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1.

Il platonismo come risposta filosofica a una società e a una cultura in crisi


Per comprendere Platone bisogna considerare la crisi politico-culturale . In quel periodo Atene,
dilaniata dalle guerre, stava declinando. Platone, sia come aristocratico sia come politico
percepisce e vive la crisi dell’uomo nella sua totalità. Egli idealizza fortemente la figura di Socrate
come simbolo della crisi e della speranza di superarla. Platone ritiene infatti che la crisi etico-
politica derivi in primo luogo da una crisi di tipo intellettuale. Secondo lui vi era la necessità di una
riforma globale dell’esistenza umana che poteva essere ottenuta solamente attraverso la
rinnovata filosofia e che divenga una “rivoluzione culturale” e in un progetto politico radicalmente
riformatore dell’ordine esistente. Da ciò scaturisce l’idea della politica” filosofica”.

2.La vita
Platone nasce ad Atene nel 427 a.C. Discepolo di Socrate fino alla sua morte, che segna una svolta
nella sua vita. La morte lo colpì come un’ingiustizia imperdonabile e come una condanna generale
politica del tempo. Da allora la filosofia gli appare come la sola via che potesse condurre l’uomo
singolo e la comunità verso la giustizia. Dopo sì recò in Sicilia dove fondò un’Accademia
organizzata come un’associazione religiosa. Fece altri due viaggi in Sicilia richiamato da Dione a
Siracusa perché desse il proprio consiglio per la riforma dello stato. Dopo un po’ di tempo, lasciò
Siracusa e ritornò ad Atene. Morì a 80 anni, nel 347 a.C.

LE OPERE E LE “DOTTRINE NON SCRITTE”

Platone è il primo filosofo dell’antichità di cui ci sono rimaste tutte le opere. Il grammatico Trasillo,
organizzò queste opere in nove tetralogie, ovvero in nove gruppi di quattro scritti ciascuno. Alcuni altri
dialoghi e una raccolta di Definizioni rimasero fuori dalle tetralogie perché riconosciuti spuri fin
dall’antichità. Anche nelle opere comprese nelle tetralogie ve ne sono di spurie, e chiarire quali siano è uno
dei compiti della critica storica. Questa è però oggi assai meno propensa a pronunciare l’atetesi di quanto
non lo fosse alcuni anni fa. I criteri di cui si avvale sono: la tradizione e le testimonianze antiche, il
contenuto dottrinale, il valore artistico e la forma linguistica. Oltre allo stile dell’autore, per determinare la
successione cronologica degli scritti si considerano i rinvii contenuti ei dialoghi stessi. Altre indicazione
fondamentali si ricavano dal contenuto delle opere. L’attività letteraria di Platone può essere suddivisa
come segue:

• Primo periodo, scritti giovanili o socratici;

• Secondo periodo, scritti della maturità;

• Terzo periodo, scritti della vecchiaia.


I CARATTERI DELLA FILOSOFIA PLATONICA

Platone e Socrate

La fedeltà all’insegnamento e alla persona di Socrate è il carattere dominante dell’intera attività filosofica di
Platone; ma non tutte le dottrine filosofiche di Platone possono esser attribuite a Socrate. Lo sforzo
costante di Platone è quello di rintracciare il significato vitale dell’opera e della figura di Socrate. Si può
dunque affermare che la ricerca platonica tende a configurarsi come uno sforzo si interpretazione della
personalità filosofica del filosofo ateniese. La stessa modalità espressiva adottata da Platone nella sua
produzione scritta, il dialogo, rappresenta un atto di fedeltà al silenzio letterario di Socrate: l’una e l’altro
hanno lo stesso fondamento, cioè la concezione della filosofia come sapere “aperto”. Il dialogo riproduce
l’andamento stesso della ricerca, che procede di tappa in tappa, e riproduce quel carattere di socialità e
comunanza che rende solidali gli sforzi degli individui che coltivano la filosofia. Questa concezione del
filosofare come dialogo, ha fatto sì che egli abbia di fatto praticato la filosofia come una ricerca inesauribile
e mai conclusa, ossia come un infinito sforzo verso una verità che l’uomo non possiede mai totalmente.

Filosofia e mito

Un’altra delle caratteristiche salienti dell’opera platonica è l’uso dei miti, ossia di racconti fantastici
attraverso qui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche. Il mito, in Platone, riveste due significati
fondamentali:

• In un primo senso, il mito è uno strumento di cui il filosofo si serve per comunicare in maniera più
accessibile e intuitiva le proprie dottrine all’interlocutore.

• In secondo senso, il mito è un mezzo di cui il filosofo si serve per poter parlare di realtà che vanno al di la
dei limiti entro i quali l’indagine rigorosamente razionale deve contenersi. In altre parole, la filosofia si trova
spesso a doversi muovere ai confini del pensabile. Il mito è qualcosa che si inserisce nelle lacune della
ricerca filosofica.

Interessi e motivazioni del filosofare platonico

Come riportato nella lettera VII Platone dichiara che la passione che lo ha spinto a filosofare è stata la
ricerca di una comunità in cui l’uomo potesse vivere in pace in giustizia con i suoi simili esplicitando
l’interesse pedagogico -formativo legato a quello politico, è stata poi delineata la figura di un Platone
educatore. I progressi degli studi platonici permettono di dire che Platone fu una mente poliedrica e
universale, che spaziò dalla gnoseologia alla metafisica, dalla religione all’etica, dalla pedagogia alla
matematica.

Platone e le sue opere

I primi scritti dell'attività filosofica di Platone riguardano la difesa del messaggio socratico, l'analisi dei
problemi che esso presentava e la polemica contro i sofisti. Due scritti in particolare affrontano l'evolversi
del processo e della condanna in cui è coinvolto il Maestro: L'apologia di Socrate e il Critone. Il primo (come
indica la parola stessa) tratta della difesa di Socrate davanti ai suoi oppositori. Platone riconosce nel
Maestro l'incarnazione del pensiero filosofico e tende ad esaltare la figura del medesimo in quanto
rappresentante della figura dell'uomo colto che ha dedicato tutta la sua vita alla filosofia. Socrate, infatti, è
disposto a portare avanti il suo pensiero filosofico anche se sa che ciò lo porterà alla morte. Nel Critone,
invece, Socrate è posto davanti ad una scelta molto importante per la sua vita: lasciare questo mondo per il
rispetto che l'uomo giusto deve alle leggi del suo paese oppure ascoltare gli amici e accettare l'esilio e così
smentire la sostanza del suo insegnamento. Indubbiamente la prima opzione porterà Socrate a morte certa
mentre la seconda lo salverà. Proprio per la sua coerenza, il Maestro sceglierà la prima via nonostante le
suppliche dei suoi allievi ed amici. Se nell’Apologia e nel Critone Platone fa di Socrate il filosofo per
eccellenza , l’uomo più saggio e giusto di tutti in altri dialoghi giovanili illustra i tre capisaldi
dell’insegnamento socratico :

– La virtù è una sola e si identifica con la scienza

– La virtù è insegnabile solo come scienza

– Nella virtù come scienza consiste la felicità dell'uomo

Queste tesi che saranno riprese nei dialoghi più maturi (il Protagora, il Gorgia, l' Eutidemo, il Menone) di
questa fase a loro volta sono anticipate dai dialoghi minori utilizzando il metodo dialettico, della
dimostrazione per assurdo ovvero si valorizza una tesi che non potrebbe mai essere veritiera per far capire
che è quella sbagliata. La tesi fondamentale è che la virtù è scienza e pertanto la virtù è una sola e ciò lo
dimostra nell’l'Eutifrone (dedicato alla santità o pietà), nel Lachete (dedicato al coraggio) e nel Carmide
(dedicato alla saggezza ). Se la virtù è una sola, uno solo deve essere l’ideale che tende a realizzare e questo
è il bene . Tale tesi è dimostrata in altri dialoghi come l’Ippia maggiore dedicato al bello e il Liside dedicato
all'amicizia. In altri dialoghi dello stesso periodo insiste sull’esigenza di riconoscere la propria ignoranza
come primo passo per intraprendere la ricerca che deve condurre alla scienza . Nello Ione dedicato alla
poesia critica sostiene che i poeti non sanno nulla degli argomenti di cui parlano o sono solo gli strumenti
passivi dell’ispirazione divina ; nell' Ippia minore dimostra che se la virtù non fosse scienza l’uomo che fa il
male volendolo sarebbe superiore a chi il male senza volerlo, infatti il primo conoscerebbe il male e lo
saprebbe distinguere dal bene, mentre il secondo non sarebbe in grado di distinguere il male dal bene.
Questo è assurdo perché l’uomo che conosce il bene e fa il male non esiste , il male è sempre ignoranza
come la virtù è scienza e quindi bene. Il problema dell’insegnabilità della virtù è da Platone dimostrata nel
l Protagora, dove Socrate critica Protagora nel definirsi “maestro di virtù” in quanto, secondo lui, le virtù
che egli crede di possedere sono in realtà un bagaglio culturale di conoscenze acquisite nel tempo con
l’esperienza e quindi non sono insegnabili. Protagora ritiene che le virtù siano molte e la scienza di esse
una sola ma solo la scienza si può insegnare e la virtù si può comunicare solo in quanto è scienza. In questo
dialogo Platone esalta il valore dell’insegnamento di Socrate contrapponendolo a quello sofistico che
ritiene diseducativo e non formativo. Platone in altri due dialoghi della gioventù critica altri spetti
dell'attività dei sofisti: la retorica e l'eristica. Il dialogo contro l'eristica (ovvero l'arte di prevalere nella
discussione confutando sia il falso che il vero) è l'Eutidemo. In questo componimento il dialogo avviene tra i
due fratelli Eutidemo e Dionisodoro i quali sostengono una tesi e subito dopo quella opposta, infatti
dimostrano che solo l’ignorante può apprendere e poi che apprende solo il sapiente, pure si apprendere
ciò che si sa e si apprende anche ciò che non si sa. Lo scopo è dimostrare che se la dottrina difesa dai sofisti
non ammette errori, di conseguenza tutto corrisponderebbe al vero e quindi l'eristica sarebbe inutile. Il
dialogo si chiude con l'esortazione per la filosofia che è l’uso del sapere a vantaggio dell'uomo. Il dialogo
contro la retorica, invece, è il Gorgia. La retorica era una delle carte vincente dei sofisti in quanto consisteva
nel persuadere attraverso la parola. Platone la critica in quanto non può essere persuasiva essendo priva di
un oggetto preciso a cui riferirsi e se essa è veramente un arte non può non avere un indirizzo preciso a cui
mirare. Non essendo quindi un arte, può considerarsi solamente una pratica adulatoria che potrebbe
essere usata in campo giuridico per difendersi da un'ingiustizia. Ma in realtà la l’utilizzo della retorica
implica la giustizia come una convenzione perché prevale la legge del più forte e questi non si cura della
giustizia, segue il proprio piacere cadendo così l’identificazione tra virtù, legalità e felicità. Platone, sostiene
che la felicità esige un bene stabile ed il bene è un esercizio di virtù cioè la ricerca di una misura razionale e
pur rimanendo sempre fedele alle tesi del suo Maestro, ne supera la prospettiva ammettendo il bene come
ragione e il male come impulso irrazionale . Nella parte iniziale del Gorgia rimane fedele ad un’etica
dell’adiquà per cui chi fa il bene vive bene e chi fa il male soffre in questa vita perchè il male essendo
ignoranza rende indegna e infelice la vita Alla fine del Gorgia Platone introduce un’etica della salvezza
ispirata all’orfismo secondo la quale l’uomo nella vita deve scegliere il bene per il timore nell’aldilà di
pene terribili. Il male non è solo nocivo ma è anche colpevole. La dottrina dell’immortalità dell’anima che
Platone approfondirà nel Fedone diventa garanzia della vita morale , egli salva la corrispondenza tra virtù
e felicità respingendo le obiezioni di Callicle soltanto con l’idea di renumerazione del bene e del male
nell’aldilà.

CRATILO, O DEL LINGUAGGIO O SULLA CORRETTEZZA DEI NOMI

Affronta il problema se il linguaggio sia veramente un mezzo per insegare la natura delle cose come
affermano Cratilo e i sofisti. Per Platone il linguaggio non è convenzionale, né i nomi sono arbitrari ma il
linguaggio come strumento deve farci distinguere la natura delle cose ed i nomi devono esprimere la
natura della cosa significata. Non tutti i nomi hanno un carattere naturale ad esempio quelli dei numeri
sono convenzionali e non si può ammettere come Cratilo che la scienza dei nomi sia anche scienza delle
cose e che non si possa scoprire la realtà delle cose se non attraverso i nomi. I nomi presuppongono la
conoscenza delle cose e prima del linguaggio non esistendo i nomi gli uomini conoscevano le cose
attraverso un’altra via . Quindi per giudicare la correttezza dei nomi non dobbiamo riferirci ad altri nomi
ma alla realtà che essi esprimono . Tre sono perciò le posizioni presentate sul linguaggio: linguaggio come
convenzione tesi sostenuta dagli eleati, dai sofisti e Democrito; tesi di Cratilo, ed Eraclito secondo sui il
linguaggio è prodotto dall’azione delle cose; tesi sostenuta da Platone secondo cui il linguaggio è lo
strumento che serve ad avvicinare l’uomo alla conoscenza delle cose. Platone ritiene il linguaggio una
produzione dell’uomo ma questa produzione è finalizzata alla conoscenza della natura, cioè dell’essenza
delle cose, introducendo così il concetto di idee (ciò che l’oggetto è) ed il teorema che Platone si propone
di difendere è che il linguaggio può essere più o meno esatto, anche sbagliato a differenza delle altre due
posizioni per le quali è sempre esatto. Questo teorema apre la strada all’ontologia del Sofista.

LA DTTRINA DELLE IDEE

Segna l’avvio della seconda fase della sua speculazione in cui va oltre Socrate elaborando un proprio
pensiero; rappresenta il nucleo centrale del Platone maturo con la quale affronta i massimi problemi della
filosofia . La genesi della teoria delle idee va ricercata nell’approfondimento del concetto di scienza che a
differenza dei sofisti intende come stabile ed immutabile e quindi perfetta essendo convinto che il
pensiero rifletta la mente, cioè la mente sia una riproduzione della realtà (realismo gnoseologico). L’oggetto
della scienza sono le idee entità immutabili e perfette presenti nell’iperuranio (zona priva di spazio e di
materia, oltre il cielo) e le cose sono copie o imitazioni imperfette delle idee. Quindi l’idea platonica è il
modello unico e perfetto delle cose del mondo, ne segue un dualismo gnoseologico (due gradi di
conoscenza, scienza ed opinione) e dualismo ontologico (due tipi di realtà, le idee e le cose). V tabella pag
205 Da Eraclito Platone accetta la mutevolezza del nostro mondo, da Parmenide l’essere autentico come
immutabile. L’idea platonica come l’essere parmenideo è immutabile, eterna e perfetta ma a differenza di
Parmenide è multipla cioè formata da più idee. Dall’eleatismo Platone riprende anche il dualismo
sensibilità e ragione , tra le cose e l’essere ma a differenza dir Parmenide , per Platone tra il mondo
sensibile e quello della ragione c’è rapporto ed il nostro mondo ha una sua conoscibilità anche se
imperfetta e non è apparenza come sosteneva Parmenide. Platone nella sua maturità distingue le idee-
valori ( corrispondenti ai supremi principi etici, estetici e politici), le idee matematiche (corrispondenti alle
enti matematici e geometrici ), rimane incerto sulle idee di cose naturali e sulle idee di cose artificiali. Negli
ultimi dialoghi Platone da una prospettiva etico-matematica passerà ad una prospettiva logico-ontologica
definendo l’idea come la forma perfetta ed unica di ogni gruppo di cose. Le idee sono ordinate
gerarchicamente secondo una struttura piramidale con al vertice l’idea del Bene che non può essere
paragonato a Dio in quanto non crea le idee ma comunica loro la perfezione , non esiste in Platone un Dio-
persona ma soltanto il divino , divine sono le idee, l’anima, gli astri ecc , personale è solo il demiurgo che è
inferiore alle idee e si limita ad ordinare il materiale preesistente. V tabella poag 207

Platone affermava e confutava l'idea che le cose e le idee fossero legate saldamente. Egli affermava che le
idee dovevano essere sia criteri per dare una certa spiegazione alle cose che noi ci ritroviamo di fronte, sia
le cause che le idee portano. Ovvero che le idee sono la condizione di esistenza delle cose. Senza un'idea su
qualcosa, questa non può esistere. Platone, in età ormai matura cercò di spiegare le idee come paradigmi e
solo più tardi come Essenze archetipi delle cose. In età ormai anziana cercò di dividere il legame che esiste
tra le cose e le idee in tre gruppi:

-MIMESI: ovvero le cose imitano le cose;

-METESSI: ovvero le cose partecipano in modo diretto nelle idee;

-PARUSIA: ovvero le idee sono presenti all'interno delle cose.

Ma come anche Platone ci fa capire, questi tre casi non sono giusti.

Dove e come esistono le cose

Secondo la credenza Platonica, le cose esistevano “oltre” la mente e le cose, ma in che modo? La sua
spiegazione, e quella dei suoi seguaci, era quella che le idee esistevano in una sorta di universo parallelo al
nostro, a noi non visibile, che secondo gli studiosi moderni può anche essere paragonato al nostro Paradiso
Cristiano. Ma nel 1900 i Neokantiani confutarono questa tesi, dicendo che le idee sono dei criteri mentali
grazie ai quali riusciamo a dare una forma e una definizione agli oggetti. Perciò, ancora oggi, ci sono accesi
dibattiti sulla vera natura delle idee, reale, come la intendeva Platone, o mentale, come la intendevano i
Neokantiani. Gli studiosi dicono inoltre che forse Platone non intendeva un universo parallelo dove ci sono
le idee, ma attraverso le sue supposizioni cercava di dare un ordine eterno a queste. Ma ancora oggi non si
riesce a capire bene quale di queste affermazioni sia giusta. L'unica cosa che Platone ci voleva far pervenire
è che le idee costituiscono una zona d'essere diversa dalle cose.

Secondo Platone le idee non possono derivare dai sensi, perché questi ci fanno conoscere solo un
mondo di cose materiali e imperfette. Esse devono costituire l’ oggetto di una VISIONE
INTELLETTUALE, uno sguardo della mente, considerando l’idea come forma esemplare comune a
una pluralità di oggetti. Per risolvere il problema da dove venisse questa visione, il filosofo ricorre
alla dottrina-mito dell’ ANAMNESI o della reminiscenza(ricordo): basandosi sull’orfismo
pitagorico, che l’anima prima di giungere nel nostro corpo, è vissuta nel mondo delle idee dove ha
contemplato gli esempi perfetti delle cose. Perciò l’anima che abbiamo, conserva un ricordo di ciò
che ha veduto e grazie all’esperienza delle cose, ricorda ciò che ha visto. “conoscere è ricordare”.
La gnoseologia rappresenta una forma di innatismo, ritenendo che la conoscenza non derivi
dell’esperienza, ma da giudizi preesistenti e connaturati con il nostro intelletto (es. narrato nel
Menone). Perciò la maieutica va a coincidere con la teoria dell’anamnesi, cioè ognuno di noi
dentro di se porta una verità prenatale.

Reminiscenza, verità ed eristica

La teoria della reminiscenza rappresenta la vittoria sul principio eristico-sofistico secondo cui
l’uomo non può indagare né su ciò che sa(perché inutile) né su ciò che non sa (perché impossibile),
contrapponendo la tesi secondo la quale apprendere non significa partire da zero, ma ricordare ciò
che si era dimenticato. L’uomo non possiede tutta la verità e neppure la ignora completamente,
ma la porta dentro di se come un RICORDO. Questa dottrina divise gli interpreti in due schiere: da
una parte coloro che considerano le idee entità reali al di la dei cieli, tendendo a prendere il mito
sul serio (preesistenza delle anime nell’aldilà), e dall’altra coloro che considerano le idee come
strutture ideali, tendendo a vedere la teoria platonica come un simbolo fantastico (l’anima coglie
le cose a priori, cioè indipendentemente dai sensi).

La dottrina dell’amore e della bellezza secondo Platone


L’amore è considerato da Platone come un rapporto non totalmente intellettuale tra l’individuo e
le idee, e tra gli uomini associati nella comune ricerca. Questo rapporto è stabilito dal sapere. La
teoria dell’amore viene ampliamente descritta in due dialoghi : nel Simposio e nel Fedro.

Il Simposio

Nel Simposio Platone descrive l’oggetto dell’amore, cioè la bellezza e ne mette in luce i caratteri
(attraverso i vari interlocutori) che verranno poi agglomerati nel discorso di Socrate. Il primo
interlocutore è Pausania che differenzia l’éros volgare, quello del corpo, dall’éros celeste, rivolto
alle anime; il medico Erissimaco promuove l’amore come forza cosmica che regola l’armonia di
tutti i fenomeni; infine Aristofane riporta il mito degli “androgini”, ovvero esseri primitivi composti
d’uomo e donna, divisi dagli dei per punizione in due metà di cui l’una va in cerca dell’altra per
tutta la vita e quando si ritrovano si uniscono e ricostruiscono l’essere primitivo. Da questo ultimo
carattere Socrate inizia il suo discorso: l’amore desidera qualcosa che non ha, ma di cui ha
bisogno, da qui deriva la mancanza. Secondo il mito l’amore era figlio di Penia (povertà) e di Poros
(abbondanza), partecipe quindi della natura di ambedue era considerato un demone; infatti lui
non ha la sapienza, ma aspira a possederla. L’amore non ha bellezza, essa è solo il fine dell’oggetto
dell’éros. La bellezza possiede gradi che mano a mano si sublimano: in primo luogo si può
osservare la bellezza di un corpo, poi si inizia a desiderare la bellezza corporea nella sua totalità,
sopra a questa c’è la bellezza dell’anima, sormontata poi dalla bellezza delle istituzioni e delle
leggi, sopra la quale ancora c’è la bellezza delle scienze, infine al di sopra di tutto c’è la bellezza in
sé, ovvero l’idea, eterna, perfetta, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia. A questi
gradi caratteristici della bellezza corrispondono altrettante forme di amore. L’accezione “amore
platonico” fu introdotta nel Medio Evo perché si pensava che l’elevazione spirituale si potesse
compiere solo rinunciando il più possibile alla propria corporeità, ma in realtà essa non comprende
quello che in realtà Platone pensava. Il filosofo infatti definisce l’éros incorporato nei sensi, non
disprezza quindi la corporeità, che è vista come riflesso della bellezza interiore, che solo in seguito
verrà tralasciata per far spazio agli amori superiori. Elevandosi fino all’idea, l’éros consente quindi
il passaggio dall’ignoranza alla scienza e quindi non si riduce al sentimento tra uomo e donna.
“Bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s’accresce ne diminuisce” fonte: Simposio.

Il Fedro

Il Fedro propone l’amore nella sua soggettività, come aspirazione verso la bellezza ed elevazione
progressiva dell’anima al mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene.Dell’anima, Platone, ne
distingue tre parti: una razionale, una impulsiva e una desiderante. Questa può essere interpretata
secondo il mito della biga alata: una coppia di cavalli alati (uno bianco eccellente e uno nero
pessimo) sono guidati da un’auriga che cerca di arrivare alla sede dell’essere autentico; in questa
regione c’è la “vera sostanza” (totalità delle idee) che però può essere contemplata solo dalla
ragione. L’anima contempla solo per poco questa sostanza perché il cavallo pessimo (desideri e
impulsi corporei) la tira in basso. Ogni anima avrà visto questa regione di più o di meno; da qui
l’anima che ha visto di più si vivificherà in un uomo pieno di sapienza e amore, mentre le anime
che hanno visto di meno prenderanno posto in uomini lontani dalla ricerca della verità e della
bellezza.“ Alla sola bellezza toccò il privilegio d’essere la più evidente e la più amabile”. Con questa
affermazione Platone, sempre nel Fedro, ci espone come la bellezza faccia da mediatrice tra
l’uomo e il mondo delle idee; infatti ogniqualvolta che l’anima percepisce la bellezza, questa la
riporta al mondo delle idee. Nella seconda parte del dialogo l’éros diventa procedimento
razionale, dialettica. Quest’ultima diventa ricerca dell’essere in sé e unione amorosa delle anime
nell’apprendere e nell’insegnare. La dialettica guida le anime verso il loro autentico destino.
Successivamente abbiamo un’attenta analisi della retorica, strutturata nell’opera in questo modo:
Fedro sostiene la tesi riguardo la retorica sofistica (non era necessario che l’oratore comprendesse
ciò che era nel bene e ciò che era nel male), mentre Socrate obietta affermando che l’oratore, per
non farsi ingannare, doveva sapere ciò che era giusto e sbagliato. Nel Fedro Platone continua
quindi la critica alla retorica sofistica iniziata nel Gorgia, nel Protagora e nel Teeteto, esponendo
un modello basato sulla “retorica del vero”, cioè un’arte che rende capaci di pensare e di parlare.
Lo sbocco della teoria platonica dell’amore è che solo la filosofia percepisce la verità, di
conseguenza la retorica è solo uno strumento della dialettica che in realtà è il vero metodo della
filosofia.

Lo Stato e il compito del filosofo


Lo Stato è delineato nella Repubblica, incentrato sul tema della GIUSTIZIA, condizione
fondamentale della nascita e della vita dello Stato. Lo Stato deve essere costituito da tre classi:
quella dei governanti, la cui virtù è la saggezza; quella dei guerrieri, la cui virtù e il coraggio e
quella dei lavoratori o produttori, la cui virtù è la temperanza. L’ unica che comprende tutte e tre
queste virtù è la giustizia. Platone, come nello Stato, individua nell’ anima individuale tre parti: la
parte razionale, che si trova nel cervello e domina gli impulsi; la parte concupiscibile, si trova nel
ventre ed è il principio di tutti gli impulsi corporei; la parte irascibile, si trova nel petto ,legata ai
desideri e al corpo.

Patone ritiene che lo Stato deve essere diviso in classi perché in uno Stato ci sono compiti diversi
che devono svolgere gli individui delle varie classi. La divisione degli individui in classi non dipende
da un fattore ereditario ma da un fattore psicologico e antropologico, ovvero da come si è in
quanto uomini. La classe al potere non avrà famiglia, avrà la comunanza delle donne. Le unioni
matrimoniali sono stabilite dallo Stato secondo criteri eugenetici (per avere figli sani ) ed i bambini
sono tolti ai genitori e sono affidati alla comunità.

Per migliorare la funzionalità dello Stato Platone elimina la proprietà privata ed elabora la teoria
secondo cui i beni appartengono alle classi superiori. I custodi di tali materiali vivono in modo
semplice e non traggono benefici dal loro lavoro: lo scopo è l’arricchimento di una sola classe
sociale. In questo modo si instaura un regime simile al comunismo, nel quale uno dei principi
fondamentali è la comunanza delle donne: è valida la parità dei sessi, infatti anche esse
partecipano alla vita politica dello Stato, ma non possono scegliere il marito. Si può affermare che
gli uomini di quel tempo vivevano come in una grande e unica famiglia.

Una domanda che si pone generalmente è se i filosofi guardiani conducessero un’esistenza felice;
Platone risponde introducendo il concetto di felicità, la quale risiede nella giustizia. È rilevante
pensare come i filosofi fossero felici da sé e quindi non avevano bisogno di attaccarsi ai beni
materiali.

Platone afferma come questo nuovo Stato rappresenti un modello ideale per migliorare quelli già
esistenti.

I cambiamenti in tale Stato sono:

-Timocrazia: governo fondato sull’onore (uomo ambizioso);- Oligarchia: governo fondato sul
censo (uomo avido);-Democrazia: cittadini liberi (uomo democratico); Tirannide: nasce
dall’eccessiva libertà della democrazia (uomo schiavo delle passioni).
Platone è ostile nei confronti della democrazia e degli uomini politici che attuano riforme in questo
campo, come scrive nel Gorgia. Le radici di questa avversione derivano dagli scontri tra aristocrazia
e popolo, i quali hanno due concezioni diverse riguardo la vita e la giustizia. Secondo gli
aristocratici solo i migliori devono possedere ricchezze, mentre secondo i democratici il governo
dello Stato è affidato al popolo. Platone si immedesima nel primo gruppo. La divisione della
società in classi è un modello per distinguere i ruoli dei cittadini e permette di evidenziare le
disuguaglianze naturali tra essi, ad esempio tra governanti e lavoratori. Si può definire uno Stato
giusto quando il cittadino lavora per il benessere della comunità, al contrario si parla di Stato
ingiusto. Questa teoria viene chiamata organicismo politico perché considera lo Stato come un
accordo tra le varie funzioni ( Repubblica ).Platone è avverso alla democrazia e favorevole a una
politica destinata solo ai più ricchi, nel quale la classe lavoratrice non si può ribellare a quella dei
governanti: in caso contrario si può ricorrere anche all’omicidio di Stato, come citato nella
Repubblica. Il filosofo considera il governo come statalismo, cioè con una regolamentazione della
società nei minimi dettagli, ad esempio nei matrimoni ( fonti: Repubblica e Leggi ).Alcuni studiosi
osservano come per la cultura classica l’individuo avesse realtà solo nella polis o in vista di essa:
questo concetto verrà successivamente ripreso da Aristotele che denuncia questa società
statalista. Il governo platonico è un’aristocrazia particolare, chiamata sofocrazia o noocrazia, nel
quale il valore principale è la ragione, la sapienza o l’intelligenza.

L’importanza dell’educazione:
COME SI PUO’ ESSERE SICURI CHE I GOVERNANTI REALIZZERANNO DAVVERO IL BENE COMUNE
DELLA CITTA’ E NON IL PROPRIO TORNACONTO? Per Platone i custodi, prima di saper custodire gli
altri devono saper custodire se stessi  Repubblica: lo stato deve configurarsi come una sorta di
accademia con lo scopo di formare ineccepibili custodi. Il filosofo ritiene però che il sapere è
prerogativa delle classi superiori.

I gradi della conoscenza e dell’educazione:

Per Platone il filosofo è colui che ama la conoscenza nella sua totalità. Quest’ultima corrisponde
con la virtù e il sapere. Per lo studioso l’essere è la scienza, il non essere l’ignoranza e il divenire
l’opinione. Platone divide la conoscenza in due segmenti che a sua volta vengono divisi in altri due
creando i quattro gradi della conoscenza che si dividono in: conoscenza sensibile (rispecchia il
nostro mondo mutevole) e questa si divide in congettura (ombre cioè immagini delle cose) e
credenza (cose sensibili nei loro rapporti scambievoli) e conoscenza razionale (mondo immutabile
delle idee) e comprende la ragione matematica o diànoia (idee matematiche) e l’intelligenza
filosofica o nòesis (idee-valori).Per il filosofo la filosofia è superiore alla ragione matematica poichè
quest’ultima porta sola a ipotesi indimostrate ma per Platone questa era fondamentale poiché
sviluppava nell’uomo i metodi di misura che fanno raggiungere conoscenze oggettive e stabili. Lo
studioso divide la matematica in aritmetica, geometria, astronomia e musica e queste
costituiscono la propedeutica della filosofia che preparano alla dialettica (scienza delle idee).

Il mito della caverna


Il racconto della caverna è l’allegoria della teoria della conoscenza e dell’educazione. In questo è
presente il dualismo gnoseologico e ontologico sotteso alla teoria delle idee. Qui Platone guarda il
nostro mondo come quello delle tenebre mentre il regno della luce è quello delle idee. E’ presente
anche il concetto della finalità politica della poesia il cui obbiettivo è la fondazione di una comunità
giusta e felice. i immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall'infanzia, nelle
profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera
che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.

TRAMA Ci sono dei prigionieri in una caverna e alle loro spalle è stato acceso un enorme fuoco e
tra il fuoco ed i prigionieri, corre una strada rialzata sulla quale è stato eretto un muricciolo, lungo
il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proiettano
la propria l’ombra sul muro e questo attrae l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini
che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i
prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro. Un
personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa
accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (ricordando che
sono incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre "parlanti" come
oggetti, animali, piante e persone reali. Si suppone che un prigioniero venga liberato dalle catene e
sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i
suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del sole ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme
portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è
abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il
prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi
verso le ombre. Se costui fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce
del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe
sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo. Volendo
abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le
ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe
sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo
sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero
liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe
che è esso causa di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. Resosi conto della situazione,
egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del
cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di
convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra,
dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche
nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso
da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". Inoltre,
questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e,
anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la
luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica
della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.
SPIEGAZIONE

Ogni aspetto dell'allegoria ha il proprio significato: Platone era fortemente interessato alla politica
ed alla sociologia, delle quali si discute, indirettamente, nel mito. In primo luogo, Platone
simboleggia con il sole la fonte della vera conoscenza. In seguito aggiunge che i prigionieri
incatenati nella caverna rappresentano la maggior parte dell'umanità: il filosofo è l'uomo liberato,
che tenta di portare i suoi compagni verso la conoscenza .Il significato del mito è duplice: esso può
essere letto, infatti, sia in chiave ontologica, sia gnoseologica. La parte iniziale del mito riprende,
infatti, la teoria della linea, già esposta da Platone nei libri precedenti al settimo: il mito della
caverna diventa quindi la descrizione della faticosa salita dell'uomo verso la vera conoscenza.

Opinione Scienza
Teoria della
linea Discorso
Immaginazione Fede Intellezione
intellettivo

Ambiente interno della caverna Mondo esterno alla caverna

L'uomo, anche
quando osserva L'uomo volge lo
L'uomo entra
L'uomo è prigioniero direttamente le sguardo alla luce
nell'intelligibile
dell'opinione perché forme di animali delle stelle e
Metafora quando passa
crede passivamente alle e piante fatte della luna,
utilizzata nel dallo scorgere
immagini delle cose passare dietro il approdando al
mito oggetti e uomini
sensibili, cioè le ombre muretto, è mondo della
nel riflesso
delle forme proiettate ancora legato pura intellezione
dell'acqua
sulla parete della all'opinione a e giungendo a
all'osservazione
caverna. causa del scorgere l'idea
diretta.
divenire del Bene in sé
dell'esistenza.

La dottrina platonica dell’arte


Nella Repubblica è presente una digressione sull’arte, in cui questa disciplina viene esclusa
dall’educazione dei filosofi. L’arte viene sottoposta a due condanne.

Dal punto di vista metafisico-gnoseologico: l’arte è l’imitazione di un’imitazione

- riproduce l’immagine di cose e di eventi naturali, che sono riproduzioni delle idee;

- possiede il valore conoscitivo più basso allontanandosi dalla misurazione matematica ).

- fa eccezione la musica, inserita nel programma educativo die governati: sia per i suoi aspetti
matematici, sia per suoi aspetti dal punto di vista morale.
Dal punto di vista pedagogico-politico: l’arte corrompe gli animi.

Gli uomini, soprattutto governanti, devono tenere a bada le emozioni, ma l’arte incatena l’animo
alle passioni.

Terzo motivo: il rifiuto della poesia, soprattutto quella di Omero e di Esiodo, già criticata nello
Ione. I miti non fanno parte della critica platonica contro l’arte, essendo nobili tentativi di
rappresentare alla mente contenuti che vanno al di là di ciò è empirico. In generale la condanna
platonica è contro gli usi impropri e distorti dell’arte, ma se questa disciplina è assoggettata alla
filosofia non è da rigettare: ideale greco della Kalokagathìa, la bellezza è la forma esteriore della
bontà e quindi anche vera, quindi la bellezza sensibile aiuta a conoscere la bellezza superiore del
mondo ideale.

La bellezza per Platone, quindi, assume un carattere oggettivo, le cose sono belle in virtù del loro
rapporto con l’idea del bello, la bellezza delle cose mondane è parziale, ma si fonda sulla bellezza
perfetta che si trova nel mondo delle idee. La bellezza sensibile è in grado di riaccostare l’anima
alle idee, poiché secondo Platone, l’anima prima di cadere nel corpo viveva nel mondo delle idee,
l’iperuranio, la sensibilità ha, perciò, la capacità di attivare la reminiscenza.

Il dibattito sulla Repubblica


La Repubblica è uno dei testi-chiave della filosofia politica occidentale, anche ai giorni d’oggi.
Alcuni considerandolo come l’esempio più famoso di utopie , vedono in esso il prodotto di un
filosofo sognatore , altri lo ritengono come la vera filosofia e l’autentica politica, poiché presenta
agli uomini un modello ideale, spingendoli a migliorare. Riguardo la tesi dei “filosofi-re” , alcuni
l’hanno considerata l’affermazione di un intellettuale astratto dalla realtà, altri l’hanno presa sul
serio e discussa come Immanuel Kant, che l’ha rifiutata affermando che il possesso della forza
corrompe il libero giudizio della ragione; Guido de Ruggiero, esaltandola ha scritto che ogni
organizzazione pratica è un’organizzazione mentale e quindi è propria del filosofo che deve essere
inteso non come la figura tradizionale del professore ma come il ricercatore di un sapere
adeguato al compito che deve svolgere . Si è cercato di leggere la Repubblica dal punto di vista
di “sinistra”: è stato sottolineato, da alcuni, la preminenza del bene collettivo su quello personale
con un primo abbozzo di ideale socialista; altri, tra cui Marx, hanno visto solamente un’ideologia
finalizzata a giustificare una società aristocratica e classista. Al contrario si è cercato anche di
leggere il dialogo platonico dal punto di vista di “destra”, scorgendovi il prototipo di un modello
politico radicato su dottrine analoghe nazifasciste (statalismo, culto dei capi, sanità della razza
ecc). Karl Popper lo ritiene lo schema di un regime totalitario e dispotico, affermando che Platone
sia un teorico della società chiusa opposta ad una società aperta di tipo democratico. Bertrand
Russell ha considerato come un autentico scandalo l’ammirazione intellettuale che l’opera politica
di Platone ha sempre riscosso.

ULTIMO PLATONE
Nuovi problemi Nei grandi dialoghi della vecchiaia (terza fase del pensiero) Platone
approfondisce le sue teorie cercando di mettere in relazione il mondo delle idee e il mondo delle
cose e chiedendosi come deve essere pensato il mondo delle idee (Teeteto e Sofista) e che
rapporto ci sia tra le idee e le cose (Parmenide).

Ulteriori riflessioni sul mondo delle idee

Il Teeteto E’ il dialogo dove Platone esamina la conoscenza Posizione iniziale di Teeteto è che la
conoscenza è sensazione ma essa per Platone è limitata : la verità è riferita alla percezione in un
certo momento, quindi la verità è soggettiva o mutevole oppure va stabilita in base a ciò che dice
la maggioranza Queste due soluzioni sono insoddisfacenti, si formula una terza soluzione : essa
ammette una verità in sé che rispecchia l’essenza delle cose (opposizione al relativismo
gnoseologico dei sofisti, incapacità di una definizione adeguata di scienza rimanendo nella
soggettività). Se la conoscenza sensibile non è vera conoscenza, allora i sensi sono un mezzo
mediante cui l’anima conosce. L’anima riceve dai sensi la materia della conoscenza ed ordinando i
dati empirici formula giudizi universali . La conoscenza può essere detta opinione vera in quanto
giudizio sulla sensazione adeguato e corretto. Il giudizio scaturisce da una coordinazione degli
elementi sensibili che può essere errata e la genesi dell’errore è legata ai limiti della memoria
umana in quanto la nostra mente può ricordare male collegare così male i dati empirici presenti
con quelli passati. Il Teeteto conclude osservando che non posiamo sapere con certezza se i sati
sono stati collegati in maniera errata fino a che non sappiamo quale sia il modo corretto per
collegarli : quindi non possiamo sapere cosa sia l’errore finchè non sappiamo cosa sia la
conoscenza.

Il Parmenide E’ il dialogo dove Platone si interroga sulla consistenza della teoria delle idee
evidenziando per bocca di Parmenide alcune difficoltà. In primo luogo come l’idea può
conservare la sua unità partecipando alla molteplicità quindi il problema uno - molti, rapporto
idea-cose. Con la tematica uno – molti Platone s’interroga sulla validità della teoria delle idee, ed
in particolare, in che modo e cosa significa che l’unità è diffusa in molti oggetti o e partecipata da
essi senza che questa perda la sua unitarietà ? Inoltre dalla nozione di idea scaturisce la
moltiplicazione all’infinito dell’idea stessa , infatti da un’idea si originerà un’ulteriore idea che
considerata con gli oggetti e con l’idea precedente darà luogo ad una terza idea e così via
all’infinito . Con l’argomentazione del "terzo uomo" Platone mette in evidenza la contraddizione
della teoria delle idee ed in particolare il rapporto idea -cose.

L'argomento del terzo uomo è Il problema dell'autopredicazione

La teoria delle idee ha anche un carattere metafisico, come è mostrato dalla cosiddetta
autopredicazione, che dà origine a note difficoltà logiche, che Platone stesso smaschera nel
dialogo Parmenide (132a-133a), ove si espone il cosiddetto argomento del terzo uomo.Se l’idea
dell’uomo è, per autopredicazione, essa stessa un uomo, anzi è l’uomo per eccellenza, come
possiamo pensare che gli uomini sensibili siano sue copie? Perché sia così, occorre che fra i vari
uomini sensibili u1, u2... un e l’idea di uomo U ci sia un elemento in comune Ua. Questo elemento
è, appunto, il terzo uomo, che è ciò che gli uomini sensibili e l’uomo ideale hanno in comune. Ma
come si può dire che Ua ha qualcosa in comune con u1, u2… un e U? Solo indicando un elemento
Ub che è in comune con i precedenti. E si può andare avanti così, producendo un regresso
all’infinito. Quindi si può concludere che la teoria delle idee, escogitata per dare un senso unitario
al molteplice, lo rende, a rigore, indefinito, perché è possibile ripetere infinitamente il
ragionamento che la fondava: io posso chiamare “uomini” i differenti uomini sensibili, perché essi
partecipano tutti dell’idea di Uomo, che è l’uomo per eccellenza; ma questa partecipazione – visto
che l’Uomo è esso stesso un uomo – richiede che Uomo e uomini partecipino di una terza idea fra
loro comune, e così via, all’infinito.

Con la tematica del non essere Platone si confronta con il principio dell’eleatismo: “l’essere è,
mentre il non essere non è”. Il principio eleatico è la negazione della teoria delle idee: affermare
che l’essere è unico o che il non essere non esiste, significa negare la molteplicità delle idee ed i
rapporti tra di loro. Platone, nonostante le obiezioni, affermala validità delle idee quale strumento
ordinatore della molteplicità del sensibile. Anche nel Teeteto, Platone afferma che si può
raggiungere la vera la scienza solo attraverso l’essere, cioè l'idea, negando validità al relativismo
gnoseologico dei sofisti i quali ritenevano che fossero i sensi a determinare la conoscenza.

I generi dell’ essere e il problema del nulla

Per dimostrare che la molteplicità delle idee sono indispensabili per raggiungere la scienza,
Platone deve superare l’ostacolo costituito dal principio eleatico dell’unicità dell’essere.

Sofista Nel Sofista Platone, con la teoria dei “generi sommi “,propone una nuova concezione
dell’essere in cui spiega le ragioni dell’esistenza della molteplicità delle idee e come possano
comunicare fra loro, superando contestualmente il problema del non essere e dell’errore del
filosofo di Elea. Dottrina dei generi sommi: L'attributo fondamentale delle idee sono i generi
sommi, tutte le idee sono comprese nei 5 generi sommi: 1)l’essere, ogni idea esiste, 2)l’identico,
ogni idea è identica a se stessa, 3)il diverso, se ogni idea è identica a se stessa e diversa dalle altre,
4)la quiete, ogni idea può stare in se , 5)il movimento ogni idea può entrare in relazione con altre
idee. Poiché per Platone “l’essere diverso” e “l’essere“ sono due generi sommi differenti, l’errore
di Parmenide consiste nell’attribuire al “non essere” un valore assoluto cioè che non esiste. Per
Platone il “non essere” ha un valore relativo( A non è B) cioè – A è “diverso” da B – quindi il non
essere è un essere diverso è un essere–altro. Anche il non essere, in quanto essere diverso
partecipa alla forma dell’essere. Il nulla assoluto non esiste per definizione, il Parmenicidio è
compiuto. Attraverso questa dottrina Platone supera anche il problema dell’errore. Gli eristi
eParmenide sostenevano chel'errore è dire il nulla, quindi l’errore non può esiste,perché il nulla
non esiste. Per Parmenide si dice e si pensa solo ciò che è, che esiste: dire le cose come non sono è
impossibile. Platone nell’ammette la realtà del non essere ammette l’esistenza dell’errore: errore
significa dire le cose in modo diverso da come realmente sono. Con i generi sommi (essere,
identico e diverso)viene giustificata la pluralità delle idee.

La nozione generale di “essere”

L'essere per Platone non può identificarsi con la materialità né con l’immaterialità perché
l’essere appartiene sia alle cose materiali che a quelle immateriali

.Poiché il nuovo concetto dell'essere deve contenere i 5 generi sommi, Platone giunge ad una
definizione universale del concetto di essere:“

essere è Possibilità”

L’Essere è qualunque cosa che abbia la capacità o la possibilità di entrare in relazione, di agire o
subire la relazione con un’altra cosa. Esiste tutto ciò che può entrare in relazione, il nulla non
esiste in quanto non può entrare in relazione. Questo nuovo concetto di essere, inteso come
possibilità di relazione , assieme ai 5generi sommi si applicano alle idee ma anche alle cose naturali
e all’uomo.

LA DIALETTICA
L’essere e il mondo delle idee costituiscono una mappa di relazioni, la suprema scienza delle idee
che Platone chiama dialettica, consiste nello stabilire quali idee si connettono e quali no. Nella
Repubblica viene definita come la scienza delle idee-valori, nel Fedro simboleggia la tecnica del
discorso filosofico che comprende la definizione di una certa idea e la divisione dell’idea nelle sue
articolazioni interne , ma solamente nel Sofista e nel Politico si trova il significato del
procedimento dialettico nelle sue migliori caratteristiche. La dialettica si fonda sulla tesi di Platone
ovvero che "alcune idee sono compatibili tra loro e altre non lo sono" (scartando la tesi che tutte
le idee comunicano tra di loro e che nessuna idea comunica con le altre). La tecnica dialettica
consiste nel definire un'idea mediante successive identificazioni e diversificazioni attraverso un
processo che divide un'idea in due fino a raggiungere un'idea indivisibile e questo viene chiamato
processo di tipo "dicotomico". Questo processo ci porta ad un'idea indivisibile che ci fornisce la
definizione "specifica" di ciò che si cercava, ma la definizione non può essere l’unica possibile
perché si possono costruire altre mappe dicotomiche e sommando le varie definizioni ottenute si
raggiungerà una migliore comprensione dell'idea studiata. I caratteri specifici della dialettica
Platonica sono:

• si sviluppa su una base ipotetica in quanto una definizione iniziale sarà successivamente messa
alla prova per vedere se è capace di sintetizzare ciò di cui si parla.

• è una ricerca inesauribile poiché sempre aperta a nuove acquisizioni.

Il FILEBO : IL BENE PER L’UOMO


Il Filebo è un dialogo di Platone dove stabilisce chiaramente cos'è il bene per l'uomo dato che non
ha più una natura oggettiva includendo anche il mondo dell’essere la soggettività. Per il filosofo la
vita è divisa tra la ricerca del piacere e l'esercizio dell'intelligenza che devono essere in giusta
proporzione secondo una misura, un limite. Il bene è quindi concepito come misura e l’indagine
morale diventa un’indagine metafisica a sfondo matematico. Riprendendo i concetti pitagorici di
limite ed illimitato , Platone afferma che il piacere è illimitato ed il limite deve imporre una
misura. L'illimitato dunque acquisisce armonia diventando un numero che darà la giusta misura
anche al piacere e chi impone il limite è l’intelligenza che trasforma l’illimitato in proporzione .
Nella vita dell’uomo ci sarà l’intelligenza , causa della misura e dell’ordine ma ci sarà anche il
piacere proporzionato con un limite. Platone ritiene che tutte le forme di conoscenza debbano
entrare a far parte della vita umana, egli struttura una tavola dei valori: al primo posto ci sono
l'ordine, la misura, il giusto mezzo, al secondo ciò che è proporzionato, bello e compiuto, al terzo
l'intelligenza, al quarto la scienza e l'opinione e al quinto posto i piaceri puri. La virtù è ridotta a
scienza della misura, la condotta dell’uomo è ricondotta al rigore della scienza solo
considerandola secondo la misura e il numero.

Il Timeo: la visione cosmologica


In questo dialogo viene approfondito il problema cosmologico dell'origine e della formazione
dell'universo. Il mondo naturale non è stabile come le idee e non può essere oggetto di scienza,
per meglio capire il rapporto tra le idee e le cose Platone introduce il demiurgo, una figura-limite
tra il mito e la filosofia, una sorta di divino artefice, dotato di intelligenza e di volontà, mediatore
tra le idee e le cose. All'inizio il mondo era solamente un caos informe , una materia priva di vita,
che Platone denomina chóra o anánke o anche «madre del mondo». Il demiurgo , buono e amante
del bene, buono decide di riordinare de cose del mondo a «immagine e somiglianza» delle idee,
comunicando loro una parte della perfezione delle idee , fornisce dunque alle cose un'anima del
mondo plasmando la materia informe .Inoltre genera anche il tempo , immagine dell’eternità e
che è misurato dal movimento degli astri di cui il demiurgo si serve per formare e governare la
scala gerarchica degli enti. Nel Timeo tutto ciò che è armonico e positivo si deve al demiurgo
mentre tutto quello negativo e disarmonico si deve alla materia e alla necessità, l’opera del
demiurgo è limitata dalla resistenza della materia a cui Platone attribuisce le imperfezioni e i mali
del mondo. Nel Timeo sono introdotte diverse importanti novità, come la visione matematica del
cosmo. Platone considerava i numeri come basi delle cose e la matematica come chiave
interpretativa della natura. Considera l’arte come imitazione della realtà e considera perciò anche
il teatro una forma di arte ed è tale anche il cosmo poiché è imitazione delle idee. Riguardo alla
storia, torna a un’immagine mitica del passato, considerando il presente come un regresso dalla
felice età primordiale. L’importanza del Timeo consiste nella creazione del concetto di mente
ordinatrice del mondo, che verrà usato come immagine del Dio creatore nella Bibbia e ha inoltre
costituito per secoli una miniera di informazioni sulle conoscenze dell’antichità.

IL PROBLEMA POLITICO COME PROBLEMA DELLE LEGGI

Nelle opere della vecchiaia Platone si occupa nuovamente di politica con i suoi due ultimi dialoghi,
il Politico e le Leggi. Nel primo dice che l’arte che i governanti devono possedere è quella della
misura, cioè scegliere una via di mezzo per ogni cosa. Poiché è impossibile non imporre leggi, i
reggitori del popolo si devono limitare a delle forme generiche per il benessere del popolo e a
differenza della Repubblica si occupa di questo problema dal punto di vista morale. Si dedica a ciò
anche nel secondo dialogo, le Leggi, in cui spiega che esse devono servire a conferire la virtù al
popolo. Questo dialogo si basa sulla religione, diversa da quella tradizionale greca, e aumenta così
l’importanza dell’astronomia come comprensione degli scopi divini, tornando ad una visione
mitica delle divinità. Di conseguenza la teologia astrale si sostituisce alla dialettica nell’ambito
politico, portando l’armonia dei cieli tra la cittadinanza.

LE DOTTRINE NON SCRITTE

L’anzianità di Platone è segnata da una riflessione che risente l’influsso della dottrina pitagorica. Il
filosofo vuole così delineare i principi fondamentali da cui derivano tutte le cose, attribuendo, in
tal modo, importanza ai dialoghi del Sofista e del Filebo. Platone non ci lascia degli scritti sulle
tappe della sua ricerca, ma dalle fonti di alcuni suoi discepoli, come Aristotele, possiamo risalire ad
una dottrina metafisica che supera quella dei dialoghi e che pone come principi fondamentali
l’“Uno” (elemento formale e limitato) e la “Diade” (elemento materiale e illimitato).Da ciò ne
deriva un’origine dell’Universo comprendente sia una materia passiva e ricettiva, sia un elemento
attivo. Nelle sue “dottrine non scritte” Platone tende così a modificare l’immagine delle idee in
numeri. L’idea-numero diventa quindi il principio fondamentale e universale, alla base delle
singole espressioni geometriche e aritmetiche dalle quali deriva infine l’Universo fisico,
completamente tradotto in termini matematici. Gli studiosi hanno costituito due distinti
schieramenti sull’autenticità di “dottrine non scritte”. I sostenitori si affidano alle testimonianze di
alcuni discepoli del filosofo, che trattano di alcune lezioni tenute all’Accademia, e ad alcune
critiche alla scrittura rinvenute in dialoghi platonici quali il Fedro e la Lettera VII. Per questi studiosi
le dottrine non scritte sono quindi il miglior ritratto della filosofia di Platone, che trova
introduzione nei dialoghi e che lo segue già dalla giovinezza. Platone, per la sua tendenza a cercare
principi che vadano oltre le idee, è così considerato il vero fondatore della metafisica. Altri studiosi
tendono invece a negare l’esistenza di una “dottrina non scritta”, ritenendo assurda
l’incomunicabilità di verità filosofiche e facendo riferimento all’attività letteraria di Platone che
non si è fermata. Ci sono infine coloro che sostengono l’autenticità di tale dottrina solo in età
avanzata del filosofo. Oggi si tende a considerare autentica testimonianza dell’attività filosofica di
Platone esclusivamente i dialoghi.

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