Dossier n. 1 - 2006
Ascensore
Presentazione
Gentile abbonato,
la banca dati Codice degli Immobili prosegue il suo cammino evolutivo offrendole un nuovo
strumento, il Dossier tematico.
I DOSSIER di Codice degli Immobili sono una sistematica organizzazione della documentazione più
rilevante presente in banca dati relativa ad un argomento selezionato.
La raccolta dei contenuti organizzati nel DOSSIER provengono infatti dalle Fonti documentali
presenti in Codice degli Immobili, quali, Legge, Prassi e Giurisprudenza (fonti istituzionali),
Articoli delle riviste di settore, Commenti e Quesiti dell'Esperto Risponde (fonti proprietarie).
Ogni mese è presentato un nuovo argomento mentre i precedenti Dossier vengono archiviati sia
nella banca dati off line che in quella on line. Nel corso del tempo verranno trattate non solo le
tematiche “classiche” come il condominio, le locazioni, i diritti reali, etc., ma verranno presi in
considerazione anche i nuovi argomenti legati alla logica innovativa e moderna che sta
coinvolgendo sempre più il mondo immobiliare.
Questo primo dossier dedicato all’ascensore, presentata un’ampia panoramica sul tema: dai
concetti di base, alla problematiche relativa alla gestione, alle nuove installazioni; dalla ripartizione
delle spese di manutenzione, alle recenti indicazioni del Ministero delle attività produttive in
materia di sicurezza relative all’applicazione della norma UNI 81-80 e alle nuove verifiche per tutti
gli ascensori installati prima del 25 giugno 1999. Verifica che ha stimolato un fervente dibattito
animato da Confedilizia.
Nel dossier è inserita integralmente una selezione della documentazione più rilevante, corredata
da ulteriori segnalazioni a riferimenti di legge e prassi.
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Sommario
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Rassegna di giurisprudenza
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 25/03/2004 n. 5975 63
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni dell'edificio - Impianti comuni -
ascensore - Spese di manutenzione e di rico... 63
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Contributi e spese condominiali - Deroga
convenzionale al criterio di ripartizione legale ... 63
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Innovazioni - Su parti comuni dell'edificio -
Impianti di uso comune - ascensore - Adeguam... 63
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni dell'edificio - Impianti comuni -
ascensore - Spese di manutenzione e ricostr... 63
Integrale: Condominio negli edifici - ascensore - Spese di manutenzione e di ricostruzione - Ripartizione - Criteri
64
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 27/03/2003 n. 4528 68
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Estensione - Beni o servizi in comune tra
condomini 68
Integrale: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Estensione - Beni o servizi in comune tra
condomini 68
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 25/03/1999 n. 2833 69
Massima: Condominio negli edifici - ascensore - Spese di manutenzione e di ricostruzione 69
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 03/10/1996 n. 8657 69
Massima: Assemblea - Attribuzioni e poteri - Aumento elementi radianti in un appartamento - Modifica
provvisoria tabella e riscossione contributi - Competenza 69
Massima: Spese condominiali - Criteri di ripartizione - Spese per l'illuminazione e pulizia delle scale - Criterio ex
art.1123 c.c. 69
Integrale: Assemblea - Attribuzioni e poteri - Aumento elementi radianti in un appartamento - Modifica
provvisoria tabella e riscossione contributi - Competenza 70
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 10/01/1996 n. 165 72
Massima: Condominio negli edifici - Contributi e spese condominiali - ascensore - Spese di installazione 72
Integrale: Parti comuni - ascensore - Spese di installazione - Criterio ex art.1123 c.c. - Applicabilita' 72
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 01/04/1995 n. 3840 74
Massima: Innovazioni - Fattispecie - Opera nuova utilizzabile da tutti i condomini costruita a spese di uno solo74
Integrale: Innovazioni - Fattispecie - Opera nuova utilizzabile da tutti i condomini costruita a spese di uno solo74
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 19/02/1993 n. 2018 77
Massima: Parti comuni - Scale e pianerottoli - Spese di pulizia - Criteri di ripartizione- Modifica ad opera
dell'assemblea - Legittimita' - Condizioni 77
Integrale: Parti comuni - Scale e pianerottoli - Spese di pulizia - Criteri di ripartizione- Modifica ad opera
dell'assemblea - Legittimita' - Condizioni 77
Corte di Cassazione Sezione 2 civile: Sentenza 16/05/1991 n. 5479 78
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LIBRO TERZO. Della proprietà - TITOLO SETTIMO. Della comunione - CAPO SECONDO. Del
condominio negli edifici
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un
edificio, se il contrario non risulta dal titolo:
1) il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari , le scale, i
portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio
necessarie all'uso comune;
2) i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento
centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento
comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di
scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili,
fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.
Va però osservato che l’ascensore quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua
costruzione e vi venga installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, non
costituisce proprietà comune, bensì appartiene in proprietà a quei condomini che lo hanno impiantato a
loro spese, salvo la facoltà degli altri condomini, prevista dall'art. 1121 ultimo comma c. c., di
partecipare successivamente all'innovazione ( Cass. 18 novembre 1971 n. 3314 ).
L'installazione dell’ascensore
Riguardo alla installazione dell’ascensore va osservato che la norma di cui all'art. 1120 c. c., nel
prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate
maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per
tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa, relativa alle
innovazioni di cui si tratta, assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c. c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale
ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non
impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
Ne consegue che, ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri
condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo ( Cass. 10 aprile 1999 n. 3508 .
Conforme, Cass. 11 febbraio 2000 n. 1529 ).
La limitazione, per alcuni condomini, dell'originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito,
occupati dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione
lesiva del divieto posto dall'art. 1120 comma 2 c. c., ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo
del minor godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente previsto che
dall'innovazione debba derivare per il condomino dissenziente un vantaggio compensativo ( Cass. 4
luglio 2001 n. 9033 ).
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In giurisprudenza di merito, in senso conforme, Trib. Napoli 18 aprile 2001 , secondo cui
l'installazione di un ascensore in un edificio condominiale che ne sia sprovvisto può essere attuata,
riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini
soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare, in qualunque tempo, ai vantaggi
dell'innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione dell'impianto ed a quelle di manutenzione
dell'opera. Più in particolare, la previsione dell'art. 1121 c. c., che fa menzione alle spese di
manutenzione, deve essere interpretata nel senso che debba trattarsi di spese di manutenzione
straordinaria e che queste ultime non siano connesse all'effettivo uso della cosa.
Va, inoltre, precisato che la giurisprudenza si è dichiarata, in linea di massima, favorevole alla
installazione dell’ascensore al punto che si è ritenuto che, qualora al posto della tromba delle scale e
dell'andito corrispondente a pianterreno di dette parti comuni dell'edificio nell'identico modo originario
non contrasta con la norma dell'art. 1120 comma 2 c. c. perché, se pur resta eliminata la possibilità di
un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore, onde la
posizione dei dissenzienti è tutelata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo
impianto. In tal senso Cass. 9 luglio 1975 n. 2696 , che ha però precisato, con un orientamento non
certo pacifico e che è in contrasto con la decisione in rassegna, che la delibera di installazione
dell’ascensore deve essere presa con la maggioranza di cui all'art. 1136 comma 5 c. c., secondo cui
l'approvazione deve avvenire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio.
In senso conforme, Cass. 14 novembre 1977 n. 4921 ha affermato che la delibera assembleare che,
pur senza approvare uno specifico progetto e preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un
ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino, ma con salvezza del diritto degli altri condomini
di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione medesima tramite contributo ai costi
di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al miglioramento della cosa comune, e
come tale è validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art. 1136 comma 5 c. c., né sulla
legittimità di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di preventivo, la quale comporta
soltanto la necessità che la delibera venga integrata da successive decisioni assembleari, per
determinare le modalità di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei limiti e dei divieti
fissati dall'art. 1120 comma 2 c. c.
L'installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era
sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120, comma 1, c. c., una innovazione, con la conseguenza che
la relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al comma 5 dell'art. 1136 c. c.
L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto, può essere attuata,
riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini
soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della
innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dello impianto ed in quelle di manutenzione
dell'opera ( Cass. 11 febbraio 2000 n. 1529 ).
In dissenso rispetto alle precedenti decisioni (ma in accordo con la opinione espressa nella decisione in
rassegna alla quale mi sento di poter aderire) Trib. Milano 11 maggio 1989 , ha affermato che, nel
caso di installazione da parte di un condomino di un ascensore suscettibile di suo separato godimento,
trova applicazione l' art. 1102 c. c. - a mente del quale il singolo condomino può apportare alla cosa
comune le modificazioni necessarie al miglior godimento - e non l' art. 1120 c. c. dettato per le ipotesi di
innovazioni della cosa comune, per cui non pare necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con
la maggioranza qualificata richiesta per le innovazioni e le spese di installazione sono esclusivamente a
carico dell'interessato.
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Pertanto, mentre deve ritenersi che la locazione di un appartamento sito in uno stabile di proprietà
condominiale, collocato a un piano al quale si accede anche mediante ascensore, abbia voluto includere
anche il diritto per l'inquilino di usare l’ascensore (sia pure con le modalità fissate dall'amministratore del
condominio, quali, per esempio, l'uso del gettone), non può ammettersi che tale diritto si estenda
necessariamente a tutti i visitatori o frequentatori dell'inquilino. In tal senso Cass. 28 gennaio 1961 n.
153 , che ha deciso la fattispecie in cui l'inquilino era un'associazione sindacale e pretendeva che
dell’ascensore potessero fare uso tutti i suoi organizzati.
Poiché è estrinsecazione del diritto di ogni condomino di pretendere che l'uso della cosa comune non si
risolva in una lesione del suo diritto di proprietà esclusiva, il condomino-proprietario esclusivo di un
appartamento al sesto (penultimo) piano e di tutto il settimo piano - ben può eliminare, al fine di
impedire l'accesso incontrollato di terzi alla sua proprietà, il pulsante corrispondente al settimo piano
nella tastiera dell’ascensore e sostituirlo con un blocchetto a chiave, giacché l'esecuzione di tale
sostituzione non turba il diritto degli altri partecipanti alla comunione, né altera la funzione, o
destinazione del bene ( Cass. 13 gennaio 1971 n. 50 ).
La sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale non può avere altra finalità che la
conservazione dell’ascensore stesso ed è un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non
comportando innovazione ( App. Bologna 1 aprile 1989 ).
La sostituzione di ascensori usurati e non più agibili con ascensori nuovi, anche se di tipo e di marca
diverso, non costituisce innovazione perché le cose comuni, oggetto di modifiche, il vano ascensore con
le strutture ed i locali annessi, non subiscono alcuna sostanziale modifica e conservano la loro
destinazione al servizio ascensore, anche se vengono apportate modifiche alla loro conformazione e
perché l'edificio, nel suo complesso, con la sostituzione degli ascensori, non subisce alcun sostanziale
mutamento ma conserva un servizio del quale è già dotato, a meno che l'entità e la qualità delle
modifiche introdotte sia tale da involgere un sostanziale mutamento del servizio e mutamento di
destinazione di parti comuni dell'edificio ( Cass. 16 luglio 1981 n. 4646 ).
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Le spese
In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 c. c. relativa alla ripartizione tra i condomini
delle spese di ricostruzione (oltre che di manutenzione) delle scale è applicabile per analogia, ricorrendo
identica ratio , alle spese relative alla ricostruzione (e manutenzione) dell’ascensore già esistente. La
disciplina legislativa in subiecta materia (artt. 1123 - 1125 c. c.) è, peraltro, suscettibile di deroga con
patto negoziale intervenuto tra i condomini ( Cass. 25 marzo 1999 n. 2833 ).
Le spese di manutenzione, sia ordinaria sia straordinaria, dell’ascensore si ripartiscono tra i condomini in
misura proporzionale all'altezza del piano e alle quote di proprietà dell'edificio ( Cass. 16 maggio 1991
n. 5479 ).
Il criterio seguito dalla giurisprudenza per la ripartizione delle spese relative all’ascensore è quello
dell'uso.
Ciò non esclude che sia valido un diverso sistema, per esempio quello della gettoniera, che può essere
deliberato dall'assemblea con la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c. c. ( Trib. Napoli 8
maggio 1962 ). Nello stesso senso, Cass. 12 marzo 1976 n. 864 .
In senso contrario, Cass. 22 gennaio 1968 n. 154 , che ha affermato che occorre il consenso di tutti i
condomini per modificare il criterio di ripartizione delle spese dell’ascensore fissato in un regolamento
contrattuale.
Trib. Bologna 27 febbraio 1986 n. 357 , ha ritenuto che le spese che ineriscono al mantenimento e
all'uso dell’ascensore - ossia della comodità - vanno ripartite proporzionalmente fra i condomini in
ragione dei diversi piani cui lo stesso è posto al servizio, mentre quelle che attengono all'impianto come
tale, per modificazioni o migliorie, vanno sopportate dai comproprietari in ragione dei rispettivi millesimi
(nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che la spesa per la sostituzione dell'argano e del motore
dell’ascensore debba essere ripartita tra i condomini in ragione delle rispettive proprietà millesimali).
In ultimo, Cass. 10 aprile 1999 n. 3508 , secondo cui la norma di cui all'art. 1120 c. c., nel
prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate
maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per
tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere stata la spesa relativa alle
innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c. c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza della quale
ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non
impedisca agli altri condomini di farne eguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune. Ne consegue che,
ricorrendo dette condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale
dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il
relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto
stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la
sua proposta al riguardo.
Le spese di installazione ex novo e manutenzione dell'impianto di ascensore devono essere ripartite tra
gli originari comproprietari e il condomino subentrante nella comunione relativa all'impianto medesimo, in
applicazione del criterio previsto per le scale dall'art. 1124 c. c. Trib. Genova 27 marzo 1998 n. 817
Installazione e rifacimento
L'installazione di un ascensore in un edificio condominiale concreta una innovazione destinata a servire
ciascun condomino in misura diversa, per cui, a norma dell'art. 1123 c. c., la spesa relativa per la messa
in opera dell’ascensore deve essere ripartita, in analogia con la ripartizione delle spese di manutenzione
e ricostruzione delle scale, in misura proporzionale al valore della quota di acquisto della proprietà
individuale di ciascun condomino, in base all'altezza dei piani e per ciascun piano in base ai millesimi di
proprietà ( Cass. 10 gennaio 1996 n. 165 ).
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Sostituzione
Circa la ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione relative all'ascensore, destinato all'uso
comune di un edificio in condominio, va applicata, in mancanza di una specifica disposizione di legge che
disciplina il caso, la regola posta dall'art. 1124 c. c. per le scale, eguale essendo la ratio tra l'ipotesi
disciplinata da tale norma e quella riguardante l'ascensore.
Tali spese vanno, pertanto, ripartite per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e
per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo ( Cass. 25 ottobre 1969
n. 3514 ).
Modifiche e migliorie
Le spese che ineriscono al mantenimento e all'uso dell’ascensore - ossia della comodità - vanno ripartite
proporzionalmente fra i condomini in ragione dei diversi piani cui lo stesso è posto al servizio, mentre
quelle che attengono all'impianto come tale, per modificazioni o migliorie, vanno sopportate dai
comproprietari in ragione dei rispettivi millesimi (nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che la spesa
per la sostituzione dell'argano e del motore dell’ascensore debba essere ripartita tra i condomini in
ragione delle rispettive proprietà millesimali). In tal senso Trib. Bologna 27 febbraio 1986 n. 357 .
Adeguamento
La spese straordinarie relative agli ascensori, necessarie per l'adeguamento degli impianti alle norme di
sicurezza, attengono al profilo della proprietà del bene e vanno sostenute da tutti i condomini in
proporzione dei rispettivi millesimi di proprietà esclusiva ( Trib. Bologna 2 maggio 1995 ).
Gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE essendo diretti al conseguimento di
obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli
utenti e i terzi, non attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bensì
alla straordinaria manutenzione, riguardando l’ascensore nella sua unità strutturale. Le relative spese
devono quindi essere sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà,
compresi i proprietari degli appartamenti siti al piano terra Trib. Parma 29 settembre 1994 n. 859.
Piano terreno
La disciplina di cui agli artt. 1123 - 1125 c. c., sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è
suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche col regolamento condominiale, ove abbia
natura convenzionale e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i partecipanti. Pertanto, con
riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve ritenersi valida ed
operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i condomini, inclusi
quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive proprietà ( Cass. 6 novembre 1986
n. 6499 ).
La disciplina di cui agli artt. 1123 - 1125 c. c. sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è
suscettibile di deroga con patto negoziale, e quindi anche col regolamento condominiale, ove abbia
natura convenzionale e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i partecipanti. Pertanto, con
riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve ritenersi valida ed
operante la disposizione del regolamento, che preveda il concorso di tutti i condomini, inclusi quelli
abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive proprietà ( Cass. 6 novembre 1986 n.
6499 . Per riferimenti, cfr. Cass. 14 novembre 1977 n. 4927 ).
Deve ritenersi non già nulla ma semplicemente annullabile la deliberazione dell'impianto dell'ascensore,
in asserito contrasto con una clausola del regolamento condominiale, che assoggetta solo alcuni
condomini alle spese di riparazione e manutenzione dell’ascensore stesso ( Cass. 25 ottobre 1975 n.
3558 ).
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Fin quando l'impianto dell’ascensore resta di proprietà esclusiva del condomino che, autorizzato, lo ha
legittimamente installato, le spese relative sono a carico del (singolo) proprietario e non possono, salva
diversa convenzione, comportare il diritto all'uso da parte degli altri condomini con il relativo obbligo alla
compartecipazione alle spese ( Trib. Napoli 24 febbraio 1978 ).
Anzitutto va segnalato quanto stabilito da Trib. Milano 11 maggio 1989 , che poiché l'installazione di
un ascensore non rappresenta innovazione ai sensi dell'art. 1120 c. c., ma modificazione necessaria per
il miglior godimento della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c. c., è legittima tale installazione da parte
di condomino portatore di handicap a sue spese, anche in difetto di autorizzazione da parte
dell'assemblea dei condomini.
Affermando questo principio i giudici milanesi hanno osservato che giustamente il pretore della fase
cautelare aveva esplicitamente affermato l'applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 1102 c. c. anziché
di quelle di cui all'art. 1120, ogni volta che, pure ove si tratti di innovazioni, non si ponga alcun problema
di approvazione delle opere con la maggioranza qualificata di cui ai commi 2 e 5 della norma citata, per
essersi il condomino interessato all'installazione del servizio accollato l'intero onere. E ciò in base al
rilievo che, anche in base ad una lettura comparata ed integrata degli artt. 1120 e 1121 c. c., la
previsione dell'approvazione delle innovazioni con maggioranza qualificata è in funzione di tutela
dell'interesse dei singoli condomini in vista del loro obbligo di partecipare (anche se dissenzienti) alle
spese che l'innovazione comporti; mentre una siffatta funzione è esclusa (e non ricorre, quindi, la ratio
delle norme di cui all'art. 1120 c. c.), quando il singolo condomino interessato assuma esclusivamente su
di sé l'intero onere.
Da questo ragionamento ne deriva che quando si tratti di installare un servizio (l'ascensore) in
precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo condomino interessato, non pare
necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata richiesta per le
innovazioni.
In tale situazione, infatti, deve trovare applicazione l' art. 1102 c. c., a mente del quale - salva la
destinazione e la conservazione del pari uso da parte degli altri partecipanti - il singolo condomino può
anche apportare alla cosa comune le modificazioni necessarie al miglior godimento.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
A tale conclusione si perviene sia attraverso un'interpretazione dell'art. 1102, secondo la quale devono
intendersi comprese nella disciplina da esso dettata anche le innovazioni, sia attraverso una lettura di
detta norma che tenga distinte le "modificazioni" della cosa comune dalle vere e proprie "innovazioni"
(comportando soltanto queste ultime, ma non le prime, modificazione della struttura fondamentale e
della destinazione della cosa).
Nello stesso senso ha deciso Trib. Foggia 29 giugno 1991 , affermando che il condomino portatore di
handicap ha diritto di installare a proprie spese un ascensore nella gabbia delle scale dell'edificio
condominiale, utilizzando in tal caso la cosa comune senza alterarne la destinazione e impedire agli altri
condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto, dovendosi, peraltro, contemperare l'eventuale
sacrificio degli altri condomini (derivante dall'occupazione dell'"angolo morto" dell'androne per
l'installazione della piattaforma dell’ascensore e dell'utilizzazione della tromba d'aria per il suo
scorrimento verticale) con l'interesse, di natura prioritaria, dell'handicappato ad una vita sociale e di
relazione agevolata, nello spirito della legislazione vigente in materia di superamento ed eliminazione
delle barriere architettoniche negli edifici privati e secondo il criterio dell'equo contemperamento dei
contrapposti interessi.
Nella fattispecie esaminata i giudici foggiani hanno affermato che l'installazione dell’ascensore non
costituisce innovazione ex art. 1120 c. c., non alterando la destinazione originaria né dell'androne, che è
essenzialmente quella di fornire l'accesso alla scala né della tromba d'aria, che è quella di dare aria e
luce alla medesima scalinata.
E' quindi, evidente che ove non si faccia questioni di spese torna applicabile la norma generale dell'art.
1102, in quanto anche il testo del predetto articolo contempla attività costituenti pur esse innovazioni
sulla cosa comune, e tuttavia in ordine a tale norma generale non trova applicazione quella dell'art.
1120, che prevede l'approvazione con determinate maggioranze in quanto finalizzata soltanto alla
ripartizione delle spese tra i condomini, anziché all'accollo di esse al condomino che promuove
l'innovazione.
Sicché ciò che appare rilevante, ai fini dell'applicazione dell'art. 1102, è solo il fatto che le innovazioni
non compromettono la facoltà di godimento della cosa comune per tutti i condomini e non ne alterino la
destinazione, traendosi la espressa conseguenza della legittimità dell'ipotesi in cui alcuni condomini, al
posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a piano terra, immettano, a propria cure e
spese, un ascensore, in quanto il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio
nell'identico modo originario non contrasta con la norma dell'art. 1120, comma 2, c. c.
Si aggiunga che, anche se è vero che resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo
posto ne viene offerto uno diverso, di contenuto migliore, per cui la posizione dei dissenzienti è
salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto, senza che si
verifichi neppure una vera alterazione della destinazione o si comprometta la facoltà di godimento della
cosa comune da parte di tutti i condomini (così argomenta Cass. 5 aprile 1977 n. 1300 , sulla scia di
Cass. 9 luglio 1975 n. 2696 , che ha affermato che l'installazione di un ascensore in un edificio in
condominio (o parte autonoma di esso) che ne sia sprovvisto può essere attuata, riflettendo un servizio
suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto
salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo
alle spese di esecuzione dell'impianto e in quelle di manutenzione dell'opera).
Da ricordare - in sede di confronto di opinioni - l'orientamento più restrittivo e rigoroso della Corte
Suprema secondo cui la distinzione tra "innovazioni" e atti di maggiore o più intensa utilizzazione della
cosa comune non si profila essenzialmente sotto l'aspetto della ripartizione delle spese (che
inciderebbero su tutti i condomini o solo su quelli che intraprendono l'iniziativa), ma in ciò che costituisce
innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia e nella forma, ovvero nella
destinazione di fatto o di diritto la cosa comune eccedendo i limiti della conservazione, dell'ordinaria
amministrazione o del godimento della cosa e che importi una modificazione materiale della forma o
della sostanza della cosa medesima con l'effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento o comunque
alterarne la destinazione originaria, con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i
condomini, i quali devono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata
programmata ad iniziativa di un solo condomino che ne assume tutte le spese, mentre non sono
innovazioni tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune che non importino
alterazione o modificazione della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare
la cosa facendone lo stesso maggior uso del condomino che abbia effettuato la modifica ( Cass. 6
giugno 1989 n. 2746 ).
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In altri termini, secondo tale criterio distintivo più rigoroso, sia ha uso della cosa comune ai sensi dell'art.
1102 e non innovazione ex art. 1120, allorché le modifiche apportate dal singolo condomino alla cosa
comune:
- non alterino la destinazione della cosa comune;
- non pregiudichino la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico del fabbricato;
- non arrechino danno alle singole proprietà esclusive;
- non impediscano agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto ( Cass. 10
marzo 1983 n. 1789 ).
L'interpretazione della legge n. 13 del 1989, anche in connessione con la normativa del codice civile, ha
dato luogo a svariate statuizioni.
Anzitutto si è ritenuto che l' art. 2 legge n. 13/1989 è applicabile anche riguardo alle necessità di un
invalido civile e non solo di un portatore di handicap. Ed infatti, l'impianto dell’ascensore costituisce uno
degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo possibile ai soggetti in minorate
condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di relazione interpersonale.
In tal senso ha deciso Trib. Firenze 19 maggio 1992 n. 849 , che ha rilevato che la normativa in
esame inserisce implicitamente gli invalidi civili nella categoria dei portatori di handicap con il richiamo
dell'art. 27 legge n. 118/1971 che fa espresso riferimento allo scopo di facilitare la vita di relazione di
mutilati e invalidi civili. Inoltre la stessa legge n. 13/1989 definisce all'art. 9, comma 3, come destinatari
della disciplina - ed in particolare dei contributi a fondo perduto - non solo i soggetti che subiscono
limitazioni alla deambulazione ed alla mobilità ma ogni portatore di menomazioni o limitazioni funzionali
permanenti.
Con riferimento alle caratteristiche tecniche delle opere si può, quindi, ben affermare che la norma in
argomento ha espressamente escluso il riferimento ai requisiti tecnici previsti per gli interventi di
eliminazione delle barriere architettoniche relative alle opere pubbliche e richiamate nel regolamento di
attuazione cui si richiama l' art. 2, legge n. 13/1989.
E' evidente che il richiamo normativo contenuto nell'art. 2 della legge ha il solo intento di definire la
nozione di "barriere architettoniche". Il richiamo all'art. 27 legge n. 118/1971 contiene l'esplicita
limitazione al comma 1, con esclusione espressa del comma 2 che fa riferimento alle norme di
attuazione. Inoltre, anche il richiamo all'art. 1 del D.P.R. n. 384/1978 contiene identica limitazione talché
mentre non si può fare riferimento alle prescrizioni tecniche specifiche del regolamento, si può e deve
invece tenere presente la definizione che la norma dà delle barriere architettoniche intese come "gli
impedimenti fisici... che sono di ostacolo alla vita di relazione dei minorati".
Non vi è, quindi, alcun dubbio che l'impianto di ascensore costituisca uno degli interventi volti ad
eliminare una barriera architettonica, nel senso sopra riportato. Con detto impianto infatti si rende
possibile, per i soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che potrebbero comunque
frequentarlo, una più agevole e facile accessibilità all'interno o dall'esterno favorendo in conseguenza la
vita di relazione interpersonale dei soggetti medesimi.
_____
Testo tratta da Maurizio De Tilla, Dizionario del Condominio , Milano, Il Sole 24 ORE, 2000.
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Legge
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Provvedimento 22/03/2005
Attivazione del servizio di trasmissione telematica del modello unico informatico catastale
relativo alle dichiarazioni per l'accertamento, delle unità immobiliari urbane di nuova
costruzione e alle dichiarazioni di variazione dello stato, consistenza e...
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Prassi
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A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa».
Si veda, in questo senso, Cassazione, 25 giugno 1994, n. 6109, per la quale «sono nulle le delibere che
ancorché adottate a maggioranza siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua
proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative
(nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito i quali avevano
dichiarato la nullità della deliberazione adottata a maggioranza in base all'articolo 2 della legge 13/89 —
di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap — che
comportava un sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di altro condomino sito al piano terra) ».
A. T. - GENOVA
La risposta è negativa. Le scelte fatte nell'anno di sostenimento delle spese che fruiscono della
detrazione Irpef, ivi comprese quelle per l'installazione dell'ascensore, sono irrevocabili. Infatti, se è vero
che i bonifici, nel caso di specie, sono stati effettuati dall'amministratore, il diritto alla detrazione dei
condomini che hanno partecipato alle spese è immodificabile e pari a quello risultante nell'attestazione di
ripartizione dell'importo detraibile tra i singoli condomini, sempre nei limiti della ripartizione della
proprietà delle parti comuni.
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Il condominio intende costruire un ascensore esterno. Tutti i condomini sono d'accordo, solo una parte
partecipa alla spesa, in quanto a quelli del primo piano non interessa. Un condomino ha chiesto
all'assemblea (per l'eccessivo onere) di poter concorrere alla spesa solo con la metà dei millesimi cioè
con 80 millesimi anziché 160 e che successivamente quando venderà l'unita immobiliare e questa sarà
suddivisa in due appartamenti uno dei due nuovi acquirenti pagherà la differenza. È corretto quanto da
lui richiesto? La suddivisione della spesa può essere fatta solo per millesimi? L'assemblea può decidere di
accettare questa proposta e chi si accolla la spesa relativa? Per quanto riguarda la detrazione del 36%,
come può essere fatta se si accetta questa proposta?
G. P. - TRENTO
Salva diversa disposizione del regolamento contrattuale, la ripartizione delle spese per l'installazione
dell’ascensore deve essere fatta in base alla tabella millesimale di proprietà. Si veda, in questo senso,
Cassazione, 10 gennaio 1996, n. 165, secondo cui «le spese di installazione dell’ascensore nell'edificio in
condominio debbono essere ripartite secondo il criterio dell'articolo 1123 del Codice civile relativo alle
innovazioni deliberate dalla maggioranza e cioè in proporzione del valore della proprietà di ciascun
condomino».Poiché, peraltro, l'installazione del nuovo ascensore configura un'innovazione gravosa
divisibile, i condomini dissenzienti possono dissentire dall'innovazione, a norma dell'articolo 1121 del
Codice civile, per il quale quando sia possibile l'utilizzazione separata dell'impianto, i condomini che non
intendono trarne vantaggio, sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Nel caso del lettore, o i
condomini non partecipano all'innovazione e in questo caso sono esonerati dalle spese o partecipano alla
innovazione e, in questo caso, sono tenuti a contribuire alle spese in base ai millesimi di proprietà e non
in base al solo 50% di essi. La soluzione prospettata dal condomino dissenziente non solo non rispetta la
ripartizione delle spese per millesimi di proprietà (articolo 1123, primo comma del Codice civile), ma
neanche quella di cui all'articolo 1124 del Codice civile (per metà in base ai millesimi di proprietà e per
metà in base all'altezza dei piani).Va da sé che i condomini e i loro eredi o aventi causa possono
successivamente partecipare, in qualunque tempo, ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle
spese di installazione dell’ascensore e corrispondendo — ai condomini che hanno partecipato
all'innovazione — il rimborso di quanto da essi anticipato (articolo 1121, comma 3, Codice civile).La
detrazione Irpef del 36% deve avvenire con la consueta procedura prevista dalla legge 449/1997.
F. M. - CAMPOFORMIDO
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Il problema concerne la validità del regolamento condominiale di tipo contrattuale, predisposto dal
costruttore e allegato al rogito d'acquisto della proprietà esclusiva. La giurisprudenza conferma
l'orientamento per cui «il regolamento di condominio, ove si limiti a dettare norme che disciplinano l'uso
e le modalità di godimento delle cose comuni, la ripartizione delle spese relative e la tutela dell'edificio,
contempla una materia che rimane nell'ambito dell'organizzazione della vita interna del condominio, la
quale ben può essere modificata dall'organo cui quel potere di organizzazione è devoluto, vale a dire
dalla assemblea dei condomini con la maggioranza prevista dall'articolo 1136 del Codice civile, sia se si
tratta di regolamento predisposto dal proprietario o costruttore dello stabile e accettato di volta in volta
dai successivi acquirenti degli appartamenti venduti (cosiddetto regolamento contrattuale), sia se si
tratta di regolamento formato dall'assemblea dei condomini. Diversamente, ove il regolamento non si
limita alla disciplina dell'uso delle cose comuni in conformità dei diritti spettanti ai singoli condomini, ma
pone norme che, incidendo sui singoli diritti, si risolvono in un'alterazione a vantaggio di alcuni dei
partecipanti e in pregiudizio degli altri, della misura del godimento che ciascun condomino ha in ragione
della propria quota, in questo caso nessuna modificazione può essere ammessa senza il consenso
unanime di tutti i partecipanti al condominio (Cassazione civile, sezione II, 29 dicembre 2004, n. 24164)
.Ai fini di un'esaustiva risposta sarebbe però necessario poter esaminare direttamente il testo del
regolamento per una sistematica interpretazione delle esenzioni di spese previste. Indiscutibilmente, nel
caso di specie, il regolamento sembra favorire la ditta costruttrice; pur tuttavia prevale la circostanza
che sia stato approvato unitamente all'atto di acquisto dall'acquirente.
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La questione relativa alla modifica della tabella millesimale, a norma dell'articolo 69 delle disposizioni
attuative del Codice civile, a seguito di installazione di un nuovo ascensore, è questione assai
controversa, sulla quale non risultano specifiche pronunce giurisprudenziali. Secondo alcuni,
l'installazione del nuovo impianto non dovrebbe comportare la modifica della tabella millesimale, posto
che se in un primo tempo l’ascensore serve solo i condomini che hanno sostenuto la spesa, è vero anche
che gli altri condomini possono per legge, in qualunque momento, partecipare al servizio, pagando la
proporzionale quota delle spese di impianto e di esercizio, sicché non potrebbe parlarsi di alterazione dei
valori proporzionali tra proprietà esclusive e parti comuni.
Secondo altri, invece, l'installazione di un nuovo impianto di ascensore produrrebbe un notevole
aumento del valore di mercato delle unità situate ai piani più alti, il che comporterebbe la necessità della
modifica della tabella millesimale. Contro quest'ultimo argomento, si osserva però che l'impianto di
ascensore costituisce una miglioria dell'edificio e le migliorie sono irrilevanti, a norma dell'articolo 68,
delle disposizioni attuative del Codice civile, nella elaborazione delle tabelle millesimali. Non solo: il
nuovo impianto di ascensore non ha alcun riflesso sulla ripartizione delle spese, che sono ripartite in
base ad apposita tabella, nella quale normalmente si tiene conto dell'altezza del piano e quindi di un
maggior carico delle spese di esercizio, per le unità immobiliari poste ai piani più elevati. Ancora:
l'impianto di ascensore installato in epoca successiva alla costituzione del condominio costituisce una
comunione parziale separata, rispetto al condominio preesistente. Infine: il costo di esercizio
dell'impianto dell’ascensore comporta un maggior gravame di spesa per i piani più elevati, e questa
maggior spesa compensa in qualche modo l'aumento di valore delle proprietà esclusive ai piani più
elevati. Certo è che la miglioria derivante dall'installazione dell’ascensore può comportare la revisione del
classamento catastale, con possibile revisione delle rendite relative alle unità site nello stabile
condominiale, alla stregua della Legge finanziaria 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311).
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La giurisprudenza ha precisato che in tema di condominio di edifici la regola posta dall'articolo 1124 del
Codice civile relativa alla ripartizione tra i condomini delle spese di ricostruzione oltre che di
manutenzione delle scale è applicabile per analogia, ricorrendo identica ratio, alle spese relative alla
ricostruzione e manutenzione dell’ascensore già esistente. La disciplina legislativa in questa materia
(articoli 1123-1125 del Codice civile) è, peraltro, suscettibile di deroga con patto negoziale intervenuto
tra i condomini (Cassazione, sezione II, 25 marzo 1999, n. 2833; si veda anche Cassazione, sezione II,
16 maggio 1991, n. 5479) .Alla luce di questa interpretazione giurisprudenziale, il criterio da applicare
nel caso di specie sarà quello di cui all'articolo 1124 citato. Riguardo poi alle unità immobiliari non servite
dall'ascensore, si discute se esse partecipino alle spese in questione (si veda al riguardo il Tribunale di
Milano, 30 maggio 1961 che ha stabilito che sono a carico dei proprietari del piano terreno le spese
straordinarie relative all’ascensore ma non anche quelle di esercizio; in senso opposto però Corte
d'appello Bologna, 25 maggio 1963). Per quanto attiene la detrazione Irpef del 36% di cui all'articolo 1
della legge 449/97, si ricorda che tutti gli interventi su parti comuni condominiali, ivi compresa la
semplice manutenzione ordinaria, risultano agevolati e pertanto vi rientra anche la sostituzione della
porta dell'ascensore. Si fa presente, tuttavia, che preventivamente all'inizio dei lavori occorre inviare la
prescritta comunncazione al Centro operativo di Pescara a cura dell'amministratore e che i pagamenti
devono essere eseguiti con bonifico bancario (Dm 18 febbraio 1998, n. 41).
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Come è consentito al condomino di installare a sue spese l’ascensore a norma dell'articolo 1102 del
Codice civile - senza alcuna delibera assembleare - così deve ritenersi installabile, sempre a norma
dell'articolo 1102 del Codice civile, una piattaforma finalizzata al superamento delle barriere
architettoniche. E ciò anche a norma della legge 13/89 - ora Dpr 380/2001 - che reca disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche. Si veda, in questo senso,
Cassazione, 10 aprile 1999, n. 3508 per la quale "la norma di cui all'articolo 1120 del Codice civile, nel
prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate
maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per
tutti i condomini; ma, ove non debba procedersi a questa ripartizione per essere stata la spesa relativa
alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione
la norma generale di cui all'articolo 1102 del Codice civile, che contempla anche le innovazioni, e in forza
della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la
destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto,
può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune. Ne
consegue che, ricorrendo queste condizioni, il condomino ha la facoltà di installare a proprie spese nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore e può far valere il relativo diritto con azione di
accertamento in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente
dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo".
Secondo un consistente orientamento giurisprudenziale - si veda, ad esempio, Corte d'appello Genova 3
febbraio 1999, n. 60 - in un edificio moderno, le cui scale non presentano particolari caratteristiche,
l'installazione di un servo-scala non altera il decoro dell'immobile, e non rende inservibile l'uso della
scala, ma determina solo un restringimento del precedente passaggio sui gradini.
La questione può essere sottoposta al giudice di pace in sede conciliativa e non contenziosa; ma in
mancanza di accordo tra le parti, il giudice di pace non potrà emettere alcuna pronuncia vincolante.
Quanto invece all'azione contenziosa, la competenza è alternativamente del giudice di pace o del
tribunale. Ma nel caso del lettore, ritengo sia di competenza del tribunale, non potendosi fare riferimento
alle sole "modalità d'uso" delle parti comuni condominiali - per le quali è competente il giudice di pace
(articolo 7 del Codice civile) - afferendo la controversia al diritto di proprietà e di godimento dei
condomini.
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Quanto al criterio di ripartizione delle spese di gestione, occorre tener conto della giurisprudenza secondo cui tali spese
devono essere ripartite applicando l'articolo 1124 del Codice civile, che ha per oggetto la disciplina del riparto delle spese
di manutenzione e ricostruzione delle scale. Nel caso del lettore, trattandosi di nuovo impianto, l'assemblea -
nell'applicazione del criterio di cui all'articolo 1124 del Codice civile - può liberamente deliberare che le spese di gestione
riguardino tutti i piani del fabbricato, dal piano attico al seminterrato.
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L' articolo 1124 del Codice civile relativo alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione
delle scale è applicabile, per analogia, alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente. In
particolare, in materia di ascensore, il citato articolo troverà applicazione per la forza motrice, per la
manutenzione ordinaria, per la sostituzione delle funi e in genere per la piccola manutenzione .
Diversamente, per le spese straordinarie quali la ricostruzione dell'impianto, la sostituzione della cabina
o delle porte ai piani, si avrà una ripartizione secondo i millesimi di proprietà in quanto queste spese
prescindono dal maggior uso. Analogamente si procederà per gli oneri relativi agli adeguamenti al
normativa Cee.
Posto ciò, sia l'articolo 1124 che l' articolo 1123 del Codice civile dettano criteri così detti legali che
potranno essere derogati da una convenzione fra tutti i condomini, o da un regolamento condominiale
contrattuale. Questi atti potrebbero anche stabilire l'esenzione totale o parziale, in favore di alcuni
condomini, dall'obbligo di partecipare alle spese per l'ascensore. (Cassazione civile 18 marzo 2002, n.
3944; Cassazione civile, sezione II, 25 marzo 1995, n. 2833, Tribunale Milano, 21 febbraio 2003).
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La Confedilizia ha impugnato il decreto firmato il 26 ottobre 2005 dal Ministro Scajola che
impone - sulla base di una fonte europea esclusivamente privata (la norma tecnica UNI EN
81-80) - nuove verifiche per tutti gli ascensori installati prima del 25 giugno 1999. Il ricorso
è stato presentato al TAR del Lazio.
L'impugnativa del D.M. attività produttive 26 ottobre 2005 da parte della Confedilizia fa leva sul fatto che
vengono imposti a condomini e proprietari di casa gravosi adempimenti non previsti da alcuna normativa
cogente dell'Unione europea e sottolinea anzi che l'atto ministeriale impugnato neppure si dà carico di
pubblicizzare la norma tecnica UNI EN 81-80 per renderla liberamente conoscibile dagli utenti: la norma
UNI EN 81-80, di cui il decreto impugnato stabilisce l'obbligatorietà, resta proprietà dell'UNI, che ne ha il
copyright e ne concede a pagamento (per 64 euro) la licenza d'uso in unica copia e su di una unica
postazione. In sostanza, condomini e proprietari di casa devono sborsare somme anche solo per
conoscere la normativa da applicare.
«La pretesa», ha dichiarato il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, «di conferire efficacia
erga omnes , di stampo pubblicistico, a norme di proprietà privata si commenta da sola. Non si vede
davvero come, in un ordinamento democratico, si possa prescrivere l'obbligatorietà di norme che,
restando di proprietà privata, non possono essere diffuse né possono circolare liberamente tra i cittadini
chiamati a osservarle».
In proposito, la Confedilizia assume violato - su questo specifico aspetto - il principio dell'art. 23 della
Costituzione, giacché il “cliente” è obbligato, senza che la prestazione imposta abbia la benché minima
base legale, ad acquistare dall'UNI solo il supporto cartaceo recante il testo delle norme tecniche da
osservare (come può accadere anche con la Gazzetta Ufficiale) , bensì la licenza (di cui l'UNI stesso può
“modificare in qualsiasi momento le condizioni”) concernente il diritto a usare, peraltro in maniera
individuale e riservata, la normativa UNI EN 81-80. L'Ufficio tecnico della Confedilizia stima che la spesa
di adeguamento al decreto vari, per ogni singolo ascensore, dai 10 ai 20 mila euro.
La spesa globale per condomini e proprietari di casa - tenendo conto che gli ascensori installati prima del
25 giugno 1999 risultano essere 700 mila ( fonte: Assoascensori) - è calcolata in una cifra che oscilla fra
i 7 e i 14 miliardi di euro (fra i 14 e i 28 mila miliardi di vecchie lire). I controlli previsti dal D.M. attività
produttive 26 ottobre 2005 si aggiungono a quelli riportati nella tabella 1 e devono ritenersi a carico del
proprietario oppure, ove vi sia, del conduttore, essendo disposto che vengano effettuati in una con la
verifica periodica.
TABELLA 1
Controlli sugli ascensori negli edifici di civile abitazione
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Verifica straordinaria Dopo una verifica periodica negativa ASL o ARPA 1 (se Proprietario Conduttore
ex D.P.R. 162/1999 previsto da legge dello stabile
art. 14, comma 1 regionale) o
Organismi di
certificazione
notificati 2
Verifica straordinaria Dopo un incidente di notevole ASL o ARPA 1 (se Proprietario Conduttore
ex D.P.R. 162/1999 importanza, anche senza infortunio previsto da legge dello stabile
art. 14, comma 2 regionale) o
Organismi di
certificazione
notificati 2
Verifica straordinaria Quando si apportano modifiche ASL o ARPA 1 (se Proprietario Conduttore
ex D.P.R. 162/1999 costruttive non rientranti nella previsto da legge dello stabile
art. 14, comma 3 manutenzione ordinaria o regionale) o
straordinaria (cambio di: velocità, Organismi di
portata, corsa, tipo di azionamento; certificazione
sostituzione di: macchinario, cabina notificati 2
con intelaiatura, quadro elettrico,
gruppo cilindro-pistone, porte di
piano, difese del vano e altri
componenti principali)
(D.P.R. 162/1999 art. 2, comma 1,
lett. i)
1
Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente
2
Si tratta di ditte autorizzate, con decreto del Ministero delle attività produttive, a eseguire le verifiche
3
Sulla base della tabella oneri accessori concordata tra Confedilizia e Sunia-Sicet-Uniat e fatta propria dal D.M.
30 dicembre 2002 (s.o. 59 alla G.U. 83/2003)
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Esattamente dopo dieci anni la Corte di Cassazione è tornata a esaminare gli aspetti più
controversi sulle modalità applicative della normativa vigente in materia di barriere
architettoniche negli edifici privati e così ha finalmente risolto i problemi ancora aperti in
relazione alla legittimità dell'applicazione estensiva della disciplina che è stata seguita per
anni dalla giurisprudenza di merito secondo i modelli interpretativi elaborati dagli studiosi
del diritto condominiale.
Con l'entrata in vigore della legge 13 del 9 gennaio 1989 (modificata dalla legge 62 del 27 febbraio
1989), recante disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche
negli edifici privati, sono state introdotte nell'ordinamento una serie di disposizioni dirette a favorire
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, completando così un iter legislativo che
aveva avuto inizio quasi venti anni prima con l'emanazione dell'art. 27 della legge 118 del 30 marzo
1971, relativa invece all'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici pubblici.
Così, mentre l'art. 1 della legge 13/1989 ha disposto che i nuovi progetti relativi alla costruzione di nuovi
edifici o alla ristrutturazione di interi edifici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica,
sovvenzionata e agevolata, devono essere redatti in osservanza delle prescrizioni tecniche previste da
decreto del Ministro dei lavori pubblici avente per oggetto le prescrizioni tecniche necessarie a garantire
l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica,
sovvenzionata d agevolata (subito attuato mediante il D.M. 236 del 14 giugno 1989), il successivo art. 2,
invece, ha previsto alcune misure dirette a favorire l'eliminazione delle barriere architettoniche negli
edifici privati.
Innanzitutto è stato previsto che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli
edifici privati dirette a eliminare le barriere architettoniche, la realizzazione di percorsi attrezzati e
l'installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici
privati, si considerano approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione,
con le maggioranze previste dall'art. 1136, commi 2 e 3, cod. civ. (vale a dire con quelle ordinarie, come
se non si trattasse di innovazioni per le quali l'art. 1136, comma 5, cod. civ. prevede invece una
maggioranza particolarmente elevata).
In secondo luogo, qualora il condominio rifiuti di assumere oppure non assuma entro 3 mesi dalla
richiesta fatta per iscritto le deliberazioni che hanno per oggetto gli interventi di eliminazione delle
barriere architettoniche, è stato attribuito ai portatori di handicap oppure a chi ne esercita la tutela o la
potestà ai sensi di quanto dispone il titolo IX del libro primo del codice civile, il diritto di installare, a
proprie spese, servoscala e strutture che siano mobili e facilmente rimovibili; e anche il diritto di
modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli
ascensori e alle rampe dei garage.
Peraltro, l'art. 2 della legge 13/1989 termina stabilendo che comunque mantiene efficacia il disposto
degli artt. 1120, comma 2, e 1121, comma 3, cod. civ.
E quest'ultima disposizione ha subito causato i principali dubbi interpretativi perché la sua presenza
limita fortemente l'efficacia delle precedenti prescrizioni.
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Dopo un periodo di applicazione iniziale delle nuove disposizioni in cui la giurisprudenza di merito si è
divisa in due filoni, l'uno favorevole all'applicazione estensiva e l'altro favorevole all'applicazione
restrittiva della normativa (nel senso di considerare, nel contesto del giudizio di bilanciamento degli
interessi in esame, con maggior rigore i limiti previsti dalla legge), la Corte di Cassazione si era
finalmente espressa con una sentenza che però, contrariamente alle aspettative della prevalente
giurisprudenza e della dottrina, aveva deciso che l'art. 2 della legge 13/1989 - che prevede la possibilità
per l'assemblea condominiale di approvare le innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze
indicate nell'art. 1136, comma 2 e 3, cod. civ. in deroga all'art. 1120, comma 1 - dispone tuttavia che
resta fermo il disposto dell'art. 1120, comma 2, il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti
comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una
sensibile menomazione dell'utilità secondo l'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza
che, a maggior ragione, sono nulle anche le delibere che, ancorché adottate a maggioranza al fine
indicato siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva,
indipendentemente da qualsiasi considerazione sulle eventuali utilità compensative (Cass., sent. n. 6109
del 25 giugno 1994).
Con questa motivazione la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito i quali
avevano dichiarato la nullità della deliberazione, adottata a maggioranza in base all'art. 2 della legge
13/1989, di installazione di un ascensore diretto a favorire le esigenze di un condomino portatore di
handicap, che comportava peraltro un sensibile deprezzamento dell'unità immobiliare di altro condomino
che si trovava a piano terra.
Poi per dieci lunghi anni la Cassazione non ha avuto altra occasione per tornare a esaminare questi
problemi fino alla recente sentenza in commento.
La sent. n. 14384/2004
Con la sentenza n. 14384 del 29 luglio 2004, la Corte di Cassazione è tornata a esaminare i problemi
applicativi della normativa sulle barriere architettoniche prevista dalla legge 13/1989 e questa volta i
principi enunciati sono ben diversi da quelli elaborati nella sentenza emessa dieci anni fa.
La Corte ha, infatti, affermato che:
1. l'installazione dell’ascensore rientra fra le opere dirette a eliminare le barriere architettoniche
previste dall'art. 27, comma 1, della legge 118/1971 e dall'art. 1, comma 1, del D.P.R.
384/1978;
2. per quanto riguarda le deliberazioni condominiali l'installazione dell’ascensore costituisce una
innovazione che, ai sensi dell'art. 2 della legge 13/1989, usufruisce di maggioranza agevolata e
quindi si considera approvata dall'assemblea con quella prescritta rispettivamente dai commi 2
e 3 dell'art. 1136;
3. la disciplina prevista dall'art. 2 della legge 13/1989 deve essere applicata nel rispetto della
previsione del terzo comma dell'art. 2 della legge 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt.
1120, comma 2, e 1121, comma 3, cod. civ.
Nel caso che ha dato origine alla sentenza dalla Suprema Corte l'assemblea di un condominio aveva
deliberato, con la maggioranza prevista dall'art. 2 della legge 13/1989, di realizzare un ascensore,
aprendo una porta di accesso alla cantina accanto al locale portineria; una condomina dissenziente
aveva impugnato la delibera e in primo grado il Tribunale le aveva dato ragione, ma la sentenza di
appello aveva invece respinto l'impugnazione, rilevando che le risultanze processuali avevano
evidenziato che tre condomini avevano estrema difficoltà ad accedere ai loro appartamenti tramite le
scale e che l'installazione dell’ascensore si presentava come una innovazione diretta a eliminare le
barriere architettoniche.
E, a sua volta, la Cassazione ha respinto il ricorso, osservando che non è vero che l'art. 2 della legge
13/1989 non ricomprende l'installazione dell'ascensore, perché tale disposizione prevede, nei suoi due
commi, due distinte ipotesi:
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a. quella in cui il condominio sia disponibile ad attuare le innovazioni idonee a eliminare le barriere
architettoniche; in questo caso la norma (art. 2, comma 1) dispone - per facilitare il
raggiungimento della maggioranza - un abbassamento del quorum che sarebbe altrimenti
richiesto per le innovazioni, richiamando quelli previsti dall'art. 1136, commi 2 e 3, cod. civ.
(vale a dire le maggioranze ordinarie in prima seconda convocazione) e si devono considerare
innovazioni adottabili con la maggioranze ordinarie (che in questo caso però di fatto
corrispondono a una maggioranza agevolata) tutte le opere idonee al fine previsto dalla legge
speciale, ferma restando la previsione contenuta nel comma 3 dell'art. 2, che fa salvi i limiti
previsti dall'art. 1120, comma 2, e dall'art. 1121, comma 3, cod. civ.;
b. b. quella in cui sussiste il rifiuto del condominio di eseguire le opere (art. 2, comma 2): in tale
caso viene consentito direttamente al portatore di handicap o chi lo rappresenta di porre in
essere una serie di strumenti per ovviare alla presenza delle barriere architettoniche e soltanto
in questa seconda ipotesi - per evidenti ragioni - la facoltà del portatore di handicap è ristretta
agli strumenti minimi idonei a fronteggiare le opere, che sono specificamente indicati dalla
disposizione come servoscala, strutture mobili e facilmente rimovibili e modifiche dell'ampiezza
delle porte d'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage.
Di conseguenza, secondo la sentenza della Corte, l'installazione dell’ascensore può rientrare nelle
innovazioni approvabili con le maggioranze previste dall'art. 1136, commi 2 e 3, per effetto dell'art. 2
della legge 13/1989. Nel caso concreto la Cassazione ha anche escluso la violazione delle disposizioni
previste dagli artt. 1120, comma 2, e 1121, comma 3, rilevando che la realizzazione dell’ascensore non
può di per sé pregiudicare la stabilità e la sicurezza dell'edificio - dato che si tratta di opera soggetta a
specifici controlli per la prevenzione degli infortuni - e neppure l'alterazione del suo decoro architettonico,
in quanto secondo la valutazione della corte di merito è inconcepibile che essa possa essere ricollegata
esclusivamente alla apertura di una porta nell'androne e una simile valutazione non appare censurabile
perché risponde a un criterio logico ritenere che una porta in più nell'androne, identica a quelle esistenti,
non incide sul decoro architettonico.
Osservazioni critiche
Il principio secondo cui, nonostante il tenore letterale delle prescrizioni legislative, anche l'installazione di
un ascensore rientra fra le opere contemplate dalla legislazione speciale in materia di eliminazione delle
barriere architettoniche negli edifici era già stata affermato da tempo in giurisprudenza (Trib. Firenze, 19
maggio 1992), ma è comunque opportuno che adesso anche la Suprema corte l'abbia sostenuto.
Ma l'aspetto maggiormente interessante della sentenza della Cassazione - che qui deve essere
evidenziato - è che essa, a dieci anni di distanza dalla sua precedente pronunzia, segna una vera e
propria inversione di tendenza anche per quanto riguarda lo spinoso problema dei limiti alle deliberazioni
posti dall'ultimo comma dell'art. 3. Riportati questi limiti entro i corretti termini illustrati dalla Suprema
Corte, viene autorevolmente confermata l'esattezza del prevalente orientamento giurisprudenziale di
merito che in tutti questi anni si è sempre mostrato favorevole a una applicazione estensiva delle
disposizioni della legge speciale, rilevando che in caso contrario i benefici da essa previsti si sarebbero
rivelati soltanto apparenti.
C'è, quindi, una importante differenza di impostazione dei problemi rispetto alla decisione emessa dalla
Cassazione dieci anni prima e non si deve dimenticare che la Corte, nello stesso momento in cui
sosteneva una applicazione rigida (e quindi fortemente limitativa quanto agli effetti concreti delle sue
prescrizioni) della disciplina contenuta nella legge speciale del 1989, affermava però - senza fare alcun
riferimento alla esigenza di tutela dei portatori di handicap - un'applicazione delle ordinarie regole
codicistiche che tutelava i soggetti svantaggiati nei rapporti condominiali, molto meglio di come era
possibile fare mediante la legge speciale.
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Era stato, infatti, affermato che dal combinato disposto degli artt. 1102 e 1120 discende che ogni
condomino ha la facoltà di installare a sue spese nella tromba delle scale dell'edificio un ascensore,
ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può fare valere il relativo diritto con azione di
accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestano il diritto stesso, indipendentemente
dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo
(Cass., sent. n. 1781, 12 febbraio 1993); e inoltre che il pregiudizio, per alcuni condomini, della
originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'ambito occupati dall'impianto di ascensore collocato
a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto posto dall'art. 1120, comma
2, cod. civ., qualora risulti che alla possibilità dell'originario godimento della cosa comune è offerto un
godimento migliore, anche se di diverso contenuto (Cass., sent. n. 4152, 29 aprile 1994). Va ricordato
inoltre che in precedenza la Cassazione aveva peraltro affermato che la ratio dell'art. 1120, comma 2,
cod. civ., comporta che è lecito il mutamento estetico non solo quando non cagiona un pregiudizio
economicamente valutabile, ma anche quando, pur arrecandolo, si accompagna a una utilità la quale
compensa l'alterazione dell'alterazione architettonica (Cass., sent. n. 4474, 15 maggio 1987).
I principi giurisprudenziali
Importanza dell'impianto di ascensore
L'installazione di un impianto di ascensore costituisce uno degli interventi idonei a eliminare le barriere
architettoniche rendendo possibile una vita di relazione ai disabili che abitano nell'edificio o che possono
frequentarlo (Trib. Firenze, 19 maggio 1992).
Installazione di un ascensore a proprie spese
L'installazione di un ascensore nella tromba delle scale, da parte di un condomino a proprie spese,
rientra nell'ipotesi di uso della cosa comune disciplinata dall'art. 1102 cod. civ. (Pret. Roma, 15 maggio
1996 ) e, anche se comporta la riduzione o il venire meno dell'utilizzazione delle parti comuni nel modo
originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120, comma 2, cod. civ., in quanto al posto del
godimento precedente se ne offre uno diverso e di contenuto migliore, non sussistendo pertanto una
vera alterazione della destinazione (Pret. Catania, ord. 14 maggio 1991 ); di conseguenza, per
l'installazione dell'opera, non è necessaria l'autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale (Trib.
Milano, 11 maggio 1989 ); anzi, l'installazione di un ascensore (anche esterno), che è realizzata
avvalendosi del disposto dell'art. 1102 cod. civ., è legittima anche quando viene effettuata da un solo
condomino con l'eventuale dissenso degli altri (Trib. Orvieto, 17 luglio 1996).
Opere sulle parti comuni
Il restringimento dello spazio di passaggio comune per posizionare l’ascensore dev'essere considerato
tollerabile perché comprime in maniera modesta il diritto di utilizzare la cosa comune previsto dall'art.
1102 cod. civ. (Trib. Milano, 9 settembre 1991). È ammissibile l'installazione di un ascensore a proprie
spese da parte di un condomino portatore di handicap, anche se in tal modo gli altri condomini
subiscono un eventuale sacrificio per quanto riguarda le parti della cosa comune utilizzata per realizzare
l'impianto, perché nella valutazione comparativa fra i due interessi contrapposti prevale quello favorevole
alla collocazione dell'ascensore, conclusione imposta dalla necessità di rispettare lo spirito della
legislazione speciale e il principio costituzionale (art. 41, comma 2) della funzione sociale della proprietà
(Trib. Foggia, 29 giugno 1991).
La lesione del decoro architettonico
Nell'ambito della installazione di una piattaforma mobile, la lesione del decoro architettonico dell'edificio
diventa rilevante soltanto se e in quanto comporta un pregiudizio economicamente valutabile; la tutela
del decoro architettonico, comunque, deve essere contemperata con le esigenze che discendono dai
principi di uguaglianza e solidarietà protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. (Trib. Milano, 7 maggio 1992).
Rampa di accesso
Non può essere autorizzata la collocazione di una rampa d'accesso al portone d'ingresso di uno stabile
richiesta da un portatore di handicap ai sensi della legge 13/1989, quando tale collocazione determini
innovazioni di carattere murario all'ingresso e interventi sul giardino comune tali da modificare l'estetica
dell'immobile e da sottrarre una porzione della cosa comune allo sfruttamento da parte di tutti i
condomini, per destinarla alla sfera di esclusiva disponibilità del singolo (Pret. Milano, ord. 18 aprile
1989).
Nullità della delibera assembleare
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
La nullità di una delibera assembleare con cui è stata decisa l'installazione di un ascensore non
impedisce che uno o più condomini realizzino l'impianto a proprie spese e salvaguardando i diritti degli
altri (Trib. Napoli, 1° ottobre 1991).
Disciplina sulle distanze
La disciplina sulle distanze non opera per gli impianti che devono ritenersi indispensabili ai fini di una
reale abitabilità dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini;
inoltre l'art. 3 della legge 13/1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze previsto dall'art. 907
cod. civ. per la sola ipotesi in cui «tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno
spazio o alcuna area di proprietà o uso comune», esclude implicitamente che tale disciplina debba essere
osservata con riferimento alle unità immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale (Pret.
Catania, ord. 20 marzo 1992 )
Ambito di applicazione della legge 13/1989
La legge 13/1989 è applicabile a ogni unità immobiliare, sia che si tratti di case unifamiliari, sia che si
tratti di edifici in condominio (Cons. Stato, sent. n. 1344, 19 novembre 1994, Sez. V).
La presenza di disabili nel condominio
I principi della legge 13/1989 possono essere applicati anche se all'interno dell'edificio non vi sono
persone portatrici di handicap (Trib. Milano, 19 settembre 1991 ), perché la ratio degli interventi della
legge del 1971 è proprio quella di consentire la “visitabilità” degli edifici di parte di tutti coloro che hanno
occasione di accedervi, tenuto conto del fatto che i disabili possono avere con l'immobile anche relazioni
di natura diversa dalla proprietà, come il rapporto derivate da un contratto di locazione (Trib. Milano, 26
aprile 1993). La legge 13/1989 trova applicazione anche quando nell'edificio non vi sono condomini
portatori di handicap; l'effettiva presenza di disabili vale invece a rendere operanti le provvidenze di
ordine economico previste dalla legislazione regionale (Trib. Milano, 22 marzo 1993).
Invalidi civili
Le agevolazioni previste dalla legge 13/1989 sono applicabili, oltre che a favore dei portatori di handicap,
anche a beneficio degli invalidi civili (Trib. Firenze, 19 maggio 1992).
Associazioni per il reinserimento dei disabili
Le ragioni di pubblico interesse e di solidarietà sociale rappresentate ed espresse dalla legge 13/1989
trovano applicazione in tutti i casi in cui destinatari dell'impianto siano persone portatrici di handicap, sia
pure nell'ambito di una struttura associativa costituita per il recupero e il reinserimento dei disabili (Pret.
Pordenone, 14 giugno 1994).
Anziani
Il disposto dell'art. 2 della legge 13/1989 si applica non soltanto a coloro che sono affetti da minorazioni
congenite o acquisite, ma anche alle persone che hanno più di sessantacinque anni e che hanno difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Quindi anche una persona affetta da
patologie che impediscono una agevole deambulazione, documentata da un certificato medico, può
essere considerata un soggetto con ridotta o impedita capacità motoria e, quindi, legittimata a richiedere
gli interventi diretti a eliminare le barriere architettoniche (Trib. Napoli, 14 marzo 1994 ; Trib. Nocera
Inferiore, ord. 13 dicembre 1995 ; Pret. Roma, 15 maggio 1996).
Necessità dell’ascensore per gli ammalati, gli infortunati, i bambini e gli anziani
Nell'ambito dell'applicazione della legge 13/1989, il regolare funzionamento di un impianto di ascensore
condominiale non è necessariamente collegato alla presenza di un disabile, giacché lo stesso bisogno ha
luogo anche da parte di ammalati, infortunati, bambini e anziani (Trib. Nocera Inferiore, ordinanza, 13
dicembre 1995).
I principi della legge 104/1992
La legge 104/1992 ha stabilito a favore dei disabili precise prerogative che sono espressione dei principi
dettati dalla Costituzione (Pret. Forlì, 7 marzo 1994).
Provvedimento d'urgenza
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Il condomino disabile può ottenere il provvedimento d'urgenza disciplinato dall'art. 700 cod. proc. civ. al
fine di installare in un edificio un montacarichi e altre opere idonee a eliminare le barriere
architettoniche, solo se prova che egli è residente nel comune in cui è sito quell'edificio e ha necessità di
soggiornarvi, non potendo soddisfare altrimenti le proprie esigenze, neppure attraverso un maggior
impegno economico (Trib. Savona, ord. 26 maggio 1994). Nel caso in cui un condomino affetto da grave
infermità fisica richieda di installare a proprie spese un ascensore nell'edificio condominiale, la suddetta
patologia ha rilievo solo nella fase cautelare, al fine di valutare il periculum in mora , mentre nella
successiva fase cognitiva le condizioni fisiche del condomino non hanno nessun rilievo, dovendosi
giudicare unicamente la sussistenza o meno del diritto del richiedente all'installazione, a proprie spese, di
un ascensore (Trib. Napoli, 19 giugno 1996).
Diritto all'erogazione dei contributi
Il pagamento del contributo previsto dalla legge a favore dei portatori di handicap costituisce un diritto
per tutte le persone che presentano tale qualità (Trib. Parma, 9 dicembre 1991).
La sent. n. 169/1999 della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, in occasione dell'esame della legittimità costituzionale dell'art. 1052, comma 2,
cod. civ. e della conseguente sua dichiarazione di illegittimità costituzionale nella parte in cui non si
prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall'autorità giudiziaria
quando la domanda risponda alle esigenze di accessibilità, secondo le regole contenute nella legislazione
sui portatori di handicap, degli edifici destinati ad uso abitativo (Corte Cost., sent. n. 167 del 10 maggio
1999), ha avuto modo di prendere in considerazione i principi della legge 13/1989 ed è utile ricordare le
osservazioni espresse a tale proposito.
La Corte ha ricordato, infatti, che i più recenti interventi legislativi in materia di portatori di handicap
(soprattutto la legge 13 del 9 gennaio 1989, sul superamento delle barriere architettoniche, e la legge
104 del 5 febbraio 1992, sull'assistenza e sulla tutela delle persone handicappate) hanno mutato
radicalmente prospettiva rispetto alla legislazione precedente sui disabili; e in particolare che le ultime
norme hanno cominciato a considerare i problemi dei portatori di handicap come problemi non solo
individuali, ma tali da dovere essere assunti dall'intera collettività.
In questo senso si spiegano le recenti disposizioni introdotte per garantire la costruzione di edifici privati
e la ristrutturazione di edifici già esistenti in modo da eliminare le barriere architettoniche,
indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte dei disabili. Inoltre la tutela dei
portatori di handicap è diventata uno dei principi fondamentali dell'attuale legislazione in materia di
abitazione, attraverso, fra l'altro, l'individuazione delle caratteristiche che l'edificio destinato ad
abitazione deve possedere indipendentemente dalla specifica situazione personale di ciascun utilizzatore.
In particolare si è affermato, nella coscienza sociale, un dovere collettivo di rimuovere preventivamente
ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone colpite da handicap fisici; e
di conseguenza il requisito dell'accessibilità (nel senso in cui viene individuata dal D.M. 236 del 14 giugno
1989) non deve mai mancare nei nuovi edifici privati destinati a civile abitazione.
I principi fondamentali della legge 13/1989
I principi fondamentali della legge 13 del 9 gennaio 1989 sono:
a. i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici ovvero alla ristrutturazione di edifici già esistenti
devono essere predisposti osservando alcune prescrizioni tecniche (che sono state fissate dal D.M.
lavori pubblici 236 del 14 giugno 1989), al fine di garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità
degli edifici (art. 1);
b. negli edifici già esistenti le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare per eliminare
le barriere architettoniche e per realizzare percorsi attrezzati e altri dispositivi in grado di favorire la
mobilità dei ciechi negli edifici, sono approvate dall'assemblea condominiale con le maggioranze
previste dall'art. 1136, commi 2 e 3, cod. civ. (art. 2, comma 1); se il condominio rifiuta di assumere,
o non assume entro tre mesi dalla richiesta scritta, tali deliberazioni, i portatori di handicap possono
installare a proprie spese servoscala nonché strutture mobili facilmente rimovibili e possono anche
modificare l'ampiezza delle porte d'accesso per rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori
e alle rampe dei garage (art. 2, comma 2); resta comunque fermo quanto dispongono gli artt. 1120,
comma 2, e 1121, comma 3, cod. civ. (art. 2, comma 3);
c. le opere dirette a eliminare le barriere architettoniche possono essere realizzate in deroga alle norme
sulle distanze previste dai regolamenti edilizi (art. 3);
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
d. l'esecuzione delle opere non è soggetta a concessione edilizia o ad autorizzazione; per la realizzazione
delle opere interne previste dalla legge 47/1985 l'interessato, contestualmente all'inizio dei lavori,
presenta al sindaco apposita relazione a firma di un professionista abilitato (art. 7);
e. alle domande ovvero alle comunicazioni al sindaco relative alla realizzazione di interventi previsti dalla
legge 13/1989 è allegato il certificato medico attestante l'handicap e la dichiarazione sostitutiva
dell'atto di notorietà, ai sensi dell'art. 4 della legge 15 del 4 gennaio 1968, dalla quale risultino
l'ubicazione della propria abitazione, nonché le difficoltà di accesso (art. 8);
f. per la realizzazione delle opere da realizzare in edifici già esistenti, sono concessi contributi a fondo
perduto in misura pari alla spesa effettivamente sostenuta per costi fino a lire cinque milioni, con
aumenti del 25% della spesa effettivamente sostenuta per costi da 5 milioni a 25 milioni di lire e di un
ulteriore 5% per costi da 25 milioni a 100 milioni di lire (art. 9, commi 1 e 2); il contributo è concesso
ai portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti, compresa la cecità, ovvero quelle
relative alla deambulazione e alla mobilità, a coloro che hanno a carico tali soggetti ai sensi delle
norme fiscali e ai condomini in cui risiedono le suddette categorie di beneficiari (art. 9, comma 3);
g. al fine di eliminare le barriere architettoniche negli edifici privati, viene costituito un Fondo speciale
presso il Ministero dei lavori pubblici (artt. 10, 11 e 12).
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
N. 1 - 20 dicembre 2005,
D.M.26 ottobre 2005 e UNI EN 81 80:
più sicurezza per gli ascensori esistenti
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di Iotti Giuseppe
Il 14 novembre 2005 è uscito sulla Gazzetta Ufficiale italiana il decreto che il Ministro delle
Attività Produttive ha emesso il 26 ottobre 2005 sul "Miglioramento della sicurezza degli
impianti di ascensore installati negli edifici civili precedentemente alla data di entrata in
vigore della direttiva 95/16/CE". Un commento al testo del decreto in sé stesso appare
prematuro al momento, in quanto l'art. 2, comma 5 dello stesso fa riferimento a un
successivo decreto del Direttore generale dello sviluppo produttivo e competitività che
dovrebbe definirne alcune modalità applicative rilevanti. In sostanza, però, l'elemento
portante del decreto è semplice, ed è espresso nell'art. 1, comma 2, "Gli ascensori installati
negli edifici civili prima del 25 giugno 1999 sono adeguati alle regole previste dalla norma
tecnica europea UNI EN 8180 e dalla sua appendice nazionale". E' quindi di questa norma che
vale la pena parlare, al di là di alcuni dettagli operativi che il settore dovrà nel frattempo
integrare.
L'Italia rappresenta il maggior mercato del mondo quanto a numero di ascensori installati, ormai non
meno di 790.000, dei quali circa 700.000, essendo stati installati precedentemente secondo norme
nazionali, non sono conformi alle più recenti norme di sicurezza sottostanti la cosiddetta Direttiva
ascensori, la n. 95/16/CE, in vigore in Italia dal 1999.
Inoltre, il parco ascensori italiano è particolarmente anziano (il 40% circa degli impianti sono stati
installati più di trent'anni fa, si veda il grafico 1), e numerosi impianti, non essendo mai stati
ammodernati in modo rilevante, presentano, perciò, condizioni di sicurezza e accessibilità da verificare.
Questa situazione, peraltro, è propria anche del parco ascensori europeo in generale, per cui il CEN
(Comitato di normazione europeo) ha ritenuto opportuno elaborare una norma, la EN 81-80, adatta,
appunto, a guidare un graduale processo di adeguamento degli impianti all'attuale stato dell'arte della
sicurezza.
Nel settembre 2003, la norma EN 81-80 è stata approvata unanimemente dai Paesi aderenti e
pubblicata in inglese.
Successivamente, nel 2004, l'UNI ha elaborato l'allegato nazionale NA alla norma UNI EN 81-80,
pubblicato contestualmente alla stessa, che adatta la norma europea alla situazione nazionale degli
ascensori esistenti.
Va precisato che la EN 81-80 non è una norma armonizzata secondo la direttiva ascensori, né secondo
altre direttive, proprio perché si occupa di ascensori esistenti, mentre la direttiva n. 95/16/CE si occupa
di ascensori nuovi ed è, quindi, "solo" una norma di buona tecnica; i Paesi che hanno legiferato a livello
nazionale, di conseguenza, sono stati sinora, in ordine di tempo:
• Belgio;
• Francia;
• Spagna;
e, ora,
• l'Italia.
Altri Paesi l'adottano comunque nei fatti, su base contrattuale privata.
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La norma ha individuato, dopo un ampio esame della situazione effettiva in Europa e il confronto con la
serie di norme EN 81, in particolare la UNI EN 81-1/21999, 74 situazioni di pericolo negli ascensori
esistenti.
Nella tabella 1 sono riassunte le situazioni di pericolo identificate.
TABELLA 1
Lista dei pericoli significativi
8 Inadeguati dispositivi di blocco delle porte di accesso al vano corsa e alla fossa.
10 Contrappeso/massa di bilanciamento senza paracadute in caso di spazi accessibili al di sotto del vano corsa.
11 Nessuna o inadeguata separazione della via di corsa del contrappeso o del peso di bilanciamento.
12 Nessuno o inadeguato schermo in fossa in caso di più ascensori nello stesso vano corsa.
13 Nessuna o inadeguata separazione in caso di più ascensori nello stesso vano corsa.
18 Mancanza del sistema di allarme nella fossa e sul tetto della cabina.
22 Nessuna o inadeguata protezione tra dislivelli in una sala macchine o pulegge a più livelli.
Nessuna o inadeguata protezione contro lo schiacciamento delle dita sulle porte scorrevoli di cabina o di piano con
28
vetro.
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33 Protezione del vano corsa con pareti traforate vicino alle serrature della porta.
48 Nessuna o inadeguata protezione contro lo scarrucolamento delle funi o delle catene da pulegge o ingranaggi.
Nessun dispositivo di protezione dall'eccesso di velocità nella cabina in salita su ascensori a trazione e su ascensori
52
a tamburo con contrappeso.
Nessuna o inadeguata protezione contro la caduta libera, l'eccesso di velocità e l'abbassamento lento degli
54
ascensori idraulici.
Protezione insufficiente contro gli shock elettrici e/o contrassegno insufficiente dell'attrezzatura elettrica;
66
mancanza di avvisi.
pagina 40
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70 Nessuna o inadeguata pulsantiera di ispezione e interruttore di arresto sul tetto della cabina.
72 Nessuno o inadeguato sistema di comunicazione tra il locale macchine e la cabina (altezza di corsa 30 m).
La UNI EN 81-80 ha, quindi, elaborato un'analisi dei rischi per ciascuna di queste situazioni e ha
proposto, per ognuna di esse, misure protettive che, in sostanza, riflettono il livello di sicurezza delle
norme armonizzate.
Non essendo ragionevole che, nell'immediato, tutti gli oltre 3 milioni di ascensori preesistenti in Europa
vengano portati al livello di sicurezza desiderato, è stato necessario che, nei vari Paesi, le autorità
competenti verificassero la situazione effettiva degli ascensori del proprio Paese e proponessero quello
che è stato definito un filtering o implementazione nazionale della norma.
Il filtering italiano, in questo contesto, è consistito essenzialmente nell'attualizzare le misure protettive
proposte nella situazione del parco ascensori italiano, dando loro un adeguato livello di priorità.
Il "livello di priorità"
La valutazione del rischio originaria, cioè quella effettuata dal WG10 del CEN/TC10, si basava
sull'assunto che un ascensore non avesse del tutto un dispositivo di sicurezza, o che questo fosse
inadeguato a prevenire la situazione di pericolo considerata.
Tuttavia, questa valutazione non deve applicarsi rigidamente a ogni ascensore preesistente, in quanto i
precedenti requisiti locali, validi a suo tempo negli Stati membri, potevano già comprendere in tutto o in
parte quei requisiti che secondo la UNI EN 81-80 coprono le situazioni di pericolo.
E', quindi, necessaria una rivalutazione locale dei rischi, a confronto con le norme e le leggi nazionali, e
in ciò, appunto, è consistito il filtering effettuato da UNI.
Figura 1
PARCO ascensori ITALIANO
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Poiché non tutte le situazioni, come si è visto, possono essere affrontate subito, né tutte lo meritano, la
rivalutazione consiste in una suddivisione delle situazioni di rischio in livelli di priorità che possano, poi,
essere affrontati in fasi temporali successive per mezzo delle rispettive misure proposte dalla norma, o
altre equivalenti.
Il filtering italiano ha saltuariamente proposto misure alternative, ma in genere ha mantenuto quelle
esatte proposte dalla norma.
Non tutte le situazioni di pericolo presentano la stessa gravità (o severità) delle conseguenze, né la
stessa frequenza di evento. La combinazione di gravità e frequenza dà luogo al calcolo del livello di
priorità, che significherà, in concreto, intervenire prima, nel programma graduale di incremento della
sicurezza, a meno che si frappongano serie considerazioni di tipo economico-sociale, che non è, peraltro,
compito dei normatori esprimere quanto, semmai, del legislatore.
Per classificare i livelli di priorità sono stati usati i livelli di sicurezza del profilo di rischio secondo la ISO
TS 14798, ove il profilo è suddiviso in 5 livelli di priorità e, in effetti, solo 3 sono di rilevanza pratica (si
veda la tabella 2).
TABELLA 2
Priorità e schema
I A, B, C
Estremo Immediato, l’ascensore deve essere fermato.
II A
I C-D, D
II B, C, C-D Alto A breve termine.
III A, B
I D-E
A medio termine o al momento di una maggiore
II D Medio
modernizzazione.
III C, C-D
I E
II D-E, E A lungo termine o insieme ad una modernizzazione dei
Basso
III D relativi componenti.
IV A, B
I F
II F
- -
III D-E, E, F
IV C, C-D, D, D-E, E, F
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
La UNI EN 8180 non ha preteso di avere esaurito, con le proprie valutazioni di 74 pericoli, tutte le
possibili situazioni di pericolo possibili. Se in un Paese esistessero ulteriori situazioni di pericolo, queste
dovranno essere sottoposte a un'analoga analisi dei rischi e proposte conseguenti misure protettive.
Il filtering italiano, però, non ha aggiunto, né tanto meno tolto, alcuna delle 74 situazioni di pericolo
considerate dalla norma, in quanto, già a suo tempo, la delegazione italiana al WG10 era riuscita nel
compito di inserire tutte quelle che il GL6 di UNI aveva segnalato, quindi, il GL6 ha potuto ritenere che
tutte quelle applicabili all'Italia fossero elencate e, d'altronde, che nessuna di quelle elencate potesse
essere in linea di principio assente dal mercato italiano.
Difficilmente il processo di filtering nazionale potrà modificare le considerazioni che ha già fatto il WG10
riguardo la gravità del danno possibile. Viceversa, sarà molto facile che un filtering nazionale modifichi la
valutazione della frequenza dell'evento dannoso. Nel filtering italiano ciò è avvenuto spesso, anche nel
senso di considerare minore la frequenza considerata dal WG10, che normalmente era riferita ad un
possibile caso peggiore.
Per fare un semplice esempio, nel caso della situazione 1, cioè la presenza di materiale pericoloso, si è
ritenuto che questo fosse, eventualmente, l'amianto, ma, a causa di una legislazione nazionale vigente
da tempo e del fatto che in Italia gli ascensori sono visitati almeno ogni due anni da un organismo
notificato, per effetto del D.P.R. n. 162/1999, la presenza di amianto in un ascensore è stato ritenuta
"improbabile", e non "remota", come l'aveva considerata il WG10. Combinata con la gravità I
(catastrofica), ciò ha determinato che il livello di priorità che il WG10 aveva definito "alto" (in quanto
combinazione di remoto e di catastrofico) è diventato "basso" (in quanto combinazione di improbabile e
catastrofico).
Come si vede, si è supposto, nella redazione sia della norma sia del filtering nazionale, che gli ascensori
considerati siano "regolari", cioè regolarmente a suo tempo collaudati, e poi aggiornati, ove vi sono state
legislazioni applicabili (per esempio, l'Allegato II al D.M. n. 587/1987), e via dicendo.
Infatti, a nessuna situazione è stato assegnato il livello "estremo" di priorità, che avrebbe comportato un
intervento immediato sull'impianto. Se, però, vi fosse un caso singolo di ascensore non regolare, per
esempio con presenza ancora di amianto, per qualsiasi ragione, allora, quel livello "estremo" si verifica.
A livello esemplificativo, vengono mostrate nella tabella 3 le misure protettive di priorità alta in un
ascensore elettrico italiano preesistente.
TABELLA 3
Misure protettive di priorità alta in un ascensore elettrico italiano preesistente
Situa-
zione Descrizione 1945 1963 1966 1987 1989 1999 2003
n.
3 Accuratezza di
fermata e
livellamento
8 Blocco porte di
ispezione vano
15 Accesso in fossa di
profondità 1 m
16 Interruttore di
arresto
22 Dislivelli e recessi
nel locale macchine
25 Porte motorizzate
non cieche
26 Robustezza del
fissaggio delle
porte di piano
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27 Porte che
contengono vetro
30 Protezione porte
motorizzate,
impianti comuni
idem, impianti
accessibili ai disabili
31 Blocchi porte di
piano
34 Richiusura
automatica porte di
piano
38 Rapporto tra
superficie cabina e
portata
40 Presenza della
porta di cabina
43 Protezione contro
la caduta dal tetto
di cabina
53 b Freno
elettromeccanico
56 Ammortizzatori
adeguati
58 Distanza
orizzontale tra
soglia parete
frontale
59 Distanza
orizzontale tra
porte piano e
cabina
60 a Sistema di
emergenza
62 Arresto del
macchinario
66 Protezione contro
lo shock elettrico
71 Dispositivo di
allarme di
emergenza cabina
73 Presenza del
controllo del carico
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Legenda:
livello di priorità dell'intervento sulla situazione pericolosa non dipendente dalla generazione normativa, ma
dal singolo impianto. Per esempio, per quanto attiene alla precisione di fermata e livellazione, in teoria,
almeno fino alla pubblicazione della legge n. 13/1989 e del D.M. n. 236/1989, in materia di superamento e
abbattimento delle barriere architettoniche, tutti gli ascensori potevano presentarla pessima, avendo una
sola velocità, o quasi accettabile, avendo due velocità, essendo questa una specifica contrattuale
(commerciale) e non normativa.
Come si vede, si sono prese in considerazione sette "generazioni normative" di ascensori installati a suo
tempo:
• ascensori installati precedentemente all'entrata in vigore del D.L. n. 600/1945;
• ascensori collaudati conformemente al D.L. n. 600/1945;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963, fino al 1966, anno in cui il CNR ha
emesso pareri che si sono riflessi sul livello di sicurezza afferente all'accesso in fossa di
profondità superiore a 1 m;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963 posteriori al 1966;
• ascensori collaudati conformemente al D.M. n. 587/1987, cioè a UNI EN 81-1: 1987;
• ascensori collaudati conformemente al D.M. n. 587/1987, ma posteriori all'entrata in vigore
della legge n. 13/1989;
• ascensori contemporanei, collaudati conformemente al D.P.R. n. 162/1999.
Si ricorda che, in ogni caso, si presuppone si tratti di ascensori positivamente collaudati secondo le
norme all'epoca in vigore; se così non fosse, la valutazione dei rischi del singolo impianto secondo la UNI
EN 8180 potrebbe dare ben diverso risultato.
Inoltre, molto importante, questa tabella vale così com'è solo per quegli ascensori che non abbiano
subito già ulteriori adeguamenti volontari, rispetto a quelli a suo tempo obbligatori.
Questi ultimi, di cui invece la tabella ha tenuto conto, così come ovviamente il filtering nazionale, sono
stati imposti in Italia con l'uscita del D.P.R. n. 1497/1963 per gli allora nuovi impianti, e nel 1987, con
l'Allegato II al D.M. n. 587/1987.
Si è, però, ipotizzato, riguardo agli adeguamenti volontari, che, dal momento in cui la norma è entrata in
vigore, si sia tenuto conto della UNI 10411 che indica come effettuare correttamente le modernizzazioni
parziali degli ascensori.
La UNI 10411 è uscita in una prima edizione nel 1994, in una seconda nel 1998 e in una terza, col nome
UNI 10411-1, per i soli ascensori elettrici, nel 2003.
Per un corretto esame di un ascensore parzialmente modernizzato, non resta, quindi, che una
valutazione specifica dei rischi da parte di un soggetto competente.
Il decreto ha specificato che questo soggetto altro non è che uno di quelli già incaricato, secondo il
D.P.R. n. 16/1999, per le normali verifiche periodiche (biennali) agli ascensori.
Sempre a livello esemplificativo, viene mostrata la tabella 4 in cui si illustrano le misure protettive di
priorità alta in un ascensore idraulico italiano preesistente.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
TABELLA 4
Situazione Descrizione 1945 1963 1966 1967 1979 1989 1994 1999 2003
3 Accuratezza
di fermata e
livellamento
7 Difese
parziali del
vano corsa
8 Blocco porte
di ispezione
vano
13 Difese nel
vano
comune a
più ascensori
15 Accesso in
fossa di
profondità
1m
16 Interruttore
di arresto
17 Illuminazione
del vano
22 Dislivelli e
recessi nel
locale
macchine
25 Porte
motorizzate
non cieche
26 Robustezza
del fissaggio
delle porte di
piano
27 Porte che
contengono
vetro
30 Protezione
porte
motorizzate,
impianti
comuni
idem,
impianti
accessibili ai
disabili
31 Blocchi porte
di piano
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34 Richiusura
automatica
porte di
piano
38 Rapporto tra
superficie
cabina e
portata
39 Grembiule
cabina
40 Presenza
della porta di
cabina
43 Protezione
contro la
caduta dal
tetto di
cabina
54 b Ritorno
automatico
al piano
inferiore
58 Distanza
orizzontale
tra soglia
parete
frontale
59 Distanza
orizzontale
tra porte
piano e
cabina
60 b Sistema di
emergenza
62 Arresto del
macchinario
63 Allentamento
funi
66 Protezione
contro lo
shock
elettrico
70 a Pulsantiera
di ispezione
70 b Dispositivo
di arresto sul
tetto cabina
71 Dispositivo di
allarme di
emergenza
cabina
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73 Presenza del
controllo del
carico
Legenda:
livello di priorità dell'intervento sulla situazione pericolosa non dipendente dalla generazione normativa, ma
dal singolo impianto. Per esempio, per quanto attiene alla precisione di fermata e livellazione, in teoria,
almeno fino alla pubblicazione della legge n. 13/1989 e del D.M. n. 236/1989, in materia di superamento e
abbattimento delle barriere architettoniche, tutti gli ascensori potevano presentarla pessima, avendo una
sola velocità, o quasi accettabile, avendo due velocità, essendo questa una specifica contrattuale
(commerciale) e non normativa.
Anche qui, si sono prese in considerazione nove "generazioni normative" di ascensori installati a suo
tempo:
• ascensori installati precedentemente all'entrata in vigore del D.L. n. 600/1945;
• ascensori collaudati conformemente al D.L. n. 600/1945;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963, fino al 1966, anno in cui il CNR ha
emesso pareri che si sono riflessi sul livello di sicurezza afferente all'accesso in fossa di
profondità superiore a 1 m;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963 posteriori al 1966, prima del 1967;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963, dal 1967, anno in cui il CNR ha
emesso pareri che si sono riflessi sul livello di sicurezza relativo all'illuminazione del vano, fino al
1979;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963, dal 1979, anno in cui il decreto del
Ministero dei Lavori Pubblici n. 1635/1979 ha prescritto misure relative al ritorno automatico al
piano inferiore, fino al 1989;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 1497/1963, ma posteriori all'entrata in vigore
della legge n. 13/1989;
• ascensori collaudati conformemente al D.P.R. n. 268/1994, cioè a UNI EN 81-2: 1989;
• ascensori contemporanei, collaudati conformemente al D.P.R. n. 162/1999.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
N. 23 - 6 dicembre 2005,
Vani ascensori: dal Ministero dell’Interno la nuova norma di prevenzione incendi
Pagina 36
Zanut Stefano
Il Ministero dell'Interno, con il decreto 15 settembre 2005 , ha approvato la nuova regola tecnica per la
prevenzione incendi destinata ai vani di sollevamento installati nelle nuove attività, soggette ai controlli
di prevenzione incendi, e in quelle già esistenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso in caso di
modifiche importanti, quali, per esempio, l'installazione di nuovi impianti di sollevamento, modifiche
costruttive dell'impianto, il rifacimento dei solai dell'edificio e della struttura delle scale ecc.
Scopo del nuovo provvedimento è quello di minimizzare le cause dell'incendio, limitare i danni alle
persone, alle cose e all'edificio, evitare il più possibile la propagazione dell'incendio a edifici adiacenti
nonché di favorire le operazioni di soccorso secondo quanto disposto dalla regola tecnica di prevenzione
incendi allegata al decreto stesso.
Con la pubblicazione del decreto del Ministero dell'Interno 15 settembre 2005, " Approvazione della
regola tecnica di prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività
soggette ai controlli di prevenzione incendi ", si è venuta finalmente a colmare una vacanza normativa
vissuta con particolare sofferenza da quanti operano nel campo della prevenzione incendi e che si sono
imbattuti, o potrebbero esserlo, nella progettazione di questi impianti.
La nuova regola tecnica non è, comunque, riferita integralmente agli impianti di sollevamento (con
questa locuzione si identificano fondamentalmente gli ascensori e i montacarichi [1]), nel senso che si
applica "ai vani degli impianti di sollevamento installati nelle nuove attività soggette ai controlli di
prevenzione incendi ed in quelle esistenti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, in caso di
modifiche sostanziali" con l'obiettivo di garantire le seguenti prestazioni:
minimizzare le cause d'incendio;
limitare i danni alle persone e alle cose;
limitare i danni all'edificio e ai locali serviti;
limitare la propagazione di un incendio a edifici e/o locali contigui;
consentire ai soccorritori di operare in condizioni di sicurezza.
In queste circostanze per "modifiche sostanziali" s'intende (art. 2) :
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TABELLA 1
Confronto tra le norme che considerano gli impianti di sollevamento prima e dopo
l'emanazione del D.M. 15 settembre 2005
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Disposizioni generali
In questo contesto si richiama al principio generale di utilizzare materiali del tipo non combustibile
(classe 0), con l'unica eccezione per la cabina, che può essere realizzata con materiali di classe 1 nel
caso di elevatori ordinari, ma categoricamente non combustibili per gli ascensori antincendio o di
soccorso. Altra condizione evidenziata riguarda le aree di sbarco protette, in cui è necessario escludere
ragionevolmente ogni possibilità d'incendio, anche in questo ponendo attenzione nella scelta dei
materiali.
Il vano corsa
In funzione delle modalità con cui viene realizzato il vano di corsa è possibile distinguere gli impianti
nelle seguenti tre tipologie:
in vano aperto , ovvero quando non costituiscono compartimento antincendio. Questa tipologia si può
riscontrare, per esempio, nel caso di ascensori panoramici che si affacciano su spazi collettivi di gallerie
commerciali, ma anche nell'ambito di edifici in cui non si svolgono attività soggette ai controlli di
prevenzione incendi. In tal caso è sufficiente che le pareti del vano corsa, le porte di piano e le eventuali
altre porte o portelli di soccorso e ispezione siano realizzati con materiali non combustibili;
in vano protetto , quando risultano soddisfatti i seguenti requisiti:
- le pareti del vano corsa e degli altri ambienti connessi, comprese le porte che vi danno
accesso, hanno caratteristiche di resistenza al fuoco pari a quelle del compartimento in cui
è inserito;
pagina 51
IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
- gli eventuali fori per il passaggio di funi, cavi e tubi relativi all'impianto, realizzati sugli
elementi resistenti al fuoco, hanno le dimensioni minime indispensabili per garantire la
prestazione;
- tutte le porte di piano, d'ispezione e di soccorso sono del tipo a chiusura automatica e con
le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco del compartimento;
- il vano di corsa risulta separato dal resto dell'edificio mediante filtro a prova di fumo[2],
che può essere unico per l'accesso sia alle scale sia all'impianto di sollevamento, con
eccezione nel caso di ascensori antincendio e di soccorso, per i quali deve essere a uso
esclusivo;
- le pareti del vano corsa e degli altri ambienti connessi, comprese le porte che vi danno
accesso, hanno le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco del compartimento in cui è
inserito;
- gli eventuali fori per il passaggio di funi, cavi e tubi relativi all'impianto, realizzati sugli
elementi resistenti al fuoco, hanno le dimensioni minime indispensabili per garantire la
prestazione;
- le porte di piano, di ispezione e di soccorso, possono dare accesso direttamente ad aree di
sbarco che siano aperte per almeno un lato verso uno spazio scoperto, ovvero verso un
filtro a prova di fumo.
Gli accessi
Le modalità di accesso ai vari locali dell'impianto devono essere coerenti con quelle previste per il vano
corsa. In questo punto (punto 4) la norma introduce una condizione curiosa, quanto interessante: il filtro
a prova di fumo al servizio di un ascensore di soccorso (punto 8) non può essere realizzato con un
sistema a sovrappressione. Questo risulta comprensibile alla luce delle diverse affidabilità di un sistema
"passivo", quale un'apertura di aerazione permanente o il camino di ventilazione, e di un altro, invece, i
cui dispositivi richiedano particolare e attenta manutenzione e che manifestino, comunque, un tasso di
guasto significativo, condizioni di vitale importanza per un ascensore dedicato all'evacuazione delle
persone.
L'aerazione
Il vano corsa, il locale del macchinario e gli altri ambienti connessi devono essere opportunamente aerati
con aperture permanenti, autonome tra loro, realizzate nella parte alta delle pareti e protette
dall'introduzione di corpi estranei con elementi che impediscano il passaggio di una sfera di diametro
superiore a 15 mm.
Queste aperture devono essere superiori al 3% della superficie in pianta del locale, o vano corsa, con un
minimo di:
0,20 m 2 per il vano corsa;
0,05 m 2 per il locale macchinario e/o pulegge di rinvio.
Qualora non fosse possibile realizzarle direttamente verso l'esterno, è consentito l'impiego di
canalizzazioni in materiale incombustibile, anche ad andamento suborizzontale purché sia garantito il
tiraggio; nel caso queste attraversino altri ambienti, dovranno essere realizzate in modo da garantire
continuità nella compartimentazione.
Le misure di protezione attiva
In prossimità dell'accesso agli spazi e/o al locale del macchinario deve essere disposto un estintore di
classe 21A89BC, idoneo per l'uso in presenza d'impianti elettrici.
Particolare attenzione va posta agli impianti di rilevazione che devono essere in grado di attivare un
comando che permetta l'invio della cabina a un piano predeterminato di uscita, con l'obiettivo di
permettere ai passeggeri di uscire prima che si manifesti un'incompatibile condizione di criticità. Gli
eventuali impianti di spegnimento automatici previsti nel locale del macchinario, devono essere del tipo
idoneo per incendi di natura elettrica, opportunamente protetti contro gli urti accidentali e tarati a una
temperatura d'intervento tale da consentire l'allontanamento delle persone prima della scarica
dell'estinguente.
Gli ascensori antincendio e di soccorso
La nuova regola tecnica ridefinisce le peculiari caratteristiche dell’ascensore antincendio e introduce una
nuova tipologia di impianto: l'"ascensore di soccorso".
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Fino al 15 settembre 2005 le norme di prevenzione incendi proponevano solo l’ascensore antincendio,
introdotto nel D.M. 9 aprile 1994, " Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la
costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere ", con l'obiettivo di consentire
operazioni di soccorso in edifici di altezza particolarmente elevata e successivamente considerato anche
in altri contesti.
Nel D.M. 18 settembre 2002, " Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la
progettazione, la costruzione e l'esercizio delle strutture sanitarie, pubbliche e private ", l’ascensore
antincendio si "trasforma" in " montalettighe utilizzabili in caso d'incendio ", per garantire l'evacuazione
verticale in un contesto ad alta criticità ambientale.
Se ne riscontra, infine, la presenza anche nell'ambito più generale degli ambienti di lavoro, quando il
D.M. 10 marzo 1998, " Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei
luoghi di lavoro ", richiama questa possibilità nel considerare le necessità connesse con l'assistenza alle
persone disabili in caso d'incendio, " Persone disabili possono utilizzare un ascensore solo se è un
ascensore predisposto per l'evacuazione o è un ascensore antincendio, ed inoltre tale impiego deve
avvenire solo sotto il controllo di personale pienamente a conoscenza delle procedure di
evacuazione" (punto 8.3.4 dell'allegato VIII, " Pianificazione delle procedure da attuare in caso
d'incendio ").
La nuova impostazione risente della norma UNI EN 81-72 [3], " Regole di sicurezza per la costruzione e
l'installazione di ascensori -Applicazioni particolari per ascensori per passeggeri e per merci- ascensori
antincendio ", ma anche dell'esperienza maturata in questo settore.
Ma la vera innovazione della norma è l'"ascensore di soccorso", un presidio importante " installato
esclusivamente per trasporto delle attrezzature del servizio antincendio ed, eventualmente, per
l'evacuazione di emergenza delle persone".
Le caratteristiche di un tale impianto risultano particolarmente importanti e gravose rispetto a quelle
dell’ascensore antincendio, con l'obiettivo di garantirne efficienza nello svolgimento di prestazioni tanto
importanti.
Di ciò si percepisce l'importanza sin dall'art. 5, " Disposizioni finali e abrogazioni ", decreto 15 settembre
2005, che abroga e sostituisce alcuni articoli apparsi su norme precedenti che considerano
esclusivamente l’ascensore antincendio.
La tabella 1 propone un confronto tra le norme che considerano gli impianti di sollevamento prima e
dopo l'emanazione del D.M. 15 settembre 2005.
Le norme di esercizio
In ogni caso in prossimità di ogni porta di piano da cui si può accedere a un ascensore, deve essere
affisso un cartello con la seguente iscrizione, " Non usare l’ascensore in caso d'incendio ".
L'identificazione di un ascensore antincendio o di soccorso risulta possibile tramite l'apposita segnaletica
proposta dalla UNI EN 81-72 (si veda la figura 1 ), che ne definisce sia le dimensioni sia l'ubicazione:
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[1] l'art. 2, "Definizioni", D.P.R. 30 aprile 2005, n. 162, "Regolamento recante norme per l'attuazione
della direttiva 95/16/CE sugli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla
osta per ascensori e montacarichi, nonché della relativa licenza di esercizio", identifica questi impianti nel
seguente modo:
• ascensore: un apparecchio a motore che collega piani definiti mediante una cabina che si sposta
lungo guide rigide e la cui inclinazione sull'orizzontale è superiore a 15 gradi, destinata al
trasporto di persone, di persone e cose, o soltanto di cose se la cabina è accessibile, ossia se
una persona può entrarvi senza difficoltà, e munita di comandi situati al suo interno o alla
portata di una persona che si trova al suo interno;
• montacarichi: un apparecchio a motore di portata non inferiore a chilogrammi 25 che collega
piani definiti mediante una cabina che si sposta lungo guide rigide e la cui inclinazione
sull'orizzontale è superiore a 15 gradi, destinata al trasporto di sole cose, inaccessibile alle
persone o, se accessibile, non munita di comandi situati al suo interno o alla portata di una
persona che si trova al suo interno.
[2] Si intende per filtro a prova di fumo un vano delimitato da strutture con resistenza al fuoco REI
predeterminata e, comunque, non inferiore a 60', dotato di due o più porte munite di congegni di
autochiusura con resistenza al fuoco REI predeterminata, e, comunque, non inferiore a 60', con camino
di ventilazione di sezione adeguata e comunque non inferiore a 0,10 m sfociante al di sopra della
copertura dell'edificio, oppure vano con le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco e mantenuto in
sovrappressione ad almeno 0,3 mbar, anche in condizioni di emergenza, oppure aerato direttamente
verso l'esterno con aperture libere di superficie non inferiore a 1 m con esclusione di condotti (D.M. 30
novembre 1983 "Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi").
[3] Per maggiori informazioni si veda, dello stesso autore, ascensori antincendio: con la UNI 81-72 per
garantire la sicurezza in elevazione, nel Supplemento n. 1/2005 di Ambiente&Sicurezza, pag. 18.
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N. 6 - 1 giugno 2005,
Ascensore: I criteri di ripartizione delle spese di manutenzione
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di Scarpa Antonio
Corte di Cassazione, sent. 17 febbraio 2005, n. 3264, Sez. II - Pres. Pontorieri, Rel. Trombetta, P.M.
Carestia
Nella decisione che si annota, la Cassazione, dovendo verificare la correttezza di una ripartizione di spese
inerenti alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore condominiale, ribadisce la legittimità, in
mancanza apposite di tabelle convenzionali, del ricorso analogico al criterio stabilito dall'art. 1124 cod.
civ. in ordine alle spese relative alle scale, norma di cui si precisa l'identità di ratio rispetto ai principi
generali dettati dall'art. 1123 cod. civ. (valore e utilità) .
Al riguardo, la Suprema Corte giudica irrilevante che si tratti di ascensore installato originariamente con
la costruzione dell'edificio, ovvero di impianto realizzato in un secondo tempo, purché risulti, nel secondo
caso, il consenso di tutti i condomini: ciò comportando, comunque, la proprietà comune dell’ascensore e,
quindi, il correlato obbligo di contribuzione proporzionale alle spese.
RIPARTIZIONE SPESE E ART. 1124 COD. CIV.
E' risaputo, in effetti, come il codice civile del 1942, nei ventitré articoli dedicati al condominio negli
edifici , non si pose il problema di disciplinare espressamente l'ascensore, costringendoci, ancora nel
terzo millennio, a ragionare di esso per analogia con riferimento agli altri impianti di uso comune e alle
scale, pur essendo, già a quel tempo, l’ascensore stesso affare tecnologicamente e giuridicamente
arcinoto.
Così, per ormai consolidata interpretazione, alle spese relative alla manutenzione o alla ricostruzione
dell’ascensore già esistente, si provvede applicando, in base ad assunta identità di ratio , la regola
dettata dall'art. 1124 cod. civ. concernente la ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione
delle scale, suddivise per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra
metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. In tal modo si estende, tuttavia, la
disciplina dettata per una parte dell'edificio necessaria all'uso comune, come la scala (che serve
irrinunciabilmente ad accedere ai vari piani dell'edificio), a un bene, come l'ascensore, che non è affatto
altrettanto indispensabile all'uso dell'edificio; sebbene, riguardo alla conclusione di trarre dall'art. 1124
cod. civ. il criterio di riparto delle spese per l'ascensore, non si riscontrano le stesse esitazioni sovente
mostrate, per esempio, con riferimento all'estensione dell'art. 1125 cod. civ. alle spese di restauro dei
balconi aggettanti.
Ben possono farsi rientrare, allora, tra le spese di manutenzione o ricostruzione dell’ascensore tutte
quelle dirette a sostituire le linee e i dispositivi elettrici dell'impianto, la cabina dell'ascensore, le porte di
cabina o di piano, le funi di impianto, il limitatore di velocità.
Diversa soluzione si dà, invece, all'ipotesi di installazione ex novo dell'ascensore, da disciplinare alla
stregua dell'art. 1123 cod. civ., ovvero secondo il criterio della proporzionalità al valore della proprietà di
ciascun condomino, utilizzabile per la ripartizione delle spese derivanti dalle innovazioni deliberate dalla
maggioranza (1)
Peraltro, sempre al fine di ripartire le spese, dovrebbero assimilarsi all'installazione di un nuovo
ascensore gli interventi volti ad aumentare considerevolmente la corsa dell'impianto già esistente, o a
spostare il locale del macchinario.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
La regolamentazione normativa posta dagli artt. 1123 e 1125 cod. civ. è, ovviamente, suscettibile di
deroga con patto negoziale intervenuto tra i condomini. Così, il regolamento condominiale, ove abbia
natura convenzionale, e sia perciò vincolante per tutti i partecipanti, può, per esempio, arrivare a
esonerare una determinata categoria di condomini dal pagamento delle spese di manutenzione
dell'ascensore, modificando l'assimilazione legale con il regine delle spese occorrenti per le scale, ovvero
farvi concorrere tutti i condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle
rispettive proprietà (Cass. 6 novembre 1986, n. 6499; Cass. 16 luglio 1981, n. 4646) .
Nell'adattamento del criterio indicato dall'art. 1124 cod. civ. all'ascensore, non deve poi trascurarsi come
tra le spese di manutenzione delle scale si comprendano propriamente i soli costi relativi alla
conservazione della cosa comune che si rendano necessari a causa della naturale deteriorabilità del bene
per consentirne l'uso e il godimento e che attengano a lavori periodici, indispensabili per mantenere la
cosa in efficienza. Per contro, la disposizione non riguarda le spese di pulizia, alle quali i condomini sono
tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in ragione dell'utilità che la
cosa comune è destinata a dare a ciascuno, secondo le proporzioni fissate dall'art. 1123, comma 2, cod.
civ. (Cass. 3 ottobre 1996, n. 8657, Giust. civ . 1997, I, 989; Cass. 19 febbraio 1993, n. 2018, Arch. loc
. 1993, 519) .
Non si traduce, ovviamente, in motivo di esonero del singolo condomino dalla spesa per l’ascensore la
circostanza che il rispettivo appartamento sia rimasto per lungo tempo disabitato (in tal senso, Visco, Le
case in condominio , Milano, 1976, 402) . Vero è, piuttosto, che il prolungato mancato uso dell’ascensore
da parte di un condomino non favorisce affatto una concreta riduzione proporzionale delle spese di
esercizio e che l'art. 1118, secondo comma, cod. civ. smentisce che il singolo partecipante sia titolare di
un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio relativamente
all'utilizzazione dei servizi comuni, non potendosi perciò egli sottrarre dal contribuire alle spese di
gestione dell’ascensore in proporzione ai millesimi, soltanto allegando l'inutilizzazione dell'impianto.
LA PROPRIETA' DELL'IMPIANTO
Ovviamente, correlato all'individuazione dei soggetti obbligati a contribuire alle spese di manutenzione
dell’ascensore è il problema della proprietà dell'impianto.
Innanzitutto, può convenirsi che l'impianto di ascensore eseguito all'epoca della costruzione dell'edificio,
o comunque in un momento precedente al sorgere della comunione (ovvero prima dell'alienazione delle
singole porzioni di piano), sia oggetto di proprietà comune presunta, o meglio attribuita, a norma
dell'art. 1117 cod. civ.
La proprietà dell’ascensore realizzato, invece, successivamente alla costituzione del condominio, è
regolata dalla disciplina delle innovazioni ex artt. 1120 e 1121 cod. civ. e ha quindi titolo nell'apposita
deliberazione assembleare di approvazione dell'opera e di ripartizione delle relative spese, in favore
soltanto di coloro che abbiano voluto l'impianto e sopportato integralmente il suo costo. In pratica,
l’ascensore che, pur essendo utilizzabile da tutti, sia stato però costruito a spese di uno soltanto dei
condomini, rimane di proprietà esclusiva di questo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai suoi
vantaggi, contribuendo ai relativi costi di costruzione e manutenzione (2) .
Nel dettaglio, rientrano tra le parti comuni innanzitutto i cosiddetti "volumi tecnici", e quindi pure i vani
destinati a contenere gli impianti di ascensore (Cass. 27 marzo 2003, n. 4528), ovvero l'area di base del
vano di corsa (Trib. Napoli 15 novembre 1989, Rass. equo canone 1990, 272) ; quindi, ancora, tutte le
cose mobili costituenti l'impianto di ascensore.
Ben vero, trattasi, quanto agli ascensori, di parti comuni il cui godimento discende dall'attività personale
dei titolari dei piani o porzioni di piano, sicché l'utilità da essi prodotta sottintende non una destinazione
oggettiva e funzionale della res , ma un uso soggettivo.
Ciò non di meno si ritiene che, ove non emerga il contrario dai titoli di acquisto delle singole unità
esclusive, l’ascensore debba considerarsi di proprietà comune anche dei condomini titolari di
appartamenti o negozi siti al piano terreno, potendo costoro in ogni caso trarre utilità dall'impianto, il
quale, oltre a dar valore all'intero fabbricato, consente, per esempio, di raggiungere più agevolmente le
parti superiori di copertura comuni a tutti (3) .
Laddove poi l'edificio condominiale sia fornito di più scale e, quindi, di più ascensori, ciascuno dei quali
serva in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, ogni ascensore può
considerarsi comune non già alla totalità dei condomini, bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso sia
funzionalmente e strutturalmente destinato (4) .
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Note
(1) Cass. 25 marzo 2004, n. 5975; Cass. 25 marzo 1999, n. 2833, Riv. giur. edil. 1999, I, 690; Cass. 10
gennaio 1996, n. 165, Arch. loc. 1996, 529; Cass. 16 maggio 1991, n. 5479, Arch. loc. 1991, 742.
Attengono al funzionamento dell'ascensore, e quindi alla sua manutenzione, sebbene possano
comportare l'esecuzione di opere nuove, l'aggiunta di nuovi dispositivi, o l'introduzione di nuovi elementi
strutturali, pure gli interventi di adeguamento alla normativa CE: Cass. 25 marzo 2004, n. 5975; per la
ripartizione delle spese di tale adeguamento in base all'art. 1123 cod. civ., ovvero in ragione dei
rispettivi millesimi di proprietà, compresi i proprietari degli appartamenti siti al piano terra, cfr. invece
Trib. Taranto, 23 maggio 1996, Arch. loc. 1997, 1041; Trib. Parma, 29 settembre 1994, Arch. loc. 1994,
831. Si consideri, infine, come, in forza dell'art. 9, legge 27 luglio 1978, n. 392, gli oneri correlati al
funzionamento e alla manutenzione ordinaria dell’ascensore sono addossati al conduttore: peraltro,
l'amministratore del condominio ha facoltà di riscuotere pro quota, in base allo stato di ripartizione
approvato dall'assemblea, i contributi e le spese necessarie per la manutenzione dell'ascensore,
direttamente ed esclusivamente dai condomini, restando preclusa un'azione diretta nei confronti dei
conduttori delle singole unità immobiliari, non intendendo la legge di "equo canone" individuare nel
conduttore un altro debitore delle spese condominiali nei confronti del condominio.
(2) Cfr. Salis, "Il condominio negli edifici", Tratt. dir. civ. it. diretto da Vassalli, V, 3, Torino 1950, 32;
Visco e Terzago, Il condominio nella prassi giudiziaria e nella revisione critica, I, Milano 1972, 440; in
giurisprudenza, Cass. 1 aprile 1995, n. 3840, Rass. loc. 1995, 281; Cass. 18 novembre 1971, n. 3314.
(3) In tal senso, App. Bologna 1 aprile 1989, Arch. loc. 1990, 67; Trib. Milano 16 marzo 1989, Arch. loc.
1989, 515; Trib. Monza 12 novembre 1985, Arch. loc. 1986, 299, secondo cui, peraltro, il proprietario di
unità immobiliari site al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in proprietà esclusiva,
sarà tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione degli ascensori comuni,
limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell'art. 1124 cod. civ., in ragione del
valore del piano o della porzione di piano, non essendo invece da lui dovuta alcuna quota di quella
frazione di spese ripartite, in base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani
dal suolo.
(4) Sicché, ai fini della validità delle deliberazioni assembleari, sarà configurabile una maggioranza
limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale sia adibito l’ascensore in separato godimento:
cfr. Cass. 26 gennaio 1971, n. 196; Cass. 4 settembre 1970, n. 1188.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Giurisprudenza di riferimento
LEGITTIMITA'
MERITO
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
N. 1 - 1 gennaio 2005,
Innovazioni - Installazione di ascensore comune.
Eliminazione barriere architettoniche
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De Tilla Maurizio
Corte di Cassazione, sent. 29 luglio 2004, n. 14384, Sez. II, Pres. Calfapietra, Rel. Malpica, P.M. Uccella (Conf.)
Con la decisione in rassegna la Corte di Cassazione ha ricordato che l'art. 2 della legge n. 13/1989
prevede, nei suoi due commi, due distinte ipotesi: quella in cui il condominio sia disponibile ad attuare le
innovazioni idonee "a eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27, primo comma, della legge 30
marzo 1971, n. 118, e all'art. 1, primo comma, del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384..." nel qual caso la
norma in discorso dispone -per facilitare il raggiungimento della maggioranza- un abbassamento del
quorum che sarebbe richiesto per le innovazioni, richiamando quelli di cui all'art. 1136, secondo e terzo
comma. In tale ipotesi sono da considerare innovazioni adottabili con la maggioranza ridotta tutte le
opere idonee al fine, ferma restando la previsione di cui al terzo comma, che fa salvo il disposto degli
artt. 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, cod. civ.
La seconda ipotesi prevista dalla norma in esame è quella in cui, sussistendo il rifiuto del condominio di
eseguire le opere, viene consentito direttamente al portatore di handicap o a chi lo rappresenta di porre
in essere una serie di strumenti per ovviare a dette barriere. Soltanto in questa seconda ipotesi -per
ragioni logiche di tutta evidenza- la facoltà del portatore di handicap è ristretta agli strumenti minimali
idonei a fronteggiare le barriere, indicati come "servoscala" ovvero "strutture mobili e facilmente
rimovibili", o modifiche dell'ampiezza delle porte d'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei
garage.
Assodato, quindi, che l'installazione dell’ascensore può rientrare nelle innovazioni approvabili con le
maggioranze di cui all'art. 1136, secondo e terzo comma, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 13/1989, la
Corte Suprema ha escluso, nella fattispecie esaminata, la violazione delle disposizioni di cui agli artt.
1120, secondo comma, e 1121, terzo comma.
La decisione va condivisa.
INNOVAZIONI E MAGGIORANZE
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Riguardo all'argomento specifico esaminato dalla Corte di Cassazione con la decisione in esame, va
osservato che l'art. 2 della legge n. 13/1989 prevede che l'installazione dell’ascensore può essere
deliberata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
(e non già con la maggioranza del quinto comma del medesimo art. 1136). Resta in ogni caso salvo il
disposto degli artt. 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, cod. civ.
Va altresì osservato che il condomino portatore di handicap ha diritto di installare a proprie spese un
ascensore nella gabbia scale dell'edificio condominiale, utilizzando in tal caso, ai sensi dell'art. 1102 cod.
civ., la cosa comune senza alterarne la destinazione e impedire agli altri condomini di farne parimenti
uso secondo il loro diritto, dovendosi peraltro contemperare l'eventuale sacrificio degli altri condomini
(derivante dall'occupazione dell'"angolo morto" dell'androne per l'installazione della piattaforma
dell’ascensore e dell'utilizzazione della tromba d'aria per il suo scorrimento verticale) con l'interesse, di
natura prioritaria, dell'handicappato a una vita sociale e di relazione agevolata, nello spirito della
legislazione vigente in materia di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici
privati e secondo il criterio dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi (Trib. Foggia 29 giugno
1991, Giust. civ. 1991, I, 3089).
L'applicazione della legge sull'eliminazione delle barriere architettoniche ha sollevato una serie di spinose
questioni che hanno dato luogo a diverse interpretazioni giurisprudenziali. Anzitutto si è ritenuto che il
citato art. 2 è applicabile anche in caso di mancata esistenza di handicappati all'interno del condominio,
in quanto essa persegue la finalità di consentire la libera frequentabilità di tutte le specie di edifici anche
da parte di handicappati che possano recarvisi e non solo di agevolare quelli che vi abitano (Trib. Milano
14 novembre 1991 n. 9287; Trib. Milano 22 marzo 1993, Arch. loc. 1993, 314; Trib. Milano 19
settembre 1991, Giur. it. 1993, 543; Trib. Firenze 19 maggio 1992, Arch. loc. 1992, 814).
L' art. 2 della legge n. 13/1989 è, altresì, applicabile anche riguardo alle necessità di un invalido civile e
non solo di un portatore di handicap. L'impianto dell’ascensore costituisce, infatti, uno degli interventi
volti a eliminare una barriera architettonica rendendo possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche
che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di relazione interpersonale (Trib. Firenze 19
maggio 1992 n. 849; Pret. Roma 15 maggio 1996, Arch. loc. 1996, 564).
Allargando l'ambito di intervento si è ritenuta applicabile la normativa speciale anche a favore delle
persone ultrasessantacinquenni che hanno difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie
della loro età (Trib. Napoli 14 marzo 1994, Nuova giur. civ. comm. 1995, I, 649, con nota di Ditta).
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Nel caso in cui un condomino affetto da grave infermità fisica richieda di installare a proprie spese un
ascensore nell'edificio condominiale, la suddetta patologia ha rilievo solo nella fase cautelare, al fine di
valutare il periculum in mora; nella successiva fase cognitiva le condizioni fisiche del condomino non
hanno rilievo alcuno, dovendosi giudicare solo della sussistenza o meno del diritto del richiedente
all'installazione, a proprie spese, di un ascensore (fattispecie in materia di edificio con due soli
condomini). In tal senso Trib. Napoli 19 giugno 1996 n. 6328, Arch. loc. 1996, 941.
Come si è già precisato, l'art. 2 legge 9 gennaio 1989 n. 13, dispone che resta fermo il disposto dell'art.
1120, secondo comma, il quale vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio
inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile
menomazione dell'utilità secondo l'originaria costituzione della comunione. Ne deriva che a maggior
ragione sono nulle le delibere che, ancorché adottate a maggioranza al fine indicato, siano lesive dei
diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi
considerazione di eventuali utilità compensative (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la
decisione dei giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullità della deliberazione adottata a
maggioranza in base all'art. 2 della legge n. 13/1989 citata di installazione di un ascensore volto a
favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, che comportava peraltro un sensibile
deprezzamento dell'unità immobiliare di altro condomino sita a piano terra.
In tal senso Cass. 25 giugno 1994 n. 6109, Giust. civ. 1005, 167, Foro it. 1995, 3285. Conforme App.
Genova 27 dicembre 1997, Arch. loc. 1998, 719. Al portatore di handicap non compete alcuna azione di
condanna a un facere nei confronti del condominio ove è situata la sua abitazione, avente a oggetto
l'attuazione delle opere dirette a eliminare le barriere architettoniche dello stabile, bensì un'azione di
accertamento del proprio diritto a eseguire a proprie spese le opere necessarie all'abbattimento delle
predette barriere (costituite, nel caso di specie, dalle scale, che si proponeva di superare attraverso
l'installazione di un ascensore). In tal senso, Pret. Roma 15 maggio 1996, Arch. loc. 1996, 564.
E, ancora, si è affermato che l'installazione ex lege n. 13/ 1989 di una piattaforma mobile idonea al
sollevamento dal livello giardino al livello del piano della hall, pur comportando l'avanzamento di 40 cm
verso l'esterno di una struttura metallica con la creazione di un nuovo scalino esterno al portone, non
determina alcuna innovazione né con riferimento alla funzione propria dell'atrio e del portone d'ingresso,
né nei confronti del decoro architettonico dell'edificio, la cui tutela deve essere contemperata anche con
altre esigenze nella specie particolarmente rilevanti in quanto connesse ai principi di eguaglianza e di
solidarietà anche costituzionalmente protetti (Trib. Milano 7 maggio 1992).
Giurisprudenza di riferimento
LEGITTIMITA'
MERITO
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Contributi e spese
condominiali - Deroga convenzionale al criterio di ripartizione legale ...
L'art. 1123 cod. civ., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese
condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo
una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche
quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle
spese medesime. In tale ultima ipotesi, ove una clausola del regolamento di condominio stabilisca per
una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso in qualsiasi tipo di spesa (comprese
quelle di conservazione) in ordine ad una determinata cosa comune, essa comporta il superamento nei
riguardi di detta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato.
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Innovazioni - Su parti
comuni dell'edificio - Impianti di uso comune - ascensore - Adeguam...
Gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di
obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli
utenti e i terzi, attengono all'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino l'esecuzione di opere
nuove, l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali (In applicazione di tale
principio, la Corte ha cassato la sentenza di merito che - con una motivazione carente - aveva
considerato le spese per l'adeguamento dell’ascensore come spese di ricostruzione, senza spiegare quale
fosse, e in che cosa consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo nuovo).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni
dell'edificio - Impianti comuni - ascensore - Spese di manutenzione e ricostr...
In base all'art. 1124 cod. civ., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi,
dell'ascensore, sono assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e
le altre, sicché la clausola di regolamento condominiale che esoneri una determinata categoria di
condomini dal pagamento delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria), ove sia intesa dal
giudice nel senso di modificare anche detta assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede
una motivazione adeguata (Fattispecie relativa a regolamento condominiale che, in deroga alla disciplina
di cui agli artt. 1123-1125 cod. civ., prevedeva l'esenzione da tali spese per una categoria di condomini).
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
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Costituitosi, il Condominio chiedeva il rigetto della domanda, deducendo, innanzitutto, che l'art. 1 del
regolamento condominiale ricomprendeva l’ascensore tra le parti comuni e che l'art. 9 prevedeva la
suddivisione delle relative spese secondo le quote millesimale di proprietà. Osservava poi che gli interventi
di adeguamento dell’ascensore alle normative CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza e incolumità delle persone, andavano oltre le spese di straordinaria amministrazione; e che,
facendo aumentare il valore di tutte le proprietà individuali, dovevano essere ripartite in ragione delle
rispettive proprietà millesimale.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda degli attori, annullava la delibera condominiale.
Il gravame proposto dal Condominio era accolto, per quanto di ragione, dalla Corte d'Appello di Torino, la
quale (con sentenza n. 805/2000), in riforma della decisione del Tribunale, dichiarava che alle spese di
adeguamento dell’ascensore dovevano concorrere, secondo i criteri indicati dall'art. 1124 c. c., anche i
condomini Fr. Ma. e Ad. Ac. Ri..
Osservava la Corte torinese che alla fattispecie era applicabile l' art. 1124 c. c., in tema di ripartizione
delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, stante la sostanziale identità e complementarità
della funzione dell’ascensore rispetto a quella delle scale. Riteneva che l'obbligo di partecipare alle spese di
adeguamento dell'impianto di ascensore gravava anche sui proprietari delle unità immobiliari site al piano
terreno, in quanto l'espressione "a cui servano", contenuta in detta norma, stava ad indicare un rapporto
funzionale e strutturale stabile e non un concreto uso od una effettiva utilizzazione nel senso di cui all'art.
1123, 2° comma, c. c. . Aggiungeva a conferma dell'applicabilità dell'art. 1124 c. c. il fatto che l'impianto
di ascensore conferiva un maggior valore ed un maggior prestigio all'intero edificio, che tale impianto
serviva anche per la manutenzione delle parti comuni (in primis il tetto) e che il suddetto articolo,
includendo anche le cantine fra le unità che concorrono alla spesa, non dava rilevanza alla posizione della
singola unità dell'edificio condominiale.
Ai fini di coordinare la norma di cui all'art. 1124 c. c. con l'art. 12 del Regolamento del Condominio - che in
tema di "Riparto di spese per l'ascensore” stabilisce che "Le spese per la manutenzione ordinaria e
straordinaria per l'esercizio dell’ascensore sono ripartite fra i condomini che se ne servono, secondo le
singole quote della tabella allegata al presente regolamento" - riteneva la Corte torinese che le spese di
adeguamento dell'impianto di ascensore alle normative CEE non potevano considerarsi né di ordinaria né
di straordinaria manutenzione, ma erano assimilabili a quelle di ricostruzione, comportando un rifacimento
e un miglioramento strutturale ai fini di meglio assicurare l'incolumità delle persone. Di conseguenza non
trovava applicazione l'art. 12 del Regolamento condominiale, ma l' art. 1124 c. c. nella parte concernente
la ricostruzione.
Pertanto la Corte subalpina riteneva illegittima la delibera del 27.3.1995 nella parte in cui poneva a carico
dei condomini Fr. Ma. e El. Ri. la spesa di adeguamento dell'impianto di ascensore in proporzione ai
millesimi di proprietà ex art. 1123, 1° comma c. c., anziché secondo il criterio stabilito dall'art. 1124, 1°
comma: c. c. .
Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Fr. Ma. ed El. Ri., quest'ultima quale erede di
Ad. Ac. Ri., deducendo quattro motivi di censura.
Il Condominio ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale in base a due
motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, in udienza, è stata disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c. p.c., dei ricorsi (principale
e incidentale) perché proposti contro la stessa sentenza.
A) 1. Col primo motivo, denunciando violazione dell'art. 12 del Regolamento condominiale, i ricorrenti
principali censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che le norme di cui agli artt. 1123 e
1124 c. c. sono derogabili dal Regolamento condominiale di natura contrattuale e che, nel caso specifico,
tale regolamento (art. 12) stabilisce che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria per l'esercizio
dell’ascensore sono ripartite fra i soli condomini "che se ne servono". Restano, pertanto, esclusi dalla
ripartizione i condomini le cui unità immobiliari, come quelle di Fr. Ma. e El. Ri., si trovano a piano terra e
non utilizzano l'ascensore.
2. Col secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 1124 c. c., falsa applicazione, nonché errore di
motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto applicabile al caso di specie
l' art. 1124 c. c. in materia di manutenzione e ricostruzione delle scale, interpretando l'espressione ivi
contenuta “a cui servono” nel senso di "rapporto funzionale e strutturale stabile e non di concreto uso od
effettiva utilizzazione". Sostengono che (secondo la giurisprudenza di merito) i proprietari "a cui le scale
servono" sono coloro che per accedere alla proprietà esclusiva devono necessariamente servirsi delle
medesime; non possono essere addebitate, quindi, quote di alcun genere a chi, per accedere alla
proprietà esclusiva, non utilizzi le scale, ovvero in relazione al caso di specie, l'impianto di ascensore.
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3. Col terzo motivo, denunciando erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, i ricorrenti
censurano l'impugnata sentenza per aver ritenuto l'impianto di ascensore compreso fra le cose comuni,
senza considerare che l'esenzione dalle spese di una determinata categoria di condomini prevista dal
Regolamento condominiale (art. 12), unitamente al costante orientamento manifestato dal Condominio fin
dalla sua costituzione, sono elementi tali da dare, all'inserimento dell'impianto di ascensore fra le parti
comuni dell'edificio, l'esatto significato che non è quello di appartenenza a tutti i condomini, ma solo a
quelli che ne fanno uso.
Affermano i ricorrenti che il Regolamento condominiale può essere interpretato, e addirittura modificato,
per facta concludentia e che le unità immobiliari site a piano terra nessun maggior pregio o valore possono
conseguire dalla presenza dell'impianto di ascensore, né questo serve per la manutenzioni di parti comuni
dell'edificio, quali il tetto.
4. Col quarto motivo, denunciando erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia,
nonché violazione di legge, art. 1124 c. c. e principi di diritto, i ricorrenti sostengono che erroneamente la
Corte d'Appello ha considerato l'intervento in questione sull'impianto di ascensore quale ricostruzione e,
come tale, non rientrante nella previsione dell'art. 12 del Regolamento condominiale. In realtà i lavori di
adeguamento alla normativa CEE, consistenti nel caso specifico in semplice innalzamento di qualche
centimetro della preesistente grata di protezione, rientrano nelle opere di ordinaria o straordinaria
manutenzione. I condomini Fr. Ma. e El. Ri., le cui unità immobiliari hanno accesso diretto dall'androne
carraio dell'edificio, sono esonerati dalla partecipazione alle spese dell'impianto di ascensore (sia ordinarie
che straordinarie) in virtù dell'art. 12 del Regolamento condominiale, il quale, avendo natura contrattuale,
costituisce deroga al disposto dell'art. 1124 c. c., che, tuttavia, esclude dalla partecipazione alla spesa i
condomini che non si servono dell'ascensore.
B) Il Condominio a sostegno del ricorso incidentale deduce quanto segue.
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1124 c. c. per aver ritenuto la Corte d'Appello l'intervento in
questione assimilabile da ricostruzione. Sostiene il Condominio che le spese di adeguamento
dell’ascensore alla normativa CEE non dipendono da interventi correlati con l'intensità dell'uso, con la
vetusta, con guasti accidentali, ma da esigenze di sicurezza mediante introduzione di nuovi elementi
strutturali. Ciò comporta l'esclusione dell'applicazione dell'art. 1224 c. c.
Inoltre, quando risulta una relazione strumentale fra una parte o un impianto dell'edificio e l'uso comune,
sussiste il vincolo pertinenziale che vale a qualificare comune una parte dell'edificio in applicazione dei
criteri previsti dall'art. 1117 c. c., il quale stabilisce una presunzione di comproprietà fra i condomini
relativamente alle parti nominate, fra le quali anche gli ascensori.
Aggiunge il ricorrente che se è vero che l'uso dell’ascensore è destinato a servire i condomini in misura
diversa, a seconda dell'utilità in relazione all'altezza del piano, è pur vero tuttavia che anche i partecipanti
che hanno porzioni al piano terreno possono trarre utilità dall'impianto, in quanto l’ascensore non solo
arreca un maggior pregio alle unità immobiliari ma soprattutto permette il raggiungimento di parti comuni
che altrimenti sarebbe più difficoltoso.
2. Col secondo motivo, denunciando erronea motivazione su un punto fondamentale della controversia, il
Condominio si duole che la Corte d'Appello non abbia considerato che, trattandosi di bene comune che
comunque "serve" anche ai piani terra, la suddivisione delle spese non può che essere praticata secondo i
criteri stabiliti dall'art. 1123 c. c. .
Sostiene il ricorrente che la spesa di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE è una spesa
straordinaria, ma con una accezione speciale che trascende quella tradizione e rende inapplicabile al caso
l'art. 12 del Regolamento condominiale.
C) I motivi, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi, del ricorso principale meritano
accoglimento per quanto di ragione in base alle seguenti considerazioni.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, in tema di condominio di edifici la regola posta dall'art.
1124 c. c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale (per metà in
ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l'altra meta in misura proporzionale alla altezza
di ciascun piano dal suolo) è applicabile per analogia, ricorrendo l'identica ratio, alle spese relative alla
manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente. Nell'ipotesi, invece, d'installazione ex novo
dell'impianto dell’ascensore trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c. c. relativa alla ripartizione delle
spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun
condomino) (cfr., fra tante, Cass: 25.3.1999, n. 2833 ; 16.5.1991, n. 5479).
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È stato anche detto che la disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c. c., sul riparto delle spese inerenti ai beni
comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che
abbia natura contrattuale. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione,
ricostruzione e installazione dell'ascensore, deve ritenersi legittima non solo una convenzione che
ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda
l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime. In
quest'ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di
taluni condomini l'esenzione totale dall'onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di
conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l'ascensore), si ha il superamento
nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del
fabbricato (v. Cass. 26.1.1998, n. 714 ; 16.12.1988, n. 6844).
D) Nel caso specifico il Regolamento condominiale di natura contrattuale stabilendo all'art. 12 che "Le
spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria per l'esercizio dell’ascensore sono ripartite fra i
condomini che se ne servono, secondo le singole quote della tabella allegata al presente regolamento",
prevede, a contraris, l'esenzione, in deroga alla disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c. c., dal concorso a
tali spese di una determinata categoria di condomini, precisamente di quella che non si serve
dell'ascensore, con tutte le conseguenze derivanti da tale esonero.
L'impugnata sentenza non ha applicato i suddetti principi giurisprudenziali conseguenti a tale esonero,
perché ha ritenuto che le spese di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE attengono non alla
manutenzione ordinaria o straordinaria (in relazione alla quale e prevista - art. 12 del Regolamento di
condominio - l'esenzione dal concorso per i condomini che non si servono dell'ascensore), bensì alla
ricostruzione di tale bene, donde l'applicazione per analogia dell'art. 1124 c. c. in tema di ricostruzione
delle scale.
E) Ma la motivazione addotta per considerare tali spese come di ricostruzione risulta affatto insufficiente e
carente, perché assertivamente fa riferimento a intervento tecnico finalizzato a introdurre elementi
strutturali e costruttivi nuovi, senza però dire e spiegare in che cosa tale intervento tecnico sia consistito.
Tanto più che gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al
conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere
efficacemente gli utenti e i terzi, attengono d'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino
l'esecuzione di nuove opere, l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali.
F) Inoltre l'impugnata sentenza non ha tenuto conto che le norme sul condominio non classificano con
precisione le diverse spese e non adoperano neppure una terminologia uniforme. L' art. 1123 c. c., al
primo comma, enumera le spese per la "conservazione", per il “godimento”, per la “prestazione dei
servizi” e per le “innovazioni”, mentre al terzo comma cita genericamente le spese di "manutenzione"; gli
artt. 1124 e 1125 c. c. fanno menzione delle spese di "manutenzione" e ”ricostruzione”, assoggettandole
alla stessa disciplina; l' art. 1126 c. c. elenca quelle per le “ripartizioni” e le "ricostruzioni".
A parte il rilievo che la dottrina, accanto alla suddivisione tra spese per la conservazione e la
manutenzione (dirette a conservare l'esistenza delle cose e ad impedirne il deterioramento), spese per il
godimento (dirette al diverso fine dell'uso) e spese per la ricostruzione (volte a ripristinare il bene comune
andato distrutto), introduce l'ulteriore distinzione tra spese necessarie (dirette ad assicurare alle cose
comuni la destinazione e il servizio, che costituiscono le finalità del condominio), spese utili (dirette a
migliorare le parti comuni) e spese voluttuarie (destinare ad abbellire le parti comuni), va anche
sottolineato, sempre con riferimento alla normativa sul condominio, che l' art. 1104 c. c. distingue
sostanzialmente due specie di spese comprensive di tutte le altre: spese per la conservazione e spese per
il godimento della cosa comune. Le spese per la conservazione attengono all'integrità del bene (e
riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e
straordinaria e per le riparazioni), ovvero alla sua ricostruzione e ripristino (somme occorrenti per il
rifacimento) ed afferiscono all'utilità oggettiva del bene. Le spese per il godimento attengono all'uso delle
cose (ovvero degli impianti o servizi comuni): godimento che scaturisce da un fatto soggettivo, personale,
mutevole.
L'impugnata sentenza con motivazione insufficiente e inadeguata ha ritenuto di includere le spese di
adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE tra quelle di ricostruzione dell'impianto, escludendo che le
stesse potessero rientrare tra quelle di conservazione ossia di manutenzione (straordinaria).
G) Sotto altro profilo, l'impugnata sentenza non ha neppure tenuto conto che, in base all'art. 1124 c. c., le
spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi, dell'ascensore, sono assimilate e assoggettate
alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra l'une e l'altre (così come, per l' art. 1125 c. c., le spese
per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai), sicché la clausola di regolamento
condominiale convenzionale che esoneri una determinata categoria di condomini dal pagamento delle
spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria) ove sia intesa nel senso di modificare anche detta
assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede una motivazione adeguata.
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H) In base alle considerazioni esposte, il ricorso principale va accolto per quanto di ragione, con
conseguentemente assorbimento del ricorso incidentale; l'impugnata sentenza deve essere cassata e la
causa rimessa per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino, che si atterrà ai principi
sopra esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione, facendone questa Corte espressa
rimessione (art. 385, ult. cpv., c. p.c.).
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di
Torino, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Estensione - Beni o
servizi in comune tra condomini
Rientrano tra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 cod. civ.) e, in caso di divisione dell'edificio cui i detti
spazi accedono, vi restano compresi anche se l'atto di divisione abbia omesso di inserirli tra le parti
comuni, i cd. volumi tecnici, ossia quelli destinati a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (quali i vani
ascensore, caldaia, autoclave, contatori) o altri beni comuni (quale il vano scale) e quelli insuscettibili di
separato o autonomo godimento, per essere vincolati all'uso comune, in virtù della loro naturale
destinazione o della loro connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell'edificio.
Integrale: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Estensione - Beni o
servizi in comune tra condomini
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 27.9/28.10.1995 il Tribunale di Bassano del Grappa adito da Antonio Contri pronunciava
lo scioglimento della comunione esistente tra lo stesso ed il fratello Giuliano Contri su una porzione di
immobile a due piani sito in Asiago.
Le quote erano attribuite secondo una delle due soluzioni prospettate dal C.T.U..
Avverso la sentenza del tribunale proponeva appello Contri Giuliano lamentando - per quel che ancora
interessa in questa sede - che, come da lui richiesto, non era stato disposto un autonomo accesso al
sottotetto né la divisione dello stesso con assegnazione ad esso appellante della metà anziché al solo
appellato.
La Corte di Appello di Venezia ha respinto il gravame sul presupposto che il sottotetto intanto non era
stato attribuito in proprietà esclusiva all'altro condividente ma era stato definito come "volume tecnico
condominiale" e che la richiesta di creazione di un autonomo accesso era stata disattesa in quanto
inutilmente dispendiosa in relazione alla concreta utilizzazione di detto accessorio, non potendo avere
nessuna decisiva influenza la mera affermazione dell'appellante di una pretesa vocazione edificatoria del
sottotetto.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Giuliano Contri con un motivo illustrato da memorie.
Resiste con controricorso Contri Antonio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nell'unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 161 c. p.c. e art.
1117 c. c. in relazione all'art. 360 n. 4 c. p.c. - nullità della sentenza ed omessa pronuncia -. Lamenta che
la proposta di divisione adottata indicava specificamente le parti che restavano in comune e che, sia nella
relazione sia nella descrizione allegata, non vi era alcun cenno al sottotetto, il quale, perciò, era stato
escluso dalla divisione nonostante la espressa richiesta in tal senso fatta dal ricorrente, con ciò
realizzandosi il vizio di omessa pronunzia. Inoltre, l'esclusione dalla elencazione delle cose comuni, la
definizione equivoca del sottotetto, come volume tecnico condominiale, l'accenno (sebbene negativo) alla
vocazione edificatoria del bene, finiva per attribuire, in mancanza di un titolo certo, la proprietà alla
controparte cui era stato assegnato l'appartamento sottostante, non potendosi, peraltro, escludere che in
futuro il sottoscritto diventasse passibile di utilizzazione edificatoria.
Il ricorso non è fondato.
Innanzitutto non è ravvisabile il vizio di omessa pronunzia essendo all'evidenza la motivazione sentenza
impugnata espressamente tesa a contrastare l'assunto dell'appellante in ordine alla natura del sottotetto
ed alla inclusione di essa nella divisione.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Il sottotetto, nella specie non abitabile, che è stato espressamente definito di primo grado (sul punto
confermato in appello) come "volume tecnico condominiale" non può, come tale ed in mancanza di titolo
contrario, che considerarsi compreso nella divisione a prescindere dalla sua mancata inclusione nella
specifica elencazione delle parti comuni.
I c. d. volumi tecnici, sono quelli destinati a contenere sia gli impianti tecnici del fabbricato (vano
ascensore, vano caldaia, vano autoclave, vano contatori ecc.) o altri beni comuni (es. vano scale) ovvero
sono altrimenti destinati all'uso comune. Essi rientrano, perciò, tra i beni comuni ai sensi dell'art. 117 c. c.,
sicché in caso di divisione dell'edificio cui detti spazi accedono, essi, in mancanza di espressa pattuizione
contraria, restano ricompresi tra i beni comuni anche se l'atto di divisione abbia elencato dettagliatamente
le (altre) parti comuni omettendo di inserire nella elencazione alcune di esse, come i volumi tecnici, che
restano comuni per definizione in virtù della loro naturale destinazione e della loro connessione materiale
e strumentale all'uso e al servizio delle singole parti dell'edificio e che, anche grazie alla non suscettibilità
(che nella specie è stata affermata dal giudice di merito, senza adeguata censura al riguardo, se non in
forma di una mera ipotesi) di separato ed autonomo godimento; instaura un vincolo di accessorietà tra le
dette cose o beni e le parti di proprietà esclusiva, quando il titolo non disponga altrimenti, e tale vincolo
costituisce il fondamento giuridico per l'attribuzione ex lege sugli stessi beni del diritto di condominio (per
una approfondita disamina al riguardo, cfr. Cass. Sez., II 7.7.2000 n. 9096).
Sulla base di questi principi, cui sostanzialmente la Corte di Appello si è attenuta, il ricorso va rigettato con
la conseguente condanna del ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro
1.545,50 di cui euro 1.500,00 (millecinquecento)per onorario.
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2. - I primi tre motivi del ricorso devono essere disattesi, mentre va accolto il quarto.
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2.1 Non esistono pronunzie specifiche concernenti le modifiche alle tabelle millesimali da
parte dell'assemblea per adeguare, sia pure provvisoriamente, il contributo alle
intervenute modifiche all'impianto di riscaldamento, quando l'aumento dei radiatori
nell'appartamento di uno dei condomini esige che alla nuova situazione di fatto
corrisponda la misura proporzionale del concorso nelle spese. Decidendo casi simili,
peraltro, la giurisprudenza ammette che l'assemblea, a maggioranza, adotti in via
provvisoria criteri diversi da quelli legali (Cass., Sez. II, 24 luglio 1973, n. 2164);
ammette, altresì, che qualora l'assemblea approvi le tabelle millesimali a maggioranza, i
criteri da essa stabiliti possano essere applicati a titolo di acconto e salvo conguagli, fino
alla approvazione definitiva (Cass., Sez. II, 2 agosto 1990, n. 7731). In linea generale,
quindi, all'assemblea dei condomini, nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione
delle cose, degli impianti e dei servizi comuni precisate dall'art. 1135 n. 2 cod. civ., deve
riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria, le tabelle millesimali
concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di
acconto e salvo conguaglio, quando, in seguito alle modifiche apportate da un
condomino all'impianto di riscaldamento all'interno del proprio appartamento, le tabelle
originarie non corrispondono alla nuova estensione degli elementi radianti. Avuto
riguardo al riconosciuto potere dell'assemblea di adottare, in via provvisoria, criteri
diversi da quelli legali o contrattuali e di applicarli a titolo di acconto e salvo conguaglio,
appare corretto il giudizio espresso dalla sentenza impugnata circa la validità della
deliberazione assunta dall'assembleare circa la modifica della tabella millesimale, sia
pure in via provvisoria (tenuto conto anche del fatto che la condomina aveva votato a
favore, riconoscendo così di usufruire in misura maggiore dell'impianto e di dover
contribuire in proporzione adeguata. Il giudizio circa il voto favorevole della condomina
interessata raffigura una valutazione di fatto circa la sussistenza della modifica
dell'impianto e della necessità di revisione delle tabelle, non sindacabile in cassazione,
siccome motivato in modo logicamente corretto e sufficiente).
2.2 E' noto che i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di
inammissibilità, le questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del
giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e delle richieste delle parti; in
particolare, non possono riguardare neanche nuove questioni di diritto, se esse
implichino la modificazione, anche in ordine agli elementi di fatto, dei termini della
controversia (tra le tante: Cass., II, 22 dicembre 1994, n. 11062; Cass., Sez. Lav., 8
luglio 1994, n. 6428). La questione concernente il disconoscimento e la contestazione
della conformità all'originale della copia fotostatica del verbale di assemblea 28 aprile
1986, prodotta dal condominio per provare il voto favorevole della Calvigioni alla nuova
ripartizione delle spese per il riscaldamento, la ulteriore questione della necessità di
manifestare il consenso in forma scritta, rivolto a tutti i partecipanti al condominio,
raffigurano temi nuovi, non prospettati nelle fasi precedenti, che richiedono accertamenti
di fatto e che, come tali, non sono proponibili per la prima volta in sede di legittimità.
2.3 Deve essere considerato inammissibile per difetto di interesse il terzo motivo,
concernente il capo della delibera relativo alla ripartizione delle spese per l'acqua. Per la
verità, manca l'interesse a conseguire, attraverso il ricorso e la susseguente tutela
giurisdizionale, l'annullamento del capo della delibera concernente la ripartizione delle
spese, secondo il criterio cui la ricorrente ritiene di avere diritto. Risulta dagli atti, invero,
che il tribunale ebbe ad annullare la deliberazione assembleare, nella parte in cui aveva
ripartito tra i condomini le spese per l'acqua equiparando l'appartamento della Calvigioni
a quelli più grandi, sulla base di un asserito "spreco" da parte di essa. Avendo la Corte
d'Appello respinto il gravame del Condominio e confermato sul punto la decisione del
Tribunale, che aveva accolto l'impugnazione della delibera proposta dalla Calvigioni,
costei non ha interesse a impugnare il capo della sentenza lei favorevole.
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2.4 In ordine al quarto motivo, concernente il criterio di ripartizione delle spese per la
pulizia e per la illuminazione delle scale, in una remota pronunzia si afferma che le spese
per la pulizia delle scale comuni vanno divise per metà in misura proporzionale all'altezza
di ciascun piano dal suolo e, per l'altra metà, in ragione del valore dei piano o delle
porzioni di piano (Cass., Sez. II, 25 marzo 1970, n. 801). Secondo l'orientamento più
recente, invece, la disposizione dell'art. 1124 cod. civ. riguarda le spese per la
conservazione della cosa comune e non riguarda le spese per la pulizia delle scale, alle
quali i condomini sono tenuti in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare
a ciascuno e che l'assemblea può ripartire, anche modificando i precedenti criteri, con la
maggioranza prescritta dall'art. 1136 cod. civ. (Cass., Sez. II, 19 febbraio 1993, n.
2018). Per fissare il criterio di ripartizione sulla base del fondamento e della funzione,
occorre ricordare che le spese per la illuminazione e la pulizia delle scale non raffigurano
spese per la conservazione, vale a dire spese per preservare l'integrità e mantenere il
valore capitale delle cose, secondo quanto previsto dagli artt. 1123 comma 1 e 1124
comma 1 cod. civ.; sibbene spese utili a permettere ai condomini un più confortevole
uso o godimento delle cose comuni e delle cose proprie. Pulizia ed illuminazione, infatti,
configurano dei servizi istituiti dai condomini, al fine di migliorare, il godimento delle cose
comuni, che produce un deciso miglioramento anche all'uso delle cose proprie. Fissato
che le spese per la illuminazione e per la pulizia delle scale non costituiscono spese per la
conservazione, tali spese sono necessarie per il migliore godimento delle cose comuni.
Le scale buie o sporche possono essere utilizzate per accedere al piano o alla porzione di
piano, ma la luce e la pulizia secondo l'attuale sensibilità raffigurano condizioni
indispensabili per l'uso. Diversamente dalle spese perla manutenzione e la ricostruzione
delle scale, quelle per la pulizia e per la illuminazione vanno considerate come spese per
l'uso. Orbene, le scale costituiscono certamente delle parti comuni destinate a servire i
condomini in misura diversa, in quanto i proprietari dei piani inferiori normalmente non
usano il tratto, che conduce ai piani superiori. Trattandosi di cose, oggettivamente
destinate a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o
superiore al diritto di comproprietà sulle parti comuni, le spese per la pulizia e per la
illuminazione delle scale, in quanto spese per l'uso, devono suddividersi a norma del
criterio fissato dall'art. 1123 comma 2 cod. civ., che può trovare applicazione con
riguardo a qualunque parte comune dell'edificio: pertanto, i condomini sono tenuti a
contribuire a queste spese non in base ai valori millesimali di comproprietà, ma all'uso
che ciascuno può farne (sulle spese per l'uso cfr.: Cass., Sez. II, 23 dicembre 1992, n.
13655; Cass., Sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160). Il quarto motivo, perciò, deve essere
accolto.
3. - La Corte, rigettati i primi tre motivi del ricorso, deve accogliere il quarto; perciò, deve cassare
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviare la causa ad altra sezione della
Corte d'Appello di Roma che deciderà, anche sulle spese, secondo il principio di diritto sopra
espresso.
P.Q.M.
La Corte, rigetta i primi tre motivi del ricorso ed accoglie il quarto; cassa in relazione al motivo accolto la
sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma anche per le spese.
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Con citazione del 21 ottobre 1988 Mario Compagnone conveniva dinanzi al Tribunale di Milano il
Condominio di via Ponte Seveso al fine di ottenere l'annullamento della delibera assembleare del 22
settembre 1988 nella parte in cui aveva individuato il criterio di ripartizione delle spese necessarie per
l'installazione di un ascensore, in relazione all'ipotesi di una innovazione prevista dal primo comma dell'art.
1123 cod. civ. Il Condominio si costituiva e resisteva alla domanda che l'adito tribunale rigettava con
sentenza del 18 febbraio 1990. L'appello proposto avverso tale pronuncia dal Compagnone veniva
respinta dalla Corte di appello di Milano con sentenza 24 settembre 1991. Secondo la Corte la dotazione
ex novo di un ascensore realizza una innovazione per il condominio destinata a servire ciascun condomino
in misura diversa e pertanto la fattispecie concreta doveva essere sussunta nel paradigma normativa
fissato dall'art. 1123 c. c. Rettamente pertanto l'assemblea aveva deliberato di ripartire la spesa in misura
proporzionale al valore della quota di acquisto della proprietà. Contro questa sentenza ha proposto ricorso
il Compagnone sulla base di quattro motivi di cassazione. Resiste con controricorso il Condominio di via
Ponte Seveso. Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
È pregiudiziale l'esame del quarto motivo di ricorso attinente alla denunciata nullità della delibera
assembleare del 22 settembre 1988 conseguente alla asserita violazione delle maggioranze richieste in
tema di innovazioni. Il motivo è inammissibile in quanto la questione che viene sollevata è del tutto
nuova, posto che di essi non v'è traccia nelle conclusioni definitive di cui ha dato atto la sentenza
impugnata. Lo stesso ricorrente peraltro non censura la sentenza impugnata, ma eccepisce la nullità della
delibera per la mancanza delle maggioranze richieste ex lege, senza considerare che il giudizio di
legittimità non consente di proporre per la prima volta questioni che dovevano essere sollevate nel
giudizio di merito.
Con il primo motivo denunciando contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia
lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, contraddicendosi da un lato ha affermato che è giusto
che la spesa dell’ascensore gravi in proporzione della quota di acquisto e dall'altro ha ritenuto legittima la
delibera assembleare secondo cui la ripartizione andava fatta in base all'altezza dei piani. Con il secondo
motivo denunciando violazione dell'art. 1124 c. c. sostiene il ricorrente che attesa la applicabilità in via
analogica della disciplina prevista per le scale dall'art. 1124 c. c., non avendo questa norma natura
eccezionale, nella specie doveva trovare applicazione il criterio di ripartizione delle spese dettate per la
ricostruzione delle scale. Con il terzo motivo denunciando violazione dell'art. 1123 c. c. sostiene il
ricorrente, in via subordinata, che nel caso di specie potrebbe essere ritenuto applicabile il primo comma
dell'art. 1123 e non certo il secondo comma, che attiene all'uso proporzionale della cosa comune.
Tutte queste censure che per la loro stretta correlazione è bene esaminare congiuntamente, non sono
meritevoli di accoglimento. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha ritenuto legittima la
delibera assembleare che ha ripartito le spese per l'installazione ex novo dell'ascensore, esclusivamente in
base all'altezza dei piani e per ciascun piano in base ai millesimi di proprietà, laddove invece a suo avviso
nella specie andava applicata in via analogica la disciplina dettata dall'art. 1124 c. c. per la ricostruzione
delle scale e, in via subordinata il criterio stabilito dal primo comma dell'art. 1123 per le innovazioni
deliberate dalla maggioranza. La tesi del ricorrente non può essere condivisa per un duplice ordine di
ragioni.
Non ha fondamento, invero l'assunto principale del ricorrente, sostenuto senza successo dinanzi al giudice
di appello, secondo cui nella fattispecie dovrebbe trovare applicazione, per analogia, ricorrendo la identica
ratio, la regola posta dall'art. 1124 c. c., relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e
ricostruzione delle scale, posto che la questione, della ripartizione delle spese sostenute da un condominio
per la instaurazione ex novo dell'impianto di ascensore, è stata anche di recente affrontata da questa
Corte regolatrice che con la sentenza n. 5479 del 16 maggio 1991 l'ha risolta nel senso che per la
ripartizione delle spese per la cennata installazione deve trovare applicazione la disciplina dell'art. 1123
relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberata dalla maggioranza e cioè in proporzione al
valore della proprietà di ciascun condomino. L'affermazione di tale principio non comporta - come
potrebbe sembrare a prima vista - l'accoglimento della tesi subordinata del ricorrente e ciò in quanto i
motivi di ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni che hanno formato
oggetto di gravame con l'atto di appello, non essendo consentito, in virtù del principio che le nullità del
giudizio di primo grado si convertono in motivi di gravame, propone doglianze relative al procedimento di
primo grado, dal momento che la decisione di appello assorbe totalmente quella impugnata, la quale nel
caso in esame aveva ad oggetto un unico tema di contestazione, concernente esclusivamente la invocata
applicabilità alla fattispecie della disciplina dettata dall'art. 1124 cod. civ.
Né può obiettarsi che poiché oggetto del giudizio è l'impugnazione della delibera assembleare che ha
determinato i criteri di ripartizione delle spese relative all'acquisto ed alla instaurazione di un nuovo
ascensore, spetta al giudice individuare la disciplina giuridica della fattispecie dedotta in giudizio, in quanto
il giudizio che si instaura a seguito della proposizione della impugnativa è un vero e proprio giudizio di
cognizione, per cui è fuor di dubbio che nella specie al giudice di appello non competeva altro compito che
quello di esaminare le ragioni in base alle quali si invocava la riforma della pronuncia impugnata.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Né può sostenersi che la pronuncia impugnata sarebbe contraddittoria avendo affermato da un lato che è
giusto che la spesa dell’ascensore gravi in proporzione della quota di acquisto e dall'altro ritenuta legittima
la delibera assembleare che ha adottato un diverso criterio, posto che il difetto di motivazione della
sentenza può formare oggetto di ricorso per cassazione solo per quanto attiene all'accertamento e la
valutazione dei fatti rilevanti per la decisione e non anche per quanto concerne l'interpretazione e
l'applicazione di norme di diritto. Nella specie la sentenza impugnata ha correttamente disatteso il
gravame proposto dal Compagnone che ha lamentato esclusivamente la mancata applicazione alla
fattispecie della disciplina posta dall'art. 1124, tenendo ferma conseguentemente la decisione adottata dal
primo giudice. Ne consegue pertanto che poiché la pronuncia di rigetto del gravame da parte del giudice di
appello è giuridicamente esatta, il presente ricorso non è fondato e deve essere rigettato. Le spese
seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo (Omissis).
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Asseriva la Corte, dopo aver precisato che delle parti costituenti l'impianto dell’ascensore soltanto un
tratto di galleria poteva pacificamente ritenersi costruito nel terreno sottostante il caseggiato di salita San
Francesco n. 8/A e quindi appartenente al novero delle cose comuni; che ciò tuttavia non comportava che
potesse valere per il caso di specie la presunzione ex art. 1117 c. c. dal momento che la struttura
realizzata nel sottosuolo non era univocamente destinata al servizio o al godimento comune dei
condomini, quantomeno in via esclusiva. L'ascensore, infatti, non era strutturalmente connesso all'edificio
condominiale, serviva per raggiungere dalla sottostante via Cairoli l'ingresso dello stabile, altrimenti
raggiungibile a piedi e avrebbe potuto essere utilizzato come mezzo di trasporto.
La società Meridiana, del resto, si era riservata la proprietà degli impianti e degli accessori tant'è che nel
vendere le singole unità immobiliari aveva concesso agli acquirenti le servitù di passaggio per l'accesso
all'ascensore.
Affermava, ancora, la Corte che, anche a ritenere la Chiappara comproprietaria del sottosuolo e quindi del
tratto di galleria in esso costruito, essendo stato l'impianto realizzato per mezzo di altri beni non di
proprietà comune, non era possibile parlare di innovazione, riguardando questa solo la cosa comune e
quindi non era consentito l'esercizio della facoltà di cui all'art. 1121 cod. civ.
Né, ancora, l'impianto poteva ritenersi divenuto bene condominiale per effetto della vendita fatta ai
condomini con l'atto del 1961 in quanto l'acquisto fu effettuato dai singoli proprietari degli appartamenti i
quali ebbero a costituire una comunione assolutamente autonoma rispetto al condominio e da questo
nettamente distinta.
Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione la Chiappara alla quale resistono con controricorso la soc.
Meridiana, i signori Raffaele Villari, Giuseppe Giorgio Magilio, Mario Federico, Luigi Asquasciati.
Questi ultimi hanno presentato memoria come anche la ricorrente. Il procuratore generale ha chiesto il
rigetto del ricorso.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Il problema de quo, infatti, ha portato i giudici di merito a decisioni difformi, negando il giudice d'appello,
in contrasto con il primo giudice, che l'impianto di asensore esterno de quo possa configurare una
innovazione ai sensi dell'art. 1120 c. c. per partecipare ai vantaggi della supposta innovazione. Si
sostiene, invero, nella sentenza impugnata, che l'innovazione in senso tecnico prevista nel cod. civ.,
riguarda solo la cosa comune, nel senso che le opere che ad essa danno luogo, devono effettuarsi
esclusivamente nell'ambito delle parti comuni; ed inoltre che non è possibile, invocando l' art. 1121 c. c.,
pretendere di diventare comproprietario di un'opera (l’ascensore de quo) che, per essere formato anche di
parti estranee alla proprietà condominiale, non può essere considerata cosa comune.
Non varrebbe, invero, nella specie, la presunzione di comunione dell'art. 1117 c. c., stante la mancanza di
connessione strutturale dell'edificio condominiale con l'ascensore, concepito inizialmente per mettere in
collegamento due strade poste tra loro a notevole dislivello e quindi da utilizzare come mezzo di trasporto.
Né potrebbe, comunque, tale presunzione mai prevalere, considerato il tenore degli atti di trasferimento
(v. rog. not. Sciolla del 1961) dei singoli appartamenti ai condomini da parte della soc. Meridiana
costruttrice, dai quali risulta che la stessa trasferiva agli acquirenti, anche i diritti di servitù e proprietà
relativi all'impianto.
Nel confutare gli argomenti di cui sopra, va in primo luogo precisato che l’ascensore de quo, come emerge
dalla sentenza impugnata, contrariamente alle dedotte intenzioni iniziali della società costruttrice, serve
unicamente il condominio di via S. Francesco da Paola n. 8/A, consentendo ai condomini di accedere dalla
sottostante via Cairoli, direttamente all'androne dello stabile condominiale. Quindi non di mezzo di
trasporto, destinato all'uso indiscriminato del pubblico si tratta, ma di un impianto destinato ai soli
condomini, diretto all'uso più comodo delle singole proprietà condominiali, che utilizza, con riferimento
all'androne ed al sottosuolo, elementi strutturali del condominio, costituenti, allo stesso tempo, parti della
struttura dell'impianto ad esso funzionalmente collegate. Ed è proprio tale nesso funzionale tra parti
strutturali del condominio e parti strutturali dell'impianto, tale da rendere le prime necessarie all'esistenza
dell'intero impianto, che consente di qualificare come innovazione l'impianto di ascensore esterno di cui si
tratta, rientrando nel concetto di innovazione non solo quelle opere che incidono esclusivamente sulle parti
comuni dell'edificio condominiale, ma anche quelle che oltre ad alcune parti comuni, interessano parti ad
esse estranee ma con le prime funzionalmente collegate e costituenti un tutt'uno con esse.
Affermare ciò significa, al contempo, ritenere possibile l'inserimento dell'impianto di ascensore esterno de
quo, fra le cose comuni dell'edificio condominiale, operazione che trova conforto nell'art. 1117 n. 3 c. c. il
quale individua nel servire all'uso ed al godimento comune il criterio unico seguito dal legislatore per
l'attribuzione della proprietà comune alle installazioni, qual è nel nostro caso, l'ascensore.
Né può ritenersi di ostacolo, ad una tale concezione, il fatto che le parti dell'impianto, estranee al
condominio, insistano su terreno di proprietà esclusiva di un condomino (la Meridiana Srl) o di terzi,
gravate di servitù di passaggio acquistate dalla prima per rendere possibile la costruzione dell'impianto.
Infatti, costituendo l'impianto cosa principale, l'avvenuta destinazione del terreno di proprietà esclusiva a
servizio dell'impianto stesso, e ciò ad opera della titolare del terreno, attribuisce a questo la natura di
pertinenza dell'impianto, con conseguente attrazione nel regime giuridico della cosa principale.
Quanto, invece, alle servitù acquisite dalla Meridiana Srl per consentire l'installazione dell'impianto, trattasi
di servitù costituite a favore del condominio.
Aver fin qui evidenziato come l'impianto de quo abbia i requisiti per costituire oggetto di proprietà
condominiale, non significa che esso sia stato tale fin dal momento della sua costruzione.
Va, a tal proposito precisato che l'avvenuta costruzione dell'impianto di ascensore ad iniziativa esclusiva
della Meridiana, ed a sue spese, comporta l'inquadramento della fattispecie nell'ambito dell'art. 1102 c. c.,
avendo la Meridiana, in qualità di condomino, fatto uso delle parti condominiali di proprietà comune
(sottosuolo e androne) senza alcuna delibera assembleare e quindi al di fuori della previsione dell'art.
1120 cod. civ.
Ciò non toglie, tuttavia, che la Meridiana dall'uso dell'androne e del sottosuolo, sia pervenuta, con la
costruzione dell'intero impianto, a dar vita ad una innovazione rispetto all'intero edificio condominiale, che,
per essere stata posta in essere interamente a sue spese, deve considerarsi di sua proprietà esclusiva (v.
Cass. 3314/71) fino alla richiesta dei condomini, in applicazione dell'art. 1121 c. c., di partecipare ai
vantaggi della stessa contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
Così inquadrata la fattispecie, trovano spiegazione sia la delibera assembleare precedente che l'atto
successivo di vendita del 1961 dalla Meridiana ai condomini (tranne due), configurandosi la prima quale
richiesta di usufruire dell'innovazione ai sensi dell'art. 1121 c. c., ed operando il secondo il trasferimento in
proprietà comune, ai condomini che l'hanno richiesto, dell'impianto di ascensore già di proprietà esclusiva
della Meridiana.
Legittimamente, pertanto, la Chiappara invoca l'applicazione dell'art. 1121 c. c., stante la sua qualità di
condomina.
Il ricorso va, quindi, accolto, e la sentenza cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di
Genova che provvederà ad un nuovo esame della controversia in applicazione dei principi su esposti.
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Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio (Omissis).
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Con il primo motivo denunciando violazione dell'art. 1362 c. c. in relazione all'art. 360, n. 3, c. p.c.
assume il ricorrente che una volta soppresso il servizio di portierato, che aveva tra l'altro l'incombenza
della pulizia delle scale, era da applicare automaticamente l'art. 8 del regolamento contrattuale e la tabella
ad esso allegata, che disciplinano espressamente il servizio di pulizia delle scale, trattandosi di norma
regolamentare intangibile che non può essere modificata senza il consenso di tutti i condomini.
Con il secondo motivo denunciando violazione dell'art. 1124 c. c. in riferimento all'art. 360, n. 3, c. p.c.
sostiene il ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata si è richiamata all'art. 1123, secondo
comma, c. c., perché qualora si fosse ritenuto di applicare le norme regolamentari, la pulizia delle scale
doveva essere regolata dall'art. 1124 cod. civ.
Entrambi i motivi, che per la loro connessione conviene esaminare congiuntamente, sono infondati, anche
se la motivazione della sentenza, il cui dispositivo è conforme al diritto, deve essere in parte corretta.
Invero nell'ipotesi di regolamento condominiale richiamato nei singoli atti di acquisto degli appartamenti
dell'edificio condominiale, hanno natura contrattuale soltanto le disposizioni che incidono nella sfera dei
diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condomino, mentre hanno natura tipicamente regolamentare le
norme riguardanti le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere l'organizzazione e il funzionamento dei
servizi condominiali. Infatti le norme regolamentari, a differenza di quelle contrattuali, le quali sono
suscettibili di variazioni soltanto con il consenso di tutti i condomini manifestato in forma scritta, possono
essere modificate al fine di essere adottate alle mutevoli esigenze della collettività condominiale,
dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 cod. civ.
Ora in relazione a tale principio è esatto quanto sostiene il ricorrente in ordine alla intangibilità delle
clausole contenute nel regolamento contrattuale che attengano alla sfera dei diritti soggettivi di ciascun
condomino.
Sennonché nel caso di cui si tratta il regolamento contrattuale e in particolare l'art. 8 invocato dal Caneva
disciplina la ripartizione delle spese relative alla manutenzione e ricostruzione delle scale in stretta
correlazione con i criteri dettati dall'art. 1124 c. c., talché non soccorre il richiamo alla manutenzione delle
scale, in quanto le spese di manutenzione sono quelle che mirano alla conservazione della cosa e che a
causa della naturale deteriorabilità della stessa si rendono necessarie per renderne perfetto l'uso e il
godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza.
Diverso è invece il caso della ripartizione delle spese della pulizia delle scale - che ha costituito oggetto
della delibera impugnata - che attengono più semplicemente alla organizzazione e al funzionamento delle
cose comuni destinate a servire i condomini. Infatti i criteri di ripartizione di tali spese hanno natura
tipicamente regolamentare, per cui come sostanzialmente ha ritenuto la Corte milanese, la ripartizione
ben può essere modificata al fine di essere adattata alle mutevoli esigenze della collettività condominiale
con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 cod. civ.
È palesemente errato parlare di manutenzione quando si tratta di spese di pulizia delle scale, alle quali i
condomini sono tenuti a contribuire in ragione della utilità che la cosa comune è destinata a dare a
ciascuno e che l'assemblea ha legittimamente ripartito in virtù delle attribuzioni riconosciutale dall'art.
1135, secondo comma, e art. 1138 c. c. Il ricorrente sostiene che anche a voler riconoscere la legittimità
della introduzione di un diverso criterio di ripartizione delle spese, rispetto a quello pattizio, la delibera
sarebbe egualmente nulla per difetto della maggioranza richiesta dal secondo comma dell'art. 1136 c. c. e
adottata in materia non inserita nell'ordine del giorno.
Queste censure sono inammissibili.
Le doglianze del ricorrente costituiscono un elemento inedito introdotto per la prima volta in questa sede.
I motivi del ricorso per cassazione debbono investire a pena di inammissibilità statuizioni e questioni che
hanno formato oggetto di contestazione in sede di appello, talché nel giudizio di cassazione non possono
essere prospettate per la prima volta questioni nuove e nuovi temi di contestazione involgenti
accertamenti di fatto, non compiuti né richiesti in sede di merito.
I due motivi, sono pertanto inammissibili.
Il ricorso in definitiva deve essere rigettato, mentre sussistono giusti motivi per la compensazione delle
spese (Omissis).
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In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 c. c. relativa alla ripartizione delle spese di
manutenzione a ricostruzione delle scale (per meta` in ragione del valore dei singoli piani o porzione di
piano, per l'altra meta` in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) e` applicabile per
analogia, ricorrendo l'identica "ratio", alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore
gia` esistente. Nell'ipotesi, invece, d`installazione "ex novo" dell'impianto dell’ascensore trova
applicazione la disciplina dell'art. 1123 c. c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni
deliberate dalla maggioranza (proporzionalita` al valore della proprieta` di ciascun condomino). da
vedere: [s72\00156] [s67\00042] conforme: [s69\03514]
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Avverso la sentenza, non notificata, hanno proposto ricorso con atti rispettivamente del 20 marzo e 23
aprile 1986 e con tre motivi ed uno solo la Società "La Frentana" e Venturini Maria Laura che resiste anche
con controricorso al ricorso della società e ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i due ricorsi, principale ed incidentale, devono in applicazione dell'art. 335 c. p.c., essere
riuniti.
Con il primo motivo la Società "La Frentana" deduceva violazione falsa applicazione degli artt. 934 e 1350
n. 2 c. c. In relazione all'art. 360 n. 3 c. p.c lamenta che la sentenza impugnata nel ritenere che in base
alla documentazione prodotta fosse stata raggiunta la prova di un accordo tra le parti per la costruzione in
comune dell'impianto di ascensore con conseguente comproprietà di esso (il suolo sul quale era stato
realizzato era in parte di proprietà del condominio, in parte dalla ricorrente), non ha considerato che un
consenso meramente verbale della stessa prestato alla localizzazione dell'impianto non era valido, per il
combinato disposto degli artt. 934, 952, e 1350, n. 2, c. c. a far acquistare alla Venturini, che non era
neanche in parte proprietaria del suolo, la comproprietà dell'impianto.
Nella documentazione che la sentenza impugnata ha richiamato per ritenere dimostrato l'accordo delle
parti in ordine alla realizzazione dell'impianto dell'ascensore, vi è il verbale dell'assemblea condominiale 28
febbraio 1968 con il quale si erano accollate le spese per la costruzione dell'impianto; nel verbale era stato
precisato (vedi ricorso incidentale Venturini), che tutte le autorizzazioni, occupazioni di superficie,
possibilità di vincolo e di appoggio e tutte le altre incombenze e gravami nascenti dalla realizzazione
dell’ascensore venivano concesse reciprocamente fra i condomini a titolo assolutamente gratuito.
Non vi era stato quindi un consenso solo verbale alla costituzione a favore della Venturini, e per la sua
quota di proprietà, derivante per il suolo dalla presunzione dell'art. 1117 n. 1, c. c. di un diritto di
superficie sulle porzioni di spettanza della ricorrente, risultando detto consenso dal documento richiamato.
Il verbale di assemblea condominiale quando venga infatti utilizzato anche al preciso scopo di manifestare
per iscritto una volontà contrattuale degli intervenuti e sia sottoscritto da costoro, vale a conferire alla
convenzione la forma che sia richiesta dalla legge ad substantiam (vedi termini. Cass. 16 ottobre 1968, n.
3317 e, più in generale, sul carattere di scrittura privata vincolante del verbale di assemblea
condominiale: Cass. 25 ottobre 1980, n. 5759; Cass. 10 aprile 1979, n. 2071; Cass. 21 maggio 1976, n.
1830).
Con il secondo motivo deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1110, 1104, 1123, 1124 c. c.
in relazione all'art. 360, n. 3, c. p.c. la società ricorrente lamenta che, anche a voler ritenere di proprietà
comune l'impianto dell’ascensore in virtù dell'accordo intervenuto fra le parti per la sua costruzione, non
ha la sentenza impugnata considerato che per l' art. 1101 c. c. le quote di comproprietà del manufatto si
presumono uguali e pertanto ciascun partecipante alla comunione deve in applicazione del secondo
comma dell'art. concorrervi nella medesima proporzione (per la metà) non trovando applicazione al
riguardo normativa in tema di condominio degli edifici.
In ogni caso, erroneo è il criterio di ripartizione delle spese di costruzione dell'impianto come stabilito dalla
Corte d'appello dovendosi tener conto non della destinazione d'uso di ciascuna porzione immobiliare
servita dall'impianto, ma della disciplina dell'art. 1124 c. c. in materia di manutenzione e ricostruzione
delle scale applicabile per analogia come precisato dalla Suprema Corte con la sentenza 25 ottobre 1969,
n. 3514.
Si oppone dalla Venturini l'inammissibilità oltreché l'infondatezza della censura in quanto prospetterebbe
una questione nuova.
Il motivo è ammissibile, ma infondato.
Nel giudizio di legittimità la preclusione alla proponibilità di questioni nuove opera esclusivamente nel caso
di prospettazione di nuovi temi di contestazione non profilati nelle precedenti fasi del giudizio, ossia con
riferimento alla proposizione di nuove questioni di diritto che implichino una modificazione, anche in ordine
agli elementi di fatto, dei termini della controversia, o che diano luogo alla formulazione di domande ad
eccezioni nuove non rilevabili d'ufficio.
È quindi consentito, fermi i fatti accertati dal giudice del merito, dedurre per la prima volta nuovi profili di difesa ed una tesi
giuridica non prospettata nelle precedenti fasi del giudizio, purché non si fondino su elementi di fatto nuovi, onde non sia
necessario procedere il loro accertamento (vedi Cass. 24 ottobre 1988, n. 5756; Cass. 16 novembre 1987, n. 8382; Cass. 6 ottobre
1984, n. 4986).
Ora, la società, fin dal momento della costituzione in giudizio aveva dedotto che le spese, sia di costruzione dell'impianto di
ascensore, sia di manutenzione, dovevano essere ripartite a metà secondo gli accordi presi nell'ambito di una comproprietà
dell'edificio.
In richiamo in questa sede all'applicabilità della normativa sulla comunione in generale (artt. 1110, 1104 c. c. ) e non del
condominio negli edifici, non importa una modificazione degli elementi di fatto della controversia che restano sempre quelli
dell'incidenza di tali spese secondo criteri i quali, anche se diversi, attengono allo stesso presupposto già accertato e relativo alla
realizzazione dell'impianto.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
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La pronunzia non ha in tal modo considerato che avendo la società riproposto in grado di appello tutte le
questioni relative al riconoscimento di una sua proprietà esclusiva sull'impianto e che riguardavano anche
lo stato delle porzioni immobiliari su cui era stato realizzato, la pretesa della ricorrente era pur sempre
connessa con il tema di indagine proposto dall'impugnazione principale; che l' art. 334 c. p.c. non contiene
alcun limite di ordine oggettivo per cui l'appellato può proporre impugnazione incidentale tardiva contro
qualunque capo della sentenza e non soltanto contro quelli connessi o dipendenti dalla impugnazione
principale; sul collegamento, inoltre, fra le due impugnazioni non ha la sentenza motivato.
Le censure sono fondate.
La giurisprudenza più recente di questa corte ha chiarito come in conformità della ratio dell'art. 334 c. p.c.
di rendere possibile alla parte parzialmente soccombente di accettare la sentenza soltanto se la medesima
venga accettata anche dalla controparte senza dover subire gli effetti della decadenza dal diritto
dell'impugnazione o della propria acquiescenza, le parti contro le quali è stata proposta impugnazione e
quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c. p.c. possono proporre
impugnazione incidentale anche quando per esse è trascorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla
sentenza, contro qualsiasi statuizione della stessa che abbia deciso la controversia in senso a loro
sfavorevole ed anche quando si tratti di cosiddetti capi autonomi della pronuncia impugnata non
risultando, neppure dalla lettera della disposizione normativa, alcun limite oggettivo alla ammissibilità
(vedi Cass. 23 marzo 1989, n. 1459; Cass. 23 gennaio 1989, n. 399; Cass. 24 novembre 1988, n. 6311;
S.U. 7 novembre 1898, n. 4640; Cass. 27 dicembre 1988, n. 7069).
La sentenza impugnata che di tali principi non ha tenuto conto, deve essere pertanto annullata con rinvio
ad altra sezione della Corte d'appello di Roma che dovrà ad essi uniformarsi provvedendo anche sulle
spese del giudizio (Omissis).
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I giudici di appello rilevarono che nella fattispecie era da applicare il regolamento condominiale che, per la
sua natura convenzionale, prevaleva sulla disciplina legale; che, in base agli art. 5 e 21 di tale
regolamento, tutti i condomini erano considerati utenti dell'ascensore, dichiarato espressamente parte
comune dell'edificio condominiale; che, d'altra parte, esattamente il tribunale aveva rilevato che anche il
proprietario di unità al pianterreno può avere bisogno di raggiungere i lastrici solari di proprietà comune
ancorché non praticabili in quanto il relativo accesso è pur sempre a lui consentito per soddisfare bisogni,
come l'impianto e riparazione di antenne televisive; che comunque era decisivo l'art. 48 del regolamento
concernente le spese per l'ascensore, in quanto le relative tabelle, per le spese ordinarie, non
prevedevano oneri proporzionati ai millesimi per l'appartamento dello Iannace (e per altro pure sito a
piano terreno) mentre, per le spese straordinarie, era prevista la ripartizione di esse tra gli utenti in
proporzione ai valori delle singole proprietà; che ciò significava che tale ultima ripartizione doveva
avvenire secondo i valori espressi nella tabella A e quindi tra tutti i condomini; che non bastava la parola
"utenti" usata nell'art. 48 ad escludere la riferibilità della disciplina all'appellante, in quanto, se così fosse
stato, non si sarebbe spiegata la differenza tra la disciplina concernente le spese ordinarie e quella
concernente le spese straordinarie; che infatti nel fabbricato anche i locali a pianterreno erano soggetti
alle spese ordinarie mentre per il fabbricato E anche i locali a pianterreno erano soggetti alle spese
ordinarie mentre per il fabbricato A le relative tabelle escludevano i locali terranei dalle spese ordinarie
dell’ascensore non da quelle relative alle scale, nonostante l'indubbia analogia di posizione di tali locali
rispetto e all’ascensore e alla scala.
Avverso tale sentenza lo Iannace ha proposto ricorso, chiedendone la cassazione per tre motivi, illustrati
con memoria.
L'intimato condominio non si è costituito in giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Nella parte motiva il ricorso è costituito da una ampia premessa che viene poi condensata nei tre motivi di
gravame, premessa che costituisce parte integrante dei motivi stessi e di cui quindi nell'esame dell'attuale
gravame va tenuto conto.
Sostiene infatti il ricorrente che la Corte di merito è partita da presupposti erronei nella interpretazione
dell'art. 48 del regolamento condominiale, in quanto ha iniziato col richiamo all'art. 5 che contiene l'elenco
dei beni comuni, ha integrato tale richiamo con l'indicazione dell'art. 21 ed è giunto alla conclusione di
ritenere "utenti" (prima parte dell'art. 48) tutti i condomini agli effetti delle spese straordinarie di
manutenzione.
Afferma il ricorrente che parti comuni sono anche le scale e non per questo il titolare di un terraneo senza
comunicazione con androne e scale partecipa alla manutenzione delle scale o dell'androne: la tesi di chi
ritiene che il proprietario del piano terreno debba contribuire alle spese per la manutenzione delle scale
anche quando non possa accedere in alcun modo al lastrico solare viola quindi l'art. 1124 c.c. E lo stesso
criterio vale ovviamente in relazione alle spese per l'ascensore.
Assume il ricorrente che una diversa disciplina non risulta nel caso dall'art. 21 del regolamento
condominiale, che attribuisce ad ogni condomino l'uso libero dell'ascensore, il che non vale a trasformare
in utenti i condomini a piano terra, in quanto l'uso libero si configura in presenza di una utenza effettiva, la
quale è alla base della disciplina sia legale che convenzionale.
Né l'art. 48 del regolamento condominiale in questione comporta deroga alla disciplina legale in quanto
prevede che le spese di impianto e di riparazione straordinaria, di ricostruzione e di innovazione si
dividono tra gli utenti in proporzione ai valori delle singole proprietà mentre quelle di ordinaria
manutenzione e quelle di esercizio si ripartiscono tra i condomini utenti applicando le aliquote di cui alla
tabella C: invero, poiché all'epoca della stesura del regolamento il palazzo era già fornito di ascensore in
tutte le scale, è da ritenere che l'ipotesi di impianto, di ricostruzione o di innovazione non si riferisse alla
possibilità pratica di impiantare altri ascensori, per cui l'ipotesi richiamava unicamente la normativa
generale di cui agli artt. 1120, 1123, 1124 c.c. la quale rispecchia un ovvio principio di giustizia
distributiva delle spese in proporzione all'uso.
Erroneamente, quindi, i giudici di merito hanno ritenuto che la clausola derogasse ai principi legislativi in
materia: e tuttavia, ove si volesse interpretarla in tal senso, la ripartizione fissata nella clausola sarebbe
ristretta ai soli utenti, come previsto sia dalla norma che dal contratto.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
In base a ciò il ricorrente denuncia i seguenti vizi della decisione impugnata: a) violazione dell'art. 1362
c.c. perché i giudici di merito non si sono attenuti al testo letterale delle disposizioni del regolamento
condominiale ed in particolare dell'art. 5 in relazione all'art. 21 dando così significato diverso ed illogico al
contenuto degli stessi e giungendo in tal modo a conclusioni aberranti circa la normativa contrattuale del
regolamento (primo motivo); b) motivazione insufficiente, erronea e contraddittoria nell'aver attribuito
valore di regolamentazione ai fini della distinzione delle spese di manutenzione dell’ascensore sia alla
clausola dell'art. 21 sia alla prima parte dell'art. 48 che richiama la regola codificata dell'art. 1124
c.c.(secondo motivo); c) erronea comparazione di presupposti e vizio logico di motivazione nel trarne le
conclusioni, nell'aver erroneamente rilevato e ritenuto che per le spese ordinarie delle scale per il
fabbricato A il regolamento avrebbe adottato soluzione diversa dalla norma dell'art. 1124 c.c. includendo i
locali terranei nelle spese ordinarie relative alle scale ed escludendoli da quelle per l'ascensore, mentre
l'art. 47 dispone, al contrario, in esatta attuazione dell'art. 1124 c.c. (terzo motivo).
Tali doglianze sono infondate.
Va invero tenuto presente che, come il ricorrente non contesta e come è stato accertato dai giudici di
merito, si è in presenza di un regolamento condominiale avente natura convenzionale, per cui esso è
vincolante per tutti i condomini, prevalendo sulle eventuali diverse disposizioni legali in tema di
condominio che non siano dichiarate inderogabili.
Orbene, poiché la disciplina di cui agli artt. 1123 - 1124 - 1125 c.c. relativa al riparto delle spese inerenti
ai beni comuni non è affatto compresa nell'ambito delle norme che ex art. 1138 c.c. sono inderogabili
anche per convenzione, ne consegue che ben è lecito disporre con regolamento contrattuale una disciplina
del riparto delle spese divergente e derogante rispetto alla disciplina legale. Nella fattispecie i giudici di
merito sono partiti dall'elenco dei beni comuni contenuto nello art. 5 del regolamento condominiale,
evidenziando che tra tali beni è compreso appunto l'ascensore; hanno poi rilevato che l'art. 21 reg.
qualifica come utenti tutti i condomini (senza esclusione di sorta, quindi senza esclusione dei proprietari di
soli piani terreni); hanno chiuso poi il discorso in ordine al riparto delle spese per l'ascensore, rilevando
che l'art. 48 reg. statuisce che, per le spese ordinarie vi è apposita tabella (C) che esclude dal relativo
riparto i proprietari dei piani terreni mentre per le spese straordinarie il riparto avviene tra gli utenti, così
come in precedenza individuati, in base ai valori delle rispettive proprietà. Tale ragionamento non viene
affatto scalfito dalle censure del ricorrente.
Questi in effetti parte dalla disciplina legale di cui all'art. 1124 c.c. per sostenere che l'art. 21 del
regolamento non può essere interpretato in senso diverso da quello rispondente al criterio legale e
sostiene poi che in effetti l'art. 48, per la parte inerente alla spese straordinarie, in effetti richiama la
disciplina prevista dal codice civile.
Quindi il ricorrente da un lato non pone alcuna critica alla linea logica seguita dai giudici di merito per
giungere alla conclusione da essi accolta e da un altro vanifica la stessa esistenza del regolamento
condominiale, in quanto, postulandone la necessaria coincidenza con la disciplina normativa, finisce col
dedurre l'assoluta inutilità della regolamentazione pattizia delle spese di cui trattasi.
Invero, l'affermazione del ricorrente che - allorché l'art. 21 reg. parla di "uso libero degli ascensori" esso
non può che riferirsi a coloro che fanno effettivamente uso di tale impianto vuol dire dedurre come motivo
del ricorso per cassazione non un vizio logico di motivazione né la violazione di un canone ermeneutico
sibbene la propria personale interpretazione dell'art. 21 reg. nonché la vanificazione di tale articolo, di cui
il ricorrente postula la conformità al criterio legale di ripartizione delle spese.
Lo stesso dicasi, quando, in relazione all'esame dell'art. 48 reg. il ricorrente assume che la parte di esso
relativa alle spese straordinarie richiama la disciplina di cui agli artt. 1123 segg. cod. civ.
Invero il ricorrente non indica alcun elemento contrattuale che, se adeguatamente valutato, possa indurre
all'accoglimento della sua tesi interpretativa ma si limita ad affermare tale tesi, la quale in sostanza
comporta l'inutilità della disciplina convenzionale in materia.
È noto invece da un lato che la critica, in sede di legittimità, all'interpretazione di un contratto da parte del
giudice di merito deve essere basata sulla precisazione di vizi logici o di violazione di canoni ermeneutici e
da un altro che, in occasione di un'interpretazione del genere, va privilegiata, in base al principio
conservativo del contratto di cui è espressione l'art. 1367 cc, l'interpretazione che attribuisce alle clausole
contrattuali un qualche effetto in luogo di quella che rende assolutamente inutile l'apposizione delle
clausole stesse.
Non resta che rilevare che - sempre allo stesso modo apodittico che in precedenza - il ricorrente sostiene
che l'art.47 del regolamento, relativo alle spese per le scale, richiama la disciplina di cui all'art. 1124 c.c.:
tale affermazione cozza in pieno con la contraria affermazione dei giudici di merito (che hanno operato il
richiamo alla disciplina convenzionale circa le scale per corroborare la propria interpretazione in ordine alla
disciplina convenzionale dell'ascensore) e non è fondata sulla deduzione di alcun vizio di motivazione né
sulla enunciazione di alcun elemento contrattuale che possa indurre a valutazione contraria a quella
operata dai giudici di merito.
Il ricorso va quindi rigettato.
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Poiché l'intimato condominio non si è costituito in giudizio, non v'ha luogo ad alcun provvedimento in
ordine alle spese (Omissis).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Innovazioni - Su parti
comuni dell'edificio - In genere - Innovazioni vietate - Configurab...
Perché sussista l'innovazione di cui all'art 1120 cod civ occorre che le modificazioni apportate alle cose
comuni, nell'ambito della proprietà condominiale, siano di tale entità, sotto il profilo qualitativo e
quantitativo da incidere sulla sostanza della cosa comune, alterandone la precedente destinazione.
Pertanto, la sostituzione di ascensori usurati e non più agibili, con ascensori nuovi, anche se di tipo e di
marca diversi, non costituisce innovazione perché le cose comuni, oggetto delle modifiche, in vano -
ascensore con le strutture ed i locali annessi, non subiscono alcuna sostanziale modifica e conservano la
loro destinazione al servizio ascensore, anche se vengono apportate modifiche alla loro conformazione e
perché l'edificio, nel suo complesso, con la sostituzione degli ascensori, non subisce alcun sostanziale
mutamento ma conserva un servizio del quale è già dotato, a meno che l'entità e la qualità delle modifiche
introdotte sia tale da involgere un sostanziale mutamento del servizio e mutamenti di destinazione di parti
comuni dell'edificio.
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Insegna la Corte di cassazione che la norma in esame (e la previsione di regolamento che ad essa si
adegui) concerne le spese che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della cosa
comune e al fine di mantenerla efficiente (Cass. 2018/1993). In effetti, il criterio legislativo di ripartizione,
in quanto legato all'utilizzazione da parte dei condomini, incide anche sull'individuazione della nozione di
opere di manutenzione e di ricostruzione, le quali si concretano in quegli interventi che sono correlati con
l'intensità dell'uso, con la vetustà o con guasti accidentali (sostanzialmente in tali sensi, Trib. Parma 29
settembre 1994, ugualmente nel senso che tali interventi debbano essere stati determinati dall'utilizzo del
bene, si veda Trib. Bologna 2 maggio 1995).
Ben s'intende, pertanto, come la decisione di questo collegio non si ponga in contrasto con la sentenza di
questo tribunale del 29 marzo 1989, riguardante le spese di ripristino dell'impianto motore dell'ascensore.
Anzi, appare opportuno sottolineare, che, avendo riguardo al thema decidendum, il tribunale, in quella
sede, ebbe a rilevare l'inconferenza del richiamo alla sentenza 14 ottobre 1969 della Corte d'appello di
Genova, che aveva ad oggetto l'adeguamento dell'impianto di ascensore alle prescrizioni Enpi.
Dalle suesposte considerazioni discende che le spese di adeguamento dell'impianto di ascensore alla
normativa CEE non possono essere ricomprese nell'ambito di previsione dell'art. 1124 (e, per quanto
rileva nel presente giudizio, della tabella n. 6).
Esse, al contrario, in quanto concernono l’ascensore come parte comune vanno ripartite in misura
proporzionale al valore di piano dei condomini, così come determinato nella tabella n. 1.
Le spese seguono la soccombenza. Tenuto conto della natura e del valore della controversia nonché delle
questioni trattate, si liquidano in lire 2.600.500 (lire 1.500.000 per onorario, lire 705.000 per diritti, lire
175.000 per spese, lire 220.500 per rimborso spese generali), oltre Iva e Cap come per legge.
Sentenza esecutiva per legge (Omissis).
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Osserva preliminarmente il collegio che, siccome esattamente rilevato (v. scritti difensivi di parte
resistente), con la delibera 6 febbraio 1992 l'assemblea del condominio Elisabetta ha semplicemente
ripartito la spesa (straordinaria) per l'adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE fra tutti i condomini,
in proporzione ai millesimi di proprietà, in applicazione quindi del criterio fissato dall'art. 1123 c. c. ; che
con ciò l'assemblea non ha quindi modificato i criteri di riparto fissati in precedenza; che la delibera in
esame ha provveduto a ripartire quella singola spesa, ma non ha introdotto alcun criterio generale per la
ripartizione delle spese relative all'ascensore; che l'argomento era stato regolarmente posto all'ordine del
giorno nell'avviso di convocazione dell'assemblea.
Nel caso di specie quindi non si verte, pacificamente, in tema di nullità delle delibere (tali dovendosi
qualificare, secondo un ormai consolidato orientamento dottrinario e giurisprudenziale, soltanto quelle
prese fuori dall'assemblea o prive della maggioranza di legge, o assunte senza la regolare convocazione di
tutti i condomini o aventi oggetto impossibile, indeterminato, illecito, o lesive dei diritti di singoli condomini
sulle cose comuni oppure in proprietà esclusiva), bensì, eventualmente, solo di annullabilità delle stesse
(siccome asseritamente contraria alla legge o al regolamento di condominio): come tale soggetta al
regime di impugnazione previsto dall'art. 1137 c. c. Nella fattispecie pertanto gli attori non sono neppure
legittimati alla impugnazione della delibera, avendo essi, tramite il loro delegato Sartori, approvato la
stessa (e quindi il preventivo di spese e il criterio di ripartizione) (v. relativa documentazione in atti),
riservando l' art. 1137 c. c. la possibilità di impugnare le delibere annullabili, siccome, come detto, in linea
di principio, quella in esame, solo ai condomini assenti o dissenzienti.
Ulteriormente rilevandosi, nel merito, che la delibera in esame appare comunque esente da ogni vizio,
essendo indubitabile che gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE, trattandosi di
interventi diretti al conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone,
onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o
al suo uso (o godimento) bensì alla straordinaria manutenzione, riguardando l’ascensore nella sua entità
strutturale: le relative spese devono quindi essere sopportate da tutti i comproprietari (fra cui appunto gli
attuali attori comproprietari in ragione di sessantotto millesimi sulle parti comuni dell'edificio fra cui in
particolare ... l’ascensore o il relativo vano di scorrimento - v. rogito di acquisto), in ragione dei rispettivi
millesimi (orientamento giurisprudenziale consolidato in tale senso - v. anche Tribunale Milano 16 marzo
1989 secondo cui "l'impianto dell’ascensore costituisce una caratteristica dell'intero edificio, che ne fa
aumentare il pregio e il valore e pertanto tale beneficio viene dato allo stabile considerato nella sua
intierezza e si ripercuote su tutti i condomini ed i singoli appartamenti e non solo su quelli che
dell’ascensore fanno uso: ne discende che le spese attinenti all'impianto debbono essere sopportate in
ragione dei millesimi di proprietà anche dai proprietari degli appartamenti siti al piano terra" - come
appunto gli attori perché anche loro dalla esistenza nell'edificio dell’ascensore traggono il vantaggio di un
maggior valore della propria quota di comproprietà).
Mentre non può non evidenziarsi, alla luce della circostanza di cui sopra, la assoluta irrilevanza degli
ulteriori assunti di parte attrice, non esistendo pacificamente nel caso alcun titolo o convenzione fra i
condomini che abbia esonerato gli attori dal partecipare a tutte le spese relative all'ascensore: derivando
invece l'obbligo, a loro carico, di concorrere alle spese di carattere straordinario (come appunto in quelle in
esame, per l'adeguamento dell'impianto a disposizioni di legge) proprio dal fatto di essere comproprietari
dell'ascensore.
Va quindi ritenuta l'assoluta correttezza della delibera 6 febbraio 1989 di suddivisione fra tutti i condomini,
in proporzione dei millesimi di proprietà, delle spese di adeguamento dell'impianto di ascensore alla
normativa CEE.
Le spese del giudizio, secondo il principio della soccombenza, vanno poste a carico degli attori in solido
(Omissis).
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Ciò premesso, va chiarito che l'attrice ha precisato, fin dall'atto di citazione, che lo spazio rivendicato è
destinato a formare il basamento di fondazione dell'ascensore.
Le controparti non hanno nulla eccepito in ordine a questa precisazione, né contestato di avere ricavato da
detta area uno sgabuzzino, come chiarito dall'appellata nella comparsa di costituzione. Ne consegue che
non vi è incertezza sulla individuazione della cosa che forma oggetto della presente controversia. Non può
esservi dubbio sulla condominialità di un'area destinata alla installazione dell'ascensore.
La presunzione deriva dall'art. 1117 c. c. che annovera fra le cose che si presumono comuni gli ascensori
(e ovviamente le parti accessorie). La conferma della condominialità è data dal regolamento di
condominio, ove è precisato che fra le cose comuni rientra la sede interna del vano di corsa dell’ascensore
dal suo piano di inizio al piano di copertura del fabbricato. L'Oliverio non ha prodotto alcun titolo
particolare per vincere la presunzione derivante dall'art. 1117 c. c. e dal regolamento. Ha eccepito
soltanto l'usucapione. Al riguardo va osservato che il regolamento condominiale fu approvato
nell'assemblea del 18 dicembre 1965, col voto favorevole dell'ing. Oliverio.
Nel verbale si legge che fu proprio l'Oliverio a leggere ai condomini riuniti il predisposto regolamento di
condominio. Questa circostanza nega, in nuce, la ipotesi che l'Oliveiro abbia posseduto animo domini
prima del 18 dicembre 1965. È, dunque, il convenuto a smentire se stesso. Peraltro l'approvazione del
regolamento da parte dell'Oliveiro costituisce un implicito riconoscimento dell'appartenenza della area al
condominio. Il riconoscimento costituisce un'interruzione della prescrizione acquisita, ai sensi degli artt.
1165 e 2944 c. c. L'art. 2944, a differenza dell'ultimo comma dell'art. 2944, specificamente limitato ai
diritti di credito, è di carattere obbligatorio e reale (cfr. Cass. 2 novembre 1970, n. 1778). Dal 18
dicembre 1965 fino all'inizio della presente causa (17 dicembre 1985) non erano trascorsi i prescritti venti
anni per l'usucapione.
Pertanto, l'appello va rigettato (omissis).
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con citazione 22 aprile 1988 Luigi Mazzilli, Emilio Battevi, Arcangela
Cadore, Francesco Capacchione, Anna Maria Cassese in Airaghi, Vito Fanelli, Caterina Gennaio in Sola,
Claudio Lisiero, Cesare Marzorati, Stefano Miccolupo, Giovanni Moretti, Donato Potenza, Teresa Raffaldi
Caleffi e Vittorio Vitale, tutti partecipanti al condominio dello stabile di via Valassina n. 45 di Milano, e
proprietari di unità immobiliari site al piano terreno, fatta eccezione per Anna Maria Cassese, proprietaria
con il marito Angelo Airaghi di un appartamento al primo piano, hanno impugnato la deliberazione
dell'assemblea del 25 marzo 1988 che, deliberando il rifacimento totale degli ascensori, aveva stabilito che
il costo dell'opera venisse ripartito fra i condomini in base ai millesimi di proprietà, in applicazione del
regolamento condominiale.
Il condominio si è costituito, chiedendo che la domanda venisse respinta. Precisate le conclusioni, la causa
è stata assegnata in decisione all'udienza collegiale del 26 gennaio 1989.
MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'assemblea condominiale, con la deliberazione impugnata, ha stabilito che
le spese di rifacimento dell'impianto degli ascensori siano ripartite in proporzione al valore della proprietà
di ogni unità immobiliare, e quindi in proporzione "ai millesimi per ognuno segnati".
La questione che il tribunale deve decidere riguarda l'interpretazione della norma regolamentare citata;
occorre stabilire se il criterio indicato nel regolamento sia valido per la ripartizione di ogni spesa, ovvero se
essa non costituisca più semplicemente l'indicazione del criterio principale e non sia altro che la
riproduzione della prima parte dell'art. 1123 cod. civ., sicché per le parti, il cui uso o godimento non sia
pari per tutti i condomini, resterebbero in ogni caso applicabili le altre disposizioni previste dalla legge.
Osservano gli attori, infatti, che l'interpretazione proposta dal condominio contrasterebbe con la disciplina
legale e con esigenze di equità, perché le spese dell’ascensore non potrebbero porsi a carico dei
proprietari di unità al pianterreno e dovrebbero essere divise secondo le regole disposte dall'art. 1124 cod.
civ.
L'impugnazione proposta non può giudicarsi fondata.
Il condominio negli edifici ha il suo fondamento nel fatto che, non essendo unico il proprietario, alcune
parti dell'edificio sono necessarie all'esistenza stessa di questo, o sono permanentemente destinate all'uso
o al godimento comune di tutti i partecipanti.
Il rapporto di accessorietà che è insito nel concetto di comunione negli edifici implica che abbia rilevanza la
destinazione oggettiva del bene.
Il criterio per determinare l'oggettiva natura di una parte dell'edificio è costituito dal rapporto pertinenziale
che unisce la parte considerata al complesso della proprietà del gruppo condominiale, ovvero a singole
porzioni di esso.
A tale fine è necessario accertare quale sua la destinazione principale e non provvisoria del bene,
riscontrando quale utilità esso abbia l'attitudine a produrre, e verificando se quel bene, per la sua
attitudine funzionale al godimento collettivo, sia destinato all'uso comune, oppure serva esclusivamente
all'interesse di singoli partecipanti al condominio.
Quando risulta una relazione strumentale necessaria fra una parte o un impianto dell'edificio e l'uso
comune, sussiste il vincolo pertinenziale che ha qualificato comune una parte dell'edificio in applicazione
dei criteri stabiliti dalla disposizione prevista dall'art. 1117 cod. civ.
Questa disposizione la quale contiene una elencazione esemplificativa e non tassativa delle parti comuni,
stabilisce una presunzione di comproprietà fra i condomini relativamente alle parti nominate.
Fra le parti comuni per presunzione di legge, vi sono anche gli ascensori.
La presunzione legale non è assoluta e può essere superata, qualora risulti che taluno dei partecipanti non
possa beneficiare del servizio procurato dall'impianto dell'ascensore, così come è possibile per ogni altra
parte o impianto o manufatto dello stabile.
L'uso dell’ascensore è destinato al soddisfacimento di un interesse tanto maggiore quanto più elevato è il
piano in cui si trova l'unità immobiliare di proprietà esclusiva.
Se, dunque, è vero che l’ascensore è tipicamente una cosa destinata a servire i condomini in misura
diversa, deve tuttavia rilevarsi che anche i partecipanti che hanno la proprietà di porzioni al pianterreno
possono trarre utilità dall'impianto; non solo, infatti, l'esistenza dell'impianto è idonea a valorizzare l'intero
immobile, e quindi anche le singole porzioni che si trovano alla quota più bassa, ma in più è possibile
rilevare che normalmente l’ascensore permette di raggiungere più comodamente parti superiori che sono
comuni a tutti, quali i locali sottotetto, i lastrici solari e il tetto.
Per queste ragioni, se non viene dimostrato che mancano del tutto parti comuni superiori alle quali si può
accedere mediante l'ascensore, deve ritenersi che l’ascensore sia una parte comune anche per i
proprietari delle unità di piano terra.
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Poiché nel caso di specie non è stato non solo dimostrato ma neppure dedotto che l’ascensore non sia
anche destinato a servire parti comuni, la presunzione di comunione disposta dall'art. 1117 cod. civ. deve
essere confermata. Gli attori, dunque, non possono sottrarsi al contributo nelle spese necessarie per la
conservazione e la manutenzione degli ascensori.
Resta a questo punto da risolvere la questione sollevata con l'impugnazione proposta dagli attori in via
subordinata: escluso, infatti, che i proprietari del pianterreno siano esonerati dalla contribuzione nelle
spese di rifacimento dell'impianto, le quali, essendo di straordinaria manutenzione, sono normalmente
connesse non all'uso quanto alla proprietà, il tribunale deve stabilire se il criterio proposto
nell'impugnazione per la signora Cassese (onere contributivo calcolato solo per la metà in base ai
millesimi) possa costituire la regola generale da applicare ad integrazione (o sostituzione) di quella
richiamata nel regolamento.
Nell'esame della questione si rileva anzitutto che proprio la disposizione richiamata dagli attori dimostra
l'infondatezza della loro pretesa: se identici sono i criteri di ripartizione dei contributi per le spese di
rifacimento e ricostruzione sia di scale sia di ascensori, allora deve osservarsi che la disposizione prevista
dall'art. 1124 cod. civ. presuppone che le scale siano comuni rispetto ai proprietari non soltanto di locali al
piano terra ma anche di locali forniti di accesso diverso dall'androne e dal vano scale, sia pure in rapporto
e proporzione all'utilità che anch'essi possono trarne quali condomini.
Occorre, peraltro, stabilire se nel caso in esame valga soltanto il riferimento al valore proporzionale della
proprietà di ciascuno, ovvero se la misura del contributo non debba farsi dipendere anche dalla diversa
misura secondo cui gli ascensori sono destinati a servire i condomini.
I criteri previsti dall'art. 1123 cod. civ. riguardano una materia pienamente disponibile dalle parti: la legge,
pertanto, ammette che tra i partecipanti al condominio venga stipulata una diversa convenzione, in cui le
parti possono liberamente accettare che la contribuzione sia determinata secondo norme prestabilite e ciò
anche in deroga ai principi generali fissati dalla legge.
Il regolamento del condominio di via Valassina n. 45 dispone espressamente che ogni condomino
contribuisca alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni in proporzione ai
millesimi che esprimono il valore della proprietà di ognuno.
L'espressione usata dal regolamento, il quale deve effettivamente essere interpretato secondo i criteri
dell'interpretazione del contratto, avendo natura convenzionale, ha un significato testuale univoco. Essa
stabilisce che per tutti i beni comuni dell'edificio le spese vengano ripartite secondo l'unico criterio
richiamato.
Rilevano gli attori che la norma contrattuale sarebbe generica e mancherebbe di ogni espressa
specificazione idonea a chiarire la volontà di derogare a tutti i criteri particolari di ripartizione di spese che
la legge prevede oltre a quello generale previsto dal primo comma dell'art. 1123 cod. civ.
La tesi degli attori non può essere condivisa.
Il testo della norma regolamentare è formulato con espressione di carattere così generale da rendere
superflua l'opportunità di ulteriori precisazioni.
Il regolamento appare ispirato ad esigenze di organicità e completezza nella disciplina dei rapporti interni
fra i condomini, e mostra l'intenzione univoca dei partecipanti di stabilire i criteri di ripartizione delle spese
con la Massima possibile semplicità, poiché è noto che quanto maggiore è la chiarezza espressiva di una
norma, tanto minori possono essere le controversie che nascono fra le parti.
La disposizione prevista dall'art. 3 ha carattere non solo generale ma anche tassativo, perché indica un
unico criterio di ripartizione delle spese per ogni atto di conservazione e manutenzione che riguardi le parti
comuni, e non richiama le diverse categorie di beni comuni che anche il codice emette, ma unifica ogni
spesa che non riguardi le parti di proprietà esclusiva dei singoli nell'unica porzione di spese di
conservazione e manutenzione delle parti comuni.
Sicché, per sostenere che la norma non sarebbe riferibile anche alle spese che riguardano beni destinati a
servire i condomini in misura diversa, dovrebbe potersi stabilire che il regolamento ha voluto conservare
l'efficacia delle norme legali che determinano la ripartizione dei contributi secondo criteri diversi da quello
previsto dal primo comma dell'art. 1123 cod. civ.
Nessun elemento interpretativo consente, però, questa conclusione, essendo possibile anzi rilevare che il
regolamento ha voluto in via generale escludere ogni interpretazione fondata su di una possibile
integrazione delle norme pattizie con quelle del codice civile.
Infatti, per espressa volontà delle parti contraenti, il richiamo delle disposizioni di legge è possibile soltanto
"per quanto non è stato qui diversamente stabilito".
Tale clausola permette di osservare che, risultando stabilito dal regolamento il regime della ripartizione
delle spese per le parti comuni, non potrebbe applicarsi alcuna altra disposizione in materia, senza violare
con questo il regolamento convenzionale.
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Per le ragioni esposte, deve escludersi l'applicabilità della disciplina legislativa di cui all'art. 1124 cod. civ.,
valendo per la ripartizione delle spese di rifacimento degli ascensori la disciplina convenzionale contenuta
nel regolamento.
La domanda degli attori deve essere pertanto respinta.
Le spese del processo seguono la soccombenza a norma dell'art. 91 cod. proc. civ.
Esse si liquidano in complessive lire 1.988.400 di cui lire 13.400 per spese, lire 225.000 per diritti e lire
1.750.000 per onorario (Omissis).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni
dell'edificio - Impianti comuni - ascensore - Spese di manutenzione e di rico...
In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione delle spese
di manutenzione a ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di
piano, per l'altra metà in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) è applicabile per
analogia, ricorrendo l'identica "ratio", alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore
già esistente. Nell'ipotesi, invece, d'installazione "ex novo" dell'impianto dell’ascensore trova applicazione
la disciplina dell'art. 1123 cod. civ. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Innovazioni - Su parti
comuni dell'edificio - Impianti di uso comune - Ascensore - Adeguamento
Gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di
obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti
e i terzi, attengono all'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino l'esecuzione di opere nuove,
l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali (In applicazione di tale principio,
la Corte ha cassato la sentenza di merito che - con una motivazione carente - aveva considerato le spese
per l'adeguamento dell’ascensore come spese di ricostruzione, senza spiegare quale fosse, e in che cosa
consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo nuovo).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni
dell'edificio - Impianti comuni - ascensore - Spese di manutenzione e ricostruzione
In base all'art. 1124 cod. civ., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi,
dell'ascensore, sono assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e
le altre, sicché la clausola di regolamento condominiale che esoneri una determinata categoria di
condomini dal pagamento delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria), ove sia intesa dal
giudice nel senso di modificare anche detta assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede una
motivazione adeguata (Fattispecie relativa a regolamento condominiale che, in deroga alla disciplina di cui
agli artt. 1123-1125 cod. civ., prevedeva l'esenzione da tali spese per una categoria di condomini).
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SENTENZA
Sui ricorsi iscritti al n. 6409/01 + 9359/01
Ricorso n. 6409/01 proposto da:
Fr. Ma. e El. Ri., quest'ultima in qualità di erede di Ad. Ac. Ri., elettivamente domiciliati in Ro., Via della
Me. n. 52, presso lo studio dell'Avv. Ma. Me. che unitamente e disgiuntamente all'Avv. Fr. Ma. li difende
come da procura a margine del ricorso.
ricorrenti
contro
Condominio di via As. 11, To., in persona dell'Amministratore p.t. geom. An. St., elettivamente domiciliato
in Ro., Via Pa. n. 34, presso lo studio dell'Avv. Gu. Ro. che unitamente all'Avv. Pi. Lu. Am. lo difende come
da procura in calce al controricorso.
controricorrente e ricorrente incidentale
Ricorso n. 9359/00 proposto da
Condominio di via As. 11, To., in persona dell'Amministratore p.t. geom. An. St., elettivamente domiciliato
in Ro., Via Pa. n. 34, presso lo studio dell'Avv. Gu. Ro. che unitamente all'Avv. Pi. Lu. Am. lo difende come
da procura in calce al controricorso.
ricorrente incidentale
contro
Fr. Ma. e El. Ri., quest'ultima in qualità di erede di Ad. Ac. Ri., elettivamente domiciliati in Ro., Via della
Me. n. 52, presso lo studio dell'Avv. Ma. Me. che unitamente e disgiuntamente all'Avv. Fr. Ma. li difende
come da procura a margine del controricorso.
controricorrenti
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino n. 805/00 del 31.03.2000/17.05.2000.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09.12.2003 dal Cons. Dott. Antonino
Elefante.
Sentiti gli Avv.ti Ma. Me. e Gu. Ro..
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo Marinelli che ha concluso per
l'accoglimento di entrambi i ricorsi per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I condomini Fr. Ma. e Ad. Ac. Ri. (con atto di citazione 27.4.1995) convenivano in giudizio davanti al
Tribunale di Torino il Condominio di via As. 11 (in seguito solo Condominio) e, premesso di essere
proprietari di unità immobiliari site a piano terra dell'edificio, con ingresso diretto dall'androne carraio e in
modo del tutto indipendente dal vano scale e dal relativo impianto di ascensore, chiedevano che fosse
annullata la delibera condominiale del 23.7.1995 con la quale l'assemblea aveva ripartito le spese di
esercizio del 1994, relative all'esecuzione dei lavori di installazione delle reti di protezione dell’ascensore
per l'adeguamento alla nuova normativa di sicurezza di cui alla L. n. 46/1990, secondo le quote millesimali
dei condomini. Sostenevano gli attori che la ripartizione di dette spese doveva essere operata, per
analogia con le spese relative alle scale, secondo i criteri di cui all'art. 1124 c. c., con esclusione delle unità
site al piano terreno.
Costituitosi, il Condominio chiedeva il rigetto della domanda, deducendo, innanzitutto, che l'art. 1 del
regolamento condominiale ricomprendeva l’ascensore tra le parti comuni e che l'art. 9 prevedeva la
suddivisione delle relative spese secondo le quote millesimale di proprietà. Osservava poi che gli interventi
di adeguamento dell’ascensore alle normative CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza e incolumità delle persone, andavano oltre le spese di straordinaria amministrazione; e che,
facendo aumentare il valore di tutte le proprietà individuali, dovevano essere ripartite in ragione delle
rispettive proprietà millesimale.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda degli attori, annullava la delibera condominiale.
Il gravame proposto dal Condominio era accolto, per quanto di ragione, dalla Corte d'Appello di Torino, la
quale (con sentenza n. 805/2000), in riforma della decisione del Tribunale, dichiarava che alle spese di
adeguamento dell’ascensore dovevano concorrere, secondo i criteri indicati dall'art. 1124 c. c., anche i
condomini Fr. Ma. e Ad. Ac. Ri..
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Osservava la Corte torinese che alla fattispecie era applicabile l' art. 1124 c. c., in tema di ripartizione
delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, stante la sostanziale identità e complementarità
della funzione dell’ascensore rispetto a quella delle scale. Riteneva che l'obbligo di partecipare alle spese di
adeguamento dell'impianto di ascensore gravava anche sui proprietari delle unità immobiliari site al piano
terreno, in quanto l'espressione "a cui servano", contenuta in detta norma, stava ad indicare un rapporto
funzionale e strutturale stabile e non un concreto uso od una effettiva utilizzazione nel senso di cui all'art.
1123, 2° comma, c. c. . Aggiungeva a conferma dell'applicabilità dell'art. 1124 c. c. il fatto che l'impianto
di ascensore conferiva un maggior valore ed un maggior prestigio all'intero edificio, che tale impianto
serviva anche per la manutenzione delle parti comuni (in primis il tetto) e che il suddetto articolo,
includendo anche le cantine fra le unità che concorrono alla spesa, non dava rilevanza alla posizione della
singola unità dell'edificio condominiale.
Ai fini di coordinare la norma di cui all'art. 1124 c. c. con l'art. 12 del Regolamento del Condominio - che in
tema di "Riparto di spese per l'ascensore” stabilisce che "Le spese per la manutenzione ordinaria e
straordinaria per l'esercizio dell’ascensore sono ripartite fra i condomini che se ne servono, secondo le
singole quote della tabella allegata al presente regolamento" - riteneva la Corte torinese che le spese di
adeguamento dell'impianto di ascensore alle normative CEE non potevano considerarsi né di ordinaria né
di straordinaria manutenzione, ma erano assimilabili a quelle di ricostruzione, comportando un rifacimento
e un miglioramento strutturale ai fini di meglio assicurare l'incolumità delle persone. Di conseguenza non
trovava applicazione l'art. 12 del Regolamento condominiale, ma l' art. 1124 c. c. nella parte concernente
la ricostruzione.
Pertanto la Corte subalpina riteneva illegittima la delibera del 27.3.1995 nella parte in cui poneva a carico
dei condomini Fr. Ma. e El. Ri. la spesa di adeguamento dell'impianto di ascensore in proporzione ai
millesimi di proprietà ex art. 1123, 1° comma c. c., anziché secondo il criterio stabilito dall'art. 1124, 1°
comma: c. c. .
Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Fr. Ma. ed El. Ri., quest'ultima quale erede di
Ad. Ac. Ri., deducendo quattro motivi di censura.
Il Condominio ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale in base a due
motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, in udienza, è stata disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c. p.c., dei ricorsi (principale
e incidentale) perché proposti contro la stessa sentenza.
A) 1. Col primo motivo, denunciando violazione dell'art. 12 del Regolamento condominiale, i ricorrenti
principali censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che le norme di cui agli artt. 1123 e
1124 c. c. sono derogabili dal Regolamento condominiale di natura contrattuale e che, nel caso specifico,
tale regolamento (art. 12) stabilisce che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria per l'esercizio
dell’ascensore sono ripartite fra i soli condomini "che se ne servono". Restano, pertanto, esclusi dalla
ripartizione i condomini le cui unità immobiliari, come quelle di Fr. Ma. e El. Ri., si trovano a piano terra e
non utilizzano l'ascensore.
2. Col secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 1124 c. c., falsa applicazione, nonché errore di
motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto applicabile al caso di specie
l' art. 1124 c. c. in materia di manutenzione e ricostruzione delle scale, interpretando l'espressione ivi
contenuta “a cui servono” nel senso di "rapporto funzionale e strutturale stabile e non di concreto uso od
effettiva utilizzazione". Sostengono che (secondo la giurisprudenza di merito) i proprietari "a cui le scale
servono" sono coloro che per accedere alla proprietà esclusiva devono necessariamente servirsi delle
medesime; non possono essere addebitate, quindi, quote di alcun genere a chi, per accedere alla
proprietà esclusiva, non utilizzi le scale, ovvero in relazione al caso di specie, l'impianto di ascensore.
3. Col terzo motivo, denunciando erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, i ricorrenti
censurano l'impugnata sentenza per aver ritenuto l'impianto di ascensore compreso fra le cose comuni,
senza considerare che l'esenzione dalle spese di una determinata categoria di condomini prevista dal
Regolamento condominiale (art. 12), unitamente al costante orientamento manifestato dal Condominio fin
dalla sua costituzione, sono elementi tali da dare, all'inserimento dell'impianto di ascensore fra le parti
comuni dell'edificio, l'esatto significato che non è quello di appartenenza a tutti i condomini, ma solo a
quelli che ne fanno uso.
Affermano i ricorrenti che il Regolamento condominiale può essere interpretato, e addirittura modificato,
per facta concludentia e che le unità immobiliari site a piano terra nessun maggior pregio o valore possono
conseguire dalla presenza dell'impianto di ascensore, né questo serve per la manutenzioni di parti comuni
dell'edificio, quali il tetto.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
4. Col quarto motivo, denunciando erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia,
nonché violazione di legge, art. 1124 c. c. e principi di diritto, i ricorrenti sostengono che erroneamente la
Corte d'Appello ha considerato l'intervento in questione sull'impianto di ascensore quale ricostruzione e,
come tale, non rientrante nella previsione dell'art. 12 del Regolamento condominiale. In realtà i lavori di
adeguamento alla normativa CEE, consistenti nel caso specifico in semplice innalzamento di qualche
centimetro della preesistente grata di protezione, rientrano nelle opere di ordinaria o straordinaria
manutenzione. I condomini Fr. Ma. e El. Ri., le cui unità immobiliari hanno accesso diretto dall'androne
carraio dell'edificio, sono esonerati dalla partecipazione alle spese dell'impianto di ascensore (sia ordinarie
che straordinarie) in virtù dell'art. 12 del Regolamento condominiale, il quale, avendo natura contrattuale,
costituisce deroga al disposto dell'art. 1124 c. c., che, tuttavia, esclude dalla partecipazione alla spesa i
condomini che non si servono dell'ascensore.
B) Il Condominio a sostegno del ricorso incidentale deduce quanto segue.
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1124 c. c. per aver ritenuto la Corte d'Appello l'intervento in
questione assimilabile da ricostruzione. Sostiene il Condominio che le spese di adeguamento
dell’ascensore alla normativa CEE non dipendono da interventi correlati con l'intensità dell'uso, con la
vetusta, con guasti accidentali, ma da esigenze di sicurezza mediante introduzione di nuovi elementi
strutturali. Ciò comporta l'esclusione dell'applicazione dell'art. 1224 c. c.
Inoltre, quando risulta una relazione strumentale fra una parte o un impianto dell'edificio e l'uso comune,
sussiste il vincolo pertinenziale che vale a qualificare comune una parte dell'edificio in applicazione dei
criteri previsti dall'art. 1117 c. c., il quale stabilisce una presunzione di comproprietà fra i condomini
relativamente alle parti nominate, fra le quali anche gli ascensori.
Aggiunge il ricorrente che se è vero che l'uso dell’ascensore è destinato a servire i condomini in misura
diversa, a seconda dell'utilità in relazione all'altezza del piano, è pur vero tuttavia che anche i partecipanti
che hanno porzioni al piano terreno possono trarre utilità dall'impianto, in quanto l’ascensore non solo
arreca un maggior pregio alle unità immobiliari ma soprattutto permette il raggiungimento di parti comuni
che altrimenti sarebbe più difficoltoso.
2. Col secondo motivo, denunciando erronea motivazione su un punto fondamentale della controversia, il
Condominio si duole che la Corte d'Appello non abbia considerato che, trattandosi di bene comune che
comunque "serve" anche ai piani terra, la suddivisione delle spese non può che essere praticata secondo i
criteri stabiliti dall'art. 1123 c. c. .
Sostiene il ricorrente che la spesa di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE è una spesa
straordinaria, ma con una accezione speciale che trascende quella tradizione e rende inapplicabile al caso
l'art. 12 del Regolamento condominiale.
C) I motivi, da trattare congiuntamente perché strettamente connessi, del ricorso principale meritano
accoglimento per quanto di ragione in base alle seguenti considerazioni.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, in tema di condominio di edifici la regola posta dall'art.
1124 c. c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale (per metà in
ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l'altra meta in misura proporzionale alla altezza
di ciascun piano dal suolo) è applicabile per analogia, ricorrendo l'identica ratio, alle spese relative alla
manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente. Nell'ipotesi, invece, d'installazione ex novo
dell'impianto dell’ascensore trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c. c. relativa alla ripartizione delle
spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun
condomino) (cfr., fra tante, Cass: 25.3.1999, n. 2833 ; 16.5.1991, n. 5479).
È stato anche detto che la disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c. c., sul riparto delle spese inerenti ai beni
comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale che
abbia natura contrattuale. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione,
ricostruzione e installazione dell'ascensore, deve ritenersi legittima non solo una convenzione che
ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda
l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime. In
quest'ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di
taluni condomini l'esenzione totale dall'onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di
conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l'ascensore), si ha il superamento
nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del
fabbricato (v. Cass. 26.1.1998, n. 714 ; 16.12.1988, n. 6844).
D) Nel caso specifico il Regolamento condominiale di natura contrattuale stabilendo all'art. 12 che "Le
spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria per l'esercizio dell’ascensore sono ripartite fra i
condomini che se ne servono, secondo le singole quote della tabella allegata al presente regolamento",
prevede, a contraris, l'esenzione, in deroga alla disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c. c., dal concorso a
tali spese di una determinata categoria di condomini, precisamente di quella che non si serve
dell'ascensore, con tutte le conseguenze derivanti da tale esonero.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
L'impugnata sentenza non ha applicato i suddetti principi giurisprudenziali conseguenti a tale esonero,
perché ha ritenuto che le spese di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE attengono non alla
manutenzione ordinaria o straordinaria (in relazione alla quale e prevista - art. 12 del Regolamento di
condominio - l'esenzione dal concorso per i condomini che non si servono dell'ascensore), bensì alla
ricostruzione di tale bene, donde l'applicazione per analogia dell'art. 1124 c. c. in tema di ricostruzione
delle scale.
E) Ma la motivazione addotta per considerare tali spese come di ricostruzione risulta affatto insufficiente e
carente, perché assertivamente fa riferimento a intervento tecnico finalizzato a introdurre elementi
strutturali e costruttivi nuovi, senza però dire e spiegare in che cosa tale intervento tecnico sia consistito.
Tanto più che gli interventi di adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al
conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere
efficacemente gli utenti e i terzi, attengono d'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino
l'esecuzione di nuove opere, l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali.
F) Inoltre l'impugnata sentenza non ha tenuto conto che le norme sul condominio non classificano con
precisione le diverse spese e non adoperano neppure una terminologia uniforme. L' art. 1123 c. c., al
primo comma, enumera le spese per la "conservazione", per il “godimento”, per la “prestazione dei
servizi” e per le “innovazioni”, mentre al terzo comma cita genericamente le spese di "manutenzione"; gli
artt. 1124 e 1125 c. c. fanno menzione delle spese di "manutenzione" e ”ricostruzione”, assoggettandole
alla stessa disciplina; l' art. 1126 c. c. elenca quelle per le “ripartizioni” e le "ricostruzioni".
A parte il rilievo che la dottrina, accanto alla suddivisione tra spese per la conservazione e la
manutenzione (dirette a conservare l'esistenza delle cose e ad impedirne il deterioramento), spese per il
godimento (dirette al diverso fine dell'uso) e spese per la ricostruzione (volte a ripristinare il bene comune
andato distrutto), introduce l'ulteriore distinzione tra spese necessarie (dirette ad assicurare alle cose
comuni la destinazione e il servizio, che costituiscono le finalità del condominio), spese utili (dirette a
migliorare le parti comuni) e spese voluttuarie (destinare ad abbellire le parti comuni), va anche
sottolineato, sempre con riferimento alla normativa sul condominio, che l' art. 1104 c. c. distingue
sostanzialmente due specie di spese comprensive di tutte le altre: spese per la conservazione e spese per
il godimento della cosa comune. Le spese per la conservazione attengono all'integrità del bene (e
riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e
straordinaria e per le riparazioni), ovvero alla sua ricostruzione e ripristino (somme occorrenti per il
rifacimento) ed afferiscono all'utilità oggettiva del bene. Le spese per il godimento attengono all'uso delle
cose (ovvero degli impianti o servizi comuni): godimento che scaturisce da un fatto soggettivo, personale,
mutevole.
L'impugnata sentenza con motivazione insufficiente e inadeguata ha ritenuto di includere le spese di
adeguamento dell’ascensore alla normativa CEE tra quelle di ricostruzione dell'impianto, escludendo che le
stesse potessero rientrare tra quelle di conservazione ossia di manutenzione (straordinaria).
G) Sotto altro profilo, l'impugnata sentenza non ha neppure tenuto conto che, in base all'art. 1124 c. c., le
spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi, dell'ascensore, sono assimilate e assoggettate
alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra l'une e l'altre (così come, per l' art. 1125 c. c., le spese
per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai), sicché la clausola di regolamento
condominiale convenzionale che esoneri una determinata categoria di condomini dal pagamento delle
spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria) ove sia intesa nel senso di modificare anche detta
assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede una motivazione adeguata.
H) In base alle considerazioni esposte, il ricorso principale va accolto per quanto di ragione, con
conseguentemente assorbimento del ricorso incidentale; l'impugnata sentenza deve essere cassata e la
causa rimessa per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino, che si atterrà ai principi
sopra esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione, facendone questa Corte espressa
rimessione (art. 385, ult. cpv., c. p.c.).
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di
Torino, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Assemblea dei
condomini - deliberazioni - Installazione di un servo-scala - Rilevanza
In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione di un servo-scala per facilitare l'accesso ai disabili non
implica rinuncia alla realizzazione degli strumenti considerati idonei al superamento delle barriere
architettoniche e deliberati dall'assemblea. A tal fine, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere
dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge 118/1971 e
all'art. 1 primo comma del d.P.R. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge 13/89, è
approvata dall'assemblea con la maggioranza ridotta prescritta dall'art. 1136 secondo e terzo comma cod.
civ. (ai quali soltanto si riferisce l'art 2, comma primo, della legge n. 13 del 1989).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Assemblea dei
condomini - Innovazioni - Installazione ascensore - Pregiudizio alla statica o all'estetica
In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad
eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge 118/1971 e all'art. 1 primo
comma del d.P.R. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge 13/89, è approvata
dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma cod.
civ.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge 13/1989, che fa salvo
il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma cod. civ..
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IL SOLE 24 ORE– DOSSIER N.1 2006- RACCOLTE TEMATICHE DI CODICE DEGLI IMMOBILI 24
In tema di superamento delle barriere architettoniche, l'installazione di un ascensore può rientrare nelle
innovazioni approvabili con le maggioranze di cui all'articolo 1136, commi 2 e 3 del Cc, ai sensi
dell'articolo 2 della legge n. 13 del 1989. In una tale eventualità, inoltre, deve escludersi la violazione delle
disposizioni di cui agli articoli 1120, comma 2 e 1121 comma 3, del Cc, atteso che la realizzazione
dell'ascensore non può, di per sé, porsi come pregiudizievole alla stabilità e alla sicurezza, trattandosi di
opera soggetta a specifici controlli per la prevenzione degli infortuni. (M.Fin.)
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni
dell'edificio - Impianti comuni - Ascensore - Spese di manutenzione
In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione delle spese
di manutenzione a ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di
piano, per l'altra metà in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) è applicabile per
analogia, ricorrendo l'identica "ratio", alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore
già esistente. Nell'ipotesi, invece, d'installazione "ex novo" dell'impianto dell'ascensore trova applicazione
la disciplina dell'art. 1123 cod. civ. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino).
Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Innovazioni - Su parti
comuni dell'edificio - Impianti di uso comune - Ascensore - Adeguamento
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di
obiettivi di sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti
e i terzi, attengono all'aspetto funzionale dello stesso, ancorché riguardino l'esecuzione di opere nuove,
l'aggiunta di nuovi dispositivi, l'introduzione di nuovi elementi strutturali (In applicazione di tale principio,
la Corte ha cassato la sentenza di merito che - con una motivazione carente - aveva considerato le spese
per l'adeguamento dell'ascensore come spese di ricostruzione, senza spiegare quale fosse, e in che cosa
consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo nuovo).
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Massima: Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Parti comuni
dell'edificio - Impianti comuni - Ascensore - Spese di manutenzione e ricostruzione
In base all'art. 1124 cod. civ., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi,
dell'ascensore, sono assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e
le altre, sicché la clausola di regolamento condominiale che esoneri una determinata categoria di
condomini dal pagamento delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria), ove sia intesa dal
giudice nel senso di modificare anche detta assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede una
motivazione adeguata (Fattispecie relativa a regolamento condominiale che, in deroga alla disciplina di cui
agli artt. 1123-1125 cod. civ., prevedeva l'esenzione da tali spese per una categoria di condomini).
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La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 81-70 (edizione maggio
2003) e tiene conto delle correzioni introdotte il 17 settembre 2003. La norma specifica i requisiti per
l'accesso e l'utilizzo sicuro e indipendente agli ascensori da parte delle persone, incluse quelle con
disabilità
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Non si applica inoltre all'installazione di ascensori in una residenza privata, all'installazione di ascensori
inaccessibili ad altri occupanti un edificio o al pubblico in generale, purché esistano norme nazionali
specifiche, all'installazione di ascensori, a due sole fermate, di fabbricazione speciale destinati al trasporto
dell'utenza impedita, in cui lo spostamento della cabina richieda una pressione continua sul pulsante.
La presente norma disciplina gli ascensori mossi elettricamente, la cui cabina è sospesa a mezzo di funi o
catene. In particolare definisce: vano di corsa; locali del macchinario e delle pulegge di rinvio; porte di
piano; cabina e contrappeso; organi di sospensione, organi di compensazione, paracadute e limitatore di
velocità; guide, ammortizzatori e dispositivi di extracorsa di sicurezza; distanza tra cabina e parete
nonché tra cabina e contrappeso; macchinario; installazione e apparecchiature elettriche; protezione
contro i guasti elettrici, comandi e precedenze; avvisi e istruzioni per la manovra; controlli, prove, libretto
e manutenzione.
In appendice riporta: condizioni di impiego dei dispositivi elettrici di sicurezza; chiave triangolare di
sblocco del dispositivo di blocco; documentazione tecnica; controlli e prove in sede di collaudo; controlli e
prove periodici, controlli e prove dopo una trasformazione importante o dopo un infortunio; procedure di
prova per esami di tipo; raccomandazioni per la protezione contro l'incendio.
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