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STUDI SULL’IDENTITÀ
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ERETICHE ED EROTICHE
LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Liguori Editore
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INDICE
1 Introduzione
di Giulia Fanara e Federica Giovannelli
79 Identità e misconoscimento
di Mary Ann Doane
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viii INDICE
Piaceri
Riconoscere/rappresentare
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INDICE ix
Sconfinare
di B. Ruby Rich
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INTRODUZIONE
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2 INTRODUZIONE
1
Cfr. bell hooks, Postmodern Blackness, in Id., Yearning: Race, Gender, and Cultural Politics,
Boston, Southern Press, 1990.
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INTRODUZIONE 3
2
sostituiscono il soggetto unitario eurocentrico della filosofia occidentale .
Queste nuove identità sono anche le protagoniste di una nuova fase della
teoria femminista del cinema che si sviluppa nel punto in cui convergono il
nuovo assetto globale del post Terzo Mondo e la riflessione sul postocolo-
nialismo come una delle declinazioni più produttive del pensiero della
postmodernità. Nuova fase che registra un sostanziale spostamento rispetto
alle esperienze di cinema terzomondista e internazionalista degli anni
Sessanta e Settanta, segnato dallo sviluppo di nuove cinematografie, dall’in-
cremento dei movimenti diasporici e dal declino della prospettiva eurocen-
trica, dall’ingresso massivo delle donne nel campo della produzione e della
realizzazione – vedi il ruolo fondamentale svolto da Women Make Movies
negli Stati Uniti sul piano produttivo e nel mondo su quello della distribu-
zione – e dal nuovo impulso che esso fornisce alla formulazione di originali
categorie analitiche capaci di coniugare la valorizzazione delle culture
nazionali e l’elaborazione di strategie di alleanza transnazionali che ricon-
cettualizzano le donne del Terzo Mondo come agenti piuttosto che come
3
vittime . Dal Quarto Mondo degli africaniamericani, degli asiaticiamericani,
dei latinoamericani, degli arabiamericani le donne gettano ponti di potere,
edificano nuove case dislocate in spazi qualsiasi, le cui fondamenta affon-
dano come rizomi, le cui finestre si aprono non sui giardini ben tenuti e
claustrofobici dei vicini ma su molteplici alleanze multiculturali, perché
tornare a casa significa prendere atto del proprio essere mestiza, compren-
dere che, come dice Anzaldúa, non ci sono posti sicuri che possiamo
2
Cfr. Arjun Appadurai, Disjuncture and Difference in the Global Cultural Economy, in
«Public Culture», vol. II, n. 2, 1990; [tr. it. Disgiuntura e differenza nell’economia culturale
globale, in Id., Modernità in polvere, Roma, Meltemi, 2001, pp. 45-70, p. 53]; Inderpal Grewal,
The “Post-Colonial” Question: South Asia Studies and Feminist Research in A Multinational World,
intervento alla South Asia Conference, University of California at Berkeley, 22 febbraio 1992
e Inderpal Grewal, Caren Kaplan (a cura di), Scattered Egemonies. Postmodernity and Transna-
tional Feminist Practices, Minneapolis and London, University of Minnesota Press, 1994, in
particolare l’introduzione (Introduction: Transnational Feminist Practices and Question of Postmo-
dernity), pp. 1-33.
3
Cfr. Chandra Talpade Mohanty, Women Workers and Capitalist Scripts: Ideologies of
Domination, Common Interests, and the Politics of Solidarity, in M. Jacqui Alexander, Chandra
Talpade Mohanty, Feminist Genealogies, Colonial Legacies, Democratic Futures, New York and
London, Routledge, 1997, pp. 3-29.
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4 INTRODUZIONE
chiamare casa, che ai due lati del ponte non ci sono porte o cancelli che
4
sbarrino il passo allo straniero .
Di queste “tecnologie dell’attraversamento”, come le definisce Chela
5
Sandoval , il libro rende solo parzialmente conto, scegliendo di seguire più
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Gloria E. Anzaldúa, (Un)natural Bridges, (Un)safe Spaces, in Gloria E. Anzaldúa, Ana-
louise Keating (a cura di), This Bridge We Call Home. Radical Visions for Transformation, New
York and London, Routledge, 2002, pp. 1-5.
5
Chela Sandoval, AfterBridge: Technologies of Crossing, in Gloria E. Anzaldúa, Analouise
Keating (a cura di), This Bridge We Call Home. Radical Visions for Transformation, cit., pp.
21-26.
6
Cfr. per esempio Annabella Miscuglio, Rony Daopoulo, Kinomata. La donna nel cinema,
Bari, Dedalo, 1980; Giovanna Grignaffini, Piera Detassis (a cura di), Sequenza segreta, Milano,
Feltrinelli, 1981; Giuliana Bruno, Maria Nadotti, Immagini allo schermo. La spettatrice e il
cinema, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991.
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INTRODUZIONE 5
7
Julia Kristeva, Eretica dell’amore, a cura di Edda Melon, Torino, La Rosa, 1979.
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6 INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE 7
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8 INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE 9
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10 INTRODUZIONE
La differenza può essere più che a fior di pelle: la questione della razza
si pone in modo diverso per il popolo omosessuale. Gay e lesbiche, nel
saggio di Ruby Rich, erotizzano e politicizzano la razza ponendo al centro
delle loro opere l’identità omosessuale e l’identità razziale, proprio perché
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INTRODUZIONE 11
8
Cfr. Arjun Appadurai, Disgiuntura e differenza nell’economia culturale globale, cit., p. 50.
9
Gloria E. Anzaldúa, Now Let Us Shift... The Path of Conocimiento... Inner Work, Public Acts,
in Gloria E. Anzaldúa, Analouise Keating (a cura di), This Bridge We Call Home. Radical
Visions for Transformation, cit., pp. 540-578, p. 570.
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PARTE PRIMA
EROTISMI/CORPI
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di Federica Giovannelli
Femminili speculari
1
Il riferimento è al titolo dello storico saggio di Audre Lorde, The Master’s Tool
will Never Dismantle the Master’s House, scritto nel 1979 e pubblicato nel 1984 in Sister
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16 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 17
di un uomo che di giorno non sa più riconoscerla, che non «ricorda nulla
di quanto ha sognato» durante la notte.
Qui, è evidente, la donna funziona da specchio, superficie riflettente
sulla quale si proiettano i desideri dell’uomo, memoria schermo che ripete i
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meccanismi del sogno, in cui per far vivere lei basta chiudere gli occhi (lo
dice a chiare lettere il protagonista di Occhi di cane azzurro nel bel mezzo
del suo sogno: «Io vedevo, davanti a me, la parete liscia, che era come un
altro specchio cieco dove io non vedevo lei – seduta dietro di me – ma la
immaginavo lı̀ dov’era se al posto della parete ci fosse stato uno specchio.
3
“Ti vedo” le dissi» ). Qui la donna guardandosi allo specchio si identifica
con un’immagine che non le è speculare, aderisce a un femminile nato
all’interno di costruzioni maschili. L’immagine allo specchio, dunque, è il
luogo da oltrepassare per riappropriarsi di un’origine, di un destino, di un
riflesso, di una sembianza in cui ri-conoscersi, per riunificare un sé fram-
mentato, è il terreno privilegiato che ogni donna deve attraversare per
ottenere la distanza necessaria dall’immagine declinata al maschile che lo
specchio le rinvia e ridiventare padrona di un’immagine che le corrisponda
e del processo identificatorio che ad essa si accompagna. Ecco perché de
Lauretis titola Attraverso lo specchio un saggio sulle donne e il cinema,
laddove la visione cinematografica duplica i meccanismi di costruzione
dell’identità (specchio, identificazione, ansia di castrazione, complesso di
Edipo...), laddove quindi la traversata dello specchio, rimandando esplicita-
mente al viaggio di Alice nel paese delle meraviglie, coincide con il passaggio
dall’identificazione con l’immagine allo specchio al rifiuto di assimilare
quell’immagine, all’apertura di uno «spazio di contraddizione», di una
strategia di resistenza. Dentro e fuori dal cinema.
Ma la Alice di Lewis Carroll, dice bene Teresa de Lauretis, non era
4
certo una femminista. Alice semplicemente doesn’t . Alice semplicemente
non (ancora). Tanto per cominciare.
E allora non è un caso, forse, che Alice continuerà a viaggiare fino ad
arrivare agli anni Settanta del XX secolo, in quel momento di straordinaria
fioritura di una nuova forma di woman’s film, fatti dagli uomini ma rivolti ad
un pubblico femminile, che, parallelamente alle rivendicazioni e alle lotte
delle donne per la loro indipendenza, raccontano storie di donne passate
3
Gabriel Garcı́a Márquez, Occhi di cane azzurro, Milano, Oscar Mondadori, 1998, p. 68.
4
Rimandiamo al titolo del testo di Teresa de Lauretis, Alice Doesn’t. Feminism, Semiotics,
Cinema, Bloomington, Indiana University Press, 1984, in cui è contenuto il saggio Through
the Looking-Glass.
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18 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
vano ben altre battaglie, comportavano ben altre perdite, ma davano ben
altri risultati. Tanto per calmare gli animi.
Eccola, dicevamo, Alice (Ellen Burstyn) nel film di Martin Scorsese del
1974, ventisette anni dopo il suo viaggio nel paese di Humpty Dumpty (il
film inizia in stile patinato, modello fiaba, e poi ci precipita nell’amara
realtà), Alice che non abita più qui (Alice Doesn’t Live Here Anymore, Usa
1974, 113’), che una casa vera e propria l’ha lasciata e viaggia cambiando
continuamente città e motel e uomo, con un figlio ipercritico ma saggio
alle calcagna, in quello che è un altro road movie verso la consapevolezza,
perché lei sa che vuole arrivare a Monterey per realizzare il suo sogno di
sempre di fare la cantante, ma le certezze, si sa, hanno vita breve, e quando
arriva a Tucson dove si mette a fare la cameriera e incontra l’amore, ci
resta, perché l’amore è amore e lei non riesce «a vivere senza un uomo» e
poi si può cantare anche a Tucson (forse). Dunque, Alice ancora non ce la
fa. Ma non ce la fa neanche l’anticonformista e coraggiosa Giulia (Vanessa
Redgrave) nel film di Fred Zinneman che prende il titolo dal suo nome
(Julia, Usa 1977, 118’), che muore nella Germania nazista senza che la sua
amica fraterna e devota, la scrittrice Lillian Hellmann (Jane Fonda), possa
ricostruire la sua verità al di là delle memorie e possa crescere sua figlia
Lilly (messa al sicuro al di là del confine tedesco), lasciando volutamente il
5
film nell’ambiguità di una mancanza di soluzione – come si sarebbe
raccontata Giulia in prima persona? Che tipo di legame c’era tra lei e
Lillian? Erano solo amiche o avevano una relazione lesbica? – (solo quattro
anni più tardi Margarethe von Trotta gira Anni di piombo in cui la scena si
sposta dalla Germania nazista alla Germania degli anni del terrorismo e il
rapporto tra due sorelle, una più sovversiva l’altra più conformista, stavolta
è giocato sul piano del conflitto, che è dissidio interno a una generazione
ma anche messa a tema delle differenze tra le donne, e in cui la perdita di
Marianne [Barbara Sukowa] – trovata morta in carcere – è per Juliane [Jutta
Lampe] non solo la perdita di un’immagine speculare in cui riconoscersi, di
un doppio con il quale confrontarsi-scontrarsi, ma anche la perdita, più
profonda, dello specchio invertito di un sé frantumato che per ri-edificarsi
5
Cfr. Annette Kuhn, Women’s Pictures. Feminism and Cinema, London, Routledge & Kegan
Paul, 1982, in particolare al settimo capitolo, Real Women, pp. 131-155.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 19
6
Cfr. Charlotte Brunsdon, Un sujet d’actualite´ pour les anne´es 70, «CinémAction», n. 67, II
semestre 1993, pp. 59-64.
7
Teresa de Lauretis, Feminism, Semiotics, Cinema: An Introduction, in Id., Alice Doesn’t, cit.,
p. 6.
8
Gertrud Koch, La critica cinematografica femminista: che cos’e` e a che serve, «Nuova dwf», n.
8, luglio-settembre 1978, p. 69.
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20 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
altra e più radicale. Poiché non basta mettere in luce le storture presenti
nelle strategie rappresentative dominanti, ma è necessario aprire un varco
attraverso il quale introdursi drasticamente nel cuore dei codici cinematogra-
fici esistenti, dei processi di produzione del significato consolidati, per
trasgredirli e sovvertirli dall’interno. «Nuovi significati devono essere creati
spaccando la struttura del cinema maschile borghese dall’interno del film...
non è sufficiente discutere l’oppressione delle donne in un film, anche il
linguaggio del cinema e la descrizione della realtà devono essere interrogati
9
cosicché si verifichi una frattura tra ideologia e testo» .
Si tratta di un’operazione di risignificazione, di cambiamento di segno
delle grandi narrazioni che la Storia, quella maschile, ci ha consegnato,
operazione che si fa continuando a narrare; si tratta, con le parole di de
10
Lauretis, di una de-ri-costruzione , vale a dire una decostruzione che ha come
rovescio una ricostruzione, ma guardando da “altrove”, incarnando quello
11
che Claire Johnston chiama «il lavoro del desiderio» . Il nostro desiderio, il
desiderio delle donne. L’“altrove”, appunto, ma assunto deliberatamente. Il
contrario del Logos ma restando dentro al discorso dominante per rove-
sciarne il segno. È il mimetismo ludico di Luce Irigaray: mimare la parola del
padrone da “altrove”. Perché l’unica parola a disposizione è quella avvolta
dai «bisogni-desideri-fantasmi» degli uomini, e allora è da lı̀ che bisogna
partire per iniziare a «parlare donna». E anche qui, come nel caso del cinema
delle donne, «parlare donna non è parlare della donna. Non si tratta di
produrre un discorso di cui la donna sarebbe l’oggetto, o il soggetto. Ciò
detto, parlando donna si può tentare di trovare un luogo all’“altro” come
12
femminile» . Ancora; si può tentare di non farsi più specchio in cui il
maschile possa riflettersi, di non farsi più ridurre al sogno di un uomo, ma di
9
Claire Johnston, Cinema delle donne come contro cinema, «Nuova dwf», n. 8, luglio-
settembre 1978, p. 64.
10
Teresa de Lauretis, The Technology of Gender, in Technologies of Gender. Essays on Theory,
Film and Fiction, Bloomington, Indiana University Press, 1987, p. 24; [tr. it. La tecnologia del
genere, in Teresa de Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996, p.
161].
11
Claire Johnston, Cinema delle donne come contro cinema, cit., p. 67.
12
Luce Irigaray, Domande, in Id., Questo sesso che non e` un sesso, Milano, Feltrinelli, 1978, p.
112; cfr. anche le pagine 109, 111.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 21
13
Per un’analisi approfondita del lavoro di Cindy Sherman vedi Laura Mulvey, Cosmetics
and Abjection. Cindy Sherman 1977-1987, in Id. Fetishism and Curiosity, London, BFI, 1996, pp.
65-76.
14
Judith Williamson, Images of ‘Woman’ – The Photographs of Cindy Sherman, «Screen», vol.
24, n. 6, novembre-dicembre 1983, p. 102.
15
Amelia Jones, Tracing the Subject with Cindy Sherman, in Cindy Sherman. Retrospective,
catalogo della mostra tenutasi al Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles, 2
novembre 1997-1 febbraio 1998, London, Thames & Hudson, 1997, p. 39.
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22 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
16
ciascuna immagine sia la “sua”» . Se ogni immagine sta per una donna
diversa dalla femminilità diversa, allora lei non può rappresentarle tutte. Se
lei può rappresentare ognuna di quelle donne, se queste donne cosı̀
differenti sono intercambiabili, allora non esistono. L’attimo fuggente colto
dallo scatto fotografico, il calco della realtà che l’istantanea dovrebbe
restituire nella sua verità, integrità, pienezza è un falso. L’immagine diretta e
interpretata da Sherman, il fotogramma rimasto “senza titolo” come le
donne che vi sono impresse, non è una copia ma una maschera, non è
verosimile ma inverosimile.
A partire dall’improbabile inventario di Sherman, un glossario semplifi-
cato di parole chiave: catalogo, donna, differenza/e tra le donne.
Serge Daney attribuisce ad ogni cinefilo che si rispetti l’ossessione di
catalogare, di compilare liste, di fare classificazioni dei film visti e di quelli
da vedere, delle visioni che hanno contato e di quelle di cui sono rimaste
solo tracce, delle immagini conservate, gelosamente custodite, quasi fossero
ricordi personali, delle narrazioni che continuano le nostre storie, delle
storie che “segnano” le nostre vite – microcosmi che funzionano come
tasselli di una memoria in continua evoluzione («l’obbligo di essere sul
17
cammino delle cose» ), dalla quale si può sottrarre per poi tornare ad
aggiungere altri fotogrammi, altri visi, altri corpi, altre voci, altri gesti, altre
rivelazioni improvvise, altre emozioni, altre immagini, altri film.
Un catalogo, quello del cinefilo, che deve essere costantemente aggior-
nato, laddove è come se il catalogo delle femminilità di Cindy Sherman,
potenzialmente aperto a includere infinite tipologie di Donna, giocando
(con serietà) segnalasse invece l’avvenuta fine di un gioco durato troppo a
lungo. Ed è sempre Serge Daney a dirci che la cinefilia «è il punto di vista
di un bambino che è riuscito a riciclare i suoi giocattoli e a non mancare
18
mai troppo di compagni per il viaggio come per il gioco» . Bambino e
compagni di gioco maschi, si intende, se altrove Daney tiene a precisare
che «quando le donne cominciano a fare film sempre più di frequente»
succede che «non si gioca più», perché la donna messa dietro alla macchina
16
Judith Williamson, Images of ‘Woman’, cit., p. 105.
17
Serge Daney, Lo sguardo ostinato, Milano, Il Castoro, 1995, p. 87.
18
Serge Daney, Journal de l’an passee´, «Trafic», n. 1, inverno 1991, p. 17.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 23
da presa «non gioca, non attinge alla propria infanzia, non feticizza l’uomo,
non scherza. Certi film di Akerman, Varda e, più recenti, gli ultimi Mura-
tova, Campion e Breillat non barano e rappresentano un cinema irrimedia-
19
bilmente adulto» . Adulto, cioè, «aperto al femminile», conclude Daney.
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19
Serge Daney, Il cinema e oltre. Diari 1988-1991, Milano, Il Castoro, 1997, pp. 262-263.
20
Cfr. Le conclusioni del fondamentale saggio di Laura Mulvey, Visual Pleasure and
Narrative Cinema, «Screen», vol. 13, n. 3, autunno 1975, [tr. it. Piacere visivo e cinema
narrativo, «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978].
21
Teresa de Lauretis, Rethinking Women’s Cinema, in Id., Technologies of Gender, cit., p. 136.
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24 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dez), figura dell’erranza tra due uomini, della vita ridotta alle dimensioni di
una stanza in cui fare l’amore e di un’unica strada da attraversare di corsa
per «essere-fra» Jack e Joseph, cercando di truffare il tempo e il sonno,
cercando di sfuggire alle intromissioni del mondo, di stare al riparo dallo
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22
Per un approfondimento della questione della trasformazione di Cléo da donna-
immagine a donna che ha acquisito la capacità di costruire la propria immagine, cfr. Sandy
Flitterman-Lewis, From Déesse to Idée: Cleo From 5 to 7, in Id., To Desire Differently. Feminism
and The French Cinema, New York, Columbia University Press, 1996, pp. 268-284.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 25
renderlo schiavo delle sue voglie, che ormai di zen non hanno più niente.
Ma c’è anche Barbara (Lio) in Sale comme un ange di Catherine Breillat
(Francia 1990, 105’), la passione incontenibile, l’attrazione che corrode, il
desiderio di una donna che sente, che trasforma l’angelo anche in puttana,
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26 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
23
Cfr. Malgorzata Radkiewicz, Angry Young Girls. Gender Representations in Vera Chytilová
Sedmikrásky and Pasti, pasti pastičky, «Kinoeye», vol. 2, n. 8, 29 aprile 2002; e Ivana
Košuličová, The Void Behind the Mask. Game-playing in the Films of Vera Chytilová, «Kinoeye»,
vol. 2, n. 8, 29 aprile 2002.
24
Cfr. Jaromı́r Blažejovský, Bones, bones, bone-eater... Vera Chytilová’s Pasti, pasti pastičky,
«Kinoeye», vol. 2, n. 8, 29 aprile 2002; e Malgorzata Radkiewicz, Angry Young Girls, cit.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 27
tra testo parlato e testo visivo. Al cinema, allora, si pensa meglio e Rainer
pensa il cinema portando alle estreme conseguenze la lunga e difficile lotta
per il significato incentrata sul corpo e sul linguaggio iniziata sulle prime
con la danza: corpo sbilanciato, linguaggio inappropriato, interrotto, sba-
gliato che al cinema sempre scavalca il corpo, in un prevalere del contenuto
25
mentale e intellettuale delle emozioni su quello fisico, corporale . La
strategia estetica di Rainer ben si presta, è evidente, ad accogliere temi e
questioni femministe, anzi è la regista stessa nei suoi primi lavori ad
anticipare e indicare le svolte principali della teoria femminista, pur non
volendo rinchiudersi nelle maglie strette delle definizioni convenzionali e
continuando a pensarsi nella prospettiva utopica della “a-donna”, che
cambia tattiche, punti di vista, opinioni, idee politiche, e a pensare al suo
cinema come a un non proprio lyotardiano “a-cinema”, uno strumento atto
a turbare invece che a rassicurare, a confondere invece che a chiarire, a
disgiungere invece che ad assemblare, a includere piuttosto che a evitare
temi quali razzismo, sessismo, colonialismo e deformazione, mistificazione,
26
manipolazione . Nel 1985 la moglie dell’uomo che invidiava le donne (The
Man Who Envied Women, Usa 1985, 125’) neanche appariva sullo schermo
perché qualcuno potesse starla a guardare e si riduceva a voce over che
riflette sul difficile passaggio ai cinquanta, personaggio invisibile sottratto a
tutte le strutture maschili di potere. Nel 1990, il racconto dell’invecchia-
mento femminile, la storia della menopausa di Jenny, intersecano il tema
della razza e quello dell’oppressione di classe, a indicare dove e come si
esercitano le varie forme di oppressione e dove si trova invece il privilegio
(Privilege, Usa 1990, 100’) – bianco, maschio e borghese – con il suo
concatenamento, i suoi inevitabili legami con la violenza sessuale (qui la
vittima è lesbica e bianca ma lo stupratore è portoricano e povero, perché
25
Cfr. Noël Carroll, Moving and Moving, «Millennium Film Journal», nn. 35/36, autunno
2000, articolo scritto dall’autore sul primo film di Rainer, Lives of Performers (1972), ma i cui
concetti chiave – riflessione sulle emozioni, distacco emotivo dello spettatore, prevalenza
della mente sul corpo, discordanza tra colonna visiva e colonna sonora – sono in larga
misura applicabili a tutta la filmografia di Rainer.
26
Ci si riferisce al saggio intitolato, Sexism, Colonialism and Misrepresentation a cui Rainer e
Bérénice Reynaud hanno lavorato insieme per una conferenza, The Collective for Living
Cinema, 25 aprile, 8 maggio, 1988.
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28 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
ascriversi. Nel 1996, l’amore lesbico scoppiato tra Mildred e Doris, che
ormai hanno una certa età, affianca il tema del tumore al seno e della
mastectomia a ripercorrere ancora una volta l’autobiografia, il coming out di
Rainer come lesbica e la sua malattia (Murder and Murder, Usa 1996, 113’);
ma stavolta la narrazione è più tradizionale, i personaggi sullo schermo
sono a tutto tondo, i dialoghi subentrano ai monologhi, le tecniche filmiche
sono più convenzionali, eppure parlano sempre di donne che..., allora come
adesso, continuano a sconcertare, a disorientare, a confondere.
Nel XIV secolo invece è possibile incontrare un’altra donna, Aliénor
(Caroline Ducey), protagonista di La chambre obscure di Marie-Christine
Questerbert (Francia 2000, 107’), diversa anche lei dalle altre, e non solo
perché il suo tempo non è il nostro tempo, ma perché, emersa faticosa-
mente dalle profondità del passato, costretta a occupare suo malgrado il
posto della Donna che Rainer ha costantemente lasciato vuoto, abbando-
nerà la sua casa, “uscirà” dal suo corpo per illuminare il cammino a venire,
per indicare la strada da percorrere in futuro, per metterci davanti agli
occhi l’istantanea sfocata di un avvenire possibile.
Aliénor l’uomo che ama l’ha ottenuto in sposo dal re di Francia, la
debita ricompensa per averlo miracolosamente guarito da una fistola giudi-
cata da tutti incurabile, ma da quell’uomo tutto per sé non riesce a farsi
amare, non riesce a farsi desiderare, non riesce a farsi vedere, non riesce
neanche a farci l’amore. E qui la donna sconta il privilegio conquistato
(quello che gli uomini hanno avuto per secoli) con l’oscuramento, con il
confinamento in una camera buia, in una stanza priva di luce, dove solo a
prezzo della sua invisibilità ottiene di fare l’amore con suo marito, dove
solo facendo finta di non esserci, solo passando per un’altra, solo cancel-
lando il suo corpo riesce a farsi vedere per la prima volta. E qui la
costitutiva trasparenza della donna è messa a tema attraverso un capovolgi-
mento che va di pari passo con la dialettica buio/luce: perché solo
riattivando la propria assenza Aliénor può rovesciare la propria condizione
di perdita in strategia di resistenza, in percorso di acquisizione della
consapevolezza, può avviare il processo di trasformazione che prelude alla
definizione di un’identità rinnovata. Trasformazione anche al nucleo del
primo lungometraggio di Sally Potter, The Gold Diggers (Cercatori d’oro, Gb
1983, 89’), quello più esplicitamente femminista e per la forma avanguardi-
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 29
sequenza iniziale del ballo e quella stessa sequenza posta in chiusura del
film, l’una all’insegna della festa danzante e del bel costume di una conci-
liante Ruby, scortata dal suo cavaliere perché la sua bellezza circoli come
l’oro/denaro tra gli esemplari maschili della società patriarcale e capitalista
e trascinata poi via attonita in sella a un cavallo da un’altra donna,
Celeste/Colette Laffonte, perché il processo del rimemorare abbia inizio;
l’altra con gli scavatori, cercatori, saccheggiatori d’oro stesi a terra dai
disinvolti calci di una nuova Ruby, salvata infine dall’amnesia e dalla
prigionia – in una società oppressiva e in un apparato cinematografico che
ne fa un’astrazione – proprio da quella donna nera che cavalcando un
destriero bianco la porta ancora una volta con sé verso l’orizzonte lontano.
Stavolta partecipe, sorridente e divertita. La «costruzione di una memoria»
attraverso lo sforzo concreto e risoluto del «ricordare» è ciò che prepara la
trasformazione del soggetto donna e ciò che rende inoltre possibile la
27
trasformazione di ciò che lo circonda . Le parole di Colette Laffonte a
renderlo una volta per tutte presente, a dirne l’attuabilità: «Però so che
anche solo guardando e vedendo, cambio ciò che è lı̀».
Cambiamento interiore e esteriore che come tutti i processi è lungo e
difficile da concretizzare e a cui le donne di L’albero di Antonia (Antonia’s
Line, Marleen Gorris, Olanda/Belgio/Gb 1995, 102’) – che sta per la
discendenza di Antonia (Willike van Ammelrooy) – riservano da un pezzo
tutta la propria dedizione e tutte le proprie energie, servendosi dell’acquisita
capacità di trasformare e di plasmare e di una certa dose di autocoscienza
per vivere in un villaggio che hanno convertito, forse con qualche schema-
tismo di troppo, da luogo di violenza dominato dalla legge patriarcale a
luogo di solidarietà e di accoglienza retto da principi matriarcali. Una sorta
di valle delle donne di memoria boccaccesca, dove il tempo della narrazione
è un tempo condiviso, dove il sottotesto della storia è il recupero di
un’origine, una genealogia, di un’appartenenza. Anche a Ibo Landing, nel
sud Carolina, c’è un’altra valle delle donne, c’è un altro territorio che significa
27
Cfr. Mary Ann Doane, Remembering Women: Psychical and Historical Constructions in Film
Theory, «Continuum: The Australian Journal of Media & Culture», vol 1, n. 2, 1987; per un
esame del lavoro di Potter vedi anche Anne Jerslev, Sally Potter’s “ecrands seconds”. A reading
of Sally Potter’s Work, «Nordicom Review», vol. 21, n. 2, 2000, pp. 275-291.
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30 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Daughters of the Dust (Julie Dash, Usa 1991, 112’), loro che erano state
schiave, loro che erano state violentate dai propri padroni, a cui era stato
tolto il diritto di amare e di essere madri ora sono la fonte della cultura, del
valore, della resistenza, della differenza, le produttrici del significato29. Le
donne di colore fiere e coraggiose di Daughters of the Dust dicono qui la
loro oppressione ma con parole inevitabilmente diverse da quelle delle
donne bianche e con accenti sensibilmente discordanti anche da quelli
degli uomini neri. Perché per loro il genere sessuale e l’appartenenza
razziale non sono termini separati ma categorie che si interrogano a
28
All’epoca della tratta degli schiavi, le isole costiere della Georgia e della Carolina erano
il luogo in cui sbarcavano le navi che trasportavano gli africani. Julie Dash le considera la
Ellis Island degli africani, il «centro di smistamento» di milioni di schiavi emigrati forzata-
mente. Afferma Toni Cade Bambara: «Giù nelle isole della Georgia e della Carolina
raccontano ancora la storia degli Ibo. Dicono che quando la barca scaricò a terra gli africani
dalle grandi navi di schiavi, gli Ibo scesero sulla riva con le loro catene, si diedero
un’occhiata intorno, e, vedendo ciò che gli europei avevano ancora in serbo per loro,
tornarono immediatamente sui propri passi e camminarono per tutta la strada verso la
Madre Terra» (Toni Cade Bambara, Preface, in Julie Dash, Daughters of the Dust. The Making
of an African American Woman’s Film, New York, The New Press, 1992, p. xi). In un’intervista
con bell hooks, Dash torna ad aggiungere particolari al mito di Ibo Landing che è
fondamentale non solo per comprendere la genesi di Daughters of the Dust, ma anche perché
inaugura tutta la tradizione della resistenza nera. «I prigionieri Ibo, i prigionieri africani della
tribù degli Ibo, quando furono portati nel Nuovo Mondo rifiutarono di vivere in schiavitù.
Secondo alcuni resoconti essi camminarono nell’acqua, e poi sull’acqua fino all’Africa,
capisci, piuttosto che vivere in schiavitù, in catene. Ci sono anche miti di loro che sono stati
trascinati dalla corrente, trascinati per tutta la strada verso l’Africa. E poi c’è la storia – la
verità o il mito – di loro che camminano nell’acqua e si annegano davanti ai negrieri»
(Dialogue Between bell hooks and Julie Dash, 26 Aprile 1992, in Julie Dash, Daughters of the
Dust, cit., p. 27).
29
All’inizio di Daughters of the Dust, dopo aver visto Nana Peazant uscire dall’acqua
completamente vestita, sentiamo una voce off di donna che dice: «Io sono la prima e
l’ultima./ Io sono l’onorata e la disprezzata./ Io sono la puttana e la santa./Io sono la moglie
e la vergine./ Io sono la sterile, e molte sono le mie figlie./Io sono il silenzio che tu non
puoi capire. Io sono l’espressione del mio nome. Nelle sue affermazioni Julie Dash tiene a
specificare che le donne afroamericane non si sono mai potute permettere di essere
semplicemente donne, ma hanno dovuto essere più cose inconciliabili contemporanea-
mente, hanno dovuto sopportare, ad esempio, di essere allo stesso tempo le fonti del
nutrimento e le bestie da soma.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 31
30
Cfr. il saggio di Valerie Smith, Black Feminist Theory and the Representation of the ‘Other’,
in Cheryl A. Wall (a cura di) Changing Our Own Words, New Brunswick, Rutgers University
Press, 1989, pp. 38-57, [tr. it. La teoria femminista nera e la rappresentazione dell’altro/a, in
Raffaella Baccolini, M. Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Ponticelli (a cura di), Critiche
femministe e teorie letterarie, Bologna, Clueb, 1997, pp. 321-336]. Smith argomenta che non è
sufficiente affermare che le donne nere siano contemporaneamente vittime di razzismo e
sessismo perché – e qui cita Elizabeth V. Spelman – «dire soltanto questo fa pensare che le
donne nere subiscano una forma di oppressione in quanto nere – la stessa che subiscono gli
uomini neri – e un’altra forma di oppressione in quanto donne – ovvero la stessa che
subiscono le donne bianche». E continua Smith: «Una formulazione di questo tipo nega la
specificità dell’esperienza della donna nera, in quanto la presenta come punto di intersezione
tra le esperienze degli uomini neri e delle donne bianche. In alternativa a questa posizione...
le teoriche femministe nere sostengono che il significato dell’essere neri/e negli Stati Uniti
influenza profondamente l’esperienza del genere sessuale, cosı̀ come le condizioni dell’essere
donna influiscono ineluttabilmente sull’esperienza della razza», pp. 330-331. Gli scritti, le
politiche e le elaborazioni teoriche delle donne di colore avevano preso forma e consistenza
ed avevano in breve acquisito grande visibilità nel 1981 con la pubblicazione della prima
antologia di scritti curata da “radicali” femministe di colore intitolata This Bridge Called My
Back. Writings by Radical Women of Color, Cherrı́e Moraga e Gloria Anzaldúa (a cura di),
(Watertown-MA, Persephone Press, 1981; seconda edizione, New York, Kitchen
Table/Women of Color Press, 1983), autodefinitesi, la prima, femminista/lesbica/scrittrice
chicana, la seconda, poetessa chicana. Segue, nel 1982, a ridosso di This Bridge Called My
Back, una seconda antologia dei Black Women’s Studies dall’eloquente titolo All the Women
Are White, All the Blacks Are Men, But Some of Us Are Brave, Gloria T. Hull, Patricia Bell
Scott e Barbara Smith (a cura di), (New York, The Feminist Press, 1982). Cfr. in particolare
l’ormai ben noto saggio di Barbara Smith, Toward a Black Feminist Criticism, pp. 157-175. Nel
1983, sempre a cura di Barbara Smith, esce una terza antologia di scritti di femministe nere
dal titolo Home Girls: a Black Feminist Anthology (New York, Kitchen Table/Women of
Color Press, 1983; seconda edizione, New Brunswick, Rutgers University Press, 2000). In
tutte e tre le raccolte di saggi viene significativamente pubblicata l’importante dichiarazione
A Black Feminist Statement, datata 1977, del collettivo femminista nero Combahee River (vedi
alle pp. 210-218 di This Bridge Called My Back, seconda edizione), che già allora individuava
la specifica situazione delle donne nere in questi termini: «Noi crediamo che, sotto il
patriarcato, le politiche sessuali siano tanto pervasive nelle vite delle donne nere quanto lo
sono le politiche della classe e della razza. Troviamo spesso difficile anche separare
l’oppressione razziale da quella di classe e di sesso perché nelle nostre vite esse sono di
frequente vissute simultaneamente. Sappiamo che esiste una cosa come l’oppressione
razziale-sessuale che non è né unicamente razziale, né unicamente sessuale...» (p. 213).
Queste antologie aprono ad un’autentica metamorfosi nell’orientamento della teoria femmi-
nista, bianca, occidentale e dominante, e costituiscono uno spartiacque verso una nuova e
composita fase del pensiero femminista durante la quale quest’ultimo si “etnicizza” e cerca di
de-colonializzarsi, durante la quale alla teoria smithiana della contemporaneità e reciprocità
delle oppressioni si salda, a farle da controparte, quella della contemporaneità e reciprocità
delle differenze.
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32 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
E le lesbiche di Go Fish (Go Fish – Segui il pesce, Rose Troche, Usa 1994,
83’), dicono sempre qui la loro oppressione (diversa tanto da quella subita
dalle donne eterosessuali quanto da quella sperimentata dagli uomini omo-
sessuali), ma lo fanno rintracciando la propria specificità nel punto esatto in
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31
Cfr. quanto afferma Ida Dominijanni in Il desiderio di politica: «Nessuna politica delle
donne può fare a meno del radicamento nel genere, perché è come genere oggettivato, e
non come soggetti singolari pensanti e attivi, che le donne sono previste nell’ordine
simbolico: la rivoluzione femminile non può non partire da qui»; in Luisa Muraro e Liliana
Rampello (a cura di), Lia Cigarini. La politica del desiderio, Parma, Pratiche, 1995, p. 24.
32
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, in Id., Soggetti eccentrici, Milano, Feltrinelli, 1999, in
particolare alle pp. 46-55.
33
bell hooks, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Milano, Feltrinelli 1998, p.
66.
34
Ida Dominijanni, Il desiderio di politica, cit., p. 26.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 33
35
Claire Johnston, The Subject of Feminist Film. Theory/Practice, «Screen», vol. 21, n. 2,
estate 1980, p. 30, citato in Teresa de Lauretis, Sui generis, cit., p. 89 n 63.
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34 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
La voce di lei
Nel gennaio del 1973 al Royal Court Theatre di Londra viene messa in
scena per la prima volta una pie`ce teatrale di Samuel Beckett significativa-
mente intitolata Non io. Davanti agli occhi degli spettatori, su un palcosce-
nico buio e spoglio, c’è soltanto una bocca, bocca di donna monologante in
terza persona, labbra che liberano un flusso interminabile di parole rimaste
a lungo impigliate e che ora suonano irriconoscibili, dolorose e sconnesse.
E Bocca, appunto, è il nome anonimo della protagonista senza corpo e
senza volto, una lei che non è una donna specifica ma una donna qualsiasi
«che cerca di uscire fuori» con la sua voce, «lei che solo un attimo prima...
ma solo un attimo!... non poteva emettere un suono... nessun suono di
36
nessun genere... ora non può fermarsi...» . «Bocca residua, degna dei ritratti
37
gommosi e distorti di Francis Bacon», la definisce Angelo Maria Ripellino
dopo la prima rappresentazione italiana, il cui corpo «ridotto al solo orifizio
boccale» non è più nient’altro che fessura, apertura, ferita, taglio, nient’altro
che un sesso femminile che rantola frenetiche parole inudibili, impronun-
ciabili, indicibili. E non ci sembra un caso, dunque, che il sesso femminile di
cui parla Luce Irigaray – questo sesso che non è un sesso – queste labbra
della vagina che si toccano in continuazione «senza che peraltro glielo si
38
possa proibire» , che non possono separarsi neanche per «dire una sola
39
parola» , abbiano le stesse specificità della bocca, perché «anche nel suo
dire molteplice – almeno quando osa – la donna si ri-tocca in continuazio-
40
ne» . Impossibile parlare bene a queste condizioni, impossibile parlare
36
Samuel Beckett, Non io, in Id., Teatro completo, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, p. 435.
37
Angelo Maria Ripellino, «Espresso», I aprile 1973.
38
Luce Irigaray, Questo sesso che non e` un sesso, in Id., Questo sesso che non e` un sesso, cit., p.
18.
39
Luce Irigaray, Quando le nostre labbra si parlano, ivi, p. 173.
40
Luce Irigaray, Questo sesso che non e` un sesso, cit., p. 22.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 35
Oggi quella bocca che aveva sconvolto i teatri riempie uno schermo
cinematografico per quattordici “sgradevoli” minuti nella versione filmica di
Non io (Not I, Irlanda/Regno Unito 2000, 13’ 54’’, 35 mm, colore) diretta da
Neil Jordan (c’è stata anche una celebre versione televisiva di Not I diretta
nel 1977 da Anthony Page e interpretata da Billie Whitelaw), e Bocca
(Julianne Moore) si ostina ancora a parlare di se stessa in terza persona, con
voce disincarnata eppure aggressiva e dissonante, le cui modulazioni toc-
cano tutte le sfumature della rabbia, della disperazione, del riso isterico e
volgare, dell’atto d’accusa, della maledizione, della follia; e le labbra sono
sempre imbambolate in uno scioglilingua ininterrotto di cui si possono solo
intuire brandelli di senso e le frasi dette senza riprendere fiato suonano più
stranianti che mai, e la macchina da presa si incolla a una bocca che
diventa sempre più sottile e lascia scoperti i denti e poi la lingua, e la saliva
si impasta insieme alle parole cariche di incertezze, di amnesie, di dubbi,
dello sgomento di sentire un «ronzio» che è la sua voce, dello smarrimento
di sentire «le sue labbra muoversi». «Cosa?... chi?... no!... lei!... si rese conto...
che le parole stavano... figurarsi!... le parole stavano arrivando... una voce
che lei non riconobbe... lı̀ per lı̀... era tanto tempo che non la sentiva... poi
alla fine dovette ammettere... che non poteva essere... che la sua stessa
voce... (...) e ora questo fiume... fiume continuo... lei che non aveva mai... al
41
contrario... praticamente muta...» .
Qui l’immagine di una «bocca residua» che si vuole unita a forza ad un
suono che non sa riconoscere, l’immagine di una voce “rotta” associata ad
un corpo-in-frammenti – che in Beckett è radicale messa in questione del
linguaggio come strumento del comunicare e definitiva raffigurazione del
disfacimento del corpo come veicolo di un’esistenza umana assurda e priva
di senso (e qui si pensi ancora a Francis Bacon e ai suoi corpi deformi e
violentati) – dice la sorte della voce della donna nel cinema dominante.
Qui, ancora, il senso di estraneità della donna alla propria voce, l’insistenza
sull’immagine della bocca femminile che emette quel suono dissonante e
dolente, la sincronizzazione di quella voce su quell’unico “pezzo” di corpo
alienato e alterato, dice la completa illusione di una “unità perfetta” tra voce
femminile e corpo femminile che il cinema dominante ha ottenuto a
41
Samuel Beckett, Non io, cit., p. 434.
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36 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
42
donna e la sua vagina), quindi, in ultima istanza, della differenza sessuale .
Perché questa estrema separazione della parola dal suo significato,
questa radicale scissione tra quella che Roland Barthes chiama la «grana
della voce» e il suo senso, rimanda immediatamente a un’altra divisione
definitiva nella storia del soggetto: la differenziazione tra i sessi. Ancora, e
più specificamente, è la rappresentazione letterale della scena infantile della
perdita – scena della castrazione, indotta nel soggetto dallo stadio dello
specchio, che spinge il maschio a proteggere il suo preziosissimo pene
messo in pericolo dalla scoperta che lei non ce l’ha e sicuramente vuole
rubarglielo. Allora, in quella bocca femminile divenuta irrimediabilmente un
feticcio sul quale dislocare l’intollerabile idea della perdita – del suono dal
significato, del pene dal suo legittimo proprietario – si può leggere in
controluce la storia dell’esclusione di tutte le Bocche – che è come dire
Donne – dall’unica «scena inventata per chi ascolta», scena del linguaggio,
dell’ordine simbolico, del discorso, della rappresentazione maschili; meglio,
l’impossibilità di accedere allo stadio dello specchio, all’identificazione con
la propria immagine speculare e alla conseguente rappresentazione di
un’autonoma immagine speculare, che è precondizione essenziale di ogni
futura identificazione con gli altri e, dunque, come vuole Jacques Lacan,
43
della formazione della funzione dell’io .
La Storia a questo proposito è nota e non lascia spazio ad equivoci. La
42
Cfr. Kaja Silverman, The Acoustic Mirror. The Female Voice in Psichoanalysis and Cinema,
Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1988, in particolare al secondo ca-
pitolo, Body Talk, pp. 42-71. Silverman partendo da un paragone istituito da Michel Chion
(La voce nel cinema, Parma, Pratiche, 1991, p. 44) tra la rivelazione dell’immagine cinemato-
grafica della bocca che emette la voce e lo strip-tease – il «limite estremo» dello spogliarello
essendo il sesso femminile e il «limite estremo» dell’unificazione di un suono e della sua
fonte essendo «la bocca da cui esce la voce» – sostiene che Chion implicitamente suggerisca
che installare la voce filmica all’interno di un corpo filmico significa femminilizzarla. A
dimostrazione di ciò, Silverman fa notare che nel cinema dominante il soggetto femminile è
molto più strettamente connesso di quello maschile all’unità di suono e immagine, e
«conseguentemente alla rappresentazione della mancanza». Al contrario, il soggetto ma-
schile parla sempre e comunque da un «inaccessibile punto d’osservazione» che gli allontana
indefinitamente lo spettro della mancanza.
43
Cfr. Jacques Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, in Id.,
Scritti (volume primo), Torino, Einaudi, 1974, pp. 87-94.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 37
bambina che si guarda allo specchio scopre che lo specchio «non presenta
niente alla vista», solo un buco, un vuoto, una mancanza di, un’assenza di.
...Nel caso di lei si tratta semplicemente (si fa per dire) di costatare un fatto
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44
Luce Irigaray, I postumi della castrazione, in Id., Speculum. L’altra donna, Milano, Feltri-
nelli, 1975, terza edizione Universale Economica Feltrinelli, 1998, p. 78. Nel caso di lui,
invece, i postumi della castrazione della madre hanno ben altre conseguenze. «Si tratta
semplicemente (si fa per dire)» di rifiutarsi di credere ai propri occhi, in modo che,
rinnegando la mancanza del pene nella donna, ci si possa sottrarre all’angoscia della propria
castrazione. Ma, in alcuni casi, il bambino, nel disconoscere l’evirazione della madre, mette
«qualcosa d’altro» al posto del pene della donna. Questo «sostituto del fallo della donna
(della madre)» (Freud) è il feticcio. «Il feticcio è il segno di una vittoria trionfante sulla
minaccia di evirazione e una protezione contro quella minaccia», cfr. Sigmund Freud,
Feticismo (1927), in Stefano Mistura (a cura di), Figure del feticismo, Torino, Einaudi, 2001, pp.
24-25.
45
Luce Irigaray, Ogni teoria del “soggetto”, in Id., Speculum, cit., p. 136.
46
Cfr. Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1987, p. 49.
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38 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
47
Lea Melandri, L’infamia originaria, in Id., L’infamia originaria. Facciamola finita col cuore e
la politica, Roma, manifestolibri, 1997, p. 22 (pubblicato per la prima volta in «L’Erba
Voglio», n. 20, marzo-aprile 1975). Melandri insiste sul fatto che «la sopravvivenza continua
a porsi per la donna, anche nell’età adulta, nella sua forma originaria: bisogno di essere
nutrita-bisogno di nutrire, bisogno di essere amata-bisogno di dare amore... La sopravvi-
venza, come si presenta nell’esperienza quotidiana delle donne, è come se non avesse tempo
né storia. Punto di arrivo e di partenza resta quello di origine, una fissità e immobilità che
provocano la paralisi o la mutilazione del “fare”», pp. 22-23.
48
Lea Melandri, Le passioni del corpo. Le vicenda dei sessi tra origine e storia, Torino, Bollati
Boringhieri, 2001, p. 115.
49
Luce Irigaray, Ogni teoria del “soggetto”, cit., p. 137. E le fa eco Hélène Cixous nell’ormai
storico saggio Le rire de la Me´duse, «L’Arc», n. 6, 1975, pp. 39-54, tr. it. Il riso della Medusa, in
Raffaella Baccolini, M. Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli (a cura di), Critiche
femministe e teorie letterarie, cit., pp. 221-245, quando afferma: «Un testo femminile non può
che essere più che sovversivo: se si scrive, lo fa sollevando, vulcanico, la vecchia crosta
immobiliare, portatrice degli investimenti maschili, e non altrimenti; non c’è posto per lei se
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 39
lei non è un lui? Se lei è lei-lei, l’unica cosa da fare è rompere tutto, fare a pezzi gli edifici
delle istituzioni, far saltare in aria la legge, torcere la ‘verità’ dalle risa», pp. 237-238.
50
Pascal Bonitzer, Les silences de la voix, «Cahiers du Cinéma», n. 256, febbraio-marzo
1975, pp. 22, 33, in particolare alle pagine 31-32.
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40 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Quella voce filmica che, con Silverman, associata per troppo tempo a una
bocca che funzionava da porta d’accesso alla soggettività della donna
(ovviamente insieme alla vagina), era relegata a designare non solo l’interio-
rità psicologica ma diegetica e, dunque, era confinata all’interno della
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51
storia , mentre la sua essenza restava ai margini della storia, mentre
bisognava cercarla all’esterno, nel fuori campo dell’inquadratura, in «ciò che
52
la rappresentazione esclude, o meglio rende irrappresentabile» .
Allora un cinema delle donne deve insistere sullo spazio invisibile
nell’inquadratura, deve rivelare ciò che l’inquadratura “piena” e “centrata”
nasconde, ciò che la eccede, ciò che non resta imprigionato nei suoi stretti
limiti, deve rendere «visibile, sottolineandone l’assenza nell’inquadratura o
nel succedersi delle inquadrature», quel fuori campo che «esiste simultanea-
53
mente e parallelamente allo spazio rappresentato» , deve rendere palpabile,
udibile, riconoscibile, sottolineandone l’estromissione dalla posizione del
potere discorsivo nella diegesi filmica tradizionale, quella voce esclusa,
marginale che esiste contemporaneamente e simmetricamente alla voce
assicurata all’interno della narrazione. E restituire cosı̀ la voce alle donne.
Ancora, e soprattutto, le cineaste femministe devono operare un disloca-
mento della voce femminile dall’immagine del corpo femminile, devono
mostrare che stabilire strette connessioni tra il suono e l’immagine non è
che una trappola, «uno dei mezzi attraverso i quali il soggetto femminile
può essere fatto emergere all’interno di un discorso contrario ai suoi
54
desideri, e sottomesso almeno temporaneamente a un’identità fissata» –
uno dei mezzi del cinema dominante per ridurre al silenzio la donna. E qui,
come fa notare Kaja Silverman, la nozione di linguaggio proposta da Luce
Irigaray risulta largamente inapplicabile al cinema delle donne, laddove la
rappresentazione di una voce e di un corpo femminili cosı̀ inevitabilmente
vicini come le due labbra della vagina, ancora più stretti in un abbraccio di
quelli raccontati dal cinema dominante, nel cinema femminista determine-
rebbe il rafforzamento del discorso maschile e l’ulteriore depotenziamento
di quello femminile. Ed è per questo che molte cineaste «hanno escogitato
modi di frantumare la diegesi cosı̀ da rendere impossibile dire se una
specifica voce sia “dentro” o “fuori”, o hanno talmente moltiplicato e reso
dissonanti le voci da rendere problematica la loro assegnazione corporea.
51
Kaja Silverman, The Acoustic Mirror, cit., p. 67.
52
Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, cit., p. 163.
53
Ivi, p. 162.
54
Kaja Silverman, Disembodying the Female Voice, in The Acoustic Mirror, cit., p. 167.
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55
Ivi, p. 165.
56
Trinh T. Minh-ha, Horizontal Vertigo: The Politics of Identity and Difference, intervento al
convegno internazionale Teorie del femminismo made in USA, tenutosi a Bologna nel 1992; [tr.
it. Vertigine orizzontale: la politica dell’identità e della differenza, in Raffaella Baccolini, M.
Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli (a cura di), Critiche femministe e teorie letterarie, cit.,
p. 190]. Min-ha argomenta che, oggi, l’«esperienza di dislocamento» che accomuna gli
stranieri della diaspora (in particolar modo le donne), sempre in «bilico tra due mondi»,
sempre alle prese con la difficoltà di «parlare da un luogo chiaramente definito», è
condizione essenziale della lotta. Perché «le persone dominate e marginalizzate sono state
educate a vedere sempre oltre il loro punto di vista. Nella realtà complessa del femminismo,
del postcolonialismo, e delle realtà liminali è quindi vitale affermare la propria radicale
‘impurità’, e riconoscere... la necessità di parlare da un luogo ibrido per dire sempre almeno
due o tre cose contemporaneamente», p. 201.
57
bell hooks, Elogio del margine, cit., pp. 68-72. hooks elabora la sua originale concezione
della marginalità proprio a partire dagli stessi presupposti di Trinh Minh-ha (entrambe nella
stessa condizione di straniere naturalizzate in America): la compenetrazione tra margine e
centro, la cognizione esatta, da parte di chi sia stato colonizzato, sia del margine che del
centro. «Essere nel margine significa appartenere, pur essendo esterni, al corpo principale.
Per noi, americani neri, abitanti di una piccola città del Kentucky, i binari della ferrovia sono
stati il segno tangibile e quotidiano della nostra marginalità. Al di là di quei binari c’erano
strade asfaltate, negozi in cui non potevamo entrare, ristoranti in cui non potevamo
mangiare e persone che non potevamo guardare dritto in faccia.... Ci era concesso di
accedere a quel mondo, ma non di viverci. Ogni sera dovevamo fare ritorno al margine... Vi-
vendo in questo modo – all’estremità –, abbiamo sviluppato uno sguardo particolare sul
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42 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 43
di segno, tanto che la voce over femminile, sebbene sia diventata meno
rara, continua ad essere di carattere strettamente «autobiografico» e a
suggerire sottilmente che il soggetto che parla è presenza corporea centrale
58
e imprescindibile all’interno del film .
E poi c’è il gioco di Julia e di Lillian, passatempo di bambine e poi di
adolescenti e poi di donne, non a caso gioco di parole, di costruzione di
parole, come un lego, un incastro di pezzi che da soli non si bastano; la
frase mutila di una completa, ma solo per un attimo, quella dell’altra, e poi
è subito pronta un’altra “piccola” frase, e poi un’altra e un’altra ancora... E
qui il gioco è solo superficialmente “innocente”, perché sta a dire, ci
sembra, che senza le parole di Julia Lillian è incompleta, e che senza le
parole di Lillian Julia non può terminare una frase. Dice che dove finisce
l’insufficienza delle parole dell’una comincia l’incompiutezza delle parole
dell’altra, dice che tutte queste parole di donna non ce la fanno a costruire
una storia, e soprattutto non ce la fanno a esaurirla, a concluderla. Restano
frasi spezzate, che lasciano il discorso aperto, frammentario, irrisolto. Re-
stano frasi ambigue che ri-gettano nell’impotenza quella voce femminile
proveniente dall’alto che forse “sapeva troppo”.
Diversa la voce over di Romance, lucida voce di donna, che sı̀ – è vero – ha
un’immagine corporea che le corrisponde all’interno del film, ma che è luogo
marcatamente altro rispetto a quello della diegesi, che si spinge ben oltre i
dialoghi convenzionali tra i personaggi, oltre le parole stesse di Marie, che
appartengono a un altro mondo, quello in cui non si può che parlare con
quelle parole, ma in cui quelle parole non bastano a dire quello che succede
dentro, quello che scuote, quello che fa soffrire, quello che turba, quello che
emoziona. Non bastano a Marie per spiegare a Paul (Sagamore Stévenin), il
suo uomo, il dolore del rifiuto che la disonora («Di un uomo che scopa una
donna si dice che l’onora. È un’espressione da tenere in considerazione
perché è proprio cosı̀. Paul mi disonora»), la «truffa occulta» di cui si sente
vittima; non le bastano per dire a Paolo (Rocco Siffredi), il primo amante
occasionale con cui tradirà Paul, di voler essere solo «un buco, una voragine»
che è a tal punto «tutt’uno con la sua intimità» che annulla la fisicità in «pura
metafisica»; e ancora sono impotenti e inutili di fronte a quella rigorosa e
58
Cfr. Kaja Silverman, Disembodying the Female Voice, cit., p. 165.
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44 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Marie vorrebbe dire, supplisce al vuoto delle parole, alla loro intrinseca
mancanza e si fa «luogo senza legge dove tutto si ridistribuisce e dove si
pongono le questioni fondamentali del film: che legame c’è tra la testa e il
sesso, tra il volto e il buco, tra l’animale e lo spirituale? E come rappresentare,
all’interno stesso di questa apertura, ciò che, per essenza, sfugge alla
59
rappresentazione?» .
E qui questa voce interiore che traduce i movimenti della mente
impossibili a dirsi si incontra con l’aspetto pornografico del film – Romance
nasce per essere un film pornografico –, più precisamente con il tentativo di
ogni film pornografico di mostrare ciò che, per essenza, si sottrae alla
rappresentazione: il climax del piacere femminile, l’orgasmo della donna.
Ma poi questo aspetto pornografico Romance lo nega apertamente proprio
attraverso la voce over. Perché a ben vedere, l’orgasmo di Marie qui
scompare in maniera direttamente proporzionale all’intensificazione dei
suoi rapporti sessuali («Io scompaio proporzionalmente all’uccello che
vuole penetrarmi»), perché in Romance il sesso è un fatto solo interiore
(come la voce) e più Marie si lascia andare alla pura meccanica del sesso
fine a se stesso, più comincia a staccarsi da sé, a guardarsi dall’esterno, a
osservarsi mentre fa l’amore, a perdere contatto con il suo corpo. La sua
voce over, durante i preliminari in macchina con Paolo, dice: «è come se
fossi un’altra e mi guardassi mentre mi abbandono...». Dunque niente
romance – il titolo non è che un iniziale de´tournement –, perché Marie non
ha tempo per i sentimenti, non ha tempo per la tenerezza, non ha tempo
per l’amore cortese, quello incentrato sulla retorica della parola parlata.
Eppure Marie nell’esplorare i limiti del suo essere, nel cercare di superare i
confini del suo corpo, di misurarsi con la propria vergogna, di confrontarsi
con tutto ciò che è considerato basso, sporco, sudicio, sconcio, osceno,
indecente, ritrova la sua purezza, la sua verginità, si trasforma da puttana in
“santa”. Ecco perché Catherine Breillat parla di Romance come di un film su
un «rapimento mistico», sul raggiungimento dell’estasi, di un’illuminazione
60
interiore che è una nuova nascita, una rinascita «a se stessa» .
59
Thierry Jousse, Les myste`res de l’organisme, «Cahiers du Cinéma», n. 534, aprile 1999, pp.
40-41.
60
Cfr. Le ravissement de Marie, dialogo tra Catherine Breillat e Claire Denis, «Cahiers du
Cinéma», n. 534, aprile 1999, in particolare alla pagina 43.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 45
61
Thierry Jousse, Les myste`res de l’organisme, cit., p. 41.
62
Gilles Deleuze, Cinema 2. L’immagine-tempo, Milano, Ubulibri, 1989, pp. 211-213. Per la
distinzione deleuziana tra «corpo quotidiano» e «corpo cerimoniale» cfr. le pp. 210-226.
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46 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
suo sogno di felicità coniugale, non aveva più motivo di esistere. Maria, come
tutte le eroine fassbinderiane, viene privata del suo potere di autodetermina-
zione, ma piuttosto che “rafforzare” involontariamente «l’ordine esistente»,
come faceva Effi Briest [Germania, 1974, 141’], preferisce distruggersi, di sua
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volontà, insieme al suo sogno). Adesso il bambino di Marie può nascere: «la
gravidanza fa sı̀ che tutto quello che è successo prima non esista più», dice la
voce over. Il bambino ri-genera la madre63. Il corpo senza organi finalmente
rincontra il corpo reale, la testa non è poi cosı̀ distante dal buco.
A proposito del corpo senza organi, sulla scorta dei pensieri “disorganici”
63
Cfr. quanto afferma Breillat in Le ravissement de Marie, cit., pp. 43-44. A proposito degli
effetti della maternità sulla donna in Maglia o uncinetto, Roma, manifestolibri, 1998, pp. 148-9
(la prima edizione era del 1981 per Feltrinelli), Luisa Muraro si pone e ci pone una domanda
che qui sembra ineludibile ed essenziale: «Non potrebbe essere che la maternità richiami per
una donna livelli di realtà mai praticati prima e che cambi il suo modo di essere – con una
prepotenza a volte sbalorditiva – perché è quella la situazione in cui lei è socialmente
autorizzata e culturalmente aiutata ad attivare il suo corpo, le sue pulsioni e può esercitare una
parte attiva nei rapporti sociali?». Considerazione, questa, ripresa e ampliata da Muraro dieci
anni dopo in L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991 – l’ordine simbolico
femminile da contrapporre a quello maschile, la lingua materna che sovverte l’unico ordine
simbolico operante. In questi due testi, è evidente, Muraro è in costante dialogo con Irigaray e
con la sua teoria di un simbolico femminile alternativo radicato nel rapporto madre-figlia e nel
concetto di «genealogia femminile». Cfr. Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale, Milano,
Feltrinelli, 1984.
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64
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, Millepiani, sez. II, Roma,
Castelvecchi, 1996, p. 12.
65
Gilles Deleuze, Félix Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e Schizofrenia, Torino, Einaudi,
1975, p. 10.
66
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, cit., p. 5.
67
Ivi, p. 19.
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48 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
desiderio, che toglie al corpo la sua fisicità, la sua vitalità, la sua affettività,
che è lo strumento senza il quale Dio non «potrebbe esercitare il suo
giudizio... Farsi un Corpo senza Organi, trovare un Corpo senza Organi è la
68
maniera di sfuggire al giudizio» . Allora ben venga questo corpo primitivo,
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68
Gilles Deleuze, Per farla finita con il giudizio, in Id., Critica e clinica, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 1996, p. 171.
69
Ivi, p. 168.
70
Ivi, p. 167.
71
Antonin Artaud, Frammenti di un diario d’inferno, in Id., Al paese dei Tarahumara, Milano,
Adelphi, 1996, p. 58.
72
Cfr. Luisa Muraro e Liliana Rampello (a cura di), Lia Cigarini, cit., in particolare al
saggio Una signora del gioco, pp. 65-70.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 49
come quella vittoriana, si spinge fino all’afasia per “dire” con “parole”
diverse la sua protesta contro il sistema maschile normativo che lo circonda
e lo schiaccia; e all’ultimo, ma solo in ordine di tempo, il corpo femminile
anoressico (come quello “famoso” di Ellen West), quello più trasparente,
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73
Il rimando è al titolo dell’interessante testo di Susan Bordo, Il peso del corpo, cit.
74
Ivi, in particolare al saggio Il corpo e la riproduzione della femminilità, p. 104.
75
Ivi, in particolare al saggio Di chi e` questo corpo?, p. 26.
76
Ivi, cfr. in particolare il saggio Il corpo e la riproduzione della femminilità, alle pp. 110-111,
laddove Bordo argomenta che il mutismo dell’isterica se da una parte si può considerare una
forma di protesta, dall’altra è «al tempo stesso, com’è ovvio, ... la condizione della donna
silenziosa, che non si lamenta: un ideale della cultura patriarcale». Lo stesso dicasi dell’ano-
ressica che se da un lato sperimenta il potere che gli viene dal dare al proprio corpo una
forma maschile, dall’altro è evidente che non acquisisce nessuno dei poteri del maschio.
77
Ivi, in particolare al saggio Leggere il corpo snello, pp. 135-136.
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50 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dire consuma, chi crede di averlo e mai l’aveva avuto. Mentre l’uomo ha
fatto presto a scrollarselo di dosso quando si è accorto, complice in prima
istanza il femminismo («il personale è politico») e subito dopo Michel
Foucault, che «il corpo è anche direttamente immerso in un campo
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78
Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1993, p. 29.
79
Rosi Braidotti, Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea, Milano, La Tartaruga,
1994, p. 70.
80
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, cit., pp. 231-232.
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proprie posizioni di partenza che significa non cessare mai di «varcare una
81
soglia distruggendo l’unità artificiale» del proprio io. Messo in questi
termini il divenire-donna, ancora una volta, non riguarda solo gli uomini
ma anche le donne, ovvero ci si sposta “tutti insieme appassionatamente”
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81
Gilles Deleuze, Félix Guattari, L’Anti-Edipo, cit., p. 95.
82
Rosi Braidotti, Dissonanze, cit., p. 77.
83
Gilles Deleuze, Félix Guattari, L’Anti-Edipo, cit., p. 94.
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52 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
84
Cfr. Inderpal Grewal e Caren Kaplan, Introduction: Transnational Feminist Practices and
Questions of Postmodernity (pp. 1-33), e Inderpal Grewal, Autobiographic Subjects and Diasporic
Locations: Meatless Day and Borderlands (pp. 231-254), entrambi in Inderpal Grewal e
Caren Kaplan (a cura di), Scattered Hegemonies: Postmodernity and Transnational Feminist
Practices, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1994. Nel saggio che introduce il testo
che hanno curato, Grewal e Kaplan partono dalla distinzione tra postmodernismo e
postmodernità – l’uno «movimento estetico opposto a quello moderno», l’altra «formazione
sociale temporale e storicamente specifica», per affermare che mentre il primo può essere ed
è messo in discussione da numerose femministe in quanto continuatore del modello
moderno di opposizioni binarie sui cui si basa il soggetto unitario occidentale, la seconda
può rivelarsi una «concezione immensamente potente e utile» per l’affermazione di quelle
soggettività multiple che sono il risultato di «pratiche femministe transnazionali». Sebbene ci
risulti difficile individuare una netta demarcazione temporale tra modernità e postmodernità
come fanno Kaplan e Grewal, non possiamo non concordare sul fatto che la teoria e
l’estetica postmoderne non abbiano prestato attenzione al cosiddetto Terzo Mondo, ab-
biano fallito nel rendere conto dei «flussi culturali transnazionali», siano state incapaci «di
capire le condizioni materiali che strutturano le vite delle donne in luoghi diversi» e di
vedere che i soggetti del femminismo variano col variare dei luoghi in cui sono apparsi, e
che proprio in queste aporie risiede, se c’è, il potenziale sovversivo di una riappropriazione
femminista della teoria postmoderna.
85
Cfr, Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, in Id., Sui generis, cit., p. 160. «...Solo
negando che la differenza sessuale (e il genere) siano componenti della soggettività delle
donne reali, e negando quindi la storia dell’oppressione e della resistenza politica delle
donne, oltreché il contributo epistemologico del femminismo alla ridefinizione della sogget-
tività e della socialità, i filosofi possono vedere nelle “donne” il ricettacolo privilegiato del
“futuro dell’umanità”».
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non l’ha raccontato, il suo corpo non l’ha fatto parlare (e, caso strano,
proprio adesso che comincia a parlare c’è qualcuno che sa quello che è
meglio per lei). La sua storia è stata rappresentata su un’altra scena, lontano
da “casa”. Altrove. La sua storia è un’altra storia. E non può metterla
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86
Luce Irigaray, Domande, in Id., Questo sesso che non e` un sesso, cit., p. 117.
87
Rosi Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità, Roma, Donzelli, 1995,
p. 101.
88
Jean-Luc Nancy, L’intruso, Napoli, Cronopio, 2000, in particolare alle pp. 11 e 34-35.
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54 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
89
Cfr. Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano,
Feltrinelli, 1995. Elisabetta Donini è fortemente critica nei confronti della figura del cyborg e
dei presunti benefici che apporterebbe nella vita delle donne. Certamente, non si può non
essere d’accordo con lei quando afferma che: «piuttosto che guardare ai cyborgs come a un
felice annuncio di identità aperte al mutamento e preludio di una imprevista libertà di
contaminazioni e meticciati – secondo la prospettiva che ha tracciato Donna Haraway nel
suo Manifesto – » sarebbe «opportuno che ci interroghiamo su chi sta guidando il processo e
sulle soggettività e le intenzioni che vi sono incluse. Non ritengo infatti che il nuovo corso
riguardi donne e uomini in modo indifferenziato; sono anzi convinta che in questa crescente
volontà di affermare il predominio dell’artificiale sul naturale stia agendo ancora più
profondamente quello squilibrio di genere per cui la capacità delle donne di mettere al
mondo nuovi esseri viventi anziché risultare un elemento di forza costituisce da millenni la
prima ragione della inferiorità sociale femminile». Elisabetta Donini, Scienza e corpi, in Rosa
Gallelli (a cura di), Corpo e identità. Educare alle differenze, Bari, Progedit, 1999, pp. 5-18.
90
Cfr. quanto scrive Hélène Cixous in Il riso della Medusa, cit., p. 221: «Parlerò della
scrittura delle donne, di ciò che farà. Bisogna che la donna scriva se stessa: che la donna
scriva della donna e che avvicini le donne alla scrittura, da cui sono state allontanate con la
stessa violenza con la quale sono state allontanate dal loro corpo; per gli stessi motivi, dalla
stessa legge e con lo stesso scopo mortale. La donna deve mettersi nel testo – come nel
mondo e nella storia – di sua iniziativa.».
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91
Ida Dominijanni, Il desiderio di politica, cit., p. 34.
92
Cfr. Susan Bordo, Feminism, Postmodernism, and Gender-Scepticism, in Linda J. Nicholson
(a cura di), Feminism/Postmodernism, New York and London, Routledge, 1990, pp. 133-156.
93
Cfr. alla p. 8 il saggio di Luisa Muraro, Partire da se´ e non farsi trovare, pubblicato nel
libro della comunità filosofica femminile Diotima dedicato interamente alla pratica del
partire da sé, dal titolo La sapienza di partire da se´, Napoli, Liguori, 1996.
94
Ida Dominijanni, Corpo politico, «Sofia», n. 3, luglio-dicembre 1997, p. 43 e p. 48.
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56 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
95
Cfr. Luisa Muraro, Maglia o uncinetto, cit., in particolare i primi due capitoli: Maglia e
uncinetto e Un corpo di qua, un corpo di là.
96
Ida Dominijanni, Il desiderio di politica, cit., p. 25.
97
Luisa Muraro, Maglia o uncinetto, cit., p. 90.
98
Ida Dominijanni, La parola del contatto, in Luisa Muraro, Maglia o uncinetto, cit., p. 32.
99
Ivi, p. 33.
100
Cfr. Inderpal Grewal e Caren Kaplan, Introduction: Transnational Feminist Practices..., cit.
101
Cfr. l’importante testo di Gloria Anzaldúa, Borderlands/La Frontera. The New Mestiza;
San Francisco, Aunt Lute Books, 1987, seconda edizione 1999; in particolare al capitolo 7,
La conciencia de la mestiza. Towards a New Consciousness, pp. 99-120 (tr. it. Terre di confine/La
frontera, Bari, Palomar, 2000; cap. 7 La conciencia de la mestiza/Verso una nuova coscienza, pp.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 57
119-137). Nel capitolo in questione, Anzaldúa prende le mosse dalla teoria del filosofo
messicano José Vasconcelos che prefigura una razza mestiza, cioè una razza cosmica, la
prima razza a rappresentare una «sintesi del globo», una mescolanza di razze, di culture, di
ideologie, di lingue... È evidente che questa teoria, basata sul principio dell’inclusività e sulla
promessa di una progenie ibrida, è in aperto dissenso con quella ariana e quella dell’America
bianca che predicano la purezza razziale. Da questi presupposti si sviluppa, secondo
Anzaldúa, una nuova consapevolezza, una nuova coscienza “aliena”, mestiza, una coscienza
di donna, «una conciencia de mujer», esattamente quella che abita le «terre di confine» (p.
119).
102
Cfr. This Bridge We Call Home. Radical Visions for Transformation, Gloria E. Anzaldúa e
AnaLouise Keating (a cura di), New York and London, Routledge, 2002, testo antologico
che, a ventuno anni di distanza dall’ormai storico This Bridge Called My Back, testimonia già
a partire dal titolo la sua filiazione diretta dal quel libro chiave del movimento femminista e
la sua volontà di portare avanti il dialogo, di fare nuove domande e di cercare nuove
risposte, di riscrivere le vecchie teorie femministe e elaborarne di nuove, stavolta abbrac-
ciando la sfida di includere tra le voci del testo non solo quelle delle women of color ma
anche quelle delle donne bianche, asiatiche, arabe... (un tentativo di abbattere la linea del
colore), e, infine, quelle degli uomini (un tentativo di abbattere i confini di genere); vedi a
questo proposito la prefazione di Anzaldúa intitolata (Un)natural bridges, (Un)safe spaces, pp.
1-5. Nel saggio con il quale si conclude il testo Anzaldúa, nel definire il sentiero della
conoscenza, pone l’accento su quello spazio transizionale, – «spazio di possibilità» –
chiamato dagli aztechi nepantla, ovvero «tierra entre medio», in cui si vive tra «differenti
percezioni e sistemi di credenze», in cui le convenzionali etichette di genere, razza, sesso
diventano intercambiabili, in cui ci si scontra con altre e diverse prospettive, altre e diverse
posizioni, altri e diversi punti di vista, in cui si riconfigura la propria identità, senza sapere
dove si sta andando. Las nepantleras, in questo contesto, sono coloro che aiutano ad
attraversare il ponte, che consentono agli altri di aggrapparsi ai propri corpi per compiere la
traversata, e che «sanno che il loro lavoro sta nel posizionarsi... nella crepa tra questi mondi
e nel rivelare l’inadeguatezza delle categorie correnti»; cfr. Now let us shift... the path of
conocimiento... inner work, public acts, pp. 540-576. Per un ulteriore approfondimento del
concetto di nepantla, che non è altro che un allargamento del concetto anzalduano di
frontiera, vedi l’intervista fatta da Debbie Blake e Carmen Abrego a Gloria Anzaldúa,
intitolata Doing Gigs e contenuta in Gloria Anzaldúa: Interviews, Entrevistas, AnaLouise
Keating (a cura di), New York and London, Routledge, 2000, alle pp. 211-235. È superfluo
rilevare le affinità tra la nepantlera e i soggetti femminili teorizzati da Minh-ha e hooks.
103
Cfr. Norma Alarcón, Traddutora/Traditora: A Paradigmatic Figure of Chicana Feminism,
in Inderpal Grewal e Caren Kaplan (a cura di), Scattered Hegemonies, cit., alle pp. 110-133.
Malintzin è la schiava chicana descritta, da una parte, con l’epiteto la lengua a significare
metaforicamente la sua funzione di traduttrice per il conquistatore spagnolo Hernán Cortés
e i suoi uomini e dall’altra, con l’appellativo la chingada, la madre violentata, abusata, che
porta in grembo i figli del colonizzatore. Per questo Malintzin è traditrice, per aver scelto di
attraversare i confini etnici, razziali e culturali, senza che questo l’abbia tuttavia salvata «dalla
violenza contro se stessa», come tanti altri attraversamenti non hanno salvato la gran parte
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58 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
delle donne di colore. Per questi stessi motivi Malintzin è figura paradigmatica del femmini-
smo chicano, perché ricorda che i «confini esistono e continuano ad esistere», perché
«introduce la nozione di mediazione storica, sessuale e linguistica», che pure non le è
immediatamente accessibile.
104
Rosi Braidotti, Soggetto nomade, cit., p. 42.
105
Ivi, p. 28.
106
Luisa Muraro, Partire da se´ e non farsi trovare, cit., p. 21. Come si vede la presa di
distanza dal nichilismo postmoderno e dalla frammentazione del soggetto che esso pro-
clama è tratto che mette d’accordo tanta parte del femminismo contemporaneo.
107
Una possibile riappropriazione del postmodernismo in senso sovversivo è quella offerta
da Grewal e Kaplan (Inderpal Grewal e Caren Kaplan, Introduction: Transnational Feminist
Practices, cit., pp. 5-6) che fanno l’esempio di Postmodern Blackness (Yearning: Race, Gender,
and Cultural Politics, Boston, South End Press, 1990) di bell hooks la quale, nella sua costante
ricerca di possibili strategie di resistenza, fa appello a quello che chiama «postmodernismo
radicale» che si sostituirebbe al postmodernismo convenzionale richiamando l’attenzione
«su quelle sensibilità condivise che attraversano i confini di classe, genere, razza, ecc.» per
costruire l’empatia tra le donne.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 59
109
differenze» che è presente nella riflessione di Muraro e che è in atto sia
nella pratica dell’autocoscienza tra donne che in quella dell’inconscio,
laddove il confronto con le altre «suggerisce strumenti preziosi per sconge-
lare il corpo e la parola, costruire la relazione fra donne, guardare in faccia
110
il fantasma della madre» .
Certo, è vero, la madre simbolica nel femminismo italiano è figura di
una primitiva pratica di relazione, la prima figura della mediazione senza la
quale non sarebbe possibile sperimentare una qualsiasi libertà femminile,
mentre le nuove soggettività dalle molteplici collocazioni percorrono le
differenze in una pratica di relazione che si serve esclusivamente della
«mediazione simbolica di altre donne, molte delle quali non sono, non
111
sono state, e non saranno mai madri» . Altre donne, dunque, non altre
madri, con tutto che le madri «autonome» messe a tema dal femminismo
milanese possono essere indifferentemente quelle reali «come una donna
112
qualsiasi o il gruppo delle donne o anche l’intera società» . È tuttavia
innegabile che l’accento delle femministe autoctone (ma anche quello di un
113
ampio filone del femminismo americano ), in questo fedeli ad Irigaray, va
tutto, anche linguisticamente, sull’esperienza della maternità e della ripro-
duzione, infatti la generazione del simbolico femminile ha come condizione
necessaria il lavoro di una madre-ostetrica la cui «assistenza» sola permette
alle donne una seconda nascita con la quale si riapre una storia che
108
Pratica d’amore è il titolo di un libro di Teresa de Lauretis; cfr. Pratica d’amore. Percorsi
del desiderio perverso, Milano, La Tartaruga, 1997.
109
Rosi Braidotti, Soggetto nomade, cit., p. 42.
110
Ida Dominijanni, Il desiderio di politica, cit., p. 9.
111
Teresa de Lauretis, Salve Regina. Immaginario maternale e sessualità, in Sui generis, cit., p.
183.
112
Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere diritti, cit., p. 52.
113
Ci si riferisce a femministe quali Nancy Chodorow (cfr. La funzione materna, Milano,
La Tartaruga, 1991), Carol Gilligan (cfr. Con voce di donna. Etica e formazione della personalità,
Milano, Feltrinelli, 1987), Adrienne Rich (cfr. Nato di donna, Milano, Garzanti, 1977),
Dorothy Dinnerstein (cfr. The Mermaid and the Minotaur: Sexual Arrangements and Human
Malaise, New York, Harper and Row, 1977), Nancy Friday (cfr. Mia madre, me stessa, Milano,
Mondadori, 1980), Jacqueline Rose (cfr. Sexuality in the Field of Vision, London and New
York, Verso, 1986), Kaja Silverman (cfr. The Acoustic Mirror, cit.), Jane Gallop (cfr. The
Daughter’s Seduction: Feminism and Psychoanalysis, Ithaca, Cornell University Press, 1982), e
numerose altre.
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60 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
114
Teresa de Lauretis, La seduzione. Femminismo e immaginario materno, in Id., Pratica
d’amore, cit., p. 169.
115
Teresa de Lauretis, Salve Regina, cit., p. 169.
116
Ivi, p. 182.
117
Ivi, p. 174.
118
Ivi, p. 180 e cfr. della stessa autrice, Il fantasma della castrazione (e il significante del
desiderio), in Pratica d’amore, cit., in particolare alle pp. 205-224 in cui de Lauretis sostiene
che l’oggetto perduto del desiderio lesbico è un «oggetto interamente fantasmatico», cioè
qualcosa di cui non si ha memoria. Specificamente, «nel desiderio lesbico... l’oggetto
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 61
madre, «il soggetto nega o supera quella perdita e ritrova l’Io-corpo insieme
120
con quello dell’altra» .
Ancora diverso è il caso – approfondito da Hortense J. Spillers nel
saggio Figli/e di madre, del padre forse: una grammatica americana – di un
altro corpo femminile spossessato; il corpo nero della madre schiava, della
donna africana tratta a forza in America che, avendo subito il «furto del
corpo», non è più nient’altro che «carne femminile privata del genere»,
121
distaccata «dalla sua volontà, dal suo desiderio attivo» . In un contesto di
schiavitù, nel quale «la prole della donna non ‘‘appartiene’’ alla Madre, né è
‘‘in relazione di parentela’’ con il ‘‘padrone’’, sebbene quest’ultimo la ‘‘pos-
sieda’’ e, nel caso degli afroamericani, spesso ne sia il padre», è evidente che
122
la «‘‘Famiglia’’, cosı̀ come prende corpo e viene intesa ‘‘in Occidente’’»
non esiste e non può esistere perché i rapporti di proprietà ne risultereb-
bero fortemente minacciati. Allo stesso modo, in un sistema schiavista, l’i-
stituzione della maternità, con tutto quello che ne consegue in termini di
valore sociale, perde tutta l’inviolabilità di cui è ammantata in Occidente e
finisce per essere «un modo di rafforzare, attraverso il processo del dare alla
123
luce, “la riproduzione delle relazioni di produzione”» , un modo, cioè, di
tramandare ai posteri la condizione inumana della schiavitù. Dunque, in
«una situazione culturale di mancanza del padre», l’unica eredità che questa
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62 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
madre schiava lascia ai suoi figli sono le sue stesse catene. Questo è ciò che
la cultura dominante, «con un fraintendimento fatale», implicitamente ci
racconta tralasciando di notare, però, che qui il termine maternità è usato
“impropriamente” perché, in schiavitù, «la maternità... è oltraggiata, negata,
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124
Ivi, pp. 275-277.
125
Ivi, p. 277; È proprio questo il compito che si assume Toni Morrison nel romanzo
Amatissima (Milano, Frassinelli, 1988), pubblicato negli Stati Uniti nel 1987 con il titolo
Beloved, quello appunto di restituire a Seth – la protagonista – la condizione di individuo,
quello di ridare la soggettività a chi è stato solo oggetto, cosa, animale, “Io senza Io”, quello
di ricostruire una storia e una memoria afroamericane e di indagare i legami complessi tra
maternità, identità e schiavitù, anche dopo l’avvenuta libertà dalle catene quando il coloniali-
smo è stato ormai interiorizzato, quando l’oppressione è stata assorbita ed ha annullato la
capacità di agire del sé, ha impedito ogni forma di auto-realizzazione. Dopo soli ventotto
giorni di libertà la “dura”, crudele, difficile, amara scelta di Seth – l’assassinio di sua figlia,
impossibile da approvare o condannare, le sue mani a tagliarle la gola perché l’uomo bianco
venuto per renderla nuovamente schiava non potesse avere anche lei, non potesse mai farle
del male –, è il risultato della reificazione, della feticizzazione operata dalla schiavitù e delle
profonde lacerazioni emotive e psicologiche che hanno lasciato il marchio sullo schiavo,
negando alla madre di essere tale, di dare un corso naturale al profondo e “spesso” legame
madre-figlio, di amare liberamente e palesemente chi non «era mio da amare».
126
Teresa de Lauretis, Salve Regina, cit., p. 169.
127
Jane Flax, Postmodernism and Gender Relations in Feminist Theory, in Linda J. Nicholson
(a cura di), Feminism/Postmodernism, cit.; [tr. it. Il postmodernismo e i rapporti di genere nella
teoria femminista, in Maria Teresa Chialant ed Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e
femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana, Napoli, Liguori, 2000, p. 275].
128
Linda Hutcheon, Postmodernism and Feminisms, in Id., The Politics of Postmodernism; New
York and London, Routledge, 1989; tr. it. Postmodernismo e femminismi, in Maria Teresa
Chialant ed Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi, cit., p. 250.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 63
129
Cfr. Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano,
Feltrinelli, 1981.
130
Patricia Waugh, Postmodernism and Feminism: Where Have All the Women Gone?, in Id.,
Feminine Fiction. Revisiting the Postmodern, New York and London, Routledge, 1989; tr. it.
Postmodernismo e femminismo: dove sono andate tutte le donne?, in Maria Teresa Chialant ed
Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi, cit., p. 261.
131
Ibid.
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64 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dai soggetti dominanti fattori di una “crisi” dei valori rappresentano per il
femminismo l’apertura di un campo di nuove possibilità. Mors tua vita
132
mea» .
Eravamo partiti dal corpo, Corpo senza Organi asessuato (o plurises-
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132
Rosi Braidotti, Soggetto nomade, cit., p. 5.
133
Mary Ann Doane, Woman’s Stake: Filming the Female Body, in Constance Penley (a cura
di), Feminism and Film Theory, New York and London, Routledge/BFI, 1988, p. 217.
134
Ivi, p. 225.
135
Gilles Deleuze, Cinema 2. L’immagine-tempo, cit., pp. 217-218.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 65
a rivelare una volta di più che qui abbiamo a che fare con una donna
«metaforizzata» e che solo per questo le è concesso di «tentare una nuova
esplorazione del corpo», di riconquistare «l’origine dei propri atteggiamen-
136
ti», delle proprie posture .
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Ma, senza perderci d’animo, nel percorso dalla donna messa a tema
come metafora nel discorso dell’uomo alla donna che appartiene a se
stessa, quella di cui siamo alla ricerca nel cinema delle donne sulle donne,
c’è in gioco il divenire chiamato in causa da Deleuze stesso nella forma di
quel nomadismo che era «il segreto di Virginia Woolf», che donna era e
che di donne scriveva. Tra l’uno e l’altra la differenza che passa tra il
divenire-donna e «l’avvenire-donna femminile», per appropriarci di un’e-
spressione di Luce-Irigaray. Tra l’uno e l’altra la storia esemplare e paradig-
137
matica di Orlando presa da una parte a esempio di divenire da Deleuze e
dall’altra a esempio di una donna a venire da Woolf e (forse) di una donna
“avvenuta” da Sally Potter nel suo adattamento cinematografico di Orlando.
Nel film di Potter il ruolo di Orlando è affidato a Tilda Swinton, fragile
corpo femminile, caratterizzato però da una bellezza androgina. Orlando,
che all’inizio del film e del romanzo è un uomo, viaggia attraverso i secoli,
dal milleseicento ai giorni nostri, rimanendo sempre giovane. Nel XVII
secolo, periodo in cui è il cavaliere prediletto della regina Elisabetta I
(interpretata però da un uomo, Quentin Crisp), Orlando si innamora di
Sasha, una principessa russa, che all’inizio mostra di amarlo e alla fine lo
rifiuta. Respinto in amore, Orlando inizia a coltivare velleità letterarie che il
poeta Nick Greene stronca sul nascere, per di più deridendo l’inesperto
scrittore. Nel millesettecento, nominato ambasciatore di Costantinopoli dal
re Guglielmo I d’Orange, invece di andare a combattere, fare la guerra e
uccidere, Orlando cambia sesso. Da donna Orlando torna nei salotti
letterari della Londra del XIX secolo, una mascherata della femminilità con
indosso un abito azzurro di ampiezza smisurata e dai drappeggi talmente
ingombranti da impedirle quasi di muoversi e, significativamente, di entrare
nella sala in cui gli uomini sono riuniti per discutere. Ma in questo stesso
secolo Orlando incontra l’amore e scopre il sesso, e facendo l’amore resta
incinta. E, a questo punto, “giunta” ormai nel XX secolo, Potter si allontana
sintomaticamente dall’Orlando di Virginia Woolf: nel film, infatti, Orlando è
136
Ivi, pp. 217-218.
137
Cfr. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, cit., p. 235. Gli
autori scrivono: «Già Orlando non procedeva per ricordi, ma per blocchi, blocchi d’età,
blocchi di epoche, blocchi di regni, blocchi di sessi, formando altrettanti divenire tra le cose,
o linee di deterritorializzazione».
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66 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
costretta rinunciare a tutta la sua eredità per aver partorito una figlia
femmina, mentre nel romanzo, grazie alla nascita di un figlio maschio,
Orlando manteneva i suoi beni intatti.
Segue, nonostante tutto, il lieto fine, suggerito dal potenziale editore a
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138
Cfr. Maggie Humm, Postmodernism and Orlando, in Id. Feminism and Film, Edin-
burgh/Edinburgh University Press, Bloomington/Indiana University Press, 1997, p. 170, e
cfr. inoltre Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Id., Angelus Novus, Torino,
Einaudi, 1962, in particolare alla p. 80.
139
Maggie Humm, Postmodernism and Orlando, cit., p. 143.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 67
140
Michel Foucault, Sorvegliare e punire, cit., p. 29.
141
Adriana Cavarero, Corpo in figure. Filosofia e politica della corporeità, Milano, Feltrinelli,
1995, p. 52. Cavarero analizza in dettaglio la vicenda di Antigone nell’omonima tragedia di
Sofocle e prende il suo agire ad esempio di opposizione alla tradizionale condizione
femminile di inferiorità. Non solo, Cavarero argomenta in modo convincente che il corpo di
Antigone viene cacciato dalle mura della città messa in allarme dal «presentito rischio di una
deriva muliebre». A noi sembra che qui il “destino” di Orlando non sia poi cosı̀ dissimile da
quello di Antigone.
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68 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
142
Cfr. Maggie Humm, Postmodernism and Orlando, cit., pp. 164-165.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 69
143
Citato in Sandy Flitterman-Lewis, Vagabond, in Id., To Desire Differently, cit., p. 285.
144
Cfr. Guy Austin, Contemporary French Cinema, Manchester, Manchester University
Press, 1996, pp. 85-87.
145
Cfr. Sandy Flitterman-Lewis, Vagabond, cit., p. 307.
146
Cfr. ivi, p. 313.
147
Ibid., e cfr. Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, cit., p. 41.
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70 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
che era stato costruito apposta per lei, quello stesso albero di cui sua sorella
Kay (Karen Colston) aveva paura, «come nascondesse un potere occulto».
L’albero e le sue radici, strutture di significazione verticali e prescrittive,
non sono nient’altro che il «calco di qualcosa di precostituito», la riprodu-
148
zione e il mantenimento dell’ordine del mondo , quello retto dalla Legge
del Padre, quella a cui Sweetie non voleva uniformarsi rifiutando di crescere
nel modo in cui crescono gli alberi (si è detto che Sweetie è la versione
punk di Peter Pan). E infatti le radici non lasceranno in pace Sweetie
nemmeno nella tomba, tanto da rendere difficile a Kay e ai suoi genitori di
«mettere la bara nella terra per le radici che spuntavano ai lati della fossa».
Con la morte di Sweetie la minaccia che incombeva sulla “città” è stata
sedata. Con essa un desiderio che si rifiutava di schiacciare e assoggettare il
sé. Desiderio di cui l’obesità di Sweetie è la testimonianza letterale se è
vero, come sostiene Susan Bordo, che «l’obesità è la somma capacità di
cedere al desiderio», ma anche la capacità di mettere in atto «una strenua
149
difesa» contro chi quel desiderio vorrebbe reprimerlo .
In poche parole, l’esatto opposto dell’anoressia. Perché, l’abbiamo
detto, l’anoressica invece il desiderio vuole solo cancellarlo, portando cosı̀
alle estreme conseguenze le norme culturali dominanti che ne impongono
la normalizzazione. Ma nel farsi «corpo docile», cosı̀ Foucault chiama i
corpi che si autonormalizzano, l’anoressica urta lo sguardo, fa del suo
corpo un campo di battaglia (Your body is a battleground è la scritta posta da
Barbara Kruger su un volto di donna in un manifesto a sostegno dell’aborto
e del controllo delle nascite) rivelando cosı̀ «il prezzo nascosto da paga-
150
re» , fa del suo essere pelle e ossa un «luogo di resistenza», fa della sua
“trasparenza” – è un paradosso – un modo per farsi vedere meglio, per
uscire dall’ombra, dall’oscurità.
E allora, per concludere, vorremmo azzardare un paragone ardito,
quello tra l’anoressia in quanto «sintomo del nostro tempo», sintomo di «un
desiderio che rischia di non nascere di fronte alla domanda ingozzante
dell’Altro», raffigurazione letterale della mancanza, del buco, dell’assenza,
148
Cfr. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Rizoma, Parma, Pratiche, 1977, p. 39.
149
Susan Bordo, Leggere il corpo snello, cit., p. 136.
150
Ivi, p. 137.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 71
151
Cfr. Gabriella Ripa di Meana, Figure della leggerezza. Anoressia – Bulimia – Psicanalisi,
Roma, Astrolabio, 1995, in particolare al saggio Anoressia e bulimia: patologie postmoderne, pp.
24-25.
152
Ivi, p. 32.
153
Ivi, pp. 32-33.
154
Teresa de Lauretis, Rethinking Women’s Cinema, cit., p. 135.
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72 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
155
Fredric Jameson, Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Milano,
Garzanti, 1989, p. 34.
156
Cfr. Gloria Anzaldúa, Bridge, Drawbridge, Sandbar or Island. Lesbians-of-Color Hacienda
Alianzas, in Lisa Albrecht e Rose M. Brewer (a cura di), Bridges of Power. Women’s Multicul-
tural Alliances, Philadelphia, New Society Publishers, 1990, pp. 216-231.
157
Le parole sono di Lizzie Borden stessa e sono tratte da un’intervista rilasciata dalla
regista a Marjorie Baumgarten per l’Austin Chronicle, Light It Up. Feminist Revolution Fuels
Lizze Borden’s Born in Flames, «Austin Chronicle», 22 giugno 2001.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 73
più solide basi. Questo mondo libero, di linguaggi che circolano indistur-
bati, fluidi, di parole radicalmente democratiche Borden l’ha inventato
modellandolo sull’esperienza delle stazioni radio pirata italiane degli anni
Settanta, la stagione breve ma eccezionale delle radio strappate al monopo-
lio di stato sull’etere, una su tutte Radio Alice a Bologna, con le sue
sperimentazioni linguistiche, la sua controinformazione, la “guerriglia” fatta
158
attraverso l’informazione . L’Alice da cui prende il nome la radio è –
singolare coincidenza – quella di Lewis Carroll, quella dell’identità perduta
e fratturata, quella dell’identità di cui ci si riappropria riconquistando il
linguaggio, riprendendosi la parola, ridando fiato alla voce come fanno
Adelaide, Honey, Isabel..., che uniscono i propri sforzi, che agiscono
collettivamente perché la trasformazione sia possibile non solo immagina-
bile, lasciando che il flusso verbale, il sovrapporsi delle voci che si toccano,
che si influenzano, che si contaminano non smetta di convogliare la
ricchezza delle reciproche differenze. I flussi di parole qui si ricongiungono
virtualmente agli odierni flussi globali, laddove il linguaggio in libera
circolazione nello spazio non era che l’anticipazione dell’attuale viaggio in
rete, la navigazione non essendo più quella solitaria, lunga e necessaria al
ritorno a casa ma quella istantanea e immediata che serve per andare da
159
home page a home page , lo spazio nel mezzo azzerato dalla connessione
di tutti con tutti in una sorta di euforica cittadinanza globale. La New York
di Born in Flames disegna il profilo di una cittadinanza femminile globale,
un microcosmo che allude a un macrocosmo, a indicare un futuro immagi-
nato ma mai realizzato in cui «la trasformazione delle soggettività quoti-
diane attraverso la mediazione elettronica... è intimamente connessa alla
politica», politica che parla di «identità di gruppo» che lottano e agiscono
160
per rendere fertili le differenze, le contraddizioni, i conflitti . Se, come
vuole Jameson, l’invenzione di una «mappa cognitiva globale» è l’unica
158
Per una breve storia di Radio Alice vedi l’intervista di Alessandro Marucci a Klemens
Gruber, in «Il Manifesto/Alias», 9 marzo 2002.
159
Cfr. Susan Leigh Star, From Hestia to Home Page. Feminism and the Concept of Home in
Cyberspace, in Morag Shiach (a cura di), Feminism & Cultural Studies, New York, Oxford
University Press, 1999, pp. 565-582.
160
Arjun Appadurai, Modernità in polvere, Roma, Meltemi, 2001, in particolare alle pp.
25-29.
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74 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
«forma politica del postmoderno», a patto che si presenti però sotto «forme
161
radicalmente nuove» , allora ci piace essere d’accordo con Vivian Sob-
chack quando individua proprio in questo “piccolo” film femminista di
fantascienza la risposta alle preghiere del filosofo americano (e alle nostre):
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161
Fredric Jameson, Il postmoderno, cit.
162
Vivian Sobchack, Screening Space. The American Science Fiction Film, New Brunswick and
London, Rutgers University Press, 1998 (seconda ristampa, la prima è del 1987), p. 305.
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...IMPARANDO A DEMOLIRE LA CASA PATERNA 75
aspetta a casa, Aliénor va alla ricerca del suo uomo per dare corpo (è
proprio il caso di dirlo) al suo desiderio. E trovato Bertrand a Firenze
perdutamente innamorato di una gentildonna, Aliénor potrà significativa-
mente conquistarne l’amore solo grazie alla mediazione di un’altra donna.
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163
La citazione è tratta dal titolo del pionieristico saggio del 1971 di Adrienne Rich, When
We Dead Awaken: Writing as Revision, in Id., On Lies, Secrets, Silence: Selected Prose 1966-1978,
New York, Norton, 1979; [tr. it. Quando noi morte ci destiamo: la scrittura come re-visione, in
Segreti, Silenzi, Bugie, Milano, La Tartaruga, 1989]. Il saggio in questione è menzionato in
Maria Teresa Chialant ed Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi, cit., p. 11.
164
Patrizia Cavalli, Poco di me ricordo, in Id., Poesie (1974-1992), Torino, Einaudi, 1992, p.
58.
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO
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80 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
2
Christian Metz, The Imaginary Signifier, «Screen», vol. 16, n. 2, estate 1975, p. 51; [tr. it. Il
significante immaginario, in Id. Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1980, p. 52].
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 81
Volendo essere più precisi, è la posizione rispetto alle azioni della narrativa
e alle esperienze rappresentate che diventa intercambiabile ed è proprio
questa intercambiabilità che tende ad abbattere i confini tra spettatore e
scena.
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3
Sigmund Freud, The Ego and the Id, New York, Norton, p. 16; [tr. it. L’Io e l’Es (1922), in
Opere, vol. IX, Torino, Boringhieri, 1977, pp. 476-520, p. 488].
4
Stephen Heath, Film and System. Terms of Analysis, Part II, «Screen», vol. 16, n. 2, estate
1975, p. 105.
5
Ivi, p. 104.
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82 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
6
Christian Metz, Essais Se´miotiques, Paris, Éditions Klincksieck, 1977, pp. 141-143.
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 83
Senza aver visto nient’altro che un bicchiere e udito due rumori su due
piani sonori diversi, abbiamo capito di colpo la situazione: Susan si è
chiusa in camera per avvelenarsi; Kane cerca di entrare. La struttura
drammatica della scena è essenzialmente basata sulla distinzione di due
piani sonori: il vicino rantolo di Susan, i colpi di suo marito alla porta. Tra
questi due poli, tenuti a distanza dalla profondità di campo, si stabilisce
una tensione7.
7
André Bazin, Orson Welles: A Critical View, tr. ingl. Jonathan Rosenbaum, New York,
Harper & Row, 1979, p. 78; [tr. it. Orson Welles, a cura di Elena Dagrada, Vercelli, GS
Editrice di Grafica Santhiatese, 2000, pp. 75-76].
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84 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dall’irrealtà, fin nel profondo, a partire dal suo stesso principio. Più delle
altre arti, o in maniera più singolare, il cinema ci coinvolge nell’immagina-
rio: la percezione viene sollecitata massicciamente, ma per essere imme-
diatamente capovolta nella sua assenza, che tuttavia rimane il solo signifi-
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cante presente8.
8
Christian Metz, The Imaginary Signifier, cit., p. 48; [tr. it. p. 49].
9
Ivi, p. 51, [tr. it. p. 52].
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 85
10
zione, la finzione come realtà . E il film è descritto come teso a
promuovere questo misconoscimento, sfruttandone gli effetti piacevoli.
Perché in definitiva il piacere del misconoscimento risiede nella conferma
della padronanza del soggetto sul significante, nella garanzia di un Io
unificato e coerente capace di controllare gli effetti dell’inconscio. Si tratta,
essenzialmente, di una garanzia dell’identità del soggetto. Pertanto esiste un
senso in cui i concetti di scopofilia/esibizionismo, feticismo e spettato-
re/sognatore sono classificati sotto quello di identificazione cinematogra-
fica primaria. L’identificazione cinematografica primaria comporta non solo
l’identificazione dello spettatore con la cinepresa ma la sua identificazione di
se stesso come condizione di possibilità di ciò che è percepito sullo
schermo. Secondo Metz l’intero apparato cinematografico posiziona lo
spettatore come sito di un’organizzazione: lo spettatore dà coerenza all’im-
magine e al contempo viene posizionato come entità coerente.
11
Ho già sostenuto altrove che vi sono difficoltà con l’uso metziano
dell’analogia dello specchio, difficoltà che si fanno più acute nella sua
ossessione di volere individuare una scena primaria per il cinema, un evento
elementare originario che definisca o delinei con accuratezza l’essere spetta-
tore. Un corollario di tale difficoltà concerne la concettualizzazione dell’i-
dentificazione come istantanea – una concettualizzazione che presuppone
una nozione non dialettica di temporalità nel processo di visione del film.
Metz afferma la priorità di una distinzione prima-dopo: nel suo sistema lo
sguardo dello spettatore rappresenta il momento originario. Infine, l’identifi-
cazione non può essere collocata soltanto sull’asse dello sguardo. Tuttavia,
l’enfasi che Metz pone sull’identificazione primaria indica l’immagine come
unità cinematografica determinante e conferisce alla percezione la qualità
dell’immediatezza. È questa immediatezza attribuita al processo di identifica-
zione che occorre mettere in discussione, unitamente alla separazione
rigorosa realizzata tra identificazione primaria e secondaria.
10
Cfr., insieme a Il significante immaginario, Jean-Louis Baudry, The Apparatus, «Camera
Obscura», n. 1, autunno 1976, pp. 104-126, e Christian Metz.
11
The Film’s Time and the Spectator’s “Space”, relazione presentata alla Fifth International
Film Theory Conference, Center for 20th Century Studies, University of Wisconsin-
Milwaukee, 26-30 marzo, 1979, in corso di pubblicazione in Cinema and Language (MacMil-
lan).
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86 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
infatti, mantiene un certo fascino non solo “fuori” dal cinema, nella sua
teorizzazione, ma anche al suo interno. Basti pensare a Madame de... (I
gioielli di Madame de...), The Lady From Shanghai (La signora di Shanghai),
All That Heaven Allows (Secondo amore). L’uso di uno specchio in una scena
ci appare come se costituisse quasi automaticamente un “discernimento” sul
cinema stesso. Esso allinea, infatti, il cinema con l’identificazione speculare
che, pur non essendo necessariamente legata in modo meccanico e formale
alla struttura di uno “sguardo” fondante, è nondimeno una forte compo-
nente del cinema classico. L’idea dello specchio e la sua forza nell’immagi-
nario della teoria del film – nonostante privilegi il significante visivo su
quello auditivo, il momento sulla temporalità – può essere collegata alla
nozione di seduzione visiva per mezzo di un’immagine, facilitata nel
cinema dall’oscurità della sala circostante e dall’immobilità dello spettatore.
La luminosità stessa dello schermo attira l’occhio.
Da questa prospettiva, l’identificazione non può essere scissa dal narci-
sismo o dal dramma dell’Io che lo specchio comporta. Nella sua forma
primaria l’identificazione è molto semplicemente il processo di assumere
un’immagine, come sottolinea Lacan: «basta comprendere lo stadio dello
specchio come una identificazione nel pieno senso che l’analisi dà a questo
termine: cioè come la trasformazione prodotta nel soggetto quando assume
un’immagine, – la cui predestinazione a questo effetto di fase è già indicata
12
dall’uso, nella teoria, dell’antico termine imago» .
La trasformazione compiuta nella fase dello specchio è quella da
un’immagine-corpo frammentata a un’immagine di totalità, unità, coerenza.
Pertanto, essa non è legata tanto all’eventualità empirica di vedersi riflessi in
uno specchio quanto alla possibilità di concettualizzare il corpo come
forma limitata. Come sottolinea Laplanche, la prima identificazione è
«un’identificazione con una forma concepita come limite, come involucro:
13
l’involucro della pelle» . La descrizione freudiana del narcisismo si basa sul
riferimento al trattamento del proprio corpo come oggetto sessuale. Inoltre,
12
Jacques Lacan, Écrits: A Selection, New York, Norton, 1977, p. 2; [tr. it. Scritti (volume I),
Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io, Torino, Einaudi, 1974, p. 88].
13
Jean Laplanche, Life and Death in Psychoanalysis, Baltimore and London, Johns Hopkins
University Press, 1976, p. 81; [tr. it. L’io e il narcisismo, in Vita e morte nella psicoanalisi, Bari,
Laterza, 1972, p. 123].
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 87
zione dell’identificazione. Ogni “corpo” può essere usato come uno spec-
chio, ma nella teoria psicanalitica questo corpo è molto spesso, e significati-
vamente, quello della madre. Nell’identificazione, l’altro – personaggio o
immagine – è usato come una staffetta, una sorta di sostituto per dissimu-
lare il fatto che il soggetto non può mai coincidere del tutto con se stesso.
La funzione dell’identificazione primaria è, dunque, stabilire un con-
torno, un confine tra dentro e fuori, ossia tracciare la forma di un’unità
capace di operare come soggetto desiderante (Laplanche parla dell’Io come
«un oggetto, sı̀, ma una specie di oggetto-staffetta, che è in grado di porsi,
più o meno ingannevolmente e arbitrariamente, come un soggetto che
15
vuole e che desidera») . L’identificazione primaria, pertanto, coinvolge la
costituzione stessa dell’Io e dunque agisce come precondizione per il
collegamento tra soggetto e oggetto che consideriamo come identificazione
secondaria. La storia delle identificazioni secondarie del soggetto è la storia
del posizionamento dello stesso in un’economia intersoggettiva che, in
Freud, è dominata dal complesso di Edipo. L’identificazione con il padre, il
supporto del Super-io, diventa il modello per tutte le identificazioni secon-
darie. (Cosı̀, nello schema classico, il Super-io della donna è necessaria-
mente più debole di quello dell’uomo).
Metz segue le linee di questa discussione distinguendo tra identifica-
zione cinematografica primaria e secondaria e perciò presume una rigida
divisione tra l’identificazione primaria, che è fondante, e l’identificazione
secondaria con i personaggi. Laura Mulvey, d’altro canto, nel suo scritto sul
Piacere visivo ammette la possibilità di articolare uno spazio comune nel
quale operano sia l’identificazione primaria sia quella secondaria. Di fatto,
nella sua esposizione l’identificazione primaria sin dall’inizio è modulata,
coperta, dall’identificazione secondaria. Invece di indicare il misconosci-
mento della fase dello specchio come misconoscimento di un’immagine
come realtà, un’assenza come presenza, Mulvey lo collega alla supposta
superiorità dell’Io ideale.
14
Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, The Language of Psycho-Analysis, New York,
Norton, 1973, p. 207; [tr. it. Enciclopedia della psicoanalisi, Tomo primo, Roma e Bari,
Laterza, 1993, p. 232].
15
Jean Laplanche, Life and Death in Psychoanalysis, cit., p. 66, [tr. it. p. 101].
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88 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
16
Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», vol. 16, n. 3, autunno
1975, pp. 9-10; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre
1978, p. 30].
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 89
primaria, d’altra parte, è più difficile essendo situata, nella maggior parte
delle trattazioni, sul versante inferiore della differenza sessuale, prima del
linguaggio, dell’ordine simbolico, della Legge del Padre. Essa definisce
realmente un momento neutro, che antidata lo stabilirsi della differenza
sessuale? Chiunque può guardare in uno specchio? La risposta a questa
domanda ha inevitabilmente delle gravi ripercussioni sull’intero dibattito
relativo allo spettatore e alla differenza sessuale nel cinema.
Il lavoro di Luce Irigaray suggerisce che la donna non ha lo stesso
accesso dell’uomo alla definizione dello specchio. Secondo Irigaray, la
donna è relegata sul versante della negatività. Poiché è posta come man-
canza, non maschile, non uno; poiché la sua sessualità è stata concettualiz-
zata solo entro parametri maschili (la clitoride intesa come il “piccolo
pene”), essa non ha un’unità separata su cui fondare un’identità. In altre
17
parole, non ha una rappresentazione simbolica autonoma . Ma, cosa più
importante e collegata a questo fallimento riguardo all’identificazione, essa
non può condividere il rapporto dell’uomo con lo specchio. Solo il ma-
schio ha accesso al processo speculare privilegiato dell’identificazione dello
specchio. Ed è la conferma del sé offerta dallo specchio piano che, secondo
Irigaray, è «il più adeguato al dominio dell’immagine, della rappresenta-
18
zione, dell’autorappresentazione» . Il termine “identificazione” può descri-
vere le relazioni oggettuali della donna solo in modo provvisorio, poiché
19
nel caso della donna «non può trattarsi d’identità o di non identità» .
17
Cfr. Luce Irigaray, Ce sexe qui n’est pas un, Paris, Les Éditions de Minuit, 1977, pp. 23-32;
[tr. it. Questo sesso che non e` un sesso, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 17-25]. Sono pienamente
consapevole del pericolo dell’essenzialismo nel lavoro di Irigaray – della sua tendenza a
riferirsi alla femminilità come a un’entità essenziale definita da caratteristiche innate.
Tuttavia, il suo lavoro, diversamente da molte teorie femministe che non rischiano l’essen-
zialismo, evita la semplice ri-articolazione delle definizioni patriarcali della donna (anche se
esse sono ri-articolate solo allo scopo di funzionare come oggetto di una critica, processo
che può essere considerato come un ciclo infinito di recupero). La domanda – troppo
complessa per essere affrontata nel contesto di questo articolo – è se il tentativo di fornire
alla donna una rappresentazione simbolica autonoma sia sinonimo di essenzialismo.
18
Luce Irigaray, Speculum de l’autre femme, Paris, Les Éditions de Minuit, 1974, p. 93; [tr. it.
Speculum. L’altra donna, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 71-72].
19
Ibidem. Questa concettualizzazione del rapporto/non rapporto della donna con l’iden-
tità e quindi con il processo di identificazione rende necessariamente problematiche certe
richieste femministe di “personaggi femminili più forti” o di ruoli modello.
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90 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
senso comune) non può che essere un’esca, esca che nasconde che la
donna e` lo specchio per l’uomo e quindi non ha accesso all’identità che
esso offre.
Tuttavia, una tale analisi, che forza l’aderenza del cinema all’apparato
dello specchio, potrebbe sembrare totalizzante, non ammettendo alcuna
possibilità di sviluppo di una pratica filmica alternativa. Proprio per questo
occorre mettere in evidenza che l’effetto-specchio non è presente come
precondizione per la comprensione dell’immagine, come implica Metz
nella sua descrizione dell’identificazione cinematografica primaria, ma
come effetto postumo di un particolare modo del discorso che è stato
storicamente dominante ma che non lo sarà per sempre. Come osserva
Silvia Bovenschen, sotto il profilo delle pratiche estetiche che comunque
dobbiamo affrontare i modelli di rappresentazione tradizionali hanno la-
sciato alla donna due opzioni, egualmente restrittive: «... l’identificazione da
parte della donna può avvenire attraverso un complicato processo di
trasferimento. La donna può o tradire il proprio sesso e identificarsi con il
punto di vista maschile, oppure, in uno stato di passività accettata, può
essere masochista/narcisista e identificarsi con l’oggetto della rappresenta-
20
zione maschile» .
Nel regno della pratica artistica, l’identificazione da parte della lettrice o
della spettatrice non può essere, come per l’uomo, un meccanismo per
mezzo del quale assicurare il controllo. Al contrario, se l’identificazione è
legata anche solo “provvisoriamente” alla donna (come nel caso di Iriga-
ray), può essere vista soltanto come consolidamento della sua sottomis-
sione.
Da questa prospettiva, è solo un caso che la descrizione freudiana
dell’identificazione riguardo alla donna sia imperniata sull’esempio specifico
del dolore, la sofferenza, l’aggressione contro la propria persona, in breve, il
masochismo? In L’interpretazione dei sogni è il sintomo isterico a fungere da
punto di articolazione dell’identificazione. A proposito della discussione di
un sogno in cui una donna identifica l’amica con se stessa per poi
procedere a sognare di un desiderio insoddisfatto, Freud afferma: «l’identifi-
20
Silvia Bovenschen, Is There a Feminine Aesthetic?, «New German Critique», n. 10,
inverno 1977, p. 127.
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IDENTITÀ E MISCONOSCIMENTO 91
21
senz’altrui concorso, tutte le parti di una commedia» .
Nel riferimento successivo al contagio di uno spasmo isterico a tutti i
membri di un reparto ospedaliero, diviene ancora più chiaro che per Freud
il segno scritto sul corpo della donna isterica è un perno per lo scambio di
identificazioni masochistiche.
Mentre questa è una spiegazione relativamente primordiale dell’identifi-
cazione, in linea con la prima topografia della psicoanalisi e precedente la
descrizione dell’Io come autentica sedimentazione o storia delle scelte
oggettuali, i tentativi successivi di rielaborare l’identificazione nel contesto
della seconda topografia e dell’economia intersoggettiva del complesso di
Edipo mantengono questo nesso tra la donna e il masochismo. Il capitolo
intitolato Identificazione in Psicologia delle masse e analisi dell’Io comincia con
il delineare l’identificazione del bambino con il padre in quanto ideale – un
processo “squisitamente maschile” – e il suo rapporto con il complesso di
Edipo. Il caso della bambina, però, è esposto in modo diverso. Come
osserva Freud, il meccanismo di identificazione sembra resistere in modo
peculiare a una definizione metapsicologica ed è come se il testo freudiano
possa soltanto attraversare e riattraversare diversi scenari. Il primo riguarda
l’identificazione della bambina con la madre, articolata dal fatto che essa
affetta il sintomo nevrotico esibito dalla madre, una tosse dolorosa. Il
sintomo, secondo Freud, esprime il desiderio colpevole della bambina di
usurpare il posto della madre rispetto al padre. E il dialogo immaginario
che Freud attribuisce al sintomo ne sottolinea gli effetti masochistici: «hai
22
voluto essere tua madre, e ora lo sei – se non altro nelle sofferenze» . Il
secondo scenario in cui Freud drammatizza il rapporto tra la bambina e
l’identificazione è una semplice riscrittura della scena descritta in prece-
denza in L’interpretazione dei sogni. Cambia solo l’ambientazione: da una
corsia d’ospedale a un collegio femminile. Mentre nel caso del bambino il
Super-io è il sostituto dell’identificazione, nella situazione della bambina è il
21
Sigmund Freud, The Interpretation of Dreams, New York, Avon Books, 1965, p. 183; [tr.
it. L’interpretazione dei sogni, in Opere, cit., vol. III, pp. 131-155, alla p. 144].
22
Sigmund Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, New York, Avon Books,
1965, p. 48; [tr. it. Psicologia delle masse e analisi dell’io, in Opere, cit., vol. IX, pp. 257-330, alla
p. 294].
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92 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
23
Ivi, p. 49; [tr. it. p. 295].
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di Kaja Silverman
Christian Metz
La teoria del film è stata perseguitata fin dall’inizio dallo spettro di una
perdita o assenza al centro della produzione filmica, una perdita che
minaccia e al tempo stesso rassicura il soggetto della visione. Quando
Jean-Louis Comolli osserva che «l’intero edificio della rappresentazione
1
filmica [...] si trova affetto da una mancanza fondamentale» , fa riferimento
a Münsterberg e Bazin, ma anche a Metz, Oudart, Dayan e a Mulvey.
Questa mancanza fondamentale rivela una notevole propensione allo
spostamento. Talvolta l’assenza che struttura il cinema sembra essere il reale
precluso. Altre volte è identificata con il luogo di produzione nascosto. In
altre occasioni ancora la mancanza parrebbe iscritta nel cinema attraverso il
corpo femminile. Per quanto possano apparire casuali, questi spostamenti
seguono una traiettoria molto precisa. L’identificazione della donna con la
mancanza adempie la funzione di coprire il reale assente e il luogo di
produzione precluso – perdite che sono incompatibili con la “funzione
fallica” in rapporto alla quale viene definito lo spettatore maschio2.
Ciò che sto suggerendo è che la preoccupazione della teoria del film
Lost Objects & Mistaken Subjects. Film Theory’s Structuring Lack, «Wide Angle», vol. 8,
nn. 1 e 2, 1985, pp. 14-29.
1
Jean-Louis Comolli, Machines of the Visible, in Teresa de Lauretis, Stephen Heath (a cura
di), The Cinematic Apparatus, New York, St. Martin’s, 1980, p. 141.
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94 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
2
In St. Anne, Jacques Lacan scrive che «ogni maschio è schiavo della funzione fallica»,
«Semiotext(e)», vol. 4, n. 1, 1981, p. 217.
3
Hugo Münsterberg, The Film: A Psychological Study, New York, Dover, 1970, p. 69; [tr. it.
Film. Il cinema muto nel 1916, Parma, Pratiche, 1980, p. 90].
4
André Bazin, The Virtues and Limitations of Montage e The Evolution of the Language of
Cinema, in Id., What is Cinema, vol. I, Berkeley, University of California Press, 1967, p. 50 e p.
37; (edizione originale Qu’est-ce que le cine´ma? I-IV, Paris, Les Éditions du Cerf, 1958-1962);
[tr. it. Montaggio proibito e L’evoluzione del linguaggio cinematografico, in Che cosa e` il cinema?,
Milano, Garzanti, 1999, pp. 63-74 alla p. 73 e pp. 74-92 alla p. 90].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 95
zioni estetiche che può introdurre nel posto lasciato libero, l’efficacia della
6
realtà scelta» . Altrove Bazin suggerisce che uno dei sacrifici che pertanto il
cinema esige è la presenza fisica dell’attore e, per estensione, di ogni altro
7
oggetto profilmico .
Christian Metz dà molta importanza a questa particolare assenza. Il
fatto che lo spettatore e l’attore non siano mai nello stesso posto nel
medesimo tempo fa del cinema una storia di incontri mancati, dell’«appun-
tamento mancato del voyeurista e dell’esibizionista, i loro passi non po-
8
tranno raggiungersi più» . Inoltre, a differenza del teatro, che utilizza attori
reali per raffigurare personaggi immaginari, il film comunica la sua illusione
attraverso altre illusioni: è doppiamente simulato, rappresentazione di una
rappresentazione. Per Metz il cinema non soltanto è invaso dalla perdita
dell’evento profilmico ma ne è sinonimo: «ciò che distingue il cinema è un
ulteriore raddoppiamento, un giro di vite supplementare e specifico nella
chiusura ermetica del desiderio sulla mancanza. Prima di tutto perché gli
spettacoli e i suoni che il cinema ci «offre» (ci offre a distanza, quindi, nella
stessa misura, ce li sottrae) sono qui particolarmente ricchi e svariati:
semplice differenza di grado, ma che ha già il suo peso: sono di più «le
9
cose» che lo schermo ci presenta e sottrae alla nostra presa» .
Nonostante la diversità delle loro posizioni teoriche, Münsterberg,
Bazin e Metz concettualizzano la transizione dal referente al segno filmico
come un’incisione chirurgica. Münsterberg parla della necessità che il film
tagli «tutti i possibili collegamenti» con l’ordine fenomenico, che strutturi lo
5
André Bazin, The Ontology of the Photographic Image e The Evolution of the Language of
Cinema, in What is Cinema, cit., p. 15 e pp. 23-40; [tr. it. Ontologia dell’immagine fotografica e
L’evoluzione del linguaggio cinematografico, in Che cosa e` il cinema?, cit., p. 8 e pp. 74-92].
6
André Bazin, An Aesthetic of Reality, in Id., What is Cinema, vol. II, Berkeley, University of
California Press, 1971, p. 29; [tr. it. Un’estetica della realtà: il neorealismo, in Che cosa e` il
cinema?, cit., pp. 289-290].
7
André Bazin, Bicycle Thief, ivi, p. 59; [tr. it. Ladri di biciclette, ivi, pp. 314-315].
8
Christian Metz, The Imaginary Signifier: Psychoanalysis and the Cinema, Bloomington,
Indiana University Press, 1982, p. 63; (edizione originale Le signifiant imaginaire. Psychanalyse
et cine´ma, Paris, Union Générale d’Éditions, 1977); [tr. it., Cinema e psicanalisi. Il significante
immaginario, Venezia, Marsilio, 1980, p. 67].
9
Ivi, p. 61; [tr. it. p. 65].
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96 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
spettacolo in modo che tutti i legami con l’oggetto siano «troncati»10. Bazin,
che si oppone all’usurpazione del referente da parte del segno e considera il
montaggio l’agente dell’usurpazione, definisce il montaggio come un proce-
dimento che sminuzza il mondo in «piccoli frammenti», infrangendo l’unità
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«naturale degli esseri e delle cose»11. Metz usa il termine «castrazione» per
descrivere la mancanza strutturante del cinema, evidenziando cosı̀ la posta
molto personale dello spettatore nella perdita dell’oggetto e aggiungendo
una nuova dimensione alla metafora del tagliare e spezzettare utilizzata dai
suoi predecessori.
Metz non soltanto mette in rapporto la perdita dell’oggetto con la
castrazione, ma suggerisce anche che lo spettatore o la spettatrice si
proteggono dal trauma di tale castrazione attraverso meccanismi difensivi
simili a quelli adottati dal bambino di Freud: disconoscimento e feticismo.
Lo spettatore di Metz appare diviso tra la consapevolezza e l’inconsapevo-
lezza: «qualsiasi spettatore sosterrà che ‘‘lui non ci crede’’, ma tutto succede
invece come se ci fosse qualcuno da illudere, qualcuno che ‘‘ci crederebbe’’
veramente [...] Questo credulo è certamente in noi, resta nascosto sotto
l’incredulo, o nel suo cuore, è quello che continua a credere, che rinnega
quello che sa [...]»12.
Come il bambino che vede i genitali femminili per la prima volta e che
disconosce l’assenza del pene, questo spettatore o spettatrice rifiuta di
ammettere ciò che invece sa perfettamente, ossia che il cinema è fondato
sulla mancanza dell’oggetto.
Sebbene Metz sia stato il primo a collocare questa divisione epistemo-
logica in un contesto psicanalitico, non è però stato il primo a notarla.
Münsterberg scrive che «non siamo mai illusi» riguardo alla piattezza
dell’immagine filmica e tuttavia le attribuiamo la tridimensionalità13. Bazin
fa un’osservazione simile sull’illusione filmica in Montaggio proibito: «ciò di
cui c’è bisogno per la pienezza estetica dell’impresa è che noi possiamo
credere alla realtà degli avvenimenti sapendo che sono truccati [...] Allora lo
schermo riproduce il flusso e il riflusso della nostra immaginazione che si
nutre della realtà alla quale progetta di sostituirsi...»14.
10
Hugo Münsterberg, The Film, cit., p. 64; [tr. it. p. 85].
11
André Bazin, The Evolution of the Language of Cinema, cit., p. 38; [tr. it. p. 91].
12
Christian Metz, The Imaginary Signifier, cit., p. 72; [tr. it. p. 75].
13
Hugo Münsterberg, The Film, cit., p. 23; [tr. it. p. 38].
14
Andrè Bazin, The Virtues and Limitations of Montage, cit., p. 48; [tr. it. p. 70].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 97
15
Peter Wollen osserva le affinità tra questo passo di Bazin e il saggio di Freud sul
feticismo in “Ontology” and “Materialism” in Film, «Screen», vol. 17, n. 1, 1976, p. 9.
16
Christian Metz, The Imaginary Signifier, cit., p. 74; [tr. it. p. 77].
17
Jean-Louis Comolli, Machines of the Visible, cit., p. 133.
18
André Bazin, An Aesthetic of Reality, cit., p. 27; [tr. it. pp. 286-287].
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98 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
19
Jean-Louis Comolli, Machines of the Visible, cit., p. 124.
20
Stephen Heath, Lessons from Brecht, «Screen», vol. 15, n. 4, 1970, p. 107.
21
Hugo Münsterberg, The Film, cit., p. 69; [tr. it. p. 90].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 99
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100 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
22
Jacques Lacan, Seminar of 21 January 1975, in Juliet Mitchell e Jacqueline Rose (a cura
di), Feminine Sexuality, New York, Norton, 1983, p. 164.
23
Jacques Lacan, Seminar XI, citato da Stephen Heath in Anata Mo., «Screen», vol. 17, n. 4
(1976/77), p. 53; [tr. it. Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi
(1964), Torino, Einaudi, 1979, p. 105].
24
Jacques Lacan, The Subject and the Other: Aphanisis, in Four Fundamental Concepts of
Psychoanalysis, tr. ingl. Alan Sheridan, New York, Norton, 1978, p. 218; [tr. it Afanisi. I
quattro concetti fondamentali della psicanalisi, cit.].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 101
25
Jacques Lacan, The Subject and the Other: Alienation, ivi, pp. 211-213; [tr. it. Alienazione. I
quattro concetti fondamentali della psicanalisi, cit.].
26
Siegfried Kracauer, Theory of Film, London, Oxford University Press, 1960; [tr. it. Teoria
del film, Milano, Il Saggiatore, 1995, p. 260].
27
Ivi, p. 167; [tr. it. p. 265].
28
Ivi, p. 164; [tr. it. p. 260].
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102 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Per la prima volta, ecco che tra il modello e la sua riproduzione interviene
soltanto l’aiuto di un agente non vivente. Per la prima volta, un’immagine
del mondo esterno si forma automaticamente senza intervento creativo
dell’uomo [...] Tutte le arti sono fondate sulla presenza dell’uomo; solo
nella fotografia ne godiamo l’assenza. Essa agisce su di noi in quanto
fenomeno «naturale», come un fiore o un cristallo di neve la cui bellezza è
inseparabile dalle origini vegetali o telluriche.
Questa genesi automatica ha sconvolto radicalmente la psicologia dell’im-
magine. L’oggettività della fotografia le conferisce un potere di credibilità
assente da qualsiasi opera pittorica. Quali che siano le obiezioni del nostro
spirito critico siamo obbligati a credere all’esistenza dell’oggetto rappre-
sentato [...]29.
29
André Bazin, The Ontology of the Photographic Image, cit., p. 13; [tr. it. pp. 7-8].
30
Ivi, p. 16; [tr. it. p. 10].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 103
il solo all’altezza del compito di evidenziare «la radicalità della divisione tra
l’ordine della lettera (il significante) e l’alterità dell’oggetto»31.
Se castrazione è l’unica parola che può essere riferita in modo appro-
priato alla perdita dell’oggetto indotta dal significato, e se il film è (come
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31
Serge Leclaire, De´masquer le re´e´l: un essai sur l’objet en psychanalyse, Paris, Les Éditions du
Seuil, 1971, p. 50.
32
Christian Metz, The Imaginary Signifier, cit., p. 45; [tr. it. p. 49].
33
Siegfried Kracauer, Theory of Film, cit., p. 171; [tr. it. p. 267].
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104 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
34
una «lettera congelata, che significa un’assenza nel corso del suo avvento» .
Tuttavia, i teorici della sutura non mancano di condurre l’analisi semiotica
un gradino avanti, sottolineando che i significanti filmici, come le loro
controparti linguistiche, sono attivati solo all’interno del discorso, e tale
discorso richiede sempre un agente di enunciazione. Jean-Pierre Oudart e
Daniel Dayan evidenziano, in breve, che i film sono necessariamente
35
parlati .
Sulla scia della teoria dell’autore, e come reazione al suo privilegiare la
singola voce, la teoria del film si è molto impegnata a distinguere l’agente
di enunciazione del cinema dalla figura del regista o dello sceneggiatore. Il
risultato è stato il maggior rilievo dato sia al ruolo produttivo del disposi-
36
tivo tecnologico e ideologico sia alle strategie per nascondere questo
dispositivo alla vista generale.
L’articolazione filmica è stata tracciata in parte nel complesso di
macchine senza le quali sarebbe rimasta solo una possibilità astratta, e in
parte nei codici specifici e non specifici responsabili della generazione del
senso. E dato che questa dispersione creativa va contro la visione umanista
dominante della paternità dell’autore, spesso viene coperta (nei film e negli
scritti sui film) da una rappresentazione armonizzante. Identificata con la
visione umana, molto spesso è la macchina da presa a fornire tale rappre-
37
sentazione armonizzante , sebbene esempi filmici tanto diversi come Dou-
34
Jean-Pierre Oudart, Cinema and Suture, «Screen», vol. 18, n. 4, (1977/1978), p. 41, p. 44.
35
Daniel Dayan, The Tutor Code of Classical Cinema, in Bill Nichols (a cura di ), Movies and
Methods, Berkeley, University of California Press, 1976, pp. 438-51. Per ulteriori letture sulla
sutura vedi Stephen Heath, Notes on Suture, «Screen», vol. 18, n. 4, 1977-78, pp. 48-76; Claire
Johnston, Towards a Feminist Film Practice: Some Theses, «Edinburgh Magazine», n. 1, 1976,
pp. 50-59; Kaja Silverman, Suture, in The Subject of Semiotics, New York, Oxford University
Press, 1983, pp. 194-236; e Leslie Stern, Point of View: The Blind Spot, «Film Reader», n. 5,
1979, pp. 214-236.
36
Vedi Metz, Story/Discourse (A Note on Two Kinds of Voyeurism), in The Imaginary Signifier,
cit., pp. 89-98, [tr. it. Storia/Discorso (nota su due voyeurismi), in Cinema e psicanalisi..., cit., pp.
83-90]; e Jean-Louis Baudry, Ideological Effects of the Basic Cinematographic Apparatus, «Film
Quarterly», vol. 28, n. 2, (1974/1975), pp. 39-47, e The Apparatus, «Camera Obscura», n. 1,
1976, pp. 104-128.
37
Vedi Comolli, Machines of the Visible, cit., pp. 124-127; Metz, The Imaginary Signifier, cit.,
pp. 49-52, [tr. it. pp. 53-55]; e Jean-Louis Baudry, Ideological Effects of the Basic Cinematogra-
phic Apparatus, cit., pp. 41-42.
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 105
ble Indemnity (La fiamma del peccato, Billy Wilder, 1944), The Conversation
(La conversazione, Francis Ford Coppola, 1974), David Holzman’s Diary (Jim
McBride, 1967) e Blow Out (Id., Brian De Palma, 1981) suggeriscono che il
magnetofono può adempiere una funzione simile in virtù della sua associa-
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38
Jean-Pierre Oudart, Cinema and Suture, cit., p. 36.
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106 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
39
Daniel Dayan, The Tutor Code of Classical Cinema, cit., p. 448.
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 107
40
Sigmund Freud, Some Psychical Consequences of the Anatomical Distinction Between the
Sexes, in The Standard Edition of the Complete Psychological Works (in seguito The Standard
Edition), London, Hogarth Press, 1953, vol. XIX, p. 252; [tr. it. Alcune conseguenze psichiche
della differenza anatomica tra i sessi (1925), in Opere 1924-1939, vol. X, Torino, Bollati
Boringhieri, 1978, pp. 207-217, alla p. 211].
41
Sigmund Freud, Fetishism, in The Standard Edition, vol. XXI, cit., pp. 152-157; [tr. it.
Feticismo, in Opere, vol. X, cit., pp. 491-497].
42
Per una discussione sulla sublimazione e i suoi rapporti con l’attività intellettuale cfr.
Leonardo da Vinci and a Memory of His Childhood, in The Standard Edition, cit., pp. 53-63,
80-81; [tr. it. Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, (1910), in Opere, vol. VI, pp. 213-284].
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108 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
43
Jacqueline Rose, The Cinematic Apparatus: Problems in Current Theory, in The Cinematic
Apparatus, cit., p. 182.
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 109
insistendo sul fatto che queste perdite costituiscono una castrazione, Metz e
Comolli ci forniscono la necessaria distanza critica dal paradigma freudiano
per scorgere ciò che esso rinnega. Ci consentono di comprendere che
l’equazione donna-mancanza è una costruzione secondaria, che copre sacri-
fici precedenti.
Esaminando la teoria della castrazione di Freud dalla posizione di Metz
e Comolli, si rimane colpiti dalla sua inclinazione univoca, dal suo rifiuto di
conciliare le perdite preedipiche. Questo rifiuto appare ancora più rimar-
chevole alla luce della simmetria che Freud stabilisce tra i termini «feci»,
«bambino» e «pene» in Dalla storia di una nevrosi infantile, e la sua
descrizione di ciascuno di questi oggetti come «una piccolezza che può
44
essere staccata dal proprio corpo» . Questa spiegazione abbreviata dell’objet
a è integrata da una nota del 1923 in Analisi della fobia di un bambino di
cinque anni, dove ancora una volta Freud insiste nel restringere il significato
di castrazione alla rimozione del pene:
Si è messo in risalto che già il lattante deve sentire ogni distacco dalla
mammella materna come una evirazione, ossia come la perdita di una
parte importante del corpo, considerata propria; ch’esso non può conside-
rare altrimenti la regolare perdita delle feci; che infine la stessa nascita,
come separazione dalla madre con cui fino ad allora il nato era tutt’uno,
costituisce il prototipo dell’evirazione. Pur riconoscendo tutte queste radici
del complesso, ho sostenuto l’esigenza che il termine “complesso d’evira-
zione” sia riservato agli eccitamenti e agli effetti che fanno capo alla
perdita del pene45.
44
Sigmund Freud, History of an Infantile Neurosis, in The Standard Edition, vol. XVII, p. 84;
[tr. it., Dalla storia di una nevrosi infantile (caso clinico dell’uomo dei lupi), (1914 [1918]), in
Opere, vol. VII, pp. 487-593, alle pp. 557-558].
45
Sigmund Freud, Analysis of a Phobia in a Five-Year-Old Boy, in The Standard Edition, vol.
X, p. 8; [tr. it. Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans),
(1908 [1909]), in Opere, vol. V, pp. 481-589, alla p. 483, nota n. 3 (aggiunta nel 1923)].
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110 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
L’accento che Freud pone sulla natura ritardata della crisi di castra-
zione può essere letto in modo simile come espediente per proteggere il
soggetto maschile da un confronto doloroso e culturalmente distruttivo con
la propria insufficienza. Accordando una condizione retroattiva al “ricono-
scimento” della mancanza della donna da parte del bambino e rendendo
tale riconoscimento effetto di proibizioni e minacce, Freud vuole suggerire
che l’idea di mancanza è tanto aliena dalla consapevolezza maschile da
dovere essere insediata attraverso l’ammonizione paterna.
Ricordiamo che Freud non accorda alla bambina una simile dilazione.
Nel momento dello svelamento anatomico «il suo giudizio e la sua deci-
46
sione sono istantanei. Essa l’ha visto, sa di non averlo, e vuole averlo» .
Tuttavia, poiché subisce (non più del bambino) la perdita del pene, le
risposte attribuitele da Freud rimangono inesplicabili. Soltanto attraverso
un intervento culturale analogo a quello a cui è esposto il soggetto maschile
il soggetto femminile arriva a percepire se stesso come mancante di un
organo privilegiato. In effetti, Freud giunge ad ammettere ciò in Sessualità
femminile, dove commenta il ricalcitrare epistemologico del soggetto fem-
minile: «quando la bimba, alla vista di un genitale maschile, si accorge del
suo difetto, accetta la brutta sorpresa dopo lunga esitazione e non senza
47
riluttanza» .
Il senso di crisi e di perdita che permea la piccola scena descritta da
Freud in Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi e
Feticismo deve essere conseguentemente ricondotto a un’altra fonte, ossia
alle diverse castrazioni preedipiche catalogate da Lacan, castrazioni che
sono percepite pienamente solo con l’ingresso nel linguaggio. Esse produ-
cono un soggetto strutturato dalla mancanza molto prima della “scoperta”
della differenza sessuale, un soggetto la cui coerenza e certezza stesse si
fondano sulla divisione e sull’alienazione.
L’insistenza con cui Freud afferma che la bambina sperimenta una
comprensione immediata e diretta di ciò che il bambino è costretto a
46
Sigmund Freud, Some Psychical Consequences of the Anatomical Distinction Between the
Sexes, cit., p. 252; [tr. it. p. 211].
47
Sigmund Freud, Female Sexuality, in The Standard Edition, vol. XXI, p. 223; [tr. it.
Sessualità femminile (1931), in Opere, vol. XI, pp. 63-80, alla p. 70].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 111
di tutto, però, è forse la malizia che lo stesso Freud mostra nei confronti del
soggetto femminile nel suo saggio sulla differenza anatomica – il suo
incoraggiare il soggetto maschile a mantenere un «disprezzo trionfante» nei
confronti della «creatura mutilata» che è il suo altro sessuale. Questo
insieme di emozioni non testimonia nulla di più di una proiezione ben
congegnata, lo spostamento esternante nel soggetto femminile di ciò che il
soggetto maschile non può tollerare in sé: la castrazione e la mancanza.
Significativamente, la proiezione è una forma di difesa strettamente
correlata al disconoscimento in quanto è un «rifiuto di riconoscere» qual-
cosa che dà dispiacere. Tuttavia, mentre il disconoscimento implica il
rifiuto di riconoscere una qualità non desiderata nell’altro, la proiezione
implica il rifiuto di riconoscere una qualità non desiderata in se stessi. È
48
quindi simultaneamente il rifiuto di essere ciò che evoca il dispiacere . Il
soggetto si protegge da questo dilemma ontologico estraendo «dal suo
stesso io una componente che proietta nel mondo esterno e sente nemi-
49
ca» . In altre parole, subisce un’altra di quelle spaccature costantemente
necessarie al suo senso di consistenza e di interezza.
La visione e l’udito svolgono un ruolo chiave nel riposizionamento
della qualità non desiderata dal dentro al fuori. Il soggetto proiettante si
difende dal dispiacere situando quella qualità a una distanza visiva e
auditiva – rendendola l’oggetto delle pulsioni scopiche e invocative. Una
volta stabilita la causa dell’ansietà come esterna al sé, il soggetto reagisce
contro di essa «con i tentativi di fuga rappresentati dagli scansamenti
50
fobici» .
La spiegazione freudiana della crisi di castrazione maschile obbedisce
con sorprendente precisione alle operazioni difensive appena descritte.
Prima di tutto, questa crisi rappresenta il momento della divisione più
drammatica nella storia del soggetto: la differenziazione tra i sessi. Per la
48
Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, The Language of Psychoanalisis, tr. ingl. Donald
Nicholson-Smith, New York, Norton, 1973, p. 354; [tr. it. Enciclopedia della psicoanalisi,
Tomo secondo, Bari, Laterza, 1993, p. 445].
49
Sigmund Freud, Instincts and their Vicissitudes, in The Standard Edition, vol. XIV, p. 136;
[tr. it. Pulsioni e loro destini (metapsicologia, 1915), in Opere, vol. VIII, pp. 13-35, alla p. 31].
50
Sigmund Freud, The Unconscious, in The Standard Edition, vol. XIX, p. 252; [tr. it.
L’inconscio (1915), in Opere, vol. VIII, cit., pp. 49-88, alla p. 68].
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112 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
51
Sigmund Freud, Some Psychical Consequences of the Anatomical Distinction Between the
Sexes, cit., p. 252; [tr. it. p. 211].
52
Sigmund Freud, Fetishism, cit., p. 155; [tr. it. Feticismo, cit. p. 494], e The Uncanny, in The
Standard Edition, vol. XVII, p. 220; [tr. it. Il perturbante (Das Unheimliche, 1919), in Opere, vol.
IX, p. 68].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 113
somiglianza, dalla paura di diventare come il suo altro sessuale. Tale paura
parla a quel «duplicarsi, dividersi e scambiarsi della personalità» dal quale
53
scaturisce la differenza sessuale . Indica che quanto è ora associato al
soggetto femminile è frutto di un trasferimento operato dal soggetto
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53
Sigmund Freud, The Uncanny, cit., p. 234; [tr. it. p. 81].
54
Julia Kristeva, Powers of Horror, New York, Columbia University Press, 1982, p. 63; [tr.
it., Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, Milano, Spirali/Vel, 1981, p. 72].
55
Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, The Language of Psychoanalisis, cit., p. 354; [tr. it.
p. 445].
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114 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
lante il cui getto imperioso rasenta la nostra testa» e il cui «stelo di luce
delinea i contorni di una serratura attraverso il cui buco tutti noi guardiamo
56
attoniti» .
Non è nemmeno chiaro come si possa sostenere che il cinema – nelle
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56
Roland Barthes, Upon Leaving the Movie Theatre, tr. ingl. Bertrand Augst e Susan White,
in Cinematic Apparatus: Selected Writings, a cura di Theresa Hak Kyung Cha, New York,
Tanam Press, 1980, p. 2; [tr. it. Uscendo dal cinema, in Id., Sul cinema, Genova, Il melangolo,
1994, p. 147].
57
Christian Metz, The Imaginary Signifier, cit., pp. 50-51; [tr. it. p. 54].
58
Ibid.
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 115
ruolo vitale nel determinare il rapporto dello spettatore con la diegesi, dal
momento che l’identificazione “secondaria” è realizzata in larga misura
attraverso l’incorporazione delle rappresentazioni del personaggio. Queste
rappresentazioni vengono introiettate e forniscono la base per una soggetti-
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59
Rose propone una formulazione molto simile nella seconda introduzione a Feminine
Sexuality, dove scrive «in quanto luogo nel quale la mancanza è proiettata, e attraverso il
quale è simultaneamente misconosciuta, la donna è per l’uomo un “sintomo”» (cit. p. 48).
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116 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 117
60
sessuale. Come ho sostenuto altrove , la formazione campo/controcampo
più paradigmatica è quella che allinea il corpo femminile con lo sguardo
maschile. Questa inquadratura a due non solo copre il luogo assente della
produzione, ma pone il soggetto maschile sul versante della visione e il
soggetto femminile su quello dello spettacolo. Inoltre, essendo il dispositivo
antropomorfizzato (essendo, cioè, la cinepresa associata allo sguardo
umano e il registratore all’udito) assume una forma paterna. Il complesso
coinvolgimento del cinema classico nell’articolazione della differenza ses-
suale può essere dimostrato attraverso un breve esame di un altro corpus
della teoria del film riguardante la nozione della mancanza.
A partire dalla pubblicazione nel 1975 di Piacere visivo e cinema narra-
tivo di Laura Mulvey, la teoria femminista del cinema ha dedicato una
grande attenzione alla codificazione del soggetto femminile da parte del
61
cinema classico come inadeguato o castrato . Questa teoria ha anche
esaminato da vicino il potenziale traumatico contenuto nello spettacolo
della donna come mancanza e i meccanismi difensivi a disposizione dello
spettatore per proteggersi da tale mancanza.
Curiosamente, lo scenario descritto da Mulvey si conforma al para-
digma originale psicanalitico di castrazione e crisi in modo ancora più
rigoroso di quelli di Metz e Comolli o di Oudart e Dayan. Come il
bambino di Freud, lo spettatore di Mulvey considera la visione della
mancanza della donna una minaccia alla propria coerenza e teme di poter
diventare la vittima di una perdita analoga. Secondo Mulvey, il cinema
classico offre due possibili soluzioni di questa crisi: il disconoscimento
attraverso il feticismo e l’ammissione accompagnata dalla denigrazione.
Come conseguenza della prima di queste risposte, un capo di vestiario
60
Kaja Silverman, Suture, cit., pp. 222-225.
61
Vedi Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», 16, n. 3, 1975, pp.
8-18; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978, pp.
26-41]; Teresa de Lauretis, Through the Looking Glass, in The Cinematic Apparatus, cit., pp.
187-202; Linda Williams, Film Body: An Implantation of Perversions, «Ciné-Tracts», vol. 3, n.
4, 1981, pp. 19-35; Lucy Fischer, The Image of Woman as Image: The Optical Politics of Dames,
in Rick Altman (a cura di), Genre: The Musical, London, Routledge & Kegan Paul, 1981, pp.
70-84; Sandy Flitterman, Woman, Desire and the Look: Feminism and the Enunciative Apparatus
in Cinema, «Ciné-Tracts», vol. 2, n. 1, 1978, pp. 63-68.
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118 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
62
Laura Mulvey offre un’interessante discussione dei modi in cui il cinema classico facilita
l’identificazione della spettatrice sia con i personaggi maschili sia con quelli femminili in
Afterthoughts ... inspired by Duel in the Sun, «Framework», nn. 15, 16, 17, 1981, pp. 12-15; [tr.
it. Le ambiguità dello sguardo, «Lapis», n. 7, marzo 1990, pp. 38-42].
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 119
63
Sigmund Freud, The Uncanny, cit., p. 241; [tr. it. p. 88].
64
Jacques Lacan, Seminar of 21 January 1975, cit., p. 186.
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120 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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OGGETTI PERDUTI E SOGGETTI SBAGLIATI 121
quella che fonde il fallo con il pene – in realtà essa comporta l’esclusione
dal potere e dal privilegio simbolico. Questa esclusione è raffigurata come
un rapporto passivo con i regimi scopici e auditivi del cinema classico,
ossia come un’incapacità di guardare, parlare o ascoltare autoritariamente
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da un lato, e con quella che può essere chiamata “ricettività” allo sguardo e
alla voce maschili dall’altro.
Cosı̀ la visione della donna è dipinta come parziale, incrinata, inaffida-
bile e autointrappolante; essa vede cose che non ci sono, urta contro i muri,
o perde il controllo alla vista del colore rosso. E sebbene il suo sguardo
raramente raggiunga il suo obiettivo, il soggetto femminile è sempre in
mostra davanti allo sguardo maschile. In effetti, essa manifesta talmente
poca resistenza a questo sguardo da sembrare spesso nulla di più che una
sua estensione.
Le parole del soggetto femminile appaiono appartenergli anche meno
dei suoi “sguardi”. Sono scritte per lei, estratte da lei da un agente esterno, o
pronunciate da lei in uno stato simile alla trance. Anche la sua voce rivela
una notevole facilità a disprezzare e incriminare se stessa, ossia a dare la
colpa a Mame. Anche quando parla senza una costrizione visibile, è sempre
parlata dal luogo dell’altro sessuale.
Il soggetto femminile del cinema classico è il luogo dove l’impotenza
discorsiva dello spettatore viene esumata, contenuta ed esibita. La donna è
ciò che si potrebbe definire una rappresentazione sineddochica – la parte
per il tutto – dal momento che è obbligata ad assorbire sia la mancanza del
soggetto maschile sia quella propria. L’incorporazione involontaria da parte
del soggetto femminile delle varie perdite che ossessionano il cinema, dal
reale precluso all’agente di enunciazione invisibile, rende possibile l’identifi-
cazione del soggetto maschile con il padre simbolico, e il suo allineamento
immaginario con la visione creativa e con il discorso. Infatti, la donna non è
solo costretta ad assumere la mancanza maschile come propria: è la sua
ricettività obbligatoria allo sguardo maschile a stabilirne la superiorità,
proprio come la sua obbedienza alla voce maschile “dimostra” il suo potere.
Il dramma diegetico di castrazione descritto da Mulvey, pertanto, è una
simulazione della crisi che si verifica tutte le volte che allo spettatore
maschio viene ricordata la sua subordinazione visiva e verbale all’enuncia-
tore assente del cinema, ossia la simulazione che copre l’altra scena, quella
di castrazione, con le sue rappresentazioni di uomo fallico e donna ferita.
Poiché ripropone quanto accade altrove, sia nella storia del soggetto sia
nell’articolazione del cinema, l’organizzazione diegetica del cinema classico
può essere forse adeguatamente descritta con una frase di Bazin: «uno
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122 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
65
André Bazin, Theatre and Cinema, Part Two, in What is Cinema, vol. I, p. 97; [tr. it. Teatro
e cinema, in Che cosa e` il cinema?, cit., pp. 142-190, alla p. 163].
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di Anne Friedberg
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124 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
scambio. Per formulare una critica esauriente di ciò che significa identifi-
carsi con un particolare oggetto, appare necessario iniziare dalla seguente
analisi e dalla problematizzazione dell’identificazione filmica stessa.
La maggior parte degli studi sull’identificazione e il filmico partono da
una descrizione di quella che è sostanzialmente l’identificazione pre-filmica.
Il dossier delle descrizioni fornito da Freud e dai suoi continuatori (Otto
Fenichel, Melanie Klein e altri), le nuove teorizzazioni di Jacques Lacan
nella sua descrizione della fase dello specchio, sono formulazioni che
forniscono un compendio ogni volta che si tracciano delle omologie tra la
serie di relazioni con l’oggetto che intervengono nella costruzione dell’iden-
tità e la duplicazione di questo processo nella visione cinematografica.
Tuttavia per affinare tale analogia, si può fare una tassonomia dei processi
identificatori separando i tre livelli seguenti dell’identificazione: pre-filmico,
filmico, extra-filmico.
Identificazione pre-filmica
Al fine di esaminare la serie dei processi identificatori inconsci che prece-
dono la visione filmica, vale la pena esaminare brevemente le descrizioni
psicanalitiche delle relazioni assimilative tra soggetto e oggetto, della serie
di interazioni che costruiscono l’identità.
Alcuni studi pre-freudiani dell’identificazione isterica, basati sui modelli
dell’imitazione, della mimesi e del contagio mentale descrivevano il pro-
cesso in termini comportamentali, non intrapsichici. Mentre Freud non
1
Questo saggio è stato originariamente scritto per uno stage del BFI [British Film
Institute] sulle Star cinematografiche nel gennaio 1982 e intitolato Identification and the Star: A
Refusal of Difference. Negli ultimi sei anni, il lavoro nella teoria cinematografica femminista
ha sviluppato molte delle questioni qui sollevate. Sebbene il saggio originale sia stato
pubblicato in un pamphlet del BFI intitolato Star Signs, (London, BFI Education, 1982) e
estratti di esso siano apparsi in materiali di corso con diritti d’autore per la Open University
(Materiale Supplementare per U203 Cultura Popolare, Stars: Sexuality, Representation, Politics,
The Open University, 1982), la versione che appare qui è stata aggiornata per questo
volume. Benché io abbia mantenuto il tono malizioso e polemico della discussione generale
di questo saggio, oggi appare come un documento il cui tono è quello degli interventi nella
teoria femminista intorno al 1981.
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 125
2
Sigmund Freud, Die Traumdeutung, (1900), G. W., Frankfurt am Main, S. Fischer Verlag,
1968, II & II, p. 166; [tr. it. L’Interpretazione dei sogni, in Opere, vol. III, Torino, Bollati
Boringhieri, 1974, p. 154]. Questa citazione è tratta dalla traduzione Brill (Interpretation of
Dreams, New York, Modern Library, Random House, Inc. 1938), p. 288. La traduzione di
James Strachey (S. E., vol. IV, London, Hoghart Press, p. 150) varia leggermente, e usa la
parola «somiglianza» invece di «come se» per tradurre il tedesco «gleichwie». La traduzione
Strachey usa «elemento comune» per «Gemeinsames», che Brill invece chiama «condizione
comune». Si tratta di sottili sfumature filologiche, ma in questo caso è bene guardare al
tedesco per notare la relazione tra «Gemeinsames» come appare in Traumdeutung e
«Gemeinsamkeit» come appare in Massenpsychologie (Psicologia delle masse) nel 1921. La
traduzione italiana Facchinelli/Trettl, adottata qui, si serve della parola «come» per tradurre
il tedesco «gleichwie», e traduce «Gemeinsames» con l’espressione «qualche cosa di comune»
(N.d.t.).
3
Sigmund Freud, Hysterical Phantasies and their Relation to Bisexuality, riportato anche in
General Remarks on Hysterical Attacks (1909), entrambi in Sigmund Freud: Collected Papers, vol.
2, New York, Basic Books, 1959; [tr. it. Osservazioni generali sull’attacco isterico e Fantasie
isteriche e loro rapporto con la bisessualità, in Sigmund Freud, Sulla psicanalisi. Cinque conferenze
e scritti 1908/1910, Roma, Newton Compton, 1976].
4
Naturalmente, la quantità consistente di letteratura sul caso Dora si è concentrata
direttamente sulla cecità contro-transferenziale di Freud. Vedi Jacques Lacan, (1952), Inter-
vention on Transference (1952), tradotto da Jacqueline Rose e ristampato in Jacqueline Rose e
Juliet Mitchell (a cura di), Feminine Sexuality: Jacques Lacan and the École Freudienne, New
York, Norton, 1983; [tr. it. Intervento sul transfert, in Jacques Lacan, Scritti, vol. I, Torino,
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126 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Einaudi, 1974 e 2002, pp. 208-219]; vedi anche Charles Bernheimer e Claire Kahane (a cura
di), In Dora’s Case: Freud-Hysteria-Feminism, New York, Columbia University Press, 1985.
5
Sigmund Freud, Psychopathic Characters on the Stage (1905-1906), in S. E., cit., vol. VII, p.
303-310; [tr. it. Personaggi psicopatici sulla scena, in Opere 1905-1908, cit., vol. V, pp. 231-236,
alle pp. 231-32].
6
Il termine fu dapprima usato da Sandor Ferenczi nel suo saggio, Introjection and
Transference (1909); [tr. it. Introiezione e transfert, in Sandor Ferenczi, Opere, vol. I
(1908-1912), Milano, Cortina, 1989, pp. 78-107].
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 127
7
Sigmund Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego (1921), in S.E., cit., vol.
XVIII; [tr. it. Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, cit., vol. IX, L’Io, L’Es e altri scritti].
La traduzione utilizzata qui è stata tratta dal volume, Sigmund Freud, Psicologia collettiva e
analisi dell’Io, Roma, Newton Compton, 1976, pp. 54-55 [N.d.t.].
8
Sigmund Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, cit., p. 108; [tr. it. p. 55].
9
In Fragment of an Analysis of a Case of Hysteria, in S. E., cit., vol. VII; p. 3; [tr. it.
Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora, 1901), in Opere (1900-1905), cit., vol. IV,
Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, p. 346)], Freud analizza la «fantasticata situazione
sessuale su cui è basata» la tosse di Dora (tussis nervosa) come una fantasia in cui lei «si
metteva al posto della signora K.»; parte della doppia identificazione di Dora con sua madre
(«la donna amata prima da suo padre») e con Frau K. («la donna amata ora»). Ma, come
evidenzierà Lacan, Dora si identificava anche con il signor K.
10
Per una discussione delle teorie lacaniane sulla formazione del soggetto, vedi Jacques
Lacan, Le stade du miroir comme formateur de la fonction du Je. La prima versione di questo
saggio fu data alle stampe nel 1936, l’attuale versione fu pubblicata nel 1949, ripubblicata in
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128 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
11
percepite in un oggetto vengono acquisite da colui che le ha percepite»
(corsivo mio). Queste nozioni vengono affinate in un saggio scritto nel
1935, L’istinto scopofilico e l’identificazione, nel quale Fenichel esamina il
processo dell’introiezione oculare, dell’incorporazione attraverso l’occhio:
«nell’inconscio, guardare un oggetto può significare varie cose, tra le quali
le più degne di nota sono le seguenti: divorare l’oggetto guardato, crescere
come esso (essere costretti ad imitarlo) o, al contrario, costringerlo a
12
crescere come se stessi» .
L’introiezione oculare si colloca, nella formulazione di Fenichel, ac-
canto all’introiezione orale, anale, epidermica e respiratoria come «vorrei
13
che ciò che vedo mi penetrasse» .
Jean Laplanche e Jean-Bertrand Pontalis descrivono queste direzioni
delle relazioni identificatorie come eteropatica/centripeta (il soggetto identi-
fica sé con l’altro) e idiopatica/centrifuga (il soggetto identifica l’altro con
sé). L’identificazione centripeta è introiettiva, incorporando l’altro, come un
io ideale esterno; mentre l’identificazione centrifuga è proiettiva, proiet-
14
tando il sé narcisistico su un oggetto esterno . Come vedremo, il cinema
gioca sull’identificazione introiettiva ma allo stesso tempo fornisce l’illu-
sione dell’identificazione proiettiva.
Sebbene il nesso potrebbe non essere immediatamente evidente, il
feticismo, un termine più comunemente impiegato nella sua portata meta-
forica, ha certe similarità strutturali con il processo dell’identificazione.
Écrits, Paris, Éditions du Seuil, 1966; [tr. ingl. The Mirror Stage as Formative of the Function of
the I, London, Tavistock Publications, 1977; tr. it. Lo stadio dello specchio come formatore della
funzione dell’Io, in Scritti, vol. I, a cura di Giacomo Contri, Torino, Einaudi, 1974 e 2002, pp.
87-94].
11
Otto Fenichel, Identification (inizialmente pubblicato in Int. A. Psa., vol. 12, 1926, pp.
309-325), ripubblicato in Collected Papers of Otto Fenichel, First Series, New York, Norton,
1953, p. 97.
12
Otto Fenichel, The Scoptophilic Instinct and Identification (inizialmente pubblicato in Int.
Z. Psa., vol. 21, 1935, pp. 561-583), ripubblicato in Collected Papers of Otto Fenichel, cit., pp.
373-397.
13
Ivi, p. 373.
14
Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, The Language of Psychoanalysis, New York and
London, W. W. Norton & Company, 1973, pp. 205-208; [tr. it. Enciclopedia della psicoanalisi,
Roma e Bari, Laterza, 1993, pp. 229-233].
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 129
15
di castrazione, uno scenario del visibile .
Tuttavia il modello freudiano del feticismo ammette una sola possibi-
lità: che in tale relazione con l’oggetto la donna sia l’oggetto; che l’uomo
sia il soggetto. La scelta dell’oggetto del feticista ha un valore dipendente
dal suo disconoscimento (cioè, la sua capacità di negare o distogliere
dall’angoscia provocata dalla scena della differenza). La relazione con
l’oggetto del feticista è quella di un riconoscimento e un disconoscimento
in costante oscillazione. L’identificazione è una relazione con l’oggetto in
cui il soggetto disconosce – non la scena della castrazione, la “vista” della
differenza sessuale – bensı̀ la “vista” della differenza; la differenza tra
soggetto e oggetto, tra sé e altro. L’identificazione è ciò che nasconde e
rinvia il riconoscimento della dissomiglianza. Se il feticismo e` una relazione
indotta dall’angoscia della differenza sessuale, l’identificazione e` una relazione
indotta dall’ansia della pura differenza.
Se accettiamo la psicanalisi come strumento descrittivo fornito dal
patriarcato per descrivere le proprie strutture oppressive, o, come hanno
fatto molte femministe, ce ne appropriamo come «arma politica», rimane
comunque il fatto che la descrizione del feticismo, imperniata sul concetto
avere/non avere della differenza sessuale, rende evidente la difficoltà di
riconoscere la differenza in un modo diverso dal confronto binario, la
16
misura di un’assenza, una mancanza .
15
«È probabile che a nessun essere umano di sesso maschile sia stato risparmiato lo
spavento dell’evirazione derivante dalla vista del genitale femminile». Da Sigmund Freud,
Fetishism, «International Journal of Psychoanalysis», vol. IX, 1927; [tr. it. Feticismo, in Opere,
cit., vol. X, pp. 491-497, alla p. 494].
16
Gli scritti di Luce Irigaray raccolgono questa sfida. (Vedi soprattutto, The Blind Spot of
an Old Dream of Simmetry, e Any Theory of the “Subject” Has Always Been Appropriated by the
Masculine, in Speculum of the Other Woman, tradotto da Gillian C. Gill, Ithaca, Cornell
University Press, 1985; [tr. it. Il luogo cieco di un antico sogno di simmetria e Ogni teoria del
“soggetto” si trova sempre ad essere appropriata al maschile, in Speculum. L’altra donna, Milano,
Feltrinelli, 1975]). Irigaray problematizza il modello freudiano per le sue manovre all’interno
di un’ideologia patriarcale implicita. Nei termini della natura totalizzante della critica
dell’identificazione avanzata in questo scritto, si deve considerare la descrizione di Irigaray
dell’identificazione come sottomissione non supremazia. Vedi Speculum of the Other Woman,
e Ce sexe qui n’en est pas un, [tradotto in inglese da Catherine Porter, This Sex Which Is Not
One, Ithaca, Cornell University Press, 1985; trad it. Questo sesso che non e` un sesso, Milano,
Feltrinelli, 1978].
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130 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
ste nella negazione della differenza tra sé e altro. È un impulso che ingaggia
i piaceri della similarità. Se il soggetto è costituito da una serie di identifica-
zioni che forzano la similarità, l’identificazione è una lunga ripetizione
strutturale di questo diniego della differenza, una costruzione dell’identità
basata sulla somiglianza.
Identificazione filmica
Una volta diversificata la gamma dei processi identificatori che precedono
la visione cinematografica, appare evidente che l’identificazione secondaria
e quella parziale sono i registri dell’identificazione sollecitati nelle identifica-
zioni al di là dei legami primari con “l’altro genitoriale”. Tutti e tre i registri
dell’identificazione, come descritti dalla terminologia psicanalitica, indu-
cono però a una certa confusione quando si comincia a adottare i termini
per l’identificazione filmica introdotta da Christian Metz. Poiché Il signifi-
cante immaginario18 rimane un testo chiave per il modo in cui traccia i
registri dell’identificazione filmica, occorre fare alcune distinzioni tra l’uso
metziano dell’identificazione primaria e secondaria e gli usi psicanalitici
comuni.
L’identificazione filmica primaria, come la descrive Metz (distinta dal-
l’uso freudiano di «forma più primitiva dell’attaccamento affettivo»19), è
17
Negli studi sul cinema, Masochism and the Perverse Pleasures of the Cinema di Gaylyn
Studlar (pubblicato in questa antologia con il titolo Il masochismo e i piaceri perversi del cinema,
N.d.t.), ristampato in Bill Nichols (a cura di), Movies and Methods II, Berkeley, University of
California Press, 1985, sfida il modello “freudiano-lacaniano-metziano” per le sue inadegua-
tezze nel rendere conto del piacere filmico. Mentre il suo ricorso al lavoro di Gilles Deleuze
sul masochismo non offre un’alternativa pienamente convincente, il suo articolo indica i
possibili piaceri della “mobilità di genere” nell’identificazione.
18
Christian Metz, Le signifiant imaginaire, dapprima pubblicato in «Communications», n.
23, 1975. Tradotto da Ben Brewster e pubblicato in «Screen», vol. 16, n. 2, estate 1975; [tr. it.
Il significante immaginario, in Christian Metz, Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1980].
Questo testo, pubblicato da Metz con diversi altri saggi sotto il titolo Le signifiant imaginaire,
Paris, Union Generale d’Éditions, 1977, è stato in seguito tradotto in inglese in un volume,
The Imaginary Signifier, Bloomington, Indiana University Press, 1985.
19
Sigmund Freud, Group Psychology and the Analysis of the Ego, cit., p. 69; [tr. it. p. 54].
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 131
20
Jean-Louis Baudry, Cine´ma: effets ide´ologiques produits par l’appareil de base, (inizialmente
pubblicato in «Cinéthique», n. 7-8, 1970, pp. 1-8), [tr. ingl., The Ideological Effects of the Basic
Cinematic Apparatus, «Film Quarterly», vol. 28, n. 2, inverno 1974-1975. Ristampato in
Movies and Methods II, cit.]. Baudry descrive il meccanismo della proiezione filmica stessa, il
suo funzionamento percettivo, come una tecnica dell’apparato in cui la differenza è negata
(la diffe´rence nie´e); ma nella analisi di Baudry, la diffe´rence negata è tra il film come serie di
immagini incorniciate e l’illusione della continuità che risulta dalla proiezione. Baudry
sostiene inoltre che lo spettatore si identifica più con l’apparato che con ciò che viene
rappresentato. In Woman, Desire and the Look, Sandy Flitterman estende questa descrizione
dell’apparato nel suo riassunto di Hitchcock, The Enunciator di Raymond Bellour («Camera
Obscura», n. 2, autunno 1977). Nella discussione di Bellour del sistema “enunciativo” di
Hitchcock, egli descrive la combinazione di identificazione con la macchina da presa e
identificazione con l’oggetto. Sebbene Flitterman indichi l’utilità di questo tipo di analisi per
le femministe, non arriva mai ad affermare che l’intero apparato filmico sia di genere
maschile. Vedi Woman, Desire and the Look, in Theories of Authorship, John Caughie (a cura
di), London, Routledge & Kegan Paul, 1981, pp. 242-250.
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132 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
del corpo; un viso, una mano, una gamba, tutti tagliati. La star, come la
maggior parte delle forme umane al cinema, non è presentata come un
corpo unificato. In effetti, spesso è proprio questa metonimia ad essere
trasformata in parti-oggetto mercificate. Il viso di Garbo è trasformato nella
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21
Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», vol. 16, n. 3, autunno
1975; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, in «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978, pp.
26-41].
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 133
Identificazione extra-filmica
Esiste una categoria di investimenti identificatori che sono collegati a e
dipendenti da una visione cinematografica e che tuttavia sono extra-
speculari, i cui effetti continuano al di fuori della visione. Ho scelto di
definirli extra-filmici per evitare la costruzione temporale di post-filmico.
Certamente le identificazioni primaria e secondaria hanno effetti extra-
filmici, più facilmente osservabili nei sistemi ausiliari della mercificazione
che immettono l’“esperienza” filmica sul mercato.
L’identificazione con una star cinematografica è un processo che si
estende oltre l’identificazione filmica secondaria, impegno che dura per
tutto il tempo in cui si assiste allo spettacolo, nell’identificazione extra-
filmica, impegno che è prolungato e amplificato dai sistemi ausiliari della
codificazione che si estendono oltre la specificità della portata del singolo
film. Ed è proprio al di fuori della visione spettatoriale, nel contesto
economico e sociale, che l’identificazione è divenuta una delle figure più
centrali dell’istituzione. La fascinazione di una star cinematografica non è
fascinazione di una singola persona significante (Norma Jean Baker, Marion
Morrison, Greta Gustafson) o di un singolo significante (Monroe in Nia-
gara [Id.], Wayne in She Whore a Yellow Ribbon [I cavalieri del Nord-Ovest],
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134 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
22
Jean Baudrillard, For a Critique of the Political Economy of the Sign, tradotto da Charles
Levin, St. Louis, Telos Press, 1981; [tr. it. Per una critica dell’economia politica del segno,
Mazzotta, 1974]. Vedi, in particolare, il capitolo Fetishism and Ideology: The Semiological
Reduction (che inizialmente apparve come articolo in «Nouvelle Revue de Psychoanalyse»,
vol. II, autunno 1970).
23
Vedi Karl Marx, Capital (capitolo 1, parte 4), The Fetish of the Commodity and its Secret;
[tr. it. Il capitale, Roma, Editori Riuniti, 1964-65].
24
Il racconto di Tino Balio delle carriere di Mary Pickford, Charles Chaplin e Douglas
Fairbanks Jr., in United Artists: The Company Built By Stars, Madison/Wisconsin, University
of Wisconsin Press, 1976, esemplifica come le prime star cinematografiche negoziassero il
proprio valore sul mercato.
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 135
25
Questo sembra un mito consolidato delle origini delle storie economiche dello star
system. Un tale resoconto sintetico è fornito da Gorham Kindem in Hollywood’s Movie Star
System: A Historical Overview, in Gorham Kindem (a cura di), The American Film Industry,
Carbondale, Southern Illinois University Press, 1982. Ma la stessa spiegazione si trova in
altri testi di storia: Benjamin B. Hampton, History of the American Film Industry, New York,
Dover Publications, Inc., 1970; Tino Balio (a cura di), The American Film Industry, Madi-
son/Wisconsin, University of Wisconsin Press, 1976.
26
Stars di Richard Dyer (London, BFI, 1979) rimane la migliore analisi concisa sulle star e
sul loro significato sociale. Vedi anche il saggio miliare di Edgar Morin, The Stars (New
York, Grove Press, 1960), per la sua disamina delle identificazioni basate sulle similarità
regionali, di età e di genere.
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136 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
27
Come spieghiamo, per esempio, il fallimento commerciale di Sylvia Scarlett (Il diavolo e`
femmina, 1936) di George Cukor e di Queen Christina (La regina Cristina, 1933) di Rouben
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IL DINIEGO DELLA DIFFERENZA: TEORIE DELL’IDENTIFICAZIONE FILMICA 137
Mamoulian, giustificando allo stesso tempo il successo commerciale di Blonde Venus (Venere
bionda, 1932) e Morocco (Marocco, 1930) di Josef von Sternberg? Ognuno di questi film ha una
star femminile in una “parte con i pantaloni” (Hepburn in Il diavolo e` femmina, Garbo in La
regina Cristina, Dietrich in Venere bionda e Marocco); è Dietrich che “fa vendere” i suoi due
film? O è forse che il travestimento (e disconoscimento) della donna è trattato differente-
mente in ciascuno dei film?
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CORPI A PEZZI:
IL VENTRE, LA FICA, LA VAGINA DENTATA
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IL BUCO E LO ZERO:
VISIONI DELLA FEMMINILITÀ IN GODARD
di Laura Mulvey
In uno dei primi articoli, scritto nel 1952 per i «Cahiers du Cinéma», Difesa
e illustrazione del «de´coupage» classico, Godard associa la bellezza femminile,
quasi ontologicamente, al cinema:
The Hole and the Zero: Godard’s Visions of Femininity, in Raymond Bellour, Mary Lea
Bandy (a cura di), Jean-Luc Godard: Son + Image 1974-1991, New York, The Museum
of Modern Art, 1992, pp. 75-88.
1
Jean-Luc Godard, Defence and Illustration of the Cinema’s Classical Construction, in Tom
Milne (a cura di), Godard on Godard, London, BFI e Secker & Warburg, 1972, p. 28; [tr. it.
Difesa e illustrazione del «de´coupage» classico, in Jean-Luc Godard, Il cinema e` il cinema, Milano,
Garzanti, 1981, pp. 40 e 43].
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142 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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IL BUCO E LO ZERO 143
Mistero. È come se Godard avesse lottato per cosı̀ tanto tempo per
scendere sotto la superficie che, in questo film, ha dovuto fare un passo
indietro per esaminarla con reverenza, anche se con una certa ironia.
Comunque, nel fare ciò, egli installa un concetto feticizzato della bellezza,
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uniforme e completo, nel cinema, nel corpo della donna e in una conce-
zione della natura che include l’inconoscibile.
Il cinema, il corpo della donna, la “natura”. L’estetica che emerge da
questa triade è molto diversa dall’estetica delle fasi politiche di Godard. A
metà degli anni Sessanta, in quella che può essere definita la sua fase
Debord2, [specialmente Une femme marie´e (Una donna sposata, 1964) e Deux
ou trois choses que je sais d’elle (Due o tre cose che so di lei, 1966)], la triade era
invece: il cinema, il corpo della donna, la società consumistica. Nella sua
fase marxista [per esempio, British Sounds (Id., 1969) e Tout va bien (Crepa
padrone, tutto va bene, 1972)], egli ha provato a guardare oltre il consumi-
smo al processo della produzione stessa della merce. Il cinema, il corpo, la
fabbrica. Sebbene queste triadi siano di necessità concettualmente riduttive,
esse attirano l’attenzione su un aspetto importante dell’estetica di Godard
in cui la donna continua a giocare un ruolo nodale nonostante gli slitta-
menti e i cambiamenti nella sua agenda politica. Nel corso degli anni
Ottanta, la relazione significativa tra i primi due termini si è alterata in
modo che gli elementi che hanno contribuito all’enorme influenza teorica
di Godard degli anni Sessanta e Settanta emergono in una “combinazione”
differente con Passion (Id., 1981), Pre´nom Carmen (Id., 1983) e Je vous salue,
Marie. Passion è un film spartiacque, un momento in cui prendono forma le
priorità estetiche e politiche in trasformazione. Carmen è un film di transi-
zione, un film di crisi che segna la distanza che intercorre tra Passion e Je
vous salue, Marie.
Due topografie differenti sottostanno alla rete di collegamenti tra idee,
deviazioni di significato, spostamenti e condensazioni che si scambiano tra
le triadi. Per esempio, il cinema, il corpo femminile erotizzato e i prodotti
di consumo condividono tutti l’attributo dello spettacolo. Essi possono
2
Nel suo pamphlet La società dello spettacolo, che nei tardi anni Sessanta ha avuto
un’ampia influenza culminata nel maggio ’68, Debord ha istituito legami tra lo spettacolo e il
feticismo della merce. Egli scrive: «lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta
all’occupazione totale della vita sociale» [tr. it. La società dello spettacolo, Milano, Baldini &
Castoldi, 1997, p. 70]. In Une femme marie´e e in Deux ou trois choses que je sais d’elle Godard
mostra il corpo femminile come significante del feticismo della merce, collegandolo alla
società dello spettacolo attraverso il discorso della sessualità nella pubblicità.
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144 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
tra parte ancora, nella forma della prostituta, il rapporto della donna con le
merci è analogo. Entrambi si mettono in vendita sul mercato. Entrambi
devono esibire una superficie desiderabile. Entrambi devono circolare senza
riferimento ad alcuna storia al di fuori del momento dello scambio.
In Due o tre cose che so di lei, Juliette/Marina Vlady è una casalinga
proletaria che diventa una prostituta per comprare merci per se stessa e per
la sua famiglia. Lei condensa quindi, in una singola figura, un’analogia
metaforica della merce e una metonimia, il fare acquisti. Naturalmente,
Juliette fa acquisti anche per dar forma alla superficie desiderabile, l’“a-
spetto” che si ottiene con il trucco e i vestiti, che poi, a sua volta, implica la
seduzione di una superficie erotizzata che implica qualcosa di nascosto, un
segreto o un mistero. Mentre Godard attira l’attenzione sulla mercificazione
della donna, nella pubblicità del capitalismo consumista come pure, alla
lettera, nella prostituzione, contemporaneamente attira l’attenzione anche
su un’erotizzazione della merce. Di nuovo, una superficie seducente implica
qualcosa di nascosto. Le due cose condividono una struttura simile che può
anche essere estesa al cinema e al suo investimento in una seduzione di
superficie che nasconde i suoi meccanismi. E anche il cinema è a sua volta
una merce che circola con successo grazie al suo potere di seduzione e la
sua seduttività è molto spesso incapsulata nella presenza sullo schermo del
corpo femminile erotizzato. La somiglianza della struttura crea, cosı̀, un
canale attraverso il quale possono circolare i processi di spostamento e in
questo senso le connessioni metaforiche o metonimiche sono strutturate da
un’omologia fantasmatica. L’omologia rafforza i movimenti di idee e di-
spone connessioni subliminali profonde tra figurazioni che in superficie non
sembrerebbero cosı̀ strettamente intricate. La raffigurazione della femmini-
lità è centrale e l’enigma femminile permette a Godard di suggerire altri
enigmi, estetici, cinematografici e socio-economici (quello della merce).
L’omologia della superficie e l’insinuazione di una “profondità” fantasma-
tica proiettata dietro di essa incanala le idee e le immagini in una rete di
rimozioni e condensazioni incrociate.
Qui emerge la questione della visibilità. L’aspetto esteriore opaco,
placido e passivo di Juliette come oggetto sessuale viene giustapposto ai
suoi pensieri intimi trasmessi, tramite la colonna sonora, al pubblico ma
non ai personaggi sullo schermo, mentre si interpone anche la voce
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IL BUCO E LO ZERO 145
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146 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
3
Robert Stam, Jean-Luc Godard’s ‘‘Sauve qui peut (la vie)’’, «Millennium Film Journal», nn.
10-11, autunno/inverno 1981-1982.
4
Raymond Bellour, I Am an Image, «Camera Obscura», nn. 8-10, 1989, pp. 120-121.
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IL BUCO E LO ZERO 147
Godard cosı̀ a lungo vengono ad occupare tre spazi distinti che si riversano
l’uno nell’altro attraverso i fili intrecciati della narrazione. Lavoro-sesso-
suono/immagine. La sfera della fabbrica è rappresentata da Isabelle Hup-
pert come operaia e Michel Piccoli come padrone. Il personaggio di Piccoli
ricorda il padrone/cliente nella scena della macchina da sesso in Si salvi chi
può (la vita). Il personaggio di Isabelle ha legami con quella scena solo
attraverso la presenza dell’attrice e per il fatto che il suo personaggio è,
all’inizio del film, all’interno della “sfera” della fabbrica/macchina e sog-
getto al potere del padrone. La “sfera” del cinema è rappresentata dal
regista, il suo cast, la troupe e lo studio («il più costoso d’Europa») dove
stanno girando un film, anch’esso intitolato Passion. L’analogia fabbrica/ci-
nema continua e ci sono numerose sovrapposizioni tra queste due sfere. La
presenza di Piccoli, sebbene qui dalla parte della fabbrica, offre una traccia
evanescente del suo ruolo di sceneggiatore in Le Me´pris (Il disprezzo, 1963),
che riscrive l’Odissea più o meno come, in questo film, il regista cerca di
ricreare i dipinti degli Antichi Maestri. Nel loro comportamento e negli
atteggiamenti sociali, le dramatis personae della troupe del film ripropon-
gono la gerarchia e la divisione del lavoro della fabbrica. Jerzy, il regista, sul
set è autoritario e perentorio. Sophie, l’assistente di produzione, si com-
porta in modo molto simile a una manager di fabbrica; insiste sui ruoli,
sull’importanza della produttività e sul posto che occupa la narrazione nel
cinema. Patrick, l’assistente alla regia, si comporta in modo molto simile a
un caposquadra; fa il prepotente ed esorta le comparse a “lavorare”,
radunandole e sorvegliando la gestione del set, dando letteralmente la
caccia alle ragazze. La sfera del sesso/il corpo è rappresentata da Hanna
Schygulla, moglie di Piccoli, proprietaria dell’albergo in cui soggiornano il
cast e la troupe, e il mondo del film si sovrappone a quello della fabbrica
della porta accanto. Jerzy passa il tempo con Hanna mentre dovrebbe
dirigere il film, facendole guardare un video del suo viso, in primo piano,
registrato sotto l’influenza di un’emozione forte, quando cerca di persua-
derla a passare al mondo del cinema e a recitare una parte in Rubens.
Isabelle, l’operaia della fabbrica, all’inizio di Passion viene licenziata. La
sua narrazione è concentrata primariamente sulla sua lotta per la reintegra-
zione o il risarcimento e cosı̀ è apparentemente in armonia con il prece-
dente impegno di Godard nella lotta della classe operaia. Il suo personag-
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148 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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IL BUCO E LO ZERO 149
feticizzazione della superficie come tale. La fuga dal dilemma del feticismo,
dal bisogno radicale di defeticizzare la produzione culturale, è un segno del
passaggio dell’epoca della macchina, della fine delle problematiche della
modernità e delle politiche che hanno caratterizzato entrambe.
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150 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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IL BUCO E LO ZERO 151
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152 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Infine le donne: si rifletta su tutta la storia delle donne – non devono esse
prima e al di sopra di qualsiasi cosa essere delle commedianti? Si ascoltino
i medici che hanno ipnotizzato delle signore; e infine amiamole – lascia-
moci «ipnotizzare» da loro! Che cosa ne viene fuori ogni volta? Che esse si
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5
Friedrich Nietzsche, The Gay Science, New York, Vintage Books, 1974, p. 317; [tr. it. La
gaia scienza, Milano, Rizzoli, 2000, p. 347].
6
Ivi, p. 316; [tr. it. pp. 345-346].
7
Vedi Peter Wollen, Godard and Counter Cinema: Vent d’Est, in Readings and Writings,
London, Verso, 1982, pp. 89-90.
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IL BUCO E LO ZERO 153
fantasma di un altro cinema e del significato che una volta Rossellini aveva
per Godard. In un’intervista del 1962 con i «Cahiers du Cinéma» ha detto:
Il cinema è l’unica arte che, come dice Cocteau (in Orphe´e, credo)
mostra la «morte al lavoro», una frase glossata da Godard come «morte
ventiquattro volte al secondo». Questa citazione resuscita un’altra influenza
meno ovvia su Godard: André Bazin, il fervido cattolico co-fondatore dei
«Cahiers du Cinéma» che ha diretto dal 1951 fino alla morte nel 1958. In
Ontologia dell’immagine fotografica Bazin sostiene che le origini dell’arte
risiedono nel desiderio umano di vincere la morte, di mummificare il corpo
e di sconfiggere il tempo: «salvare l’essere mediante l’apparenza». Nella
storia dell’arte, questa «creazione di un universo ideale a immagine del
reale» è stata viziata dal bisogno dell’illusione, dalla «mentalità magica», e
sono stati solo Niépce e Lumière a redimere l’arte da questo peccato. Bazin
ha scritto: «per la prima volta, un’immagine del mondo esterno si forma
automaticamente senza intervento creativo dell’uomo [...] La fotografia
agisce su di noi in quanto fenomeno naturale, come un fiore o un cristallo
9
di neve la cui bellezza è inseparabile dalle origini vegetali o telluriche» . E
paragona la natura che l’oggetto condivide con la sua fotografia all’im-
pronta digitale.
Nelle categorie semiotiche di Charles Peirce, l’impronta digitale è un
indice, il segno nel quale l’oggetto lascia la sua traccia non mediata proprio
come la luce, in fotografia, trasferisce l’immagine nella celluloide. Peter
Wollen associa l’estetica baziniana dell’indice al suo interesse per le que-
stioni spirituali:
8
Tom Milne, Godard on Godard, cit., pp. 180-181; [tr. it. p. 185].
9
André Bazin, What is Cinema?, Berkeley, University of California Press, 1967, p. 12; [tr.
it. Che cosa e` il cinema?, Milano, Garzanti, 1973, p. 7].
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154 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
10
Peter Wollen, Signs and Meaning in the Cinema, London, BFI and Secker & Warburg,
1969, p. 134.
11
Ibid.
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IL BUCO E LO ZERO 155
nella scena, illumina il qui ed ora del momento filmico nella sua funzione di
indice e quando i personaggi di Godard si rivolgono direttamente alla
macchina da presa, non solo il documentario irrompe nella fiction ma quel
momento viene poi trasportato nella effettiva proiezione del film terminato
e lo schermo parla, ad ogni nuova proiezione, in quel preciso momento,
allo spettatore del futuro. È come se con il riconoscimento dell’apparato
cinematografico, tutto ciò che è solitamente nascosto e mascherato nel
processo di realizzazione di un film potesse aprire lo spazio segreto della
verità del cinema. L’interpellazione diretta, perciò, apre lo spazio buio
dell’auditorio. Le estetiche realiste di Brecht non sono le stesse di Bazin.
Inoltre, mentre Godard era in grado di defeticizzare il cinema e spiegare la
sovrapposizione feticista tra la donna come apparenza e la natura dissimu-
lata della merce del tardo capitalismo, la sua iconografia della femminilità
sullo schermo non si è mai affrancata da un aspetto feticista.
Precedentemente, ho descritto Passion come uno spartiacque nel lavoro
di Godard. Le sfere dello spazio narrativo, divise in percorsi tematici,
rimpiazzano la struttura per capitoli che Godard aveva utilizzato in Si salvi
chi può e spesso anche nei suoi film precedenti. In Passion, la nuova ricerca
di purezza di Godard, precedentemente convertita in materialismo, ora
assume la forma di una scissione delle differenti componenti narrative del
film in sfere distinte e quasi autonome. Queste divisioni sono ancora più
significative in Pre´nom Carmen. Carmen e l’erotismo sono funzioni dell’im-
magine, mentre Claire e la purezza si materializzano attraverso la musica. È
come se gli elementi del film, che sono solitamente avvolti insieme in
un’organizzazione gerarchica, fossero stati districati, in modo che il suono
acquisisce la colonna immagini e l’immagine è usata per generare la
colonna sonora. In Pre´nom Carmen, il film è diviso in spazi diversi secondo i
parametri formali piuttosto che in base alla narrazione o al tema. La musica
è tratta dai tardi quartetti d’archi di Beethoven. Un quartetto d’archi è
pensato per un’esecuzione informale e una “camera”, spazio in cui i membri
del quartetto praticano, si materializza, lungo lo spazio della storia, per dare
12
un’immagine alla musica della colonna sonora . In un’intervista Godard ha
descritto il suono di questo film come “scolpito”.
12
Vorrei ringraziare Michael Chanan per aver confermato e approfondito questo concetto
per me.
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156 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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IL BUCO E LO ZERO 157
mezzo come soggettive, fuori dallo spazio e dal tempo, cosı̀ l’infermiera
sembra mettere tra parentesi l’azione narrativa in Pre´nom Carmen. Quando il
cappotto dello zio Jean ha bisogno di rammendi durante una riunione di
produzione, l’infermiera riappare come responsabile del guardaroba e poi
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158 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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IL BUCO E LO ZERO 159
O’Hara in The Lady from Shanghai (La signora di Shanghai, 1948). In tutti
questi casi la passione dell’eroe per l’eroina è ambivalente.
“Carmen” rimanda a “Pierrot” non solo attraverso riferimenti quasi
subliminali come la frase fischiettata di Il chiaro di luna e il reiterato rifiuto
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160 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
ama fare con un uomo», Maria deve insegnare all’uomo come relazionarsi
al suo corpo senza la sessualità. In ciascun film l’iconografia di un personag-
gio femminile centrale contrasta con l’iconografia del personaggio femmi-
nile secondario. Mentre Claire, in Pre´nom Carmen, prefigura Maria ed è
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IL BUCO E LO ZERO 161
di Passion, la macchina da presa si muove tra lo spazio della troupe del film
e lo spazio del set, opponendo il lavoro compiuto per produrre l’immagine
al “finish” dell’immagine stessa. In questo caso, l’immagine consta di una
ragazza bella e nuda, che, su richiesta del regista, galleggia, distesa in forma
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162 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
piano del viso della donna gemente che funziona da garanzia del piacere,
13
viene ascoltata mentre pensa alle commissioni che deve fare» . Godard
illustra cosı̀ uno scarto tra il visibile e l’invisibile, un artificio esterno che
coinvolge la fede e una interiorità che richiede la conoscenza. Questo scarto
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nella conoscenza maschile dei piaceri sessuali delle donne rafforza l’ansia di
castrazione provocata dai genitali femminili, separati, come sono, dagli
organi riproduttivi femminili, mancanti di qualsiasi “segno” visibile del
piacere. Gayatri Spivak discute il problema rappresentato dalla sessualità
femminile in quanto inconoscibile per gli uomini. Cita Nietzsche sulle donne
che sono «tanto artiste» e commenta: «le donne si fingono nell’atto dell’orga-
smo anche nel momento in cui hanno un orgasmo. All’interno della storica
convinzione che le donne non siano in grado di provare l’orgasmo, Nietzsche
sostiene che la finzione è il solo piacere sessuale della donna. Nell’epoca del
più grande autocontrollo-con-estasi, la donna ha abbastanza autocontrollo da
organizzare un’auto-(rap)presentazione senza la presenza effettiva del piacere
14
sessuale da (rap)presentare» . È facile vedere, come ho detto prima, la frase
«la donna è tanto artista» nella mente di Godard. Quand’è che l’arte si
trasforma in artificio e viceversa? La simulazione della donna, come quella del
cinema, è spettacolo e ciò che si può soltanto considerare come una superficie
che ancora nasconde i suoi segreti; qualunque cosa lo spettatore voglia
vedere, egli può ancora sospettare...
Proprio alla fine di Je vous salue, Marie, Maria siede da sola in una
macchina, il volto in primo piano. Prende un rossetto dalla borsa e se lo
passa sulle labbra. La macchina da presa avanza fino a riempire l’inquadra-
tura con la forma della sua bocca, che diventa scura e cavernosa, circondata
dalle labbra luminose appena dipinte. Lei accende una sigaretta. Il ciclo è
completo, la vergine si trasforma in puttana, il buco torna a rompere la
perfezione dello zero. La rappresentazione della donna si mette addosso,
insieme alla sessualità, il suo aspetto cosmetico e, contemporaneamente,
viene rimessa al suo posto tra quella serie di oggetti definiti da una
topografia di interno/esterno, superficie/segreto.
Ho cercato di mostrare come una struttura topografica comune faciliti
la costruzione di analogie che, sebbene diverse nel contenuto, sono centrali
nella struttura delle idee di Godard. È, forse, come se l’analogia fosse
consentita dall’omologia. L’immagine di un involucro esterno che protegge
13
Constance Penley, Pornography, Eroticism, in Raymond Bellour e Mary Lea Bandy (a cura
di), Jean-Luc Godard: Son-Image 1974-1991, New York, Museum of Modern Art, 1992, p. 47.
14
Gayatri Chakravorty Spivak, Displacement and the Discourse of Woman, in Mark Krupnick (a
cura di), Displacement, Derrida and After, Bloomington, Indiana University Press, 1983.
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IL BUCO E LO ZERO 163
dalla vista uno spazio o contenuti interni solitamente porta con sé l’implica-
zione che se l’esterno si incrina i contenuti interiori possono disgustare e
forse nuocere. Da un punto di vista psicoanalitico, la superficie protettiva è
una difesa costruita dall’ego al modo del feticcio. Esso nega l’interno ma,
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di bell hooks
Prima di vedere il film di Spike Lee She’s Gotta Have It (Lola Darling, Usa
1986), ne sento parlare. La gente mi dice, «è nero, è divertente, è qualcosa
che non vorresti perdere». Con tutte queste chiacchiere, specialmente da
parte di gente nera che di solito non va al cinema, divento riluttante,
persino sospettosa. Se piace a tutti, anche a gente bianca, ci deve essere
qualcosa di sbagliato da qualche parte! Inizialmente sono questi i pensieri
che mi hanno trattenuto dal vedere il film, ma non ne sono stata lontano a
lungo. Quando ricevo lettere e telefonate da donne nere studiose e amici
che mi raccontano del film e vogliono discutere se ritragga una donna nera
liberata o meno, mi decido ad andare al cinema. Non vado da sola. Vado
con le mie amiche nere Beverly, Yvette e Maria, cosı̀ che possiamo parlarne
insieme. Alcune delle cose dette quella sera nella foga della discussione
informano le mie considerazioni.
Spettatrice appassionata di film, soprattutto del lavoro di cineasti indi-
pendenti, ho trovato che nella tecnica, nello stile e nell’intera produzione di
Lola Darling ci fosse molto da apprezzare. Sono stata rincuorata soprattutto
nel vedere sullo schermo immagini di neri che non fossero caricature
grottesche, immagini che erano familiari, immagini che a livello simbolico
catturavano l’essenza, la dignità e lo spirito di quella qualità sfuggente
conosciuta come “anima”. Era un film molto pieno di sentimento.
Pensando al film da una prospettiva femminista, considerando le sue
Whose Pussy Is This? A Feminist Comment, in bell hooks, Reel to Real. Race, Sex and
Class at the Movie, New York and London, Routledge, 1996, pp. 227-235.
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166 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
i nazionalisti culturali neri degli anni Sessanta e Settanta non fecero che
confermare l’effetto di isolamento che tali requisiti ideologici hanno sull’e-
spressione creativa. Le loro molteplici proibizioni e prescrizioni abortirono
un momento storico gravido di promesse. Sembra evidente che gli sforzi
di subordinare il profondo e penetrante processo creativo della gente di
colore a un momento ideologico soffochino la vitalità creativa della
comunità.
Mentre intendo sostenere con enfasi che i giudizi estetici non dovreb-
bero poggiare unicamente su criteri ideologici o politici, ciò non significa
che tali criteri non possano essere usati insieme ad altre strategie critiche
per stabilire il valore complessivo di un dato lavoro. Ciò non implica
l’assunzione di una svalutazione nella discussione critica di questi criteri.
Negare la validità di una critica estetica che includa gli aspetti ideologici e
politici significa dissimulare la verità che ogni lavoro estetico incarna gli
aspetti politici e ideologici come parte della sua struttura fondamentale.
Nessun lavoro estetico trascende la politica o l’ideologia.
Significativamente, il film Lola Darling è stato pubblicizzato, lanciato sul
mercato e discusso in recensioni e conversazioni in un modo che ha
sollevato questioni politiche e ideologiche sia sul film che sulle reazioni del
pubblico. Il film era «una storia di donna»? Il film dipingeva un’immagine
radicalmente nuova della sessualità femminile nera? Un uomo può real-
mente raccontare una storia di donna? Uno spettatore mi ha posto la
questione in questi termini «Nola Darling è una donna liberata o solo una
PUTTANA?» (Questo è il modo in cui era scritta questa frase in una lettera
inviatami da una professoressa nera di cinema che ha scritto che «stava
aspettando una risposta femminista».) Non c’è stata una risposta femminista
molto estesa al film proprio a causa dell’assai diffusa celebrazione pubblica
di ciò che in questo film è nuovo, differente e eccitante. Dato l’antifemmini-
smo diffuso della cultura popolare e della sottocultura nera, una critica
femminista potrebbe semplicemente essere aggressivamente liquidata. Tut-
tavia per pensatrici femministe evitare la critica pubblica significa ridurre il
potere del film. È una conferma di quel potere il fatto che esso ci obbliga a
pensare, a riflettere, ad assumere l’impegno fino in fondo.
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«DI CHI È QUESTA FICA?» 167
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«DI CHI È QUESTA FICA?» 169
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di Barbara Creed
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176 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
2
Per un’introduzione alla filosofia e agli scritti del College vedi Denis Hollier (a cura di), The
College of Sociology (1937-1939), Minneapolis, University of Minnesota Press, 1988.
3
Julia Kristeva, Powers of Horror, cit., p. 2; [tr. it. p. 4].
4
Ibid.
5
Ivi, p. 75; [tr. it. p. 85].
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KRISTEVA, LA FEMMINILITÀ, L’ABIEZIONE 177
mangiare carne umana [Blood Feast, Motel Hell, Blood Diner (Il ristorante
all’angolo), The Hills Have Eyes (Le colline hanno gli occhi ), The Corpse
Grinders].
L’abiezione fondamentale è il cadavere. Il corpo si protegge dai rifiuti
corporei come le feci, il sangue, l’urina e il pus espellendoli esattamente
come espelle il cibo che, per qualche ragione, il soggetto trova detestabile.
Il corpo espelle queste sostanze, liberandosi di loro e al tempo stesso dal
luogo in cui cadono, in modo da poter continuare a vivere: «i rifiuti cadono
perché io viva finché, di perdita in perdita, non mi resti nulla e il mio corpo
cada intero al di là del limite, cadere, cadavere. Se la spazzatura significa
l’altro aspetto del limite, quello dove non sono e che mi consente di essere,
il cadavere, il più disgustoso dei rifiuti, è un limite che ha invaso tutto. Non
7
sono più io a espellere, “io” è espulso» .
Anche nel contesto biblico il cadavere è assolutamente abietto. Esso
simboleggia una delle forme più essenziali di corruzione: il corpo senza
anima. Quale forma di spazzatura, esso rappresenta l’opposto dello spiri-
tuale, del simbolico religioso. Per quanto riguarda il film horror, è impor-
tante notare che la maggior parte delle figure dell’orrore più popolari sono
«corpi senza anima» (vampiri), «cadaveri viventi» (zombi), divoratori di
cadaveri (demoni che divorano cadaveri), robot o androidi. Ma è altret-
tanto interessante osservare che le antiche figure di abiezione, come il
vampiro, il demone divoratore, lo zombie e la strega (uno dei suoi più gravi
delitti era l’utilizzo dei cadaveri per i riti magici) continuano a fornire
alcune delle immagini dell’orrore più irresistibili nel cinema moderno.
Anche i licantropi, i cui corpi denotano un crollo del limite tra l’umano e
l’animale, rientrano in questa categoria.
L’abiezione si verifica altresı̀ quando l’individuo è un ipocrita, un
bugiardo. Le cose abiette sono quelle che mettono in evidenza la «fragilità
della legge» e che esistono dall’altra parte del limite che divide il soggetto
vivente da ciò che minaccia la sua estinzione. L’abiezione, però, è una cosa
dalla quale il soggetto non potrà mai sentirsi libero: è sempre presente,
invitando il sé a prendere il posto dell’abiezione, il posto in cui crolla il
6
Ivi, p. 3; [tr. it. p. 5].
7
Ivi, pp. 3-4; [tr. it. p. 5].
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178 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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KRISTEVA, LA FEMMINILITÀ, L’ABIEZIONE 179
al loro genere da quanti non lo fanno [Psycho (Id.), Dressed to Kill (Vestito per
uccidere), A Reflection of Fear]; oppure il limite è tra il desiderio sessuale
normale e quello anormale [The Hunger (Miriam si sveglia a mezzanotte), Cat
People (Il bacio della pantera)]. La maggior parte dei film horror crea un
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confine tra ciò che Kristeva definisce «corpo proprio e puro» e il corpo
abietto, o il corpo che ha perduto la propria integrità e forma. Il corpo
pienamente simbolico non deve conservare tracce del proprio debito verso
la natura. Secondo Kristeva, l’immagine del corpo della donna, a causa
delle sue funzioni materne, riconosce il proprio «debito verso la natura» e
di conseguenza è più adatto a significare l’abietto8. La nozione di corpo
femminile materiale è centrale per la costruzione del limite nel film horror.
Esplorerò compiutamente quest’area fondamentale nei capitoli seguenti.
È piuttosto interessante osservare come diversi sottogeneri di film
horror sembrano corrispondere a categorie religiose di abiezione. Per
esempio, il cannibalismo, un’abominazione religiosa, è centrale nei film “di
carne” [The Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi ), Le colline
hanno gli occhi]; il cadavere come abominazione diventa l’abietto dei film di
demoni divoratori e zombi [Evil Dead (La casa); Zombie Flesheaters]; il
sangue è centrale per i film di vampiri (Miriam si sveglia a mezzanotte) e per
i film horror in genere (Bloodsucking Freaks); il cadavere è costruito come
l’abietto di praticamente tutti i film horror; e la deturpazione del corpo
come abominazione religiosa è centrale anche per il film di sfregiatori,
particolarmente quelli in cui viene sfregiata la donna, essendo il marchio un
segno della sua “differenza”, della sua impurità (Vestito per uccidere, Psycho).
Il terzo modo in cui il film horror illustra l’opera dell’abiezione è la
costruzione della figura materna come abietta. Kristeva sostiene che ogni
individuo prova abiezione al momento dei primissimi tentativi di staccarsi
dalla madre. Ritiene che il rapporto madre-figlio sia caratterizzato dal
conflitto: il bambino lotta per liberarsi ma la madre è riluttante a lasciarlo.
A causa della «instabilità della funzione simbolica» in rapporto a questo
ambito estremamente cruciale – «la proibizione riposta nel corpo materno
(come difesa contro l’autoerotismo e il tabù dell’incesto)» –, secondo Kri-
steva il corpo materno diventa un luogo di desideri contrastanti. «Qui regna
la pulsione per costituire uno strano spazio che chiameremo con Platone
(Timeo, 48-53), una chora, un ricettacolo»9. La posizione del bambino è resa
8
Ivi, p. 102; [tr. it. p. 115].
9
Ivi, p. 14; [tr. it. p. 16].
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180 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
ancora più instabile perché la forte presa che la madre mantiene sul
bambino può servirle ad autenticare la sua esistenza – un’esistenza che
necessita di convalida a causa del suo rapporto problematico con il domi-
nio del simbolico.
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si tratta precisamente dei riti della sozzura e delle loro derivazioni che
poggiando sul sentimento di abiezione e convergendo tutti verso il ma-
terno cercano di simbolizzare quell’altra minaccia per il soggetto che è
l’inghiottimento nella relazione duale in cui il soggetto rischia non tanto di
perdere una parte (castrazione), bensı̀ di perdersi completamente come
vivente. Questi riti religiosi hanno la funzione di scongiurare la paura del
soggetto di affondare senza ritorno nella madre la propria identità11.
10
Ibid.
11
Ivi, p. 64; [tr. it. p. 73].
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KRISTEVA, LA FEMMINILITÀ, L’ABIEZIONE 181
12
Ivi, p. 72; [tr. it. pp. 81-82].
13
Ibid.
14
Ivi, p. 74; [tr. it. p. 84].
15
Ibid.
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182 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
corpo, non erano visti come oggetti di imbarazzo e vergogna. Situata nel
sociale simbolico, la loro presenza nel film horror può suscitare una
risposta di disgusto da parte del pubblico, ma a un livello più arcaico la
rappresentazione dei rifiuti del corpo può invocare piacere rompendo il
tabù sulla sozzura – descritto talvolta come un piacere nella perversità –
come pure il piacere di tornare al tempo in cui il rapporto madre-figlio era
caratterizzato dal piacere non intralciato di “giocare” con il corpo e i suoi
rifiuti.
Il moderno film horror spesso “gioca” con il suo pubblico, saturandolo
con scene di sangue e effetti truculenti e raccapriccianti, mostrando delibe-
ratamente la fragilità dell’ordine simbolico nel dominio del corpo dove il
corpo non cessa mai di segnalare il mondo represso della madre. Nell’Esor-
cista il mondo del simbolico, rappresentato dal sacerdote come padre, e il
mondo del presimbolico, rappresentato da una ragazza pubescente schie-
rata dalla parte del diavolo, si scontrano, testa in avanti, in scene in cui la
malvagità della donna è denotata dal suo corpo putrido, sudicio, coperto di
sangue, urina, escrementi e bile. Significativamente, la ragazza posseduta è
anche vicina al periodo mestruale: in una scena, il sangue dei suoi genitali
feriti si mescola con il sangue mestruale offrendo una delle immagini chiave
di orrore del film. In Carrie lo sguardo di Satana, l’atto più mostruoso del
film ricorre quando la coppia è impregnata del sangue del maiale, che
simboleggia il sangue mestruale nei termini fissati dal film; nel film ci si
riferisce alle donne come “maiali”, le donne «sanguinano come maiali», e il
sangue del maiale scorre lungo il corpo di Carrie in un momento di intenso
piacere, proprio come il sangue mestruale le scende lungo le gambe
durante un momento di piacere simile, quando gode del proprio corpo
nella doccia. Qui, il sangue del maiale e il sangue della donna scorrono
insieme, significando orrore, vergogna e umiliazione. In questo film, co-
munque, la madre sta per il simbolico, identificandosi con un ordine che ha
definito la sessualità della donna come fonte di ogni male e la mestruazione
come segno del peccato.
La semiotica di Kristeva postula una dimensione preverbale del lin-
guaggio che si rapporta ai suoni e al tono della voce e all’espressione diretta
delle pulsioni e del contatto fisico con la figura materna: «essa dipende dal
senso, ma in un modo che non è quello dei segni linguistici né dell’ordine
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KRISTEVA, LA FEMMINILITÀ, L’ABIEZIONE 183
simbolico da essi instaurato»16. Con l’ingresso del soggetto nel simbolico, che
separa il bambino dalla madre, la figura materna e l’autorità che rappre-
senta vengono represse. Kristeva sostiene allora che è una funzione dei riti
della sozzura, particolarmente di quelli collegati al sangue mestruale e agli
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16
Ivi, p. 72; [tr. it. p. 81].
17
Ivi, p. 17; [tr. it. p. 19].
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PIACERI
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di Gaylyn Studlar
Masochism and the Perverse Pleasures of the Cinema, in Bill Nichols (a cura di), Movies
and Methods II, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1985, pp.
602-621.
1
Christine Gledhill, Recent Developments in Feminist Criticism, «Quarterly Review of Film
Studies», vol. 3, autunno 1978, pp. 457-93. Nella sua revisione del 1984 di questo articolo per
Revision: Essays in Feminist Film Criticism (Frederick/Md., AFI-University Publications of
America, 1984), Gledhill riarticola la sua critica originaria.
2
Gilles Deleuze, Masochism: An Interpretation of Coldness and Cruelty, New York, George
Braziller, 1971; [tr. it. Il freddo e il crudele, Milano, SE, 1996]; Leopold von Sacher-Masoch,
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188 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Venus in Furs, tr. Jean McNeil, in Deleuze; Masochism, cit. [tr. it., Venere in pelliccia, Milano,
ES, 1993].
3
Ivi, p. 95; [tr. it. p. 120].
4
Ivi, p. 52.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 189
5
Leopold von Sacher-Masoch, Venus in Furs, cit., p. 129; [tr. it. p. 24].
6
Gilles Deleuze, Masochism, cit., p. 80.
7
Donatien Alphonse François de Sade, The 120 Days of Sodom and Other Writings, tr. ingl.
a cura di Austryn Wainhouse e Richard Seaver, New York, Grove Press, 1966, p. 577; [tr. it.
Le 120 giornate di Sodoma, ES, Milano, 1991, p. 300].
8
Gilles Deleuze, Masochism, cit., p. 31; [tr. it. p. 38].
9
Ivi, pp. 16-19, vedi anche Roland Barthes, Sade/Fourier/Loyola, tr. ingl. Richard Miller,
New York, Hill & Wang, 1976, pp. 31-37; [tr. it. Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso,
Torino, Einaudi, 1977].
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190 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
10
Roland Barthes, Sade/Fourier/Loyola, cit., p. 34.
11
Jean-Louis Baudry, The Apparatus, «Camera Obscura», vol. 1, autunno 1976, pp. 105-126;
Robert Eberwein, Reflection on the Breast, «Wide Angle», vol. 4, n. 3, 1981, pp. 48-53.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 191
nelle teorie di Laura Mulvey, Claire Johnston, Mary Ann Doane e di altri12.
Il “modello masochista” potrebbe essere visto come un tentativo di usare il
primo approccio per rivolgersi ai temi dell’ultimo.
Freud ha affrontato la questione del masochismo in numerosi saggi; le
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sue opinioni sulla perversione sono cambiate nel corso degli anni, ma è
stato coerente nella sua convinzione che il conflitto edipico fosse la causa
della perversione. La colpa e l’ansia di castrazione del padre spingono il
bambino maschio ad assumere una posizione passiva per placare il padre e
ottenere il suo amore. Essere picchiati dal padre (o la femmina che fornisce
al padre il travestimento nella fantasia conscia) era «non solo la punizione
per la relazione genitale vietata con la madre, ma anche un sostituto
regressivo per essa». La punizione acquisiva «eccitazione libidinale» e «qui»,
13
dichiarava Freud, «abbiamo l’essenza del masochismo» . Freud ha svilup-
pato una teoria del masochismo come impulso primario che esprime
l’Istinto di Morte, ma era continuamente spinto a riaffermare la comple-
mentarità di masochismo e sadismo. Egli affermava che, nel primo, l’accre-
sciuto sadismo del superego fosse conservato nella libido con l’ego come
14
“vittima”. Nel sadismo l’Istinto di Morte era deviato verso l’esterno .
Deleuze crede che le attività del superego/ego di sadismo e masochi-
12
Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», vol. 16, autunno 1975,
pp. 6-18; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978, pp.
26-41]. Claire Johnston, Note’s on Women’s Cinema, London, Society for Education in Film
and Television, 1973, pp. 2-4; Mary Ann Doane, Misrecognition and Identity, «Cinè-Tracts»,
vol. 3, autunno 1980, pp. 25-32; Mary Ann Doane, Film and the Masquerade: Theorising the
Female Spectator, «Screen», vol. 23, settembre-ottobre 1982, pp. 74-87; [tr. it. Cinema e
mascheramenti: per una teoria della spettatrice, in Giuliana Bruno e Maria Nadotti (a cura di),
Immagini allo schermo. La spettatrice e il cinema, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991, pp. 63-82;
ora, con il titolo Il film e la mascherata: teorie sulla spettatrice, in Mary Ann Doane, Donne
Fatali, Parma, Pratiche, 1995, pp. 21-43].
13
Sigmund Freud, A Child is Being Beaten, (1919) in Philip Rieff (a cura di), Sex and the
Psychology of Love, New York, Macmillan, Collier Books, 1963, p. 117; [tr. it. Un bambino
viene picchiato: contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali, in Sigmund Freud,
Opere, vol. IX, Torino, Bollati Boringhieri, 1966-1980]. Vedi The Economic Problem in
Masochism, in General Psychological Theory: Papers on Metapsychology, Philip Rieff (a cura di),
New York, Macmillan, Collier Books, 1963, pp. 190-93; [tr. it. Il problema economico del
masochismo (1924), in Opere, cit., vol. X], per il primo saggio di Freud ad usare la teoria
dell’istinto di morte come un modo di affrontare i dilemmi clinici e teoretici. Vedi anche
Instincts and Their Vicissitudes, (1915) in General Psychological Theory, p. 25, e Three Essays on
the Theory of Sexuality, Standard Edition of the Complete Psychological Works, James Strachey (a
cura di), London, Hogarth Press, 1953-66, vol. 7, pp. 159-61; [tr. it. Pulsioni e loro destini (vol.
VIII) e Tre saggi sulla teoria sessuale (1905, vol. IV), in Opere, cit.].
14
Sigmund Freud, The Economic Problem in Masochism, cit., pp. 190-191.
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192 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
smo siano completamente differenti, ma, più importante per uno studio di
masochismo e cinema, egli fa della madre la determinante primaria nella
15
struttura della fantasia masochistica e nell’eziologia della perversione .
Contemporaneamente oggetto d’amore e agente di controllo per il bam-
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15
Gilles Deleuze, Masochism, cit., pp. 50-54. Vedi anche Bernhard Berliner, On Some
Psychodynamics of Masochism, «Psychoanalytic Quarterly», vol. 16, 1947, pp. 459-471; Gustav
Bychowski, Some Aspects of Masochistic Involvement, «Journal of the American Psychoanalytic
Association», vol. 7, aprile 1959, pp. 248-273; E. Bergler, The Basic Neurosis, New York,
Grune and Stratton, 1949, per altri punti di vista che individuano la genesi del masochismo
nella relazione madre/figlio. Vedi Deleuze, Masochism, cit., pp. 111-112, sul superego/ego.
16
Bernhard Berliner, Libido and Reality in Masochism, «Psychoanalytic Quarterly», vol. 9,
1940, pp. 323-326, 333. Deleuze ritiene che la madre orale del masochismo sia la madre
buona che assume le funzioni delle due «cattive madri del masochismo», la madre eterica e
la madre edipica. Nel corso del processo di assunzione, le funzioni vengono sublimate e,
come spiega Deleuze, «questa concentrazione sulla madre orale implica il primo aspetto in
base al quale il padre viene annullato» (p. 55; [tr. it. p. 70]).
17
Gustav Bychowski, Some Aspects of Masochistic Involvement, cit., p. 60. La questione del
perché il dolore sia necessario nella dinamica masochista del piacere è ancora una delle più
controverse in psicoanalisi. Vedi Abram Kardiner, Aaron Karush e Lionel Ovesey, A
Methodological Study of Freudian Theory III: Narcissism, Bisexuality, and the Dual Instinct Theory,
«Journal of Nervous and Mental Disorders», vol. 129, 1959, pp. 215-222. Vedi anche Gilles
Deleuze, Masochism, cit., pp. 108-109.
18
Roy Schafer, The Idea of Resistance, «International Journal of Psychoanalysis», vol. 54,
1973, p. 278.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 193
19
Gilles Deleuze, Masochism, cit., p. 95; [tr. it. p. 120]. «Altro esempio, nel masochismo il
senso di colpa gioca un ruolo molto importante, ma come fenomeno di copertura, come
sentimento umoristico di una colpa già “rovesciata”; la colpa non è più quella del figlio verso
il padre, ma quella dello stesso padre, e della somiglianza del padre nel figlio [...] La colpa
viene “masochisticamente” vissuta come già rovesciata, fittizia e ostentatoria [...]». La teoria
di Deleuze – secondo la quale il padre è colpevole – non è cosı̀ insolita come può apparire a
prima vista. Vedi Claude Lévi-Strauss, The Raw and the Cooked, tr. Joahan e Doreen
Weightman, New York, Harper & Row, 1969, p. 48.
20
Michael de M’Uzan, A case of Masochistic Perversion and an Outline of a Theory,
«International Journal of Psycoanalysis», vol. 54, 1973, p. 462.
21
Theodore Reik, Masochism in Modern Man, tr. M. H. Beigel e G. M. Kruth, New York,
Farrar, Straus, 1941, p. 428.
22
Gilles Deleuze, Masochism, cit., pp. 59-60.
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194 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
23
Vedi Victor Smirnoff, The Masochistic Contract, «International Journal of Psycho-
analysis», vol. 50, 1969, pp. 666-671, per un’analisi del masochismo pesantemente indebitata
con il lavoro di Deleuze, ma che riduce il ruolo del dolore e enfatizza quello dell’alleanza
contrattuale nella perversione. Io stessa devo ammettere il mio debito nei confronti di
Marsha Kinder per avermi suggerito questo sviluppo del modello di Deleuze.
24
Robin Wood, Venus de Marlene, «Film Comment», vol. 14, marzo-aprile 1978, p. 60.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 195
25
Laura Mulvey, Visual Pleasure, cit., p. 14; [tr. it. p. 35].
26
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade, cit., p. 82; [tr. it. p. 34]. Doane si riferisce
all’immagine di Dietrich come artista di teatro. Si serve delle osservazioni di Sivia Boven-
schen in Is There a Feminine Aesthetic?, «New German Critique», vol. 11, inverno 1977, p.
130, e le usa per supportare le sue considerazioni sulla femminilità eccessiva. In realtà
Bovenschen associa Dietrich ad un «understatement intellettuale» e allude al fatto che sia
diventata un «mito» nonostante «il suo sottile disprezzo per gli uomini». La complessità
dell’immagine di Dietrich nella discussione di Bovenschen non avalla l’uso che Doane fa
delle sue dichiarazioni per associare Dietrich a «un eccesso di femminilità». David Davidson
ha collocato il personaggio di Lola interpretato da Dietrich in The Blue Angel (L’angelo
azzurro) all’interno della tradizione della «donna amorale». Egli fa alcune osservazioni
interessanti sulla sessualità «minacciosa» di questi personaggi femminili in relazione alla
teoria di Mulvey.
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196 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
confutare l’analisi di Laura Mulvey del ruolo della donna nella strategia
narrativa e nello stile visivo dei film. Egli sostiene che Von Sternberg sia
«pienamente consapevole» della posizione della femmina come oggetto
dello sguardo maschile e in Blonde Venus (Venere bionda) se ne serva come
28
di un «tema articolato» piuttosto che di un prodotto finito . Comunque,
egli non ha confutato la fondamentale premessa di Mulvey: che il piacere
visivo nel cinema narrativo classico è basato sui meccanismi del complesso
di castrazione.
Piuttosto che sviluppare un’analisi testuale dettagliata, questo esame di
estetica masochista e cinema esplora le implicazioni teoriche più vaste del
masochismo in relazione al piacere visivo. Esaminerò brevemente queste
implicazioni in relazioni a cinque questioni cruciali: (1) la donna definita
come mancanza, (2) lo sguardo maschile definito dal controllo, (3) la causa
e la funzione del disconoscimento e del feticismo, (4) lo schermo del sogno
e (5) l’identificazione, in particolare l’identificazione con il sesso opposto.
27
Carole Zucker, Some Observations on Sternberg and Dietrich, «Cinema Journal», vol. 19,
primavera 1980, p. 21. La posizione ambivalente del masochismo nei confronti del femmi-
nile garantisce la sua alternanza tra freddezza e partecipazione, sacrificio e tortura, ma, come
mette in evidenza Deleuze, la donna nello scenario masochistico non è sadica, ma «incarna
l’elemento del “far soffrire” in una prospettiva esclusivamente masochista» (p. 38; [tr. it. p.
46]). Raramente la femmina sessualizzata è giudicata colpevole nei film di Von Sternberg,
ma è rappresentativa del superego e del padre.
28
Robin Wood, Venus de Marlene, cit., p. 61.
29
Claire Pajaczkowska articola questo punto in The Heterosexual Presumption: A Contribu-
tion to the Debate on Pornography, «Screen», vol. 22, 1981, p. 86.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 197
Nel masochismo, la madre non è definita né come mancanza né come
“fallica” rispetto a un semplice trasferimento del simbolo del potere del
maschio. Essa è potente di per se stessa perché possiede ciò che manca al
30
maschio – il seno e il grembo . Nutrice attiva, prima fonte d’amore e
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30
Gilles Deleuze, Masochism, cit., p. 56. Sebbene l’agente materno possa essere considerato
un ruolo socialmente determinato piuttosto che strettamente biologico, questa definizione
alternativa non sembra appropriata a questa particolare applicazione di Deleuze e della
ricerca pregenitale. È stato indicato, in modo interessante, che nello stadio pregenitale la
differenza sessuale non è un problema per il bambino eccetto che nei termini di seno/non
seno.
31
Ivi, p. 56; [tr. it. p. 71].
32
Ivi, pp. 80-81; Gustav Bychowski, Some Aspects of Masochistic Involvement, cit., p. 260.
33
Ivi, p. 49; [tr. it. p. 61]; La donna nello scenario masochistico è una femme fatale, ma di
tipo molto particolare. Il pericolo che lei rappresenta soppianta il suo ritratto come femmina
“amorale” e sessualizzata che minaccia il controllo sociale. Il “mistero” della femme fatale del
masochismo è il mistero del grembo, della rinascita e del vincolo simbiotico del bambino
con la madre. Lei rappresenta l’unità dialettica tra liberazione e morte, il legame tra Eros e
Thanatos che colloca il primo al servizio dell’ultimo.
34
Vedi Kaja Silverman, Masochism and Subjectivity, «Framework», vol. 12, 1980, p. 2. La
discussione di Silverman sull’uso masochistico del gioco del fort/da è molto valida; comun-
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198 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
que, non posso essere d’accordo con le sue generalizzazioni su piacere culturale/dispiacere
istintivo o con la sua lettura di Freud (specialmente riguardo al trasferimento dell’impulso
espressione a un impulso contrario). Silverman suggerisce anche l’idea che il feticismo sia
collegato all’identificazione (p. 6), una nozione abbastanza importante da indagare in
dettaglio.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 199
35
Roy Schafer, The Idea of Resistance, cit., p. 278. Vedi anche Robert Stoller, Sexual
Excitement, New York, Simon and Schuster, 1979; Nancy Chodorow, The Reproduction of
Mothering: Psychoanalysis and the Sociology of Gender, Berkeley, University of California Press,
1978; Joyce Trebilcot (a cura di), Mothering: Essays in Feminist Theory, Totowa/New Jersey,
Rowman & Allanheld, 1984. Mentre la mia breve analisi di Freud in questo articolo
necessita di una generalizzazione sulla sua posizione nei confronti delle donne, dovrebbe
essere notato che egli considera l’influenza della madre, ma, come dimostrano le sue teorie
sul masochismo e su varie altre sintomatologie, il padre, l’invidia del pene, la paura di
castrazione, e l’enfasi sulla fase fallica (e il corrispondente disinteresse nelle fasi pre-edipica e
genitale) effettivamente destituiscono la madre dal suo compito. Vedi Viola Klein, The
Feminine Character: History of an Ideology, New York, International Universities Press, 1949.
36
Hans Loewald, Papers on Psychoanalysis, New Haven, Yale University Press, 1980, p.
165.
37
Janine Chasseguet-Smirgel, Freud and the Female Sexuality: The Consideration of Some
Blind Spots in the Exploration of the Dark Continent, «International Journal of Psychoanalysis»,
vol. 57, 1976, p. 196.
38
Robert Dickes esamina il feticcio come “memoria schermo” in Fetishistic Behavior: A
Contribution to Its Complex Development and Significance, «Journal of the American Psychoana-
lytic Association», vol. 11, 1963, pp. 324-330. Vedi anche Anneliese Riess, The Mother’s Eye:
For Better and for Worse, «The Psychoanalytic Study of the Child», vol. 33, 1978, pp. 381-405.
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200 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
39
Janine Chasseguet-Smirgel, Freud and the Female Sexuality, cit., p. 281. Ethel Spector
Person ha suggerito che la dipendenza infantile può essere la chiave per le relazioni di
potere nella sessualità: «i limiti alla “liberazione” sessuale, cioè liberazione dalle contamina-
zioni del potere, non si fondano sulla natura biologica della sessualità, o su programmi
culturali o politici, e certamente non sulla differenza sessuale, ma poggiano sulla condizione
universale della dipendenza infantile» (p. 627). Vedi Sexuality as the Mainstay of Identity:
Psychoanalytic Perspective, «Signs», vol. 5, estate 1980.
40
Michel Foucault, The History of Sexuality vol. I: An Introduction, tr. ingl. Robert Hurley,
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 201
Lo sguardo
Mentre i piaceri dell’apparato cinematografico inteso come schermo del
sogno sono stati associati da Jean-Louis Baudry e Robert Eberwein al
piacere della fase orale, i piaceri della visione dell’immagine femminile al
cinema sono stati immancabilmente connessi alla fase fallica, al complesso
di castrazione e ai conseguenti “bisogni” fisiologici dello spettatore ma-
schio.
La struttura dello sguardo è uno degli elementi più importanti nella
definizione del piacere visivo. Secondo Laura Mulvey, il film narrativo è
fatto per il piacere del solo spettatore maschio, che possiede “indiretta-
mente” la donna attraverso lo sguardo, o piuttosto lo scambio di sguardi
creato dalla macchina da presa, lo sguardo della star maschile e lo sguardo
dello spettatore stesso. La donna sopporta il «peso del desiderio maschile»,
che è «nato con il linguaggio». Ella cristallizza il paradosso del «momento
traumatico» della nascita del desiderio – il complesso di castrazione, perché
lei rappresenta la differenza sessuale. Lo spettatore maschio sfugge all’ansia
di castrazione evocata dall’immagine femminile sia attraverso il voyeurismo
sadico (demistificando il femminile), sia attraverso la scopofilia feticistica.
Quest’ultima, un «completo disconoscimento della castrazione», trasforma
41
la donna in un feticcio, il significante del fallo assente . Il modello determi-
nistico e polarizzato di Mulvey porta la sua teoria del piacere visivo a un
cruciale “punto cieco” che è stato messo in evidenza da D. N. Rodowick. In
The Difficulty of Difference, Rodowick afferma che Mulvey evita le logiche
conseguenze della sua stessa teoria che richiederebbero di accoppiare
masochismo, sottomissione passiva all’oggetto e scopofilia feticistica. A
causa della «natura politica della sua tesi», conclude Rodowick, Mulvey non
può ammettere che lo sguardo maschile contenga elementi passivi e possa
significare sottomissione alla piuttosto che possesso della donna42.
New York, Pantheon Books, 1978, pp. 108-109; [tr. it. La volontà di sapere, Milano,
Feltrinelli, 1988].
41
Laura Mulvey, Visual Pleasure, cit., pp. 13-14; [tr. it. pp. 32-35].
42
David W. Rodowick, The Difficulty of Difference, «Wide Angle», vol. 5, n. 1, 1982,
pp. 7-9.
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202 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
43
Laura Mulvey, Visual Pleasure, cit., pp. 11, 14; [tr. it. pp. 27, 36].
44
Christian Metz, The Imaginary Signifier, tr. ingl. Celia Britton, Annwyl Williams, Ben
Brewster, Alfred Guzzetti, Bloomington, Indiana University Press, 1982, pp. 59-63; [tr. it. Il
significante immaginario, in Id. Cinema e psicanalisi, Venezia, Marsilio, 1997, pp. 64-69].
45
Jean Laplanche, Life and Death in Psychoanalysis, tr. ingl. Jeffrey Mehlman, Baltimore,
Johns Hopkins University Press, 1976, p. 102; [tr. it. Vita e morte nella psicanalisi, Bari,
Laterza, 1972].
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 203
sente sua zia che accoglie il suo amante: «non capivo cosa si dicessero,
ancora meno cosa facessero; ma sentivo il mio cuore battere con forza,
perché mi rendevo perfettamente conto della situazione in cui mi trovavo
[...]». Il marito interrompe l’incontro degli amanti. Madame Zenobia inizia
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46
Leopold Von Sacher-Masoch, A Childhood Memory and Reflection on the Novel, appen-
dice prima in Gilles Deleuze, Masochism, cit., pp. 232-233; [tr. it. pp. 152-153].
47
Sylvan Keiser, Body Ego During Orgasm, «Psychoanalytic Quarterly», vol. 21, aprile 1952,
pp. 160, 103.
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204 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
48
Heath, «un vero voyeur» , lo spettatore deve evitare la relazione orgasmica
che effettivamente distruggerebbe i confini del disconoscimento e interrom-
perebbe il pensiero magico che definisce l’uso orale, infantile e narcisistico
che lui/lei fa dell’oggetto cinematografico. L’onnipotenza narcisistica dello
spettatore è come l’onnipotenza narcisistica e infantile del masochista, che
in definitiva non può controllare il partner attivo. Immobile, avvolto dal
buio, lo spettatore diventa l’oggetto recettore passivo che è anche soggetto.
Lo spettatore deve comprendere le immagini, ma le immagini non possono
essere controllate. A questo livello di piacere lo spettatore riceve, ma non
vengono avanzate rivendicazioni riguardo agli oggetti.
Feticismo e disconoscimento
L’estetica masochista rappresenta un ambito cruciale per lo sviluppo di una
critica delle teorie del piacere visivo imperniata sul ruolo dell’angoscia di
castrazione nella formazione del piacere spettatoriale maschile. Il masochi-
smo non viene associato all’angoscia di castrazione, mentre il feticismo è
una parte integrante delle sue dinamiche. Il disconoscimento e il feticismo,
le due matrici comuni del masochismo e del piacere spettatoriale cinemato-
grafico, non sempre riflettono il trauma psichico della castrazione e della
differenza sessuale definita come mancanza femminile.
La recente ricerca psicoanalitica sul periodo preedipico indica che il
disconoscimento e il feticismo sono operativi molto ma molto prima dello
stadio fallico e non funzionano necessariamente come difesa contro l’ansia
di castrazione. Di particolare importanza per lo studio del piacere visivo e
del masochismo è il punto di vista secondo cui il feticismo e il masochismo
testimoniano il bisogno prolungato dell’identificazione primaria con la
49
«madre preedipica onnipotente» . Se la relazione madre/bambino viene
disturbata quando i confini del corpo del bambino non sono ben stabiliti, il
48
Stephen Heath, Questions of Cinema, Bloomington, Indiana University Press, 1981, p.
189.
49
P. J. Van der Leeuw, The Preoedipal Phase of Male, «The Psychoanalytic Study of the
Child», vol. 13, 1958, p. 369. Vedi anche Robert C. Bak, Fetishism, «Journal of the American
Psychoanalytic Association», vol. 1, 1953, p. 291.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 205
50
P. J. Van der Leeuw, The Preoedipal Phase of Male, cit., pp. 352-374; Charles Socarides,
The Development of a Fetishistic Perversion: The Contribution of Preoedipal Phase Conflict,
«Journal of the American Psychoanalytic Association», vol. 8, aprile 1960, pp. 307-309;
Robert C. Bak, Fetishism, cit., p. 291. Bak sostiene che il bambino normale pensa che sia
possibile identificarsi con la madre e emulare il suo potere positivo (cioè, partorire un
bambino) e nel frattempo rimediare alla separazione da lei (attraverso il feticismo) senza
mettere in pericolo l’integrità fallica (p. 286). Joseph Solomon, Transitional Phenomena and
Obsessive-Compulsive States, in Simon A. Grolnick, Leonard Barkin, Werner Muesterberger (a
cura di), Between Reality and Fantasy: Transitional Objects and Phenomena, New York, Jason
Aronson, 1978, pp. 250-251, associa il feticismo al senso di integrità del corpo che il
bambino ha tratto dalla madre.
51
Robert Dickes, Fetishistic Behavior, cit., p. 320.
52
Ivi, p. 327.
53
M. Wulff, Fetishism and Object Choice in Early Childhood, «Psychoanalytic Quarterly»,
vol. 15, 1945, pp. 465-470. Charles Socarides, The Development of a Fetishistic Perversion, cit.,
p. 309. Brunswick, Lampl-de Groot, Jacobson, Kestenberg, Socarides e molti altri collegano
la perversione feticista al periodo preedipico. La maggior parte concludono che il feticismo
ha poco a che vedere con il periodo fallico o la sessualità genitale durante la sua formazione,
ma ciò non significa che il feticcio non possa rappresentare il fallo. Wulff definisce il legame
tra il feticismo infantile e il feticismo adulto osservando le contraddizioni nel loro rapporto e
il bisogno di ulteriori ricerche. Griselda Pollock in What’s Wrong with Images of Women,
«Screen Education», vol. 24, autunno 1977, pp. 25-33, ha suggerito che la teoria del
feticismo di Freud (in particolare nel modo in cui è adottata da Mulvey) non riesce a
rendere conto dell’immaginario vaginale in pornografia.
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206 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
54
Ralph Greenson, Dis-identifying from Mother: Its Special Importance for the Boy, «Interna-
tional Journal of Psychoanalysis», vol. 49, 1968, pp. 370-374; vedi anche Nancy Chodorow,
Family Structure and Feminine Personality, in S. Rosaldo e L. Lamphere (a cura di), Woman,
Culture, and Society, Stanford, California, Stanford University Press, 1978, p. 50; Janine
Chasseguet-Smirgel, Freud and the Female Sexuality, cit., pp. 281-284. In Il film e la mascherata,
Doane insiste sul fatto che la donna è «fatta in maniera diversa per quanto concerne il
processo della vista» (p. 80, [tr. it. pp. 30-31]).
55
Charles Socarides, The Development of a Fetishistic Perversion, cit., p. 304. Vedi anche
Stoller, Sexual Excitement, pp. 7-13; Freud, The Psychogenesis of a Case of Homosexuality in a
Woman, in Philip Rieff (a cura di), Sex and the Psychology of Love, cit., pp. 133-159.
56
Charles Socarides, The Development of a Fetishistic Perversion, cit., p. 304.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 207
alla fase orale57. Come gli oggetti feticcio che seguono, lo schermo del
sogno ripristina il senso di totalità della prima relazione simbiotica, cosı̀
come ripristina l’unità dell’ideale indifferenziato ego/ego. Esso funziona
come una «coperta buona» che riunisce lo spettatore/bambino con l’og-
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getto originario del desiderio che riduce l’ansia dell’ego liberato dai confini
58
del corpo .
Nel ricostituire l’ambiente del primo sonno dello schermo del sogno,
l’apparato cinematografico ristabilisce i confini fluidi del sé. In L’irricordabile
e l’indimenticabile: la repressione primaria passiva, Alvan Frank discute i
benefici psichici delle esperienze allucinatorie schermo/seno che creano
un’assenza dei confini dell’ego e permettono la regressione a modelli
59
percettivi precedenti . Il cinema può anche offrire questo tipo di ripara-
zione psichica nella ricreazione di un fenomeno dello schermo che con-
sente l’accesso ai “ricordi” dimenticati delle prime esperienze infantili.
Lo schermo del sogno come la prima allucinazione della gratificazione
è una nozione essenziale per considerare il piacere cinematografico. Attra-
verso l’immaginazione il bambino crea la madre e il seno. Proprio come il
seno immaginario non può offrire un nutrimento reale o l’interazione con
la madre, l’apparato cinematografico non può procurare intimità o fusione
con gli oggetti reali. Lo spettatore deve disconoscere un’assenza: lo
schermo del sogno offre solo una gratificazione parziale al desiderio sim-
biotico. Le immagini dell’oggetto/schermo non possono essere possedute
fisicamente o controllate dallo spettatore. “L’equivoco” spettatoriale del
controllo sulle immagini cinematografiche è meno un equivoco che un
disconoscimento della perdita dell’autonomia dell’ego sulla formazione
dell’immagine.
57
Jean-Louis Baudry, The Apparatus, cit., p. 125. «Può sembrare peculiare che il desiderio
che costituisce l’effetto cinematografico sia radicato nella struttura orale del soggetto. Le
condizioni della proiezione evocano la dialettica interno/esterno, inghiottire/inghiottito,
mangiare/essere mangiato, che è caratterizzata da ciò che si è strutturato durante la fase
orale [...] La relazione visiva orifizio/orifizio orale agisce allo stesso tempo come analogia e
come differenza, ma punta anche al rapporto di consecuzione tra la soddisfazione orale, il
sonno, lo schermo bianco del sogno sul quale verranno proiettate immagini del sogno,
l’inizio del sogno».
58
Judith S. Kestenberg e Joan Weinstock, Transitional Objects and Body-Image Formation, in
Between Reality and Fantasy, cit., p. 82.
59
Alvan Frank, The Unrememberable and the Unforgettable, «The Psychoanalytic Study of
the Child», vol. 24, 1969, p. 56. Vedi anche Ernst Kris, On Preconscious Mental Processes, in
David Rapaport (a cura di), Organization and Patology of Thought, New York, Columbia
University Press, 1951, p. 493.
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208 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Identificazione
Nel ripristinare il narcisismo primario del pre-ego, il cinema incoraggia una
regressione caratterizzata da tutte le possibilità dell’identificazione e della
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60
W. Gillespie, Notes on the Analysis of Sexual Perversion, «International Journal of Psychoa-
nalysis», 1952, p. 397. Vedi anche Hans Loewald, Papers on Psychoanalysis, Yale University
Press, New Haven, 1980, pp. 268-269, 401-402. Vedi Nancy Chodorow, The Reproduction of
Mothering, cit., sulla eccezionale tecnica di difesa dell’ego, dell’identificazione primaria e
dello stadio orale, p. 60.
61
Hans Loewald, Papers on Psychoanalysis, cit., pp. 16-17.
62
Ivi, p. 17.
63
Sigmund Freud, A Child is Being Beaten, p. 129; Robert Stoller, Facts and Fancies: An
Examination of Freud’s Concept of Bisexuality, in Jean Strouse (a cura di), Women and Analysis,
New York, Grossman, 1974, pp. 357-360.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 209
dia del maschio per il seno della donna, per l’allattamento come anche la
sua invidia per la capacità della donna di concepire e mettere al mondo
bambini [...] dall’infanzia e durante tutta la vita, a livello conscio, precon-
scio e inconscio, in varie proporzioni ed enfasi, l’obiettivo umano sembra
quasi inevitabilmente quello di essere entrambi i sessi, con la conseguenza
inevitabile che tentiamo sempre in ogni momento e attraverso ogni azione
64
di affermare e negare contemporaneamente le nostre identità di genere .
64
Lawrence Kubie, The Drive to Become Both Sexes, in Herbert J. Schlesinger (a cura di),
Symbols and Neurosis, New York, International University Press, 1978, pp. 195, 202. Vedi
anche Zilboorg e Kittay.
65
Charles Socarides, The Development of a Fetishistic Perversion, cit., 307; Gregory Zilboorg,
Masculine and Feminine: Some Biological and Cultural Aspects, «Psychiatry», vol. 7, 1944, pp.
257-296; Eva Feder Kittay, Womb Envy: An Explanatory Concept, in Joyce Trebilcot (a cura
di), Mothering: Essays in Feminist Theory, cit., pp. 94-128.
66
Bruno Bettelheim, Symbolic Wounds, Glencoe, III, The Free Press, 1954, p. 260.
67
Mary Ann Doane, Film and The Masquerade, cit., pp. 74-88; Laura Mulvey, Afterthoughts
on “Visual Pleasure and Narrative Cinema” Inspired by Duel in the Sun, «Framework», vol. 6,
nn. 15/16/17, estate 1981, pp. 12-15; [tr. it. Le ambiguità dello sguardo, in «Lapis», n. 7, marzo
1990, pp. 38-42].
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210 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
68
Lawrence Kubie, The Drive to Become Both Sexes, cit., p. 211. Vedi anche Loewald, Papers
on Psychoanalysis, cit., pp. 268-269.
69
Jean Laplanche e Jean-Bertrand Pontalis, The Language of Psychoanalysis, New York, W.
W. Norton, 1973, pp. 243-246; [tr. it. Enciclopedia della psicoanalisi, Roma e Bari, Laterza,
1993].
70
Otto Fenichel, The Scoptophilic Instinct and Identification, in Collected Papers of Otto
Fenichel: First Series, New York, Norton, 1953, p. 377.
71
Lawrence Kubie, The Drive to Become Both Sexes, cit., p. 211.
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IL MASOCHISMO E I PIACERI PERVERSI DEL CINEMA 211
72
Edith Jacobson, The Self and the Object World, New York, International Universities
Press, 1964.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA
MARX, FREUD E IL “MONEY SHOT”
di Linda Williams
Fetishism and Hard Core. Marx, Freud, and the “Money Shot”, in Susan Gubar e Joan Hoff (a
cura di), For Adult Users Only, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press,
1989, pp. 198-217.
L’espressione “money shot”, la cui traduzione letterale sarebbe «inquadratura del denaro»,
è un’espressione del gergo pornografico che non ha equivalente in lingua italiana. Tuttavia,
è interessante notare che l’espressione inglese “money shot” è stata a volte utilizzata al di
fuori dall’ambito strettamente pornografico al quale originariamente apparteneva e piegata a
descrivere tutte quelle situazioni in cui il piacere (o il dispiacere) viene esplicitamente
espresso in termini visibili e corporali. Cfr. ad esempio il testo di Laura Grindstaff intitolato
proprio The Money Shot: Trash, Class, and the Making of Tv Talk Shows (Chicago, University
of Chicago Press, 2002) in cui l’autrice prende in prestito l’espressione per applicarla alla
logica dei talk show quotidiani, il cui momento culminante è, come nel caso del “money
shot” del film pornografico, quello in cui il talk show mette a nudo i sentimenti e le
emozioni dei suoi ospiti, «rende visibile il preciso momento del lasciarsi andare, della
perdita del controllo, della resa al corpo e alle sue emozioni “animali”» (p. 20). (N.d.t.)
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214 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
1
Ho discusso estesamente la forma del film per soli uomini nell’ambito del genere
pornografico nel mio libro di prossima pubblicazione, Hard Core: Power, Pleasure and the
“Frenzy of the Visibile”, (poi pubblicato da Berkeley, University of California Press, 1989, il
capitolo in questione è il terzo e si intitola The Stag Film: Genital Show and Genital Event, pp.
58-92).
2
Sfortunatamente, si è scritto molto poco sulla storia di entrambe queste fasi. Il libro di Al
Di Lauro e Gerald Rabkin sul film per soli uomini (1976) rappresenta uno studio iniziale di
questa forma. Ma non c’è nessuno studio equivalente per il lungometraggio narrativo
pornografico. Naturalmente non mancano lavori sull’erotismo e la sessualità nei film in
generale; né posizioni teoriche o morali riguardanti questa nuova fase del genere. L’assioma
«se ne hai visto uno l’hai visti tutti» non è mai stato preso cosı̀ seriamente in nessun altro
genere della cinematografia popolare. La breve sinossi proposta qui non è in alcun modo un
tentativo di scrivere questa storia mancante. Tuttavia è necessario dare qualche significato a
questa storia. Nel fare questo ho contato soprattutto sulle mie concezioni personali e su una
presentazione molto breve e imprecisa della pornografia filmica in un capitolo di Erotic
Communications (1980) di George Gordon. Una storia in qualche modo più esauriente è
fornita dal mio libro.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 215
3
Cfr. George Gordon, Erotic Communications, New York, Hastings House, 1980, p. 118.
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216 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
film dai titoli quali Cartelle cliniche dal Kraft-Ebing (Fratelli Dakota, 1971), la
4
compilation di film sulla storia del cinema per soli uomini , un “resoconto”
5
su un salone per massaggi o un “rapporto” da dietro le quinte di un regista
6
di film di exploitation difficilmente possono essere seriamente considerati
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4
Per esempio, History of the Blue Movie di Alex De Renzy (1970) – una sorta di That’s
Entertainment del film per soli uomini. Questo film, insieme a Hollywood Blue (1971), riciclava
gli elementi messi in risalto dai film illegali per soli uomini come parte del processo della sua
stessa legittimazione.
5
Rabin’s Revenge (“La vendetta di Rabin”, Fratelli Mitchell, 1971).
6
The Casting Call (“L’audizione”, prodotto dalla Gentlemen II, 1970).
7
Cfr. Michel Foucault, The History of Sexuality, vol. I, An Introduction (1976), New York,
Pantheon, 1978; [tr. it. La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978].
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 217
marsi di una nuova consuetudine nel palesamento del piacere del corpo.
L’eiaculazione visibile ed esterna del pene nel “money shot” è quella
consuetudine. Sebbene il lungometraggio porno includa un gran numero di
“inquadrature della carne” in molte delle sue sequenze hard core, raramente
conclude queste sequenze mostrando solo la penetrazione genitale. Ora
deve avere la prova visiva dell’ammissione involontaria del piacere che la
penetrazione nasconde. Le tappe della visibilità sono state percorse fino a
includere il preciso momento narrativo dell’orgasmo (maschile).
Con il “money shot” potrebbe sembrare di essere arrivati a ciò che la
volontà di conoscenza cinematografica ha perseguito implacabilmente da
quando il fotografo Eadweard Muybridge proiettò per la prima volta sullo
schermo della sua aula magna l’immagine di corpi nudi in movimento:
l’evidenza visiva della “verità” meccanica del piacere fisico colta in uno
spasmo involontario; l’ammissione definitiva e incontrollabile – definitiva
perche´ incontrollabile – del piacere fisico nel climax dell’orgasmo.
Nello stesso tempo, questo insistente primo piano di ciò che dopotutto
è solo un orgasmo maschile, questo momento finale di ammissione della
“verità”, potrebbe anche essere visto come il limite ultimo della rappresen-
tazione visiva del piacere sessuale. Poiché, per mostrare la “verità” quantifi-
cabile e materiale del suo piacere, l’attore di un lungometraggio pornogra-
fico deve ritrarsi da ogni rapporto tattile con i genitali o la bocca della
donna, affinché il “prodotto” del suo seme sia visibile. Per questo l’attore di
film pornografici è particolarmente ben pagato, di qui almeno uno dei
motivi del nome dell’inquadratura.
Con l’istituzione di questa convenzione, si richiede agli spettatori di
credere che i performer sessuali del film, nel momento cruciale dell’orga-
smo maschile, passino da una forma di piacere tattile a una forma di
piacere visivo. È una concezione comune a molta pornografia hard core dei
primi anni Settanta, che la donna preferisca la vista del pene in eiaculazione
o il tocco esterno dello sperma all’introduzione del pene dentro di lei. Essa
chiederà spesso “che lui venga” nel familiare “linguaggio scurrile” del
genere da poco sonoro; dirà, per esempio, che vuole che l’uomo le «venga
su tutta la faccia», che vuole vedere lo sperma uscire dal suo «grosso cazzo
duro» o sentirlo sgorgare su varie parti del suo corpo. Allo stesso tempo,
tuttavia, risulta sempre abbastanza evidente che questo spettacolo non è in
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218 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
realtà per i suoi occhi. Oltretutto è possibile che chiuda gli occhi se l’uomo
le viene sulla sua faccia, e non può assolutamente vedere l’eiaculazione
quando lui le viene, come fa di frequente, sulle natiche o sulle reni.
L’uomo, d’altra parte, vede quasi sempre l’eiaculazione; essa è palese-
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8
Uso qui il termine nel suo senso generale di deviazione dal piacere organico del sesso
genitale verso forme derivate o vicarie di piacere. È importante comprendere, comunque,
che sebbene il termine perversione racchiuda sempre l’idea di “deviare bruscamente” da una
norma istintiva, già ai tempi del suo Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) Freud stava
lavorando per abbattere i limiti norma/deviazione di tale interpretazione e teorizzare la
sessualità stessa come intrinsecamente perversa.
9
Jane Gallop, Feminist Criticism and the Pleasure of the Text, saggio non pubblicato, 1985,
pp. 13, 17.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 219
10
Ivi, p. 12.
11
Luce Irigaray, Speculum of the Other Woman, Ithaca, Cornell University Press, 1986
(edizione originale 1974); [tr. it. Speculum. L’altra donna, Milano, Feltrinelli, 1974].
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220 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
12
Roland Barthes, The Pleasure of the Text, New York, Hill and Wang, 1974 (edizione
originale 1973); [tr. it. Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975].
13
È anche interessante notare che nei loro numerosi scritti sulla sessualità e sul piacere né
Foucault né Barthes scrivono da omosessuali. Le loro voci, come mi ha fatto notare Julia
Lesage leggendo la prima stesura di questo saggio, sono le voci di intellettuali che articolano
la “verità” della sessualità restando al di fuori persino della propria differenza.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 221
sostituto del fallo della donna (della madre) a cui il piccino ha creduto e a
cui non vuole rinunciare [...] Non è vero che il bambino, anche dopo aver
osservato la donna, ha mantenuto intatta la propria fede nel fallo della
donna. È un convincimento che ha conservato, ma al tempo stesso ha
abbandonato; nel conflitto fra l’importanza della percezione indesiderata e
la forza del controdesiderio egli è giunto a un compromesso possibile
soltanto quando dominano le leggi inconsce del pensiero [...] In effetti
nella sfera psichica la donna continua a possedere un pene, ma questo
pene non è più lo stesso di una volta. Qualcosa d’altro [...] ha ora
14
Karl Marx, Capital, New York, The Modern Library, 1906 (edizione originale 1867); [tr.
it. Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1964-65].
15
Ivi, p. 83.
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222 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
16
Sigmund Freud, Fetishism (1927), in The Standard Edition of the Complete Psychological
Works of Sigmund Freud, London, Hogarth Press, 1964, vol. 21, p. 153; [tr. it. Feticismo, in
Opere 1924-1929, vol. X, Torino, Bollati Boringhieri, 1978, pp. 492-493].
17
Due lavori recenti mi hanno fornito storie utili dell’evoluzione del concetto di feticcio
nel passaggio dal diciottesimo secolo al diciannovesimo. Essi sono W. T. J. Mitchell,
Iconology: Image, Text, Ideology, Chicago, University of Chicago Press, 1986, e David Simpson,
Fetishism and Imagination: Dickens, Melville, Conrad, Baltimore, Johns Hopkins University
Press, 1982.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 223
sando che l’oggetto feticcio abbia un valore intrinseco. I feticisti sia mar-
xiani che freudiani collocano le forme illusorie e compensative di piacere e
potere nel luccichio dell’oro o nei pizzi di un indumento intimo. In un
certo senso, quindi, entrambi i teorici offrono un’applicazione economica di
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quella che nel diciottesimo secolo era stata in principio una critica della
religione – Marx nei termini economici diretti dell’investimento del lavoro
e Freud nel senso più indiretto di un’economia libidinale. Per entrambi, la
feticizzazione coinvolge la costruzione di un oggetto sostitutivo per evadere
le complesse realtà dei rapporti sociali o psichici.
I feticci sono perciò soluzioni a breve scadenza e miopi nei confronti
dei problemi reali del potere e del piacere nelle relazioni sociali. Per Freud,
comunque, la fede illusoria nel feticcio è una perversione relativamente
minore. Egli accetta come verità percettiva «l’orrore» e la «minaccia» di
castrazione oggettivamente collocate nei «genitali femminili reali» e perciò
tende a simpatizzare con la falsa credenza del feticista. Egli non condanna,
come Marx, la falsa credenza come pura barbarie. Piuttosto, universalizza la
perversione come parte dei processi naturali del pensiero primario e
infantile.
Ma laddove Freud tende a normalizzare la perversione, Marx retorica-
mente insiste sul punto di una moderna barbarie del feticismo della merce.
W. J. T. Mitchell nota che «l’orrore del feticismo» per Marx e per gli
antropologi del diciottesimo secolo era parimenti collocato non semplice-
mente «nell’atto illusorio e figurativo di trattare oggetti materiali come se
fossero persone» ma nel trasferimento della coscienza umana a «cose
18
inanimate» che «sembravano far sgorgare l’umanità fuori dall’idolatra» .
L’orrore sta dunque nel carattere perverso di uno scambio in cui, come
Marx dice altrove nel Capitale, le persone cominciano a relazionarsi l’una
19
con l’altra come cose e le cose assumono le relazioni sociali delle persone .
Potremmo essere tentati, quindi, di considerare Marx come il teorico
più incline ad utilizzare il feticismo come un termine legato ad un abuso
moralizzatore e fuori moda. Egli accusa esplicitamente coloro che sono
vittime dell’incantesimo della merce di essere come selvaggi che hanno
ceduto la propria umanità a una cosa. Ma è Freud, il famoso scopritore
della razionalità umana che sta dietro le perversioni, a credere realmente
nella verità visiva di ciò che il feticista vede quando guarda il corpo della
donna; è Freud a credere «nell’orrore della castrazione» dei genitali femmi-
18
W. T. J. Mitchell, Iconology: Image, Text, Ideology, cit., p. 190
19
Karl Marx, Capital, cit., p. 73; W. T. J. Mitchell, Iconology, cit., p. 190
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224 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 225
Il “money shot”
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20
Cfr. Herbert Marcuse, One Dimensional Man, Boston, Beacon Press, 1964; [L’uomo a una
dimensione, Torino, Einaudi, 1967]; Guy Debord, La Socie´te´ du Spectacle, Paris, Buchet/Castel,
1967; [La società dello spettacolo, Milano, Baldini & Castoldi, 1997].
21
W. T. J. Mitchell, Iconology, cit., pp. 191-192.
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226 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
venditore usa il valore d’uso come mezzo per ottenere il valore di scambio
in forma di soldi. Gli scopi contraddittori del consumatore e del produttore
generano molto rapidamente una situazione in cui non importa più quale
sia il reale valore d’uso di una merce finché essa appare utile al consuma-
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tore. In tal modo, nella prima fase dello sviluppo del capitalismo, l’illusione
estetica diventa una funzione indipendente della vendita. Confezione e
desiderabilità cominciano a prendere il posto del prodotto tangibile, piutto-
22
sto che comprovarne l’utilità .
Quindi, l’aspetto più caratteristico della forma tardo capitalista del
consumo feticistico, è che, sempre più, non viene acquistato niente di
tangibile. Possiamo comparare il piacere della visione di un film pornogra-
fico contemporaneo al più diretto scambio tra la prostituta e il cliente, in
cui il consumatore, almeno momentaneamente, possiede la «merce» (o al
primitivo film per soli uomini, in cui la «merce» interpella direttamente lo
spettatore come consumatore). Il vantaggio – per il capitale – di questa
nuova forma di soddisfazione vicaria dell’immagine è che l’inconsistenza
stessa del valore d’uso acquistato rinvia alla struttura dei bisogni, rinno-
vando la disponibilità del consumatore a pagare per ciò che non possederà
23
mai .
Come dice Haug, «le merci prendono in prestito il proprio linguaggio
estetico dal corteggiamento umano» e lanciano sguardi accattivanti ai loro
24
acquirenti . L’effetto di tale corteggiamento della merce mediato dal de-
naro è che le «persone sono condizionate a godere di ciò che le tradisce»,
anche quando, come il feticista, sanno che il loro divertimento è fondato su
25
un’illusione . In una società post-industriale, consumare (si dice) è la chiave
di un’economia sana, anche se gonfiata. Forse nel pene gonfiato e “consu-
mato” del «money shot» possiamo vedere condensati tutti i principi della
società consumistica tardo capitalista alla ricerca del piacere: il piacere
rappresentato come un orgasmo del consumo; il feticcio non semplice-
mente come merce ma come surplus di valore dell’orgasmo.
Ma prima di addentrarci nelle seducenti attrazioni di quest’analogia
economica, potremmo innanzitutto esplorare alcuni dei presupposti sessuali
che stanno al di sotto della sua superficie. Poiché c’è qualcosa di quasi
22
F. W. Haug, Critique of Commodity Aesthetics: Appearance, Sexuality and Advertising in
Capitalist Society, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1986, p. 32 (edizione originale
1971).
23
Ivi, p. 55.
24
Ivi, p. 19.
25
Ivi, p. 53.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 227
26
Stephen Marcus, The Other Victorians: A Study of Sexuality and Pornography in Mid-
Nineteenth Century England, New York, New American Library, 1974, (1964), pp. VIII-XIV.
27
Ivi, p. 22.
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228 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
pia» del diciannovesimo secolo esprime sogni utopici nati da realtà econo-
micamente e fisiologicamente limitate. Ma in un’analisi marxista che si rifà
alla tradizione della scuola di Francoforte della falsa coscienza, Marcus
considera l’abbondanza senza limiti della sessualità femminile come un
surplus dei sensi francamente distopico, come la falsa coscienza di una
società consumistica vorace e insaziabile.
La rappresentazione della sessualità maschile come desiderio utopico
attivo, la rappresentazione della sessualità femminile come falsa coscienza
passiva – tali sono i paradossi del tentativo di trascinare l’economia e la
storia nell’analisi della rappresentazione sessuale. Marcus offre un’illustra-
zione drammatica dell’incapacità di un’economia visiva fallica di immagi-
nare il piacere femminile come nient’altro che un’insufficienza o un eccesso
rispetto ai propri limiti.
Al di sotto di questa applicazione storica di due pesi e due misure sta la
dicotomia fondamentale di maschio soggetto/femmina oggetto, che poi
genera una pletora di ulteriori dicotomie – attivo/passivo, produzione/con-
sumo, visibile/invisibile – ognuna delle quali considera la donna, come ha
evidenziato Luce Irigaray, semplicemente come assenza o negativo di ciò
che un uomo è o ha: l’uomo ha il fallo, la donna non lo ha; l’uomo è il
logos, la donna è il silenzio; l’uomo è chiaramente rappresentabile, la donna
28
è il «continente oscuro» . L’argomento di Irigaray è che l’economia basilare
– sia nel senso marxiano della merce che nel senso freudiano del desiderio
libidinale – che funziona in tale dicotomizzazione è quella dell’uguaglianza
o identità. Essa afferma che quest’uguaglianza è in realtà una forma di
omosessualità maschile all’interno dell’eterosessualità: ad esempio, con l’o-
mosessualità intesa non come desiderio di un uomo per un uomo ma come
soggettività primitiva fallica che non riesce né a riconoscere né a immagi-
29
nare le reali differenze della donna .
Il paradosso della pornografia visiva contemporanea e del suo «money
shot» potrebbe quindi essere descritto come segue: è il tentativo ossessivo
di un’economia visiva fallica di rappresentare la differenza del piacere
28
Luce Irigaray, Speculum, cit., pp. 22, 26.
29
Luce Irigaray, This Sex Which Is Not One, Ithaca, Cornell University Press, 1985, p. 177
(edizione originale 1977); [tr. it. Questo sesso che non e` un sesso, Milano, Feltrinelli, 1978].
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 229
30
Ivi, p. 177; [tr. it. p. 147].
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230 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
31
Ivi, p. 183; [tr. it. p 150].
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 231
vanza. Se gli uomini pensano che le donne siano versioni castrate di loro
stessi, afferma lei, è a causa di una fondamentale castrazione – «un buco» –
nella loro stessa economia significante limitata che può solo immaginare il
desiderio della donna come desiderio del pene32.
Il valore di tale analisi è che essa colloca al posto giusto la castrazione e
la feticizzazione – nelle presunte incapacità del corpo e della mente del
maschio consumatore della pornografia. Dal punto di vista dell’acquisizione
di potere femminile, l’affermazione più fiduciosa di Irigaray è il suggeri-
mento che la fobia freudiana suscitata negli uomini dalla perturbante
stranezza del «niente da vedere» della donna, sia in realtà la paura che lei
non possieda l’invidia che l’uomo presume che lei abbia – la paura, in altre
parole, che abbia altri desideri di natura differente da quelli di lui33.
L’argomento di Irigaray è che gli uomini sono ciechi rispetto alle donne:
rispetto ai loro organi sessuali differenti e multipli. Ma la soluzione a questa
cecità non è di celebrare o di fissare (a turno) un singolo emblema visivo
della differenza di lei, poiché anche questo sarebbe feticizzare, isolare
l’organo da una più ampia dinamica storica delle relazioni di scambio
all’interno della quale esso opera.
Il «money shot» in definitiva potrebbe quindi essere visto come quel
momento in cui l’economia «omosessuale» maschile è maggiormente in
crisi, torna maggiormente a uno standard di valore assoluto e unitario. Ma
il significato di questa affermazione non dovrebbe essere quello di sostenere
che la pornografia sia irrimediabilmente fallica. Dovrebbe essere quello di
dire, piuttosto, che essa è irrimediabilmente fallica in questo modo partico-
lare, in questo momento particolare, a causa delle pressioni all’interno del
suo stesso discorso per rappresentare la verità visiva dei piaceri femminili
sui quali sa molto poco.
Infatti, avendo il 1987 come punto d’osservazione, è ora possibile
vedere che il «money shot» è sul punto di diventare, come le convenzioni
nei western dei buoni con il cappello bianco e dei cattivi con il cappello
nero, un inattuabile e incredibile arcaismo le cui grossolanità e i cui limiti
32
Luce Irigaray, Speculum, cit., p. 49.
33
Ivi, p. 51.
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232 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
sono diventati sempre più evidenti34. Come chiede Irigaray: «chissà che, a
forza d’esibire, senza pudore, la fallocrazia ovunque regnante, non diventi
possibile un’altra economia sessuale? La pornografia come “catarsi” del
dominio fallico? Come svelamento della soggezione sessuale delle don-
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35
ne?» . Nel breve segmento di Questo sesso che non e` un sesso dedicato alla
pornografia, Irigaray non tenta in alcun modo di rispondere a queste
domande. Ma le domande stesse suggeriscono il valore strategico di un
atteggiamento femminista verso la pornografia che cerca i semi di un’eco-
nomia sessuale differente nell’indagine delle limitazioni e delle carenze di
quella dominante.
Le domande continuano: «“il di più” deve finire nel “di meno”?...
L’accumulo deve finire nella dissipazione fino ad esaurimento delle riser-
ve?... All’orizzonte della scena pornografica c’è forse il persistente fascino
della mancanza? L’uomo confesserebbe cosı̀ la propria incapacità di godere
36
delle ricchezze? Della natura?» . Forse se le donne possono iniziare a porre
questo tipo di domande alla pornografia esistente, siamo sulla strada che
porterà alla formulazione e all’articolazione dei piaceri sessuali fondati su
un’economia dell’abbondanza piuttosto che della scarsità, dei molti piutto-
sto che dell’uno.
34
La caduta di accento dal pene e dal “money shot” è già avvenuta in un piccolo numero
di film hard core ora diretti dalle donne. Vedi soprattutto i lavori di Candida Royale Urban
Heat e Femme. Si sta verificando la stessa cosa anche in hard core più convenzionali e
orientati al maschile. Cfr. la serie Insatiable con Marilyn Chambers.
35
Luce Irigaray, This Sex, cit., p. 203; [tr. it. p. 168].
36
Ivi, p. 202.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 233
tante rispetto a quello del film per soli uomini. Laddove il film per soli
uomini viene rapidamente al dunque dell’atto sessuale, presupponendo che
nell’atto sessuale stia il proprio significato, il proprio compimento, Gola
profonda è tipico della nuova onda dell’hard core post-1972 per il fatto che
sembra problematizzare questo compimento. È significativo, perciò, che
Linda confessi non il peccatuccio dell’esplorazione sessuale ma ciò che –
nei primi anni Settanta – e in parte come risultato di nuove rappresenta-
zioni di piaceri sessuali come questi – era diventato molto più vergognoso:
che lei non trovi un totale appagamento in questa esplorazione.
Ciò che qui merita di essere sottolineato è che il film dà per scontata
una premessa che è rarissima nei film per soli uomini: la possibilità che il
piacere sessuale non sia lo stesso per tutti. L’amica più adulta e più esperta
di Linda lo dice nei termini dei noti cliché degli anni Settanta, «carezze
diverse per persone diverse», ma la questione è significativa. Essa suggerisce
una tolleranza – persino un’accoglienza e un incoraggiamento – di una
molteplicità di pratiche sessuali che è tipica dei nuovi atteggiamenti degli
anni Settanta verso la sessualità e del cinema pornografico in particolare.
Un altro cliché che segna il cinema degli anni Settanta è la nozione di
37
terapia – quello che Stephen Heath ha chiamato il «rimedio sessuale».
Detto semplicemente, ciò significa che più sesso o sesso migliore fa bene a
ciò che ci affligge e che in materia di piacere sessuale la cosa migliore è
sempre consultare un esperto. Durante un esame clinico che si avvale di un
telescopio al posto di uno speculum, il sessuologo di Linda (l’onnipresente
Harry Reems) la informa che non ce l’«ha». In un fraintendimento fallogo-
centrico che Luce Irigaray apprezzerebbe, Linda risponde: «sono una
donna, non è previsto che lo abbia». Ciò che è in gioco in questo film,
comunque, e direi in molti lungometraggi pornografici di questo periodo, è
proprio la questione della misura in cui quell’“uno” fallico può essere usato
per rappresentare e determinare i “due” (o più) della differenza.
Quando il bravo dottore individua infine il clitoride di Linda nella sua
gola la rassicura che è comunque meglio che non averlo «affatto». La
preoccupazione di lei è per la condizione anormale in cui questo la mette –
«che ne diresti se avessi le palle nelle orecchie!». Ma la fisioterapia viene in
37
Stephen Heath, The Sexual Fix, London, Macmillan, 1982.
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234 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
suo aiuto e, con molta pratica, cominciando dal dottore stesso, lei impara la
tecnica della «gola profonda» che culmina in un «money shot» il cui climax
narrativo è accresciuto dall’interpolazione di fuochi d’artificio, suoni di
campane, esplosione di bombe e lancio di missili.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 235
38
umiliante omaggio al feticcio .
Nello scenario di Steinem alla donna è assegnato il ruolo del feticista
selvaggio di Marx che si prostra davanti al potere e al piacere del fallo e
che rinuncia alla propria «specifica fonte di piacere femminile». Le ripetute
eiaculazioni sul suo viso possono perciò essere lette come una prova visiva
della sua oggettificazione e umiliazione. Nonostante il sorriso sul suo viso,
sappiamo dall’autobiografia di Linda Lovelace che questo sorriso era una
bugia che mascherava il terrore e il dolore, che lei era una schiava del sesso
per l’uomo che le faceva da protettore e manager, e che la sua intera vita a
39
quel tempo era, secondo il titolo della sua autobiografia, un «tormento» .
Sebbene non metta in dubbio l’ovvia importanza per le femministe di
respingere come inautentico il piacere delle donne ritratto in film di questo
tipo, metto però in dubbio la nozione, fortemente implicita nell’argomenta-
zione di Steinem, che c’è uno «specifico» piacere femminile che viene
represso dal film e che è, in effetti, represso da tutta la pornografia. Vorrei
invece affermare che anche se Gola profonda omette la rappresentazione
visiva della clitoride di Linda Lovelace, anche se il suo «money shot»
feticcio serve, secondo le parole di Gayatri Spivak, a «cancellare» quell’or-
gano, la sua narrazione costantemente sollecita e cerca di individuare il
momento narrativo di un orgasmo invisibile. Cosı̀ se, da una parte, il film
cerca di cancellare la differenza sessuale attraverso una trovata che renda
più naturale la pratica della fellatio, dall’altra parte, si può dire che questa
stessa eliminazione allegorizzi la differenza dandole di fatto la faccia di
Linda Lovelace.
Tutta la sollecitudine del film nel cercare di localizzare la clitoride
perciò deve essere vista nel contesto della conoscenza relativamente nuova
di questo organo inteso precisamente non come una versione ridotta o
difettosa del pene – come nella spiegazione di Freud dell’economia fallica
dell’uno – ma come una nuova economia non riducibile a quell’uno –
un’economia dei molti – di «carezze diverse per persone diverse». Anche se
la feticizzazione del fallo compiuta dal film cerca di disconoscere la
38
Gloria Steinem, The Real Linda Lovelace, in Outrageous Acts and Everyday Rebellions,
New York, New American Library, 1986, p. 275.
39
Linda Lovelace, Mike McGrady, Ordeal, New York, Berkeley Publishing Corp., 1980.
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236 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
40
Michel Foucault, The History of Sexuality, cit., p. 48.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 237
41
Ivi, p. 92.
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238 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
42
Ivi, p. 104.
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FETICISMO E PORNOGRAFIA 239
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PARTE SECONDA
ERESIE
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE
PROSPETTIVE CRITICHE, ISTANZE
EPISTEMOLOGICHE, STRATEGIE DI RESISTENZA
DELLA TEORIA FEMMINISTA DEL CINEMA
di Giulia Fanara
1
Gloria Anzaldúa, Borderlands/La Frontera, San Francisco, Aunt Lute Books, 2 ed.,
1999 (1987); [tr. it. Terre di confine/La frontera, a cura di Paola Zaccaria, Bari,
Palomar, 2000. La poesia, qui tradotta a cura di chi scrive, è alla p. 77 dell’edizione
italiana].
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244 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
2
Cfr. Shulamith Firestone, The Dialectic of Sex: The Case of Feminist Revolution, New York,
Bantam Books, 1970; Elizabeth Janeway, Man’s World, Woman’s Place: A Study in Social
Mithology, New York, Dell, 1971.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 245
ma anche delle sue ideologie – né Marx né Freud rimarranno al di fuori di
questa critica, ed è proprio dalla definizione del patriarcato di Millett che
prenderanno le mosse le analisi di Rich, come dal confutare il suo rifiuto
delle teorie freudiane da parte di Millett muoveranno molte studiose (prima
3
tra tutte Mitchell) per ridiscutere della psicoanalisi –, la politicità del sesso
come origine stessa dei rapporti di potere e di dominio tanto nella sfera
pubblica che in quella personale, le motivazioni biologiche ma anche
culturali di questa oppressione, la scoperta del proprio corpo ma anche la
messa in discussione di una eterosessualità obbligata, le prospettive di
liberazione con la prefigurazione di un quadro sociale che, con l’ausilio
delle tecnologie, significhi la liberazione dell’intera umanità.
4
Liberazione, dissenso, differenza sessuale , genere: ho già nominato,
all’interno di una proposizione che si prefigge l’impossibile compito di
raccontare in breve almeno due decenni (metà ’60-metà ’80), quattro snodi
cruciali (e densi di differenziazioni) del discorso delle donne, un discorso
parlato da quel luogo silenzioso della loro assenza che è il solo luogo a
5
partire dal quale una donna può essere nominata . Una donna, scriverà Julia
Kristeva, «è una cosa che non può essere: è anzi quello che non va nell’essere.
A partire di qui una pratica di donna non può essere che negativa,
all’opposto di ciò che esiste, per dire che ‘‘non è questo’’ e che ‘‘non è
ancora’’. Intendo dunque per donna ciò che non si rappresenta, ciò che non
6
si dice, che resta al di fuori delle dominazioni e delle ideologie» .
3
Cfr. Kate Millett, Sexual Politics, New York, Doubleday, 1970; Adrienne Rich, Of Woman
Born: Motherhood as Experience and Institution, New York, W. W. Norton, 1976; Juliet
Mitchell, Psychoanalysis and Feminism, New York, Random House, 1974.
4
Una definizione corrente soprattutto nell’ambito del dibattito femminista europeo, che
riunisce insieme il dato biologico, corporeo e l’aspetto simbolico o dell’immaginario.
Nell’area anglofona le due sfere sono invece espresse attraverso i due termini sex e gender. La
coppia sesso-genere costituisce uno degli snodi concettuali più rilevanti per indagare la
differenza, come aveva già evidenziato Gayle Rubin in The Traffic in Women: Notes on the
“Political Economy” of Sex, in M. Rayna Reiter (a cura di), Towards an Anthropology of Women,
New York, Monthly Review Press, 1975; [tr. it. Lo scambio delle donne. Una rilettura di Marx,
Engels, Le´vi-Strauss e Freud, «Nuova dwf», n. 1, ottobre-dicembre 1976, pp. 23-65].
5
Alcune parti di questo saggio sono state pubblicate in una precedente versione con il
titolo Il dibattito femminile in Italia e negli Stati Uniti d’America nei numeri 347, 348
(gennaio-febbraio, marzo-aprile 1994) e 353-354 (gennaio-aprile 1995) di «Cinema Nuovo».
6
Julia Kristeva, La femme, ce n’est jamais ça, conversazione con alcune donne del gruppo
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246 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
“Psychanalyse et politique” del MlF, apparsa in «Tel Quel», n. 59, autunno 1974; [tr. it. La
donna non e` mai questo, in Eretica dell’amore, a cura di Edda Melon, Torino, La Rosa, 1979,
pp. 71-78, p. 73].
7
Françoise Collin, Au Revoir, «Cahiers du Grif», vol. 23, n. 4, 1979, cit. in Rosi Braidotti,
Patterns of Dissonance: A Study of Woman in Contemporary Philosophy, Cambridge, Polity Press,
1991; [tr. it. Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea. Verso una lettura filosofica delle
idee femministe, Milano, La Tartaruga, 1994, pp. 117-118].
8
Teresa de Lauretis, Genealogie femministe. Un itinerario personale, in Id., Sui generiS. Scritti
di teoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996, pp. 24-25.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 247
9
Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in AA.VV., Diotima. Il pensiero
della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, III ed. 2003 (1987), pp. 43-79.
10
Luce Irigaray, Ce sexe qui n’en est pas un, Paris, Minuit, 1977; [tr. it. Questo sesso che non e`
un sesso, Milano, Feltrinelli, 1990].
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248 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
11
Cfr. per questo e per altri “snodi” delle teorie femministe, soprattutto in Italia, la
riedizione di uno dei volumi, Teorie del femminismo, del Lessico politico delle donne (Milano,
Gulliver, 1978; ora Lessico politico delle donne: teorie del femminismo, a cura di Manuela Fraire,
Milano, Franco Angeli, 2002). Cfr. anche per le “due anime del femminismo” e le diverse
interpretazioni dell’autocoscienza la “lettura” di Manuela Fraire che chiude la ristampa del
volume: Vecchie ragazze, donne nuove, ivi, pp. 171-189.
12
Cfr. Rosi Braidotti, Dissonanze, cit., pp. 118-119; Hester Eisenstein, Contemporary Femi-
nist Thought, Boston, G. K. Hall, 1983, p. 3.
13
Cfr. Maria Luisa Boccia, L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, Milano, La
Tartaruga, 1990, p. 21.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 249
volontà, del suo ruolo rispetto alla costruzione del soggetto – desiderio non
solo libidinale, precisa Braidotti, ma ontologico, desiderio di essere –, se è
un dato della sensibilità postmoderna (di contro a una modernità contras-
segnata dal trionfo della volontà di avere, con una conseguente oggettiva-
zione del soggetto), trova nella riflessione delle donne la sua più piena
affermazione nel suo conferire nuovo valore alle radici inconsce della
soggettività:
14
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, in AA.VV., Questioni di teoria
femminista, a cura di Paola Bono, Atti del Convegno internazionale di teoria femminista
(Glasgow, luglio 1991), Milano, La Tartaruga, 1993, pp. 88-114, alle pp. 89-90.
15
Ivi, pp. 90-91.
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250 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
16
La questione femminismo/femminismi è ben riassunta da Maria Teresa Chialant e
Eleonora Rao nel saggio introduttivo, La critica letteraria femminista: orientamenti e modelli, al
volume da loro curato, Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana,
per la casa editrice Liguori (Napoli, 2000), con i riferimenti d’obbligo alle “tassonomie” di
Showalter, Kristeva, Moi, Armstrong (Elaine Showalter, Feminist Criticism in the Wilderness,
in Id. [a cura di], The New Feminist Criticism, London, Virago, 1986; Julia Kristeva, Les temps
des femmes, «Cahiers de recherche de science des textes et documents», n. 5, inverno 1979,
pp. 5-19; Toril Moi, Feminism and Postmodernism: Recent Feminist Criticism in the United States
[1988], poi in Terry Lovell [a cura di], British Feminist Thought, Oxford, Blackwell, 1990;
Isobel Armstrong, Debating Feminism, in Marialuisa Bignami, Caroline Patey [a cura di],
Moving the Borders, Milano, Unicopli, 1996, pp. 233-259). Altre indicazioni, nel più recente
panorama italiano, in Raffaella Baccolini, Maria Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli
(a cura di), Critiche femministe e teorie letterarie, Bologna, Clueb, 1997 e Franco Restaino,
Adriana Cavarero (a cura di), Le filosofie femministe, Torino, Paravia, 1999.
17
Teresa de Lauretis, Feminist Studies/Critical Studies. Issues, Terms and Contexst, introdu-
zione a Id. (a cura di), Feminist Studies/Critical Studies, Houndmills-Basingstoke-Hampshire-
London, Macmillan, 1986, pp. 1-19, p. 10; cfr. anche Aesthetics and Feminist Theory:
Rethinking Women’s Cinema, «New German Critique», n. 34, inverno 1985, pp. 154-175.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 251
18
Judith Butler, Bodies that Matter. On the Discursive Limits of “Sex”, New York and
London, Routledge, 1993; [tr. it. Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, Milano,
Feltrinelli, 1996, p. 163].
19
Griselda Pollock et al., A Conversation on Judith Butler’s Bodies That Matter, «Parallax», n.
1, estate 1995, pp. 143-164, pp. 157-158; Gesa Lindemann, The Body of Gender Difference,
«The European Journal of Women’s Studies», vol. 3, novembre 1996, pp. 341-361, p. 358.
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252 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
20
Teresa de Lauretis, Semiotica ed esperienza, in Id., Sui generiS, cit., p. 127.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 253
21
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 131-134.
22
Raymond Bellour, Les Oiseaux: analyse d’une se´quence, «Cahiers du Cinéma», n. 219,
1969; Id., Le Blocage symbolique, «Communications», n. 23, 1975; Id., Hitchcock, the Enunciator,
«Camera Obscura», n. 2, autunno 1977; Id., Psychosis, Neurosis, Perversion, «Camera Obscura»,
n. 3-4, estate 1979.
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254 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
23
Claire Johnston, Dorothy Arzner: Critical Strategies, in The Work of Dorothy Arzner:
Towards a Feminist Cinema, London, British Film Institute, 1975, pp. 1-8, p. 3.
24
Cfr. Claire Johnston, Women’s Cinema as Counter-Cinema, Notes on Women’s Cinema,
«Screen» Pamphlet, n. 2, settembre 1972, poi in in Id. (a cura di), Notes on Women’s Cinema,
London, Seft, 1974; Janet Bergstrom, Rereading the Work of Claire Johnston, «Camera
Obscura», vol. 3, n. 4, estate 1979; Id., Enunciation and Sexual Difference, ivi; Jacquelyn Suter,
Feminine Discourse in Christopher Strong, ivi; Elizabeth Cowie, The Popular Film as Progres-
sive Text. A Discussion of Coma, «mlf», n. 3, 1979, n. 4, 1980; Jacqueline Rose, Paranoia and
the Film System, «Screen», vol. XVII, n. 4, inverno 1976-1977; Mary Ann Doane, Caught and
Rebecca: The Inscription of Femininity as Absence, «enclitic», vol. 5, n. 2, autunno 1981. I saggi
sono adesso raccolti nel volume curato da Constance Penley, Feminism and Film Theory, cit.;
per una ricognizione di questi testi cfr. l’introduzione di Penley al volume stesso (The Lady
Doesn’t Vanish: Feminism and Film Theory, ivi, pp. 1-24).
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 255
Credo di non sminuire per nulla il lavoro della Feminist Film Theory
nel momento in cui vi rintraccio, per molti aspetti, un analogo sposta-
mento: ma le domande vengono poste a partire da luoghi e soggetti diversi,
producendone inevitabilmente delle nuove. La Feminist Film Theory (defi-
nizione coniata nel mondo anglosassone che sta per teoria e critica femmi-
nista del cinema) nasce infatti nei primi anni Settanta, quando le femministe
inglesi e nordamericane cominciano a interrogare e a denaturalizzare (e in
questo senso il lavoro di Barthes è un ulteriore punto di riferimento, come
per Cook, Johnston, Cowie) l’immagine che della donna offre il sistema di
rappresentazione del cinema patriarcale (ruoli, iconografie, stereotipi che
pongono la donna al di fuori della storia, e, presto, processi di identifica-
zione e posizione della spettatrice, tentativi di sovversione “dall’interno” da
parte delle cineaste), oltrepassando una lettura puramente “sintomatica” o
simbolica per seguire piuttosto il percorso lacaniano di desiderio e man-
25
Patrice Petro, Feminism and Film History, in Diane Carson, Linda Dittmar, Janice R.
Welsch (a cura di), Multiple Voices in Feminist Film Criticism, Minneapolis, University of
Minnesota Press, 1994, pp. 64-81, p. 73.
26
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Milano, Bompiani, 1993, pp. 199-200.
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256 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
27
un’autentica re-visione poststrutturalista e femminista della critica auteur ).
Non a caso (perché anche questo fa parte di uno stesso movimento),
Casetti inserisce la teoria femminista del cinema tra quelle teorie di campo
che registrano la «messa in rilievo del rapporto tra osservatore e oggetto
osservato», il dileguarsi di una netta divisione di ruoli tra teorico e cinema –
il teorico «esce allo scoperto, dichiara la propria presenza, giustifica la
maniera in cui guarda al cinema, spesso la relativizza, sempre la rende
28
personale» –, non mancando di sottolineare la «funzione trainante» che
essa avrà rispetto alla teoria del cinema negli anni Settanta e Ottanta. Una
funzione che già Bruno e Nadotti avevano evidenziato come conseguenza,
anche, dell’affermarsi della Feminist Film Theory nell’ambito accademico
ma soprattutto della sua capacità di scavalcare i “campi”, di essere in
qualche modo “avanguardia”, «facendo da specchio ad un mutamento
[allora] in atto nel pensiero nordamericano», cioè la messa in questione
delle forme classiche di rappresentazione e la decostruzione della posizione
29
unitaria del soggetto al suo interno . Ma occorre soffermarsi con più
attenzione sulle parole con cui Casetti chiude le pagine di cui sopra: il
mescolarsi della Feminist Film Theory, sul finire degli anni Ottanta, a sfere
d’interesse sempre più ampie avrebbe come effetto «da una parte di
diventare semplicemente Feminist Theory, dall’altra di sciogliersi nella Film
30 31
Theory» . Uno spostamento che forse è tutt’uno con le dissonanze e gli
27
Pam Cook, Claire Johnston, The Place of Woman in the Cinema of Raoul Walsh, in Raoul
Walsh, pubblicazione a cura dell’Edinburgh Film Festival, 1974, ora in Constance Penley (a
cura di), Feminism and Film Theory, cit., pp. 25-35. Cfr. Patrice Petro, Feminism and Film
History, cit., p. 70. Un concetto, quello di re-visione, il «vedere con occhi nuovi», cruciale per
la teoria femminista e per la stessa “sopravvivenza” delle donne, come ben chiarirà Adrienne
Rich in When We Dead Awaken: Writing as Re-Vision, in Id., On Lies, Secrets, and Silence:
Selected Prose 1966-1978, New York, Norton, 1979, p. 35; [tr. it. Segreti, silenzi, bugie, Milano,
La Tartaruga, 1989].
28
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, cit., p. 193.
29
Giuliana Bruno, Maria Nadotti, «Feminist Film Theory»: istruzioni per l’uso, in Giuliana
Bruno, Maria Nadotti (a cura di), Immagini allo schermo. La spettatrice e il cinema, Torino,
Rosenberg & Sellier, 1991, pp. 7-17, pp. 9-10.
30
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, cit., p. 158.
31
Scrive Braidotti (Dissonanze, cit., p. 29): «il tempo, questo grande maestro, ci lascia solo
un po’ di spazio in cui tracciare qualche parvenza di continuità con il passato. È lo spazio di
una pagina scritta, ma anche lo spazio morale interno, dove quelle “altre” voci, quelle “altre”
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 257
32
attraversamenti che i soggetti femminili eccentrici e nomadi hanno saputo
ascoltare e fronteggiare, con l’affettività che, deleuzianamente, sposta il loro
essere soggetti pensanti dal piano logocentrico (e fallogocentrico) della
rappresentazione, nel quale la stessa psicanalisi rimane confinata, consen-
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presenze possono dirsi liberamente. Ciò che in me è la voce altrui, produce quella
dissonanza interiore che prendo come evidenza della non-unità del soggetto e anche come
garanzia di resistenza contro la formulazione di nuovi discorsi o pseudo-universali, anche
nel femminismo».
32
Definizioni, rispettivamente, di Teresa de Lauretis e Rosi Braidotti: cfr. in particolare
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, cit., Rosi Braidotti, Nomadic Subjects, New York,
Columbia University Press, 1994; [tr. it. Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità, a
cura di Anna Maria Crispino, Roma, Donzelli, 1995].
33
Ci riferiamo soprattutto alla lettura di Deleuze che Rosi Braidotti propone nel succitato
Dissonanze... (pp. 70-84).
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258 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
I signori che lavorano nelle scienze umane hanno chiamato [il] dubbio
sulla presenza di sé “morte del soggetto”, un singolo punto di coordina-
mento tra verità e coscienza. Mi sembra un giudizio bizzarro. Preferisco
chiamare questo dubbio generativo l’apertura di soggetti non iso-morfici,
agenti e territori di storie non immaginabili dalla posizione dell’occhio
ciclopico, sazio di sé, del soggetto egemone35.
34
Anche su questo punto le posizioni delle femministe conoscono accenti molto diversi:
ad esempio Raffaella Baccolini non manca di sottolineare come due posizioni come quelle
di Kamuf e Miller esprimano due punti di vista opposti, ribadendo la prima la posizione
poststrutturalista della “morte dell’autore”, sottolineando la seconda la necessità per il
femminismo di continuare a lavorare sul concetto di identità. Cfr. Raffaella Baccolini,
Introduzione alla sezione La (ri)nascita dell’autrice nel volume Raffaella Baccolini, Maria
Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli (a cura di), Critiche femministe e teorie letterarie, cit.,
pp. 137-159, pp. 144-146.
35
Ivi, pp. 140-141. La citazione di Haraway (p. 150) è tratta da Situated Knowledges: The
Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective, «Feminist Studies», n. 14,
1988, pp. 575-599; [tr. it. Saperi situati: La questione della scienza nel femminismo e il privilegio
di una prospettiva parziale, in Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano,
Feltrinelli, 1995, pp. 103-134].
36
Baccolini fa infatti riferimento a Kamuf (Peggy Kamuf, Replacing Feminist Criticism,
«Diacritics», n. 12, 1982, pp. 42-47); [tr. it. Sostituire la critica femminista, in Raffaella
Baccolini, Maria Giulia Fabi, Vita Fortunati, Rita Monticelli (a cura di), Critiche femministe e
teorie letterarie, cit., pp. 161-171], Rich, Haraway, Anzaldúa.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 259
37
Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, Roma, Sossella, 2002, p. 10.
38
I testi di Kuhn e Kaplan costituiscono, per il femminismo americano dell’inizio degli
anni Ottanta, una sorta di sintesi dell’approccio psicanalitico e semiotico al cinema, che già
dalla metà dei Settanta aveva visto moltiplicarsi interventi e analisi testuali: Annette Kuhn,
Women’s Pictures: Feminism and Cinema, Boston, Routledge and Kegan Paul, 1982; E. Ann
Kaplan, Women and Film: Both Sides of the Camera, New York, Methuen, 1983. Quest’ultimo
offre anche un vero e proprio dizionarietto di concetti chiave, definizioni, modelli teorici.
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260 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
di là del genere stesso, inventando una scrittura femminile a partire dal
40
corpo femminile , il controcinema è solo una piccola parte del gran
numero di film che le donne producono a partire dagli anni Settanta,
spesso criticati per il loro “illusionismo” e ai quali si contrappone, talvolta
sopravvalutandola, la carica sovversiva dei primi (anche se non manca chi,
41
come Kaplan, evidenzia la necessità di superare questo binarismo ), ma che
denotano comunque l’importanza, per le donne, del momento del narrare...
I discorsi delle donne di colore, ma, negli ultimi anni, anche di quelle che si
interrogano sulla loro “bianchezza” (whiteness), delle donne che hanno
vissuto sulla propria pelle altri tipi di emarginazione e di oppressione (di
classe, di razza), oltre che quella maschile, adesso ci portano altrove: nelle
periferie delle grandi metropoli occidentali, dove interi quartieri sono
principalmente abitati da una stessa comunità e dove casa spesso vuol dire
altro e molto di più che il luogo dello sfruttamento e dell’esclusione, ma
anche nel paese d’origine, dove la strada vuol dire esilio, ricordo, ritorno a
volte desiderato e spesso impossibile. I film, i racconti, i diari, le teorie di
queste donne ci parlano della loro ribellione, dei loro mondi immaginati.
Per questo i percorsi delle cineaste spesso si incrociano con quelli del Terzo
Cinema e una larga parte dei women’s studies si allontana dalla genericità dei
gender studies che hanno dominato gli anni Ottanta, all’interno dei quali
anche i maschi cominciano a rivendicare una propria specificità, non
soltanto traendo nuovo sviluppo dai gay, lesbian e queer studies, ma apren-
dosi ai postcolonial studies: è all’interno delle stesse dinamiche diasporiche
delle società postcoloniali (che includono anche quei popoli o nazionalità
oppresse in Europa e Stati Uniti che hanno legami di provenienza con le
geografie del Sud del mondo), che determinano a loro volta flussi culturali
39
Per una ricognizione del dibattito femminista rispetto all’avanguardia cfr. il saggio di
Lisa Cartwright e Nina Fonoroff, Narrative Is Narrative: So What Is New?, apparso nel 1983
in un numero speciale di «Heresies» e aggiornato e ripubblicato nel ’94 nel citato volume a
cura di Diane Carson, Linda Dittmar, Janice R. Welsch, Multiple Voices in Feminist Film
Criticism, pp. 124-139.
40
Cfr. quanto scrive, analizzando le opere di Chantal Akerman, Sally Potter e Mulvey,
Mary Ann Doane in Woman’s in Representation: Filming the Female Body, «October», n. 17,
estate 1981, pp. 23-26.
41
E. Ann Kaplan, Women and Film: Both Sides of the Camera, cit., p. 206.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 261
42
Cfr. Arjun Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimension of Globalization, Minnea-
polis and London, University of Minnesota Press, 1996; [tr. it. Modernità in polvere, Roma,
Meltemi, 2001, p. 57]. Appaduraj individua (cfr. alle pp. 50-65) cinque delle dimensioni
possibili dei flussi culturali globali, adottando il suffisso -scape (-orami) per indicare «la forma
fluida e irregolare di questi panorami» e il loro essere «costrutti prospettici declinati dalle
contingenze storiche, linguistiche e politiche di diversi tipi di attori»: etnorama o «panorama
di persone che costituisce il mondo mutevole in cui viviamo»; tecnorama o «configurazione
globale, anch’essa sempre fluida, della tecnologia e il fatto che la tecnologia [...] si muove ora
ad alta velocità attraverso diversi tipi di confine un tempo malagevoli»; finanziorama o
«disposizione del capitale globale», che deve sempre avere presente le relazioni disgiuntive
tra «movimenti di persone, flusso tecnologico e movimenti finanziari»; mediorami e ideo-
rami sono «panorami strettamente correlati di immagini», i primi «si riferiscono sia alla
distribuzione delle capacità elettroniche di produrre e diffondere informazione [...] sia alle
immagini del mondo create da questi media»; gli ideorami sono «concatenazioni di
immagini, ma sono spesso direttamente politici e hanno di frequente a che fare con le
ideologie degli stati e le controideologie di movimenti esplicitamente rivolti a conquistare il
potere statale o una porzione di esso».
43
Cfr. Ulrich Beck, Was ist Globalisierung? Irrtümer des Globalismus – Antworten auf
Globalisierung, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1997; [tr. it. Che cos’e` la globalizzazione.
Rischi e prospettive della società planetaria, Roma, Carocci, 1999, p. 176].
44
Arjun Appadurai, Modernità in polvere, cit., p. 56.
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262 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Parlare la castrazione?
45
Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, cit., pp. 12-13.
46
Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», vol. XVI, n. 3, autunno
1975, pp. 6-18, ora in Id., Visual and Other Pleasures, Bloomington, Indiana University Press,
1989; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978, pp.
26-41, p. 34].
47
Teresa de Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, London, Basingstoke,
Macmillan, 1984, p. 59. Cfr. anche Constance Penley (a cura di), Feminism and Film Theory,
New York and London, Routledge/British Film Institute, 1988; Tania Modleski, The Women
Who Knew Too Much. Hitchcock and Feminist Theory, London and New York, Methuen, 1988.
48
Cfr. Judith Mayne, Feminist Film Theory and Criticism, in Diane Carson, Linda Dittmar,
Janice R. Welsch (a cura di), Multiple Voices in Feminist Film Criticism, cit., pp. 48-64, p. 48.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 263
tico al cinema si verifica abbastanza più tardi che nel campo degli studi
letterari, ma questo, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, sarà un
approccio tutto sommato “spurio”, in un miscuglio che, come evidenzia
Kaplan nella prefazione all’antologia da lei curata su cinema e psicanalisi,
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49
E. Ann Kaplan (a cura di), Psychoanalysis and Cinema, New York and London,
Routledge, 1990, p. 8. La stessa molteplicità di approcci è presente nelle riviste: dall’approc-
cio sociologico e determinista di «Women and Film», prima rivista di critica cinematografica
femminista (Berkeley, 1972-1975), prevalentemente indirizzata alla stesura di una storia del
cinema al femminile, alla fondazione di «Camera Obscura», nel 1974 su iniziativa di una
parte del gruppo redazionale (per quest’ultima vedi Chronology, «Camera Obscura», nn. 3-4,
1979, pp. 6-13); [tr. it. Collettivo Camera Obscura: Cronologia, in Piera Detassis, Giovanna
Grignaffini (a cura di), Sequenza segreta. Le donne e il cinema, Milano, Feltrinelli, 1981, pp.
187-196, pp. 194-195], ai contributi su «Jump Cut» e «Cineaste», alla fondazione di
«Women’s Studies in Communication and Difference», ciò che viene, anche autocritica-
mente, registrato è la mancanza di un consistente retroterra politico-ideologico e, d’altro
canto, il progressivo enuclearsi dell’importanza della posizione del soggetto rispetto all’isti-
tuzione cinematografica, che produce il focalizzarsi dell’attenzione dal contenuto ai codici e
alla struttura narrativa.
50
Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, cit., p. 28.
51
Ivi, p. 40.
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264 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
52
Ivi, pp. 26-27.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 265
dello spettatore al quale viene mostrata per il suo piacere (fantasia maschi-
le), ma anche di quello dei personaggi maschili sullo schermo, attraverso il
cui sguardo lo spettatore può acquistare il controllo e il possesso della
donna nella diegesi. L’eroe dello schermo coincide con l’Io ideale del
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53
Ivi, pp. 31 e 34.
54
Gaylyn Studlar, In the Realm of Pleasure. Von Sternberg, Dietrich, and the Masochistic
Aesthetic, New York, Columbia University Press, 1988; Jacqueline Rose, Paranoia and the
Film System, «Screen», vol. XVII, n. 4, inverno 1976-1977, pp. 85-104, ora in Constance
Penley (a cura di), Feminism and Film Theory, cit., pp. 141-158; Tania Modleski, Never to Be
Thirty-Six Years Old... Rebecca as Female Oedipal Drama, «Wide Angle», vol. 5, n.1, 1982, pp.
34-41.
55
Cfr. Christian Metz, Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cine´ma, Paris, Union Géné-
rale d’Editions, 1977; [tr. it. Cinema e psicoanalisi. Il significante immaginario, Venezia, Marsilio,
1980]; Jean-Pierre Oudart, La suture, «Cahiers du Cinéma», n. 211, 1969; Id. La suture. II,
«Cahiers du Cinéma», n. 212, 1969; Id., L’effet de re´el, «Cahiers du Cinéma», n. 228, 1971, pp.
19-26; Jean-Louis Baudry, Cine´ma: effets ide´ologiques produits par l’appareil de base, «Cinéthi-
que», n. 7-8, 1970, pp. 1-8 [tr. ingl. Ideological Effects of the Basic Cinematographic Apparatus,
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266 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
«Film Quarterly», vol. XXVIII, n. 2, inverno 1974-1975, pp. 39-47]; Id., Writing, Fiction,
Ideology, «Afterimage», n. 5, primavera 1974, pp. 22-39; Id., Le dispositif: approches me´tapsycho-
logiques de l’impression de re´alite´, «Communications», n. 23, 1975, pp. 56-72; Id., The Appara-
tus, «Camera Obscura», n. 1, 1976, pp. 104-123; Id., L’Effet Cine´ma, Paris, Albatros, 1978;
Thierry Kuntzel, Le travail du film, «Communications», n. 19, 1972; Id., Le travail du film 2,
«Communications», n. 23, 1975; Id., The Treatment of Ideology in the Textual Analysis of Film,
«Screen», XIV, n. 3, autunno 1973, pp. 44-54.
56
Cfr. Stephen Heath, Film/Cinetext/Text, «Screen», vol. XIV, n. 1-2, primavera-estate
1973; Id., The Work of Christian Metz, «Screen», vol. XIV, n. 3, autunno 1973, pp. 5-28; Id.,
The Idea of Autorship, ivi, pp. 86-91; Id., Lessons from Brecht, «Screen», vol. XV, n. 2, estate
1974; Id., Narrative Space, «Screen», vol. XVII, n. 3, autunno 1976, pp. 68-112; Teresa de
Lauretis, Stephen Heath (a cura di), The Cinematic Apparatus, London, Macmillan, 1980;
Peter Wollen, Signs and Meanings in the Cinema, London, Secker and Warburg, 1969; Id.,
Counter Cinema: Vent d’Est, «Afterimage», n. 4, autunno 1972, pp. 6-17; Id., On Ontology and
Materialism in Film, «Screen», vol. XVII, n. 1, inverno 1976, pp. 7-23; Id., The Two
Avant-Gardes, «Edinburgh Magazine», n. 1, 1976.
57
Kaja Silverman, The Subject of Semiotics, cit., pp. 222-236.
58
David N. Rodowick, The Difficulty of Difference. Psychoanalysis, Sexual Difference and Film
Theory, New York and London, Routledge, 1991, p. 4. Il volume riprende il titolo di un
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 267
all’interno delle pratiche filmiche: Ruby Rich si interroga sul da farsi di una
regista o di una regista femminista di fronte a una teoria che, per bocca di
Mulvey, parla di una donna invisibile tra un pubblico percepito come
maschile e, per Johnston, parla di una donna invisibile sullo schermo,
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insistendo comunque su un’assenza della donna pur davanti alla sua presen-
59
za , Doane metterà a fuoco accanto all’opposizione binaria tra passivo e
attivo, quella tra vicinanza e lontananza, controllo e perdita, che situa il
discorso sulla visione direttamente all’interno del problema della differenza
sessuale. La spazialità della visione in Burch, il voyeurismo di Metz, lo
“specifico” femminile in termini di prossimità spaziale delle pensatrici
francesi, lo sviluppo diverso che Freud descrive per il bambino e la
bambina, conducono Doane all’individuazione di uno sguardo femminile
che annulla la distanza alla base del voyeurismo e del feticismo. In questo
senso, la mascherata, in quanto reazione al travestitismo, che presuppone
un diventare uomo per acquistare la necessaria distanza dall’immagine,
opera una sorta di raddoppio della rappresentazione e una simulazione della
distanza: la mascherata, «nell’esibire la femminilità, la tiene a distanza.
Quest’ultima è una maschera che può essere indossata o tolta. La resistenza
del mascheramento alla prospettiva patriarcale sta quindi nella negazione
della femminilità come vicinanza, presenza a se stessa e, precisamente,
come immagine». Attraverso questa destabilizzazione dell’immagine, la
mascherata «mette in crisi la strutturazione maschile dello sguardo e mette
in atto uno straniamento dell’iconografia femminile» (che coincide con la
femme fatale), ed è proprio in questo luogo che viene culturalmente asse-
gnato alla donna che è possibile ipotizzare non soltanto una posizione
diversa della spettatrice rispetto al masochismo o al narcisismo dell’identifi-
cazione, ma anche ipotizzare la sovversione dei rapporti di potere che la
60
stabiliscono .
Quando Rodowick, in più riprese (affrontando quella che definisce la
saggio dello stesso autore, scritto in risposta al lavoro di Mulvey, apparso su «Wide Angle»,
vol. 5, n. 1, 1982, pp. 4-15.
59
Ruby Rich, Women and Film: A Discussion of Feminist Aesthetics, «New German Critique»,
n. 13, inverno 1978, p. 87; Claire Johnston, Towards a Feminist Film Practice: Some Theses,
«Edinburgh Magazine», n. 1, 1976, pp. 50-59.
60
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade: Theorising the Female Spectator, «Screen», vol.
XXIII, n. 3-4, settembre-ottobre 1982, pp. 74-87; [tr. it. Cinema e mascheramento: riflessioni
teoriche sulla spettatrice e sullo sguardo femminile, in Maria Teresa Chialant, Eleonora Rao (a
cura di), Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana, cit., pp.
309-321, pp. 319-320].
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268 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
61
David N. Rodowick, The Difficulty of Difference, cit., p. 4.
62
Luce Irigaray, Spe´culum. De l’autre femme, Paris, Minuit, 1974; [tr. it. Speculum. L’altra
donna, Milano, Feltrinelli, 1975].
63
Continua Rodowick (The Difficulty of Difference, cit., pp. 13-14): «perché la vita psichica
dell’Io è sempre caratterizzata da un complesso di relazioni attive e passive motivate dalla
ricezione e dalla reazione a un’informazione percettiva. Tuttavia, le pulsioni guida sono
sempre inerentemente attive nei loro scopi. Nella misura in cui le significazioni psicologiche
sono correlate al significato di mascolinità e femminilità in rapporto ad attività e passività,
non definiscono reciprocamente insiemi esclusivi di opposizioni e sono sempre il prodotto
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 269
di una variabilità storica e sociale. Similmente, non potrà mai esserci una risposta unilaterale
tra oggetto e soggetto nel corso dell’identificazione».
64
Ivi, p. 15.
65
Laura Mulvey, Feminism, Film and The Avant-Garde, «Framework», n. 10, primavera
1979, pp. 3-10.
66
David Rodowick, The Crisis of Political Modernism. Criticism and Ideology in Contemporary
Film Theory, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1988.
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270 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
67
Ivi, pp. 228-231. Rodowick non manca di notare come Wollen faccia un’associazione
analoga parlando del film girato con Mulvey: «se la logica binaria dell’argomento di Mulvey
sembra ignorare la spettatrice, questo può essere inteso anche come formulazione di un
particolare spazio utopico in cui la figura del femminile organizza i seguenti concetti: non
piacere, “presenza aliena”, congelamento dell’azione, distrazione, disunità, staticità e, specifi-
camente, antillusione...».
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 271
68
Ivi, p. 233.
69
E. Ann Kaplan, Women and Film: Both Sides of the Camera, cit., pp. 23-35; Laura Mulvey,
Notes on Sirk and Melodrama, «Movie», nn. 25-26, 1976-1977; Mary Ann Doane, The Woman’s
Film: Possession and Address, intervento alla “Conference on Cinema History”, Asilomar,
Monterey, maggio 1981, poi in Mary Ann Doane, Patricia Mellencamp, Linda Williams (a
cura di), Re-Vision: Feminist Essays in Film Analysis, American Film Institute Monograph
Series, vol. 3, Frederick, Md., University Publication of America, 1984; Nancy Friday, My
Secret Garden: Women’s Sexual Fantasies, New York, Pocket Books, pp. 100-109; Id., Men in
Love, New York, Dell, 1980.
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272 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
70
E. Ann Kaplan, Women and Film: Both Sides of the Camera, cit., pp. 28 e 30.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 273
71
Cfr. ivi, soprattutto le conclusioni. I testi ai quali Kaplan fa riferimento sono: Dorothy
Dinnerstein, The Mermaid and the Minotaur, New York, Harper, 1977; Nancy Chodorow,
Psychodynamics of the Family, in Id. (a cura di), The Reproduction of the Mothering, Berkeley,
California University Press, 1978, pp. 191-209; Adrienne Rich, Of Woman Born..., cit.; Julia
Kristeva, Motherhood according to Bellini, in Leon S. Roudiez (a cura di), Desire in Language: A
Semiotic Approach to Literature and Art, New York, Columbia University Press, 1980; Mary
Ann Doane, Woman’s Stake in Representation: Filming the Female Body, cit.
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274 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Sconfinamenti
72
Leslie Marmon Silko, Storyteller, New York, Seaver Books, 1981, cit. in Christine Welsh,
Women in the Shadows. Reclaiming a Me´tis Heritage, in Laura Pietropaolo, Ada Testaferri (a
cura di), Feminisms in the Cinema, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press,
1995, pp. 28-40, alla p. 29.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 275
73
e saperi della mente, tra “una stanza tutta per sé” , agognata e difesa con le
unghie e coi denti, e le sicurezze incerte del focolare, dubitando di se stesse
e della propria carne... È proprio a partire da questo «essere-avere un
corpo», di cui parla una delle voci più presenti della teoria femminista
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74
italiana, Luisa Muraro , che si costituiscono il sapere e il discorso delle
donne, che scaturisce il bisogno di attivare la produttività simbolica della
nostra soggettività e del nostro desiderio contro quell’ordine patriarcale che
è tutt’uno con quest’ordine sociale che vede oppresse tutte le donne da
parte di tutti gli uomini investendo tutti gli aspetti delle loro vite, contro
quel regime ipermetaforico all’interno del quale si posizionano il linguaggio
della politica e lo schema della rappresentanza. Attraverso la pratica
dell’autocoscienza, il personale, la nostra esperienza di donne, prendeva la
parola nel luogo della Politica.
Se Mulvey potrà scrivere che la teoria femminista italiana, a differenza
dell’approccio sostanzialmente ortodosso dell’area anglofona, si evolve in
stretto rapporto con la pratica e con una «cultura militante fortemente
politicizzata», dove esperienza e immagine sono modi per indagare il
75
desiderio femminile, non è, ugualmente, senza ragione . «Il pensiero ita-
liano della differenza sessuale», scrive Adriana Cavarero, «si sviluppa in
modo originale e, per certi versi, anomalo» ed è l’esperienza dell’autoco-
scienza che si estende internazionalmente nei luoghi del “separatismo”,
76
lavorando a una valorizzazione dell’esperienza delle donne , a favorire nel
femminismo italiano un radicamento della teoria nelle pratiche. L’autoco-
scienza, il simbolico, la disparità, l’affidamento, la relazione, il partire da sé
e il loro incrocio nei diversi contesti:
73
Da A Room of One’s Own di Virginia Woolf, Harcourt Brace and World, New York and
London, 1929; [tr. it. Una stanza tutta per se´, in Romanzi e altro, Milano, Mondadori, 1978].
Cfr. l’acuto commento di de Lauretis in Sui generiS, cit., pp. 17-35.
74
Cfr. Luisa Muraro, Maglia o uncinetto, Milano, Feltrinelli, 1981, II ed., Roma, manifestoli-
bri, 1998 e L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991.
75
Cfr. Laura Mulvey, in Giuliana Bruno, Maria Nadotti (a cura di), Off Screen: Women and
Film in Italy, London and New York, Routledge, 1988, p. XII. Il volume ripropone parte dei
materiali (il contributo italiano) prodotti in occasione del seminario “Italian and American
Directions: Women’s Film Theory and Practice” svoltosi a New York nel dicembre 1984.
76
Cfr. Hester Eisenstein, Contemporary Feminist Thought, cit., p. 38; Alix Kates Shulman,
Sex and Power: Sexual Bases of Radical Feminism, «Signs», vol. 5, n. 4, estate 1980, pp. 590-604.
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276 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
77
Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in Franco Restaino,
Adriana Cavarero (a cura di), Le filosofie femministe, cit., pp. 111-164, alla p. 138.
78
Giuliana Bruno, Maria Nadotti (a cura di), Off Screen: An Introduction, in Off Screen:
Women and Film in Italy, cit., rispettivamente alle pp. 12, 8, 12, 6, 12-13.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 277
pratiche filmiche, poiché «il proprio corpo, l’immagine della propria identi-
tà», fronteggiano la donna regista come immagine sullo schermo, come
79
«oggetto dello sguardo, “corpo impossibile”» . D’altra parte le teorie lingui-
stiche hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza rispetto «a una marca
sessuale di soggettività». È la convinzione di Violi che, partendo da Benve-
niste, sottolinea la natura linguistica della realtà che costituisce il soggetto e
il carattere trascendentale di un soggetto che, in tutte le teorie strutturaliste
come in Lacan, è sostanzialmente maschile. Ma anche il quadro semiotico
delineato da Eco restringe il soggetto alla semplice dimensione culturale e il
significato al suo aspetto codificato, perché è lo stesso processo semiotico a
definire il soggetto, escludendo ogni processo inconscio, riducendolo alla
sola dimensione di prassi sociale e culturale, privandolo della fisicità, dei
desideri, delle emozioni e dunque di una sessualità. Una prospettiva pre-
freudiana, asserisce Violi con de Lauretis, nel suo riproporre una dicotomia
tra corpo e mente, materia e intelletto. Questa subordinazione del soggetto
alla cultura corrisponde a quella del significato ai codici sociali e in questo
senso la se´miotique di Kristeva, col suo riferirsi a un livello presimbolico,
sembra pervadere maggiormente la vita delle donne e l’esperienza della
differenza, nonostante faccia ricorso a un’ulteriore forma di codificazione
culturale nel suo indirizzarsi soprattutto a pratiche culturali alte o di
avanguardia. La definizione negativa del femminile implicata nel paradigma
teorico del soggetto trascendentale è il limite teorico di gran parte della
teoria femminista e in particolare delle pensatrici francesi: ciò che occorre è
arrivare alla definizione non di un’essenza del soggetto femminile, ma delle
categorie teoriche necessarie all’inquadramento di questioni come la diffe-
renza sessuale e la specificità dell’esperienza, del desiderio, del dolore.
Rispetto al soggetto universale e astratto prodotto di una filosofia occiden-
tale che si oppone all’individuale come categoria cognitiva e percettiva, è
proprio il concetto di individuale a rivelarsi cruciale per una teoria al
femminile. Un individuale che coincide con «la forma comune delle nostre
esperienze, il processo che le struttura e che, in quanto forma, in quanto
processo, può essere descritto» e comparato. Attraverso l’autocoscienza, le
femministe italiane riconoscono nell’esperienza della differenza sessuale un
79
Paola Melchiorri, Women’s Cinema: A Look at Female Identity, ivi, pp. 25-35, p. 27.
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278 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
80
Patrizia Violi, Language and the Female Subject, ivi, pp. 139-148, pp. 143, 144, 145, 146,
147.
81
Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere (cap. introduttivo a Technologies of Gender.
Essays in Theory, Film and Fiction, Bloomington, Indiana University Press, 1987), ora in Id.,
Sui generiS, cit., p. 155.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 279
82
Cfr. David N. Rodowick, The Crisis of Political Modernism: Criticism and Ideology in
Contemporary Film Theory, II ed., Berkeley, University of California Press, 1994.
83
Teresa de Lauretis, Semiotics, Theory and Social Practice: A Critical History of Italian
Semiotics, «Ciné-Tracts», vol. 2, n. 1, autunno 1978, pp. 1-14, pp. 4-6.
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280 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
nante il contributo di Eco per il suo porre l’accento sui modi di produzione
del segno e sull’impossibilità di concepire sistemi di comunicazione al di
fuori della funzione sociale della comunicazione, sulla correlazione di tutti
gli elementi di un sistema a un determinato contenuto o significato se-
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84
de Lauretis sottolinea come per Eco, in questo momento, uno dei maggiori punti di
riferimento sia lo studio di Ferruccio Rossi-Landi sul rapporto tra sistemi di segni e
ideologie. Supponendo una omologia tra produzione linguistica e produzione materiale,
fondata sull’omologia tra messaggio e prodotto, Rossi-Landi (traduttore di Morris) muove
verso una semiotica dei codici sociali e verso una loro interpretazione nei termini di lavoro e
produzione. La teoria marxiana del valore e il concetto di alienazione vengono applicati alla
produzione linguistica: equiparando il significato al valore, si ipotizzano una produzione e
una circolazione di beni parallela alla produzione e circolazione di frasi. Cfr. ivi, pp. 13-14.
85
Ivi, p. 8.
86
Ivi, pp. 4 e 11.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 281
nel cinema. Se, infatti, lo “strappo metziano” si colloca alla metà del
decennio precedente, ed è intorno ad esso che si svilupperanno momenti di
coagulo discriminanti e produttivi del dibattito stesso, come i convegni
pesaresi ’65 e ’66 dove la posizione pasoliniana è di per sé una posizione
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87
Cfr. Roland Barthes, Le Plaisir du texte, Paris, Éditions du Seuil, 1970; [tr. it. Variazioni
sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, Torino, Einaudi, III ed., 1999]; Colin Mac Cabe,
Realism and the Cinema: Notes on Some Brechtian Theses, «Screen», vol. XV, n. 2, estate 1974;
Id., Principles of Realism and Pleasure, «Screen», vol. XVII, n. 3, autunno 1976.
88
David N. Rodowick, The Crisis of Political Modernism: Criticism and Ideology in Contempo-
rary Film Theory, cit.
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282 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
89
Kaja Silverman, The Subject of Semiotics, New York, Oxford University Press, 1983.
90
Lea Melandri, L’infamia originaria, Milano, L’erba voglio, 1977, p. 27.
91
Teresa de Lauretis, Semiotics, Theory and Social Practice: A Critical History of Italian
Semiotics, cit., pp. 11-13.
92
Ivi, pp. 16, 14.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 283
93
Id., Imaging, «Ciné-Tracts», n. 3, autunno 1980, pp. 3-12, pp. 11, 8, 10; per i dibattiti
pesaresi cfr.: «Marcatré», nn. 19-22, aprile 1966; «Nuovi Argomenti» n.s., n. 2, aprile-giugno
1966; Linguaggio e ideologia nel film, Fratelli Cafieri Editori, ora in Mostra Internazionale del
Nuovo Cinema (a cura di), Per una nuova critica. I convegni pesaresi 1965-1967, Venezia,
Marsilio, 1989.
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284 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dalla sua conoscenza e dalla propria esperienza per fare del corpo il luogo
del pensiero è parlare la differenza, è situarsi nella politica, è lanciare una
delle sfide più grandi al sistema patriarcale.
Partire da se´ rinnovando con questo il movimento della nostra venuta al
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94
Cfr. Luisa Muraro, Partire da se´ e non farsi trovare..., in AA.VV. (Diotima), La sapienza di
partire da se´, Napoli, Liguori, 1996, pp. 5-21.
95
Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, cit., p. 112.
96
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, cit., p. 89.
97
Anni di piombo (Die bleierne Zeit, Margarethe von Trotta, 1981); Germania, pallida madre
(Deutschland, bleiche Mutter, Helma Sanders-Brahms, 1979).
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 285
tutt’altro che pura decostruzione del posto delle donne (o, peggio, della
Donna) nell’ordine patriarcale, come l’analisi del simbolico viene intesa in
molta teoria femminista angloamericana, la politica del simbolico si confi-
gura cosı̀ nel femminismo italiano della differenza come continua scom-
messa sul regime della dicibilità e sul senso, in un gioco di rilancio che
non ha limiti come non ha limiti la creatività della lingua: o meglio, della
lingua materna, cioè di quella lingua che non si arrende all’ordine morti-
fero del primato metaforico e mantiene vivo il rapporto fra significato ed
esperienza98.
98
Ida Dominijanni, La parola del contatto, introduzione a Luisa Muraro, Maglia o uncinetto,
II ed., cit., pp. 7-46, alle pp. 26-27.
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286 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
99
Ivi, p. 28: per «corpo selvaggio» Muraro (L’ordine simbolico della madre, cit., p. 103)
intende «quella parte dell’esperienza umana che esorbita dalle capacità di mediazione di un
dato ordine simbolico-sociale e che, di conseguenza, resta fuori dalla sintesi sociale o vi
entra come oggetto d’interpretazioni e interventi altrui. Prima della politica delle donne,
molta esperienza femminile era corpo selvaggio».
100
Ivi, p. 32.
101
Cfr. Rosi Braidotti, Dissonanze, cit., pp. 32-104; Teresa de Lauretis, La tecnologia del
genere, cit., pp. 159-161.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 287
102
Rosi Braidotti, Dissonanze, cit., pp. 105-106.
103
«In tutte le forme storiche assunte dalla società patriarcale (feudale, capitalista, sociali-
sta, ecc.), operano simultaneamente un sistema sesso/genere e un sistema di rapporti
produttivi [...] tesi a riprodurre le strutture socioeconomiche a dominanza maschile di quello
specifico ordine sociale»: Joan Kelly, Women, History and Theory, Chicago, University of
Chicago Press, 1984, p. 61, cit. in Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, cit., pp.
131-163, p. 140. Ma de Lauretis aveva già esposto questa posizione in Aesthetics and Feminist
Theory: Rethinking Women’s Cinema, cit., pp. 154-175.
104
Cfr. Adrienne Rich, Of Woman Born, cit.; Id., Compulsory Heterosexuality and Lesbian
Existence, «Signs», vol. 5, n. 4, estate 1980, pp. 631-660; Nancy Chodorow, The Reproduction
of the Mothering: Psychoanalysis and the Sociology of Gender, Berkeley, University of California
Press, 1978; Dale Spender, Man-Made Language, Boston, Routledge and Kegan Paul, 1980;
Susan Griffin, Rape: The Power of Consciousness, San Francisco, Harper and Row, 1981;
Andrea Dworkin, Pornography: Men Possessing Women, New York, Perigee/G. P. Putnam’s,
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288 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Gli scritti femministi della metà degli anni Settanta, soprattutto in area
anglofona – dove una maggiore formalizzazione tenta costantemente di
coniugare alla scoperta della consistenza teorica dell’esperienza la genera-
lizzabilità dei modelli interpretativi di contro a un certo isolamento produt-
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tivo della teoria femminista italiana e della sua tendenza alla specializza-
zione, dal privilegio accordato all’approccio psicoanalitico alla scoperta
dell’autocoscienza quale pratica intrisa di tutte le potenzialità teoriche che
uno slogan come “il personale è politico” è in grado di contenere, cioè la
valorizzazione del desiderio e dell’esperienza –, svelano la centralità per la
teoria femminista, e per la riflessione sulla rappresentazione che la rifles-
sione sul genere rende necessaria, tanto dei concetti di ideologia e di
interpellanza sviluppati da Althusser, tanto della lezione lacaniana (approc-
cio prevalente nelle teoriche cinematografiche statunitensi), che evidenzia i
rapporti tra sessualità e linguaggio. Ciò aiuta a comprendere come il
cinema possa divenire una «sorta di microcosmo», offrendo, come scrive
Penley, «un modello per la costruzione delle posizioni del soggetto nell’i-
deologia» e consentendo, attraverso l’edipizzazione delle sue narrazioni,
«una lettura dei meccanismi inconsci della differenza sessuale nella nostra
105
cultura» . Una lettura che trova nell’83, in The Subject of Semiotics di Kaja
Silverman una «guida metodologica» a una revisione dei più importanti
contributi sul post-strutturalismo. Ribadendo la centralità dell’apporto psi-
canalitico, Silverman dimostra, attraverso una ricognizione del lavoro di
Peirce sul soggetto come segno e prodotto del linguaggio, della complessità
dei processi di significazione evidenziati da Barthes, Derrida e Benveniste e
un’analisi dei modelli freudiano e lacaniano e delle strategie che presiedono
ai rapporti tra inconscio e significazione (condensazione e spostamento,
paradigma e sintagma, metafora e metonimia), come il soggetto umano sia
in larga misura il soggetto della semiotica, ma anche un luogo concreto in
cui i testi cinematografici e letterari e la teoria vengono posti in relazione
generando modelli speculativi più ampi, a partire da una messa a fuoco
della differenza sessuale (cui sono dedicati due capitoli del volume) come
principio che presiede all’organizzazione «non solo dell’ordine simbolico e
dei suoi “contenuti” (significazione, discorso, soggettività), ma anche della
1981; Lydia Sargent (a cura di), Marxism and Feminism: A Discussion of the Unhappy Marriage
of Marxism and Feminism, Boston, South End Press, 1981; bell hooks, Feminist Film Theory:
From Margin to Center, Boston, South End Press, 1984; E. Ann Kaplan, Looking for the Other.
Feminism, Film and the Imperial Gaze, New York and London, Routledge, 1997.
105
Constance Penley, The Lady Doesn’t Vanish: Feminism and Film Theory, introduzione a
Id. (a cura di), Feminism and Film Theory, cit., pp. 1-24, p. 3.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 289
106
Kaja Silverman, The Subject of Semiotics, cit., p. VIII.
107
Non per nulla Janice R. Welsch (Feminist Film Theory/Criticism in the United States, «The
Journal of Film and Video», vol. 39, n. 2, primavera 1987, pp. 66-82), in una sua ricognizione
ragionata della teoria (e della bibliografia) femminista statunitense, pone immediatamente in
evidenza, quali possibili poli del dibattito, gli approcci di Hester Eisenstein (Contemporary
Feminist Thought, cit.) e di Kaja Silverman, esempi, rispettivamente, di una tendenza alla
rivalutazione marxista delle componenti socioeconomiche generali e delle componenti
inerenti la stessa differenza (razza, classe, cultura) e di una ricerca tesa invece a una vera e
propria riscrittura della soggettività femminile. Alla prima area, che pure mantiene una sua
vitalità, appartengono i primi libri femministi sul cinema – agli inizi degli anni Settanta – e
tra questi i noti Popcorn Venus di Marjorie Rosen, Women and Their Sexuality in the New Film
di Joan Mellen, From Reverence to Rape di Molly Haskell. Un’altra parte consistente
dell’editoria femminista è rappresentata da scritti che raccolgono le esperienze produttive,
dal cortometraggio al film a soggetto, come Women’s Film in Print di Bonnie Dawson,
Woman Who Make Movies di Sharon Smith, alla storia. Seguiranno le antologie, quali Women
and the Cinema: A Critical Antology di Karen Kay e Gerald Peary, le bibliografie, ad esempio
Women and Film: A Bibliography di Rosemary Ribich Kowalki, e infine i saggi incentrati sulla
sessualità, come The Power of the Image: Essays on Representation and Sexuality di Annette
Kuhn, e sulla definizione di un soggetto femminile, come The Subject of Semiotics di
Silverman. Un importante saggio, con il valore di ricognizione tematica prima che bibliogra-
fica – ma siamo ancora negli anni Settanta – è Recent Developments in Feminist Film Criticism,
di Christine Gledhill, apparso su «Quarterly Review of Film Studies», vol. 3, n. 4, autunno
1978. Una successiva e più articolata presentazione viene proposta da Judith Mayne nel già
citato Feminist Film Theory and Criticism. Cfr. anche «Camera Obscura», nn. 20-21, maggio-
settembre 1989.
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290 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
108
Teresa de Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, cit., p. 3.
109
Ivi, pp. 5-7.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 291
Date queste coordinate, il problema del soggetto non può non acquistare
uno spazio maggiore e delle connotazioni diverse che in precedenza: nel
cinema come nel linguaggio, semiotica e psicanalisi pongono la donna in
una posizione di incoerenza, nello spazio vuoto tra i segni, tra sguardo della
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110
Ivi, p. 15.
111
Cfr. Teresa de Lauretis, Through the Looking-glass, in Teresa de Lauretis, Stephen Heath
(a cura di), The Cinematic Apparatus, cit., pp. 187-202, p. 188.
112
Ivi, p. 31.
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292 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
il gesto fondante da cui è nata ogni lettura: ciò e` come e`, qui ed ora, per me.
Può la nozione di autore empirico come quella di lettore empirico,
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 293
113
Giovanna Grignaffini, Female Identity and Italian Cinema of the 1950s, in Off Screen:
Women and Film in Italy, cit., pp. 111-123, alle pp. 112-116.
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294 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
sé in quegli anni hanno dato alle loro figlie il nome Alice...
Penso che sia un film femminista perché do spazio a cose che non
sono mostrate mai, quasi mai, in questo modo, come i gesti
quotidiani di una donna. Essi occupano il posto più basso nella
gerarchia delle immagini dei film... Ma più che per il contenuto, è
per lo stile. Se scegli di mostrare i gesti di una donna con tanta
precisione, è perché li ami. In qualche modo riconosci quei gesti
che sono stati sempre negati e ignorati.
114
Ivi, pp. 35, 56, 57. Teresa de Lauretis, Stephen Heath (a cura di), The Cinematic
Apparatus, cit.
115
Cfr. Claire Johnston, Women’s Cinema as Counter-Cinema, in Id. (a cura di), Notes on
Women’s Cinema, cit.
116
Teresa de Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, cit., p. 107.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 295
117
Ivi, pp. 119-121.
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296 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
118
Ivi, p. 138.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 297
119
Lisa Cartwright e Nina Fonoroff, Narrative is Narrative: So What Is New?, cit., pp.
126-128.
120
«L’impressione di realtà imputata al cinema per generale consenso non è l’impronta
fisica degli oggetti e delle forme nel film, la cattura della realtà effettiva nell’immagine,
quanto piuttosto la risultante della capacità del cinema di riprodurre nel film le nostre
percezioni, di riconfermarci aspettative, ipotesi e conoscenza della realtà». Teresa de
Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, cit., pp. 59-63.
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298 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
122
ricorda Kaplan , strategie di opposizione a partire da diversi punti di
riferimento teorico rispetto al rapporto tra Edipo e narrazione: la valorizza-
zione da parte di Kristeva del momento preedipico, prelinguistico che
aveva come esempio il modello, prevalentemente maschile, dell’avanguar-
dia, o anche il suo rimando al carnevalesco e al polifonico di Bakhtin da
contrapporre a un testo fonologico e fallico; Brecht, i formalisti russi e
Althusser (un testo sovversivo, non realista, non narrativo e di avanguardia
contro un testo realista classico che incorpora l’ideologia dominante). Per
le une il moderno e quindi l’avanguardia in quanto strategie che violavano
lo scenario edipico, potevano essere paragonati a un femminile positivo. Ad
altre il moderno appariva invece misogino e problematico perché elitario e
comunque riconducibile a una cultura alta. La vita, da un punto di vista
femminista, non può essere disgiunta dalle pratiche estetiche e non a caso il
concetto di trasgressione, come sottolinea Kaplan, rimane centrale negli
anni Settanta e Ottanta. In questo senso la critica di de Lauretis, che viene
ulteriormente precisata in un testo dell’85, acquista un valore paradigmatico
e la negazione del piacere della spettatrice viene letta come atto di violenza
nel suo pretendere di imporre una sorta di autodisciplina123. Ma anche il
lavoro che alcune studiose portano avanti sui generi del cinema classico o
della cultura popolare come la soap opera, scrive Kaplan, spinge a conclu-
sioni che oltrepassano la semplice dimostrazione che lo scenario edipico
posiziona e reprime la donna: negli interstizi, nelle rotture di questi testi la
spettatrice può comunque recuperare qualcosa per sé (come per il rapporto
madre-figlia) e forse – si sostiene – tutto ciò che il patriarcato definisce
femminile può essere ribaltato e ricondotto ai propri fini. In ogni caso,
conclude Kaplan, la narrazione diviene uno snodo cruciale del discorso e
delle pratiche:
121
Ivi, pp. 66-68.
122
E. Ann Kaplan, Feminism/ Oedipus/ Postmodernism: The Case of MTV, pp. 30-44, in Id. (a
cura di), Postmodernism and Its Discontents. Theories and Practices, London and New York,
Verso, 1988.
123
Ibid.: la citazione di Kaplan fa riferimento a Teresa de Lauretis, Oedipus Interruptus,
«Wide Angle», vol. 7, n. 1-2, 1985, pp. 34-40.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 299
124
E. Ann Kaplan, Feminism/Oedipus/Postmodernism: The Case of MTV, cit., p. 32.
125
Cfr. Laura Mulvey, Fear Eats the Soul, «Spare Rib», n. 30, 1974; Id., Notes on Sirk and
Melodrama, «Movie», n. 25, 1977/1978; e l’antologia a cura di Christine Gledhill, Home is
Where the Hearth is: Studies on Melodrama and the Women’s Film, London, British Film
Institute, 1987.
126
Laura Mulvey, Afterthoughts on “Visual Pleasure and Narrative Cinema” inspired by Duel
in the Sun, «Framework», vol. 6, nn. 15-17, estate 1981, pp. 12-15; poi in Id., Visual and
Other Pleasures, cit.; [tr. it. Le ambiguità dello sguardo, «Lapis. Percorsi della riflessione
femminile», n. 7, marzo 1990, pp. 38-42, alla p. 41].
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300 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
tirsi cosı̀ tagliata fuori dalla mascolinizzazione del piacere nel film da
sfuggire alla sua fascinazione, può anche scoprire di «godere segretamente,
quasi inconsciamente, della libertà di azione e di controllo sul mondo
diegetico data dall’identificazione con un eroe maschile». In questo caso,
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127
Ibid., [tr. it. pp. 38-39].
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 301
128
Teresa de Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, cit., pp. 143-144.
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302 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Kristeva, o pensare a una e´criture che nasce dal corpo della donna, come fa
Montrelay o, ancora, pensare a un corpo femminile che non è il vuoto, la
mancanza, come solo può pensarlo un pensiero fallogocentrico, ma il
pieno, due labbra che si toccano, la donna dello speculum di Irigaray
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129
Cfr. Miriam Hansen, Babel and Babylon. Spectatorship in American Silent Film, London,
Harvard University Press, 1991; Mary Ann Doane, Film and the Masquerade: Theorising the
Female Spectator, «Screen», vol. XXIII, n. 3-4, settembre-ottobre 1982, pp. 74-87; [tr. it.
Cinema e mascheramento: riflessioni teoriche sulla spettatrice e sullo sguardo femminile, in Maria
Tersa Chialant, Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area
inglese e americana, cit., pp. 309-321]; Id., The Desire to Desire. The Woman’s Film of the 1940s,
Bloomington, Indiana University Press, 1987.
130
Gaylyn Studlar, Masochism and the Perverse Pleasure of the Cinema, in Bill Nicholls (a
cura di), Movies and Methods, vol. II, Berkeley, University of California Press, 1985, pp.
602-621, p. 607; Id., In the Realm Of Pleasure. Von Sternberg, Dietrich, and the Masochistic
Aesthetic, cit.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 303
The Desire to Desire è il punto di arrivo di una ricerca sul dispositivo, sulla
posizione della spettatrice e sulle strategie di negazione dello sguardo
femminile attuate dal cinema hollywoodiano che Doane ha condotto
attraverso più saggi, a partire dai modelli freudiano e lacaniano e dall’ap-
proccio semiotico, riposizionando il concetto di mascherata sviluppato da
Johnston, un testo rivelatore rispetto a una soggettività femminile come
prodotto di molteplici discorsi non riducibili al racconto, all’immagine o al
testo e che fa del luogo della visione e dunque della spettatrice un luogo di
“consumo” – «nel desiderio di avere più vicine le cose dello schermo, di
accostarsi all’immagine corporea della star e di possedere lo spazio in cui
essa dimora, la spettatrice vive l’intensità dell’immagine come richiamo ed
131
esemplifica la percezione del consumatore» –, di negoziazione e di
continui spostamenti. Se l’identità femminile è data all’interno di un sistema
patriarcale di posizionamento sessuale, ciò non vuol dire che il femminile si
costruisca necessariamente a misura del desiderio maschile. Occorrerà
allora scoprire quali siano le strategie di posizionamento, ed è proprio il
woman’s film a esibire le tracce di strategie differenti: nel suo rivolgersi a un
pubblico femminile, nel suo volerne catturare lo sguardo, questo genere
non fa appello allo sguardo distanziato del voyeurismo e del feticismo, che
131
Mary Ann Doane, The Desire to Desire. The Woman’s Film of the 1940s, cit., p. 33.
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304 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
132
Id., Film and the Masquerade: Theorising the Female Spectator, cit.; Id., The Desire to Desire.
The Woman’s Film of the 1940s, cit., in particolare alle pp. 12-19.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 305
logica e di controllo del simbolico. Ma ciò che, a suo parere, rimane non
abbastanza chiarito dai teorici della sutura è la codificazione maschile della
rappresentazione compensativa, all’interno di una strategia che evita ogni
confronto con il problema della differenza. Questo, come abbiamo già
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avuto modo di vedere, è uno degli snodi della teoria femminista, insieme
alla corrispondenza che viene tracciata tra gli scritti freudiani sul feticismo e
una presenza della donna nel cinema classico funzionante quale rappresen-
tazione delle perdite che precedono la differenza sessuale e di quelle che
essa stabilisce. L’equivalenza donna-mancanza è una «costruzione seconda-
ria, che copre più antichi sacrifici». In questo senso, conclude Silverman, le
castrazioni preedipiche elencate da Lacan producono un soggetto struttu-
rato dalla mancanza prima della scoperta della differenza e la cui coerenza
e certezza si fondano sulla divisione e sull’alienazione, mentre l’insistenza di
Freud su una creatura femminile mutilata denota un intento difensivo del
soggetto maschile e la volontà di proiettare sul soggetto femminile la
castrazione e la mancanza. Il disconoscimento è governato da un meccani-
smo proiettivo, che induce il soggetto a riconoscere negli altri e nel mondo
esterno ciò che rifiuta di riconoscere in sé. Ed è la proiezione, che la si
interpreti in senso tecnologico o ideologico, a fornire «una inestimabile
metafora per inquadrare la natura involontaria delle proiezioni sessual-
mente differenzianti», le quali sono effetto di una «strutturazione edipica
costantemente rinnovata, che ricolloca la perdita dell’oggetto a livello
dell’anatomia femminile, restituendo al bambino un’integrità immaginaria».
L’obiettivo deve essere allora un capovolgimento del punto di vista, per una
lettura che, partendo da un soggetto maschile che verifica la propria
coerenza e potenza simbolica proponendo l’impotenza simbolica del sog-
getto femminile, interpreti «la perdita e la differenza associate al soggetto
femminile come sintomo della condizione maschile», dimostrando come il
cinema classico abbia «un rapporto più che metaforico con le operazioni
133
che costruiscono la differenza» .
L’importanza del tentativo di stabilire un rapporto teoricamente pro-
duttivo tra strategie dell’avanguardia e pratiche filmiche delle donne
emerge con chiarezza da un saggio di Penley (pubblicato sul n. 2 di
«Camera Obscura» e rispecchiando con ciò la tensione di quella rivista a
ripensare il materiale teorico prodotto sulla sperimentazione)134 che, par-
133
Kaja Silverman, Lost Objects & Mistaken Subjects, «Wide Angle», vol. 8, nn. 1 e 2, 1985,
pp. 14-29, pp. 16, 17, 21, 24, 25, 27, 28.
134
Costance Penley, The Avant-Garde and its Imaginary, «Camera Obscura», n. 2, 1977, pp.
3-33; Scriverà il collettivo redazionale (Collettivo Camera Obscura: Cronologia, cit.): «il nostro
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306 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 307
135
Ivi, in particolare alle pp. 11, 12, 17, 19, 21, 23, 25, 26. Jean-François Lyotard, Discours,
Figure, Paris, Klincksieck, 1971. Cfr. anche Constance Penley, Janet Bergstrom, The Avant-
Garde: Histories and Theories, «Screen», vol. XIX, n. 3, 1978, pp. 113-127; Costance Penley,
Feminism, Film Theory, and the Bachelor Machines, «m/f», n. 10, 1985.
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308 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
rola negli studi retorici e linguistici del linguaggio figurativo, della conclu-
sione metziana che una retorica del film sia possibile e dell’evidenziazione,
accanto a ciò, dell’erroneità di alcune categorie, tra cui il collasso lacaniano
di metafora e metonimia in condensazione e spostamento e quello di
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136
Costance Penley, Introduction to Metaphor/Metonimy, or the Imaginary Referent, «Camera
Obscura», n. 7, 1981-1982, pp. 7-39, in particolare alle pp. 17-21.
137
Cfr. Elizabeth Cowie, Woman as Sign, «mlf», n. 1, 1978; Jacqueline Rose, Sexuality in the
Field of Vision, London, Verso, 1986.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 309
138
Maureen Turim, Desire in Arts and Politics: The Theories of Jean François Lyotard,
«Camera Obscura», n. 12, 1983-1984, pp. 91-109, pp. 97-99.
139
Maureen Turim, The Place of Visual Illusion, in Teresa de Lauretis, Stephen Heath (a
cura di), The Cinematic Apparatus, cit., pp. 143-149, pp. 147-149. Cfr. anche Id., Flashbacks in
Film: Memory and History, New York and London, Routledge, 1989.
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310 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Le aree privilegiate della Feminist Film Theory nei primi anni Ottanta
sono dunque il soggetto (gli anni Ottanta vengono designati come “il
decennio del soggetto”, intendendo con ciò l’ampliarsi della dimensione
sociale che l’analisi via via assume) e la riformulazione del rapporto tra
rappresentazione e significato, sia pure nella eterogeneità dei contributi e
dei referenti teorici di volta in volta prescelti, dalla psicoanalisi al marxismo
(che, negli Stati Uniti, trova nuovi punti di riferimento negli scritti di
Jameson e Eagleton), alla semiotica, alle teorie della percezione: il cinema
classico, le modalità del racconto, il piacere della visione sono tutte que-
stioni che la teoria femminista sceglie di riaffrontare a partire dalla diffe-
renza per giungere alla determinazione di uno spazio semantico costruito
su una misura diversa del desiderio, con il risultato di evidenziare aree di
convergenza non solo a partire da Freud, Lacan, Saussure, Lèvi-Strauss,
Althusser, Peirce, Eco, Foucault, Benveniste, Barthes o Derrida (com’era
stato nel primo decennio), ma con teorici come Bellour, Kuntzel o Heath.
Janet Bergstrom sottolinea il contributo di questi ultimi ad una mappa
della differenza sessuale e la loro capacità di porgere, insistendo sulla
produzione di significato e non sull’individuazione di strutture o modelli,
una «fondamentale riconcettualizzazione delle strategie interpretative di Bar-
140
thes nei riguardi della specificità del film» . Fondandosi sulla teoria del
testo di Barthes e sulla distinzione metziana tra testo come oggetto fisico e
sistema testuale quale principio di coerenza che garantisce l’intellegibilità
del primo, è possibile instaurare un parallelo tra i sistemi di significato indi-
viduati da Barthes alla base del racconto classico e l’interpretazione dei
sogni di Freud. Il contributo di Bellour in merito all’evidenziazione del
rapporto tra avanzamento dell’azione narrativa e condensazioni e sposta-
menti su differenti livelli tra codici specifici ha reso possibile la successiva
messa a fuoco, da parte dei tre studiosi, della «logica del movimento e della
produzione di significato nel cinema classico e la sua tendenza verso i
sistemi, la simmetria e l’effetto di omogeneità». I loro scritti insistono tutti
sulla necessità di comprendere l’interdipendenza tra teoria del film e analisi
del testo, e quella, meno ovvia, tra teorie del dispositivo e inquadramento
140
Janet Bergstrom, Enunciation and Sexual Difference (Part I), «Camera Obscura» n. 3-4,
1979-1980, pp. 33-65, in particolare alle pp. 33, 34, 53, 55.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 311
141
Jacqueline Rose, The Cinematic Apparatus: Problems in Current Theory, in Teresa de
Lauretis, Stephen Heath (a cura di), The Cinematic Apparatus, cit., pp. 172-186, in particolare
alle pp. 174-176, 178, 179, 182.
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312 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
teoria della percezione nel suo implicare una «concentrazione sul visivo
come semplicemente percettivo». L’illusione dell’identità immaginaria è messa
alla prova dall’irrealtà dell’immagine, su un piano del tutto immaginario che
produce il dissolvimento del concetto di inconscio. Quanto afferma Co-
molli a proposito del disconoscimento come disconoscimento degli aspetti
subordinati all’immagine, nel quadro di una produzione industriale standar-
dizzata di cui il cinema è parte e di una concezione del mondo come
«appropriabile attraverso la visibilità», non è, per Rose, che un’estensione
del discorso metziano nella direzione di rafforzare un’idea di cinema come
«sorta di macchina analogica per la programmazione dell’identità, un
processo scritto nelle origini e nella storia del dispositivo stesso». Allo
stesso modo, la valorizzazione degli aspetti invisibili del processo filmico
rivaluta l’aspetto materiale della realizzazione, enfatizzando quei processi di
identificazione e riconoscimento che ricollocano in primo piano l’identifi-
cazione narrativa definita da Metz come secondaria rispetto a quella con la
cinepresa. Costruire, come fa Comolli, una teoria positiva del cinema che lo
sottragga al feticismo industriale, è possibile, per Rose, soltanto stabilendo
una sequenza riproduzione analogica-disconoscimento-consapevolezza-
cinema politico e ignorando il problema della differenza sessuale. Parlare di
riproduzione analogica, che è solo in parte riproduzione e che come tale
contiene, in potenza, una differenza, è infatti toccare il problema della
donna «come immagine, come garante e sanzione dell’immagine contro il
suo turbamento latente, il panico dello sguardo». Un problema centrale per
la Feminist Film Theory e che propone una rinnovata attenzione su quanto
è stato detto sul corpo. La teorizzazione di uno spazio alternativo del
racconto in rapporto all’immagine femminile non può non spostare l’atten-
zione sul processo stesso, sui modi di rapportarsi all’oggetto rappresentato e
sulla stessa economia psicanalitica, contro una concezione arcaica del
processo filmico che rende innocente la rappresentazione, ponendo la
donna al di fuori del linguaggio come in tutte le forme classiche del
discorso e trascurando l’impossibilità, già intuita da Freud, di assimilare
maschile e femminile ad attivo e passivo, di cancellare la divaricazione
esistente tra soggetto e oggetto del desiderio. D’altro canto, lo spazio di
“visione aperta” teorizzato da Lyotard che presuppone la rimozione del-
l’oggetto, cioè del corpo, non conduce che alla feticizzazione dello sguardo,
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 313
142
Cfr. Mary Ann Doane, The ‘‘Woman’s Film’’: Possession and Address, cit.; Judith Mayne,
The Woman at the Keyhole, ivi; Id., Visibility and Feminist Film Criticism, «Film Reader», n. 5,
1982, pp. 120-124, p. 122. Christine Gledhill, Developments in Film Criticism, in Mary Ann
Doane, Patricia Mellencamp, Linda Williams (a cura di), Re-Vision: Feminist Essays in Film
Analysis, cit.
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314 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
È della vita delle donne allora che bisogna scrivere e raccontare... Di fronte
alle mille e mille narrazioni scaturite dal partire da sé le donne hanno
ricucito storie, ritrovato identità, espresso domande e desideri, trascritto
itinerari di oppressione e di liberazione, trasferito esperienze e inaugurato
direzioni, trasgredito e prefigurato nuovi mondi, respingendo pratiche di
dominio e ripensando la politica, inventando nuove forme e rifondando
concetti, hanno guardato il mondo attraverso i propri occhi come avan-
guardia degli oppressi ma nella consapevolezza che le pratiche dell’avan-
guardia e del moderno erano state di segno maschile, hanno immaginato
un’estetica, hanno moltiplicato le differenze indagando la differenza, hanno
teorizzato il separatismo, soggetto collettivo, hanno parlato il linguaggio
delle minoranze da isole, per frammenti, iscrivendo la propria soggettività
nel racconto personale, nel saggio, nella poesia, nel video, nella perfor-
mance, nell’opera, nel cinema. Questo ha comportato molti rischi e molti
momenti di passaggio: i pericoli di essenzialismo, l’astrattezza, il determini-
smo, l’avanguardismo intellettuale, il “quietismo politico” della teoria fem-
minista sono stati messi in luce da più parti. Ma quando il movimento
femminista ha, forse più di altri movimenti, subito, soprattutto in Europa,
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 315
143
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, cit., p. 89.
144
Kathleen Martindale, L’in-discreto soggetto lesbico rifiuta di negoziare. Il decennio del
soggetto: teorie, narrazioni, posizionamenti, in AA.VV., Questioni di teoria femminista, cit., pp.
37-60, p. 37; Paul Smith, Discerning the Subject, Minneapolis, University of Minnesota Press,
1987.
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316 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
145
Ivi, pp. 43, 48, 32. Biddy Martin, Lesbian Identities and Autobiographical Difference(s),
Ithaca, Cornell University Press, 1988; Cornel West, The New Cultural Politics of Difference, in
Russell Ferguson, Martha Gever, Trinh T. Minh-ha, Cornel West (a cura di), Out There:
Marginalization and Contemporary Culture, New York, New York Museum of Contemporary
Art, 1990, p. 35; Joan Nesle, A Restricted Country, Ithaca/N.Y., Firebrand, 1987.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 317
del loro essere nel mondo, non può ancora una volta non avere un’impor-
tanza decisiva, rimandando a sfere più ampie di esclusione e di oppressione,
che affiancano all’identità di genere altri tipi di identità come la classe
sociale e la razza. «Gli assi di “differenza” e i modi di oppressione che ne
derivano non sono allineati o paralleli ma sovrapposti o imbricati gli uni
negli altri; i sistemi di oppressione sono interconnessi e si determinano
reciprocamente»: è la teoria della «simultaneità delle oppressioni» di Bar-
bara Smith – «una femminista nera, una donna nera e una lesbica nera» – e
146
di altre femministe africaneamericane . Ecco, anche, come è possibile
operare punti di saldatura tra varie aree del movimento: se la psicoanalisi
dà risposte ritenute insoddisfacenti dall’area gay e lesbica e dalle donne di
colore, lo sviluppo dell’analisi del postcolonialismo e la ripresa nell’ambito
dei diaspora studies degli scritti di Fanon, fondamentali per il terzomondi-
smo degli anni Sessanta e Settanta, consentono di riprendere i contatti con
le teorie freudiane. In questo “decennio del soggetto” che sono gli anni
Ottanta, un primo aspetto con cui la riflessione delle donne deve confron-
tarsi è quello del transito da un soggetto privo di genere (quindi maschile)
implicato nel discorso dei “maestri pensatori”, da Althusser, a Lacan, a
Foucault (a Derrida allo stesso Deleuze, come ha mostrato Rosi Braidot-
147
ti ), a un soggetto femminile, femminista, lesbico, resistente. Ma tale
attraversamento non può non fronteggiare, dal momento che «il sistema
sesso/genere è sia un costrutto culturale sia un dispositivo semiotico», un
«sistema di rappresentazione che conferisce significato agli individui all’in-
terno della società», quella che de Lauretis definisce «una contraddizione
logica e inconciliabile della nostra cultura» e cioè che «le donne sono sia
dentro sia fuori del genere, oggetto di rappresentazione ma al tempo stesso
prive di rappresentazione». Due raccolte di testi, rispettivamente del 1981 e
del 1982, sono, come anche de Lauretis ricorda, particolarmente indicative
di questa “svolta” e costituiscono, non a caso, una critica radicale al
femminismo bianco dominante: This Bridge Called My Back: Writings by
146
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, cit., p. 41. Il testo cui de Lauretis fa riferimento è
Barbara Smith (a cura di), Home Girls: A Black Feminist Anthology, New York, Kitchen
Table/Women of Color Press, 1983, pp. 272-282.
147
Rosi Braidotti, Dissonanze, cit., pp. 32-104.
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318 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
148
Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, cit., pp. 136, 142-143; Cherrı́e Moraga,
Gloria Anzaldúa (a cura di), This Bridge Called My Back: Writings of Radical Women of Color,
Watertown, Mass., Persephone Press, 1981, II ed. New York, Kitchen Table/Women of
Color Press, 1983; G.T. Hull, P. Bell Scott, B. Smith (a cura di), All the Women Are White, All
the Blacks Are Men, but Some of Us Are Brave: Black Women’s Studies, Old Westbury, New
York, The Feminist Press, 1982.
149
Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, cit., p. 143.
150
Non sarà superfluo ricordare, accanto al lavoro coordinato da Teresa de Lauretis e
Stephen Heath, The Cinematic Apparatus, cit., i contributi di Baudry e del gruppo di
«Cinéthique».
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 319
151
Cfr. Teresa de Lauretis, La tecnologia del genere, cit., p. 152; Monique Wittig, The
Straight Mind, «Feminist Issues», n. 1, estate 1980, pp. 106-107, poi in Id., The Straight Mind
and Other Essays, Boston, Beacon Press, 1992.
152
Constance Penley, The Future of an Illusion. Film, Feminism, and Psychoanalysis, London,
Routledge, 1989, pp. XIII e XIX.
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320 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
153
Peter Brooker, Will Brooker (a cura di), Postmodern After-Images: A Reader in Film,
Television and Video, London, Arnold, 1997, p. 1.
154
Cfr. Craig Owens, The Discours of Others: Feminist and Postmodernism, in Hal Foster (a
cura di), The Anti-Aesthetics. Essays on Postmodern Culture, New York, The New Press, 1983,
pp. 57-82; Andreas Huyssen, Mass Culture as Woman: Modernism’s Other, in Tania Modleski
(a cura di), Studies in Entertainment: Critical Approaches to Mass Culture, Bloomington, Indiana
University Press, 1986. Richard W. Mc Cormick, Politics of the Self. Feminism and the
Postmodern in West German Literature, Princeton/N.J., Princeton University Press, 1991; cfr.
l’introduzione di Linda Nicholson in Linda J. Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism,
London and New York, Routledge, 1990, p. 5.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 321
Un femminismo resistente
Rifacendosi alla distinzione di Hal Foster tra un postmodernismo conserva-
tore e un postmodernismo resistente, che lavora alla decostruzione del
moderno come status quo a partire da una prospettiva deliberatamente
critica, Ann Kaplan sottolinea quella che a suo parere è un’antinomia
all’interno del suo discorso: trasgressione e postmoderno sono due concetti
teoreticamente incompatibili nella misura in cui il primo si collega a Brecht
e Bakhtin, le cui teorie derivano da pensatori moderni come Hegel,
Nietzsche, Marx, Freud e cioè a paradigmi che si fondano su opposizioni.
Prendendo le distanze dalle posizioni di Baudrillard, che Kaplan definisce
di “consumo”, è più nella direzione segnata da Derrida, e della sua atten-
155
Sandra Harding, The Instability of the Analytical Categories of Feminist Theory, «Signs»,
vol. 11, n. 4, pp. 645-665, p. 657, cit. in Anna Yeatman, A Feminist Theory of Social
Differentiation, in Linda J. Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism, cit., pp. 281-299, p.
293.
156
Rosi Braidotti, Genere, identità e multiculturalismo in Europa, in Id., Nuovi soggetti nomadi,
cit., pp. 165-201, p. 181.
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322 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
157
E. Ann Kaplan (a cura di), Postmodernism and Its Discontents. Theories and Practices,
London and New York, Verso, 1988, pp. 1-9.
158
Andreas Huyssen, Mapping the Postmodern, in Linda J. Nicholson (a cura di), Feminism/
Postmodernism, cit., pp. 234-277.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 323
159
Laura Kipnis, Feminism: The Political Consciousness of Postmodernism? , in Andrew Ross (a
cura di), Universal Abandon? The Politics of Postmodernism, Minneapolis, University of Minne-
sota Press, 1988, pp. 149-166, p. 153.
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324 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
che la teoria femminista, nei molteplici punti di vista che esprime, si pone
come istanza autonoma e resistente all’interno di un pensiero postmoderno
con il quale certamente condivide la crisi dell’autorità culturale e quindi
della rappresentazione stessa: il femminismo, scrive Linda Hutcheon, ha
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160
Linda Hutcheon, The Politics of Postmodernism, London and New York, Routledge,
1989, V ed. 1995, pp. 141-144. [Il saggio Postmodernism and Feminisms, alle pp. 141-168, è
stato parzialmente tradotto come Postmodernismo e femminismi in Maria Teresa Chialant,
Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e
americana, cit., pp. 249-271].
161
Ivi, pp. 167-168.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 325
dà origine a quella che Jardine descrive come una «incapacità delle parole
di dare forma al mondo», cosa che può senz’altro portare a una lotta per il
controllo di ciò che ha screditato la funzione paterna – lo «spazio che ha
cominciato a minacciare tutte le forme di autorialità». I nuovi discorsi
teorici (femminismo? postmodernismo?) che hanno a cominciato a pren-
dere il posto delle grandi narrazioni, non si vedono più come “un sistema
di prestiti e debiti nei confronti delle grandi verità del passato”, hanno
cominciato, secondo Jardine, a concettualizzare un nuovo spazio, quello
della donna162.
162
Barbara Creed, From Here to Modernity, «Screen», vol. 28, n. 2, 1987, pp. 47-67, ora in
Peter Brooker, Will Brooker (a cura di), Postmodern After-Images: A Reader in Film, Television
and Video, cit., pp. 43-54.
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326 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
163
Ibid. Per le citazioni da Jardine, cfr. Alice Jardine, Gynesis. Configurations of Woman and
Modernity, Ithaca and London, Cornell University Press, 1985.
164
E. Ann Kaplan, Motherhood and Representation: From Post War Freudian Figurations to
Postmodernism, in E. Ann Kaplan (a cura di), Psychoanalysis and Cinema, cit., pp. 129-142.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 327
165
Seyla Benhabib, Epistemologies of Postmodernism: A Rejoinder to Jean-François Lyotard, in
Linda J. Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism, cit., pp. 107-130.
166
Nancy Fraser, Linda Nicholson, Social Criticism without Philosophy: An Encounter
between Feminism and Postmodernism, (pubblicato in «Communication», vol. 10, nn. 3 e 4,
1988, pp. 345-366 e in «Theory, Culture and Society», vol. 5, nn. 2 e 3, giugno 1988, pp.
373-394), in Andrew Ross (a cura di), Universal Abandon? The Politics of Postmodernism, cit.,
pp. 83-104, pp. 101-102, poi in Linda J. Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism, cit.,
alle pp. 19-37.
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328 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
167
Sandra Harding, Feminism, Science, and the Anti-Enlightenment Critiques, in Linda J.
Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism, cit., pp. 83-106.
168
Joan Wallace Scott, The Evidence of Experience, «Critical Inquiry», n. 17, 1991, pp.
773-797; cfr. anche Linda Alcoff, The Elimination of Experience in Feminist Theory, intervento
presentato al Women’s Studies Symposium, Cornell University, 3 febbraio 1995, cit. in Paula
M. L. Moya, Postmodernism, “Realism”, and the Politics of Identity: Cherrı´e Moraga and Chicana
Feminism, in M. Jacqui Alexander, Chandra Talpade Mohanty (a cura di), Feminist Genealo-
gies, Colonial Legacies, Democratic Futures, New York and London, Routledge, 1997, pp.
125-150.
169
Cfr. a questo proposito e sulla “rivalutazione” dell’esperienza, Shari Stone-Mediatore,
Chandra Mohanty and the Revaluing of “Experience”, in Uma Narayan, Sandra Harding (a cura
di), Philosophy for a Multicultural, Postcolonial, and Feminist World, Bloomington and Indiana-
polis, Indiana University Press, 2000, pp. 110-127.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 329
170
Paula M. L. Moya, Postmodernism, “Realism”, and the Politics of Identity, cit. I testi di
Butler cui Moya si riferisce sono: Judith Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of
Identity, New York and London, Routledge, 1989; Id., Bodies that Matter. On the Discursive
Limits of “Sex”, cit. e Judith Butler, Joan Scott (a cura di), Feminists Theorize the Political, New
York, Routledge, 1992; per Haraway: A Manifesto for Cyborgs: Science, Technology, and Socialist
Feminism in the 1980s, «Socialist Review», vol. 15, n. 2, 1985, pp. 65-107, ora in Linda J.
Nicholson (a cura di), Feminism/Postmodernism, cit., pp. 190-233; [tr. it. Un manifesto per
Cyborg: scienza, tecnologia e femminismo socialista nel tardo ventesimo secolo, in Manifesto Cyborg.
Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, cit., pp. 39-101].
171
Ivi, p. 137.
172
Cfr. Cherrı́e Moraga, Loving in the War Years: lo que nunca pasó por su labios, Boston,
South End Press, 1983; Cherrı́e Moraga, Gloria Anzaldúa (a cura di), This Bridge Called My
Back, cit.; Satya P. Mohanty, The Epistemic Status of Cultural Identity: On Beloved and the
Postcolonial Condition, «Cultural Critique», n. 24, primavera 1993, pp. 41-80.
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330 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
l’identità delle “donne di colore” può essere definita cyborg) tra umano e
animale, organismo e macchina, fisico e non fisico. Una invenzione e un
mito, perché è attraverso l’invenzione, la critica postmoderna, il materiali-
smo storico che è possibile rispondere a un postmoderno che, come dice
Jameson, non è un’opzione ma una dominante culturale, un mito che
riguarda «trasgressioni di confini, fusioni potenti e pericolose possibilità che
un popolo progressista possa esplorare come una parte del lavoro politico
necessario» – non semplice decostruzione, ma trasformazioni liminali – in
una prospettiva che ribalti l’altra possibile di un mondo cyborg all’insegna
del controllo e dell’orgia maschile della guerra per un mondo cyborg di
realtà socialmente e corporalmente vissute in cui non si abbia timore «di
identità permanentemente parziali e di punti di vista contraddittori». Cy-
173
borg è eteroglossia, epistemologia è conoscere le differenze .
I saggi tradotti in questo volume si pongono appena sulla soglia di
questo movimento che segna il nostro presente. Una soglia sulla quale sono
rimasta, proponendomi di rimettere insieme alcuni pezzi di un percorso. I
corpi delle spettatrici sono molto diversi da quelli delle flâneuses dei grandi
magazzini nelle metropoli novecentesche. Eppure anche il loro guardare, il
loro piacere di guardare trasformato in forme di consumo dai nuovi e
molteplici dispositivi della società capitalistica – dal grande magazzino al
turismo, alle esposizioni, al museo, al cinema e alle esperienze che lo
precedono, contesti sociali e strutture architettoniche che creano spazi
senza tempo, che estendono l’illusione della mobilità spaziale nell’illusione
della mobilità temporale –, è già tutto iscritto nel corpo. Partendo dal
flâneur benjaminiano, Friedberg mostra come, nonostante da Baudelaire a
Jonathan Crary (che polemizza con le teorie del dispositivo per una
soggettività corporea in cui è il corpo a produrre l’esperienza ottica) il
problema del genere venga trascurato, pensare a un soggetto femminile
urbano per il quale la modernità rende disponibili nuove mobilità possa
essere «una determinante cruciale delle trasformazioni del ruolo del genere
174
nella postmodernità» . Il dibattito sul postmoderno, dal quale è spesso
173
Donna Haraway, A Manifesto for Cyborgs, cit.
174
Anne Friedberg, Window Shopping. Cinema and the Postmodern, Berkeley and Los
Angeles, University of California Press, 1994, p. 9 e pp. 15-38.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 331
175
Ivi, pp. 168-177 e appendice.
176
Ida Dominijanni, intervento al convegno “Identità e corpi”, Villa Mirafiori, Roma 2001.
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332 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
situato, appunto ai saperi situati di cui dirà Haraway)177, che dalla rivaluta-
zione delle radici corporee della soggettività, da un corpo come luogo
primario da cui sviluppare «l’aspetto epistemologico della “politica del
posizionamento”, che tende a fondare il discorso prodotto da donne
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177
Adrienne Rich, Notes Toward a Politics of Location, in Id., Blood, Bread, and Poetry:
Selected Prose 1979-1985, New York, Norton, 1986, pp. 210-231. Cfr. anche Donna Haraway,
Saperi situati: La questione della scienza nel femminismo e il privilegio di una prospettiva parziale,
cit.
178
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, cit., pp. 92-93.
179
Ivi, pp. 101-102.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 333
180
Ivi, pp. 102-103.
181
Monique Wittig, One Is Not Born a Woman, in Id., The Straight Mind and Other Essays,
cit., pp. 18-19.
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334 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
182
da Hartsock a MacKinnon, intreccia . Ma Braidotti osserva come Butler
faccia comunque suoi alcuni concetti di Wittig, quali la critica al genere nel
suo creare categorie e forme di identità che pretende di spiegare. Puntare
all’elaborazione di una genealogia critica della categoria donna, che inter-
seca «modalità razziali, etniche, di classe, sessuali e locali di identità
183
costituite discorsivamente» , pone il problema di coniugare la legittima-
zione di un soggetto politico femminile femminista che intanto si destabi-
lizza. Il materialismo, nell’accezione foucaultiana – la materia è sempre
materializzata – impone uno spostamento di posizione da una domanda
«come succede che il genere viene costruito attraverso e con le sembianze
di una certa interpretazione del sesso? (domanda che lascia in sospeso la
“materia” del sesso)» alla domanda «attraverso quali norme regolative il
sesso viene materializzato? E come mai il fatto di considerare la materialità
del sesso come un presupposto postula e rinsalda le condizioni normative
della sua stessa emergenza?». Per questo Butler oppone alla strategia
mimetica di Irigaray la categoria della ripetizione parodistica, in virtù della
sua potenzialità destabilizzante (è attraverso la ripetizione che il sesso ac-
quista il suo carattere naturalizzato ma anche che si schiudono instabilità
costitutive delle costruzioni), come la più adeguata ad allargare il ventaglio
184
delle definizioni dell’identità di genere . Il femminismo, conclude Brai-
dotti, si trova a fronteggiare visioni differenti del materialismo: la ricerca di
un nuovo universale sessuato (essenzialismo strategico), il superamento del
genere, il terzo sesso (neomaterialismo lesbico). Se lo spostamento più
rilevante rispetto all’inizio degli anni ’80 è quello di una generalizzazione
della sfera omosessuale (è la struttura del desiderio ad essere omosessuale
182
Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, cit., pp. 11-57. Nancy C. M. Hartsock, The
Feminist Standpoint: Developing the Ground for a Specifically Feminist Historical Materialism, in
Sandra G. Harding, Merrill B. Hintikka (a cura di), Discovering Reality. Feminist Perspectives on
Epistemology, Metaphysics, Methodology, and Philosophy of Science, Kluwer Academic Publisher,
II ed., 2003; Juliet Mitchell, Psychoanalysis and Feminism, 1974; [tr. it. Psicoanalisi e femminismo,
Torino, Einaudi, 1976]; Jacqueline Rose, Sexuality in the Field of Vision, cit.; Catherine
MacKinnon, Feminism Unmodified: Discourses on Life and Law, Cambridge, Harvard Univer-
sity Press, 1987.
183
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, cit., p. 103 e Judith Butler,
Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, cit., p. 3.
184
Id., Corpi che contano, cit., pp. 9-10.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 335
185
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità e differenza sessuale, cit., pp. 108-110.
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336 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
[...] l’E non è né l’uno né l’altro, è sempre tra i due, è la frontiera,
c’è sempre una frontiera, una linea di fuga o di flusso, soltanto non
la si vede perché è la meno percettibile. Ed è su questa linea di
fuga che le cose accadono, i divenire si fanno, le rivoluzioni si
disegnano...
Scrivendo del cinema di Godard, dell’essenzialità del suo uso dell’E – «l’E
non è che una congiunzione o una relazione particolare, che trascina tutte
le relazioni, ci sono tante relazioni quanti E, l’E non fa soltanto oscillare
tutte le relazioni, fa oscillare l’essere, il verbo...», l’E è «l’imbarazzo della
creazione, l’uso straniero della lingua, in opposizione al suo uso conforme e
dominante fondato sul verbo essere» –, Deleuze ci dice di un cinema che
187
vuole esplorare le frontiere . È il cinema del “tra” straubgodardiano di cui
scriveva Daney in La rampe e in virtù del quale «la questione del “punto di
188
vista” diviene a poco a poco un enigma» . È un movimento che investe
molta parte del cinema moderno e del cinema politico contemporaneo. È,
a sua volta, un cinema di confine.
186
Trinh T. Minh-ha, Feminism, Filmaking and Postcolonialism: An Interview with Trinh T.
Minh-ha, a cura di Judith Mayne, «Feminisms», settembre-ottobre e novembre-dicembre
1990; «Afterimage», vol. 18, n. 5, dicembre 1990; ora con il titolo From a Hybrid Place, in Id.,
Framer Framed, New York and London, Routledge, 1992, pp. 137-149. Il volume contiene
anche la sceneggiatura del film. L’autrice fa riferimento all’importanza che gli “spazi
negativi” hanno nel suo cinema, evocando il concetto del Vuoto delle filosofie asiatiche: «la
gente spesso non sa di che stai parlando quando menzioni la vitalità del Vuoto nei rapporti
tra oggetto e non oggetto o tra Io e non Io. Ancora una volta si può pensare a una forma di
mistificazione. È il problema del pensiero oggettivante, binario: il vuoto qui non è mera-
mente opposto al pieno o alla oggettività; è il luogo reale che rende possibile forme e
contenuti – cioè anche inseparabili» (p. 142).
187
Gilles Deleuze, Trois questions sur Six Fois Deux, in Pourparlers. 1972-1990, Paris, Les
Éditions de Minuit, 1990, pp. 55-66, alle pp. 64-66; [tr. it. Pour parler. 1972-1990, Macerata,
Quodlibet, 2000].
188
Serge Daney, La rampe. Cahier critique 1970-1982, Paris, Cahiers du Cinéma-Gallimard,
1996, p. 78.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 337
Quelle delle donne sono state da sempre visioni di confine: dalla soglia
della casa o dalle soglie dei corpi, dagli spazi in cui eravamo e siamo
confinate e da quelli rivendicati per noi, dai ruoli in socialità imposta e
preordinata, dalle barriere del genere e della differenza, della classe, del
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colore della pelle – la “linea del colore” –, della nazione. Le donne hanno
sempre raccontato, custodito, ricordato, inventato mentre scorgevano negli
specchi se stesse e molto altro, perché «lo specchio non solo riproduce le
189
immagini [...], le contiene e le assorbe» , hanno vissuto la perdita e tessuto
legami d’amore, si sono offerte conservando la loro bellezza. Hanno viag-
giato aspettando chi viaggia e riempiendo l’attesa con le cose che restano e
con quelle immaginate, sono fuggite o sono state messe in fuga, hanno
seguito i compagni o i fratelli in città lontane e affrontato viaggi senza
ritorno. Nomadismo, ma anche diaspora, esilio. L’esilio non ha come solo
riscontro il privilegio della libertà. Anch’io ho lasciato la mia città pagando
il prezzo di essermene allontanata una volta. Una città del Sud, dove i
palazzi costruiti dalla mafia hanno cancellato il mare. Ho riconosciuto i
miei concittadini maschi in una metropoli industriale del Nord grazie agli
apprezzamenti fatti sul mio corpo e dai quali mi sono difesa parlando il
nostro dialetto, una forma di riconoscimento che va al di là (almeno certe
volte) delle classi – io studentessa, allora, loro figli di proletari immigrati. La
mia città mi esclude, ne ho abitate altre. In tutte mi abituo a tutte mi
affeziono. Ma vorrei dire a Braidotti, che di questo nomadismo è maestra,
che non sempre è possibile abitare alle porte, accamparsi come i nomadi
che cantano le mappe del deserto. Anche chi sceglie l’esilio liberamente ne
è in qualche modo prigioniero e il ritorno è comunque incerto e difficile.
Non tutti lo scelgono liberamente... Come scrive Radhika Mohanram,
Braidotti non fa abbastanza i conti con quegli immigranti neri in attesa di
un impossibile permesso nella zona transiti dell’aeroporto internazionale di
Parigi che pure scorge e menziona: si può valorizzare il nomadismo e
debiologizzare il corpo ma
molte donne nere non possono essere percepite al di là del corpo.
L’aspetto letterale del nomadismo – la scioltezza e il diritto alla mobilità –
è riservato alle donne con passaporti forti. Le donne con passaporti deboli
di solito sono confinate dentro le loro frontiere. La scioltezza di movi-
mento di Braidotti attraverso i confini palesa il corpo europeo non
marcato. Questo aspetto del nomadismo è in definitiva una metafora per
l’accesso a una coscienza nomadica. Per molte donne non privilegiate le
189
Gloria Anzaldúa, Terre di confine/La frontera, cit., p. 76.
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338 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
190
Radhika Mohanram, Black Body. Women, Colonialism and Space, Minneapolis and
London, University of Minnesota Press, 1999, pp. 82-83.
191
Cfr. Rosi Braidotti, Genere, identità e multiculturalismo in Europa, cit.
192
Ivi, p. 183.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 339
gno di riflettere sulla nostra identità di europee non mi sembra solo una
risposta positiva alle posizioni essenzialiste o, dall’altro lato, alle critiche più
che fondate di “espropriazione” che ci vengono da parte delle donne
africane, asiatiche, africaneamericane o chicane: mi sembra piuttosto un
sintomo della nostra decostruzione, della nostra indeterminatezza, che
richiedono come riscontro non un ritorno alle Grande Teoria ma certo
l’articolazione di strategie di resistenza e cambiamento. Non sono una
filosofa e insegno storia del cinema, eppure non mi basta parlare delle mie
radici mostrando La terra trema, Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo e di
questo mondo globalizzato e di diaspore, di un cinema, come scrive Naficy,
193
accented , proiettando La promesse, Sankofa o i film di Isaac Julien, Mai
Masri e Khleifi. Vorrei pensare all’università come un luogo in cui io e gli
studenti mettiamo in contatto le nostre soggettività e, per qualche tempo, ci
disponiamo a metterle, insieme, in discussione... Come fare i conti con un
nuovo modello educativo, con nuovi saperi, con altre soggettività in costru-
zione? L’immigrazione in Italia è ancora un fatto relativamente recente
eppure ogni giorno sotto i nostri occhi proliferano master nuovi e accatti-
vanti sull’immigrazione, sui diritti, su un nuovo concetto di cittadinanza.
Per interrogare tutto questo non bastano le videocamere di pochi volente-
rosi o modelli di informazione alternativa che, al di là dell’input tecnolo-
gico, non hanno molto di diverso dalla controinformazione militante e per
militanti sperimentata negli anni Settanta. L’università rimane un corpo
separato ed è questo che bisogna comprendere quando si tenta di resistere
a una trasformazione del sistema universitario che guarda sempre più alla
privatizzazione e ai bisogni delle imprese. In che senso allora il personale
può essere politico, in che cosa il mio essere docente-femminista-donna
rende diverso il mio modo di insegnare? Una progettualità non può essere
definita tale se non ha gambe per camminare e la sola passione rischia di
essere fraintesa... I nomadi stanno davvero accampati nei “campi” o alle
porte delle città e c’è sempre qualcuno pronto a mandarli via... Preferisco
allora parlare di diaspore e di emigrazione, ma parlare tutte le lingue, di
tutti i popoli, è ancora un privilegio... Ecco perché credo nella forza delle
193
Hamid Naficy, An Accented Cinema: Exilic and Diasporic Filmaking, Princeton/N.J.,
Princeton University Press, 2001.
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340 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
immagini, delle figurazioni, delle metafore, della memoria, dei corpi, della
trance, della creatività e degli incontri... Un vestitino da battesimo arrivato
su un bastimento, agli inizi del secolo, dalla Sicilia ad Ellis Island, che la
nazione che continua a proporsi come la più democratica del mondo,
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194
Gloria Anzaldúa, Terre di confine/La frontera, cit., pp. 83, 85.
195
Ivi, pp. 123, 113, 116.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 341
«In questa città in cui non faccio più parte della maggioranza per colore
o per cultura», scrive Minnie Bruce Pratt, una donna bianca, «ogni giorno
mi dico»:
196
Ivi, pp. 123-124.
197
Biddy Martin, Chandra Talpade Mohanty, Feminist Politics: What’s Home Got to Do with
It?, in Teresa de Lauretis (a cura di), Feminist Studies/Critical Studies, cit., pp. 191-211. La
citazione dal testo di Pratt (Minnie Bruce Pratt, Identity: Skin Blood Hearth, in Elly Bulkin,
Minnie Bruce Pratt, Barbara Smith, Yours in Struggle: Three Feminist Perspectives on Anti-
Semitism and Racism, Brooklyn/N. Y., Long Haul Press, 1984) a p. 190. Come scrive Tania
Modleski (Feminism Without Women. Culture and Criticism in a “Postfeminist” Age, New York
and London, Routledge, 1991, alla p. 20), Pratt, da femminista bianca del Sud, cerca di
rispondere alle domande di altre donne (di colore, femministe ebree, lesbiche) non appro-
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342 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 343
punti di forza del movimento delle donne del Terzo Mondo (una tra le
definizioni possibili: Sud del mondo, postcolonialismo, diaspora, ecc.):
200
Ivi, p. 19.
201
Cherrı́e Moraga, Gloria Anzaldúa (a cura di), This Bridge Called My Back, cit., p. 24.
202
Cfr. le posizioni divergenti di Trinh T. Minh-ha, hooks e Suleri, la quale, per esempio,
considera riduttive molte delle strategie delle donne del Terzo Mondo, come quella
dell’autenticità o dell’autobiografismo: Sara Suleri, Woman Skin Deep: Feminism and the
Postcolonial Condition, «Critical Inquiry», estate 1992, pp. 756-769.
203
Cfr. Patricia Mellencamp, Uncanny Feminism, in Peter Brooker, Will Brooker (a cura di),
Postmodern After-Images: A Reader in Film, Television and Video, cit., pp. 265-279; Ella Shohat,
Robert Stam, The Cinema after Babel: Language, Difference, Power, «Screen», n. 3-4, maggio-
agosto 1985, pp. 35-58 e Robert Stam, Subversive Pleasures: Bakhtin, Cultural Criticism, and
Film, Baltimore, John Hopkins University Press, 1989. Cfr. anche Clyde Taylor, Black Cinema
in the Post-aesthetic Era, in Jim Pines, Paul Willemen (a cura di), Questions of Third Cinema,
London, British Film Institute, 1989, pp. 99-110; cfr. Mikhail Bakhtin, The Dialogical
Imagination, Austin, University of Texas Press, 1981 e Speech Genres and Other Late Essays,
Austin, University of Texas Press, 1986.
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344 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
204
Janice R. Welsch, Bakhtin, Language, and Women’s Documentary Filmaking, in Diane
Carson, Linda Dittmar, Janice R. Welsch (a cura di), Multiple Voices in Feminist Film Criticism,
cit., pp. 162-175, p. 163.
205
Cfr. Cheryl Johnson-Odim, Common Themes, Different Contexts: Third World Women and
Feminism, in Chandra Talpade Mohanty, Ann Russo, Lourdes Torres, Third World Women
and the Politics of Feminism, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1991,
pp. 314-327; Chandra Talpade Mohanty, Introduction Cartographies of Struggle. Third World
Women and the Politics of Feminism, ivi, pp. 2-47 e Under Western Eyes: Feminist Scholarship and
Colonial Discourse, «Boundary», vol. 2, n. 12-13, estate-autunno 1984, ora ivi, pp. 51-80; [tr. it.
Sotto gli occhi dell’Occidente: Saperi femministi e discorsi coloniali, in Maria Teresa Chialant,
Eleonora Rao (a cura di), Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e
americana, cit., pp. 357-367].
206
Trinh T. Minh-ha, “Difference”: A Special Third World Woman Issue, «Discourse», n. 8,
autunno-inverno 1986-1987, pp. 10-37, cit. in Nicola Graves, Third World and Third World
Women, primavera 1996, www.emory.edu/english/bahri/thirdworld.html
207
Dalla prefazione al volume a cura di Chandra Talpade Mohanty, Ann Russo, Lourdes
Torres, Third World Women and the Politics of Feminism, cit., pp. IX-XI, p. X.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 345
208
Cfr. Chandra Talpade Mohanty, Sotto gli occhi dell’Occidente, cit., p. 357.
209
Chandra Talpade Mohanty, Indroduction. Cartographies of Struggle. Third World Women
and the Politics of Feminism, cit., pp. 4-6 e 9. Rispetto al suo progetto di teorizzazione del
femminismo, l’autrice riconosce il proprio debito nei confronti di de Lauretis e Sylvia
Winter.
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346 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
210
Ivi, p. 10.
211
Cfr. Lisa Cartwright e Nina Fonoroff, Narrative is Narrative: So What Is New?, cit., p.
137: «proponendo una pratica femminista, proponiamo una pratica necessariamente speri-
mentale», scrivono le autrici, analizzando una serie di strategie sovversive all’interno della
pratica filmica, dalla citazione allo spostamento del significante attraverso la presenza di
identità “elusive”, di apparenze o archetipi organizzati da un testo che rende ambiguo il
processo di identificazione, alle alterazioni nello sviluppo della narrazione, agli slittamenti
diegetico/non diegetico.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 347
212
Teresa de Lauretis, Rethinking Women’s Cinema: Aesthetics and Feminist Theory, in Diane
Carson, Linda Dittmar, Janice R. Welsch (a cura di), Multiple Voices in Feminist Film Criticism,
cit., pp. 140-161, p. 148. Per una precedente versione del saggio vedi nota 17.
213
Ivi, p. 149: de Lauretis fa riferimento a quanto scrivono Mary Ann Doane, Patricia
Mellencamp e Linda Williams in Re-Vision: Feminist Essays in Film Analysis, cit., p. 4,
Adrienne Rich, On Lies, Secrets, and Silence, cit., p. 35, Barbara Smith, Toward a Black Feminist
Criticism, in G.T. Hull, P. Bell Scott, B. Smith (a cura di), All the Women Are White, All the
Blacks Are Men, but Some of Us Are Brave, cit.
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348 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
come sistema degli sguardi nel cinema dominante che le spettatrici nere, a
partire dalla consapevolezza della politica della razza e del razzismo,
possono sviluppare uno «sguardo oppositivo» scegliendo attivamente di non
identificarsi con il soggetto immaginario del film perché tale identificazione
è disabilitante. Non identificandosi né con la vittima né con il carnefice,
hanno creato uno spazio critico in cui l’opposizione binaria “donna come
immagine, uomo come portatore dello sguardo” viene continuamente
decostruita. Una teoria, quella di Mulvey, radicata in una «cornice astorica-
mente psicanalitica che, privilegiando la differenza sessuale, sopprime il
riconoscimento di razza, riattivando e rispecchiando la cancellazione della
femminilità nera che si verifica nei film e mettendo a tacere ogni discus-
sione sulla differenza razziale o sulla differenza sessuale razzializzata». In
questo senso anche la definizione di “spettatore resistente” avanzata da
Diawara (e da altri studiosi neri postcoloniali) non è, per bell hooks,
adeguata per le spettatrici del cinema femminista nero:
noi creiamo testi alternativi che non sono semplicemente reazioni. I film
delle femministe nere offrono nuovi spazi di riconoscimento incorporando
la visione di Stuart Hall di una pratica critica che riconosce che questa
identità è costituita «non fuori ma dentro la rappresentazione» e che ci
invita a vedere il film non come «uno specchio di seconda qualità
chiamato a riflettere ciò che già esiste, ma come forma di rappresenta-
zione capace di costituirci come nuovi tipi di soggetti e che dunque ci
consente di scoprire ciò che siamo»215.
214
Ivi, pp. 158 e 154.
215
bell hooks, Black Looks. Race and Representation, London, Turnaround, 1992, pp.
122-124 e 128-131.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 349
216
za»... Come per Fanon non può darsi uomo nuovo che a partire dal
rifiuto di una radice che affonda nell’assolutismo culturale di una mitologia
colonialista fondata sul predominio di un gruppo predestinato, di una
cultura presentata come una iscrizione che «privilegia i fondamenti (fisico e
discorsivo insieme) di ordine e tassonomia nel territorio e nei corpi dei
colonizzati», e dalla creazione di una «politica di identità che nascano dalle
decisioni del soggetto» per la quale l’opposizione alla cultura coloniale
diviene «lotta in un territorio libero da radici», «perché non c’è permanenza
possibile quando s’inaugura una nuova forma di nomadismo», «una cultura
217
disponibile alle molteplicità e alle linee di fuga» , cosı̀ per le femministe
nere (o non bianche) è possibile parlare di una nuova estetica, una controe-
stetica a partire appunto dalla molteplicità della loro enunciazione. Come fa
bell hooks: alla prospettiva “post-estetica” di Taylor, per il quale l’estetica
avendo funzionato come un linguaggio all’interno del quale codificare le
opere va considerata come un «sistema di eredità culturale che legittima i
possessori e delegittima gli spossessati», un sistema che per essere “parlato”
richiede una conoscenza della cultura occidentale e del suo retroterra
teorico, per cui è necessario spostarsi dalle estetiche alternative degli anni
Sessanta, che inscrivevano nuovi contenuti in categorie preesistenti senza
che queste ultime fossero messe in discussione a una «scienza dei sistemi
umani», capace di recuperarne le dimensioni represse, quelle creatività che
hanno, come scrive Jacques Maquet, «loci diversi in società diverse, e che
sono disposte, percepite e valutate in situazioni culturali in cambiamen-
218
to» , hooks oppone una controestetica che ponga «in discussione le
nozioni estetiche del moderno, senza tuttavia rifiutare il discorso sull’esteti-
ca», una «pratica, per sua natura interdisciplinare, sensibile a forme culturali
politicamente impegnate (ad esempio l’arte femminista) o radicate nel
vernacolo – vale a dire forme che negano l’idea di una sfera estetica privi-
216
Radhika Mohanram, Black Body. Women, Colonialism and Space, cit., pp. XIII-XV.
217
Alejandro De Oto, “Escapes” and Displacements: Notes on Frantz Fanon’s Oppositional
Discourse, El Colegio De México, CEAA, www.thecore. nus.edu.sg/landow/post/poldi-
scourse/fanon/escapes3.html
218
Clyde Taylor, Black Cinema in the Post-aesthetic Era, cit., pp. 97-98. In particolare Taylor
fa riferimento a quanto a tale proposito scrive Sylvia Winter (The Ceremony Must Be Found:
After Humanism, «Boundary», n. 2, primavera-estate 1984, pp. 19-70).
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350 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
legiata», fuori dalla storia, senza obiettivi, e che si limiti a guardare il mondo
come una totalità simbolica: la cultura bianca non è “il” luogo di origine
219
della discussione sull’estetica, ma solo «un luogo tra gli altri» .
Il femminismo contemporaneo, dunque, estende quella dimensione
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219
bell hooks, Yearning: Race, Gender and Cultural Politics, London, Turnaround, 1991; [tr.
it. (estratto) in Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Milano, Feltrinelli, 1998, pp.
56-57]: «lavorando da una posizione dove differenza e alterità sono riconosciute come forze
che intervengono nella teorizzazione occidentale sull’estetica a riformulare e trasformare i
termini della discussione, gli africani-americani sono legittimati a rompere con vecchi modi
di vedere la realtà secondo i quali ci sarebbe un solo pubblico per le nostre opere e un solo
metro estetico per misurarne il valore. Liberandoci dalla camicia stretta del nazionalismo
culturale, ci lasciamo alle spalle anche il postulato razzista in base al quale le produzioni
culturali dei neri possono avere una rilevanza e un significato “autentici” solo per un
pubblico di neri».
220
Cfr. Ella Shohat, Gender and Culture of Empire: Toward a Feminist Ethnography of the
Cinema, «Quarterly Review of Film and Video», nn. 1-3, 1991, pp. 45-84, ora in Matthew
Bernstein, Gaylyn Studlar (a cura di), Visions of the East. Orientalism in Film, New Brun-
swick/N.J., Rutgers University Press, 1997, pp. 19-68; cfr. anche Robert Stam, Ella Shohat,
Unthinking Eurocentrism. Multiculturalism and the Media, London and New York, Routledge,
1994.
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TRAVERSARE LE DIFFERENZE 351
221
le», del sesso interrazziale . Lo sguardo interrazziale, scrive ancora Kaplan,
è inseparabile dalle specificità culturali locali e globali e dalla formazione
delle soggettività: interrogarsi sulla natura di questo sguardo è fare i conti
con soggetti ibridi e multipli, i soggetti-tra, i soggetti ai margini di cui
dicono le cineaste e i cineasti indipendenti, è fare i conti con il viaggio. È
scoprire che termini come cultura e nazione acquistano un significato
diverso, e un nuovo mondo immaginato in cui «la bianchezza è irrilevante»
e l’«immaginazione è un processo, una relazione piuttosto che uno sguar-
222
do» . Un’estetica diasporica, una pratica dialogica: raccontare, scrive Trinh
T. Minh-ha, una storia
che non finisce mai di cominciare o di finire. Che appare senza capo né
coda perché è costruita su differenze. La sua (in)finitezza sovverte ogni
nozione di completezza e la sua cornice rimane non totalizzabile. Le
differenze che porta con sé sono differenze non solo nella struttura, nel
gioco di strutture e di superfici, ma anche nel timbro e nel silenzio. Noi –
tu e io, lui e lei, noi e loro – siamo diversi nel contenuto delle parole, nella
costruzione e tessitura delle frasi ma soprattutto, credo, nella scelta e nella
mescolanza di pronunce, usi, toni, velocità, tagli, pause. La storia circola
come un dono; un dono vuoto che ognuno può avanzare il diritto di
riempire a piacimento, ma che non può mai possedere veramente. Un
dono costruito sulla molteplicità. Che rimane inesauribile dentro i suoi
stessi limiti. Le sue partenze e arrivi. La sua quiete223.
221
E. Ann Kaplan, Looking for the Other. Feminism, Film, and Imperial Gaze, cit., p. XIX.
222
Ivi, p. 14.
223
Trinh T. Minh-ha, Woman, Native, Other. Writing Postcoloniality and Feminism, Bloo-
mington and Indianapolis, Indiana University Press, 1989, p. 2.
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352 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
224
Michael J. Shapiro, Cinematic Political Thought: Narrating Race, Nation and Gender,
Edinburgh, Edinburgh University Press, 1999, pp. 1-7, in particolare a p. 7.
225
Michael Hardt, Antonio Negri, Empire, Cambridge/Mass. and London, Harvard Uni-
versity Press, 2000; [tr. it. Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano, Rizzoli, 2002].
Julia Kristeva, He´re´tique de l’amour, «Tel Quel», n. 74, 1977; [tr. it. Eretica dell’amore, in Eretica
dell’amore, cit., pp. 5-30, p. 30].
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RICONOSCERE/RAPPRESENTARE
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L’IMMAGINE E LA VOCE:
APPROCCI ALLA CRITICA CINEMATOGRAFICA
MARXISTA-FEMMINISTA
di Christine Gledhill
Immagine e realtà
Negli anni Sessanta, la politica di sinistra ha mostrato un crescente interesse
per la cultura come luogo di lotta ideologica, sviluppando il concetto
dell’ideologia per spiegare l’apparente fallimento della rivoluzione della
classe operaia profetizzata dal marxismo. Una definizione elementare del
termine ideologia la identifica come qualsiasi sistema particolare di cre-
denza usato per spiegare la società. Marx, però, ha fatto notare che,
possedendo i mezzi di produzione, la classe dominante controlla non solo
1
la ricchezza della società ma anche la produzione delle sue idee . Le idee
Image and Voice: Approaches to Marxist-Feminist Film Criticism, in Diane Carson, Linda
Dittmar, Janice R. Welsch (a cura di), Multiple Voices in Feminist Film Criticism,
Minneapolis, University of Minnesota Press, 1994, pp. 109-123.
1
Karl Marx, Friedrich Engels, The German Ideology, London, Lawrence and Wishart,
1974; [tr. it. L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1958].
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356 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
dell’ordine naturale.
Ai suoi inizi, la politica culturale femminista si concentrò sulle immagini
delle donne che circolavano nei mezzi di comunicazione. Le femministe
attaccarono la presentazione di un’immagine falsata, sostenendo che la
creazione di uno stereotipo del genere esprimeva e al tempo stesso norma-
lizzava l’ineguaglianza sessuale patriarcale. In queste polemiche, la micidiale
combinazione di fantasia patriarcale e capitalismo consumistico trasforma
la donna in quanto oggetto sessuale in un congegno di compra-vendita.
Questo processo non è stato analizzato solo in ambito pubblicitario ma
anche nei film hollywoodiani che, attingendo dagli stereotipi di genere pro-
fondamente radicati e esponendo la cornucopia del capitalismo, mostrano
la donna come oggetto del desiderio maschile e al contempo invitano il
pubblico femminile a consumare. Contro l’immagine, lo stereotipo, l’og-
getto sessuale e la fantasia, la prima critica femminista chiedeva la rappre-
sentazione di “donne vere”, di donne come sono o come potrebbero essere
nella realtà. Il problema ideologico veniva individuato nella produzione
commerciale hollywoodiana di intrattenimento di massa. Il cinema d’arte
europeo, organizzato intorno all’artista creativo e a un pubblico della classe
media, appariva libero di trattare il film come una forma d’arte capace di
esplorare i rapporti umani reali. Da tale contrapposizione emerse la ricerca
di immagini positive delle donne – realistiche ma anche liberate – per
2
contestare gli stereotipi negativi dei mezzi di comunicazione di massa .
Questa doppia contrapposizione, ossia positivo/realista contro negati-
vo/stereotipato, in seguito si rivelò problematica.
In primo luogo, il marxismo contesta le concezioni idealiste e essenzia-
liste della realtà. Il materialismo marxista non analizza la realtà in quanto
esperienza individuale, fenomeni empirici o percezioni spirituali, bensı̀
come produzione storica di forze socioeconomiche contraddittorie. Un
primo modello marxista di società prevedeva una “base” economica che
3
reggeva una “sovrastruttura” culturale/ideologica . Mentre l’umanesimo li-
2
Vedi la rivista cinematografica femminista degli inizi «Women & Film»; per es. Christine
Mohanna, A One-Dided Story: Women in the Movies, «Women & Film», n. 1, 1972.
3
Vedi Sylvia Harvey, Ideology: The “Base and Superstructure” Debate, in Terry Dennett, Jo
Spence (a cura di), Photography/Politics: One, London, Photography Workshop, 1979.
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L’IMMAGINE E LA VOCE 357
berale sostiene che il progresso della civiltà risiede nello sviluppo di idee da
parte di individui ispirati, Marx afferma l’inverso: le forme sociali e culturali
sono determinate dai mezzi con cui una data società produce la vita
materiale. Le contraddizioni che si sviluppano tra forze e rapporti sociali di
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358 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
4
Vedi in particolare Lawrence Alloway, Violent America, New York, Museum of Modern
Art, 1971 e Iconography of the Movies, in Ian Cameron (a cura di), Movie Reader, London,
November Books, 1972.
5
Judith Hess, Genre Film and the Status Quo, in Barry Grant (a cura di), Film Genre: Theory
and Criticism, Metuchen/N.J., Scarecrow Press, 1977.
6
Jacqueline Levitin, The Western: Any Good Roles for Women?, «Film Reader», n. 5, 1982.
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L’IMMAGINE E LA VOCE 359
che si poneva era a quale livello poter individuare i loro significati ed effetti
ideologici.
Questa domanda richiedeva una rottura con la tradizione letteraria
umanista, la quale presume che i dispositivi artistici e le strutture narrative
siano i veicoli di significati che riflettono la condizione umana. In tale
tradizione la forma esprime metaforicamente la visione della vita dell’arti-
sta. L’interpretazione letteraria umanista dipende dal realismo psicologico
manifestato nel personaggio a tutto tondo, complesso e individualizzato, in
opposizione allo stereotipo o al tipo sociale. I personaggi vengono analiz-
zati sulla base di come noi pensiamo che la gente reagisca e si comporti
nella vita reale. Studenti e critici diventano psicologi dilettanti. La riabilita-
zione delle convenzioni nella critica di genere che ha posto in primo piano
la presenza e il ruolo di regole e codici di fiction ha messo in discussione
l’idea del cinema come riflesso diretto del mondo o della visione dell’artista.
Questa messa in discussione è stata rafforzata dalla riscoperta della
critica formalista russa da parte della teoria del film, nonché dallo sviluppo
della semiotica e dello strutturalismo. Il formalista Viktor Šklovskij, per
esempio, sosteneva che la funzione della forma estetica non è di riflettere
ma di distorcere o straniare gli aspetti normali, quotidiani. Il dispositivo
artistico blocca il riconoscimento automatico e ci consente di vedere in
7
modo diverso . La semiotica va oltre, affermando che parole e immagini
sono segni che hanno significato non perché rispecchiano una realtà
preesistente, ma per la loro collocazione e funzione strutturale in un
8
sistema linguistico o semiotico . Il mondo non fornisce parole e immagini
con un significato; piuttosto sono i linguaggi verbali e visivi che, artico-
lando e nominando, danno significato al mondo. Cosı̀ il significato non è
riflesso ma prodotto.
Lo scopo di questo nuovo progetto critico era in primo luogo un
maggior rigore, che esigeva che prima di valutare il contenuto di un film si
prestasse più attenzione alle specificità della produzione filmica e in parti-
7
Viktor Šklovskij, Art as Tecnique, in Russian Formalist Criticism, a cura di Less T. Lemone
Marion J. Reis, Lincoln, University of Nebraska Press, 1965; [tr. it. L’arte come procedimento,
in Tzvetan Todorov (a cura di), I formalisti russi, Torino, Einaudi, 1968].
8
Terence Hawkes, Structuralism and Semiotics, rist. London, Routledge, 1991.
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360 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
9
Louis Althusser, Marxism and Humanism, in For Marx, Harmondsworth, England,
Penguin, 1969; [tr. it. Per Marx, Roma, Editori Riuniti, 1967]; e Ideology and Ideological State
Apparatuses, in Lenin and Philosophy and Other Essays, London, New Left Books, 1971; [tr. it.
Lenin e la filosofia, Milano, Jaca Book, 1969].
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L’IMMAGINE E LA VOCE 361
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362 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
condizione specifica della vita delle donne – per esempio, l’instabilità come
adattamento alle esigenze conflittuali della vita domestica – in una spiega-
10
zione della natura femminile – per esempio, il mutismo .
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Realismo e antirealismo
Centrale per la concezione marxista della formazione sociale è il ruolo della
contraddizione. La forza motrice della storia risiede nel conflitto tra le forze
materiali e i rapporti sociali di produzione e la conseguente divisione della
formazione sociale in interessi di classe opposti. L’ideologia borghese ha il
compito di mascherare queste contraddizioni di classe mediante la loro
unificazione illusoria, facendo ricorso a concetti quali la “natura umana”,
l’“interesse comune”, o la “nazione”; oppure spostandole su opposizioni
idealiste che sono passibili di soluzione, come il conflitto tra individuo e
società. Cosı̀ i lavoratori in sciopero spesso sono rappresentati non come
compatrioti ma come estremisti che tengono in ostaggio la nazione. I
lavoratori che si astengono dallo sciopero non sono descritti come persone
prive di solidarietà di classe ma come rispettabili padri di famiglia che
proteggono i loro diritti di individui. Tali concetti servono a “naturalizzare”
le forze storiche in conflitto, ponendole fuori dal controllo umano e quindi
11
fuori dal cambiamento .
La teoria del film degli anni Settanta ha sviluppato un modello di “testo
realista classico” per analizzare questo processo attraverso i mezzi di
comunicazione, dai film di genere hollywoodiani al cinema d’essai europeo,
12
ai drammi televisivi, all’attualità e al documentario . La narrazione realista
è investita sul singolo protagonista e su un modello narrativo di rottura,
conflitto e soluzione, reso autentico da ambientazioni riconoscibili che
connotano la vita reale. Si è sostenuto che tale struttura non maschera solo
i processi sociali che producono la realtà, ma anche i processi semiotici di
rappresentazione. Cosı̀, il testo realista classico rende naturali le costruzioni
sociali e ideologiche del capitalismo e del patriarcato e al contempo nega la
produzione culturale del significato. Il realismo, come ha paradossalmente
10
Vedi Tessa Perkins, Rethinking Stereotypes, in Michele Barrett e altri, Ideology and Cultural
Production, London, Croom Helm, 1979.
11
Vedi Stuart Hall, Culture, the Media and the “Ideological Effect”, in James Curran e altri,
Man communication and Society, London, Edward Arnold, 1977.
12
Vedi Colin MacCabe, Realism and the Cinema: Notes on Some Brechtian Theses, «Screen»,
n. 15, estate 1974.
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L’IMMAGINE E LA VOCE 363
Realismo e genere
Sebbene questo modello descrivesse l’ambizione dell’ideologia dominante,
non riusciva però a tener conto delle ideologie contraddittorie o resistenti e
delle pratiche estetiche che potevano impedirne la realizzazione. Tuttavia
la critica di genere aveva dato rilievo a procedimenti filmici che, a causa dei
bisogni economici dello studio system, necessariamente evidenziavano la
loro sistematica convenzionalità piuttosto che occultarla. I generi filmici
forniscono il materiale per la produzione dell’intrattenimento di massa. Da
un lato, le trame, gli stereotipi e le convenzioni riconoscibili dei vari generi
consentono all’industria di standardizzare pratiche di studio, di prevedere la
domanda di mercato e di stabilizzare in tal modo la produzione. Dall’altro,
la richiesta di novità è soddisfatta dal gioco innovativo con le convenzioni.
Il pubblico va a vedere l’ennesimo western non per scoprire “cos’altro sta
per accadere” – in effetti, lo sa già – bensı̀ “come”. Vi è cosı̀ una tensione
sottesa tra il bisogno del film di genere di evidenziare le proprie formule e
convenzioni e l’esigenza del racconto classico di un realismo illusorio, che
si fonda sulla conquista della sospensione dell’incredulità del pubblico.
La critica femminista si è interessata di questo potenziale antagonismo.
Le convenzioni di genere e gli stereotipi della Hollywood classica sono
codici piuttosto visibili che possono essere messi in gioco l’uno contro
l’altro o contro i temi ideologici del film. In questo processo, è possibile
illustrare e persino sovvertire le contraddizioni la cui unificazione è il
progetto ideologico del film. Pertanto, una critica femminista che opera
secondo una prospettiva contrastante con l’ideologia prescelta come “mes-
saggio” o “visione del mondo” del film può riuscire a suscitare tali effetti per
13
Roland Barthes, Myth Today, in Mythologies, New York, Hill and Wang, 1972; [tr. it. Il
mito, oggi, in Id., Miti d’oggi, Torino, Einaudi, 1974].
14
Jean Luc Godard, Vent d’Est, 1970.
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364 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
15
Ferdinand de Saussure, A Course in General Linguistics, London, Fontana, 1974; [tr. it.
Corso di linguistica generale, Roma e Bari, Laterza, 1967].
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L’IMMAGINE E LA VOCE 365
16
Vedi Steve Burniston e Christine Weedon, Ideology, Subjectivity and the Artistic Text,
«Working Papers in Cultural Studies», n. 10, Birmingham, Centre for Contemporary
Cultural Studies, 1977, e Steve Burniston e altri, Psychoanalysis and the Cultural Acquisition of
Sexuality and Subjectivity, in Women’s Studies Group (a cura di), Women Take Issue: Aspects of
Women’s Subordination, Birmingham University Centre for Contemporary Cultural Studies,
London, Hutchinson, 1978.
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366 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
17
Vedi Claire Johnston, Woman’s Cinema as Counter Cinema, in Notes on Women’s Cinema,
London, Society for Education in Film and Television, 1973, ora anche in Bill Nicholls (a
cura di), Movies and Methods, Berkeley, University of California Press, 1976, ed Elisabeth
Cowie, Women, Representation and the Image, «Screen Education», n. 23, estate 1977.
18
Laura Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, «Screen», vol. 16, autunno 1975,
pp. 6-18; [tr. it. Piacere visivo e cinema narrativo, in «Nuova dwf», n. 8, luglio-settembre 1978,
pp. 26-41].
19
Anne Friedberg, Identification and the Star. A Refusal of Difference, in Christine Gledhill
(a cura di), Star Signs, London, British Film Institute Education Department, 1982; una
versione più aggiornata di questo saggio è pubblicata e tradotta in questa antologia con il
titolo A Denial of Difference: Theories of Cinematic Identification (Il diniego della differenza: teorie
dell’identificazione filmica) (N.d.t.).
20
Vedi Claire Johnston, Femininity and the Masquerade, in Claire Johnston, Paul Willemen
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L’IMMAGINE E LA VOCE 367
(a cura di), Jacques Tourneur, Edinburgh-Scotland, Edinburgh Film Festival, 1975, e Towards
a Feminist Film Practice: Some Theses, «Edinburgh Magazine», n. 1, 1976.
21
Annette Kuhn, Women’s Genres: Melodrama, Soap Opera and Theory, in Christine Gledhill
(a cura di), Home Is Where the Heart Is: Studies on Melodrama and the Woman’s Film, London,
British Film Institute, 1987.
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368 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
22
Vedi i saggi di Claire Johnston e Pam Cook in Claire Johnston (a cura di), The Work of
Dorothy Arzner: Towards a Feminist Cinema, London, British Film Institute, 1975. Vedi anche
Pam Cook, “Exploitation” Films and Feminism, «Screen», n. 17, estate 1976.
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L’IMMAGINE E LA VOCE 369
Ideologia e negoziazione
Ogni area di attività sociale può essere analizzata come pratica discorsiva.
Nell’ambito degli studi culturali, si è adottata l’“analisi del discorso” per
esaminare le sottoculture vissute, esplorando al contempo la vita del testo
nella società. Charlotte Herzog e Jane Gaines, per esempio, analizzano il
modo in cui i costumi indossati dalle star forniscono il materiale di
23
partenza per la pratica discorsiva della sartoria . Tali considerazioni solle-
vano l’importante questione del pubblico, della lettura e delle condizioni di
ricezione. Per le femministe, interessate alla produttività della teoria per la
vita delle donne, il lavoro con il pubblico è stato cruciale.
L’analisi della ricezione attinge a un concetto di ideologia revisionato,
reso possibile da un ritorno all’opera del marxista italiano Antonio Gram-
24
sci . Sebbene il modello althusseriano della formazione sociale riconosca le
contraddizioni tra le sue pratiche e i suoi livelli diversi, la concezione
dell’ideologia dominante, che opera inconsciamente per interpolare il sog-
getto nelle sue strutture, restringe notevolmente le possibilità produttive
della contraddizione. Al posto dell’ideologia e dell’interpolazione domi-
nante, gli studi culturali marxisti utilizzano concetti di egemonia e negozia-
zione. Secondo Gramsci il potere ideologico in una democrazia sociale,
essendo una questione tanto di persuasione quanto di forza, non è mai
assicurato in modo definitivo. Il consenso al ruolo della classe dominante
deve essere continuamente riconquistato in una lotta tra gruppi conten-
denti. L’egemonia descrive la negoziazione tra le forze socioeconomiche,
ideologiche e politiche attraverso le quali il potere è mantenuto e conte-
stato. Le industrie della cultura hanno un ruolo in questa negoziazione.
La cultura democratica borghese, nel suo tentativo di rendere coerente
la società, deve rivolgersi costantemente a gruppi subalterni appellandosi e
manipolando i discorsi attraverso i quali essi si riconoscono. Questo apre
alla negoziazione i processi di produzione del significato all’interno e tra i
23
Charlotte Cornelia Herzog, Jane Marie Gaines, “Puffed Sleeves Before Tea-time”: Joan
Crawford, Adrian and Women Audiences, in Christine Gledhill (a cura di), Stardom: Industry of
Desire, London, Routledge, 1991.
24
Antonio Gramsci, Selections from the Prison Notebooks, London, Lawrence and Wishart,
1971; [cfr. Quaderni del carcere, Torino, Einaudi, 1975].
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370 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
25
Terry Lovell, Ideology and “Coronation Street”, in Richard Dyer e altri (a cura di),
Coronation Street, «Television Monograph 13», London, British Film Institute, 1981.
26
Julie d’Acci, The Case of Cagney and Lacey, in Helen Baher, Gillian Dyer (a cura di),
Boxed In: Women and Television, London, Pandora, 1987. Il titolo originale del telefilm è
Cagney and Lacey, ma in Italia è andato in onda con il titolo New York, New York (N.d.t.).
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L’IMMAGINE E LA VOCE 371
27
Vedi Janet Walzer, Feminist Critical Practice: Female Discourse in Mildred Pierce, «Film
Reader», n. 5, 1982; Jackie Byars, Gazes, Voice, Power, in E. Deidre Pribram (a cura di), Female
Spectators: Looking at Film and Television, London, Verso, 1988 e All That Hollywood Allows,
Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1981. Entrambe le autrici utilizzano Nancy
Chodorow, The Reproduction of Mothering: Psychoanalysis and the Sociology of Gender, Berkeley,
University of California Press, 1978, [tr. it. La funzione materna, Milano, La Tartaruga, 1991];
e Carol Gilligan, In a Different Voice, Cambridge/Mass., Harvard University Press, 1982, [tr.
it. Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Milano, Feltrinelli, 1987].
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372 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
28
Vedi, per esempio, Dorothy Hobson, “Crossroads”: The Drama of a Soap Opera, London,
Methuen, 1982; Charlotte Brunsdon, “Crossroads”: Notes of a Soap Opera, in E. Ann Kaplan (a
cura di), Regarding Television: Critical Views – an Anthology, Los Angeles, American Film
Institute, 1982; Ien Ang, Watching Dallas, London, Methuen, 1985; Ellen Seiter e altri,
Remote Control, New York and London, Routledge, 1991.
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di Linda Williams
Oh, Dio! Non dimenticherò mai quell’ultima scena, quando sua figlia si sta
sposando dentro la grande casa circondata dall’alto recinto di ferro e lei è
in piedi lı̀ fuori – non riesco neanche a ricordare di chi si trattasse, l’ho
vista quando ero una bambina e non sono mai riuscita a ricordarla bene.
Ma la ricordo comunque – mi aveva fatto un’impressione enorme – si
trattava forse di Barbara Stanwyck. Sta lı̀ in piedi e fa freddo e piove e lei
ha indosso un cappottino leggero e ha i brividi e la pioggia le cade sulla
povera testa e le scorre sul viso insieme alle lacrime e lei sta lı̀ in piedi a
guardare le luci e ad ascoltare la musica e poi semplicemente si allontana.
Come sono riusciti a farci acconsentire al nostro stesso sradicamento! Non
mi faceva semplicemente pena; provavo quello shock del riconoscimento
– hai presente, quando ti accorgi che ciò che senti è il tuo destino lassù
sullo schermo o sul palcoscenico. Si può dire che ho passato la vita intera
a cercare di predisporre un destino differente!1
«Something Else Besides a Mother»: Stella Dallas and the Maternal Melodrama, «Cinema
Journal», vol. 24, n. 1, autunno 1984, pp. 2-27.
1
Marilyn French, The Women’s Room, New York, Summit Books, 1977, p. 227.
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374 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
2
Un’interessante ed esauriente introduzione a questo sottogenere si può trovare in
Christian Viviani, Who is Without Sin? The Maternal Melodrama in American Film, 1930-1939,
«Wide Angle», vol. 4, n. 2, 1980, pp. 4-17. Viviani traccia la storia del melodramma materno
nei film americani a partire dal dramma originale francese Madame X su una donna adultera
che espia il suo peccato rinunciando per sempre a un figlio la cui ascesa sociale verrebbe
messa in pericolo dalla rivelazione del suo rapporto con lui. Due versioni filmiche di
successo degli anni Venti hanno rappresentato un modello per molti imitatori. Tra di essi
Viviani individua due differenti “vene” di questo sottogenere melodrammatico: i film con
ambientazioni europee in cui la madre originariamente colpevole cade nell’anonimato, e i
film con ambientazioni americane in cui la madre più “rooseveltiana” dimostra maggiori
energia ed autonomia prima di cadere nell’anonimato. Viviani suggerisce che Amore sublime
di King Vidor è “l’archetipo” di questa vena americana più energica di melodramma
materno. Egli aggiunge anche che sebbene Stella non sia realmente colpevole di niente, la
sua riluttanza a superare completamente le sue origini proletarie agisce come una sorta di
peccato originale che la fa sembrare colpevole agli occhi di suo marito e in definitiva anche
ai suoi. B. Ruby Rich ed io abbiamo anche affrontato brevemente il genere di questi
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 375
melodrammi materni sacrificali nei nostri sforzi di rintracciare il contesto del film femmini-
sta d’avanguardia di Michelle Citron, Daughter Rite. Il film di Citron è da molti punti di vista
il rovescio del melodramma materno, che articola la mescolanza di rabbia e amore della
figlia di fronte all’atteggiamento sacrificale della madre. The Right of Re-vision: Daughter Rite
di Michelle Citron, «Film Quarterly», vol. 35, n. 1, autunno 1981, pp. 7-22.
3
Simone de Beauvoir, The Second Sex, tr. ingl. H. M. Parshley, New York, Bantam, 1961,
pp. 488-89; [tr. it. Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano, 1984].
4
Un’eccellente introduzione a questa area di studi che si sta sviluppando rapidamente è il
saggio critico di Marianne Hirsch, Mothers and Daughters, «Signs: Journal of Women in
Culture and Society», vol. 7, n. 1, 1981, pp. 200-222. Vedi anche Judith Kegan Gardiner, On
Female Identity and Writing by Women, «Critical Inquiry», vol. 8, n. 2, inverno 1981, pp.
347-361.
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376 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
5
Adrienne Rich, Of Woman Born, New York, Bantam, 1977, pp. 240, 226; [tr. it. Nato di
donna, Milano, Garzanti, 1977].
6
Peter Brooks, The Melodramatic Imagination: Balzac, Henry James, Melodrama and the
Mode of Excess, New Haven, Yale University Press, 1976; [tr. it. L’immagine melodrammatica,
Parma, Pratiche, 1985].
7
Martha Vicinus, nello scrivere sul melodramma del diciannovesimo secolo, suggerisce
che i finali “propri” del melodramma, offrono «una temporanea riconciliazione degli
irriconciliabili». L’interesse è tipicamente non nei riguardi di ciò che è possibile o reale ma
di ciò che è desiderabile. Helpless and Unfriended: Nineteenth Century Domestic Melodrama,
«New Literary History», vol. 13, n. 1, autunno 1981, p. 132. Peter Brooks sottolinea una
caratteristica simile di realizzazione del desiderio nel melodramma, sostenendo anche che la
psicoanalisi offre una sistematica realizzazione dell’estetica basilare del genere: «se è vero
che la psicoanalisi è quasi divenuta un equivalente moderno della religione, (dopotutto è una
forma di cura dell’anima), è anche vero che il melodramma è una tappa nel cammino verso
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 377
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378 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Vidor), e infine della più recente soap opera radiofonica di lunga durata,
indica il particolare carattere duraturo di questa storia d’amore madre-figlia
nell’arco di tre decadi di pubblico femminile. Ma è in particolare nelle sue
versioni filmiche, specialmente nella versione di King Vidor con Barbara
Stanwyck, che ci imbattiamo in un interessante caso che costituisce un
precedente per molte teorie recenti sul modo in cui il cinema rappresenta
la soggettività femminile e sulla spettatrice.
Dal momento che gran parte di ciò che è stato chiamato cinema
narrativo classico riguarda soggetti maschili la cui visione definisce e
circoscrive oggetti femminili, la mera esistenza in Amore sublime di uno
“sguardo” femminile come caratteristica centrale della narrazione, è degna
di un’indagine specifica. Esattamente, cosa c’è di diverso nell’economia
visiva di un film simile? Che cosa accade quando una madre e una figlia,
che si identificano cosı̀ strettamente che le abituali distinzioni tra soggetto e
oggetto sono inapplicabili, si scelgono a vicenda come oggetto primario del
desiderio? Cosa accade, in altre parole, quando lo sguardo del desiderio
articola un’economia visiva abbastanza differente del possesso e dello
spossessamento madre-figlia? Cosa accade, infine, quando anche lo spetta-
tore privilegiato di un tale dramma è una donna? Per rispondere esauriente-
mente a queste domande dobbiamo compiere una deviazione attraverso
parte del pensiero psicanalitico recente sulla formazione di soggetti femmi-
10
Molly Haskell menziona solo brevemente il film nel suo capitolo sul woman’s film, in
From Reverence to Rape, cit., pp. 153-188; Da allora il film è stato analizzato da Christian
Viviani, in Who is Without Sin?, cit.; Charles Affron in Cinema and Sentiment, Chicago,
University of Chicago Press, 1983, pp. 74-76; Ben Brewster, A Scene at the Movies, «Screen»,
vol. 23, n. 2, luglio-agosto 1982, pp. 4-5; e E. Ann Kaplan, Theories of Melodrama: A Feminist
Perspective, «Women and Performance: A Journal of Feminist Theory», vol. 1, n. 1,
primavera-estate 1983, pp. 40-48. Kaplan ha anche scritto un articolo più lungo sul film, The
Case of the Missing Mother: Maternal Issues in Vidor’s Stella Dallas, «Heresies», vol. 16, 1983,
pp. 81-85. Anche Laura Mulvey menziona brevemente il film nel suo Afterthoughts on “Visual
Pleasure and Narrative Cinema” Inspired by Duel in the Sun (King Vidor, 1946), «Framework»,
nn. 15-16-17, estate 1981, pp. 12-15, [tr. it. Le ambiguità dello sguardo, «Lapis», n. 7, marzo
1990, pp. 38-42], – ma solo nel contesto del western di Vidor molto più orientato al
maschile. Cosı̀, nonostante Amore sublime continui a venir fuori nel contesto delle discussioni
sul melodramma, sul sentimento, la maternità e il pubblico femminile, non è stato ancora
oggetto dell’accurato esame complessivo che merita, tranne che da parte di Kaplan, della
quale affronto molti argomenti nel presente lavoro.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 379
11
Laura Mulvey, Visual Pleasure..., cit., p. 11. Vedi anche la maggior parte dei saggi in
Mary Ann Doane, Patricia Mellencamp e Linda Williams (a cura di), Re-Vision: Essays in
Feminist Film Criticism, Los Angeles, AFI Monograph Series, 1983.
12
Claire Johnston, per esempio, scrive in Women’s Cinema as Counter Cinema, cit.: «nono-
stante l’enorme enfasi posta sulle donne come spettacolo nel cinema, la donna in quanto
donna ne è largamente assente». p. 26, [tr. it. p. 59].
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380 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
umana. Questa cultura produce poi narrazioni che reprimono la figura della
mancanza che la madre – precedente figura della pienezza – è diventata.
Data questa situazione, la questione per la donna diventa, nei termini di
Christine Gledhill: «le donne sono in grado di parlare, e le immagini delle donne
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13
possono parlare per le donne?» . La risposta di Laura Mulvey, e la risposta di
molta critica femminista, sembrerebbero negative:
13
Christine Gledhill, Developments in Feminist Film Criticism, in Mary Ann Doane, Patricia
Mellencamp e Linda Williams (a cura di), Re-Vision, cit., p. 31. Originariamente pubblicato
in «Quarterly Review of Film Studies», vol. 3, n. 4, 1978, pp. 457-493.
14
Laura Mulvey, Visual Pleasure..., cit., p. 7; [tr. it. p. 27].
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 381
15
Ivi, pp. 7, 18; [tr. it., pp. 27, 41].
16
Le poche femministe che hanno iniziato questo lavoro difficile ma importante sono:
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade: Theorizing the Female Spectator, «Screen», vol. 23,
n. 3-4, settembre-ottobre 1982, pp. 74-87, [tr. it. Cinema e mascheramenti: per una teoria della
spettatrice, in Giuliana Bruno e Maria Nadotti (a cura di), Immagini allo schermo, Torino,
Rosenberg & Sellier, 1991, pp. 63-82, ora, con il titolo Il film e la mascherata: teorie sulla
spettatrice, in Mary Ann Doane, Donne fatali. Cinema, femminismo, psicoanalisi, Parma, Prati-
che, 1995]; Gertrude Koch, Why Women Go to the Movies, «Jump Cut», vol. 27, luglio 1982,
tr. ingl. Marc Silberman, pp. 51-53; Judith Mayne, The Woman at the Keyhole: Women’s
Cinema and Feminist Criticism, in Mary Ann Doane, Patricia Mellencamp e Linda Williams (a
cura di), Re-Vision..., cit., pp. 44-66, e Mulvey stessa in Afterthoughts on “Visual Pleasure and
Narrative Cinema”..., cit., pp. 12-15; B. Ruby Rich, in Michelle Citron e altri, Women and
Film: A Discussion of Feminist Aesthetics, «New German Critique», vol. 13, 1978; pp. 77-107; e
Tania Modleski, Loving With a Vengeance: Mass Produced Fantasies for Women, Hamden/
Connecticut, Archon Books, 1982. Da quando ho scritto questo articolo sono apparsi due
importanti nuovi libri su donne e cinema. Entrambi tengono decisamente conto dei processi
attraverso i quali la spettatrice si identifica con le immagini sullo schermo. Essi sono: E. Ann
Kaplan, Women and Film: Both Sides of the Camera, New York, Methuen, 1983, e Teresa de
Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, Bloomington, Indiana University Press,
1984.
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382 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
17
Christine Gledhill, Developments in Feminist Film Criticism, cit., p. 41.
18
Ivi, p. 37.
19
Ivi, p. 42.
20
Ivi, pp. 44-45.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 383
che alcuni di questi discorsi sono anche scritti in modo differente per
rendere necessaria una lettura molto diversa, femminile. Questo è ciò che
spero di mostrare a proposito di Amore sublime. La mia argomentazione,
quindi, non è solo che alcuni melodrammi materni si sono storicamente
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21
Freud inizia questo spostamento nel saggio del 1925, Some Psyichological Consequences of
the Anatomical Distinction Between the Sexes, «Standard Edition of the Complete Psychologi-
cal Works», Hogarth Press, 1953-1974, vol. XIX; [tr. it. Alcune conseguenze psichiche della
differenza anatomica tra i sessi (1925), in Sigmund Freud, Opere, vol. X, Torino, Bollati
Boringhieri, 1966-1980]. Egli continua nel saggio del 1931, Female Sexuality, vol. XXI; [tr. it.
Sessualità femminile (1931), in Opere, cit., vol. XI].
22
Il saggio critico di Marianne Hirsch, Mothers and Daughters, «Signs: Journal of Women
in Culture and Society», vol. 7, n. 1, autunno 1981, pp. 200-222, offre un eccellente riassunto
dei diversi fili del continuo riesame del rapporto madre-figlia. Hirsch esamina le teorie su
questo rapporto nella psicologia anglo-americana neofreudiana delle relazioni con l’oggetto
(Chodorow, Miller, Dinnerstein), nella critica junghiana del mito, e nelle teorie femministe
francesi sviluppatesi dallo strutturalismo, dal post-strutturalismo e dalla psicanalisi lacaniana.
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384 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
l’organizzazione sociale dei ruoli di genere che relega le donne alla sfera
privata della casa e della famiglia e gli uomini alla sfera pubblica che ha
permesso loro di dominare. Il desiderio e la capacità di fare da madre sono
prodotti, con la mascolinità e la femminilità, all’interno di una divisione del
lavoro che ha già collocato le donne nella posizione di custodi primarie.
Sovrapposte a questa divisione del lavoro sono le due «asimmetrie edipi-
che»24 che Freud ammette: che le bambine entrano nella relazione edipica
triangolare più tardi dei maschi; che le bambine hanno una relazione
simbiotica preedipica con la madre di maggiore continuità.
In altre parole, le bambine non interrompono mai del tutto la propria
relazione originale con la madre, perché la loro identità sessuale come
donne non dipende da tale rottura. I bambini, in ogni caso, devono
interrompere la propria identificazione primaria con la madre per identifi-
carsi come maschi. Ciò significa che i bambini si definiscono come maschi
per via di negazione, differenziandosi dal loro custode primario che (in una
cultura che ha tradizionalmente considerato le donne innanzitutto come
madri) è femminile.
Il bambino si separa dalla madre per identificarsi con il padre e
assumere un’identità maschile di maggior autonomia. Dall’altra parte, la
bambina assume la sua identità di donna in un processo positivo in cui
diventa come, non differente da, sua madre. Sebbene alla fine debba
trasferire prima su suo padre e poi sugli uomini in generale la sua originaria
scelta d’amore, se è destinata ad essere una donna eterosessuale, non
spezzerà mai il vincolo originale con la madre come fanno i maschi.
Aggiungerà semplicemente l’amore per suo padre e infine l’amore per un
uomo (se diventa eterosessuale), alla propria relazione originaria con sua
madre. Ciò significa che un bambino sviluppa la propria identificazione di
Un recente studio di come il legame femminile incide sullo sviluppo morale femminile è:
Carol Gilligan, In a Different Voice, Cambridge, Harvard University Press, 1982; [tr. it. Con
voce di donna. Etica e formazione della personalità, Milano, Feltrinelli, 1987].
23
Nancy Chodorow, The Reproduction of Mothering: Psychoanalysis and the Sociology of
Gender, Berkeley, University of California Press, 1978, p. 7; [tr. it. La funzione materna.
Psicoanalisi e sociologia del ruolo materno, Milano, La Tartaruga, 1991].
24
Ivi, p. 7. «Asimmetrie edipiche» è un termine di Chodorow.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 385
25
Ivi, p. 178.
26
Marianne Hirsch esamina l’importanza di questo punto nel suo saggio critico Mothers
and Daughters, cit., p. 209. Cosı̀ fa anche Judith Kegan Gardiner in On Female Identity and
Writing by Women, «Critical Inquiry: Writing and Sexual Difference», vol. 8, n. 2, inverno
1981, pp. 347-361.
27
Nancy Chodorov, The Reproduction of Mothering, cit., p. 188.
28
Questi altri comprendono: Dorothy Dinnerstein, The Mermaid and the Minotaur: Sexual
Arrangements and the Human Malaise, New York, Harper e Row, 1976; Jessie Bernard, The
Future of Motherhood, New York, Dial Press, 1974; e Jean Baker Miller, Toward a New
Psychology of Women, Boston, Beacon Press, 1976.
29
Questo è il vero passo avanti delle teorie di Chodorow rispetto a quelle della
generazione precedente di psicoanaliste femministe. Karen Horney, per esempio, trova
necessario, come segnalano Juliet Mitchell e Jane Gallop, fare ricorso a dichiarazioni
espresse in termini generali sulla natura essenziale e biologicamente determinata delle
donne, non lasciando cosı̀ alcuna possibilità di cambiamento. Karen Horney, On the Genesis
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386 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
trie edipiche». Ma ciò che Irigaray mette in evidenza è la natura visiva dello
scenario di Freud – il fatto che la differenza sessuale venga originariamente
percepita come assenza dei genitali maschili piuttosto che come presenza
dei genitali femminili. In un capitolo intitolato Punti ciechi di un vecchio
sogno di simmetria, il “punto cieco” consiste in una visione maschile intrap-
polata in un “destino edipico” che non può vedere il sesso della donna e
perciò può solo rappresentarlo nei termini dell’altro originario e comple-
30
mentare del soggetto maschile: la madre .
“La donna” all’interno di questo sistema è rappresentata sia come la
madre onnipotente (fallica) dell’immaginario preedipico del bambino che
come la madre privata del potere (castrata) del suo immaginario simbolico
postedipico. Ciò che resta fuori da un tale sistema di rappresentazione è la
totalità del piacere della donna – un piacere che non può essere misurato in
termini fallici.
Ma ciò che Freud svalutava e reprimeva nel corpo femminile, Irigaray e
altre femministe impegnate nello «scrivere il corpo femminile» in una
31
e´criture feminine , sono determinate ad enfatizzarlo. In Questo sesso che non e`
un sesso Irigaray celebra i piaceri multipli e diffusi di un corpo femminile e
di un sesso femminile che non è solo una cosa, ma parecchie. Ma quando è
costretta ad entrare nella “economia scopica dominante” del piacere visivo
[la donna] viene immediatamente relegata, come anche Mulvey ha eviden-
ziato per quanto riguarda il cinema, nella posizione passiva del “bell’ogget-
32
to” .
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 387
33
Bisogna ammettere che la soluzione utopica di Irigaray al problema di
come le donne possono arrivare a rappresentarsi a se stesse è tuttavia
importante. Perché se le donne non possono stabilire la connessione tra i
loro corpi e il linguaggio, rischiano o di dover rinunciare a tutto il
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33
Le femministe angloamericane sono state perciò critiche nei confronti delle nuove
femministe francesi per due differenti ragioni: le femministe americane hanno criticato un
essenzialismo che sembrerebbe precludere il cambiamento (vedi, per esempio, il saggio di
Jones, citato nella nota 31); le femministe inglesi hanno criticato il loro apparente fallimento
nel rendere conto del modo in cui il corpo femminile è mediato dal linguaggio (vedi, per
esempio, Beverly Brown e Parveen Adams, The Feminine Body and Feminist Politics, «m/f», n.
3, 1979, pp. 35-50).
34
Luce Irigay, Ce sex qui n’en est pas un, cit., pp. 106-107; [tr. it. vedi in particolare il saggio
Delle merci, tra loro, pp. 159-163].
35
Adrienne Rich, Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence, «Signs», vol. 5, n. 4,
estate 1980, pp. 631-660.
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388 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
che è una soluzione teorica del legame del corpo femminile non-
rappresentato e non-rappresentabile.
L’eccitazione generata quando le donne stanno insieme, quando vanno
al mercato insieme «per giocare il proprio valore tra di loro, per parlarsi,
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36
per desiderarsi», non deve essere sottovalutata . Perché è solo imparando a
riconoscere e poi a rappresentare una differenza che non è differente per le
altre donne che le donne possono iniziare a vedersi. Il trucco, comunque, è
di non fermarsi lı̀; la donna che riconosce se stessa nel corpo delle altre
donne fa soltanto un primo passo necessario ad una comprensione dell’in-
37
terazione di corpo e psiche e della distanza che li separa .
Forse il più significativo tentativo di comprendere questa interazione è
il lavoro di Julia Kristeva sul corpo materno e sulla sessualità preedipica.
Come Irigaray, Kristeva tenta di esprimere le relazioni preedipiche della
donna con la donna. Ma, diversamente da Irigaray, lo fa con la consapevo-
lezza che tale linguaggio non è mai interamente autentico, mai interamente
libero dall’influenza fallica del linguaggio simbolico. In altre parole, sottoli-
nea la necessità di esigere un luogo da cui le donne possano parlare in
prima persona, ammettendo tutto il tempo che tale luogo non esiste. Cioè,
non può essere concepito o rappresentato al di fuori del linguaggio simbo-
38
lico che definisce le donne per via negativa .
Perciò, ciò che propone Kristeva è una dialettica autocosciente tra due
forme imperfette di linguaggio. Il primo lo chiama “emiotico”: un linguag-
gio preverbale e materno del ritmo, del tono e del colore connesso al
contatto del corpo con la madre prima che il bambino sia differenziato
dall’ingresso nel simbolico. Il secondo è il “simbolico” propriamente detto,
39
caratterizzato dalla logica, dalla sintassi e dall’astrazione fallocratica . Se-
condo Kristeva, tutti gli esseri umani si sviluppano attraverso l’interazione
di queste due modalità. Il valore di questa concezione sta nel fatto che non
ci troviamo più rinchiusi nell’indagine delle differenti identità sessuali, ma
siamo invece liberati nell’indagine delle differenziazioni sessuali – posizioni
del soggetto che sono associate alle funzioni materne o paterne.
36
Luce Irigay, Ce sex qui n’en est pas un, cit., p. 110; [tr. it. p. 163].
37
Mary Ann Doane, Woman’s Stake: Filming the Female Body, «October», vol. 17, estate
1981, p. 30.
38
Il lavoro di Kristeva è stato tradotto in due volumi: Desire in Language: A Semiotic
Approach to Literature and Art, tr. ingl. Thomas Gora, Alice Jardine, Leon S. Roudiez, New
York, Columbia University Press, 1980; e About Chinese Woman, tr. ingl. Anita Barrows, New
York, Horizon Books, 1977.
39
Alice Jardine, Theories of Feminine: Kristeva, «Enclitic», vol. 4, n. 2, autunno 1980, p. 13.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 389
40
Julia Kristeva, Motherhood According to Giovanni Bellini, in Desire in Language, cit., pp.
237-270.
41
Jane Gallop, The Fallic Mother: Freudian Analysis, in Id., The Daughter’s Seduction:
Feminism and Psychoanalysis, Ithaca, New York, Cornell University Press, 1982, pp. 113-131.
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390 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 391
42
Ann Kaplan in The Case of the Missing Mother, cit., p. 83, enfatizza questo “strappo” dal
punto di vista filmico di Stella ai valori dell’alta borghesia e ai punti di vista di Stephen e
degli abitanti della città.
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392 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 393
43
Mary Ann Doane, The Woman’s Film: Possession and Address, in Mary Ann Doane,
Patricia Mellencamp e Linda Williams (a cura di), Re-Vision, cit., pp. 67-82.
44
Il termine – originariamente usato da Joan Riviere – è utilizzato in Mary Ann Doane,
Film and the Masquerade, cit., pp. 74-87; [tr. it. Il film e la mascherata, cit.].
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394 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
cui una volta Stella aspirava. Per non confessare la loro parentela, Laurel
fugge fuori. Più tardi, insiste perché partano. Sul treno verso casa, Stella
sente per caso le amiche di Laurel scherzare sulla volgare signora Dallas. È
allora che decide di mandare Laurel a vivere con Stephen e la signora
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 395
45
E. Ann Kaplan, The Case of the Missing Mother, cit., p. 83.
46
Ibid.
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396 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
mondo nel quale sua figlia sta andando sposa, Stella perde sia sua figlia che
il suo (precedentemente feticizzato) sé per diventare un ideale astratto (e
assente) del sacrificio materno. Significativamente, per la prima volta in
questa scena, Stella appare spogliata dei segni ridondanti di femminilità – il
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47
Molly Haskell, nel suo studio pionieristico From Reverence to Rape, cit., p. 31, nota
questa tendenza del pubblico femminile a lasciare il cinema con il ricordo di una rivolta
eroica, piuttosto che con il senso di sconfitta con il quale finiscono tanti film.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 397
che sta insieme al suo amante, in un altro con le sofferenze della rivale di
lei. Mentre l’effetto dell’identificazione con un singolo protagonista domi-
nante è di dare allo spettatore la sensazione del potere, l’effetto dell’identifi-
cazione multipla nelle interminabili soap opera è di spogliare lo spettatore
del potere, ma di aumentare l’empatia. «Il soggetto spettatore delle soap, si
potrebbe dire, è concepito come una sorta di madre ideale: una persona
dotata di maggiore saggezza di tutti i suoi figli, la cui indulgenza è grande
abbastanza da comprendere le richieste conflittuali della sua famiglia (lei si
identifica con tutti loro) e che non ha rivendicazioni o richieste per se
48
stessa (non si identifica esclusivamente con un singolo personaggio)» .
In Amore sublime Helen rappresenta chiaramente questa madre idealiz-
zata, empatica, ma impotente. Ann Kaplan ha affermato che le spettatrici
imparano dall’esempio di Helen Morrison che è il suo il ruolo appropriato
a una madre; che fino ad ora Stella si è illecitamente accaparrata lo
schermo. Dopo che Stella ha compiuto il suo sacrificio ed è diventata mera
spettatrice dell’apoteosi di sua figlia, la sua gioia per il successo della figlia
ci assicura, con le parole di Kaplan, «la sua soddisfazione di essere stata
ridotta a spettatore [...] Mentre lo spettatore cinematografico prova una
certa tristezza al posto di Stella, si identifica anche con Laurel e con la sua
conquista di ciò che tutti noi, insieme a lei, abbiamo desiderato; cioè un
matrimonio romantico nell’alta borghesia. In questo modo, noi approviamo
49
la necessità del sacrificio di Stella» .
Ma è proprio cosı̀? Come nota Kaplan stessa, la spettatrice si identifica
con una molteplicità di punti di vista conflittuali come nelle soap opera
televisive: Stella, Laurel, Helen e Stephen non possono risolvere i loro
conflitti senza che qualcuno ne rimanga ferito. Laurel perde sua madre e
soffre visibilmente per questa perdita; Stella perde sua figlia e la sua identità,
Helen ottiene Stephen ma, privata di qualsiasi possibilità di intervento,
soffre per tutti inclusa se stessa (quando Stella aveva rifiutato di divorziare
da Stephen). Alla fine solo Stephen è completamente libero dalla soffe-
48
Tania Modleski, The Search for Tomorrow in Today’s Soap Opera: Notes on a Feminine
Narrative Form, «Film Quarterly», vol. 33, n. 1, autunno 1979. Una versione più lunga di
questo articolo si può trovare nel libro di Modleski, Loving With a Vengeance: Mass Produced
Fantasies for Women, cit., pp. 85-109.
49
E. Ann Kaplan, Theories of Melodrama, cit., p. 46.
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398 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
renza, ma questo accade proprio perché egli è, per carattere, dimentico
delle sofferenze altrui. Percepire il finale del film come risolutivo di tutti i
problemi, significa identificarsi con questo punto di vista che è il meno
sensibile e, quindi, il meno comprensivo.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 399
samente dal maschio, che deve costantemente distinguersi dal suo oggetto
originario di identificazione per assumere un’identità maschile, la capacità
della donna di identificarsi con una molteplicità di posizioni differenti del
soggetto la rende un tipo molto diverso di spettatore.
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50
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade, cit., p. 87; [tr. it. Il film e la mascherata, cit.].
51
Laura Mulvey, Afterthoughts on ‘‘Visual Pleasure and Narrative Cinema’’..., cit., p. 13; [tr. it.
p. 39].
52
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade, cit., p. 87; [tr. it. p. 42].
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400 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
53
Ruby Rich, in Michelle Citron e altri, Women and Film: A Discussion of Feminist
Aesthetics, «New German Critique», vol. 13, 1978, p. 87. Sebbene Rich si spinga oltre nel
suggerire che questa dialettica comporti o la scelta di «identificarsi o con Marilyn Monroe o
con l’uomo dietro di me che pianta le sue ginocchia contro lo schienale della mia poltrona»,
io penso che il senso più appropriato della frase sarebbe di interpretarla come un conflitto e
una tensione continui che informano la visione femminile e che in molti casi non consen-
tono di compiere la scelta fra le due alternative.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 401
vede e non crede nello stesso modo di Stella. In questa scena finale, Stella
non è diversa dalla ingenua spettatrice che era quando da giovane andava
al cinema con Stephen. Per giustificare il suo sacrificio, lei deve credere nella
realtà dell’illusione cinematografica che vede: la sposa e lo sposo inginoc-
chiati davanti al prete, il padre orgoglioso che li guarda. Noi, comunque,
conosciamo l’artificio e la sofferenza dietro tutto ciò – la delusione di Laurel
poiché la madre non ha partecipato al matrimonio; la manipolazione della
scena da parte di Helen che permette a Stella di guardare; la precedente
manipolazione della stessa Stella in modo che Laurel la veda come una
madre “cattiva”. Cosı̀ quando osserviamo Stella che guarda il “film” favo-
loso e artificiale della vita della figlia, non possiamo, come Stella, credere
ingenuamente alla realtà del lieto fine più di quanto crediamo alla realtà
delle sequenze mute e dei gesti stereotipati dei film affascinanti che un
tempo Stella andava a vedere.
La spettatrice, proprio perché ha visto quanto sia costato a Laurel e a
Stella l’ingresso della figlia nell’inquadratura, il suo essere diventata l’imma-
gine correttamente feticizzata della femminilità, non può, come Stella,
credere nella felicità di entrambe. Lo sa meglio perché ha visto ciò a cui
ognuna delle due ha dovuto rinunciare per assumere questi ruoli finali. Ma
non è proprio tale equilibrio di conoscenza e credenza (della frase contrad-
55
dittoria del feticista «so molto bene, ma ciononostante...») ad aver
54
Ben Brewster in A Scene at the Movies, «Screen», vol. 23, n. 2, luglio-agosto 1983, pp. 4-5,
ha citato i molti riferimenti cinematografici del romanzo originale come indicazione di
quanto l’illusione cinematografica sia diventata efficace come richiamo alla realtà.
55
La teoria di Freud, che sostiene che il bambino crede nel fallo materno anche dopo
aver acquisito maggiore consapevolezza perché ha visto con i propri occhi che esso non
esiste, è stata descritta da Octave Mannoni come un’affermazione contraddittoria che
contemporaneamente afferma e nega la castrazione della madre. In questo «Je sais bien mais
quand mème» («so molto bene, ma ciononostante), il «ciononostante» è il disconoscimento
feticista. Vedi Octave Manoni, Clefs pour l’imaginaire, Paris, Seuil, 1969, pp. 9-30. Christian
Metz applicò in seguito questa struttura feticista del disconoscimento all’istituzione del
cinema in quanto creatore di credibili rappresentazioni di esseri umani percettibilmente
reali, che sono tuttavia assenti dalla scena. In tal modo il cinema rivolge tutte le sue capacità
tecniche al disconoscimento della mancanza sulla quale è basato il suo «significante
immaginario». Vedi Christian Metz, The Imaginary Signifier: Psychoanalysis and the Cinema, tr.
ingl. Celia Britton, Annwyl Williams, Ben Brewster e Alfred Guzzetti, Bloomington, Indiana
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402 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
University Press, 1982, pp. 69-76; [tr. it. Christian Metz, Cinema e Psicanalisi, Venezia,
Marsilio, 1980].
56
Mary Ann Doane, Film and the Masquerade, cit., pp. 80-81; [tr. it. Il film e la mascherata,
cit.].
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 403
sguardo tra le donne, è di suggerire che esso non apre una breccia
femminista radicale e consapevole nell’ideologia patriarcale per rappresen-
tare gli aspetti contraddittori della posizione della donna sotto il patriar-
cato. Esso non impiega neanche i dispositivi di distanziamento ironico, per
esempio, del melodramma sirkiano per generare una sorta di risposta attiva
e critica in grado di vedere il lavoro dell’ideologia nel film. Laura Mulvey
ha scritto che i finali ironici del melodramma sirkiano sono progressisti
nella loro sfida di unità e di chiusura:
57
Laura Mulvey, Notes on Sirk and Melodrama, «Movie», n. 25, inverno 1977/1978, p. 36.
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404 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
58
Martha Vicinus, Helpless and Unfriended, cit., p. 132.
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«QUALCOS’ALTRO OLTRE CHE MADRE» 405
efficaci degli anni recenti sono stati quelli – come Thriller di Sally Potter,
Daughter Rite di Michelle Citron, Jeanne Dielman di Chantal Akerman... e
anche Ce´line et Juliette vont en bateau (Ce´line e Julie vanno in battello) di
Jacques Rivette – che lavorano all’interno e contro le aspettative dell’abnega-
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di Jacqueline Bobo
Il romanzo The Color Purple (Il colore viola, 1982) è una componente critica
della tradizione letteraria delle donne nere. Esso porta avanti lo sforzo delle
scrittrici di colore di dare alle donne nere una visione che conferisca loro
potere. Il problema centrale del film The Color Purple (Il colore viola, 1985)
sta nella neutralizzazione degli aspetti che danno potere alle donne nere
forti e nella cancellazione delle dimensioni esatte della dominazione pa-
triarcale. Nella produzione di Steven Spielberg la donna nera protagonista è
stata rimossa dal centro della storia, che diventa la cronaca del viaggio di
un uomo nero arrogante verso la comprensione di se stesso. Il film lo
trasforma da persona malvagia in persona perplessa e confusa. Il film
accorda al protagonista maschile la salvezza perché ha predisposto un lieto
fine per la donna di cui egli ha abusato durante tutto il film. Questa è
l’antitesi della fine del romanzo, che ruota intorno a una donna nera
abusata che inizia a riconoscere il proprio valore e a diventare economica-
mente indipendente.
Sebbene il film abbia spostato l’enfasi della storia dalle vicende di una
donna nera alla paura di un uomo nero, ci sono sempre più testimonianze
che molte donne nere abbiano promosso una lettura positiva del film. In un
precedente studio ho esaminato gli animati dibattiti che hanno circondato
il film, come anche l’apparentemente travolgente risposta favorevole delle
donne nere. Ho indagato sulle reazioni delle donne nere guardando e
ascoltando i talk show televisivi e radiofonici e leggendo articoli di giornali
Reading Through the Text: The Black Woman as Audience, in Manthia Diawara (a cura di),
Black American Cinema, New York and London, Routledge, 1993, pp. 272-287.
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408 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
1
tivo nella loro vita .
Questa analisi è rivolta alla lettura empatica che le donne nere danno di
un film che, in superficie, sembrava presentare la storia di una donna nera,
ma che conteneva un sottotesto ampiamente differente. Il film, cosı̀ come
strutturato da Spielberg, rimanda a precedenti ritratti negativi di donne nere
in lavori creativi. Esaminerò il film dalla prospettiva della sua costruzione
ideologica delle donne nere e della sua struttura formale come è stata
sviluppata da Steven Spielberg. La reazione favorevole delle donne nere al
film verrà allora valutata. Lo scopo è di rendere conto del modo in cui un
2
significativo numero di donne nere «leggono attraverso il testo» per
ricavare significati soddisfacenti da un prodotto culturale tradizionale
creato da un cineasta maschio bianco.
Costruzione ideologica
Il progetto ideologico delle scrittrici nere durante l’intera storia dei loro
sforzi creativi era di produrre una trasformazione culturale presentando una
versione differente della storia sociale e culturale delle donne nere. L’in-
tento ideologico della rappresentazione della vita delle donne nere fatta dai
media è di mantenere lo status quo riesumando precedenti immagini
umilianti di quelle donne. Il processo ha una storia nel modo in cui i media
hanno rappresentato la gente di colore. Michael Winston in Racial Con-
sciousness and the Evolution of Mass Communication in the United States
(“Consapevolezza razziale ed evoluzione delle comunicazioni di massa
negli Stati Uniti”), traccia l’evoluzione dei codici dei media nell’affrontare
tematiche razziali. Si trattava di punti di vista convenzionali che presenta-
1
Vedi Jacqueline Bobo, The Color Purple: Black Woman as Cultural Readers, in E. Deidre
Pribram (a cura di), Female Spectators Looking at Film and Television, London and New York,
Verso, 1988, pp. 90-109, e Sifting Through the Controversy: Reading The Color Purple,
«Callaloo: A Journal of Afro-American and African Arts and Letters», vol. 12, n. 2,
primavera 1989, pp. 242-332.
2
L’idea che il pubblico dei media possa trarre significati da testi mainstream a prescindere
dalle intenzioni dei film maker è discussa in Ellen Seiter e altri (a cura di), Remote Control:
Television, Audiences and Cultural Power, New York, Routledge, 1989.
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 409
vano una realtà sociale che veniva percepita come irreale. I codici diven-
nero saldamente radicati durante la Ricostruzione come legittimazione
delle forze sociali, legali, istituzionali ed economiche che venivano usate
per negare ai neri il pieno ingresso come gente libera in un mondo che il
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loro lavoro aveva reso ricco. I codici razziali furono perfezionati e suppor-
tati per sostenere la segregazione legale che riduceva al minimo i contatti
tra neri e bianchi. Come risultato, questa (ir)realtà sociale mass-mediatica
venne riprodotta in forme culturali successive; perciò le immagini dei
media della gente di colore venivano continuamente ricostruite dalle prece-
denti rappresentazioni dei media: prima la stampa, poi la radio, il cinema e
3
la televisione .
I codici avevano la funzione specifica di produrre una tolleranza di
“buon senso” per coloro che avrebbero forse potuto minacciare l’ordine
stabilito. Tutto ciò che poteva essere visto come un correttivo ideologico
doveva essere neutralizzato e circoscritto. Come parte di un continuum di
romanzi di scrittrici nere che tentano di ripudiare ideologie negative di
4
vecchia data, Il colore viola era particolarmente sovversivo . Per esempio, le
immagini della giovane Celie che viene trattata come una schiava e abusata
sessualmente sono simili a quelle presentate nella precedente letteratura di
scrittrici nere. Our Nig (1859) di Harriet Wilson, Incidents in the Life of a
Slave Girl (1861) di Harriet Jacobs/Linda Brent, e il romanzo contempora-
neo sugli schiavi Jubilee (1966) di Margaret Walker, tutti ritraggono donne
nere che venivano sessualmente sfruttate e abusate dai padroni di schiavi.
Questi lavori scritti dalla prospettiva di una donna nera costituivano una
decisa replica alle diffuse descrizioni della donna nera sessualmente promi-
scua.
Costruzioni negative della sessualità delle donne nere sono state la
pietra angolare di molte ideologie oppressive che vengono usate per
mascherare idee capitaliste, razziste e sessiste. Come conseguenza, le scrit-
trici nere alla svolta del secolo erano limitate nella loro esplorazione della
sessualità delle donne nere. Le scrittrici successive non sono state altret-
tanto reticenti. Il dialogo aperto di Shug e Sofia sulle loro sensazioni di
natura sessuale in Il colore viola, si ripresenta nel tentativo fatto da altre
3
Michael R. Winston, Racial Consciousness and the Evolution of Mass Communications in the
United States, «Daedalus: Journal of the Academy of Arts and Sciences», vol. 3, n. 4, autunno
1982, pp. 171-182.
4
Per un esame più dettagliato dell’eredità delle scrittrici nere, vedi Black Women Novelists
(1980) di Barbara Christian, Invented Lives (1987) di Mary Helen Washington, e Reconstruc-
ting Womanhood (1987) di Hazel Carby.
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410 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
5
donne nere . Esempi sono presenti in Passing (1929) di Nella Larsen, Their
Eyes Were Watching God (Con gli occhi rivolti al cielo) (1937) di Zora Neale
Hurston e Sula (1973) di Toni Morrison.
Un altro esempio del modo in cui Il colore viola trae immagini da lavori
passati e conferisce loro forza è quando descrive la ragazza nera “comune”
che lotta contro le opinioni della società secondo le quali a causa della sua
pelle scura e dei capelli crespi non può essere apprezzata. Questo viene
esemplificato dal personaggio di Celie in Il colore viola e in precedenti
romanzi di donne nere: la novella Maud Martha (1953) di Gwendolyn
Brooks e The Bluest Eye (L’occhio più azzurro, 1970) di Morrison.
In questi lavori, benché vi siano intense descrizioni di abusi e di
oppressione, non mancano occasioni in cui i protagonisti resistono alle
condizioni sociali loro imposte. In Our Nig Frado impedisce alla signora
Bellmont di picchiarla; Harriet Jacobs/Linda Brent dedica la sua vita a
opporre resistenza alla schiavitù. Lei scrive: «la guerra della mia vita era
cominciata; e benché fossi una delle creature di Dio più indifese, ho deciso
6
che non sarei mai stata conquistata» . In Jubilee, la figlia Viry di sorella
Hetta intraprende una lotta silenziosa per proteggere la sua famiglia du-
rante la schiavitù e il periodo postbellico. E, nel romanzo di Hurston, Janie
Crawford sopporta due matrimoni violenti; interrompe il secondo per
difendere la propria vita.
La versione filmica di Il colore viola presenta una visione delle donne
nere che è in opposizione diretta con questi lavori precedenti. Le storie
raccontate nei romanzi delle donne nere erano il prodotto di uno sforzo
conscio di ritrarre personaggi multidimensionali che tentavano di ottenere
un qualche controllo sulla propria vita. Nel film, le donne nere forti sono
rimpiazzate da immagini negative standardizzate. Sofia, un modello di forza
e resistenza, diventa la figura matriarcale autoritaria. Invece di essere colei
5
Barbara Christian, From the Inside Out: Afro-American Women’s Literary Tradition and The
State, in Wlad Godzich, Nancy Kobrin e Dayna Anderson (a cura di), Center for Humanistic
Studies Occasional Papers, 21 voll., Minneapolis, University of Minnesota Press, 1987, p. 16.
6
Harriet Jacobs (Linda Brent), Incidents in the Life of a Slave Girl, Written By Herself, a cura
di L. Maria Child, Boston, stampato privatamente, 1861, introdotto e curato da Jean Fagan
Yellin, Cambridge, Harvard University Press, 1987, p. 19.
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 411
che resiste al dominio del marito Harpo, Sofia appare come quella che lo
tiranneggia.
La Shug Avery del film viene presentata come una vittima del suo
insaziabile appetito sessuale piuttosto che come una donna che esercita gli
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Shug
Il personaggio filmico Shug considera l’opinione che il padre predicatore
ha di lei più importante del proprio bisogno di uno stile di vita “edonisti-
co”. Anziché una donna nera sicura di sé che vive la sua vita secondo i
dettami del suo sistema di valori (come viene presentata nel romanzo), la
versione filmica di Shug è ossessionata dal desiderio di ottenere l’approva-
zione paterna. Nel romanzo, quando Celie fa il bagno a Shug convalescente
dalla sua malattia, le chiede se le mancano i suoi figli. Shug risponde che a
lei non manca niente.
Nel film, mentre Celie fa il bagno a Shug, le domanda se ha figli. Shug è
stesa nella vasca da bagno e la scena è girata in modo tale che ciò che noi
vediamo è la parte posteriore della testa di Shug e le sue mani che si
muovono di qua e di là tenendo una bottiglia di liquore e una sigaretta.
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412 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
Vediamo Celie di fronte. Shug risponde alla domanda di Celie che i suoi
figli sono con sua madre e suo padre. C’è uno stacco su Shug stesa nella
vasca da bagno. Appare addolorata e triste. Dice: «i figli non vengono mai
su bene dove non c’è un uomo in casa». C’è uno stacco sull’inquadratura
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della reazione di Celie che è occupata a mescolare gli oli da bagno per
versarli nella vasca. Celie guarda Shug in modo innocente. Appena tor-
niamo su di lei, Shug si lamenta: «i figli un padre lo devono avere». Poi
Shug si tira su nella vasca e chiede a Celie: «Tuo padre ti vuole bene? Pa’ a
me vuole bene». Dice quest’ultima cosa con orgoglio. «Pa’ ancora mi vuole
bene», dice lei, poi inizia a piangere. «Ancora mi vuole bene. Solo che non
lo sa. Non lo sa». A questo punto è sopraffatta e inizia a piangere più forte.
«Pa’ ancora mi vuole bene», dice Shug, nonostante il fatto che non
abbia vissuto secondo i canoni morali di lui, come il film lascia intendere.
In caso che il punto sia sfuggito, più avanti nel film il vecchio Mister viene
a fare una visita mentre Shug si sta riprendendo dalla sua malattia. Il
vecchio Mister si avvicina alla casa e lo vediamo di schiena in campo lungo
mentre Albert (Mister) esce dalla casa. Si fissano e girano uno intorno
all’altro descrivendo un cerchio davanti all’altalena della veranda. Per tutto
il tempo i due si guardano senza parlare. Albert sorride a suo padre e si
siede sull’altalena. C’è uno stacco su un primo piano del piede del vecchio
Mister tra le gambe di Albert. Vediamo Albert sopra la spalla del vecchio
Mister mentre il vecchio Mister si china per parlargli. Il vecchio Mister dice
che Albert non si darà pace finché non avrà Shug nella sua casa. Con uno
stacco si torna al piede del vecchio Mister tra le gambe di Albert; il vecchio
Mister spinge l’altalena con il piede. Il vecchio Mister chiede ad Albert:
«Che ha di speciale questa Shug Avery? È nera come la pece. Ha i capelli
crespi. Ha le gambe che sembrano due bastoni». Celie è in casa e sta
portando al vecchio Mister un bicchiere di acqua. Guarda i due attraverso
la finestra. In voce over Celie dice: «il vecchio Mister dice porcherie su
Shug. Alla gente non piace chi è troppo orgoglioso o troppo libero».
Il vecchio Mister sta ancora parlando sotto la voce over. Dice che Shug
è una baldracca da vendere, e che non è nemmeno pulita, «ho sentito
anche dire che ha quella brutta malattia delle donnacce». A questo punto
Celie sputa nel bicchiere d’acqua del vecchio Mister. C’è uno stacco su
Albert mentre dice al vecchio Mister che non riesce a capire perché ami
Shug. Albert dice che l’ha sempre amata e l’amerà sempre, «la dovevo
sposare quando potevo». Il vecchio Mister risponde che Albert avrebbe
gettato via la sua vita insieme a una gran parte dei soldi del vecchio Mister.
Il vecchio Mister dice che tutti i figli di Shug hanno padri diversi. Albert
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 413
risponde che può garantire che i bambini di Shug hanno tutti lo stesso
padre. Il vecchio Mister replica, in un passaggio che è diverso dal romanzo,
«tu non puoi garantire niente. Shug Avery ha fatto aumentare di parecchio
la popolazione della contea di Hotwell. Tu sei solo uno dei tanti galli,
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ragazzo». Albert non dice niente, ha l’aria di uno che vuole dire qualcosa
ma ha paura di farlo. Quando Celie esce sulla veranda con il bicchiere di
acqua, il vecchio Mister le dice: «Celie, hai tutta la mia comprensione. Non
sono mica molte le mogli che terrebbero in casa la puttana del marito».
Nel film Shug non è presentata come una persona con una normale
vita sessuale, ma come una donna lasciva dal sangue caldo. Il dialogo che è
stato aggiunto alla storia, quando il vecchio Mister dice che Shug è una
«baldracca da vendere» e una che va a letto con molti uomini della città,
esemplifica questo fatto. Un altro esempio è nel momento in cui Shug va a
fare visita a Mister e Celie dopo il suo matrimonio con Grady. I due uomini
stanno discutendo di Shug, mentre la vediamo che ascolta da un’altra
stanza. Mister dice a Grady che entrambi l’hanno avuta a loro modo, «ma
l’abbiamo avuta». Shug ascolta questa conversazione con un sorriso com-
piaciuto sul viso come se non le importasse che si parli di lei come di una
che si sono passata da un uomo all’altro.
Nel romanzo Shug ha un sistema di valori attentamente ponderato.
Vive la sua vita secondo i propri canoni ed è libera di farlo perché non
dipende da nessuno sentimentalmente o economicamente. Nel film è
controllata da tutti gli uomini legati a lei: Mister, suo padre, Grady. Non è
la donna padrona di sé del romanzo, ma una che è trascinata dai vincoli
della propria sessualità e della propria insicurezza sul modo di vivere la sua
vita. Il film esprime un giudizio morale su Shug e la conseguenza che lascia
intendere è che quelli che seguono l’esempio di Shug possono non essere
fortunati quanto lei. Nel film, quando Shug va alla chiesa di suo padre a
cantare una canzone di pentimento, egli finalmente la accetta. Lei gli dice:
«pa’ vedi, anche i peccatori hanno un’anima», e lui la abbraccia in un gesto
di assoluzione.
Siccome il personaggio filmico di Shug non è una presenza forte, la sua
relazione con Celie si stempera in un rapporto costruito come tipica
meschinità femminile. Il suo modo di trattare Celie, evidente all’inizio nel
commento «che brutta che sei», e il modo in cui dà ordini a Celie dicendo
ad Albert «dı̀ a quella cosa di farmi da mangiare», diventano più aspri e più
meschini di quanto non fossero nel romanzo. I suoi gesti insulsi nella vasca
mentre Celie le fa il bagno sono in contrasto con ciò che ella rappresenta
sia per Mister che per Celie. Dal momento che Shug viene presentata come
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414 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
una donna debole con principi morali discutibili, il significato della lotta di
Celie per valorizzare se stessa è svilito. Nel romanzo, Celie rappresenta
quelle donne a cui non è mai stata data importanza. Sono ragazze insignifi-
canti, povere, dalla pelle scura. Non prima di scoprire il suo vero poten-
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ziale, raggiunto attraverso gli esempi delle donne intorno a lei, Celie trova
la forza di rigettare i meccanismi della sua oppressione: l’immagine di sé,
l’eterna violenza di Mister e la sua incapacità di mantenersi economica-
mente. Siccome Shug nel romanzo è forte, Celie diventa forte. Siccome nel
film Shug viene presentata come una donna meschina e gelosa, Celie viene
vista come il brutto anatroccolo, la sorellastra non amata. Ciò che rappre-
senta è una persona specifica con un problema specifico piuttosto che un
gran numero di donne nere che si affannano in circostanze simili.
Celie
In due rappresentazioni della sottomissione delle donne tra le meno riuscite
del film vediamo la giovane Celie usata come cavallo da soma, prima,
quando il patrigno la dà a Mister e i due si recano in viaggio alla fattoria di
Mister. Mister è sul cavallo e Celie arranca dietro. Ella è carica della sua
roba, chiaro simbolo di un mulo, nel senso in cui Zora Neale Hurston ha
descritto lo status delle donne nere. Questo stesso ritratto di Celie cavallo
da soma è riproposto quando Shug parte per andare in tour con la sua
band. Mister e Shug vengono ripresi mentre camminano con le braccia
dell’uno intorno all’altra verso i membri della band che aspettano in
macchina. Celie cammina dietro di loro, di nuovo trascinando tutto ciò che
nessun altro vuole portare.
La rappresentazione delle donne nere come muli non significa soltanto
che esse fossero bestie da soma, ma anche che non potessero esercitare
alcuna scelta nella vita. Erano ritenute stolte e sconsiderate tanto quanto gli
animali stupidi. Che la stessa scena sia rappresentata di nuovo con Shug in
qualità di oppressore invalida il primo caso, poiché Celie è vista come la
vittima indifesa delle ingiuste circostanze della vita piuttosto che nella sua
incapacità di trovare un modo per sottrarsi al dominio di Mister.
L’incapacità di Steven Spielberg di capire le condizioni storiche da cui
sono scaturiti temi e personaggi di Alice Walker non solo ha prodotto
un’esplorazione semplicistica della vita di una donna nera, ma ha anche
minato gli sforzi revisionisti delle precedenti scrittrici nere. Il film elude il
processo che è iniziato con le narrazioni degli schiavi e con la cronaca della
vita delle donne nere usate come allevatrici, beni mobili e contenitori
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 415
sessuali. Ignora il periodo nel quale è stato ridefinito il modo in cui veniva
percepita la sessualità della donna nera. Il film ignora il momento di
transizione in cui alla ragazza nera comune veniva assegnato un posto
importante. Le scrittrici all’interno della tradizione di scrittura della donna
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Struttura formale
Steven Spielberg è il regista di maggior successo nella storia di Hollywood.
I suoi tre film maggiori, Jaws (Lo squalo, 1975), E.T. (Id., 1982) e Indiana
Jones and the Temple of Doom (Indiana Jones e il tempio del destino, 1984)
hanno messo insieme quasi un miliardo di dollari.
Spielberg ha dichiarato di aver girato Il colore viola perché da lungo
tempo voleva fare un tipo diverso di film, che non fosse «un tipico film alla
Spielberg». Voleva fare un film che fosse incentrato su un personaggio
piuttosto che puntare eccessivamente sugli effetti speciali: «volevo lavorare
nella stessa arena di registi come Sidney Lumet e Sidney Pollack – e Paddy
Chayefsky, nei termini di ciò che ha fatto come drammaturgo e scrittore»7.
Spielberg era d’accordo con coloro che dicevano che i suoi precedenti di
regista di successo avessero aiutato ad ottenere l’aiuto finanziario per fare il
film: «penso che sia solo grazie a quello che sono oggi, con l’aggiunta dei
miei successi passati, che lo studio mi direbbe sı̀, fai tutto quello che vuoi.
8
Se ti va fai l’elenco del telefono» .
Il film Il colore viola è stato realizzato in linea con le esperienze, il
background culturale e la visione del mondo sociale e politica di Steven
Spielberg. Stuart Hall scrive delle «politiche egemoniche» in cui i produttori
di cultura costantemente iscrivono significati che godono di un privilegio
quasi esclusivo nei loro lavori creativi9. Un regista di successo come
7
Glenn Collins, Spielberg Films The Color Purple, «The New York Times», 15 dicembre
1985, sezione 2, p. 23.
8
Alice Walker and The Color Purple, videocassetta, regia Samira Osman, narrazione
Susannah York, BBC, 1986.
9
Discusso in Lawrence Grossberg, History, Politics and Postmodernism: Stuart Hall and
Cultural Studies, «Journal of Communication Inquiry», vol. 10, n. 2, 1986, pp. 61-75.
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416 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
attinto alla sua coscienza e alle sue esperienze e ha realizzato un lavoro che
rifletteva la sua visione del mondo. È per questa ragione che Spielberg ha
potuto affermare che il romanzo di Walker non è sulla razza, che se il
romanzo fosse stato sul conflitto razziale «io non sarei stato il regista adatto
10
al progetto e non avrei fatto il film» .
La visione di Spielberg del romanzo, che la razza non fosse cioè la sua
caratteristica predominante, solleva la questione di come egli l’abbia consi-
derato. Egli ha visto la storia come quella di una giovane ragazza non
11
amata e sola, come “dickensiana” . Questa è una considerazione impor-
tante perché rivela molto della struttura, delle sottili allusioni razziste e
soprattutto del tono del film. Il riferimento di Spielberg a Charles Dickens
(e forse alle versioni filmiche dei suoi romanzi) rivela perché il film sia stato
realizzato all’interno del genere melodrammatico, come lo erano le opere
di Dickens, perché il centro della storia sia stato spostato dalla prospettiva
femminile a quella della soggettività maschile e perché molte delle azioni
dei personaggi siano state rappresentate in maniera convenzionalmente raz-
zista.
Una tecnica melodrammatica consente ad un artista di stabilire una
connessione con il pubblico seguendo un modello familiare e stabilendo un
codice riconoscibile per l’interpretazione. Essa enfatizza drastici cambia-
menti di tono, ritmi ampiamente differenti e una mescolanza di stili.
Secondo Thomas Elsaesser in Racconti di rumore e furore: osservazioni sul
melodramma familiare, i romanzi di Charles Dickens nel diciannovesimo
secolo rivelavano discontinuità e improvvisi cambiamenti dall’orrore alla
beatitudine per enfatizzare le contraddizioni sociali nel tessuto morale
12
dell’Inghilterra .
Il colore viola ha la struttura di un melodramma convenzionale di
intensa emotività indotta dalla musica e da momenti che colpiscono al
10
Alice Walker and The Color Purple, documentario della BBC, 1986.
11
Glenn Collins, Spielberg Films The Color Purple, cit., p. 23.
12
Thomas Elsaesser, Tales of Sound and Fury: Observations on the Family Melodrama, in Bill
Nichols (a cura di), Movies and Methods, vol. II, Berkeley, University of California Press,
1985, p. 170; [tr. it. Storie di rumore e furore: osservazioni sul melodramma familiare, in Alberto
Pezzotta (a cura di), Forme del melodramma, Quaderni di Filmcritica, Roma, Bulzoni, 1992,
pp. 65-109].
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 417
cuore. Il film dura due ore e trentaquattro minuti e contiene quasi due ore
di musica. Le parti del film che non sono accompagnate dalla musica
hanno precedentemente registrato suoni naturali, come il cinguettio degli
uccelli, il gracidio delle rane e il sibilo del vento tra gli steli del granturco.
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418 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 419
Quando Mister porta Shug a casa nel carro, Harpo chiede ripetutamente:
«chi è questa pa’. Pa’ chi è questa?». Nel romanzo dice semplicemente: «chi
è questa?».
Il tentativo di Spielberg di emulare le convenzioni melodrammatiche di
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420 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 421
mente: «si, certo». Sullo sfondo c’è l’ombra di una sedia. Celie si gira, va
verso la sedia, vediamo la sua ombra sul muro mentre raccoglie il libro, si
siede e comincia a leggere il romanzo di Dickens. In voce over la sentiamo
leggere mentre ci sono inquadrature di un volantino viola spinto dal vento
sui campi, sulla cassetta delle lettere, sulla veranda, in cima alla casa. Infine
si attacca a una porta, con la scritta in su. Il volantino annuncia l’atteso
arrivo di Shug. C’è un taglio sulla Celie adulta che legge baldanzosamente il
passo dal libro. Legge in modo tale che il pubblico comprenderà il
simbolismo che è stato prospettato, che la sua non è una bella vita e che il
destino non le è stato favorevole. Ella legge: «Negli otto o dieci mesi che
seguirono Oliver fu la vittima di un sistematico accavallarsi di tradimenti e
delusioni. Era stato allevato artificialmente. Lo stato di indigenza e di fame
dell’orfano in fasce...» (in questo punto la voce di lei sfuma sull’azione in
corso).
Il significato che Spielberg dà al romanzo Il colore viola, che la vita di
una ragazza nera cresciuta in un modo in cui non ha accesso al potere fino
a che non se ne mette in grado lei stessa è equivalente alla vita di Oliver
cosı̀ com’è raccontata da Dickens (o resa nelle versioni filmiche dei suoi
romanzi), rivela molto sul tono generale del film. È un film di «dolcezza e
luminosità» piuttosto che di orrore e male: è stilizzato e artificioso, e gioca
troppo sugli elementi comici della vita invece di occuparsi essenzialmente
di questioni emotive. Alcuni osservatori hanno dato lo stesso giudizio su
Dickens, che sembrava mostrare la vita comune dell’ambiente vittoriano,
ma era una facciata di realismo che enfatizzava gli aspetti comici e
13
conteneva quelli artificiosi delle convenzioni melodrammatiche . A volte il
film risulta frustrante per chi guarda, quando passa da scene che sono
emotivamente travolgenti a scene incomprensibili. Questo è un difetto non
solo del film, ma anche del genere melodrammatico. Secondo Ellen Seiter
in The Promise of Melodrama: Recent Women’s Films and Soap Opera (“La
promessa del melodramma: recenti women’s film e soap opera”), il melo-
dramma introduce l’ingiustizia, il male e il caos nel suo mondo dramma-
tico, ma non risolve le questioni che descrive eccetto che attraverso un
13
M. H. Abrams e altri (a cura di), The Norton Anthology of English Literature, vol. II, New
York, Norton, 1968, p. 744.
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422 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
14
considerevole» . Seiter afferma che una questione critica riguardante il
genere del melodramma è se esso avrà un effetto sovversivo sul pubblico,
incitando i suoi membri a «riconoscere l’oppressione e l’ingiustizia sociale»,
o se funzionerà solamente come un mezzo di fuga.
Dal momento che Spielberg ha strutturato il film secondo i canoni del
melodramma, questo allo stesso tempo trascina il pubblico nella storia
mentre mimetizza i suoi ritratti inadeguati e indeterminati delle tre princi-
pali protagoniste nere: Shug, Celie e Sofia. I momenti di humour del film
garantiscono distensione comica, ma il brusco taglio dal drammatico al
comico neutralizza i momenti di forza. La musica onnipresente sotto le
scene emozionanti è in molti casi intrusiva, ma serve a commuovere molti
spettatori a dispetto di se stessi. Come conseguenza, l’uso di Spielberg del
melodramma insieme accresce l’effetto del film e rende il suo messaggio
sfuggente da comprendere. Questo riguarda soprattutto il modo in cui sono
presentate le donne.
14
Ellen Seiter, The Promise of Melodrama: Recent Women’s Films and Soap Opera, tesi di
laurea, Northwestern University, 1981, p. 9.
15
Deborah E. Mc Dowell, “The Changing Same”: Generational Connections and Black Women
Novelists, «New Literary History», vol. 18, n. 2, 1987, p. 297.
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LEGGENDO ATTRAVERSO IL TESTO 423
zona e della sua epoca»16. In altre parole, nel momento in cui Il colore viola
fu pubblicato c’erano altre donne nere che lavoravano attivamente per
riabilitare l’immagine della donna nera e per modificare sostanzialmente le
oppressive condizioni di vita delle donne nere.
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16
Ivi, p. 296.
17
C’è un processo complesso di negoziazione che interviene quando gli spettatori
guardano un film o un programma televisivo. Gli spettatori interpreteranno un testo
basandosi su elementi del proprio background che li indurranno a respingere ciò che è stato
presentato, ad accettarlo, o a spostarsi ininterrottamente tra le due alternative. Per una
discussione di questo processo vedi David Morley, Texts, Readers, Subjects, in Stuart Hall,
Dorothy Hobson, Andrew Lowe, Paul Willis (a cura di), Culture, Media, Language: Working
Papers in Cultural Studies 1972-79, London, Hutchinson, 1980, pp. 163-173.
18
Toni Morrison, The Bluest Eye, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1970;
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424 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
donne nere. Purtroppo, non ci sono donne nere a cui è concesso (inten-
dendo cioè finanziato) di disporre del tipo di produzione assegnata a Il
colore viola.
Il film di Spielberg esiste; questo non può essere cambiato. Altri film sui
neri e sulle donne nere prodotti da artisti conformi alla tradizione continue-
19
ranno ad essere realizzati . La questione critica allora diventa quella di
come influire sulla ricezione di questi lavori cosicché non siano considerati
isolati ma siano messi in relazione con il complesso delle vite della gente di
colore. Questi lavori creativi che sono sfacciatamente e irreparabilmente
razzisti dovrebbero essere contestati per il danno che fanno. Anche quelli
con le migliori intenzioni ma con un atteggiamento condiscendente e
negativo dovrebbero essere criticati. Comunque, un lavoro che riesce a
mettere insieme un pubblico che lo approvi e lo usi produttivamente
dovrebbe essere analizzato e valutato per i vantaggi che possono derivarne.
Critici e studiosi come anche gli attivisti dei media dovrebbero intervenire
sul messaggio del film in modo tale che il pubblico possa usare il prodotto
culturale come uno strumento per cambiare gli altri aspetti della propria
vita.
ristampato New York, Simon & Schuster, 1972, p. 149; [tr. it. L’occhio più azzurro, Milano,
Frassinelli, 1998, pp. 217-218].
19
Questa particolare questione sta cominciando ad essere caldamente contestata man
mano che al cinema e alla televisione vengono adattati sempre più lavori di scrittori neri.
Diversi scrittori stanno insistendo perché i loro lavori vengano diretti da neri dal momento
che gli altri registi non hanno dimostrato la capacità di tradurre le specificità della cultura
nera. Il drammaturgo nero August Wilson rivela il suo desiderio di un regista nero per
l’adattamento cinematografico della sua commedia Fences, «Spin», vol. 6, n. 7, ottobre 1990,
pp. 70-71. La drammaturga nera Lorraine Hansberry ha analoghe riserve a permettere che
la sua commedia A Raisin in the Sun abbia un adattatamento cinematografico, ed è stata in
grado di scrivere la sceneggiatura da sola. Per i suoi punti di vista sull’argomento vedi
Lorraine Hansberry, What Could Happen Didn’t, «New York Herald Tribune», 26 marzo,
1961, p. 8.
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SCONFINARE
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di B. Ruby Rich
L’amore che non osa pronunciare il proprio nome ha un nome nuovo con
un suono vecchio: razza. Immaginate il contesto in cui questo articolo è
stato concepito: l’anno era il 1991, il luogo New York, la stagione l’estate.
Nei cinema si proiettava Jungle Fever (Id.) e How I Became Hettie Jones era
stato appena pubblicato in edizione economica. L’articolo stava lı̀, in un
angolo, aspettando di essere scritto. Anche allora l’economia continuava a
peggiorare e la parola recessione veniva pronunciata a voce sempre più
alta; e la razza era il punto di ebollizione, la valvola sulla pentola a
pressione che continuava a soffiare e ad esplodere (Bensonhurst, Central
Park, Atlantic Beach, St. John’s).
Orrore dopo orrore, anno dopo anno, continuando, intensificandosi,
mentre gli anni Ottanta cedevano il posto ai Novanta. Razza e sesso
(etero). Incrocio di razze. Menziono i casi particolari di New York City (e
non gli episodi più recenti come le sommosse di Crown Heigths, l’assassi-
nio di Julio Rivera a Jackson Heights o il verdetto di Rodney King e le
rivolte di Los Angeles), perché ognuno dei quattro episodi di New York
contiene qualche scintilla di sessualità interrazziale, minimizzata quanto il
sospetto infondato di un appuntamento o esagerata quanto uno stupro di
1
gruppo .
When Difference Is (More Than) Skin Deep, in Martha Gever, John Greyson, Pratibha
Parmar (a cura di), Queer Looks. Perspectives on Lesbian and Gay Film and Video, New
York and London, Routledge, 1993, pp. 318-339.
1
Nell’episodio di Bensonhurst, la morte di un giovane nero fu causata dall’errata supposi-
zione che egli si stesse recando a un appuntamento con un’adolescente italiana ambita da
uno dei suoi assalitori; in realtà stava andando ad acquistare un’auto. Nel caso di St. John’s,
una donna nera, studentessa di legge, denunciò alcuni studenti bianchi per violenza di
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428 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
rafforzati sia scelti – hanno reso le sfere sociali sempre più monorazziali.
Questo nello stesso momento in cui s’innalza il vessillo del “multiculturali-
smo”, un cerotto sopra una ferita aperta.
L’indiscutibile fenomeno della mescolanza delle razze, e una realtà
dell’identità multirazziale quale i promotori del crogiuolo di razze non
avevano mai previsto, hanno avuto scarso impatto sul ritorno demagogico
alla purezza razziale come ultima e disperata manovra ideologica. Naziona-
lismi e comunità di origine sono accolti e ravvivati come fonti d’identità,
mentre una nuova generazione mista (prodotto di un’epoca più ottimista) è
alla ricerca di spazi in cui inserirsi o addirittura di una nuova collocazione
2
come cittadini .
Il popolo omosessuale non è esente da varie forme di razzismo matu-
rate negli anni Ottanta e Novanta. Ma la questione della razza è diversa per
lesbiche e gay, e credo che lo sia già da un bel pò di tempo, pur essendosi
modificata, nel corso dei decenni, per quanto riguarda il tipo di differenza.
Come la classe molto tempo fa circoscriveva un tropo della pratica gay
maschile (“scambio duro”) e l’età un altro (“falchetto”), cosı̀, più di recente,
la razza nei suoi aspetti più superficiali ha dato origine a una varietà di
etichette per gay (il “cacciatore di safari”, la “regina del riso”). Si tratta di
nomi usati in modo sottoculturale, alcuni come celebrazione ironica, altri
per affermare l’autorità su e contro l’uomo bianco, che è venuto a chiamare
cercando l’Altro. Gli approcci nell’universo omosessuale differiscono per
genere, come ha notato Jackie Glodsby: «Le lesbiche politicizzano la razza,
3
i gay la erotizzano...» . Certo, tra le lesbiche bianche la storia tendeva ad
essere diversa: tanto “antirazzismo” a parole, un’inclusione simbolica nella
rubrica della vita, un impegno ideologico spesso genuino derivato dalla
politica femminista... ma, in generale, una socializzazione con persone della
stessa razza (e, se si escludono le avventure sessuali nel mondo gay
gruppo. Divenne oggetto di calunnia e la sua vita fu svalutata al fine di ottenere l’assoluzione
degli imputati. Si trattò di uno strano preludio all’esperienza di Anita Hill, dove l’opinione
pubblica ancora una volta negò a una donna nera il diritto alla virtù.
2
Cfr., per esempio, Andrew Parker, Mary Russo, Doris Sommer, Patricia Yaeger (a cura
di), Nationalism and Sexualities, New York and London, Routledge, 1992.
3
Jackie Goldsby, What It Means to Be Colored Me, «Outlook: National Gay and Lesbian
Quarterly», n. 9, estate 1990, p. 11.
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 429
maschile, normalmente il sesso con persone della stessa razza) e uno stile di
vita da lesbica attinto fin troppo dalla cultura bianca WASP (bianco,
anglosassone, protestante).
Tra le lesbiche afroamericane e latine vi era una decisa protezione dell’i-
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dentità e del territorio, a partire da antologie miliari come Home Girls: A Black
Feminist Anthology, All the Women are White, All the Blacks Are Men, But Some of
Us Are Brave e This Bridge Called My Back, e le opere successive di Jewelle
Gomez, Gloria Anzaldúa, Cherrı́e Moraga, Cheryl Clarke, Barbara Smith e
molte altre, ovviamente precedute dalla madre di tutte loro/noi, Audre
Lorde. In genere, il tema delle loro opere era: l’identità razziale, l’identità le-
sbica, e ciò che accade quando la propria persona le contiene entrambe. Fatta
eccezione per Zami di Audre Lorde, la dissonanza che si ottiene intersecan-
4
dole, in genere, non era presentata come un elemento centrale .
Ho iniziato a notare che qualcosa non andava nei vari discorsi mentre
lavoravo su un testo precedente sulla sessualità femminista in generale nel
corso degli anni Ottanta, un periodo di lotta che mi piace definire “guerre
5
sessuali” . Mi sembrava che le pratiche sessuali che stavano al centro delle
controversie che dividevano le comunità lesbiche, per ragioni al contempo
giuste e sbagliate – sopra/sotto e mascolina/femminile – fossero chiara-
mente dei tentativi di introdurre la “differenza” nelle coppie dello stesso
sesso come strategia per conservare l’eros. Nonostante le discussioni susci-
tate a livello ideologico, i ruoli avevano un senso sul piano della strategia.
Che cosa dire, però, per quanto riguarda la razza? In questo saggio, mi
propongo di affermare che gli omosessuali hanno il potenziale per un
rapporto diverso con la razza e il razzismo, proprio per la natura dei desideri
e delle pratiche sessuali con persone dello stesso sesso. Parlo qui di
potenziale, non di garanzia; ipotetico, provvisorio, e tuttavia possibile in
modo peculiare. Dalla mia vita e dalle altre che ho osservato nel corso di
diversi decenni, è emerso in modo evidente che molte coppie lesbiche
incrociano le razze per ragioni che sono in linea con le altre strategie
appena sottolineate: creare un’unione basata sulla differenza, sostituendo
alla differenza di genere della coppia eterosessuale una differenza razziale
che controbilanci l’uguaglianza di genere. Giustamente si è dedicata molta
4
Una importante eccezione è il classico Zami: A New Spelling of My Name, di Audre Lorde,
(Watertown/Mass., Persephone Press, 1982). In questa “biomitografia” Lorde indaga a lungo
nella complessità della razza e delle coppie miste sulla scena lesbica degli anni Cinquanta e
Sessanta, vista attraverso la lente della propria vita.
5
B. Ruby Rich, Feminist Sexuality in the 80s, «Feminist Studies», vol. 12, n. 3, autunno
1986, pp. 525-562.
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430 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
attenzione agli effetti nocivi del razzismo sul piano istituzionale e interper-
sonale. Purtroppo, però, se ne è dedicata molto poca all’attrazione, che
continua a sopravvivere e che trascende le differenze razziali per fondere
nell’unione il sé e l’altro. Alle volte, si ha l’impressione che i dibattiti siano
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6
Eccezioni degne di nota, di cui qui non tengo conto avendo scelto di dare rilievo ai film
e ai video non teatrali, a basso budget, sono i film basati sugli scritti di Hanif Kureishi: My
Beautiful Laundrette (My Beautiful Laundrette – Lavanderia a gettone) e Sammie and Rosie Get
Laid (Sammy e Rosie vanno a letto). Con la loro insistenza nel costituire comunità di
trasgressione che attraversano l’identità razziale e culturale per affermare le attrazioni
reciproche, essi evocano la liberazione utopica del passato. Indubbiamente My Beautiful
Laundrette ha costituito un precedente per molte opere successive sulle due sponde
dell’Atlantico.
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 431
esercizio di alto equilibrismo senza rete, in cui ogni partner cerca di andare
oltre l’empatia e raggiungere una sorta di identificazione, senza cadere nel
limbo del travestitismo culturale.
È quindi solo perché la mia vita di lesbica negli anni Novanta si è
definita attraverso le culture, quella messicana e quella ebrea, che cerco un
significato nel paradigma interrazziale? Un fattore che appare anche in
un’altra realtà: il mio attuale rapporto familiare con dei bambini che si
uniscono secondo un insieme di differenze ancora diverso, in parte messi-
cano, in parte etnico europeo, cercando altri le cui identità siano fuse in
alchimie simili di elementi nazionali una volta ben distinti.
È una ricerca per il loro presente, per il loro futuro? Certo, non si può mai
ignorare la propria biografia, né si può darla per scontata o ritenerla
innocente... eppure, ben al di là del mio personale reperto A, so che la razza
costituisce un punto centrale nelle coppie omosessuali, poiché essa è sempre
un fattore presente tra e in mezzo alle persone, una fonte di identificazione e
di differenziazione, anche (specialmente?) se non viene mai menzionata.
La razza occupa il posto lasciato vacante dal genere. La non-
uguaglianza di colore, lingua o cultura evidenzia una differenza in relazioni
altrimenti caratterizzate dall’uguaglianza di genere. La razza è una presenza
costruita di coppie dello stesso genere, una presenza che consente una
distinzione delle identità, la quale può evitare sia l’essenzialismo delle
aspettative razziali imposte sia l’artificiosità di paradigmi interamente auto-
costruiti. Esiste, quindi, la possibilità di un tipo di compromesso tra identità
che non si riscontra altrove, di ciò che Kobena Mercer, scrivendo dello
“sguardo” quale si vede nei ritratti di uomini neri di Robert Mapplethorpe,
ha definito “elemento di reversibilità”. Analizzando il rapporto tra soggetto
e oggetto in queste fotografie, osserva che «certo, lo sguardo implica un
elemento di oggettivazione erotica ma, come in una inquadratura sogget-
tiva nella pornografia gay maschile, è reversibile. La gerarchia di genere di
vedere/essere visto non è altrettanto rigidamente codificata nelle rappre-
sentazioni omoerotiche, perché l’uguaglianza sessuale liquida l’opposizione
7
associativa tra soggetto attivo e oggetto passivo» .
7
Kobena Mercer, Skin Head Sex Thing: Racial Difference and the Homoerotic Imaginary,
nell’edizione Bad Object Choices (a cura di), How Do I Look? Queer Film and Video, Seattle,
Bay Press, 1991, p. 182. È bene notare che l’intera sfera dell’erotismo tra razze è cosı̀ poco
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432 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
articolata e cosı̀ emotivamente complessa che il testo di Mercer rappresenta una modifica
radicale della propria posizione su Mapplethorpe, espressa in un lavoro precedente.
8
Linda Nochlin, The Imaginary Orient, «Art in America», maggio 1983, p. 126.
9
Alycee J. Lane, Hegemonies Within: «Jet» Magazine and Its Construction of “the” Black
Homosexual, presentazione del comitato, Fifth Annual Lesbian and Gay Studies Conference,
Rutgers University, 2 novembre 1991. Basato sulle note dell’autrice.
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 433
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434 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
10
Vedi, per esempio, Teresa de Lauretis, Rethinking Women’s Cinema: Aesthetics and
Feminist Theory, in Id., Technologies of Gender, Bloomington, Indiana University Press, 1987;
[tr. it. La Tecnologia del genere, in Teresa de Lauretis, Sui generiS. Scritti di teoria femminista,
Torino, Einaudi, 1996].
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 435
lità “naturale” (per quanto “innaturale” possa essere apparsa agli spettatori
al momento della visione del film).
La distribuzione di Mala Noche di Gus Van Sant ha rappresentato un
passo avanti nella direzione opposta, quella dell’ambito personale, met-
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tendo a nudo il fascino, più che sottoculturale e meno che subliminale, che
il protagonista bianco esercita sui ragazzi messicani dalla pelle scura, i quali
giungono nel quartiere malfamato di Portland in cerca di un’opportunità.
Sebbene il film non penetri mai l’autentico senso della reale soggettività (o
l’economia) che muove gli oggetti delle voglie del protagonista, va più in là
di ogni altra opera dopo Faustrecht der Freiheit (Il diritto del più forte) di
Rainer Werner Fassbinder nel condurre lo spettatore dentro a quel partico-
lare campo magnetico che governa le persone che capovolgono la consueta
equazione uguale/diverso: genere corrispondente, ma razza (o classe) di-
versa.
Il protagonista di Van Sant non ignora le contraddizioni della propria
situazione, dal momento che egli stesso si trova al margine della società di
Seattle a causa della sua identità sessuale e del suo lavoro in seno a una
comunità di immigrati, braccianti messicani, prostitute, e altri emarginati
sociali. Tuttavia il film mostra in modo evidente che il suo rapporto
frustrato con un giovane messicano non può sfuggire alla dinamica di
sfruttamento coloniale, dettata dallo schema globale del loro incontro.
Questa prospettiva infonde un surplus di significato a ogni fotogramma del
film, poiché Van Sant mostra, più di quanto probabilmente intendesse fare
con il particolare lavoro di ripresa che dà corpo alla soggettività del
11
protagonista bianco, l’alter ego del regista . Questo personaggio riesce a
vedere il proprio desiderio nei due giovani, mai i loro desideri; non
s’interroga mai sul “perché” della loro presenza nella sua città nativa, sul
“chi” delle loro soggettività, fuori dallo sguardo strutturante del suo inte-
resse naturale. Infine, la morte inattesa e ingiustificata di uno dei giovani
incrimina il protagonista, mettendo sotto accusa il suo essere completa-
mente preso dai propri desideri e mostrando con la natura definitiva della
morte che la razza non è un gioco occasionale e che può essere fatale. Van
Sant riesce a rappresentare le contraddizioni tragiche della situazione in cui
si trova il suo protagonista, ma non possiede un linguaggio per mutarla.
L’importanza dell’opera di Van Sant consiste nell’aver dato inizio a
un’analisi della soggettività del desiderio interrazziale, sebbene da un unico
11
La frase “alter ego” non va presa troppo alla lettera. Il film in realtà è basato su una
storia autobiografica di uno scrittore di Portland che è stata adattata da Van Sant.
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436 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
punto di vista, prevedibilmente bianco. Prima di allora questo tema non era
mai stato affrontato come serio progetto filmico. Certo, erano stati fatti dei
documentari – The Word Is Out, Before Stonewall – che, riprendendo la
storia e l’identità gay e lesbica, avevano incluso persone di colore (sebbene
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Non credo che quella razziale sia la differenza più importante tra le due
protagoniste. A me interessava che fossero il più possibile diverse, e la
razza fa parte di questo... gli attori neri desiderano dei buoni ruoli nei film
e non vogliono essere ingaggiati solo perché sono neri. Certo, la razza è
sempre un problema, ma io ho sentito il dovere e l’interesse di iniziare ad
affrontarlo. Ritengo che sia una cosa veramente difficile e importante da
12
fare .
12
Alison Butler, She Must Be Seeing Things: An Interview with Sheila McLaughlin,
«Screen» vol. 28, n. 4, autunno 1987, pp. 24-25.
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 437
13
Vedi Susan Ardill, Sue O’Sullivan, Sex in the Summer of ’88, «Feminist Review», n. 31,
primavera 1989, pp. 126-134 per un resoconto del «noto scandalo» in cui «una piccola
minoranza di donne» nella scuola estiva nel 1988 chiedeva una «totale messa al bando» del
film. Vedi, anche, Victoria Brownworth, Dyke S/M Wars Rage in London, «Coming Up!»,
ottobre 1988, pp. 14-15.
14
Vedi, per esempio: Teresa de Lauretis, Guerilla in the Midst: Women’s Cinema in the ’80s,
«Screen», vol. 31, n. 1, primavera 1990, pp. 6-25.
15
Da una conversazione con l’autrice.
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438 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
16
Il problema di dove risieda l’autorità per scegliere di fare una simile affermazione o
messa a fuoco è reale. La battuta è messa in discussione solo perché McLaughlin è bianca?
L’autorità deve estendersi fino alla generalizzazione, al cosiddetto essenzialismo, al naziona-
lismo culturale? Un cineasta di colore sarebbe messo in discussione allo stesso modo per la
costruzione dei personaggi? Certo che sı̀, come hanno indicato le risposte all’opera di Isaac
Julien. Incrociare le razze è pericoloso per chiunque. Vedi la discussione sul film, seguita alla
prima presentazione di Teresa de Lauretis del suo saggio Film and the Visible, come è
riportata nell’antologia How Do I Look?, alle pp. 264-276.
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17
Jackie Goldsby, What It Means to Be Colored Me, cit., p. 11.
18
Infatti, Chamberlain ha dichiarato, alla proiezione al Festival di New York, che in
origine la sceneggiatura non era stata scritta per includervi una donna nera, ma di essersi
impegnata ad ampliare le opportunità di ruoli per le donne di colore e di aver pertanto
attribuito la parte di conseguenza. È questo il tipo di “soluzione” che trovo problematica.
Precedentemente, nella forma serrata, più maneggevole della soap opera, Chamberlain aveva
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440 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
fatto molto meglio: il personaggio nero di Domestic Bliss (1984), opera pilota per una serie
televisiva mai prodotta, era interessante, vivace e credibile.
19
Vedi Michelle Wallace, Multiculturalism and Oppositionality, «Afterimage», vol. 19, n. 3,
ottobre 1991, pp. 6-9.
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20
Per la discussione del video e gli argomenti sollevati dalla pornografia tra persone di
razze diverse, dibattuti da Gregg Bordowitz, Jean Carlomusto, Cindy Patton, Richard Fung e
altri, vedi anche How Do I Look?, pp. 51-63.
21
Goldsby, tuttavia, tocca precisamente questo punto (vedi sopra). Il suo articolo,
unitamente ad altri racconti pubblicati o aneddotici, è alla base di questa analisi dal
momento che non ho visto lo spettacolo di Bright.
22
Dalla medesima discussione How Do I Look? (vedi sopra), p. 62.
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23
Più di recente, Camille Billops e James Hatch hanno prodotto Finding Christa. Mentre il
film è incentrato sulla storia di Billops che dà in adozione la figlia per poi ritrovarsi, anni
dopo, nuovamente in contatto con lei, vi è una consistente trama secondaria che narra
l’incontro e l’unione tra Billops e Hatch come un primo esempio di “integrazione” e come
scelta controversa, sebbene inconsapevole (in quanto tale) da parte di entrambi, cosı̀ come
viene raccontata dalle famiglie e dagli amici (loquacemente da parte di quelli di Hatch, quasi
silenziosamente da parte di quelli di Billops).
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24
Essex Hemphill, Choice, «Gay Community News», 6-12 maggio 1999, pp. 9-13.
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25
Vedi, per esempio, la recensione di Tongues Untied a cura di Cary Alan Johnson su «Gay
Community News», 25 febbraio-3 marzo 1990, in cui l’autore definisce il film «ingannevole»
perché nasconde che Riggs ha un amante bianco. Vedi anche la risposta di Hempill, Choice,
e l’intervista a Marlon Riggs, Speaking Out About «Tongues Untied», a cura di Phil Harper, in
un numero successivo di «Gay Community News». Più recentemente, Hilton Als ha usato le
pagine del «Village Voice» per mettere in discussione Isaac Julien perché attratto dall’uomo
bianco. Purtroppo lo stesso Riggs ha contribuito allo schieramento delle parti. Nella sua
intervista su «Release Print» (Film Arts Foundation) del marzo 1990, ha aspramente criticato
il film di Julien: «Tutti gli uomini sono belli, generalmente di pelle chiara, ben vestiti, in
smoking, raffinati. Volevo evitare, come si dice, quel tipo di trappola, quella sorta di
costruzione di un nuovo stereotipo nel tentativo di spezzare lo stereotipo dell’uomo gay
nero e dell’esperienza gay nera. Questo accade spesso quando i gruppi emarginati tentano di
acquistare i favori della cultura dominante nonché di definire se stessi».
26
Nel suo articolo su «GCN», Hemphill ammetteva: «ho detto spesso, ai miei amici più
stretti, che non avrei mai potuto amare un bianco in America. Non credo di poter
sopportare le sfide che devono affrontare le coppie interrazziali solo per amore». Ma
sosteneva anche un atteggiamento da laissez-faire, citando la canzone di Billie Holiday Ain’t
Nobody’s Business If I Do.
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446 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
27
Il verso compare su «GCN» all’inizio di Choice di Hemphill.
28
Citato da Fung da «International Wavelength News» 2, n. 1, gennaio 1991.
29
La risposta ad hoc di Richard Fung al commento seguito alla presentazione formale
pubblicata in How Do I Look?, cit., p. 166.
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QUANDO LA DIFFERENZA È (PIÙ CHE) A FIOR DI PELLE 447
del 1992. Tutti i video erano stati realizzati per essere mostrati su piccoli
monitor nella galleria d’arte, e sarebbero entrati in funzione solo quando il
visitatore vi avesse inserito un quarto di dollaro. Inoltre, dei comandi
manuali permettevano di cambiare canale. L’intenzione era quella di imi-
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Jennifer Terry, Theorizing Deviant Historiography, «Differences», vol. 3, n. 2, estate 1991,
p. 59. In realtà Terry impiega questa espressione più specificatamente per indicare un
processo di ricerca e recupero storici, ma si presta con tanta forza alla descrizione di
quest’opera e alla sua struttura che mi prendo la libertà di estendere le parole dell’autrice in
questa direzione anche se diversa da quella da lei intesa.
31
Ivi, p. 70.
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care: tra di loro, con il soggetto, con il corpo e il colore della carne e anche
con i semplici (ma non tanto) nomi del cibo che lo nutre. E il gioco, come
il sesso, può tracciare un percorso sicuro attraverso i fondali poco profondi
della razza.
32
Lyle Ashton Harris, Revenge of a Snow Queen, «Out/Look», n. 13, estate 1991, pp. 8-9.
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diverse non è né individuale né frivolo. Young Soul Rebels mostra che cosa
accade quando non si permette all’attrazione per l’Altro di avere altra
espressione che la violenza; Jeffrey Dahmer ha mostrato una versione
33
diversa . Il numero delle violenze contro gay e lesbiche sta crescendo
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Dahmer è il serial killer di Milwaukee che ha ucciso dei giovani dopo averli imprigio-
nati nel suo appartamento; la maggior parte delle vittime erano nere o asiatiche. L’omicidio
più noto è quello di un quattordicenne laotiano che era riuscito a fuggire in strada. Alcune
donne nere che avevano assistito alla scena chiamarono la polizia; i poliziotti bianchi
restituirono il ragazzo a Dahmer, che quindi lo uccise. Sulla scia della mostruosa scoperta
dei crimini a Milwaukee vi furono dei tumulti contro il razzismo della risposta della polizia:
la mancanza d’interesse per la scomparsa di ragazzi di colore seguita dal fatto di aver
ignorato i timori fondati della donna nera che aveva chiamato il 911 solo per essere derisa.
Grazie per l’aiuto lungo il cammino, alle varie stazioni della via crucis, a: John Greyson,
Martha Gever, Rosa Linda Fregoso, Isaac Julien e, come sempre, Lourdes Portillo.
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450 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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CULTURA POSTERZOMONDISTA:
GENERE, NAZIONE E IL CINEMA
di Ella Shohat
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452 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
contraddizioni.
Sebbene di numero relativamente ridotto, registe e produttrici del
“Terzo Mondo” hanno già giocato un ruolo nella produzione filmica nella
prima metà di questo secolo: Aziza Amir, Assia Daghir e Fatima Rushdi in
Egitto; Carmen Santos e Gilda de Abreu in Brasile; Emilia Saleny in
Argentina; e Adela Sequeyro, Matilda Landeta, Candida Beltran Rondon e
Eva Liminano in Messico. Comunque, i loro film, anche quando erano
centrati su protagoniste femminili, non erano esplicitamente femministi nel
senso di un progetto politico dichiarato per dare potere alle donne nel
contesto sia del patriarcato che del (neo)colonialismo. Nell’era della postin-
dipendenza o postrivoluzione, le donne, nonostante il loro crescente contri-
buto ai diversi aspetti della produzione filmica, sono rimaste meno visibili
degli uomini nel ruolo di registe. Inoltre, i cinema rivoluzionari del Terzo
Mondo in luoghi quali Cina, Cuba, Senegal e Algeria non sono stati in
genere informati da un immaginario femminista anticoloniale. Come nel
caso del cinema del Primo Mondo, la partecipazione delle donne al cinema
del Terzo Mondo non è stata affatto centrale, sebbene la loro crescente
produzione nel corso dell’ultimo decennio corrisponda a un movimento di
fioritura mondiale del lavoro indipendente delle donne, reso possibile da
nuove tecnologie di comunicazione video a basso costo. Ma in parte
prescindendo da questa relativa democratizzazione dovuta alla tecnologia,
la storia della postindipendenza, con l’eclissi graduale del nazionalismo
posterzomondista e lo sviluppo delle organizzazioni locali di base delle
donne, aiuta anche a comprendere l’emergere di ciò che definisco cinema e
2
video femminista “posterzomondista” .
In questa sede, ciò che mi interessa è esaminare lavori cinematografici e
video femministi recenti nel contesto di una cultura cinematografica poster-
2
Propongo qui il termine “posterzomondista” per mettere in rilievo un movimento al di
là dell’ideologia del Terzo Mondo. Laddove il termine “postcoloniale” implica un movi-
mento al di là dell’ideologia nazionalista anticoloniale e un movimento al di là di un punto
specifico della storia coloniale, posterzomondista trascina con sé un movimento “al di là” di
una specifica ideologia-nazionalismo terzomondista. Una prospettiva posterzomondista as-
sume la validità fondamentale del movimento anticoloniale, ma interroga anche le fessure
che lacerano la nazione Terzo Mondo. Vedi Ella Shohat, Notes on the Post-Colonial, «Social
Text», nn. 31-32, primavera, 1992.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 453
3
Per un approfondimento del concetto di “posizionamento” vedi, per esempio, Chandra
Talpade Mohanty, Feminist Encounters: Locating the Politics of Experience, «Copyright 1»,
autunno 1987; Michele Wallace, The Politics of Location: Cinema/Theory/Literature/Ethnici-
ty/Sexuality/Me, «Framework», n. 36, 1989; Lata Mani, Multiple Mediations: Feminist Scholar-
ship in the Age of Multinational Reception, «Inscription 5», 1989; e Inderpal Grewal, Autobiogra-
phic Subjects and Diasporic Locations: Meatless Days and Borderlands, e Caren Kaplan, The
Politics of Location as Transnational Feminist Practice, in Inderpal Grewal e Caren Kaplan (a
cura di), Scattered Hegemonies: Postmodernity and Transnational Feminist Practice, Minneapolis,
University of Minnesota Press, 1994.
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454 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
nità etniche non è entrato a far parte dell’agenda il più delle volte monocul-
turale dell’euro-“femminismo”. Negli studi sul cinema, quella che è stata
chiamata “Feminist Film Theory” a partire dagli anni Settanta ha spesso
soppresso le contraddizioni storiche, economiche e culturali tra le donne.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 455
4
Vedi J. M. Blaut, The Colonizer’s Model of the World: Geographical Diffusionism and
Eurocentric History, New York and London, Guilford Press, 1993.
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456 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
resistenza che queste donne hanno attuato nello loro comunità e nazioni.
Ogni discussione seria sul cinema femminista deve perciò affrontare la
complessa questione del “nazionale”. I film terzomondisti sono spesso
prodotti all’interno dei codici legali dello stato-nazione, spesso in linguaggi
nazionali (egemonici), riciclando intertesti nazionali (letterature, narrazioni
orali, musica), proiettando immaginari nazionali. Ma se i cineasti del Primo
Mondo hanno dato l’impressione di fluttuare “sopra” insignificanti preoccu-
pazioni nazionaliste, è perché danno per scontata la proiezione di un
potere nazionale che facilita la realizzazione e la disseminazione dei loro
film. Il posizionamento geopolitico delle nazioni-stato del Terzo Mondo
continua ad implicare che i loro cineasti non possono assumere un sostrato
di potere nazionale.
Qui, sono interessata ad esaminare il lavoro contemporaneo delle
cineaste e videomaker femministe posterzomondiste alla luce della critica in
corso sull’ineguaglianza razziale della distribuzione geopolitica delle risorse
e del potere come modo di guardare alle dinamiche di rottura e continuità
nei confronti dell’antecedente cultura cinematografica terzomondista. So-
stengo che questi testi sfidano i contorni maschilisti della “nazione” allo
scopo di portare avanti una decolonizzazione femminista della storiografia
terzomondista, cosı̀ come portano avanti una decolonizzazione multicultu-
rale della storiografia femminista. Il mio tentativo di plasmare l’“inizio” di
una narrazione posterzomondista per il recente lavoro cinematografico e
video di diverse femministe del Terzo Mondo, multiculturali e diasporiche
non intende essere un’indagine esaustiva dell’intero spettro delle pratiche
generiche. Piuttosto, nel mettere in luce i lavori incuneati nell’intersezione
tra genere/sessualità e razza/nazione, questo saggio tenta di situare tali
pratiche culturali. Esso guarda ad un momento di rottura e continuità
storica, quando le macronarrazioni della liberazione delle donne sono da
lungo tempo declinate e tuttavia predominano il sessismo e l’eterossessimo
e ad un’età in cui le metanarrazioni della rivoluzione anticoloniale si sono
da lungo tempo eclissate e tuttavia persistono il (neo)colonialismo e il
razzismo. Quali sono, dunque, alcuni dei nuovi modelli di un’estetica di
resistenza femminista multiculturale? E in quali modi essi continuano e
interrompono simultaneamente la precedente cultura filmica terzomondi-
sta?
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 457
5
I vari festival cinematografici – all’Havana, Cuba (dedicato al Nuovo Cinema Latino
Americano), a Cartagine, Tunisia (per i cinema arabo e africano), a Ougadoogoo, Burkina
Faso (per i cinema africano e afro-disporico) – hanno dato ulteriore espressione a questi
movimenti.
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458 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
6
In relazione al cinema, il termine “Terzo Mondo” è andato acquisendo potere in quanto
richiama l’attenzione sulle produzioni filmiche collettivamente vaste dell’Asia, dell’Africa e
dell’America Latina, come anche sul cinema minoritario del Primo Mondo. Mentre alcuni,
come Roy Armes (1987), definiscono il “Cinema del Terzo Mondo” in generale come
l’insieme dei film prodotti dai paesi del Terzo Mondo (compresi i film prodotti prima che
l’idea stessa di Terzo Mondo fosse attuale), altri, come Paul Willemen (1989), preferiscono
parlare di “Terzo Cinema” come di un progetto ideologico (cioè, come un corpo di film che
aderiscono a un certo programma politico e estetico, che siano o non siano prodotti dai
popoli stessi del Terzo Mondo). Finché non vengono considerati come entità “essenziali”
ma come progetti collettivi da essere forgiati, sia il “Cinema del Terzo Mondo” che il “Terzo
Cinema” conservano importanti vantaggi tattici e polemici per una pratica culturale decli-
nata politicamente. In termini puramente classificatori, potremmo immaginare cerchi di
denotazione sovrapposti: 1) un cerchio principale di film “terzomondisti” prodotti dai popoli
del Terzo Mondo (non importa dove si vengano a trovare queste persone) e aderenti ai
principi del “Terzo Cinema”; 2) un cerchio più ampio delle produzioni filmiche dei popoli
del Terzo Mondo (definite come tali retrospettivamente), che i film aderiscano o meno ai
principi del Terzo Cinema e prescindendo dal periodo della loro realizzazione; 3) un altro
cerchio consistente nei film fatti dai popoli del Primo o del Secondo Mondo a sostegno dei
popoli del Terzo Mondo e aderenti ai principi del Terzo Cinema; e 4) un cerchio finale, in
qualche modo di status anomalo, allo stesso tempo “dentro” e “fuori”, comprendente recenti
film ibridi diasporici (per esempio, quelli di Mona Hatoum o Hanif Kureishi), entrambi
costruiti sulle e interroganti le convenzioni del “terzo cinema”. Vedi Shohat/Stam, Unthin-
king Eurocentrism, cit.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 459
7
Vedi Aijaz Ahmad, Jameson Rhetoric of Otherness and the National Allegory, «Social Text»,
n. 17, autunno 1987, pp. 3-25; Julianne Burton, Marginal Cinemas, «Screen», nn. 3-4,
maggio-agosto 1985.
8
Vedi Arjun Appadurai, Disjuncture and Difference in the Global Cultural Economy, «Public
Culture», vol. 2, n. 2, 1990; [tr. it. Disgiuntura e differenza nell’economia culturale globale, in Id.,
Modernità in polvere, Roma, Meltemi, 2001]. Un concetto simile, “egemonie disseminate”, è
avanzato da Inderpal Grewal e Caren Kaplan, che offrono una critica femminista delle
relazioni globale-locale nella loro introduzione a Scattered Hegemonies, cit.
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460 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
10
nei termini ineguali sui quali lo scambio si fonda .
Allo stesso tempo, la tesi dell’imperialismo mediatico, che era domi-
nante negli anni Settanta, necessita di una drastica riforma. Primo, è
semplicistico immaginare un Primo Mondo attivo unicamente imponendo i
suoi prodotti su un Terzo Mondo passivo. Secondo, la cultura globale di
massa non tanto rimpiazza la cultura locale quanto coesiste con essa,
11
fornendo una lingua franca culturale rimarcata da un accento “locale” .
Terzo, ci sono potenti correnti contrarie rappresentate da un numero di
paesi del Terzo Mondo (Messico, Brasile, India, Egitto) che dominano i
12
propri mercati e diventano anche esportatori culturali . Dobbiamo distin-
guere, inoltre, tra la proprietà e il controllo dei media – una questione di
9
Nel cinema, questo processo egemonizzante si è intensificato subito dopo la Prima
Guerra Mondiale, quando le compagnie di distribuzione cinematografiche americane (e, in
secondo luogo, le compagnie europee) hanno iniziato a dominare i mercati del Terzo
Mondo, ed è stato ulteriormente accelerato dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la
crescita delle corporazioni di media internazionali. L’ininterrotta dipendenza economica dei
cinema del Terzo Mondo li rende vulnerabili alle pressioni neocoloniali. Quando i paesi
dipendenti provano a rafforzare le proprie industrie cinematografiche erigendo barriere
commerciali, per esempio, i paesi del Primo Mondo minacciano ritorsioni in qualche altra
area economica come la determinazione del prezzo o l’acquisto di materie prime. I film
hollywoodiani, inoltre, spesso coprono i propri costi nel mercato domestico e possono
perciò essere proficuamente “scaricati” nei mercati del Terzo Mondo a prezzi molto bassi.
10
Sebbene l’amministrazione coloniale diretta sia in larga misura cessata, gran parte del
mondo rimane intrappolata nella globalizzazione neocoloniale. In parte come risultato del
colonialismo, la scena globale contemporanea è ora dominata da un circolo ristretto di
potenti stati-nazione, che constano prevalentemente di Europa occidentale, Stati Uniti e
Giappone. Questo dominio è economico (il “Gruppo dei Sette”, il Fondo Monetario
Internazionale, la Banca Mondiale, l’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio
Estero), politico (i cinque membri possessori di veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite), militare (la nuova NATO “unipolare”) e tecno-informativo-culturale (Hollywood,
UPI, Reuters, France Press, CNN). Il dominio neocoloniale è rafforzato attraverso condizioni
di commercio sfavorevoli e “programmi di austerità” attraverso i quali la Banca Mondiale e
il Fondo Monetario Internazionale, spesso con la compiacente complicità delle elite del
Terzo Mondo, impongono regole che i paesi del Primo Mondo non tollererebbero mai.
11
Per un argomento simile, vedi l’introduzione a Scattered Hegemonies, cit., di Grewal e
Kaplan.
12
La versione Tv indiana del Mahabharata ha ottenuto il 90% dello share degli spettatori
domestici in un periodo di tre anni, e il brasiliano Rede Globo ora esporta le sue telenovela
in più di ottanta paesi del mondo.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 461
13
Per Appadurai, la situazione culturale globale è ora più interattiva; gli Stati Uniti non
sono più il burattinaio di un sistema mondiale di immagini, ma solo un nodo di una
costruzione transnazionale complessa di “panorami immaginari”. In questa nuova congiun-
tura, egli sostiene, l’invenzione della tradizione, dell’etnicità e di altri marcatori dell’identità
diventa «disagevole, dato che la ricerca di certezze è sistematicamente frustrata dalla fluidità
della comunicazione transnazionale». Vedi Appadurai, Disjuncture and Difference in the Global
Cultural Economy, cit.; [tr. it. p. 66].
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462 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
14
Vedi Benedict Anderson, Imagined Communities: Reflexions on the Origins and Spread of
Nationalism, London, Verso, 1983; [tr. it. Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionali-
smi, Roma, manifestolibri, 1996], e E. J. Hobsbawm e Terence Ranger, a cura di, The
Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1983.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 463
represso quelli che volevano andare oltre una rivoluzione borghese pura-
mente nazionalista per ristrutturare classe, genere, religione e relazioni
etniche. In seguito alle pressioni esterne e alle domande interne che si è
posto, anche il cinema ha dato espressione a questi mutamenti, con la
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spinta anticoloniale dei primi film che cedeva gradualmente il passo a temi
e prospettive più diversificati. Questo non vuol dire che gli artisti e gli
intellettuali divennero meno politicizzati ma che la critica culturale e
politica assunse nuove e differenti forme. Le pratiche culturali contempora-
nee del post Terzo Mondo e delle femministe multiculturali intervengono
in una precisa congiuntura nella storia del Terzo mondo.
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464 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
religiose che hanno creato fessure nel processo rivoluzionario, non riu-
scendo a comprendere che, nei termini di Anne McClintock, «i nazionali-
smi sono fin dall’inizio fondati sul potere di genere» e che «le donne a cui
non viene dato il potere di organizzare durante la lotta non avranno il
16
potere di organizzare dopo la lotta» . L’inquadratura finale di una donna
algerina che balla sventolando la bandiera algerina e schernendo le truppe
francesi, accompagnata da una voce over che annuncia: «2 luglio 1962:
Indipendenza. È nata la nazione algerina», fa “portare” alla donna l’allegoria
della “nascita” della nazione algerina. Ma il film non solleva le contraddi-
zioni che hanno afflitto la rivoluzione sia prima che dopo la vittoria. La
rappresentazione nazionalista del coraggio e dell’unità poggia sull’imma-
gine della donna rivoluzionaria precisamente perché la sua figura potrebbe
altrimenti evocare un anello debole, il fatto di una rivoluzione lacerata in
cui l’unità faccia a faccia con il colonizzatore non preclude le contraddi-
zioni tra i colonizzati. I film terzomondisti hanno spesso preferito lo spazio
generico e di genere degli scontri eroici, ambientati sia nelle strade, nella
casbah, nelle montagne o nella giungla. La minima presenza delle donne
corrispondeva al luogo assegnato alle donne sia nelle rivoluzioni anticolo-
nialiste che all’interno del discorso del Terzo Mondo, lasciando ignorate le
lotte delle donne per la propria terra. Saltuariamente le donne portavano le
bombe, come in La battaglia di Algeri, ma solo in nome della “Nazione”.
Più spesso, alle donne veniva fatto portare il “fardello” dell’allegoria nazio-
nale: la donna che balla con la bandiera in La battaglia di Algeri, la
prostituta argentina la cui immagine è sottolineata dall’inno nazionale in La
hora de los hornos (L’ora dei forni), la giornalista mestiza in Cubagua, come
incarnazione della nazione venezuelana, o resa capro espiatorio come le
personificazioni dell’imperialismo, per esempio la figura allegorica della
“puttana di Babilonia” nei film di Rocha. Le contraddizioni di genere sono
15
Pontecorvo è tornato ad Algeri nel 1991 per girare Gillo Pontecorvo ritorna a Algeri, un
film sull’evoluzione dell’Algeria durante i venticinque anni che sono trascorsi da quando La
battaglia di Algeri era stata filmata, e focalizzato su temi quali il fondamentalismo islamico, lo
stato di subordinazione delle donne, il velo e cosı̀ via.
16
Anne McClintock, No Longer in a Future Heaven: Women and Nationalism in South Africa,
«Transition», n. 51, 1991, p. 120.
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466 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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468 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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17
Caren Kaplan, Deterritorializations: The Rewriting of Home and Exile in Western Feminist
Discourse, «Cultural Critique», n. 6, primavera 1987, p. 198.
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470 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
18
L’amica in questione è Ella Habiba Shohat.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 471
i quali i popoli in esilio negoziano l’identità culturale. Nella voce over della
madre, la frase ripetuta «mia cara Mona» evoca le diverse “misure della
distanza” implicite nel titolo del film. Nel frattempo, il dialogo di sotto-
fondo in arabo, richiamando le loro conversazioni su sessualità e Palestina
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472 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
sulla sessualità lasciano il padre spiazzato da ciò che liquida come “scioc-
chezze delle donne”. Le fotografie della madre nuda fatte dalla figlia lo
mettono profondamente a disagio, come se la figlia, cosı̀ scrive la madre,
“fosse sconfinata nel suo possesso”. Riprendere con il video tali conversa-
zioni private non è una pratica comune nel cinema mediorientale o, in
quanto a ciò, in ogni cinema. (Il pubblico occidentale spesso chiede come
Hatoum abbia ottenuto da sua madre il consenso di usare fotografie del suo
nudo e come abbia toccato l’argomento della sessualità). Paradossalmente,
la distanza dell’esilio dal Medio Oriente autorizza l’esposizione dell’intimità.
Il dislocamento e la separazione rendono possibile un ritorno trasformativo
al santuario interno della casa; madre e figlia sono di nuovo insieme nello
spazio del testo.
Nella cultura popolare occidentale, il corpo femminile arabo, sia nella
forma delle donne velate e dal petto nudo che hanno posato per i fotografi
francesi sia in quella degli harem orientali e delle danzatrici del ventre, ha
funzionato come un segno dell’esotico. Ma piuttosto che adottare una
strategia patriarcale o censurare semplicemente la nudità femminile, Ha-
toum utilizza le immagini diffusamente sensuose, quasi divisioniste, di sua
madre nuda per raccontare una storia più complessa con implicazioni
nazionaliste. Usa diverse strategie per velare le immagini dallo scrutinio
voyeurista, immagini già indistinte sono nascoste dal testo (frammenti della
corrispondenza della madre, scritte in arabo) e sono difficili da decifrare. Le
parole sovrimposte scritte in arabo servono ad “avvolgere” la sua nudità.
“Rigando” il corpo, la sceneggiatura ne metaforizza l’inaccessibilità, ta-
gliando visivamente l’intimità espressa verbalmente in altri registri. La
natura frammentata dell’esistenza in esilio è perciò sottolineata da fram-
mentazioni sovrimposte: frammenti di lettere, dialogo e il corps morcele´ della
madre (presentato come mani, petto e ventre). Le immagini sfocate e
frammentate evocano la collettività dispersa della famiglia nazionale stes-
19
sa . Piuttosto che evocare il desiderio per una casa ancestrale, Measures of
19
O nei termini della lettera: «Questa guerra maledetta porta mia figlia nei punti più
remoti del mondo». Questo riferimento alla dispersione della famiglia, come metonimia e
metafora del dislocamento di un popolo, è particolarmente ironico dato che il discorso
sionista stesso ha spesso immaginato il proprio carattere nazionale attraverso la nozione del
«raccolto degli esuli dai punti più remoti della terra».
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 473
20
In questo senso, Measures of Distance va contro la tendenza criticata da Hamid Naficy
che trasforma la nostalgia in un diniego ritualizzato della storia. Vedi The Poetics and Practice
of Iranian Nostalgia in Exile, «Diaspora», n. 3, 1992.
21
Citato in Brian V. Street, The Savage in Literature, London, Routledge and Kegan Paul,
1975, p. 99.
22
Georges-Louis Leclerc de Buffon, The History of Man and Quadrupeds, tr. ingl. William
Smellie, London, T. Cadell and W. Davies, 1812, p. 422.
23
George Mosse, Toward the Final Solution: A History of European Racism, London, Dent,
1978, p. 44.
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474 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
sacrario della bianchezza. Clyde Taylor, Cornel West, bell hooks, tra gli
altri, hanno denunciato lo sguardo normativo che ha sistematicamente
24
svalutato l’aspetto e le estetiche non europee . Dove se non tra i caucasici,
ha chiesto retoricamente il chirurgo inglese Charles White, è possibile
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24
Vedi Cornel West, Phrophesy Deliverance: An Afro-American Revolutionary Christianity,
Philadelphia, Westminster, 1982; Clyde Taylor, Black Cinema in the Post-Aestethic Era, in Jim
Pines and Paul Willemen, (a cura di), Questions of Third Cinema, London, BFI, 1989; e bell
hooks, Black Looks: Race and Representation, Boston, South End Press, 1992.
25
Charles White, Account of the Regular Gradation in Man, citato in Stephen Jay Gould,
The Mismeasure of Man, New York, Norton, 1981, p. 42.
26
Ad un’esposizione orientalista gli egiziani rimasero stupefatti scoprendo che i dolci
egiziani in vendita erano autentici. Vedi Tim Mitchell, Colonizing Egypt, Berkeley, University
of California Press, 1991, p. 10.
27
Vedi Jon Pietersie, White on Black: Images of Africa and Blacks in Western Popular Culture,
New Haven, Yale University Press, 1992. Sul safari coloniale come una sorta di minisocietà
viaggiante, vedi Donna Haraway, Teddy Bear Patriarchy: Taxidermy in the Garden of Heaven,
New York City, 1908-1936, «Social Text», n. 11, inverno 1984-85.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 475
28
Vedi Phillips Verner Bradford e Harvey Blume, Ota Benga: The Pygmy in the Zoo, New
York, St. Martins, 1992.
29
Il vero nome della “Venere degli Ottentotti” rimane sconosciuto dal momento che non
è mai stato comunicato da coloro che la studiarono.
30
Per una ulteriore discussione sulla scienza e il corpo razziale/sessuale, vedi Sander
Gilman, Black Bodies, White Bodies: Toward an Iconography of Female Sexuality in Late
Nineteenth-Century Art, Medicine, and Literature, «Critical Inquiry», vol. 12, n. 1, autunno
1985; e in connessione con il cinema delle origini, vedi Fatimah Tobing Rony, Those Who
Squat and Those Who Sit: The Iconography of Race in the 1895 Films of Louis Regnault, «Camera
Obscura», n. 28, 1992, un numero speciale su Imaging Technologies, Inscribing Science, a cura di
Paula A. Treichler e Lisa Cartwright.
31
Flower and Murie on the Dissection of a Bushwoman, «Anthropological Review», vol. 5,
luglio 1867, p. 268.
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476 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
anche più ravvicinato delle sue parti private, e la sezionò per produrre una
descrizione dettagliata del suo corpo, da cima a fondo32. I suoi genitali sono
tuttora conservati su uno scaffale nel Musée de l’Homme a Parigi accanto ai
genitali di “une negresse” e “une peruvienne”33, monumenti a una sorta di
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32
Richard Altick, The Shows of London, Cambridge and London, Harvard University
Press, 1978, p. 272.
33
Stephen Jay Gould, The Flamingo’s Smile, New York, W. W. Norton & Co., 1985, p. 292.
In una visita recente al Musée de l’Homme non ho trovato tracce della “Venere degli
Ottentotti”; né il catalogo ufficiale, né i funzionari stessi hanno riconosciuto la sua esistenza.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 477
Tetons. La lettera “A” appare accanto alla donna bianca, “B” accanto alla
nera, e “AB” vicino alle Grand Tetons, e una spiritosa “C” (“see = vedere”)
vicino all’uomo bianco con la macchina fotografica. L’uso strategico di rap-
presentazioni europee di una donna africana per sottolineare le ironie
sociali su sessualità, genere e razza utilizza una tecnica a boomerang; una
discendente degli africani letteralmente re-inquadra le immagini pregiudi-
ziali di una sua antenata africana come forma di accusa postuma.
L’egemonia dello sguardo eurocentrico, diffusa non solo dai media del
Primo Mondo ma a volte anche da quelli del Terzo Mondo, spiega perché le
donne morena a Portorico, come le donne arabe-ebree (sefardite) in Israele, si
tingono i capelli di biondo e perché le pubblicità televisive brasiliane fanno
pensare più alla Scandinavia che ad un paese a maggioranza nera e perché i
concorsi di “Miss Universo” possono eleggere “regine bionde” anche in paesi
nordafricani e perché le donne asiatiche si sottopongono a chirurgia estetica
per apparire più occidentali. (Non sto mettendo in questione la parziale
“capacità di azione” implicata in tali trasformazioni ma sottolineando i
modelli che informano l’azione esercitata). Le femministe multiculturali
hanno criticato l’esilio interiorizzato delle euro-“aspiranti” (che si trasfor-
mano attraverso la chirurgia estetica o tingendosi i capelli) allo stesso tempo
cercando un approccio aperto, non essenzialista alle estetiche personali. Le
norme mitiche delle estetiche eurocentriche giungono ad abitare l’intimità
della consapevolezza di sé, lasciando gravi ferite psichiche. Un sistema
patriarcale che è riuscito a generare insoddisfazione personale nevrotica in
tutte le donne (da cui l’anoressia, la bulimia e altre patologie legate all’aspet-
to), diventa particolarmente oppressivo per le donne di colore, escludendole
dal regno di legittime immagini del desiderio.
Ambientato in uno studio hollywoodiano negli anni Quaranta, Illusions
(1982) di Julie Dash sottolinea queste pratiche di esclusione mettendo in
primo piano una cantante nera che presta la sua voce a una star hollywoo-
diana bianca. Come il classico hollywoodiano Singin’ in the Rain (Cantando
sotto la pioggia), Illusions si incentra riflessivamente sulla tecnica cinemato-
grafica della postsincronizzazione, o doppiaggio. Ma mentre il primo film
mostra l’appropriazione intraetnica con cui la regina del cinema muto Lina
Lamont (Jean Hagen) si appropria della voce melliflua di Kathy Selden
(Debbie Reynolds), Illusions rivela la dimensione razziale implicita nella
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478 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
cantate per la star cinematografica bianca (Lila Grant). Jeeter esegue le parti
vocali per un ruolo cinematografico che le è negato dal razzismo istituzio-
nale hollywoodiano. Il talento e l’energia neri sono sublimati in un’imma-
gine bianca aureolata. Ma riconnettendo la voce nera con l’immagine nera,
il film rende “visibile” e perciò “udibile” la presenza nera, dipingendo l’ope-
razione della cancellazione e rivelando l’indebitamento del film con la per-
formance nera. Ma se Gene Kelly può esporre l’ingiustizia e portare
l’armonia nel mondo di Cantando sotto la pioggia, Lonette McKee – che è
lontana dall’essere una “mulatta tragica” ed è ritratta come una donna che
ha capacità di agire e lotta per riscrivere la storia della sua comunità – non
ha un tale potere in Illusions, in uno studio cinematografico significativa-
mente chiamato “studio nazionale”. Illusions fa riferimento alla comparsa
graduale dell’immagine afroamericana nell’intrattenimento euro-americano,
suggerendo che mentre i suoni neri erano spesso i benvenuti (per esempio
alla radio) le immagini nere rimanevano tabù, come se, dopo tale lungo
atto di sparizione, la loro presenza iconica fosse divenuta incendiaria.
La vita esistenziale del corpo razzializzato è stata dura, soggetta non
solo alle indegnità della messa all’asta, dello stupro, della marchiatura, delle
frustate, delle pistole per stordire e di altri tipi di abuso fisico, ma anche al
tipo di cancellazione culturale attaccata alla stigmatizzazione estetica. Molti
progetti femministi cinematografici e video del Terzo Mondo e minoritari
offrono strategie per fare fronte alla violenza fisica inflitta dalle estetiche
eurocentriche, richiamando l’attenzione sul corpo sessualizzato/razzializ-
zato come sito sia di oppressione brutale che di resistenza creativa. La
creatività nera ha trasformato il corpo, in quanto forma singolare di
“capitale culturale”, in ciò che Stuart Hall chiama una «tela di rappresenta-
zione»34. Un numero di film e video recenti indipendenti – Hairpiece: A Film
for Nappy-Headed People (“Parrucchino: un film per persone dai capelli
crespi”, 1985) di Ayoka Chenzira, Coffee Coloured Children (“Bambini color
caffè”, 1988) di Ngozi A. Onwurah, Slaying the Dragon (“Uccidendo il
dragone”, 1988) di Deborah Gee, Color Schemes (“Schemi di colore”, 1989)
34
Stuart Hall, What Is This “Black” in Black Popular Culture?, in Gina Dent, (a cura di),
Black Popular Culture, Seattle, Bay Press, 1992, p. 27.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 479
di Shu Lea Cheang, Two Lies (“Due bugie”, 1989) di Pam Tom, Perfect
Image? (“Immagine perfetta?”, 1990) di Maureen Blackwood, Sally’s Beauty
Spot (“Il neo di Sally”, 1990) di Helen Lee, Older Women and Love (“Le
donne più anziane e l’amore”, 1987) di Camille Billop, A Question of Color
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480 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
35
Kobena Mercer, Black Hair/Style Politics, «New Formations», n. 3, inverno 1987.
36
Dreadlocks, fades e cornrows sono particolari stili di capigliatura molto comuni tra i neri. I
dreadlocks, che sono la pettinatura tradizionale dei rasta, sono costituiti da ciocche di capelli
attorcigliate tra di loro in modo da ottenere una sorta di corda. Fade è quell’acconciatura
che prevede capelli rasati ai lati che sfumano gradualmente (fade) verso la sommità della
testa in capelli tagliati molto corti. I cornrows sono trecce preparate in modo tale da restare
attaccate alla testa, dove formano linee dritte. Il termine cornrows deriva dalla disposizione
delle file di grano nei campi coltivati (N.d.T.).
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 481
37
in se stessi africani; sono un costrutto sincretico . Le acconciature afro-
diasporiche, da quella afro ai dreadlocks, non sono emulazioni degli stili
africani “reali” ma piuttosto proiezioni neologistiche dell’identità diasporica.
Gli stili esibiti nel finale del film, lungi dall’essere esempi di capelli “politica-
mente corretti”, affermano piuttosto una cornucopia degli sguardi diaspo-
rici, un’espressione potente di un corpo collettivo variegato. Satireggiando
l’interiorizzazione nera di modelli estetici bianchi, il film provoca una
catarsi comica per gli spettatori che hanno vissuto il terrore e la pietà
38
dell’auto-colonizzazione .
Coffee Coloured Children, il film lirico semi-autobiografico di Ngozi A.
Onwurah, intanto, descrive il corpo nero come accerchiato dal razzismo.
Figlia di una madre bianca e di un padre nigeriano assente, la narratrice
ricorda il dolore di crescere in un quartiere inglese totalmente bianco. La
sequenza d’apertura dimostra immediatamente il tipo di molestie razziste
subite dalla famiglia: un giovane neonazista insozza la loro porta d’ingresso
con escrementi, mentre la madre, in voce over, si preoccupa di proteggere i
suoi figli dal sentirsi in qualche modo responsabili per la violenza diretta
contro di loro. La narrazione trasmette il traumatico odio per se stessi
provocato dai paradigmi imposti. In una scena, la figlia si toglie una
parrucca bionda e del trucco bianco di fronte a uno specchio, nel tentativo
di emulare una bianchezza desiderata. Se La battaglia di Algeri faceva dello
specchio uno strumento rivoluzionario, qui esso diventa lo speculum di
un’identità traumatizzata, letteralmente quella di una pelle nera mascherata
di bianco. Il semplice atto di guardare in uno specchio si rivela essere
molteplicemente speculare, dal momento che si guarda persino se stessi
attraverso gli occhi di molti altri – la propria famiglia, i propri coetanei, i
propri altri razziali, come anche gli occhi pan-ottici della cultura dei mass
media e consumistica. Le cicatrici inflitte sulle vittime di questa egemonia
estetica sono intensamente suggerite da una sequenza in bagno in cui i
bambini, utilizzando prodotti di pulizia, cercano di strofinare via fre-
37
Ibid.
38
Non sorprendentemente, il film è stato proiettato in musei e chiese e anche a lavoratori
sociali e parrucchieri, come contemplazione provocativa dell’intersezione di moda, politica e
identità.
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482 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
neticamente una nerezza vissuta come sporcizia39. La voce over del narra-
tore che descrive il rituale di pulizia è sovrapposta a un’inquadratura
ravvicinata di una rapida strigliatura, sfocata in modo da suggerire una
perdita di sangue, un’immagine adatta al retaggio coloniale inscritto nel
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Questa associazione è particolarmente ironica dato il retaggio coloniale della schiavitù e
servitù in cui gli uomini neri (custodi) e le donne (cameriere) erano obbligati a rimettere in
ordine il “caos” creato dagli europei bianchi.
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CULTURA POSTERZOMONDISTA: GENERE, NAZIONE E IL CINEMA 483
suo padre. È introdotta alla fede da una donna più anziana, Kirana, che ha
un approccio flessibile all’Islam: «ciascuno comprende attraverso la propria
mente e la propria epoca». Nel corso del suo risveglio spirituale, Nadia
inizia a vedere gli aspetti oppressivi della società occidentale. Al tempo
stesso, vede la società araba/musulmana come un possibile spazio di
appagamento. Nel rispetto della tradizione islamica delle donne che usano
la propria ricchezza per la carità sociale, trasforma parte della casa di
famiglia in rifugio per donne abusate. Il film non è acritico nei confronti
degli abusi patriarcali dell’Islam – per esempio, le leggi che considerano le
donne come “mezze-persone” e che sistematicamente favoriscono gli uo-
mini nelle questioni di matrimonio e divorzio. L’estetica del film, tuttavia,
privilegia ritmi contemplativi e spirituali, in movimenti di macchina lenti
che accarezzano l’architettura araba dai contorni delineati di cortili e
fontane e di rilassanti spazi interni. Dedicato a una donna musulmana
storica, Fatima Fihra, fondatrice nel decimo secolo di una delle prime
università del mondo, Bab Ila Sma Maftouh prefigura un’estetica che affermi
la cultura islamica corredata da una coscienza femminista, offrendo un’al-
ternativa sia all’immaginario occidentale che alla rappresentazione fonda-
mentalista islamica delle donne musulmane. Laddove i documentari con-
temporanei mostrano i raduni di sole donne come uno spazio di resistenza
al patriarcato e al fondamentalismo, Bab Ila Sma Maftouh utilizza spazi
totalmente femminili per indicare un progetto liberatorio basato sul dissot-
terramento della storia delle donne all’interno dell’Islam, una storia che
include spiritualità, profezia, poesia e creatività intellettuali femminili, come
40
anche rivolta, potere materiale, e leadership sociale e politica .
La negoziazione tra il presente e il passato appare anche in Nice
Coloured Girls (“Ragazze di colore carine”) di Tracey Moffat, che intreccia
racconti sulle donne aborigene dell’Australia urbana contemporanea e sui
loro “capitani” (vecchi danarosi che mantengono giovani amanti) con
racconti di donne aborigene e uomini bianchi che risalgono a più di
duecento anni prima. Moffat interroga le trite convenzioni del “film abori-
geno”, proponendo invece lo sperimentalismo formale di Nice Coloured
40
Vedi Fatima Mernissi, The Forgotten Queens of Islam, tr. ingl. Mary Jo Lakeland,
Minneapolis, University of Minnesota Press, 1993.
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484 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
41
Girls stesso . E in netto contrasto con la costruzione coloniale del “corpo
femminile aborigeno” visto come estensione metaforica di una terra esoti-
cizzata, Nice Coloured Girls colloca le donne aborigene dinamiche, irrive-
renti, intraprendenti al centro della narrazione, offrendo una prospettiva
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È poco probabile che la giustapposizione di diari/scritti etnografici e immagini abori-
gene in Nice Coloured Girls sia casuale, dal momento che le prime rappresentazioni
fotografiche e cinematografiche degli aborigeni hanno riflesso l’etnografia legata alla cultura
dei coloni bianchi. (Le riprese del 1901 di Walter Baldwin Spencer della tribù Arrente che
mette in scena una danza del canguro e una cerimonia della pioggia segnano l’inizio storico
del film etnografico sugli aborigeni). Vedi Karl C. Heider, Ethnographic Film, Austin,
University of Texas Press, 1976, p. 19.
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486 ERETICHE ED EROTICHE. LE DONNE, LE IDEE, IL CINEMA
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