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Università degli Studi della Basilicata

SCUOLA DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA


CIVILE E AMBIENTALE

Tesi di Laurea in
Idrologia e Costruzioni Idrauliche

Analisi idrologica del


disastro della diga di Molare

Relatore:
Ch.ma Prof.ssa
Maria Rosaria MARGIOTTA
Laureando:
Donato MAURO
matricola 47500

ANNO ACCADEMICO 2017/2018


INDICE

Indice .................................................................................................. 1

Introduzione ........................................................................................ 5

Capitolo I Opere di sbarramento ......................................................... 7

1.1 Generalità sulle opere di sbarramento ..................................... 7

1.2 Grandezze caratteristiche delle dighe ...................................... 8

1.3 Classificazione delle dighe secondo Normativa ......................10

1.3.1 Dighe a gravità ......................................................................11

1.3.2 Dighe a volta ........................................................................13

1.3.3 Dighe in materiali sciolti .......................................................16

1.3.4 Sbarramenti di tipo vario .......................................................17

1.3.5 Traverse fluviali ....................................................................18

1.4 Funzioni delle dighe ..............................................................20

1.4.1 Irrigazione ............................................................................20

1.4.2 Energia idroelettrica ..............................................................21

1.4.3 Raccolta d’acqua per uso potabile-industriale .........................21

1.4.4 Navigazione nell’entroterra ...................................................22

1.4.5 Controllo delle inondazioni ...................................................22

1.4.5.1 Aspetti salienti dell’effetto di laminazione ........................23

Capitolo II Descrizione della diga di Molare ......................................26

2.1 Progetto iniziale di derivazione nella valle dell’Orba ..............26

2.2 Progetto per la realizzazione di un invaso idroelettrico ...........27

2.3 Modifiche al progetto dell’invaso e sua realizzazione .............29

2.4 Inquadramento territoriale valle d’Orba .................................32

2.5 Caratteristiche tecniche dell’opera .........................................34

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2.5.1 La diga principale di Bric Zerbino ............................................ 34

2.5.2 La diga secondaria di Sella Zerbino .......................................... 36

2.5.3 . Le opere di captazione e di scarico ......................................... 39

2.6 La diga dopo il disastro .........................................................44

Capitolo III Cause del collasso ..........................................................51

3.1 Descrizione dell’evento calamitoso ........................................51

3.2 Cause geologiche-strutturali ..................................................53

3.3 Cause idrologiche e idrauliche ...............................................56

3.4 Rischio idrologico legato agli invasi ......................................59

Capitolo IV Approccio statistico all’idrologia tecnica .......................62

4.1 Definizione e proprietà delle variabili casuali .........................62

4.2 Probabilità e frequenza ..........................................................63

4.2.1 Funzione di probabilità cumulata .............................................. 66

4.3 Probabilità e tempo di ritorno ................................................70

4.4 Statistica inferenziale ............................................................72

4.4.1 Scelta della distribuzione di probabilità per una variabile casuale 73

4.4.2 Stima dei parametri della distribuzione ..................................... 75

4.5 Aspetti generali del problema di valutazione delle piene .........77

4.6 Le curve di possibilità pluviometrica .....................................78

4.7 Descrizione del modello VA.PI. .............................................81

Capitolo V Ricostruzione dell’evento calamitoso ................................86

5.1 Studio delle precipitazioni attraverso modello ........................86

5.2 Studio delle precipitazioni con la distribuzione di Gumbel ......91

5.3 Studio delle precipitazioni attraverso distribuzione log -normale


........................................................................................... 102

5.4 Studio delle precipitazioni per la stazione di Lavagnina con GEV


111

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5.5 Valutazione della portata al colmo di piena .......................... 116

Conclusioni ...................................................................................... 122

Bibliografia ...................................................................................... 125

Sitografia ......................................................................................... 127

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Alla mia famiglia,
origine di ogni mia passione.

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INTRODUZIONE

“… per imparare da un tale errore […] dobbiamo


cercare di capire cosa è successo, non
solo fisicamente, non solo meccanicamente
e matematicamente, ma anche capire la
partecipazione del pensiero umano”

L. Müller (1987)

Il presente lavoro di tesi verte sullo studio idrologico delle cause che

hanno portato al dissesto strutturale della diga di Molare, passando anche


attraverso una descrizione della complessa vicenda pr ogettuale e del contesto
storico-sociale entro cui tale opera ha avuto origine, nonché attraverso la
valutazione delle caratteristiche costruttive, volta ad evidenziarne le criticità
che ne hanno sancito il collasso.
Uno degli obiettivi principali del presente lavoro è stato quello di ricostruire
gli aspetti salienti dell’evento calamitoso che hanno decretato il collasso della
diga secondaria di Sella Zerbino.
In particolar modo si è focalizzata l’attenzione su quelle che sono state le cause
idrologiche-idrauliche accertate, legate all’inadeguatezza dei sistemi di scarico
di cui l’opera era dotata, rispetto ad un evento meteorico estremo che generò
una piena eccezionale del torrente sbarrato dall’opera.
Si è voluto sostanzialmente stimare, con l’ausilio di modelli probabilistici, la
portata al colmo di piena che investì l’invaso di Molare, scaturita dal nubifragio
del 13 agosto 1935, effettuandone un confronto con la cap acità di scarico
dell’impianto.
Il lavoro è stato impostato sull’analisi delle precipitaz ioni relative a due
stazioni pluviometriche: la stazione di Piampaludo, presa in considerazione dal
momento che risulta essere l’unica situata all’interno del bacino idrografico
preso con sezione di chiusura in corrispondenza dello sbarram ento, nonché
l’unica funzionante prima del nubifragio, e la stazione di Lavagnina centrale
che pur non ricadendo nel bacino, si è ritenuta importante ai fini della stima dal
momento che in essa si è registrato il valore eccezionale di 554 mm di altezza

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di precipitazione durante l’evento, risultando il più elevato del circondario.
Come spesso accade le misure idrometriche dell’epoca del torrente Orba non
sono disponibili e quindi non è stato possibile dedurre la distribuzione di
probabilità utilizzando direttamente una serie di dati di portate al colmo di
piena.
L’analisi è stata condotta, quindi, considerando in primo luogo le serie di dati
pluviometrici disponibili per le due stazioni considerando che l’evento
pluviometrico di carattere eccezionale si è verific ato in un periodo estivo,
pertanto le caratteristiche dello stesso sono certamente state di notevole
intensità ma di limitata distribuzione dello stesso sulle aree limitrofe. A partire
da questi, è stata dedotta a posteriori la probabilità cumulata dell’ev ento di
piena, adottando la metodologia del modello VAPI. In particolar modo la
finalità dello studio delle precipitazioni è stata quella di valutare la rarità
dell’evento meteorico che ha determinato la piena del torrente, attraverso la
stima del tempo di ritorno assumendo sempre valida l’ipotesi che un evento
meteorico di dato tempo di ritorno, genera un evento di piena della stessa rarità
ovvero espresso dallo stesso valore del tempo di ritorno.
Nello studio delle precipitazioni l’approccio adottato è s tato quello tipico della
statistica inferenziale che consente di dedurre per una serie di dati, la
distribuzione di probabilità più adatta alla sua descrizione, e di conseguenza
valutare il tempo di ritorno per i prescelti valori. Lo studio è stato condott o
sulla base delle serie storiche dei massimi annuali delle precipitazioni intense
che ha consentito di ricavare le curve di possibilità pluviometrica per entrambe
le stazioni in esame. In via preliminare si è verificato l’adattamento delle
suddette serie a diverse distribuzioni di probabilità grazie all’impiego delle
carte probabilistiche, prendendo in considerazione quella che ha fornito
l’adattamento migliore.
In particolare sono stati confrontati i risultati delle analisi condotte dapprima
con l’applicazione del VA.PI. per lo studio delle precipitazioni, che consente di
regionalizzare le CPP, in seguito verificando l’adattamento dei dati misurati a
quelle che canonicamente costituiscono le distribuzioni di probabilità più
idonee allo studio degli eventi di precipitazione di notevole intensità, vale a
dire log-normale, Gumbel e GEV.

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CAPITOLO I
OPERE DI SBARRAMENTO

1.1 GENERALITÀ SULLE OPERE DI SBARRAMENTO

Fin dall’antichità l’uomo ha avuto necessità di sfruttare la risorsa idrica


per diversi scopi quali quelli idropotabili, agricoli ed energetici. Quando l a
quantità d’acqua è rilevante, risulta necessario prevederne l’accumulo. Le opere
di accumulazione sono opere idrauliche che realizzano la capacità di invaso
necessaria al trasferimento di volumi idrici nel tempo. Questa definizione copre
una vasta gamma di opere di importanza e dimensioni molto diverse, da quelle
che realizzano i laghi artificiali necessari a regolare su base annuale,
pluriennale o stagionale, o per l'alimentazione degli impianti idroel ettrici di
bonifica e irrigazione, di approvvigionamento idropotabile o industriale, di
navigazione fluviale, oppure a limitare le portate di piena dei corsi d’acqua fino
alle più modeste opere, che realizzano i serbatoi giornalieri di compenso delle
reti di distribuzione idrica urbana, industriale e rurale. L’opera essenziale degli
impianti di accumulazione è lo sbarramento che sbarrando una sezione del corso
d’acqua, ne intercetta i deflussi e ne provoca l’accumulazione a monte della
sezione stessa. Gli sbarramenti permanenti di un corso d’acqua si distinguono
in dighe e traverse. Indipendentemente dall’importanza dell’opera, la
distinzione tra i due tipi è essenzialmente funzionale:

- con il termine diga si intende uno sbarramento destinato alla creazion e di un


invaso artificiale a monte, che accumula temporaneamente una parte delle acque
defluenti nel fiume;

- la traversa è invece uno sbarramento che regola principalmente il livello


dell’acqua a monte, solitamente di volume modesto. Tale regolazione
generalmente è necessaria per il funzionamento ottimale di un’opera di presa,
realizzata direttamente nello sbarramento stesso.

Pertanto, le dighe propriamente dette, possono essere definite come sbarramenti


che operano interagendo con il regime naturale del le portate del corso d’acqua,

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e sono opere idrauliche finalizzate alla formazione di un volume di invaso, utile
per la regolazione delle portate necessarie per diversi scopi di utilizzazione.
Conseguentemente a questa distinzione basata sulle funzioni ne s egue un'altra
basata sulle dimensioni. Infatti le dighe in generale hanno notevole altezza
mentre le traverse, si limitano in altezza a quel tanto che è necessario per
garantire un tirante utile alla derivazione dell'acqua.

1.2 GRANDEZZE CARATTERISTICHE DELLE DIGHE

Per meglio comprendere la normativa italiana in materia di dighe bisogna


avere presenti le grandezze caratteristiche delle dighe definite dal D.P.R.
n.1363 del l.11.1959 (attuale regolamento Dighe prima parte): l’altezza della
diga, la quota di massimo invaso, la quota di massima regolazione, l'altezza di
massima ritenuta, il franco, il franco netto, il volume totale d'invaso, il volume
utile di regolazione e il volume di laminazione ln particolare:

• l’Altezza della Diga è il dislivello tra la quota del piano di coronamento


(esclusi parapetti ed eventuali muri frangionde) e quello più basso della
superficie di fondazione (escluse eventuali sottostrutture di tenuta);

• la Quota di Massimo Invaso è la quota massima cui può giungere il livello


dell'acqua ove si verifichi il più gravoso evento di piena previsto, esclusa la
sopraelevazione per moto ondoso;

• la Quota di Massima Regolazione è la quota del livello dell'acqua alla quale


ha inizio automaticamente lo sfioro dagli appositi dispositivi;

• l'Altezza di Massima Ritenuta è il dislivello tra la quota di massimo invaso e


quella del punto più depresso dell'alveo naturale in corrispondenza del
paramento di monte;

• il Franco è il dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella di


massimo invaso;

• il Franco Netto è il dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella


di massimo invaso sommata della semi-ampiezza della massima onda
prevedibile nel serbatoio;

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• il Volume Totale d'invaso è la capacità del serbatoio compresa tra la quota di
massimo invaso e la quota minima di fondazione; per le traverse fluviali è il
volume compreso tra il profilo di rigurgito più elevato indotto dalla traversa ed
il profilo di magra del corso d’acqua sbarrato;

• il Volume Utile di Regolazione è il volume compreso tra la quota di massima


regolazione e la quota minima del livello d'acqua alla quale può e ssere derivata
per l’utilizzazione prevista, l’acqua invasata;

• il Volume di Laminazione è il volume compreso fra la quota di massimo invaso


e la quota di massima regolazione, da mantenere sempre vuoto e necessario per
l’incameramento delle portate di piena ed il rilascio controllato delle stesse in
un tempo regolamentato. Per i serbatoi specifici per la laminazione delle piene,
tra la quota di massimo invaso e la quota della soglia inferiore dei dispositivi
di scarico.

Figura 1 – Grandezze caratteristiche delle dighe (fonte: http://dighe.eu/normativa.htm)

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1.3 CLASSIFICAZIONE DELLE DIGHE SECONDO NORMATIVA

Da un punto di vista costruttivo-morfologico le dighe possono essere


distinte, secondo il regolamento italiano vigente, in:

1. Dighe di calcestruzzo

1.1. a gravità:

1.1.1 ordinarie

1.1.2 alleggerite

1.2. a volta:

1.2.1 ad arco

1.2.2 ad arco-gravità

1.2.3 a cupola

2. Dighe di materiali sciolti:

2.1 di terra omogenea

2.2 di terra e/o pietrame con struttura di tenuta interna

2.3 di terra e/o pietrame, con struttura di tenuta esterna

3. Dighe di tipo misto e di tipo vario.

4. Traverse fluviali.

La legislazione italiana indica con il termine “grandi dighe” quelle che superano
i 15 metri di altezza o che hanno un volume di invaso superiore a 1.000.000 di
metri cubi. In Italia i grandi sbarramenti risultano essere 541 (aprile 2012); la
maggior parte di essi sono in muratura, mentre oltre 200 sono in terra. Tutte le
grandi dighe sono di competenza statale, nel senso che l’autorità preposta al
loro controllo è la “Direzione Generale per le Dighe e le Infrastrutture idriche
ed elettriche”, facente capo al Ministero dell e Infrastrutture e dei Trasporti.
Ai fini della tutela della pubblica incolumità, tale autorità provvede
all'approvazione tecnica dei progetti delle grandi dighe, tenendo conto anche
degli aspetti ambientali e di sicurezza idraulica derivanti dalla gestio ne del

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sistema costituito dall'invaso, dal relativo sbarramento e da tutte le opere
complementari e accessorie. Tra i suoi compiti rientrano anche la vigilanza sulle
operazioni di controllo e gestione delle dighe spettanti ai concessionari e la
predisposizione della normativa tecnica.

1.3.1 DIGHE A GRAVITÀ

Le dighe a gravità sfruttano il peso proprio della struttura e l'attrito tra


la diga e la roccia di fondazione, per opporsi alla spinta idrostatica esercitata
dall’acqua invasata nel lago artificiale da loro creato a monte. L’effetto di tale
peso è quello di indirizzare verso il basso la risultante delle forze agenti, in
modo che la verifica allo slittamento sia soddisfatta. Solitamente vengono
concepite in luoghi dove le caratteristiche geologiche dei fianchi della valle non
garantiscano un sicuro ancoraggio della diga. La sua sezione verticale è
triangolare con il lato a monte quasi verticale e quello a valle più inc linato;
l’andamento planimetrico di queste dighe è generalmente rettilineo, raramente
risulta arcuato con la concavità verso valle. La diga a gravità deve essere inoltre
protetta dalla formazione di sottopressioni che si formano alla base e possono
ridurre l'effetto stabilizzante del proprio peso: per questo si ricorre a schermi
in cemento armato, a voltine in calcestruzzo (mura di guardia) sporgenti dal
corpo della diga o a cunicoli di drenaggio ricavati nel suo spessore e collegati
fra loro da una galleria di raccolta e smaltimento. Esse si suddividono in dighe
a gravità ordinarie (o anche massicce) e dighe a gravità alleggerite (a speroni o
a vani interni). Nel primo caso la struttura è composta da elementi massicci
affiancati e indipendenti, detti conci murari o in calcestruzzo e separati da giunti
permanenti disposti secondo piani verticali.

Figura 2 – Sezione tipo di Diga a Gravità Ordinaria (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

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Figura 3 – Diga Grande Dixence (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Nel secondo caso, invece, i conci sono sagomati in modo da ricavare


all’interno della struttura dei vani più o meno ampi.
Tra le dighe a gravità alleggerite vi sono quelle a speroni e quelle a vani
interni. Nelle prime i conci sono sagomati in modo da formare dei contrafforti
con le estremità di monte, che allargandosi formano il paramento di monte.
Nelle seconde i conci sono alleggeriti da cavità che formano dei vuoti interni.

Figura 4 – Sezione tipo Diga Gravità a Speroni (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

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Figura 5 – Diga di Gioveretto (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Il profilo teorico di ogni sperone deve rendere stabile la struttura al


ribaltamento e allo slittamento, ma anche soddisfare la verifica tenso -
deformativa. Il minor peso della struttura consente una riduzione delle
sottospinte dovuta alla presenza delle aperture tra i contrafforti. Inclinando il
paramento di monte e lasciando delle cavità nel corpo della diga si sfrutta, in
estrema sintesi, il peso dell'acqua per la stabilità allo scorrim ento al posto del
peso del corpo diga.

Figura 6 – Immagine Diga a Speroni (fonte: http://www.studiogriffini.eu)

1.3.2 DIGHE A VOLTA

Si oppongono alla spinta dell'acqua attraverso l'effetto arco che si ottiene


grazie alla particolare forma conferita all'opera muraria, che risulta
sensibilmente arcuata nel profilo trasversale, in modo tale da scaricare la
pressione idrostatica attraverso le sponde d'imposta sui fianchi della valle, nel
punto in cui è realizzata l’opera. Queste dighe richiedono particolari
caratteristiche di conformazione dei fianchi della valle, sia dal punto di vista

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geologico (roccia di sicura tenuta in tutto il profilo di ancoraggio della diga),
sia dal punto di vista geometrico (luce ridotta fra le pe ndici), oltre a richiedere
calcoli più complessi. Di contro offrono costi più contenuti e celerità di
esecuzione, data la minor quantità di materiale impiegato. Tali strutture
risultano snelle e slanciate, aventi sezione piena monolitica o formate da conci
bloccati da giunti. Tale curvatura può interessare solo le sezioni orizzontali o
anche quelle verticali. Nel primo caso si parla più propriamente di dighe ad
arco, mentre nel secondo caso di dighe a volta o a cupola. Al fine del
funzionamento statico si distinguono in:

- Ad arco semplice: quando la forma e i rapporti dimensionali risultano


tali da permettere la resistenza alla spinta dell'acqua, del ghiaccio, alle
perturbazioni varie e alle azioni sismiche, prevalentemente per mezzo
dell'effetto della curvatura longitudinale che produce l'effetto arco.

Figura 7 – Sezione tipo Diga ad Arco Semplice (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 8 – Diga di Lei (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

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- Ad Arco-Gravità: quando la forma e i rapporti dimensionali risultano tali
da permettere la resistenza alle spinte attraverso l'azione congiunta
offerta dalla curvatura longitudinale, e dal peso proprio.

Figura 9 – Sezione tipo Diga ad Arco Gravità (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 10 – Diga di Cancano (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le-dighe.html)

- A Cupola (o a doppia curvatura): quando la forma e i rapporti


dimensionali sono tali che la risposta elastica è assimilabile a quella d i
una lastra a doppia curvatura, il cui effetto principale risiede nel ridurre
di molto gli sforzi di taglio e i momenti flettenti sul corpo della diga, che
è soggetto in tal modo quasi esclusivamente allo sforzo di compressione
con la possibilità di ridurre ulteriormente gli spessori, i quali talvolta
sono così sottili che hanno fatto chiamare questi tipi di diga “a guscio
d'uovo”.

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Figura 11 – Sezione tipo Diga a Cupola (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 12 – Diga del Vajont (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

1.3.3 DIGHE IN MATERIALI SCIOLTI

Le dighe in materiali sciolti sono costituite da un rilevato in materiali


terrosi e/o lapidei compattati, senza l’aggiunta di leganti. Esse hanno il compito
di garantire la stabilità statica in relazione alle azioni agenti sul rilevato e la
tenuta idraulica attraverso l’uso di nuclei impermeabili e/o setti artificiali. Si
possono dividere in dighe in terra omogenee, in terra zonate o in pietrame.
Avendo una notevole capacità di assecondare gli assestamenti della fondazione
e di distribuire uniformemente gli sforzi, le dighe in materiali sciolti sono
indicate quando la roccia non è compatta e particolarmente resistente. Sono
strutture non tracimabili, in quanto sono facilmente erodibili e so ggette a
conseguente crollo.

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Figura 13 – Diga in terra omogenea (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 14 – Diga in pietrame (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 15 – Diga in terra con manto (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 16 – Diga in terra con nucleo (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

1.3.4 SBARRAMENTI DI TIPO VARIO

Rappresentano tutte le strutture di sbarramento diverse da quelle definite


precedentemente, sia per caratteristiche costruttive che per funzionalità e
impiego, che possiedono, comunque, certe particolarità:

- Dighe di tipo misto: costituite in parte da strutture murarie e in parte da


materiali sciolti.

- Dighe di subalveo: costituite da uno sbarramento affondato nel subalveo fino


a raggiungere ed intercettare la falda sotterranea di una valle, in modo da farla
emergere e accumularne la risorsa all'interno dell'invaso che si crea a monte.

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- Sbarramenti per la laminazione delle piene (briglie a bocca tarata o a finestra):
caratterizzate da una luce a battente per i normali deflussi che può essere
completamente impegnata durante gli eventi di piena in modo da far defluire
dalla luce, soltanto le portate per cui è stata progettata l'opera di regimazione e
invasare temporaneamente a monte dello sbarramento, il surplus di piena che
rappresenta il volume idrico di laminazione, o colmo del l'onda di piena.

Figura 17 – Schema briglia a finestra (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 18 –Briglia di laminazione (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

1.3.5 TRAVERSE FLUVIALI

Rappresentano opere di sbarramento di un corso d'acqua di modesta


entità, in particolare per quanto riguarda l'altezza, che risulta mediamen te
inferiore ai 10m e che determinano un innalzamento idrico a monte, contenuto
all'interno dell'alveo. Vengono realizzate per creare piccoli accumuli idrici al
fine di rendere possibile la derivazione di portate o permettere attingimenti
grazie al locale incremento del livello idrico. In relazione all'entità dell'opera e
alla funzione che le stesse devono svolgere possono essere suddivise in:

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- Fisse: costituite prevalentemente da strutture murarie massicce, ma anche
mediante scogliere, al principale scopo di rialzare il livello idrico di monte per
molteplici obiettivi: derivazioni, attingimenti, fruizione della risorsa idrica.

- Mobili: costituite da opere murarie trasversali, anche di notevoli entità, al


solito scopo delle precedenti, ma dotate di organi di regolazione. Tali apparati
possono essere costituiti da semplici paratoie di tenuta a sollevamento manuale
fino alle enormi paratoie meccaniche che consentono le regolazioni a scopi
idroelettrici o di regimazione delle portate di piena di un corso d'acqua.

- Briglie: costituite anch'esse da opere murarie trasversali ma con lo scopo della


stabilizzazione dell'alveo, dette infatti briglie di consolidamento. Sono opere
trasversali al torrente, sporgenti dall'alveo nel quale sono fondate, costruite per
fissare con il coronamento sommitale la quota dell'alveo e determinare, a
seguito dell'interrimento conseguente all'accumulo del materiale a monte di
essa, la modifica della pendenza originaria del corso d'acqua. La funzione
primaria della briglia risulta quella di contrastare l'erosione del letto del
torrente e quindi del trasporto solido a seguito della riduzione della pendenza;
contribuisce inoltre alla stabilizzazione delle sponde a seguito del riempimento
che si origina a monte.

Figura 19 –Traversa fissa (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

Figura 20 – Traversa mobile (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

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Figura 21 –Briglia di consolidamento (fonte: http://www.ingam.com/dighe/le -dighe.html)

1.4 FUNZIONI DELLE DIGHE

In passato le dighe venivano costruite esclusivamente per la raccolta


d’acqua e l’irrigazione. Con lo sviluppo della civilizzazione tali bisogni si
estesero anche al governo delle piene, alla navigaz ione, al supporto di
acquedotti e alla ricerca di produzione di energia idroelettrica. La diga con
funzionalità plurime, rappresenta un progetto molto importante per lo sviluppo
dei paesi, in quanto la popolazione sarebbe in grado di ricevere benefici sia
domestici, sia economici da un unico investimento. Di seguito vengono riportate
le caratteristiche di alcune tra le funzioni più diffuse per tali opere.

1.4.1 IRRIGAZIONE

Attualmente i terreni irrigati coprono circa 277 milioni di ettari, che


corrispondono al 18% delle terre arabili nel mondo. La metà delle dighe
esistenti nel mondo è stata realizzata con lo scopo di aiutare l'agricoltura. Il
rapporto della Commissione mondiale sulle dighe (The report of the World
commission on dams) stima che quasi quattro campi irrigati su dieci ricevano
acqua direttamente da questi impianti, con il risultato che fra il 12 e il 16%
della produzione del cibo nel mondo dipende direttamente dalle dighe. In altre
parole, se nel mondo non vi fossero le dighe, il cibo a disposizione diminuirebbe
quasi di un sesto.

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1.4.2 ENERGIA IDROELETTRICA

L’energia idroelettrica (chiamata anche energia “idraulica” o “idrica”) è


una fonte di energia pulita, ossia senza emissioni di sostanze inquinanti, e
rinnovabile (diversamente dalle fonti di origine fossile). L’energia idroelettrica
sfrutta la trasformazione dell'energia potenziale gravitazionale in energia
cinetica, utilizzando il movimento di grandi masse di acqua in caduta.

L’energia cinetica viene trasformata in energia elettrica attraverso una centrale


idroelettrica, tramite il lavoro di alternatori e turbine , che sfruttano l’induzione
elettromagnetica.

L’elettricità generata dalle dighe rappresenta da sempre la più grande risorsa di


energia rinnovabile nel mondo. Dal punto di vista energetico, si calcola che il
19% dell'energia mondiale sia di tipo idroelettrico. Questo significa che un
quinto della corrente elettrica nel mondo è prodotto sfruttando l'energia della
caduta dell'acqua da grandi altezze, ossia servendosi dei bacini idroelettrici
formati dalle dighe. È stato stimato inoltre che più del 90% dell’elettricità
rinnovabile del pianeta proviene dalle dighe. Secondo il “Renewables Energy
Policy Network for the 21st Century” ed altre organizzazioni e centri studi
internazionali che si occupano di aspetti energetici, nel 2013 (ultimo anno di
cui sono disponibili dati certificati o stime attendibili) la produzione di energia
idroelettrica a livello globale ha raggiunto i 3.750 TeraWatt orari (TWh=1
miliardo di KWh).

1.4.3 RACCOLTA D’ACQUA PER USO POTABILE-INDUSTRIALE

La maggior parte dell’acqua è utilizzata a scopi civili. Gran parte delle


piogge precipita sul mare, mentre la quantità rimanent e che cade sulla terra si
disperde. Solo il 2% delle piogge totali viene filtrata per riempire di nuovo la
falda acquifera. Per soddisfare i cambiamenti nel ciclo idrologico sono richieste
dighe e serbatoi per immagazzinare acqua e per fornire scorte più c oerenti
durante i periodi di siccità.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1.4.4 NAVIGAZIONE NELL’ENTROTERRA

Le condizioni naturali di un fiume creano enormi problemi e ostacoli alla


navigazione nell’entroterra, che potenzialmente possiede vantaggi straordinari,
soprattutto per quanto riguarda il trasporto di merci pesanti e di grandi
dimensioni. La crescita della navigazione fluviale è il risultato di piani di
sviluppo riguardanti l’utilizzo più frequente di dighe e bacini, che vengono
regolamentati per offrire maggiori benefici economici. Un corso d’acqua
regolamentato attraverso dighe e serbatoi, per renderlo navigabile potrebbe
anche provvedere al controllo delle piene, alla riduzione dell’erosione e alla
stabilizzazione dei livelli della falda freatica.

1.4.5 CONTROLLO DELLE INONDAZIONI

Le dighe e i serbatoi possono essere usati per regolare i livelli dei fiumi
ed evitare alluvioni a valle, immagazzinando acqua per poi rilasciarla. Questa
altra funzione che può essere svolta da un serbatoio fluviale che addirittura può
apparire come distante dalle precedenti, è in realtà fondamentale per la
protezione dalle piene. Questa funzione è quella propriamente detta di
laminazione delle piene che, inizialmente considerata come complementare e
subalterna limitatamente agli invasi che presentano un certo margi ne di capacità
di riserva, ha acquisito un’importanza sempre più rilevante, tanto da rendere
evidente la necessità di procedere secondo una progettazione mirata a garantire
tale effetto, ritenuto attualmente imprescindibile. È convinzione diffusa,
pertanto, che la politica di laminazione delle piene debba essere sviluppata in
modo complementare a quella di valutazione e protezione dalle stesse. Il metodo
più efficace per il controllo delle piene si realizza mediante un piano integrato
di gestione delle risorse idriche per la regolazione del deposito e degli scarichi
di ognuna delle principali dighe situate in un bacino idrografico. Ogni diga è
gestita da uno specifico piano attraverso il governo del bacino, che comporta
l’abbassamento del livello del serbatoio, per generare più spazio di raccolta
prima della stagione delle piogge. Questa strategia permette di eliminare il
pericolo delle piene. Il numero di dighe e dei loro piani di gestione delle piene

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
vengono stabiliti dalla pianificazione globale per lo sviluppo economico dei
singoli territori.

Alla luce di quanto detto appare evidente come in realtà questa funzione
attribuita agli invasi, risulti, oltre che di estrema importanza, addirittura
vincolante in fase progettuale per quanto riguarda un corretto dimensionamento
degli organi di scarico, dai quali dipende in larga misura la sicurezza al rischio
idrologico dell’opera stessa. Di seguito si analizzano gli aspetti salienti legati
alla laminazione.

1.4.5.1 ASPETTI SALIENTI DELL’EFFETTO DI LAMINAZIONE

L’effetto di laminazione si traduce nell’immagazzinare all’interno degli


invasi i volumi di piena, in modo da avere la possibilità di effettuarne un rilascio
più modulato nel tempo. Il volume massimo adibito alla laminazione è c ompreso
tra la quota di massimo invaso e quella di minima derivazione.

Quello su cui si può fare con certezza conto è quello tra la quota di massimo
invaso e quella di massima regolazione. Detto effetto risulterà, tanto maggiore
quanto più ampia è la superficie dell’invaso s, in questo caso, infatti, risultando
inferiore l’aumento di livello prodotto dall’arrivo di una piena, l’effetto di
laminazione che ne consegue è maggiore. D’altro canto, a parità di ogni altra
condizione, il deflusso totale di piena risulta tanto maggiore quanto più ampia
è la superficie S del bacino imbrifero sotteso.

Di conseguenza il sovralzo massimo, necessario a garantire un assegnato


rapporto di laminazione tra la massima portata uscente e la massima portata
entrante risulta tanto minore quanto maggiore è il rapporto s/S. Ciaravino e
Viparelli indicano che effetti di laminazione significativi possono ottenersi, di
norma, per valori di detto rapporto superiori 1/50 – 1/60. In virtù della
laminazione, le portate smaltite dalle opere di scarico di un lago artificiale
interessato dall’arrivo di un evento di piena mostrano un andamento nel tempo
non molto diverso da quello delle portate in arrivo al serbatoio, ma disegnano
un idrogramma più ampio e meno alto rispetto a quello delle port ate entranti.
In particolare il comportamento è differente a seconda che lo smaltimento sia
realizzato attraverso opere a soglia fissa o munite di para toie mobili.

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La massima portata di sfioro risulta sempre minore del picco
corrispondente all’idrogramma delle portate entranti verificandosi anche con un
certo ritardo rispetto alla stessa. Inoltre durante tutta la fase ascendente il livello
di ogni portata di sfioro è sempre minore di quello delle portate naturali. Di
contro una volta raggiunto il massimo, le portate di sfioro aumentano rispetto a
quelle naturali.

Nel caso di opere con paratoie mobili è possibile la creazione di un invaso


supplementare che migliori le operazioni di regolazione. Infatti, nel caso in cui
la previsione di arrivo di una piena possa essere fatta con un certo anticipo, è
possibile, mediante l’apertura delle paratoie prima dell’arrivo dell’onda di
piena, abbassare il livello di acqua nell’invaso in modo da lasciare libero un
volume maggiore da adibire alla laminazione delle piene.

L’operazione di svuotamento preventivo che consente di dedicare un volume


maggiore al processo di laminazione è ovviamente realizzabile per quei bacini
in cui il tempo di arrivo della piena lo consente anche tenendo conto delle
diverse forme di utilizzo a cui è destinata la risorsa incamerata nell’invaso.

Per il calcolo del volume da immagazzinare per consentire la laminazione e


quindi il conseguente abbattimento della portata massima non è di norma
possibile utilizzare le classiche procedure della statistica inferenziale. Infatti,
come si vedrà meglio più avanti, solo in quei casi in cui si può considerare,
seppur in via semplificata, la portata uscente costante, il volume di laminazione
può essere funzionalmente legato ai volumi di piena in arrivo e quindi e ssere
considerato alla stregua di una variabile casuale indipendente.

Negli altri casi, alla stima del volume di laminazione si perviene sulla base di
una schematizzazione degli idrogrammi di piena che possono pervenire alla
sezione di interesse e dell’effetto che le opere per la limitazione delle portate
in uscita esercitano su di essi. Per assicurare significato probabilistico a detta
stima, è sempre necessario identificare la distribuzione di probabilità dei volumi
di piena in arrivo, che consente poi di determinare, sulla base di ipotesi
semplificative, idrogrammi di piena sintetici per ogni desiderato periodo di
ritorno.

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Ciò può essere fatto se si conosce la legge con cui la massima portata
media Q D,T , in una durata D si riduce all’aumentare di D per un assegnato
periodo di ritorno T. Detta legge è nota con il nome di Curva di Riduzione dei
Colmi di Piena, la quale definisce l’andamento del rapporto

e D,T = Q D,T /Q T

È stato dimostrato da Fiorentino che la riduzione dei colmi di piena può essere
espressa mediante la seguente semplice relazione:

e D,T = (k/D) [1-exp(-D/k)]

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CAPITOLO II
DESCRIZIONE DELLA DIGA DI MOLARE

2.1 PROGETTO INIZIALE DI DERIVAZIONE NELLA VALLE DELL’ORBA

L a storia della diga di Molare ha inizio circa trent’anni prima dell’evento


calamitoso che ne sancì il collasso nel 1935.
Data l’assenza di importanti agglomerati urbani o attività industriali, che
garantivano un’ottima qualità delle acque della valle dell’Orba, si iniziò a
pensare ad un possibile sfruttamento delle stesse.
Negli ultimi anni del XIX secolo, l’Ing. Luigi Zunini, pubblicò una serie di
studi di fattibilità per lo sfruttamento plurimo delle acque del torrente Orba. Il
primo progetto di cui si ha notizia è datato dicembre 1895, e venne presentato
a nome della “Società per l’Acquedotto dell’Orba” creata dallo stesso Zunini,
per promuovere la costruzione di un acquedotto nella stessa zona. Il progetto
inizialmente prevedeva la possibilità di derivare un volume idrico pari a 350 l/s
da due affluenti dell’Orba vale a dire il Rio Orbarina ed il Rio Acquabianca.
L’utilizzo delle risorse idriche era destinato sia alla produzione di forza motrice
in misura di 18-50 cavalli teorici, sia per scopi industriali. Tale progetto
prevedeva una spesa iniziale di circa 2.250.000 £ e consisteva nello sbarramento
dei due corsi d’acqua ed in un articolato sistema di canali di derivazione, capaci
di asservire la riviera ligure. Per tali ragioni si innescarono una serie di
furibonde polemiche tanto nella valle dell’Orba q uanto nella vicina valle Stura.
Il progetto così come inizialmente era stato concepito, necessitava di alcune
modifiche per poter essere attuato. In effetti nel 1897 venne redatto un nuovo
progetto di massima che per la Valle Orba avrebbe avuto un impatto assai
maggiore rispetto al precedente.
Tale progetto fu ancora una volta presentato dalla “ Società per l’Acquedotto
dell’Orba” dello Zunini, e non era altro che una evoluzione del p rogetto
precedente datato 1895.
Il nuovo progetto contemplava lo sbarramento di alcuni affluenti del Rio
Orbarina e del Rio Acquabianca e la realizzazione di un serbatoio che come

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sosteneva lo stesso Zunini era il “nucleo di tutto il progetto” e avrebbe avuto
una capacità di 5.300.000 m 3 di acqua proveniente dagli affluenti del torrente e
dai micro serbatoi sparsi nella zona. Questo complesso sistema acquedottistico
avrebbe garantito una derivazione totale di circa 1000 l/s ed una forza motrice
di 6105 cavalli teorici. Quest’ultima sarebbe stata prodotta da due centrali
idroelettriche situate nei pressi di Genova Voltri.
Il nuovo progetto non fece altro che acuire le polemiche, tanto da scatenare la
reazione di protesta del Comitato di opposizione e vigilanza, creato
appositamente per la tutela del territorio. La preoccupazione più grande per la
popolazione riguardava oltre ai dubbi circa la tenuta dei serbatoi, soprattutto
l’eventualità che un simile progetto fosse caratterizzato da uno sfruttamento
piuttosto eccessivo delle risorse idriche, determinando così un deflusso
insufficiente nella stagione secca; in effetti il progetto garantiva un deflusso
verso valle di soli 350 l/s.

2.2 PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DI UN INVASO IDROELETTRICO

Contemporaneamente al già descritto progetto per lo sfruttamento delle


risorse idriche della valle Orba, venne pubblicato nel 1898, ancora
dall’ingegner Zunini, ma a nome della “Società per le Forze Idrauliche della
Liguria”, un progetto totalmente differente dal precedente.
Tale progetto molto innovativo, fu denominato: “L’impianto idroelettrico di
Molare in servizio della trazione elettrica sulla l inea Genova-Ovada-
Alessandria”.
Con questa nuova soluzione si mirava alla realizzazione di un invaso finalizzato
allo sfruttamento idroelettrico, posizionato alcuni chilometri più a valle dei
precedenti nella località tra Ortiglieto e Cerreto situate nel comune di Molare
(AL), ottenuto grazie allo sbarramento del torrente Orba in corrispondenza della
stretta di Bric Zerbino.
L’intento del progettista era proprio quello di condividere i benefici di un
impianto di tale portata anche con le popolazioni piemontesi, in modo tale da
placare le polemiche tanto accese. La presenza delle linee ferroviarie Genova -
Ovada-Acqui Terme e Genova-Ovada-Alessandria, poteva rappresentare una
valida giustificazione alla realizzazione dell’impianto, dal momento che

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all’epoca la maggior parte delle linee ferroviarie erano caratterizzate da forza
motrice generata dal vapore e non dall’elettricità. Il progetto avr ebbe avuto
sicuramente un risvolto positivo dal momento che tali linee ferroviarie erano
costituite da tratti con eccessiva pendenza e soprattutto lunghi percorsi in
galleria, difficilmente superabili con trazione a vapore.
Questo progetto per un invaso a scopo idroelettrico, che costituirà solamente la
prima versione di quanto sarebbe stato effettivamente realizzato in seguito,
prospettava la realizzazione di una diga a gravità detta “diga di Bric Zerbino”
avente altezza di 33 m circa.
Il serbatoio progettato aveva una capacità tra gli 8.100.000 m 3 ed i 9.500.000
m 3 a seconda che si considerasse la quota di massimo invaso pari a 311 o 313
m. La portata derivata per la produzione di forza motrice era di circa 1390 l/s.
Di certo la sicurezza dell’opera non poteva prescindere dall’adeguatezza del
sistema di scarico.
L’opera dello Zunini non possedeva in realtà un vero e proprio sistema di
scarico; alla base del paramento infatti prevedeva la presenza di uno scarico di
fondo costituito da un tubo di diametro pari a 50 cm la cui funzione era quella
di consentire lo svuotamento del lago per poter pulire il fondo, ed inoltre
garantire il deflusso minimo del torrente, pari a 100 l/s, nel tratto tra l’ invaso e
la centrale elettrica.
Il problema fondamentale però era legato alla capacità di smaltimento delle
piene la quale risulta una funzionalità degli impianti a serbatoio di certo
secondaria ma non per tale motivo meno importante. A tale scopo il progettista
ebbe la brillante intuizione di dotare l’invaso di un grande scarico di superficie
che invece di essere posizionato in corrispondenza dello sbarramento, doveva
essere posto ad una distanza di 500 m in direzione ovest.
Lo scarico di superficie doveva quindi essere ubicato sul versante opposto di
Bric Zerbino, dove quest’ultimo si raccordava con il versante orientale del
monte Ratto, creando una sella denominata “Sella Zerbino” che separava i due
tratti di alveo a monte e a valle dell’Orba, rispetto a Bric Zerbino.
La sella aveva una quota di 310 m per cui, con la cre azione di un serbatoio
dotato di quota di massimo invaso pari a 311 o 313 m, risultava ideale per la
realizzazione di uno sfioratore che avrebbe consentito di scaricare agevolmente

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le piene del torrente. In questo primo progetto la collocazione della centr ale era
prevista a 3,2 Km a Nord rispetto alla diga in località Cerreto.
Tale impianto, caratterizzato da un dislivello tra le opere di presa e la centrale
di 94,24 m ed una portata erogata pari a 1300 l/s, avrebbe consentito di ricavare
una potenza teorica di ben 1589 cavalli. Infine a completamento dell’opera,
sarebbe stato realizzato alcune centinaia di metri più a valle rispetto alla
centrale, un serbatoio di compensazione che avrebbe avuto la funzione di
regimare le acque dell’Orba durante la restituzi one delle portate in alveo, in
modo tale da scongiurare il pericolo di piene improvvise.
Il progetto descriveva inoltre il percorso della rete acquedottistica, la quale
aveva origine in corrispondenza delle opere di presa ad una quota di circa 291,6
m in corrispondenza di Sella Zerbino, e percorreva il versante sinistro della
valle Orba per una lunghezza complessiva di 3150 m.
Il suo andamento non era rettilineo ma seguiva l’orografia del terreno in modo
tale da risultare più economica; per tale motivo pres entava un andamento
abbastanza tortuoso sviluppato per ben 575 m in sotterranea, e per 2575 m a
mezza costa con un dislivello complessivo di appena 1,49 m.
La condotta forzata realizzata in lamiera d’acciaio, era costituita da due
tubazioni di diametro 1 m e lunghezza complessiva di 218 m. Nella parte
conclusiva della relazione tecnica datata 1898, veniva inoltre accennato un
ulteriore progetto di sbarramento nella località di Tiglieto.
Il progettista infatti, avendo individuato un sito nella suddetta local ità adatto
ad ospitare uno sbarramento, prospettava la realizzazione di un ulteriore invaso
avente capacità di 3.000.000 m 3 , che avrebbe garantito una portata aggiuntiva
di 350 l/s derivata all’impianto idroelettrico di Molare.
La derivazione di una ulteriore portata d’acqua avrebbe naturalmente supposto
la realizzazione di un altro acquedotto, con lo scopo di convogliare l’acqua
destinata all’invaso di Ortiglieto.

2.3 MODIFICHE AL PROGETTO DELL’INVASO E SUA REALIZZAZIONE

Nell’anno 1903 l’Ingegner Zunini presentò a nome della “Società per le


Forze Idrauliche della Liguria”, un nuovo progetto per l’invaso di Ortiglieto .

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Con questa nuova istanza si prevedeva una variazione della capacità del
serbatoio, ottenuta mediante innalzamento della quota di massimo i nvaso.
Infatti come ribadito nel precedente progetto del 1899, se non vi era una
significativa differenza nel portare la quota da 311 a 313 m, una ben maggiore
variazione ci sarebbe stata nell’incremento di produzione di energia elettric a,
innalzando la quota a 320 m.
Ovviamente per perseguire tale obiettivo, risultava necessario apportare
modifiche alle strutture precedentemente progettate. L’altezza della diga
doveva infatti essere portata, dagli iniziali 33 m a 40 m ed in corrispondenza
della stretta di Sella Zerbino, non poteva più in tali condizioni realizzarsi uno
sfioratore, dal momento che la quota dell’alveo risultava inferiore di circa 10
m rispetto alla quota di massimo invaso.
Il progettista sostituì la semplice soglia sfiorante con una diga sfi orante, ovvero
uno sbarramento di altezza di poco inferiore a 10 m, sulla cui sommità erano
presenti ben 96 paratoie di altezza 1 m e larghezza 1,5 m che avrebbero
consentito all’acqua di tracimare sopra lo sbarramento opportunamente
profilato come uno sfioratore. Tale elemento però era in grado di scaricare una
portata di soli 328 m 3 /s rispetto ai 400 m 3 /s del precedente progetto.
L’introduzione di questa diga sfiorante, comunemente denominata “Diga
Secondaria di Sella Zerbino” per distinguerla dalla diga principale, avrebbe
garantito un notevole incremento della potenza prodotta che sarebbe salita ad
un valore di circa 2.139 cavalli e la produzione annua di energia fu stimata
intorno a 11 milioni di Kwh per un funzionamento della centrale 24 h su 24 e
per 365 giorni l’anno. Con l’inserimento della diga secondaria, l’invaso di
Ortiglieto aveva preso la sua forma definitiva. Al pari del progetto del 1899,
nemmeno quest’ultimo riscosse grande favore.
Tuttavia tali circostanze non scoraggiarono l’iniziativa del lo Zunini che nel
1906 presentò un’altra domanda per la derivazione dell’acqua a scopi
idroelettrici, con un progetto simile ma perseguendo questa volta l’obiettivo,
anziché di fornire energia per la linea ferroviaria, di illuminare la città di Ovada
e fornire energia per scopi industriali a favore della provincia di Alessandria.

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Nonostante le tante vicissitudini, lo Zunini presentò alla prefettura di
Alessandria il progetto di massima, ottenendo il nullaosta. Venne fissata la data
per il sopralluogo in località di Ortiglieto e Cerreto al giorno 17 aprile 1907.
Nonostante la concessione sembrava ormai definita, le procedure tecnico -
amministrative per l’approvazione definitiva del progetto, necessita rono ancora
di alcuni anni. La prima concessione per lo sfruttamento idroelettrico venne
rilasciata solamente in data 12 aprile 1912 alla “Società per le Forze Idrauliche
della Liguria”.
Dopo varie proroghe sulle tempistiche disposte dalla stessa concessi one,
l’ingegner Zunini presentò, alla Prefettura, il primo progetto esecutivo
dell’impianto nel 1914. Lo stesso venne prontamente approvato l’anno
seguente.
Purtroppo il successivo evolversi dell’impianto, dovette far fronte ad un evento
inaspettato; vale a dire lo scoppio del primo conflitto mondiale. Nel periodo
compreso tra il 1915-1918, gli unici lavori intrapresi in valle Orba, riguardarono
i primi scavi per la realizzazione delle opere di captazione che avrebbero portato
l’acqua dal lago alla centrale elettrica.
Nel 1916 la Prefettura revocò la concessione, a causa da parte della società
concessionaria, del mancato adempimento dei termini stabiliti per l’inizio dei
lavori. Sempre nello stesso anno, successivamente alla revoca, si assistette alla
presentazione della domanda di subentro da parte di u na nuova società:
“Officine Elettriche Genovesi” nota come O.E.G.
Quest’ultima era una società di produzione e distribuzione di energia elettrica
nella provincia di Genova fondata nel 1895.
Lo stesso Zunini però, grazie alle sue conoscenze in ambito impren ditoriale,
divenne presidente delle O.E.G. e questo sicuramente deve far pensare che fu
lo stesso Zunini a volere il subentro della nuova società dal momento che
avrebbe garantito una forte base economica per la realizzazione dell’opera.
Fino al 1921-1922, i lavori furono rallentati o impediti sia da fattori contingenti
l’evoluzione progettuale sia da circostanze esterne.
Il progetto venne portato avanti in seguito non più ad opera dell’ingegner
Zunini, ma dell’ingegner Gianfranceschi. Quest’ultimo present ò per conto

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
sempre delle O.E.G., una variante del progetto esecutivo che modificava
profondamente quello dello Zunini datato 1914.
In particolare il nuovo progetto prevedeva le seguenti variazioni: aumento della
capacità d’invaso da 12 a 18 milioni di metri cubi, aumento della sezione del
canale di carico, progettato tutto in galleria anziché allo scoperto come in
precedenza previsto, per un funzionamento in pressione, adeguamento del
diametro della condotta forzata, aumento del salto, incremento di potenza dei
macchinari della centrale.

2.4 INQUADRAMENTO TERRITORIALE VALLE D’ORBA

L’opera è situata nell’Alta valle Orba ubicata al confine tra Liguria e


Piemonte. Essa si sviluppa da sud verso nord, all’interno dei territori provinciali
di Genova, Savona ed Alessandria.

Figura 22 – Foto satellitare della zona delle dighe (fonte:https://kasbah.altervista.org/vajont -dimenticati-1)

Il torrente Orba ha origine dai rilievi dell’estremità orientale delle Alpi


Liguri nasce a 1001 m di altitudine dal versante settentrionale del Monte Reisa
(1183 m s.l.m.). Scorre inizialmente incassato ricevendo da sinistra il torrente
Orbarina e da destra il torrente Carpescio o Acquabianca.

A pochi chilometri dopo la sorgente il torrente attraversa dapprima Vara


Inferiore dopo di che viene sbarrato da una diga e forma il lago dell'Antenna,

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per lambire poi San Pietro d'Olba ed infine Martina d'Olba, frazioni di Urbe
(SV). Giunto nei pressi di Acquabuona frazione di Tiglieto (GE) scorre
attraverso una serie di gole e da qui entra in Piemonte giungendo a Olbicella
frazione di Molare (AL), dove riceve da sinistra il torrente Orbicella. Da qui il
letto del torrente si allarga per un breve tratto, dopo di che scorre nuovamente
incassato per qualche chilometro in una gola boscosa.

Dopo la confluenza da sinistra del rio Meri, il torrente viene nuovamente


sbarrato da una piccola diga formando così il piccolo lago di Ortiglieto.

Qui è visibile a valle del lago in destra idrografica, il vecchio let to di


scorrimento del fiume ancora sbarrato dalla diga di Zerbino che il fiume
abbandonò in occasione del devastante crollo della di ga secondaria di Sella
Zerbino.

Da qui in poi il fiume entra in un tratto ingolato veramente spettacolare: si tratta


di un vero e proprio canyon profondo una decina di metri e largo nel punto più
stretto circa 3. Giunto nei pressi di Rocche, frazione di Molare, riceve, sempre
da sinistra, il modestissimo contributo del torrente Amione e si appresta a
sfiorare il centro cittadino del comune.

Qui il letto del torrente si allarga nuovamente formando ampi ghiaioni e


intagliando in modo suggestivo la sponda destra rocciosa.

Giunto presso la cittadina di Ovada il torrente riceve il discreto apporto del suo
primo notevole affluente di destra: il torrente Stura di Masone (4,3 m³/s), dopo
di che il torrente si fa più regolare e rettilineo con acque più copiose e costanti.
Più a valle presso Silvano d'Orba riceve poi, sempre da destra, il torrente Piota -
Gorzente (2,7 m3/s, dalle acque di ottima qualità chimica), mentre il suo corso
inizia ad essere arginato. Ancora più a valle, nel comune di Capriata d'Orba,
riceve invece il piccolo torrente Albedosa. Giunto a Predosa (AL) il fiume
rallenta ancora la sua corsa a causa di uno sbarramento, ri cevendo il Lemme
(3,1 m³/s), il suo più lungo affluente.

Da qui in poi scorre nella piana alessandrina tra due alti argini formando alcuni
ampi meandri sfociando da destra nel fiume Bormida presso il ponte della
Maranzana e segnando il confine tra i comuni di Alessandria, Castellazzo
Bormida e Frugarolo.
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2.5 CARATTERISTICHE TECNICHE DELL’OPERA

L’opera nel suo assetto definitivo si present a come uno sbarramento o


diga propriamente detta, classificabile per la sua conformazione quale diga a
gravità, con andamento in pianta ad arco di cerchio, realizzata con l’intento di
sbarrare il corso del torrente Orba in corrispondenza della stretta di B ric
Zerbino, in modo tale da realizzare a monte di questa, un lago artificiale grazie
alla presenza di un’ampia vallata.

La realizzazione di uno sbarramento simile, portava la quota di massimo invaso


al di sopra di una sella posta sul versante ad ovest ris petto alla diga principale,
ragion per cui si dovette ricorrere alla realiz zazione di una diga secondaria.

Quest’ultima, dopo numerose operazioni di modifica, si presenta come un


semplice sbarramento di ritenuta senza alcun organo di scarico, di fatto
assimilabile ad un semplice argine. Tale sbarramento secondario, anche esso di
tipo a gravità, presentava andamento rettilineo in pianta.

Di seguito vengono analizzate con maggiore dettaglio le due strutture, nonché


le opere idrauliche necessarie al convogliamento della risorsa idrica e le opere
di scarico di cui l’impianto era munito.

2.5.1 LA DIGA PRINCIPALE DI BRIC ZERBINO

La diga principale fu realizzata a partire dal 1922. La sua ubicazione


venne mantenuta immutata anche successivamente nel progetto dell’ingegne r
Gianfranceschi che rappresentava l’evoluzione del progetto dello Zunini. Tale
diga doveva essere collocata sul versante orientale del Bric Zerbino, laddove
quest’ultimo si raccorda con il versant e occidentale del Bric Saccone.

La grande evoluzione apportata dal progetto dell’ingegner Gianfranceschi,


riguardava la quota di massimo invaso posta a 322 m s.l.m. Rispetto alla prima
diga progettata dallo Zunini alta 33 m, quella da egli rivisitata, doveva subire
un incremento di altezza del 40%, raggiungendo un ’altezza complessiva di ben
47 m. La quota del piano di coronamento era di 324,75 m con uno spessore al
ciglio di 6,10 m, ed alla base di 42 m. Venne però mantenuta la curvatura

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planimetrica prevista già nel progetto iniziale, pari a 200 m, e lunghezza del
coronamento da spalla a spalla di 191 m.

Figura 23 – Sezione trasversale AB Diga di Bric Zerbino (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_principale.html/ )

Figura 24 – Sezione trasversale CD Diga di Bric Zerbino (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_principale.html/)

Come già accennato, la diga principale è del tipo a gravità ed al suo


interno vennero realizzati tre grandi vani riempiti di pietrame che oltre ad
aumentarne il peso, avevano l’importante funzione di drenaggio dell’umidità e
delle infiltrazioni attraverso il corpo diga.

I tre vani erano dotati di una serie di cunicoli drenanti, dai quali si dipartivano
numerosi camini verticali di diametro compreso tra 15 -20 cm, che avevano la
funzione di eliminare il rischio delle cosiddette sottopressioni generate appunto
da un cattivo drenaggio, spesso causa di danni.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Per quanto riguarda il paramento di monte a diretto contatto con l’acqua,
era rivestito con intonaco, e impermeabilizzato con vernice di catrame
“Intertol”. Il corpo diga era percorso da due cunicoli di ispezione muniti di scale
che disegnavano una “V” rispetto all’asse della diga, ai quali si accedeva da due
aperture diametralmente opposte, in corrispondenza del coronamento. La diga
fu ultimata in poco più di tre anni.

Figura 25 – Realizzazione diga: installazione sifoni (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_principale.html/ )

Figura 26 – 1925: la Diga Principale è funzionante (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_principale.html/ )

2.5.2 LA DIGA SECONDARIA DI SELLA ZERBINO

Quest’opera venne realizzata tra il 1923 ed il 1924 subendo nel corso


della progettazione dell’impianto numerose modifiche. Nel primo progetto del
1899 dello Zunini, doveva essere concepita come una soglia sfiorante, la quale
sarebbe risultata l’unico sistema di smaltimento delle acque del l’invaso.

AN ALISI IDR O LOG IC A 36


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Nella successiva evoluzione progettuale del 1903, quando la quota
d’invaso venne portata dagli iniziali 311 a 320 m, il progettista sostituì la soglia
sfiorante con una diga sfiorante alta circa 10 m.

Con l’avvento dell’ingegner Gianfranceschi, l’altezza v ene incrementata di altri


5 m, e venne prevista la realizzazione in cemento armato. Almeno per quanto
riguarda le disposizioni del progetto esecutivo del 1921, in cui si faceva
presente che tale struttura di sbarramento, aveva andamento rettilineo almeno
per quanto riguarda la parte in cemento armato.

Successivamente venne annunciata la realizzazione anziché in c.a., in muratura


Portland. In definitiva, con variante al progetto esecutivo del 1924, venne
riprogettata come semplice sbarramento di ritenuta, ci oè senza alcun organo di
scarico. Scelta che venne giustificata dalla scarsa qualità delle rocce della sella,
le quali potevano essere soggette ad erosione durante lo stramazzo delle acque.
Inaspettatamente infine, venne asserito che data l’ottima qualità delle rocce
costituenti la sella, lo sbarramento veniva realizzato totalmente a gravità.
L’opera venne ultimata in breve tempo tanto da mettere in luce come questa
rapidità in effetti, fosse stata causa di una esecuzione di scarsa qualità come
evidenziato dalle copiose perdite alla base, e la scarsa qualità dei materiali
impiegati. In definitiva essa appariva come un grande muraglione alto circa 15
m, avente spessore del coronamento di circa 3,30 m, paramento di monte circa
verticale e paramento di valle con pendenza del 55%.

L’andamento planimetrico risultava rettilineo nella porzione centrale e di


sinistra, mentre presentava doppia curvatura in corrispondenza della spalla
destra.

Figura 27 – Prospetto progettuale della diga Secondaria (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_secondaria.html )

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Figura 28 – Sezione progettuale della diga Secondaria (fonte:
http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_secondaria.html )

Nonostante le rassicurazioni sull’ottima qualità della roccia della sella,


venne realizzato un contrafforte per impedirne lo scorrimento, realizzato
mediante due gradoni collocati sul lato di valle. Nel luglio del 1924, giunse
nella località di Ortiglieto, la Commissione per la Verifica delle Dighe di
Ritenuta, istituita in seguito al disastro del Gleno.

La commissione costituita da quattro tecnici, prese subito atto delle evidenti


infiltrazioni d’acqua che interessavano la diga secondaria, al di sotto del piano
di fondazione. Per tale ragione venne prescritto un intervento immediato,
attraverso l’iniezione di cemento armato nella roccia , fino ad una profonditàdi
8 m.

Tuttavia dopo aver provveduto a tale intervento con ben venti iniezioni
interdistanziate di 2 m nel corpo roccioso di fondazione, i risultati non
migliorarono affatto.

Figura 29 – Diga secondaria di Sella Zerbino (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_principale.html/)

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
2.5.3 . LE OPERE DI CAPTAZIONE E DI SCARICO

Le opere necessarie al convogliamento delle acque dal grande lago alla


centrale, furono molto impegnative dal punto di vista realizzativo. Nel progetto
dell’ingegner Zunini, l’opera di presa era posta poco più a monte di Sella
Zerbino ad una quota di 291,96 m.

Da qui aveva inizio il percorso di lunghezza pari a 3150 m di cui 575 m in


sotterraneo, grazie al quale l’acqua raggiungeva la condotta forzata.

Nel progetto rivisitato dall’ingegner Gianfranceschi, dato l’incremento della


quota di massimo invaso, il sistema di captazione avrebbe dovuto funzionare in
pressione ciò richiese di apportare modifiche al percorso realizzato totalmente
in galleria. Il sistema di captazione si compose di diversi elementi tra cui
l’opera di presa da cui aveva origine la galleria di carico.

Sia le pareti che il fondo di questa, erano rivestiti in muratura di pietrame e


malta di cemento. Per evitare l’entrata in galleria di detriti l’imbocco era munito
di griglie filtranti. Il deflusso delle acque era regolato da un’apposita valvola a
farfalla. Altro elemento di fondamentale importanza era senza dubbio la stessa
galleria di carico la prima ad essere realizzata, attraverso una delle fasi più
impegnative dell’opera.

Il lavoro consisteva nello scavo del cunicolo preliminare noto anche come
cunicolo “d’avanzata” che avrebbe consentito una prima valutazione dello stato
di compattezza delle rocce, il suo successivo allargamento e rivestimento
preliminare, il posizionamento dell’armatura ed il rivestimento finale.

Dopo cinque anni finalmente nel luglio 1924, la galleria poteva dirsi
completata.

Questa risultava lunga 2.751,17 m, con andamento non rettilineo e aveva


pendenza media dell’1‰. Il suo diametro era pari a 3 m e garantiva una portata
massima di 24 m 3 /s, e velocità dell’acqua di 3,5 m/s.

Per via del fatto che la galleria di carico doveva essere utilizzata in pressione,
era necessaria la realizzazione di un pozzo piezometrico.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Il compito della galleria era quello di convogliare l’acqua nella condotta
forzata e da questa alla centrale. L’innesto tra galleria e condotta avveniva nella
parte inferiore del pozzo, profondo ben 43 m, dove quest’ultimo aveva un
diametro di 10 m che diventava di 16 m nella parte superiore.

Questa imponente opera era situata in località Cerreto e comportò uno scavo di
oltre 3500 m 3 di roccia. La funzione principale di tale opera era quella di
prevenire il fenomeno idraulico del colpo d’ariete, nelle condotte in pressione.
Tale fenomeno è una conseguenza della condizione di moto vario di un fluido,
derivante da una brusca variazione di portata in una generica sezione della
corrente fluida in moto. Consiste in un'onda d'urto di pressione che si origina a
causa dell'inerzia di una colonna di fluido in movimento che impatta contro una
parete, ad esempio quella di una valvola chiusa in maniera improvvisa, ma può
altresì generarsi a seguito della repentina apertura di una condotta in pressione.

L'intensità del colpo e il valore della pressione massima dell'onda possono


raggiungere livelli tali da far esplodere le condotte.

Interessa soprattutto le condotte forzate che alimentano le centrali


idroelettriche, tanto che quand'è necessario fermare una turbina chiudendo il
flusso d'acqua si aziona dapprima il tegolo deviatore per alleggerire il carico
sulle pale, e si riduce poi gradualmente il flusso per evitare il colpo d'ariete.

Nella fattispecie la condotta forzata dell’impianto di Molare era costituita da


un tubo in lamiera di acciaio di lunghezza pari a 412,50 m.

In corrispondenza dell’innesto con la galleria di carico aveva diametro di 3 m,


per poi restringersi gradualmente a 2,5 m. In corrispondenza di punti singolari,
come curve o cambi di pendenza, la condotta venne solidalmente ancorata con
blocchi di muratura e giunti di dilatazione.

In condizioni di sicurezza venne posizionata all’uscita della galleria di carico


una valvola a farfalla, chiusa all’occorrenza in caso di disfunzioni.

Tale valvola era posizionata all’interno di un apposito fabbricato con su scritto


“Valvola di carico”. Il percorso della condotta forzata a partire dalla galleria
sino a raggiungere le turbine, copriva un dislivello totale di ben 80 m e l’acqu a
vi giungeva con velocità media di 5 m/s.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
In corrispondenza della centrale la condotta curvava di 90° ed il flusso
d’acqua veniva convogliato a quattro turbine, per mezzo di altrettante
diramazioni aventi diametro pari ad 1 m. La condotta proseguiva
orizzontalmente nella centrale sino a raggiungere il canale di scarico attraverso
cui le portate venivano restituite al torrente Orba.

La centrale era dotata di due gruppi di turbine Francis. Ogni gruppo produceva
una potenza di 12.000 Hp a 500 giri al minuto.

In totale quindi i due gruppi producevano 24.000 Hp con una portata d’acqua
pari a 24 m 3 /s come da concessione. Le due turbine doppie erano a loro volta
collegate agli alternatori trifase che avevano la fondamentale importanza di
trasformare l’energia meccanica delle turbine in energia elettrica alternata
tramite induzione elettromagnetica.

L’energia prodotta veniva portata tramite due trasformatori ad una tensione di


68.500 V.

Figura 30 – Le grandi turbine della centrale (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_centrale.html/ )

Infine un ruolo non meno importante era rivestito dalla diga di compensazione.
Tale sbarramento venne realizzato circa 700 m a valle della centrale con il
preciso scopo di regolarizzare il regime idrico del torrente.

La presenza dell’invaso infatti, avrebbe potuto dar luogo a fenomeni di piena


improvvisi dal momento che interferiva con il regime di deflusso del torrente.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Lo scopo principale dunque era quello di salvaguardare la valle da
possibili esondazioni. Inoltre grazie alla presenza di tale serbatoio di
compensazione, si potevano compensare i periodi di magra del fiume.

Lo sbarramento era costituito da un ponte-diga di altezza pari ad 8 m, che


garantiva una capacità d’invaso di 160.000 m 3 . Il ponte era realizzato su 8 arcate
ciascuna con luce pari a 6 m, appoggiate su piloni di larghezza pari a 2 m. Tra
le arcate erano disposte altrettante paratoie, alle quali era adibita la funzione di
sbarrare il corso d’acqua. Le paratoie erano chiuse quando il torrente era
sottoposto ad un deflusso regolare nei periodi di calma.

In queste condizioni il deflusso era garantito da un apparato di scarico


automatico posto sulla spalla destra del ponte. Le portate di piena venivano
scaricate dalle paratoie delle arcate senza compromettere lo scarico.

Figura 31 – La diga di compensazione con la casa del custode (fonte:


http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_diga_centrale.html/ )

Gli organi di scarico di cui era dotata la diga principale erano: lo scarico di
fondo, lo scarico semi-profondo (anche detto di alleggerimento), gli scarichi
automatici di superficie a sifoni e lo sfioratore superficiale. Lo scarico di fondo
era una semplice tubazione in lamiera di diametro pari a 1,80 m posizionato alla
base del corpo diga con asse a quota 280 m, che consentiva di scaricare una
portata di circa 55 m 3 /s.

Nel progetto iniziale tale scarico era di dimensioni più modeste ovvero un
diametro di soli 50 cm, e aveva la precisa funzione di garantire, mediante una
saracinesca di regolazione, una portata costante di 100 l/s nel tratto di fiume
compreso tra la diga e la centrale.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Tuttavia nelle operazioni di collaudo si riscontrarono allarmanti
vibrazioni trasmesse al corpo diga durante le operazioni di scarico; venne
pertanto fatta richiesta di sostituzione della valvola con una semplice
saracinesca. Lo scarico semi-profondo o di alleggerimento propriamente detto,
era regolato dal funzionamento di una valvola a campana installata su
prescrizione della Commissione per la verifica delle dighe di Ritenuta, sia come
organo necessario ad un rapido abbassamento del livello del lago, ma non tale
da raggiungere il fondo, sia come necessario allo smaltimento delle piene.

Il progetto della valvola venne affidato alla “Officine Verrina Essa era
alloggiata sull’imbocco dello scarico di alleggerimento realizzato in
calcestruzzo, che tramite uno snodo attraversava il corpo diga.

La valvola era costituita da due elementi in lamiera di cui uno fisso direttamente
innestato allo scarico, ed uno mobile definito campana. Il principio di
funzionamento era il seguente: sulla valvola sommersa agivano due forze
contrastanti ossia la spinta idrostatica esterna agente dall’alto verso il basso che
spingeva la parte mobile su quella fissa, e una seconda forza diretta in verso
opposto tendeva ad allontanare i due elementi.

La spinta esterna era di gran lunga sup eriore a quella interna, ma attraverso un
sistema che consentiva il riempimento del corpo cavo si poteva compensare la
prima forza determinando l’apertura della valvola.

Viceversa lo svuotamento del corpo cavo ne consentiva la chiusura. Il sistema


siffatto era in grado di smaltire una portata di 160 m 3 /s.

Figura 32 – Valvola a campana (fonte: https://www.progettodighe.it/gallery/displayimage.php?pid=1356 )

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Gli scarichi di superficie erano costituiti da 12 sifoni autolivellanti tipo
Hayen alloggiati simmetricamente a gruppi di sei in corrispondenza del
coronamento della diga, in grado di smaltire una portata di 500 m 3 /s.

Quando il livello del lago superava 322 m, i sifoni si attivavano


automaticamente a gruppi di tre facendo defluire l’acqua lungo il paramento di
valle della diga. Infine come ultimo sistema, l’impianto di Molare era dotato di
uno sfioratore superficiale realizzato in corrispondenza della spalla destra della
diga.

Quest’ultimo aveva lunghezza di 68 m e aveva la capacità di scaricare una


portata di 130 m 3 /s. L’introduzione di questo organo di scarico, rappresentava
la principale differenza tra il progetto iniziale dello Zunini, e l’ope ra
effettivamente realizzata.

Nel progetto iniziale infatti, era stato previsto uno sfioratore di piena
posizionato in corrispondenza di Sella Zerbino, in grado di far defluire una
portata di 400 m 3 /s, probabilmente perché le indagini idrologiche dell’epoca
avevano mostrato la possibilità di raggiungere portate al colmo di piena di entità
tale da richiedere quella capacità di sfioro.

La grande differenza di portata era dovuta al fatto che venne prevista una lama
d’acqua sfiorante alta solo 1m al fine di limitare le sollecitazioni sul corpo diga.

2.6 LA DIGA DOPO IL DISASTRO

Nei mesi successivi all’evento ebbero luogo nel sito di Ortiglieto


numerosi sopralluoghi atti ad accertare le effettive cause della tragedia.

Essi costituirono la prima fase di un procedimento penale a carico di dodici


imputati tra progettisti e dirigenti delle O.E.G., vale a dire gli ingegneri
Gianfranceschi, Zunini, Negri, Gonzales, Perrone, Balsamo, Cascon e,
Pellerano, Prinetti e Bassi.

Oltre ad essi vennero imputati i tecnici Volonnino e Grillo della Centrale, ai


quali si faceva carico di avere omesso le segnalazioni di pericolo
dell’imminente disastro. Dopo tre anni dall’accaduto, il 4 luglio 1938, la

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Procura Generale del Re di Torino pronunciò la sentenza di assoluzione per gli
imputati “per non avere commesso i fatti loro addebitati”. Il disastro di Molare
non aveva quindi alcun responsabile.

Purtroppo il pur cospicuo materiale processuale attualmente a disposizione non


comprende il testo della sentenza. Questo, secondo il personale dell’Archivio
di Stato di Alessandria, sarebbe andato perso durante il grave evento alluvionale
del 1994.

Il materiale reperito negli archivi storici di Torino ed Alessandria consente


tuttavia una ricostruzione dettagliata delle vicende processuali.

Queste furono connotate da una serie interminabile di speculazioni e sottili


cavilli giuridici che ebbero ben pochi fondamenti tecnici. Il merito delle
assoluzioni fu in parte imputabile alle competenze tecnico -legali dei consulenti
della difesa guidati dal prof. De Marchi ma anche, e soprattutto,
all’inadeguatezza del Pubblico Ministero e forse ancor più a pressioni politiche
a favore di una grande azienda come le O.E.G. Prevalse infatti la tesi della
difesa che riuscì a dimostrare che il disastro si era verificato soltanto a causa
dell’eccezionalità delle piogge.

In effetti i periti della difesa, addirittura asserirono che: “se anche la diga fosse
stata impostata sopra una fondazione di compattissimo granito, ugua lmente
sarebbe stata rovesciata!” (Audoly, 1939). Un’altra delle tante sconcertanti
affermazioni difensive: “Il serbatoio di Ortiglieto, non era creato per arginare
le piene del Torrente Orba, ma per regolare ed utilizzare nel modo più
conveniente i suoi deflussi naturali estremamente variabili” (l’opera dunque era
fine a sé stessa). Se nel 1938 le O.E.G. furono assolte da qualsiasi
responsabilità, nel 1940 le stesse avevano già provveduto alla realizzazione di
una nuova opera di sbarramento a monte della Diga Principale.

La sua realizzazione si rese necessaria da parte delle O.E.G. al fine di “ salvare


il salvabile” dal momento che del vecchio impianto erano andati totalmente
distrutti la diga secondaria, la centrale elettrica e la diga di compensazione;
ragion per cui si tentò di riutilizzare la lunga galleria di carico che portava
l’acqua, ormai non più in pressione, al pozzo piezometrico.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Il riutilizzo anche della diga principale era l’ipotesi maggiormente
auspicata dalle O.E.G., dal momento che il manufatto era in buone condizioni,
ed un suo ripristino avrebbe comportato soltanto l’adeguamento del sistema di
scarico, in funzione del tragico evento.

Purtroppo però c’era da considerare il grande squarcio di Sella Zerbino il che


comportava la ricostruzione della diga secondaria, non più con un’altezza di 14
m bensì di oltre 50 m essendo stata asportata tutta la sella. In ogni caso, oltre
alla questione morale nei confronti della popolazione della valle che sarebbe
insorta, la ricostruzione avrebbe presentato problemi notevoli dal punto di vista
economico.

La soluzione progettuale adottata, prevedeva la realizzazione di uno


sbarramento situato circa 450 m a monte della diga principale. Trattasi di una
traversa a sfioro con andamento planimetrico rettilineo di l unghezza pari a circa
100 m e larghezza alla base di 25 m con altezza del paramento pari a 13,15 m
ragion per cui dal punto di vista normativo, risultando inferiore a 15 m, non
viene considerata una diga.

Il paramento di valle è interamente rivestito di bo lognini e lastroni di pietra ed


ha un andamento parabolico in sommità, rettilineo nella parte centrale con
inclinazione di 45 gradi e curvatura cilindrica alla base. Il paramento di monte
invece è verticale. Il progetto venne affidato all’ingegner A udoly il quale aveva
previsto la realizzazione di un piccolo invaso, con quota massima pari a quella
del coronamento, di 299,15 m e capacità di circa un milione di metri cubi. Lo
sbarramento non era infatti finalizzato alla creazione di un vero e proprio
serbatoio di accumulo, bensì all’ottenimento di un livello d’acqua tale da
garantire il battente necessario per alimentare le turbine di una nuova centrale
elettrica costruita sui resti di quella distrutta. In tal modo l’impianto poteva
ritenersi ad acqua fluente ovvero operante in modo tale da non interagire con il
regime delle portate del corso d’acqua.

Naturalmente la potenza erogata sarebbe stata assai più bassa, pari a 24.166.000
kWh, e fu ulteriormente diminuita con il passare degli anni a meno di
10.000.000 kWh a causa del progressivo interrimento dell’invaso.

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Figura 33 – La traversa di Ortiglieto quasi ultimata (Maggio 1940) (fonte:
http://www.molare.net/la_diga/la_diga_ortiiglieto.html )

Figura 34 – La traversa di Ortiglieto (fonte: http://www.molare.net/la_diga/la_diga_ortiiglieto.html )

Dal punto di vista idraulico lo sbarramento fu dimensionato per una


portata di piena massima di 2.450 m 3 /s che avrebbe determinato una quota
massima di stramazzo pari a 304,15 m ovvero 5 m s uperiore al ciglio
tracimabile.

Le opere di presa vennero posizionate in sinistra orografica e consistevano in


cinque luci rettangolari (dimensioni 3 m x 2 m) munite di griglie che
convogliavano le acque in due vasche di calma posizionate in serie e separate
da un setto tracimabile. Superate le due vasche, l’acqua veniva convogliata in
un canale di carico che la portava al dissabbiatore, e da questo, ad un’ulteriore
vasca posta in corrispondenza della vecchia galleria di carico. Originariamente
la galleria aveva una portata di 24 m 3 /s, trovandosi sommersa da oltre 25 m di
acqua.

Con il nuovo impianto ciò non era più possibile dal momento che quest’ultimo
era posto più a monte del precedente; funzionava con una portata ben minore
pari a soli 8 m 3 /s. La vasca di carico oltre a garantire il funzionamento in

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
pressione della galleria, era dotata di due sifoni tipo Gregotti che consentivano ,
all’occorrenza, di scaricarla per eventuali ispezioni. Per la realizzazione
dell’opera, l’Ufficio Dighe stabilì la necessità di installare altri tre pluviometri
in aggiunta all’unico funzionante prima del disastro, vale a dire quello di
Piampaludo. Infine per quanto riguarda la nuova centrale, sarebbe stata dotata
di due gruppi di turbine Francis, ad asse verticale, in grado di sviluppare con
una portata di 4m 3 /s la potenza di 3900 Hp. I lavori vennero concl usi nel
febbraio del 1940.

Nel corso degli anni, come già accennato, l’impian to ha subito un notevole
interrimento che ne ha ridotto il volume man mano portandolo attualmente ad
un valore di circa 100.000 m 3 . Il torrente Orba era ed è tutt’oggi sbarrato dalla
traversa, nota a tutti con il nome Diga di Ortiglieto.

A valle di quest’ultima il corso fluviale attraversa Bric Zerbino in


corrispondenza dell’ex Sella Zerbino, mentre la Diga Principale, ormai nota
semplicemente come “la Diga di Molare”, si trova lungo il ramo abbandonato.
Il Rio delle Brigne, che al tempo confluiva dalla destra orografica nel Torrente
Orba all’altezza della Diga Principale, ora percorre in s enso opposto parte del
meandro abortito immettendosi nel torrente poco a monte dell’ex -Sella Zerbino.

Nel corso dei decenni questa area è stata interessata da un’intensa


colonizzazione di numerose specie vegetali tipiche dell’ambiente umido -
palustre. La sua posizione isolata rispetto alla viabilità e ai centri abitati di
rilievo ha consentito inoltre lo sviluppo di numerose specie faunistiche.

Sul finire degli anni ‘70 del secolo scorso, dopo alcuni decenni di totale
silenzio, la Diga di Molare ritornò di attualità. Gli impianti esistenti erano ormai
proprietà dell’Enel, subentrata alle O.E.G. nel 1962 a seguito della
nazionalizzazione dell’energia elettrica.

La Regione Piemonte avviò negli anni ottanta, degli studi di fattibilità sul
ripristino dell’originario invaso affidati ai professori Franco Siccardi e Floriano
Calvino, rispettivamente degli Istituiti di Idraulica e Geologia dell’Università
di Genova. Lo studio consentì, con un ritardo di circa 80 anni, l’esecuzione di
una serie di indagini comprendenti sondaggi a carotaggio continuo, rilievi
geologici macro e micro-strutturali, indagini geofisiche e stime idrologiche.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Il progetto consentiva il ripristino di un invaso di capacità pari a 18
milioni di metri cubi, tramite la realizzazione di una nuova Dig a Secondaria di
Sella Zerbino realizzata in rockfill (diga in materiali sciolti, pietrame e nucleo
centrale impermeabile in terra) di serpentinite a struttura zonata, alta 55 m,
lunga al coronamento (quota 322,30 m s.l.m.) circa 150 m, p er un volume di
circa 350.000 m 3 . La Diga Principale sarebbe stata munita di un grande scarico
di superficie (80 m di ampiezza). Naturalmente ciò avrebbe comportato la
riprofilatura del paramento di valle, al fine di ottenere un grande scivolo. Inoltre
era necessario introdurre nuovi scarichi di alleggerimento “a calice” e di fondo,
mentre lo sfioratore laterale presente in spalla destra sarebbe stato
semplicemente riattivato. La relazione idraulica del prof. Siccardi, tenendo
conto del regime pluviometrico dell’area nell’ult imo secolo, assegnò una
portata degli organi di scarico non inferiore a 2500 -2800 m 3 /s ed assunta
cautelativamente pari a 3000 m 3 /s, quasi il quadruplo di quella del progetto
originario, pari a 855m 3 /s.

L’utilizzo delle acque sarebbe stato plurimo e non es clusivamente idroelettrico;


segno che, a distanza di un secolo, l’appetibilità della risorsa idrica era lungi
dall’essere esaurita.

Il progetto si arenò immediatamente a causa delle ingentissime risorse


economiche che un intervento del genere avrebbe richi esto. Periodicamente,
comunque, amministratori locali e politici accennarono alla stampa locale la
possibilità di un completo ripristino dell’invaso; nonostante ciò la situazione si
mantenne in stallo per molto tempo.

Anche il ricordo del disastro si affievolì con il passare degli anni sino ad essere
pressoché dimenticato.

Solo nel 2005, in occasione del 70° anniversario del disastro, la Diga di Molare
riscosse un insperato interesse. Nello stesso anno veniva pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 1°
giugno 2005, n. 3437 riguardante gli “Interventi urgenti di protezione civile per
la messa in sicurezza delle grandi dighe delle regioni Liguria, Marche e Lazio”
nella quale veniva fatto esplicito riferimento alla Diga di Molare che nel

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
frattempo era passata dall’Enel alla Tirreno Power S.p.A. a seguito della
privatizzazione dell’energia elettrica del 1999.

Gli interventi di messa in sicurezza, che sarebbero dovuti partire nel 2009 ,
pongono, salvo grandi colpi di scena, la parola fine alla possibilità di un
riutilizzo della struttura esistente non più compresa nel Registro delle Dighe
Italiane.

Nella seconda metà del 2009 sono state inoltre avviate le procedure per la
demanializzazione della Diga di Molare. Questo fatto potrebbe risultare di
grande importanza al fine di consentire la realizzazione di sentieri guidati o
percorsi storico-naturalistici di fondamentale importanza al fine di mantenere,
ed anzi ravvivare, il ricordo di uno dei tre più grandi disastri idraulici della
storia italiana. La grande opera, situata all’interno di un’area di grande interesse
naturalistico e circondata da versanti ripidi e boscosi, rappresenta ora, al pari
delle dighe del Vajont e di Gleno, un monumento alla scarsa lungimiranza e alla
mancanza di responsabilità dell’uomo.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
CAPITOLO III
CAUSE DEL COLLASSO

3.1 DESCRIZIONE DELL’EVENTO CALAMITOSO

L ’anno 1935 stava per essere ricordato come una delle annate più

siccitose a memoria d’uomo. La crisi idrica, oltre che arrecare gravi danni
all’agricoltura, costrinse le O.E.G. a programmare un drastico taglio della
produzione elettrica. Ciò aveva come inevitabile conseguenza la chiusura degli
scarichi della diga con effetti negativi sul minimo deflusso del Torrent e Orba,
ormai in perenne secca.
Tuttavia alle ore 6:30 del 13 agosto un boato di tuono spezzò la monotonia degli
ultimi mesi e alle 7:30 si abbatté su Molare ed Ovada un vero e proprio
nubifragio. Secondo Tropeano (1989) “Nel bacino dell’Orba cadono 364 mm di
pioggia in meno di 8 ore. I dati pluviometrici registrati in tutte le stazioni del
circondario furono a dir poco sconcertanti.
La valutazione delle portate che caratterizzarono l'evento d el 1935 non fu
effettuata sulla base di dati raccolti in località Ortiglieto, perché l a società
costruttrice O.E.G. non ritenne necessaria l'installazione in loco di stazioni
pluviometriche di monitoraggio.
I dati vennero quindi presi dalle aree limitrofe, in particolare si registrarono
453 mm di pioggia nella durata di 8 ore in località Piam paludo (Comune di
Tiglieto, alta Valle Orba), 377 mm a Masone (alta Valle Stura), 390 mm a
Belforte (Valle Stura, poco a monte di Ovada), 554 mm in Località Lavagnina
(Valle Piota). Un evento eccezionale, che rilasciò in m eno di 24 ore un volume
d'acqua pari al 30% delle medie annue della zona.
Il corso d’acqua aumentò rapidamente di livello e, in corrispondenza del Lago
di Ortiglieto, raggiunse una portata di deflusso pari a circa 2300 m 3 /s.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Figura 35 – Mappa pluviometrica dell’evento alluvionale del 13.08.1935 (fonte:
http://www.molare.net/il_disastro/il_disastro_nubifragio_crollo.html )

Durante le prime ore della mattina del 13 agosto 1935 gli scarichi della
diga principale rimasero chiusi, ma ben presto il guardiano della diga si accorse
che il livello dell’acqua stava innalzandosi vertiginosamente.

Furono allora attivati i sifoni che subito scaricaron o a massimo regime assieme
allo sfioratore di superficie. La portata massima scaricabile dall’impianto era
pari a 855 m 3 /s. Alle ore 10:30 la valvola a campana si bloccò a causa del troppo
fango e detriti che andavano via via accumulandosi sul fondo del lago. Anche
lo scaricatore di fondo ebbe analogo problema.

“Da questo momento gli avvenimenti precipitano: alle 10 il livello del lago
aveva già raggiunto quota 318,08 m; alle 10:50 il lago raggiungeva la quota di
massima ritenuta normale pari a metri 322; dalle 10:45 alle 12:30 l’uragano si
attenuò alle 12:30 il livello del lago raggiungeva la quota della sommità della
diga di Sella Zerbino (324,50 m) e cominciava a s tramazzare al di sopra di essa.

La pioggia subito dopo le 12:30 riprendeva a cadere con violenza spaventosa.


Il livello del lago si sopraelevava ancora e raggiungeva alle ore 13:15 la quota
di 326,67 m (dalla deposizione processuale di Abele De Guz, guardiano della
diga). Ormai le due dighe erano sovrastate da una lama d’acqua di quasi 3 m.
Alle ore 13:15 si interruppero le comunicazioni telefoniche tra la Diga
Principale e la centrale elettrica. La diga Secondaria e gran parte della Sella

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Zerbino collassarono sotto la spinta di una massa d’acqua e fango stimata tra i
20 e 25 milioni di metri cubi.

L’ondata che si generò percorse tutta la vallata travolgendo tutto ciò che trovava
sul suo percorso: un vicino ostello posizionato frontalmente a Sella Zerbino, la
centrale elettrica (evacuata in tempo), la Diga di Compensazione, numerosi
ponti stradali e ferroviari e naturalmente intere borgate poste nelle vicinanze
dell’asta fluviale.

L’ondata raggiunse la cittadina di Ovada in circa 20 minuti. Già dalle prime ore
del mattino molte persone del “Borgo di Ovada” evacuarono le loro abitazioni
allarmate dall’improvvisa piena del torrente. Gli Ovadesi che al riparo sulla
sponda opposta e più elevata rispetto al Borgo videro l’immane ondata
travolgere tutto narrano ancor oggi con sgomento i più tragic i istanti della loro
storia: “le case si aprivano come libri ...”

Le vittime del Borgo di Ovada furono circa 60. L’ondata terminò la sua corsa
molti chilometri più a valle, alla confluenza con il Fiume Bormida causando
ovunque morte e distruzione. Complessivamente le vittime furono stimate tra le
110 e le 115 unità.

3.2 CAUSE GEOLOGICHE-STRUTTURALI

È opinione comune che la causa unica del disastro di Molare sia


imputabile al non corretto dimensionamento degli scarichi della diga
principale di Bric Zerbino, rispetto ad un evento meteorico anomalo.

In realtà il nubifragio che flagellò l’Alta Valle Orba fu solo il fattore


scatenante della catastrofe che portò non solo al crollo della diga secondaria
ma anche al collasso di Sella Zerbino sulla quale era fondata ed il
conseguente taglio di meandro lungo il quale era posizionata la Diga
Principale.

È opportuno ricordare che a seguito di un successivo violento temporale (25


agosto 1935), l’erosione del Torrente Orba determinò un ulteriore
approfondimento dell’incisione ove prima sorgeva Sella Zerbino, pari ad
altri 20 m. Dal 13 agosto 1935, nei successivi settant’anni, l’erosione

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
fluviale ha determinato un abbassamento complessivo dell’alveo pari a circa
40-45 m.

La storia progettuale dell’invaso di Ortiglieto durò circa trent’anni. In questo


lungo periodo l’unico elaborato di carattere geolo gico a supporto della
progettazione fu rappresentato dalla relazione del prof. Salmoiraghi (1899)
del Politecnico di Milano. La relazione consisteva in non più di cinque
pagine, che descrivevano in maniera generale le peculiarità della Valle Orba,
e non era supportata da alcuna indagine di dettaglio in sito.

In altre parole non furono eseguiti sondaggi e neanche campionamenti di


superficie né tanto meno analisi strutturali sugli ammassi rocciosi. I
contenuti della relazione furono probabilmente dedotti da sopralluoghi e da
esperienze precedentemente acquisite in altri progetti ed in aree
assolutamente non assimilabili alla località di Ortiglieto.

Il geologo evidenziò tuttavia che l’esistenza delle selle poteva essere


riconducibile alla presenza di rocce maggiormente erodibili sostenendo che
“Tutte le rocce attraversate in questa regione delle anse sono compatte;
nessuna di facile erodibilità appare in contatto del torrente, bensì se ne
trovano degli affioramenti in alcuni affluenti laterali e nelle selle”.

La conclusione di Salmoiraghi fu comunque lapidaria: “Oso dire, che in


qualsiasi punto di questa regione può con sicurezz a impiantarsi uno
sbarramento… Anche rispetto alla impermeabilità intrinseca della roc cia non
possono nascere dubbi”. Questo elaborato fu ripetutamente trascritto e mai
modificato durante le importanti varianti effettuate al progetto iniziale.

Quando nel 1924 la cosiddetta “Commissione di controllo del Gleno”


(istituita con decreto ministeriale e costituita dagli ing. L. Cozza, G. Fantoli,
C. Guidi e L. Dompé) visitò il cantiere di Località Ortiglieto, vennero messe
in evidenza alcune perdite di acqua al di sotto della diga secondaria di Sella
Zerbino. Il terreno su cui era stato posto lo sbarramento presentava infatti
zone di permeabilità elevata, che ben presto, con il riempirsi del lago,
determinarono infiltrazioni alle quali i tecnici delle O.E.G., sollecitati dalla
commissione di controllo, fecero fronte (senza risultati soddisfacenti) con
iniezioni di calcestruzzo.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Era tuttavia noto che i terreni di fondazione non fossero ottimali.
Prova ne fu, come già detto, la realizzazione della galleria di carico, la quale
incontrò appunto materiali poco compatti ed assai fratturati. Un’ulteriore
evidenza è rappresentata dalla tipologia d’opera realizzata sulla Sella
Zerbino. In uno dei primi progetti dell’ing. Zunini, fu prevista in tal loco
una diga a sfioro. Durante l’esecuzione delle opere fu chiaro però che tale
progetto era irrealizzabile sia per l’incremento dell’altezza d’invas o
apportata dall’ing. Gianfranceschi, sia per l’elevata erodibilità delle rocce
che avrebbe costituito un grave problema durante il deflusso delle acque
lungo la sella.

La presenza di livelli milonitici, determinò in fase di realizzazione numerosi


problemi che aumentarono ad invaso avvenuto e divennero pregiudizievoli
durante un evento pluviometrico critico. I livelli milonitici, intensamente
foliati, rappresentarono infatti la zona di debolezza dell’ammasso roccioso
costituente Sella Zerbino.

Nonostante le sue modeste dimensioni, fu quindi la Diga Secondaria a


collassare, essendo stata costruita su rocce poco compatte e intensamente
fratturate. La Diga Principale invece era stata fondata su rocce
serpentinitiche relativamente più compatte, che tuttavia ne cessitarono in
fase di realizzazione di iniezioni cementizie in corrispondenza della spalla
sinistra. Le caratteristiche meccaniche del substrato roccioso sono state
recuperate dai risultati della campagna investigativa sperimentale finanziata
nel 1980 dall'amministrazione regionale piemontese, per valutare i costi di
un impianto polifunzionale volto a rivitalizzare lo sfruttamento dell'Orba .

La finalità di una simile indagine, condotta attraverso metodi di rifrazione


geofisica, fu quella di ricostruire la stratigrafia del suolo, e distinguere la
formazione rocciosa attraverso un opportuno indice ovvero l’ RQD (Rock
Quality Designation).

I risultati ottenuti sono di seguito riportati in figura.

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Figura 36 – Longitudinal vertical cross -section at the site of foundation of the Sella Zerbino dam (fonte:
Engineering Geology – The collapse of the Sella Zerbino gravity dam – G. Petaccia, C.G. Milazzo, L.
Natale)

Risulta evidente la scarsa compattezza del substrato sul quale era


fondata la diga. Inoltre tali sondaggi consentirono la valutazione della
conducibilità idraulica delle rocce, attraverso prove in situ, mostrandone
l’eccessiva permeabilità.

3.3 CAUSE IDROLOGICHE E IDRAULICHE

Il crollo della diga secondaria di Sella Zerbino è un chiaro esempio delle


gravi conseguenze che comporta il trascurare in fase progettuale i fattori
geologici e, più in generale, ambientali e climatici di un determinato sito.

Le più accreditate stime valutarono la portata della piena del Torrente Orba
all’altezza della Diga Principale tra 2000-2300 m 3 /s. Gli apparati di scarico
della Diga come già enunciato, consistevano in: uno scarico di fondo, uno di
alleggerimento, scarichi automatici di superficie a s ifone, e infine lo sfioratore
superficiale che nel complesso, erano in grado di far defluire a pieno regime
una portata massima di 855 m 3 /s che corrispondeva a circa 6 m 3 /s per km 2 di
bacino imbrifero essendo quest’ultimo pari a 141 Km 2 . È comunque presumibile
che a causa della disfunzione di alcuni apparati (valvola a campana e scarico di
fondo), le portate effettivamente defluite dalla diga non fossero superiori a 600 -

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
650 m 3 /s, pari cioè a meno di un terzo di quella dell’Orba. Non stupisce quindi
il rapido innalzamento del livello idrico del lago sino all’inevitabile
superamento del coronamento delle due dighe.

L’insufficienza della portata scaricabile fu una questione ampiamente dibattuta


in sede processuale. I consulenti delle O.E.G., si premunirono di evidenziare
l’importanza dell’evento pluviometrico e la correttezza ai sensi di legge del
dimensionamento degli scarichi.

È opportuno sottolineare che ai tempi della realizzazione dell’invaso la


legislazione in materia di dighe era assai lacunosa. Solo nel 1921 con il D.M.
n. 1309 “Norme generali per i progetti di dighe di sbarramento per serbatoi e
laghi artificiali” ma soprattutto con il R.D. n. 2540/1925 “Regolamento Dighe”
veniva normata compiutamente la progettazione degli invasi idrici. Per quanto
riguarda il presunto malfunzionamento di alcuni apparati di scarico occorre
evidenziare che la famigerata “valvola a campana dello scarico semi-profondo
brevettata dalle “Officine Verrina di Voltri” fu adottata in diverse dighe di
proprietà delle O.E.G. ed in molti casi l’insorgere di problemi tecnici la resero
inutilizzabile. Inoltre lo scarico di fondo, secondo alcune testimonianze,
produceva inquietanti vibrazioni sulla struttura della diga principale. Alcuni
attribuirono il fatto all’aumento di 14 m del paramento della diga rispetto al
progetto iniziale, pur mantenendo invariati tutti i restanti parametri geometrici.

L’ing. Cannonero ipotizzò inoltre un parziale funzionamento dei sifoni tipo


Heyn sostenendo che: “quanto ai sifoni autolivellatori è molto dubbio che essi
abbiano ubbidito prontamente alla manovra automatica per l’innesco”. Il
malfunzionamento degli sfioratori di superficie è stato oggetto di numerosi
studi volti a dimostrarne la presunta inadeguatezza. Con il proposito di
ricostruire l’evento storico, il funzionamento degli scaricatori a sifone,
costituenti la principale opera di evacuazione delle piene, è stato simulato su
un modello in scala nel laboratorio del Dipartimento di Ingegneria Civile e
Architettura dell’Università di Pavia.

Il sifone autolivellante Heyn fu brevettato nel 1927 dall’ingegnere tedesco W.


Heyn. In Italia, ai tempi della realizzazione dell’impianto di Ortiglieto, era più
diffuso il sifone tipo Gregotti, che però non venne utilizzato in quanto colpisce

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il paramento della diga con un getto d’acqua, cosa non ammessa dalle
disposizioni normative allora vigenti. Il sifone della diga di Bric Zerbino, è
caratterizzato da due gomiti diritti, uno alto e uno basso, collegati tra di loro da
un gomito rovescio. Sono state eseguite nello specifico, 54 prove in moto
permanente per determinare la scala di deflusso del sifone.

Il funzionamento del sifone può essere suddiviso in 5 fasi differenti.

Figur a 37 – Vista laterale del sifone Hey n (f onte: Fl ow M easureme nt a nd Instr ume nta ti on – E xperi mental assessme nt
of the stage -disc harge relations hip of the Hey n siphons of Bric Zerbi no da m – G. Petaccia, A. Fenocc hi )

Il funzionamento del sifone è condizionato inoltre dalla pressione nei


gomiti. Il valore della pressione dipende dal bilancio di portata tra aria rilasciata
e aria assorbita dalla corrente. Gli studiosi hanno analizzato il funzionamento
in successivi stati di moto permanente del sifone tipo della diga di Bric Zerbino,
ricavandone la scala di deflusso, ottenuta riportando i valori di portata in
funzione del livello di invaso.

Il progetto originale prevedeva che ciascun sifone scaricasse la portata di 43


m 3 /s con livello nel serbatoio di 323 m s.l.m. I risultati sperimentali hanno
restituito invece in corrispondenza di quel livello, una portata di soli 33 m 3 /s.
Inoltre il livello del serbatoio necessario al completo i nnesco dei sifoni, risulta
essere 3 metri al di sopra del valore previsto dal progetto.

Gli esperimenti hanno mostrato che i sifoni si sono completamente


innescati a sormonto già iniziato, con un livello nel serbatoio superiore di 25
cm del coronamento della diga di Bric Zerbino. Le perizie di difesa presentate

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al processo penale a carico dei progettisti e dei dirigenti delle Officine
Elettriche Genovesi, stimarono che al momento della rottura della diga di Sella
Zerbino avvenuta alle ore 13.15 del 13 agosto 1935, quando il livello nel
serbatoio raggiunse 326.7 m s.l.m., la batteria di sifoni scaricò circa 588 m 3 /s.

Le indagini sperimentali hanno invece determinato, per quel livello nel


serbatoio, una portata scaricata di 450 m 3 /s, del 23 % inferiore rispetto a quella
ricostruita dai periti.

3.4 RISCHIO IDROLOGICO LEGATO AGLI INVASI

Il rischio idrologico comprende sia il rischio alluvionale, legato alle


esondazioni, sia il rischio di dissesto, tanto di natura localizzata quant o di tipo
diffuso. Essi sono dovuti talvolta, ma non sempre, agli effetti delle
sollecitazioni idrometrologiche sulla superficie terrestre.

Gli aspetti fondamentali del rischio alluvionale sono quattro: la percezione, la


previsione, la prevenzione ed il preannuncio. La prevenzione o mitigazione del
rischio alluvionale, attraverso adeguati interventi, vede coesistere due filosof ie
apparentemente contrapposte.

La prima verte sull’intervento prettamente strutturale, che si concretizza nella


realizzazione di opere idrauliche per la sistemazione dei versanti e la
regimazione degli alvei; la seconda verte sull’intervento non strutturale
realizzabile attraverso l’adozione di misure attive, come interventi di
manutenzione ordinaria e organizzazione di interventi di protezione civile,
oppure misure passive come il ricorso a normative urbanistiche volte a
regolamentare l’utilizzo del territorio per evitarne uno sfruttamento eccessivo.

Per perseguire l’obiettivo di prevenzione tuttavia i due aspetti devono


coesistere. Gli interventi strutturali infatti, lasciano un certo rischio residuo
derivante dalla possibilità, se pur molto modesta, del verificarsi di eventi di
intensità superiore al dato di progetto.

Le conseguenze del rischio residuo si possono dunque attenuare sol amente


attraverso un complesso di interventi di tipo non strutturale, basati sulla
predisposizione di efficaci sistemi di protezione.

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In passato la difesa dalle alluvioni era un problema percepito a scala
prevalentemente locale e sovente risolto tramite realizzazione di opere
localizzate nel sito pericoloso.

L’azione di prevenzione era quindi limitata nello spazio.

Una più moderna percezione del rischio idrologico associa alla coscienza del
verificarsi di eventi calamitosi, la consapevolezza del danno econ omico e
sociale connesso al manifestarsi degli stessi eventi.

La previsione del rischio alluvionale tende a valutare la vulnerabilità idrologica


del territorio; il tempo di ritorno delle esondazioni, la loro estensione, il danno
atteso e l’affidabilità delle procedure di mitigazione.

Si ha dunque una concezione di carattere dinamico del problema. In particolare


il rischio idrologico-idraulico viene misurato in base alla teoria dell’affidabilità
e, in generale, è il risultato della combinazione di tre vari abili aleatorie: la
pericolosità naturale, la tipologia degli elementi assoggettati a tale pericolosità
o meglio esposizione, e infine la vulnerabilità di tali elementi.

La sua valutazione analitica richiederebbe a rigor di logica, la conoscenza della


distribuzione di probabilità congiunta delle tre variabili; cosa che ovviamente
appare estremamente complessa nelle applicazioni di carattere pratico, in cui si
fa ricorso ad una semplificazione del problema attraverso l’adozione di formule
di carattere empirico di tipo moltiplicativo, in cui compaiono tre fattori
indipendenti tra loro. L’impostazione del problema attualmente accettata in
Italia in materia della definizione del rischio, si rifà alle specifiche contenute
nel DPCM del 29 settembre 1998. Secondo tale impostazione il rischio può
essere valutato come prodotto di tre fattori ovvero:

R=H E V

dove R è il rischio idraulico totale e viene quantificato attraverso quattro livelli


(R1, R2, R3, R4). Il fattore H misura la pericolosità ossia la probabilità di
inondazione, che in accordo con il suddetto DPCM, viene ripartita in tre diversi
livelli legati al periodo di ritorno dell’inondazione stessa: le aree ad alta
probabilità di inondazione sono quelle soggette ad eventi con periodo di ritorno
di 20-50 anni, le aree invece soggette a moderata probabilità di inondazione

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
sono quelle soggette ad eventi con periodo di ritorno pari a 100-200 anni, infine
le aree di bassa probabilità di inondazione sono quelle soggette ad eventi con
tempo di ritorno di 300-500 anni.

Il fattore E misura invece gli elementi a rischio che sono costituiti da persone e
cose suscettibili di essere colpiti da eventi calamitosi.

In generale si classificano in base ad una scala da 0 ad 1 estremi inclusi. Il


fattore V infine misura la vulnerabilità, intesa come capacità a resistere alle
sollecitazioni indotte dall’evento, e quindi dal grado di perdita degli elementi a
rischio in caso di manifestarsi del fenomeno.

In fase previsionale del rischio per la valutazione della pericolosità idrologica,


risulta dunque di fondamentale importanza la stima della portata al colmo di
piena temibile lungo la rete idrografica.

La realizzazione di un invaso, così come per qualunque altra opera civile, non
garantisce un’affidabilità totale ossia la sicurezza che sia escluso qualunque
tipo di crisi del sistema. L’esperienza mostra in effetti la persisten za di un
rischio residuale per le opere di sbarramento, vista la profonda modificazione
del regime idrologico da essi indotta.

La piena di progetto in base alla quale dimensionare gli scarichi, dovrebbe


assicurare che il corpo della diga non venga tracima to nell’arco temporale di
vita attesa per l’opera, se non con probabilità bassissima e comunque prefissata.
La sicurezza delle dighe è quindi un problema di equità che richiede all’opera
di essere al tempo stesso di essere sicura e garantire la funzion alità il più a
lungo possibile.

La diga di Molare quindi, risulta sotto questo punto di vista, un chiaro esempio
di progetto insostenibile.

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
CAPITOLO IV
APPROCCIO STATISTICO ALL’IDROLOGIA TECNICA

4.1 DEFINIZIONE E PROPRIETÀ DELLE VARIABILI CASUALI

Lo scopo ultimo del metodo scientifico è la comprensione e la

modellizzazione della natura al fine di poter prevedere e possibilmente


intervenire sullo sviluppo di uno o più fenomeni. Alcuni fenomeni fisici come
ad esempio le precipitazioni che determinano i deflussi superficiali di un corso
d’acqua oppure gli stessi processi di deflusso o la formazione delle piene,
devono però classificarsi come aleatori, nel senso che non è possibile, alla luce
delle conoscenze che abbiamo sulla loro dinamica, prevedere
deterministicamente in che maniera essi evolveranno in futuro.
Ciò comporta che, per studiarli ai fini delle applicazioni di carattere
ingegneristico, occorre esaminarli seguendo le leggi della probabilità e della
statistica. La Statistica è l’insieme di metodi di natura logica e matematica atti
a raccogliere, analizzare ed interpretare dati numerici o numerabili (analisi
quantitativa dei fenomeni). L’obiettivo fondamentale della statistica è proprio
quello di affrontare la variabilità dei fenomeni e l'incertezza degli eventi.
La statistica può essere descrittiva, se si occupa di sintetizzare attraverso indici
analitici e rappresentazioni grafiche, le informazioni collezionate relativam ente
ad un particolare fenomeno di interesse, oppure si parla di statistica inferenziale
se partendo da una conoscenza limitata del fenomeno ottenuta attraverso
l’osservazione della realtà (il campione) si arriva a dare una interpretazione del
comportamento della popolazione (insieme di tutti i possibili valori che la
variabile può assumere) da cui il campione è stato estratto. Estende cioè, con
un livello di errore controllato, la conoscenza estratta dal campione all’intera
popolazione di riferimento.
In statistica, appunto, una grandezza X(t) i cui v alori X variano nel tempo t in
maniera disordinata, viene definita variabile casuale.
Ad una tale variabile possono essere attribuite diverse proprietà. Essa si
definisce indipendente se ogni valore X(t) che essa assume al tempo t non può

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
essere posto in relazione con i valori che essa aveva assunto al tempo (t-1), (t-
2), etc. Si definisce, invece, autocorrelata, se tra i valori X(t), X(t-1), X(t-2),
etc. è possibile stabilire dei legami di tipo correlativo, nel senso che tra valori
che si pongono nella stessa sequenza temporale esiste, in media, una modalità
con la quale X(t) tende ad essere legato ad X(t-1), X(t-2) ad X(t-3), etc.
Una variabile casuale si definisce stazionaria in una sua caratteristica, ad
esempio nella media, se questa caratteristica osservata su di una fine stra
temporale τ è costante al variare dell'istante iniziale del periodo τ. Le variabili
casuali possono essere classificate come discrete o continue, a seconda
dell’ampiezza dell’intervallo di variabilità dei valori da essa assunti.
Una definizione intuitiva, anche se molto informale e imprecisa, è la seguente:
un’entità è considerata discreta se è costituita da elementi isolati, cioè non
contigui tra loro, mentre è considerata continua se contiene infiniti elementi e
se tra questi elementi non vi sono “spazi vuoti.”
Nello specifico dicesi variabile discreta una variabile il cui valore può variare
in un intervallo chiuso e limitato; ad esempio il numero di giorni piovosi in un
anno. Una variabile aleatoria è invece continua se può assumere valori variabili
con continuità all’interno di un dato intervallo, tra 0 ed il massimo ammissibile
per tale grandezza; ad esempio l’altezza di pioggia massima in un anno, o il
volume di invaso di un serbatoio.

4.2 PROBABILITÀ E FREQUENZA

La teoria della probabilità studia concetti e metodi per esprimere


quantitativamente il grado di fiducia sul verificarsi di certi eventi. Ci sono più
modi per esprimere il concetto di probabilità: quella a priori o meglio nota come
probabilità matematica e quella a posteriori o anche nota come probabilità
statistica (o frequentistica).
La definizione più classica di probabilità dovuta a Bernoulli e Laplace è data
dal rapporto tra il numero di casi favorevoli ed il numero di casi possibili.
Tale definizione assume che tutti i risultati possibili di un evento siano
ugualmente probabili, e che lo spazio dei campioni sia finito. Secondo tale
definizione la probabilità è un numero compreso tra 0 ed 1; dove al valore zero

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
corrisponde l’evento impossibile che non si verifica mai, mentre ad uno
corrisponde l’evento certo.
La definizione di probabilità in questi termini, è applicabile solamente alla
popolazione dei valori. Per il campione che è un’entità discreta, costituito da
un numero finito di osservazioni estratte dalla popolazione stessa, la grandezza
corrispondente è invece la frequenza ovvero il rapporto tra il numero di
osservazioni aventi assegnato valore ed il numero totale delle osservazioni.
Questo rapporto, denominato anche frequenza relativa del generic o valore, si
indica con la notazione f(xi) e approssima la probabilità di un valore nella
popolazione; tale approssimazione è tanto migliore quanto più il campione è
ampio.
Infatti secondo la definizione frequentista della probabilità, essa è data proprio
dal limite della frequenza relativa dell'evento, quando il numero delle prove
tende all'infinito. La distribuzione di frequenza dei valori di un campione si può
rappresentare con un diagramma dello stesso tipo di quelli adottati per
rappresentare le distribuzioni di probabilità di variabili discrete.
Questo diagramma si può costruire sempre sia che il campione provenga da una
distribuzione di variabile discreta sia che provenga da una distribuzione di
variabile continua.
La significatività del diagramma però, è ben diversa nei due casi.
Quando la variabile è discreta i valori più probabili tendono a ripetersi, ed è
ragionevole attendersi che il diagramma di frequen za rappresenti in qualche
modo un'approssimazione di quello che rappresenta la distribuzione di
probabilità che caratterizza la popolazione. Quando la variabile è continua la
ripetizione di un valore è invece un fatto rarissimo e tutti, o quasi tutti, i valori
osservati hanno frequenza uguale a 1/N.
Questa circostanza dipende direttamente com'è ovvio dall'impossibilità di
definire la probabilità di un singolo valore quando si considera una variabile
casuale continua. Il concetto di probabilità di un valore è tipico delle
distribuzioni di variabili discrete. Nel caso di variabili continue si usa invece
quello di probabilità di non superamento. Poiché le variabili casuali considerate
nelle applicazioni idrologiche sono generalmente continue, è necessario
introdurre, anche per un campione, una nozione analoga. Per un campione si

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DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
introduce dunque la nozione di frequenza di non superamento (o frequenza
cumulata, o frequenza cumulata relativa).
La frequenza di non superamento di un dato valore si definisce come il rapporto
tra il numero delle osservazioni con valore non maggiore di quello assegnato e
il numero totale delle osservazioni del campione. Se la variabile considerata è
continua, la frequenza di non superamento risulta così rappresentata
graficamente da una spezzata a gradini, che si può considerare
un'approssimazione (che è naturale attendersi tanto migliore quanto più
numeroso è il campione) della curva che rappresenta la funzione di proba bilità
secondo la quale è distribuita la popolazione.
La definizione di frequenza fin qui adottata implica che al valore massimo del
campione si assegni una frequenza uguale ad uno e cioè che tale valore abbia il
carattere di limite superiore.
È necessario pertanto introdurre una nuova definizione rigorosa della frequenza
di non superamento di un'osservazione; si possono adottare due criteri diversi.
Nel caso in cui si adotti il primo criterio la frequenza che si a ssegna all’i-esimo
valore osservato xi deve coincidere con la media m[P(xi)], mentre nel caso in

cui si adotti il secondo criterio, deve coincidere con la probabilità P[m(xi)].


Quale che sia il criterio adottato, la frequenza F(xi) dell' i-esima osservazione
si può esprimere con la formula generale :
i−α
F(x) =
N + 1 − 2α
nella quale a è una costante, il cui valore distingue tra loro le diverse

espressioni di F(x). Se si adotta il primo criterio a risulta uguale a zero, quali


che siano le caratteristiche della distribuzione di probabilità della x, e quindi la
frequenza di non superamento risulta fornita dalla formula (nota come formula
di Weibull)
𝑖
𝐹(𝑥) = 𝑁+1 .

Se invece si adotta il secondo criterio a può assumere diversi valori, a seconda


delle caratteristiche della distribuzione di probabilità della x.

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Per distribuzioni debolmente asimmetriche il valore di a risulta uguale

a 0,4; per distribuzioni fortemente asimmetriche il valore di A risulta uguale a


0.5 e la frequenza di non superamento risulta fornita dalla formula (nota come
formula di Hazen).
Infine intermedia tra le due è la formula di Gringorten che si ottiene assumendo
a uguale a 0,44.

4.2.1 FUNZIONE DI PROBABILITÀ CUMULATA

La distribuzione di probabilità di una variabile casuale indipendente è


uno strumento che stabilisce con criteri obiettivi qual è quel suo valore
corrispondente ad un certo rischio di deficienza (o di non-eccedenza) in uno o
più periodi di tempo con riferimento ai quali la variabile viene osservata o
misurata. Essa è una funzione che definisce la probabilità cumulata F(X) con la
quale un determinato valore X della variabile in esame non viene superato.

Questa funzione può, in linea di principio, assumere fo rma qualsiasi, purché


essa sia limitata tra 0 ed 1, assumendo valore 0 per il più piccolo valore che può
assumere la variabile X ed 1 per il suo massimo valor e.

La funzione F(X), oltre che dipendere dalla variabile X, contiene diversi


parametri che servono ad adattare il suo andamento alle frequenze cumulate dei
dati storici, rappresentati dalle misure della X di cui si dispone.

Questi parametri sono generalmente riconducibili a quelli che si definiscono i


momenti, di diverso ordine, della funzione di densità di probabil ità, (derivata
prima della funzione di probabilità cumulata) che misura la probabilità che la
variabile assuma un valore compreso in un intervallo inf initesimo (x; x+dx).

Questi momenti in ordine crescente sono: media o valore atteso che è il valore
attorno al quale tende ad addensarsi la popolazione della variabile casuale, la
varianza la cui radice quadrata definisce lo scarto o deviazione standard che
indica la dispersione dei dati rispetto al valor medio, ed il coefficiente di
asimmetria.

AN ALISI IDR O LOG IC A 66


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4.2.1.1 DISTRIBUZIONE NORMALE E LOG-NORMALE

Una delle distribuzioni più diffuse per il gran numero di variabili che da
essa possono essere descritte, è di sicuro la distribuzione normale o di Gauss.
La densità di probabilità della distribuzione normale è data da:

1 1 𝑥 − 𝜇(𝑥) 2
𝑓(𝑥) = 𝑒𝑥𝑝 {− [ ] }
√2𝜋𝜎(𝑥) 2 𝜎(𝑥)

dove m(x) e s(x) sono rispettivamente la media e lo scarto della distribuzione.


La funzione di densità di probabilità è rappresentata da una curva simmetrica
rispetto alla media e presenta un massimo per x=(x). Cambiare il valore della
media equivale a traslare il grafico che rappresenta la funzione di densità di
probabilità, senza deformarlo .
Cambiare il valore dello scarto (x) produce un cambio della forma del grafico
senza traslarlo lungo l’asse delle ascisse.
La funzione è sempre non negativa e possiede due flessi per m-s e m+s.
L’area sottesa dal grafico è sempre pari ad uno, dato che è massima la
probabilità che il valore della variabile casuale sia compresa tra -∞ e +∞.
Risulta utile svincolarsi dai due parametri da cui tale distribuzione dipende, ad
esempio per poter tabulare i valori di probabilità P(u) che corrispondono a
valori preassegnati della variabile casuale x.
È possibile fare ciò introducendo la variabile normale standardizzata che ha
media zero e scarto unitario, ed è funzione lineare crescente della variabile di
partenza.
Per ottenere il passaggio dalla variabile originaria alla variabile standardizzata
si adotta l’espressione:

x−μ
u=
σ

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Figura 38 – Funzione di densità di probabilità normale (fonte: U. MOISELLO, U. MAIONE, Elementi di
statistica per l’idrologia, Medea Editore, 2015)

Figura 39 – Funzione di probabilità cumulate normale (fonte: U. MOISELLO, U. MAIONE, Elementi di


statistica per l’idrologia, Medea Editore, 2015)

Una variabile si dice log-normalmente distribuita, se la sua trasformata


logaritmica è distribuita normalmente. Un tipi co esempio di variabile descritta
secondo tale distribuzione, sono le piogge annue.

La funzione di probabilità cumulata per tale distribuzione è:

1 1 ln⁡(𝑥) − 𝜇(𝑦) 2
𝑓(𝑥) = 𝑒𝑥𝑝 {− [ ] }
𝑥√2𝜋𝜎(𝑦) 2 𝜎(𝑦)

dove i parametri della distribuzione sono:

1   2 ( x)    2 ( x) 
 ( y )  ln  ( x)  ln 1  2   ( y )  ln 1  2 
2

2   ( x)    ( x) 
e

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4.2.1.2 DISTRIBUZIONI DEL MASSIMO VALORE

Per l’interpretazione statistica di certe grandezze (portate al colmo di


piena, precipitazioni intense, ecc.) per le quali sono disponibili i valori massimi
in un fissato intervallo temporale (anno, mese, giorno, ecc.) è necessario
ricorrere a leggi di distribuzioni specifiche per i massimi valori.

Le distribuzioni di probabilità del massimo valore sono distribuzioni asintotiche


che dipendono soltanto dalle distribuzioni di probabilità della variabile
aleatoria di partenza. Indicando con P(x) la distribuzione di probabilità
originaria e con P N (X) quella del campione di dimensione N, sarà:

P N (x)=P(x) N

Pertanto la distribuzione del max è ricavabile da quella della variabile originaria


e dalla dimensione N del campione. Parlando di valori massimi della variabile
x è importante sapere se esiste una forma asintotica a cui tende la funzione
P N (x) al tendere all’infinito della dimensione N del campione.

Il tipo di forma asintotica dipende dalla distribuzione originaria o meglio dal


modo in cui la funzione di probabilità tende ad 1.

Per le distribuzioni asintotiche del primo tipo, la funzione di probabilità,


illimitata superiormente, tende ad 1 come la distribuzione esponenziale. La
distribuzione di probabilità GEV (Generalised Extreme Value), il cui utilizzo
per scopi idrologici è stato proposto per la prima volta in Gran Bretagna dal
NERC (National Enviromental Research Council), è caratterizzata da tre
parametri il parametro di scala a, il parametro di posizione e, ed il parametro
di forma k. La sua funzione di probabilità cumulata è la seguente:

𝑥−𝜀 1
F(x)=exp [-(1 + 𝑘 )𝑘 ⁡]
𝛼

Tale distribuzione di probabilità ha il pregio, come del resto specificato dal suo
stesso nome, di generalizzare le distribuzioni asintotiche dei valori estremi, che
possono ritrovarsi come suoi casi particolari.

AN ALISI IDR O LOG IC A 69


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
In particolare se k=0 si ottiene una distribuzione di Gumbel,
particolarmente usata per lo studio di grandezze idro logiche come portate di
piena (al colmo o medie giornaliere) e precipitazioni intense .

Tale distribuzione appartiene proprio alla famiglia delle distribuzioni


asintotiche del massimo valore del primo tipo, e la sua funzione di probabilità
cumulata è la seguente:

F(x)=e-exp[-a(x-e)]

dove i parametri sono:

1 x 6
   x  0.45 x 
 

Introducendo la variabile ridotta y ci si può svincolare dai parametri a ed e:

y=a(x-e)

Il parametro a controlla la forma del grafico della funzione di densità di

probabilità, infatti un aumento di a provoca un addensamento della

distribuzione. Invece un aumento di e fa scorrere il grafico lungo le x senza


deformarlo.

4.3 PROBABILITÀ E TEMPO DI RITORNO

Altro concetto probabilistico di notevole importanza è il tempo di ritorno


di un determinato evento. Per l'utilizzazione pratica dei risultati delle analisi
statistiche infatti, è opportuno esprimere il grado di rarità di un evento in
termini che presentino la massima facilità di comprensione.

A questo scopo si introduce la nozione di tempo di r itorno. Indichiamo al solito


con x una variabile casuale e con P(x) la corrispondente funzione di probabilità
(di non superamento).

AN ALISI IDR O LOG IC A 70


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Si consideri quindi una serie di infinite osservazioni, eseguite sulla
variabile x indipendentemente l'una dall'altra e si fissi un certo valore di soglia,
sia esso Xa. Chiaramente il valore di x sarà superiore a Xa in certe osservazioni
e non in altre; e il superamento sarà tanto più raro quanto più elevata è la
corrispondente probabilità di non superamento P(Xa). Il numero n di
osservazioni che occorre eseguire dopo aver osservato un superamento del
valore di soglia per osservarne un secondo, è chiaramente una variabile casuale
discreta che può assumere qualunque valore intero positivo man mano che si
procede con le osservazioni, e che è caratterizzata da una propria distribuzione
di probabilità.

La probabilità del valore n è uguale alla probabilità composta di non osservare


il superamento di Xa nelle prime n-1 osservazioni contigue, e di osservarlo
invece nella n-esima. Per uno degli assiomi fondamentali del calcolo delle
probabilità tale risultato è espresso dalla relazione seguente:

p(n)=P(Xa)n−1 [1 − P(Xa)]

Per definizione nell’espressione della media per una variabile discreta,


l’integrale diventa una sommatoria pertanto la media della variabile n sarà:

m(n) = ∑∞ ∞
𝑚=1 𝑛𝑝(𝑛)=∑m=1 nP(Xa)
n−1
⁡[1 − P(Xa)]

1
Dalla nota relazione ∑∞
𝑚=1 𝑛𝑧
𝑛−1
=⁡ se ne deduce che la media della
(1−𝑧)2

variabile aleatoria n che per definizione è il tempo di ritorno, sarà dato allora
dalla seguente espressione:

1
m(n)=
1−P(Xa)

Il tempo di ritorno di un qualsiasi valore della vari abile x, risulta in tal modo
legato alla probabilità di non superamento di tale valore dalla relazione:

1
T = ⁡ 1−P(Xa)⁡.

Per rappresentare la distribuzione di probabilità di una qualsiasi variabile


casuale si usano i concetti di probabilità e di tempo di ritorno.

AN ALISI IDR O LOG IC A 71


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
La probabilità P si definisce abitualmente, e in particolare nel caso dei
massimi annuali come probabilità di non superamento e il tempo di ritorno T
come il numero di osservazioni che occorre effettuare per ottenere in media un
solo superamento del valore considerato.

Di conseguenza T risulta legato a P dalla ben nota formula e i valori maggiori


della probabilità e del tempo di ritorno risultano associati ai valori maggiori
della variabile casuale.

Quando l'oggetto dello studio è costituito dai massimi annuali i valori r ari della
variabile sui quali si concentra l'attenzione sono appunto quelli maggiori, che
risultano così associati ai valori più alti della probabilità (di non superamento)
e del tempo di ritorno.

Quando invece l'oggetto dello studio è costituito dai minimi annuali, i valori
rari della variabile sui quali si concentra l'interesse sono quelli minori. Se si
vuole mantenere l'associazione tra valori alti della probabilità e del tempo di
ritorno, occorre allora sostituire alla probabilità di non superamento quella di
superamento e definire il tempo di ritorno T come il numero di osservazioni tra
le quali si osserva in media un solo valore non superiore a quello assegnato.

Con queste sostituzioni il legame tra tempo di ritorno e probabilità risulta


ancora espresso dalla relazione tipicamente adottata. Se invece si attribuisce a
T il nuovo significato, ma si continua ad attribuire a P quello di probabilità di
1
non superamento, il legame tra T e P risulta espresso dalla relazione T = .
P

4.4 STATISTICA INFERENZIALE

Quando si schematizza una grandezza come una variabile casuale si pone


immediatamente il problema di individuare la sua distribuzione di probabilità.

Generalmente, e questo è senz'altro il caso delle applicazioni idrologiche, della


popolazione della variabile casuale che è l’insieme di tutti i valori che la
variabile può assumere, si conosce soltanto un numero finito di elementi estratti
a caso dall'insieme di tutti questi valori possibili, che coincide con l'insieme dei
valori osservati e prende il nome di campione.

AN ALISI IDR O LOG IC A 72


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Il campione è dunque per sua natura un’entità discreta.

Il problema centrale delle applicazioni idrologiche della statistica è proprio


quello di risalire dal campione alla funzione di probabilità che definisce la
distribuzione della variabile casuale. Tale processo prende il nome di inferenza
statistica ed è articolato in quattro fasi:

• 1 Fase

Scelta di distribuzione di probabilità: (Normale, Gumbel, GEV...)

• 2 Fase: precisazione delle ipotesi

Stima dei parametri: (metodi dei momenti...)

• 3 Fase: verifica delle ipotesi

Test di buon adattamento:( kolmorov e Smirnov …)

• 4 Fase: fasce fiduciarie

Rappresentano una valutazione della fiducia nella stima .

4.4.1 SCELTA DELLA DISTRIBUZIONE DI PROBABILITÀ PER UNA VARIABILE

CASUALE

In particolare la scelta della distribuzione che meglio si presta alla


descrizione della popolazione rappresentata dal campione, può essere eseguita
con diversi metodi: attraverso l’uso di carte probabilistiche, valutando l’indice
di correlazione oppure con l’ausilio della curva di regressione.
Il metodo sicuramente più efficace e di immediata applicazione, è proprio il
ricorso alle carte probabilistiche le quali rendono visivamente la bontà
dell’adattamento della distribuzione stessa.
La particolarità di queste carte, ciascuna specifica per una data distribuzione, è
che sono concepite in modo tale da linearizzare la funzione di probabilità stessa.
È un metodo molto efficace per verificare l’adattamento dei dati alla
distribuzione, ancor prima di averne valutato i parametri, dal momento che se
il tipo di funzione di distribuzione di probabilità prescelto è adatto ad
interpretare le osservazioni, i punti devono addensarsi intorno ad una retta.

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Figura 40 –Esempio di carta probabilistica Normale (fonte: U. MOISELLO, U. MAIONE, Elementi di
statistica per l’idrologia, Medea Editore, 2015)

Figura 41 – Esempio di carta probabilistica di Gumbel (fonte: U. MOISELLO, U. MAIONE, Elementi di


statistica per l’idrologia, Medea Editore, 2015)

Ad un migliore allineamento attorno alla retta, e quindi ad una minore


dispersione, corrisponde un migliore adattamento in termini probabilistici della
distribuzione cui corrisponde la carta, alla descrizione del campione in esame.

Le carte sono generalmente costituite da un gr afico a doppia scala a tre assi in


cui sulle ascisse viene posto il valore della variabile, mentre sulle ordinate la
probabilità cumulata relativa ad ogni valore della variabile, approssimata dalla
frequenza (utilizzata nella forma “plotting position”), ed il valore della
variabile ridotta il quale è funzione lineare della variabile di partenza.

Generalmente il vantaggio nell’uso delle carte probabilistiche è di verificare


l’adattamento dei dati del campione alla legge di probabilità ma anche facilitare
il confronto tra leggi diverse.

Infatti nel caso di normali grafici cartesiani tutte le distribuzioni mostrano un


tipico andamento ad “esse”, solo nella carta probabilistica opportuna si verifica
una linearizzazione delle distribuzioni di probabilità corrisp ondente mentre le

AN ALISI IDR O LOG IC A 74


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
altre continuano ad avere la forma ad “esse”, comportamento analogo lo hanno
i punti del campione esaminato.

Una volta accertato che i valori si addensano intorno ad una retta, è possibile
utilizzare direttamente il diagramma per identificare la retta che meglio
regolarizza i valori (es. tramite il metodo dei minimi quadrati); oppure,
procedere in modo analitico alla determinazione dei parametri (es. tramite il
metodo dei momenti) e quindi riportare la retta risultante sul grafico al fine di
valutarne la capacità descrittiva (questo metodo è preferibile) .

4.4.2 STIMA DEI PARAMETRI DELLA DISTRIBUZIONE

Nella seconda fase, ovvero la stima dei parametri della distribuzione, si può
procedere come già accennato, o per via grafica attraverso il metodo dei minimi
quadrati, oppure adottando il metodo della massima verosimiglianza o ancora
della massima entropia, tutti validi per attendibilità ma allo stesso tempo di
grande complessità computazionale. Il più semplice anche se meno preciso,
risulta essere proprio il metodo dei momenti che consiste nell'attribuire a
ciascun momento della popolazione il valore del corrispondente momento del
campione estratto da quella popolazione. Esistono tre fattori di correzi one per
ogni ordine del momento, pari a:

- 1 per la media
𝑁
- per la varianza
(𝑁−1)

𝑁2
- per il momento del terzo ordine
(𝑁−1)(𝑁−2)

Dove N è la dimensione del campione.

4.4.2.1 STIMATORI PUNTUALI

La stima dei parametri della distribuzione vien e sempre effettuata


ponendo in sistema, generalmente non lineare, alcune funzi oni teoriche dei
parametri del modello probabilistico ed i valori assunti da queste funzioni con
riferimento ai dati osservati disponibili nella serie storica. I pa rametri della
distribuzione di probabilità di ogni variabile idrologica possono essere stimati,

AN ALISI IDR O LOG IC A 75


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
in base all'informazione fornita dai dati disponibili, u tilizzando stimatori
puntuali o stimatori regionali.

Uno stimatore puntuale, utilizzabile allorquando si dispone di un numero


sufficiente di osservazioni della grandezza idrol ogica di interesse nel sito di
progetto, richiede solo la definizione di una tecnica, generalmente numerica, di
stima dei parametri. Le diverse tecniche di stima si distinguono per la scelta del
tipo di funzione da utilizzare.

4.4.2.2 STIMATORI REGIONALI

Nei casi in cui non si dispone di dati direttamente o sservati nel sito di
interesse per il caso in esame, è necessario ricorrere a tecniche di analisi
regionale dell'informazione idrologica. Esse consistono nella ricerca dei legami
esistenti tra le caratteristiche climatiche e fisiografich e misurabili nella regione
che comprende il sito di interesse e la grandezza idro logica della quale si
richiede una corretta stima.

Si tratta, in altre parole, di analizzare i complessi legami esistenti tra le


grandezze idrologiche (siano esse precipitazioni, deflussi ecc.), e le
caratteristiche del suolo.

Uno stimatore regionale, necessario allorquando p er la scarsità di osservazioni


dirette in sito è necessario utilizzare l'intera informazione idrologica
disponibile nella regione in cui il sito di interesse ricade, richiede, oltre a quanto
previsto per il caso precedente, la scelta di un modello di regionalizzazione, che
segna le modalità con cui si effettua il trasferimento dell'informazione
idrologica da un sito all'altro, e della tecnica di stima dei relativi parametri. La
scelta del tipo di tecnica da impiegare, dipende dalla natura della grandezza da
regionalizzare e in particolare dalla prevalenza per la stessa della variabilità
spaziale o di quella campionaria.

La prima aumenta al diminuire dell’ordine del parametro, contrariamente a


quanto avviene per quella campionaria. I tre metodi principali di
regionalizzazione sono:

AN ALISI IDR O LOG IC A 76


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A. Tipo Semplice il quale consiste nella semplice media del valore da
regionalizzare.

B. Tipo Isolinee utilizzabile se la grandezza è poco variabile localmente, e


consiste nel tracciamento di linee isoparametriche che collegano punti del
territorio cui compete stesso valore del parametro da regionalizzare.

C. Criteri di Similitudine Idrologica attraverso i quali si regionalizzano i


legami esistenti tra la grandezza di interesse e altre misurabili con riferimento
al sito di interesse.

Figura 42 – Criteri di regionalizzazion e (Appunti di lezione corso “Idrologia e costruzioni idrauliche 2017” )

4.5 ASPETTI GENERALI DEL PROBLEMA DI VALUTAZIONE DELLE PIENE

Lo studio riguardante la valutazione dei fenomeni di piena, è senza


dubbio di grande importanza per la salvaguardia del territorio e la progettazione
di opere idrauliche. La stima della massima portata al colmo di piena, ovvero
della massima pioggia con prefissato tempo di ritorno, è quindi indispensabile
come approccio preliminare per la prevenzione e l’organizzazione di interventi
di protezione da catastrofi idrologiche. Fino ad alcuni decenni fa, la piena di
progetto veniva stimata su basi empiriche facendo affidamento cioè
all’osservazione diretta di eventi critici registrati in alcune stazioni. Il primo
studio organico sulla valutazione delle piene, fu condotto nel 1967 dal
Ministero dei Lavori Pubblici-Sezione Autonoma del Genio Civile per il
servizio idrografico Italiano. Il suddetto studio prevedeva un approccio di tipo
empirico per la stima della massima portata al colmo, basata sulla formula
proposta da Gherardelli (1939), poi semplificata da Marchetti (1955), secondo
cui il contributo unitario di piena per unità di superficie del bacino idrografico,
è pari a q max= q 100 (S/100) a , dove q 100 è il contributo unitario di piena di un

AN ALISI IDR O LOG IC A 77


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bacino di 100 Km 2 ; a è un parametro dipendente dalla permeabilità del bacino
variabile tra -0.7 per bacini impermeabili e -0.5 per bacini permeabili come
proposto da Gherardelli. Secondo Marchetti si può assumere costante e pari -
2/3.

Uno dei limiti più evidenti nell’adozione di un metodo simile, consiste


sicuramente nella impossibilità di valutare la probabilità di superamento legata
al valore massimo di portata. Da qui nasce la tendenza nell’adottare modelli
probabilistici al fine di valutare la distribuzione di probabilità dei massimi
annuali registrati. In un simile contesto le maggiori difficoltà sono legate alla
scarsità di misure dirette di portata, meno frequenti delle misure
pluviometriche. Per l’analisi delle piene la grandezza considerata è la portata
istantanea al colmo di piena, o talvolta la portata media giornaliera, mentre per
le precipitazioni si fa riferimento alle cosiddette “piogge intense” di notevole
altezza e breve durata; infatti le durate che convenzionalmente si tengono in
considerazione sono di 1, 3, 6, 12 e 24 ore. Da queste analisi si possono ricavare
le curve di possibilità pluviometrica che esprimono, per un fissato tempo di
ritorno, l’altezza di precipitazione cumulata o l’intensità in funzione della
durata. Negli ultimi anni lo studio ha subito un’evoluzione notevole grazie al
supporto di modelli statistici su base regionale, che consentono di sfruttare
l’intera informazione idrologica disponibile in una regione di interesse, per
ridurre al minimo le incertezze sulla stima in un sito non strumentato. Le
distribuzioni di probabilità teoriche che trovano largo impiego nello studio
degli estremi sono: la log-normale, le distribuzioni asintotiche dei valori
estremi come Gumbel, GEV, TCEV. Queste ultime maggiormente utilizzate in
ambito di analisi regionale.

4.6 LE CURVE DI POSSIBILITÀ PLUVIOMETRICA

La misura dell’altezza di pioggia è l’elemento fondamentale per le


elaborazioni che conducono alla stima delle portate al colmo di piena. In
particolare volendo stimare eventi di piena di dato tempo di ritorno, bisogna
prima ricostruire l’evento di pioggia che lo ha scaturito, assumendo valida
l’ipotesi che un evento di pioggia di tempo di ritorno T, genera un evento di

AN ALISI IDR O LOG IC A 78


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
piena della stessa rarità ovvero descritto dallo stesso tempo di ritorno. Il legam e
che intercorre tra altezza di precipitazione e durata si rappresenta comunemente
con una curva che fornisce per un assegnato valore del tempo di ritorno T , la
relazione tra la durata della pioggia t e la relativa altezza di precipitazione h o
in alternativa si può usare una curva che fornisce la relazione del tutto
equivalente a quella precedente, tra la durata della pioggia t e la relativa
intensità media di precipitazione. Dunque nel primo caso si fa capo ad una
relazione monomia del tipo:

ℎ𝑡, 𝑇 = 𝑎𝑡 𝑛

mentre se sia adotta la seconda convenzione ovvero facendo ricorso all’intensità



media di precipitazione data dal rapporto 𝑖 = 𝑡 , la relazione precedente diventa:

ℎ𝑡, 𝑇 = 𝑎𝑡 𝑛−1

In Italia si usa comunemente la curva che fornisce la relazione tra la


durata della pioggia t e la relativa altezza di precipitazione h, che prende il
nome di curva segnalatrice di possibilità climatica (o curva di possibilità
climatica o curva segnalatrice di possibilità pluviometrica o curva di probabilità
pluviometrica). In pratica non ci si limita mai a una curva sola, ma si considera
un fascio di curve, ciascuna delle quali corrisponde a un valore diverso del
tempo di ritorno. Per individuare la curva di possibilità climatica con accettabile
approssimazione è necessario conoscere le altezze di precipitazione per un certo
numero di durate diverse, opportunamente scelte. A questo scopo si eseguono
delle elaborazioni statistiche su campioni di altezza di pioggia relativi a
intervalli di tempo di varia durata, opportunamente selez ionati dalle
osservazioni disponibili. Comunemente si selezionano da ogni evento di pioggia
gli intervalli di tempo che forniscono, per le durate considerate, le massime
altezze di pioggia, trascurando completamente la parte dell'evento che precede
e quella che segue l'intervallo selezionato. La relazione tra l'altezza di pioggia
h e il tempo di ritorno T si può determinare con diversi metodi. Ricordiamo
quali sono i due che oggi vengono usati più comunemente. Il primo metodo che
va sotto il nome di analisi dei massimi annuali, di gran lunga il più usato,
consiste nell'individuare, per ogni durata t, la distribuzione di probabilità del
massimo annuale h dell'altezza di pioggia, dalla quale si può ricavare il valore

AN ALISI IDR O LOG IC A 79


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
con il tempo di ritorno T prefissato. Il procedimento comporta l'uso, per ogni
durata, di una sola osservazione per anno. Il massimo annuale dell'altezza di
pioggia h di una certa durata t si assume distribuito secondo una certa legge
probabilistica (in genere la legge di Gumbel o la legge log -normale) i cui
parametri si stimano a partire dal campione disponibile. Una volta effettuata
l'elaborazione statistica dei massimi annuali di precipitazione si riportano in un
grafico, con le durate t in ascissa e le altezze di pioggia h in ordinata, i valori
dell'altezza di pioggia forniti per il tempo di ritorno T assegnato dalle leggi di
probabilità, corrispondenti alle diverse durate. Infine si interpolano i punti con
una curva. Il secondo metodo che va sotto il nome di analisi delle eccedenze,
consiste nell'adoperare anche le osservazioni che non coincidono con il
massimo annuale purché superiori a un certo valore soglia prefissato (il numero
delle osservazioni m è quindi generalmente maggiore del numero degli anni N)
e relative a eventi tra loro indipendenti. Due eventi si considerano indipendenti
quando sono separati da un intervallo di tempo senza pioggia di lunghezza
sufficiente (la lunghezza minima si assume in pratica dell'ordine di 2 -6 h). I
procedimenti possibili sono diversi. Il più semplice consist e nell'individuare,
all'interno di ogni evento l'intervallo di tempo della durata prefissata al quale
corrisponde la massima altezza di pioggia, nel selezionare le m osservazioni
superiori al valore di soglia e nell'eseguire quindi un'ordinaria elaborazion e
statistica del campione di m elementi così ottenuto. Il grado di affidabilità con
cui si determinano le curve di possibilità climatica dipende ovviamente dalla
dimensione dei campioni di altezze di pioggia disponibili per le diverse durate.
Quanto più numerosi sono i campioni, tanto più affidabili sono le stime delle
altezze di pioggia che corrispondono ad assegnati tempi di ritorno e tanto più
affidabile è la curva di possibilità climatica ottenuta per interpolazione.
Generalmente però, le dimensioni dei campioni sono sempre ridotte (ciascuna
serie di massimi annuali è raramente composta di più di 20 -30 elementi). Questa
circostanza consiglierebbe di derivare la curva da un insieme di dati rilevati a
diverse stazioni cioè riportando sul grafico, in corris pondenza di una stessa
durata, più punti, corrispondenti alle altezze di pioggia stimate per diverse
stazioni. L’errore causato dal trascurare le possibili differenze climatiche tra
una stazione e l'altra, risulta verosimilmente inferiore a quello causato

AN ALISI IDR O LOG IC A 80


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
dall'insufficienza del campionamento. Ciò nonostante, e sebbene esistano anche
in Italia diversi esempi di studi sulle piogge intense effettuati su scala regionale,
è ancora pratica comune determinare le curve di possibilità climatica
adoperando le osservazioni di una sola stazione. Nella maggior parte delle
applicazioni, però, il regime che interessa non è quello delle precipitazioni
puntuali relative a una singola stazione, ma quello delle precipitazioni medie,
o ragguagliate, relative all'area in esame. In linea di principio, le curve di
possibilità climatica delle piogge ragguagliate si possono costruire con lo stesso
procedimento illustrato per le piogge puntuali. L'unica differenza è che in
questo caso i massimi dell'altezza di precipitazione rappresen tano delle
precipitazioni ragguagliate all'area.

4.7 DESCRIZIONE DEL MODELLO VA.PI.

La conoscenza approfondita dei fenomeni di piena è indispensabile ai fini


della progettazione di opere idrauliche. È necessario assumere come dato di
progetto per il dimensionamento dell’opera (es. scarichi e volume di
laminazione), la portata al colmo di piena temibile lungo la rete idrografica
sulla quale essa sorge. Le grandezze prese come riferimento per la
progettazione, devono essere associate ad una stima del rischio rel ativo al loro
superamento, comunemente espresso tramite il concetto di tempo di ritorno,
ossia il numero di anni che mediamente intercorre tra due superamenti
successivi. Risulta quindi evidente come il problema di valutazione delle piene
si debba impostare esclusivamente su basi probabilistiche. Per raggiungere tale
obiettivo si deve ricorrere in linea di principio, ai dati di osservazioni
idrometriche disponibili sul territorio. Sarebbe dunque necessario utilizzare una
lunga serie di osservazioni di portate e volumi di piena; strada difficilmente
percorribile dal momento che sul territorio risultano molto più rare tali
osservazioni rispetto a quelle pluviometriche. In altre parole si fa ricorso alle
deduzioni statistiche delle osservazioni pluviometriche e se ne deducono a
posteriori le relative probabilità connesse ai valori di portata al colmo di piena.
Risulta dunque necessario, alla luce di tali considerazioni, ricorrere alle
procedure di regionalizzazione che consentono di sfruttare l’intera
informazione idrologica disponibile sull’area nella quale il sito di interesse

AN ALISI IDR O LOG IC A 81


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
ricade, e dedurre a partire dalle probabilità relative agli eventi pluviometrici, le
probabilità associate ai valori delle portate. Generalmente i modelli
probabilistici a supporto di questa trattazione, derivano dalla teoria degli eventi
estremi che consente l’utilizzo di distribuzioni di probabilità a due o tre
parametri. L’affinarsi degli studi idrologici negli ultimi anni ha però messo in
evidenza i limiti dei modelli a soli due parametri (Gumbel, log-normale),
comunque pregevoli per la loro semplicità. È stato infatti messo in evidenza
come essi, proprio a causa del loro limitato numero di parametri, non sono in
grado di interpretare dal punto di vista statistico l’etereogeneità tra l’altro
fisicamente giustificabile, osservata tra gli eventi ordinari e quelli straordinari.
In altre parole questi modelli conducono di norma ad una sottostima degli eventi
più gravosi, con evidente inefficienza dell’intervento tecnico per il quale la
stima era stata effettuata. In Italia il Gruppo Nazionale per la Difesa dalle
Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI), ha proposto e sviluppato il progetto VA.PI.
per la valutazione delle piene. Tale metodologia fa riferimento ad un approccio
probabilistico per la valutazione degli estremi idrologici, basato su un’analisi
regionale di tipo gerarchico. Il metodo VA.PI. è attualmente identificato come
strumento di riferimento comune per la stesura dei piani di assetto idrologico
di numerose autorità di bacino. Tale metodologia risulta attualmente la più
accreditata a livello nazionale, essendo stata istituzionalmente riconosciuta
attraverso diversi riferimenti normativi, in particolare il D.P.C.M. del 29
settembre 1998. Questo lavoro nasce con la finalità di fornire un metodo
speditivo al calcolo della portata al colmo di piena in diversi ambiti di interesse.
Nell’impostazione dell’indagine sulle piene, è necessario de finire
preliminarmente la grandezza idrologica di interesse, sia essa la massima
precipitazione di assegnata durata, oppure il massimo valore annuale della
portata o del volume transitato in una sezione del corso d’acqua. Dato il
carattere aleatorio delle grandezze di interesse, esiste sempre il rischio che un
certo valore della variabile, possa essere superato e quindi si deve provvedere
a stimare il periodo di ritorno associato ad un determinato valore della variabile
in esame. Per poter perseguire tale obiettivo, è necessaria un’analisi delle serie
campionarie dei dati disponibili nel sito di interesse. Tuttavia come già
accennato, per la ridotta capillarità delle misure di portata sul territorio, un

AN ALISI IDR O LOG IC A 82


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
approccio simile che conduca ad una stima puntuale, ris ulta piuttosto raro per
cui si rende necessario il ricorso ad un’analisi regionale, ovvero l’insieme delle
procedure adatte al trasferimento dell’informazione idrologica disponibile in un
qualunque sito, al sito di interesse non monitorato o comunque dove
l’informazione disponibile sia insufficiente. Il modello VA .PI. si
contraddistingue principalmente per l’approccio gerarchico alla stima dei
parametri, basato sul metodo della piena indice. Tale metodo ha il pregio di
integrare l’informazione idrologica dedotta su base regionale, con
l’informazione idrologica puntuale caratteristica del bacino idrografico sotteso
dalla sezione di interesse. In pratica il metodo porge la portata al colmo temibile
sotto forma di prodotto di due fattori: il fattore di crescita probabilistico X T ,
valutato su scala regionale, e la portata indice valutata a scala di bacino per lo
specifico sito fluviale. Si ha in definitiva:

q T = q ind. X T .

Nello specifico il fattore di crescita risulta una variabile aleatoria a sé


stante, contraddistinta da una certa distribuzione di probabilità, che misura la
variabilità relativa degli eventi a diverse frequenze; mentre la portata indice,
ovvero la media delle massime portate annuali al colmo di piena, è una
grandezza locale caratteristica del sito in esame, dipendente dalle particolari
caratteristiche geomorfologiche e idrografiche del bacino. Seguendo un
processo gerarchico nella valutazione dei parametri della distribuzione di
probabilità, è possibile sfruttare tutte le serie storiche ricadenti nella zona in
esame, per la stima del parametro caratteristico di quel determinato livello. In
altre parole un approccio simile consente di ricavare un numero limitato di
parametri a partire da un’ampia serie di dati, rendendo sempre più efficace la
stima. Si è potuto osservare come le stime campionarie dei coefficienti di
asimmetria e di variazione, ottenute dalle serie storiche dei massimi annuali
delle portate, relative a più stazioni limitrofe, presentino una variabilità
osservata che nell’ambito di vaste aree, non è superiore alla variabilità
campionaria. Ciò consente in definitiva di ipotizzare l’esistenza di aree
omogenee all’interno delle quali si può ammettere che siano costanti i valori di
tali coefficienti, e di conseguenza dei parametri della dis tribuzione da cui essi
dipendono. Mentre laddove la varianza osservata risulta superiore a quella
AN ALISI IDR O LOG IC A 83
DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
campionaria, si dovrà riconoscere l’esistenza di una variabilità spaziale dei
parametri, e la stima di questi ultimi sarà ricercata quindi attraverso relazion i
con altre entità fisiche direttamente misurabili. Nel progetto VAPI viene
proposta una struttura gerarchica per la regionalizzazione che prevede
l’individuazione di:

a) zone omogenee (I° livello);


b) sottozone omogenee (II° livello);
c) aree omogenee (III° livello).

In particolare al I° livello si assume che il coefficiente di asimmetria Ca


sia costante all’interno di una regione molto ampia. Questo implica che
utilizzando come modello probabilistico una distribuzione del valore estremo
GEV, sia costante il parametro di forma k nella medesima zona. Al II° livello
invece, si assume che la zona omogenea rispetto al parametro di forma k, possa
suddividersi in sottozone all’interno delle quali il coefficiente di variazione Cv
risulti costante e questo si traduce nell’assumere un valore costante per il
parametro di scala a della GEV all’interno della medesima sottozona
omogenea. In definitiva quindi se si individua una sottozona omogenea rispetto
al coefficiente di variazione Cv, risulta unica all’interno de lla sottozona stessa

la curva di crescita del fattore x T, che potrà esprimersi attraverso la seguente

relazione:

𝛼 𝑇
XT =𝜀 + (1 − 𝑒 −𝑘𝑦𝑇 ) dove y T = -ln(ln( ))
𝑘 𝑇−1

Infine il III° livello di regionalizzazione consente di individuare la grandezza


indice che data la sua variabilità spaziale elevata, non è possibile individuare
aree omogenee nelle quali risulta costante, ma è necessario studiarne la
dipendenza dalle caratteristiche morfologiche e climatiche del bacino.
Il calcolo della piena indice rappresenta uno dei problemi dell’idrologia di
maggiore complessità; può essere condotto seguendo diversi metodi, diretti o
indiretti, ciascuno con diverso livello di compless ità ed affidabilità. In
particolare va detto che i metodi diretti sono utilizzabili solo ed esclusivamente
se nel sito in esame sono disponibili misure dirette di portata al colmo altrimenti
è necessario ricondurre la stima alle relazioni che intercorrono con grandezze

AN ALISI IDR O LOG IC A 84


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
esogene. Tra i metodi indiretti più tradizionali va ricordato l’impiego di formule
empiriche tarate con il metodo della regressione statistica. Allo stesso modo è
possibile adottare tale metodologia per l’analisi delle precipitazioni.
Generalmente la stima dell’altezza di pioggia di assegnato tempo di ritorno,
viene espressa attraverso la curva di possibilità pluviometrica, che in assenza
di serie di dati adeguate, può essere regionalizzata ricorrendo all’espressione
seguente:
h T (d) = m(d)×K T

dove come al solito K T rappresenta il coefficiente di crescita probabilistico, e


m(d) la “pioggia indice” ovvero la media del massimo annuale di altezza di
pioggia nella durata d. In particolare la legge con la quale il valore massimo di
precipitazione varia con la durata stessa risulta espresso da:

m(d) = a×d n

AN ALISI IDR O LOG IC A 85


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CAPITOLO V
RICOSTRUZIONE DELL’EVENTO CALAMITOSO

5.1 STUDIO DELLE PRECIPITAZIONI ATTRAVERSO MODELLO

Un primo approccio al problema di ricostruzione delle curve di possibilità

pluviometrica per le stazioni scelte, ha visto come procedura adottata un’analisi


regionale condotta attraverso la metodologia tipica del VA.PI. applicato allo
studio delle precipitazioni. In particolar modo si è tenuto conto
dell’impostazione generale prevista nel rapporto di sintesi sulla “Valutazione
delle Piene nel Bacino Padano e nella Liguria Tirrenica ” proposto da De
Michele e Rosso.
Secondo le indicazioni riportate, non sono state identificate sottozone
pluviometriche omogenee in relazione alla distribuzione di probabilità cumulata
per le piogge da 1 a 24 ore consecutive, bensì si è provveduto alla valutazione
della distribuzione di probabilità, per ognuna delle 366 stazioni (2 70 nel bacino
padano e 96 in Liguria) di misura presenti nel territorio, utilizzando una
distribuzione generalizzata del valore estremo (GEV), stimandone i parametri
di forma k, di scala a e di posizione e, per ogni singola stazione. Sulla base di
quanto detto, risulta univoca la relazione tra tempo di ritorno e valore del
coefficiente di crescita K T espressa da:

1
𝑇= 1
𝑘 𝑘
1 − 𝑒𝑥𝑝⁡{− [1 − 𝛼 (𝐾𝑇 − 𝛼)] }

la cui inversa risulta utile dal momento che per un prefissato valore del tempo
di ritorno T, fornisce il corrispondente valore di K T vale a dire:
𝛼
𝐾𝑇 = 𝜀 + (1 − 𝑒 −𝑘𝑦𝑇 )
𝑘

L’altezza di pioggia cumulata con periodo di ritorno T -ennale, viene allora


valutata, secondo quanto affermato dall’applicazione del metodo Indice, come
prodotto tra fattore di crescita probabilistico specifico per la stazione in esame

AN ALISI IDR O LOG IC A 86


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
e valore atteso dell’altezza massima di pioggia annuale m(d), nella durata di
“d” ore consecutive ovvero

ℎ𝑇 (𝑑) = 𝑚(𝑑) × 𝐾𝑇

È necessario, inoltre, specificare la legge di variazione del valor medio della


massima altezza di precipitazione annua nella durata di “d” ore consecutive,
con la durata stessa espressa dalla classica legge monomia:

𝑚[ℎ(𝑑)] = 𝑎 × 𝑑 𝑛

dove i parametri “a” ed “n” sono stimati per le stazioni, attraverso


l’applicazione di una tecnica di regressione ai minimi quadrati.

Si riportano, di seguito, i risultati dell’analisi regionale ottenuti per la stazione


di Piampaludo.

I parametri della Distribuzione di Probabilità Cumulata (DPC) risultano per tale


stazione:

a e K
0,283 0,85 0,05

Tabella 1 – Parametri della DPC per la stazione di Piampaludo

e grazie ad essi si è potuto valutare per diversi valori del tempo di ritorno T
ritenuti più significativi, il corrispondente valore del fattore di crescita K T
mediante la sopracitata relazione .
Dal calcolo risulta dunque:

T (anni) yT KT
100 4,60014923 2,01297336

500 6,21360726 2,36151367


1000 6,90725507 2,50292664
10000 9,21029037 2,9387725

Tabella 2 – Valori del coefficiente di crescita

Come secondo passo sono state valutate le altezze di pioggia massime annuali
nelle durate convenzionali di 1, 3, 6, 12 e 24 ore, assumendo i valori calcolati

AN ALISI IDR O LOG IC A 87


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per la stazione in esame del coefficiente pluviale orario “a” e dell’esponente di
scala “n” pari a:

a n
33,7 0,477
Tabella 3 – Parametri della CPP per stazione di Piampaludo

dai quali si è ricavato attraverso la nota legge monomia:

d (ore) m(d)
1 33,7
3 56,9136894
6 79,2151132
12 110,25527
24 153,458399

Tabella 4 – Altezze di pioggia massime annuali per stazione di Piampaludo

Come ultimo passo quindi, sulla base dei valori ricavati è stato possibile dedurre
un fascio di CPP, ciascuna valutata per un diverso valore del tempo di ritorno.
C’è da considerare che le curve sono state ragguagliate adottando il fattore di
riduzione areale ARF, con il quale sono state moltiplicate tutte le altezze di
precipitazione cumulata puntuali.
Il fattore di ragguaglio, che nel caso specifico risulta pari a 0.88, viene calcolato
per l’Italia Nord-Occidentale con la formula proposta dallo U.S. National
Wheater Service:
1 1
(−1.1𝑑 ⁄4 ) (−1.1𝑑 ⁄4 −0.01𝐴)
𝐴𝑅𝐹 = 1 − 𝑒 +𝑒

Nella tabella seguente vengono sintetizzati i risultati ottenuti, grazie ai quali è


stata effettuata la costruzione delle CPP.

T (anni) 100 500 1000 10000


d (ore) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm)
1 59,69674 70,03305 74,22679 87,15224
3 100,8179 118,2742 125,3567 147,1856
6 140,323 164,6195 174,4773 204,8598
12 195,308 229,125 242,8455 285,1333
24 271,8387 318,9068 338,0037 396,8618

Tabella 5 – Altezze di pioggia cumulate per diverse durate e tempi di rit orno per stazione di Piampaludo

AN ALISI IDR O LOG IC A 88


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
CPP Piampaludo regionalizzate
500
450
400
350
300
hd,T (mm)

250
200 T100
T500
150
T=1000
100
T=10000
50
valore evento
0
0 5 10 15 20 25 30
d (ore)

Grafico 1– Curve di possibilità pluviometrica regionaliz zate per stazione di Piampaludo

Si evince chiaramente come il valore dell’evento ovvero un’altezza di


precipitazione registrata pari a 453 mm nella durata complessiva di 8 ore, si
trovi nettamente al di sopra della curva ricavata per un tempo di ritorno di 10000
anni il che porta necessariamente a dire che , tuttavia, un approccio simile non
risulta adatto a stimare la rarità dell’evento.

In seguito adottando lo stesso metodo si è proceduto al tracciamento delle CPP


per la stazione di Lavagnina centrale. Per tale stazione i valori dei parametri
della DPC sono di seguito riportati:

a e k
0,288 0,745 -0,241

Tabella 6 – Parametri DPC per stazione di Lavagnina

e mediante tali parametri si è valutato il coefficiente di crescita per diversi


valori del tempo di ritorno ottenendo:

T (anni) yT KT
100 4,60014923 3,1711577
500 6,21360726 4,8922078

AN ALISI IDR O LOG IC A 89


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1000 6,90725507 5,86424842
2500 7,82384598 7,42511504

Tabella 7 – Valori del coefficiente di crescita in funzione del tempo di ritorno per stazione di Lav agnina

Mentre i parametri “a” ed “n” della CPP sono:

a n
35,3 0,429

Tabella 8 – Parametri della CPP per stazione di Lavagnina

e mediante la legge monomia si sono anche in tal caso ottenuti i valori dei
massimi annuali delle precipitazioni per le durate convenzionali:

d (ore) m(d)
1 35,3
3 56,55353
6 76,13802
12 102,5046
24 138,002

Tabella 9 – Altezze di precipitazione massime an nuali per stazione di Lavagnina

Infine a partire dai risultati ottenuti, è stato possibile ricavare le CPP


areali per i diversi valori del tempo di ritorno:

T (anni) 100 500 1000 2500


d (ore) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm)
1 98,5088428 151,971543 182,167013 230,653774
3 157,819345 243,471029 291,846678 369,526495
6 212,472195 327,785064 392,913203 497,493546
12 286,05133 441,297054 528,979073 669,775595
24 385,110926 594,118254 712,164563 901,71893

Tabella 10 – Altezze di precipitazione cumulata per diverse durate e tempi di ri torno per stazione di
Lavagnina

Di seguito le CPP:

AN ALISI IDR O LOG IC A 90


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
CPP Lavagnina regionalizzate
1000
900
800
700
hd,T (mm)

T=100
600
500 T=500
400 T=1000
300
T=2500
200
valore
100
evento
0
0 5 10 15 20 25 30
d (ore)

Grafico 2 – Curve di possibilità pluviometri ca regionalizzate per Lavagnina

In questo caso il risultato fornito dall’analisi dell’evento, 554 mm in 8 ore,


rientra nella CPP relativa ad un tempo di ritorno dell’evento di 2500 anni.

Questo può essere spiegato dal momento che la regione considerata dal progetto
VAPI per la stima dei parametri della distribuzione di probabilità, è molto
ampia ed ha caratteristiche che sono molto differenti rispetto alla zona limitata
colpita dal nubifragio.

5.2 STUDIO DELLE PRECIPITAZIONI CON LA DISTRIBUZIONE DI GUMBEL


Accertata l’inadeguatezza dell’analisi regionale per lo studio, si è cercato
partendo dalle serie di osservazioni di altezze di pioggia disponibili per
entrambe le stazioni, di indagare tra diverse distribuzioni di probabilità, per
dedurre quale fosse più idonea alla descrizione dei campioni pr esi in esame.

Come ipotesi iniziale si è ricercato l’adattamento alla distribuzione di Gumbel,


per via del fatto che risulta spesso idonea alla descrizione di eventi estremi, e
che proprio per lo studio di questi è stata introdotta.

Dai confronti delle distribuzioni di probabilità cumulate per le diverse durate e


delle distribuzioni di frequenze campionarie, sono stati riscontrati i seguenti
risultati:

AN ALISI IDR O LOG IC A 91


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 1 ora
1 1
0,9 0,9

0,8 0,8
0,7
0,7
0,6
0,6
0,5

F(y)
f(x)

0,5
0,4
0,4
0,3
0,3
0,2
0,2 0,1
serie campionaria
0,1 0
DPC
0 -0,1
0 20 40 60 80 100
x

Grafico 3– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 1h

Adattamento distribuzione di di Gumbel serie 3 ore


1 1,2
0,9
1
0,8
0,7
0,8
0,6

F(y)
f(x)

0,5 0,6
0,4
serie campionaria 0,4
0,3
DPC
0,2
0,2
0,1
0 0
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180
x

Grafico 4– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 3h

AN ALISI IDR O LOG IC A 92


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 6 ore
1 1
0,9 0,9
0,8 0,8
0,7 0,7
0,6 0,6

F(y)
f(x)

0,5 0,5
0,4 0,4
serie campionaria
0,3 0,3
DPC
0,2 0,2
0,1 0,1
0 0
0 50 100 150 200 250
x

Grafico 5– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 6h

Adattamento distribuzione di Gumbel serie 12 ore


1 1

0,9 0,9

0,8 0,8

0,7 0,7

0,6 0,6
F(y)
f(x)

0,5 0,5

0,4 0,4

0,3 serie campionaria 0,3

0,2 DPC 0,2

0,1 0,1

0 0
0 50 100 150 200 250 300
x

Grafico 6– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 12h

AN ALISI IDR O LOG IC A 93


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 24 ore
1 1
0,9 0,9
0,8 0,8
0,7 0,7
0,6 0,6

F(y)
f(x)

0,5 0,5
0,4 0,4
serie campionaria
0,3 0,3
0,2 DPC 0,2
0,1 0,1
0 0
0 50 100 150 200 250 300 350 400 450
x

Grafico 7– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 24h

Da queste emerge chiaramente come l’adattamento non sia ottimale, il tutto,


probabilmente, imputabile all’eccessiva limitatezza della serie in esame .

Alla luce di tali considerazioni, si è ritenuto utile procedere alla costruzione


delle CPP adottando tale distribuzione per ottenere una prima stima del tempo
di ritorno relativo all’evento, nel caso di curve non regionalizzate ma costruite
con serie di dati misurati.

Inizialmente sono stati ricavati i parametri a ed e della distribuzione


attraverso il metodo dei momenti, partendo dalle serie disponibili di altezze di
precipitazione massime nelle durate convenzionali ottenendo:

Altezza massima (mm)


Anni
osservazione 1 ora 3 ore 6 ore 12 ore 24 ore
2004 67,8 92,8 93 95,2 111,8
2005 68,8 78,2 80,7 80,7 107,2
2006 64 158,9 189,5 221,9 391,6
2007 61 62,4 62,4 81 100,8
2008 46,5 54,4 72,7 119 165,8
2009 76 109,5 111,3 134,7 226
2010 81,4 163,2 213,6 260,9 344,9
2011 65,1 100,6 195,7 264,4 277,3
2012 38,5 77,5 89,9 98,3 146,6
2013 74,7 105 136,5 240,4 346,4

AN ALISI IDR O LOG IC A 94


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
MEDIA 64,38 100,25 124,53 159,65 221,84
SCARTO 13,1824631 36,67406743 55,97517406 77,62532877 111,1924678
a 0,097288344 0,034970214 0,022911943 0,016521669 0,011534055
e 58,44789161 83,74666965 99,34117167 124,7186021 171,8033895
k' 0,40493052 0,78622044 1,011623645 1,117442063 1,161974074

Tabella 11 – Serie di dati per P iampaludo e stima dei parametri

Successivamente è stata effettuata una regressione lineare tra il logaritmo


naturale del parametro e ed il logaritmo delle durate, al fine di ottenere i
parametri della CPP “a” ed “n” che sono rispettivamente l’esponenziale
dell’intercetta della retta di regressione e la pendenza della stessa ottenendo:

Grafico 8– Regressione parametri

n a
0,3287 57,46063

Tabella 12 – Parametri CPP per Piampaludo

con i quali si sono ottenute le altezze cumulate per le diverse durate e per diversi
valori del tempo di ritorno mediante la seguente relazione:

ℎ𝑡,𝑇 = 𝑎(1 + 𝑘′ ln(𝑇)) × 𝑡 𝑛

1
dove per 𝑘′ = calcolato per tutte le durate, se ne è assunto il valor
0.4343𝛼𝜀
medio.

AN ALISI IDR O LOG IC A 95


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
I risultati sono sintetizzati nella seguente tabella:

T (anni) 10 50 100
t (ore) ht,T (mm) ht,T (mm) ht,T (mm)
1 176,0666 258,9685 294,6725
3 252,6426 371,6009 422,8335
6 317,2891 466,6866 531,0286
12 398,4774 586,1029 666,9088
24 500,4403 736,0756 837,5582

Tabella 13 – Altezze cumulate di precipitaz ione per stazione di Piampaludo

Le CPP sono di seguito riportate:

CPP Piampaludo con distribuzione di Gumbel


900

800

700

600

500
ht,T (mm)

T 10
400
T 50
300
T 100
200

100 valore
evento
0
0 5 10 15 20 25 30
t (ore)
Grafico 9– CPP Piampaludo con distribuzione di Gumbel

In maniera del tutto opposta all’analisi regionale precedentemente condotta,


con l’impiego di una distribuzione del valore estremo del primo tipo, si va
addirittura a sottostimare la rarità dell’evento calamitoso, che come evidenziato
dal grafico risulta inferiore ad un tempo di ritorno di 50 anni, potendosi in
maniera del tutto inverosimile considerare un evento ordinario.

La spiegazione forse più accreditata per poter giustificare questa discrepanza,


risiede nella tipologia di funzione di probabilità cum ulata adottata che possiede
solamente due parametri, per cui non risulta particolarmente adatta per spiegare
eventi straordinari, e in particolar modo non idonei a giustificare le eterogeneità
tra eventi ordinari e straordinari.

AN ALISI IDR O LOG IC A 96


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Si ricorda che proprio a causa di limiti di questo tipo si sono introdotti modelli
a tre parametri, in modo tale da ottenere stime sempre più attendibili, evitando
quindi problemi legati ad una sottostima dell’evento considerato.

Lo stesso procedimento è stato applicato per la serie di dati della stazione di


Lavagnina di cui si riportano di seguito gli andamenti delle frequenze
campionarie e delle probabilità cumulate:

Adattamento distribuzione di Gumbel serie 1 ora


1,2 1,2000

1 1,0000

0,8 0,8000

F(y)
f(x)

0,6 0,6000

0,4 0,4000
serie campionaria

0,2 DPC 0,2000

0 0,0000
0 20 40 60 80 100 120 140
x

Grafico 10– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 1h

Adattamento distribuzione di Gumbel serie 3 ore


1,2 1,2

1 1

0,8 0,8
F(y)
f(x)

0,6 0,6

0,4 0,4
serie campionaria
DPC
0,2 0,2

0 0
0 50 100 150 200 250
x

Grafico 11– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 3h

AN ALISI IDR O LOG IC A 97


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1,2
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 6 ore 1,2

1 1

0,8 0,8

F(y)
f(x)

0,6 0,6

0,4 0,4
serie camionaria
0,2 DPC 0,2

0 0
0 50 100 150 200 250 300 350 400 450
x

Grafico 12– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 6h

1,2
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 12 ore 1,2

1 1

0,8 0,8

F(y)
f(x)

0,6 0,6

0,4 0,4
serie campionaria
0,2 DPC 0,2

0 0
0 100 200 300 400 500 600
x

Grafico 13– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 12h

AN ALISI IDR O LOG IC A 98


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1,2
Adattamento distribuzione di Gumbel serie 24 ore 1,2

1 1

0,8 0,8

F(y)
f(x)

0,6 0,6

0,4 0,4
serie campionaria
DPC
0,2 0,2

0 0
0 100 200 300 400 500 600
x

Grafico 14– Adattamento distribuzione di Gumbel serie 24h

Anche in questo caso emerge chiaramente ed in maniera ancor più evidente


rispetto all’altra stazione, che non sussiste l’adattamento dei dati alla
distribuzione presa in considerazione e, dunque, se ne può trarre la conclusione
che risulta inadatta all’interpretazione statistica della serie di dati in esame.

Anche in questo caso sono state ricavate comunque le CPP, per ottenere una
stima del tempo di ritorno dell’evento registrato a Lavagnina. Analogamente a
quanto fatto per l’altra stazione sono stati in primo luog o valutati i parametri
della distribuzione con il metodo dei momenti ottenendo:

Anni Altezza massima (mm)


osservazione 1ora 3 ore 6 ore 12 ore 24 ore
1934 76,2 139,6 139,6 148,8 181,8
1935 115 225 381 534,4 534,4
1936 20 38 72 107,8 168,6
1937 32,4 61 73,2 84,8 119,2
1938 29 41,6 44 66 93,8
1939 41 44 45,8 90,7 103
1940 73 81,6 112 166 180
1941 27 35,4 51 67,4 77,2
1942 60 71 80 109 128
1943 32,4 34,2 36,4 57,8 81
1944 44,4 44,6 54 82 113,4
1945 40 71,6 85 126 153,2
1946 21 29 36 51 82
1947 26,2 32,6 56,6 91 106,4
1948 28,4 33,6 54 69 69,4
1949 22 35,4 44 56 98
1950 36 44,2 56 72 92,4
1951 28 48 75 122 147

AN ALISI IDR O LOG IC A 99


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1952 24 32 43,6 65 72
1953 34,8 35,8 37,8 48,2 56,4
1954 27,6 56,4 85 118,4 136,4
1955 36,2 54,8 73 115,4 168
1956 54 96,6 113,8 133,4 171
1957 24,6 41 63,6 106,4 166
1958 34 53 62,6 101,4 113,4
1959 29,5 88,6 141 180 223,4
1960 31 52 71,2 79,6 103,4
1961 36 83 160 209,8 216
1962 21,2 32,8 36,2 47 71,6
1963 43 73 118,4 157,8 171,6
1964 22,4 31,8 39 39,4 55,8
1965 30 45 70 127 153
1966 44 96 126 161,2 170,2
1967 24 34 43 66 83
1968 40 57 102 102,6 127,6
1969 28 32,4 45 61,4 62,8
1970 50 80 95,4 135,4 160
1971 35 75 88 146 183
1972 27 28 32,8 44,2 79
1973 30 43 65 93 114
1974 30,6 58,2 69,6 69,8 70,8
1975 19,4 35,8 53,6 79 118
1976 34 52,4 84,4 97,4 113,8
1978 30,8 58,6 61,6 66,6 70,6
1979 17,6 38,4 60,4 67,8 122,4
1980 43,4 70,8 126,8 210,2 311,4
1981 19,8 44,6 74,2 78 100
1982 26,6 52,6 85 116,6 155,6
1983 20 30,8 55,8 80,6 99
1984 43,6 77,6 89,8 90,8 91,2
1986 16,2 40 63,2 78 99

media 34,9078431 56,6941176 79,0666667 107,354902 132,121569


scarto 17,0419581 32,8594182 52,7603134 73,50435991 76,0560012
a 0,07525544 0,03902991 0,02430804 0,017447945 0,01686257
e 27,238962 41,9073795 55,3245257 74,27794 97,8963681
k' 4,7199631 3,76615491 3,09654843 2,984106338 3,80102421

Tabella 14 – Serie di dati per Lavagnina e stima dei parametr i della distribuzione di Gumbel

Ancora una volta sono stati ricavati i parametri della CPP tramite regressione
lineare che ha fornito i seguenti risultati:

AN ALISI IDR O LOG IC A 100


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Regressione parametri
5
4,5
4
3,5
3
ln(e)

2,5
ln(e) = 0,4039 ln(t) + 3,2981
2
1,5
R² = 0,9998
1
0,5
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
ln(t)

Grafico 15 – Regressione parametri

E attraverso la consueta relazione si sono quindi stimate le altezze di pioggia


cumulate per diversi tempi di ritorno. I risultati sono di seguito riportati in
tabella:

T (anni) 10 50 100
t (ore) ht,T (mm) ht,T (mm) ht,T (mm)
1 255,963068 415,9586254 713,7668554
3 398,920708 648,275202 1112,411966
6 527,803902 857,7197778 1471,809721
12 698,326643 1134,83165 1947,321606
24 923,941825 1501,472751 2576,46174

Tabella 15 – Altezze di precipitazione cumulate per s tazione di Lavagnina

AN ALISI IDR O LOG IC A 101


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Di seguito sono mostrate le curve per la suddetta stazione:

CPP Lavagnina con distribuzione di Gumbel


3000

2500

2000
ht,T (mm)

1500

1000
T=50
500 T=100
valore evento
T=10
0
0 5 10 15 20 25 30
t (ore)
Grafico 16 – CPP Lavagnina con distribuzione di Gumbel

In maniera paragonabile a quanto dedotto per l’altra stazione, anche in questo


caso se ne può trarre la conclusione che l’impiego di una distribuzione di
probabilità del valore estremo del primo tipo, risulta inadeguata al punto da far
considerare un evento meteorico sicuramente catastrofico, alla stregua di un
evento ordinario attestato dal fatto che risulta prossimo alla curva ricavata per
un tempo di ritorno di 10 anni.

5.3 STUDIO DELLE PRECIPITAZIONI ATTRAVERSO DISTRIBUZIONE LOG-

NORMALE

L’indagine tra le varie distribuzioni è stata condotta anche mediante l’ausilio


della distribuzione di probabilità log-normale, spesso utilizzata in ambito
idrologico per il buon adattamento mostrato allo studio delle precipitazioni.

Come di consuetudine, partendo dalla serie di precipitazioni intense, si sono


costruite le carte probabilistiche per accertarne l’adattamento, che si riportano
di seguito:

AN ALISI IDR O LOG IC A 102


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Carta probabilistica log-normale per 1h
1,000 1,5000000
0,900 1,0000000
0,800
0,5000000
0,700
0,600 0,0000000
f(x)

0,500 -0,5000000

u
0,400 -1,0000000
0,300
-1,5000000
0,200
0,100 -2,0000000
0,000 -2,5000000
0,000 0,500 1,000 1,500 2,000 2,500 3,000 3,500 4,000 4,500 5,000
ln(x)

Grafico 17 – Carta probabilistica log-normale per 1h

Carta probabilistica log-normale per 3h


1,0000 2,000000
0,9000 1,500000
0,8000
1,000000
0,7000
0,6000 0,500000
f(x)

0,5000 0,000000

u
0,4000 -0,500000
0,3000
-1,000000
0,2000
0,1000 -1,500000
0,0000 -2,000000
0,000 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
ln(x)

Grafico 18 – Carta probabilistica log -normale per 3h

AN ALISI IDR O LOG IC A 103


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Carta probabilistica log-normale per 6h
1,0000 2
0,9000 1,5
0,8000
1
0,7000
0,6000 0,5
f(x)

0,5000 0

u
0,4000 -0,5
0,3000
-1
0,2000
0,1000 -1,5
0,0000 -2
0,000 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
ln(x)

Grafico 19 – Carta probabilistica log -normale per 6h

Carta probabilistica log-normale per 12h


1,0000 1,5
0,9000
0,8000 1
0,7000 0,5
0,6000
f(x)

0,5000 0

u
0,4000
0,3000 -0,5
0,2000 -1
0,1000
0,0000 -1,5
0,000 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
ln(x)

Grafico 20 – Carta probabilistica log -normale per 12h

Carta probabilistica log-normale per 24h


1,0000 2,000000
0,9000 1,500000
0,8000
1,000000
0,7000
0,6000 0,500000
f(x)

0,5000 0,000000
u

0,4000 -0,500000
0,3000
-1,000000
0,2000
0,1000 -1,500000
0,0000 -2,000000
0,000 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000
ln(x)

AN ALISI IDR O LOG IC A 104


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Grafico 21 – Carta probabilistica log -normale per 24h

Come si evince dalle carte probabilistiche i valori osservati si linearizzano


in maniera accettabile lungo la retta che rappresenta la distribuzione di
probabilità log-normale, per cui si può concludere che quest’ultima risulti
adeguata ad interpretare dal punto di vista statistico la serie di dati di
precipitazioni osservate.

Successivamente sono state ricavate media e scarto dei campioni, e da questi


attraverso le ben note relazioni:

1   2 ( x)    2 ( x) 
 ( y )  ln  ( x)  ln 1  2   2 ( y )  ln 1 
2   ( x)    2 ( x) 

media e scarto della distribuzione della quale sono i parametri. I risultati


ottenuti sono riassunti nella seguente tabella:

Anni Altezza massima (mm)


osservazione 1 ora 3 ore 6 ore 12 ore 24 ore
2004 67,8 92,8 93 95,2 111,8
2005 68,8 78,2 80,7 80,7 107,2
2006 64 158,9 189,5 221,9 391,6
2007 61 62,4 62,4 81 100,8
2008 46,5 54,4 72,7 119 165,8
2009 76 109,5 111,3 134,7 226
2010 81,4 163,2 213,6 260,9 344,9
2011 65,1 100,6 195,7 264,4 277,3
2012 38,5 77,5 89,9 98,3 146,6
2013 74,7 105 136,5 240,4 346,4

media 64,38 100,25 124,53 159,65 221,84


scarto 13,1824631 36,67406743 55,97517406 77,62532877 111,1924678
m(y) 4,144267205 4,54486698 4,732535516 4,966877201 5,289892977
s(y) 0,202661397 0,354401147 0,428978168 0,460666295 0,473420372

Tabella 16 – Serie di dati per la stazione di Piampaludo e stima dei parametri della distri buzione log-
normale

A questo punto l’altezza di precipitazione cumulata con tempo di ritorno T-


ennale è stata ricavata attraverso la relazione:

ℎ(𝑝) = 𝑒𝑥𝑝[𝜇(𝑦) +𝑢(ɸ) 𝜎(𝑦)]

AN ALISI IDR O LOG IC A 105


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
In tabella vengono sintetizzati i risultati ottenuti che hanno permesso quindi di
ricavare le curve di possibilità pluviometrica di seguito riportate:

T (anni) 50 100 500


u(F) 2,053748911 2,326347874 2,878161739
d(ore) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm)
1 95,62964144 101,0613861 113,0193999
3 194,9450938 214,7183854 261,0966906
6 274,1153388 308,1195837 390,4125761
12 369,8028785 419,2834813 540,6376662
24 524,3605657 596,5919941 774,698079

Tabella 17 – Altezze di precipitazione cumu late per stazione di Piampaludo

CPP Piampaludo log-normale


900

800

700

600
hd,T (mm)

500

400
T=50
300
T=100
200
T=500
100
valore evento
0
0 5 10 15 20 25 30
d (ore)

Grafico 22 – CPP Piampaludo log -normale

Il risultato di questa analisi porta a concludere che per l’evento registrato


nella stazione di Piampaludo, vale a dire un’altezza di precipitazione di 453 mm
nella durata di 8 ore, si può attribuire un tempo di ritorno di 500 anni. Il risultato
ottenuto può con buona approssimazione considerarsi accettabile, dal momento
che è stato constatato il buon adattamento dei dati alla distribuzione presa in
considerazione.

Adottando lo stesso criterio è stata eseguita l’analisi attraverso distribuzione


log-normale, anche per la stazione di Lavagnina.

Di seguito le carte probabilistiche per testarne l’adattamento:

AN ALISI IDR O LOG IC A 106


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Carta log-normale serie 1ora
1,2 4

1 3

2
0,8
f(x)

1
0,6

u
0
0,4
-1
0,2 -2

0 -3
0 1 2 3 4 5
ln(x)
Grafico 23 – Carta probabilistica log -normale serie 1h

Carta log-normale serie 3 ore


1,2 4

1 3

0,8 2
f(x)

0,6 1

u
0,4 0

0,2 -1

0 -2
0 1 2 3 4 5 6
ln(x)

Grafico 24 – Carta probabilistica log -normale serie 3h

Carta log-normale serie 6 ore


1,2 4

1 3

0,8 2

0,6 1
f(x)

0,4 0

0,2 -1

0 -2
0 1 2 3 4 5 6 7
ln(x)

AN ALISI IDR O LOG IC A 107


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Grafico 25 – Carta probabilistica log -normale serie 6h

Carta log-normale serie 12 ore


1,2 4

1 3
2
0,8
1
0,6
f(x)

u
0
0,4
-1
0,2 -2
0 -3
0 1 2 3 4 5 6 7
ln(x)

Grafico 26 – Carta probabilistica log -normale serie 12h

Carta log-normale serie 24 ore


1,2 4
1 3
0,8 2
0,6 1
f(x)

u
0,4 0
0,2 -1
0 -2
0 1 2 3 4 5 6 7
ln(x)

Grafico 27 – Carta probabilistica log -normale serie 24h

Come si può facilmente notare l’adattamento delle serie di altezze di


precipitazione per la stazione di Lavagnina, contrariamente a quanto avviene
per la stazione di Piampaludo, non risulta accettabile. Tuttavia si è ritenuto
importante ai fini della stima, elaborare le CPP per poter ottenere comunque un
riscontro.

Si riportano le tabelle riassuntive per la stazione in esame:

Anni Altezza massima (mm)


osservazione 1 ora 3 ore 6 ore 12 ore 24 ore
1934 76,2 139,6 139,6 148,8 181,8
1935 115 225 381 534,4 534,4

AN ALISI IDR O LOG IC A 108


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1936 20 38 72 107,8 168,6
1937 32,4 61 73,2 84,8 119,2
1938 29 41,6 44 66 93,8
1939 41 44 45,8 90,7 103
1940 73 81,6 112 166 180
1941 27 35,4 51 67,4 77,2
1942 60 71 80 109 128
1943 32,4 34,2 36,4 57,8 81
1944 44,4 44,6 54 82 113,4
1945 40 71,6 85 126 153,2
1946 21 29 36 51 82
1947 26,2 32,6 56,6 91 106,4
1948 28,4 33,6 54 69 69,4
1949 22 35,4 44 56 98
1950 36 44,2 56 72 92,4
1951 28 48 75 122 147
1952 24 32 43,6 65 72
1953 34,8 35,8 37,8 48,2 56,4
1954 27,6 56,4 85 118,4 136,4
1955 36,2 54,8 73 115,4 168
1956 54 96,6 113,8 133,4 171
1957 24,6 41 63,6 106,4 166
1958 34 53 62,6 101,4 113,4
1959 29,5 88,6 141 180 223,4
1960 31 52 71,2 79,6 103,4
1961 36 83 160 209,8 216
1962 21,2 32,8 36,2 47 71,6
1963 43 73 118,4 157,8 171,6
1964 22,4 31,8 39 39,4 55,8
1965 30 45 70 127 153
1966 44 96 126 161,2 170,2
1967 24 34 43 66 83
1968 40 57 102 102,6 127,6
1969 28 32,4 45 61,4 62,8
1970 50 80 95,4 135,4 160
1971 35 75 88 146 183
1972 27 28 32,8 44,2 79
1973 30 43 65 93 114
1974 30,6 58,2 69,6 69,8 70,8
1975 19,4 35,8 53,6 79 118
1976 34 52,4 84,4 97,4 113,8
1978 30,8 58,6 61,6 66,6 70,6
1979 17,6 38,4 60,4 67,8 122,4

AN ALISI IDR O LOG IC A 109


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
1980 43,4 70,8 126,8 210,2 311,4
1981 19,8 44,6 74,2 78 100
1982 26,6 52,6 85 116,6 155,6
1983 20 30,8 55,8 80,6 99
1984 43,6 77,6 89,8 90,8 91,2
1986 16,2 40 63,2 78 99

media 34,9078431 56,6941176 79,0666667 107,354902 132,121569


scarto 17,0419581 32,8594182 52,7603134 73,50435991 76,0560012
s(y) 0,46235269 0,53816796 0,60687668 0,620033827 0,53498797
m(y) 3,44582653 3,89285808 4,18614173 4,483919213 4,74061641

Tabella 18 – Serie di dati per stazione di Lavagnina e stima dei parametri della distribuzione log -normale

Dopo aver calcolato i parametri sono state ricavate le altezze di precipitazione


con la stessa formula ottenendo:

T (anni) 50 100 500


u(F) 2,05374891 2,32634787 2,878161739
d (ore) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm)
1 81,0756658 91,9660722 118,6944274
3 148,134396 171,541286 230,8556252
6 228,723544 269,872061 377,2209023
12 316,496762 374,777902 527,6730412
24 343,555051 397,495864 534,0013177

Tabella 19 – Altezze di precipitazione cumulate per stazione di Lavagnina

E di seguito le curve per la stazione di Lavagnina:

AN ALISI IDR O LOG IC A 110


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
CPP Lavagnina log-normale
600

500

400
hd,T (mm)

300
T=50
200
T=100

100 T=500
valore evento
0
0 5 10 15 20 25 30
d (ore)

Grafico 28 – CPP Lavagnina log-normale

In questo caso all’evento registrato a Lavagnina si può attribuire come


evidenziato dal grafico, un tempo di ritorno superiore a 500 anni. Il risultato
ottenuto, pur rispecchiando il carattere straordinario dell’evento, non può
ritenersi soddisfacente dal momento che per i dati della suddetta stazione, la
distribuzione log-normale non si è rivelata particolarmente adatta ad
interpretarne il comportamento statistico. Per far fronte a questo si è quindi
ricercato l’adattamento ad un’altra distribuzione di probabilità più adatta.

5.4 STUDIO DELLE PRECIPITAZIONI PER LA STAZIONE DI LAVAGNINA CON


GEV
Come ultimo passo nello studio delle precipitazioni, è stato stimato il
tempo di ritorno per Lavagnina, adottando la distribuzione generalizzata del
valore estremo (GEV) espressa dalla funzione:

𝑥−𝜀 1
⁡𝐹(𝑥) = 𝑒𝑥𝑝[‒ (1 + 𝑘 )𝑘 ⁡]
𝛼
di cui se ne sono stimati i parametri mediante il metodo degli L-Momenti
riportati in tabella.

d (ore) a e k
3 8,434161 27,04891 -0,26716

AN ALISI IDR O LOG IC A 111


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
6 22,00432 56,83459 -0,30845
12 30,33547 76,87181 -0,30572
24 37,86131 99,00588 -0,23393

Tabella 20 – Parametri della distribuzione GEV stazione di Lavagnina

I momenti campionari ordinari, in particolare media, scarto e coefficiente


di asimmetria sono spesso utilizzati per la stima dei parametri del le
distribuzioni di probabilità. Hosking and Wallis (1997) suggeriscono invece di
utilizzare, al posto dei momenti ordinari, gli L-momenti perché adatti a
descrivere più distribuzioni, perché più robusti nella stima da campioni poco
consistenti di dati in presenza di outliers e perché meno soggetti a distorsione
nella stima. Gli L-momenti sono un sistema alternativo di descrivere la forma
delle distribuzioni di probabilità Storicamente essi nascono come modifica dei
momenti pesati in probabilità. Inoltre gli L-momenti godono della proprietà di
esistere alla sola condizione di esistenza della media della distribuzione, il che
include anche casi in cui i momenti ordinari non esistono. Ad esem pio, per una
distribuzione GEV i momenti di ordine 3 e 4 non esistono quando il parametro
k di forma della distribuzione `e inferire a −1/3e−1/4 rispettivamente.
Analogamente all’usuale metodo dei momenti, il metodo degli L -momenti
ottiene una stima dei parametri sostituendo i primi p L-momenti campionari ai
corrispondenti L-momenti della distribuzione. Ciò richiede di conoscere
l’espressione dei parametri in termini degli L-momenti, specifica per ogni
distribuzione.

Si è quindi verificata l’appartenenza dei valori relativi al nubifragio alle serie


dei massimi delle distribuzioni GEV corrispondenti tramite il test del massimo
valore a una coda che, nel caso di distribuzione qualsiasi , è verificato
se⁡⁡[𝐹(𝑥𝑁 )]𝑁 < 1 − 𝛼 con α livello di significatività pari al 5% nel caso in
analisi. Il procedimento è stato implementato per via grafica, definendo X LIM
=[𝐹𝑥𝑁 ]−1 (1 − 𝛼) tale per cui, verificata la condizione h t <X LIM la disuguaglianza
precedentemente esposta risulta soddisfatta. Si riportano in seguito i risultati.

AN ALISI IDR O LOG IC A 112


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Grafico 29 – Test del massimo valore a una coda per la durata di 3h

Assumendo un livello di significatività pari al 5% si ottiene un valore di X LIM


= 411,17 mm. Raffrontandolo con il valore di h 3 =225 mm il test risulta superato.

Grafico 30 – Test del massimo valore a una coda per la durata di 6h

AN ALISI IDR O LOG IC A 113


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
Assumendo un livello di significatività pari al 5% si ottiene un valore di X LIM
= 585,17 mm. Raffrontandolo con il valore di h 6 =381 mm il test risulta
superato.

Grafico 31 – Test del massimo valore a una coda per la durata di 12h

Assumendo un livello di significatività pari al 5% si ottiene un valore di X LIM


= 769,17 mm. Raffrontandolo con il valore di h 12 =534,4 mm il test risulta
superato.

AN ALISI IDR O LOG IC A 114


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Grafico 32 – Test del massimo valore a una coda per la durata di 24h

Assumendo un livello di significatività pari al 5% si ottiene un valore di X LIM


= 750,57 mm. Raffrontandolo con il valore di h 24 =534,4 mm il test risulta
superato.

Confermato quindi l’adattamento alla distribuzione GEV, è stato possibile


tracciare le curve di possibilità pluviometrica per la stazione di Lavagnina
valutando come di consuetudine le altezze di pioggia cumulate al variare della
durata e del tempo di ritorno.

T (anni) 50 100 200 500


d (ore) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm) hd,T (mm)
3 85,015116 103,37584 125,41325 161,51861
6 223,19097 280,3119 350,87245 470,43443
12 304,75793 382,5944 478,56177 640,81279
24 340,36139 411,90113 495,801 629,59052
Tabella 21 – Altezza di precipitazione cumulate stazione di Lavagnina

AN ALISI IDR O LOG IC A 115


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Di seguito le CPP per la stazione di Lavagnina:

CPP Lavagnina con distribuzione GEV


700

600

500
hd,T (mm)

400

300
T=50
200 T=100
T=200
100 T=500
valore evento
0
0 5 10 15 20 25 30
d (ore)

Grafico 33 –CPP Lavagnina con distribuzione GEV

Al termine dell’analisi condotta per la stazione di Lavagnina, si è potuto


constatare l’adattamento delle serie campionarie alla distribuzione
generalizzata del valore estremo e, mediante il suo utilizzo, dedurre le CPP per
la suddetta stazione, riscontrando come all’evento catastrofico, possa attribuirsi
anche in tal caso un tempo di ritorno di 500 anni.

5.5 VALUTAZIONE DELLA PORTATA AL COLMO DI PIENA


Dopo aver stimato la rarità dell’evento mete orico, espresso da un tempo
di ritorno pari a 500 anni, considerando sempre la validità dell’ipotesi secondo
la quale un evento di pioggia di tempo di ritorno T genera un evento di piena
dello stesso tempo di ritorno, è stato valutato in corrispondenza di questo la
portata al colmo di piena del torrente Orba. Il criterio applicato per il calcolo,
è quello tipico proposto dal modello VAPI basato sul metodo della piena indice.
Analogamente all’applicazione del suddetto modello per le analisi
pluviometriche, anche per l’analisi idrometrica si è ricorso alle direttive
proposte nel rapporto di sintesi sulla “Valutazione delle Piene nel Bacino
Padano e nella Liguria Tirrenica” di De Michele e Rosso, in cui si ricorre per il
calcolo delle piene alla suddivisione del territorio in quattro zone omogenee,
ottenuta in base all’analisi delle portate al colmo massime annuali. Sono state

AN ALISI IDR O LOG IC A 116


DEL D ISASTRO D ELLA D IG A D I MO LARE
individuate altresì due zone di transizione per le quali è statisticamente
confutabile l’ipotesi di omogeneità e il calcolo richiede una specifica
impostazione.

Figura 43 - Rapporto di sintesi sulla valutazione delle piene in Italia (fonte: GNDCI Linea 1)

Quale distribuzione di probabilità cumulata del coefficiente di crescita


del massimo annuale delle portate al colmo di piena K T è stata adottata la GEV,
e sempre attraverso un’analisi regionale di carattere gerarchico, sono stati
ricavati i parametri della distribuzione specifici per tutte le quattro zone. Il sito
analizzato ovvero la località di Ortiglieto situata al confine tra Piemonte e
Liguria, ricade in zona di transizione 2. Per la valutazione delle piene nei corsi
d’acqua di tale zona, si prevede la parametrizzazione della curva di crescita
GEV sito per sito, pesando i parametri in base alle distanze minime del sito
stesso dai confini delle zone B e C.

In effetti il primo passo compiuto per la stima della portata dell’Orba, è stato
proprio quello di valutare i parametri della curva di crescita, mediante
interpolazione lineare tra i parametri noti delle zone limitrofe B e C, rispetto
alle distanze dai loro confini, valutate rispettivamente 16.8 Km da C e 60 Km
da B.

AN ALISI IDR O LOG IC A 117


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Tale processo ha fornito i seguenti valori:

zone omogenee a e k
ZT2 0,372 0,641 -0,286
B 0,352 0,653 -320
C 0,377 0,643 -0,276

Tabella 22 – Parametri della distribuzione GEV per le zone omogenee

Grazie ai quali si è potuta ricavare la curva di crescita delle massime portate annuali
al colmo di piena, specifica per il sito esaminato.

T (anni) yT xT
10 2,250 1,814
50 3,902 3,305
100 4,600 4,180
200 5,296 5,244
300 5,702 5,971
500 6,213607 7,014
1000 6,907 8,695

Tabella 23 – Coefficienti di crescita delle massime piene annuali

Curva di crescita del fattore probabilistico


10,000
9,000
8,000
XT = QT/qind.

7,000
6,000
5,000
4,000
3,000
2,000
1,000
0,000
0 200 400 600 800 1000 1200
T (anni)

Grafico 34 - Curva di crescita del fattore probabilistico

In effetti la distribuzione di probabilità del fattore di crescita, altro non è che


la distribuzione generalizzata del valore estremo applicata alla variabile
aleatoria X=Q/q i nd . dove Q è la massima portata al colmo annua, mentre q ind .
rappresenta la media delle massime portate istantanee al colmo di piena annual i.

AN ALISI IDR O LOG IC A 118


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Figura 44 - Schema di calcolo della portata al colmo di piena (fonte: GNDCI Linea 1)

Ai fini della valutazione della portata di piena per il torrente Orba,


corrispondente al tempo di ritorno di 500 anni stimato per le precipitazioni che
la scaturirono, è stato necessario tracciare la curva di crescita dimensionale
delle massime portate al colmo di piena, rispetto al tempo di ritorno T; in
sostanza la curva ricavata moltiplicando i valori della curva di crescita del
fattore probabilistico per il valore della portata indice. Per poter fare questo è
stato necessario quindi calcolare il valore di piena indice per il sito esaminato.
Per valutare in modo quantitativo questo fattore, si possono applicare diversi
metodi, sia diretti che indiretti; i primi se e soltanto se si dispone di sufficienti
misure in sito. Dal momento che nel caso specifico n on si disponeva di alcuna
misura di portata, il valore è stato ricavato mediante un metodo indiretto, che
consiste nell’applicazione di criteri di similitudine idrologica, grazie ai quali la
stima di una determinata grandezza idrologica viene ricondotta al la valutazione
di grandezze fisiche direttamente stimabili, ricercando i legami esistenti tra la
variabile e le caratteristiche morfologiche del bacino esaminato.
Nel presente lavoro si è fatto ricorso ad un metodo indiretto basato sull’impiego
di formule empiriche tarate con il metodo della regressione statistica. La
formula impiegata è la seguente:
𝑞𝑖𝑛𝑑. = 𝑋1 𝑐1 × 𝑋2 𝑐2 × 𝑋3 𝑐3 × 𝑋4 𝑐4 × 𝑋5 𝑐5 × 𝑋6 𝑐6

AN ALISI IDR O LOG IC A 119


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dove:

X1 X2 X3 X4 X5 X6
Fattore di
Coefficiente Quota forma del
Area pluviale orario Esponente di media del Parametro di bacino
bacino a scala n bacino ritenzione A/Lap^2
Tabella 24 – Coefficienti della formula per il calcolo della piena indice

Sulla base delle grandezze fisiche note, si è passato alla determinazione dei vari
esponenti sempre tramite interpolazione lineare tra i valori degli esponenti
valutati per le zone omogenee B e C. Di seguito i valori degli esponenti ottenuti:

ESPONENTI B C ZT2
c0 0,0078 0,21 0,166
c1 0,839 0,897 0,884
c2 1,736 0,678 0,909
c4 1,042 0,686 0,764
c6 0,349 0,285 0,299
Tabella 25 – Esponenti della formula per il calcolo della piena indice

Grazie ad essi e all’impiego della suddetta formula, è stata valutata la portata


indice che è risultata pari a 336.03 m 3 /s. A questo punto come ultimo passo è
stato possibile ricavare la curva di crescita delle portate al colmo di piena,
moltiplicando la curva del fattore di crescita X T per la q ind. calcolata ottenendo
quindi:

T (anni) Q T (m^3/s)
10 609,63
50 1110,67
100 1404,71
200 1762,20
300 2006,31
500 2356,78
1000 2921,74
Tabella 26 – Portate annuali al colmo di piena

AN ALISI IDR O LOG IC A 120


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Curva di crescita delle portate al colmo di piena
3500,00

3000,00

2500,00
QT (m^3/s)

2000,00

1500,00

1000,00

500,00

0,00
0 200 400 600 800 1000 1200
T (anni)

Grafico 35 – Curva di crescita delle portate al colmo di piena

Come si può notare dal grafico, in corrispondenza di un tempo di ritorno


di 500 anni la portata al colmo di piena stimata è di 2356.78 m 3 /s che se
confrontata con la capacità di scarico della diga di Molare, ovvero di soli 855
m 3 /s, mette sicuramente in evidenza la rilevanza delle cause idrologiche nel
collasso della diga.

AN ALISI IDR O LOG IC A 121


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CONCLUSIONI

“Non fu unicamente fatalità,


ma anche grettezza e insensibilità”

Il lavoro di tesi sviluppato ha avuto l’obiettivo di condurre un’analisi


idrologica dell’evento calamitoso che sancì il crollo della diga secondaria di
Sella Zerbino, evidenziando in particolar modo, così come confermato dai
risultati ottenuti, quanto in effetti le cause idrologiche e idrauliche siano state
rilevanti nel disastro che tuttavia, riguardando l’articolata vicenda progettuale
della diga, poteva dirsi “annunciato”.

La catastrofe della diga di Molare è un chiaro esempio di quanto sia


rischioso nella progettazione di opere idrauliche non condurre un’adeguata ed
accurata indagine idrologica del sito in cui l’opera sarà collocata. Ciò che desta
più scalpore è sicuramente il fatto che nella progettazione della diga di Molare ,
che subì numerose variazioni e modifiche volte ad incrementarne la capacità
d’invaso al fine di ottenere un incremento nella produzione di energia elettrica,
non si realizzò uno studio adeguato delle caratteristiche pluviometriche
dell’area in esame e di quelle limitrofe in modo tale da poter ottenere importanti
informazioni riguardo il regime delle precipitazioni che interessavano il bacino
della diga stessa, nonché la conoscenza degli eventi di carattere eccezionale che
avrebbero potuto verificarsi. Nello specifico sarebbero state disponibili serie di
dati di circa trent’anni.
Un simile studio preliminare risulta di vitale importanza ai fini della
sicurezza dell’opera dal momento che è possibile in primis procedere ad un
corretto dimensionamento delle opere di scarico di cui dota re l’impianto, ed
inoltre non meno importante, poter prevedere un adeguato volume di
laminazione delle piene che come già specificato in maniera più dettagliata nei
precedenti capitoli, è quel volume libero da prevedere nella progettazione di un
invaso che può essere interessato dal raccoglimento della portata di un evento
di piena, per realizzarne un rilascio modulato nel tempo di minore impatto
sull’area sottostante al bacino stesso.

AN ALISI IDR O LOG IC A 122


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Le opere di accumulazione idrica hanno una rilevanza fondamentale sia
in termini di gestione della risorsa, regolando i deflussi in maniera da soddisfare
le diverse esigenze (industriale, irrigua, idroelettrica, ecc.), sia in termini di
difesa del territorio dalle alluvioni, laminando le piene in particolare quelle a
carattere eccezionale. Sotto questo punto di vista infatti una diga così come la
maggior parte delle opere idrauliche, ha un impatto significativo per quanto
concerne lo sviluppo della società stessa che dalle funzionalità plurime ad esse
adibite, trae enormi vantaggi. Ragion per cui risulta imprescindibile la sicurezza
per opere di una simile portata.
In generale, la sicurezza connessa alla costruzione e all’esercizio di
sbarramenti idraulici è legata a tre principali fattori di rischio ovvero: il rischio
di crisi dovuto a cause strutturali, comprensivo del rischio sismico, il rischio di
crisi dovuto a cause idrologiche ed il rischio dovuto a cause geologiche che nel
loro insieme definiscono il rischio complessivo di un’importante opera di
asservimento idraulico quale uno sbarramento di ritenuta.
Il crollo della diga secondaria di Sella Zerbino si può certamente
annoverare come il principale esempio di crisi dovuto a cause idrologiche nel
nostro Paese, risultando la chiara conseguenza di un progetto inadeguato in
ragione di un insufficiente dimensionamento degli scarichi. È tuttavia opinione
comune sostenuta anche dal grande interesse tecnico che tale catastrofe ha
suscitato, confermato dai numerosi studi dei quali è stata oggetto, che la causa
idrologica fu solo l’elemento scatenante del crollo che seguendo un approccio
decisamente più razionale, è da ricercarsi in una serie di concause. In realtà da
quanto emerso in maniera particolare negli studi di fattibilità svolti nei primi
anni ottanta, indirizzati alla possibilità di studiare una riqualificazione della
diga, si può notare come in maniera certamente meno evidente, ma non per
questo meno importante, sia i fattori geologici che strutturali, assunsero una
certa rilevanza nella catastrofe.
In effetti furono proprio le variazioni subite dal progetto iniziale volte
all’aumento della capacità d’invaso, a richiedere la costruzione della diga
secondaria coinvolta nel crollo; inoltre durante la lunga fase progettuale l’unico
elaborato di carattere geologico a supporto tecnico, consisteva in non più di
cinque pagine per di più scritte senza il benché minimo sondaggio diretto in

AN ALISI IDR O LOG IC A 123


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sito. La diga era infatti costruita su un terreno di scarse proprietà meccaniche,
inadatto ad ospitare un’opera di fondazione. Il rischio derivante dalla
costruzione di opere idrauliche può essere prevenuto adottando sia interventi di
carattere prettamente strutturale (ad esempio mediante opere per la regimazione
delle acque o per la sistemazione dei versanti ecc.), sia adottando misure
passive, in termini di adozione di Normative adeguate e quanto più possi bile
efficienti, per affrontare la complessa problematica relativa alla costruzione e
all’esercizio delle dighe di ritenuta. Tale problematica è stata affrontata sin dal
1919 con il R.D. n. 2161/1919 e le disposizioni che si sono via via succedute
fino ad oggi, sono il frutto dell’esperienza acquisita che purtroppo passa anche
attraverso catastrofi di questa portata, verificatesi nel corso degli anni .
Le dighe, oggi, sono generalmente progettate considerando la necessità
delle stesse di essere in grado di fronteggiar fenomeni idrometrologici estremi,
quindi caratterizzati da un elevato valore del tempo di ritorno, anche mediante
l’adozione di un “franco” per tenere in opportuno conto le incertezze che
potrebbero manifestarsi. Tendenzialmente si è assistito ad una sempre maggiore
attenzione nei confronti del rischio, e di conseguenza delle misure di
prevenzione, basti pensare alle attuali disposizioni che riportano precise
prescrizioni relativamente alla progettazione degli scarichi i quali devono
essere dimensionati per l’onda con portata al colmo di piena corrispondente al
periodo di ritorno di 1000 anni, per le dighe in calcestruzzo, e di 3000 anni per
quelle in materiali sciolti, tenendo conto dell’effetto di laminazione esercitato
dal serbatoio, che attualmente è divenuta una funzione sicuramente
imprescindibile.
Sulle attuali disposizioni già aggiornate con il D.M. 24/03/1982, il mondo
scientifico e istituzionale ha avviato un ampio dibattito, teso a verificare
l’attualità in relazione alle conoscenze attualmente disponibili e alle modalità
d’indagine e di reperimento delle informazioni da promuovere.

AN ALISI IDR O LOG IC A 124


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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

www.ingam.com/dighe
Portale delle Grandi Dighe Italiane.

www.studiogriffini.eu
Sito web di una società di ingegneria che si occupa di consulenza e
progettazione nel campo dell’ingegneria civile e della difesa del suolo, con
specializzazione nei campi della geologia e dell’ingegneria geotecnica e
strutturale.

www.molare.net
Sito web interamente dedicato alla diga di Molare al suo disastro.

www.progettodighe.it
Portale di interesse per gli appassionati di dighe, centrali idroelettriche e opere
idrauliche.

www.kasbah.altervista.org
Magazine online per la trattazione di svariate tematiche tra cui quelle legate ad
aspetti idrogeologici.

www.arpapiemonte.it
Sito web dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.

www.dighe.eu/normativa.htm
Portale dedicato alla normativa italiana sulle dighe.

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