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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA

BASILICATA

SCUOLA DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Strutturale-Edile


(ISE)

Corso di:

COSTRUZIONI IN ACCIAIO E LEGNO

APPUNTI
1 SISTEMI STRUTTURALI

Le strutture in acciaio, così come quelle in legno anche se apparentemente molto differenti hanno
degli aspetti che le accomunano, per via della tecnica realizzativa che si contraddistingue per via
dell’impiego di membrature strutturali che vengono precostituite, per l’acciaio in officina, e poi
assemblate in cantiere. Pertanto le problematiche relative all’assemblaggio ad esempio nella
realizzazione dei nodi, alla necessità di rendere isostatiche le strutture con l’introduzione di sistemi
di controvento, l’impiego di elementi snelli per cui si deve evitare instabilità, sono aspetti che
accomunano sia le strutture in acciaio che in legno.
La filosofia progettuale cambia radicalmente quindi rispetto alle altre tipologie di strutture, soprattutto
quelle in cemento armato, rispetto alle quali consentono da un lato una maggiore versatilità, nonché
agilità di progettazione, dall’altro sono soggette ad una serie di problemi che necessitano di pervenire
ad una comprensione tridimensionale del comportamento per poterle concepire adeguatamente.
Altro aspetto fondamentale risiede proprio nel diverso comportamento del materiale acciaio, che è
ben differente rispetto al calcestruzzo e alla muratura, per il quale hanno una certa rilevanza anche le
imperfezioni sul comportamento complessivo. Dal punto di vista operativo, per la valutazione della
resistenza del materiale acciaio bisogna tenere presente che risulta necessario, per poter affrontare la
progettazione in modo più agevole, utilizzare degli espedienti di calcolo, perché fare una trattazione
rigorosa del comportamento tensionale dell’acciaio, potrebbe risultare eccessivamente oneroso in
termini di verifiche. Si ricorre pertanto ad un espediente come detto, che fa riferimento alla
DUTTILITA’ poiché l’acciaio di per se è un materiale molto duttile, e questo consente di superare
qualche rigore di calcolo, ottenendo peraltro soluzioni che sono per altro anche a vantaggio di
sicurezza, anche se approssimate. Bisogna però rispettare alcuni criteri, perché non sempre si può
ricorrere alla duttilità, ma si deve capire quali condizioni consentono di operare tale semplificazione.

Una delle peculiarità dell’acciaio, che è anche uno dei maggiori vantaggi, è che gli elementi strutturali
sono già preassemblati, pertanto l’unione degli stessi elementi costituisce un aspetto fondamentale
nella realizzazione di strutture in acciaio. Le unioni vengono realizzate o come unioni SALDATE
oppure BULLONATE, le quali rappresentano una evoluzione delle unioni chiodate che fino alla metà
del XX secolo hanno costituito la parte preponderante delle unioni.
Un aspetto molto importante per le strutture in acciaio è che oltre alla resistenza conta molto anche
la deformabilità, perché essendo un materiale dalle prestazioni molto elevate, il cui rapporto tra
resistenza e modulo elastico è ben più elevato di quello del calcestruzzo, il che si traduce nella
possibilità di poter impiegare meno materiale per ottenere le stesse prestazioni di resistenza.
Utilizzare meno materiale però significa che le sezioni che si ottengono, sono per forza di cose più
snelle, che già fa capire quanto sia rilevante il problema dell’instabilità, ma anche delle eccessive
deformazioni. Quindi molto spesso le verifiche per le membrature strutturali sono condizionate non
tanto dalla resistenza, quanto proprio dalla deformabilità, ragion per cui i limiti dimensionali delle
seziono degli elementi strutturali sono fortemente condizionate anche dalla rigidezza e quindi dalla
deformabilità oltre che dalla resistenza.
Molto importante risulta la valutazione dei limiti di deformazione sia per gli elementi inflessi come i
solai, ma anche per gli elementi verticali per i quali possono insorgere ad esempio per l’eccessiva
inflessione sotto le azioni del vento, fenomeni come l’effetto Pi-Delta, ovvero l’eccentricità del centro
di pressione dei carichi verticali, che si produce per via della deformazione eccessiva degli elementi
verticali, comporta l’insorgenza di un momento accidentale che sommato alle sollecitazioni agenti
comporta un aumento dell’onere statico per la struttura.
Altro tratto distintivo di queste strutture sono le diverse possibilità di collegamenti; le unioni tra
elementi strutturali possono essere saldate o bullonate, ma esistono numerose metodologie di
collegamento che consentono di simulare tipologie di vincolo differenti da quanto accade per le
strutture in calcestruzzo per le quali si riesce ad ottenere solo l’incastro alla base e fra i nodi, ma in
tal caso c’è una serie di tipologie di vincoli che possono variare dalla cerniera all’incastro.

Come già detto, a differenza delle strutture in calcestruzzo che vengono completamente realizzate in
sito, quelle in acciaio partono dalla produzione dei profilati e delle lamiere in stabilimento, in seguito
sono sottoposti ad una prima trasformazione che serve per preassemblare alcuni elementi come ad
esempio una capriata, struttura reticolare che di solito è impiegata per realizzare le coperture di grandi
luci, e si realizza unendo vari elementi per creare delle sottostrutture che vengono poi trasportate in
cantiere per essere assemblati con le altre parti strutturali.
Dunque il processo è completamente differente rispetto alla realizzazione di strutture in ca, per le
quali i vari elementi strutturali sono naturalmente collegati mediante incastri e pertanto presentano
una naturale monoliticità nei nodi. Se volessimo declassare il vincolo, si dovrebbero adottare
accorgimenti opportuni nelle lavorazioni per rompere la continuità delle armature e del getto,
operazione tralaltro poco agevole e molto onerosa. Invece la giunzione in acciaio nasce naturalmente
come un vincolo di cerniera, e per ottenere un nodo che si avvicini ad un incastro, è necessario
condurre lavorazioni aggiuntive per esempio anziché adottare una flangia con cui unire l’anima della
colonna all’ala della trave mediante bullonatura, il che consente di avere una cerniera, si potrebbe
pensare di procedere con lavorazioni più complesse saldando l’anima della colonna all’ala della trave,
e inserire delle squadrette di irrigidimento in corrispondenza dell’anima della trave, per evitare che
le ali possano inflettersi o instabilizzarsi.

La cerniera è molto semplice da realizzare e anche più economica, tanto è vero che solitamente nelle
strutture in acciaio invece di optare per la soluzione con tanti incastri, si adotta la soluzione con tante
cerniere, demandando però ad un sistema strutturale apposito di controventi, il compito di sostenere
le azioni orizzontali, garantendo l’isostaticità della struttura. Perché in effetti una problematica che
insorge adottando uno schema strutturale realizzato con sole cerniere, è la labilità rispetto alle azioni
orizzontali, e quindi è necessario inserire elementi strutturali in grado di sostenere le azioni orizzontali
prodotte da sisma, vento e come accade nei capannoni industriali dalla movimentazione di carriponte
che muovendosi trasferiscono per inerzia alla struttura portante forze orizzontali non trascurabili.
Molto spesso questi elementi sono realizzati mediante dei cavi, dei tondini, ed esistono varie tipologie
ad esempio controventi a soli cavi tesi, che sono dei tondini molto snelli in cui solo quello teso lavora,
mentre l’altro tende a inflettersi e instabilizzarsi siccome è snello, pur rimanendo in campo elastico
quindi senza produrre danni, ma chi opera è semplicemente l’elemento teso. Quando si inverte la
direzione della forza, il processo si inverte. Esistono però anche altre tipologie con elementi tesi e
compressi contemporaneamente.

Altra sostanziale differenza che contraddistingue l’acciaio, è il suo comportamento. Il calcestruzzo e


la muratura sono materiali che lavorano molto bene a compressione, e scarsamente a trazione tanto
che spesso se ne trascura addirittura la resistenza. L’acciaio invece di per se è un materiale omogeneo
e isotropo, e ha un comportamento simmetrico, tanto a trazione che a compressione, salvo nei casi in
cui si manifesta rischio di instabilità. Il suo comportamento valutato con legame costitutivo, evidenzia
raggiunta una certa soglia tensionale, il fenomeno dello snervamento in cui si evince un tratto costante
ad andamento piatto dove l’acciaio si deforma senza incrementi di forza, poi subentra una fase che è
quella di incrudimento che sostanzialmente rappresenta una sorta di riarrangiamento del reticolo
cristallino dell’acciaio che se pur deformato tende ad incrementare nuovamente la sua resistenza. Il
comportamento incrudente compare sia a trazione che a compressione. Molto importante notare la
maggiore efficienza dell’acciaio rispetto al calcestruzzo, osservabile mediante il rapporto tra
resistenza e peso specifico del materiale, il quale è circa un ordine di grandezza superiore rispetto al
cls. Questo significa che la resistenza rispetto al peso specifico è molto più elevata nell’acciaio, tanto
che per ottenere le stesse prestazioni in termini di resistenza, si ha la necessità di un quantitativo di
materiale molto inferiore rispetto al calcestruzzo. Quindi questo da la possibilità di poter evitare
l’impiego di elementi strutturali tozzi con sezioni rettangolari di elevate dimensioni come nel caso
del ca, ma sezioni estremamente snelle e con pareti sottili, il che però se da un lato rappresenta un
enorme vantaggio nell’ottimizzazione dell’impiego del materiale, dall’altro costituisce una delle
maggiori problematiche delle strutture in acciaio che è l’instabilità. Tale fenomeno può interessare
sia l’intero elemento, ma anche part singole come accade ad esempio in una trave inflessa in cui le
ali compresse rischiano di andare in contro al fenomeno di instabilizzazione, oppure un caso in cui vi
sia un carico concentrato in corrispondenza dell’anima, che da origine a fenomeni di instabilità
localizzata.
L’instabilità viene trattata mediante la nota formula di Eulero:

la quale consente di ottenere il cosiddetto carico critico Ncr che risulta essere funzione delle
caratteristiche meccaniche del materiale e quindi del modulo di elasticità E, e inoltre delle
caratteristiche geometriche dell’elemento strutturale, ovvero della sezione A che risulta essere il
punto debole dell’acciaio perché è molto ridotta per gli elementi in acciaio, e della snellezza l data
dal rapporto tra la lunghezza di libera inflessione Lc, divisa per il raggio giratore d’inerzia.
Conviene fare un’osservazione in merito a tale lunghezza che come è noto dipende dai vincoli esterni
in funzione dei quali esiste una lunghezza di libera inflessione differente nella trattazione piana, ma
un aspetto interessante per le strutture in acciaio, è che i vincoli possono essere anche differenti a
seconda delle direzioni, potendosi avere ad esempio un incastro lungo una direzione, una cerniera
nella direzione trasversale. Il che vuol dire che le lunghezze di libera inflessione vanno considerate
di volta in volta.
Tornando alla formula d Eulero, si nota che è di carattere elasto-plastico, potendosi descrivere nel
piano N-D con un tratto rettilineo al limite del quale si trova il carico critico euleriano, seguito da
uno orizzontale, il tutto descrive il comportamento dell’asta teorica, perfettamente rettilinea e a
comportamento elastico, il che rappresenta una idealizzazione. Le aste in realtà non sono mai
perfettamente retilinee a causa del processo di produzione che avviene mediante laminazione con la
quale si conferisce la forma al profilato, si deve considerare l’influenza dei processi di raffreddamento
che comportano tensioni residue, tutti fenomeni che fanno si che in realtà le aste non siano mai
rettilinee. Le aste industriali, non perfettamente rettilinee, vengono catalogate anche in funzione
proprio della non rettilineità, e viene ammessa da normativa una differenza tra asta ideale e asta reale,
che deve essere minore di un millesimo della lunghezza, ad esempio su un profilo di 2m si può
tollerare uno scostamento dall’asta ideale al massimo di 2mm che è abbastanza elevato tralaltro.
L’asta industriale pertanto non essendo perfettamente rettilinea, comporta una differenza dal
comportamento ideale come si può notare, dal momento che durante le fasi di carico, l’asta risulta
soggetta ad un momento accidentale che insorge proprio per il fatto che è soggetta ad uno
svergolamento rispetto alla perfetta rettilineità dell’asta ideale, e dunque il carico di compressione
non è perfettamente centrato ma soggetto ad una eccentricità che moltiplicata per il carico di
compressione P, da origine ad un momento parassita che porta l’asta ad inflettersi, producendo di
conseguenza delle deformazioni che portano a discostarsi dal comportamento ideale. L’asta
industriale come si può notare, tende asintoticamente al valore del carico critico euleriano, ma si
discosta subito dal comportamento ideale per via di questa eccentricità.
L’asta reale sia in termini di comportamento geometrico che meccanico, in realtà non è perfettamente
elastica ma ad un certo punto comincia a plasticizzare. Tale plasticizzazione, è legata tanto all’effetto
dei momenti flettenti, ma in parte è legata anche all’insorgenza delle tensioni residue, che si
sviluppano nella sezione di acciaio, nelle fasi di raffreddamento. Nel processo di laminazione infatti,
l’acciaio esce ad una temperatura attorno ai 650-670 gradi, e man mano si raffredda prima nelle parti
più esterne, ad esempio per un doppio T prima nelle parti esterne delle ali e nella parte centrale
dell’anima, per poi interessare tutta la sezione. Questo comporta delle deformazioni differenziali
dovute proprio alla differenza di temperatura tra le varie fibre, poiché inoltre alle elevate temperature
la resistenza dell’acciaio risulta essere anche inferiore, quindi insorgono delle deformazioni plastiche
irreversibili. Le tensioni residue sono però autoequilibrate il che non comporta deformazioni
dell’elemento, ma fa si che insorga una plasticizzazione accelerata di alcuni elementi soprattutto
quelli più esterni, che fanno si che il comportamento dell’asta reale compressa o inflessa sia ben
diverso da quella ideale. Il comportamento tipico di un’asta reale è di questo tipo:
Si è visto che il materiale di per se ha un comportamento simmetrico in trazione e compressione,
invece l’elemento in acciaio ha un comportamento ben diverso, a trazione conserva la resistenza,
quindi lo stato limite di plasticizzazione che coinvolge tutta la sezione, mentre in compressione il
comportamento è descritto da diverse curve che si differenziano in funzione della snellezza delle aste,
e man mano che essa aumenta, la resistenza può diventare una frazione molto piccola di quella a
trazione.
Ovviamente questo aspetto può essere sfruttato anche con vantaggio così come si è visto per i
controventi, dove si può ricorrere alla capacità di plasticizzarsi del materiale non plasticamente ma
elasticamente, per ottenere schemi strutturali adeguati.

Dato che nelle strutture in acciaio si possono ottenere una variabilità di vincoli, si necessita nella
concezione strutturale di ricorrere ad uno schema a comportamento tridimensionale. Ad esempio
osservando quello che può essere tipicamente uno schema di un capannone industriale con una serie
di portali nel proprio piano paralleli tra loro collegati a terra da sistemi di controvento schematizzabili
con una serie di bielle, inseriti nel piano del portale.

Quindi analizzando lo schema nel piano del portale, se si considera la resistenza all’instabilità degli
elementi compressi, lo schema è quello di asta incastrata-incernierata, mentre fuori dal proprio piano
si comporta come una mensola. Nel primo caso la lunghezza di libera inflessione vale circa 0,7 volte
la lunghezza geometrica, mentre nel secondo caso vale 2 volte tale lunghezza, con significativa
riduzione del carico critico. Per tale motivo la verifica va condotta in entrambi i casi, per valutare le
condizioni più restrittive. Questo è molto importante perché solitamente i collegamenti utilizzati per
queste strutture prevedono incastro nel proprio piano, e cerniera nella direzione trasversale.
Altra problematica delle strutture in acciaio rispetto a quelle in calcestruzzo, è legato all’azione del
vento che solitamente per ca e muratura viene trascurato. Invece per le strutture in acciaio il vento
può essere la forzante più gravosa per la struttura, sia per quanto riguarda gli effetti dei carichi
orizzontali, che per i carichi verticali. Le strutture in calcestruzzo hanno solitamente un peso proprio
della parte strutturale che varia tra i 200-300 Kg/m^2 mentre quelle in acciaio, in virtù della maggiore
efficienza legata al rapporto tra resistenza e peso specifico, hanno un peso proprio al metro quadro
che analogamente al rapporto di efficienza è circa un ordine di grandezza rispetto a quello del
calcestruzzo armato, e in particolare per l’acciaio il peso proprio si attesta intorno ad un valore dai
15-30 Kg/m^2 poiché la maggiore efficienza in tal caso è proprio legata al minor peso della struttura
stessa. Nei capannoni industriali il vento talvolta può anche avere un effetto sfavorevole generando
delle depressioni comunemente noto come effetto palloncino, in cui il vento entrando nella struttura
tende a comprimere dall’interno verso l’esterno le pareti e il soffitto. Queste pressioni possono essere
importanti anche dell’ordine di 30-50 Kg/m^2 e dunque da considerare necessariamente.
Solitamente per le coperture si adottano delle capriate, strutture reticolari progettate per assorbire soli
carichi assiali, caratterizzate da un corrente inferiore solitamente teso, e il corrente superiore invece
compresso. Essendo il corrente superiore un elemento molto lungo e snello, essendo compresso
rischia di instabilizzarsi per cui necessita di essere controventato, mentre il corrente inferiore teso non
necessita di questo espediente. Il problema è che se si inverte la direzione di carico, e in particolare
la depressione del vento supera il peso proprio, si inverte anche la configurazione tensionale negli
elementi, per cui il corrente inferiore si comprime mentre quello superiore risulta teso. Il problema è
proprio legato al fatto che mancando i controventi nel corrente inferiore, spesso si assiste al collasso
per instabilità dello stesso. Altro aspetto importante è che nelle strutture in acciaio, molto spesso è
più importante la deformabilità della resistenza. Le norme infatti impongono dei limiti di verifica
delle deformazioni, ad esempio per un solaio per evitare eccessive deformazioni, si impone un limite
rispetto ai carichi accidentali pari a 1/500 della luce.

Nel seguente diagramma è schematizzato il comportamento espresso in termini di rapporto freccia-


luce per una trave appoggiata-appoggiata in funzione del rapporto luce-altezza della sezione.
Considerando che per una sezione di acciaio la tensione massima è data dal rapporto tra momento
flettente su modulo elastico resistente W, svolgendo tutti i passaggi si perviene alla formula riportata
sopra che mostra come vmax/L è direttamente proporzionale a L/h al variare della tensione massima,
per cui si evince che quanto più è resistente l’acciaio, più risulta deformabile. Quindi avere un acciaio
molto resistente impone che la verifica non va più fatta rispetto alla resistenza ma rispetto alla
deformazione. (vedi interazione M-N pag. 8-9 libro)
COMPORTAMENTO DELLE STRUTTURE EDIFICI MULTIPIANO E
MONOPIANO

Una struttura multipiano è costituita da elementi verticali, ossia colonne in acciaio solitamente
realizzate con profili HE che hanno uguale altezza e larghezza per avere un comportamento
abbastanza simile in entrambe le direzioni principali, mentre per le travi si utilizzano profili IPE che
hanno invece un’inerzia molto più elevata lungo l’asse principale y, per cui consentono di sostenere
meglio i momenti flettenti.
I solai nelle strutture in acciaio sono realizzati in vario modo (vedi pag. 10) ad esempio mediante
lamiere grecate, conformate in modo tale da aumentare l’inerzia flessionale, ma anche grazie alla
presenza di scanalature si rende migliore la collaborazione con il calcestruzzo stesso, rendendo la
sezione collaborante. Il solaio deve avere resistenza rispetto ai carichi verticali, in modo da
ridistribuire qualsiasi tipo di forza agli elementi strutturali perimetrali, ovvero le travi portanti, le
quali a loro volta li trasferiscono alle colonne. La funzione del solaio è anche un'altra, ovvero quello
di garantire un funzionamento uniforme della struttura, rendendola rigida nel proprio piano, e quindi
consentendo di ridistribuire anche le forze orizzontali in modo omogeneo sugli elementi verticali. La
configurazione di solaio rigido si può ottenere in vario modo ad esempio inserendo nel solaio stesso
elementi di controvento.
Gli schemi strutturali adottati per le strutture in acciaio, son due uno è quello simile al ca con elementi
dotati di vincoli di incastro sia alla base che nei nodi trave-colonna, oppure uno schema che consente
di ottenere una distinzione delle funzioni portanti, con uno schema incernierato in grado di sostenere
i soli carichi verticali, ed uno schema di controventi preposto all’assorbimento delle azioni orizzontali
e trasferirle in fondazione. Il primo schema è detto a telaio, non risulta più economicamente
conveniente oltre i 3-4 piani, perché è necessario prevedere colonne molto robuste per via del vincolo
della deformazione dell’acciaio, e quindi si deve fare in modo che a fronte dei carichi orizzontali gli
spostamenti massimi della struttura siano contenuti entro i limiti previsti. Quindi oltre i 3 piani diventa
più conveniente la soluzione che permette di distinguere tra le funzioni, ricorrendo ai vincoli di
cerniere tra i vari elementi strutturali travi e colonne, e dunque siccome le colonne dovranno sostenere
solo carichi verticali, senza dover sostenere momenti dovuti a carichi verticali così come le travi sono
soggette a momenti più contenuti perché derivanti solo dai carichi verticali, ma non quelli dovuti a
sisma, vento ecc.
Ovviamente la resistenza ai carichi orizzontali deve essere affidata ai controventi, per i quali si deve
capire come distribuirli, considerando che si deve ottenere una struttura quanto meno isostatica.
Nell’ipotesi di solaio infinitamente rigido nel proprio piano, per rendere la struttura isostatica si
necessita almeno di 3 gradi di vincolo, ma solitamente è preferibile adottarne di più perché se si
rompesse uno la struttura diventerebbe labile, e quindi si prevedono soluzioni con più livelli di
controventi, ma anche perché se la struttura è molto grande, sotto l’azione delle forze orizzontali si
vanno a caricare eccessivamente le fondazioni, nella zona dove è inserito il controvento, perché vi
trasferisce una coppia di forze verticali agenti in direzioni opposte (tira-spingi) che quindi generano
un momento localizzato. (vedi pag. 13-14 vantaggi e svantaggi)
In sostanza lo schema preferibile è proprio quello che consente la distinzione delle funzioni, o anche
detto schema pendolare realizzato con elementi giuntati da cerniere, che consentono di avere vantaggi
in termini di maggiore economicità relativa alla realizzazione del vincolo, rispetto alla realizzazione
delle giunzioni con incastri.
Le strutture di controvento possono essere rappresentate da nucleo ascensore, struttura esterna
vincolata a terra, oppure sistemi reticolari in acciaio disponendo delle diagonali fra i nodi trave
colonna. Gli schemi più diffusi sono quello a croce di sant’Andrea, il quale può essere o solo a
diagonale tesa attiva, se le aste sono molto snelle, oppure sia a diagonale tesa che compressa, in questo
caso adottando aste più tozze, oppure un altro schema utilizzato è quello a V rovescia, il quale è meno
efficace ma evita di chiudere completamente le aperture. La struttura di controventi, per effetto delle
azioni orizzontali, sarà sottoposta a flessione e taglio. La configurazione a trave reticolare trasforma
le sollecitazioni di flessione e taglio esclusivamente in azioni di trazione e compressione negli
elementi. Il vantaggio risiede nella semplificazione della valutazione degli sforzi all’interno degli
elementi grazie ad alcune ipotesi particolari. Uno degli svantaggi dello schema pendolare è l’aggravio
delle fondazioni in corrispondenza del campo controventato, quindi spesso si preferisce, sia per avere
maggiore iperstaticità sia per scaricare la fondazione, introdurre i controventi su più facciate.
L’obiettivo è quello di rendere isostatica la struttura. Il primo passo è quello di rendere ogni piano
della struttura rigido. Dato lo schema con sole cerniere per irrigidire il solaio nel proprio piano è
necessario introdurre controventi. Ogni solaio deve essere collegato al sistema di controventi in
almeno tre punti non allineati per evitare la labilità. Vedi pag. 16. Altra modalità di realizzazione del
controvento, molto più frequente di quella precedente, è quella con vani scala e nucleo ascensore,
magari posizionati anche in modo simmetrico. Anche in questo caso è necessario rendere i solai rigidi
nel proprio piano attraverso l’introduzione di una maglia di travi reticolari. Se il vano ascensore è
chiuso (rigido torsionalmente) è necessario introdurre controventi nella sola direzione longitudinale
(non sono necessari controventi nella direzione trasversale).

Altro caso è quello con nucleo ascensore con parete mancante. In questo caso il nucleo ascensore
non può considerarsi rigido torsionalmente. Per irrigidire il solaio nel proprio piano bisogna inserire
campi controventati in entrambe le direzioni.

Altra tipologia di edifici molto utilizzata è quella dei capannoni industriali. La maggior parte di essi
sono realizzati in acciaio sfruttando la capacità di sostenere carichi importanti per luci elevate nel
caso in cui si utilizzano travi reticolari. La copertura è solitamente realizzata con una serie di capriate,
elementi reticolari in grado di coprire luci importanti anche superiori a 20/30 m. Solitamente sono
poggiate su una serie di allineamenti di colonne la cui funzione è quella di sostenere sia i carichi
verticali trasmessi dalle capriate che le carichi concentrati derivanti dal carroponte. Anche in questo
caso nello schema strutturale compaiono controventi, in particolare controventi di parete e controventi
di falda. I primi sono deputati ad assorbire le forze orizzontali. I secondi sono necessari per conferire
opportuna rigidezza nel proprio piano alla copertura ma anche per assorbire le varie forze che si
sviluppano all’interno degli arcarecci. L’arcareccio è una trave longitudinale poggiata sulle capriate
con il compito di trasmettere i carichi verticali derivanti dalla copertura alle capriate stesse ma anche
di evitare che le capriate si instabilizzino per effetto dei carichi verticali (????). Solitamente gli
arcarecci sono disposti in corrispondenza di ciascun nodo della capriata, in modo da trasformare le
forze trasmesse dagli arcarecci in soli sforzi di trazione e di compressione negli elementi della trave
reticolare della capriata. Gli arcarecci sono solitamente realizzati con elementi a doppio T o a C. La
particolarità degli arcarecci è che sono inclinati in quanto seguono l’inclinazione della falda. Quindi
i carichi verticali, come i carichi dovuti ai pannelli di copertura o i carichi accidentali come la neve,
sono scomponibili in due aliquote: una perpendicolare all’asse principale di inerzia dell’arcareccio e
un’altra parallela a questo agente in sommità della trave producendo sull’arcareccio una
sollecitazione di flesso-torsione, con la flessione dovuta a Fn, componente ortogonale alla falda, e
torsione dovuta a Ft, componente tangente alla falda. Se le luci sono poco elevate la torsione non è
molto influente. Rappresenta un’aliquota percentualmente piccola rispetto alla flessione. Se le luci
sono elevate la torsione è importante. In questo caso la soluzione adottata è quella con pendini, ossia
tondi filettati in acciaio saldati o imbullonati sulla faccia superiore degli arcarecci. Sono
autoequilibrati. Consente di equilibrare queste Ft, per cui la componente torsionale agente
sull’arcareccio viene completamente o quasi annullata. Per gli arcarecci si sono possono adottare
schemi differenti. La produzione industriale degli elementi in acciaio, dunque anche degli arcarecci,
prevede che la lunghezza degli elementi stessi sia al più pari a 12m (standard europeo). Possono
essere di lunghezza pari a 6m o 12m. Nella progettazione degli elementi aspetto significativo dal
punto di vista economico è quello di ridurre al massimo lo sfrido, ossia il materiale inutilizzato. È
possibile poggiare gli arcarecci in vari modi sulle capriate. Se gli arcarecci sono disposti con appoggio
continuo sulla capriata intermedia tra due campi la reazione centrale è maggiore del doppio delle
reazioni degli appoggi estremali, per cui la capriata centrale è più sollecitata rispetto a quelle sulle
quali ricadono le cerniere. Questo significa che è necessario progettare capriate con capacità diverse.
Le capriate con cerniera sono più scariche di quelle con appoggio continuo. Questo problema viene
superato disponendo gli arcarecci alternando l’appoggio continuo tra un arcareccio e l’altro in modo
tale che le capriate sono caricate dagli stessi carichi (FIGURA QUADERNO).

Altra soluzione, abbastanza adottata anche se più onerosa, è quella della trave Gerber con inserimento
di cerniere dove si annulla il momento flettente, per cui tutti gli scarichi sulle capriate hanno la stessa
entità. In questo caso l’onere in più deriva dalla creazione di un giunto meccanico in corrispondenza
delle cerniere, in più si deve creare un appoggio per collegare fisicamente l’arcareccio alla capriata,
quindi ho due lavorazioni invece che una. Dal punto di vista statico è la soluzione più elegante perché
si ottengono scarichi tutti uguali sulle capriate.
Le travi di bordo sono elementi che collegano perimetralmente le capriate con le seguenti funzioni:
collegare trasversalmente insieme agli arcarecci le varie capriate, e quindi devono essere progettate
in modo da non instabilizzarsi se sottoposte a compressione, ma possono avere anche altre funzioni,
quando ad esempio le capriate non sono tutte realizzate in corrispondenza delle colonne per esigenze
funzionali nella distribuzione degli spazi, e quindi le capriate stesse in tal caso vengono progettate in
falso sulla trave di bordo, che deve essere realizzata come trave reticolare per poter in assenza di
pilastri essere in grado di sostenere anche i carichi verticali. Gli schemi di travi reticolari più diffusi
sono quello Warren, ma soprattutto Pratt o Monhiè.
Altra considerazione importante è relativa al posizionamento dei controventi di falda. Se osservo il
comportamento della capriata ne proprio piano soggetta ai carichi verticali, il corrente superiore
risulta compresso e quello inferiore teso, ma la presenza di diagonali e montanti è positiva poiché
interrompe la lunghezza di libera inflessione, e più sono fitte le maglie più questa si riduce e maggiore
è la resistenza a compressione nei confronti dell’instabilità. Invece fuori dal piano della capriata, in
assenza di vincoli si instabilizza portandosi dietro le altre capriate per via del collegamento mediante
gli arcarecci. Quindi per evitare questo, bisogna bloccare il corrente superiore della capriata nel piano
della falda mediante l’impiego di controventi trasversali, che inoltre consentono di ottenere un
irrigidimento nel piano della falda stessa. Inoltre si inseriscono anche controventi in direzione
longitudinale per evitare instabilità anche lungo questa direzione, anche quando ci sono capriate in
falso. I controventi longitudinali inoltre hanno la funzione di diffondere opportunamente a tutte le
colonne i carichi orizzontali quali sisma, vento e azioni longitudinali del carroponte.
Le coperture nelle versioni più recenti sono realizzate con pannelli sandwich con lamiere grecate al
cui interno è presente la coibentazione.
Con i controventi di falda, è possibile anche, incernierandoli in corrispondenza degli arcarecci
disposti sulla capriata in facciata più sollecitata dall’azione del vento, ridurne la lunghezza di libera
inflessione ad un valore di metà, facendo si che gli stessi arcarecci stessi possano manifestare
maggiore resistenza nei confronti delle forze verticali.
Se tutte le capriate poggiano direttamente sulle colonne non sarebbe necessario inserire la trave
reticolare di bordo, anche se è buona norma inserirla lo stesso per evitare deformazioni trasversali.
Per gli schemi strutturali dei capannoni industriali, si possono adottare 3 tipi, il primo con portali in
cui le capriate sono collegate direttamente alle colonne, e presentano incastri alla base in entrambe le
direzioni, tale schema eviterebbe di realizzare i controventi di facciata perché i telai manifestano
rigidezza in entrambe le direzioni. Questo comporta un aggravio di sollecitazione per le colonne che
devono essere in gradi di sostenere sia carichi verticali che orizzontali, comportandosi come una
mensola.
Per rendere rigida la copertura nel proprio piano in teoria basterebbe un unico ordine di controventi,
ma se ne aggiunge un altro per vari motivi, il primo immediato è che il vento spira in entrambe le
direzioni, ma serve anche quando non c’è vento, per evitare che fenomeni di instabilizzazione possano
interessare gli arcarecci sui quali vanno a scaricarsi le forze che a loro volta vincolano la capriata, la
cui orientazione non è nota.
Altra soluzione per lo schema statico del capannone è quella con colonne incernierate in entrambe le
direzioni, e ovviamente questo è vantaggioso perché consente l’uso di colonne di dimensioni ridotte,
perché soggette solo a carichi verticali, però si necessita di controventi sia trasversalmente che
longitudinalmente per assorbire le azioni orizzontali. In tal caso ci sono svantaggi per quanto riguarda
le aperture in entrambi i lati, e inoltre in tal caso rispetto alla soluzione incastrata in entrambi i lati in
cui le colonne possono assorbire le azioni orizzontali per via della elevata rigidezza, nello schema
incernierato i controventi di falda longitudinale diventano molto più impegnativi, perché non si riesce
a trasferire l’azione orizzontale ai telai che non hanno sufficiente rigidezza nel proprio piano. Quindi
si deve necessariamente scaricare la pressione esercitata sull’intera facciata, sui controventi laterali,
e l’elemento longitudinale di copertura, si deve comportare come un’enorme trave che deve assorbire
i carichi del vento per poi trasferirli ai controventi trasversali. Quindi deve essere molto rigida e
resistente, da cui l’impegno maggiore sulla capriata.
La soluzione adottata più di frequente è quella mista tra le due, con telai incastrati nella direzione
trasversale, e incernierati nella direzione longitudinale, in tal modo ogni telaio è in grado di assorbire
forze orizzontali, quindi non è necessario inserire controventi trasversali nelle facciate esterne, ma si
devono inserire controventi nelle facciate longitudinali per assorbire le forze orizzontali che non
verrebbero assorbite dalla presenza di cerniere longitudinalmente. Questa soluzione ottimizza sia
l’impiego di materiale che di mano d’opera, ed è la più economica a parità di prestazioni. In questa
configurazione le forze orizzontali applicate in facciata vengono trasmesse dalla trave di bordo,
aiutata eventualmente dai controventi di falda, sui controventi di facciata che a loro volta reagiranno
con una forza di taglio uguale e opposta alla forza applicata, e una coppia di forze reagenti che
dovranno equilibrare il momento dovuto a questa forza, dato dal prodotto della forza stessa per la
distanza a cui è applicata da terra, e viene equilibrata da una coppia prodotta dalle forze uguali e
opposte agenti nelle colonne, per la distanza tra le colonne stesse che rappresenta il braccio.
Per i controventi esistono diversi schemi oltre quello a croce di S.Andrea, costituito da due elementi
diagonali incernierate nel telaio in cu sono inserite, ma si possono impiegare altri schemi dove c’è
problema delle aperture, come quelli a V rovescia e a K. Tali soluzioni sono meno efficienti rispetto
alla croce di S. Andrea perché la diagonale quanto più è inclinata sull’orizzontale tanto più risulta
caricata la diagonale scomponendo la forza. Il posizionamento ottimale dei controventi è quello nel
campo centrale, perché se si disponessero nelle testate del capannone si rischierebbe di instabilizzare
la trave di bordo soggetta a compressione perché impedita a dilatarsi sotto deformazioni termiche.
Talvolta per non aggravare eccessivamente le fondazioni in corrispondenza del campo controventato,
e quindi si devono controventare più campi sempre in prossimità delle zone centrali per consentire
deformazioni termiche, e se questo limita l’accessibilità e si devono disporre necessariamente nelle
parti esterne, per evitare l’effetto delle coazioni, si può adottare una sorta di fusibile realizzato
mediante un’ovalizzazione dei fori, in modo tale da consentire lo scorrimento, che evita al controventi
comprimersi e instabilizzarsi.

SCHEMI PER TELAI TRASVERSALI


Per i telai trasversali esistono varie tipologie, come quello a portale in cui tutti gli elementi sono
realizzati con profilati in acciaio saldati, tutti pieni. Altra tipologia è quella con travi reticolari
imbullonate alle colonne. Nelle varie soluzioni la dimensione delle colonne è funzione della portata
dei carriponte, che se sono abbastanza limitate consentono di utilizzare lo stesso elemento strutturale
colonna con una mensola direttamente collegata con essa, mentre se le portate sono più elevate
conviene non utilizzare la stessa colonna ma poggiare la trave porta carroponte su una struttura molto
più tozza e più resistente, mentre la parte adibita a sostenere la copertura ha dimensioni più contenute.
Anche in tal caso si può optare per la soluzione a telaio oppure con capriata, realizzando le colonne
o continue, oppure se si necessita di incrementare le sezioni per ottenere maggiore resistenza, si può
ricorrere anziché ai profili commerciali, a delle aste composte con laminati standard.
Il portale principale può essere realizzato in tre modi differenti:
• TELAIO CLASSICO con nodi trave colonne incastrati, e incastri anche alla base, utilizzato
per soluzioni non di grandi dimensioni, perché utilizzare profili pieni laminati, comporta un
impiego di materiale molto importante. In tal caso si assiste all’insorgenza di sollecitazioni
flettenti nei nodi trave colonna oltre che nelle colonne. Per luci importanti si utilizzano due
schemi differenti:
• TELAIO A TRAVERSI RIGIDI, con travi reticolari che possono considerarsi come
infinitamente rigide rispetto alle colonne, le quali vanno in contro ad una deformata shear-
type, con distribuzione dei momenti flettenti sia nelle colonne che nelle travi, simile allo
schema precedente. Questo comporta impegno flessionale anche all’attacco della trave con la
colonna. Il che significa che i nodi devono essere in grado di assorbire la coppia che si instaura
tra corrente superiore e inferiore. Dunque è una soluzione onerosa per il collegamento stesso.
• TELAIO CON COLONNE A MENSOLA In tal caso si solleva la capriata dall’impegno
flessionale mediante la realizzazione di una cerniera in testa alle colonne, che ha solo la
funzione di trasferire i carichi verticali dalla capriata alla colonna, ma non ha funzioni di
reazione e non deve trasferire azioni di azione e compressione per equilibrare un momento.
La rave reticolare è come se fosse poggiata alle colonne con due cerniere, ottenendo così uno
sgravio importante delle azioni di trazione e compressione degli elementi della capriata in
corrispondenza degli appoggi, e la trave stessa viene calcolata per soli carichi verticali,
ovviamente l’inserimento della cerniera se da un lato riduce le sollecitazioni nelle travi, poiché
le colonne hanno un comportamento a mensola, non ho più il contributo favorevole del
momento resistente in testa, e il momento alla base aumenta molto.
Una problematica negli edifici industriali, è il cosiddetto effetto palloncino, in cui il vento crea una
depressione che può superare il peso proprio della copertura, e ne inverte il funzionamento facendo
comprimere il corrente inferiore di norma teso per azione dei carichi verticali, e dunque non
opportunamente bloccato come avviene invece peri il corrente superiore dove sono presenti gli
arcarecci, per cui va in contro a svergolamento. Dove ci sia il rischio di questi fenomeni, è necessario
disporre controventature longitudinali che possono essere vere e proprie travature reticolari,
funzionali anche per trasferire i carichi orizzontali del vento ai vari telai, ma soprattutto a ridurre la
luce di libera inflessione degli elementi sottostanti oppure si può ricorrere all’introduzione di cavi
tenditori, cioè tondini con sistema di tesatura, posizionati in maniera alternata da un lato e dall’alto e
funziona solo con elementi tesi, che essendo tondini, trefoli quindi elementi molto snelli, in
compressione sbandano ma in modo elastico, riuscendo a bloccare anche il corrente inferiore in fase
di inversione della sollecitazione, evitandone l’instabilizzazione.

Un aspetto fondamentale è quello di valutare effettivamente se i collegamenti realizzati sulle strutture


in acciaio, sono assimilabili alle schematizzazioni di calcolo. Per fare ciò è fondamentale riferirsi al
teorema statico del calcolo a rottura.
Sostanzialmente il teorema dice che se applico una forza sulla struttura, ad esempio un momento
flettente su un nodo, esso è in grado di reagire trasferendo delle forze applicate sulla trave, alla
colonna. Nella realtà all’aumentare del carico con un certo moltiplicatore alfa, il nodo comincia a
deformarsi e di plasticizza, ma se la struttura non collassa, quindi il vincolo è in grado di trasferire il
carico dalla trave alla colonna, sto aumentando l’alfa, ma il vincolo sta reagendo con una reazione.
Finchè il vincolo è in grado di resistere, la struttura è in equilibrio, allora posso considerare il vincolo
come una cerniera, perché si fa ricorso ad una caratteristica fondamentale che è la duttilità elevata
dell’acciaio, per il quale anche se si va oltre le condizioni di soluzione equilibrata e congruente, in tal
caso si trascura proprio la condizione di congruenza, perché anche se la struttura si deforma
localmente, se tale deformata è compatibile con la duttilità del materiale, è comunque accettabile. La
caratteristica fondamentale dell’acciaio, che lo distingue nettamente dal cls, è la capacità di
deformarsi plasticamente mantenendo i carichi. Questo teorema si basa proprio sulla duttilità del
materiale, le deformazioni devono essere inferiori a quelle di rottura, non si deve raggiungere
instabilità degli elementi, e devono essere trascurabili gli effetti del secondo ordine legati alla
deformabilità. In definitiva risulta sempre a vantaggio di sicurezza qualsiasi soluzione che pur
violando la congruenza, ma a patto che risulti comunque equilibrata, si riesce a valutare una reazione
alla forza applicata e si rispetti la resistenza del materiale. In sostanza questo consente ai fini del
calcolo di avere una semplificazione utilizzando effettivamente delle cerniere nello schema statico,
pur sapendo che realmente vengono ottenute mediante squadrette che comunque non sono cerniere
perfette, ma contando sulla duttilità la semplificazione è accettabile.

SCHEMA PENDOLARE
Consente di calcolare una struttura come se fosse tutta incernierata anche alla base, tutte le forze
verticali sono sopportate dalle colonne e dalle travi, e quelle orizzontali dal sistema di controventi.
Nel calcolo si considerano gli assi baricentrici degli elementi intersecati tra di loro, in corrispondenza
dei quali si dispongono cerniere.
Dal punto di vista realizzativo la cerniera può essere disposta in vari punti, ad esempio ipotizzandola
in corrispondenza dell’intersezione degli assi baricentrici degli elementi. In questo caso la trave
teorica del modello è più lunga di quella reale che si ferma prima. Quindi la trave teorica avendo una
luce maggiore di quella reale, è soggetta ad un momento maggiore, e si va a sovradimensionare la
trave stessa. La colonna invece è soggetta ad un’azione assiale perché collegata alla trave con una
cerniera. Se considero quello che accade all’interfaccia tra trave e colonna nelle sezioni x, e nella
sezione y in corrispondenza dei bulloni sull’anima della trave, tali giunzioni sono sollecitate da una
parte la reazione R1 che è il taglio trasferito dalla trave, e un momento flettente dato da R1 per a che
è il braccio rispetto al baricentro della colonna, e quindi i bulloni sull’ala della colonna sono sottoposti
per via di questa ipotesi di localizzazione della cerniera, ad un momento più grande R1*(a+e).
In alternativa si può ipotizzare che la cerniera ricada in corrispondenza dell’interfaccia trave-colonna,
in cui la luce di calcolo della trave è molto vicina a quella reale. In tal caso si riducono le dimensioni
della trave, si aumentano quelle della colonna che deve essere calcolata oltre che per uno sforzo
normale pari al taglio della trave, anche per un momento R1*a. Ultimo schema è quello che prevede
il collocamento della cerniera in corrispondenza dei bulloni d’anima della trave, che risulta ancora
più corta, riducendone la sezione perché calcolata con una luce minore, ma questo comporta ulteriore
aggravio per le colonne, si risparmia sulla giunzione. La scelta in definitiva a parità di sicurezza,
coerentemente con le sollecitazioni derivanti dai vari schemi possibili, è governata dall’economicità
di realizzazione. Alcune scelte progettuali possono comportare la disposizione del collegamento trave
colonna in corrispondenza dell’anima della colonna stessa per ridurre il braccio a che comporta
momento sulle colonne. La modellazione mediante cerniere nel calcolo delle travature reticolari che
rappresentano gli elementi di copertura, dei collegamenti tra i vari elementi, pur essendo una
semplificazione che consente un calcolo più agevole, in realtà è a vantaggio di sicurezza perché la
lunghezza di libera inflessione teorica che si considera nel calcolo, è maggiore di quella effettiva
dell’elemento, per cui la snellezza è maggiore e dunque l’elemento è dimensionato con un carico
critico minore di quello reale, e inoltre si fa leva sul comportamento duttile dell’acciaio rispetto alle
condizioni di rottura.
Mentre sulle unioni saldate si riesce a fare in modo che gli assi baricentrici siano tutti centrati con
l’asse baricentrico della trave in un solo punto, e che non vi siano flessioni parassite in corrispondenza
delle saldature, perché in un elemento teso o compresso si esplica lungo il proprio asse baricentrico.
La trazione o compressione si ridistribuisce sui cordoni di saldatura, e si può fare in modo che anche
l’asse baricentrico dei cordoni di saldatura coincida con l’asse baricentrico dell’elemento stesso,
semplicemente calibrando opportunamente le lunghezze dei cordoni, trasformando le trazioni e le
compressioni in soli sforzi di taglio nelle saldature. Se invece i cordoni hanno lunghezze uguali o
sbagliate, nasce anche una sollecitazione torsionale parassita. Generalmente con le saldature però è
facile evitare questo. Con le unioni bullonate invece è più complesso, perché anche in tal caso
teoricamente si dovrebbero mettere i bulloni in corrispondenza dell’asse baricentrico dell’elemento,
però fisicamente non è realizzabile perché negli elementi ad L c’è un raccordo in più si deve inserire
una rondella e quindi lo spazio disponibile è limitato. Si riesce a farlo ad esempio negli elementi
simmetrici a C ma in quelli asimmetrici non si riesce a sovrapporre il baricentro dell’elemento con il
baricentro dei bulloni definito asse di truschino. In tal caso quindi si crea un’eccentricità tra l’asse
baricentrico dell’asta e quello di truschino, e questa eccentricità comporta la nascita di un momento
M=N*e. Su ogni bullone si deve quindi considerare la composizione vettoriale delle forze che
agiscono sul bullone ossia la forza N/2 data dall’azione assiale e quella per equilibrare i momenti
parassiti. Molto spesso si sceglie di realizzare per maggiore semplicità, i disegni esecutivi riferendosi
all’asse di truschino piuttosto che a quello baricentrico, il che però comporta la nascita di momenti
parassiti da considerare opportunamente.
TRAVI RETICOLARI DI CONTROVENTO

Sia negli edifici multipiano che monopiano, conviene specializzare sempre le funzioni facendo si che
i carichi verticali siano assorbiti dalla struttura vera e propria e quelle orizzontali dai controventi, i
quali sono realizzati con una struttura reticolare disposta verticalmente, in grado di trasformare le
forze orizzontali in una serie di azioni di trazione e compressione all’interno della stessa struttura
reticolare nell’ipotesi che tutti i nodi siano costituiti da cerniere. La semplificazione che consente di
assumere una lunghezza maggiore ideale dell’asta compressa o tesa che costituisce il controvento,
consente di assumere a vantaggio di sicurezza l’ipotesi di incernierizzazione, e semplifica i calcoli.
Le configurazioni possibili di schematizzazione prevedono la possibilità di considerare il caso
semplice di struttura controventante con elementi che lavorano solo a trazione, che sfrutta la capacità
di elevata snellezza del materiale, e quindi adottando elementi molto snelli come i cavi tenditori, che
sono considerati reagenti solo quando tesi, mentre in compressione tendono a sbandare ma comunque
essendo estremamente snelli vanno in contro a sbandamento elastico che non danneggia i controventi;
oppure considerando resistenti gli elementi sia a trazione che a compressione, in cui però l’elemento
compresso deve avere una snellezza molto bassa tanto da poter resistere al carico di punta.

Ai fini del calcolo, nell’ipotesi in cui l’asta compressa abbia un comportamento perfettamente
speculare rispetto a quella tesa, è possibile fare riferimento ad un’analisi che prevede la somma di
due singoli contributi in cui un’aliquota della forza pari ad H/2 viene attribuita al controvento
compresso, e l’altra H/2 invece a quello teso. In tal modo si può calcolare scomponendo nella
direzione dei controventi lungo il proprio asse, l’azione che lo sollecita.
Solitamente se la snellezza è ridotta con valore di lambda inferiore a 100, è corretto dimensionare il
controvento considerando il contributo di diagonali tese e compresse, se invece si vuole utilizzare la
configurazione a diagonali solo tese, la snellezza può essere più elevata e con valore di lambda
superiore a 200 per avere certezza che pur sbandando resti elastica, senza comportare lo
svergolamento ad esempio di un’ala con conseguente plasticizzazione. Bisogna fare attenzione perché
se si assume il comportamento a sola diagonale tesa, valori di snellezza superiori a 100 non si possono
accettare perché l’instabilizzazione comporterebbe la plasticizzazione di qualche elemento, e quindi
nell’inversione delle forze non si recupera più la condizione indeformata. Quindi il campo di valori
compreso tra 100 e 200 non viene mai utilizzato perché si danneggia il sistema. Quindi si deve optare
o per un sistema che resiste efficacemente a compressione o al più si deve instabilizzare ma sempre
in campo elastico.
Altra configurazione per i controventi è quella eccentrica che è una variante della V rovescia in cui
le diagonali convergono in un unico punto, e per certi versi è più vantaggioso perché le componenti
verticali delle forze si annullano e si equilibrano quando i due elementi lavorano sia a trazione che a
compressione. Spesso quelli eccentrici sono utilizzati come sistema dissipativo, sfruttando un link
intermedio sollecitato fortemente a flessione e taglio, che in qualche modo possono plasticizzare
l’elemento stesso, facendo si che ci sia una sorta di dissipazione aggiuntiva di energia. Il diagramma
del momento flettente è differente a seconda delle condizioni di lavoro dei controventi, in particolare
è più gravoso per la trave nel caso di diagonale solo tesa.

CONTROVENTI DI FALDA

Per rendere rigido il piano della falda si inseriscono i controventi trasversali. Questa condizione
potrebbe essere sufficiente per fare in modo che il capannone sia stabile. Nel funzionamento delle
strutture monopiano, gli arcarecci sono adibiti ad assorbire i carichi verticali della copertura trasferiti
dai pannelli, e a loro volta trasferendoli alle capriate, nei vari nodi le quali essendo strutture reticolari,
sono sottoposte solo a sforzi di trazione e compressione. In genere per effetto dei carichi verticali il
corrente superiore risulta compresso, mentre quello inferiore è teso, pertanto essendo il corrente
superiore realizzato con elementi molto snelli, che coprono luci molto elevate anche oltre i 20m,
bisogna evitare che si instabilizzi. In questo gioca un ruolo fondamentale la presenza degli arcarecci
che oltre a trasferire i carichi verticali svolgono una duplice azione, stabilizzando anche il corrente
superiore, riducendone la lunghezza di libera inflessione, all’interasse tra due arcarecci contigui,
incrementando la resistenza a compressione per la capriata.
L’arcareccio se deve assorbire lo sbandamento, sarà soggetto ad azioni di trazione o compressione,
la cui direzione non è nota a priori, perché non è nota la direzione di instabilizzazione delle capriate.
Allora le possibili soluzioni sono due, una in cui gli arcarecci devono poter resistere a trazione e
compressione, che produce un aggravio delle dimensioni per gli arcarecci stessi, l’altra più semplice
solitamente adottata, è quella di inserire un altro ordine di controventi, il cui costo è comunque
inferiore all’aggravio di spesa che si avrebbe irrobustendo gli arcarecci per renderli resistenti a
compressione. In questo modo quando la forza tenderebbe di per se a comprimere l’arcareccio (come
nel caso in cui l’ordine di controventi non è inserito) in realtà per la presenza del vincolo questa forza
si trasforma in un’azione di trazione.
RESISTENZA DELLE SEZIONI
Le norme per le verifiche di resistenza delle strutture in acciaio, tengono conto dell’importanza del
fenomeno dell’instabilità. Questo fenomeno non riguarda solamente gli elementi caricati di punta,
ma anche parte degli elementi stessi, ad esempio le cerniere plastiche che si possono formare in
corrispondenza dei nodi, si manifestano per instabilizzazione delle flange. Si parla quindi di
instabilità globale se l’elemento è interessato per la sua intera lunghezza, ma si parla anche di
instabilità locale che interessa invece le parti fortemente compresse delle sezioni trasversali, come
la compressione derivante da effetti flessionali nelle ali, e ancora esiste anche una instabilità
distorsionale legata a fenomeni di instabilità locale tipica dei profili di classe 4, ovvero quelli
estremamente sottili. Infatti le sezioni trasversali degli elementi si classificano in funzione della loro
capacità rotazionale C teta

Dove teta r è la rotazione a rottura mentre teta y la rotazione allo stato limite di plasticizzazione.
classe 1 sono solitamente le sezioni scatolari e le sezioni a doppio t caratterizzate da pareti abbastanza
spesse come HEM HED con elevata resistenza all’instabilità locale degli elementi costituenti la
sezione. Le sezioni di classe 2 sono ancora in grado di sviluppare appieno il loro momento plastico,
conservando una capacità rotazionale inferiore rispetto alla classe precedente. Classe 3 invece si
avvicina al momento plastico, raggiunge lo stato limite di superamento in alcune parti della sezione
del limite elastico, ma non riesce a raggiungere il momento di plasticizzazione, classe 4 non si riesce
neanche a raggiungere lo snervamento di una fibra della sezione perché intervengono
preventivamente i fenomeni di instabilizzazione locale. In tal caso ci si riferisce ad una sezione
efficace, come la sezione al netto delle parti che si instabilizzano elasticamente per bassi valori di
sollecitazione flessionale. Il metodo di classificazione proposto dipende dal rapporto tra la larghezza
e lo spessore delle parti della sezione soggette a compressione. La sezione è classificata secondo la
classe più sfavorevole delle sue parti compresse.
Ai fini delle verifiche le norme distinguono tra 3 stati limite ultimi:
- Stato limite di equilibrio: al fine di controllare l’equilibrio globale della struttura e delle sue parti
durante tutta la vita nominale comprese le fasi di costruzione e di riparazione; l’equilibrio infatti
diventa fondamentale per il calcolo delle strutture in acciaio, per le quali molto spesso s tralascia la
congruenza facendo riferimento alla duttilità del materiale.

- Stato limite di collasso: corrispondente al raggiungimento della tensione di snervamento oppure


delle deformazioni ultime del materiale e quindi della crisi o eccessiva deformazione di una
sezione, di una membratura o di un collegamento.

- Stato limite di fatica: controllando le variazioni tensionali indotte dai carichi ripetuti in relazione
alle caratteristiche dei dettagli strutturali interessati. Il controllo è effettuato rispetto ad uno stato
tensionale minimo di soglia, oltre il quale si può raggiungere la rottura per fatica, e sotto il quale
invece i cicli possono essere infiniti senza raggiungere il valore di rottura per la fatica stessa.

Anche lo stato limite di esercizio viene suddiviso in vari stati limite:


- Stato limite di deformazione e/o spostamento. Al fine di evitare deformazioni e spostamenti che
possano compromettere l’uso efficiente della costruzione e dei suoi contenuti, nonché il suo aspetto
estetico; le strutture in acciaio hanno elevata deformabilità consentendo di sfruttare bene il rapporto
tra resistenza e rigidezza, quindi a parità di resistenza, sfruttando meno materiale, è dotata di minore
rigidezza e quindi maggiore deformabilità.

- Stato limite di vibrazione. Al fine di assicurare che le sensazioni percepite dagli utenti
garantiscano accettabili livelli di comfort ed il cui superamento potrebbe essere indice di scarsa
robustezza e/o indicatore di possibili danni agli elementi secondari; in particolare per l’acciaio lo
smorzamento viscoso equivalente di una struttura in acciaio, è circa 1-2% mentre per il ca di solito
si assume pari al 5%. Quindi questo fa si che le vibrazioni siano meno smorzate nelle strutture in
acciaio. Questo ad esempio è molto importante per evitare il disserraggio dei bulloni a causa delle
vibrazioni.

- Stato limite di plasticizzazione locale. Al fine di scongiurare deformazioni plastiche che generino
deformazioni irreversibili ed inaccettabili; è importante per le articolazioni a perno ad esempio.

- Stato limite di scorrimento dei collegamenti ad attrito con bulloni ad alta resistenza. Nel caso che
il collegamento sia stato dimensionato a collasso per taglio dei bulloni.

Le metodologie di verifiche prevedono diversi tipi di approccio:


• METODO ELSTICO: applicabile a qualsiasi tipo di sezione e non considera gli effetti della
plasticizzazione
• METODO PLASTICO: valuta il comportamento considerando la formazione di cerniere
plastiche, ed è applicabile solo a sezioni appartenenti alla classe 1-2 che sono in grado di
manifestare effettivamente quel tipo di comportamento e garantire una certa duttilità
• METODI ELASTOPLASTICI: possono essere applicati a qualsiasi tipo di sezione e
dipendono anche dal tipo di comportamento tensione deformazione considerato.

Per quanto riguarda la valutazione della capacità resistente delle sezioni tese, di solito la parte più
debole della sezione, è quella situata in corrispondenza dei fori. La capacità portante dell’elemento
teso è condizionata dalla sua area netta, ossia dell’area effettivamente reagente dell’elemento nella
sezione d’attacco. Nel caso in cui la trasmissione del carico avvenga in corrispondenza dell’asse
baricentrico, l’area netta della sezione è pari alla sua area lorda opportunamente ridotta per la
presenza di fori e aperture. Se i fori sono disposti in modo sfalsato, l’area effettiva deve essere la
minima tra quella della sezione retta e quella di sezioni passanti per i fori e depurate degli stessi.
Il momento resistente elastico è legato ad una configurazione che comporta la conservazione delle
sezioni piane, cui corrisponde un diagramma delle deformazioni di tipo lineare a farfalla, e
moltiplicando tale distribuzione per il modulo elastico della sezione, si ottiene la distribuzione delle
tensioni anche essa lineare a farfalla. Nessuna fibra della sezione raggiunge lo stato limite di
snervamento. Quando invece la sezione è in grado di sviluppare la plasticizzazione delle proprie fibre,
senza raggiungere l’instabilità delle stesse, allora a fronte sempre dell’ipotesi di conservazione delle
sezioni piane, c’è una configurazione delle sigma che è invece birettangolare. Superando in ogni fibra
il limite di snervamento, il diagramma delle deformazioni è elastoplastico. Il momento resistente
elastico è dato dal prodotto tra tensione di snervamento e modulo elastico, che dipende dalla
geometria della sezione, nel caso di completa plasticizzazione della sezione, si può esprimere
analogamente il momento plastico come prodotto tra la tensione fy della tensione di snervamento che
è la stessa, moltiplicata però per il modulo plastico che tiene conto del superamento del limite elastico
in ciascuna fibra.
.
Se si rappresenta il rapporto tra momento plastico ed elastico, si osservano le risorse di resistenza
degli elementi, passando dalla plasticizzazione della fibra più esterna, in condizione di sezione tutta
elastica, alla condizione di sezione plasticizzata. Questo lo si può fare evidenziando il fattore di forma
delle sezioni, e si evince che più una forma è piena nella parte centrale, man mano che le fibre si
plasticizzano tendono ad aumentare le dimensioni andando verso il centro, tanto maggiore è il
rapporto tra M,pl ed M,el. Ad esempio per una sezione circolare il passaggio dal momento allo stato
limite elastico a quello plastico, coincide con un incremento di circa il 60% del momento, quindi nel
caso di sezione piena inflessa dal momento in cui si plasticizza la fibra più esterna, fino a quando
tutte le fibre sono plasticizzate, si deve aumentare del 60% il momento agente il che significa che una
sezione siffatta ha una riserva di resistenza enorme perché consentono alla struttura di assorbire il
momento in modo opportuno plasticizzando man mano le varie fibre che vanno verso l’interno.

CONTINUAZIONE 05/12/2019

I profili appartenenti alla classe 1, sono tali da poter esplicare tutta la capacità plastica della sezione.
Invece i profili di classe 2 hanno duttilità leggermente inferiore alla classe 1. Le sezioni di classe 3
non riescono invece a plasticizzarsi completamente, e quindi a superare in tutte le parti della sezione
la fy perché sopraggiungono prima fenomeni di instabilità locale, coinvolgendo ad esempio o ala o
anima del profilo stesso, e non si esce dal campo elastico. Le sezioni di casse 4 sono tali da non
riuscire ad arrivare nemmeno alla soglia elastica in nessuna fibra, perché in queste sezioni i fenomeni
di instabilità locale insorgono molto prima del raggiungimento della soglia elastica.

E’ importante fare questa classificazione perché essa condiziona il metodo i verifica, e in particolare
per classe 1-2 si può procedere con metodi elastici o plastici, mentre per classe 3 solo metodo elastico,
e per classe 4 metodo in campo elastico in modo particolare. (VEDI ESERCIZIO SU
CLASSIFICAZIONE)
CONTINUAZIONE RESISTENZA SEZIONI

Il taglio resistente è Vc,Rd è funzione oltre che della fyk anche di un parametro che è l’area a taglio
Av. Il radical 3 deriva dal criterio di resistenza di Von-Mises. L’area a taglio varia in funzione della
tipologia di sezione, ed è data dall’area di tutta l’anima più un’area di raccordo, dato che questi
contribuiscono notevolmente alla resistenza, anche per inerzia torsionale.

La verifica a taglio si può condurre anche in termini tensionali come riportato sopra, calcolando la
tensione tangenziale agente tau Ed, mediante formula di Jourawski, facendo la verifica con il criterio
di resistenza di Von-Mises. Se ci si trova in presenza di altre sollecitazioni concomitanti al taglio, e
in particolare si assiste ad un aggravio delle tensioni tangenziali come potrebbe verificarsi in presenza
di torsione, allora il taglio resistente da utilizzare è un Vc,Rd ridotto di una quantità funzione della
tensione tangenziale massima dovuta alla torsione uniforme. Altra verifica importante da condurre è
quella ad instabilità dell’anima soggetta a taglio. Se infatti l’anima della sezione è troppo snella, anche
se la verifica a taglio è soddisfatta, la sezione può instabilizzarsi per taglio. Pertanto è necessari fare
un’ulteriore verifica sulla snellezza dell’anima data dal rapporto altezza spessore anima, che deve
essere maggiore di una cera quantità. Se è soddisfatto tale rapporto l’anima non si instabilizza per
taglio, mentre se non è soddisfatta è necessario prevedere degli irrigidimenti dell’anima.

In presenza invece di flessione e taglio contemporaneamente, si può osservare il comportamento di


una sezione riferendosi al dominio di interazione riportato sopra, dove si evince che una vota superato
il 50% del taglio resistente, il momento resistente diminuisce. Quindi questo suggerisce che ai fini
della verifica è più conveniente condurre prima la verifica a taglio, per controllare che se il taglio
sollecitante non supera il 50% del taglio plastico, ovvero taglio resistente, allora si può procedere alla
verifica a flessione senza ridurre il momento resistente. Se invece si supera tale valore, è necessario
ridurre il momento resistente della quantità ro definita da norma, dove My,Vrd è il momento resistente
ridotto, calcolato sottraendo al modulo di resistenza plastico Wpl, una quantità dovuta alla riduzione
di resistenza da parte dell’anima.
Per sezioni di classe 1-2 la verifica è condotta in termini di sollecitazioni, mentre per classe 3 in
termini tensionali. Anche in classe 4 si effettua verifica in termini di tensioni, però si deve tener conto
di un aggravio di sollecitazione dovuto al fatto che ci si riferisce ad una sezione di verifica differente
da quella reale, in quanto si sottraggono dalla sezione reale le parti compresse, e quindi questo
comporta eccentricità tra baricentro di calcolo e baricentro reale, che pertanto comportano una
sollecitazione aggiuntiva di flessione.

VERIFICA A TORSIONE

La torsione nota di solito è quella primaria anche definita torsione pura, ovvero quella classica come
soluzione del problema della trave del De Saint-Venant che ipotizza la conservazione delle sezioni
piane. La teoria di De St. Venant sottovaluta la resistenza dei profili metallici in quanto trascura
l’effetto di ingobbamento della sezione. Occorre per questo utilizzare la: TEORIA DELLE AREE
SETTORIALI (TORSIONE NON UNIFORME).
Nell’analisi del comportamento torsionale delle travi a parete sottile mediante la teoria delle aree
settoriali, occorre suddividere il flusso delle tensioni tangenziali provocato dal momento torcente in
due parti:
- FLUSSO PRIMARIO: dovuto alla torsione pura (teoria di De St. Venant);

- FLUSSO SECONDARIO: dovuto alla torsione da ingobbamento (tensioni tangenziali legate alle
tensioni normali dovute all’ingobbamento). Questo non rispetta la teoria di De St-Venant, per via
proprio dell’ingobbamento impedito. La torsione pura, provoca un angolo unitario di torsione
costante lungo la trave, che vale:

All’inerzia torsionale It si aggiunge un’aliquota DIt, che è un incremento di inerzia torsionale, dovuto
ai raccordi del profilo. Le tensioni tangenziali corrispondenti allo stato tensionale di torsione pura
variano linearmente nello spessore di ciascun elemento costituente la sezione, hanno direzione
parallela al suo asse mediano e sono eguali ed opposti rispetto ad esso, e raggiungono il valore
massimo in corrispondenza della parte esterna delle sezioni. Per profili chiusi in parete sottile, in cui
gli spessori delle pareti sono trascurabili rispetto alla dimensione della sezione, allora in tal caso si
può ipotizzare che l’andamento delle tensioni all’interno delle pareti sia costante, e ricavabile
mediante formula di Bredt. Mentre nel caso della torsione pura insorgono solo tensioni tangenziali,
per la torsione da ingobbamento impedito, oltre alle tensioni tangenziali nascono anche tensioni
normali.
La torsione da ingobbamento produce una deformata in direzione longitudinale all’asse della trave,
che tende a inflettere le ali l’una in un verso e l’altra nel verso opposto. Se questa deformazione risulta
libera, non produce stati tensionali se invece le deformazioni in direzione longitudinale sono impedite,
come avviene all’incastro, nascono tensioni normali che si accompagnano alle tensioni tangenziali di
scorrimento nelle stesse ali. Si può allora definire un momento del secondo ordine definito
bimomento, che è dato dal momento flettente agente in una delle due ali, per la distanza tra i pini
delle ali stesse (altezza della trave). Quindi è un momento dato dalla forza F/2 per la lunghezza della
trave per l’altezza della sezione stessa (vedi figura pag.418). Il bimomento è importante perché a
partire da esso si possono calcolare proprio le tensioni normali agenti.

Gli appoggi torsionali, ovvero quelli che impediscono la rotazione ma non spostamenti longitudinali,
possono ottenersi con appoggi a forcella. L’angolo di rotazione teta, è quello tipico prodotto dalla
torsione, ma in tal caso si evidenzia anche un angolo alfa che è quello che esce fuori dal piano delle
ali, la cui espressione è riportata sopra.
Nella torsione uniforme nasce una componente di spostamento w costante, mentre la torsione non
uniforme si può avere per due motivi: il primo se si impedisce la w, ma anche perché il momento
torcente risulta variabile.

La torsione non uniforme nasce per profili sottili a sezione aperta, perché tali sezioni escono fuori dal
piano, non vale più quindi l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane, e quindi lo studio è affrontato
con la teoria delle aree settoriali. Se l’uscita fuori piano è impedita da un vincolo, può far nascere
tensioni normali nelle ali, alle quali si accompagnano tensioni tangenziali per effetto dello
scorrimento che subiscono le ali uscendo fuori dal piano della sezione. Quindi il momento torcente
si divide in un’aliquota primaria Tt e una secondaria Tw. Ci saranno delle sezioni dove sarà prevalente
uno e altre in cui prevale l’altro, e in genere per le sezioni aperte in parete sottile, è preponderante la
torsione da ingobbamento, mentre nelle sezioni piene, a cassone quindi chiuse, è preponderante la
torsione pura.
Dall’equilibrio del concio di trave infinitesimo si ottiene l’equazione differenziale che regge il
problema della torsione mista nelle travi in parete sottile

Per classificare i tipi di sezione, in funzione della maggiore o minore propensione verso la torsione
primaria o secondaria, si utilizza il parametro K definito lunghezza adimensionale caratteristica della
trave, che dipende dalla luce della trave stessa, e da due rigidezze, quella al numeratore rigidezza
torsionale primaria, al denominatore rigidezza torsionale secondaria.
Sostituendo l’espressione di K nell’equazione differenziale, e risolvendo si ottiene l’interale generale
in teta:
Dalla soluzione dell’equazione differenziale è possibile ottenere le seguenti grandezze fondamentali

dalle quali è possibile ricavare lo stato tensionale sollecitante, in particolare da Mw(z) si ricavano le
tensioni normali prodotte dall’ingobbamento, mente da T(z) si ricavano le tensioni tangenziali. Le
espressioni delle tensioni sono le seguenti:

L’aspetto più importante in sostanza non è tanto che si assiste ad un aggravio delle tensioni
tangenziali, ma piuttosto è dovuto proprio all’insorgenza delle tensioni normali.
Per valori di K contenuti, prevale la torsione secondaria, man mano che K aumenta diminuisce la
torsione secondaria, e aumenta la primaria, e si va in contro a condizioni di torsione mista, fino ad
arrivare a valori di K superiori a 20 in cui si ha soltanto torsione pura, o primaria. Per i profili HEM,
pur essendo profili aperti, l’elevato spessore di cui sono dotati, fa si che sia preponderante la torsione
primaria, mentre per HEA e IPE c’è una condizione di torsione mista.

Nel caso dell’ingobbamento impedito, è più complesso ottenere rispetto alla torsione primaria, il
momento torcente plastico perché oltre alle tensioni tangenziali, uniche presenti nella torsione
primaria, nel caso dell’ingobbamento insorgono anche tensioni tangenziali. Una formulazione per
valutare il momento torcente plastico per sezioni rettangolari allungate è quella riportata sopra.
DEFORMABILITA’

È necessario prima di tutto eseguire il predimensionamento in termini di deformabilità, valutando la


freccia massima in funzione dello schema di calcolo adottato (es. trave appoggiata appoggiata) e
ricavando da essa il momento di inerzia in funzione della freccia limite. È possibile cosi scegliere il
profilo più adatto.

La freccia totale è data dalla somma di un contributo flessionale e uno tagliante. La deformabilità
tagliante dipende essenzialmente dalla deformabilità dell’anima della trave. Per elemento tozzo è
preponderante la deformazione tagliante rispetto a quella flessionale. Per elemento snello viceversa.
Le verifiche di deformabilità sono condotte in termini di SLE con combinazione rara o caratteristica.
La combinazione rara è caratterizzata da coefficienti amplificativi unitari. I limiti di freccia verticale
e orizzontale sono riportati in normativa (punto 4.2.4.2.1 e punto 4.2.4.2.2). In questo caso gli
spostamenti limiti laterali sono riferiti ad azioni orizzontali non sismiche, come il vento.
Deformabilità delle travi a parete piena e delle travi reticolari e alveolate (vedi libro da pag. 394).
Deformabilità di strutture reticolari bullonate. Se i collegamenti sono saldati il problema non sussiste,
se sono invece bullonati il problema è dovuto allo scorrimento foro-bullone, che comporta una freccia
anelastica (vedi libro da pag. 404). Importante è il serraggio al fine di evitare il gioco foro-bullone
che comporta un aggravio di freccia.
Occorre partire, già dal predimensionamento, dalle verifiche di deformabilità, e poi eseguire le
verifiche di resistenza. Le oscillazioni della struttura non comportano solo problemi agli occupanti
ma con il tempo le vibrazioni tendono a sollecitare molto i giunti per fatica provocando dunque
problemi strutturali. Il vento può provocare fenomeni di risonanza soprattutto per strutture molto alte.

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