei vestibolari mediali, rispettivamente per i
movimenti saccadici e per i movimenti lenti.
Una lesione del riFLM determina una paralisi dei movimenti
saccadici verso l’alto e verso il basso, senza compromissione dei
ri essi oculocefalici; ciò è spesso ascrivibile a un processo
degenerativo (paralisi sopranucleare progressiva).
Una paralisi limitata alla verticalità verso l’alto (sindrome di
Parinaud) è la conseguenza di una lesione che può essere
unilaterale della commessura posteriore, dove ha luogo la
decussazione dei neuroni responsabili dell’attivazione della
verticalità verso l’alto (pinealoma, idrocefalo, lesione
in ammatoria o vascolare).
Sguardo e visione
Al di là delle di erenze, i movimenti oculari hanno la funzione
fondamentale di porsi al servizio dello sguardo e della visione. Si
possono distinguere schematicamente due sistemi: uno che assicura
l’orientamento dello sguardo verso un obiettivo e l’altro che
permette il mantenimento dell’obiettivo sulla fovea.
L’orientamento dello sguardo verso un obiettivo (movimento di
ssazione) è assicurato da un movimento saccadico oculare e da un
movimento della testa. Tale movimento può essere volontario,
controllato dall’area oculomotrice frontale, oppure automatico,
scatenato da uno stimolo visivo periferico sotto il controllo
dell’area oculomotrice occipitale in collegamento con il tubercolo
quadrigemino superiore. L’orientamento dello sguardo può anche
essere scatenato da stimoli sonori o somestesici la cui integrazione
avviene a livello del tubercolo quadrigemino superiore, il quale
svolge un ruolo chiave nell’orientamento degli occhi, della testa e
del corpo.
Il mantenimento dell’obiettivo sulla fovea, se l’obiettivo è in
movimento, è assicurato dai movimenti di inseguimento dipendenti
dalle proiezioni dell’area oculomotrice occipitale sulla formazione
reticolare paramediana del tronco encefalico. Un controllo ri esso,
di origine vestibolare e propriocettivo, che integra i movimenti
della testa, contribuisce a stabilizzare l’obiettivo sulla fovea. Deve
esistere un equilibrio fra la capacità di bloccare lo sguardo
sull’obiettivo (la “preda”), che dipende dalla corteccia occipitale, e
la possibilità di sbloccare lo sguardo per captare un altro obiettivo
(un “predatore”), che dipende dalla corteccia frontale.
Figura 3.8 Innervazione sensitiva della faccia (nervo trigemino). V1 = territorio del
nervo oftalmico di Willis; V2 = territorio del nervo mascellare; V3 = territorio del nervo
mandibolare. Si noti l’angolo masseterino, indipendente dal trigemino.
Trigemino sensitivo
Ganglio di Gasser
Figura 3.9 Terminazione delle tre branche del V nel nucleo della radice discendente.
Trigemino motore
Nucleo motore
Sistematizzazione
E erenze somatomotorie
Provengono dal nucleo motore del facciale situato nel tegmento
della parte inferiore del ponte. Le bre originate da questo nucleo,
prima di portarsi in avanti e in fuori verso la loro emergenza dal
tronco encefalico, si dirigono indietro descrivendo un semicerchio
attorno al nucleo del VI (ginocchio del facciale). In questo nucleo
motore del facciale si distinguono (Fig. 3.10):
Fibre a erenti
Hanno tutte il corpo cellulare nel ganglio genicolato e
raggiungono il tronco encefalico con il nervo intermediario di
Wrisberg. Esse comprendono:
Nervo vestibolare
Figura 3.11 Apparato vestibolare: origine, nervo, nuclei. CSC = canale semicircolare.
I canali semicircolari sono tre da ogni lato, uno orizzontale, gli
altri due verticali. Ognuno dei canali semicircolari presenta a una
delle due estremità, rigon ata ad ampolla, una cresta ampollare
che costituisce il recettore sensoriale. Le stimolazioni speci che
sono rappresentate dalle accelerazioni e decelerazioni angolari
della testa, che provocano uno spostamento dell’endolinfa nei
canali semicircolari che vengono a trovarsi nel piano del
movimento.
Le macule otolitiche contenute nell’utricolo e nel sacculo sono
sensibili all’azione della gravità e comunicano informazioni sulla
posizione della testa nello spazio. Questi recettori sono attivati
anche dalle accelerazioni lineari.
Nervo cocleare
Vie dell’udito
Apparato recettore periferico
L’orecchio medio, tramite la catena degli ossicini, assicura la
trasmissione delle vibrazioni del timpano alla parte acustica
dell’orecchio interno, rappresentata dal canale cocleare. Il canale
cocleare contiene l’organo spirale di Corti, in cui si trovano cellule
ciliate recettrici e l’origine delle bre del nervo cocleare
(Fig. 3.12).
Figura 3.12 Schema delle vie uditive. a. Giunzione bulbopontina. b. Parte alta del
ponte. c. Peduncolo cerebrale. È da notare che alcune bre provenienti dai nuclei cocleari
attraversano la linea mediana, mentre altre rimangono omolaterali.
(Da: Truex e Carpenter, 1969.)
Sistematizzazione
Fibre a erenti
Le bre a erenti sono le più numerose e comprendono i seguenti
tipi.
Fibre motorie
Le bre motorie nascono dalla parte rostrale del nucleo ambiguo e
sono destinate classicamente al solo muscolo stilofaringeo
(elevatore della faringe), in quanto la parte essenziale
dell’innervazione motoria del velo e della faringe è assicurata dal
vago.
Fibre secretorie
Le bre secretorie provengono dal nucleo salivatorio inferiore
situato appena sopra il nucleo dorsale del vago. Sono bre
parasimpatiche destinate all’innervazione della parotide.
Semeiologia
La lesione del glossofaringeo determina:
Sistematizzazione
Tre nuclei bulbari partecipano alla costruzione del vago:
Semeiologia
L’espressione neurologica di una lesione del vago è dominata dai
segni derivanti dalla compromissione del nucleo ambiguo e delle
bre che vi prendono origine. Si manifesta nei modi indicati di
seguito.
Bibliogra a
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Capitolo 4
Semeiologia delle funzioni vegetative
Due contingenti
Il sistema autonomo è composto da due contingenti, il sistema
simpatico e il sistema parasimpatico, i cui e ettori hanno origini
distinte: midollo dorsolombare per il contingente simpatico e
tronco encefalico e midollo sacrale per il contingente
parasimpatico.
In modo molto schematico, si può a ermare che il sistema
simpatico è chiamato in causa quando le condizioni a cui è
sottoposto l’organismo richiedono un aumento del consumo
energetico, mentre il sistema parasimpatico è implicato nelle fasi
di recupero.
Anomalie pupillari
Diametro pupillare
Il diametro pupillare risulta dall’equilibrio fra l’attività di due
sistemi antagonisti (Fig. 4.2).
Ri esso fotomotore
L’illuminazione della retina provoca la contrazione della pupilla
omolaterale (risposta diretta) e controlaterale (risposta
consensuale). L’abolizione di questo ri esso rende conto di
un’interruzione dell’arco ri esso, che comprende:
Segno di Argyll-Robertson
La dissociazione fra risposta alla luce e risposta all’accomodazione-
convergenza è la caratteristica del segno di Argyll-Robertson, in
cui è abolito il ri esso fotomotore (risposta diretta e consensuale),
mentre la contrazione della pupilla avviene nell’ambito
dell’accomodazione-convergenza. La causa può risiedere in una
lesione della regione pretettale, che interrompe l’arco ri esso
fotomotore senza intaccare il sistema di accomodazione-
convergenza. Tuttavia questo segno può essere osservato anche in
neuropatie periferiche ereditarie o acquisite (diabete), a suggerire
un coinvolgimento elettivo delle bre e ettrici del ri esso
fotomotore senza coinvolgimento delle bre pupillari attivate
nell’accomodazione-convergenza.
Pupillotonia
La pupilla tonica, moderatamente dilatata, si caratterizza per
l’abolizione completa o quasi del ri esso fotomotore diretto e
consensuale, mentre una convergenza mantenuta a lungo
determina una contrazione estremamente lenta ma molto marcata
della pupilla.
Anche la decontrazione avviene lentamente. L’anomalia
pupillare può essere completamente latente o produrre una visione
leggermente sfuocata in conseguenza della midriasi. La lesione
responsabile interessa i neuroni parasimpatici postgangliari del
ganglio ciliare.
La sindrome di Holmes-Adie vede associate pupilla tonica e
are essia tendinea.
Minzione
La minzione richiede la realizzazione di un’attività ri essa
integrata a livello del midollo sacrale (S2-S4) (Fig. 4.3). Le
a erenze originano dai recettori sensibili allo stiramento situati
nella parete vescicale. Esse sono costituite da bre simpatiche e
parasimpatiche che innervano il muscolo detrusore e lo s ntere
liscio dell’uretra, e da motoneuroni somatici provenienti dal nucleo
di Onuf destinati allo s ntere esterno striato. L’immagazzinamento
dell’urina e la continenza sono favorite da bre simpatiche che
inibiscono il detrusore mediante recettori β-adrenergici e stimolano
lo s ntere liscio mediante recettori α-adrenergici, oltre che dai
motoneuroni somatici che attivano in modo tonico lo s ntere
esterno dell’uretra e i muscoli del pavimento pelvico. Quando
viene raggiunto un determinato volume intravescicale, l’attività
simpatica è inibita e al contempo si veri ca una scarica colinergica
dal sistema parasimpatico, che provoca la contrazione del
detrusore e l’inizio della minzione. All’esordio della minzione
corrisponde un’inibizione ri essa dei neuroni del nucleo di Onuf.
Tali apparati segmentari sono sottoposti al controllo dei centri
soprasegmentari che facilitano o inibiscono la minzione. In
particolare, esistono centri facilitanti nella formazione reticolare
pontina dorsolaterale e nell’ipotalamo la cui stimolazione
determina la minzione nell’attitudine propria della specie. La
corteccia della faccia interna del lobo frontale garantisce il
controllo volontario della minzione.
Defecazione
Il meccanismo della defecazione, analogamente a quello della
minzione, presenta una componente ri essa e una volontaria.
L’interruzione dell’arco ri esso può comportare stitichezza o
incontinenza dovuta al funzionamento autonomo del retto
denervato. Gli stessi disturbi possono essere osservati qualora siano
alterati i controlli soprasegmentari, a seconda che sia presente una
riduzione della possibilità di inizio volontario o una soppressione
delle in uenze inibitorie.
Erezione
L’erezione è il risultato di una vasodilatazione dei corpi cavernosi
sotto l’in uenza delle bre parasimpatiche provenienti dal midollo
sacrale (S2-S4). L’entrata in azione di queste bre può essere
dovuta a un’attività ri essa segmentaria, secondaria alla
stimolazione tattile del pene, o a in uenze soprasegmentarie. Il
grado di eccitabilità del ri esso dipende da fattori endocrini e
soprattutto psicologici. L’impotenza può essere conseguenza di una
malattia endocrina, di una inibizione di origine psicologica (che è
la causa di gran lunga più frequente), di una malattia neurologica
che leda l’arco ri esso (compressione del cono terminale, della
cauda equina, neuropatia vegetativa del diabete) o di una lesione
soprasegmentaria (lesione midollare).
Eiaculazione
L’eiaculazione è un ri esso integrato a livello del midollo lombare
alto (L1-L3), dipendente dal sistema simpatico, il che spiega come
l’erezione e l’eiaculazione possano essere colpite in modo
dissociato.
Le strutture nervose implicate nei circuiti emotivi,
specialmente il sistema limbico, svolgono un ruolo importante
nell’attività sessuale. Numerosi dati sperimentali dimostrano che la
stimolazione o le lesioni di strutture quali l’ippocampo, il
complesso amigdaloideo e l’area settale modi cano il
comportamento sessuale.
Disturbi gastrointestinali
La compromissione del sistema autonomo può essere all’origine di
vari disturbi digestivi: gastroparesi latente o che si manifesta con
nausea e vomito postprandiali, stitichezza, alternanza di diarrea e
stitichezza, talvolta sindrome pseudo-occlusiva. Il sistema nervoso
enterico che controlla il tratto gastrointestinale, del tutto distinto
dal sistema nervoso centrale, in genere non è studiato con il
sistema nervoso autonomo.
Ipotensione ortostatica
De nizione
Al momento del passaggio alla posizione eretta gli e etti della
gravità, che tendono a produrre un’ipotensione arteriosa, sono
normalmente compensati da una vasocostrizione ri essa per
attivazione del simpatico a partire da a erenze provenienti dai
barocettori del seno carotideo e dell’arco aortico.
La disfunzione di questo meccanismo sta all’origine
dell’ipotensione ortostatica, de nita come un calo della pressione
sistolica ≥30 mmHg o della pressione arteriosa media di 20 mmHg
riscontrato durante un tilt test di tre minuti. L’intensità e
l’espressione clinica sono variabili: perdita di coscienza con caduta,
talora molto brusca (sincope), o semplice malessere con
o uscamento visivo e sensazione di vertigine, cefalea, dolori
cervicali.
Cause
L’ipotensione ortostatica può essere un fenomeno occasionale per
la cui interpretazione è necessaria la conoscenza di alcuni elementi
quali l’assunzione di cibi, la temperatura ambientale, un
decondizionamento posturale (allettamento prolungato),
l’assunzione di farmaci quali simpaticolitici, diuretici, neurolettici,
IMAO o L-dopa.
Le patologie neurologiche che possono dare luogo a
ipotensione ortostatica sono molteplici.
De nizione
La sincope è la conseguenza di una diminuzione transitoria della
perfusione cerebrale e si manifesta con una perdita di coscienza
breve che di solito provoca una caduta. Può essere improvvisa
oppure essere preceduta da segni premonitori: sensazione di testa
vuota, debolezza, annebbiamento della vista, nausea, sudorazione.
Si possono osservare mioclonie se la sincope dura più di una
decina di secondi. Le sincopi possono veri carsi anche nel
bambino e nel soggetto giovane, ma la loro incidenza aumenta con
l’età. Una sincope può rimanere isolata anche se, spesso, si tratta
di fenomeni ricorrenti. Molte cadute inspiegabili, soprattutto nei
soggetti anziani, hanno questa origine.
Cause
Sindromi ipotalamiche
Diabete insipido
Sete
Esiste un controllo ipotalamico della sete attuato dagli osmocettori,
dai volocettori e dall’angiotensina. In patologia vi sono casi di
adipsia in rapporto a lesioni ipotalamiche; l’adipsia, che in sé è un
disturbo funzionale con tendenza a rimanere latente, si può
riconoscere in occasione di stati di ipernatriemia: l’assenza di sete
sembra avere un ruolo abbastanza importante nella genesi delle
“ipernatriemie neurogene”. Si conoscono inoltre casi di lesioni
ipotalamiche che si manifestano con polidipsia primaria: in questi
casi la polidipsia non è secondaria a poliuria per difetto di ADH,
ma testimonia un disturbo primitivo della sete. Questi fatti,
confrontati con altre osservazioni sperimentali, suggeriscono
l’esistenza di strutture ipotalamiche inibenti la sete, la cui lesione
provocherebbe la polidipsia.
In realtà l’insorgenza di polidipsia primaria organica è molto
rara; nella maggior parte dei casi la polidipsia primaria è psicogena e
corrisponde a potomania. In assenza di lesioni organiche vi può
comunque essere un disturbo funzionale del controllo ipotalamico
della sete; è noto infatti che questo controllo è sottoposto a
molteplici in uenze, facilitatorie e inibitorie, da parte di altri
centri del sistema nervoso centrale e particolarmente dal sistema
limbico.
Fame
L’ipotalamo interviene inoltre in maniera importante nella
regolazione della fame. Nell’animale da laboratorio la stimolazione
dell’ipotalamo laterale provoca l’assunzione del cibo, mentre la
distruzione della medesima regione provoca un’afagia. Il nucleo
ventromediale sembra invece intervenire inducendo sazietà: la sua
stimolazione diminuisce l’assunzione di cibo, la sua distruzione
provoca iperfagia e obesità. In patologia umana i disturbi
dell’appetito sono eccezionalmente causati da lesione ipotalamica.
Nondimeno è possibile che un’iperfagia sia responsabile
dell’obesità della sindrome adiposogenitale. D’altra parte sono stati
osservati casi di anoressia estrema e cachessia sintomatiche di una
lesione ipotalamica. Nell’anoressia nervosa, in cui manca qualsiasi
substrato organico, la costanza e la precocità dell’amenorrea
suggeriscono la presenza di un disturbo del funzionamento
dell’ipotalamo.
Bibliogra a
Vigilanza
Sonno
Malattie neurodegenerative
A causa della frequente di usione delle lesioni, queste patologie
possono ledere alcune strutture implicate nel sonno, determinando
insonnia notturna e sonnolenza diurna. Un’anomalia del sonno
paradosso caratterizzata da assenza di atonia muscolare può
manifestarsi con un comportamento violento corrispondente al
vissuto del sogno: si tratta del disturbo del comportamento nel sonno
paradosso (REM sleep Behavior Disorder). Questo disturbo può essere
idiopatico, più frequente nell’uomo anziano, oppure comparire in
associazione a una malattia neurodegenerativa come la malattia di
Parkinson o una demenza da corpi di Lewy. La terapia prevede
l’impiego di clonazepam a dosaggio basso-moderato.
Insonnie primarie
Le insonnie primarie, dovute alla compromissione delle strutture
che controllano la regolazione sonno-veglia, sono rare. Al di fuori
delle malattie neurodegenerative, questo meccanismo potrebbe
essere riscontrato in alcune forme di insonnia con esordio
successivo a trauma cranico o in forma idiopatica nel bambino.
Esempi estremi di questa situazione sono rappresentati
dall’insonnia fatale familiare e dalla corea brillare di Morvan.
Ipersonnie
La sonnolenza è un fenomeno frequente che può avere serie
conseguenze sulla vita sociale e professionale e causare incidenti
gravi durante il lavoro o alla guida. In questi casi è necessario
oggettivare il fenomeno tramite il test di latenza multipla di
addormentamento.
Se si esclude l’assunzione di sedativi, una sonnolenza diurna
eccessiva è spesso il risultato di un sonno notturno insu ciente o
di cattiva qualità. Il sonno notturno può essere disturbato da
dolori, pollachiuria, a ezioni neurologiche quali malattia di
Parkinson, sindrome delle gambe senza riposo, sindrome
depressiva.
Sindrome di Pickwick
Interessa le persone obese che si addormentano in qualunque
istante e in ogni luogo, quando la loro attenzione non è sollecitata.
In questi soggetti sussiste un’ipoventilazione alveolare con ipossia-
ipercapnia, cianosi e poliglobulia. L’associazione con la sindrome
delle apnee del sonno è frequente.
Ipersonnia idiopatica
È de nita come un aumento della quantità totale di sonno,
superiore alle 10 ore sulle 24. Il risveglio del mattino, quando
imposto dagli obblighi sociali, è seguito da un lungo periodo di
sonnolenza. Il moda nil può migliorare le condizioni di vita di
questi pazienti.
Sindrome di Kleine-Levin
Questa sindrome esordisce in generale fra i 10 e i 20 anni e
interessa quasi esclusivamente il sesso maschile. È caratterizzata da
episodi recidivanti che comportano ipersonnia; sono inoltre
frequenti le alterazioni dell’umore e del comportamento, quali
polifagia, aggressività e disinibizione sessuale, che talvolta portano
a ipotizzare erroneamente la presenza di una patologia
psichiatrica. Questi episodi hanno una durata media di una decina
di giorni, ma talora possono essere assai più lunghi. Si ripetono
due o tre volte l’anno e scompaiono senza una ragione apparente.
L’uso di litio spesso permette di ottenere una riduzione della loro
frequenza. Questa sindrome, che evoca una disfunzione
dell’ipotalamo-amigdala, ricorda per alcuni tratti (ipersessualità,
iperoralità) la sindrome di Klüver-Bucy, inizialmente descritta nella
scimmia successivamente a una lobectomia temporale bilaterale
che interessava in particolare l’ippocampo e il nucleo
dell’amigdala.
De nizione
Il coma può essere de nito come l’abolizione della coscienza e del
comportamento di veglia, non reversibile sotto l’in uenza delle
stimolazioni. Dal punto di vista pratico, con il coma si studiano
anche alterazioni di minore gravità:
Esame
Anamnesi
Elettroencefalogramma
Nello stato di coma sono costanti anomalie di use
dell’elettroencefalogramma sotto forma di alterazione e successiva
scomparsa della reattività e di un rallentamento del ritmo alfa, poi
sostituito da attività delta. L’associazione a tali perturbazioni di
carattere di uso di anomalie focalizzate o per lo meno
lateralizzate su un emisfero orienta verso un coma di carattere
lesionale.
La maggior parte degli autori attribuisce attualmente
maggiore importanza ai criteri clinici rispetto a quelli
elettroencefalogra ci per apprezzare la profondità di un coma e
per seguirne l’evoluzione. Occorre tuttavia conoscere la de nizione
classica, dal punto di vista EEG, dei quattro stadi di coma.
Diagnosi di erenziale
Debbono essere distinte alcune condizioni che assomigliano al
coma.
“Coma” psicogeno
Morte cerebrale
La morte cerebrale è uno stato caratterizzato sul piano anatomico
da lesioni irreversibili dell’insieme delle strutture cerebrali e sul
piano evolutivo dall’impossibilità di sopravvivenza somatica. Per
quante siano le misure di rianimazione messe in atto, l’arresto
cardiaco sopravviene nel lasso di tempo di qualche giorno o
qualche settimana. In pratica la morte cerebrale va di pari passo
con l’arresto della perfusione del cervello, il cui fattore
determinante è l’ipertensione endocranica acuta risultante da
un’emorragia intracranica massiva o da un edema cerebrale
severo.
Indipendentemente dall’eziologia, l’aspetto del cervello di
questi pazienti è variabile, in funzione del tempo trascorso tra il
sopraggiungere della morte cerebrale e l’arresto cardiaco che
de nisce la “morte somatica”. In tutti i casi le lesioni interessano
in maniera di usa gli emisferi cerebrali e il tronco. Quando
l’arresto cardiaco insorge rapidamente, il carattere esteso delle
lesioni può non essere visibile che all’esame istopatologico. Per
contro, quando la sopravvivenza somatica è stata su cientemente
lunga, l’aspetto è quello di un cervello in autolisi, liquefatto.
In ragione del carattere illusorio e necessariamente limitato
della sopravvivenza somatica di questi pazienti sussiste la necessità
di formulare il più rapidamente possibile la diagnosi di morte
cerebrale per non prolungare inutilmente la rianimazione. In
particolare, quando si decide per un prelievo di organo, è
indispensabile che esso venga eseguito prima che l’insu cienza
cardiocircolatoria terminale causi lesioni viscerali irreversibili.
In senso lato si è d’accordo nell’ammettere che vi è morte
cerebrale quando ogni segno di funzionamento degli emisferi e del
tronco encefalico manca in maniera persistente e quando è certo
che questa abolizione della funzione cerebrale è di origine
lesionale e non tossica o metabolica. (Le legislazioni dei diversi
Paesi descrivono in modo dettagliato i criteri e le modalità di
accertamento per la morte cerebrale. A questo riguardo, per
quanto concerne la legislazione italiana si rimanda al D.M.
11/4/2008, N° 136; N.d.C.)
Stato vegetativo
Nello stato vegetativo la coscienza è abolita, mentre persistono
capacità di veglia. È compatibile con la presenza di respirazione
spontanea e di altre attività del tronco encefalico: ri essi corneali,
oculovestibolari, fotomotori, cicli di sonno-veglia. Peraltro, non
interviene alcun recupero nel campo della percettività e non si
osservano risposte appropriate agli stimoli dolorosi.
Lo stato vegetativo può essere transitorio, segnando una
tappa fra il coma e il ritorno alla coscienza. Può anche essere
persistente ovvero permanente in relazione a lesioni estese degli
emisferi cerebrali che rispettano la formazione reticolare del
tronco encefalico. A seconda dei casi le lesioni predominano nella
sostanza bianca subcorticale (lesioni traumatiche), nella corteccia
cerebrale e nel talamo (lesioni ipossico-ischemiche) o nei territori
spartiacque (ipotensione severa).
La probabilità di un recupero della coscienza è molto scarsa
(meno dell’1% dopo 12 mesi se lo stato vegetativo è di origine
traumatica o dopo 3 mesi se l’origine è non traumatica).
L’utilità del mantenere in vita a lungo questi pazienti in stato
vegetativo persistente è oggetto di pareri controversi, ma non è
opportuno confondere questo problema con quello della morte
cerebrale.
L’a ermazione secondo cui la coscienza è completamente
abolita nel paziente in stato vegetativo è in parte arbitraria. Per
de nizione lo stato vegetativo va distinto dallo “stato di coscienza
minima” in cui è possibile osservare alcune risposte appropriate.
Eziologia
Dal punto di vista siopatologico è possibile distinguere due
principali categorie di coma secondo il meccanismo: da lesione
focale o da so erenza cerebrale di usa.
Impegno temporale
Ipotermia
Il quadro delle gravi ipotermie include un coma profondo. Oltre
all’esposizione al freddo, unico fattore in causa nelle ipotermie
puramente accidentali, altri fattori quali un’intossicazione alcolica
o farmacologica (barbiturici, neurolettici) possono avere un ruolo
importante nella misura in cui inibiscono i centri termoregolatori.
La termoregolazione, più precaria nell’anziano, lo rende
particolarmente vulnerabile a un’ipotermia accidentale. È
importante sottolineare che uno stato di apparente morte cerebrale
può essere completamente reversibile se in relazione con
un’ipotermia. La sospensione della rianimazione può essere
prevista solo dopo che è stato ottenuto il riscaldamento.
Ipertermia
Il “colpo di calore” è un’importante causa di coma. In assenza di
una terapia rapida basata sul ra reddamento e la reidratazione,
può evolvere verso la morte o il danno neurologico permanente.
Sul piano eziologico è opportuno distinguere fra il colpo di calore
dovuto a una temperatura ambiente molto elevata, che compare in
soggetti la cui termoregolazione è labile (anziano, terapia
neurolettica), e l’ipertermia maligna da sforzo provocata da
un’attività muscolare eccessiva (attività sportiva, esercitazione
militare).
Encefalopatie metaboliche
Il coma è generalmente progressivo, preceduto da una fase di
confusione. La sindrome neurologica è caratterizzata dallo stato
delle pupille, piccole e reattive, e dall’assenza di segni di
localizzazione, benché talvolta vi siano eccezioni. Le alterazioni
motorie non focali sono frequenti: ipertonia opposizionistica,
grasping bilaterale, asterixis, mioclonie. Le anomalie EEG sono
di use. Queste encefalopatie saranno trattate insieme alla
confusione mentale (Cap. 19), di cui rappresentano una delle
cause più importanti.
Bibliogra a
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Linguaggio e cervello
(Da: Geschwind, 1970.)
Figura 6.4 La faccia esterna del lobo temporale è reclinata e mette in mostra la faccia
superiore.
(Da: Geschwind, 1970.)
Afasia
Semeiologia dell’afasia
È opportuno analizzare in modo speci co la produzione orale, la
produzione scritta, la comprensione del linguaggio parlato e del
linguaggio scritto (Tab. 6.1).
Alterazioni fonetiche
Impediscono la realizzazione motoria dei fonemi. I de cit
articolatori di natura afasica (anartria) hanno di solito una
componente paretica (indebolimento) e una componente
disprassica.
Quest’ultima può essere associata a un’impossibilità di
compiere volontariamente movimenti precisi della lingua o delle
labbra (aprassia buccofacciale). La conseguenza di questi de cit è
una degradazione dei contrasti fonetici (sindrome di
disintegrazione fonetica). La variabilità e la complessità dei
disturbi articolatori di natura afasica li distingue dalle disartrie, i
cui caratteri sono stabili e uniformi.
Comprensione orale
La valutazione della comprensione del linguaggio orale (si veda
Tab. 6.1) si basa su prove che vanno dalla semplice denominazione
all’esecuzione di ordini più o meno complessi, tenendo conto di
un’eventuale associazione con un’aprassia. Un disturbo meno
evidente della comprensione può essere oggettivato dal riassunto
di un testo, dalla critica di una storia assurda, dall’interpretazione
di un proverbio. Tuttavia la coesistenza di più disturbi
dell’espressione può rendere di cile l’interpretazione dei
fallimenti.
Linguaggio scritto
A di erenza del linguaggio orale, quello scritto non rappresenta
una competenza pressoché universale e alcuni individui non ne
dispongono. Acquisito in una fase più tardiva della storia delle
civiltà e dell’individuo, la sua compromissione è generalmente più
precoce e più marcata rispetto a quella del linguaggio orale. Il
linguaggio scritto è fortemente subordinato a quello orale, tuttavia
presenta di una certa autonomia, come dimostra la sua
acquisizione da parte di soggetti che non dispongono del
linguaggio orale (sordomutismo).
L’esame del linguaggio scritto deve valutarne l’aspetto
ricettivo (lettura) e quello espressivo (scrittura), di erenziando i
risultati relativi alle lettere e quelli relativi alle parole. Per quanto
riguarda la lettura, è necessario distinguere la lettura a voce alta e
la comprensione, la porta di ingresso visiva o uditiva
(compitazione) e la capacità o l’impossibilità di ripetere un testo.
Nella scrittura occorre distinguere i disturbi correlati al gra smo o
alla disposizione nello spazio della scrittura dai disturbi di natura
propriamente afasica.
Peraltro, lo studio del linguaggio scritto si presta
particolarmente bene all’approccio cognitivo dell’afasia, che ha
determinato la distinzione tra una via fonologica e una via
lessicosemantica, la cui compromissione può avvenire in diversa
misura. La compromissione della via fonologica determina errori
correlati alle non-parole (logatomi), mentre quella della via
lessicale causa errori correlati alle parole irregolari.
Calcolo
Pur essendo relativamente indipendenti, il linguaggio verbale e il
linguaggio delle cifre sono nondimeno in connessione. Negli afasici
è frequente un’acalculia. Il disturbo può interessare l’identi cazione
delle cifre, la loro espressione (orale o scritta) e anche
l’elaborazione dei simboli in operazioni semplici o complesse.
Afasie uenti
Afasia di Wernicke
Il discorso è più o meno logorroico, correttamente articolato e
caratterizzato dalla presenza di parafasie fonemiche e verbali. Le
parafasie e i neologismi possono costituire un gergo inesauribile e
asemantico (privo di senso). A un grado inferiore il linguaggio
spontaneo contiene poche parafasie, ma si caratterizza per
l’imprecisione dei termini, le circonlocuzioni e le approssimazioni
successive. Le parafasie sono evidenziate nelle prove di
denominazione. L’evocazione della parola appropriata non è
facilitata dall’accenno orale.
La comprensione è sempre alterata. Talvolta il disturbo è assai
grave. Quando il de cit è di gravità minore, in genere è più
marcato per le parole isolate che per le frasi il cui contesto sembra
facilitare la comprensione. Il linguaggio scritto è alterato come
quello orale, ma non necessariamente allo stesso grado.
Nell’ambito dell’afasia di Wernicke si distinguono una forma
“temporale”, in cui predominano i disturbi della comprensione e
dell’espressione del linguaggio orale, e una forma “parietale”, in cui
predominano i disturbi del linguaggio scritto: alessia afasica,
agra a e acalculia.
Le lesioni responsabili interessano l’area di Wernicke (parte
posteriore della prima circonvoluzione temporale) e la parte
adiacente al lobulo parietale inferiore (giro sopramarginale e giro
angolare).
Afasia transcorticale sensoriale
La semeiologia è simile a quella dell’afasia di Wernicke, ma si
di erenzia da quest’ultima per la ripetizione perfetta anche delle
parole e frasi che il paziente non comprende. La ripetizione,
talvolta, ha un carattere ecolalico “a pappagallo”. La lesione è più
limitata con risparmio, in avanti, del circuito audiofonatorio (si
veda Fig. 6.3).
Afasia di conduzione
Essa è caratterizzata da un linguaggio spontaneo ricco di parafasie
fonemiche o verbali, da una conservazione notevole della
comprensione e da una disorganizzazione grave della ripetizione.
Le lesioni interessano nella maggior parte dei casi la prima
circonvoluzione temporale sinistra e/o il fascicolo arcuato che
unisce l’area di Wernicke e l’area di Broca.
Sordità verbale
Essa consiste nella perdita della comprensione del linguaggio orale
con impossibilità della ripetizione e della trascrizione sotto
dettatura. Questo disturbo contrasta con un’espressione orale e
gra ca soddisfacente, oltre che una comprensione normale del
linguaggio scritto.
Le lesioni responsabili, unilaterali o bilaterali, interrompono
le connessioni esistenti fra le aree uditive e l’area di Wernicke.
Alessie
Alessia pura o agnosica (alessia senza agra a)
Il disturbo della lettura è grave, ma gli altri aspetti del linguaggio
sono preservati. L’alessia pura è caratterizzata da una di coltà più
signi cativa nell’identi cazione delle parole (apprendimento
globale) rispetto all’identi cazione delle lettere isolate. Per queste
ultime gli errori si spiegano con analogie di con gurazione. La
lettura tende a essere letterale o sillabica. Il soggetto si aiuta con il
dito per l’identi cazione delle lettere. L’identi cazione delle parole
compitate è normale. La copia è imperfetta, mentre la scrittura
spontanea o sotto dettatura è soddisfacente. L’alessia agnosica è
sovente associata a un’emianopsia laterale omonima destra e a
manifestazioni di agnosia visiva, in particolare l’agnosia dei colori.
Lo studio di questi casi mostra che, il più delle volte, si tratta di
una disconnessione che priva l’area del linguaggio dell’emisfero
sinistro delle informazioni visive necessarie per la lettura a causa
di una lesione del polo occipitale sinistro associata all’interruzione
delle bre commessurali provenienti dal polo occipitale destro
attraverso lo splenio del corpo calloso. Un infarto nel territorio
dell’arteria cerebrale posteriore sinistra è solitamente all’origine di
questa sindrome.
Alessia con agra a
I disturbi della lettura e della scrittura sono una costante nelle
diverse forme di afasia e spesso risultano più marcati rispetto alle
alterazioni del linguaggio orale. Tuttavia in alcuni casi i disturbi
predominanti riguardano linguaggio scritto, lettura e scrittura. In
tali situazioni, la lettura delle lettere non è migliore rispetto alla
lettura delle parole e l’alessia è presente indipendentemente dalla
porta d’ingresso, visiva, tattile o uditiva (compitazione). L’agra a
non ha particolari caratteristiche rispetto ai disturbi della scrittura
riscontrati nelle altre forme di afasia. Questo tipo di alessia, che
suggerisce una rappresentazione speci ca per il linguaggio scritto,
è classicamente attribuito a una lesione del giro angolare sinistro.
Agra e
Agra a pura
È de nita come un disturbo isolato della scrittura in assenza di
altre alterazioni signi cative del linguaggio e di disturbi prassici.
Questa forma, molto rara, è classicamente correlata a una lesione
dell’area grafemica di Exner nella parte posteriore della
circonvoluzione frontale media.
Agra a afasica
Manifesta nella scrittura gli stessi disturbi descritti nel linguaggio
orale. Sebbene a volte esista una dissociazione tra la possibilità di
denominare per iscritto o verbalmente, la mancanza di una parola
si trova nel linguaggio scritto come in quello orale. La riduzione
del linguaggio e l’agrammatismo hanno il proprio equivalente
scritto. Lo stesso vale per il gergo e le parafasie, di cui la scrittura
costituisce talora una modalità privilegiata di facilitazione, così
come fornisce numerosi esempi di dissintassia. Inoltre la
disortogra a ribelle persisterà frequentemente dopo la regressione
degli altri fenomeni afasici.
Agra a aprassica
Un’agra a aprassica può manifestarsi con anomalie dei gesti
elementari dello scrivere, perseverazione di lettere o sillabe,
ripartizione spaziale disordinata degli elementi gra ci. Quando
l’agra a è spaziale, in genere è dovuta a una lesione parietale, in
particolare dell’emisfero destro.
Afasie sottocorticali
Le lesioni sottocorticali dell’emisfero dominante, in particolare
quelle talamiche o lenticolostriate, possono dare luogo a disturbi
del linguaggio. Queste afasie, de nite “dissidenti”, possono essere
uenti (lesione talamica) o non uenti, con o senza disturbi
articolatori (lesione lenticolostriata). Comportano numerose
parafasie verbali che, talvolta, determinano un discorso
incoerente. La ripetizione e la comprensione sono abitualmente
normali.
Cause dell’afasia
La causa di un’afasia determina la modalità in cui insorge: acuta o
progressiva.
Afasia progressiva
Un’afasia progressiva, uente o non uente, può essere la
manifestazione predominante di un processo degenerativo. Nello
speci co può trattarsi di una presentazione insolita della malattia
di Alzheimer o dell’espressione di un’atro a cerebrale circoscritta
(demenza frontotemporale; Cap. 19).
Aprassia
L’aprassia è un disturbo della realizzazione dei movimenti appresi
non spiegato da un de cit neurologico elementare. Questa
de nizione di aprassia riguarda i movimenti degli arti (“limb
apraxia”), mentre l’aprassia della marcia e l’aprassia dello sguardo
hanno dinamiche ben distinte. È possibile che le manifestazioni di
tipo aprassico nella vita quotidiana attirino attenzione: di coltà
nel vestirsi, nelle attività domestiche, nella scrittura; incapacità di
aprire una porta, di chiudere un rubinetto, di maneggiare la leva
del cambio. Tuttavia in realtà la relativa conservazione dei gesti
automatici della routine quotidiana spesso maschera l’aprassia, che
viene riscontrata solo durante l’esame obiettivo, in particolare
quando vengono sollecitati dei movimenti arbitrari
decontestualizzati.
L’esame deve essere condotto in modo metodico (Tab. 6.2) e
durante le prove si deve tenere conto non solo del risultato in sé
(riuscita o insuccesso), ma anche delle modalità della realizzazione,
dei commenti del paziente, delle di erenze tra la realizzazione su
comando e su imitazione.
2. Esecuzione di gesti che non Gesti simbolici: segno della croce, saluto
comportano l’utilizzo di oggetti militare, fare marameo, fare ciao,
(gesti intransitivi) su ordine e su minacciare
imitazione Gesti mimati: piantare un chiodo,
stirare, sciare, spazzolarsi i denti
Gesti arbitrari imitati: dita ad anelli
incrociati, a forma di 8
Memoria immediata
La memoria immediata (nota anche come memoria a breve
termine) risulta da una modi ca funzionale transitoria dei circuiti
neuronali.
Viene studiata attraverso la ripetizione immediata di una serie
di cifre o consonanti (span verbale) o attraverso la designazione di
oggetti presentati in un ordine de nito (span visivo). La sua
capacità si limita abitualmente a 7 ± 2 item.
Memoria di lavoro
Memoria dichiarativa
La memoria dichiarativa comprende la memoria episodica e la
memoria semantica.
Memoria episodica
Sindromi amnesiche
Amnesia anterograda
Amnesie lacunari
In generale l’amnesia lacunare è la conseguenza di una perdita di
coscienza o di un periodo di confusione mentale. Durante questo
periodo non viene registrata alcuna traccia mnesica, con la
conseguenza che esiste un’interruzione nella biogra a del malato.
Esempi di amnesia lacunare sono rappresentati dall’amnesia
successiva a una crisi epilettica o a un trauma cranico. L’amnesia
post-traumatica talvolta supera leggermente la durata della
perdita di conoscenza con una componente retrograda per il
periodo precedente al trauma e una componente anterograda per
gli avvenimenti accaduti dopo la ripresa di coscienza. In assenza di
perdita di coscienza è possibile osservare un periodo di amnesia
anterograda successiva a un trauma cranico, ad esempio nello
sportivo che prosegue la propria attività senza conservare il
ricordo.
Sindrome frontale
Bibliogra a
Crisi epilettiche
Crisi generalizzate
Crisi miocloniche
Le crisi miocloniche si manifestano con scosse muscolari brevi,
bilaterali e sincrone in prevalenza negli arti superiori e nella
faccia, senza perdita di coscienza. Si accompagnano costantemente
a polipunte-onda bilaterali all’EEG.
Assenze epilettiche
Un’assenza tipica (“piccolo male”) è caratterizzata dall’insorgenza
improvvisa di una breve sospensione della coscienza (da 5 a
30 secondi), con sospensione dell’attività in corso. Può presentarsi
in forma isolata, oppure associata a clonie palpebrali,
rovesciamento degli occhi, atonia localizzata (caduta della testa) e
talvolta a un’attività gestuale semplice. Le assenze tipiche sono
de nite sulla base del correlato EEG, che consiste in scariche
generalizzate di punte-onda a 3 Hz, bilaterali e sincrone (Fig. 7.2).
Una riduzione dell’attenzione e l’iperventilazione possono favorire
la comparsa di assenze tipiche.
Crisi focali
Nelle crisi focali, la scarica epilettica interessa inizialmente una
popolazione di neuroni circoscritta e localizzata (Fig. 7.3). La
scarica epilettica tende a estendersi dal punto di origine; da ciò
derivano il grande valore localizzatorio della manifestazione
iniziale e l’importanza di una precisa de nizione cronologica dello
svolgimento della crisi. Una crisi focale, inoltre, può generalizzarsi
in un secondo tempo. Questa generalizzazione talora è molto
rapida e pertanto può rendersi necessaria una registrazione di
lunga durata con video EEG per riconoscere l’esordio focale.
Solitamente si distinguono crisi focali semplici, senza alcuna
alterazione dello stato di coscienza, e crisi focali complesse, con
alterazione della coscienza.1 Di fatto, però, la valutazione del reale
livello di coscienza durante alcune crisi è spesso di cile. Le crisi
focali possono essere classi cate in funzione della loro
sintomatologia e della regione del cervello alla quale corrisponde
questa sintomatologia. È comunque necessario ricordare che può
trattarsi della propagazione di una scarica epilettica originata a
distanza.
Figura 7.3 Segni epilettici elementari: punte brevi isolate, complessi polifasici,
punte-onda. Tali segni sono concentrati in un focolaio rolandico sinistro (derivazioni 9 e
10).
Epilessia della regione centrale, rolandica
Crisi somatomotorie
Le crisi somatomotorie originano dalla corteccia motoria
prerolandica. Sono cloniche o tonico-cloniche e possono restare
localizzate oppure andare incontro a marcia bravais-jacksoniana
ed estendersi progressivamente a livello di un emicorpo, con un
inizio che può essere facciale, brachiale o crurale.
La crisi può essere seguita da un de cit motorio postcritico
transitorio nel territorio corrispondente (paralisi di Todd). Non vi è
perdita di coscienza, salvo nei casi di generalizzazione secondaria.
Crisi somatosensitive
Le crisi somatosensitive originano dalla corteccia sensitiva
postrolandica e si manifestano con parestesie che possono
estendersi rapidamente a un emicorpo, in toto o in parte.
Diagnosi
La diagnosi di epilessia si basa innanzitutto sulla raccolta
dell’anamnesi del paziente e sull’ascolto di eventuali testimoni, al
ne di ottenere una descrizione dettagliata delle crisi. In presenza
di una prima crisi, si raccomanda di e ettuare un EEG e una RMN.
Il valore diagnostico dell’EEG è variabile. Si rivela utile per la
diagnosi di epilessia allorché riveli anomalie parossistiche: punte-
onda bilaterali sincrone nei casi di epilessia generalizzata, focolai
di punte o di onde a fronte ripido nei casi di epilessia focale
(Fig. 7.3). Tuttavia, l’EEG intercritico si presenta spesso normale,
particolarmente in caso di crisi focali aventi origine profonda. In
questi casi, una registrazione EEG dopo deprivazione di sonno
potrebbe avere un valore diagnostico maggiore. Un EEG normale
non esclude totalmente la diagnosi di epilessia. D’altra parte,
anomalie EEG isolate in assenza di crisi cliniche non sono
su cienti per porre diagnosi di epilessia. Per evidenziare una
lesione strutturale è necessaria una RMN cerebrale.
Diagnosi di erenziale
La diagnosi di erenziale ha lo scopo di escludere le manifestazioni
parossistiche di natura diversa.
Sincopi
Sindromi epilettiche
Epilessie ri esse
Sono de nite così quelle epilessie le cui crisi sono scatenate da uno
stimolo speci co. In alcuni pazienti le crisi stimolo-dipendenti
possono essere isolate o associate a crisi che insorgono
spontaneamente.
Gli stimoli visivi sono quelli maggiormente chiamati in causa.
Una fotosensibilità oggettivata all’EEG durante stimolazione
luminosa intermittente può essere osservata in diverse forme di
epilessia. Nell’epilessia fotosensibile pura le crisi, solitamente
generalizzate tonico-cloniche, sopravvengono esclusivamente in
relazione a stimoli luminosi (scintillio, ash, televisione,
videogiochi) o, talvolta, a pattern visivi più o meno complessi.
Chiudere semplicemente gli occhi può essere il fattore scatenante
di una crisi, in genere di tipo assenza. Talvolta è osservata una
tendenza compulsiva a utilizzare gli stimoli visivi per scatenare le
crisi.
L’epilessia primaria da lettura, scatenata da una lettura
prolungata, è caratterizzata da clonie mandibolari che possono
evolvere verso una crisi convulsiva generalizzata.
Sono state descritte anche altre forme di epilessia ri essa,
come l’epilessia musicogenica e l’epilessia indotta da alcune
attività intellettuali.
Sindrome di West
Questa sindrome, nota anche come “spasmi infantili” o
encefalopatia epilettica infantile con ipsaritmia, esordisce spesso
prima di un anno di età. L’elemento caratteristico è lo spasmo in
essione (talora in estensione) che può coinvolgere il corpo nel suo
insieme o essere limitato alla nuca. Può manifestarsi isolatamente,
o più frequentemente, in salve. L’EEG è costantemente alterato ed
evidenzia una successione di onde lente e di punte di grande
ampiezza (ipsaritmia). Il trattamento con ormone
adrenocorticotropo (ACTH) o con cortisonici è rapidamente
e cace sugli spasmi e sulle anomalie EEG, e sembra migliorare la
prognosi a lungo termine soprattutto nelle forme criptogenetiche,
anche se persiste un importante rischio di ritardo mentale. La
prognosi è più favorevole nelle forme criptogenetiche rispetto a
quelle sintomatiche dovute a lesioni acquisite o ad anomalie
genetiche, fra le quali vanno citate le disgenesie corticali, la
sclerosi tuberosa di Bourneville e la sindrome di Aicardi, dovuta a
una mutazione dominante nel cromosoma X e che comporta
un’agenesia del corpo calloso.
Il vigabatrin è il trattamento di scelta delle forme legate alla
sclerosi tuberosa di Bourneville.
Sindrome di Lennox-Gastaut
La sindrome di Lennox-Gastaut inizia fra i 2 e i 6 anni di vita, ma
può essere l’evoluzione di una sindrome di West. Come
quest’ultima, può essere sintomatica o criptogenetica. Comporta,
in maniera costante, crisi toniche associate a crisi atoniche e
assenze atipiche. Sono frequenti cadute con traumatismi. L’EEG è
caratterizzato dalla comparsa, su un tracciato di fondo
anormalmente lento, di scariche prolungate di punte-onda in cui la
punta è lenta, diversa dalla punta rapida delle assenze del “piccolo
male”. Le crisi sono refrattarie alla terapia e la prognosi è grave a
causa della persistenza abituale di un ritardo mentale.
È di cile distinguere la sindrome di Doose, caratterizzata da
crisi mioclonico-astatiche, dalla sindrome di Lennox-Gastaut.
Sindrome di Dravet
La sindrome di Dravet, o epilessia mioclonica grave dell’infanzia,
insorge nel corso del primo anno di vita; si manifesta con crisi
convulsive generalizzate o unilaterali, spesso di lunga durata e in
relazione a uno stato febbrile. Inoltre possono essere osservati
diversi tipi di crisi focali o generalizzate e stati di male non
convulsivo, mentre si evidenzia un ritardo più o meno grave dello
sviluppo intellettivo. L’EEG intercritico può anche essere normale.
L’epilessia è resistente al trattamento farmacologico e può essere
aggravata da carbamazepina, vigabatrin e lamotrigina.
Eziologia dell’epilessia
Epilessie lesionali
Queste epilessie sono correlate alla presenza di una lesione
cerebrale. L’evidenziazione della lesione causale è stata
notevolmente facilitata dai progressi dell’imaging. L’elenco che
segue non è limitativo, in quanto tutte le lesioni cerebrali possono
essere causa di epilessia.
Tumori cerebrali
L’epilessia è un sintomo frequente dei tumori cerebrali emisferici.
Considerando le epilessie esordite dopo i 20 anni di età, la
frequenza dell’eziologia tumorale è dell’ordine del 10%.
Cisti parassitarie
Nelle regioni endemiche la neurocisticercosi è una causa primaria
dell’epilessia, sia nel caso di cisti attive sia di lesioni calci cate.
Altre parassitosi vanno sospettate in funzione della distribuzione
geogra ca.
Malformazioni vascolari
La presenza di malformazioni arterovenose è rivelata in un terzo
dei casi da un’epilessia focale con esordio in età infantile o nel
giovane adulto. L’epilessia è spesso anche la modalità di
presentazione degli angiomi cavernosi cerebrali.
Displasie corticali
Le displasie corticali (pachigiria, microgiria, displasia a banda
sottocorticale) sono una causa importante di epilessia con esordio
generalmente precoce (Cap. 20).
Può esistere un’associazione con i tuberi della malattia di
Bourneville.
Lesioni cicatriziali
Questa categoria comprende le epilessie che compaiono in seguito
a una lesione cerebrale di qualsiasi natura, ma perlopiù traumatica
o vascolare. Le crisi compaiono dopo un periodo di latenza
variabile che può essere anche di diversi anni.
Nei soggetti anziani, le lesioni cicatriziali formatesi in
conseguenza di un evento ischemico o emorragico emisferico
rappresentano una causa frequente di epilessia. La malattia di
Alzheimer aumenta il rischio di epilessia.
Fisiopatologia
Crisi focali
Esistono epilessie focali idiopatiche. Tuttavia la maggior parte
delle crisi focali è l’espressione di un focolaio epilettogeno la cui
natura lesionale è accertata o presunta (criptogenetica).
L’evoluzione di un focolaio epilettogeno all’interno o a
contatto con una lesione focale (epilettogenesi) è un processo che
evolve nel tempo, come dimostra l’intervallo di tempo che
intercorre fra la costituzione della lesione causale e la comparsa di
un’epilessia (epilessia post-traumatica). Alla ne di questo
processo una popolazione di neuroni acquisisce uno stato di
ipereccitabilità e la tendenza a scaricare in maniera ipersincrona.
Nell’esempio della sclerosi ippocampale, che è stata trattata
nello speci co, il focolaio di ipereccitabilità risulta da una
riorganizzazione strutturale che associa una perdita neuronale
predominante negli interneuroni inibitori e una gemmazione
assonale che conduce alla costituzione di circuiti ricorrenti
eccitatori.
Il “kindling” è un fenomeno che può intervenire nella
costituzione di un focolaio epilettogeno secondario. La
stimolazione elettrica della corteccia, in alcune condizioni, può
fare persistere un’attività anomala dei neuroni che perdura anche
dopo l’arresto della stimolazione ed è de nita after-discharge
(scarica postuma). Se lo stimolo locale è ripetuto in maniera
regolare, si sviluppa una modi ca duratura dell’eccitabilità dei
neuroni che predispone alla comparsa di crisi che possono essere
spontanee o scatenate da uno stimolo minimo. Questo fenomeno
può estendersi, anche a distanza dalla regione stimolata, a neuroni
che si trovano in connessione sinaptica con il focolaio iniziale.
L’attività del focolaio epilettogeno è permanente, mentre la
sua espressione clinica, legata al reclutamento di popolazioni
neuronali più o meno distanti, è intermittente e compare in caso di
modi che dell’eccitabilità corticale. Il ruolo dello stato funzionale
della corteccia nel determinismo delle crisi è esempli cato dalle
epilessie ri esse e dalle relazioni esistenti fra la comparsa delle
crisi e il sonno.
La propagazione del processo epilettico può rimanere limitata
grazie all’attivazione dei meccanismi inibitori GABAergici. Una
disfunzione di questi meccanismi inibitori permette la
generalizzazione secondaria della crisi, talvolta molto precoce e
tale da mascherare il punto di partenza focale.
L’imaging funzionale mostra, a livello del focolaio
epilettogeno, un aumento del usso sanguigno, del consumo di
ossigeno e di glucosio al momento della crisi, mentre, a distanza
dalle crisi, il focolaio appare come una zona di ipometabolismo.
Epilessie generalizzate
Esistono di erenze nei meccanismi delle crisi generalizzate
convulsive e non convulsive.
Meccanismi inibitori
All’interno del sistema nervoso centrale vi è un persistente e
complesso equilibrio tra eccitazione e inibizione. In un paziente
epilettico le crisi compaiono allorché i meccanismi inibitori
vengono soppressi.
Il GABA (acido γ-aminobutirrico) suscita particolare interesse,
in quanto è il principale neurotrasmettitore inibitorio.
Ciononostante, in funzione del suo ruolo all’interno di un circuito
neuronale, i neuroni GABAergici possono esercitare e etti opposti
sul bersaglio considerato. Questo fatto spiega perché farmaci
antiepilettici agonisti del GABA possono avere un’in uenza
aggravativa su certe forme di epilessia.
Va considerato il ruolo dei nuclei della base. Alcuni lavori
sperimentali hanno dimostrato il ruolo modulatore dello striato,
della substantia nigra pars reticulata o dei collicoli superiori nello
sviluppo degli eventi che portano a una crisi generalizzata.
Trattamento dell’epilessia
Fenobarbital
La posologia è di 2-3 mg/kg nell’adulto e di 3-4 mg/kg nel
bambino. Una singola somministrazione quotidiana, di preferenza
alla sera, è su ciente. Il tasso ematico considerato terapeutico è di
10-30 μg/mL. È ine cace nelle assenze del “piccolo male”. È un
potente induttore enzimatico e può indurre gravi complicanze nei
soggetti a etti da por ria. Può anche interferire con il
metabolismo di diversi farmaci, come altri antiepilettici,
anticoagulanti orali (dicumarolici) ed estroprogestinici.
Il fenobarbital, a dosi terapeutiche, può causare e etti
indesiderati: cutanei, sotto forma di eritemi vari, eccezionalmente
di eritrodermia grave; articolari, tipo algodistro a o malattia di
Dupuytren; diminuzione dei folati nel sangue; riduzione
dell’assorbimento intestinale del calcio.
Gli e etti secondari più invalidanti consistono in un
rallentamento psichico. Per questo motivo, il farmaco non viene più
utilizzato come prima scelta. Inoltre può essere mal tollerato nei
bambini e dare luogo in questi a ipereccitabilità psicomotoria e
disturbi caratteriali.
Fenitoina
La posologia della fenitoina è di 3-5 mg/kg nell’adulto, 4-8 mg/kg
nel bambino, somministrata in due o tre assunzioni quotidiane. Il
tasso ematico terapeutico è di 10-20 μg/mL. La concentrazione
ematica del farmaco aumenta regolarmente no a una certa
posologia, variabile a seconda dei soggetti, al di sopra della quale
l’elevazione del tasso plasmatico è rapida e comporta la comparsa
di manifestazioni tossiche. È quindi particolarmente utile
controllare il tasso ematico di questo farmaco, in particolare
all’inizio del trattamento. Gli e etti secondari sono frequenti:
gengivite ipertro ca, ipertricosi, de cit di folati, di vitamina D,
linfoadenopatie, diminuzione dell’attività degli estroprogestinici.
Un iperdosaggio è responsabile di un quadro di encefalopatia
acuta o cronica che associa nistagmo, atassia cerebellare e stato
confusionale. Le assenze e le mioclonie possono venire aggravate.
Carbamazepina
La carbamazepina è prescritta alla posologia di 10-15 mg/kg
nell’adulto, 15-25 mg/kg nel bambino, suddivisa in due (CR) o tre
assunzioni al giorno. Il tasso terapeutico medio del farmaco è di 4-
12 μg/mL.
Possono comparire in maniera transitoria, all’inizio del
trattamento, o in caso di iperdosaggio, sonnolenza, sensazione di
ebbrezza o diplopia. Sono possibili anche alterazioni cutanee o
ematologiche, queste ultime anche gravi (anemia aplastica), per
cui è necessario un monitoraggio della crasi ematica all’inizio del
trattamento. La carbamazepina è attiva sulle crisi generalizzate
tonico-cloniche e sulle crisi focali, ma le assenze e le mioclonie
possono essere aggravate. Il farmaco è un induttore enzimatico e
può, inoltre, provocare iponatriemia.
L’oxcarbazepina presenta, in paragone alla carbamazepina,
una migliore tollerabilità; si somministra in due dosi giornaliere,
con una posologia iniziale nell’adulto di 600 mg/die.
Valproato di sodio
Il valproato di sodio è utilizzato con una posologia di 20-40 mg/kg
nell’adulto, 30-50 mg/kg nel bambino. Il tasso terapeutico ematico
è di 60-100 μg/mL. Il valproato provoca di solito un aumento del
tasso plasmatico di altri antiepilettici, in particolare della
lamotrigina. È e cace in tutte le varietà di crisi.
Tra gli e etti secondari conosciuti si segnalano il possibile
aumento di peso, insorgenza di tremore, caduta dei capelli,
obnubilazione, ripercussioni ematologiche, epatiche o
pancreatiche. L’assenza di e etto induttore enzimatico è un
vantaggio nella donna sottoposta a contraccezione orale. Tuttavia
il rischio fetale è più elevato che con gli altri antiepilettici e, di
conseguenza, è preferibile evitare questo farmaco nelle donne in
età fertile che non adottano alcun metodo contraccettivo.
Benzodiazepine
Non hanno indicazioni nella terapia di base dell’epilessia a causa
del loro e etto sedativo e della comparsa frequente di un
fenomeno di assuefazione.
Si utilizzano spesso (diazepam, clobazam) nel corso di una
crisi o di una serie di crisi per evitarne la ripetizione nel breve
periodo, in particolare in presenza di convulsioni febbrili nel
bambino o di astinenza alcolica.
L’azione rapida delle benzodiazepine ne fa una terapia di
elezione per gli stati di male epilettico. Le più utilizzate in questa
indicazione sono il clonazepam (non disponibile in Italia in forma
iniettiva; N.d.C.) e il diazepam, somministrati per via endovenosa,
tenendo presente, tuttavia, che possono comportare una
depressione respiratoria e circolatoria.
Etosuccimide
Assai e cace nelle assenze del “piccolo male”, non protegge dalle
crisi convulsive generalizzate. Si possono osservare disturbi
digestivi, diminuzione dell’e cienza intellettiva, eruzioni cutanee
e alterazioni ematologiche. Nell’adulto sono stati descritti episodi
psicotici acuti.
“Nuovi” antiepilettici
Si tratta di un insieme di farmaci più recenti che hanno dato prova
di una certa e cacia nelle epilessie focali resistenti, di solito in
aggiunta a un preesistente trattamento con un farmaco
antiepilettico classico. Tuttavia alcuni di questi farmaci possono
essere utilizzati in monoterapia di prima scelta e nel caso di
epilessie generalizzate.
Lamotrigina
Epilessia e gravidanza
Nel 75% dei casi un’epilessia preesistente non è aggravata
dall’instaurarsi di una gravidanza. In ragione della componente
genetica dell’epilessia, il rischio di epilessia nel bambino è più
elevato che nella popolazione generale: 4% con un genitore
epilettico, dal 15 al 20% se entrambi i genitori sono epilettici.
Il problema principale è il rischio teratogeno correlato ai
farmaci antiepilettici. Il rischio di malformazione congenita
principale è raddoppiato o triplicato nei gli di donne soggette a
terapia antiepilettica. Nessuna malformazione è speci ca per un
determinato antiepilettico, ma le malformazioni cardiache e
facciali sono più frequenti nel caso di somministrazione di
fenobarbital e fenitoina, mentre le anomalie della chiusura del
tubo neurale sono più frequentemente osservate nel caso di
trattamento con carbamazepina (0,5%) e soprattutto con
valproato di sodio (1-2%). La frequenza delle malformazioni
aumenta con la posologia degli antiepilettici (in particolare per il
valproato di sodio) e con il numero di antiepilettici. Nei bambini
nati da madri epilettiche e trattate con valproato di sodio è stato
osservato un ritardo dello sviluppo psicomotorio.
I rischi non sono tali da sconsigliare una gravidanza nelle
donne epilettiche; tuttavia è necessario che tale gravidanza sia
programmata e sia particolarmente monitorata. Il trattamento
deve essere ottimizzato prima dell’instaurarsi della gravidanza.
Talvolta si può programmare la sospensione del trattamento
facendo un tentativo in tal senso almeno 6 mesi prima
dell’instaurarsi della gravidanza. Nella maggior parte dei casi, il
trattamento deve essere proseguito, poiché la comparsa di crisi
durante la gravidanza pone a rischio la madre e il feto. È però
opportuno, nei casi in cui ciò sia possibile, ricorrere a una
monoterapia, utilizzare le più basse posologie e caci e preferire la
lamotrigina o la carbamazepina al valproato di sodio, il quale
spesso induce spina bi da o un ritardo nello sviluppo
psicomotorio. Deve essere evitata l’associazione lamotrigina-
valproato di sodio, perché sarebbe all’origine di un tasso di
malformazione dell’ordine del 10%. È consigliabile la
supplementazione di folato a partire da un mese prima del
concepimento.
Trattamento neurochirurgico
Il trattamento neurochirurgico va preso in considerazione nelle
epilessie farmacoresistenti, in particolare nel giovane. La
valutazione di questi pazienti, la discussione delle indicazioni e
delle modalità di trattamento chirurgico non possono essere gestite
correttamente se non in un centro multidisciplinare altamente
specializzato.
In generale, l’obiettivo dell’intervento è l’asportazione del
focolaio ed eventualmente della lesione responsabile (sclerosi
ippocampale, displasia corticale, cavernoma, ecc.). È dunque
essenziale che il focolaio epilettogeno venga localizzato con
precisione.
La semeiologia clinica, l’elettroencefalogra a, la RMN, il
video EEG sono gli strumenti con i quali si e ettua una prima
selezione. La tomogra a a emissione di fotone singolo (Single
Photon Emission Tomography, SPECT), la tomogra a a emissione di
positroni (Positron Emission Tomography, PET) e la RMN funzionale
permettono di identi care nei periodi intercritici un focolaio di
ipoperfusione e ipometabolismo. La SPECT realizzata nel corso di
una crisi (SPECT ictale) può essere molto utile per localizzare il
focolaio epilettogeno. Durante questa fase di osservazione e
diagnosi, il trattamento antiepilettico viene ridotto oppure sospeso
per consentire la registrazione delle crisi. Questa interruzione del
trattamento antiepilettico talvolta dà luogo a un’iperintensità
transitoria dello splenio, visibile in T2 e in di usione alla RMN.
In alcuni casi queste indagini vanno completate con una
stereoelettroencefalogra a, che assicura un’esplorazione
prolungata del focolaio epilettogeno e delle modalità di
propagazione della scarica mediante elettrodi posizionati con
precisione a livello delle strutture cerebrali. È indispensabile
e ettuare preoperatoriamente una valutazione neuropsicologica e
psichiatrica. La RMN funzionale è utile per valutare il ruolo nelle
funzioni cognitive di quelle strutture di cui si prevede
l’asportazione. Allorché l’exeresi del focolaio epilettogeno si riveli
impossibile, si possono considerare altri interventi: callosotomia,
transezioni sottopiali multiple, stimolazione del nervo vago.
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1In base alla più recente sistematizzazione delle crisi compiuta dalla ILAE (International
League Against Epilepsy), viene meno la distinzione tra crisi focali “semplici” e
“complesse” come sopra de nite. È preferibile descrivere le crisi focali distinguendo le
forme senza disturbo di coscienza, forme con fenomeni psichici o sensitivi soggettivi (la
cosiddetta “aura” della precedente denominazione), forme con alterazione di vigilanza
e/o coscienza (“focali complesse”) e forme con secondaria generalizzazione. Per un
riassunto, si veda Berg TE et al. Epilepsy 2010; 51:676 (N.d.C.).
Capitolo 8
Cefalee e algie facciali
Cefalee acute
Le cefalee acute si caratterizzano per una comparsa rapida, nel
giro di qualche minuto o di qualche ora; possono essere
sintomatiche oppure primitive e devono fare pensare in primo
luogo a un interessamento delle meningi.
Meningite
Una meningite batterica o virale deve essere sospettata di fronte a
una cefalea con rialzo febbrile: l’esame del liquor deve essere
e ettuato immediatamente qualora sussista il minimo dubbio in tal
senso.
Emorragia subaracnoidea
È la prima causa evocabile a fronte di una cefalea apparsa
brutalmente o molto rapidamente, quali cata dal paziente da
“molto intensa” a “la più intensa mai provata”. In questa
situazione è necessario richiedere d’urgenza una TAC cerebrale.
Cefalee sintomatiche
Ipertensione endocranica
Cefalee primitive
Emicrania
In assenza di criteri siopatologici o eziologici su cientemente
precisi, la de nizione di emicrania resta essenzialmente clinica.
Si tratta di una forma particolare di cefalea caratterizzata da
attacchi intermittenti, nell’intervallo fra i quali il paziente torna a
uno stato di benessere. La cefalea di solito è localizzata a un
emicranio, è pulsante, accompagnata, almeno in alcuni attacchi,
da fotofobia, nausea o vomito.
Prevalenza
La prevalenza dell’emicrania in Italia è stimabile all’incirca fra il
12 e il 15%, con un rapporto femmine/maschi del 3,8:1 e una
prevalenza massima nella terza decade.
Di erenti tipi di emicrania
Esistono due grandi categorie: emicrania senza aura e con aura.
Fisiopatologia
Esistono ancora alcune incertezze in merito alla siopatologia
dell’attacco emicranico. La teoria neuronale è l’ipotesi più
generalmente accettata al giorno d’oggi. Lo svolgimento della crisi
emicranica comporta un’alterazione funzionale transitoria a livello
di tre siti: l’ipotalamo, la corteccia cerebrale e il tronco encefalico.
Cefalee “trigemino-autonomiche”
Questo termine raggruppa un insieme di cefalee primitive
caratterizzate da una localizzazione nel territorio del trigemino
(periorbitale o frontotemporale) e dall’associazione con segni
autonomi cranici ipsilaterali, simpatici e parasimpatici: iniezione
congiuntivale, lacrimazione, rinorrea, iperidrosi facciale, gon ore
palpebrale, talvolta sindrome di Claude-Bernard-Horner. Questo
gruppo comprende la cefalea a grappolo (cluster headache),
l’emicrania parossistica e la sindrome SUNCT.
Cefalea a grappolo (cluster headache)
Forma periodica
Questa varietà di cefalea, che è sia un’emicrania sia un’algia
facciale (“algia vascolare della faccia”), è di usa soprattutto fra i
maschi e i fumatori. Si tratta di una malattia particolare, dato il
suo andamento periodico che ne determina la denominazione
anglosassone puramente descrittiva (cluster: “a grappolo, in
salve”). Durante i periodi dolorosi, che durano da qualche
settimana a qualche mese, il malato so re quotidianamente,
presentando almeno un accesso nelle 24 ore. Ogni accesso, di forte
intensità, si accompagna spesso a uno stato di agitazione.
L’accesso dura da circa mezz’ora a due ore, sopraggiungendo con
segni vegetativi più o meno marcati. I periodi di dolore sono
separati da intervalli completamente liberi che possono durare
mesi o anche anni. Generalmente il dolore colpisce sempre lo
stesso lato del capo, non solo tra un attacco e l’altro, ma anche nei
successivi cluster di dolore.
Gli studi e ettuati per mezzo della tomogra a a emissione di
positroni (PET) suggeriscono la responsabilità di un pacemaker
localizzato nella porzione posterolaterale dell’ipotalamo.
L’eziologia è sconosciuta. È probabile una componente genetica: è
stata infatti notata l’associazione con un polimor smo del gene
che codi ca il recettore di tipo 2 dell’ipocretina.
Forma cronica
Accanto alla forma classica, periodica, esiste una forma cronica nel
corso della quale gli accessi dolorosi si ripetono quotidianamente
per più di un anno, con periodi di remissione inferiori a un mese.
La cronicità può essere presente all’inizio o intervenire in un
secondo momento.
Trattamento
In attesa che il trattamento preventivo del periodo doloroso
produca i suoi e etti, gli attacchi sono spesso ben controllati dal
sumatriptan in forma iniettabile o dall’inalazione di ossigeno puro
tramite maschera. Il trattamento preventivo, che deve essere
continuato per la durata del periodo di dolore, può fare ricorso ai
corticosteroidi alternati al verapamil. Il litio è fondamentalmente
utilizzato nelle forme croniche.
Emicrania cronica parossistica
L’emicrania cronica parossistica si distingue dalla cluster headache
per il coinvolgimento prevalente del sesso femminile, la brevità
degli attacchi (5-30 minuti), la molteplicità (da 5 a 30 al giorno),
la loro ripetizione cronica, quotidiana, e la peculiare sensibilità
all’indometacina.
Emicrania continua
Questa sindrome è caratterizzata da un’emicrania permanente di
intensità moderata cui si aggiungono attacchi parossistici simili a
quelli della cluster headache. Deve essere diagnosticata
correttamente in quanto è sensibile all’indometacina.
Sindrome SUNCT
Nella sindrome SUNCT (Short-lasting Unilateral Neuralgiform
Headache Attacks with Conjunctival Injection and Tearing) gli attacchi
dolorosi sono quotidiani, multipli e di breve durata, potendo infatti
protrarsi da qualche secondo a qualche minuto. Questa sindrome,
che predomina nel sesso maschile, è molto refrattaria al
trattamento. Ciononostante vi sono casi che rispondono alla
lamotrigina, al gabapentin o al topiramato. Sono stati anche
riferiti casi in associazione a un adenoma ipo sario.
Cefalea ipnica
Sebbene la presenza di segni autonomici sia riscontrata solo
raramente, questo tipo di cefalea può essere assimilato ai
precedenti per via della sua ritmicità circadiana e della presenza di
anomalie riscontrate a livello dell’ipotalamo posteriore alla
morfometria basata su voxel (Voxel Based Morphometry, VBM).
Questa variante si presenta esclusivamente durante il sonno con
un orario relativamente sso, di solito fra le 2 e le 4 del mattino, e
comporta il risveglio del paziente. È generalmente bilaterale e di
intensità moderata. Insorge dopo i 50 anni di età, con maggiore
frequenza nei soggetti di sesso femminile; la ripetizione degli
attacchi almeno 15 volte al mese rappresenta uno dei criteri
diagnostici. Fra i trattamenti proposti, il più semplice consiste
nell’assumere una tazza di ca è prima di coricarsi per prevenire
l’attacco, oppure all’inizio dell’attacco per calmarlo.
Cefalea tensiva
È stata mantenuta questa de nizione per designare una varietà
molto frequente di cefalea, preferendola ad altri termini che hanno
una connotazione siopatologica come “cefalea muscolotensiva” o
“psicogena”.
Prevalenza
La prevalenza della cefalea tensiva nella popolazione generale
varia a seconda degli studi epidemiologici fra il 30 e l’80%, con un
rapporto maschi/femmine di 4:5. Tuttavia gli studi epidemiologici
identi cano un gran numero di soggetti che non si recano dal
medico per la rarità degli episodi o per l’e cacia dei comuni
analgesici.
Aspetti clinici
Forma episodica
Algie facciali
Algie facciali da causa locale
Le algie facciali possono essere la conseguenza di un processo
patologico locale che coinvolge le terminazioni nocicettive.
Il dolore può essere permanente, spesso con recrudescenze a
carattere pulsatile prevalentemente notturne, e può
accompagnarsi a segni vasomotori e secretori. Queste algie sono di
solito facilmente attribuite alla loro causa diretta, che può essere
oculare (glaucoma, tumore), dentaria (pulpite, dente incluso),
mascellare o sinusale. Peraltro può avvenire che il dolore di
maggiore intensità sia quello proiettato a distanza dalla lesione
causale e che questa possa essere poco appariscente al punto da
potere essere identi cata soltanto mediante l’esame accurato di
uno specialista. Tra le cause locali va ricordata la sindrome di
Costen, causata da una so erenza dell’articolazione
temporomandibolare da malocclusione dentaria; si manifesta con
dolori prevalentemente nella regione auricolare, ma che possono
irradiarsi a notevole distanza.
Evoluzione
La nevralgia del trigemino evolve in modo discontinuo, alternando
periodi dolorosi a fasi di remissione spontanea. Durante i periodi
di dolore gli accessi si ripetono con frequenza variabile, talvolta
poco numerosi e distanziati, talaltra decisamente subentranti. In
genere i primi periodi dolorosi sono brevi, dell’ordine di qualche
giorno, separati da fasi di remissione prolungate che possono
durare mesi o anni. Con il tempo la malattia tende a diventare più
grave, le fasi di remissione si distanziano, sono più brevi e tendono
persino a scomparire. Nondimeno occorre notare che, persino nelle
forme più gravi, la nevralgia del trigemino è generalmente
compatibile con il sonno; la rarità delle crisi nel corso della notte
può spiegarsi con la riduzione degli stimoli a erenti oppure con
una modi cazione dello stato funzionale del sistema nervoso
durante il sonno.
Fisiopatologia
L’esperienza dimostra che in presenza di questa varietà di
nevralgia trigeminale, del tutto pura e isolata nella sua
sintomatologia, gli esami clinici e paraclinici non mettono in
evidenza alcuna causa palese. Vi è tuttavia qualche rara eccezione
a questa regola; un’algia facciale con tutte le caratteristiche della
nevralgia “essenziale” può essere infatti il sintomo rivelatore di
una lesione espansiva che comprime lentamente la radice sensitiva
del trigemino. In tali casi la nevralgia si manifesta in uno stadio in
cui la compressione del nervo è abbastanza limitata da non
produrre alcun de cit clinicamente rilevabile della sensibilità
oggettiva. Anche la sclerosi multipla può manifestarsi con una
nevralgia di tipo “essenziale”: la lesione responsabile sembra
essere in questo caso una demielinizzazione nel punto di ingresso
della radice sensitiva nel tronco encefalico.
Questi fatti suggeriscono l’idea che, anche in assenza di un
processo patologico dimostrabile, un danno meccanico isolato
(potenziato nei suoi e etti sul ganglio di Gasser o sulla radice
sensitiva da una vulnerabilità inerente all’età avanzata) possa
essere responsabile della nevralgia essenziale. Fattori da prendere
in considerazione in questo senso sono l’innalzamento del piano
della rocca petrosa, legato all’invecchiamento, una calci cazione
della dura madre a livello dell’ori zio di entrata del cavo di
Meckel, un certo grado di impressione basilare, il contatto con
rami arteriosi ateromatosi o anormalmente sinuosi (“con itto
neurovascolare”).
D’altra parte i caratteri del dolore, le modalità della fase
refrattaria e delle stimolazioni a erenti e caci suggeriscono la
concreta ipotesi di un meccanismo centrale costituito dall’insorgenza
di scariche parossistiche, “epilettiformi”, nei neuroni del nucleo della
radice discendente del trigemino. A favore di questa ipotesi, bisogna
ricordare l’e cacia sulla nevralgia del trigemino di certi farmaci
antiepilettici che hanno dimostrato, in un contesto sperimentale, di
essere in grado di deprimere la trasmissione sinaptica nel nucleo
della radice discendente.
La sede periferica del processo patologico sulla radice del
trigemino e l’origine centrale del dolore nel nucleo della radice
discendente sono fatti che si possono conciliare. La
disorganizzazione del messaggio a erente che risulta dalle
alterazioni mieliniche della radice sensitiva del trigemino potrebbe
avere come conseguenza uno stato di ipereccitabilità dei neuroni
del nucleo della radice discendente, che potrebbero scaricare
spontaneamente o sotto l’in uenza di determinate stimolazioni
periferiche.
Trattamento
La neurotomia retrogasseriana e l’alcolizzazione del ganglio di
Gasser sono state per molto tempo i soli trattamenti e caci, che
comportavano però un doppio rischio: comparsa di un’anestesia
corneale che espone il soggetto a cheratite anche grave e sviluppo
di un’anestesia dolorosa facciale particolarmente invalidante.
Attualmente il trattamento di prima scelta si basa su alcuni
antiepilettici, dei quali la carbamazepina è stata la prima a dare
prova della propria e cacia. La dose quotidiana e cace,
determinata con gradualità in ogni singolo paziente, è in media di
3-4 compresse da 200 mg al giorno. Nella maggior parte dei casi,
quando viene raggiunta la soglia di e cacia, i parossismi dolorosi
scompaiono del tutto. Se la posologia viene abbassata al di sotto di
una certa soglia i dolori ricompaiono. Talvolta, tuttavia, dopo un
intervallo su ciente, è possibile diminuire progressivamente il
farmaco, arrivando a sospenderlo per un periodo di tempo
variabile, no al subentrare di un nuovo periodo di attacchi
dolorosi. Nel complesso si ottengono il 60% di buoni risultati, il
20% di risultati apprezzabili e il 20% di insuccessi dovuti a
ine cacia del farmaco oppure a intolleranza. Possono essere
utilizzati anche altri antiepilettici, come l’oxcarbazepina, il
gabapentin, il pregabalin e il clonazepam. Sono stati ottenuti
buoni risultati anche con il baclofene. (A di erenza della
carbamazepina, questi ultimi farmaci attualmente in Italia non
possiedono l’indicazione per il trattamento della nevralgia
trigeminale; N.d.C.)
Il ricorso al trattamento chirurgico è giusti cato nelle forme
ribelli al trattamento farmacologico. La termocoagulazione del
ganglio di Gasser per via percutanea in genere viene preferita alla
decompressione microvascolare (approccio diretto dalla fossa
posteriore). Un’alternativa è rappresentata dalla radiochirurgia
(gamma-knife).
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1Attualmente non vi sono evidenze che la correzione chirurgica o endovascolare del forame
ovale pervio determini una riduzione della frequenza di emicrania; pertanto, una
decisione in tal senso andrebbe presa solo in relazione al rischio emboligeno di tale
anomalia (N.d.C.).
Capitolo 9
Patologia del sistema nervoso periferico
Organizzazione generale
Nervi periferici
I nervi periferici sono fasci di bre nervose avvolti da guaine
connettivali (Fig. 9.1). Ogni bra nervosa è costituita dal
prolungamento di un neurone il cui corpo cellulare è collocato nel
corno anteriore del midollo spinale ( bre motorie), nel ganglio
spinale ( bre sensitive) o nel ganglio del sistema nervoso
autonomo ( bre vegetative). La componente autonoma del sistema
nervoso periferico è trattata nel Capitolo 4.
Figura 9.2 Stadi successivi delle correlazioni tra cellule di Schwann e assoni durante
lo sviluppo
(Da: Peters e Muir, sempli cata da: Poirier, 1982).
Figura 9.3 Schema dell’ultrastruttura di un nodo di Ranvier in sezione longitudinale
(Da: Poirier, 1982).
Figura 9.5 Schema delle tappe principali della demielinizzazione segmentaria e della
rimielinizzazione di una bra nervosa mielinica periferica
Radicolopatie
Le radici anteriori (motorie) e posteriori (sensitive) convergono
verso il forame di coniugazione (forame intervertebrale) limitato
in alto e in basso dai peduncoli vertebrali, nella parte anteriore dal
disco intervertebrale, nella parte posteriore dalle apo si che
portano le faccette articolari posteriori. Le radici si uniscono nel
forame per formare il nervo spinale, la cui compromissione non può
essere distinta da quella delle radici. Dall’uscita dal forame il nervo
spinale si divide in un ramo dorsale destinato ai muscoli e ai
tegumenti paravertebrali e un ramo ventrale che partecipa alla
formazione del plesso o continua nei nervi intercostali.
Una compromissione limitata a una radice o a un nervo
spinale di solito ha una manifestazione prevalentemente sensitiva:
dolore nel territorio radicolare, esacerbato da tosse, defecazione,
mobilizzazione del rachide, manovre che distendono la radice;
parestesie provocate dallo s oramento del dermatomero
corrispondente. I segni sensitivi oggettivi sono meno evidenti. La
distribuzione sensitiva delle radici è riportata nella Figura 9.6. Può
essere associato un de cit motorio, tenendo presente, tuttavia, che
nessun muscolo riceve la propria innervazione da un’unica radice e
che il territorio muscolare di una radice è caratterizzato da una
certa variabilità. L’abolizione o la diminuzione di un ri esso
tendineo può completare il quadro della sindrome.
Figura 9.6 Distribuzione delle radici sensitive
(Da: Foerster, modi cata da: Austin, 1972).
La diagnosi di una radicolopatia si basa sull’analisi topogra ca
delle manifestazioni neurologiche, se necessario completata da un
esame elettrodiagnostico. L’imaging, eventualmente completato da
uno studio del liquor, è essenziale per una diagnosi eziologica che
permetta di identi care una compressione di origine discale oppure
osteo tica e di non sottovalutare una lesione tumorale (in particolare
un neurinoma) o infettiva (spondilodiscite).
Radicolopatie cervicali
La compromissione delle radici cervicali superiori (da C1 a C4) è rara.
I rami dorsali dei nervi spinali corrispondenti innervano i
tegumenti della regione occipitale e della regione paraspinale del
collo. La compromissione della radice C2 si manifesta con
parestesie talvolta dolorose nel territorio del grande nervo
occipitale (nevralgia occipitale di Arnold). I rami ventrali dei nervi
spinali C1-C4 formano il plesso cervicale.
Le nevralgie cervicobrachiali corrispondono alla compromissione
delle radici che contribuiscono alla formazione del plesso brachiale
(da C5 a D1). Le radici C5 e C6 sono quelle maggiormente colpite.
Il dolore interessa la spalla e l’arto superiore. Parestesie e
un’ipoestesia nel territorio distale della radice interessata hanno
un valore maggiore rispetto al territorio di irradiazione del dolore.
Nella Tabella 9.1 sono indicate le compromissioni motorie e dei
ri essi.
Plessopatie
I plessi, punti di raccordo tra radici e tronchi nervosi, costituiscono
un sistema di anastomosi tra contingenti di bre che originano da
radici contigue.
Plesso cervicale
I rami anteriori dei nervi spinali C1-C4 formano il plesso cervicale, la
cui principale branca motoria è il nervo frenico. Le diramazioni
sensitive che assicurano l’innervazione sensitiva dei tegumenti
nella regione anterolaterale del collo possono essere lese durante
un intervento chirurgico; il nervo grande auricolare è
particolarmente esposto a questo rischio: la sua compromissione è
responsabile di indolenzimento e parestesie a livello dell’orecchio e
dell’angolo mandibolare.
Il nervo frenico (C3, C4) è il nervo motore del diaframma. La
sua lesione ha come conseguenza una paralisi dell’emidiaframma,
che è sopraelevato e immobile. Nel collo o nel torace il nervo può
essere colpito da lesioni di natura traumatica, compressiva o
in ltrativa.
È possibile osservare una neuropatia primitiva del nervo
frenico, sia isolata sia associata a elementi di neuropatia acuta del
plesso brachiale.
Plesso brachiale
Il plesso brachiale è costituito dall’unione dei rami anteriori dei
nervi spinali C5-C8 e T1, i quali formano tre tronchi primari:
superiore (C5-C6), medio (C7) e inferiore (C8-T1).
Il plesso brachiale, dopo divisione e ricomposizione nei tronchi
secondari (laterale, mediale e posteriore), dà origine a quattro rami
terminali lunghi destinati all’arto superiore, ossia il nervo
muscolocutaneo, il nervo radiale, il nervo ulnare (nervo cubitale) e il
nervo mediano. Dal plesso brachiale nascono anche i collaterali brevi
destinati al cingolo scapolare.
Sindromi del plesso brachiale
Queste sindromi risultano da lesioni che interessano i tronchi
primari e/o secondari. Si manifestano con un de cit che interessa,
in maniera più o meno estesa, la regione dei rami terminali e
collaterali del plesso. Classicamente si distinguono una sindrome
superiore (Duchenne-Erb) con predominante interessamento dei
territori C5-C6, una sindrome media (Remak) predominante nel
territorio C7 e una sindrome inferiore (Klumpke) predominante nei
territori C8-D1.
È possibile osservare una compromissione isolata delle branche
collaterali del plesso brachiale che interessa in particolare:
Plesso lombosacrale
Il plesso lombosacrale è costituito dai rami anteriori dei nervi spinali
L1-S4, comprende il plesso lombare (L1-L4) e il plesso sacrale
formato dal tronco lombosacrale (L4 + L5) e S1-S4. Questi due
plessi, anatomicamente vicini, sono soggetti alle stesse patologie.
Sindromi del plesso lombosacrale
La semeiologia del plesso lombosacrale, abitualmente dolorosa,
associa in maniera più o meno estesa de cit sensomotori collocati
nel territorio dei rami terminali lunghi del plesso lombare (nervo
otturatorio, nervo femorale, nervo femorocutaneo) e/o del plesso
sacrale (nervo sciatico), ma anche nel territorio dei rami collaterali
corti del plesso.
I rami collaterali corti del plesso lombosacrale, talvolta colpiti in
maniera isolata, comprendono in dettaglio:
Mononeuropatie
Eziologia
Cause meccaniche
Si può trattare di un trauma maggiore (ulcera penetrante, frattura,
lussazione, atto chirurgico, iniezione di un farmaco) che porta a
una compressione o all’interruzione parziale o totale della
continuità del nervo. Una rottura del nervo che interrompe la sua
guaina connettivale non è compatibile, se i monconi non vengono
suturati, con una rigenerazione e cace. La conoscenza precisa
della natura delle lesioni sarebbe auspicabile per un’indicazione
terapeutica corretta, ma né la semeiologia, né le indagini
elettro siologiche permettono di distinguere con certezza una
sindrome da interruzione funzionale con o senza demielinizzazione
da una rottura di nervo con necessità di esplorazione chirurgica e
sutura. Può essere utile la ripetizione degli esami clinici e
strumentali a breve termine. Il segno di Tinel, una sensazione di
formicolio evocata dalla palpazione delle bre in rigenerazione,
può essere indicativo di rigenerazione in base alla sua progressione
verso la periferia. Un’esplorazione chirurgica è necessaria qualora si
sospetti fortemente la sezione del nervo. Si possono anche osservare
paralisi microtraumatiche legate a danno meccanico nel corso delle
normali attività di tutti i giorni: compressione per il mantenimento
anormalmente prolungato di una postura, microtraumi
professionali, sindromi da intrappolamento. Lesioni
demielinizzanti segmentarie e un blocco prolungato della
conduzione possono risultare da una compressione prolungata o da
microtraumi ripetuti. Il de cit funzionale può essere totale o
solamente parziale. La regressione inizia rapidamente appena
viene allontanato il fattore causale (rimielinizzazione).
Ciononostante, se la compressione è stata prolungata, possono
associarsi anche lesioni assonali che possono in uire
negativamente sulla lunghezza della fase di recupero.
Altre cause
La lesione di un tronco nervoso periferico può essere anch’essa la
conseguenza di lesioni di natura ischemica, in ammatoria o
in ltrativa. Una palpazione meticolosa del percorso del nervo,
completata al minimo dubbio da un imaging, deve essere eseguita
sistematicamente per scoprire un tumore che comprime il nervo o un
tumore primitivo del nervo, in particolare uno schwannoma.
• un de cit della essione del carpo ( essore radiale del carpo),
che resta tuttavia possibile per l’azione del muscolo essore
ulnare del carpo, innervato dal nervo ulnare;
• un de cit del movimento di essione del pollice: essore breve
che attua la essione dell’articolazione metacarpofalangea;
essore lungo che attua la essione della seconda falange;
• un de cit del movimento di essione dell’indice: essore
super ciale che ette la seconda falange e essore profondo
che ette la terza. La prima falange può essere essa
dall’interosseo che è innervato dall’ulnare;
• un de cit della essione delle altre dita ( essore super ciale
delle dita) che resta parzialmente assicurata dal essore
profondo (nervo ulnare);
• un de cit della pronazione (pronatori rotondo e quadrato);
• un de cit dei movimenti di abduzione palmare (muscolo
adduttore breve) e di opposizione (muscolo opponente) del
pollice. L’abduzione palmare viene studiata facendo sollevare
verticalmente il pollice tenendo il piano dell’unghia
perpendicolarmente al piano del palmo. L’opposizione del
pollice è la capacità di compiere un movimento a pinza del
pollice con le altre dita e va distinta dalla pseudo-opposizione
per essione-adduzione del pollice.
I disturbi sensitivi interessano la metà laterale del palmo della
mano, la super cie palmare del pollice, dell’indice, del medio e
della metà esterna dell’anulare, la faccia dorsale delle seconde e
terze falangi delle stesse dita.
Le lesioni alte del mediano nella regione ascellare o al livello
del braccio, per compressione o trauma, raramente sono isolate.
Nella regione del gomito il nervo può essere leso da una frattura
sopracondilare. Le lesioni del nervo mediano sulla piega del
gomito possono anche conseguire a iniezioni endovenose.
Due sindromi canalari possono interessare il nervo mediano.
• un ramo super ciale cutaneo per la super cie ulnare del palmo,
la super cie palmare del quinto dito e la metà interna del
quarto;
• un ramo profondo motorio per i muscoli dell’eminenza ipotenar
(opponente, adduttore breve, essore breve del quinto dito),
interossei, terzo e quarto lombricale, adduttore del pollice e,
solitamente, essore breve del pollice.
• In vicinanza del gomito il nervo ulnare, super ciale nella doccia
epitrocleo-olecranica, può essere compresso contro il piano
osseo dopo aver mantenuto l’arto appoggiato a lungo durante
un’anestesia o ripetutamente sul bracciolo di una sedia o su di
un’altra super cie piana rigida. Inoltre è sottoposto a
microtraumi nei movimenti ripetuti di esso-estensione. Questi
ultimi si rendono maggiormente evidenti quando esiste un
valgismo del gomito o altri rimaneggiamenti dei rapporti
anatomici al gomito. Spesso vengono lamentate parestesie
della mano e delle dita nel territorio del nervo ulnare. Il
de cit sensitivo-motorio può essere limitato al territorio
distale del nervo. L’elettromiogra a e lo studio delle velocità
di conduzione confermano la sede della compressione. La
terapia più e cace è la trasposizione del nervo al davanti
dell’epitroclea.
• La paralisi del nervo ulnare alla mano deriva da un’azione
meccanica diretta sul nervo stesso a livello della loggia di
Guyon oppure sul ramo profondo, determinando in tal caso
una lesione puramente motoria, talora con risparmio dei
muscoli dell’eminenza ipotenar. Il territorio del ramo cutaneo
dorsale viene risparmiato. La causa è generalmente
determinata dall’uso di qualche utensile: badile, cazzuola,
cesoie, la pratica del ciclismo, a volte l’uso prolungato del
mouse.
Mononeuropatie multiple
Con questo termine si de nisce una neuropatia nella quale è
possibile identi care la lesione di diversi tronchi nervosi. Tali
lesioni avvengono generalmente in tempi diversi e determinano
così, almeno inizialmente, una distribuzione asimmetrica dei
de cit. Inoltre la sovrapposizione topogra ca delle lesioni
tronculari e la loro comparsa bilaterale possono determinare una
sindrome caratterizzata da una multineuropatia più di usa.
L’interessamento dei nervi cranici è possibile, benché raro.
Neuropatie lepromatose
L’altissima frequenza di danni del sistema nervoso periferico in corso
di lebbra sembra derivare da un’a nità del bacillo di Hansen con le
cellule di Schwann.
Le lesioni delle terminazioni cutanee sono responsabili di
anestesia “a chiazze” a livello delle quali il bacillo può essere
evidenziato.
Le neuropatie tronculari, che possono comparire in assenza di
lesioni cutanee, assumono le caratteristiche delle mono- o
multinevriti o, eccezionalmente, di polineuropatie nelle forme
lepromatose multibacillari. Esistono territori di interessamento
preferenziale che corrispondono a parti anatomiche e/o a regioni
in cui il nervo è esposto in posizione super ciale a temperature
relativamente basse: nervo ulnare, tibiale, peroneo super ciale,
ramo super ciale del nervo radiale, rami del plesso cervicale
super ciale, facciale superiore. La paresi si associa ad amiotro a e
fascicolazioni. I de cit sensitivi soggettivi sono poco evidenti,
mentre è frequente la presenza di anestesia prevalentemente a
carico della sensibilità termica e dolori ca. I ri essi tendinei sono
spesso conservati. I de cit vasomotori e della sudorazione, i
disturbi tro ci, le ulcere perforanti e le artropatie sono frequenti e
talora prevalenti.
La diagnosi si basa sul riscontro dell’ipertro a dei tronchi
nervosi, sul dato di nota esposizione pregressa in zona di endemia
(sapendo che il periodo di incubazione può durare diversi anni),
sulla dimostrazione del bacillo al livello epidermico, della mucosa
nasale e nella biopsia nervosa.
L’evoluzione della patologia è spesso insidiosa, ma può essere
accompagnata da reazioni in ammatorie durante la conversione
dal polo lepromatoso multibacillare verso il polo tubercoloide
paucibacillare.
Il trattamento speci co (dapsone, clofamizina, rifampicina)
permette di bloccare l’evoluzione della malattia. Nel caso di
reazione di reversione tubercoloide può essere utile associare una
terapia cortisonica. Può essere anche indicato un trattamento
chirurgico di decompressione del nervo.
Vasculiti
Le neuropatie legate a una vasculite assumono generalmente
l’aspetto di una mononeuropatia multipla, spesso dolorosa, con
l’insorgenza, in tempi successivi e in modo acuto o subacuto, di
lesioni tronculari. Queste neuropatie possono manifestarsi in corso
di vasculiti sistemiche o distrettuali.
Vasculiti sistemiche
Panarterite nodosa (PAN)
Si tratta di una causa frequente; nel 45% circa dei casi si osserva
una neuropatia. Nelle forme localizzate può prevalere un fattore
meccanico. In tal caso, la decompressione del nervo mediano a
livello del canale carpale, del nervo ulnare nella doccia epitrocleo-
olecranica o nel canale di Guyon, del nervo peroneo comune a
livello del collo del perone può essere seguita da un soddisfacente
recupero. Nelle forme evolutive, generalmente sieropositive, si
possono riscontrare un interessamento neuropatico
multidistrettuale.
Sindrome di Churg-Strauss
Polineuropatie e poliradicoloneuropatie
Polineuropatie
Le polineuropatie sono caratterizzate dalla simmetria dei disturbi
neurologici e dalla loro predominanza distale, che manifesta la
lesione delle bre in funzione della loro lunghezza (neuropatie
lunghezza-dipendenti). Questo quadro corrisponde molto spesso a
una neuropatia primariamente assonale, che determina una
degenerazione retrograda degli assoni più lunghi (dying back
neuropathy). Tuttavia questa presentazione può anche essere
osservata in una neuropatia demielinizzante.
L’interessamento distale degli arti inferiori precede quello
degli arti superiori. L’estensione prossimale è tardiva. Il de cit
sensitivo può assumere una localizzazione a piastrone a livello del
tronco e a casco a livello cranico. La lesione può interessare i
diversi tipi di bre, sensitive, motorie e vegetative o predominare
in un particolare tipo di bre. Per quanto concerne la lesione
sensitiva, può predominare a carico delle bre piccole o grandi:
Poliradicoloneuropatie
Si distinguono per la di usione dei de cit neurologici che
interessano sia la radice sia l’estremità degli arti e che si estendono
ai muscoli del tronco e ai nervi cranici.
Criterio evolutivo
Nonostante la sua schematicità e l’esistenza di numerose eccezioni,
il criterio dell’evolutività permette di distinguere fra polineuropatie
e poliradicoloneuropatie acute e subacute, che comprendono la
sindrome di Guillain-Barré, le neuropatie por riche e la
neuronopatia sensitiva di Denny-Brown, e le polineuropatie e
poliradicoloneuropatie croniche che comprendono la maggior
parte delle neuropatie metaboliche, tossiche, iatrogene, come pure
le neuropatie ereditarie e le poliradicoloneuropatie demielinizzanti
in ammatorie croniche.
Fase di estensione
La fase di estensione esordisce di solito con parestesie alle
estremità, ma talora il de cit motorio è il primo segno. Il
coinvolgimento degli arti inferiori in genere è il più precoce e
l’estensione del de cit motorio di solito ascende in modo
rapidamente progressivo in una decina di giorni. La gravità del
danno neurologico è imprevedibile all’inizio. Questi pazienti
devono essere strettamente sorvegliati per individuare la comparsa
di un interessamento dei muscoli respiratori o di disturbi della
deglutizione che mettono a rischio la prognosi quoad vitam e
necessitano del ricovero in unità di terapia intensiva.
Fase di plateau
La fase di plateau corrisponde al periodo di acme dei segni
neurologici: il de cit motorio può essere totale dando luogo a una
tetraplegia con coinvolgimento dei muscoli respiratori e disturbi
della deglutizione oppure restare limitato agli arti inferiori.
L’are essia tendinea è perlopiù generalizzata. I disturbi sensitivi
soggettivi sono in pratica costantemente di tipo parestesico. I
de cit sensitivi oggettivi sono prevalentemente a carico della
sensibilità tattile e profonda. L’interessamento dei nervi cranici è
frequente, perlopiù sotto forma di paralisi facciale periferica uni- o
bilaterale e/o di parestesie trigeminali. Le paralisi oculomotorie
sono più rare. Il coinvolgimento del IX e X nervo cranico può
essere responsabile di disturbi della deglutizione.
Disturbi disautonomici possono essere osservati soprattutto
nelle forme particolarmente estese. Possono consistere in
ipertensione arteriosa, anomalie della ripolarizzazione
all’elettrocardiogramma, iponatriemia da inappropriata secrezione
di ADH o bradicardia talora responsabile di arresto cardiaco.
Durante questa fase, nelle forme gravi trattate nelle unità di
terapia intensiva è possibile osservare fenomeni psichici (illusioni
e/o allucinazioni).
L’esame elettro siologico mostra un rallentamento della velocità
di conduzione motoria, un aumento delle latenze distali motorie e
un allungamento della latenza della risposta F. Esistono anche
alterazioni della conduzione sensitiva: riduzione di ampiezza e
aumento di durata dei potenziali sensitivi, rallentamento delle
velocità di conduzione.
L’esame del liquor evidenzia un aumento della proteinorrachia
che può essere di grado moderato o arrivare a diversi g/L e che
non si accompagna a pleiocitosi (dissociazione
albuminocitologica). L’analisi delle frazioni proteiche mostra
nell’80% dei casi un aumento delle gammaglobuline. Queste
modi cazioni del liquor possono comparire solo dopo un certo
periodo di evoluzione. Una puntura lombare eseguita
precocemente può fornire un liquor normale.
Fase di recupero
La fase di recupero corrisponde al periodo in cui i segni neurologici
mostrano una regressione. Dopo una o due settimane di stabilità il
recupero della paralisi è progressivo, di solito in ordine inverso
alla comparsa e in modo più lento. Questa remissione evolve nel
corso di diverse settimane o mesi. Può essere totale o lasciare
sequele motorie o sensitive (20% dei casi). Allorché si associano
lesioni assonali che hanno comportato una degenerazione
walleriana, la fase di recupero si protrae per molti anni. Tali
lesioni assonali possono essere secondarie a una grave
demielinizzazione o primitive nelle forme assonali.
Trattamento
Il trattamento sintomatico è essenziale e deve essere praticato in
un reparto di rianimazione quando sono presenti insu cienza
respiratoria o disturbi della deglutizione. Il trattamento speci co si
basa sulla plasmaferesi o sull’infusione ev di immunoglobuline a
una posologia di 0,4 g/kg per 5 giorni; ciò consente di ridurre la
gravità e la durata della malattia.
Neuropatie assonali in ammatorie acute
La neuropatia motoria assonale acuta si di erenzia clinicamente
dalla sindrome di Guillain-Barré per l’interessamento puramente
motorio. Sono state anche descritte alcune forme sensitivo-motorie
di neuropatie assonali acute. In queste forme assonali l’esame
elettro siologico non evidenzia i segni di demielinizzazione che
caratterizzano la sindrome di Guillain-Barré. Queste forme assonali
sono particolarmente frequenti in Estremo Oriente e nell’America
del Sud. Considerate inizialmente come particolarmente gravi,
possono recuperare nello stesso intervallo di tempo delle forme
demielinizzanti. L’aggressione immunomediata sembra dirigersi
contro gli antigeni gangliosidici della membrana assonale al livello
dei nodi di Ranvier.
Sindrome di Miller-Fisher
Questa sindrome è caratterizzata dalla comparsa acuta di
oftalmoplegia (che può anche determinare una compromissione
della motilità oculare intrinseca), atassia e ipo- o are essia. Gli
anticorpi anti-GQ1b sono presenti nel 90% dei casi e rappresentano
un marker di questa sindrome, permettendo di ricondurvi quelle
forme incomplete consistenti in sola oftalmoplegia e forme
atipiche che si manifestano con paralisi orofaringea associata o no
ad atassia.
Esistono alcune sovrapposizioni tra la sindrome di Guillain-
Barré e l’encefalite del tronco encefalico di Bickersta . La
semeiologia dell’encefalite di Bickersta può richiamare quella
della sindrome di Miller-Fisher, ma se ne distingue data l’esistenza
di segni di interessamento del sistema nervoso centrale
oggettivabile anche dalla RMN.
L’evoluzione della sindrome di Miller-Fisher è di tipo
spontaneamente regressivo. La cura si basa (come per la sindrome
di Guillain-Barré) sulla somministrazione di immunoglobuline ev.
Neuropatie disautonomiche acute
In alcuni casi la sindrome disautonomica è isolata o per lo meno
fortemente predominante. La lesione vegetativa può interessare
insieme i contingenti simpatico e parasimpatico
(pandisautonomia) o uno solo dei due, particolarmente in forma di
una disautonomia colinergica. Questa sindrome può essere
idiopatica o paraneoplastica. È stata evidenziata un’associazione
con l’anticorpo diretto contro il recettore nicotinico gangliare
dell’acetilcolina (α3-AChR).
Neuropatie tossinfettive
Botulismo
Il botulismo è causato dall’ingestione di alimenti nei quali la
proliferazione del bacillo botulinico ha prodotto un accumulo di
tossina. Si tratta di una neuropatia molto particolare, che deriva
da un blocco della liberazione dell’acetilcolina a livello delle
terminazioni nervose. Questo blocco provoca i suoi e etti su tutti i
sistemi colinergici, alla giunzione neuromuscolare dei muscoli
striati, ma anche a livello del sistema nervoso autonomo.
La sindrome neurologica, che può essere preceduta o meno da
disturbi gastroenterici, inizia qualche ora o qualche giorno dopo
l’ingestione della tossina, tanto più precocemente quanto più grave
è l’intossicazione. Comporta disturbi dell’oculomozione,
predominanti sulla motilità intrinseca, con midriasi areattiva, cui
si aggiungono disturbi della fonazione e della deglutizione, un de cit
dei muscoli della nuca e della radice degli arti. L’intensa secchezza
della bocca è un elemento diagnostico. Inoltre si può avere paralisi
vescicale e intestinale.
La gravità della sindrome è molto variabile. Nei casi più gravi
l’interessamento del carrefour tracheoesofageo e dei muscoli
respiratori può richiedere la ventilazione assistita. Il trattamento
prevede l’iniezione di antitossina. La guanidina (non disponibile in
Italia), favorendo la liberazione dell’acetilcolina dalle terminazioni
nervose, ha una certa e cacia su questo tipo di blocco
neuromuscolare.
Altre intossicazioni alimentari
Il consumo di alcuni pesci o molluschi del Paci co o dei mari
caraibici può essere responsabile di canalopatie assonali. Si può
trattare di paralisi estese che sono il risultato del blocco in
posizione chiusa di canali del sodio voltaggio-dipendenti da parte
della tetrodotossina o della saxitossina. La ciguatossina,
responsabile della ciguatera, prolunga la durata di apertura dei
canali del sodio voltaggio-dipendenti. La polineuropatia, preceduta
da disturbi digestivi, si manifesta con parestesie distali e periorali,
disestesie, intorpidimento e inversione della sensibilità al freddo,
che viene percepito come doloroso e caldo.
Neuropatie difteriche
Sono causate dalla tossina difterica, di cui è stata dimostrata
sperimentalmente l’azione elettiva sulle cellule di Schwann. Le
neuropatie periferiche, al contrario, fanno una comparsa ritardata,
fra la terza e la quinta settimana. Il coinvolgimento degli arti è
preceduto da paralisi del velo e dell’accomodazione. I disturbi del
senso di posizione, l’atassia, l’are essia sono predominanti. Il
de cit motorio è modesto. L’evoluzione è lentamente regressiva.
Non c’è terapia speci ca al di là della prevenzione.
Neuropatie paraneoplastiche
Queste neuropatie compaiono nell’1-2% delle neoplasie
considerando solo le sindromi con espressione clinica evidente.
Malgrado siano relativamente rare, è importante conoscere queste
patologie dal momento che la neuropatia può essere la
manifestazione rivelatrice di una neoplasia occulta di piccole
dimensioni, che richiede indagini approfondite (tomogra a a
emissione di positroni al uorodeossiglucosio) per essere
evidenziata e che a volte è necessario ripetere.
Generalmente si ammette che queste neuropatie siano la
conseguenza di un attacco immunitario diretto contro un antigene
espresso dal tumore e da certe popolazioni neuronali. L’esistenza
di una mediazione immunologica spiega come sindromi identiche
possano essere osservate in assenza di neoplasia.
Neuronopatia sensitiva subacuta di Denny-Brown
Fra le neuropatie paraneoplastiche è quella meglio individuabile,
ma può anche osservarsi in relazione a una sindrome di Sjögren o
in maniera idiopatica.
Si tratta di una ganglionopatia. Le lesioni si trovano nei
gangli spinali e negli omologhi dei nervi cranici: rarefazione dei
neuroni, reazione microgliale, in ltrati in ammatori comportano
una ganglionite. Ne risulta una degenerazione sistematica delle bre
sensitive dei nervi e dei cordoni posteriori del midollo.
Questa neuropatia, la più frequente di quelle che sono
rivelatrici di un tumore, è caratterizzata da una sindrome sensitiva
a esordio subacuto che si estende rapidamente ai quattro arti, con
interessamento precoce delle mani e che può coinvolgere anche il
tronco e la faccia. I disturbi sensitivi soggettivi sono evidenti, di
tipo parestesico o disestesico. Il de cit sensitivo interessa in modo
variabile le diverse modalità sensitive, con una prevalenza per la
sensibilità propriocettiva, e determina un’atassia rapidamente
invalidante. I ri essi tendinei sono aboliti.
Il riscontro di un tasso elevato di anticorpi anti-Hu che legano i
nuclei dei neuroni è molto speci co dell’origine paraneoplastica di
questa neuropatia, ma la presenza di questi anticorpi è incostante.
Il cancro in causa è molto spesso un carcinoma polmonare a
piccole cellule. Inoltre possono entrare in causa altre neoplasie,
come un neuroblastoma o un carcinoma della prostata. Alcune
neuropatie sensitive paraneoplastiche sono anche state associate
con anticorpi anti-CV2 e anti-am sina in pazienti con
microcitoma polmonare o timoma.
L’evoluzione avviene in modo subacuto e comporta
l’allettamento a causa dell’aggravamento della neuropatia e,
spesso, della comparsa di un’encefalomielite paraneoplastica. Un
trattamento precoce e aggressivo del tumore responsabile può
permettere una stabilizzazione dello stato neurologico. Le terapie
immunosoppressive si sono dimostrate poco e caci.
Altre neuropatie paraneoplastiche
Può essere di cile a ermare la natura paraneoplastica di alcune
neuropatie per le quali l’associazione a un cancro può essere
fortuita. La presenza di anticorpi antineuronali è utile per
ricondurre alla neoplasia le sindromi seguenti:
Polineuropatie croniche
Le cause delle polineuropatie croniche sono estremamente
numerose. Malgrado indagini approfondite, la causa resta
indeterminata nel 10-15% dei casi, potendo fare ipotizzare un
processo degenerativo.
Neuropatie carenziali
Polinevrite alcolica
Complica l’alcolismo grave e di vecchia data. La sua comparsa è
favorita dagli squilibri dietetici e dalla presenza di disturbi
digestivi. È la conseguenza di stati policarenziali, nei quali
predomina la carenza di tiamina. Le alterazioni delle bre nervose
predominano sulle bre più lunghe e assumono la forma di una
degenerazione distale retrograda.
Si tratta generalmente di una polinevrite sensitivo-motoria, per
la quale l’inizio è insidioso, contraddistinto da a aticamento
durante la deambulazione, crampi e dolori notturni. Il de cit
motorio è limitato frequentemente agli arti inferiori. È distale,
bilaterale e simmetrico, e predomina nei muscoli della loggia
anterolaterale della gamba (estensore dell’alluce, essione dorsale
del piede), manifestandosi con uno steppage. L’interessamento delle
bre sensitive provoca dolori e ipoestesia super ciale distale per
diversi tipi di stimolo. L’aumento della soglia del dolore contrasta
con l’ipersensibilità allo s oramento della cute e alla pressione
delle masse muscolari (“anestesia dolorosa”). I disturbi della
sensibilità di posizione sono minori, ma possono prevalere in certi
casi (forme atassiche). I ri essi achillei sono aboliti. I ri essi patellari
possono essere conservati. Disturbi tro ci cutanei sono di frequente
riscontro.
Accanto a questa forma progressiva, distale, che colpisce
essenzialmente gli arti inferiori, esistono forme subacute che
provocano paralisi a insorgenza rapida, estese, che coinvolgono
sia la regione prossimale sia le estremità degli arti. Qualche volta il
de cit ha una predominanza prossimale nelle cosiddette forme
pseudomiopatiche. Peraltro, di fronte a un de cit motorio
prevalentemente prossimale bisogna anche pensare alla possibilità
di una miopatia alcolica di cui esistono forme croniche e acute.
Queste ultime possono accompagnarsi a mioglobinuria.
L’associazione alla polinevrite di altre manifestazioni nervose
alcolico-carenziali è frequente: encefalopatia di Gayet-Wernicke,
sindrome cerebellare, disturbi psichici korsakoviani
(psicopolinevrite di Korsako ), neurite ottica favorita
dall’associazione di intossicazione tabagica.
Il trattamento richiede la sospensione completa
dell’assunzione di alcol e la correzione dei disordini nutritivi. La
supplementazione di vitamina B1 deve essere praticata per via
parenterale a causa dei disturbi dell’assorbimento.
Carenza di vitamina B1 e di folati
Polinevriti da carenza di vitamina B1 si possono inoltre osservare,
in assenza di alcolismo, in soggetti sottoposti a regimi dietetici
restrittivi prolungati o a etti da malattie digestive con
malassorbimento e malnutrizione.
Una carenza di folati, che si osserva in condizioni ad analoga
eziopatogenesi, può essere responsabile di neuropatia.
Pellagra
La pellagra è la conseguenza di una carenza più complessa che
coinvolge diversi fattori del gruppo B e particolarmente la
vitamina PP (niacina). Una neuropatia prevalentemente sensitiva,
disturbi psichici (confusione e deterioramento intellettivo) e segni
cutanei (eritemi ed eruzioni bollose) sono frequenti. Vanno
ricordate, come possibili complicanze, le lesioni del midollo spinale
e del tronco encefalico (ipertonia, sindrome piramidale, nistagmo).
Arsenico e tallio
I farmaci arsenicali in grado di provocare una neuropatia oggi non
sono più in uso e le intossicazioni attualmente osservate sono
accidentali o dolose. La neuropatia è una polinevrite sensitivo-
motoria molto simile a quella alcolica ma che richiama l’attenzione
per l’importanza insolita dei dolori. La polinevrite può seguire a
disturbi digestivi (nausea e vomito) quando l’intossicazione è
acuta. L’inizio è invece insidioso quando l’intossicazione è cronica
e con dosi relativamente basse. Un’ipercheratosi palmoplantare e
un aspetto striato delle unghie facilitano la diagnosi che verrà
confermata dal dosaggio dell’arsenico nelle urine (rispecchiante
un’intossicazione in atto) e dal dosaggio nei capelli e nelle unghie
(che permette in certa misura di datare l’intossicazione).
Anche l’intossicazione da tallio è un’intossicazione criminosa.
Generalmente il quadro è quello di una neuropatia delle piccole
bre, molto dolorosa, con compromissione della sensibilità termica
e dolori ca, nonché segni di disautonomia. Occorre sottolineare la
frequente associazione con nevrite ottica e con alopecia che
insorge subito dopo l’intossicazione.
Triortocresilfosfato
Questo tipo di intossicazione è stato osservato sotto forma di
intossicazione collettiva (ginger beer, consumo di olio adulterato).
La polinevrite si instaura in modo subacuto, preceduta da disturbi
digestivi. La sintomatologia motoria predomina. La regressione è
lenta, spesso incompleta; può complicarsi con segni di
concomitante mielopatia (ri essi di difesa, segno di Babinski), che
d’altra parte è stata constatata anatomicamente in casi a
evoluzione mortale.
Piombo
L’intossicazione da piombo può essere professionale o domestica,
di solito nel bambino avviene per ingestione di residui di vernici al
piombo.
La neuropatia si caratterizza per una semiologia quasi
esclusivamente motoria e per la topogra a delle paralisi: questa
infatti colpisce gli estensori dell’arto superiore (paralisi
pseudoradiale che rispetta il lungo supinatore) e i muscoli della
loggia anterolaterale negli arti inferiori, con predominanza dei
peronei. Possono essere coinvolte anche le corde vocali.
Esiste anche un’encefalopatia saturnina osservata
essenzialmente nel bambino, che si manifesta con fenomeni
convulsivi, disturbi della vigilanza e qualche volta un’emiplegia.
Può esistere un edema papillare. L’esame del liquor la cui
pressione è elevata, dimostra un’iperalbuminorrachia e qualche
volta una pleiocitosi.
L’associazione di altri segni di saturnismo (coliche da piombo,
ipertensione, orletto gengivale, anemia con emazie punteggiate)
non è sempre evidente. Il piombo si può dosare nelle urine, nelle
feci, nel liquor. Nei casi dubbi il dosaggio della piombemia su
prelievo in EDTA può essere signi cativo.
Intossicazioni professionali
Tra quelle che possono provocare una polinevrite occorre ricordare
il solfuro di carbonio (vulcanizzazione del caucciù), l’acrilamide
(reagente chimico); taluni diserbanti e insetticidi utilizzati in
agricoltura; solventi quali l’N-esano e il toluene che, oltre nell’uso
industriale, possono essere inalati a scopo “voluttuario”.
Neuropatie da farmaci
Numerosi farmaci sono in grado di indurre una neuropatia. La
tossicità di un farmaco per il nervo periferico può essere
riconosciuta in fase sperimentale (preclinica), ma spesso lo è solo
dopo la sua messa in commercio, il che sottolinea l’importanza
della farmacovigilanza. La responsabilità di un farmaco
nell’insorgenza di una neuropatia può essere di cile da
confermare, in particolare quando viene utilizzato per il
trattamento di una patologia che può essa stessa essere
responsabile di un danno al sistema nervoso periferico. Le
neuropatie da farmaci sono perlopiù di tipo assonale, ma alcuni
farmaci danno luogo a una neuropatia demielinizzante.
Neuropatie amiloidi
Le neuropatie amiloidi sono legate alla presenza di depositi
endoneurali di sostanza amiloide. La diagnosi si basa
sull’evidenziazione della sostanza amiloide in biopsie del nervo o
della mucosa rettale.
Amiloidosi sistemica acquisita (amiloidosi AL o a catene leggere)
Si associano una sindrome del tunnel carpale nel 25% dei casi e
una polineuropatia nel 15-20% dei casi. La polineuropatia, che
può essere rivelatrice della malattia, è generalmente a
predominanza sensitiva, dolorosa e prevalente sulle piccole bre,
con successivo interessamento motorio e soprattutto con
un’importante partecipazione del sistema nervoso autonomo. Le
manifestazioni viscerali sono dominate da lesioni cardiache, renali
e intestinali. È usuale trovare una proteina monoclonale, più
spesso di tipo IgG λ, o una catena leggera isolata, prodotta da una
popolazione monoclonale di plasmacellule, senza altre patologie
associate. Le colorazioni immunoistochimiche del materiale
bioptico mostrano che la sostanza amiloide è costituita da una
catena leggera monoclonale. L’evoluzione è grave e rapida, è
quindi necessario iniziare tempestivamente il trattamento:
un’associazione di melfalan-desametasone oppure la
somministrazione di melfalan ad alte dosi, seguita
dall’autotrapianto di cellule staminali.
Neuropatie amiloidi familiari
Hanno modalità di trasmissione autosomica dominante e sono di
più tipi. La mutazione in causa interessa solitamente il gene della
transtiretina.
La varietà portoghese è stata la prima a essere descritta, ma
esistono altri focolai endemici in Svezia e in Giappone. È
all’origine di una polineuropatia a evoluzione grave, inizialmente
a predominanza sensitiva, che interessa prevalentemente la
sensibilità termodolori ca e determina disturbi neurotro ci e,
spesso, disautonomia. È frequente l’associazione di una lesione
viscerale, a carico del cuore ma anche digestiva, renale e oculare. I
depositi di amiloide sono costituiti da transtiretina, una proteina
secreta principalmente dal fegato. Gli studi genetici hanno
mostrato più di 100 mutazioni diverse del gene di questa proteina;
la sostituzione Val30Met è la mutazione patogena più frequente.
Al di fuori dei focolai endemici, la malattia esordisce più tardi
e spesso in forma sporadica; la semeiologia della polineuropatia,
inoltre, può essere meno caratteristica. L’evidenziazione di depositi
di sostanza amiloide nel nervo e l’identi cazione tramite marker
immunologici della transtiretina sono essenziali per la diagnosi,
che deve essere confermata da studi genetici che consentano a loro
volta di identi care la mutazione responsabile. Il solo trattamento
e cace che permette di arrestare la progressione della malattia è
il trapianto di fegato. Questo attualmente è raccomandato per i
pazienti portatori della mutazione Val30Met sintomatici a uno
stadio relativamente precoce. La ricerca terapeutica è indirizzata
verso molecole che consentano di stabilizzare la struttura
tetramerica della transtiretina, impedendone la dissociazione e la
conseguente formazione di depositi di amiloide.
Per le altre neuropatie amiloidi ereditarie, la proteina
depositata nella sostanza amiloide è rappresentata
dall’apoliproteina A1 o dalla gelsolina.
Neuropatie delle paraproteinemie e delle malattie
proliferative linfoplasmocitarie
Mieloma multiplo
Neuropatie eredodegenerative
Classi cazione
Fra le neuropatie ereditarie è possibile distinguere:
Tipo CMTX
Questa forma, legata al cromosoma X, è perlopiù dominante. Il
gene in causa codi ca la connessina 32 (gap junction protein).
Nei ragazzi la malattia insorge più precocemente e con
maggiore gravità. Le velocità di conduzione motoria presentano
valori intermedi.
Tipo CMT4
Questo tipo raggruppa diverse neuropatie ereditarie autosomiche
recessive e gravi a esordio precoce, che possono essere
demielinizzanti oppure assonali, talvolta con un aspetto di
ipomielinizzazione. Tali neuropatie si riscontrano più spesso nelle
popolazioni in cui la consanguineità è elevata (tunisini, gitani). In
queste forme si ritrova un’eterogeneità genetica. Finora è stata
descritta una decina di sottotipi. Alcuni di essi possono interessare
le corde vocali o il diaframma, oppure comportare una scoliosi
precoce.
Neuropatie sensitive e autonomiche ereditarie
Le neuropatie sensitive e autonomiche ereditarie (NSAE) associano
una lesione di bre sensitive e vegetative, senza lesione motoria.
NSAE tipo I
Il fenotipo di questa neuropatia, la cui trasmissione è autosomica
dominante, corrisponde alla malattia descritta da Thévenard con il
termine di acropatia ulceromutilante. È caratterizzata da una
sindrome neuropatica distale a evoluzione progressiva. Le lesioni
inizialmente sono a carico delle piccole bre mielinizzate e delle
bre amieliniche. Il gene in causa codi ca la serina
palmitoiltransferasi (SPTLC1, 9q22-3).
La malattia esordisce nell’adolescente o nel giovane adulto. La
sindrome tro ca inizia agli arti inferiori con male perforante
plantare, indolente, associato a disturbi vaso- e sudomotori e, più o
meno precocemente, ad artropatie neurogene del piede. La
sindrome neurologica è caratterizzata da un’ipoestesia
termodolori ca con localizzazione distale, mentre è meno costante
il de cit della sensibilità discriminativa. L’are essia achillea è
frequente ma incostante. La lesione degli arti superiori, sempre più
tardiva, è anch’essa incostante.
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Capitolo 10
Patologie midollari
Figura 10.2 Vista laterale del midollo in una sezione sagittale della colonna vertebrale
(Da: Lazorthes et al., 1973).
Sindrome lesionale
Si manifesta con il coinvolgimento di una o più radici e/o della
sostanza grigia al livello della compressione. Il suo valore
localizzatorio è notevole. È caratterizzata da dolori radicolari uni- o
bilaterali accentuati dagli sforzi. Il dolore radicolare costituisce il
principale e, frequentemente, unico sintomo della sindrome
lesionale. Spesso un’indagine più accurata può tuttavia rivelare la
presenza di una semeiologia oggettiva, sotto forma di ipoestesia a
fascia, di paralisi con amiotro a a distribuzione radicolare e,
soprattutto, di abolizione o inversione del ri esso tendineo
corrispondente.
Sindrome sottolesionale
È caratterizzata dall’interruzione funzionale dei fasci midollari
discendenti o ascendenti.
Alterazioni motorie
Secondo il livello di compressione, questi disturbi determinano
l’instaurarsi di una paraparesi o tetraparesi spastica, spesso
asimmetrica. In un primo momento la deambulazione può essere
disturbata solo in maniera intermittente da un’a aticabilità che
sopravviene dopo un certo lasso di tempo, costringendo il soggetto
a fermarsi brevemente: questa condizione di claudicatio
intermittente midollare non è dolorosa. L’esame obiettivo evidenzia
il de cit motorio, l’ipertono spastico, l’esagerazione dei ri essi
tendinei (vivaci, di usi e policinetici) con clono achilleo e rotuleo e
la liberazione dei ri essi di difesa spinali: il segno di Babinski, la
essione dorsale del piede e la reazione di triplice retrazione.
Queste risposte nocicettive si osservano in accompagnamento alla
progressiva estensione della zona re essogena, che nisce per
risalire no al limite topogra co inferiore della compressione.
Segni sensitivi
Al di sotto del livello lesionale possono essere avvertiti dolori,
prevalentemente a carattere costrittivo, e/o parestesie di diverso
tipo, conseguenza della lesione dei cordoni posteriori o delle vie
spinotalamiche. Il de cit sensitivo nel territorio sottolesionale
interessa dapprima la sensibilità termodolori ca. È quindi
essenziale precisarne il limite superiore.
Disturbi s nterici
Sono inizialmente modesti e si limitano a esitazione minzionale,
pollachiuria e minzione imperiosa.
Sindrome rachidea
Una rigidità segmentaria della colonna vertebrale, un dolore
provocato dalla pressione sulle apo si spinose o sui muscoli
paravertebrali costituiscono la sindrome rachidea, che è più
frequente nelle lesioni proprie della colonna ma può presentarsi
anche nei tumori iuxta- o intramidollari.
Varianti semeiologiche
In una fase precoce la semeiologia può richiamare quella di una
sindrome sottolesionale (paraparesi ingravescente) o lesionale
(nevralgia radicolare). Inoltre, la sede della compressione in
rapporto al midollo, tanto trasversalmente quanto in altezza, può
condizionare la presentazione neurologica.
“Trasversalmente”
Compressioni anteriori
Esami complementari
La risonanza magnetica nucleare (RMN) è l’esame di prima scelta
quando si sospetta una compressione midollare. Essa permette di
visualizzare le vertebre, i dischi e il contenuto del canale rachideo.
L’esame deve comprendere sequenze in T1 e T2. Le immagini in T1
danno una buona visione anatomica del midollo circondato dal
liquor, che è ipointenso. In T2 il midollo appare ipointenso rispetto
al liquor. Le lesioni intrarachidee sono perlopiù iperintense in T2.
La somministrazione endovenosa di un mezzo di contrasto
paramagnetico (gadolinio) aumenta spesso l’intensità del segnale
lesionale in T1.
Eziologia e trattamento
Le cause delle compressioni midollari sono molteplici e possono
essere classi cate in due gruppi: extradurali e intradurali
(Fig. 10.3).
Figura 10.3 Schematizzazione dei diversi tipi di compressione midollare. 1)
Neurinoma lateromidollare; 2) meningioma retromidollare; 3) tumore intramidollare; 4)
malattia di Pott con ascesso colliquato verso il canale rachidiano; 5) tumore epidurale; 6)
tumore a clessidra.
Cause extradurali
Metastasi vertebrali ed epidurali
Questa eziologia è molto frequente: viene osservata infatti nel 5%
circa dei pazienti che muoiono a causa di una neoplasia. Nella
grande maggioranza dei casi le metastasi interessano dapprima la
vertebra per invadere successivamente lo spazio epidurale. La
localizzazione epidurale può originare a partire da una lesione
paravertebrale oppure essere primitiva. La compressione midollare
metastatica complica di regola un’a ezione maligna già
conosciuta, ma può anche accadere che la riveli. Le neoplasie della
mammella, del polmone e della prostata contribuiscono al 50% dei
casi. Seguono per frequenza i tumori del rene, del tubo digerente,
della tiroide e i melanomi.
Nel determinismo della compressione midollare intervengono
in modo variabile un fattore osseo quando esiste uno
schiacciamento vertebrale, l’invasione dello spazio epidurale e la
ripercussione sulle vene di drenaggio del midollo. La localizzazione
della compressione è dorsale nel 70% dei casi, lombare nel 20% e
cervicale nel 10%. In più del 90% dei casi la manifestazione
iniziale è un dolore vertebrale o radicolare, continuo o aggravato
dal decubito. Il dolore resta talora a lungo isolato prima che
compaiano i segni di compressione midollare che possono evolvere
rapidamente. Il trattamento con cortisonici e la radioterapia,
instaurati prima che le lesioni midollari diventino irreversibili,
danno spesso buoni risultati, permettendo di evitare la
laminectomia. In alcuni casi, tuttavia, diviene necessaria una
decompressione chirurgica per via anteriore con resezione di un
corpo vertebrale seguita da stabilizzazione.
La compressione midollare è la complicanza neurologica più
frequente della malattia di Hodgkin. È la conseguenza di colate
linfomatose originate da adenopatie regionali che raggiungono lo
spazio epidurale attraverso i forami di coniugazione, potendo o
meno invadere la vertebra. La comparsa di una sindrome
midollare nei pazienti sottoposti a radioterapia deve anche fare
pensare alla possibilità di una mielopatia postradioterapica.
La compressione midollare è anche la complicanza
neurologica più frequente del mieloma, e non di rado ne è
rivelatrice. Il meccanismo più comune è l’in ltrazione dello spazio
epidurale a partenza da una lesione ossea. Più raramente la
compressione midollare è il risultato dello schiacciamento di una
vertebra.
Cause infettive e parassitarie
La tubercolosi vertebrale viene spesso riscontrata nei pazienti
trapiantati e nei Paesi in via di sviluppo. La diagnostica
strumentale per immagini precisa la natura delle lesioni e i fattori
che intervengono nella compressione midollare: distruzione ossea,
ascesso, cifosi. La diagnosi viene confermata con la biopsia.
Quando esistono segni di so erenza midollare il trattamento deve
associare alla chemioterapia antitubercolare un approccio
chirurgico.
Le spondilodisciti batteriche sono causate prevalentemente da
Staphylococcus aureus, ma spesso altri germi sono responsabili:
Escherichia coli, Pseudomonas, Proteus. Le vie di ingresso sono molto
diverse. Il coinvolgimento vertebrale si estende rapidamente ai
dischi adiacenti e la formazione di ascessi perivertebrali è
frequente. Il quadro è dominato da una rigidità dolorosa del
rachide, mentre segni di compressione midollare compaiono solo in
una minoranza dei casi. Una terapia antibiotica intensiva deve
essere intrapresa solo dopo una precisa diagnosi batteriologica, il
che richiede spesso una biopsia. La presenza di segni di
compressione midollare è un’indicazione a un approccio chirurgico
per via anteriore.
Un’epidurite batterica o un ascesso epidurale si veri ca talora
primitivamente in assenza di spondilodiscite. La RMN consente di
formularne precocemente la diagnosi di fronte a una sindrome
dolorosa rachidea acuta, prima che insorgano lesioni midollari
irreversibili. Le lesioni sono abitualmente localizzate nello spazio
epidurale posteriore e necessitano di una laminectomia.
L’idatidosi vertebrale, costituita da numerose vescicole che
invadono lo spazio epidurale, è una causa di compressione
midollare alla quale bisogna pensare di fronte a un soggetto che
proviene da una zona di endemia (Europa del Sud, Medio Oriente).
Nella schistosomiasi un danno midollare può derivare da un
processo granulomatoso o da lesioni mielitiche, le quali in genere
interessano la parte bassa del midollo, in particolare il cono
terminale e/o le radici della cauda equina. Un breve soggiorno in
una zona di endemia può essere su ciente per contrarre la
malattia, soprattutto in occasione di un bagno in acqua dolce. La
diagnosi si basa sul riscontro delle uova nelle feci (Schistosoma
mansoni) o nelle urine (S. haematobium). La terapia con il
praziquantel può permettere un’evoluzione favorevole.
Compressione da ernia discale
Quasi sempre si tratta di un’ernia discale cervicale. Nella maggior
parte dei casi l’ernia, molto laterale, esercita una compressione
monoradicolare nel canale di coniugazione e si manifesta con una
nevralgia cervicobrachiale. Nondimeno, qualche volta l’ernia
comprime il midollo spinale, o per il proprio volume o perché
progredisce in direzione mediana.
L’espulsione dell’ernia avviene in occasione di un movimento
violento all’indietro per azione diretta di un trauma sul rachide
(tu o, incidente stradale), ma a volte la sintomatologia compare
in modo apparentemente spontaneo.
I casi più tipici associano nevralgia cervicobrachiale e
sindrome di Brown-Séquard (compressione anterolaterale).
La RMN mostra la protrusione discale che disloca il midollo a
livello dello spazio intervertebrale.
Il trattamento è chirurgico e l’approccio all’ernia viene
e ettuato per via anteriore.
Altre cause extradurali
Il sarcoma vertebrale è un tumore raro che si osserva soprattutto nel
bambino. Nell’adulto, una terapia radiante pregressa o la malattia
di Paget sono fattori favorenti.
Il cordoma è un tumore che si sviluppa a partire da residui
della notocorda primitiva. Il sacro e il clivus sono le sedi elettive.
Le localizzazioni vertebrali interessano soprattutto la regione
cervicale.
I tumori vertebrali benigni come l’emangioma vertebrale, la cisti
aneurismatica delle ossa e i tumori gigantocellulari sono rare cause
di compressione midollare.
La malattia di Paget interessa talora il midollo a seguito del
restringimento del canale rachideo, le cui pareti sono ispessite, e di
un’ischemia relativa, secondaria all’ipervascolarizzazione ossea. Il
trattamento con calcitonina può portare alla regressione dei segni
di compressione.
La spondilite anchilosante e soprattutto l’artrite reumatoide nella
sua localizzazione atloassiale si complicano talora con una
compressione midollare.
Un’ematopoiesi ectopica, che complica alcune anemie croniche
(β-talassemia omozigote), può svilupparsi nello spazio epidurale e
provocare compressione midollare. Lo stesso si veri ca per la
lipomatosi epidurale, che è abitualmente indotta da corticosteroidi e
può complicare una malattia di Cushing o un trattamento
corticosteroideo protratto.
Cause intradurali
È opportuno distinguere fra i tumori intramidollari e i tumori
extramidollari, che sono di gran lunga i più frequenti.
Tumori extramidollari
I più frequenti sono i meningiomi e i neurinomi, tumori benigni a
evoluzione molto lenta la cui prognosi è eccellente se l’exeresi è
precoce. Alla RMN queste lesioni appaiono sotto forma di
immagini arrotondate o ovalari, quasi isointense rispetto al
midollo in T1 e in T2, che presentano un aumento del segnale in
T1 dopo somministrazione di gadolinio.
Meningioma
Si tratta di un tumore impiantato sulla dura madre, di forma
globosa, abitualmente ben incapsulato. L’inserzione avviene di
solito in posizione laterale vicino alle digitazioni del legamento
denticolato, ma può anche essere anteriore o, raramente,
posteriore. La localizzazione a livello dorsale è la più frequente,
seguita da quella cervicale. Il meningioma del forame occipitale
può associare segni di lesione intracranica a una compressione del
midollo cervicale alto, le cui prime manifestazioni interessano
spesso gli arti superiori. La localizzazione lombare non si osserva
praticamente mai.
Il meningioma è quattro volte più frequente nella donna che
nell’uomo, a causa dell esistenza di recettori ormonali a livello di
questi tumori.
Neurinoma
Nella maggior parte dei casi il neurinoma (o schwannoma) si
sviluppa nello spazio intradurale a partire da una radice, di solito
sensitiva (Fig. 10.4). Il neurinoma è di regola un tumore singolo.
Neurinomi multipli possono essere osservati nel caso di
neuro bromi.
Figura 10.4 Neurinoma dorsale. Da notare la connessione con una radice dorsale e lo
schiacciamento laterale del midollo spinale.
(Da: Escourolle e Poirier, 1977)
Tumori intramidollari
Fra i tumori intramidollari, i più frequenti sono gli astrocitomi e gli
ependimomi; a volte, nel quadro della malattia di Von Hippel-
Lindau, sono possibili anche gli emangioblastomi. Rare, invece, le
metastasi intramidollari. La sintomatologia di questi tumori
intramidollari si presenta spesso in maniera atipica, data la
generale assenza di una sindrome radicolare ben caratterizzata.
D’altro canto possono dare luogo a una sindrome lesionale sospesa
di tipo siringomielico.
La RMN è indispensabile per la diagnosi e per valutare
l’estensione e la componente cistica di un astrocitoma o di un
emangioblastoma.
Compressioni della cauda equina
Mielopatia cervicale
Eziologia
Le mielopatie cervicali sono la conseguenza di un restringimento
anomalo del canale rachideo, che può essere congenito o acquisito,
in relazione a rimaneggiamenti artrosici e/o a ispessimenti
legamentosi. Le ripercussioni sul midollo non derivano da una
compressione diretta. Il midollo è alterato dapprima
funzionalmente, poi strutturalmente, a causa dei microtraumatismi
che subisce durante i movimenti del collo. Si ammette
generalmente la partecipazione di un disturbo circolatorio al
determinismo delle lesioni.
L’esistenza di un’anomalia della “cerniera” craniospinale
favorisce la comparsa di una so erenza a livello del midollo
cervicale alto.
Quadro clinico
I disturbi compaiono solitamente in un soggetto di oltre 50 anni
che spesso ha so erto in passato di cervicobrachialgie. I disturbi si
concentrano spesso sugli arti superiori in relazione con la sindrome
lesionale sospesa e sono caratterizzati da de cit motorio,
amiotro a più o meno estesa e de cit sensitivo. I ri essi tendinei
corrispondenti al livello lesionale possono essere aboliti o esagerati
a causa della coesistenza di una sindrome piramidale che può in
egual modo giusti care l’inversione di un ri esso. Tuttavia, un
danno del midollo cervicale alto può determinare la sindrome della
“mano go a-astereognosia”. È spesso associato un segno di
Lhermitte.
Agli arti inferiori la sindrome sottolesionale è caratterizzata da
una sindrome piramidale responsabile di paraparesi spastica. I
disturbi s nterici sono incostanti e generalmente poco marcati. Il
de cit sensitivo sottolesionale resta spesso modesto. La RMN
permette di visualizzare il midollo, di valutare le dimensioni del
canale spinale e di obiettivare i rapporti tra il cordone midollare e
le protrusioni discali, osteo tiche e legamentose. Un segnale
iperintenso in T2 in sede intramidollare deve fare temere la
presenza di lesioni midollari irreversibili.
Indicazioni terapeutiche
Il riposo del rachide cervicale, favorito dall’applicazione di una
minerva, può determinare un marcato miglioramento. Se il
risultato è insu ciente e le condizioni neurologiche tendono ad
aggravarsi occorre considerare un’indicazione chirurgica, il cui
scopo è di ristabilire uno spazio su ciente, da entrambi i lati del
midollo, per porlo al riparo dei possibili danni in seguito ai
movimenti del collo. A seconda dei casi questo obiettivo viene
raggiunto sia mediante intervento sui dischi e i corpi vertebrali,
per accesso anteriore, sia mediante una laminectomia che deve
essere estesa in altezza interessando più archi posteriori.
Siringomielia
Anatomia patologica
La cavità siringomielica occupa la regione centrale del midollo
(Fig. 10.5). Essa raggiunge il suo massimo sviluppo nel segmento
medio del midollo cervicale. Cranialmente, spesso si arresta al
secondo segmento cervicale. Caudalmente si prolunga nel midollo
dorsale e può talora raggiungere il tratto lombare. All’interno della
sostanza grigia la cavità si estende, spesso in maniera asimmetrica,
nel contesto delle corna posteriori e anteriori del midollo,
mantenendosi nelle vicinanze delle vie di conduzione motorie e
sensitive.
Sindrome sospesa
Dissociazione della sensibilità
Sindrome sottolesionale
Questa sindrome manifesta le ripercussioni della cavità
siringomielica sulla sostanza bianca del midollo spinale.
Generalmente è moderata e solo di rado assume l’aspetto di una
grave paraplegia spastica.
Figura 10.6 Cavità siringomielica. RMN pesata in T2. Discesa delle tonsille
cerebellari che impegnano la cisterna magna in associazione a una siringomielia cervicale.
Patogenesi
Generalmente è ammessa la teoria che la siringomielia sia la
conseguenza di una perturbazione della circolazione liquorale, la
cui causa ha solitamente sede al livello del forame occipitale.
Una malformazione di Chiari di tipo 1 (Cap. 21) viene
riscontrata in due terzi-tre quarti dei casi di siringomielia. In
assenza di malformazione di Chiari, gli studi morfometrici nelle
siringomielie idiopatiche hanno evidenziato dimensioni
insolitamente ridotte della fossa posteriore, che possono essere
responsabili di anomalie nella circolazione del liquor: il termine
malformazione di Chiari zero è stato quindi proposto per descrivere
questa situazione.
A causa dei disturbi circolatori esistenti a livello della cisterna
magna, gli sbalzi di pressione che si veri cano negli spazi
subaracnoidei perimidollari potrebbero non essere ammortizzati
normalmente. Di conseguenza, il liquor penetrerebbe all’interno
del midollo in ltrandovisi a partire dagli spazi perivascolari di
Wirchow-Robin e la siringomielia si svilupperebbe dal basso verso
l’alto.
Questo meccanismo idrodinamico può rendere conto anche
delle cavità siringomieliche ascendenti che possono complicare un
blocco intrarachideo del liquor nel corso di una meningite o di un
trauma rachidiano.
Trattamento
La terapia medica è puramente sintomatica. Il trattamento
chirurgico deve essere prospettato tenendo in gran conto il
carattere più o meno evolutivo della siringomielia. L’esistenza di
una malformazione di Chiari o di un’anomalia della cisterna
magna può indirizzare a un intervento volto a ripristinare la
normale circolazione del liquor a tale livello: laminectomia
cervicale, apertura del forame occipitale e della parte inferiore
della fossa cerebellare. Una semplice incisione verticale del
midollo spinale tra i cordoni posteriori è stata utilizzata con
successo in alcune forme rapidamente evolutive di siringomielia.
Una derivazione ventricolare è indicata allorché vi sia idrocefalo.
In alcuni casi particolari si può prospettare una derivazione
siringo-peritoneale.
Carenza di rame
Può essere responsabile di una degenerazione subacuta combinata
del midollo simile a quella provocata dalla carenza di vitamina
B12. È possibile riscontrare una neuropatia ottica associata. Le
anomalie biologiche correlate alla riduzione della cupremia
comprendono un basso tasso di ceruloplasmina, secondario alla
carenza di rame, pancitopenia e talvolta un elevato tasso di zinco
nel siero. Le cause sono da ricercarsi in una sindrome da
malassorbimento, una nutrizione parenterale prolungata o la
somministrazione di chelanti del rame, alle quali si aggiungono la
chirurgia gastroduodenale e, in particolare, la chirurgia bariatrica.
Può essere inoltre implicato un apporto eccessivo di zinco, che
entra in competizione con l’assorbimento del rame, sia che tale
elemento venga somministrato intenzionalmente per il
trattamento di una degenerazione epatolenticolare sia che venga
assunto involontariamente con determinati dentifrici. Una
supplementazione di rame permette di rallentare il deterioramento
neurologico e, talora, di ottenere un miglioramento.
Mielopatie paraneoplastiche
Infarti arteriosi
L’arteria spinale anteriore origina a livello del forame occipitale
dall’unione dei due rami discendenti spinali anteriori originati
dalle arterie vertebrali (Fig. 10.7). L’arteria spinale anteriore
decorre quindi nella scissura mediana anteriore del midollo no
alla porzione inferiore del cono. Essa è alimentata solamente da 4-
8 arterie radicolomidollari anteriori, che arrivano al midollo sia
dal lato destro sia dal lato sinistro con ripartizione ineguale. Nella
regione toracolombare il midollo è vascolarizzato da un’arteria
radicolomidollare dominante, l’arteria di Adamkiewicz, che
abitualmente segue una radice anteriore tra D9 e D11, più spesso
la radice D10 di sinistra. L’arteria di Adamkiewicz di regola
assicura da sola la vascolarizzazione del midollo lombosacrale.
Figura 10.7 Vascolarizzazione dei diversi segmenti del midollo spinale
Infarti venosi
Gli infarti venosi del midollo spinale sono rari. Le trombosi venose
responsabili possono localizzarsi nelle vene intra- e perimidollari o
nelle vene epidurali. Gli infarti venosi hanno spesso un carattere
emorragico e un esordio acuto; la loro estensione in altezza e
larghezza è maggiore di quella che si osserva abitualmente negli
infarti di origine arteriosa. Vi sono tuttavia alcuni casi di infarti
venosi non emorragici la cui evoluzione può essere più progressiva
e il cui aspetto alla RMN può evocare una lesione tumorale. Gli
accidenti da decompressione sono causa più spesso di infarti
midollari che non di infarti cerebrali. Il meccanismo che li
determina è la formazione di bolle dai gas disciolti nelle vene
midollari, in particolare quelle epidurali. Alcuni casi di infarto
venoso sono stati osservati in seguito a terapia sclerosante delle
varici esofagee e sarebbero riconducibili a una trombosi retrograda
verso le vene azygos e le vene di drenaggio del midollo.
Ematomi intrarachidei
L’ematoma epidurale spinale, come pure il molto meno frequente
ematoma subdurale spinale, si manifesta con dolori intensi del
rachide a irradiazione radicolare, seguiti da una sindrome da
compressione midollare o della cauda equina. Queste lesioni, per le
quali è indicato il trattamento chirurgico in urgenza, possono
veri carsi dopo un traumatismo spesso di poco conto, dopo una
puntura lombare, oppure spontaneamente, soprattutto in pazienti
con alterazioni della coagulazione o in terapia anticoagulante.
L’ematomielia, de nita come lo sviluppo di una raccolta
ematica all’interno del midollo spinale, può manifestarsi con una
sindrome di sezione trasversa midollare o con un quadro, meno
grave, di lesione centromidollare. L’ematomielia è più
frequentemente di origine traumatica; eccezionalmente è
spontanea. In quest’ultimo caso si impone la ricerca di una
malformazione vascolare del midollo.
Sclerosi multipla
La sclerosi multipla è una causa frequente di mielite acuta
trasversa parziale. Alla RMN la lesione è abitualmente di piccole
dimensioni, localizzata nella regione laterale o posteriore del
midollo, nella maggior parte dei casi a livello cervicale. Gli
elementi di rilevanza diagnostica sono la messa in evidenza di
lesioni di demielinizzazione multifocale nella RMN encefalica, la
presenza di bande oligoclonali nel liquor e l’assenza di elementi
clinici e biologici a favore di una malattia sistemica.
Sindrome di Sjögren
Le manifestazioni neurologiche della sindrome di Sjögren primitiva
interessano soprattutto il sistema nervoso periferico. Le lesioni del
sistema nervoso centrale, osservate nel 6-20% dei casi, possono
interessare il midollo. Le mielopatie della sindrome di Sjögren, a
volte rivelatrici della malattia, possono avere evoluzione acuta o
cronica, oppure remittente-recidivante, simulando la sclerosi
multipla. Vi si associa spesso una lesione del nervo ottico che
determina una sindrome da neuromielite ottica. Nelle forme acute,
la lesione midollare è generalmente grave, sotto forma di mielite
acuta trasversa. La RMN midollare mostra una lesione che è
frequentemente cervicodorsale, estesa in altezza per più corpi
vertebrali, con predominanza centromidollare nelle sezioni assiali.
Il liquor è in ammatorio con pleiocitosi spesso superiore alle
30 cellule/mm3 e con proteinorrachia talvolta superiore a 1 g/L,
ma generalmente senza un pro lo oligoclonale. Se la mielite è la
manifestazione di esordio, va considerato il problema di diagnosi
di erenziale con una sclerosi multipla a esordio midollare. Occorre
pertanto ricercare sistematicamente la presenza dei criteri clinici
(sindrome secca), laboratoristici (anticorpi anti-SSA e SSB) e
istologici (biopsia delle ghiandole salivari accessorie) della
sindrome di Sjögren. La distinzione è importante per la prognosi e
il trattamento. A breve termine, la probabilità di una remissione
spontanea o grazie al solo trattamento con cortisonici è minore nel
caso di una mielite acuta legata alla sindrome di Sjögren che in
quello di una mielite acuta come primo evento clinico di una
sclerosi multipla. La potenziale gravità della malattia, insieme al
fatto che le lesioni del sistema nervoso centrale della sindrome di
Sjögren sembrano essere legate a fatti vasculitici, giusti ca un
trattamento più aggressivo, come ad esempio l’associazione
clorambucile-prednisone, o il ricorso a plasmaferesi. Nel lungo
termine, la diagnosi di mielite correlata alla sindrome di Sjögren
ovviamente esclude l’inizio della terapia immunomodulante
impiegata nella sclerosi multipla.
Altre malattie sistemiche
Le localizzazioni midollari della neurosarcoidosi possono portare
allo sviluppo di una mielite a evoluzione subacuta. Una
meningoencefalite è la complicanza neurologica più frequente
della malattia di Behçet. Sono inoltre possibili lesioni midollari, a
volte isolate e rivelatrici. Le lesioni sono probabilmente la
conseguenza di una vasculite che colpisce prevalentemente le vene
di piccolo calibro.
Le vasculiti sistemiche (panarterite nodosa) possono essere
responsabili, in casi eccezionali, di lesioni midollari. La
presentazione è quella di un infarto midollare se la vasculite
interessa le arterie di grande e medio calibro, oppure di una
mielite se la lesione interessa i piccoli vasi.
Semeiologia
L’espressione clinica dell’ischemia midollare cronica può prendere
la forma di claudicatio intermittente midollare o di
mieloradicolopatia progressiva.
Claudicatio intermittente midollare
Cause
Coartazione dell’aorta
Mielopatia postradioterapica
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1Nel sospetto di un malassorbimeno di vitamina B12 può essere utile il dosaggio degli
anticorpi anti-cellule parietali gastriche per identi care una gastrite atro ca (N.d.C.).
Capitolo 11
Sclerosi multipla
Neuropatologia
Correlazioni anatomofunzionali
L’insorgenza di nuovi sintomi che de niscono un’esacerbazione
della malattia fa da corollario alla comparsa di nuove lesioni. I
sintomi possono essere contemporanei al processo in ammatorio
iniziale (alterazione della barriera ematoencefalica, edema),
ancora prima che si attui la demielinizzazione.
Diversi fattori possono contribuire al recupero, almeno
parziale, che si osserva dopo l’esacerbazione: regressione del
processo in ammatorio, rimielinizzazione e recupero della
capacità di conduzione da parte degli assoni demielinizzati. In
e etti, dopo un episodio di demielinizzazione, è possibile che un
certo grado di conduzione venga ripristinato grazie all’espressione,
sulla membrana del segmento assonale demielinizzato, di un
numero abnormemente elevato di canali del sodio voltaggio-
dipendenti. La precarietà della conduzione a livello di questi assoni
potrebbe spiegare il contrasto osservato in alcuni pazienti tra la
ricchezza della sintomatologia funzionale (a aticabilità, parestesie,
ecc.) e la scarsità dei segni di danno neurologico permanente.
Analogamente, le manifestazioni transitorie (amaurosi, paresi,
disturbi di coscienza, ecc.) la cui comparsa è favorita dall’ipertermia
potrebbero spiegarsi con la labilità della conduzione nervosa
all’interno dei focolai di demielinizzazione (fenomeno di Utho ).
L’aggravamento della disabilità lungo il decorso della malattia
è estremamente variabile nei singoli individui, rendendo di cile
una valutazione prognostica. L’evoluzione è in uenzata da due
elementi: le esacerbazioni, ciascuna delle quali può determinare un
de cit permanente, ma anche lo sviluppo di lesioni
neurodegenerative, che probabilmente contribuiscono in maniera
preponderante alla fase di aggravamento progressivo (Fig. 11.2).
Figura 11.2 Ruolo rispettivo delle esacerbazioni e dell’aggravamento progressivo
nell’evoluzione della sclerosi multipla
(Da: Confavreux, 2006).
Quadro clinico
Modalità di esordio
Il primo attacco di una sclerosi multipla, nella sua forma classica
esacerbante-remittente, può avere aspetti assai di erenti. Il
sintomo o i sintomi iniziali possono essere compatibili con una
singola lesione focale (“sindrome clinica isolata”) o indicare n da
subito il carattere multifocale della malattia. Essi si instaurano in
modo rapidamente progressivo entro pochi giorni. L’elenco delle
manifestazioni iniziali non può essere esaustivo, poiché esse
possono interessare qualsiasi parte del sistema nervoso centrale. In
particolare rientrano tra queste i disturbi sensitivi che indicano in
genere una compromissione del sistema lemniscale, la riduzione
rapida dell’acuità visiva di un occhio, i disturbi motori di tipo
de citario o atassico, i sintomi riconducibili a una lesione del
tronco encefalico (diplopia, vertigini, de cit di equilibrio) e i
disturbi genitos nterici.
La frequenza delle diverse manifestazioni cliniche è indicata
nella Tabella 11.1.
Tabella 11.1 Frequenza delle manifestazioni cliniche durante la SM
Oftalmoplegia 17%
internucleare
Disartria 50%
Alterazioni motorie
L’interessamento della via piramidale è responsabile di un de cit
motorio, mono- o bilaterale, la cui distribuzione è talora
emiparetica, più spesso paraparetica. Il de cit motorio è associato
a una sindrome piramidale ri essa: segno di Babinski mono- o
bilaterale, abolizione dei ri essi addominali, iperre essia tendinea.
L’associazione della paraparesi a disturbi sensitivi con un
livello superiore e disturbi s nterici indica un’iniziale
localizzazione a livello midollare. I disturbi s nterici possono
essere predominanti se la lesione è a livello del midollo sacrale.
Eccezionalmente la presentazione iniziale può essere una
paraplegia accida indicativa di un interessamento in forma di
mielite trasversa acuta.
L’interessamento del cervelletto o delle vie cerebellari può dar
luogo a disturbi dell’equilibrio e della coordinazione motoria, che
al massimo grado possono determinare la comparsa di un tremore
intenzionale, e a disartria con parola scandita.
L’a aticabilità può essere assimilata ai disturbi motori. Questa
manifestazione, pressoché costante nel corso dell’evoluzione, può
comparire precocemente.
Manifestazioni parossistiche
L’epilessia, in diverse forme, colpirebbe circa il 5% dei malati.
Questa incidenza, più elevata che nella popolazione generale,
sembra indicare che talune placche vicine alla corteccia possano
essere epilettogene.
L’epilessia deve essere distinta dai fenomeni parossistici brevi
che si possono ripetere numerose volte in un determinato lasso di
tempo. Si tratta prevalentemente di accessi di contrattura tonica di
un emicorpo scatenati elettivamente da uno sforzo volontario
(distonia cinesigenica). Talvolta si associa una disartria
parossistica. In linea di massima, l’EEG non è modi cato. Questi
fenomeni sono notevolmente sensibili all’azione della
carbamazepina.
Evoluzione
Diagnosi
Potenziali evocati
In presenza di un primo evento clinico isolato, i potenziali evocati
possono comprovare il carattere multifocale del processo
patologico, ma non la disseminazione nel tempo. L’uso
generalizzato della RMN ne ha ridotto l’interesse ai ni diagnostici
della SM a eccezione dei potenziali evocati visivi:
Liquor
In un terzo dei casi si osserva una pleiocitosi dell’ordine di 5-30
linfociti per mm3, di regola inferiore ai 50 linfociti per mm3. La
proteinorrachia è aumentata all’incirca nel 40% dei casi, ma
raramente supera 0,7 g/L. Una sintesi intratecale di
immunoglobuline con distribuzione oligoclonale, presente nei tre
quarti dei casi, è suggestiva ma non speci ca e può essere anche
osservata, in particolare, nelle seguenti condizioni: panencefalite
sclerosante subacuta, neurosi lide, neuroAIDS, neuroborreliosi,
neuroBehçet, neurolupus, neurosarcoidosi, adrenoleucodistro a.
Diagnosi di erenziale
Sindrome di Sjögren
Nel 15% dei soggetti a etti da una forma progressiva primaria di
SM è stata riscontrata una sindrome di Sjögren. Il quadro dei
disturbi neurologici è spesso quello di una mielite acuta trasversa.
Neurosarcoidosi
Lesioni localizzate nel midollo, nel tronco encefalico o nel nervo
ottico possono essere fuorvianti. Un aumentato livello di enzima di
conversione dell’angiotensina (ACE) nel sangue o nel liquor è un
dato che può orientare la diagnosi. Questa deve tuttavia essere
confermata dall’evidenza, preferibilmente tramite biopsia, di una
localizzazione periferica di lesioni granulomatose costituite da
cellule epitelioidi, elementi linfoplasmocitari e cellule giganti.
NeuroBehçet
La malattia di Behçet è una vasculite che può dare luogo a lesioni
multifocali del sistema nervoso centrale, in particolare del tronco
encefalico o del midollo, e che ha un decorso esacerbante. Il liquor
è in ammatorio. È opportuno ricercare altri segni della malattia:
afte orali o genitali, uveite, manifestazioni articolari, cutanee,
sindrome in ammatoria. L’aplotipo HLA B51 è riscontrato nella
maggioranza dei casi. La malattia ha un’evoluzione spontanea con
esacerbazioni ripetute che aggravano il quadro neurologico. La
prognosi risente favorevolmente della terapia cortisonica a
posologia elevata, associata a immunosoppressori e anticoagulanti
nelle forme con trombosi venosa cerebrale.
Epidemiologia ed eziopatogenesi
Fattori genetici
Il rischio di sviluppare una SM è aumentato nei familiari di un
paziente a etto da questa malattia: in un parente di primo grado
esso è da 20 a 40 volte più alto rispetto alla popolazione generale.
Le forme familiari non sono peraltro la conseguenza di una
trasmissione mendeliana della malattia, ma ri ettono l’esistenza di
geni, probabilmente multipli, determinanti la suscettibilità: alcuni
di questi sono alleli del gruppo HLA di classe II. In particolare è
stata osservata l’associazione con l’aplotipo HLA-Dw2.
Fattori ambientali
La tendenza al raggruppamento di casi in cluster all’interno di una
stessa regione geogra ca potrebbe indicare l’esposizione a un
agente patogeno comune. Occorre soprattutto insistere sulla
disuguale ripartizione geogra ca della malattia. La SM è rara nelle
regioni tropicali e subtropicali, mentre è frequente nelle regioni
temperate, nelle quali la sua prevalenza varia in funzione della
latitudine. In Europa la SM ha una prevalenza di 12/100.000 nelle
regioni del bacino del Mediterraneo e di 45/100.000 nell’Europa
centrale e nelle regioni scandinave. Nell’interpretare questi dati
bisogna tenere conto dell’interdipendenza dei fattori etnici e
geogra ci.
Numerosi studi sulla migrazione di popolazioni hanno
mostrato che gli immigrati sviluppano un tasso di prevalenza
paragonabile a quello della popolazione indigena. Secondo alcuni
studi la modi cazione del rischio dipenderebbe dall’età alla quale è
avvenuta la migrazione, suggerendo che un ipotetico fattore
ambientale di suscettibilità interverrebbe nei primi anni di vita.
Numerose infezioni contratte nella prima infanzia potrebbero
tuttavia avere un e etto protettivo, mentre l’infezione da virus di
Epstein-Barr sembra costituire un fattore di rischio.
È stato dimostrato che il tasso plasmatico di vitamina D nei
pazienti a etti da SM risulta notevolmente ridotto rispetto ai
soggetti di controllo. Il signi cato di questo dato è oggetto di
dibattito: da un lato è stato proposto che il de cit di vitamina D
possa favorire l’insorgenza e l’evoluzione della SM, dall’altro si
ipotizza che la causa sia legata alla minore esposizione solare dei
soggetti a etti dalla patologia.
Trattamento
Trattamenti immunosoppressivi
Il metotrexato e l’azatioprina (disponibili ma non registrati in Italia
per la terapia della SM) sono talvolta utilizzati per il trattamento,
in particolare, delle forme primarie progressive. In questi casi si è
talvolta fatto ricorso a trattamenti protratti con metilprednisolone
o immunoglobuline ev.
Il mitoxantrone è indicato nelle forme di malattia
particolarmente aggressive, de nite tali in base all’elevata
frequenza di attacchi con sequele o alla rapida progressione della
disabilità. Il suo utilizzo è messo in discussione a causa della
cardiotossicità della sostanza e del rischio di leucemia.
Il natalizumab è un anticorpo monoclonale che si ssa
sull’integrina α4 e limita l’ingresso dei linfociti attivati nel sistema
nervoso centrale. Gli studi iniziali hanno dimostrato un’e cacia
marcata (riduzione del 60% della frequenza degli attacchi e del
24% della progressione della disabilità). L’osservazione di alcuni
casi di una grave complicanza (leucoencefalopatia multifocale
progressiva) ha tuttavia portato a riservarne l’indicazione alle
forme aggressive della SM.3 Il rischio di leucoencefalopatia
multifocale progressiva (Progressive Multifocal Leukoencephalopathy,
PML) è stato quanti cato pari a 1/1.000 nei primi due anni di
trattamento, con la possibilità di aumentare a 1/500 se il
trattamento è prolungato oltre i due anni. L’individuazione nel
siero o nelle urine del DNA del virus JC, responsabile della PML,
non consente la previsione di tale rischio. Tuttavia, gli studi basati
sulla titolazione sierica degli anticorpi anti-JCV mostrano che il
rischio di sviluppare una PML dopo 18 mesi di trattamento è
nell’ordine di 0,33/1.000 nei pazienti sieronegativi e di 2,67/1.000
in quelli sieropositivi. Il sospetto di PML in un paziente trattato
con natalizumab impone l’interruzione del trattamento e
l’esecuzione di un ciclo di plasmaferesi al ne di eliminare
rapidamente la sostanza, peraltro con il rischio che tale intervento
provochi l’insorgenza di una sindrome di ricostituzione
immunitaria. In linea generale, l’interruzione della terapia con
natalizumab è seguita entro qualche mese dalla ripresa
dell’evoluzione della malattia al ritmo antecedente l’inizio della
terapia.
Altri trattamenti modi canti il decorso della malattia sono in
fase di studio: anticorpi monoclonali e trattamenti orali quali
ngolimod e cladribina. Il ngolimod, agonista dei recettori S1P
(s ngosina-1-fosfato), agisce bloccando l’uscita dei linfociti dai
linfonodi.4 La cladribina, un analogo delle purine, ha un e etto
linfotossico. Questi trattamenti sembrano avere un’e cacia
superiore rispetto ai farmaci immunomodulanti in termini di
riduzione del numero di esacerbazioni. Tale vantaggio dovrà essere
rapportato ai rischi correlati alle terapie.
Neuroprotezione
Nonostante l’e cacia dei farmaci immunomodulanti e
immunosoppressori sul processo in ammatorio e sulle
esacerbazioni sia indiscutibile, l’e etto a lungo termine di tali
trattamenti sulla degenerazione neuronale è piuttosto controverso.
Per altro, alcuni studi suggeriscono che il processo in ammatorio,
al di là dei suoi e etti deleteri, potrebbe avere ripercussioni
positive in termini di rimielinizzazione e neuroprotezione, un
ambito quest’ultimo attualmente al centro di molte ricerche
terapeutiche.
Trattamenti sintomatici
La spasticità può essere ridotta con il baclofene o il dantrolene e,
nei casi gravi, con la tossina botulinica. Il trattamento dei disturbi
minzionali deve essere praticato dopo valutazione urodinamica. La
minzione imperiosa, spesso associata a incontinenza, è legata a
iperattività detrusoria e può giovarsi del trattamento con
anticolinergici quali l’ossibutinina, monitorando il residuo
postminzionale. Il baclofene, prescritto per la spasticità, e gli
antidepressivi triciclici, prescritti per il trattamento dei disturbi
dell’umore o dei dolori, possono esercitare un e etto favorevole
anche su questo sintomo. La ritenzione, più rara, può essere la
conseguenza di un’ipoattività del detrusore, ma più spesso è il
risultato di una dissinergia vescicos nteriale in relazione a un
ipertono dello s ntere, che può essere migliorata da un α-
bloccante come l’alfusozina o può rendere necessari
autocateterismi intermittenti. Le manifestazioni parossistiche della
SM, quali crisi ipertoniche o discinetiche, segno di Lhermitte o
nevralgia del trigemino, sono generalmente sensibili alla
carbamazepina. Gli stati depressivi rispondono ai triciclici o agli
inibitori della ricaptazione della serotonina. La sioterapia e la
medicina della disabilità permettono, se non di ridurre i de cit,
almeno di migliorare la qualità della vita.
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2In Italia la prescrizione dei farmaci immunomodulanti per il trattamento della SM deve
essere e ettuata da Centri specializzati e autorizzati dalle Autorità sanitarie, ai quali
compete certi care l’esistenza delle condizioni di prescrivibilità e rimborsabilità della
terapia, conformemente a quanto riportato nelle schede tecniche dei farmaci e in
relazione alle modalità di evoluzione e al grado di disabilità (N.d.C.).
Quadro clinico
Le presentazioni cliniche della SLA di eriscono in funzione della
localizzazione iniziale del de cit e dell’importanza relativa
dell’interessamento del motoneurone periferico e di quello
centrale.
Modalità di esordio
L’insorgenza è localizzata, il più delle volte, alla parte distale di un
arto. Facendo seguito alla localizzazione iniziale, la malattia
progredisce insidiosamente estendendosi ad altri distretti sia omo-
sia controlaterali.
Esordio spinale
L’esordio spinale, a carico di un arto, è il più frequente (due terzi
dei casi).
L’interessamento dell’arto superiore inizia abitualmente con
un’ipostenia della mano e un’amiotro a degli interossei, che
determinano via via la comparsa di un aspetto ad artiglio della
mano.
L’interessamento iniziale dei muscoli del cingolo scapolare è
raro. L’interessamento dell’arto inferiore inizia abitualmente nella
loggia anteroesterna con tendenza allo steppage.
Nella forma pseudopolinevritica l’interessamento degli arti
inferiori è bilaterale e si accompagna inizialmente all’abolizione
dei ri essi achillei. Gli elementi distintivi sono l’interessamento
asimmetrico, l’assenza di disturbi sensitivi oggettivi e la presenza
di fascicolazioni.
Esordio bulbare
L’esordio bulbare è osservato in circa un terzo dei casi. Esso
manifesta una lesione dei nuclei motori dei nervi cranici che
risparmia la metà superiore della faccia e la motilità oculare.
La paralisi progressiva della lingua, che è atro ca e sede di
fascicolazioni, del velo palatino, della laringe, della faringe, dei
muscoli periorali e masticatori costituisce la paralisi
labioglossofaringea. Le prime manifestazioni sono costituite da
disturbi dell’articolazione verbale e della fonazione (la parola
diventa disartrica e poi nasale) o, più raramente, della
deglutizione. Talora esiste un certo grado di di coltà respiratoria
dovuta alla paresi dei muscoli dilatatori della glottide o una
paralisi diaframmatica che può comparire precocemente.
Alla sindrome bulbare si associa abitualmente una sindrome
pseudobulbare che manifesta la lesione del motoneurone centrale.
Questa sindrome contribuisce ai disturbi funzionali, in particolare
alla disartria. Può manifestarsi anche con riso e pianto spastico e
iperattività del ri esso masseterino.
Esami complementari
L’esame elettro siologico è uno strumento essenziale per la diagnosi.
Conferma il carattere neurogeno periferico dell’amiotro a
dimostrando la presenza di fascicolazioni, un tracciato
interferenziale “impoverito”, potenziali di grande ampiezza che
esprimono l’inglobamento da parte delle unità motorie sane di
bre muscolari appartenenti alle unità motorie vicine denervate.
Esso permette inoltre di dimostrare la di usione del processo
neurogeno in territori apparentemente sani.
Le velocità di conduzione nervosa motoria e sensitiva sono
normali o leggermente ridotte. La lesione del motoneurone
centrale può essere oggettivata studiando, mediante stimolazione
magnetica transcranica, i potenziali evocati motori.
Il liquor di solito è normale, ma talora si può osservare una
moderata iperproteinorrachia.
Una sovraespressione di Nogo-A, proteina che inibisce la
crescita assonale, è stata messa in evidenza nelle bre muscolari
dei pazienti a etti da SLA.
Evoluzione
Qualunque sia il quadro clinico, la SLA è una malattia a evoluzione
progressiva che conduce alla morte per compromissione bulbare in
un periodo di tempo medio di 3-5 anni (media 2,5). Il 25% dei
pazienti vive tuttavia per più di cinque anni senza che sia possibile
prevedere la velocità dell’evoluzione.
Alla rarefazione neuronale progressiva si contrappone un
processo di reinnervazione che accresce il numero delle bre
muscolari che dipendono dai neuroni rimasti intatti; questo
processo compensatorio permette di comprendere come la malattia
possa apparentemente aggravarsi in maniera improvvisa quando
la perdita neuronale raggiunge una soglia critica.
Nel complesso, sono le forme bulbari che hanno l’evoluzione
più rapida, mentre la forma pseudopolinevritica esibisce quella più
prolungata. Il tasso di sopravvivenza può essere valutato pari al
18,7% a 5 anni e al 7,6% a 10 anni.
Diagnosi di erenziale
Qualsiasi scostamento dalle caratteristiche cliniche,
elettro siologiche o biochimiche descritte deve indurre a ricercare
attivamente una patologia che possa dare luogo a una sindrome
simile a una forma atipica di SLA. La modalità di esordio in uenza
la discussione diagnostica.
Eziologia
Forme sporadiche
Nella grande maggioranza dei casi la SLA è una malattia sporadica
la cui eziologia resta sconosciuta. L’intervento di un virus
(enterovirus) o di un fattore tossico ambientale rimane ipotesi non
dimostrata.
Forme familiari
La SLA si manifesta in forma familiare nel 5-10% dei casi.
La modalità di trasmissione è perlopiù autosomica dominante
e il 20% circa di queste forme autosomiche dominanti è legato a
mutazioni del gene della Cu-Zn superossido dismutasi di tipo I
(SOD1).
In alcune regioni del Nord una mutazione del gene della
SOD1, frequente nella popolazione generale, è responsabile, allo
stato omozigote, di una forma autosomica recessiva di SLA.
Una percentuale di casi a etti da forme familiari compresa tra
il 3 e il 4% è riconducibile a mutazioni del gene TARDBP (TAR
DNA-Binding-Protein) codi cante per la proteina TDP-43, mentre il
4-5% è ascrivibile a mutazioni del gene FUS.
Geni di suscettibilità potrebbero ricoprire un ruolo nelle forme
sporadiche: associazione con un aplotipo del gene del VEGF o con
un numero anomalo di copie del gene SMN1 che codi ca la
proteina maggiore di sopravvivenza del motoneurone (SMN). Il
gene ATAXN2, codi cante per l’atassina 2, determina di norma la
ripetizione di una tripletta CAG per 22/23 volte; un’espansione
della ripetizione ≥39 è implicata nell’atassia spinocerebellare di
tipo 2 (Cap. 14); espansioni intermedie (27/33), non riscontrabili
nei controlli, sono in ne evidenziate nell’1% circa dei casi di SLA
sporadica o familiare.
Trattamento
L’uso (giusti cato in relazione all’ipotesi eccitotossica) del riluzolo,
un inibitore della liberazione presinaptica del glutammato,
permette di ottenere un modesto prolungamento della
sopravvivenza. Sono inoltre in valutazione altre strategie
terapeutiche implicanti l’uso di antiossidanti, molecole ad azione
antiapoptotica, agenti antin ammatori e fattori di crescita.
Il trattamento resta essenzialmente sintomatico, volto a
preservare il più a lungo possibile l’autonomia e a migliorare la
qualità della vita. Esso deve tenere in considerazione anche una
serie di manifestazioni diverse quali disturbi ansioso-depressivi,
dolori, crampi, scialorrea, spasticità e de cit nutrizionali. La
sioterapia adattata alle speci che necessità, il trattamento
logopedico e il trattamento sioterapico delle broncopneumopatie
ostruttive permettono di migliorare la qualità della vita. La
gastrostomia è indispensabile allorché l’alimentazione orale
comporti il rischio di aspirazione. Il trattamento dell’insu cienza
respiratoria prevede il ricorso alla ventilazione non invasiva per
evitare l’intubazione o alla tracheostomia in un contesto di
emergenza.
Semeiologia
Forme pure
Genetica
L’eterogeneità genetica è considerevole: esistono infatti forme
autosomiche dominanti, autosomiche recessive e forme legate al
cromosoma X. Finora sono stati localizzati una quarantina di geni
e una ventina di questi è stata identi cata. Tra le forme
autosomiche dominanti, le mutazioni più frequenti riguardano il
gene della spastina (SPG4, implicato nel trasporto assonale) e
dell’atlastina (SPG3A, implicato nella costituzione del reticolo
endoplasmatico). Le forme autosomiche recessive sono raramente
forme pure. Le forme legate all’X, pure o complesse, sono rare.
L’eterogeneità fenotipica è anch’essa molto marcata. Penetranza
ed espressività variano all’interno della medesima famiglia,
in uendo sull’entità del de cit funzionale, sull’età di esordio (che
può essere molto precoce oppure estremamente tardiva) e sul fatto
che è possibile ritrovare una mutazione anche in casi sporadici.
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Capitolo 13
Malattie dei nuclei della base
Malattia di Parkinson
Neuropatologia
Corpi di Lewy
I corpi di Lewy sono un marcatore della malattia di Parkinson
idiopatica. Si tratta di inclusi neuronali citoplasmatici eosino li
costituiti principalmente da α-sinucleina. L’α-sinucleina è una
proteina normalmente presente nei neuroni, in particolare a
livello delle sinapsi e dei nuclei; da qui deriva la sua
denominazione. Un eccesso di tale proteina potrebbe avere un
e etto tossico sui neuroni dopaminergici.
Eziologia
Forma sporadica
La maggior parte dei casi è sporadica.
La prevalenza della malattia aumenta con l’età, giungendo
no all’1-2% della popolazione oltre i 65 anni. L’invecchiamento è
responsabile della progressiva riduzione numerica dei neuroni
dopaminergici del locus niger. Tuttavia questo calo siologico non
basta a rendere conto della malattia, che è il risultato della somma
di più fattori di rischio, genetici e ambientali.
Anche in assenza di una trasmissione mendeliana ben de nita,
è più frequente osservare un caso di malattia di Parkinson nella
famiglia di un paziente a etto che in una popolazione di controllo.
Questo suggerisce l’esistenza di fattori genetici di suscettibilità.
Tra i fattori ambientali è stato sospettato un ruolo di alcune
sostanze utilizzate nell’industria e soprattutto dei pesticidi utilizzati
nell’agricoltura. È stata osservata una correlazione negativa con il
fumo di tabacco. Un rinnovato interesse per la teoria tossica è
sorto dopo il riconoscimento di sindromi parkinsoniane indotte
dalla metilfeniltetraidropiridina (MPTP). L’MPTP è un
sottoprodotto della sintesi di droghe di abuso. Essa può indurre
nell’uomo una grave sindrome parkinsoniana sensibile alla L-dopa.
L’esame dell’encefalo in tali casi mostra una perdita di neuroni
dopaminergici nel locus niger. Gli studi farmacologici e ettuati
sulla scimmia hanno dimostrato che l’e etto dell’MPTP viene
bloccato dagli inibitori della MAO B, un enzima necessario per la
trasformazione dell’MPTP in MPP +, il quale è di fatto il principio
tossico. All’interno dei neuroni dopaminergici l’MPP + si lega con
la neuromelanina, dalla quale viene rilasciato in maniera
progressiva. Questo viene quindi captato dai mitocondri ove
inibisce il complesso I della catena respiratoria e i meccanismi di
riduzione dei radicali liberi, la cui accumulazione sarebbe
responsabile delle lesioni neuronali. Sostanze presenti
nell’ambiente, come ad esempio il rotenone, potrebbero avere
proprietà analoghe all’MPTP.
Forme familiari
Nel 5-10% dei casi, la malattia di Parkinson insorge in forma
familiare; la trasmissione può essere autosomica dominante o
recessiva.
Forme autosomiche dominanti
Le mutazioni del gene SNCA che codi ca l’α-sinucleina sono
responsabili delle forme Park1 (mutazioni puntiformi) e Park4
(duplicazione e triplicazione del gene). Queste mutazioni sono
responsabili di una forma particolare della malattia di Parkinson,
caratterizzata da esordio precoce, intorno ai 45 anni di età. La
degradazione dell’α-sinucleina è assicurata dalla via
dell’ubiquitina-proteosoma; il processo di degradazione delle forme
mutate di α-sinucleina avviene in maniera rallentata,
determinando l’accumulo della proteina in una conformazione a
ripiegamenti β e quindi la formazione dei corpi di Lewy. Le
mutazioni del gene dell’α-sinucleina si riscontrano solo in una
minoranza delle forme familiari autosomiche dominanti.
Il gene LRRK (Leucine Rich Repeat Kinase) è implicato in Park8.
Si riscontra una mutazione di questo gene nel 10% delle forme
autosomiche dominanti della malattia di Parkinson e nel 3-4%
delle forme sporadiche. La mutazione G2019S è la più frequente. Si
tratta di forme tipiche della malattia di Parkinson, anche per
quanto riguarda l’età di esordio.
Forme autosomiche recessive
I geni principali sono Park2 (parkina), Park6 (PINK1) e Park7 (DJ-1).
Mutazioni del gene della parkina (Park2) sono responsabili di
forme di malattia di Parkinson familiari autosomiche recessive a
esordio giovanile, caratteristiche per l’esordio di norma prima dei 40
anni di età, l’associazione di distonia, uttuazioni diurne
(miglioramento indotto dal riposo) e comparsa precoce di gravi
discinesie indotte da L-dopa. La parkina interviene nel processo di
ubiquitinazione che permette la degradazione di diverse proteine,
tra cui l’α-sinucleina.
Mutazioni del gene PINK1 (Park6) che codi cano per una
proteinchinasi mitocondriale e del gene DJ-1 (Park7) sono
similmente responsabili di sindromi parkinsoniane a esordio
precoce.
Alcune mutazioni presenti allo stato eterozigote a carico di
certi geni (parkina, PINK-1 e glucocerebrosidasi) sembrano
rappresentare un fattore di rischio per la comparsa di una malattia
di Parkinson a esordio tardivo apparentemente sporadica. La
mutazione eterozigote della glucocerebrosidasi, che favorisce
l’accumulo di α-sinucleina, costituisce anche un fattore di rischio
per lo sviluppo di demenza da corpi di Lewy. Una mutazione
biallelica di questo gene è responsabile della malattia di Gaucher.
Fisiopatologia
La malattia di Parkinson risulta principalmente dalla
degenerazione dei neuroni dopaminergici costituenti la pars
compacta del locus niger (LNc) e le cui proiezioni terminano sullo
striato (Fig. 13.2). La via nigrostriatale dopaminergica esercita
un’in uenza modulatrice sullo striato, che rappresenta la porta di
ingresso al sistema dei nuclei della base. All’uscita del sistema, un
de cit dopaminergico striatale consolida l’azione inibitoria
esercitata dal globo pallido interno (GPi) e dal locus niger, pars
reticulata (LNr) sul talamo motorio e sulle rispettive proiezioni
corticali. Ciò può spiegare uno dei sintomi principali, l’acinesia, e
la correzione di tale sintomo mediante la somministrazione di L-
dopa o di agonisti dopaminergici, oppure tramite interventi
eseguiti sul nucleo subtalamico e sul pallido interno il cui obiettivo
è di ridurre l’attività inibitoria esercitata da quest’ultima struttura
sul talamo. Questo fatto, tuttavia, non è in grado di spiegare
perché una lesione a carico del GPi migliori le discinesie, quando
dovrebbe determinarne un peggioramento.
• le proiezioni del LNc non sono limitate allo striato, anche se la
via nigrostriatale dopaminergica è la più densa;
• i recettori D1 e D2 tendono a essere colocalizzati sugli stessi
neuroni più che suddivisi su popolazioni neuronali distinte;
• esistono proiezioni dirette dello striato sul nucleo subtalamico.
La realtà è molto più complessa di quanto non appaia dallo
schema generalmente accettato.
Quadro clinico
Disturbi motori
La malattia di Parkinson è innanzitutto una malattia della
motricità. L’insorgenza è insidiosa. Solitamente avviene
monolateralmente e i segni si mantengono a lungo asimmetrici,
potendo realizzare un quadro di emiparkinson. I tre segni cardine
classici sono tremore a riposo, acinesia e rigidità, ai quali si
aggiungono disturbi assiali.
Tremore a riposo
La diagnosi viene formulata con facilità se il tremore è la
manifestazione neurologica iniziale, il che avviene nel 70% circa
dei casi. Si tratta di un tremore a riposo, regolare (4-5 cicli/s), che
si riduce o scompare durante i movimenti volontari. Esso è
accentuato dall’a aticamento, dalle emozioni, dagli sforzi
intellettivi (calcolo a mente) e scompare durante il sonno.
Gli arti superiori sono interessati più frequentemente:
movimento di prono-supinazione dell’avambraccio, esso-
estensione delle dita e adduzione-abduzione del pollice che realizza
un movimento simile al “contare monete” a livello delle dita.
Possono anche essere interessati gli arti inferiori, la mandibola e le
labbra. L’intensità del tremore è molto variabile: può essere il
sintomo prevalente oppure assente, e sono possibili tutti gli stadi
intermedi.
Questi caratteri distinguono il tremore parkinsoniano dal
tremore essenziale, che è un tremore attitudinale. Una componente
attitudinale può tuttavia essere presente anche nella malattia di
Parkinson.
Sindrome rigido-acinetica
La diagnosi rischia di essere sospettata meno facilmente qualora il
paziente giunga all’osservazione per disturbi mal de niti, correlati
alla sindrome rigido-acinetica. In tali casi il paziente può
lamentarsi di dolori che possono indurlo a consultare un
reumatologo, a aticamento, riduzione delle attività, di coltà
nell’eseguire determinati movimenti, soprattutto quelli rapidi
alternati, modi cazioni della scrittura. In questi casi l’attenzione
deve essere attirata dalla presentazione del paziente e in
particolare da elementi quali l’amimia, la scarsa frequenza
dell’ammiccamento, l’atteggiamento in lieve essione di un arto
superiore, la riduzione delle oscillazioni sincinetiche di un arto
superiore durante il cammino. L’esame neurologico deve allora
ricercare sistematicamente l’acinesia e la rigidità.
Acinesia
L’acinesia è responsabile della riduzione (ipocinesia) e della
lentezza dei movimenti (bradicinesia). Il parkinsoniano è un
soggetto immobile con espressione gestuale ridotta; egli fa
economia dei suoi gesti, che devono essere voluti e pensati.
L’acinesia si manifesta a livello del volto con amimia e riduzione
dell’ammiccamento spontaneo. L’impoverimento della mimica,
soprattutto se ha un’evidente lateralizzazione, può dare
l’impressione di una paralisi facciale, ma la mimica volontaria è
conservata. La parola è spesso ovattata, monotona, inframmezzata
da repentine accelerazioni nel corso delle quali può diventare
di cilmente intelligibile. L’esplorazione del campo visivo è
assicurata dal solo movimento dei globi oculari, non
accompagnato dalla rotazione del capo. Durante la marcia
l’acinesia è responsabile della perdita dei pendolamenti delle
braccia. Il paziente esegue con di coltà movimenti rapidi
alternati. Egli può avere constatato questa di coltà nella vita di
tutti i giorni (ad es. di coltà nel lavarsi i denti), e questa può
essere evidenziata nel corso della visita mediante diverse manovre
semeiologiche: tamburellare con le dita come per suonare il
pianoforte, “fare la marionetta”, percussione ritmica dell’indice
sulla piega essoria del pollice, tamburellare con il piede; queste
prove evidenziano che l’ampiezza dei movimenti diminuisce
progressivamente no a potere talora comportare un blocco
completo. La scrittura è spesso alterata, con tendenza alla
microgra a. L’acinesia, se è marcata e a forte predominanza
unilaterale, può talora essere confusa con un’emiparesi, ma la
forza muscolare non è ridotta e non vi è sindrome piramidale.
In seguito a uno stress emotivo l’acinesia può essere
transitoriamente sostituita da cinesie paradosse. L’acatisia è un
disturbo osservato in alcuni pazienti i quali, nonostante siano
acinetici, sono incapaci di restare immobili e presentano una sorta
di marcia sul posto.
Rigidità
La rigidità è evidenziata da una riduzione del ballottamento della
mano o dell’arto superiore e da una resistenza alla mobilizzazione
passiva dei segmenti corporei, soprattutto a livello del polso e del
gomito. Questa rigidità plastica, “a tubo di piombo”, di erisce
alquanto dalla spasticità della sindrome piramidale. Essa è
accentuata dalla mobilizzazione attiva dell’arto controlaterale
(segno di Froment). Talora essa cede a scatti, dando luogo al
fenomeno della “ruota dentata” determinato dalla sovrapposizione
del tremore. L’ipertono parkinsoniano prevale sui gruppi muscolari
essori e ha la particolarità di accompagnarsi a un’esagerazione
dei ri essi posturali, determinante la contrazione dei muscoli
essori (bicipite, essori della mano, peronei) allorché vengano
sottoposti a un accorciamento passivo. Si possono osservare
fenomeni distonici distali, soprattutto a livello del piede, con
distonia ad artiglio delle dita che compare nella stazione eretta e
ostacola la marcia.
Disturbi assiali
Si tratta di un insieme di disturbi che insorgono in genere più
tardivamente e sono scarsamente in uenzati dal trattamento:
Diagnosi
La diagnosi della malattia di Parkinson è clinica. In assenza di
elementi atipici, può essere formulata con certezza quasi totale se i
segni cardine (bradicinesia, rigidità, tremore a riposo) sono
presenti, ma il resto dell’esame neurologico è normale, fatta
eccezione per un ri esso nasopalpebrale inesauribile e la presenza
di iposmia/anosmia anche precoce, che può addirittura precedere
le altre manifestazioni neurologiche. Un segno di Babinski isolato
non consente di escludere la diagnosi quando, del resto, la
sintomatologia è caratteristica. L’insorgenza unilaterale e la
risposta alla L-dopa sono elementi supplementari. La presenza, in
uno stadio precoce, di elementi quali deterioramento intellettivo,
gravi alterazioni posturali e cadute durante la marcia, alterazioni
dei movimenti oculari, disturbi vegetativi importanti deve fare
sorgere il dubbio che non si tratti di una diagnosi di malattia di
Parkinson e indirizzare verso un’altra malattia neurodegenerativa.
Alcuni tipi di tremore (essenziale o distonico) presentano a
volte una componente a riposo che può rendere di coltosa la
distinzione dal tremore parkinsoniano. In questi casi è utile il
ricorso a SPECT con DaTSCAN® (123I-io upane), un esame di
imaging che misura i livelli di trasportatore della dopamina nelle
terminazioni presinaptiche dello striato. I risultati dell’esame sono
anomali quando è presente una perdita di neuroni dopaminergici
nigrostriatali. La SPECT con DaTSCAN® risulta normale nel
tremore essenziale e nel tremore distonico, così come nelle
sindromi parkinsoniane indotte da neurolettici.
Valutazione dell’handicap motorio
In funzione dell’handicap motorio i parkinsoniani possono essere
classi cati in uno dei cinque stadi di Hoehn e Yahr (Tab. 13.1).
Stadio Handicap
Trattamento
Farmaci
Inibitori della MAO-B
Questi farmaci (selegilina, rasagilina) bloccano l’ossidazione della
dopamina. Esercitano una modesta azione sintomatica sulla
sindrome parkinsoniana. Se utilizzati nelle fasi iniziali della
malattia, possono ritardare l’introduzione degli antiparkinsoniani
principali (L-dopa o dopaminoagonisti). Inoltre potrebbero
esercitare un’azione neuroprotettiva.
L-dopa
Il trattamento della malattia di Parkinson ha subito un’importante
trasformazione dall’introduzione della L-dopa (Tab. 13.2), la quale,
a di erenza della dopamina, passa la barriera ematoencefalica.
Nel cervello la L-dopa è convertita a dopamina a opera della dopa-
decarbossilasi. Questa conversione induce un aumento della
concentrazione di dopamina non solo all’interno del sistema
nervoso centrale, ma anche in periferia, determinando la
comparsa di e etti collaterali sistemici. Per evitare la conversione
periferica si associa alla L-dopa un inibitore della dopa-
decarbossilasi che non attraversa la barriera ematoencefalica. Gli
inibitori utilizzati sono la benserazide in associazione e la
carbidopa in associazione. L’e etto terapeutico è paragonabile. Gli
e etti secondari osservati più di frequente sono l’ipotensione
ortostatica e, all’inizio del trattamento, disturbi digestivi come
nausea e vomito. In questi casi si può associare il domperidone, un
inibitore dopaminergico periferico. Il trattamento deve essere
introdotto progressivamente utilizzando la minor dose e cace.
* Disponibile anche per infusione continua via sondino duodenale mediante pompa (N.d.C.)
Fluttuazioni motorie
È possibile distinguere:
Discinesie
Le discinesie sono movimenti anomali, perlopiù di tipo coreico, che
possono interessare tutto il corpo. Possono essere lievi, notate
solamente dai familiari, oppure violente, al punto da
rappresentare un vero e proprio handicap. Possono apparire in
vari momenti, al picco dose ma anche all’inizio e ne dose,
allorché possono essere assai intense, con caratteristiche di
ballismo, e accompagnarsi a distonie. Queste discinesie richiedono
una correzione del trattamento, ma la nestra terapeutica è
particolarmente ristretta; è possibile ottenere uno stato “on”
solamente al prezzo di un peggioramento delle discinesie. La
di coltà di ottenere l’equilibrio in questi pazienti può indurre a
limitarsi alla somministrazione frazionata di L-dopa a rilascio
immediato. L’amantadina, un antagonista dei recettori NMDA, ha
dimostrato di possedere un’azione antidiscinetica. Le alternative
terapeutiche talvolta proposte in questi casi comprendono la
somministrazione sottocutanea continua di apomor na tramite
pompa e l’infusione intradigiunale continua di L-dopa.
I pazienti che presentano complicanze motorie marcate sono
candidati ideali al trattamento chirurgico.
Trattamento chirurgico delle complicanze motorie
Le uttuazioni motorie e le discinesie, qualora invalidanti e
resistenti all’aggiustamento della terapia farmacologica, sono
l’indicazione principale al trattamento chirurgico. Negli altri casi,
il trattamento chirurgico non consente di ottenere risultati
superiori alla L-dopa. I pazienti che non rispondono alla L-dopa
non sono idonei al trattamento chirurgico. Indipendentemente dal
bersaglio prescelto, le metodiche “lesionali” sono state sostituite
dalle tecniche di stimolazione cerebrale profonda. Il bersaglio
talamico (nucleo ventrolaterale) è riservato ai casi in cui il tremore
sia il disturbo maggiormente invalidante. I bersagli principali sono
il pallido interno (GPi) e il nucleo subtalamico (NST). In e etti, la
riduzione dell’innervazione dopaminergica dello striato che deriva
dalla dispersione neuronale nel locus niger pars compacta (LNc), ha
come conseguenza un’iperattività del GPi e del locus niger pars
reticulata (LNr). L’iperattività del GPi e del LNr è essa stessa
mantenuta dall’iperattività del NST. Il metodo di scelta sembra
essere la stimolazione del nucleo subtalamico, che è e cace
sull’acinesia, sulla rigidità e sul tremore, nonché sulle discinesie.
Tuttavia, il valore della stimolazione del GPi e del NST resta
ancora dibattuto.
Il nucleo peduncolopontino (considerato un centro
mesencefalico della locomozione) è un altro bersaglio in fase di
studio per tentare di ottenere un miglioramento dei segni assiali
invalidanti (freezing, instabilità posturale) scarsamente sensibili
alla L-dopa e alla stimolazione del nucleo subtalamico.
Degenerazione corticobasale
Questa malattia, che appartiene al gruppo delle taupatie, è di
regola sporadica e ha il suo picco di esordio intorno alla sesta
decade. In essa lesioni corticali a predominanza frontoparietale si
associano a lesioni sottocorticali predominanti sulla pars compacta
del locus niger. Le lesioni hanno una prevalenza di lato. Esistono
un depauperamento neuronale e una gliosi, con presenza di
neuroni balloniformi acromatici e inclusioni tau-positive neuronali
e gliali.
I disturbi, che a lungo presentano una marcata asimmetria se
non una franca unilateralità, esordiscono solitamente a livello di
un arto superiore in forma di ipertonia, distonia, tremore,
mioclonie. È solitamente presente un’aprassia, associata talvolta a
un segno della “mano aliena” e a disturbi della sensibilità
epicritica. I disturbi neuropsicologici possono determinare quadri
di demenza di tipo frontale e/o afasia progressiva non uente. I
disturbi oculomotori sopranucleari e i disturbi della marcia
raramente compaiono all’esordio. La terapia con L-dopa è
costantemente ine cace. La malattia evolve mediamente in un
periodo tra 6 e 8 anni.
Atro a multisistemica
L’atro a multisistemica è una patologia degenerativa sporadica
che compare abitualmente nella sesta decade. La sua evoluzione è
progressiva e la sopravvivenza media è di 9 anni. La prevalenza è
di circa 4:100.000.
Le lesioni comprendono perdita neuronale e gliosi in tutte o in
parte delle seguenti strutture: locus niger, striato, olive bulbari,
nuclei del ponte, locus coeruleus e, nel midollo spinale, le colonne
intermediolaterali e il nucleo di Onuf. La presenza di inclusioni
intracitoplasmatiche e intranucleari negli oligodendrociti e nei
neuroni è un indicatore non assolutamente speci co di questa
patologia. L’ubiquitina, la proteina tau e l’α-sinucleina sono
presenti in queste inclusioni.
Sul piano clinico l’associazione di segni disautonomici e segni
neurologici di vario tipo caratterizza la patologia descritta
inizialmente sotto il nome di sindrome di Shy-Drager.
L’atro a multisistemica comprende due forme: una forma P
(Parkinson) e una forma C (cervelletto). Una sindrome
parkinsoniana prevalentemente acinetica e ipertonica,
relativamente resistente alla L-dopa, è predominante quando le
lesioni principali sono quelle dell’atro a striatonigrica (forma P,
80% circa dei casi). La RMN può evidenziare atro a del putamen e
ipointensità di segnale in T2 del putamen e della pars compacta del
locus niger correlata a un accumulo di ferro. Una sindrome
cerebellare può essere la manifestazione iniziale quando le lesioni
sono quelle di un’atro a olivopontocerebellare (forma C, 20% circa
dei casi) che mostra, alla RMN, un’immagine iperintensa a croce in
T2 a livello del ponte legata all’atro a delle bre pontocerebellari
a decorso trasversale, cui contrasta la conservazione delle bre
corticospinali.
La sindrome disautonomica, che può rappresentare la
manifestazione iniziale, è dominata da un’ipotensione ortostatica
dovuta al danno dei neuroni simpatici delle colonne
intermediolaterali del midollo. Di solito sono associati altri segni
disautonomici: anomalie pupillari, anidrosi e, in seguito al
coinvolgimento del nucleo di Onuf, impotenza e disturbi s nterici.
Una disfunzione delle corde vocali (paralisi degli abduttori o
distonia) può essere responsabile di uno stridore laringeo.
Cause iatrogene
I neurolettici, che bloccano i recettori della dopamina, sono una
causa frequente di sindrome parkinsoniana. Questo e etto
secondario non viene modi cato dai farmaci dopaminergici, ma è
corretto dagli anticolinergici. L’origine iatrogena è comprovata
quando la sindrome parkinsoniana regredisce dopo la sospensione
dei neurolettici. Soprattutto nei soggetti anziani può tuttavia
accadere che la sindrome parkinsoniana non regredisca dopo la
sospensione dei neurolettici, i quali, in questo caso, hanno
precipitato la scompensazione di una malattia di Parkinson ancora
asintomatica. In tali casi è utile e ettuare una SPECT con
DaTSCAN®. L’esame risulta normale in presenza di una sindrome
parkinsoniana indotta dai neurolettici.
Altri farmaci possono essere chiamati in causa: la unarizina,
gli inibitori della ricaptazione della serotonina, il valproato di
sodio.
Encefaliti
L’encefalite letargica di Von Economo (1918-1924) ha prodotto un
gran numero di sindromi parkinsoniane a evoluzione cronica. La
sindrome parkinsoniana era particolare perché associata ad altre
manifestazioni neurologiche: disturbi oculomotori, in particolare
crisi oculogire, disfagia, disartria, manifestazioni distoniche. È
stata presunta un’origine virale di questa malattia, ma il virus
responsabile non è mai stato isolato. Attualmente è possibile
osservare una sindrome parkinsoniana, con evoluzione solitamente
favorevole, nel corso di encefaliti virali di varia natura.
Ischemia, anossia
Sono stati riportati rari casi di sindrome acinetico-ipertonica
unilaterale in relazione a lesioni ischemiche striatopallidali
controlaterali. Più spesso le sindromi parkinsoniane di origine
vascolare sono atipiche, con prevalenti disturbi della
deambulazione (lower body parkinsonism). L’imaging evidenzia
lesioni più o meno di use della sostanza bianca spesso associate a
lesioni lacunari. In questi casi la L-dopa è ine cace.
In seguito ad anossia (intossicazione da ossido di carbonio),
una sindrome extrapiramidale prevalentemente acinetica può
indicare l’esistenza di lesioni necrotiche bilaterali del pallido.
Tumori cerebrali
Le sindromi parkinsoniane aventi causa tumorale sono molto rare.
È possibile osservare la comparsa di una sindrome parkinsoniana
in associazione a tumori sopratentoriali a carico dei nuclei della
base ma talora localizzati in una sede distante: tumori frontali,
meningiomi parasagittali.
Traumi cranici
Una sindrome parkinsoniana può essere una delle sequele
neurologiche osservate dopo un trauma cranico severo. Al di fuori
di questi casi e dell’acinesia della demenza pugilistica, il
traumatismo di regola non ha che un ruolo rivelatore.
Anatomia patologica
Le lesioni più precoci si riscontrano a livello epatico, ove si osserva
un quadro di cirrosi, abitualmente di tipo macronodulare. Il
cervello può essere sede di lesioni visibili nei nuclei lenticolari:
aspetto atro co o processi di necrosi e cavitazione. All’esame
istologico le lesioni cerebrali sono più estese interessando, oltre che
il putamen e il pallido, il nucleo caudato, il nucleo dentato del
cervelletto, il talamo, il nucleo rosso, il locus niger, la corteccia
cerebrale e cerebellare. Il tipo di lesioni è molto particolare, in
quanto ad alterazioni degenerative dei neuroni si associa una
proliferazione gliale abbondante costituita da astrociti
protoplasmatici del II tipo di Alzheimer; si possono inoltre
osservare le grandi cellule rotonde descritte da Opalski, la cui
esatta natura è controversa, e cellule gliali giganti del I tipo di
Alzheimer.
Sindrome neurologica
La malattia di Wilson si presenta spesso come una malattia
neurologica, mentre l’interessamento epatico rimane latente.
L’esordio avviene tra i 15 e i 30 anni di età, con associazione
variabile di tremore, fenomeni distonici e acinesia.
Sindrome discinetica
All’inizio può trattarsi di un tremore modesto, localizzato al polso e
di tipo attitudinale, che può tuttavia avere le caratteristiche del
tremore parkinsoniano. In seguito, sempre prevalendo agli arti
superiori, il tremore si estende e diventa più importante,
disturbando l’esecuzione dei movimenti. Nondimeno resta più
marcato nel mantenimento di una posizione che nell’esecuzione di
un movimento volontario: questo fenomeno è più evidente nella
prova di opposizione degli indici (segno dello spadaccino). In
questi pazienti si possono osservare altre varietà di manifestazioni
discinetiche: mioclonie di azione, movimenti coreici o atetosici,
movimenti stereotipati, specialmente a carico della lingua.
Sindrome distonica
L’aspetto più caratteristico è un’ipertonia d’azione che si presenta
durante la marcia o i movimenti volontari, che vengono bloccati
da spasmi opposizionistici, e soprattutto in occasione dell’eloquio o
di movimenti mimici che possono irrigidire il volto in una smor a.
Si possono inoltre osservare atteggiamenti distonici diversi che
ssano il tronco o le estremità in pose anormali in maniera
permanente o intermittente.
Acinesia
I fenomeni discinetici o distonici giusti cano in gran parte le
di coltà motorie di questi soggetti: disturbi della marcia, disartria,
grave impedimento dei movimenti più ni, specie nella scrittura.
Esiste inoltre una componente acinetica, che si caratterizza per la
povertà della mimica, la rarità, la lentezza e l’incompiutezza dei
movimenti, così come per l’abbassamento della voce, che può
diventare appena udibile.
Altre manifestazioni neurologiche
Occorre ricordare la possibilità di crisi epilettiche focali o
generalizzate. Sono frequenti disturbi psichici, come modi cazioni
dell’umore, disturbi del carattere e calo del rendimento scolastico.
Questa sindrome de citaria, unita alla presentazione peculiare di
questi pazienti, può talvolta erroneamente orientare verso una
malattia psichiatrica e indurre quindi a prescrivere neurolettici che
aggravano la sintomatologia motoria in maniera drammatica.
Alla RMN le anomalie sono costanti e possono anche
precedere le manifestazioni neurologiche. Le lesioni, che il più
delle volte presentano l’aspetto di ipointensità in T1 e iperintensità
in T2, interessano in particolare i nuclei della base, i nuclei dentati
del cervelletto e la sostanza grigia periacqueduttale.
In queste forme neurologiche della malattia, l’evoluzione, in
assenza di trattamento, dopo un inizio di solito progressivo ma a
volte subacuto o acuto, termina con il decesso dopo circa 4 o 5
anni. La durata è più breve nelle forme precoci, e molto più lunga
nelle forme a esordio tardivo, con un decorso che può pertanto
variare da alcuni mesi a diversi decenni.
Compromissione epatica
La cirrosi wilsoniana può rimanere clinicamente latente, rivelata
soltanto dalla puntura bioptica del fegato. Nondimeno talvolta si
può avere notizia anamnestica di ittero o di disturbi digestivi, che
hanno preceduto i sintomi neurologici. D’altra parte esistono forme
epatiche della malattia di Wilson, nel corso delle quali la
sintomatologia neurologica può mancare del tutto. Tali forme si
veri cano quasi esclusivamente nel bambino. In questi casi la
diagnosi di malattia di Wilson si deve sempre sospettare in
presenza di una cirrosi. Queste forme epatiche del bambino
possono avere un’evoluzione fulminante e rapidamente mortale
prima che i segni neurologici abbiano il tempo di comparire. In
altri casi, in assenza di trattamento, il decorso si prolunga e
permette ai segni neurologici di manifestarsi, mentre la prognosi è
sempre più grave quanto più l’inizio è stato precoce.
Sindrome biochimica
Si veri ca un accumulo di rame nei tessuti responsabile delle lesioni
parenchimali, soprattutto epatiche e cerebrali. Il rame epatico è
superiore a 250 μg/g di tessuto secco; l’escrezione urinaria di rame
è aumentata e supera i 30 μg/24 ore; il livello totale di rame
plasmatico è diminuito ed è sotto gli 80 μg/100 mL, mentre la
frazione albuminica labile è aumentata, sopra i 12 μg/100 mL.
Nella maggioranza dei casi si riscontra un basso livello di
ceruloplasmina, sotto i 15 mg/100 mL, ma nel 10% dei casi di
malattia di Wilson è normale. La diminuzione del livello di
ceruloplasmina nella malattia di Wilson è secondaria al de cit di
incorporazione del rame in questa proteina.
Trattamento
Il trattamento si basa sulla somministrazione di chelanti
(penicillamina, trientina) che provocano la secrezione del rame
e/o sulla somministrazione di zinco che riduce l’assorbimento di
rame.
La D-penicillamina deve essere somministrata in maniera molto
progressiva per evitare la possibile comparsa di un aggravamento
transitorio dei segni neurologici. Il monitoraggio deve essere
rigoroso per individuare gli e etti secondari che richiedono la
sospensione del trattamento.
La trientina, che sembra avere e etti secondari minori della D-
penicillamina, può essere utilizzata come farmaco di prima scelta
oppure nel caso in cui si debba rinunciare al trattamento con D-
penicillamina.
Lo zinco è generalmente utilizzato in associazione a un
trattamento con chelanti oppure come trattamento di prima
intenzione nei soggetti asintomatici.
Questi approcci terapeutici hanno radicalmente modi cato la
prognosi della malattia di Wilson, permettendo di ottenere un
miglioramento spettacolare e duraturo dei segni neurologici. La
qualità del risultato sembra direttamente dipendente dalla
precocità della diagnosi e del trattamento. È necessario valutare
regolarmente lo stato neurologico e la funzione epatica, così come
l’eliminazione urinaria del rame.
Quando la malattia di Wilson è stata diagnosticata occorre
ricercare tra i fratelli i soggetti omozigoti per la mutazione al ne
di potere iniziare il trattamento nella fase presintomatica. La
scoperta di una minima anomalia clinica, neurologica,
epatosplenica o corneale, assume evidentemente un grande
signi cato. Lo screening preclinico si basa sul dosaggio della
cupremia, della cupruria, della ceruloplasmina, sulla diagnosi
molecolare e sull’agobiopsia del fegato con dosaggio del rame
epatico.
Accumulo di ferro
Diverse malattie dei nuclei della base sono legate a un accumulo di
ferro nel cervello (Neurodegeneration with Brain Iron Accumulation,
NBIA). L’accumulo di ferro è visibile alla RMN nelle sequenze in
T2, sotto forma di ipointensità di segnale.
Aceruloplasminemia
Si tratta di una patologia autosomica recessiva, legata a una
mutazione del gene della ceruloplasmina, le cui espressioni
comprendono diabete, retinopatia pigmentosa e manifestazioni
neurologiche: blefarospasmo, discinesie buccali, distonia, atassia,
sindrome acinetico-ipertonica e demenza sottocorticale. I depositi
di ferro si evidenziano alla RMN con un segnale ipointenso in T2 a
livello dello striato, del talamo, dei nuclei dentati e del locus niger.
Neurodegenerazione associata a un de cit di pantotenato chinasi (Pantothenate
Kinase-Associated Neurodegeneration, PKAN)
Manganese
Intossicazione da manganese
Malattia di Huntington
Ereditarietà
L’ereditarietà è autosomica dominante con penetranza completa. Il
gene in causa, localizzato sul braccio corto del cromosoma 4,
codi ca per la huntingtina. Nei pazienti si riscontra un aumento
del numero di ripetizioni di una tripletta CAG che codi ca per la
glutammina: nei soggetti normali si riscontrano da 9 a 35
ripetizioni, in quelli malati oltre 36. Aggregati di huntingtina
mutata caratterizzata da espansione delle catene
poliglutamminiche sono presenti in forma di inclusioni
intranucleari e intracitoplasmatiche. Un numero elevato di
ripetizioni è correlato a un esordio precoce e a un’evoluzione
rapida. Tuttavia sembrano esistere complesse interazioni tra il
numero di ripetizioni nell’allele mutato e il numero di ripetizioni
nell’allele normale.
Il fenotipo della malattia di Huntington può essere osservato
anche in relazione a un aumento del numero di ripetizioni
CTG/CAG nel gene della juncto lina 3 (16q24.3) (Huntington
Disease-Like 2, HDL2).
Quadro clinico
Nella maggior parte dei casi l’esordio avviene fra i 30 e i 50 anni,
ma esistono forme giovanili (nel 10% dei casi compare prima dei
20 anni di età) e forme a esordio tardivo dopo i 70 anni.
Alterazioni dell’umore, del carattere e del comportamento a
esordio insidioso e scadimento delle prestazioni diventano fonte di
di coltà nell’ambito professionale e familiare. Questi disturbi sono
presenti assai prima che si manifestino i sintomi motori.
La sintomatologia motoria non si limita ai movimenti coreici
descritti nel Capitolo 2, ma è possibile osservare precocemente
anche un’impersistenza motoria caratterizzata dall’incapacità di
mantenere un’attivazione muscolare sostenuta (ad es. tenere la
lingua in fuori, le dita allargate) e da disturbi di coordinazione che
interferiscono con la normale abilità motoria. Successivamente
movimenti coreici e disturbi di coordinazione si sommano e
compromettono la marcia, l’eloquio e l’alimentazione. È
solitamente presente un rallentamento delle saccadi oculari.
Il tono muscolare è appena modi cato all’inizio ma, allo
stadio avanzato, la malattia può evolvere verso uno stato rigido
acinetico. La sintomatologia rigido-acinetica può essere
predominante, all’inizio, nelle forme giovanili della malattia, la
cui trasmissione avviene abitualmente per via paterna con, in
questo caso, un’espansione particolarmente importante della
ripetizione delle triplette. La rigidità è spiegata dalla lesione dei
neuroni GABAergici della via diretta che proietta sul pallido
interno; questa lesione è di norma tardiva ma, talvolta, può anche
essere precoce.
L’evoluzione dei disturbi neurologici e psichici avviene in
parallelo anche se, in un periodo più o meno lungo di malattia, è
possibile che prevalga l’uno o l’altro aspetto. La morte avviene in
uno stato di cachessia, in media 15-20 anni dopo i primi segni
clinici. L’evoluzione può essere molto più lunga in alcune forme
attenuate. Il trattamento sintomatico si basa sui neurolettici e la
tetrabenazina, che permettono di controllare i movimenti coreici.
Non esiste una terapia speci ca.
Le anomalie alla RMN (atro a della testa dei nuclei caudati e
atro a cortico-sottocorticale) si evidenziano in uno stadio
avanzato della malattia.
Diagnosi genetica
La genetica molecolare consente di ottenere una conferma
diagnostica, particolarmente utile nei casi in cui non si evidenzi
un’anamnesi familiare positiva. L’assenza di un’anamnesi familiare
talvolta può essere dovuta alle di coltà di de nizione della
genealogia oppure alla comparsa di mutazioni de novo.
La genetica molecolare permette inoltre di diagnosticare la
malattia a uno stadio preclinico; questo è importante ai ni di un
counseling genetico che deve essere praticato rispettando
imperativi etici rigorosi in ragione dell’assenza di un trattamento
speci co. La diagnosi prenatale può essere e ettuata su una
biopsia del villo coriale o, se la malattia è trasmessa dal padre, con
uno studio del DNA fetale presente nel plasma materno. Dopo la
fecondazione in vitro è possibile eseguire una diagnosi
preimpianto.
Coree croniche
La corea di Huntington deve essere distinta dalle coree ereditarie
benigne che insorgono nell’età infantile, non progressive, con
prognosi favorevole e dalle neuroacantocitosi caratterizzate dalla
presenza di emazie con aspetto spiculato.
Corea-acantocitosi
Questa malattia, a eredità autosomica recessiva legata al gene
VPS13A, è caratterizzata da una predominanza buccofacciale dei
movimenti anomali, che possono provocare morsicature della
lingua o delle labbra. Le manifestazioni associate frequentemente
comprendono epilessia, disturbi cognitivi e comportamentali,
neuropatia e/o miopatia.
Sindrome di MacLeod
Coree acute
Corea di Sydenham (corea reumatica)
Distonie
Distonie primitive
In queste malattie la distonia è l’unico sintomo, a eccezione talora
di un tremore essenziale e dei casi particolari di distonie “plus”
associate a sindrome parkinsoniana o mioclonie. Possono essere
generalizzate o focali e comparire in forma sporadica o familiare.
La causa è genetica ma, nelle forme focali, il fattore genetico
rischia di essere sottovalutato a causa dell’età di esordio, che
talvolta è avanzata.
Distonia mioclonica
La distonia mioclonica è caratterizzata da mioclonie predominanti,
associate a fenomeni distonici. Le mioclonie sono attenuate
dall’assunzione di alcol. Mutazioni sono state identi cate nel gene
che codi ca per l’ε-sarcoglicano (DYT 11).
Distonie focali
Esistono forme familiari, solitamente legate a loci diversi da quelli
della forma generalizzata (in particolare DYT 6, DYT 7 e DYT 13).
Tuttavia queste si manifestano perlopiù in forma sporadica.
L’esordio è collocato nell’età media della vita, talvolta è tardivo. In
linea generale sono più frequenti nella donna, a eccezione del
crampo dello scrivano.
Blefarospasmo
È una distonia dei muscoli del collo che comporta perlopiù una
rotazione laterale del capo, più raramente un’inclinazione laterale
(laterocollo), un’estensione (retrocollo) o una essione (antecollo).
La deviazione tonica è associata a scosse che danno talora al
fenomeno un carattere clonico. Il fenomeno diventa subentrante e
determina un’ipertro a del muscolo sternocleidomastoideo. In
generale, un “gesto scongiuratore” consente al paziente di far
cessare temporaneamente lo spasmo: il fatto che un semplice
contatto del dito sul mento sia su ciente suggerisce il ruolo delle
a erenze propriocettive nella siopatologia della distonia.
Crampo dello scrivano
Trattamento
Il rilassamento, le benzodiazepine, gli anticolinergici sono
utilizzati con risultati spesso deludenti. L’esistenza di distonie
dopa-sensibili giusti ca un ricorso a questo trattamento in modo
abbastanza sistematico. Nelle distonie localizzate le in ltrazioni di
tossina botulinica generalmente comportano risultati soddisfacenti. I
risultati dei trattamenti chirurgici (denervazione, talamotomia,
pallidotomia) sono stati deludenti. Le prime valutazioni della
stimolazione cerebrale profonda bipallidale per il trattamento
delle distonie primarie generalizzate hanno mostrato un
miglioramento dei sintomi del 50% dopo un anno.
Distonie sintomatiche
Si possono osservare nel corso di numerose malattie neurologiche,
come la malattia di Wilson, la malattia di Parkinson, la paralisi
sopranucleare progressiva, la degenerazione corticobasale o la
neuroacantocitosi. Sono frequenti fenomeni distonici anche nelle
encefalopatie metaboliche ereditarie.
Alcune distonie lesionali appaiono talora molto tardivamente
rispetto all’evento che le genera: distonie secondarie ad anossia
neonatale, distonie post-traumatiche, distonie secondarie ad
accidenti cerebrovascolari. Le malattie vascolari, ischemiche o
emorragiche, responsabili di solito di emidistonie, interessano il
complesso striopallidale, lo striato in particolare o, più di rado, il
talamo o il mesencefalo.
Distonie/discinesie da neurolettici
Nei primi giorni di un trattamento con neurolettici possono
comparire discinesie acute. Si tratta perlopiù di grandi attacchi di
distonia degli arti e del rachide. Possono anche manifestarsi con
blefarospasmo, crisi oculogire, distonia oromandibolare oppure
torcicollo spasmodico. La somministrazione di farmaci
anticolinergici per via endovenosa si rivela notevolmente e cace.
L’aggravamento di una distonia preesistente indotto da neurolettici
può determinare un vero e proprio stato di male distonico.
Le discinesie postneurolettiche si manifestano al momento della
sospensione o riduzione di un trattamento con neurolettici.
Interessano la faccia (discinesie buccofacciali oppure
oromandibolari), gli arti, ma anche la laringe o il diaframma.
Molto simili alle discinesie che complicano la dopa-terapia della
malattia di Parkinson, le discinesie postneurolettiche sono
l’espressione di un’ipersensibilità dei recettori alla dopamina
endogena. Possono persistere per mesi se non per anni dopo la
sospensione dei neurolettici (discinesie tardive). Discinesie simili
sono talvolta osservate nei soggetti anziani senza che l’assunzione
di neurolettici possa essere imputata con certezza come la causa.
Bibliogra a
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Capitolo 14
Atassie cerebellari ereditarie e sporadiche
Malattia di Friedreich
Il gene FRDA codi ca per una proteina mitocondriale chiamata
fratassina. L’anomalia consiste in un’espansione di un trinucleotide
GAA che ha come conseguenza la perdita funzionale della proteina
codi cata. Si tratta del primo esempio di malattia autosomica
recessiva legata all’espansione di un trinucleotide. I pazienti sono
di regola omozigoti per l’espansione e il numero di ripetizioni può
essere diverso sui due alleli. In alcuni casi l’espansione del
trinucleotide avviene su un allele, mentre l’altro è la sede di una
mutazione puntiforme. L’età di esordio è correlata con la
dimensione dell’espansione minore. Va notato che l’analisi
genetica ha rimesso in discussione alcuni dei criteri diagnostici che
erano stati stabiliti, quali l’età di esordio prima dei 25 anni e
l’are essia.
Il processo degenerativo coinvolge soprattutto i fasci
spinocerebellari, le a erenze radicolocordonali posteriori e la via
piramidale, ma può anche interessare il cervelletto e il tronco
encefalico.
La sindrome cerebellare è predominante, disturba la marcia, i
movimenti degli arti e comporta una disartria. Sono comuni anche
un’are essia, un segno di Babinski bilaterale, un de cit sensitivo
propriocettivo, come pure piede cavo e scoliosi.
L’associazione con una cardiopatia è frequente e aggrava
considerevolmente la prognosi quoad vitam. Si può anche associare
un diabete. Un e etto favorevole sulla cardiomiopatia è stato
osservato con un agente antiossidante (idebenone).
La letteratura segnala anche forme associate a un’amiotro a
di tipo Charcot-Marie-Tooth, a un’atro a ottica (malattia di Behr),
a una degenerazione tapetoretinica e a una cataratta (malattia di
Marinesco-Sjögren). In queste malattie è probabile l’intervento di
altri geni.
Il fenotipo della malattia di Friedreich può essere realizzato da
malattie genetiche che comportano un de cit di vitamina E:
Atassia-telangiectasia
Si tratta di una malattia che esordisce nell’infanzia ed è
caratterizzata dall’associazione di atassia cerebellare e
telangiectasie cutanee e mucose.
Le lesioni del sistema nervoso sono dominate da un’atro a della
corteccia cerebellare. Lo strato delle cellule di Purkinje e lo strato
dei granuli sono sede di una marcata rarefazione cellulare.
Oltre alle lesioni nervose si osservano spesso un’aplasia del
timo e una riduzione del numero dei follicoli linfoidi dei linfonodi e
della milza.
I segni cerebellari sono, in linea di massima, i segni più precoci:
il quadro che si presenta è quello di un’atassia progressiva.
Si possono inoltre osservare manifestazioni neurologiche quali
movimenti atetosici talvolta predominanti, disturbi della motilità
oculare (“aprassia oculomotoria”) con lentezza dei movimenti di
lateralità e verticalità e fenomeno della contraversione oculare con
gli occhi che sembrano spostarsi in direzione opposta alla testa
quando il soggetto guarda di lato (assenza di inibizione del ri esso
oculocefalico).
Le telangiectasie compaiono in un secondo tempo, talvolta solo
dopo diversi anni. Sono soprattutto localizzate a livello delle
congiuntive, ma possono interessare anche la cute delle orecchie,
del torace, degli arti e la mucosa del palato.
Manifestazioni sistemiche sono osservate in un gran numero di
pazienti, i quali sono colpiti soprattutto da infezioni respiratorie
recidivanti dipendenti da disturbi immunologici: de cit
dell’immunità cellulare e dell’immunità umorale, di solito sotto
forma di una riduzione isolata delle IgA. Nell’80% dei casi si
riscontra un incremento importante del tasso di α-fetoproteina.
La prognosi dell’atassia-telangiectasia è grave. Oltre
all’impotenza funzionale conseguente alla progressione della
sindrome neurologica, le complicanze infettive pongono un serio
pericolo per la vita di questi pazienti. Un altro elemento di gravità
è rappresentato dalla frequenza delle complicanze maligne:
linfomi, leucemie, malattia di Hodgkin, tumori solidi.
La trasmissione è autosomica recessiva. Il gene in causa,
localizzato sul cromosoma 11, è implicato nei meccanismi di
riparazione del DNA.
Sindrome opsoclono-mioclono-atassia
Gli opsocloni sono movimenti oculari coniugati involontari a scatto
sul piano orizzontale e verticale – caratteristica che li distingue dal
utter oculare, nel quale i movimenti avvengono solo sul piano
orizzontale. Questo comportamento oculare anomalo deriva dalla
perdita dell’inibizione esercitata dai neuroni omnipause sui neuroni
burst della formazione reticolare pontina paramediana. Gli
opsocloni sono normalmente associati a mioclono e atassia
cerebellare.
Tale sindrome è osservata nei bambini a etti da
neuroblastoma e, raramente, negli adulti (carcinoma polmonare o
mammario). È possibile riscontrare diversi anticorpi – anti-Ri, anti-
Hu, anti-Yo – ma la malattia può anche presentarsi come sindrome
parainfettiva.
Bibliogra a
Circolazione cerebrale
Dispositivo arterioso
L’encefalo è irrorato da due sistemi arteriosi: il sistema carotideo
anteriore e il sistema vertebrobasilare posteriore (Fig. 15.1).
Figura 15.1 Schema delle arterie cerebrali: i quattro grandi assi.
Sistema carotideo
L’arteria carotide interna nasce dalla biforcazione della carotide
comune, nella regione laterale del collo, un poco al di sotto
dell’angolo della mandibola. Raggiunge la base del cranio,
attraversa la rocca petrosa e raggiunge il seno cavernoso; dopo
averne perforato il tetto, penetra nello spazio subaracnoideo nel
quale emette l’arteria oftalmica e termina con quattro branche
terminali divergenti: cerebrale anteriore, silviana o cerebrale
media, corioidea anteriore e comunicante posteriore (Fig. 15.2).
Figura 15.2 Rappresentazione schematica dei territori arteriosi del cervello.
Sistema vertebrobasilare
Arterie vertebrali
Le arterie vertebrali nascono ciascuna dalla succlavia alla base del
collo. Dopo un breve percorso nella regione sopra- e retropleurica,
si infossano in un canale osseo scavato nei forami intertrasversari
delle vertebre cervicali. Le arterie vertebrali penetrano nel cranio
attraverso il forame occipitale e proseguono sulla faccia anteriore
del bulbo no al solco bulbopontino, dove si fondono per formare
il tronco basilare.
Nel percorso intracranico l’arteria vertebrale fornisce:
Tronco basilare
Nato dalla fusione delle due arterie vertebrali, il tronco basilare
percorre la faccia anteriore del ponte e termina a livello del solco
pontomesencefalico biforcandosi nelle due arterie cerebrali
posteriori.
Esso fornisce arterie perforanti destinate al bulbo e al ponte e
arterie circonferenziali corte e lunghe:
Vie di supplenza
Il dispositivo arterioso è di natura tale che un adattamento del
circolo è possibile grazie alle vie di supplenza. Ne esistono tre tipi
principali.
Poligono di Willis
Il poligono di Willis (Fig. 15.3) è composto dalla parte iniziale
delle due arterie cerebrali anteriori riunite dalla comunicante
anteriore, dalle due arterie comunicanti posteriori e dalla parte
iniziale delle due arterie cerebrali posteriori (comunicanti basilari).
Esso, pertanto, permette la comunicazione e la possibilità di una
supplenza tra i due emisferi e tra il sistema carotideo e quello
vertebrobasilare, purché esso sia regolarmente conformato e privo
di lesioni occlusive. Questo sistema di vasi, tuttavia, è spesso sede
di rimaneggiamenti aterosclerotici o di varianti anatomiche che ne
riducono l’e cienza come dispositivo di compenso: comunicante
anteriore ipoplasica, origine di entrambe le cerebrali anteriori
dalla medesima carotide, comunicante posteriore liforme, una o
entrambe le arterie cerebrali posteriori originanti dal sistema
carotideo.
Figura 15.3 Poligono di Willis e vasi della base.
Dispositivo venoso
Le vene del cervello sono prive di valvole, non hanno una tunica
muscolare e non sono satelliti delle arterie. Si scaricano nei diversi
seni venosi, canali a pareti rigide ricavati nello spessore della dura
madre.
Sistema profondo
Raccoglie il sangue venoso della sostanza bianca profonda, dei
nuclei della base e dei plessi corioidei per convogliarlo in direzione
delle vene subependimali del sistema ventricolare, da qui alle vene
cerebrali interne e alla vena basale di Rosenthal e in ne alla grande
vena di Galeno. Quest’ultima si unisce al seno longitudinale
inferiore per formare il seno retto, che si getta nel torculare di
Ero lo (con uente dei seni longitudinale superiore, retto, laterali e
occipitali posteriori, situato anteriormente alla protuberanza
occipitale interna).
In ne, tutto il sangue venoso intracranico è convogliato per il
tramite dei due seni laterali alle vene giugulari interne destra e
sinistra (Fig. 15.5).
Figura 15.5 Vene super ciali e profonde del cervello. 1) Seno longitudinale
superiore; 2) torculare di Ero lo; 3) seno retto; 4) grande vena di Galeno; 5) seno laterale
destro; 6) vena giugulare interna destra; 7) seno longitudinale inferiore; 8) vena di Trolard;
9) vena striotalamica (anastomizzata con la grande vena di Galeno); 10) seno cavernoso; 11)
vena basilare; 12) seno petroso superiore; 13) seno petroso inferiore.
De nizione
Un attacco ischemico transitorio (Transient Ischemic Attack, TIA) è,
per de nizione, un episodio neurologico completamente reversibile
in meno di 24 ore.
Questo tipo di evento corrisponde classicamente a un’ischemia
passeggera che non arriva alla costituzione di una lesione. Di fatto
la maggior parte dei TIA si risolve in meno di un’ora e, se i sintomi
durano più a lungo, la probabilità di risoluzione completa è
inferiore al 15% dei casi. La TAC ha dimostrato che un TIA de nito
in base alla durata no a 24 ore è legato alla formazione di un
infarto di piccole dimensioni nel 25% dei casi, soprattutto se il TIA
è di lunga durata, dell’ordine di 6 ore, rispetto ai casi in cui è di
breve durata, dell’ordine di 20 minuti. Con la RMN in di usione
un’anomalia è rilevabile nel 50% dei casi e la probabilità di un
esame positivo aumenta con la durata dei sintomi. Casi di questo
tipo non dovrebbero essere considerati come TIA, ma piuttosto
come infarti cerebrali determinanti una sintomatologia transitoria.
Questi elementi hanno portato a proporre una nuova
de nizione di TIA, descritta come un “episodio breve di disfunzione
neurologica legata a un’ischemia focale cerebrale o retinica i cui sintomi
clinici hanno una durata tipica inferiore a un’ora, senza evidenza di
infarto acuto”: alla RMN – anche in di usione – non si evidenziano
anomalie, mentre la RMN di perfusione può oggettivare
un’ipoperfusione focale.
Manifestazioni cliniche
Un carattere evolutivo importante è l’instaurazione rapida, nell’arco
di alcuni secondi, della semeiologia di un TIA, sia essa semplice o
complessa.
Nel territorio carotideo si può veri care un de cit motorio o un
disturbo sensitivo che coinvolge un emicorpo o un arto, un disturbo
del linguaggio o una cecità monoculare transitoria.
Nel territorio vertebrobasilare si può considerare suggestivo un
de cit motorio o sensitivo bilaterale o un’atassia di tipo
cerebellare. A causa del carattere poco speci co di alcune
manifestazioni, la diagnosi di TIA del territorio vertebrobasilare
può essere posta solo se compaiono simultaneamente due o più
delle seguenti manifestazioni: vertigini, diplopia, disfagia, drop
attack. Anche un ictus amnesico può essere attribuito a un’ischemia
del territorio vertebrobasilare solo se associato ad altre
manifestazioni evocative. Alcuni sintomi, quando compaiono
isolati, come ad esempio un’emianopsia o una disartria, non
possono essere attribuiti con certezza al territorio carotideo o a
quello vertebrobasilare.
Diagnosi
La diagnosi di attacco ischemico transitorio si basa di regola
sull’anamnesi e non deve essere posta erroneamente di fronte a
una sincope o a manifestazioni funzionali come quelle che si
osservano negli ansiosi, soprattutto in relazione a una sindrome da
iperventilazione: malesseri di tipo lipotimico, disturbi visivi mal
de niti, sensazioni vertiginose, parestesie talora limitate a un
emicorpo. La diagnosi di erenziale deve essere posta anche con
l’aura emicranica, nella quale la comparsa e la progressiva
estensione dei sintomi avviene nell’arco di alcuni minuti, così come
con l’ipoglicemia, che talora comporta manifestazioni neurologiche
focali. Una crisi epilettica focale non è sempre facilmente
escludibile, tanto più che nel corso di alcuni TIA sono state
descritte manifestazioni cloniche a carico di un arto (“shaking
stroke”). In ne, un episodio molto simile a un TIA può essere la
manifestazione rivelatrice di un tumore cerebrale, di un ematoma
subdurale o di un’emorragia intracerebrale localizzata.
Neuropatologia
Macroscopicamente non è visibile alcuna lesione nelle prime 6 ore.
Dalla 6a alla 36a ora la zona lesa si rammollisce, diventa più
pallida e il con ne tra la sostanza grigia e la sostanza bianca si fa
sfumato. Nel corso dei giorni successivi si delineano i limiti
dell’infarto. Un edema, la cui entità è legata all’estensione
dell’infarto, è costantemente presente e, negli infarti massivi, può
compromettere la prognosi di vita potendo determinare
compressione ed erniazioni del parenchima cerebrale. Si parla in
questi casi di impegno transtentoriale, talora con emorragia
secondaria del tronco encefalico negli infarti emisferici, e di
impegno nel forame occipitale in caso di infarti cerebellari.
L’esame microscopico mostra lesioni ischemiche dei neuroni
(nuclei ipercromici, citoplasma molto baso lo e retratto) e un
aspetto congesto dei vasi. La zona dell’infarto è invasa da in ltrati
cellulari formati dapprima da leucociti che possono simulare un
processo in ammatorio, poi da macrofagi che si caricano di
frammenti mielinici e formano i corpi granulograssosi. Questo
processo di riassorbimento a opera dei macrofagi prosegue per
diversi mesi, per giungere in ne alla formazione di una cavità
cistica residua.
L’infarto emorragico è un aspetto particolare che consegue a un
travaso di sangue all’interno del focolaio di rammollimento. Più
spesso si tratta di piccoli focolai di petecchie con uenti; talora, di
un vero e proprio ematoma.
Al processo di trasformazione emorragica si accompagna il
ristabilimento della perfusione in un territorio i cui vasi sono stati
alterati dall’ischemia. La circolazione sanguigna si può ristabilire
grazie alle vie di supplenza, ma anche alla lisi o alla
mobilizzazione del coagulo, meccanismo coinvolto soprattutto
negli infarti di origine embolica (Fig. 15.6).
Figura 15.6 Infarto emorragico di origine embolica. A. Occlusione embolica che dà
origine a un rammollimento super ciale e profondo. B. Lisi del coagulo; emorragie in
occasione della riperfusione secondaria del sangue nel territorio profondo inizialmente
ischemico.
Penombra ischemica
La PET permette di valutare, all’interno del focolaio ischemico, la
perfusione cerebrale, il consumo e il tasso di estrazione di O2. È
così possibile riconoscere una zona centrale gravemente ischemica,
che evolve inesorabilmente verso la formazione di un infarto, e
una zona periferica in cui persiste una “perfusione di miseria”,
insu ciente per mantenere un’attività funzionale ma la cui
evoluzione verso un infarto non è inevitabile. Questa zona, che
corrisponde alla penombra ischemica, è il bersaglio dei trattamenti
volti ad assicurare la rivascolarizzazione e la neuroprotezione1.
Figura 15.8 Angio-RMN. Occlusione dell’arteria cerebrale media destra nel punto di
origine.
Infarti talamici
Alla vascolarizzazione talamica provvedono i segmenti P1 (arteria
comunicante basilare) e P2 dell’arteria cerebrale posteriore e
l’arteria comunicante posteriore.
Il polo anteriore del talamo è vascolarizzato dall’arteria
tuberotalamica (arteria polare), che origina dall’arteria comunicante
posteriore. L’infarto conseguente all’occlusione di questa arteria
interessa nello speci co il nucleo ventrale anteriore, il nucleo
reticolare e il fascio mammillotalamico e produce una sindrome
neuropsicologica caratterizzata da apatia, indi erenza, sindrome
disesecutiva di tipo frontale, de cit mnesici e del linguaggio nelle
lesioni sinistre e disturbi visuospaziali nelle lesioni destre. In un
terzo dei casi l’arteria polare è assente e il suo territorio è servito
dall’arteria talamica paramediana, la cui occlusione può indurre
una sindrome neuropsicologica particolarmente grave.
Il talamo paramediano è vascolarizzato dall’arteria talamica
paramediana (peduncolo talamoperforato) che origina dal segmento
P1 dell’arteria cerebrale posteriore (arteria comunicante basilare).
Un infarto in questo territorio arterioso interessa in modo
particolare il nucleo dorsomediale e i nuclei intralaminari. La sua
espressione clinica è dominata da un’alterazione della coscienza,
uno stato confusionale associato a disturbi del linguaggio nelle
lesioni sinistre (Cap. 6 paragrafo “Afasie sottocorticali”) e a
disturbi visuospaziali nelle lesioni destre.
In alcuni casi, le arterie paramediane destra e sinistra del
talamo si sviluppano da un tronco comune che origina da
un’arteria comunicante basilare. L’occlusione di questo tronco
comune determina un infarto talamico paramediano bilaterale, che
si esprime con disturbi della vigilanza o un mutismo acinetico. In
presenza di un interessamento bilaterale del nucleo dorsomediale,
la situazione può evolvere verso una sindrome amnesica di
Korsako . La concomitanza di de cit mnesici e di alterazioni del
comportamento e della personalità può con gurare un quadro di
demenza talamica.
Un infarto talamico paramediano bilaterale può derivare
anche dall’occlusione del tratto terminale del tronco basilare (top of
the basilar syndrome). In questo caso, l’occlusione interessa anche le
arterie mesencefaliche paramediane che originano a livello della
biforcazione del tronco basilare e, alle lesioni talamiche, va ad
aggiungersi un infarto mesencefalico paramediano uni- o bilaterale
la cui manifestazione tipica consiste in un de cit della motilità
oculare di tipo nucleare e/o sopranucleare.
Il talamo inferolaterale è vascolarizzato dalle arterie che
originano dal segmento P2 dell’arteria cerebrale posteriore a valle
della comunicante posteriore (arterie inferolaterali e peduncolo
talamogenicolato). L’occlusione di tali vasi determina un infarto a
carico del gruppo dei nuclei ventrali posteriori (ventrale
posterolaterale, ventrale posteroinferiore, ventrale
posteromediale), del nucleo ventrolaterale e del corpo genicolato
mediale. L’espressione clinica di tale evento consiste nella
sindrome sensitiva talamica di Déjerine-Roussy secondaria a
compromissione del nucleo ventrale posterolaterale – struttura di
relè dell’informazione sensitiva –, spesso associata ad atassia
dovuta alla lesione del nucleo ventrolaterale – struttura di relè
delle proiezioni cerebellari dirette alla corteccia cerebrale – e a
emianopsia laterale omonima per e etto della compromissione del
corpo genicolato mediale.
La porzione posteriore del talamo è vascolarizzata dalle arterie
corioidee posteriori che originano dall’arteria cerebrale posteriore,
in prossimità della comunicante posteriore. La semeiologia degli
infarti di questo territorio, nel quale sono compresi il pulvinar e il
corpo genicolato laterale, non è facilmente distinguibile da quella
degli infarti dei territori vicini.
Infarti cerebellari
Le arterie che vascolarizzano il cervelletto sono arterie
circonferenziali lunghe che partecipano lungo il loro decorso alla
vascolarizzazione del tronco encefalico. Ne deriva che la
sintomatologia di un infarto cerebellare è spesso associata a quella
di un infarto del tronco encefalico e soprattutto della regione retro-
olivare del bulbo (sindrome di Wallenberg) oppure della regione
laterale del tegmento pontino (sindrome dell’arteria cerebellare
superiore).
Il quadro clinico di un infarto cerebellare associa vertigini,
vomito, disartria, atassia cerebellare e nistagmo. Le forme gravi
con edema possono richiedere un intervento neurochirurgico a
causa della compressione del tronco encefalico, di una minaccia di
impegno delle tonsille cerebellari o dello sviluppo di idrocefalo. Al
contrario, le forme “benigne”, dominate da una sintomatologia
vertiginosa, possono fare pensare a una patologia vestibolare
periferica.
Infarti dei territori spartiacque
Quando più arterie cerebrali sono occluse e/o fortemente
stenotiche è possibile assistere all’insorgenza di un infarto nel
territorio di con ne (spartiacque) tra queste due arterie, in
particolare in occasione di grave ipotensione. Tali eventi si
osservano specialmente in corrispondenza dei territori spartiacque
tra cerebrale anteriore-cerebrale media e cerebrale posteriore-
cerebrale media. Nel primo caso, la sintomatologia è dominata da
una sindrome frontale; nel secondo caso, invece, da complessi
disturbi delle funzioni visive (sindrome di Balint), che interessano le
funzioni visuospaziali (di coltà a spostare lo sguardo da un
oggetto a un altro, impossibilità di enumerare gli oggetti visibili,
incapacità di cogliere il signi cato di un’immagine complessa
benché ogni singolo elemento venga perfettamente identi cato).
Lacune cerebrali
Le lacune, che rappresentano circa il 20% degli accidenti vascolari
cerebrali, sono piccoli infarti di meno di 15 mm di diametro
conseguenti all’occlusione di un’arteriola perforante. Queste
arteriole nascono dal primo tratto dei rami terminali della carotide
interna e del tronco basilare, come pure dal tronco basilare stesso.
La lesione arteriosa responsabile è un processo di lipoialinosi il cui
evento eziologico principale è l’ipertensione arteriosa, mentre l’età e
il diabete sono solo fattori favorenti. Tuttavia, la distinzione fra
una lacuna che consegue a questo meccanismo e un piccolo infarto
legato all’aterosclerosi o anche a una cardiopatia emboligena può
essere di cile.
Le lacune hanno come sedi predilette il nucleo lenticolare, il
nucleo caudato, il talamo (Fig. 15.10), la capsula interna e il piede del
ponte. Sono più spesso multiple che uniche e un gran numero di
esse è silente. A causa della loro posizione strategica, possono
essere responsabili di un’emiplegia motoria pura (braccio posteriore
della capsula interna, piede del ponte), di un’emisindrome sensitiva
(talamo), di un’emiparesi con atassia omolaterale (piede del ponte,
braccio posteriore della capsula interna) e di una sindrome
caratterizzata da disartria e impaccio motorio alla mano (piede del
ponte).
Figura 15.10 RMN pesata in T2, sezione assiale: lacuna talamica.
Diagnosi
La diagnosi è formulata alla luce della comparsa improvvisa di un
de cit neurologico focale la cui sistematizzazione semeiologica
permette di de nire la corrispondenza con un territorio arterioso.
Il de cit può essere n dall’inizio globale o evolvere in attacchi
successivi, a gradini, oppure in modo rapidamente progressivo.
Talvolta è associato a cefalee, in alcuni casi di tipo emicranico, e
nel 5% circa dei soggetti è possibile osservare crisi epilettiche,
generalizzate o focali.
La diagnosi deve essere confermata con urgenza con strumenti
di neuroimaging, dal momento che un accidente ischemico
cerebrale può essere confuso con un’emorragia cerebrale, ma
anche con episodi di tipo vascolare osservabili durante l’evoluzione
di processi espansivi.
La TAC senza mezzo di contrasto permette di escludere
un’emorragia cerebrale e può evidenziare segni precoci di
ischemia, come lo spianamento dei solchi e la perdita di
di erenziazione fra sostanza bianca e sostanza grigia, responsabile
dell’apparente scomparsa del nastro corticale e del nucleo
lenticolare. Il trombo intra-arterioso è talvolta visibile sotto forma
di un’iperdensità spontanea dell’arteria occlusa. In seguito l’infarto
si palesa con un’ipodensità. La trasformazione emorragica
dell’infarto può manifestarsi con aspetto disomogeneo, dato
dall’alternarsi di zone ipodense e zone iperdense. L’entità
dell’edema può essere stimata dall’e etto massa più o meno
pronunciato sul sistema ventricolare.
La RMN costituisce spesso l’esame di prima scelta e deve
includere sequenze in di usione che mettano in evidenza eventuali
anomalie precoci correlate a ischemia. Quando si instaura un
evento ischemico, l’edema citotossico comporta una diminuzione
della di usione delle molecole di acqua con un aumento di
intensità del segnale e una riduzione del coe ciente apparente di
di usione. Queste anomalie si rendono manifeste prima di qualsiasi
altra modi cazione RMN, con un’iperintensità di segnale in T2 che
è visibile dapprima a livello dei giri corticali, i quali appaiono
rigon con cancellazione dei solchi, e successivamente si estende
alla sostanza bianca. Un aumento dell’intensità di segnale in T1,
osservato nel 20% circa dei casi, indica la presenza di una
componente emorragica.
La RMN di perfusione permette di valutare il usso sanguigno a
livello capillare. Un de cit di perfusione può evolvere o meno
verso l’instaurarsi di un infarto. Un de cit di perfusione più esteso
rispetto all’immagine in di usione alla RMN (di usion/perfusion
mismatch) sembra individuare una zona di “penombra ischemica”
la cui evoluzione è suscettibile di essere modi cata dalla terapia
volta ad assicurare la riperfusione dell’arteria occlusa.
L’angiogra a con risonanza magnetica (angio-RMN) può
evidenziare l’occlusione dell’arteria cerebrale responsabile
dell’ischemia.
La causa dell’accidente ischemico cerebrale è da ricercarsi già in
questo stadio di urgenza in quanto può in uire sulla strategia
terapeutica immediata e successiva.
Trattamento
Obiettivo del trattamento in fase acuta è scongiurare o limitare al
massimo l’evoluzione verso un infarto duraturo.
Provvedimenti generali
I provvedimenti generali hanno come obiettivo la correzione di
tutti i fattori che possono aggravare le conseguenze dell’ischemia
cerebrale, quali l’ipossia, l’iperglicemia o l’ipertermia.
Un aumento della pressione arteriosa è frequente nella fase
acuta e non richiede alcun intervento a meno che ciò non sia
imposto da un’eventuale comorbilità. L’istituzione di una terapia è
tuttavia consigliata quando la pressione arteriosa sistolica
raggiunge i 220 mmHg o quella diastolica i 120 mmHg. È
preferibile ricorrere a una somministrazione endovenosa ed evitare
farmaci e modalità di somministrazione suscettibili di indurre
un’ipotensione il cui e etto potrebbe essere sfavorevole (ad
esempio un calcioantagonista per via sublinguale). Se si prescrive
un trattamento brinolitico, la pressione arteriosa deve essere
preventivamente controllata e non deve superare il valore di
185/110.
La prevenzione delle complicanze tromboemboliche deve
essere garantita mediante somministrazione di eparina a basso
peso molecolare a dosi pro lattiche.
Misure speci che
Terapia trombolitica
Si basa attualmente sulla somministrazione per via endovenosa
dell’attivatore tissutale del plasminogeno ricombinante (rt-PA,
alteplasi). Oltre alle abituali controindicazioni vigenti per questo
trattamento, occorre rispettare indicazioni molto rigorose allo
scopo di minimizzare il rischio di trasformazione emorragica
dell’infarto: inizio della terapia entro e non oltre 4,5 ore
dall’esordio (l’attuale legislazione prevede la possibilità di
e ettuare la trombolisi endovenosa entro le 3 ore dall’esordio;
sono in corso studi per valutare la sicurezza e l’e cacia
dell’impiego di tale terapia entro le 4,5 ore; N.d.C.) ed esclusione
mediante neuroimaging di un’emorragia o della presenza di segni
precoci di un infarto cerebrale esteso. D’altra parte, il trattamento
trombolitico non è raccomandato in caso di de cit neurologico in
regressione, di de cit minore o, al contrario, di grave de cit
neurologico accompagnato da disturbi della vigilanza. Se utilizzato
nel rispetto di tali presupposti, l’rt-PA dimostra un e etto
favorevole sul criterio “morte o dipendenza”. Le probabilità di
ottenere un miglioramento clinico sono direttamente correlate alla
precocità del trattamento, che dovrebbe essere avviato nell’arco
delle prime due ore. La co-somministrazione di rt-PA per via
arteriosa accresce il tasso di ricanalizzazione, ma non è certo che
in uisca positivamente sul risultato clinico (la trombolisi intra-
arteriosa con rt-PA può essere praticata presso centri altamente
specializzati e prevede la possibilità di iniziare il trattamento
ampliando la nestra temporale no a 6 ore dall’esordio, in casi
accuratamente selezionati; N.d.C.). L’associazione di rt-PA per via
endovenosa e “sonotrombolisi” (doppler transcranico) sembra
migliorare l’outcome funzionale.
Trattamento antitrombotico
L’acido acetilsalicilico a una posologia di 160-300 mg/die riduce in
modo statisticamente signi cativo il rischio di decesso e di recidiva
precoce.
L’utilizzo sistematico di eparina a dosi terapeutiche nella fase
acuta degli infarti cerebrali è stato abbandonato, in quanto gli
studi recenti non hanno dimostrato un bene cio con questo
trattamento. Le indicazioni tuttora valide riguardano gli accidenti
ischemici cerebrali di origine cardioembolica con elevato rischio di
recidiva embolica (protesi valvolari meccaniche, infarto
miocardico con trombo murale, trombosi dell’atrio sinistro). In
caso di brillazione atriale isolata, l’avvio della terapia
anticoagulante può essere procrastinato di alcuni giorni se
l’estensione dell’infarto può fare temere una trasformazione
emorragica.
Neuroprotezione
Numerose sostanze ad azione neuroprotettiva, esplicata con
meccanismi di erenti, permettono di ridurre le conseguenze
dell’ischemia cerebrale in modelli animali. Attualmente non si
dispone di alcun agente neuroprotettivo la cui e cacia sia stata
dimostrata nell’uomo.
Placca ateromasica
La placca ateromasica, che costituisce l’evento lesivo
fondamentale, si sviluppa a livello dell’intima. Consegue alla
proliferazione di bre muscolari lisce, di collagene, di bre
elastiche e all’accumulo di lipidi ed evolve progressivamente verso
la stenosi del lume arterioso. Questa evoluzione può essere
sottolineata da complicanze locali: emorragie che aggravano la
stenosi, ulcerazioni dotate di potenziale emboligeno e punto di
partenza di una trombosi occlusiva (Fig. 15.11).
Figura 15.11 Evoluzione schematica delle lesioni provocate da una stenosi carotidea
ateromasica.
Topogra a
La topogra a delle lesioni arteriose ri ette la predilezione
dell’ateroma per le arterie di grande e medio calibro, dall’arco
aortico alle arterie cerebrali intracraniche (Fig. 15.12). Le regioni
più esposte all’insorgenza dell’ateroma sono l’origine della carotide
interna (seno carotideo), le porzioni intrapetrosa e cavernosa
(sifone) della carotide e il primo terzo della silviana. Il terzo medio
cervicale della carotide interna, per contro, è raramente colpito e
le arterie della convessità non lo sono quasi mai. Nel territorio
vertebrobasilare l’ateroma si localizza all’origine delle vertebrali,
alla loro con uenza, sul tronco basilare, soprattutto nel tratto
terminale, e all’origine delle cerebrali posteriori. Queste lesioni
ateromasiche sono quasi sempre multiple. Pertanto, quando il lume
di una delle carotidi interne è ristretto alla sua origine del 75%, vi
sono tre probabilità su 10 che una lesione simile esista dall’altro
lato.
Figura 15.12 Schema della ripartizione e dell’intensità delle lesioni aterosclerotiche
sull’albero arterioso cervicoencefalico.
Figura 15.13 Trombosi della carotide interna a 1 cm dal punto di origine.
Patologie ematologiche
Possono essere chiamate in causa:
Prevenzione secondaria
Misure di prevenzione secondaria devono essere poste in atto
durante la fase acuta nei pazienti che hanno subito un attacco
ischemico transitorio o un infarto cerebrale, con l’obiettivo di
prevenire la formazione o la recidiva di un infarto, come pure la
comparsa di altre complicanze vascolari. L’importanza della
prevenzione secondaria è sottolineata dalle conoscenze circa la
prognosi a lungo termine degli accidenti ischemici cerebrali. Va
tenuto particolarmente presente il rischio a cui sono esposti i
pazienti che hanno so erto un TIA (si veda sopra). Nei pazienti
sopravvissuti a un infarto cerebrale, la cui mortalità a 1 mese è del
20%, il rischio di recidiva è approssimativamente del 10%
all’anno. L’esistenza di una cardiopatia ischemica aumenta in
maniera considerevole il rischio di recidiva e rappresenta la
principale causa di morte nei pazienti con lesioni aterosclerotiche,
sintomatiche o asintomatiche, delle arterie cervicocerebrali.
La prevenzione secondaria si basa sul controllo dei fattori di
rischio, sulla terapia antitrombotica e, eventualmente, sul
trattamento delle lesioni arteriose.
Trattamento antitrombotico
In assenza di una cardiopatia emboligena, il trattamento
antitrombotico si basa sulla somministrazione di farmaci
antiaggreganti piastrinici. Il farmaco di riferimento è l’acido
acetilsalicilico con posologia variabile tra i 75 e i 100 mg/die,
assunto da solo o associato a dipiridamolo sulla scorta di numerosi
studi che hanno dimostrato un’e cacia di gran lunga maggiore di
questa associazione di farmaci rispetto al solo salicilato. Il
clopidogrel è utilizzato in caso di intolleranza all’acido
acetilsalicilico o in presenza di diabete o aterosclerosi di use.
L’associazione acido acetilsalicilico-clopidogrel va evitata in
quanto accresce il rischio di emorragie.
L’esistenza di una cardiopatia potenzialmente emboligena
pone il problema di un trattamento preventivo con anticoagulanti
(antagonisti della vitamina K o inibitori orali della trombina). Tale
trattamento è d’obbligo in caso di brillazione atriale correlata a
cardiopatia valvolare, che moltiplica per 17 il rischio di embolia
cerebrale. In caso di brillazione non valvolare, una pro lassi
anticoagulante sembra giusti cata nella popolazione “FA ad alto
rischio” de nita in base alla storia di ipertensione arteriosa,
diabete, eventi ischemici persistenti o transitori, coronaropatia o
scompenso cardiaco.
L’esistenza di un forame ovale pervio e/o di un aneurisma del
setto interatriale mette in discussione l’indicazione a un
trattamento antiaggregante piastrinico o anticoagulante, o alla
chiusura del forame per via endovascolare.
Emorragia cerebrale
Forme anatomocliniche
Emorragia talamica
Si manifesta con un’emianestesia controlaterale la cui messa in
evidenza dipende dallo stato di vigilanza del paziente. La lesione
della capsula interna si traduce in un’emiparesi o in un’emiplegia
franca (emorragia talamocapsulare) (Fig. 15.18). Sono frequenti
anomalie dell’oculomozione: sindrome di Claude-Bernard-Horner,
de cit dei movimenti coniugati nel piano orizzontale o verticale,
deviazione degli occhi verso il basso e in dentro, skew deviation.
Figura 15.18 Emorragia talamocapsulare (TAC senza mezzo di contrasto, sezione
assiale).
Emorragie lobari
Si sviluppano nella sostanza bianca sottocorticale e hanno
un’espressione clinica che dipende dalla sede di partenza:
Trattamento
L’evoluzione è estremamente variabile e sono possibili tutte le
forme intermedie, dall’emorragia massiva rapidamente mortale
alle forme circoscritte che possono regredire senza alcun esito.La
prognosi è legata a di erenti fattori: volume iniziale dell’ematoma,
età, stato di coscienza, localizzazione, associazione di un’emorragia
intraventricolare. L’aumento della dimensione dell’ematoma nel
corso delle prime ore è anch’esso un fattore prognostico negativo e
le terapie proposte mirano in particolare a limitare l’espansione
dell’emorragia.
Il trattamento è, il più delle volte, unicamente di tipo medico,
volto ad assicurare la pervietà delle vie aeree, l’equilibrio
idroelettrolitico, la riduzione prudente dell’ipertensione arteriosa e
il controllo dell’ipertensione intracranica (con monitoraggio
continuo della pressione intracranica, secondo numerosi autori). Se
l’emorragia cerebrale ha luogo sotto trattamento anticoagulante
orale, il disturbo di coagulazione deve essere corretto rapidamente
associando vitamina K e somministrazione per via endovenosa di
emoderivati contenenti i fattori di coagulazione vitamina K-
dipendenti (complesso protrombinico umano).
Nei pazienti con emorragia cerebrale spontanea, la
somministrazione del fattore VIIa ricombinante nelle prime quattro
ore potrebbe limitare la crescita dell’ematoma. Tuttavia, il tasso di
mortalità più elevato legato alla frequenza di eventi
tromboembolici secondari va a sfavore dell’uso di questo
trattamento.
L’evacuazione chirurgica dell’emorragia è indicata per le
emorragie cerebellari se esistono segni di compressione del tronco
encefalico o idrocefalo oppure se il volume dell’emorragia fa
temere l’erniazione delle tonsille cerebellari. Le emorragie
emisferiche potrebbero bene ciare di un’evacuazione chirurgica se
sono vicine alla super cie corticale.
Eziologia
Ipertensione arteriosa
L’ipertensione arteriosa è responsabile del 70-80% delle emorragie
cerebrali. Il meccanismo patogenetico è legato alla rottura di un
vaso arterioso e si ritiene che all’origine di tale evento si possano
riscontrare fondamentalmente due tipi di lesioni: microaneurismi
di Charcot e Bouchard e lipoialinosi delle arterie intracerebrali.
Queste lesioni interessano le arterie di piccolo calibro e soprattutto
le arterie perforanti, che sono sottoposte a un regime pressorio
particolarmente elevato. Ciò spiega le localizzazioni preferenziali
dell’emorragia cerebrale ipertensiva: nucleo caudato, nucleo
lenticolare, talamo, ponte e nucleo dentato del cervelletto.
Gli studi epidemiologici hanno evidenziato che gli ultimi
decenni sono caratterizzati da una diminuzione degli accidenti
vascolari cerebrali e soprattutto delle emorragie cerebrali. Questa
tendenza è attribuita essenzialmente a un miglioramento della
diagnosi precoce e della terapia dell’ipertensione arteriosa.
Nell’eziologia dell’emorragia cerebrale, accanto
all’ipertensione arteriosa cronica, bisogna annoverare anche gli
attacchi ipertensivi acuti, la cui insorgenza è correlata a cause
diverse; tra queste è importante ricordare l’uso di sostanze dotate
di attività simpaticomimetica come la metanfetamina, la
fenilpropanolamina e la cocaina.
Forme ereditarie
Le forme autosomiche dominanti di emorragia cerebrale legate a
un’angiopatia amiloide cerebrale possono essere dovute a un
deposito di peptide Aβ, ma anche di cistatina C, di transtiretina o
di gelsolina (Tab. 15.1).
Altre cause
I disturbi della coagulazione, secondari a un trattamento
antiaggregante piastrinico, anticoagulante o brinolitico, oppure a
un’emopatia o a una cirrosi, sono fattori che quanto meno
favoriscono la comparsa di un’emorragia cerebrale, rischio che
viene peraltro raddoppiato o triplicato dall’alcol. L’intossicazione
da alcol potrebbe manifestare i suoi e etti attraverso l’ipertensione
arteriosa e i disturbi dell’emostasi da essa provocati.
Per quanto riguarda la maggiore frequenza di emorragia
cerebrale in alcune popolazioni asiatiche, un ruolo è stato
attribuito all’ipocolesterolemia.
I tumori cerebrali primitivi o, soprattutto, secondari (in
particolare i melanomi) possono manifestarsi attraverso
un’emorragia: alla RMN l’importanza dell’edema e
un’impregnazione contrastogra ca alla periferia dell’emorragia
possono far sorgere un sospetto in tale senso.
Le vasculiti e lo sviluppo di una rete anastomotica anomala
(Moya-Moya) sono cause rare.
Emorragia subaracnoidea
Semeiologia, diagnosi
In un terzo dei casi esiste un fattore scatenante: sforzo sico, tosse,
defecazione, rapporto sessuale, esposizione prolungata al sole.
Negli altri casi l’emorragia subaracnoidea si veri ca nel corso della
normale attività e talvolta durante il sonno.
L’insorgenza è brusca. Il sintomo principale è la cefalea, assai
importante per la sua entità: rapidamente diventa di usa, ma può
anche avere un inizio localizzato in rapporto al punto di partenza
dell’emorragia. La cefalea è seguita rapidamente da vomito.
L’esistenza di disturbi della vigilanza e la loro entità sono elementi
importanti da considerare per la prognosi.
La rigidità meningea (segno di Kernig, segno di Brudzinski) è
particolarmente accentuata alla nuca, ma talora la sua comparsa è
ritardata di qualche ora.
Possono essere inoltre osservati segni neurologici localizzatori.
Talvolta indicativi del punto di partenza dell’emorragia (paralisi
del III in occasione della rottura di un aneurisma della
terminazione carotidea), questi segni possono associarsi a
un’emorragia intracerebrale o a fenomeni ischemici legati a uno
spasmo arterioso capaci di dare luogo a infarti cerebrali.
L’assenza di febbre in fase iniziale è un segno negativo
importante, ma possono essere evidenziate secondariamente
alcune manifestazioni sistemiche di origine centrale: ipertermia,
puntata ipertensiva, iperglicemia transitoria, iponatriemia legata
a una secrezione inappropriata di ormone antidiuretico, anomalie
elettrocardiogra che di tipo ischemico.
Altri aspetti clinici osservabili includono: forme comatose,
convulsive, confusionali, quadri di pseudoebbrezza, cefalee
semplici oppure rachialgie.
La TAC va eseguita con urgenza. La presenza di sangue, che
appare iperdenso, negli spazi subaracnoidei e nel sistema
ventricolare conferma la diagnosi. La sensibilità della TAC dipende
dalla precocità della sua esecuzione poiché, a causa della dinamica
del liquor e dei fenomeni di lisi, il sangue può scomparire
rapidamente dagli spazi meningei. La TAC è positiva nel 98% dei
casi entro le prime 12 ore, ma soltanto nel 58% dei casi a cinque
giorni. La rachicentesi deve essere praticata nei pazienti con
sospetta emorragia subaracnoidea nei quali la TAC è normale.
Purtroppo questa può essere fonte di errori diagnostici, poiché in
circa il 20% dei casi la puntura lombare è traumatica. A favore di
un’emorragia subaracnoidea si possono considerare
l’evidenziazione di bilirubina in un surnatante xantocromico dopo
centrifugazione sapendo che i pigmenti responsabili di questa
colorazione non compaiono che circa 12 ore dopo l’emorragia.
La diagnosi di emorragia subaracnoidea impone il ricovero del
paziente presso un’unità operativa di neurochirurgia, nella quale
verranno praticati i successivi accertamenti.
L’esplorazione delle arterie intracerebrali, necessaria per
identi care la causa dell’emorragia, può essere realizzata con
un’angio-TAC con iniezione di mezzo di contrasto. L’angio-RMN è
un esame con tempi di esecuzione più lunghi e la sua realizzazione
può essere di cile in pazienti in condizioni critiche. L’angiogra a
convenzionale resta l’esame di riferimento, durante il quale è
possibile e ettuare per via endovascolare il trattamento della
malformazione vascolare responsabile (si veda oltre).
Una malformazione vascolare che ha sanguinato può non
risultare visibile ed essere oggettivata solo con un secondo esame
angiogra co eseguito dopo alcune settimane.
Nel 10-20% dei casi non si riesce a individuare la causa di
un’emorragia subaracnoidea, nonostante indagini eziologiche
accurate. Questa eventualità è particolarmente frequente nelle
emorragie perimesencefaliche in cui il sangue è localizzato davanti al
ponte o al mesencefalo oppure dietro la lamina quadrigemina. Nei
casi in cui l’angiogra a non mostra aneurismi, il sanguinamento
potrebbe essere venoso. La prognosi è favorevole a motivo
dell’assenza di ripresa del sanguinamento sia nel breve sia nel
lungo periodo.
Le emorragie subaracnoidee della convessità, limitate a 1-3
solchi, sono osservate fondamentalmente in due circostanze. Nei
soggetti giovani possono complicare una sindrome da
vasocostrizione cerebrale reversibile. Nei soggetti di età più
avanzata possono essere individuate in concomitanza di un de cit
focale transitorio e spesso sembrano essere correlate a
un’angiopatia amiloide.
Aneurismi arteriosi intracranici
L’aneurisma arterioso cerebrale sacciforme è una lesione acquisita
e frequente, dato che la sua prevalenza all’autopsia di una
popolazione adulta è dell’1-3%. In un esiguo numero di casi
l’aneurisma si manifesta in una malattia genetica come il rene
policistico, la sindrome di Ehlers-Danlos di tipo 4 o la
neuro bromatosi di tipo 1. Al di fuori di questi casi particolari
esiste un aumento del rischio nei parenti di primo grado del
soggetto a etto.
Distribuzione
Gli aneurismi intracranici, la cui dimensione varia da una
capocchia di spillo a diversi centimetri, si sviluppano perlopiù a
livello di una biforcazione arteriosa e soprattutto a livello del
poligono di Willis. Nell’85% dei casi sono localizzati nel circolo
anteriore. Le sedi più frequenti sono le giunzioni carotide interna-
comunicante posteriore, cerebrale anteriore-comunicante anteriore
e la terminazione carotidea (Fig. 15.21). Nel circolo posteriore le
sedi più comuni sono la biforcazione del tronco basilare e la
giunzione vertebrale-PICA. Nel 20-30% dei casi gli aneurismi sono
multipli.
Figura 15.21 Sede e frequenza degli aneurismi intracranici.
Struttura
L’aneurisma è una vera e propria ernia della parete arteriosa. La
tunica media e la lamina elastica interna si interrompono a livello
del colletto dell’aneurisma. La parete del sacco si riduce all’intima,
all’avventizia e a una certa quantità di tessuto broialino. Il fondo
del sacco, sottile e fragile, è la sede abituale di rottura (Fig. 15.22).
Eziologia
Cause locali
Le trombo ebiti cerebrali settiche che complicano le infezioni
locoregionali sono diventate eccezionali grazie all’uso degli
antibiotici. La trombo ebite del seno laterale è una complicanza
delle otomastoiditi. La trombo ebite del seno cavernoso può
seguire a un’infezione del volto, a una sinusite oppure a un
focolaio tonsillitico.
La sintomatologia comprende l’associazione di setticemia,
esoftalmo, edema delle palpebre e delle congiuntive con chemosi e
paralisi oculomotorie. I segni, inizialmente unilaterali, diventano
rapidamente bilaterali a causa delle numerose anastomosi che
uniscono i due seni cavernosi.
Esistono poi altre cause locali: compressione di un seno da
parte di un tumore, trauma cranico, trombosi di un angioma
venoso, stola arterovenosa durale.
Cause sistemiche
Si elencano i fattori che favoriscono in generale l’insorgenza delle
trombosi venose:
• gravidanza, post-partum, assunzione di estroprogestinici. Questi
fattori rendono conto della maggiore frequenza di trombosi
venose cerebrali nella donna giovane;
• emopatie maligne, poliglobulia, anemie, drepanocitosi,
trombocitemia, emoglobinuria parossistica notturna;
• alterazioni della coagulazione: de cit di antitrombina III,
proteina C, proteina S, presenza di anticorpi anti-fosfolipidi
(in relazione o meno con un lupus), resistenza alla proteina C
attivata (mutazione del fattore V di Leiden), mutazioni del
gene della protrombina;
• neoplasie, sindrome nefrosica, malattia di Behçet, enterocoliti
in ammatorie, ecc.
Manifestazioni cliniche
Un’ipertensione endocranica isolata può riassumere l’espressione
clinica della trombosi del seno longitudinale superiore o del seno
laterale. La cefalea è il sintomo più frequente; a localizzazione
subacuta, può restare isolata per più giorni o anche per più
settimane. Più raramente si tratta di una cefalea acuta, a “scoppio
di tuono”. La trombosi di una vena corticale, spesso associata a
quella di un seno, è responsabile di un infarto cortico-sottocorticale
solitamente di tipo emorragico. In genere ha un esordio brusco che
ricorda un accidente vascolare, caratterizzato da segni de citari
focali e spesso da crisi focali o generalizzate. La trombosi delle
vene profonde può essere responsabile di un quadro di coma o di
mutismo acinetico.
Trattamento
Le possibilità di recupero, talora senza alcuna sequela, anche nei
casi in cui erano presenti in fase iniziale disturbi della vigilanza e
segni neurologici focali, sottolineano l’importanza della presa in
carico precoce di questi pazienti, preferibilmente in un’unità di
terapia intensiva neurovascolare. L’indicazione alla terapia
anticoagulante a lungo termine è oggetto di discussione. Gli studi
prospettici randomizzati hanno dimostrato che questo trattamento
è privo di e etti dannosi anche in presenza di un infarto
emorragico. La prognosi è apparentemente migliore. In
considerazione di ciò la maggior parte degli autori raccomanda un
trattamento eparinico a dosaggio pieno. In caso di insuccesso, è
possibile valutare il ricorso a una terapia trombolitica.
Bibliogra a
1Mediante la RMN con sequenze pesate in di usione (Di usion-Weighted Imaging, DWI) e
in perfusione (Perfusion-Weighted Imaging, PWI) è possibile, in maniera simile a quanto
ottenibile con la PET, valutare l’estensione della zona di penombra ischemica, la quale
corrisponde alla di erenza dell’estensione del tessuto con danno di perfusione e quello
con restrizione di di usione (“di usion-perfusion mismatch”; si veda anche oltre)
(N.d.C.).
Capitolo 16
Scatola cranica e suo contenuto Tumori
cerebrali
Liquor
Il liquor è suddiviso in due settori, subaracnoideo (115 cm3) e
ventricolare (25 cm3), che comunicano tra loro a livello della
cisterna magna attraverso i fori di Luschka e Magendie aperti nel
tetto del quarto ventricolo. La formazione del liquor avviene per il
60% nei plessi, derivando da una secrezione dei plessi corioidei nel
sistema ventricolare, e per il 40% da un processo di di usione a
partire dagli spazi extracellulari del sistema nervoso centrale. Per
quest’ultima quota il liquor può essere paragonato alla linfa degli
altri tessuti dell’organismo. La quantità di liquor formata ogni
giorno è di circa 500-700 cm3. La circolazione avviene a partire dai
ventricoli verso gli spazi subaracnoidei e dalle cisterne della base
verso la convessità, dove il liquor viene riassorbito nel sistema
venoso a livello delle granulazioni di Pacchioni.
Ipertensione endocranica
Pseudotumor cerebri
Con questo termine si descrive la presentazione di una sindrome da
ipertensione endocranica con papilledema bilaterale che si veri ca
in assenza di processi espansivi intracranici o di idrocefalo. La
RMN può essere del tutto nella norma o mostrare ventricoli di
piccole dimensioni o, talvolta, una sella turcica vuota e una
dilatazione dello spazio subaracnoideo perichiasmatico.
La composizione del liquor è normale, ma la sua pressione è
superiore a 250 mmH2O misurata con il paziente in decubito
laterale, in stato di massimo rilassamento possibile e con gli arti
inferiori estesi.
Questa sindrome può essere secondaria, correlandosi a diverse
malattie sistemiche, in particolare endocrine, o all’uso di alcuni
farmaci fra cui la vitamina A e le tetracicline. In particolare, la
trombosi di un seno venoso cerebrale o di una vena giugulare
oppure, più raramente, una stola durale, possono manifestarsi
unicamente con cefalee associate a edema papillare, il che
sottolinea la necessità di escludere una tale eziologia prima di
diagnosticare un’ipertensione endocranica idiopatica.
Si noti che gli esami di imaging mostrano talvolta un aspetto
di stenosi di un seno trasverso, che può condurre a un trattamento
endovascolare con posizionamento di stent. Tuttavia, l’eziologia
della stenosi è controversa, in quanto tale aspetto può scomparire
in seguito a puntura lombare.
La diagnosi di ipertensione endocranica idiopatica è quindi
formulata per esclusione. Si tratta di una patologia relativamente
frequente nella giovane donna obesa in stato di gravidanza.
La gravità potenziale del disturbo è connessa all’elevato
rischio di compromissione visiva grave e per questa ragione è
necessario un monitoraggio oftalmologico rigoroso. Il trattamento
si basa sui diuretici (acetazolamide), sulla rachicentesi evacuativa,
eventualmente ripetuta, e in alcuni casi sul trattamento chirurgico
(fenestrazione della guaina del nervo ottico, derivazione
lomboperitoneale del liquor).
Impegni cerebrali
La massa encefalica è relativamente uida e questo fa sì che la
spinta derivante dallo sviluppo di un tumore si ripartisca in tutte le
direzioni con tendenza a produrre incuneamenti nei punti deboli
del sistema (Fig. 16.2).
Figura 16.2 Spostamenti endocranici nel corso di tumori sopratentoriali. 1) Ernia del
giro cingolare sotto la falce; 2) ernia del lobo temporale nell’ori zio del tentorio; 3)
compressione del peduncolo cerebrale controlaterale contro il bordo libero del tentorio del
cervelletto; 4) spostamento verso il basso del tronco encefalico attraverso l’ori zio del
tentorio.
Può formarsi dal basso verso l’alto per impegno del lobo anteriore
del cervelletto nei tumori sottotentoriali e dall’alto verso il basso
per impegno dell’uncus e dell’ippocampo nei tumori
sopratentoriali. L’espressione clinica dell’ernia transtentoriale è
variabile e può determinare compromissione, spesso parziale, del
III (abolizione del ri esso fotomotore, midriasi, ptosi), emiplegia
omolaterale per compressione del peduncolo cerebrale contro il
margine libero del tentorio del cervelletto, emianopsia laterale
omonima per compressione dell’arteria cerebrale posteriore,
disturbi della coscienza, rigidità nucale, accessi di rigidità da
decerebrazione, tutti segni che esprimono la so erenza del tronco
encefalico craniale. Questa varietà di espressioni dell’ernia è molto
spesso complicata da emorragie pontine.
Impegno delle tonsille cerebellari
Tumori cerebrali
Semeiologia
L’ipertensione endocranica è solitamente una manifestazione
tardiva dei tumori cerebrali che, il più delle volte, danno segno di
sé attraverso fenomeni epilettici o segni de citari.
Epilessia tumorale
L’epilessia è una manifestazione frequente dei tumori
sopratentoriali. Crisi epilettiche, focali o generalizzate,
costituiscono spesso il primo sintomo del tumore. Questa modalità
di manifestazione è tipica soprattutto dei tumori lentamente
evolutivi, come i gliomi di basso grado e i meningiomi. Si deve
sospettare l’eziologia tumorale di un’epilessia quando ci si trova di
fronte a una forma a insorgenza tardiva e con caratteristiche
cliniche ed elettriche focali. L’imaging cerebrale, in particolare la
RMN, ha facilitato notevolmente la diagnosi di queste epilessie
tumorali.
Semeiologia focale
La semeiologia dipende innanzitutto dalla sede del tumore, a
seconda che si sviluppi in una zona di elevata importanza
funzionale o in una zona relativamente “muta”.
Dipende anche dalla natura del tumore: un meningioma
comprime e un astrocitoma in ltra il tessuto nervoso, in modo tale
da occupare uno spazio importante con minimi segni de citari; al
contrario, i tumori che sono contemporaneamente espansivi e
distruttivi (glioblastomi) hanno una semeiologia focale precoce e
importante.
Il de cit è regolarmente progressivo, “a macchia d’olio”, con una
velocità in gran parte dipendente dalla natura del tumore, del
quale ri ette la malignità. Tuttavia alcuni processi, quali il
sopraggiungere di un’emorragia intratumorale, di una necrosi e di
un rammollimento cistico di determinate neoplasie, possono
modi care questa evoluzione. Occorre sottolineare il ruolo
dell’edema peritumorale, che manifesta una rottura della barriera
ematoencefalica. Il suo sviluppo è più marcato nei tumori maligni
(glioblastomi, metastasi) ed è in grado di dare luogo a variazioni
rapide della semeiologia focale, sia per un aggravamento sia per
un miglioramento quando regredisce spontaneamente o sotto
terapia.
Tumori frontali
I tumori sviluppatisi nella parte posteriore del lobo frontale, a livello
della regione prerolandica, determinano una sintomatologia
motoria: emiplegia a inizio facciale o brachiale per i tumori della
convessità, a inizio crurale per i parasagittali. Spesso la sindrome
de citaria è associata a crisi focali con marcia Bravais-
jacksoniana.
I tumori a partenza frontale anteriore danno luogo
tardivamente a segni neurologici de citari. I disturbi cognitivo-
comportamentali sono i primi a comparire, con una riduzione
progressivamente crescente dell’attività, associata a disturbi
dell’attenzione e della memoria a breve termine, disinteresse e
indi erenza a ettiva. Talora si può anche osservare un’alterazione
delle condotte sociali. Crisi epilettiche sono frequenti e spesso
costituiscono la manifestazione di esordio: si può trattare di crisi
generalizzate, avversative o dell’area supplementare motoria con
elevazione dell’arto superiore controlaterale, verso il quale
vengono ruotati il capo e gli occhi, oltre a fenomeni di palilalia.
L’esame neurologico mette solitamente in evidenza la
liberazione di taluni comportamenti (prensione, utilizzazione,
imitazione), alterazioni delle sequenze gestuali e un’afasia
dinamica nelle lesioni dell’emisfero dominante. Nei tumori che si
sviluppano alla base del lobo frontale si può osservare un’anosmia
o una compressione del nervo ottico e talora la sindrome di Foster-
Kennedy (atro a ottica dal lato del tumore, stasi papillare
controlaterale). I tumori frontali più voluminosi, di solito
frontocallosi, respingendo (impegno sotto la falce) o invadendo
l’altro lato, determinano l’associazione di uno stato demenziale con
un grasping bilaterale e disturbi dell’equilibrio a tipo retropulsione.
Tumori temporali
I tumori temporali sinistri hanno una ricca espressione clinica
dominata dai disturbi del linguaggio. Al contrario, i tumori temporali
destri possono rimanere a lungo latenti, rivelandosi solo
tardivamente con segni di ipertensione endocranica. Nondimeno
non è sempre corretto a ermare che se la neoplasia si sviluppa nel
lobo destro rimane silente, in quanto una sintomatologia epilettica
generalizzata o focale è frequente qualunque sia il lobo temporale
interessato. Crisi di signi cato localizzatorio, oltre ai disturbi
parossistici del linguaggio speci ci dell’emisfero dominante, sono
le crisi olfattive e psicomotorie (a punto di partenza temporale
profondo), le crisi uditive (circonvoluzione di Heschl) e gli stati
onirici (convessità temporale). In ne, una lesione espansiva nel
lobo temporale può provocare una quadrantopsia superiore nel
campo visivo controlaterale per interessamento del fascio delle
radiazioni ottiche che circondano il corno temporale.
Tumori parietali
Hanno una sintomatologia prevalentemente sensitiva; il de cit
riguarda soprattutto gli aspetti discriminativi della sensibilità e, di
conseguenza, comporta un’astereognosia. Il coinvolgimento della
circonvoluzione parietale ascendente può anche esprimersi con
disturbi sensitivi parossistici di tipo parestesico, cioè vere e proprie
crisi jacksoniane sensitive. Un altro elemento importante della
semeiologia dei tumori parietali è rappresentato dai fenomeni
aprassici e dai disturbi dello schema corporeo, con caratteristiche
diverse per l’emisfero dominante o per l’emisfero non dominante
(Cap. 6). Si può anche osservare una quadrantopsia laterale
omonima nel quadrante inferiore.
Tumori occipitali
Il sintomo principale è l’emianopsia laterale omonima. Tale disturbo
può essere misconosciuto dal malato ed essere scoperto soltanto
nel corso di un esame sistematico. Le crisi allucinatorie visive
elementari sono indicative di una localizzazione occipitale. Episodi
di agnosia visiva appartengono anch’essi alla semeiologia dei
tumori occipitali, ma di regola sono dovuti a lesioni bilaterali
(Cap. 6).
Tumori emisferici profondi
Hanno una sintomatologia variabile a seconda che interrompano
prevalentemente le vie motorie, le vie sensitive o le radiazioni
ottiche. I tumori sviluppatisi nella regione dei nuclei grigi centrali
possono dare luogo a un’emiplegia per invasione della capsula
interna o a un’emisindrome sensitiva per lesione talamica. Più
raramente provocano sintomi motori di tipo extrapiramidale.
Tumori della regione sellare
Oltre a una sintomatologia endocrina da interessamento ipo sario
o ipotalamico, questi tumori possono produrre disturbi visivi per
compressione del chiasma ottico. La più caratteristica espressione
della sindrome chiasmatica è l’emianopsia bitemporale. In realtà il
quadro può essere più complesso per la compressione associata di
uno o di entrambi i nervi ottici, che determina un abbassamento
uni- o bilaterale dell’acuità visiva, oppure di un tratto ottico con
l’aggiunta di un difetto campimetrico a tipo emianopsia laterale
omonima.
Tumori della fossa posteriore
Combinano in vario modo i segni di ipertensione endocranica,
frequentemente precoce in questa localizzazione, a segni
cerebellari e segni di lesione di nervi cranici e delle vie lunghe.
I tumori del tronco encefalico, solitamente in ltranti e mal
delimitati, determinano una sintomatologia complessa, di cile da
sistematizzare, dominata dall’interessamento dei nervi cranici.
I tumori cerebellari si manifestano, quando sono lateralizzati in
un lobo, con una sindrome cerebellare omolaterale; i tumori
cerebellari vermiani danno soprattutto una sindrome cerebellare
statica in cui prevalgono i disturbi dell’equilibrio.
I tumori dell’angolo pontocerebellare, la cui sintomatologia
iniziale è modesta e limitata alla lesione di un nervo cranico (VIII,
VII o V), quando hanno raggiunto un volume importante si
manifestano con una sindrome cerebellare omolaterale e segni di
so erenza del tronco encefalico.
Disturbi psichici
I disturbi psichici sono frequenti nel corso dell’evoluzione dei
tumori sopratentoriali e sono caratterizzati da modi cazione
dell’umore e del carattere, riduzione dell’attività e rallentamento
intellettivo. In assenza di segni di localizzazione neurologica,
questa semeiologia può essere attribuita a uno stato depressivo o a
una demenza primaria e in alcuni casi solo gli esami di imaging
consentono di riconoscere l’origine tumorale delle manifestazioni.
Una sintomatologia frontale si può osservare talvolta in
tumori a sede diversa e molto distante, come nel caso di alcuni
tumori della fossa posteriore, che possono provocare
un’importante dilatazione dei corni frontali dei ventricoli laterali.
In ne, occorre ricordare la possibilità di una sindrome di Korsako
nei tumori dell’ipotalamo e del trigono.
Esami complementari
Elettroencefalogramma
Ad eccezione dei casi in cui la manifestazione rivelatrice è
rappresentata da crisi epilettiche, l’elettroencefalogramma non è
più considerato un esame da eseguire sistematicamente in presenza
di un possibile tumore cerebrale. Di solito l’EEG è alterato nei
tumori emisferici, sebbene possa restare a lungo normale nel caso
di tumori benigni a lenta evoluzione. Le anomalie, più o meno
nettamente focali, hanno l’aspetto di onde lente, delta o theta, più
raramente di elementi parossistici di tipo epilettico. L’EEG resta a
lungo normale nei tumori della fossa posteriore.
Tumori extracerebrali
Questo gruppo è rappresentato principalmente dai tumori benigni:
meningiomi, neurinomi e adenomi ipo sari. Le altre varietà
tumorali sono di gran lunga più rare.
Meningiomi
I meningiomi (15% dei tumori cerebrali), con impianto sulla dura
madre, si sviluppano a partire da elementi dell’aracnoide. In più
dell’80% dei casi hanno sede sopratentoriale. Sono tumori a
evoluzione molto lenta e comprimono il cervello senza invaderlo.
Nella maggior parte dei casi insorgono dopo i 40 anni, con
frequenza massima verso i 50 anni, più spesso nella donna. Il ruolo
dei recettori ormonali, e in particolare dei recettori progestinici, è
tuttora dibattuto.
Nella metà dei casi è stata osservata una perdita di materiale
genetico sulla coppia di cromosomi 22 nelle cellule del tumore.
L’anomalia più frequente è una delezione parziale o totale del
cromosoma 22q (portatore del gene NF2) associata a una
mutazione dell’allele corrispondente.
La TAC mostra il meningioma sotto forma di una lesione più
frequentemente iperdensa che ipodensa, spesso con componenti
calci che; dopo iniezione di mezzo di contrasto l’impregnazione di
solito è marcata e più o meno omogenea.
La RMN precisa meglio la sede extra-assiale del tumore. Nella
metà dei casi si associa un edema più o meno esteso in rapporto al
tumore. L’angio-RMN è utile per precisare lo stato dei seni venosi,
in particolare del seno longitudinale superiore. L’arteriogra a
convenzionale mantiene la sua indicazione nell’eventualità di
un’embolizzazione preoperatoria.
Localizzazione
La localizzazione dei meningiomi condiziona la loro espressione
clinica e la prognosi operatoria:
Trattamento
Il trattamento dei meningiomi si basa essenzialmente sull’exeresi
chirurgica, che deve essere radicale, comprendendo il loro
impianto sulla dura madre, al ne di evitare recidive. Si tratta di
un intervento delicato, soprattutto se il tumore ha assunto un
volume considerevole, a ragione della ricca vascolarizzazione
originante non solo dalla dura madre, ma anche dai vasi cerebrali.
Per alcune localizzazioni e nel caso di meningiomi di minuscole
dimensioni può essere indicata la radiochirurgia.
Pachimeningite
Diversi processi possono essere all’origine di un importante
ispessimento, talvolta pseudotumorale, della dura madre tale da
evocare un meningioma. L’ispessimento della dura madre, ben
evidenziato alla RMN, può essere limitato alla regione della
convessità, alla parete laterale del seno cavernoso, alla regione
retro-orbitaria oppure al tentorio del cervelletto. In genere la
semeiologia comporta cefalee e paralisi dei nervi cranici. Il
processo patologico in questione può essere una sarcoidosi o una
granulomatosi di Wegener, ma il più delle volte queste
pachimeningiti sono idiopatiche.
Neurinomi dell’VIII
Il neurinoma dell’VIII rappresenta il tumore più frequente
dell’angolo pontocerebellare. Si tratta di uno schwannoma
originatosi dal nervo vestibolare nel condotto uditivo interno.
Tumore benigno, incapsulato, a evoluzione assai lenta, si forma
generalmente nell’adulto dopo i 30 anni di età. È bene distinguere
lo schwannoma sporadico dell’VIII, di gran lunga la forma più
frequente, dallo schwannoma bilaterale dell’VIII, caratteristico
della neuro bromatosi di tipo 2 (NF2).
I sintomi possono limitarsi per diversi anni a un
interessamento isolato dell’VIII rappresentato innanzitutto da una
ipoacusia progressiva, più raramente da acufeni o vertigini. È in
questo stadio puramente otologico che deve essere posta la
diagnosi, senza attendere la comparsa di altri segni neurologici che
testimoniano un’estensione extracanalicolare. L’audiogramma
mette in evidenza una ipoacusia percettiva. Anomalie precoci dei
potenziali evocati uditivi sono quasi sempre presenti. L’esame
vestibolare mostra dallo stesso lato un’ipore essia vestibolare. La
RMN con infusione di gadolinio è l’esame di prima scelta per
mettere in evidenza i piccoli neurinomi intracanalicolari.
Più tardivamente si sviluppano i sintomi caratteristici dei
tumori dell’angolo pontocerebellare: coinvolgimento del V limitato da
principio a un’ipoestesia corneale, con la possibile insorgenza
successiva di parestesie o dolori persistenti o parossistici; lesione
del VII, che dà origine a una paralisi facciale periferica spesso
modesta, talora a un emispasmo facciale; ripercussioni sul
cervelletto e sul tronco encefalico che si manifestano con una
sindrome cerebellare omolaterale, una sindrome vestibolare
centrale, eventualmente con segni di interessamento delle vie
lunghe.
La diagnosi di erenziale si pone con le altre neoformazioni
dell’angolo pontocerebellare: neurinoma del V o di uno dei nervi
misti o colesteatoma. Il colesteatoma, o cisti epidermoide, osservato
più frequentemente nel giovane adulto, può avere sede nella
regione sopra- o retrosellare, o avere uno sviluppo
intraventricolare, nel corno temporale o nel quarto ventricolo.
La chirurgia ha tratto bene cio da importanti progressi, quali
l’accesso translabirintico e il monitoraggio intraoperatorio del
nervo facciale e della funzione uditiva. In tutti i neurinomi di
piccole dimensioni un’alternativa alla chirurgia è rappresentata
dalla radiochirurgia (gamma-knife o acceleratore di particelle) o
dalla radioterapia stereotassica a dosi frazionate. A causa della
lenta evoluzione è possibile anche optare per un approccio
conservativo con controllo RMN regolare nei soggetti anziani o in
caso di schwannomi intracanalicolari.
Adenomi ipo sari
Rappresentano circa il 15% dei tumori endocranici e sono di solito
tumori dell’adulto, più frequentemente della donna.
I macroadenomi danno luogo a una sindrome tumorale spesso
associata a insu cienza ipo saria. L’espansione al di fuori della
sella turcica degli adenomi ipo sari si rivela innanzitutto per la
presenza di segni di so erenza della regione del chiasma ottico. Con il
procedere dell’evoluzione compaiono sintomi legati alla
compressione dell’ipotalamo e all’ostruzione del terzo ventricolo.
I microadenomi (inferiori a 10 mm) non hanno sintomatologia
neurologica se non la cefalea, che può essere precoce. Durante
questo periodo di sviluppo intrasellare il tumore può rimanere
latente (adenoma non secernente, un terzo dei casi), oppure dare
luogo a una sintomatologia puramente endocrina.
L’adenoma prolattino-secernente, il più frequente, ha come
tipica espressione la sindrome amenorrea-galattorrea; la diagnosi
spesso si e ettua allo stadio di microadenoma.
L’adenoma somatotropo è responsabile del quadro
dell’acromegalia; può anche essere un adenoma misto, con
associata ipersecrezione di prolattina.
L’adenoma corticotropo dà luogo al quadro della malattia di
Cushing; nella maggior parte dei casi si tratta di un
microadenoma, ma talvolta di un vero tumore ipo sario, primitivo
o indotto a seguito di una surrenalectomia bilaterale (sindrome di
Nelson).
La RMN visualizza i rimaneggiamenti della sella turcica e il
tumore, precisandone le relazioni con le strutture limitrofe. I
microadenomi vengono evidenziati dalla RMN sulle scansioni
coronali, più spesso come ipointensità di segnale in T1. La RMN
permette anche di distinguere un adenoma ipo sario dalla
sindrome della sella turcica vuota che impone la ricerca di
un’ipertensione endocranica primitiva.
L’exeresi dell’adenoma può essere e ettuata il più delle volte
per via transfenoidale. I dopaminoagonisti costituiscono il
principale trattamento degli adenomi prolattino-secernenti, in
particolare quando si tratta di microadenomi. Gli agonisti della
somatostatina (octreotide, lanreotide) permettono di ottenere
preoperatoriamente una riduzione del volume degli adenomi
somatotropi.
Craniofaringiomi
Sviluppatisi da vestigia del tratto faringoipo sario primitivo (tasca
di Rathke), i craniofaringiomi possono avere un punto di partenza
endosellare o, molto più frequentemente, sovrasellare. Il loro
aspetto macroscopico è variabile a seconda che la struttura sia
prevalentemente solida o cistica.
Il craniofaringioma è nella maggior parte dei casi, ma non
esclusivamente, un tumore del bambino o dell’adolescente (15% dei
tumori cerebrali del bambino). L’espressione clinica combina
variamente segni di insu cienza ipo saria, compromissione
ipotalamica (diabete insipido), compressione del chiasma e dei
nervi ottici. Il neuroimaging permette di formulare la diagnosi e
nel contempo di precisare la ripercussione del tumore sulla sella
turcica e sul terzo ventricolo. Sebbene siano tumori istologicamente
benigni, i craniofaringiomi hanno una prognosi molto grave.
Infatti, a causa delle aderenze all’ipotalamo e ai vasi della base,
spesso possono essere asportati solo parzialmente.
Cordomi
Sono tumori rari, soprattutto dell’adulto giovane, sviluppatisi dalle
vestigia embriologiche della notocorda primitiva. La localizzazione
endocranica è la più frequente, ma possono formarsi anche nel
rachide, particolarmente nella regione sacrococcigea. Nel cranio si
localizzano nella regione del clivus. Inizialmente extradurali,
istologicamente benigni, hanno comunque prognosi sfavorevole
perché invasivi. Danno luogo dapprima a paralisi dei nervi cranici,
soprattutto dei nervi oculomotori, e successivamente a segni di
so erenza del tronco encefalico. Le indagini radiologiche della
base del cranio mostrano immagini di erosione ossea importante.
Talvolta il tumore si esteriorizza nel cavo orale, in cui può essere
fatto un prelievo bioptico. L’asportazione chirurgica, di regola, può
essere solo parziale.
Tumori del glomo giugulare
Sviluppatisi a partire dal tessuto glomico del bulbo della giugulare,
combinano variamente una sindrome otologica per invasione
dell’orecchio medio e interno, talvolta con esteriorizzazione
attraverso il timpano, una lesione del VII e dell’VIII intrapetrosi,
una sindrome del foro lacero posteriore (IX, X, XI), con immagini
radiogra che di distruzione della rocca.
Tumori maligni della base del cranio
Possono essere primitivi (sarcomi, mielomi), metastatici, o
provenienti dalla propagazione di un tumore delle strutture vicine
(epitelioma del cavo orale, tumori a cellule cilindriche di origine
rinofaringea) e si manifestano con la paralisi di uno o più nervi
cranici. La loro estensione progressiva può concludersi con la
paralisi unilaterale dell’insieme dei nervi cranici (sindrome di
Garcin).
Tumori intracerebrali
I tumori intracerebrali sono i più frequenti tra i tumori
endocranici. Comprendono le metastasi cerebrali e i tumori
cerebrali primitivi, dei quali il tipo più frequente è costituito dai
gliomi.
Metastasi cerebrali
Rappresentano il 25% circa dei tumori cerebrali. Ogni tipo di
carcinoma può esserne responsabile, primo fra tutti il carcinoma
broncogeno (50%), seguito dal carcinoma della mammella (15-
20%), dai melanomi (10%), dal carcinoma del rene, dai carcinomi
dell’apparato digestivo e dell’apparato genitale e dai linfomi. Le
metastasi si sviluppano solitamente negli emisferi cerebrali o nel
cervelletto, raramente nel tronco encefalico. L’aspetto
macroscopico è quello di un nodulo di volume assai variabile, ben
delimitato. L’edema peritumorale è spesso notevole; talora si
osservano rimaneggiamenti intratumorali di tipo necrotico, cistico
o emorragico. Nella maggior parte dei casi le metastasi sono
multiple (Fig. 16.3).
Figura 16.3 Metastasi cerebrale insulare e lenticolare destra (RMN con infusione di
gadolinio).
Astrocitomi
Rappresentano il 75% circa dei tumori cerebrali primitivi. La loro
frequenza è in aumento nella popolazione anziana. La natura
astrocitaria può essere confermata dalla marcatura
immunoistochimica della proteina glio brillare acida (GFAP).
Esistono tuttavia alcune incertezze sulla loro origine cellulare:
astrociti di erenziati, cellule progenitrici astrogliali o cellule
staminali neuronali.
Nel caso di un astrocitoma a basso grado la mutazione iniziale,
responsabile dello sviluppo del clone tumorale, è anche all’origine
di un’instabilità genetica con comparsa di nuove mutazioni che
in uiscono sulla progressione maligna. Queste mutazioni
successive provocano l’inattivazione dei geni soppressori tumorali
e l’attivazione di diversi oncogeni. Conoscere queste mutazioni è
interessante ai ni della diagnosi e della prognosi, ma potrebbe
anche avere implicazioni terapeutiche.
Astrocitomi a basso grado
Oligodendrogliomi
Gli oligodendrogliomi rappresentano il 5% circa dei tumori
cerebrali primitivi. Compaiono più frequentemente fra i 50 e i 60
anni e, in generale, hanno sede in un emisfero cerebrale, in
particolare nel lobo frontale. La presenza di calci cazioni, ben
visibili alla TAC, è suggestiva per la diagnosi. L’evoluzione è lenta,
ma sfavorevole a lungo termine per la tendenza alla
trasformazione anaplastica.
Gli oligodendrogliomi sono costituiti tipicamente da una
proliferazione monomorfa di cellule rotonde che presentano un
alone perinucleare con un aspetto a “nido d’ape”. Tuttavia la
distinzione con un astrocitoma può risultare di cile e la presenza
di due componenti gliali fa talvolta diagnosticare un
oligoastrocitoma. È frequente il riscontro di una delezione sui
cromosomi 1p e/o 19q e questo pro lo genetico permette di
identi care gli oligodendrogliomi per i quali, successivamente a
exeresi chirurgica, la chemioterapia è un’alternativa alla
radioterapia.
Tumori neuroepiteliali disembrioplastici
Questi tumori, istologicamente polimor , si sviluppano durante
l’embriogenesi. Sono caratteristici per la loro stabilità. Solitamente
localizzati a livello temporale, ove si sviluppano nella corteccia, il
più delle volte si manifestano nel bambino o nell’adolescente con
crisi focali la cui guarigione è resa possibile dall’exeresi della
lesione.
Linfoma cerebrale primitivo
Osservato prevalentemente in soggetti immunodepressi, può
insorgere anche in soggetti immunocompetenti. In oltre il 90% dei
casi si tratta di un linfoma B a grandi cellule. La lesione può essere
unica (65%) o multifocale (35%). Alla RMN il linfoma, iso- o
ipointenso in T1, iso- o iperintenso in T2, è quasi sempre
impregnato dal gadolinio in maniera omogenea o cercinata. La
localizzazione più frequente è nell’emisfero cerebrale (circa 40%),
seguito da talamo e nuclei della base, corpo calloso, cervelletto,
infundibolo, tronco encefalico e midollo. Una localizzazione
oculare è talvolta rivelatrice. La diagnosi istologica può essere
ottenuta mediante biopsia stereotassica (eseguita prima di ogni
trattamento corticosteroideo a causa dell’estrema sensibilità del
tumore a questo trattamento), talora con l’esame del liquor o
tramite puntura del vitreo quando si manifesta una
contemporanea localizzazione oculare. È importante veri care che
la lesione cerebrale sia e ettivamente isolata mediante un esame
oftalmologico, una TAC toracoaddominale e un’ecogra a
testicolare. La chemioterapia (metotrexato) dà risultati migliori
della radioterapia. Il linfoma intravascolare, legato alla
proliferazione di cellule linfoidi nel lume vasale, si manifesta con
eventi ischemici cerebrali.
Istiocitosi cerebrale
La malattia di Erdheim-Chester è una forma di istiocitosi a cellule
non Langerhans. Il quadro anatomopatologico vede l’associazione
di un’in ltrazione tumorale del tronco encefalico o della dura
madre con localizzazioni scheletriche, bilaterali e simmetriche, che
interessano la meta si e la dia si delle ossa lunghe, senza
intaccarne l’epi si.
Emangioblastoma cerebellare
L’emangioblastoma è un tumore vascolare di origine mesenchimale
situato quasi sempre nella fossa posteriore e più tipicamente negli
emisferi cerebellari. Può essere isolato o associato ad altre lesioni
nel quadro della malattia di von Hippel-Lindau (si veda oltre).
Tumori intraventricolari
La frequenza di questi tumori è in assoluto abbastanza bassa.
Nondimeno rappresentano un’importante tipologia di tumori
cerebrali del bambino e dei soggetti giovani. Questo fatto e il
carattere frequentemente benigno rendono ragione dell’interesse
che rivestono.
Ependimomi
Le cellule ependimali che li costituiscono sono spesso raggruppate
in rosette o pseudorosette perivascolari. Questi tumori, che si
sviluppano a partire dall’ependima ventricolare, insorgono
soprattutto nel bambino e nell’adolescente. La localizzazione più
frequente è quella sottotentoriale nel quarto ventricolo e
determina un idrocefalo con ipertensione endocranica e spesso
atassia cerebellare e nistagmo. L’ependimoma del terzo ventricolo
ha conseguenze identiche sulla dinamica liquorale. Per contro la
localizzazione in un ventricolo laterale, quando non blocca un
forame di Monro, può rimanere a lungo ben tollerata. L’exeresi
sovente è incompleta, particolarmente quando l’impianto del
tumore si trova nel pavimento del quarto ventricolo. È indicata
una radioterapia complementare. La guarigione viene raggiunta in
un buon numero di casi. È possibile, ma rara, la disseminazione a
distanza.
Cisti colloide del terzo ventricolo
Appesa al tetto del terzo ventricolo tra i forami di Monro, la cisti
colloide si manifesta soprattutto con attacchi remittenti di
ipertensione endocranica, talora scatenati da determinate
posizioni del capo. Viene trattata con un’exeresi chirurgica i cui
risultati sono nell’insieme soddisfacenti.
Tumori della regione pineale
Accanto ai pinealomi, sviluppatisi da elementi cellulari propri
dell’epi si e che corrispondono alla minoranza dei casi, si
osservano gliomi, teratomi e soprattutto germinomi, simili ai
germinomi delle gonadi o mediastinici. I germinomi possono anche
svilupparsi a livello dell’ipotalamo, dove sono stati descritti con la
de nizione di “pinealomi ectopici”. Hanno la tendenza a
disseminarsi a distanza per via liquorale. Questi tumori vengono
osservati principalmente nel bambino e nel giovane adulto, con
una netta predominanza nei soggetti di sesso maschile. Nei casi
tipici la sintomatologia associa una sindrome da ipertensione
endocranica per ostruzione dell’acquedotto di Silvio a disturbi
oculomotori da compressione della regione pretettale: paralisi
dell’elevazione e della convergenza (sindrome di Parinaud) e
abolizione del ri esso fotomotore. Assai più raramente si manifesta
una pubertà precoce. La TAC mostra la dilatazione ventricolare e
l’immagine del tumore, generalmente bene impregnato dopo
iniezione del mezzo di contrasto. Il trattamento, che associa
un’exeresi almeno parziale del tumore con una radioterapia
complementare, può essere seguito da una remissione duratura.
Medulloblastoma
Di aspetto molto indi erenziato, il medulloblastoma è un tumore
cerebellare di origine neuroectodermica. Il medulloblastoma è il
più frequente dei tumori della fossa posteriore del bambino, con una
preferenza per i soggetti di sesso maschile. La sua sede di partenza
è il verme cerebellare, da cui invade rapidamente il quarto
ventricolo con una tendenza alla disseminazione negli spazi
subaracnoidei periencefalici e perimidollari. Il medulloblastoma
dell’adulto (25% dei casi) spesso presenta un esordio lateralizzato
all’interno di un emisfero cerebellare.
La precoce ripercussione sul pavimento del quarto ventricolo
spiega come il vomito sia frequentemente il primo sintomo e
orienti la diagnosi verso una malattia dell’apparato digerente.
Compaiono poi rapidamente disturbi dell’equilibrio, sintomi di
ipertensione endocranica e una postura anomala del capo. La TAC
mostra una lesione che assume il mezzo di contrasto e che blocca il
quarto ventricolo, determinando un idrocefalo soprastante. L’iter
diagnostico deve comprendere una RMN midollare.
L’intervento chirurgico consente di e ettuare un’exeresi del
tumore il più possibile completa e di precisare il tipo istologico
dello stesso e le anomalie genomiche eventualmente presenti. Il
medulloblastoma è sensibile alla radioterapia, ma l’irradiazione
deve interessare il nevrasse in toto a causa della frequente
disseminazione leptomeningea. Il medulloblastoma inoltre è un
tumore molto chemiosensibile, ma i relativi protocolli terapeutici
sono ancora oggetto di studio. I risultati spesso sono eccellenti sin
dall’inizio e frequentemente duraturi, con una sopravvivenza a 10
anni dell’ordine del 50%.
Papillomi dei plessi corioidei
Si tratta di tumori benigni il cui sviluppo è assai lento; nondimeno
è stata descritta la possibilità di una disseminazione a distanza di
villosità distaccatesi dal tumore. La sintomatologia, stabile o
intermittente, è in funzione della ripercussione del tumore sulla
circolazione liquorale. Classicamente si a erma che l’idrocefalo
prodotto da questi tumori può essere la conseguenza non soltanto
di un blocco meccanico, ma anche di un processo di ipersecrezione.
Neuro bromatosi
Allo stato attuale si distinguono due tipi di neuro bromatosi.
Neuro bromatosi di tipo 1 (NF1, malattia di Recklinghausen)
Il gene responsabile, localizzato sul cromosoma 17, codi ca per
una proteina, la neuro bromina. Almeno due dei seguenti elementi
sono considerati necessari per la diagnosi:
Bibliogra a
Primo esame
Funzioni vegetative
La pressione arteriosa, la frequenza del polso e del respiro e la
temperatura devono essere rilevate subito e successivamente
controllate e annotate a brevi intervalli. Fin dall’inizio i disturbi
vegetativi devono essere corretti minuziosamente, a causa delle
ripercussioni che le alterazioni circolatorie e respiratorie esercitano
sulle funzioni cerebrali.
Il mantenimento della pervietà delle vie aeree è un altro
elemento particolarmente importante per evitare che l’ipossia
aggravi la so erenza cerebrale. Nel caso di un grave trauma
cranico deve essere attuata n dal primo momento una
intubazione tracheale con ventilazione assistita.
Esame neurologico
L’esame neurologico ricerca i segni della so erenza cerebrale
focale. Peraltro, molto spesso i disturbi della coscienza non
permettono un esame neurologico tradizionale. Anche in questi
casi si possono ottenere numerose indicazioni. Si deve notare
particolarmente il carattere simmetrico o meno della motilità, sia
spontanea sia provocata dalle stimolazioni dolorose (compressione
sovraorbitaria o del letto ungueale con una penna) e
l’atteggiamento del ferito, che può presentare una rigidità da
decerebrazione più o meno tipica. Una paralisi facciale, centrale o
periferica, può essere riconosciuta mediante stimolazione della
motilità mimica prodotta dalla manovra di Pierre-Marie e Foix.
L’esame degli occhi deve essere molto rigoroso: ricerca di
un’asimmetria pupillare, di midriasi uni- o bilaterale, del ri esso
fotomotore diretto e consensuale. La lesione di un nervo ottico può
essere riconosciuta precocemente, senza la collaborazione del
ferito se, da una parte, l’abolizione del ri esso fotomotore diretto
contrasta con la conservazione del ri esso consensuale. Anche in
presenza di disturbi importanti della vigilanza, l’osservazione dei
movimenti spontanei e ri essi degli occhi può permettere di
rivelare la presenza di una paralisi oculare; in ne occorre
esaminare e sorvegliare lo stato del fondo dell’occhio.
Lesioni associate
Poiché spesso i pazienti sono politraumatizzati, la ricerca delle
lesioni associate deve essere sistematica, andando a includere:
esame del rachide cervicale, degli arti, dell’addome e del torace
(pneumotorace, emotorace, lembo costale). La presenza dall’inizio
o la successiva comparsa di uno stato di shock deve far sospettare
un’emorragia interna.
Esami complementari
La radiogra a del cranio è inutile, ma la TAC deve essere
sistematicamente eseguita in ogni paziente con trauma cranico
grave. Nella pratica, in una situazione di emergenza, questo esame
è spesso e ettuato anche in caso di traumi cranici leggeri, in
particolare se vi è perdita di conoscenza iniziale. La ripetizione
dell’esame è indicata in caso di comparsa di segni di
peggioramento clinico o in assenza di miglioramento.
La RMN non ha dimostrato alcuna utilità nella fase acuta del
trauma cranico.
L’indicazione a eseguire un esame vascolare (angio-TAC,
angio-RMN, angiogra a convenzionale) può essere posta quando
vi è il sospetto di una stola carotidocavernosa.
L’esame radiologico del rachide è necessario in occasione di
qualsiasi trauma cranico grave (Glasgow <8).
Commozione cerebrale
La commozione cerebrale è una conseguenza dello scuotimento
della massa cerebrale. Essa è responsabile del coma iniziale, la cui
evoluzione può essere rapidamente risolutiva o, al contrario,
prolungata e con esito fatale.
Commozione cerebrale lieve
Contusione cerebrale
La contusione cerebrale è una lesione macroscopica che determina
un focolaio di lacerazione e di necrosi emorragica, al quale si
associa edema. Può avere sede in corrispondenza del punto di
impatto del trauma se vi è un a ondamento della scatola cranica o
una ferita craniocerebrale, ma anche quando la scatola cranica è
indenne o presenta soltanto una frattura lineare. Altre volte la
contusione cerebrale deriva da un meccanismo di contraccolpo e ha
sede opposta al punto di impatto: nell’emisfero controlaterale per
un trauma laterale, sui poli occipitali per un trauma frontale, sui
poli frontali e temporali per un trauma occipitale. Le lesioni da
contusione sono talvolta modeste, ma possono essere molto gravi
per estensione o localizzazione nel tronco encefalico. Spesso vi è
associata un’emorragia subaracnoidea, talvolta un’emorragia
intraventricolare a seguito della quale può svilupparsi un
idrocefalo.
I focolai di contusione cerebrale sono responsabili di segni
neurologici che possono anche apparire solo tardivamente, quando
i disturbi della coscienza, conseguenti alla commozione cerebrale,
si risolvono. Si possono presentare sindromi neurologiche assai
diverse: emiparesi, afasia, emianopsia, sindrome frontale,
sindrome di Korsako . La contusione cerebrale si mostra alla TAC
con zone di iperdensità, corrispondenti a emorragie,
inframmezzate a zone di ipodensità che rappresentano l’edema.
Dopo numerosi giorni l’aspetto è quello di aree omogenee di
ipodensità.
Quando i danni cerebrali non sono troppo gravi, questi
soggetti migliorano progressivamente. La regressione dei de cit
neurologici spesso è notevole, ben superiore a quanto si osserva in
caso di accidenti vascolari cerebrali.
Ematomi endocranici
La formazione di una raccolta ematica è una complicanza
relativamente rara (1-6% dei pazienti ospedalizzati), ma la sua
importanza è notevole perché rende conto dei due terzi circa delle
morti che si possono evitare.
La presenza di un ematoma, talvolta individuato clinicamente
quando si viene a sapere che vi è stato un intervallo libero, dopo il
quale il paziente si è aggravato, può essere constatata con l’esame
TAC eseguito in fase iniziale. In altri casi, di fronte a un
aggravamento secondario, una nuova TAC permette di
diagnosticarlo. Gli ematomi possono insorgere in qualunque
momento, ma soprattutto durante le prime 2 settimane e in
particolare nei primi giorni. Sul piano clinico, l’evoluzione di una
raccolta ematica che comprime il cervello si manifesta con una
sintomatologia che associa in modo variabile una compromissione
della vigilanza a segni di localizzazione neurologica, in particolare
una midriasi unilaterale areagente.
Ematoma extradurale
Si tratta di un versamento ematico che si costituisce tra l’osso e la
dura madre. L’emorragia è il risultato della rottura di un ramo
dell’arteria meningea media, spesso in corrispondenza di una
frattura lineare. Talvolta può essere di origine venosa a partenza
dalle vene diploiche o dalla lesione di un seno venoso. L’ematoma
extradurale può conseguire a un trauma cranico apparentemente
banale e produrre la morte in poche ore se non si interviene
chirurgicamente con urgenza.
Gli ematomi extradurali precoci, che si manifestano nelle
primissime ore, sono anche i più gravi a causa dell’evoluzione
particolarmente rapida. Devono essere operati senza alcuna perdita
di tempo, ricordando che solitamente la sede più frequente di
localizzazione è la fossa cranica media, ma si possono anche
sviluppare a livello frontale o in fossa posteriore; in quest’ultima
eventualità esiste abitualmente una rima di frattura occipitale.
Ematoma subdurale
La raccolta emorragica si trova tra la dura madre e l’aracnoide, in
conseguenza della rottura di piccole vene (vene “a ponte”) che
attraversano lo spazio subdurale. L’emorragia, a origine venosa, si
forma con una pressione relativamente bassa, il che spiega come
possa essere tollerata a lungo (ematomi subdurali tardivi). La
bilateralità non è eccezionale, in quanto l’ematoma subdurale può
svilupparsi sia nel punto di impatto del trauma sia a distanza, per
un meccanismo di contraccolpo. L’evento traumatico può anche
essere lieve, non tale da produrre una perdita di coscienza iniziale,
soprattutto in soggetti particolarmente suscettibili: anziani,
alcolisti o pazienti sottoposti a terapia anticoagulante. Talora può
essere di cile persino ottenere il dato anamnestico di un pregresso
trauma cranico.
Ematoma subdurale acuto precoce
Si rivela nei giorni successivi al trauma, che in questo tipo di
ematoma spesso è stato importante con associazione di lesioni
cerebrali contusive; queste lesioni associate mascherano la
sintomatologia dell’ematoma e, in particolare, il dato anamnestico
di un intervallo libero viene riferito meno spesso che nella variante
extradurale.
Ematoma subdurale cronico tardivo
La sua sintomatologia non si rende evidente che qualche settimana
o qualche mese dopo il trauma causale, che a volte è già stato
dimenticato. È molto probabile che lo scompenso tardivo di questo
tipo di ematoma subdurale consegua a una raccolta ematica
inizialmente poco importante, che in seguito aumenta
progressivamente sia per ripresa dell’emorragia da capillari
neoformati, sia per aumento della pressione osmotica della
raccolta ematica per degradazione delle proteine in essa
contenute.
Il quadro clinico è solitamente dominato dalla cefalea e dalle
manifestazioni psichiche, essendo i segni neurologici focali più
tardivi. La diagnosi, soprattutto se non vi è notizia del pregresso
trauma, è resa possibile dall’imaging cerebrale.
Trattamento
L’indicazione al trattamento chirurgico di un ematoma subdurale
dipende dall’importanza dell’e etto massa e dalla presenza o meno
di segni di so erenza cerebrale.
Ematoma intracerebrale
Gli ematomi intracerebrali, quasi sempre frontali o temporali,
conseguono a processi emorragici indotti da eventi contusivi.
L’aggravamento dello stato neurologico o la presenza di
ipertensione endocranica non controllabile con il trattamento
farmacologico possono richiedere un’evacuazione chirurgica.
L’insorgenza di un’emorragia intracerebrale a seguito di un
trauma cranico apparentemente poco grave può veri carsi in
alcuni pazienti sottoposti a trattamento antitrombotico o con una
mutazione del gene COL4A1 (Cap. 15).
Complicanze infettive
Devono essere temute nelle ferite penetranti o in alcune varietà di
fratture: frattura di un seno frontale aperto nelle cavità nasali,
frattura della rocca aperta nell’orecchio medio e comunicante con
il rinofaringe attraverso la tromba di Eustachio o anche con
l’orecchio esterno attraverso una lacerazione del timpano.
Quando si riscontra una linea di frattura che interessa un
seno, una rinorrea, un’otorrea o un aerocele, bisogna iniziare un
trattamento antibiotico preventivo. Se la stola persiste o in caso
di aerocele, può rendersi necessario un intervento verso la seconda
o la terza settimana. Peraltro a volte la meningite purulenta
insorge in modo imprevedibile con una sintomatologia di cile da
riconoscere nel contesto di un trauma cranico grave. Al minimo
dubbio occorre quindi ripetere l’esame neuroradiologico (possibilità
di ascesso cerebrale) ed eseguire una puntura lombare.
Complicanze vascolari
Una complicanza del trauma cranico può essere l’infarto cerebrale.
Il meccanismo di questi infarti è variabile: compressione di
un’arteria cerebrale per impegno, occlusione di un’arteria a
destinazione cerebrale, in particolare della carotide interna,
correlate a una trombosi traumatica o una dissecazione.
Il trauma può anche essere responsabile di una stola
arterovenosa: stola carotidocavernosa, stola durale.
Amnesia post-traumatica
Nelle prime fasi del decorso di un coma e di uno stato confusionale
secondari a trauma cranico vi è un periodo durante il quale
l’acquisizione e la ritenzione di nuove informazioni sono
de citarie. Questa fase, non sempre riconosciuta, deve essere
rilevata e occorre misurarne la durata, in quanto rappresenta
un’indicazione sul grado di ripercussione cerebrale del trauma.
Inoltre, può insorgere un’amnesia retrograda relativa all’incidente,
e talvolta anche a fatti avvenuti molti anni prima. L’estensione
dell’amnesia retrograda tende poi a ridursi.
De cit neurologici
I de cit neurologici assumono vari aspetti; un bilancio preciso si
può fare solo quando lo stato di coscienza del traumatizzato è
migliorato. Sia nel caso di un’emiplegia sia nel caso di disturbi
dell’equilibrio o delle funzioni cognitive, e particolarmente di
un’afasia, ci si possono attendere spesso recuperi importanti,
soprattutto nei giovani. Oltre a queste lesioni centrali va anche
ricordata la possibilità che compaia un diabete insipido.
Alcuni nervi cranici sono particolarmente vulnerabili e possono
talvolta essere lesi in modo de nitivo. L’anosmia va ricercata non
appena lo stato di coscienza lo permette; se viene constatata solo
più tardi, nel momento in cui si pongono problemi di indennizzo, il
suo signi cato, come sintomo soggettivo, può essere di di cile
interpretazione. Una paralisi oculomotoria, quando persiste dopo
diversi mesi, può richiedere una correzione a causa della diplopia e
del danno estetico. Una paralisi facciale periferica segue solitamente
alla frattura della rocca; spesso va incontro a regressione,
soprattutto quando si tratta di una paralisi facciale sopraggiunta
secondariamente. Una sordità di percezione e una sindrome
vestibolare possono essere conseguenza di una lesione dell’VIII o,
più frequentemente, dell’orecchio interno.
Alterazioni cognitive
Una contusione bilaterale dei poli temporali può provocare lo
sviluppo di una sindrome amnesica più o meno grave.
Una sindrome frontale, anche grave, che determina alterazioni
della personalità e del comportamento, può essere provocata da
focolai di contusione dei poli frontali. Il più delle volte si tratta di
una sindrome disesecutiva che è bene sapere riconoscere in quanto
la presenza di una sindrome frontale potrebbe indurre il paziente a
sottovalutare la propria disabilità.
Una vera demenza, che va di pari passo con un’atro a
cerebrale evidenziabile con l’esame neuroradiologico, può
manifestarsi come sequela di un trauma cranico, soprattutto
quando ci siano state gravi lesioni commotive e contusive. Tale
quadro deve essere distinto dagli idrocefali comunicanti post-
traumatici, che possono essere trattati e cacemente con una
derivazione ventricolare.
Epilessia post-traumatica
L’epilessia post-traumatica deve essere distinta dalle crisi precoci
che insorgono nella fase acuta del trauma cranico. Nella
maggioranza dei casi compare nel corso dei due anni successivi al
trauma, dopo un tempo di latenza raramente inferiore a tre mesi.
Passato l’intervallo di due anni il rischio dell’epilessia, pur
presente, si riduce di molto. È inoltre assai basso (1%) nei traumi
cranici non complicati, che hanno comportato un disturbo dello
stato di coscienza minore di 1 ora; diventa elevato se si
considerano soggetti che hanno presentato crisi epilettiche nella
fase acuta o che hanno avuto un disturbo di coscienza prolungato,
una frattura con a ondamento di frammenti o un ematoma
intracranico. In questo gruppo di traumi cranici ad alto rischio di
epilessia tardiva, alcuni autori propongono un trattamento
antiepilettico che dovrebbe prolungarsi per almeno 1 anno.
Tuttavia l’e cacia di questo trattamento pro lattico non è stata
dimostrata.
Traumi cranici lievi – Sindrome postcommotiva
Un trauma cranico può essere de nito lieve se soddisfa i seguenti
criteri: punteggio della scala di Glasgow uguale o superiore a 13,
amnesia post-traumatica inferiore a 24 ore, assenza di lesioni
individuabili mediante imaging. Questa de nizione è piuttosto
ampia dal momento che va a includere alcuni casi in cui l’esistenza
di un interessamento cerebrale può determinare problemi.
La sindrome postcommotiva (“post-concussion syndrome” per
gli autori anglosassoni) non è in genere associata a traumi cranici
gravi. Al contrario, risulta più frequente in seguito a traumi cranici
lievi, che rappresentano più dell’80% del totale.
I sintomi costitutivi della sindrome postcommotiva sono
indicati nella Tabella 17.1. Come si può constatare, si tratta di una
sindrome aspeci ca che può essere osservata in diverse
circostanze, quali una sindrome da a aticamento cronico o uno
stato depressivo.
Sintomi
Sintomi sici Sintomi cognitivi
emotivi
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Capitolo 18
Malattie infettive e/o trasmissibili
Germi responsabili
I germi più spesso coinvolti, responsabili dell’80% dei casi, sono
Neisseria meningitidis (meningococco), Streptococcus pneumoniae
(pneumococco) e Haemophilus in uenzae nel bambino, S.
pneumoniae e N. meningitidis nell’adulto. Più dei due terzi dei casi
insorgono prima dei 5 anni. La porta di ingresso abituale di questi
germi è il rinofaringe, mentre la disseminazione meningea avviene
per via ematogena.
Semeiologia
La meningite può fare la sua comparsa come a ezione primitiva,
oppure è manifestamente secondaria a un focolaio infettivo
limitrofo (otite, sinusite), a un focolaio infettivo situato a distanza
o a una breccia nella dura madre che costituisce una causa di
meningite recidivante.
Le meningiti batteriche acute sono caratterizzate
dall’associazione di una grave sindrome infettiva sistemica e di una
sindrome meningea i cui elementi sono:
Puntura lombare
Se prima della puntura lombare risulta necessaria una TAC
(sospetta raccolta con e etto massa), allora il trattamento
antibiotico deve essere somministrato prima di e ettuare questo
esame.
Il liquor è iperteso e torbido o francamente purulento. Vi è
una pleiocitosi di solito importante, costituita in maggioranza da
polimorfonucleati più o meno alterati. Le meningiti batteriche
acute sono il più delle volte purulente, ma vi sono delle eccezioni:
alcuni batteri (Listeria monocytogenes) possono essere responsabili
di meningiti a prevalenza linfocitaria.
La proteinorrachia è elevata. La glicorrachia è ridotta in
rapporto alla glicemia. Il tasso di lattati è elevato.
L’identi cazione del germe avviene mediante l’esame
batterioscopico diretto, l’esame colturale o la PCR.
Un liquor sterile caratterizza le meningiti “decapitate” da un
trattamento antibiotico intrapreso prima della puntura lombare. Il
germe in causa può essere identi cato mediante PCR o emocoltura,
che deve essere praticata sistematicamente.
Varietà eziologiche
Al di fuori del periodo neonatale, la frequenza relativa delle
meningiti batteriche è stata modi cata dalla vaccinazione contro
l’Haemophilus in uenzae. Attualmente, l’agente più spesso in causa
è lo Streptococcus pneumoniae, seguito dalla Neisseria meningitidis e
dalla Listeria monocytogenes.
Meningite pneumococcica (S. pneumoniae)
Trattamento
Il trattamento di una meningite batterica acuta deve essere iniziato
con urgenza senza attendere l’identi cazione del germe e i risultati
dell’antibiogramma. Il trattamento delle meningiti batteriche
acquisite in comunità si basa su una cefalosporina di terza
generazione (cefotaxima o ceftriaxone). In caso di sospetta
listeriosi, il trattamento consigliato associa amoxicillina e
gentamicina. La prognosi sembra essere più favorevole se viene
associato precocemente desametasone nei pazienti
immunocompetenti. In caso di meningite nosocomiale, il
trattamento prevede l’associazione di vancomicina a una
cefalosporina di terza generazione o a meropenem.
Ascesso cerebrale
L’ascesso cerebrale, una raccolta suppurata sviluppata all’interno
del parenchima cerebrale, è relativamente raro rispetto alla
frequenza delle meningiti purulente. Tutti i piogeni possono essere
responsabili di un ascesso del cervello, ma lo streptococco, lo
sta lococco, i germi Gram-negativi e i germi anaerobi sono quelli
che si trovano più comunemente. Una depressione immunitaria
può favorire alcune rare cause come la Nocardia aerobacter
(batterio della famiglia degli actinomiceti).
Eziologia
Gli ascessi cerebrali si sviluppano in tre circostanze eziologiche:
Quadro clinico
L’ascesso cerebrale è preceduto da una fase di encefalite
presuppurativa e si manifesta come una neoformazione
intraparenchimale a evoluzione subacuta. Predominano i segni
dell’ipertensione endocranica: la cefalea è costante, spesso
localizzata; i disturbi della coscienza sono frequenti e precoci; un
edema papillare si riscontra nella metà dei casi. Le crisi epilettiche
sono frequenti, sotto forma di crisi focali o di clonie subentranti.
Una sindrome infettiva si manifesta raramente: la febbre può
mancare del tutto e anche la leucocitosi con polimorfonucleati è
assente nella metà dei casi. La ricerca della porta di entrata
dell’infezione, vicina o distante che sia, è importante da un punto
di vista diagnostico, ma non sempre questa viene identi cata.
Esami complementari
La puntura lombare è controindicata quando si sospetta un ascesso
cerebrale, in quanto aggrava la prognosi.
Il neuroimaging (TAC e RMN) ha migliorato considerevolmente la
prognosi degli ascessi cerebrali, permettendone la diagnosi precoce e
la sorveglianza accurata dell’evoluzione durante il trattamento.
L’imaging mostra abitualmente una lesione che assorbe il contrasto
in maniera cercinata (Fig. 18.1). Un’immagine di questo tipo non è
speci ca, in quanto può essere osservata in particolare nei tumori.
La RMN di di usione, qualora evidenzi una riduzione del
coe ciente apparente di di usione, è a favore di un ascesso.
Figura 18.1 Ascesso cerebrale frontale (RMN pesata in T1, scansione assiale, con
iniezione di gadolinio).
Trattamento
In assenza dell’isolamento di germi e di orientamento eziologico, il
trattamento medico si basa sull’associazione di cefalosporine di
terza generazione, aminoglicosidi e metronidazolo. Lo stato del
malato (ipertensione endocranica, segni di impegno) può imporre
un trattamento chirurgico precoce (puntura evacuativa o exeresi).
Negli altri casi, l’evoluzione sotto terapia antibiotica deve essere
seguita attentamente con il neuroimaging, ben sapendo che un
intervento chirurgico potrebbe rendersi necessario, ma che un buon
numero di ascessi del cervello guarisce completamente sotto
trattamento esclusivamente medico.
Abbastanza frequenti sono le sequele neurologiche, di tipo
de citario o epilettico.
Empiema subdurale
Raro, ma assai grave, generalmente l’empiema subdurale deriva da
un focolaio settico otorinolaringoiatrico. Il quadro clinico è simile
a quello dell’ascesso cerebrale, dal quale può essere distinto solo
attraverso un’indagine di neuroimaging. L’evoluzione favorevole è
consentita esclusivamente dall’evacuazione immediata della
suppurazione associata a trattamento antibiotico.
Tubercolosi cerebromeningea
La disseminazione nel nevrasse del bacillo di Koch (BK) avviene
sempre per via ematogena. La meningite tubercolare del bambino è
un evento del periodo di disseminazione che segue l’“infezione
primaria”. Nell’adulto, la meningite tubercolare o la formazione di
tubercolomi può corrispondere a una disseminazione che parte da
un’altra localizzazione tubercolare, favorita da una condizione di
depressione immunitaria.
Meningite tubercolare
Si tratta di una meningite granulomatosa. L’in ltrato predomina
nelle meningi della base dell’encefalo e può essere responsabile di
de cit dei nervi cranici e di un’arterite del tratto iniziale delle
arterie cerebrali, che può a sua volta provocare eventi ischemici
cerebrali. Consiste in una disseminazione di piccoli tubercoli:
focolai di necrosi caseosa circondati da cellule epitelioidi e da una
corona linfocitaria. Questi tubercoli, in cui si può mettere in
evidenza il bacillo di Koch (BK), sono immersi in un essudato di
linfociti e di cellule mononucleate. L’ispessimento meningeo che
evolve verso la brosi tende a bloccare le vie della circolazione
liquorale. Inoltre, prolungandosi lungo le guaine arteriose, le
lesioni producono focolai di necrosi nel parenchima cerebrale.
Quadro clinico
La meningite tubercolare si presenta nella metà dei casi sotto
forma di una sindrome meningea febbrile la cui sintomatologia è
così caratteristica da imporre senza indugi la puntura lombare.
Nondimeno la sintomatologia può essere ingannevole perché
si tratta di una meningite subacuta, che si manifesta con
dimagramento e febbre prolungata, ma moderata. Ingannevole è
anche la sintomatologia dolorosa craniocervicale o radicolare e
per no addominale. La rigidità meningea può essere moderata. La
cefalea deve richiamare l’attenzione se si presenta in un contesto
di modi cazioni del carattere e del comportamento. Crisi
epilettiche o paralisi dei nervi cranici possono rappresentare la
manifestazione rivelatrice.
In alcuni casi predominano i disturbi di coscienza, che
determinano una sindrome confusionale a cui può contribuire
l’iponatriemia associata a secrezione inappropriata dell’ormone
antidiuretico. L’esistenza di forme puramente febbrili giusti ca
l’esecuzione di un esame del liquor in tutti i soggetti con febbre di
lunga durata e di origine inspiegabile. In ne, un’angioite
tubercolare associata alla meningite può essere responsabile di un
infarto cerebrale o midollare.
Esami complementari
Il liquor è limpido. La pleiocitosi è franca, da 200 a 300 elementi
con forte predominanza linfocitaria. L’iperalbuminorrachia è
notevole e raggiunge 2 o 3 g/L. L’ipoglicorrachia (che va
interpretata in rapporto alla glicemia) è tipicamente evocatrice.
La ricerca del BK all’esame diretto è positiva solo nel 20-30%
dei casi e le colture non forniscono risultati che dopo parecchie
settimane. La PCR ha una sensibilità notevolmente superiore
dell’esame diretto e il risultato è molto più rapido di quello della
coltura. Tuttavia l’esame ha una sensibilità pari a circa il 60% e
per questo motivo possono aversi dei falsi negativi.
Lo studio del liquor permette la diagnosi di erenziale rispetto
ad altre meningiti a evoluzione cronica o subacuta: meningiti
carcinomatose (citodiagnosi), meningite micotica (colorazione con
inchiostro di China).
La RMN mostra una presa di contrasto leptomeningea e
talvolta lesioni parenchimali che evocano tubercolomi.
Trattamento
Il trattamento deve essere cominciato in modo tempestivo sulla
base di dati di certezza diagnostica (rilevazione del BK all’esame
diretto, PCR positiva) o di elementi presuntivi senza attendere il
risultato delle colture. Il trattamento di induzione, la cui durata è
di 2 mesi, si basa sull’associazione di quattro antitubercolari
maggiori (isoniazide, rifampicina, pirazinamide, etambutolo o
streptomicina). Questo trattamento va associato a una terapia
corticosteroidea: prednisone 1 mg/kg il primo mese con posologia
decrescente dal mese successivo. La terapia di mantenimento
prevede il ricorso a due antitubercolari (isoniazide, rifampicina)
per almeno 4 mesi o, per la maggioranza degli autori, per un
periodo che va dai 7 ai 10 mesi.
Prognosi
La prognosi resta grave nelle forme riconosciute e trattate
tardivamente, sia per la mortalità (dal 15 al 20% nell’adulto) sia
per i postumi: emiplegia, paralisi oculari, atro a ottica, sordità,
epilessia. Sono possibili anche complicanze tardive in rapporto allo
sviluppo di un idrocefalo.
Tubercolomi
Costituiti da una massa caseosa che circonda una zona
granulomatosa, i tubercolomi evolvono come neoformazioni
intraparenchimali lentamente espansive. Unici o multipli,
occupano sedi assai diverse (midollo, tronco encefalico, cervelletto,
talamo, emisferi cerebrali). L’ascesso tubercolare si distingue dal
tubercoloma per il carattere spesso unico, la presenza di numerosi
BK e l’assenza di reazioni granulomatose periferiche.
La RMN evidenzia i tubercolomi sotto forma di lesioni nodulari
che assumono il mezzo di contrasto in maniera omogenea o
cercinata.
Il trattamento antitubercolare, intrapreso talvolta in assenza
di prove batteriologiche indiscutibili, permette di norma di
ottenere la progressiva risoluzione delle lesioni. Così come nella
meningite tubercolare, è tuttavia necessario essere consapevoli
della possibilità di aggravamento paradossale iniziale che giusti ca
l’associazione dei corticosteroidi.
Malattia di Lyme
Causata da una spirocheta (Borrelia burgdorferi), la malattia di
Lyme viene trasmessa all’uomo da una zecca (Ixodes ricinus, I.
dammini) presente nelle regioni boscose e umide. La maggior parte
dei casi si osserva fra maggio e novembre.
L’eritema cronico migrante precede i segni neurologici, ma è
presente solo in meno della metà dei pazienti. Inoltre,
all’anamnesi viene rilevata una morsicatura di zecca solo in una
minoranza di casi. Le manifestazioni neurologiche sono dominate
da interessamento poliradicolare, spesso molto doloroso e
asimmetrico. È frequente una lesione dei nervi cranici, in
particolare del nervo facciale che viene in molti casi colpito
bilateralmente. La meningite linfocitaria è costante, con presenza
di bande oligoclonali IGg nel 70% dei casi. Possono essere
associate manifestazioni articolari o cardiache. La diagnosi
richiede positività sierologica per la malattia di Lyme, tenendo
presente che la sieroconversione può essere tardiva.
Del resto, una sierologia positiva indica che il soggetto è stato
a contatto con B. burgdorferi ma non per questo è necessariamente
correlata a una malattia in fase attiva. L’indice di sintesi
intratecale di anticorpi anti-Borrelia è l’esame più a dabile per
attribuire una sindrome neurologica alla borreliosi di Lyme.
La neuroborreliosi può avere altre presentazioni: meningite
linfocitaria isolata, mielite acuta trasversa, encefalite con possibile
stato confusionale secondario, neuropatia ottica o eventi ischemici
cerebrali correlati a lesioni arteritiche cerebrali.
Il trattamento di prima linea è rappresentato da ceftriaxone
per via endovenosa 2 g/die per 21-28 giorni. Possono inoltre
essere impiegate la penicillina G per via endovenosa e la
doxiciclina per via orale. In assenza di terapia, la neuroborreliosi
può avere un’evoluzione cronica che può tradursi in mielopatia,
disturbi cognitivi o psichiatrici o compromissione dei nervi cranici.
È stata descritta una sindrome post-Lyme, che comporta disturbi
piuttosto vaghi quali a aticamento e dolore cronici. In base a
quanto dimostrato, il trattamento antibiotico prolungato non
avrebbe e etto su tale sindrome.
Malattia di Whipple
La malattia di Whipple è un’infezione batterica cronica dovuta al
Tropheryma whipplei. Possono comparire segni di compromissione
neurologica in un quadro di interessamento sistemico che può
comprendere manifestazioni articolari, gastroenteriche,
adenopatie, alterazione delle condizioni generali, sindrome
in ammatoria. Le manifestazioni neurologiche possono però essere
rivelatrici: deterioramento intellettivo, encefalopatia mioclonica,
oftalmoplegia sopranucleare, mioritmie oculofacciali, atassia
cerebellare, sindrome ipotalamica. La RMN solitamente evidenzia
le lesioni, visibili in T2, spesso con enhancement dopo iniezione di
gadolinio, a sede variabile.
L’esame del liquor rivela spesso un lieve aumento della
proteinorrachia e del numero di cellule; deve essere inoltre
e ettuata la colorazione PAS e la PCR per Tropheryma whipplei.
Del duodeno o di un’adenopatia. Le lesioni istologiche sono
costituite da aggregati di macrofagi schiumosi che contengono
inclusioni PAS-positive a forma di virgola. Il trattamento, basato su
antibiotici che superano la barriera meningea (trimetoprim-
sulfametoxazolo), deve essere protratto per via del rischio
importante di ricaduta.
Neurosi lide
La neurosi lide è divenuta eccezionale grazie al riconoscimento e
al trattamento della malattia nella sua fase iniziale. Tuttavia
presenta tuttora una certa recrudescenza in relazione all’HIV: l’1%
dei pazienti che hanno contratto l’HIV sarebbero a etti anche da
neurosi lide. È pertanto indispensabile valutare la possibile
presenza della malattia mediante indagini sierologiche speci che,
dinanzi a quadri clinici anche assai di erenti. Una neurosi lide
può essere esclusa se il FTA-ABS e il TPHA nel siero risultano
negativi. Tutte le forme di neurosi lide derivano da una
meningovasculite che può presentarsi in forma subacuta nel
periodo secondario o rimanere latente no alla comparsa di
manifestazioni più o meno tardive.
Si lide meningovascolare
È la conseguenza diretta dello sviluppo di una vasculite si litica.
La sua espressione dipende dalla topogra a e dal calibro delle
arterie interessate. Può provocare infarti nel territorio carotideo,
vertebrobasilare o delle arterie spinali. È possibile osservare anche
lesioni dei nervi cranici. I reperti in ammatori del liquor devono
fare sospettare la si lide, che viene poi facilmente confermata
dagli esami sierologici. Il trattamento con penicillina consente di
controllarne l’evoluzione e, spesso, di ottenere un miglioramento.
Paralisi progressiva
Anatomicamente si tratta di una meningoencefalite di usa. Le
meningi e le guaine perivascolari sono sede di un in ltrato
linfocitario. I nuclei grigi centrali sono colpiti. Si rileva una
rarefazione neuronale con proliferazione della microglia in forma
di elementi “a bastoncello”. Le metodiche di immuno uorescenza
mettono in evidenza il treponema nel parenchima cerebrale.
I segni clinici compaiono da 10 a 20 anni dopo il si loma
primario. In primo piano spiccano disturbi cognitivi e alterazioni
dell’umore e del comportamento. Talvolta è un evento con
conseguenze medico-legali (attentato al pudore, furto, tru a) a
rivelare improvvisamente la malattia. Le idee deliranti sono
frequenti, generalmente di tipo espanso: delirio megalomane,
caratterizzato da assurdità e incoerenze. Nondimeno sono frequenti
anche stati depressivi.
Spesso si associano segni neurologici: disartria, tremore
prevalentemente a carico del distretto labiolinguale, segno di
Argyll-Robertson, talora paralisi dei nervi oculomotori, raramente
neurite ottica. Si possono veri care episodi che richiamano eventi
cerebrovascolari transitori.
Il liquor è costantemente alterato. La pleiocitosi (da 10 a 100
linfociti) costituisce il segno più precoce e il primo a scomparire
sotto trattamento. L’aumento della proteinorrachia riguarda
soprattutto le gammaglobuline. I marker umorali della si lide sono
sempre positivi nel sangue e nel liquor.
Tabe dorsale
La tabe, oggi eccezionale, complicava in passato il 10% delle
si lidi. La sua comparsa aveva luogo dopo 20-30 anni
dall’infezione primaria.
Le lesioni del midollo spinale tabetico si presentano sotto
forma di una degenerazione dei cordoni posteriori che rappresenta
la prosecuzione della degenerazione delle radici posteriori.
Sindrome radicolocordonale posteriore della tabe
Altri segni
Rickettsiosi
L’interessamento del sistema nervoso centrale è frequente nel corso
di alcune rickettsiosi come la febbre Q (Coxiella burnetii) e
l’infezione da Rickettsia conorii (febbre bottonosa mediterranea),
trasmessa da una zecca del cane. Il trattamento si basa sulle
tetracicline o, nel bambino, sulla josamicina.
Infezioni parassitarie
Neuromalaria
La neuromalaria, o malaria cerebrale, è appannaggio esclusivo del
Plasmodium falciparum (attacco pernicioso). Le manifestazioni
neurologiche sono conseguenza dei disturbi circolatori cerebrali
causati dalla proliferazione intracapillare del ciclo schizogonico.
L’attacco pernicioso colpisce soggetti indenni, non sottoposti a
chemiopro lassi, che non hanno precedentemente acquisito
un’immunità speci ca.
L’inizio è brusco, talvolta segno rivelatore dell’infezione, altre
volte avviene nel corso di una fase di invasione primaria. In un
contesto iperpiretico compaiono cefalea e fotofobia, rapidamente
seguite da disturbi della coscienza che possono arrivare al coma.
Questo è preceduto o intervallato da intensa agitazione e da
allucinazioni. Possono essere osservate anche crisi convulsive e
segni de citari variabili. Il liquor è normale. Ai segni neurologici
possono essere associati anche stato di shock ed emolisi acuta.
Il dato anamnestico di un soggiorno recente (anche uno scalo
molto breve) in un Paese di endemia (zona subtropicale) e di
mancata chemiopro lassi o di una sua precoce interruzione (meno
di 45 giorni dopo il ritorno) suggerisce la ricerca del parassita nel
sangue mediante un semplice striscio o su una goccia spessa.
Bisogna segnalare l’esistenza di forme resistenti che fanno sì che
tale diagnosi non possa essere esclusa nemmeno se la
chemiopro lassi è stata ben osservata.
Il trattamento si basa su misure rianimatorie e di terapia
intensiva se sono presenti disturbi di coscienza e sul trattamento
delle diverse complicanze viscerali (shock, insu cienza renale),
oltre che sul trattamento speci co. Quest’ultimo si a da al chinino
in perfusione lenta endovenosa alla dose di 1,5-2 g/die per 4 o 5
giorni pur proseguendo la chemiopro lassi. Se instaurato con
urgenza, questo trattamento determina un’evoluzione favorevole
in pochi giorni e senza postumi, mentre qualunque ritardo espone
a un esito fatale.
Nel decorso di un attacco malarico, si può osservare atassia
cerebellare tardiva, che mostra un’evoluzione spontaneamente
regressiva in qualche settimana e che potrebbe essere correlata a
un processo (auto)immunitario.
Toxoplasmosi
Toxoplasma gondii è un protozoo intracellulare il cui ospite
de nitivo è l’intestino del gatto. In seguito a ingestione da parte
dell’uomo e di altri mammiferi, il parassita sviluppa un ciclo
extraintestinale che può culminare nella formazione di cisti, in
particolare nel cervello e nei muscoli.
È possibile che l’infezione sia trasmessa dalla madre al feto se
la madre contrae la malattia durante la gravidanza. Le
manifestazioni della toxoplasmosi connatale possono essere
presenti alla nascita o insorgere tardivamente: corioretinopatia,
idrocefalo, ritardo mentale, calci cazioni cerebrali, epilessia.
Nel soggetto immunocompetente, la toxoplasmosi acquisita
provoca manifestazioni neurologiche solo in casi eccezionali. La
toxoplasmosi acquisita nel paziente immunodepresso è comune in
caso di AIDS.
Tripanosomiasi
La malattia del sonno è una complicanza evolutiva della
tripanosomiasi africana (Trypanosoma gambiense e rhodesiense) di
cui l’insetto vettore è la mosca tsé-tsé. La disseminazione del
parassita avviene subito dopo l’inoculazione, ma le lesioni
encefaliche sono legate alle reazioni immunitarie che si sviluppano
nell’organismo.
La meningoencefalite, talvolta precoce, più spesso ritardata
rispetto all’infestazione, si manifesta con disturbi del sonno e
successivamente della vigilanza e con iperestesia generalizzata e
movimenti involontari. Talvolta risultano evidenti dei disturbi
psichiatrici. L’esame del liquor mostra una pleiocitosi moderata
con presenza di plasmacellule anormali (cellule di Mott),
glicorrachia normale e una moderata iperproteinorrachia con un
tasso molto elevato di gammaglobuline e presenza di IgM. Nel
sangue si osserva un marcatissimo aumento della velocità di
eritrosedimentazione con un importante aumento delle IgM.
Il trattamento si basa sulla somministrazione di
di uorometilornitina (DFMO). Il trattamento classico a base di
melarsoprol comporta un rischio importante di encefalopatia
molto grave.
Amebiasi cerebrale
Oltre agli ascessi amebici del cervello, complicanza eccezionale
dell’amebiasi intestinale dovuta a Entamoeba hystolitica, esistono
anche meningoencefaliti causate da amebe a vita libera.
La meningoencefalite da Naegleria si instaura per ingresso
attraverso l’etmoide e di regola viene contratta dopo un bagno in
acqua dolce. Il quadro è quello di una meningoencefalite
fulminante con liquor purulento nel quale si ritrovano le amebe.
Solo il trattamento precocissimo con amfotericina B e 5-
uorocitosina può comportare una probabilità di sopravvivenza.
Le amebe a vita libera della specie Acanthamoeba sono responsabili
di encefaliti granulomatose osservate in soggetti immunodepressi.
Echinococcosi alveolare
È il risultato dello sviluppo della forma larvale della Taenia
echinococcus multilocularis della volpe. Può essere osservata
nell’uomo nell’Est della Francia e nella regione dell’arco alpino, in
seguito al consumo di frutti selvatici contaminati da deiezioni della
volpe. La forma cerebrale, grave, si manifesta al neuroimaging
sotto forma di grappoli di cisti multiloculari.
Cenurosi
La cenurosi cerebrale è legata soprattutto allo sviluppo della forma
larvale della Taenia multiceps nei canidi. Si incontra soprattutto in
Africa equatoriale e nell’America del Sud. Le manifestazioni
neurologiche sono simili a quelle della cisticercosi, ma le
calci cazioni intracraniche non sono frequenti.
Bilharziosi
Le localizzazioni nervose della bilharziosi (o schistosomiasi) sono
eccezionali. La penetrazione delle uova nel sistema nervoso
avviene probabilmente per via venosa attraverso le anastomosi tra
il sistema portale (dove vivono i vermi adulti), la vena cava e i
plessi vertebrali. Ne risulta una reazione in ammatoria e
un’ostruzione dei capillari da cui possono prendere origine quadri
clinici diversi: massa endocranica, compressione midollare, in
particolare del cono terminale, encefalite, mielite trasversa
talvolta conseguente a un meccanismo ischemico.
Schistosoma mansoni (varietà intestinale, delle Antille) e
Schistosoma haematobium (varietà urinaria, africana) sono i
responsabili soprattutto delle forme midollari. Lo Schistosoma
japonicum, agente della bilharziosi splenoportale, praticamente
non si osserva in Italia; è soprattutto responsabile delle forme
cerebrali. La diagnosi si basa sul dato anamnestico di un soggiorno
nei Paesi di endemia, di bagni in acqua dolce dove vivono gli
ospiti intermedi (molluschi), sul riscontro di un’eosino lia
sanguigna e sul reperimento delle uova di parassita nelle feci o
nelle urine. Per metterle in evidenza talvolta occorre una biopsia
rettale o una cistoscopia. Le reazioni sierologiche consentono una
diagnosi indiretta. Il trattamento speci co, non sempre
costantemente e cace, si basa sul praziquantel o l’oxamniquina
(entrambi non disponibili in Italia; N.d.C.) associata a cortisonici.
Le forme tumorali, cerebrali o midollari, devono essere trattate con
intervento chirurgico.
Filariosi
L’uomo è l’ospite de nitivo di diverse liarosi che gli vengono
trasmesse da punture d’insetto. Secondo i diversi tipi di larie, i
vermi adulti sessuati della Onchocerca volvulus e Loa-Loa risiedono
negli organi linfatici o nei tessuti sottocutanei. Essi producono le
micro larie responsabili delle lesioni oculari dell’oncocercosi. La
Loa-Loa, osservata nell’Africa interna, può provocare una
micro lariemia importante. Se la micro lariemia è intensa, il
trattamento può scatenare una meningoencefalite a evoluzione
acuta o subacuta, con ipereosino lia sanguigna importante. Per
evitare questa temibile complicanza che spesso lascia sequele, il
trattamento anti liarosi, rappresentato attualmente
dall’imervectin (non disponibile in Italia; N.d.C.) deve essere molto
prudente e associato a corticosteroidi. La localizzazione di una
laria adulta negli spazi epidurali del rachide può essere
responsabile di una compressione midollare.
Trichinosi
Le trichine, ingerite sotto forma di larve nella carne di maiale poco
cotta, si sviluppano nell’intestino e generano nuove larve che si
disseminano nell’organismo.
Dopo un periodo iniziale caratterizzato da disturbi digestivi,
edema delle palpebre e dolori muscolari con leucocitosi eosino la,
tutto si può ridurre alla costituzione di localizzazioni muscolari.
Queste possono essere latenti e dimostrabili radiologicamente
(calci cazioni). Lo sviluppo di manifestazioni encefalitiche è più
raro: coma o confusione mentale o sintomi cerebrali focali.
L’evoluzione è generalmente favorevole, salvo il rischio di
epilessia.
Larva migrans
La migrazione, talvolta prolungata, nell’organismo di una forma
larvale di alcuni elminti caratterizza le diverse forme di larva
migrans, fra cui la più frequente è la toxocariasi.
La Toxocara canis vive normalmente nell’intestino del cane. Le
uova, di cui i giovani cuccioli rappresentano la fonte principale,
possono essere ingerite dall’uomo, in particolare dai bambini. Al di
fuori di questi casi di infestazione massiva la localizzazione
principale è l’occhio sotto forma di granuloma retinico.
Le larve di Angiostrongylus cantonensis, un nematode del topo
osservato in Asia e nel Paci co, infestano l’uomo in seguito a
ingestione di lumache, gamberetti, ecc. La meningite eosino la è
la manifestazione neurologica più frequente dell’angiostrongilosi e
si manifesta dopo un periodo di incubazione medio di due
settimane.
Lo Gnathostoma spinigerum è un nematode che vive nello
stomaco del cane, del gatto e di numerosi animali selvatici. La
gnatostomiasi, endemica in Estremo Oriente, compare nell’uomo
dopo ingestione di una forma larvale mediante consumo di carne
più o meno cruda di ospiti intermedi: pesci, rane, serpenti, ecc. La
migrazione della larva può essere responsabile di localizzazioni
cutanee o viscerali, in particolare di lesioni midollari o cerebrali.
Micosi
Infezioni virali
Virus varicella-zoster
Zoster
Lo zoster è causato dalla riattivazione del virus varicella-zoster
(VZV) che persiste nei gangli sensitivi delle radici posteriori e dei
nervi cranici in seguito alla varicella. Questa riattivazione è
osservata molto frequentemente nei soggetti anziani e negli
immunodepressi, i quali possono presentare una forma
particolarmente estesa.
Le lesioni in ammatorie interessano i neuroni dei gangli
sensitivi corrispondenti al territorio dell’eruzione e possono
estendersi alle meningi, alle radici o alla parte adiacente del
midollo o del tronco encefalico.
L’eruzione, strettamente unilaterale e con topogra a
radicolare, è costituita da una o più placche eritematose che si
coprono di vescicole. Si può localizzare in qualunque territorio
radicolare spinale (90%), principalmente toracico (68%), ma
anche a livello cranico (10%).
I dolori radicolari, che hanno preceduto l’eruzione, persistono.
Sono urenti, lancinanti, esacerbati dal contatto (allodinia). La
zona interessata dall’eruzione è sede di un’ipoestesia. Un de cit
motorio può essere presente nel territorio segmentario
corrispondente, manifestando la di usione del processo
in ammatorio.
È frequente una reazione in ammatoria meningea che pone lo
zoster tra le cause della meningite linfocitaria acuta.
Lo zoster dei nervi cranici interessa particolarmente il territorio
oftalmico del trigemino. L’anestesia corneale in questo caso è indice
di un grave rischio per la cornea. Esso giusti ca misure di
protezione e sorveglianza prolungata. Lo zoster del ganglio
genicolato, la cui eruzione interessa una porzione limitata del
padiglione auricolare (zoster di Ramsay-Hunt), si manifesta
principalmente con paralisi facciale periferica, associata talvolta a
ipoacusia e a una sindrome vestibolare per interessamento
dell’VIII. L’evoluzione è verso la guarigione in 2 o 3 settimane. La
persistenza dei dolori oltre le 6 settimane caratterizza le algie
postzosteriane.
Le algie postzosteriane sono una complicanza il cui rischio di
comparsa è più elevato se l’eruzione e i dolori nella fase acuta
sono stati più severi o se l’infezione ha colpito un soggetto anziano
e/o immunodepresso. Permanenti, cocenti, ossessionanti, talvolta
aggravate dal semplice contatto sotto forma di scariche
parossistiche, queste algie sono resistenti alla maggior parte dei
trattamenti. È possibile che siano legate alla persistenza del VZV
che determina una ganglionite cronica. Alcuni dolori radicolari
persistenti, in assenza di eruzione, potrebbero risultare da una
ganglionite zosteriana (zoster sine herpete).
Il trattamento nella fase acuta si basa sugli antivirali
(valaciclovir). Se iniziato precocemente, il trattamento antivirale
migliora l’evoluzione e, in particolare, riduce la durata del periodo
doloroso. Per il trattamento delle algie postzosteriane si può
ricorrere all’applicazione locale di cerotti a base di lidocaina, ad
antidepressivi triciclici, in particolare l’amitriptilina, e ad alcuni
antiepilettici (carbamazepina, gabapentin, pregabalin),
soprattutto in presenza di dolori folgoranti.
Encefalite erpetica
L’encefalite erpetica è la più frequente delle encefaliti virali
primitive sporadiche. Spontaneamente, è quasi sempre mortale.
Il virus herpes simplex di tipo II, all’origine dell’encefalite
erpetica neonatale, è solo in casi eccezionali responsabile
dell’encefalite erpetica del bambino e dell’adulto. Queste forme
infatti sono in genere provocate dal virus herpes simplex di tipo I,
responsabile delle infezioni della regione buccale. In alcuni casi
può essere implicato l’herpes virus di tipo VI, in particolare nelle
encefaliti che insorgono a seguito di un trapianto di cellule
staminali emopoietiche.
La compromissione predominante del sistema limbico ha
portato a pensare che il virus possa raggiungere il cervello
attraverso la via olfattiva. Un’altra ipotesi si fonda sulla frequenza
con la quale il virus erpetico di tipo I viene rinvenuto nel ganglio
di Gasser; l’encefalite deriverebbe dalla riattivazione di questo
virus presente allo stato latente.
Neuropatologia
Le lesioni predominano soprattutto nel lobo temporale, in
particolare nelle regioni dell’ippocampo, dell’insula, della faccia
orbitale del lobo frontale, della circonvoluzione cingolare. Sono
solitamente bilaterali, ma frequentemente asimmetriche. Nelle
regioni colpite il cervello è edematoso, con piccoli focolai
emorragici. L’edema cerebrale può essere responsabile di un
impegno temporale.
Istologicamente le lesioni associano zone di necrosi, focolai
emorragici, in ltrati in ammatori perivascolari, proliferazioni
focali microgliali, alterazioni dei neuroni con aspetti di
neuronofagia. Sovente si evidenziano inclusioni intranucleari nei
neuroni e nelle cellule gliali. L’esame in microscopia elettronica
permette di osservare le particelle virali.
Quadro clinico
La febbre e la cefalea compaiono precocemente. Spesso si
osservano alterazioni del comportamento, uno stato confusionale,
disturbi della memoria e del linguaggio. Sono frequenti le crisi
epilettiche, che possono essere crisi generalizzate tonico-cloniche o
crisi focali, più speci camente olfattive, uditive o psicomotorie.
Esami complementari
Il neuroimaging, in particolare la RMN in sequenze di di usione,
mostra molto precocemente anomalie signi cative che interessano
la corteccia e la sostanza bianca. Più che l’aspetto delle lesioni,
rivelatrice è la loro localizzazione, che generalmente avviene
bilateralmente nei lobi temporali e nelle regioni insulari e fronto-
orbitarie (Fig. 18.2).
Meningoradicolite, mielite
Il virus herpes simplex di tipo II, all’origine dell’herpes genitale,
persiste in stato latente nei gangli spinali posteriori sacrali. La sua
riattivazione può essere responsabile di una sindrome da
meningoradicolite o mielite.
Le meningoradicoliti si presentano con episodi dolorosi nel
territorio delle radici lombari o sacrali, talvolta associati a
ritenzione urinaria e a debolezza degli arti inferiori. Il liquor è
in ammatorio. La PCR evidenzia la presenza dell’HSV di tipo II nel
liquor. La sindrome può essere recidivante e in alcuni casi è
accompagnata da herpes genitale. L’evoluzione, spontaneamente
risolutiva, sembra favorita dal trattamento antivirale.
L’insorgenza di mielite lombosacrale ascendente, talvolta
grave e necrotizzante, è osservata quasi esclusivamente nei
soggetti immunodepressi.
Citomegalovirus
Nel neonato contagiato per via transplacentare, il citomegalovirus
(CMV) può dare origine a un’encefalite acuta oppure manifestarsi
solo con le sequele di un’infezione fetale precoce: idrocefalo,
microcefalia, calci cazioni intracraniche.
Il CMV è spesso responsabile delle manifestazioni
neurologiche correlate agli stati di immunodepressione (si veda
oltre). Il trattamento è rappresentato da ganciclovir in
monoterapia o associato a foscarnet.
Virus di Epstein-Barr
Il virus di Epstein-Barr può dare origine a manifestazioni
neurologiche di vario tipo: encefalite, mielite, sindrome di Guillain-
Barré, associata al quadro di una mononucleosi infettiva o isolata.
Rabbia
Il virus della rabbia (rhabdovirus) è estremamente di uso nel
mondo, dal momento che numerose specie animali ne assicurano la
presenza endemica e la trasmissione. Diverse specie domestiche,
particolarmente il cane ma anche il gatto, possono provocarne la
trasmissione all’uomo. Per il momento, tutti i casi osservati in
Francia sono successivi a un soggiorno in una zona endemica. (In
Italia, dall’ottobre 2008 sono stati osservati nuovi casi di rabbia in
animali, quasi esclusivamente nelle regioni del Nord-Est. Nel
periodo 2008-2012 è stato registrato un unico caso di rabbia
nell’uomo [fonte: WHO Rabies Bulletin Europe; www.who-rabies-
bulletin.org]; N.d.C.)
Dal luogo di inoculazione il virus si di onde ai centri nervosi
lungo i nervi periferici; ciò rende ragione di un’incubazione
prolungata di circa 40 giorni, di cui si può appro ttare per una
vaccinazione.
L’encefalite rabbica si caratterizza per la presenza nei neuroni
(soprattutto in quelli del corno di Ammone e dei nuclei del tronco
encefalico e del cervelletto) di inclusioni citoplasmatiche
caratteristiche, i corpi di Negri.
Una volta formulata la diagnosi di rabbia, la prognosi è sempre
sfavorevole e la morte sopraggiunge tra intensi e di usi spasmi
della muscolatura faringea, idrofobia o, talora, paralisi ascendenti.
Si raccomanda la vaccinazione preventiva per i soggetti esposti.
Dopo la conferma della malattia nell’animale responsabile del
morso (riscontro dei corpi di Negri o dell’antigene virale mediante
immuno uorescenza nel corno di Ammone), si deve iniziare il
trattamento con siero iperimmune e vaccinazione. Alcune
complicanze (multinevriti, encefalomieliti) sono state osservate in
seguito a vaccinazioni; esse hanno il carattere di polinevriti o
encefaliti allergiche sperimentali.
Infezioni opportunistiche
La frequenza con cui le infezioni opportunistiche sono ritrovate
all’autopsia in una serie di 926 pazienti (Kure, 1991) è la seguente:
citomegalovirus 15,8%, toxoplasmosi 13,6%, criptococcosi 7,6%,
leucoencefalopatia multifocale progressiva 4%, encefalite erpetica
1,6%, candidiasi 1,1%, encefalite zosteriana 0,6%, istoplasmosi
0,4%, tubercolosi 0,3%, aspergillosi 0,3%.
Toxoplasmosi
La toxoplasmosi è una conseguenza della riattivazione, in caso di
de cit immunitario, del Toxoplasma gondii, la cui sierologia è
positiva nella maggior parte degli adulti. La frequenza di questa
complicanza si è ridotta dopo l’introduzione del trattamento
pro lattico che viene istituito se la sierologia è positiva e il tasso di
CD4 è inferiore a 200/mm3. I segni clinici (febbre modesta,
cefalea, epilessia, segni de citari) testimoniano dello sviluppo, nel
volgere di qualche giorno, di una o più localizzazioni cerebrali. Le
indagini neuroradiologiche (RMN) mostrano lesioni che nel 70%
dei casi sono multiple, prendono il contrasto con aspetto nodulare
o cercinato, sono circondate da edema e hanno e etto massa
(Fig. 18.3). Possono essere presenti nel cervelletto o nel tronco
encefalico, ma sono prevalentemente localizzate negli emisferi
cerebrali, soprattutto alla giunzione della sostanza bianca con la
corteccia o nei nuclei grigi centrali. La toxoplasmosi è la causa più
frequente delle lesioni espansive riscontrate in corso di AIDS.
Tuttavia la diagnosi di erenziale deve prendere in considerazione
altre lesioni: linfoma, ascesso tubercolare, ascesso settico,
criptococcosi, gomma si litica, ecc.
Figura 18.3 Toxoplasmosi cerebrale (RMN, sezione coronale, T1 con iniezione di
gadolinio): lesioni talamiche e frontoparietali destre.
Proteina prionica
La proteina prionica è un costituente normale, PrPc (“c” da
cellulare) della membrana cellulare, codi cato dal gene PRNP
situato sul cromosoma 20. L’agente trasmissibile responsabile di
queste encefalopatie spongiformi è un’isoforma anomala, PrPsc (“sc”
da scrapie), proteasi-resistente la cui con gurazione
tridimensionale è diversa da quella della PrPc. Di fatto esiste una
varietà di isoforme anomale che possono essere identi cate e
correlate con i diversi aspetti delle encefalopatie spongiformi.
Trasmissibilità
Le encefalopatie da prioni hanno come caratteristica comune la
trasmissibilità da uomo ad animale, da animale ad animale e da
animale a uomo, come è stato dimostrato dalla comparsa della
nuova variante dovuta all’agente dell’encefalopatia spongiforme
bovina. La trasmissione da uomo a uomo, suggerita dal kuru, che
colpiva una popolazione della Nuova Guinea ed era correlata alla
pratica del cannibalismo rituale, ha trovato conferma nelle forme
iatrogene.
Il prione anomalo introdotto nell’organismo può modi care la
conformazione della PrPc sintetizzata dall’ospite e portare
secondariamente all’accumulo dell’isoforma anomala. È opportuno
notare che la comparsa di encefalopatia, il periodo di incubazione
e il fenotipo possono essere in uenzati dal genotipo del codone 129
del gene PRNP, sede di un polimor smo (Met/Met, Met/Val o
Val/Val).
Neuropatologia
Le lesioni, prive di caratteristiche in ammatorie, interessano la
corteccia, i nuclei grigi centrali e il cervelletto. Esse consistono in
degenerazione spongiforme del neuropilo, perdita neuronale, gliosi
astrocitaria e, talora, depositi amiloidi. Con metodi
immunoistochimici è possibile evidenziare la PrPsc in forma di
placche o di marcatura di usa. Esiste in e etti una varietà di
isoforme anomale delle quali sono possibili l’identi cazione e la
correlazione con i diversi pro li clinici e neuropatologici, il che ha
permesso di stabilire la relazione tra l’encefalopatia spongiforme
bovina e la nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob.
Malattia di Creutzfeldt-Jakob
È la più frequente fra le encefalopatie da prioni umane. Può
insorgere come patologia sporadica, genetica o “infettiva” di
origine iatrogena oppure legata al consumo di carne proveniente
da animali a etti da encefalopatia spongiforme.
Malattia di Creutzfeldt-Jakob sporadica (85-90% dei casi)
Sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker
È una patologia familiare, autosomica dominante. La clinica è
spesso dominata da una sindrome cerebellare associata in modo
variabile a demenza, segni extrapiramidali e danno delle corna
anteriori. L’evoluzione avviene nel corso di diversi anni. Le lesioni
sono particolari per la presenza di placche amiloidi multicentriche
evidenziate dagli anticorpi anti-PrP. Sono state osservate
mutazioni diverse del gene PRNP; le più frequenti sono P102L e
G131V.
Alcune mutazioni del gene della PrP possono inoltre essere
responsabili di un fenotipo di demenza, che richiama nello
speci co una demenza frontotemporale.
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Capitolo 19
Demenza e confusione mentale acuta
Demenze
Semeiologia generale
1. “Legga ad alta voce questo elenco di parole e cerchi di memorizzarle perché gliele
richiederò subito: museo, limonata, cavalletta, colino, camion.”
Stato demenziale
Il riconoscimento della demenza è spesso tardivo, perché il
paziente ha una coscienza alquanto imperfetta dei disturbi
cognitivi e la capacità di tolleranza nei riguardi di questi
comportamenti anomali, sia da parte dell’ambiente familiare sia di
quello lavorativo, può essere sorprendente. Talora vi può essere un
evento accidentale rivelatore: fuga, comportamento inappropriato,
incapacità di adattarsi a un cambiamento come un trasloco,
un’ospedalizzazione, il decesso del coniuge.
La diagnosi di demenza comporta per de nizione il rilievo di
un de cit acquisito in domini cognitivi multipli, comprendenti la
memoria, e abbastanza grave da interferire nelle attività sociali o
lavorative (criteri del DSM-IV). La diagnosi di demenza si basa
sull’esame clinico con l’ausilio di test.
Valutazione clinica
La valutazione clinica deve precisare:
Diagnosi di erenziale
Il deterioramento elettivo di una funzione cognitiva deve essere
distinto dal deterioramento globale che de nisce la demenza.
Tuttavia numerose malattie evolvono secondariamente verso una
demenza dopo avere esordito con un disturbo cognitivo selettivo
predominante, che può essere di natura amnesica, afasica,
aprassica o agnosica o, ancora, con modi cazioni della personalità
o del comportamento in assenza di un deterioramento cognitivo
globale.
La depressione è la causa più frequente di errore. Lo stato
depressivo può causare un’inibizione dell’iniziativa e disturbi
dell’attenzione che danno l’apparenza di un deterioramento
intellettivo. La diagnosi di depressione si basa sull’anamnesi
personale e familiare del paziente, sulla presenza di insonnia e di
uttuazione dei sintomi che tendono ad attenuarsi nel corso della
giornata, e sul fatto che le risposte ai quesiti sono più spesso
ritardate ed esitanti piuttosto che errate.
La confusione mentale, studiata più avanti in questo capitolo,
deve essere distinta dalla demenza per la sua potenziale
reversibilità. L’importanza dei disturbi dell’attenzione e il loro
carattere uttuante sono elementi di erenziali importanti. D’altra
parte un deterioramento intellettivo è un fattore di rischio per la
comparsa di uno stato confusionale.
Demenze sintomatiche
La demenza è talvolta un fenomeno residuo che persiste come esito
di una patologia cerebrale acuta quale un trauma cranico grave,
un disturbo metabolico importante (anossia, ipoglicemia), una
grave meningoencefalite.
Nella maggior parte dei casi la demenza è il risultato di un
processo patologico evolutivo. Le demenze degenerative primarie
sono le più frequenti nei soggetti di oltre 60 anni. Tuttavia vanno
prese in considerazione molte altre cause, in particolare nei
soggetti più giovani.
L’età di esordio, l’anamnesi, gli antecedenti familiari e
personali, i dati dell’esame generale e di quello neurologico
possono orientare verso una causa di demenza. Va eseguito uno
screening di laboratorio comprendente il dosaggio di calcemia,
vitamina B12, folati e TSH. Alcuni esami, pur non e ettuati
sistematicamente, devono essere richiesti al minimo dubbio: EEG,
sierologia HIV, sierologia della si lide, indagini immunologiche,
esame del liquor con dosaggio della proteina 14.3.3.
La RMN ricopre un ruolo centrale per orientare la diagnosi
eziologica di una demenza. Permette di riconoscere le cause rare
come un processo espansivo o un idrocefalo. Anche la valutazione
della sostanza bianca è informativa. Nelle demenze degenerative
primarie il processo patologico interessa essenzialmente la
sostanza grigia, in particolare corticale: le lesioni della sostanza
bianca sono assenti o quanto meno modeste. Se la RMN mostra
lesioni importanti della sostanza bianca devono essere considerate
anche altre cause: leucoencefaliti, leucoencefalopatia su base
vascolare, leucodistro e.
Le cause di queste demenze sintomatiche sono generalmente
trattate in altri capitoli: tumori cerebrali, traumi cranici, malattie
in ammatorie, infettive e/o trasmissibili, malattie tossiche,
metaboliche o endocrine. In questo capitolo sono trattate soltanto
le demenze vascolari.
Demenze vascolari
Qualora nel determinismo della demenza intervengano in maniera
prevalente o esclusiva lesioni vascolari, si utilizza il termine
“demenza vascolare”. Tali lesioni sono di natura variabile.
Possono essere in causa alcuni infarti multipli. Oltre alla
molteplicità e all’estensione delle lesioni, va considerata
l’importanza strategica di alcune localizzazioni lesionali: giro
angolare, parte inferomediale del lobo temporale, del lobo
frontale, come pure lesioni sottocorticali che interrompono i
circuiti cognitivi cortico-sottocorticali (regione anteriore e/o
paramediana del talamo, nucleo caudato).
Le malattie delle piccole arterie cerebrali sono responsabili di
lesioni più o meno estese della sostanza bianca (leucoaraiosi),
spesso associate a infarti lacunari e microemorragie.
Manifestazioni neurologiche, soprattutto disturbi della marcia,
solitamente precedono la demenza, che è di tipo sottocorticale con
predominanza dei segni di interessamento frontale. Uno dei fattori
determinanti, spesso, è un’ipertensione arteriosa di vecchia data e
non controllata (encefalopatia arteriosclerotica di Binswanger). Altre
cause possibili sono le angioiti cerebrali, le angiopatie amiloidi
cerebrali, il CADASIL.
Nei soggetti anziani a etti da malattia di Alzheimer non è
inusuale che l’imaging cerebrale evidenzi lesioni di origine
vascolare (leucoaraiosi, lacune). Bisogna prestare particolare
attenzione a non attribuire a queste lesioni l’esclusiva
responsabilità del deterioramento. Esse peraltro possono dare il
loro contributo nello scompensare il declino cognitivo legato alle
alterazioni corticali di use di tipo Alzheimer.
Malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer è la causa più frequente di demenza
(circa 60%); essa colpisce il 5% dei soggetti di età maggiore di
65 anni e il 20% dei soggetti di 80 anni di età. In ragione
dell’invecchiamento della popolazione questa malattia sarà dunque
sempre più frequente.
Neuropatologia
Le lesioni neuropatologiche della malattia di Alzheimer sono
presenti diversi anni prima dell’insorgenza dei disturbi cognitivi.
Queste lesioni associano perdita neuronale, placche amiloidi,
degenerazione neuro brillare e angiopatia amiloide.
Perdita neuronale
Essa insorge e si manifesta prevalentemente a livello
dell’ippocampo e dell’area entorinale; in seguito si estende
anche alla corteccia associativa parietotemporale. Esistono anche
lesioni sottocorticali che interessano soprattutto il nucleo basale di
Meynert. La perdita sinaptica è più rilevante rispetto alla perdita
neuronale e correla meglio con la demenza.
Placche amiloidi
La placca amiloide comprende un nucleo centrale di amiloide
circondato da prolungamenti neuronali in fase di degenerazione.
All’interno della placca si nota l’attivazione di fattori correlati
all’in ammazione. La sostanza amiloide è costituita
essenzialmente dall’accumulo di un peptide di 36-42 aminoacidi
(peptide β-amiloide o Aβ) che deriva da un precursore di maggiori
dimensioni (Amyloid Precursor Protein, APP), una proteina
transmembrana codi cata da un gene localizzato sul
cromosoma 21.
Il peptide β-amiloide deriva dal clivaggio dell’APP tramite
l’azione di una β-secretasi (BACE1), seguita da quella di una γ-
secretasi, che determinano la formazione di un complesso con la
presenilina 1. Uno squilibrio fra la produzione e l’eliminazione di
questo peptide β-amiloide ne provoca l’accumulo. I depositi di
amiloide contengono in particolare il peptide Aβ-42, che mostra
una spiccata tendenza all’aggregazione. Nell’ipotesi amiloide della
malattia di Alzheimer, la tossicità per i neuroni (e in particolare
per le sinapsi) non sarebbe determinata tanto dai depositi di
amiloide, quanto da alcuni oligomeri solubili.
Degenerazioni frontotemporali
La predominanza frontotemporale delle lesioni in certi tipi di
demenza è nota da tempo. La malattia di Pick era stata descritta
sulla base di questa peculiare localizzazione delle lesioni.
Caratteristiche cliniche
Si possono distinguere tre presentazioni cliniche: la demenza
frontotemporale e le afasie primarie progressive, delle quali esiste
una forma uente e una forma non uente.
Confusione mentale
Quadro clinico
La presentazione e il comportamento di questi pazienti sono
variabili. Alcuni sono agitati, iperattivi e iperreattivi, reagendo in
modo indiscriminato a qualsiasi stimolo come se fossero in una
condizione di eccessivo allertamento. Queste forme si osservano
soprattutto negli stati confusionali scatenati da astinenza da
farmaci o altre sostanze. Più frequentemente i pazienti sono
ipoattivi, apatici e indi erenti agli stimoli esterni.
Il disturbo dell’attenzione è un elemento indispensabile per la
diagnosi di confusione mentale. Questo può essere evidente, ma
nelle forme lievi necessita di essere evidenziato mediante semplici
prove quali elencare all’inverso i giorni della settimana o i mesi,
contare all’indietro di 3 in 3.
I disturbi della memoria sono talora massivi, evidenti a carico
della memoria anterograda e retrograda, ma più spesso sono meno
appariscenti e devono essere ricercati mediante prove quali la
ripetizione immediata e di erita di tre parole. Sono frequenti
disturbi del linguaggio, che può essere frammentato, incoerente,
infarcito di parafasie. La parola può essere poco comprensibile a
causa di una voce ebile. Evidentemente non va confusa con uno
stato confusionale un’afasia uente che genera un linguaggio
gergale per il quale il paziente è anosognosico. Possono anche
esistere disturbi prassici che compaiono durante la manipolazione
di oggetti e soprattutto degli abiti, in forma di un’aprassia
dell’abbigliamento.
Il disorientamento spazio-temporale è frequente, ma di gravità
variabile. Nelle forme lievi il paziente può mantenere
l’orientamento per i luoghi e le persone, ma essere disorientato nel
tempo e soprattutto incapace di indicare in maniera approssimata
l’ora del giorno. I disturbi dell’attenzione e della memoria
contribuiscono al disorientamento, ma anche a dare alcune forme
massive di disturbi percettivo-gnosici. È soprattutto in queste forme
estreme, che si veri cano spesso in corso di astinenza o
disassuefazione, che è possibile osservare illusioni percettive,
allucinazioni sensoriali e falsi riconoscimenti.
Diagnosi di erenziale
Occorre distinguere dalla confusione mentale le sindromi amnesiche
pure di tipo korsakoviano, nelle quali il disturbo di memoria è isolato
e in particolare mancano i de cit attentivi. A questo proposito
l’amnesia globale dell’ictus amnesico non è uno stato confusionale.
Il principale problema di diagnosi di erenziale è tuttavia nei
confronti di una demenza. Classicamente la demenza si di erenzia
dalla confusione mentale per l’irreversibilità e la progressività dei
de cit. Tuttavia l’evoluzione di una demenza può essere costellata
di episodi confusionali, e l’età avanzata e l’esistenza di un
deterioramento intellettivo preesistente sono i principali fattori di
rischio per uno stato confusionale. Gli elementi che possono essere
considerati a favore della confusione mentale sono: l’importanza
dei disturbi attentivi; la uttuazione dei sintomi e in particolare la
loro variabilità circadiana; la disorganizzazione del ritmo sonno-
veglia; l’esordio acuto o rapidamente evolutivo dei sintomi;
l’evidenza di un fattore scatenante.
Diagnosi eziologica
La diagnosi eziologica si basa sui dati anamnestici, sull’esame
clinico e sulle indagini di laboratorio. L’EEG mostra un
rallentamento del tracciato, talvolta anomalie focali che possono
indirizzare verso una causa lesionale. Esso permette soprattutto di
diagnosticare le epilessie con manifestazioni confusionali (o vere e
proprie condizioni di stato di male epilettico non convulsivo;
N.d.C.). Sono spesso necessari un imaging cerebrale e un esame del
liquor.
Cause infettive
Una confusione mentale febbrile deve indirizzare in primo luogo
verso una meningite o una meningoencefalite batterica o virale.
Tuttavia qualsiasi malattia infettiva, come una polmonite o una
pielonefrite, può indurre uno stato confusionale, soprattutto nel
paziente anziano.
Cause vascolari
Le patologie vascolari responsabili sono quelle che provocano
so erenza cerebrale di usa (emorragia subaracnoidea) o multifocale
(angioiti cerebrali, embolie cerebrali multiple che complicano in
particolar modo un’endocardite batterica). Può trattarsi, inoltre, di
encefalopatia ipertensiva, di sindrome da vasocostrizione cerebrale
acuta reversibile o di sindrome encefalopatica posteriore acuta
reversibile (Cap. 8).
Anche una lesione focale, corticale o sottocorticale, in
particolare talamica, può essere responsabile. Nel caso di una
lesione corticale, questa interessa generalmente la corteccia
associativa polimodale prefrontale, parietale posteriore o
inferotemporale. Queste lesioni sono situate più frequentemente a
destra. Questo fatto si accorda con gli studi neuro-psicologici che
mostrano il ruolo predominante dell’emisfero destro nei
meccanismi dell’attenzione.
Alcol
L’alcol è una causa importante di confusione mentale, sia che si
tratti di una forma confusionale in corso di ebbrezza sia di un
fenomeno di astinenza. Tuttavia è importante non sottovalutare
un’intossicazione associata o una patologia concomitante.
Ubriachezza patologica
In alcuni pazienti l’ubriachezza tende ad assumere una forma
inusuale. Questi stati di ubriachezza patologica possono presentare
vari aspetti: forma confusionale, ma anche eccitomotoria dominata
da violenza e aggressività; forme allucinatorie o deliranti associate
spesso a tematiche di persecuzione o gelosia.
Delirium tremens
Il delirium tremens è una complicanza dell’alcolismo cronico;
consegue ad astinenza totale o relativa che può veri carsi in
occasione di vari avvenimenti intercorrenti. Il ruolo dell’astinenza,
importante nella genesi delle crisi epilettiche che colpiscono gli
alcolisti, spiega la frequenza con cui sono osservate crisi durante la
fase prodromica del delirium tremens.
Si tratta di uno stato confusionale-onirico che associa al
disorientamento spazio-temporale fenomeni di illusione e
allucinazione che provocano agitazione. Sono solitamente presenti
tremore, disartria, disturbi dell’equilibrio e della coordinazione
motoria. La sindrome sistemica (febbre, tachicardia, sudorazione
profusa, disidratazione) dà la misura della gravità dell’attacco.
Sono necessarie la reidratazione, la correzione dei disordini
elettrolitici, il trattamento di una patologia associata, in
particolare infettiva. Il diazepam è il farmaco più utilizzato per
trattare l’agitazione. La somministrazione di tiamina deve essere
e ettuata sistematicamente. L’attacco, che non viene ricordato dal
malato, dura in media dai 2 ai 3 giorni.
Anche altre manifestazioni sono dovute all’astinenza. Il delirio
alcolico subacuto è una forma attenuata di delirium. L’allucinosi
alcolica di Wernicke ha, per contro, una semeiologia particolare,
caratterizzata da allucinazioni uditive che colpiscono un soggetto
non confuso.
Di norma, si tratta di uno stato allucinatorio acuto, che si
risolve in qualche giorno anche se ne è stata descritta la
cronicizzazione.
Encefalopatia di Gayet-Wernicke
Dovuta a una carenza di tiamina è, il più delle volte, una
complicanza dell’alcolismo cronico. Questo meccanismo carenziale
spiega perché possa comparire anche, in assenza totale di
alcolismo, in soggetti che presentano gravi disturbi nutritivi,
provocati in particolare dagli episodi di vomito incoercibile della
gravidanza o dalla chirurgia bariatrica. Le lesioni sono visibili alla
RMN come iperintensità di segnale in T2. Interessano in maniera
simmetrica le regioni periventricolari del talamo e dell’ipotalamo
con un interessamento particolarmente marcato e costante dei
corpi mammillari, del pavimento del quarto ventricolo e della
regione periacqueduttale. Il quadro istopatologico associa
rarefazione e alterazioni neuronali, proliferazione gliale e
vascolare, talvolta con piccole emorragie.
Lo stadio di encefalopatia conclamata è proceduto da un
aggravamento dei disturbi nutritivi con dimagramento, riduzione
dell’attività e tendenza alla sonnolenza.
La decompensazione avviene spesso in maniera brusca. Sono
frequenti i disturbi della vigilanza, ma raramente si giunge al
coma. Esiste uno stato confusionale con disorientamento spazio-
temporale totale. La semeiologia neurologica è dominata dai
disturbi dell’equilibrio e della motilità oculare. I disturbi
oculomotori si limitano generalmente a un nistagmo orizzontale o
verticale e a una paresi bilaterale del VI. Oftalmoplegie maggiori
sono molto più rare. La sindrome neurologica può comportare
anche un’ipertonia di tipo opposizionista, grasping, segni
cerebellari.
L’encefalopatia di Gayet-Wernicke è spesso riconosciuta a uno
stadio troppo tardivo perché le lesioni siano completamente
reversibili con il trattamento. Una volta formulata la diagnosi è
necessario iniziare il trattamento a base di tiamina, che va
somministrata per via intramuscolare, a una posologia di 500 mg-1 g
per 24 ore. Le infusioni di soluzioni glucosate possono essere
nocive per i malati che non hanno ricevuto un trattamento
precedente a base di tiamina e possono provocare un
aggravamento drammatico. La somministrazione delle altre
vitamine del gruppo B è indicata nella misura in cui questi soggetti
sono spesso policarenziali. In un soggetto confuso, con alterazioni
del tono, la diagnosi di erenziale nei confronti di una
“pseudopellagra” alcolica può essere di cile quando mancano i
segni cutanei di questa patologia. Per questa ragione è necessario
associare in maniera sistematica la vitamina PP.
Un trattamento su cientemente precoce e intensivo permette
di osservare una guarigione completa. In caso contrario esiste il
rischio di sequele: sindrome cerebellare e soprattutto sindrome di
Korsako . Questa particolare varietà di amnesia (Cap. 6) si
manifesta solitamente come evoluzione di un’encefalopatia di
Gayet-Wernicke allorché lo stato confusionale iniziale si riduce
progressivamente. Talvolta, tuttavia, la sindrome di Korsako
compare di colpo. La prognosi della sindrome di Korsako è grave
se persiste a distanza dalla fase iniziale acuta di encefalopatia. Un
certo miglioramento è possibile, ma molto lento e incompleto.
Encefalopatia di Marchiafava-Bignami
Compare in gravi alcolisti e sembra essere dovuta a un’azione
tossica diretta dell’alcol. È caratterizzata da lesioni della regione
assiale dei corpi callosi a cui sono associate, in maniera variabile,
lesioni della sostanza bianca emisferica, della commessura bianca
anteriore, delle vie ottiche e dei peduncoli cerebellari medi. Le
lesioni possono essere, di per sé, essenzialmente demielinizzanti o
francamente necrotiche con distruzione degli assoni.
Il quadro clinico può essere uno stato di confusione e stupore,
mutismo acinetico o coma. Talvolta l’esordio è progressivo in
forma di stato demenziale. La semeiologia neurologica può
comportare crisi epilettiche, ipertonia, astasia-abasia, disartria. Se
l’evoluzione perdura oltre la fase acuta è possibile evidenziare una
semeiologia da disconnessione callosa. La RMN mostra lesioni del
corpo calloso associate o meno a una compromissione della
sostanza bianca emisferica. Essa ha permesso di individuare forme
reversibili.
Encefalopatie metaboliche
Alcune di queste encefalopatie sono dovute a un’alterazione
biologica elementare, altre risultano da malattie che possono
causare disturbi biologici più o meno complessi.
Ipoglicemia
Il glucosio è il solo substrato metabolico capace di oltrepassare
rapidamente la barriera ematoencefalica per soddisfare il
fabbisogno energetico del cervello. Le scarse riserve cerebrali di
glucosio e l’importanza del consumo di glucosio da parte del
cervello spiegano la rapidità e la gravità delle ripercussioni
cerebrali dell’ipoglicemia. L’encefalopatia ipoglicemica può
presentarsi con diversi aspetti: oltre al coma ipoglicemico possono
essere osservate crisi epilettiche generalizzate o focali, segni
de citari focali, episodi confusionali con disturbi del
comportamento.
Disturbi dell’equilibrio idroelettrolitico
Iponatriemia
Encefalopatia epatica
L’encefalopatia epatica insorge nel corso di un’epatite acuta (ittero
grave) ed è stata caratterizzata da evoluzione mortale prima del
trapianto di fegato.
Le encefalopatie che complicano l’evoluzione delle cirrosi sono
le uniche la cui diagnosi eziologica pone qualche di coltà, in
quanto le manifestazioni neurologiche sono talora quelle
prevalenti nel quadro clinico. La siopatologia dell’encefalopatia
epatica rimane comunque controversa. L’insu cienza
epatocellulare e soprattutto l’esistenza di shunt portocavali
sarebbero responsabili dell’accumulo in circolo di sostanze tossiche
di origine intestinale normalmente metabolizzate a livello epatico.
Il ruolo dell’ammoniaca è stato suggerito dato il frequente
incremento dell’ammoniemia.
L’alterazione della coscienza può assumere l’aspetto di uno
stato confusionale calmo o agitato. A un grado di maggiore
compromissione compaiono disturbi della vigilanza che, di norma,
rimangono di intensità moderata.
La semeiologia neurologica comprende spesso un apping
tremor. È possibile osservare anche una rigidità extrapiramidale e,
più raramente, segni piramidali talvolta asimmetrici che possono
erroneamente orientare verso una lesione cerebrale focale.
Le crisi epilettiche sono possibili, ma rare. L’EEG è
costantemente alterato e accanto ad anomalie lente aspeci che ne
presenta di più tipiche: ritmo delta monomorfo, angolato,
regolare, punte lente trifasiche. Si associa di solito, ma non in
modo costante, un aumento dell’ammoniemia. Nella maggior parte
dei casi è anche presente un’alcalosi respiratoria.
L’encefalopatia delle cirrosi dipende abbastanza spesso da un
fattore scatenante: emorragia nel tubo digerente, assunzione di
medicinali quali i barbiturici, la mor na, l’acetazolamide, il
diazepam. La creazione di un’anastomosi chirurgica porta-cava per
il trattamento di emorragie del tubo digerente è frequentemente
seguita da segni di encefalopatia.
Alcune encefalopatie epatiche a evoluzione cronica (quale la
degenerazione epatolenticolare acquisita) hanno una
predominante espressione neurologica con sintomatologia
cerebellare ed extrapiramidale (rigidità, movimenti coreoatetosici).
La RMN mostra generalmente un ipersegnale in T1 a livello dei
nuclei della base che può essere correlato ad accumulo di
manganese (Cap. 13). Le misure terapeutiche dirette a ridurre
l’assorbimento dei prodotti tossici di origine intestinale (regime
povero di proteine, antibiotici) hanno e cacia variabile.
Complicanze del trapianto di fegato
Non è che uno degli aspetti della ripercussione sul sistema nervoso
del de cit di ormoni tiroidei, che può anche manifestarsi con
sintomi di neuropatia periferica o con una sindrome cerebellare. Si
possono riscontrare tutti gli stati intermedi tra il rallentamento
psicomotorio, segno classico dell’ipotiroidismo, e il coma
mixedematoso.
Insu cienza surrenalica acuta
Malattie ematologiche
È possibile osservare una so erenza cerebrale di usa nel corso di
malattie ematologiche, in particolare la malattia di Waldenström,
a causa di un’iperviscosità sanguigna o di un’in ltrazione del
sistema nervoso centrale (sindrome di Bing Neel).
Encefalopatie autoimmuni
Diverse malattie di natura autoimmune possono essere all’origine
di encefalopatie che si manifestano con alterazioni uttuanti della
vigilanza, alterazioni cognitivo-comportamentali, crisi epilettiche,
talvolta de cit focali.
Encefalopatia del lupus eritematoso sistemico (LES)
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Capitolo 20
Anomalie dello sviluppo del sistema nervoso
Malformazioni congenite
Spina bi da occulta
La spina bi da occulta, varietà più frequente, è di regola
rappresentata da un’anomalia ossea isolata, asintomatica; talvolta,
tuttavia, si accompagna, in modo precoce o tardivo, alla comparsa
di una sintomatologia midollare o radicolomidollare in rapporto
con una sottostante anomalia che interessa il midollo (midollo
doppio o diastematomielia) o il midollo e la cauda equina (lipoma
con posizione abnormemente bassa del midollo).
Schizencefalia
È rappresentata da una fessura congenita delimitata da sostanza
grigia, che si estende dalla corteccia alla parete ventricolare,
spesso con polimicrogiria associata. Può manifestarsi con un
ritardo psicomotorio e/o crisi epilettiche.
Idrocefali congeniti
L’idrocefalo congenito, che ha per conseguenza l’aumento
progressivo del volume del cranio, può cominciare a formarsi prima
della nascita, con conseguenti di coltà nel passaggio della testa
attraverso il canale del parto. Più frequentemente l’aumento
progressivo si evidenzia durante le prime settimane di vita,
accompagnandosi a diastasi delle suture, sporgenza delle
fontanelle e dilatazione delle vene epicraniche. L’imaging
cerebrale permette di confermare la diagnosi di idrocefalo, di
precisarne il carattere comunicante o non comunicante (stenosi
dell’acquedotto, mancata perforazione dei forami di Magendie e
Luschka) e di valutare le lesioni associate. In alcune stenosi
dell’acquedotto, che si osservano nel maschio, è in causa un fattore
genetico legato al cromosoma X.
Il trattamento si basa su una derivazione ventricoloatriale o
ventricoloperitoneale nel caso di un idrocefalo non comunicante; si
può optare per una ventricolocisternostomia.
Malformazione di Chiari
Questa malformazione è caratterizzata dalla protrusione della
parte inferiore del cervelletto e del tronco encefalico nel canale
cervicale. La malformazione di Chiari di tipo 1 (Chiari-1), in cui la
protrusione è limitata alle tonsille cerebellari e alla parte inferiore
del bulbo, si presenta perlopiù in forma isolata. Talvolta è
associata a un idrocefalo o ad anomalie dell’articolazione atlo-
occipitale. La causa sembra essere un insu ciente sviluppo della
fossa posteriore.
La malformazione di Chiari-1 può rimanere a lungo latente ed
essere riconosciuta solo nell’adulto. Tuttavia, da quando è
disponibile la RMN, è frequente la sua individuazione durante
l’infanzia.
Alcune complicanze sono il risultato diretto
dell’interessamento da parte della malformazione del bulbo, della
parte inferiore del cervelletto e/o del tratto superiore del midollo.
È così possibile osservare disfonia, disfagia e disturbi oculomotori
di cui il più signi cativo è la sindrome “oscillopsia-nistagmo
verticale verso il basso”. Studi recenti hanno sottolineato la
frequenza e la gravità potenziale dei disturbi disautonomici: apnee
notturne, arresto respiratorio, sincope, morte improvvisa. Un’altra
minaccia che pesa su questi pazienti è lo sviluppo di una
siringomielia risultante da anomalie della circolazione liquorale a
livello della cisterna magna. Una siringomielia è riscontrata nel
32-74% dei casi di malformazione di Chiari-1.
Il trattamento è chirurgico e consiste in una craniotomia
suboccipitale associata a laminectomia delle prime vertebre
cervicali. L’intervento è indicato se la malformazione è
sintomatica, a condizione che le manifestazioni presenti siano
indiscutibilmente in relazione con la malformazione. Le
malformazioni scoperte casualmente mediante una RMN eseguita
per altre ragioni possono divenire sintomatiche in un secondo
momento; devono perciò essere monitorate ed è opportuno evitare
alcune attività sportive.
Eziologia
Le cause di queste encefaliti sono molto diverse. Tra le infezioni
prenatali, la rosolia merita particolare attenzione. Per una donna
che abbia contratto la malattia durante le prime 12 settimane
gestazionali, il rischio relativo di generare un glio a etto da
microcefalia, grave ritardo mentale, cataratta, sordità o anomalie
cardiache è stimato essere dal 5 al 30%. La prevenzione è attuata
tramite la vaccinazione delle giovani donne non immunizzate.
Altre infezioni materne determinano una malattia che,
contratta in utero, può proseguire il suo decorso dopo la nascita:
toxoplasmosi (idrocefalo, corioretinite, microftalmia, presenza di
calci cazioni intracraniche); citomegalovirus; si lide congenita,
infezione da HIV.
Durante il periodo perinatale possono veri carsi delle lesioni
cerebrali, con un rischio particolarmente elevato nel nato
pretermine. Queste lesioni possono essere di natura traumatica,
ischemica o emorragica, ma la responsabilità maggiore spetta
all’anossia.
Nel periodo postnatale un danno cerebrale può essere la
conseguenza di malattie metaboliche postnatali, di kernittero o di
alcune malattie acquisite nel corso della prima infanzia: meningiti
purulente, trombosi venose, complicanze encefaliche di malattie
infettive, ecc.
Anomalie cromosomiche
La trisomia 21 (sindrome di Down), oltre alle anomalie
morfologiche che la caratterizzano, dà luogo a un’ipotonia
generalizzata e a un grave de cit dello sviluppo intellettivo. La sua
incidenza aumenta con l’età della madre. Un’ipoplasia del dente
dell’epistrofeo deve essere ricercata per prevenire una lussazione
atlantoassiale e una compressione midollare. È possibile osservare
ritardo mentale, anomalie morfologiche e, spesso, crisi epilettiche
in relazione a diverse anomalie (trisomie, monosomie, delezioni)
che interessano altri cromosomi.
Sindrome di Rett
Questa sindrome è una malattia dominante legata al cromosoma
X, osservata essenzialmente nelle femmine con un’incidenza di
circa 1:15.000 nascite femminili. Dopo uno sviluppo inizialmente
normale compare, fra i 6 e i 18 mesi, un arresto del processo di
acquisizione e della crescita della circonferenza cranica, seguito da
fenomeni regressivi, in particolare con una perdita dell’uso delle
mani e la comparsa di stereotipie manuali. In seguito è possibile
osservare una stabilizzazione più o meno duratura con
l’acquisizione di una marcia normale e recupero del contatto visivo
(“sguardo penetrante”). La sindrome può comportare anche
episodi di apnea o iperventilazione, spasticità, distonia, fenomeni
parossistici di vario tipo e crisi epilettiche in circa il 50% dei casi.
L’EEG evidenzia anomalie, talora importanti. Solitamente è
riscontrata una mutazione sul gene MECP2. Nel maschio questa
mutazione è responsabile di encefalopatie più gravi che non
assomigliano alla sindrome di Rett.
Sindrome di Williams
La sindrome di Williams, legata a una delezione in 7q11-23, è
caratterizzata prevalentemente da di coltà visuospaziali che
contrastano con buone competenze nell’ambito del linguaggio,
della musica (nonostante un’iperacusia con fonofobia) e un buon
grado di adattabilità sociale. Sono state osservate un’iperplasia
della circonvoluzione temporale superiore e una perdita
dell’asimmetria fra i plana temporali.
Autismo
L’autismo è una patologia dello sviluppo del sistema nervoso
frequente (1 bambino su 150), che colpisce molto più spesso i
maschi rispetto alle femmine. È caratterizzato da de cit nelle
interrelazioni sociali e nella comunicazione verbale e non verbale,
da una restrizione dei campi di interesse e da comportamenti
ripetitivi. Nel 70% dei casi si osserva un ritardo intellettivo mentre
nel 30% dei casi sono presenti crisi epilettiche. I reperti
microscopici e l’imaging funzionale suggeriscono anomalie della
connettività intracorticale. Un ruolo particolare è stato attribuito
alle disfunzioni del sistema dei neuroni specchio, implicati nella
comprensione delle intenzioni e delle emozioni altrui. La perdita
dell’empatia che ne deriva potrebbe svolgere una funzione centrale
nella genesi della sindrome. L’implicazione di una forma di
suscettibilità genetica è generalmente riconosciuta.
Sono presenti tratti autistici in diverse patologie associate all’X:
sindrome di Rett, sindrome dell’X fragile, sindrome di Turner (X0),
di Klinefelter (XXY), sindrome da insu cienza di creatina.
La sindrome di Asperger può essere assimilabile all’autismo di
alto livello senza de cit intellettivi. Osservata soprattutto nei
maschi, è contraddistinta dalla presenza di di coltà nelle
interazioni sociali, legate a un de cit della comprensione degli
aspetti emotivi della comunicazione.
Fenilchetonuria
Dipende da un’alterazione della conversione della fenilalanina in
tirosina. Questa può conseguire a un de cit di fenilalanina
idrossilasi (forma classica) oppure anche di diidropteridina
reduttasi o di biopterina. La comparsa di acido fenilpiruvico
nell’urina può essere tardiva. Il test di screening consiste nella
messa in evidenza dell’iperfenilalaninemia attraverso il test di
Guthrie. Occorre istituire precocemente un regime dietetico privo
di fenilalanina.
Omocistinuria
L’omocistinuria nella sua forma classica è legata a un de cit
omozigote di cistationina β sintetasi che comporta un aumento dei
tassi plasmatici di omocisteina e metionina (Fig. 21.1). Il fenotipo
presenta somiglianze con la sindrome di Marfan (anomalie
scheletriche e sublussazione del cristallino). Possono essere
osservate varie manifestazioni neurologiche: ritardo mentale,
epilessia, distonia, disturbi psichiatrici. Un elevato tasso di
omocisteina favorisce il veri carsi di accidenti ischemici cerebrali
di origine arteriosa o venosa. In caso di infarto cerebrale in un
soggetto giovane, è necessario e ettuare un dosaggio plasmatico
dell’omocisteina. Lo scopo del trattamento è ridurre il tasso
plasmatico di omocisteina mediante la somministrazione di
vitamina B6, di folati e di vitamina B12.
Figura 21.1 Aumento dell’omocisteina. De cit (1): omocisteina elevata,
metioninemia normale. De cit (2): omocisteina elevata, metioninemia bassa.
Acidurie organiche
I blocchi del metabolismo degli aminoacidi rami cati (leucina,
isoleucina, valina) a valle della loro deaminazione sono
responsabili di acidurie organiche: acidemia isovalerica, acidemia
propionica, acidemia metilmalonica.
Queste patologie, di norma, si manifestano nel periodo
neonatale con una grave acidosi metabolica. Nel caso dell’acidemia
isovalerica, un odore corporeo simile a quello dei piedi sudati deve
destare attenzione. Coloro che sopravvivono possono presentare
un ritardo mentale più o meno grave ed episodi ricorrenti di
encefalopatia con disturbi della vigilanza. Possono essere
riscontrate lesioni dei nuclei della base.
L’acidemia glutarica di tipo 1, causata da un de cit dell’enzima
mitocondriale glutaril-CoA deidrogenasi, comporta un incremento
dell’eliminazione urinaria degli acidi glutarico e 3-idrossiglutarico.
Abitualmente si manifesta nel lattante con una sindrome
encefalopatica acuta seguita dalla comparsa di una sindrome
distonica. Si veri ca anche una macrocefalia progressiva. La RMN
evidenzia una necrosi striatale bilaterale. Sono state descritte
forme nell’adulto che si manifestano con una leucoencefalopatia.
Malattia di Hartnup
Deriva da un’alterazione del trasporto degli aminoacidi neutri, il
cui assorbimento intestinale è ridotto e l’eliminazione urinaria
aumentata. Le manifestazioni cutanee, che ricordano la pellagra,
sono spiegate da un difetto di sintesi della nicotinamide a partire
dal triptofano. L’evoluzione è caratterizzata da episodi
encefalopatici nei quali possono predominare disturbi psicotici o
neurologici (atassia, convulsioni, disturbo di coscienza).
Glicogenosi
Nella degradazione del glicogeno intervengono numerosi enzimi e
il de cit di ognuno di essi può determinare una glicogenosi.
L’espressione neurologica delle glicogenosi può essere cerebrale, in
rapporto a un’ipoglicemia, o muscolare (Cap. 22).
Xantomatosi cerebrotendinea
È un’a ezione autosomica recessiva caratterizzata da
un’alterazione della degradazione del colesterolo con accumulo di
colestanolo. È dovuta a de cit di attività di un enzima
mitocondriale, la 27-sterol-idrossilasi, che risulta da diverse
mutazioni del suo gene situato sul braccio lungo del cromosoma 2.
La 27-sterol-idrossilasi è responsabile della conversione del
colesterolo in colina e acido chenodeossicolico, i quali esercitano di
norma un’inibizione a feedback sulla sintesi del colesterolo.
Il quadro clinico associa diarrea, xantomi tendinei, cataratta,
un deterioramento intellettivo, crisi epilettiche, un’atassia
cerebellare e una sindrome piramidale spastica. Le lesioni sono
prevalenti nella mielina del cervelletto e del tronco encefalico. La
RMN mostra un’iperintensità in T2 dei nuclei dentati del
cervelletto. La diagnosi, che è importante riconoscere per le
possibilità terapeutiche, si basa sull’evidenziazione di un elevato
tasso plasmatico di colestanolo. Il trattamento per via orale con
integratori di acido chenodeossicolico ha permesso di arrestare la
progressione della malattia e anche di osservare signi cativi
miglioramenti neurologici.
S ngolipidosi
Le s ngolipidosi risultano dall’accumulo di lipidi complessi, aventi
in comune la presenza di s ngosina sotto forma di ceramide
(s ngosina + acido grasso a lunga catena) insieme a uno o più
derivati glucidici.
Generalmente la trasmissione è autosomica recessiva. In
funzione della localizzazione preferenziale dello s ngolipide
interessato dall’anomalia metabolica, le lesioni possono essere
prevalenti sulla mielina, dando luogo a una leucodistro a
(leucodistro a metacromatica, malattia di Krabbe), sui neuroni,
determinando una malattia a carattere degenerativo
(gangliosidosi), oppure possono avere carattere multisistemico
(malattia di Fabry, malattia di Gaucher, malattia di Niemann-
Pick).
Malattia di Krabbe
La malattia di Krabbe è dovuta a un de cit di galattocerebrosidasi
e dà luogo a una leucodistro a a cellule globoidi, associata a una
compromissione dei nervi periferici. Questa malattia esordisce di
solito nel primo anno di vita, associando disturbi del tono e della
motilità a mioclonie e a un’atro a ottica. L’esordio può essere più
tardivo, eccezionalmente persino nell’adulto, assumendo talora
l’aspetto di una paraparesi spastica isolata con evidenza alla RMN
di iperintensità di segnale lungo il decorso dei fasci piramidali che
si possono seguire dai centri semiovali no al mesencefalo.
Leucodistro a metacromatica
La leucodistro a metacromatica è dovuta al de cit di un enzima
lisosomiale, l’arisulfatasi A (ASA), avente come conseguenza
l’accumulo di solfatidi nel sistema nervoso e in diversi organi tra
cui il rene. L’espressione neurologica della malattia consegue a una
demielinizzazione progressiva del sistema nervoso centrale e
periferico. Le forme a esordio tardivo nell’adolescente e nell’adulto
sono in relazione alla presenza di un’attività residua dell’ASA. Esse
si manifestano con disturbi della marcia, spastica e/o cerebellare,
o con disturbi cognitivi e alterazioni della personalità di tipo
frontale. La RMN evidenzia una demielinizzazione periventricolare
simmetrica che rispetta le bre a “U”. La diagnosi è supportata da
un basso tasso dell’attività ASA nei leucociti, ma è opportuno
considerare la presenza di “pseudode cit” che giusti cano
l’opportunità di misurare l’escrezione urinaria di solfatidi. Le
mutazioni P426L e I179S sono quelle più frequentemente osservate
nelle forme a esordio tardivo.
Malattia di Fabry
La malattia di Fabry è una patologia legata al cromosoma X che
colpisce sostanzialmente i maschi emizigoti o eccezionalmente, e in
misura tardiva e minore, le femmine eterozigoti. È dovuta a
mutazioni del gene che codi ca per l’α-galattosidasi A, aventi
come conseguenza l’accumulo di glicos ngolipidi, essenzialmente
globotriaosilceramide. Questo accumulo ha luogo principalmente
nei lisosomi dell’endotelio vascolare.
Dolori spesso molto intensi delle estremità, correlati a una
neuropatia delle piccole bre, rappresentano abitualmente la
manifestazione di esordio. In seguito compaiono manifestazioni
cutanee (angiocheratomi) soprattutto sulla parte inferiore del
tronco e sulle cosce, nefropatia, cardiomiopatia e una
compromissione vascolare cerebrale prevalentemente a carico del
sistema vertebrobasilare. L’interessamento vascolare riguarda i
piccoli vasi, responsabili di attacchi ischemici transitori o
persistenti e di leucoencefalopatia. È possibile riscontrare altresì
una dilatazione delle grosse arterie, in particolare sotto forma di
dolicoectasia del tronco basilare. L’esame oftalmologico mostra
spesso depositi corneali “a raggio di ruota” (cornea verticillata). La
disponibilità di un trattamento con infusione di α-galattosidasi
ricombinante rinforza l’importanza di una diagnosi precoce.
Malattia di Niemann-Pick
La malattia di Niemann-Pick di tipo C è spesso dovuta al de cit di
una proteina NPC1 che si ritiene abbia un ruolo nel trasporto di
LDL. Si caratterizza per l’accumulo di colesterolo in numerosi
tessuti e di s ngolipidi nei lisosomi di alcuni tessuti. Accanto alla
forma infantile, che conduce rapidamente al decesso, esistono
forme giovanili che associano epatosplenomegalia e
manifestazioni neurologiche (oftalmoplegia sopranucleare, atassia,
distonia e demenza) e forme dell’età adulta che possono
presentarsi con un quadro psichiatrico.
Malattia di Gaucher
La malattia di Gaucher è provocata da un de cit di
glucocerebrosidasi, normalmente responsabile dell’idrolisi del
glucocerebroside in glucosio e ceramide. Da ciò deriva un accumulo
di glucocerebroside nei macrofagi, con successiva compromissione
multiorgano. La malattia ha un’espressione prevalentemente
neurologica nelle forme infantili, la cui evoluzione rapidamente
fatale è in rapporto alle gravi lesioni cerebrali. Le forme a esordio
tardivo, oltre all’espressione viscerale (epatosplenomegalia),
possono avere manifestazioni neurologiche, in particolare in forma
di una sindrome parkinsoniana.
Ceroidolipofuscinosi neuronali
Le ceroidolipofuscinosi sono caratterizzate dall’accumulo nei
neuroni di lipofuscina, un materiale PAS-positivo e
auto uorescente. Nelle forme infantili, che comprendono la
malattia di Batten (forma giovanile), i sintomi principali sono il
deterioramento psicomotorio, l’epilessia e la cecità conseguente a
retinite pigmentosa. La forma dell’adulto (malattia di Kufs), nella
quale manca la retinite pigmentosa, si manifesta con una demenza
cui possono essere associati un’epilessia mioclonica, segni
extrapiramidali o cerebellari. Lo studio in microscopia elettronica
di una biopsia cutanea mette in evidenza inclusioni osmio le
curvilinee, di aspetto simile a un’impronta digitale.
Sialidosi
Il de cit di neuraminidasi responsabile della sialidosi di tipo 1
provoca un accumulo di oligosaccaridi. Nel giovane questa
malattia comporta mioclonie spesso associate a crisi epilettiche e
retinopatia (sindrome mioclono-macula rosso ciliegia).
Mucopolisaccaridosi
I mucopolisaccaridi, formati dalla polimerizzazione di unità di
acido exuronico e di esosamina, sono tra i costituenti principali
della sostanza fondamentale del tessuto connettivo.
Diverse malattie lisosomiali, a trasmissione autosomica
recessiva (malattia di Hurler, di San lippo, di Morquio, di Maroteaux-
Lamy) o legate al cromosoma X (malattia di Hunter), sono dovute a
uno speci co accumulo di mucopolisaccaridi. Si manifestano
innanzitutto con una sindrome dismor ca (“gargoilismo”),
disostosi multiple, opacità corneale. Caratteristico solo di alcune di
queste a ezioni è un certo ritardo psicomotorio, assente nella
malattia di Morquio e nella malattia di Maroteaux-Lamy. Un
accumulo secondario di gangliosidi può avere un ruolo nelle
manifestazioni neurologiche delle mucopolisaccaridosi. Inoltre
l’in ltrazione meningea può dare origine a un idrocefalo.
Malattie perossisomiali
Malattia di Refsum
La malattia di Refsum, trasmessa in modo autosomico recessivo,
deriva da mutazioni di un gene che codi ca un enzima lisosomiale
necessario per l’α-ossidazione di un acido grasso rami cato di
origine esogena, l’acido tanico, che pertanto si accumula
nell’organismo. Le caratteristiche cliniche principali consistono in
una retinite pigmentosa con emeralopia e restringimento del
campo visivo, una polineuropatia con dissociazione
albuminocitologica del liquor, una sindrome cerebellare, sordità e
manifestazioni cutanee di tipo ittiosico. Attraverso una dieta
povera di acido tanico si può ottenere l’arresto dell’evoluzione del
quadro morboso.
Leucodistro e
Encefalomiopatie mitocondriali
Sindrome MERRF
La sindrome MERRF (Myoclonus Epilepsy with Ragged Red Fibers)
vede l’associazione di crisi epilettiche, mioclonie, una sindrome
cerebellare, ipostenia muscolare e deterioramento cognitivo. Si
possono anche osservare ipoacusia, atro a ottica e bassa statura.
La mutazione tipica è A8344G nel gene tRNAlys. Un’altra
espressione fenotipica di questa mutazione è una lipomatosi
cervicale associata a miopatia.
Sindrome MELAS
La sindrome MELAS (Mitochondrial myopathy, Encephalopathy, Lactic
Acidosis, and Stroke-like episodes) è geneticamente eterogenea: sono
state identi cate almeno 14 mutazioni distinte del DNA
mitocondriale. La più frequente (80% dei casi) è una mutazione
puntiforme A→G del nucleotide 3243 del gene del tRNALeu (UUR).
Alcune mutazioni dei geni nucleari responsabili di delezioni
multiple dell’mtDNA possono avere un ruolo anche nelle sindromi
MELAS, che possono avere trasmissione autosomica dominante o
recessiva.
L’esordio avviene abitualmente nell’infanzia; la diagnosi viene
però spesso posta più tardivamente, a volte in età adulta,
soprattutto in occasione di episodi acuti di tipo cerebrovascolare.
Questi episodi acuti sono generalmente preceduti da altre
manifestazioni: crisi recidivanti di cefalea e vomito, ipostenia
muscolare, crisi epilettiche focali o generalizzate, deterioramento
intellettivo, ipoacusia percettiva.
L’interessamento muscolare può manifestarsi clinicamente in
forma di una miopatia. Spesso questa è subclinica e obiettivabile
mediante la biopsia muscolare, che dimostra la presenza di bre ad
aspetto “s lacciato” (ragged red bers); la microscopia elettronica
mette in evidenza aggregati subsarcolemmali di mitocondri
alterati.
Gli episodi “stroke-like” costituiscono l’elemento più
caratteristico della malattia. L’esordio di questi episodi è spesso
segnato da una cefalea con caratteristiche emicraniche: pulsante,
accompagnata da nausea e vomito e talora da fenomeni visivi.
L’evoluzione è quella di un’“emicrania complicata”, caratterizzata
dalla comparsa di un de cit neurologico che abitualmente
corrisponde a una so erenza cerebrale prevalentemente dei
territori posteriori e che comporta spesso un’emianopsia o una
cecità corticale. Crisi epilettiche sono frequenti e possono
presentarsi all’esordio o sopravvenire nel corso dell’evoluzione
clinica.
La RMN, eseguita nel corso degli episodi, evidenzia immagini
anormali, di regola monolaterali, che interessano
preferenzialmente le regioni temporo-parieto-occipitali. Le
sequenze di di usione indicano un edema vasogenico. Queste
anomalie non corrispondono a un territorio arterioso, e non sono
limitate alla sostanza bianca: un interessamento corticale è la
regola, in associazione a quello della sostanza bianca. Sono spesso
presenti calci cazioni dei nuclei della base. Nonostante la
presentazione clinica possa essere di particolare gravità,
l’evoluzione di regola procede verso la risoluzione dei disturbi una
volta che le crisi epilettiche, che talvolta possono evolvere in uno
stato di male, siano state e cacemente controllate.
L’aumento del tasso di lattato nel sangue e nel liquor assume
un’importante valenza diagnostica. La diagnosi è confermata
dall’analisi genetica.
La siopatologia di questi episodi cerebrali resta spiegata in
maniera imperfetta: è ipotizzabile un meccanismo ischemico legato
a un’angiopatia mitocondriale o una crisi metabolica correlata al
de cit della catena di trasporto degli elettroni.
La somministrazione di coenzima Q10 o di L-arginina potrebbe
avere un e etto favorevole.
Sindrome di Leigh
La sindrome di Leigh o encefalomielopatia subacuta necrotizzante
è una patologia del neonato o del bambino, rara nell’adulto. Tra i
segni neurologici più frequenti si segnalano il deterioramento
psicomotorio, disturbi respiratori, l’atassia e disturbi
dell’oculomozione. Di regola è presente un aumento dei lattati nel
sangue e nel liquor. Le lesioni, ben evidenziate in vivo con la
RMN, colpiscono in modo bilaterale e simmetrico il putamen, il
nucleo caudato, il talamo e il tegmento mesencefalico.
Possono interessare anche la parte inferiore del tronco
encefalico e i cordoni posteriori del midollo spinale. All’esame
microscopico si evidenziano spongiosi, demielinizzazione, gliosi e
proliferazione capillare. Vi è eterogeneità genetica e la
trasmissione può essere autosomica recessiva o materna, legata,
come la sindrome NARP (de cit motorio neurogeno, atassia e
retinite pigmentosa), a una mutazione del gene ATP6
mitocondriale.
Sindrome di Kearns-Sayre
La sindrome di Kearns-Sayre è una patologia multisistemica nella
quale si possono trovare associate all’oftalmoplegia una retinite
pigmentosa, segni di interessamento del sistema nervoso centrale,
un blocco atrioventricolare, un de cit uditivo, bassa statura,
diabete e altre disendocrinie. La RMN evidenzia lesioni della
sostanza bianca con spongiosi. La sindrome è determinata da una
mutazione del DNA nucleare, responsabile di delezioni multiple del
DNA mitocondriale, e ha trasmissione autosomica dominante.
Sindrome MNGIE
La sindrome MNGIE (Mitochondrial NeuroGastroIntestinal
Encephalomyopathy) esordisce generalmente in età pediatrica con
una sindrome da pseudostruzione intestinale cronica. Si associano
una neuropatia periferica prevalentemente demielinizzante,
un’oftalmoplegia e, come reperto neuroradiologico, una
leucoencefalopatia asintomatica. La biopsia muscolare evidenzia
bre ad aspetto “s lacciato”. L’ereditarietà è autosomica recessiva,
legata a mutazioni del gene (ECGF1) della timidina fosforilasi che
comportano un aumento del tasso di timidina, a sua volta
responsabile di mutazioni, delezioni e deplezione del DNA
mitocondriale.
Atassie mitocondriali
Sono state descritte due sindromi correlate a mutazioni del gene
POLG e nelle quali l’atassia è prevalente: SANDO (Sensory Ataxic
Neuropathy, Dysarthria, Ophtalmoplegia) e MIRAS (MItochondrial
Recessive Ataxic Syndrome).
In entrambe le patologie, l’atassia è legata (almeno
parzialmente) all’esistenza di una neuropatia sensitiva grave.
Bibliogra a
Semeiologia generale
Nelle a ezioni muscolari primarie il processo patologico colpisce la
bra muscolare. La compromissione del muscolo avviene
indipendentemente dalla sua innervazione e sfugge, in particolare,
alla sistematizzazione in unità motorie.
L’espressione clinica è dominata dalla debolezza muscolare,
della quale è necessario precisare la localizzazione (più spesso
prossimale che distale). Essa si associa ad atro a, più o meno
marcata, talora con aspetto ipertro co in alcuni distretti, in
particolare a livello dei polpacci. L’assenza di fascicolazioni è un
elemento distintivo nei rispetti dei processi neurogeni, come pure
l’abolizione precoce della risposta idiomuscolare alla percussione
diretta del muscolo che contrasta con la sua conservazione o
addirittura l’esagerazione nelle lesioni neurogene. È necessario
ricercare l’eventuale esistenza di miotonia.
L’elettromiogra a mostra un tracciato di tipo miogeno,
caratterizzato dalla possibilità di ottenere, nonostante la debolezza
muscolare, un tracciato ricco, interferenziale, che è indice del
risparmio di un gran numero di unità motorie. D’altro canto
l’impoverimento delle unità motorie si manifesta con la
diminuzione di ampiezza e di durata dei potenziali di unità motoria
e con il loro carattere polifasico. È anche possibile osservare
un’attività spontanea: potenziali di bre isolate ( brillazioni) e
scariche miotoniche.
Le anomalie biochimiche conseguono al passaggio nel sangue di
diversi enzimi: aldolasi, lattico deidrogenasi e, soprattutto,
creatina fosfochinasi (CPK). L’aumento dei tassi ematici di questi
enzimi in un soggetto che non abbia svolto recentemente
un’intensa attività sica ri ette in gran parte l’evoluzione del
processo miopatico. Nel corso delle amiotro e neurogene i livelli
ematici degli enzimi sono solitamente normali o poco elevati.
La RMN può contribuire alla diagnosi mediante
l’oggettivazione di una degenerazione adiposa dei muscoli
interessati e l’esatta localizzazione dell’atro a muscolare che può
essere indicativa di un tipo speci co di miopatia. In e etti
l’amiotro a può avere un carattere notevolmente selettivo, e
compromettere solo alcuni capi muscolari all’interno di un
muscolo, risparmiandone altri.
Per precisare la natura del processo miopatico, generalmente
è necessario ricorrere a biopsia muscolare. Accanto alle tecniche
istologiche e istoenzimatiche utilizzate di routine, l’esame deve
generalmente essere completato con metodiche
immunoistochimiche, biochimiche ed eventualmente
ultrastrutturali.
Di fronte a un paziente a etto da una malattia muscolare, è
necessario valutare sistematicamente la funzione respiratoria e la
funzione cardiaca (ECG, ecocardiogramma).
Distro a di Duchenne
La distro a di Duchenne è dovuta a mutazioni a carico di un gene
localizzato in X2, che codi ca per la distro na, una proteina che
svolge un ruolo essenziale nel mantenimento dell’integrità del
sarcolemma. Essa unisce un complesso proteico del sarcolemma a
un complesso proteico subsarcolemmale. Eventuali mutazioni delle
proteine che compongono questo complesso, in particolare dei
distroglicani e dei sarcoglicani, sono anch’esse responsabili di
distro e muscolari.
La distro a di Duchenne colpisce 1 su 3.000/5.000 nati di
sesso maschile.
Una diagnosi precoce è importante ai ni del counseling
genetico. In questi bambini, normali alla nascita, un ritardo
nell’acquisizione della deambulazione deve richiamare l’attenzione
e indurre a richiedere un dosaggio della creatina fosfochinasi, i cui
livelli risultano molto elevati n dal periodo neonatale, da 30 a
300 volte i valori normali. Talvolta, ad attirare l’attenzione, è un
ritardo più generale dello sviluppo.
La diagnosi diventa evidente fra i 3 e i 5 anni. Il cingolo
pelvico viene colpito prima del cingolo scapolare. La
deambulazione è anserina, la corsa impossibile; quando questi
bambini cadono, nel rialzarsi presentano il cosiddetto “fenomeno
dell’arrampicamento”, ovvero devono mettersi a quattro zampe e
quindi “arrampicarsi” letteralmente con le mani sugli arti inferiori.
Esiste un’iperlordosi e di norma i polpacci presentano un aspetto
(pseudo)ipertro co.
Dopo un lieve miglioramento funzionale durante
l’accrescimento, l’aggravamento riprende il suo corso. Il de cit si
estende a tutti gli arti e al tronco, con la comparsa di una
cifoscoliosi e di retrazioni tendinee. Nel 30% circa dei casi è
presente ritardo mentale (la distro na viene espressa anche a
livello cerebrale). Il decesso, dovuto a insu cienza respiratoria o a
una cardiomiopatia, si veri ca intorno ai 20 anni di età. Tuttavia,
con una presa in carico ottimale, l’evoluzione spesso si prolunga
no all’età adulta. Il trattamento include la prevenzione e la
correzione delle deformazioni, la somministrazione di cortisonici, il
trattamento della cardiomiopatia e la ventilazione non invasiva. I
notevoli sviluppi nella conoscenza della biologia molecolare della
distro a di Duchenne hanno consentito la nascita di un’intensa
ricerca nel campo della terapia genica.
Il counseling genetico si basa sull’identi cazione delle donne
portatrici. La madre di un bambino colpito non è necessariamente
portatrice: in un terzo dei casi, la malattia è dovuta a una nuova
mutazione. Nei due terzi delle madri portatrici si riscontra un
aumento delle CPK. Inoltre in un piccolo numero di portatrici si
osservano anomalie cliniche di minore entità quali un’ipertro a del
polpaccio o un lieve de cit motorio. Talvolta le donne portatrici
sviluppano una cardiomiopatia.
Nei soggetti a etti da malattia di Duchenne la distro na è del
tutto assente o presente a livelli estremamente ridotti nel muscolo.
Nelle donne portatrici, l’aspetto istologico può essere quello di
un mosaico, con la presenza contemporanea di bre positive e
negative per la distro na. L’aspetto istologico può anche essere
normale. In caso di dubbi, è necessario ricorrere all’analisi del
gene della distro na.
Distro a di Becker
Si tratta di una distro nopatia nella quale però, a di erenza della
malattia di Duchenne, la distro na è presente ma alterata
qualitativamente e in quantità minore rispetto al normale. Il
fenotipo è meno grave, l’esordio è più tardivo e l’evoluzione è
signi cativamente prolungata, ma è anche maggiormente
variabile: la malattia può manifestarsi con una miopatia del
quadricipite, una cardiopatia o un episodio di ipertermia maligna
con rabdomiolisi.
Distro e facioscapolomerali
Questa distro a, autosomica dominante, è correlata alla delezione
di un certo numero di sequenze ripetitive dell’elemento D4Z4 nella
regione 4q (11-100 ripetizioni nei soggetti sani, 1-10 ripetizioni in
quelli malati).
L’esordio della malattia è caratterizzato da un lieve de cit
facciale, che può non essere riconosciuto. L’incompleta chiusura
delle palpebre durante il sonno può attirare l’attenzione all’interno
di una famiglia colpita da questa forma. La malattia viene
generalmente riconosciuta solo nel giovane adulto, a seguito della
comparsa insidiosa di un de cit e di un’atro a dei muscoli del
cingolo scapolare, spesso asimmetrica, con interessamento
particolarmente marcato dei pettorali il cui capo clavicolare è però
risparmiato, e un’elevazione delle spalle causata dall’attività
incontrastata dei trapezi. Vi è anche un interessamento del cingolo
pelvico e talora un de cit selettivo del muscolo tibiale anteriore.
Alcune amiotro e spinali possono realizzare un fenotipo simile. La
biopsia muscolare mostra talvolta una considerevole reazione
in ammatoria. L’evoluzione è lenta e la malattia resta a lungo
compatibile con una vita di relazione pressoché normale.
Distro e distali
Per la loro classi cazione si tiene conto soprattutto della modalità
di trasmissione e della localizzazione iniziale.
Forme autosomiche recessive
Il tipo Nonaka (o distro a distale con vacuoli bordati) è legato a
mutazioni del gene GNE, implicato nella biosintesi dell’acido
sialico. Questa variante è caratterizzata, dal punto di vista clinico,
da lesioni predominanti a carico del muscolo tibiale anteriore, con
risparmio del quadricipite. La biopsia muscolare mostra la
presenza di vacuoli bordati e di inclusioni sarcoplasmatiche o
intranucleari identiche a quelle osservate nella miosite sporadica a
corpi inclusi.
Il tipo Miyoshi è legato a una mutazione del gene della
disferlina. Il de cit si manifesta inizialmente nei muscoli della
loggia posteriore della gamba. Questo gene è responsabile anche di
una delle forme di distro a dei cingoli (LMGD 2B). Gli studi RMN
mostrano tuttavia il coinvolgimento degli stessi distretti muscolari,
in grado di erente, in entrambi questi tipi di disferlinopatia.
Forme autosomiche dominanti
Il tipo Welander, osservato nei Paesi nordici, è caratterizzato da un
esordio tardivo e un interessamento iniziale delle mani. Il gene
responsabile è localizzato nella regione 2p13.
Il tipo Laing è correlato a una mutazione del gene MYH7 che
codi ca per la catena pesante β della miosina. Il de cit interessa
inizialmente i muscoli estensori delle dita dei piedi, determinando
così il segno dell’alluce cadente.
Il tipo Udd (distro a muscolare tibiale) è legato a mutazioni
del gene della titina. L’esordio è tardivo e inizialmente vede
l’interessamento del muscolo tibiale anteriore.
Distro a oculofaringea
Clinicamente è caratterizzata dall’associazione di ptosi e disturbi
della deglutizione e, sul piano istologico, dalla presenza di vacuoli
bordati intracitoplasmatici e inclusioni tubulo- lamentose
peculiari nei nuclei delle bre muscolari. L’esordio è tardivo (5a-6a
decade di vita) e la trasmissione è autosomica dominante. Il gene
responsabile è localizzato sul cromosoma 14 e la mutazione
consiste in una ripetizione anomala di una tripletta GCG. Allorché
il disturbo della deglutizione diventa invalidante è possibile
ottenere un parziale miglioramento tramite la miotomia dello
s ntere esofageo superiore.
Miopatie congenite
Questa denominazione raggruppa un insieme di miopatie
caratterizzati dalla presenza di determinati marker istologici n
dalla nascita. Si manifestano spesso precocemente e danno luogo
alla sindrome denominata “ oppy infant”. Tuttavia possono
manifestarsi anche più tardivamente, addirittura solo nell’adulto.
Queste patologie sovente hanno carattere familiare senza che la
modalità di trasmissione abbia potuto essere determinata in tutti i
casi.
Miopatie metaboliche
Glicogenosi muscolari
Le glicogenosi sono caratterizzate da un accumulo di glicogeno
nelle cellule, in rapporto a difetti enzimatici speci ci. In alcune di
esse predomina la sintomatologia muscolare. La trasmissione è
autosomica recessiva.
Glicogenosi tipo II (malattia di Pompe)
Miopatie endocrine
Il sistema endocrino svolge un ruolo importante nel controllo della
struttura e nel funzionamento del tessuto muscolare. Un buon
numero di malattie endocrine presenta semeiologia muscolare.
Ipertiroidismo
Nella malattia di Basedow l’interessamento muscolare solitamente
si manifesta con un de cit prossimale agli arti inferiori (segno
dello sgabello). L’accentuarsi dei de cit, l’estensione agli arti
superiori e la comparsa di amiotro a caratterizzano la miopatia
tireotossica, facilmente corretta dal trattamento
dell’ipertiroidismo.
L’esistenza di altre forme di miopatia tireotossica acuta con
paralisi molto gravi ed estese o con segni di interessamento dei
muscoli a innervazione bulbare è oggetto di controversie:
l’ipertiroidismo potrebbe intervenire come fattore aggravante o
rivelatore di una miastenia o di una paralisi periodica familiare. Le
paralisi oculari che talvolta si trovano associate a esoftalmo
basedowiano sono da correlarsi all’edema e all’in ltrazione
linfocitaria dei muscoli oculomotori.
Ipotiroidismo
Nel corso dell’ipotiroidismo, il sintomo muscolare abituale è la
lentezza della decontrazione evidenziata dall’esame dei ri essi
tendinei e dalla risposta idiomuscolare alla percussione diretta del
muscolo. In alcuni casi il coinvolgimento muscolare si manifesta
con crampi e irrigidimento doloroso dei muscoli. Soprattutto nel
bambino un’ipertro a muscolare di usa o localizzata alle braccia e
ai polpacci può realizzare un aspetto falsamente atletico (sindrome
di Debré-Semelaigne).
Ipercorticosurrenalismo della malattia di Cushing
Provoca un indebolimento muscolare progressivo, indolente e
simmetrico dei muscoli dei cingoli, associato ad amiotro a. La
stessa alterazione muscolare si osserva con una certa frequenza nel
corso di un trattamento steroideo protratto. Queste alterazioni
muscolari non hanno carattere speci co e sembrano legate al
catabolismo proteico.
Malattia di Addison
Nel corso di questa malattia sono state descritte contratture
dolorose in essione degli arti inferiori. Potrebbe trattarsi di
un’associazione tra la malattia di Addison e una sti legs syndrome
con un meccanismo immunologico comune.
Miopatia associata a patologie ossee di origine metabolica
I disturbi del metabolismo fosfocalcico osservati
nell’iperparatiroidismo e nell’osteomalacia possono dare origine a
una sindrome muscolare caratterizzata da un de cit prossimale con
conservazione, e talora esagerazione, dei ri essi tendinei. Il
trattamento dell’iperparatiroidismo, oppure la vitamina D nel caso
dell’osteomalacia, permettono la guarigione della miopatia.
Polimiositi e dermatomiositi
Sono miopatie in ammatorie che riconoscono un’eziopatogenesi
immunitaria diretta contro le bre muscolari nelle polimiositi e
contro i vasi endomisiali nelle dermatomiositi. Si tratta di a ezioni
muscolari in ammatorie primarie, diverse dalla reazione
in ammatoria che è possibile osservare nelle distro e muscolari.
Nel 50% dei casi sono stati identi cati autoanticorpi speci ci.
Più frequenti nelle donne che negli uomini (2:1), le polimiositi
possono insorgere a ogni età, con due picchi di incidenza, l’uno
verso i 50 anni, l’altro tra i 5 e i 15 anni.
Semeiologia
Il sintomo principale è il de cit stenico, che predomina a livello
prossimale agli arti, con coinvolgimento della nuca nei due terzi
dei casi e disfagia nella metà. Il de cit si accompagna, nella metà
dei casi, a dolori muscolari o a dolenzia alla compressione delle
masse muscolari. L’amiotro a spesso rimane modesta e non
proporzionata al de cit motorio.
Sono frequenti manifestazioni associate: sindrome
in ammatoria con rialzo termico e soprattutto aumento della VES,
che di solito resta modesto e può mancare in quasi la metà dei casi;
sindrome di Raynaud in un terzo dei casi; dolori articolari in un
quarto dei casi, segni cutanei in due terzi dei casi; pneumopatia
interstiziale nel 20% circa dei casi.
I segni cutanei che caratterizzano le dermatomiositi sono di
intensità variabile: l’aspetto più caratteristico è quello di un
eritema localizzato al volto con distribuzione ad ali di farfalla, al
collo, alla parte superiore del torace, alla faccia estensoria degli
arti superiori; sovente le lesioni sono modeste, limitate alla faccia
dorsale delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee e
alla regione periungueale. Alcune forme acute comportano un
importante edema di cute e sottocute.
Esami complementari
L’EMG nei casi tipici mostra un tracciato miogeno con potenziali
polifasici brevi, di piccola ampiezza, e segni di abnorme
eccitabilità delle bre muscolari: potenziali di brillazione,
scariche di tipo miotonico. Gli enzimi muscolari e particolarmente
le CPK sono elevati nei tre quarti dei casi; essi costituiscono un
buon indice dell’attività della malattia.
La biopsia muscolare apporta di regola gli elementi decisivi,
evidenziando una necrosi disseminata delle bre muscolari con
aspetti di rigenerazione, in ltrati in ammatori di mononucleati e,
nelle dermatomiositi, un’atro a perifascicolare. L’assenza di segni
in ammatori, tuttavia, non consente di escludere la diagnosi di
miosite, come nel caso particolare delle miopatie necrotizzanti
paraneoplastiche.
Nel 50% circa dei casi si evidenzia la presenza di anticorpi
speci ci. Nella maggior parte dei casi, si tratta di anticorpi diretti
contro l’aminoacil-tRNA sintetasi; quello riscontrato più
frequentemente è l’anticorpo anti-Jo1 (istidil-tRNA sintetasi). È
stata descritta una sindrome da anticorpi anti-sintetasi, che associa
in maniera variabile polimiosite, manifestazioni cutanee evidenti a
livello delle mani (“mani da meccanico”) e pneumopatia
interstiziale.
Occorre ricercare sistematicamente altre patologie associate.
L’associazione con una collagenopatia tipica (artrite reumatoide,
lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, sindrome di Sjögren) è
relativamente rara; in compenso gli esami di laboratorio mostrano
abbastanza spesso alcune anomalie immunologiche: fattore
reumatoide, cellule LE, anticorpi anti-nucleo. L’associazione con un
carcinoma è stata osservata nel 10-15% dei casi; questa eventualità
deve essere ricordata in particolare nell’uomo dopo i 40 anni, ben
sapendo che la polimiosite può precedere di parecchi anni il
rivelarsi del tumore.
Evoluzione
In base all’evoluzione si possono distinguere:
• forme subacute, le più frequenti, che possono condurre in poche
settimane a una grave invalidità e mettere a rischio la
prognosi di sopravvivenza per la compromissione dei muscoli
respiratori e del cuore, con frequente tachicardia;
• forme croniche, a decorso assai insidioso, nelle quali manca la
sindrome in ammatoria;
• forme acute, che si osservano particolarmente nel bambino, con
segni cutanei e in ammatori importanti e talvolta una
mioglobinuria. Le forme del bambino sovente sono associate a
una vasculite.
Trattamento
Consente spesso di ottenere una stabilizzazione e poi un
miglioramento. Si basa soprattutto sui cortisonici (prednisone;
N.d.C.), alla posologia media di 1 mg/kg/die come dose di attacco;
la posologia in seguito viene ridotta molto lentamente in funzione
del risultato clinico, della sindrome in ammatoria e dei dosaggi
enzimatici. È necessaria una terapia di mantenimento prolungata
perché il rischio delle recidive persiste per numerosi anni. In caso
di insuccesso con i cortisonici, si può decidere un tentativo
terapeutico con immunosoppressori, quali l’azatioprina, il
metotrexato o la ciclofosfamide.
Rabdomiolisi
Un attacco di rabdomiolisi, che compare il più delle volte in
relazione a uno sforzo, si manifesta con dolori muscolari, de cit
funzionale, talvolta escrezione di urine rossastre (mioglobinuria).
Esiste un aumento massivo del tasso di enzimi muscolari nel siero.
La prognosi di vita può essere messa a rischio dal sopraggiungere
di un’insu cienza renale acuta e di un’iperkaliemia.
Le cause di rabdomiolisi sono molteplici:
Ipertermia maligna
L’ipertermia maligna è caratterizzata da una particolare
suscettibilità agli anestetici alogenati o ai bloccanti neuromuscolari
depolarizzanti. In essa si associano una grave ipertermia e una
rigidità muscolare generalizzata, talora con rabdomiolisi e
mioglobinuria. L’evoluzione spontanea è spesso letale a causa della
comparsa di aritmie cardiache. La sospensione immediata della
somministrazione di anestetico, il trattamento sintomatico e
soprattutto la somministrazione di dantrolene permettono di
regola un’evoluzione favorevole. L’ipertermia maligna, che ha una
trasmissibilità autosomica dominante, consegue a un accumulo
abnorme di calcio libero nel reticolo sarcoplasmatico. Nei soggetti
che hanno avuto precedenti familiari, la diagnosi preanestetica
richiede una biopsia muscolare con uno studio della risposta
all’alotano e alla ca eina. Qualora il gene responsabile sia stato
identi cato nella famiglia, è possibile procedere alla diagnosi
genetica. Uno dei geni identi cati codi ca per il recettore della
rianodina (RYR1), implicato nella modulazione dei ussi di calcio.
Lo stesso locus è chiamato in causa nella central core disease, nella
quale vi è una particolare suscettibilità nei confronti
dell’ipertermia maligna.
Canalopatie muscolari
Alcune mutazioni di geni di erenti che codi cano per canali ionici
voltaggio-dipendenti (calcio, sodio, potassio e cloro) sono
responsabili di diverse condizioni il cui disturbo siopatologico
riguarda la contrazione muscolare.
Miotonie congenite
Nella miotonia congenita, il fenomeno miotonico può essere
migliorato dalla ripetizione dello sforzo e può presentarsi in forma
generalizzata. Queste miotonie pure possono accompagnarsi a
ipertro a muscolare, che dà al malato un aspetto atletico. Le forme
dominanti (malattia di Thomsen) e le forme autosomiche recessive
(tipo Becker) sono legate a mutazioni a carico di un canale
muscolare per il cloro (CLCN1) che determinano una riduzione
della conduttanza al cloro e compromettono la ripolarizzazione
della membrana muscolare. La miotonia può essere migliorata dai
farmaci stabilizzatori del potenziale di membrana come la
fenitoina e la carbamazepina.
Sindrome di Andersen
Trasmissione neuromuscolare
La trasmissione neuromuscolare avviene a livello di una sinapsi
che comprende un versante presinaptico, la terminazione assonale,
e un versante postsinaptico, la placca motrice. La placca motrice è
una regione di erenziata del sarcolemma dotata di pieghe regolari
che formano delle fessure sinaptiche secondarie. I recettori
dell’acetilcolina (AChR) sono localizzati sulle sommità di queste
pieghe.
L’AChR è una struttura proteica transmembrana che risulta
dall’assemblaggio di 5 subunità delimitanti un canale ionico
centrale. Le subunità, codi cate ognuna da un gene di erente,
hanno la con gurazione 2α, 1β, 1δ, 1ε (recettore di tipo adulto) o
2α, 1β, 1δ, 1γ (recettore di tipo fetale o sulla bra denervata). Un
sito di legame dell’acetilcolina (ACh) si trova su ciascuna delle due
subunità α. Il legame di una molecola di ACh su ciascuna delle due
subunità α provoca l’apertura del canale ionico e una
depolarizzazione per ingresso di Na + e fuoriuscita di K+. Il legame
tra l’ACh e il suo recettore è labile, e la dissociazione di questo
legame è seguita dall’idrolisi dell’ACh da parte
dell’acetilcolinesterasi (AChE) presente nella fessura sinaptica a
livello della membrana basale che ricopre la placca motrice.
L’ACh, sintetizzata nelle rami cazioni terminali dell’assone a
partire dalla colina e dall’acetilCoA e per mezzo della colina
acetilasi, è immagazzinata entro vescicole presinaptiche. La
trasmissione neuromuscolare è basata sul rilascio di quanta di ACh,
ognuno corrispondente al contenuto di una singola vescicola. In
condizioni di riposo, la liberazione casuale di un quantum di ACh è
responsabile della formazione di un MEPP (Miniature End Plaque
Potential). L’arrivo del potenziale d’azione a livello della
terminazione assonale ne determina la depolarizzazione, l’apertura
di canali del calcio voltaggio-dipendenti, l’ingresso di Ca ++ e la
liberazione di un grande numero di quanta di ACh. La sommazione
dei MEPP provoca un potenziale di placca la cui propagazione
(potenziale d’azione muscolare) dà il via alla contrazione della
bra. L’ampiezza del potenziale di placca è normalmente di gran
lunga superiore a quello necessario per evocare il potenziale
propagato, da cui il concetto di “margine di sicurezza”.
Blocchi neuromuscolari
Quadro clinico
Il de cit motorio miastenico è peculiare in quanto viene aggravato
da un’attivazione sostenuta o ripetuta del muscolo (a aticabilità) e
si attenua a riposo; da qui deriva il suo carattere uttuante. Il
de cit miastenico, che non può essere analizzato in termini di
nervi, è prevalente in determinati territori.
Test farmacologico
Esso consiste nell’infusione ev lenta di edrofonio cloruro (10 mg) o
nell’iniezione intramuscolare o sottocutanea di 1-2 mg di
neostigmina. L’associazione di atropina previene gli e etti
muscarinici indesiderabili e soprattutto l’ipotensione e la
bradicardia. Il test è positivo se mostra un franco miglioramento
del blocco neuromuscolare valutato sia in base alla sintomatologia
clinica sia in base al quadro elettromiogra co (Fig. 22.1).
Timo e miastenia
Nel 15% circa dei casi la miastenia è associata a un tumore timico:
in generale si tratta di una miastenia particolarmente severa, a
comparsa tardiva, senza prevalenza di sesso. Il tumore è un
linfoepitelioma che vede la proliferazione associata dei due tipi
principali di cellule timiche, linfociti e cellule epiteliali. La
malignità di questi timomi è legata soprattutto alla loro estensione
locale e all’invasione del mediastino.
Nel 75% dei casi il timo è macroscopicamente normale ma
mostra anomalie istologiche relativamente speci che: follicoli
germinativi a centro chiaro.
Nel timo sono presenti cellule mioidi che esprimono recettori
per l’ACh: è a questo livello che si possono avere la perturbazione
della tolleranza immunitaria e il reclutamento di cellule T-helper
favorenti la produzione, da parte dei linfociti, di anticorpi anti-
AChR.
Evoluzione
L’evoluzione della miastenia è irregolare e mal prevedibile. Alcuni
aggravamenti dipendono dall’accentuazione del blocco
neuromuscolare da parte di una sostanza farmacologica. I farmaci
controindicati o sconsigliati sono curari, chinina e derivati, alcuni
antibiotici fra cui gli aminoglicosidi, β-bloccanti, difenilidantoina,
carbamazepina, dantrolene, D-penicillamina, interferone α,
benzodiazepine, neurolettici, magnesio e litio. Un aggravamento
può anche essere favorito da un eccesso di lavoro muscolare, un
trauma, un intervento chirurgico, una malattia intercorrente o
fattori endocrini vari (ipertiroidismo, gravidanza, particolarmente
nei primi mesi e nel post partum).
Gli accidenti respiratori costituiscono il rischio più grave nel
corso degli aggravamenti. Due complicanze minacciano la
funzione respiratoria: l’ingombro tracheobronchiale (disturbi della
deglutizione, ipersecrezione, ine cacia della tosse) e
l’ipoventilazione alveolare (paralisi dei muscoli intercostali e del
diaframma). Nel corso di queste “crisi miasteniche” può essere
di cile distinguere i fenomeni paralitici dovuti al blocco
miastenico dalle paralisi dipendenti da una depolarizzazione
irreversibile dovuta a un eccesso di anticolinesterasico. In questi
casi è d’obbligo il trattamento in un’unità di terapia intensiva.
L’evoluzione generale della malattia è capricciosa. In linea di
massima si ammette che il potenziale evolutivo della malattia sia
più grave nei primi 5 anni. Molto spesso, dopo questo periodo, i
disturbi tendono a stabilizzarsi. Talvolta il de cit permanente di
alcuni muscoli si accompagna ad amiotro a.
Trattamento
Trattamento sintomatico del blocco neuromuscolare
Si basa sui farmaci anticolinesterasici. La neostigmina ad azione
rapida con possibilità di somministrazione parenterale è utile
soprattutto all’inizio della giornata se i disturbi della deglutizione
rendono di cile la prima assunzione orale. I farmaci più utilizzati
sono:
Plasmaferesi e immunoglobuline ev
Questi trattamenti spesso hanno una spettacolare e cacia, ma i
risultati non vengono mantenuti che per alcune settimane. L’utilità
principale è nei confronti delle crisi miasteniche.
Corticosteroidi e immunosoppressori
Questi farmaci, utilizzati singolarmente o in associazione,
mostrano di avere un e etto favorevole sull’evoluzione a lungo
termine della miastenia. Il loro impiego va prospettato allorché vi
sia una signi cativa compromissione funzionale che non venga
compensata dagli anticolinesterasici. Qualora sia necessario
ottenere un rapido miglioramento, dal momento che il trattamento
con steroidi talora è seguito da iniziale peggioramento, può essere
opportuno che questo sia fatto precedere o sia accompagnato da
un ciclo di plasmaferesi o di IgG ev.
Il prednisone alla dose iniziale di 1 mg/kg/die viene
successivamente ridotto no a raggiungere la dose minima
e cace. Gli immunosoppressori (azatioprina o micofenolato
mofetil) sono indicati in associazione ai cortisonici in caso di
risposta insu ciente oppure per permetterne la riduzione della
posologia o interromperne la somministrazione.
Timectomia
È generalmente accettato che la timectomia abbia un e etto
favorevole sull’evoluzione naturale della miastenia in termini di
remissioni complete e di miglioramento clinico. I risultati saranno
migliori quanto più completa riesce a essere l’asportazione del
tessuto timico, come pure nei soggetti giovani, nelle forme
generalizzate con presenza di anticorpi anti-AChR e in quelle che
mostrano un’evoluzione in breve tempo. I risultati della terapia
medica hanno peraltro ridotto le indicazioni alla timectomia. Se
esiste un timoma vi è una formale indicazione chirurgica per
ragioni oncologiche, ma i risultati sulla miastenia sono incerti e
può anche capitare che una miastenia faccia la sua comparsa in
corso di timectomia.
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Indice analitico
Echinococcosi
alveolare, 244
cistica, 244
Edema
cerebrale, 198 , 232
papillare, 264
vasogenico, 209
Edinger-Westphal (nucleo di), 29 , 33 , 48 , 61
EDSS See Expanded Disability Status Scale
E etto placebo, 9
Ehlers-Danlos (sindrome di), 206
Eiaculazione, 50
Elettroagopuntura, 9
Elettroencefalogramma, 62
del sonno, 58
della vigilanza, 57
Elettromiogra a, 281
Elettronistagmogra a, 41
Elettroretinogramma, 31
Emangioblastoma, 139
cerebellare, 227
Emangioma vertebrale, 139
Ematoma
endocranico, 231–233
epidurale spinale, 147
extradurale, 233
frontale, 211
intracerebrale, 234
intrarachideo, 147
occipitale, 211
parietale, 211
subdurale, 147 , 233
acuto, 233
cronico, 233
spinale, 147
temporale, 211
Ematomielia, 147
Ematopoiesi ectopica, 139
Embolia
cerebrale, 203 , 262
da colesterolo, 146
brinopiastrinica, 204
brocartilaginea, 146
paradossa, 204
Emeralopia, 31
Emery-Dreifuss (distro a del tipo), 283
Emianestesia, 5
Emianopsia, 30
altitudinale, 30
bitemporale, 30 , 32
laterale omonima, 30 , 32 , 199
relativa, 32
Emiballismo, 22 , 264
Emicorea, 22 , 264
Emicrania
basilare, 101
catameniale, 102 , 103
comune, 101
con aura, 101
continua, 104
cronica, 103
parossistica, 104
emiplegica familiare, 102 , 186
gravidanza, 102 , 103
oftalmica, 101
senza aura, 101
sintomatica, 212
trasformata, 102 , 103
trattamento, 103
Emicrania, 101 , 197
Eminegligenza, 199
Emiparkinson, 171
Emiplegia
cerebrale infantile, 269
motoria pura, 201
Emisindrome sensitiva, 201
Emisomatoagnosia, 78 , 198
Emispasmo facciale
postparalitico, 39
primario, 40
Emorragia
capsulolenticolare, 210
cerebellare, 211
cerebrale, 210
del tronco encefalico, 211
intraventricolare, 207
lobare, 211 , 213
subaracnoidea, 65 , 99 , 214 , 232 , 233 , 262
talamica, 61 , 210
Empatia, 83
Empiema subdurale, 239
Encefalite, 178 , 237 , 247
americana di Saint Louis, 249
da virus TBE, 249
da zecche, 248
del tronco encefalico di Bickersta , 124
di Rasmussen, 93
erpetica, 82 , 247
giapponese, 249
letargica, 178
limbica, 82 , 93 , 94 , 188 , 266
postinfettiva, 158
Encefalomielite acuta disseminata, 147 , 157 , 245
Encefalomiopatia mitocondriale, 278
Encefalopatia
autoimmune, 265
da iperammoniemia, 264
da prioni, 252
epatica, 264 , 265
epilettica, 91 , 269
ipertensiva, 209
ipotiroidea, 265
metabolica, 65
mioclonica, 241
postanossica, 65
posteriore reversibile, 265
respiratoria, 264
saturnina, 128
spongiforme, 252
Endarteriectomia carotidea, 208
Endocardite
batterica, 203
infettiva, 207
trombotica non batterica, 204
Endometriosi, 116
Enkefaline, 6
Enoftalmo, 49
Enterovirus, 246
Epatite B (virus dell’), 121 , 124
Ependimoma, 139 , 140
Epidurite, 138
Epilessia, 85 , 212 , 259 , 263
a parossismi rolandici, 90
assenza dell’infanzia, piccolo male, 90
autosomica dominante del lobo temporale, 90
notturna, 90
benigna del neonato e del lattante, 89
con crisi di grande male del risveglio, 90
con punte-onda continue nel sonno, 91
con stato confusionale, 264
crisi, 75 , 85 , 232
del lobo, 87 , 88
frontale, 88
occipitale, 88
parietale, 88
temporale, 87
dell’infanzia a parossismi occipitali, 90
disturbi psichici associati, 92
farmacoresistente, 94 , 97
gravidanza, 97
idiopatica, 89 , 92
mioclonica, 89 , 90 , 92
giovanile, 90
grave dell’infanzia, 91
progressiva, 93
piridossino-dipendente, 89
post-traumatica, 94 , 234
primaria da lettura, 90
ri essa, 90
stato di male, 89
trattamento, 95
tumorale, 221
Epstein-Barr (virus di), 124 , 159 , 248 , 251
Erezione, 50
Eritema cronico migrante, 240
Eritromelalgia, 8
Ernia discale, 138 , 139
Eroina, 65
Esame elettro siologico, 124 , 164
Estinzione
sensitiva, 4 , 5
visiva, 78
Estroprogestinici, 217
Etambutolo, 32
Eterotopia
periventricolare, 271
sottocorticale, 270
subependimale, 271
Etosuccimide, 96
Expanded Disability Status Scale, 155
Gabapentin, 96
Galattorrea, 53
Galeno (vena di), 194
Gammopatia monoclonale di signi cato indeterminato (MGUS),
130
Ganglio
ciliare, 33 , 48
di Gasser, 38
Ganglioneuropatia, 111
Ganglionopatia, 4 , 51 , 126 , 129
Gangliosidosi, 275
Garcin (sindrome di), 46
Gasser (ganglio di), 38
Gastroparesi, 51
Gate control, 6 , 7f , 8
Gaucher (malattia di), 275 , 276
Gayet-Wernicke (encefalopatia di), 82 , 127 , 188 , 263
Gélineau (sindrome di), 59
Gene COL4A1, mutazione, 234
Gergo, 74
Gerstmann (sindrome di), 78 , 198 , 259
Gertsmann-Sträussler-Scheinker (sindrome di), 253
Glasgow (scala del coma), 63 , 231
Glatiramer acetato, 160
Glicemia, 93
Glicogenosi, 274
tipo II (malattia di Pompe), 285
tipo III, 285
tipo V (malattia di McArdle), 285
tipo VII e VIII, 285
Glioma, del nervo ottico, 32
Gnatostomiasi, 245
Gradenigo e Lannois (sindrome di), 46
Grafestesia, 4
Grasping, 65 , 83 , 199
dello sguardo, 34
Gravidanza, 155 , 217 , 267
Grinker (mielinopatia di), 65
Guam (isola di), 164
Guillain-Barré (sindrome di), 123
Guyon (loggia di), 119
Lacosamide, 96
Lacune, 258
cerebrali, 201
Lafora (malattia di), 92
Lambert-Eaton (sindrome di), 188
Lamotrigina, 96
Landau-Kle ner (sindrome di), 91
Larva migrans, 245
Lasègue (segno di), 114
Lateralizzazione funzionale, 69
Lattazione, 53
L-dopa, 173 , 263
Leao (spreading depression di), 82 , 102
Leber
malattia di, 31
neuropatia ottica ereditaria di, 279
Leigh (sindrome di), 279
Lemnisco mediale, 1 , 5
Lennox-Gastaut (sindrome di), 91
Lesch-Nyhan (malattia di), 274
Lesioni muscolari correlate ad HIV, 251
Leucoaraiosi, 25 , 208 , 210 , 258
Leucodistro a, 258 , 277
CACH/VWM, 278
malattia di Alexander, 277
malattia di Canavan, 277
malattia di Pelizaeus-Merzbacher, 277
metacromatica, 131
Leucoencefalite, 258
acuta emorragica di Hurst, 158
Leucoencefalopatia, 208 , 258
multifocale progressiva, 160 , 249 , 251
Levetiracetam, 96
Lewy (corpi di), 59 , 169 , 170 , 260
Lhermitte (segno di), 4 , 140 , 148 , 152 , 161
Lidocaina, 8
Linfoma, 130 , 165
cerebrale primitivo, 227 , 251
Linguaggio, 69
interiore, 71
Lipoialinosi, 201 , 211
Lipoma, 140 , 267
Lipomatosi epidurale, 139
Liquido cefalorachidiano See Liquor
Liquor, 100 , 124 , 157
Lissencefalia, 270 , 271
Listeriosi neuromeningea, 238
Little (sindrome di), 269
Lobo
occipitale, 67
parietale, 67 , 78
temporale, 67
Locus
coeruleus, 169
niger, 21
pars compacta, 169
Logatomo, 73
Lower body parkinsonism, 25 , 178
Lubag (malattia di), 182
Lupus eritematoso sistemico, 147 , 157 , 158 , 265
Luys (nucleo subtalamico di), 22
Lyme (malattia di), 39 , 157 , 240
M
Macchia cieca, 28 , 30
Machado-Joseph (malattia di), 186
MacLeod (sindrome di), 181
Macula, 28
Malaria cerebrale, 65
Malattia(e)
da corpi di Lewy di usi, 173 , 176
dei piccoli vasi, 25
del sonno, 243
della giunzione neuromuscolare, 288
delle piccole arterie cerebrali, 258
di Addison, 285
di Alexander, 277
di Bassen-Kornzweig, 275
di Bourneville (sclerosi tuberosa), 228
di Canavan, 277
di Fabry, 275 , 276
di Gaucher, 275 , 276
di Hartnup, 274
di Krabbe, 275
di Lesch-Nyhan, 274
di Niemann-Pick, 275 , 276
di Pelizaeus-Merzbacher, 277
di Reckinghausen (neuro bromatosi di tipo 1, NF1), 229
di Refsum, 277
di Steinert, 282
di Tangier, 275
di von Hippel-Lindau, 229
perossisomiali, 277
policistica, 206
Male perforante, 121 , 127 , 242
plantare, 133 , 242
Malformazione(i)
arterovenosa, 93 , 148 , 212
della cerniera atlo-occipitale, 142
vascolare, 210 , 212
Manganese, 265
intossicazione da, 180
Manifestazioni parossistiche, 161
Mano
ad artiglio, 119
instabile atassica, 3 , 5 , 153
Marchiafava-Bignami (encefalopatia di), 263
Marcia
bravais-jacksoniana, 87
cautelata, 25
tabetica, 242
Marfan (sindrome di), 206
Marinesco-Sjögren (malattia di), 185
Medulloblastoma, 228
Meige (sindrome di), 182
MELAS (sindrome), 103 , 278
Memoria, 80
a lungo termine, 81
di lavoro, 81
dichiarativa, 81 , 82
episodica, 81
esplicita, 81
immediata, 81
implicita, 82
procedurale, 81 , 82
semantica, 81
Ménière (malattia di), 41
Ménigo, 207
Meningioma, 139 , 223
localizzazione, 223
trattamento, 224
Meningite, 99 , 237 , 262
batterica, 237
carcinomatosa, 100 , 240
cronica, 100
da bacilli Gram-negativi, 238
da eosino li, 245
da H. in uenzae, 238
da sta lococchi, 238
linfocitaria, 240 , 246
meningococcica, 238
micotica, 240
pneumococcica, 238
purulenta, 234
si litica, 241
tubercolare, 239
virale, 246
Meningocele, 267
Meningoencefalite, 246 , 262
Meningoradicolite, 248
Meningovasculite, 146
Menkes (malattia di), 180
Mento addormentato, 107
Meralgia parestesica, 119
MERRF (sindrome), 92 , 278
Metastasi
epidurali, 138
intramidollari, 139
vertebrali, 138
Metilfeniltetraidropiridina (MPTP), 170
Metronidazolo, 129
Meynert (nucleo basale di), 169 , 258
Miastenia, 39
autoimmune, 288
timo e, 290
Micoplasma, 124
Microaneurismi di Charcot e Bouchard, 211
Microemorragia, 208 , 210
Microgra a, 172
Microtubuli, 109
Midriasi, 48 , 61
non reattiva, 33
Mielinolisi centale pontina, 264 , 265
Mielinopatia di Grinker, 65
Mielite, 248
acuta, 147 , 153 , 158 , 240 , 247
Mieloma, 138 , 165
multiplo, 130
Mielomeningocele, 267
Mielopatia
acuta trasversa, 144
associata, 251 , 252
cervicale, 140
paraneoplastica, 144
portocavale, 180
postradioterapica, 148
trasversa, 51
Millard-Gubler (sindrome di), 39
Miller-Fisher (sindrome di), 124
Mingazzini (manovra di), 17
Mini-Mental State Examination, 256
Minzione, 50
Miochimia, 13 , 154
Mioclonia, 18 , 65 , 177 , 178 , 182
d’azione, 18
del velo palatino, 18
intenzionale, 18
segmentaria, 18
spinale, 18
Mioedema, 12
Mioglobinuria, 126
Miopatia, 281
ad asse centrale, 284
alcolica, 126
congenita, 284
lipidica, 285
mio brillare, 284
miotubolare (centronucleare), 284
mitocondriale, 285
nemalinica o a bastoncelli, 284
tossica e da farmaci, 287
Miosi, 48 , 49 , 61
Miosite a corpi inclusi, 165
Miotonia, 282
congenita, 288
farmaci, 283
Mitocondriopatie, 184
Mixoma atriale, 204
MNGIE (sindrome), 279
Möbius (sindrome di), 35
Mollaret (meningite di), 246
Mononeuropatia, 111 , 116
multipla, 121 , 122
Mononevrite multipla, 122
Monoplegia crurale, 199
Morbillo (virus del), 249
Moro (segno di), 270
Morte
cerebrale, 63
improvvisa, 88 , 97 , 268
neuronale (meccanismo), 165
Morton (metatarsalgia di), 121
Morvan (malattia di), 133 , 266
Motoneurone
α, 11 , 12 , 14
γ, 14
Movimenti
antisaccadici, 34
atetosici, 178 , 186
coniugati degli occhi (o oculari), 34
coreici, 22 , 178 , 181
periodici del sonno, 59
saccadici, 34
Moya-Moya, 207 , 214
MPTP See Metilfeniltetraidropiridina
Mucopolisaccaridosi, 277
Mucormicosi, 245
Mutismo, 69
acinetico, 62 , 199 , 217
Mycoplasma pneumoniae, 124
Obnubilazione, 60
Occlusione dell’arteria carotide interna, 205
Oftalmoplegia
dolorosa, 45
esterna progressiva, 279
internucleare, 35 , 61 , 154
Ohtahara (sindrome di), 91
Oligoclonale (distribuzione), 157
Omocisteina, 208
Omocistinuria, 204
Ondine (sindrome di), 52
Onuf (nucleo di), 50
Opsoclonie, 61
Ormone antidiuretico, 53
Ornitina transcarbamilasi, 274
Oscillopsie, 41
Otorrea, 234
Oxaliplatino, 129
Oxcarbazepina, 95 , 107
Pachimeningite, 224
cranica, 122
Paget (malattia di), 139
Palilalia, 88
Pallestesia, 3
Panarterite nodosa, 121 , 206
Pancoast-Tobias (sindrome di), 50 , 115
Pandisautonomia, 48
Panencefalite sclerosante subacuta, 157 , 249
Papez (circuito di), 82
Papillomi dei plessi corioidei, 228
Parafasia
fonemica, 72 , 74
verbale, 73 , 74
Paralisi
cerebrale infantile, 269
del sonno, 59
della convergenza, 35
della divergenza, 36
di Todd, 87
facciale, 17 , 38 , 39 , 127 , 234 , 246
labioglossofaringea, 164
multipla dei nervi cranici, 45
oculomotoria, 127 , 234
periodica familiare
con ipokaliemia, 287
iperkaliemica, 287
progressiva, 241
sopranucleare progressiva, 176 , 183 , 261
Paramiotonia congenita, 287
Paraparesi spastica ereditaria, 163 , 167
Paraplegia, 17
Parasonnia, 88
Parestesia, 2
Parinaud (sindrome di), 35
Parkinson (malattia di), 28 , 59 , 169 , 183 , 260 , 261
idiopatico, 169
Parry-Romberg (sindrome di), 268
Parsonage-Turner (sindrome di), 116
PCR See Polimerasi
Peduncolo
delle arterie corioidee posteriori, 193
retromammillare, 193
talamogenicolato, 193 , 199
talamoperforato, 193 , 199
Pelizaeus-Merzbacher (malattia di), 277
Pellagra, 127
Penombra ischemica, 197 , 202
Pensiero senza linguaggio, 71
Peptide
Aβ, 213
β-amiloide, 208 , 258
Periodic Lateralized Epileptiform Discharges, 248
Perseverazione, 73 , 83
Pick (malattia di), 260
Pickwick (sindrome di), 59
Pierre Marie e Foix (manovra di), 60 , 232
Pierre Marie-Foix e Alajouanine, 187
Pinealoma, 35
Piombo, 128
Piridossina, 129
Piruvato deidrogenasi, de cit di, 274
Placca
amiloide, 258
motrice, 11
Planum temporale, 71
Plasmodium falciparum, 242
PLEDS See Periodic Lateralized Epileptiform Discharges
Plesso
brachiale, 114
cervicale, 114
lombosacrale, 116
Plessopatia, 111 , 114
attinica, 116
POEMS (sindrome), 130
Policinesi, 17
Policitemia vera, 207
Polidipsia primaria, 54
Poliglobulia, 207
Polimerasi, 237
Polimicrogiria, 271
Polimiosite, 251 , 286
Polineuropatia, 51 , 111 , 122
Polinevrite alcolica, 126
Poliomielite anteriore acuta, 246
Poliradicoloneuropatia, 111 , 123
in ammatoria demielinizzante cronica, 131
Poliradicolonevrite, 39 , 247
Por ria
acuta, 125
intermittente, 125
variegata, 125
Porpora fulminante, 237
Postumi dei traumi cranici, 234
Potenziali evocati, 157
acustici, 157
motori, 18
somestesici, 4 , 157
visivi, 157
Potomania, 54
Prader-Willi (sindrome di), 271
Pregabalin, 96
Prensione
forzata, 83
patologica, 83
Presenilina
1, 259
2, 259
Prevenzione secondaria, 197
Prolasso della valvola mitrale, 204
Prosopoagnosia, 80 , 199
Proteina
14.3.3, 258
FUS, 261
prionica, 252
tau, 258
TDP-43, 261
Protossido di azoto, 143
Pseudocrisi epilettica, 88
Pseudoequinismo spastico, 17
Pseudoipertro a, 13
Pseudopellagra alcolica, 263
Pseudotumor cerebri, 220
Pseudotumore orbitario, 122
Psicosi
interictale, 92
postictale, 92
Ptosi, 33 , 49
Pubertà precoce, 53
Punteggio ABCD, 197
Puntura lombare, 238
Pupillotonia, 49
Putamen, 21
Quadrantopsia, 30
laterale omonima, 32
Rabbia, 248
Rabdomiolisi, 287
Radiazione ottica, 29
Radicolopatia, 111 , 112
cervicale, 113
lombosacrale, 113
Radicoloplessopatia lombosacrale diabetica, 127
Raeder (sindrome paratrigeminale di), 46
Rame, 180
accumulo di, 178 , 179
carenza di, 143
Ramsay-Hunt
sindrome di, 39
zona di, 38 , 39
Rasmussen (encefalite di), 93
Reckinghausen, malattia di (neuro bromatosi di tipo 1, NF1), 131
, 229 , 277
Regolazione termica, 54
Reil (nastro di), 1
Rendu-Osler (malattia di), 204 , 239
Renshaw (neurone di), 14
Respirazione, 52 , 62
apneustica, 62
atassica, 62
Retina, 28
Retinite pigmentosa, 31
Rett (sindrome di), 270
Rickettsia conori, 242
Rickettsiosi, 242
Ri esso
ciliospinale, 61
cocleo-palpebrale, 61
corneale, 37 , 61
cremasterico, 16 , 18
cutaneo, 16 , 18
del velo palatino, 44
del vomito, 44
di difesa, 6 , 14 , 17 , 18
di postura, 15 , 172
emiopico, 32
fotomotore, 29 , 32 , 48 , 61
H, 14
inversione, 18
masseterino, 18 , 38 , 164
miotattico, 14f , 14
monosinaptico, 14
nasopalpebrale, 61
oculocefalico, 61
oculovestibolare, 61
palmo-mentoniero, 164
pendolare, 15
polisinaptico, 15f , 14
pollico-mentoniero, 164
pupillare, 48
tendineo, 15
Rigidità, 181
da decerebrazione, 16
meningea, 237
plastica, 22 , 172
Riley-Day (disautonomia familiare di), 133
Rinne (prova di), 42
Rinorrea, 234
Rischio teratogeno, 97
Riso e pianto spasmodici, 18 , 164
Risonanza magnetica nucleare (RMN), 202
Risposta
idiomuscolare, 12
in decerebrazione, 60
in decorticazione, 60
RMN See Risonanza magnetica nucleare
Rolando (sostanza gelatinosa di), 2
Romano-Ward (sindrome di), 88
Romberg
prova di, 21
segno di, 3 , 41 , 242
Romboencefalite, 188 , 238 , 266
Rosenthal (vena di), 194
Rosolia, 269
Ross (sindrome di), 51
Rossolimo (segno di), 18
Ruota dentata, 172
S
Sacca di rallentamento, 177
Sali d’oro, 129
Sarcoidosi, 32 , 39 , 82 , 107 , 122 , 158 , 206
Sarcoma vertebrale, 139
Saxitossina, 125
Sazietà, 54
Scala del coma (di Glasgow), 63 , 231
Scatola cranica, 219
contenuto, 219
Schema corporeo, 78
Schistosoma
haematobium, 244
japonicum, 244
mansoni, 244
Schistosomiasi, 138
Schizencefalia, 267
Schwannoma, 117 , 121 , 139
Schwartz-Bartter (sindrome di), 54 , 264
Scissura calcarina, 29
Sclerodermia, 107
Sclerosi
concentrica di Balo, 156
ippocampale, 89 , 93 , 94
laterale, 18 , 126 , 163 , 164 , 261
multipla, 18 , 31 , 39 , 54 , 106 , 107 , 147 , 151 , 156 , 183
tuberosa (malattia di Bourneville), 228
Scotoma, 30
scintillante, 101
Scrapia, 252
Secrezione inappropriata di ADH, 54
Segno
della tendina, 44
dello spadaccino, 178
Semeiologia cerebellare, 15
Semialdeide deidrogenasi (de cit di), 274
Seno
cavernoso, 194
longitudinale, 194
retto, 194
Sensibilità, 1 , 2
discriminativa, 5
Sensibilizzazione, 7
Sezione del corpo calloso, 71 , 79
S ngolipidosi, 31
Shaking stroke, 197
Shapiro (sindrome di), 54 , 107 , 271
Shunt portocavali, 265
Shy-Drager (sindrome di), 177
Sialidosi, 92
Siderosi super ciale del sistema nervoso centrale, 216
Si lide, 39 , 157
del sistema nervoso, 241
meningovascolare, 241
Simultagnosia, 80
Sincinesie, 18
di coordinazione, 18
di imitazione, 18
globali, 18
Sincope, 52 , 88 , 196 , 268
ri essa, 52
vasovagale, 52
Sindrome
acinetico-ipertonica, 171
amnesica, 248
CANOMAD, 131
cerebellare, 21 , 201 , 263
clinica isolata, 152 , 156
cordonale posteriore, 4
crampi-fascicolazioni, 13 , 163
da anticorpi anti-fosfolipidi, 204
da disregolazione dopaminergica, 176
da dolore parossistico estremo, 8
da furto della succlavia, 205
da iperventilazione, 196
da vasocostrizione cerebrale reversibile, 99 , 209
del foro lacero posteriore, 46
del nervo mediano nel canale del carpo, 118
del passaggio costo-scalenico, 115
del QT lungo, 88
del seno cavernoso, 45
del verme, 21
dell’angolo pontocerebellare, 46
dell’apice dell’orbita, 45 , 46
dell’arteria cerebellare superiore, 200 , 201
dell’encefalopatia posteriore reversibile, 209
dell’uomo rigido (sti -man syndrome), 13 , 188
dell’X fragile, 270
della cauda equina, 137
della fessura sfenoidale, 45
della perdita di autoattivazione psichica, 83
delle apnee del sonno, 59
delle gambe senza riposo, 59
di Adams e Hakim (idrocefalo normoteso), 219
di disintegrazione fonetica, 72
di Isaacs-Mertens, 13
di Kearns-Sayre, 279
di Leigh, 279
di ricostituzione immunitaria, 160
disautonomica, 177
diseducativa, 83 , 234 , 260
dolori ca regionale complessa, 8
emiatro a-emiparkinson, 269
emicorea-emiballismo, 22 , 89
epilessia-calci cazioni occipitali bilaterali, 188
frontale, 83 , 177 , 234
in ammatoria di ricostituzione immunitaria, 252
ipereosino la, 207
lesionale, 135
locked-in, 201
MELAS, 278
meningea, 237
MERRF, 278
MNGIE, 279
neurocutanea, 268
neurotro ca, 127 , 141
nucleare, 33 , 34
opercolare, 17
opsoclono-mioclono-atassia, 188
paraneoplastica, 51 , 266
parkinsoniana, 22 , 169
periacqueduttale, 35
piramidale, 17
POEMS, 130
postcommotiva, 235
post-Lyme, 241
postpoliomielitica, 165 , 246
primitiva da anticorpi anti-fosfolipidi, 207
pseudobulbare, 18 , 164 , 177 , 202
pseudo-occlusiva, 51
radicolocordonale posteriore, 4 , 242
sensitiva alterna, 5 , 200
serotoninergica, 263
siringomielica, 5 , 139
sottolesionale, 135
spinotalamica, 4
SUNCT, 104
talamica, 5
vestibolare, 41 , 42 , 200 , 234
Sinucleinopatia, 176 , 260 , 261
Siringobulbia, 140-142 , 268
Sistema
extralemniscale, 1 , 2
lemniscale, 1 , 3
Sjögren (sindrome di), 107 , 111 , 122 , 126 , 147 , 157 , 158
Skew deviation, 61 , 211
Sneddon (sindrome di), 207
Somatognosia, 77 , 78
Somestesi, 1
Sonno, 57
a onde lente, 58
ad attività rapida, 58
paradosso, 58 , 59
Sonnolenza diurna eccessiva, 59
Sordità
centrale, 43
corticale, 43 , 79
di conduzione, 42
di percezione, 42
di percezione, 43 , 234
verbale, 74
Sostanza
nera, 21
P, 6
Souques (segno delle ciglia di), 17 , 39
Span, 82
verbale, 81
visivo, 81
Spasticità, 161
SPECT, 195
con DAT-SCAN, 173
Spina bi da, 267
aperta, 267
occulta, 267
Spondilite anchilosante, 139
Spondilodiscite batterica, 138
Stark-Kaeser (malattia di), 166
Stato
confusionale, 176 , 199 , 231 , 240 , 264
confusionale-onirico, 263
depressivo post-traumatico, 235
di male
convulsivo, 89
epilettico, 89
non convulsivo, 89
di veglia, 60
lacunare, 202
on-o , 175
vegetativo, 63
Steele-Richardson-Olszewski (malattia di), 176
Steinert (malattia di), 282
Stenosi
carotidea, 204f , 208
del canale lombare, 140
dell’acquedotto, 267
di Silvio, 229
Stereognosia, 4 , 79
Stereotipia, 199
verbale, 73
Stewart-Holmes (manovra di), 15
Stimolazione magnetica transcranica, 9
Strabismo, 33 , 34
Striato, 21
Strümpell-Lorrain (malattia di), 167
Stupor, 60
Sturge-Weber (malattia di), 268
Sudorazione, 51
Suppression burst, 91
Suzac (sindrome di), 209
Sviluppo psicomotorio, 269
Syndrome
locked-in, 62
sti -leg, 13
Tabe, 241
Takayasu-Onishi (malattia di), 207
Talidomide, 129
Tallio, 128
Tangier (malattia di), 131 , 275
Taupatia, 176 , 177 , 258 , 261
Taxolo, 129
Terapia
anticoagulante, 203 , 208 , 217
trombolitica, 202
Termocoagulazione del ganglio di Gasser, 107
Territori spartiacque, 201
Test di ascolto dicotico, 79
Tetrabenazina, 181
Tetraplegia, 17
Tetrodotossina, 125
Thomsen (malattia di), 13 , 288
Tiagabina, 96
Tiamina (carenza di), 263
Tic, 24 , 184
doloroso della faccia, 105 , 106
Timpano (corda del), 38 , 39
Tinel (segno di), 116
Todd (paralisi di), 87
Tolosa-Hunt (sindrome di), 45
Tomogra a a emissioni di positroni, 195 , 197
Tono muscolare, 14
Topiramato, 96
Topoestesia, 4
Torcicollo spasmodico, 183
Tossina botulinica, 8 , 40 , 183
Tourette (sindrome di Gilles de la), 25 , 184
Toxocariasi, 245
Toxoplasma gondii, 243 , 250
Toxoplasmosi, 243 , 250 , 269
congenita, 243
Tracciato elettromiogra co
miogeno, 12
neurogeno, 12
Transtiretina, 130
Trapianto di fegato, 265
Trasmissione neuromuscolare, 288
Trasporto assonale
anterogrado, 110
retrogrado, 110
Trattamento
anticoagulante, 197 , 203 , 207
antitrombotico, 203 , 208
trombolitico, 203
Tratto ottico, 28
Traumi cranici, 231
postumi, 234
Tremore, 22 , 178
a riposo, 22 , 171
attitudinale, 18 , 171
cerebellare, 15
cinetico, 22
distonico, 22
essenziale, 18 , 171
siologico, 22
intenzionale, 15 , 22
neuropatico, 22
ortostatico, 18
parkinsoniano, 171
posturale, 23
Trichinosi, 244
Trientina, 179
Trigger (zona), 106
Triortocresilfosfato, 128
Tripanosomiasi, 243
Trisma, 38
Trisomia 21, 259 , 270
Trombocitemia essenziale, 207
Trombosi
di un seno venoso cerebrale, 220
venosa, 31 , 99 , 216
cerebrale, 216
retinica, 209
Tronco basilare, 193
Tropheryma whippelii, 241
Tubercoloma, 240
Tubercolosi vertebrale, 138
Tumore
del glomo giugulare
della cauda equina, 140
della regione pineale, 228
extracerebrale, 223
intramidollare, 142
maligno della base del cranio, 225
neuroepiteliale disembrioplastico, 227
Tumore cerebrale, 100 , 221
della fossa posteriore, 222
della regione sellare, 222
emisferico profondo, 222
frontale, 221
occipitale, 222
parietale, 222
temporale, 222
Tumore intracerebrale, 225
astrocitoma, 226
glioma, 226
oligodendroglioma, 227
V
Vaccinazione, 155 , 158 , 248
Valproato di sodio, 95
Vasculite, 146
cerebrale, 209
non sistemica, 122
si litica, 207
sistemica, 121 , 148
tubercolosi, 207
Vasocostrizione cerebrale reversibile, 214
Vena
del cervello, 194
di Galeno, 194
di Rosenthal, 194
Vertigine, 41
iterativa, 41
posizionale parossistica benigna, 41 , 235
Via
corticoreticolospinale, 17
fonologica, 73
lessicosemantica, 73
Vigabatrin, 31 , 96
Vigilanza, 57
Vincristina, 129
Virchow-Robin (dilatazione degli spazi di), 202
Virus
herpes simplex, 247
II, 248
JC, 160 , 249
papova, 249
parotite, 246
varicella-zoster, 246
West Nile, 246 , 249
Vitamina
B1 (de cit di), 127
B12 (de cit di), 142
D (de cit di), 159
E (de cit di), 185
Vocalizzazione, 69
Von Economo (encefalite letargica di), 178
von Hippel-Lindau (malattia di), 139 , 229
X fragile, 187
Xantomatosi cerebrotendinea, 275
Z
Zinco, 179
Zona trigger, 106
Zonisamide, 96
Zoster, 246
dei nervi cranici, 246
del ganglio genicolato, 39 , 246
oftalmico, 246
sine herpete, 247
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