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Capitolo 2. Descrizione della diga di Molare.

2.1. Progetto iniziale di derivazione nella valle dell’Orba.

La storia della diga di Molare ha inizio circa quarant’anni prima dell’evento calamitoso che
ne sancì il collasso nel 1935. Data l’assenza di importanti agglomerati urbani o attività
industriali, che garantivano un’ottima qualità delle acque della valle dell’Orba, si iniziò a
pensare ad un possibile sfruttamento delle stesse. Negli ultimi anni del XIX secolo, l’Ing.
Luigi Zunini, pubblicò una serie di studi di fattibilità per lo sfruttamento plurimo delle acque
del torrente Orba. Il primo progetto di cui si ha notizia è datato dicembre 1895, e venne
presentato a nome della “Società per l’Acquedotto dell’Orba” creata dallo stesso Zunini, per
promuovere la costruzione di un acquedotto nella stessa zona. Il progetto inizialmente
prevedeva la possibilità di derivare un volume idrico pari a 350 l/s da due affluenti dell’Orba
vale a dire il Rio Orbarina ed il Rio Acquabianca. L’utilizzo delle risorse idriche era destinato
sia alla produzione di forza motrice in misura di 18-50 cavalli teorici, sia per scopi industriali.
Tale progetto prevedeva una spesa iniziale di circa 2.250.000 £ e consisteva nello sbarramento
dei due corsi d’acqua ed in un articolato sistema di canali di derivazione, capaci di asservire la
riviera ligure. Per tali ragioni si innescarono una serie di furibonde polemiche tanto nella valle
dell’Orba quanto nella vicina valle Stura. Il progetto così come inizialmente era stato
concepito, necessitava di alcune modifiche per poter essere attuato. In effetti nel 1897 venne
redatto un nuovo progetto di massima che per la Valle Orba avrebbe avuto un impatto assai
maggiore rispetto al precedente. Tale progetto fu ancora una volta presentato dalla “Società
per l’Acquedotto dell’Orba” dello Zunini, e non era altro che una evoluzione del progetto
precedente datato 1895. Il nuovo progetto contemplava lo sbarramento di alcuni affluenti del
Rio Orbarina e del Rio Acquabianca e la realizzazione di un serbatoio che come sosteneva lo
stesso Zunini era il “nucleo di tutto il progetto” e avrebbe avuto una capacità di 5.300.000 m 3
di acqua proveniente dagli affluenti del torrente e dai micro serbatoi sparsi nella zona. Questo
complesso sistema acquedottistico avrebbe garantito una derivazione totale di circa 1000 l/s
ed una forza motrice di 6105 cavalli teorici. Quest’ultima sarebbe stata prodotta da due
centrali idroelettriche situate nei pressi di Genova Voltri. Il nuovo progetto non fece altro che
acuire le polemiche, tanto da scatenare la reazione di protesta del Comitato di opposizione e
vigilanza, creato appositamente per la tutela del territorio. La preoccupazione più grande per
la popolazione riguardava oltre ai dubbi circa la tenuta dei serbatoi, soprattutto l’eventualità
che un simile progetto fosse caratterizzato da uno sfruttamento piuttosto eccessivo delle
risorse idriche, determinando così un deflusso insufficiente nella stagione secca; in effetti il
progetto garantiva un deflusso verso valle di soli 350 l/s.

2.2. Progetto per la realizzazione di un invaso idroelettrico.


Contemporaneamente al già descritto progetto per lo sfruttamento delle risorse idriche della
valle Orba, venne pubblicato nel 1898, ancora dall’ingegner Zunini, ma a nome della “Società
per le Forze Idrauliche della Liguria”, un progetto totalmente differente dal precedente. Tale
progetto molto innovativo, fu denominato: “L’impianto idroelettrico di Molare in servizio
della trazione elettrica sulla linea Genova-Ovada-Alessandria”. Con questa nuova soluzione si
mirava alla realizzazione di un invaso finalizzato allo sfruttamento idroelettrico, posizionato
alcuni chilometri più a valle dei precedenti nella località tra Ortiglieto e Cerreto situate nel
comune di Molare (AL), ottenuto grazie allo sbarramento del torrente Orba in corrispondenza
della stretta di Bric Zerbino. L’intento del progettista era proprio quello di condividere i
benefici di un impianto di tale portata anche con le popolazioni piemontesi, in modo tale da
placare le polemiche tanto accese. La presenza delle linee ferroviarie Genova-Ovada-Acqui
Terme e Genova-Ovada-Alessandria, poteva rappresentare una valida giustificazione alla
realizzazione dell’impianto, dal momento che all’epoca la maggior parte delle linee
ferroviarie erano caratterizzate da forza motrice generata dal vapore e non dall’elettricità. Il
progetto avrebbe avuto sicuramente un risvolto positivo dal momento che tali linee ferroviarie
erano costituite da tratti con eccessiva pendenza e soprattutto lunghi percorsi in galleria,
difficilmente superabili con trazione a vapore. Questo progetto per un invaso a scopo
idroelettrico, che costituirà solamente la prima versione di quanto sarebbe stato effettivamente
realizzato in seguito, prospettava la realizzazione di una diga a gravità detta “diga di Bric
Zerbino” avente altezza di 33 m circa. Il serbatoio progettato aveva una capacità tra gli
8.100.000 m3 ed i 9.500.000 m3 a seconda che si considerasse la quota di massimo invaso pari
a 311 o 313 m. La portata derivata per la produzione di forza motrice era di circa 1390 l/s. Di
certo la sicurezza dell’opera non poteva prescindere dall’adeguatezza del sistema di scarico.
L’opera dello Zunini non possedeva in realtà un vero e proprio sistema di scarico; alla base
del paramento infatti prevedeva la presenza di uno scarico di fondo costituito da un tubo di
diametro pari a 50 cm la cui funzione era quella di consentire lo svuotamento del lago per
poter pulire il fondo, ed inoltre garantire il deflusso minimo del torrente, pari a 100 l/s, nel
tratto tra l’invaso e la centrale elettrica. Il problema fondamentale però era legato alla capacità
di smaltimento delle piene la quale risulta una funzionalità degli impianti a serbatoio di certo
secondaria ma non per tale motivo meno importante. A tale scopo il progettista ebbe la
brillante intuizione di dotare l’invaso di un grande scarico di superficie che invece di essere
posizionato in corrispondenza dello sbarramento, doveva essere posto ad una distanza di 500
m in direzione ovest. Lo scarico di superficie doveva quindi essere ubicato sul versante
opposto di Bric Zerbino, dove quest’ultimo si raccordava con il versante orientale del monte
Ratto, creando una sella denominata “Sella Zerbino” che separava i due tratti di alveo a monte
e a valle dell’Orba, rispetto a Bric Zerbino. La sella aveva una quota di 310 m per cui, con la
creazione di un serbatoio dotato di quota di massimo invaso pari a 311 o 313 m, risultava
ideale per la realizzazione di uno sfioratore che avrebbe consentito di scaricare agevolmente
le piene del torrente. In questo primo progetto la collocazione della centrale era prevista a 3,2
Km a Nord rispetto alla diga in località Cerreto. Tale impianto, caratterizzato da un dislivello
tra le opere di presa e la centrale di 94,24 m ed una portata erogata pari a 1300 l/s, avrebbe
consentito di ricavare una potenza teorica di ben 1589 cavalli. Infine a completamento
dell’opera, sarebbe stato realizzato alcune centinaia di metri più a valle rispetto alla centrale,
un serbatoio di compensazione che avrebbe avuto la funzione di regimare le acque dell’Orba
durante la restituzione delle portate in alveo, in modo tale da scongiurare il pericolo di piene
improvvise. Il progetto descriveva inoltre il percorso della rete acquedottistica, la quale aveva
origine in corrispondenza delle opere di presa ad una quota di circa 291,6 m in corrispondenza
di Sella Zerbino, e percorreva il versante sinistro della valle Orba per una lunghezza
complessiva di 3150 m. Il suo andamento non era rettilineo ma seguiva l’orografia del terreno
in modo tale da risultare più economica; per tale motivo presentava un andamento abbastanza
tortuoso sviluppato per ben 575 m in sotterranea, e per 2575 m a mezza costa con un
dislivello complessivo di appena 1,49 m. La condotta forzata realizzata in lamiera d’acciaio,
era costituita da due tubazioni di diametro 1 m e lunghezza complessiva di 218 m. Nella parte
conclusiva della relazione tecnica datata 1898, veniva inoltre accennato un ulteriore progetto
di sbarramento nella località di Tiglieto. Il progettista infatti, avendo individuato un sito nella
suddetta località adatto ad ospitare uno sbarramento, prospettava la realizzazione di un
ulteriore invaso avente capacità di 3.000.000 m3, che avrebbe garantito una portata aggiuntiva
di 350 l/s derivata all’impianto idroelettrico di Molare. La derivazione di una ulteriore portata
d’acqua avrebbe naturalmente supposto la realizzazione di un altro acquedotto, con lo scopo
di convogliare l’acqua destinata all’invaso di Ortiglieto.
2.3. Modifiche al progetto dell’invaso e sua realizzazione.

Nell’anno 1903 l’Ingegner Zunini presentò a nome della “Società per le Forze Idrauliche della
Liguria”, un nuovo progetto per l’invaso di Ortiglieto. Con questa nuova istanza si prevedeva
una variazione della capacità del serbatoio, ottenuta mediante innalzamento della quota di
massimo invaso. Infatti come ribadito nel precedente progetto del 1899, se non vi era una
significativa differenza nel portare la quota da 311 a 313 m, una ben maggiore variazione ci
sarebbe stata nell’incremento di produzione di energia elettrica, innalzando la quota a 320 m.
Ovviamente per perseguire tale obiettivo, risultava necessario apportare modifiche alle
strutture precedentemente progettate. L’altezza della diga doveva infatti essere portata, dagli
iniziali 33 m a 40 m ed in corrispondenza della stretta di Sella Zerbino, non poteva più in tali
condizioni realizzarsi uno sfioratore, dal momento che la quota dell’alveo risultava inferiore
di circa 10 m rispetto alla quota di massimo invaso. Il progettista sostituì la semplice soglia
sfiorante con una diga sfiorante, ovvero uno sbarramento di altezza di poco inferiore a 10 m,
sulla cui sommità erano presenti ben 96 paratoie di altezza 1 m e larghezza 1,5 m che
avrebbero consentito all’acqua di tracimare sopra lo sbarramento opportunamente profilato
come uno sfioratore. Tale elemento però era in grado di scaricare una portata di soli 328 m 3/s
rispetto ai 400 m3/s del precedente progetto. L’introduzione di questa diga sfiorante,
comunemente denominata “Diga Secondaria di Sella Zerbino” per distinguerla dalla diga
principale, avrebbe garantito un notevole incremento della potenza prodotta che sarebbe salita
ad un valore di circa 2.139 cavalli e la produzione annua di energia fu stimata intorno a 11
milioni di Kwh per un funzionamento della centrale 24 h su 24 e per 365 giorni l’anno. Con
l’inserimento della diga secondaria, l’invaso di Ortiglieto aveva preso la sua forma definitiva.
Al pari del progetto del 1899, nemmeno quest’ultimo riscosse grande favore. Tuttavia tali
circostanze non scoraggiarono l’iniziativa dello Zunini che nel 1906 presentò un’altra
domanda per la derivazione dell’acqua a scopi idroelettrici, con un progetto simile ma
perseguendo questa volta l’obiettivo, anziché di fornire energia per la linea ferroviaria, di
illuminare la città di Ovada e fornire energia per scopi industriali a favore della provincia di
Alessandria. Nonostante le tante vicissitudini, lo Zunini presentò alla prefettura di Alessandria
il progetto di massima, ottenendo il nullaosta. Venne fissata la data per il sopralluogo in
località di Ortiglieto e Cerreto al giorno 17 aprile 1907. Nonostante la concessione sembrava
ormai definita, le procedure tecnico-amministrative per l’approvazione definitiva del progetto,
necessitarono ancora di alcuni anni. La prima concessione per lo sfruttamento idroelettrico
venne rilasciata solamente in data 12 aprile 1912 alla “Società per le Forze Idrauliche della
Liguria”. Dopo varie proroghe sulle tempistiche disposte dalla stessa concessione, l’ingegner
Zunini presentò, alla Prefettura, il primo progetto esecutivo dell’impianto nel 1914. Lo stesso
venne prontamente approvato l’anno seguente. Purtroppo il successivo evolversi
dell’impianto, dovette far fronte ad un evento inaspettato; vale a dire lo scoppio del primo
conflitto mondiale. Nel periodo compreso tra il 1915-1918, gli unici lavori intrapresi in valle
Orba, riguardarono i primi scavi per la realizzazione delle opere di captazione che avrebbero
portato l’acqua dal lago alla centrale elettrica. Nel 1916 la Prefettura revocò la concessione, a
causa da parte della società concessionaria, del mancato adempimento dei termini stabiliti per
l’inizio dei lavori. Sempre nello stesso anno, successivamente alla revoca, si assistette alla
presentazione della domanda di subentro da parte di una nuova società: “Officine Elettriche
Genovesi” nota come O.E.G.. Quest’ultima era una società di produzione e distribuzione di
energia elettrica nella provincia di Genova fondata nel 1895. Lo stesso Zunini però, grazie
alle sue conoscenze in ambito imprenditoriale, divenne presidente delle O.E.G. e questo
sicuramente deve far pensare che fu lo stesso Zunini a volere il subentro della nuova società
dal momento che avrebbe garantito una forte base economica per la realizzazione dell’opera.
Fino al 1921-1922, i lavori furono rallentati o impediti sia da fattori contingenti l’evoluzione
progettuale sia da circostanze esterne. Il progetto venne portato avanti in seguito non più ad
opera dell’ingegner Zunini, ma dell’ingegner Gianfranceschi. Quest’ultimo presentò per conto
sempre delle O.E.G., una variante del progetto esecutivo che modificava profondamente
quello dello Zunini datato 1914. In particolare il nuovo progetto prevedeva le seguenti
variazioni: aumento della capacità d’invaso da 12 a 18 milioni di metri cubi, aumento della
sezione del canale di carico, progettato tutto in galleria anziché allo scoperto come in
precedenza previsto, per un funzionamento in pressione, adeguamento del diametro della
condotta forzata, aumento del salto, incremento di potenza dei macchinari della centrale.
2.4. Inquadramento territoriale valle d’Orba.
L’opera è situata nell’Alta valle Orba ubicata al confine tra Liguria e Piemonte. Essa si
sviluppa da sud verso nord, all’interno dei territori provinciali di Genova, Savona ed
Alessandria.

Il torrente Orba ha origine dai rilievi dell’estremità orientale delle Alpi Liguri nasce a 1001 m
di altitudine dal versante settentrionale del Monte Reisa (1183 m s.l.m.). Scorre inizialmente
incassato ricevendo da sinistra il torrente Orbarina e da destra il torrente Carpescio o
Acquabianca. A pochi chilometri dopo la sorgente il torrente attraversa dapprima Vara
Inferiore dopo di che viene sbarrato da una diga e forma il lago dell'Antenna, per lambire poi
San Pietro d'Olba ed infine Martina d'Olba, frazioni di Urbe (SV). Giunto nei pressi di
Acquabuona frazione di Tiglieto (GE) scorre attraverso una serie di gole e da qui entra in
Piemonte giungendo a Olbicella frazione di Molare (AL), dove riceve da sinistra il torrente
Orbicella. Da qui il letto del torrente si allarga per un breve tratto, dopo di che scorre
nuovamente incassato per qualche chilometro in una gola boscosa. Dopo la confluenza da
sinistra del rio Meri, il torrente viene nuovamente sbarrato da una piccola diga formando così
il piccolo lago di Ortiglieto. Qui è visibile a valle del lago in destra idrografica, il vecchio
letto di scorrimento del fiume ancora sbarrato dalla diga di Zerbino che il fiume abbandonò in
occasione del devastante crollo della diga secondaria di Sella Zerbino. Da qui in poi il fiume
entra in un tratto ingolato veramente spettacolare: si tratta di un vero e proprio canyon
profondo una decina di metri e largo nel punto più stretto circa 3. Giunto nei pressi di Rocche,
frazione di Molare, riceve, sempre da sinistra, il modestissimo contributo del torrente Amione
e si appresta a sfiorare il centro cittadino del comune. Qui il letto del torrente si allarga
nuovamente formando ampi ghiaioni e intagliando in modo suggestivo la sponda destra
rocciosa. Giunto presso la cittadina di Ovada il torrente riceve il discreto apporto del suo
primo notevole affluente di destra: il torrente Stura di Masone (4,3 m³/s), dopo di che il
torrente si fa più regolare e rettilineo con acque più copiose e costanti. Più a valle presso
Silvano d'Orba riceve poi, sempre da destra, il torrente Piota-Gorzente (2,7 m3/s, dalle acque
di ottima qualità chimica), mentre il suo corso inizia ad essere arginato. Ancora più a valle,
nel comune di Capriata d'Orba, riceve invece il piccolo torrente Albedosa. Giunto a Predosa
(AL) il fiume rallenta ancora la sua corsa a causa di uno sbarramento, ricevendo il Lemme
(3,1 m³/s), il suo più lungo affluente. Da qui in poi scorre nella piana alessandrina tra due alti
argini formando alcuni ampi meandri sfociando da destra nel fiume Bormida presso il ponte
della Maranzana e segnando il confine tra i comuni di Alessandria, Castellazzo Bormida e
Frugarolo.

2.5. Caratteristiche tecniche dell’opera.

L’opera nel suo assetto definitivo si presenta come uno sbarramento o diga propriamente
detta, classificabile per la sua conformazione quale diga a gravità, con andamento in pianta ad
arco di cerchio, realizzata con l’intento di sbarrare il corso del torrente Orba in corrispondenza
della stretta di Bric Zerbino, in modo tale da realizzare a monte di questa, un lago artificiale
grazie alla presenza di un’ampia vallata. La realizzazione di uno sbarramento simile, portava
la quota di massimo invaso al di sopra di una sella posta sul versante ad ovest rispetto alla
diga principale, ragion per cui si dovette ricorrere alla realizzazione di una diga secondaria.
Quest’ultima, dopo numerose operazioni di modifica, si presenta come un semplice
sbarramento di ritenuta senza alcun organo di scarico, di fatto assimilabile ad un semplice
argine. Tale sbarramento secondario, anche esso di tipo a gravità, presentava andamento
rettilineo in pianta. Di seguito vengono analizzate con maggiore dettaglio le due strutture,
nonché le opere idrauliche necessarie al convogliamento della risorsa idrica e le opere di
scarico di cui l’impianto era munito.
2.5.1. La diga principale di Bric Zerbino.
La diga principale fu realizzata a partire dal 1922. La sua ubicazione venne mantenuta
immutata anche successivamente nel progetto dell’ingegner Gianfranceschi che rappresentava
l’evoluzione del progetto dello Zunini. Tale diga doveva essere collocata sul versante
orientale del Bric Zerbino, laddove quest’ultimo si raccorda con il versante occidentale del
Bric Saccone. La grande evoluzione apportata dal progetto dell’ingegner Gianfranceschi,
riguardava la quota di massimo invaso posta a 322 m s.l.m. Rispetto alla prima diga progettata
dallo Zunini alta 33 m, quella da egli rivisitata, doveva subire un incremento di altezza del
40%, raggiungendo un’altezza complessiva di ben 47 m. La quota del piano di coronamento
era di 324,75 m con uno spessore al ciglio di 6,10 m, ed alla base di 42 m. Venne però
mantenuta la curvatura planimetrica prevista già nel progetto iniziale, pari a 200 m, e
lunghezza del coronamento da spalla a spalla di 191 m.

Come già accennato, la diga principale è del tipo a gravità ed al suo interno vennero realizzati
tre grandi vani riempiti di pietrame che oltre ad aumentarne il peso, avevano l’importante
funzione di drenaggio dell’umidità e delle infiltrazioni attraverso il corpo diga. I tre vani
erano dotati di una serie di cunicoli drenanti, dai quali si dipartivano numerosi camini verticali
di diametro compreso tra 15-20 cm, che avevano la funzione di eliminare il rischio delle
cosiddette sottopressioni generate appunto da un cattivo drenaggio, spesso causa di danni. Per
quanto riguarda il paramento di monte a diretto contatto con l’acqua, era rivestito con
intonaco, e impermeabilizzato con vernice di catrame “Intertol”. Il corpo diga era percorso da
due cunicoli di ispezione muniti di scale che disegnavano una “V” rispetto all’asse della diga,
ai quali si accedeva da due aperture diametralmente opposte, in corrispondenza del
coronamento. La diga fu ultimata in poco più di tre anni.

2.5.2. La diga secondaria di Sella Zerbino.


Quest’opera venne realizzata tra il 1923 ed il 1924 subendo nel corso della progettazione
dell’impianto numerose modifiche. Nel primo progetto del 1899 dello Zunini, doveva essere
concepita come una soglia sfiorante, la quale sarebbe risultata l’unico sistema di smaltimento
delle acque dell’invaso. Nella successiva evoluzione progettuale del 1903, quando la quota
d’invaso venne portata dagli iniziali 311 a 320 m, il progettista sostituì la soglia sfiorante con
una diga sfiorante alta circa 10 m. Con l’avvento dell’ingegner Gianfranceschi, l’altezza vene
incrementata di altri 5 m, e venne prevista la realizzazione in cemento armato. Almeno per
quanto riguarda le disposizioni del progetto esecutivo del 1921, in cui si faceva presente che
tale struttura di sbarramento, aveva andamento rettilineo almeno per quanto riguarda la parte
in c.a. Successivamente venne annunciata la realizzazione anziché in c.a., in muratura
Portland. In definitiva, con variante al progetto esecutivo del 1924, venne riprogettata come
semplice sbarramento di ritenuta, cioè senza alcun organo di scarico. Scelta che venne
giustificata dalla scarsa qualità delle rocce della sella, le quali potevano essere soggette ad
erosione durante lo stramazzo delle acque. Inaspettatamente infine, venne asserito che data
l’ottima qualità delle rocce costituenti la sella, lo sbarramento veniva realizzato totalmente a
gravità. L’opera venne ultimata in breve tempo tanto da mettere in luce come questa rapidità
in effetti, fosse stata causa di una esecuzione di scarsa qualità come evidenziato dalle copiose
perdite alla base, e la scarsa qualità dei materiali impiegati. In definitiva essa appariva come
un grande muraglione alto circa 15 m, avente spessore del coronamento di circa 3,30 m,
paramento di monte circa verticale e paramento di valle con pendenza del 55%. L’andamento
planimetrico risultava rettilineo nella porzione centrale e di sinistra, mentre presentava doppia
curvatura in corrispondenza della spalla destra.

Nonostante le rassicurazioni sull’ottima qualità della roccia della sella, venne realizzato un
contrafforte per impedirne lo scorrimento, realizzato mediante due gradoni collocati sul lato di
valle. Nel luglio del 1924, giunse nella località di Ortiglieto, la Commissione per la Verifica
delle Dighe di Ritenuta, istituita in seguito al disastro del Gleno. La commissione costituita da
quattro tecnici, prese subito atto delle evidenti infiltrazioni d’acqua che interessavano la diga
secondaria, al di sotto del piano di fondazione. Per tale ragione venne prescritto un intervento
immediato, attraverso l’iniezione di cemento armato nella roccia, fino ad una profonditàdi 8
m. Tuttavia dopo aver provveduto a tale intervento con ben venti iniezioni interdistanziate di
2 m nel corpo roccioso di fondazione, i risultati non migliorarono affatto.
Diga secondaria di Sella Zerbino

2.5.3. Le opere di captazione e di scarico.

Le opere necessarie al convogliamento delle acque dal grande lago alla centrale, furono molto
impegnative dal punto di vista realizzativo. Nel progetto dell’ingegner Zunini, l’opera di presa
era posta poco più a monte di Sella Zerbino ad una quota di 291,96 m. Da qui aveva inizio il
percorso di lunghezza pari a 3150 m di cui 575 m in sotterraneo, grazie al quale l’acqua
raggiungeva la condotta forzata. Nel progetto rivisitato dall’ingegner Gianfranceschi, dato
l’incremento della quota di massimo invaso, il sistema di captazione avrebbe dovuto
funzionare in pressione ciò richiese di apportare modifiche al percorso realizzato totalmente
in galleria. Il sistema di captazione si compose di diversi elementi tra cui l’opera di presa da
cui aveva origine la galleria di carico. Sia le pareti che il fondo di questa, erano rivestiti in
muratura di pietrame e malta di cemento. Per evitare l’entrata in galleria di detriti l’imbocco
era munito di griglie filtranti. Il deflusso delle acque era regolato da un’apposita valvola a
farfalla. Altro elemento di fondamentale importanza era senza dubbio la stessa galleria di
carico la prima ad essere realizzata, attraverso una delle fasi più impegnative dell’opera. Il
lavoro consisteva nello scavo del cunicolo preliminare noto anche come cunicolo
“d’avanzata” che avrebbe consentito una prima valutazione dello stato di compattezza delle
rocce, il suo successivo allargamento e rivestimento preliminare, il posizionamento
dell’armatura ed il rivestimento finale. Dopo cinque anni finalmente nel luglio 1924, la
galleria poteva dirsi completata. Questa risultava lunga 2.751,17 m, con andamento non
rettilineo e aveva pendenza media dell’1‰. Il suo diametro era pari a 3 m e garantiva una
portata massima di 24 m3/s, e velocità dell’acqua di 3,5 m/s. Per via del fatto che la galleria di
carico doveva essere utilizzata in pressione, era necessaria la realizzazione di un pozzo
piezometrico. Il compito della galleria era quello di convogliare l’acqua nella condotta forzata
e da questa alla centrale. L’innesto tra galleria e condotta avveniva nella parte inferiore del
pozzo, profondo ben 43 m, dove quest’ultimo aveva un diametro di 10 m che diventava di 16
m nella parte superiore. Questa imponente opera era situata in località Cerreto e comportò uno
scavo di oltre 3500 m3 di roccia. La funzione principale di tale opera era quella di prevenire il
fenomeno idraulico del colpo d’ariete, nelle condotte in pressione. Tale fenomeno è una
conseguenza della condizione di moto vario di un fluido, derivante da una brusca variazione
di portata in una generica sezione della corrente fluida in moto. Consiste in un'onda d'urto di
pressione che si origina a causa dell'inerzia di una colonna di fluido in movimento che impatta
contro una parete, ad esempio quella di una valvola chiusa in maniera improvvisa, ma può
altresì generarsi a seguito della repentina apertura di una condotta in pressione. L'intensità del
colpo e il valore della pressione massima dell'onda possono raggiungere livelli tali da far
esplodere le condotte. Interessa soprattutto le condotte forzate che alimentano le centrali
idroelettriche, tanto che quand'è necessario fermare una turbina chiudendo il flusso d'acqua si
aziona dapprima il tegolo deviatore per alleggerire il carico sulle pale, e si riduce poi
gradualmente il flusso per evitare il colpo d'ariete. Nella fattispecie la condotta forzata
dell’impianto di Molare era costituita da un tubo in lamiera di acciaio di lunghezza pari a
412,50 m. In corrispondenza dell’innesto con la galleria di carico aveva diametro di 3 m, per
poi restringersi gradualmente a 2,5 m. In corrispondenza di punti singolari, come curve o
cambi di pendenza, la condotta venne solidalmente ancorata con blocchi di muratura e giunti
di dilatazione. In condizioni di sicurezza venne posizionata all’uscita della galleria di carico
una valvola a farfalla, chiusa all’occorrenza in caso di disfunzioni. Tale valvola era
posizionata all’interno di un apposito fabbricato con su scritto “Valvola di carico”. Il percorso
della condotta forzata a partire dalla galleria sino a raggiungere le turbine, copriva un
dislivello totale di ben 80 m e l’acqua vi giungeva con velocità media di 5 m/s. In
corrispondenza della centrale la condotta curvava di 90° ed il flusso d’acqua veniva
convogliato a quattro turbine, per mezzo di altrettante diramazioni aventi diametro pari ad 1
m. La condotta proseguiva orizzontalmente nella centrale sino a raggiungere il canale di
scarico attraverso cui le portate venivano restituite al torrente Orba. La centrale era dotata di
due gruppi di turbine Francis. Ogni gruppo produceva una potenza di 12.000 Hp a 500 giri al
minuto. In totale quindi i due gruppi producevano 24.000 Hp con una portata d’acqua pari a
24 m3/s come da concessione. Le due turbine doppie erano a loro volta collegate agli
alternatori trifase che avevano la fondamentale importanza di trasformare l’energia meccanica
delle turbine in energia elettrica alternata tramite induzione elettromagnetica. L’energia
prodotta veniva portata tramite due trasformatori ad una tensione di 68.500 V.
Infine un ruolo non meno importante era rivestito dalla diga di compensazione. Tale
sbarramento venne realizzato circa 700 m a valle della centrale con il preciso scopo di
regolarizzare il regime idrico del torrente. La presenza dell’invaso infatti, avrebbe potuto dar
luogo a fenomeni di piena improvvisi dal momento che interferiva con il regime di deflusso
del torrente. Lo scopo principale dunque era quello di salvaguardare la valle da possibili
esondazioni. Inoltre grazie alla presenza di tale serbatoio di compensazione, si potevano
compensare i periodi di magra del fiume. Lo sbarramento era costituito da un ponte-diga di
altezza pari ad 8 m, che garantiva una capacità d’invaso di 160.000 m 3. Il ponte era realizzato
su 8 arcate ciascuna con luce pari a 6 m, appoggiate su piloni di larghezza pari a 2 m. Tra le
arcate erano disposte altrettante paratoie, alle quali era adibita la funzione di sbarrare il corso
d’acqua. Le paratoie erano chiuse quando il torrente era sottoposto ad un deflusso regolare nei
periodi di calma. In queste condizioni il deflusso era garantito da un apparato di scarico
automatico posto sulla spalla destra del ponte. Le portate di piena venivano scaricate dalle
paratoie delle arcate senza compromettere lo scarico.
Gli organi di scarico di cui era dotata la diga principale erano: lo scarico di fondo, lo scarico
semi-profondo (anche detto di alleggerimento), gli scarichi automatici di superficie a sifoni e
lo sfioratore superficiale. Lo scarico di fondo era una semplice tubazione in lamiera di
diametro pari a 1,80 m posizionato alla base del corpo diga con asse a quota 280 m, che
consentiva di scaricare una portata di circa 55 m3/s. Nel progetto iniziale tale scarico era di
dimensioni più modeste ovvero un diametro di soli 50 cm, e aveva la precisa funzione di
garantire, mediante una saracinesca di regolazione, una portata costante di 100 l/s nel tratto di
fiume compreso tra la diga e la centrale. Tuttavia nelle operazioni di collaudo si riscontrarono
allarmanti vibrazioni trasmesse al corpo diga durante le operazioni di scarico; venne pertanto
fatta richiesta di sostituzione della valvola con una semplice saracinesca. Lo scarico semi-
profondo o di alleggerimento propriamente detto, era regolato dal funzionamento di una
valvola a campana installata su prescrizione della Commissione per la verifica delle dighe di
Ritenuta, sia come organo necessario ad un rapido abbassamento del livello del lago, ma non
tale da raggiungere il fondo, sia come necessario allo smaltimento delle piene. Il progetto
della valvola venne affidato alla “Officine Verrina Essa era alloggiata sull’imbocco dello
scarico di alleggerimento realizzato in calcestruzzo, che tramite uno snodo attraversava il
corpo diga. La valvola era costituita da due elementi in lamiera di cui uno fisso direttamente
innestato allo scarico, ed uno mobile definito campana. Il principio di funzionamento era il
seguente: sulla valvola sommersa agivano due forze contrastanti ossia la spinta idrostatica
esterna agente dall’alto verso il basso che spingeva la parte mobile su quella fissa, e una
seconda forza diretta in verso opposto tendeva ad allontanare i due elementi. La spinta esterna
era di gran lunga superiore a quella interna, ma attraverso un sistema che consentiva il
riempimento del corpo cavo si poteva compensare la prima forza determinando l’apertura
della valvola. Viceversa lo svuotamento del corpo cavo ne consentiva la chiusura. Il sistema
siffatto era in grado di smaltire una portata di 160 m3/s.
Gli scarichi di superficie erano costituiti da 12 sifoni autolivellanti tipo Hayen alloggiati
simmetricamente a gruppi di sei in corrispondenza del coronamento della diga, in grado di
smaltire una portata di 500 m3/s. Quando il livello del lago superava 322 m, i sifoni si
attivavano automaticamente a gruppi di tre facendo defluire l’acqua lungo il paramento di
valle della diga. Infine come ultimo sistema, l’impianto di Molare era dotato di uno sfioratore
superficiale realizzato in corrispondenza della spalla destra della diga. Quest’ultimo aveva
lunghezza di 68 m e aveva la capacità di scaricare una portata di 130 m 3/s. L’introduzione di
questo organo di scarico, rappresentava la principale differenza tra il progetto iniziale dello
Zunini, e l’opera effettivamente realizzata. Nel progetto iniziale infatti, era stato previsto uno
sfioratore di piena posizionato in corrispondenza di Sella Zerbino, in grado di far defluire una
portata di 400 m3/s, probabilmente perché le indagini idrologiche dell’epoca avevano mostrato
la possibilità di raggiungere portate al colmo di piena di entità tale da richiedere quella
capacità di sfioro. La grande differenza di portata era dovuta al fatto che venne prevista una
lama d’acqua sfiorante alta solo 1m al fine di limitare le sollecitazioni sul corpo diga.

2.6. La diga dopo il disastro.

Nei mesi successivi all’evento ebbero luogo nel sito di Ortiglieto numerosi sopralluoghi atti
ad accertare le effettive cause della tragedia. Essi costituirono la prima fase di un
procedimento penale a carico di dodici imputati tra progettisti e dirigenti delle O.E.G., vale a
dire gli ingegneri Gianfranceschi, Zunini, Negri, Gonzales, Perrone, Balsamo, Cascone,
Pellerano, Prinetti e Bassi. Oltre ad essi vennero imputati i tecnici Volonnino e Grillo della
Centrale, ai quali si faceva carico di avere omesso le segnalazioni di pericolo dell’imminente
disastro. Dopo tre anni dall’accaduto, il 4 luglio 1938, la Procura Generale del Re di Torino
pronunciò la sentenza di assoluzione per gli imputati “per non avere commesso i fatti loro
addebitati”. Il disastro di Molare non aveva quindi alcun responsabile. Purtroppo il pur
cospicuo materiale processuale attualmente a disposizione non comprende il testo della
sentenza. Questo, secondo il personale dell’Archivio di Stato di Alessandria, sarebbe andato
perso durante il grave evento alluvionale del 1994. Il materiale reperito negli archivi storici di
Torino ed Alessandria consente tuttavia una ricostruzione dettagliata delle vicende
processuali. Queste furono connotate da una serie interminabile di speculazioni e sottili cavilli
giuridici che ebbero ben pochi fondamenti tecnici. Il merito delle assoluzioni fu in parte
imputabile alle competenze tecnico-legali dei consulenti della difesa guidati dal prof. De
Marchi ma anche, e soprattutto, all’inadeguatezza del Pubblico Ministero e forse ancor più a
pressioni politiche a favore di una grande azienda come le O.E.G. Prevalse infatti la tesi della
difesa che riuscì a dimostrare che il disastro si era verificato soltanto a causa
dell’eccezionalità delle piogge. In effetti i periti della difesa, addirittura asserirono che: “se
anche la diga fosse stata impostata sopra una fondazione di compattissimo granito,
ugualmente sarebbe stata rovesciata!” (Audoly, 1939). Un’altra delle tante sconcertanti
affermazioni difensive: “Il serbatoio di Ortiglieto, non era creato per arginare le piene del
Torrente Orba, ma per regolare ed utilizzare nel modo più conveniente i suoi deflussi naturali
estremamente variabili” (l’opera dunque era fine a sé stessa). Se nel 1938 le O.E.G. furono
assolte da qualsiasi responsabilità, nel 1940 le stesse avevano già provveduto alla
realizzazione di una nuova opera di sbarramento a monte della Diga Principale. La sua
realizzazione si rese necessaria da parte delle O.E.G. al fine di “salvare il salvabile” dal
momento che del vecchio impianto erano andati totalmente distrutti la diga secondaria, la
centrale elettrica e la diga di compensazione; ragion per cui si tentò di riutilizzare la lunga
galleria di carico che portava l’acqua, ormai non più in pressione, al pozzo piezometrico. Il
riutilizzo anche della diga principale era l’ipotesi maggiormente auspicata dalle O.E.G., dal
momento che il manufatto era in buone condizioni, ed un suo ripristino avrebbe comportato
soltanto l’adeguamento del sistema di scarico, in funzione del tragico evento. Purtroppo però
c’era da considerare il grande squarcio di Sella Zerbino il che comportava la ricostruzione
della diga secondaria, non più con un’altezza di 14 m bensì di oltre 50 m essendo stata
asportata tutta la sella. In ogni caso, oltre alla questione morale nei confronti della
popolazione della valle che sarebbe insorta, la ricostruzione avrebbe presentato problemi
notevoli dal punto di vista economico. La soluzione progettuale adottata, prevedeva la
realizzazione di uno sbarramento situato circa 450 m a monte della diga principale. Trattasi di
una traversa a sfioro con andamento planimetrico rettilineo di lunghezza pari a circa 100 m e
larghezza alla base di 25 m con altezza del paramento pari a 13,15 m ragion per cui dal punto
di vista normativo, risultando inferiore a 15 m, non viene considerata una diga. Il paramento
di valle è interamente rivestito di bolognini e lastroni di pietra ed ha un andamento parabolico
in sommità, rettilineo nella parte centrale con inclinazione di 45 gradi e curvatura cilindrica
alla base. Il paramento di monte invece è verticale. Il progetto venne affidato all’ingegner
Audoly il quale aveva previsto la realizzazione di un piccolo invaso, con quota massima pari
a quella del coronamento, di 299,15 m e capacità di circa un milione di metri cubi. Lo
sbarramento non era infatti finalizzato alla creazione di un vero e proprio serbatoio di
accumulo, bensì all’ottenimento di un livello d’acqua tale da garantire il battente necessario
per alimentare le turbine di una nuova centrale elettrica costruita sui resti di quella distrutta. In
tal modo l’impianto poteva ritenersi ad acqua fluente ovvero operante in modo tale da non
interagire con il regime delle portate del corso d’acqua. Naturalmente la potenza erogata
sarebbe stata assai più bassa, pari a 24.166.000 kWh, e fu ulteriormente diminuita con il
passare degli anni a meno di 10.000.000 kWh a causa del progressivo interrimento
dell’invaso.

Dal punto di vista idraulico lo sbarramento fu dimensionato per una portata di piena massima
di 2.450 m3/s che avrebbe determinato una quota massima di stramazzo pari a 304,15 m
ovvero 5 m superiore al ciglio tracimabile. Le opere di presa vennero posizionate in sinistra
orografica e consistevano in cinque luci rettangolari (dimensioni 3 m x 2 m) munite di griglie
che convogliavano le acque in due vasche di calma posizionate in serie e separate da un setto
tracimabile. Superate le due vasche, l’acqua veniva convogliata in un canale di carico che la
portava al dissabbiatore, e da questo, ad un’ulteriore vasca posta in corrispondenza della
vecchia galleria di carico. Originariamente la galleria aveva una portata di 24 m3/s, trovandosi
sommersa da oltre 25 m di acqua. Con il nuovo impianto ciò non era più possibile dal
momento che quest’ultimo era posto più a monte del precedente; funzionava con una portata
ben minore pari a soli 8 m3/s. La vasca di carico oltre a garantire il funzionamento in
pressione della galleria, era dotata di due sifoni tipo Gregotti che consentivano,
all’occorrenza, di scaricarla per eventuali ispezioni. Per la realizzazione dell’opera, l’Ufficio
Dighe stabilì la necessità di installare altri tre pluviometri in aggiunta all’unico funzionante
prima del disastro, vale a dire quello di Piampaludo. Infine per quanto riguarda la nuova
centrale, sarebbe stata dotata di due gruppi di turbine Francis, ad asse verticale, in grado di
sviluppare con una portata di 4m3/s la potenza di 3900 Hp. I lavori vennero conclusi nel
febbraio del 1940. Nel corso degli anni, come già accennato, l’impianto ha subito un notevole
interrimento che ne ha ridotto il volume man mano portandolo attualmente ad un valore di
circa 100.000 m3. Il torrente Orba era ed è tutt’oggi sbarrato dalla traversa, nota a tutti con il
nome Diga di Ortiglieto. A valle di quest’ultima il corso fluviale attraversa Bric Zerbino in
corrispondenza dell’ex Sella Zerbino, mentre la Diga Principale, ormai nota semplicemente
come “la Diga di Molare”, si trova lungo il ramo abbandonato. Il Rio delle Brigne, che al
tempo confluiva dalla destra orografica nel Torrente Orba all’altezza della Diga Principale,
ora percorre in senso opposto parte del meandro abortito immettendosi nel torrente poco a
monte dell’ex-Sella Zerbino. Nel corso dei decenni questa area è stata interessata da
un’intensa colonizzazione di numerose specie vegetali tipiche dell’ambiente umido-palustre.
La sua posizione isolata rispetto alla viabilità e ai centri abitati di rilievo ha consentito inoltre
lo sviluppo di numerose specie faunistiche. Sul finire degli anni ‘70 del secolo scorso, dopo
alcuni decenni di totale silenzio, la Diga di Molare ritornò di attualità. Gli impianti esistenti
erano ormai proprietà dell’Enel, subentrata alle O.E.G. nel 1962 a seguito della
nazionalizzazione dell’energia elettrica. La Regione Piemonte avviò negli anni ottanta, degli
studi di fattibilità sul ripristino dell’originario invaso affidati ai professori Franco Siccardi e
Floriano Calvino, rispettivamente degli Istituiti di Idraulica e Geologia dell’Università di
Genova. Lo studio consentì, con un ritardo di circa 80 anni, l’esecuzione di una serie di
indagini comprendenti sondaggi a carotaggio continuo, rilievi geologici macro e micro-
strutturali, indagini geofisiche e stime idrologiche. Il progetto consentiva il ripristino di un
invaso di capacità pari a 18 milioni di metri cubi, tramite la realizzazione di una nuova Diga
Secondaria di Sella Zerbino realizzata in rockfill (diga in materiali sciolti, pietrame e nucleo
centrale impermeabile in terra) di serpentinite a struttura zonata, alta 55 m, lunga al
coronamento (quota 322,30 m s.l.m.) circa 150 m, per un volume di circa 350.000 m3. La
Diga Principale sarebbe stata munita di un grande scarico di superficie (80 m di ampiezza).
Naturalmente ciò avrebbe comportato la riprofilatura del paramento di valle, al fine di
ottenere un grande scivolo. Inoltre era necessario introdurre nuovi scarichi di alleggerimento
“a calice” e di fondo, mentre lo sfioratore laterale presente in spalla destra sarebbe stato
semplicemente riattivato. La relazione idraulica del prof. Siccardi, tenendo conto del regime
pluviometrico dell’area nell’ultimo secolo, assegnò una portata degli organi di scarico non
inferiore a 2500-2800 m3/s ed assunta cautelativamente pari a 3000 m3/s, quasi il quadruplo di
quella del progetto originario, pari a 855m3/s. L’utilizzo delle acque sarebbe stato plurimo e
non esclusivamente idroelettrico; segno che, a distanza di un secolo, l’appetibilità della risorsa
idrica era lungi dall’essere esaurita. Il progetto si arenò immediatamente a causa delle
ingentissime risorse economiche che un intervento del genere avrebbe richiesto.
Periodicamente, comunque, amministratori locali e politici accennarono alla stampa locale la
possibilità di un completo ripristino dell’invaso; nonostante ciò la situazione si mantenne in
stallo per molto tempo. Anche il ricordo del disastro si affievolì con il passare degli anni sino
ad essere pressoché dimenticato. Solo nel 2005, in occasione del 70° anniversario del disastro,
la Diga di Molare riscosse un insperato interesse. Nello stesso anno veniva pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° giugno 2005, n.
3437 riguardante gli “Interventi urgenti di protezione civile per la messa in sicurezza delle
grandi dighe delle regioni Liguria, Marche e Lazio” nella quale veniva fatto esplicito
riferimento alla Diga di Molare che nel frattempo era passata dall’Enel alla Tirreno Power
S.p.A. a seguito della privatizzazione dell’energia elettrica del 1999. Gli interventi di messa in
sicurezza, che sarebbero dovuti partire nel 2009, pongono, salvo grandi colpi di scena, la
parola fine alla possibilità di un riutilizzo della struttura esistente non più compresa nel
Registro delle Dighe Italiane. Nella seconda metà del 2009 sono state inoltre avviate le
procedure per la demanializzazione della Diga di Molare. Questo fatto potrebbe risultare di
grande importanza al fine di consentire la realizzazione di sentieri guidati o percorsi storico-
naturalistici di fondamentale importanza al fine di mantenere, ed anzi ravvivare, il ricordo di
uno dei tre più grandi disastri idraulici della storia italiana. La grande opera, situata all’interno
di un’area di grande interesse naturalistico e circondata da versanti ripidi e boscosi,
rappresenta ora, al pari delle dighe del Vajont e di Gleno, un monumento alla scarsa
lungimiranza e alla mancanza di responsabilità dell’uomo.

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