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ATTIVITA'
A CREDITI V/SOCI 75000 50000 25000
B IMMOBILIZZAZIONI 0
IMMATERIALI 23000 25500 -2500
MATERIALI 535000 655000 -120000
FINANZIARIE 35000 -35000
TOTALE B 558000 715500
0
C ATTIVO CIRCOLANTE 0
RIMANENZE 490000 450000 40000
CREDITI V/CLIENTI 754000 154000 600000
DISPONIBILITA' LIQUIDE 25500 5500 20000
TOTALE C 1269500 609500
PASSIVITA'
A PATRIMONIO NETTO
CAPITALE SOCIALE 175000 150000 25000
RISERVE 170000 123000 47000
UTILE 172500 47000 125500
TOTALE PATRIMONIO NETTO 517500 320000
B FONSO RISCHI 0
0
C TFR 600000 450000 150000
0
D DEBITI 0
MUTUI 150000 150000 0
FORNITORI 480000 380000 100000
DEBITI V/ENTI PREV.LI 45000 45000 0
DEBITI TRIBUTARI 75000 25000 50000
DEBITI V/DIPENDENTI 30000 30000
TOTALE DEBITI 780000 600000
MERCI 650000
SALARI 480000
TFR 150000
AMM.TI 67500
1347500
A-B 242500
C RETTIFICHE
D INTERESSI E ONERI FINANZIARI -15000
E PROVENTI E ONERI STRAORDINARI -5000
UTILE ANTE IMPOSTE 222500
IMPOSTE 50000
UTILE NETTO 172500
NOTE
E' STATO AUMENTATO IL CAPITALE SOCIALE DI €.25000 MA I SOCI NON HANNO ANCORA VERSATO PRESSO LA BANCA SOCIALE
E' STATA VENDUTA ED INCASSATA A MEZZO BANCA UNA ATTREZZATURA DAL VALORE CONTABILE DI 55,000 AL PREZZO DI CESSIONE DI 50,000
SONO STATE VENDUTE ED INCASSATE A MEZZO BANCA LE PARTECIPAZIONI FINANZIARIE AL VALORE DI BILANCIO
PASSIVITA'
PFN 49500 94500 -45000
PATRIMONIO NETTO 517500 320000 197500
TOTALE PASSIVITA' 567000 414500 152500
CLIENTI 1550000
RICAVI 1550000
BANCA 950000
CLIENTI 950000
BANCA 50000
IMMOBILIZZAZIONI MATERIALE 55000
MINUSVALENZA 5000
BANCA 35000
IMMOBILIZZAZIONE FINANZIARIA 35000
MERCI 490000
MERCI C/RIM.FINALI 490000
TFR 150000
DEBITI PER TFR 150000
IMPOSTE 50000
DEBITI TRIBUTARI 50000
5967500 5967500
CALCOLO CASH FLOW
ANNO N ANNO N-1 VARIAZIONI
ATTIVITA'
A CREDITI V/SOCI 50000 50000 0
0
B IMMOBILIZZAZIONI 0
IMMATERIALI 54000 60000 -6000
MATERIALI 1062000 1068000 -6000
FINANZIARIE 40000 40000 0
TOTALE B 1156000 1168000
0
C ATTIVO CIRCOLANTE 0
RIMANENZE 120000 140000 -20000
CREDITI V/CLIENTI 380000 280000 100000
CREDITI DIVERSI 53000 53000 0
DISPONIBILITA' LIQUIDE 454000 9000 445000
TOTALE C 1007000 482000
0
D RATEI E RISCONTI 20000 20000 0
PASSIVITA'
A PATRIMONIO NETTO
CAPITALE SOCIALE 600000 600000 0
RISERVE 150000 150000 0
UTILE 248000 60000 188000
TOTALE PATRIMONIO NETTO 998000 810000
B FONSO RISCHI 0
0
C TFR 250000 200000 50000
0
D DEBITI 0
MUTUI 400000 450000 -50000
FORNITORI 380000 180000 200000
DIPENDENTI 30000 30000 0
DEBITI V/ENTI PREV.LI 15000 -15000
DEBITI TRIBUTARI 160000 20000 140000
TOTALE DEBITI 970000 695000
0
E RATEI E RISCONTI 15000 15000 0
A VALORE PRODUZIONE
RICAVI 1800000
VARIAZIONE RIMAN.PRODOTTI -20000
1780000
B COSTI PRODUZIONE
MATERIE PRIME 500000
SALARI 700000
AMM.TO 112000
TFR 50000
1362000
A-B 418000
C PROVENTI E ONERI -20000
D
E PROVENTI E ONERI STRAORDIN 10000
UTILE ANTE IMPOSTE 408000
IMPOSTE -160000
UTILE NETTO 248000
PASSIVITA'
PFN -104000 391000 -495000
CAPITALE NETTO 998000 810000 188000
TOTALE PASSIVITA' 894000 1201000 -307000
OPERAZIONI DI GESTIONE
DARE AVERE
MERCI C/ACQ 500000
FORNITORI 500000
FORNITORI 450000
BANCA 450000
UTILE 60000
BANCA 60000
ATTREZZATURE 150000
FORNITORI 150000
MUTUO 50000
BANCA 50000
ATTREZZATURE 50000
BANCA 60000
PLUSVALENZA 10000
CLIENTI 1800000
RICAVI 1800000
BANCA 1700000
CLIENTI 1700000
SALARI 700000
DIPENDENTI 700000
DIPENDENTI 700000
BANCA 700000
MERCI 120000
MERCI C/RIM.FINALI 120000
TFR 50000
DEBITI PER TFR 50000
BANCA
ANALISI FINANZIARIA
Analisi di base, generalista, Analisi delle società quotate
che riguarda tutte le società PROJECT WORK (*)
Verranno analizzati, inoltre, gli strumenti di cui deve disporre un’analista finanziario per assolvere la propria
funzione cioè per svolgere un’analisi finanziaria.
Quante sono le società quotate sul mercato italiano? Al 31.08.17 le società quotate nel mercato sono
complessivamente 331: 245 quotate nel mercato MTA; 86 nel mercato AIM Italia.
Quanti sono i titoli quotati? 449 (da “listino titoli A-Z” di BORSA ITALIANA)
Perché distinguiamo il numero delle società quotate da quello dei titoli? Perché alcune società sono DUAL
CLASS cioè emettono due tipi di azioni: ordinarie e di risparmio. Di conseguenza avremo un numero di titoli
quotati superiore al numero delle società quotate. Qual è la differenza tra azioni ordinari e azioni di
risparmio? Nelle società di capitali, il capitale sociale è formato da azioni, infatti possiamo dire che le azioni
rappresentano frazioni di capitale sociale. Esse permettono all'azionista di essere proprietario dell'azienda (in
quota parte) e, in base al tipo di azione detenuta, di acquisire anche altri diritti:
- Azione ordinaria: dà al detentore il diritto di percepire utili e di esercitare il diritto di voto (voting right);
- Azioni di risparmio: i detentori non possono esercitare il diritto di voto, possiedono soltanto diritti
patrimoniali (cash-flow right). Per tali azioni vengono assegnati i dividendi di una certa quantità minima
anche se non sono stati percepiti utili (dividendi minimi garantiti). Se in un esercizio non vengono
distribuiti, tali dividendi rappresentano un credito nell'anno successivo. Solo le società quotate emettono
azioni di risparmio e si crea una separazione tra proprietà e controllo. Se non vi sono azioni di risparmio
per esercitare il controllo, bisogna avere il 51% del pacchetto azionario. Con tale percentuale si ha la
maggioranza e il voto più pesante in assemblea.
Considerando che il prezzo di un’azione dipende dalla sua utilità, è chiaro che l’acquirente sarà disposto a
pagare più o meno in base ai diritti che gli vengono riconosciuti. Di conseguenza chi acquista un’azione di
risparmio è disposto a pagare meno di quanto pagherebbe per un’azione ordinaria perché è privato di un
diritto, cioè non gli viene riconosciuto il voting right. In conclusione un’azione ordinaria ha un prezzo
maggiore rispetto ad un’azione di risparmio.
2) Derivati. Il mercato di riferimento, IDEM (Italian Derivatives Market), è suddiviso in due segmenti:
• IDEX, segmento dell’IDEM dedicato ai derivati energetici;
• AGREX, segmento dell’IDEM dedicato ai derivati da merci agricole.
3) ETFPlus, mercato specifico sul quale si negoziano gli strumenti finanziari che replicano l'andamento di
mercato - quali ETF (Exchange traded funds), ETC (Exchange traded commodities) ed ETN (Exchange
traded notes). Dal dicembre 2014 è possibile negoziare su questo mercato anche i fondi comuni aperti.
Immaginiamo di avere una società NON quotata che aumenta il proprio capitale da 100.000 € a 200.000 €.
L’aumento di 100.000 € dovrà essere sottoscritto dagli azionisti già esistenti oppure da altri azionisti. Nelle
società NON quotate l’azionista deve cercare direttamente qualche suo “conoscente” che sia disposto a
sottoscrivere; nelle società quotate, di contro, non è necessario avere un rapporto diretto con la controparte, si
va sul mercato e si collocano i 100.000 € di capitale.
Il mercato azionario è l’incontro tra BUYERS (baiers) e SELLERS di azioni: sul mercato, infatti, ci sono
buyers, che acquistano le azioni dei sellers diventando così azionisti. Gli azionisti prendono anche il nome di
SHAREHOLDERS (sceir-olders), dall’inglese SHARE = azione, quindi SHAREHOLDERS = proprietari di
azioni.
A prescindere dalla controparte, ogni buyer indica la propria disponibilità di acquisto ed ogni seller indica la
propria disponibilità di vendita. Ipotizziamo di andare sul mercato per richiedere 1.000 azioni FIAT ad un
prezzo di 10,5. Il contratto si conclude soltanto nel momento in cui questo ordine di acquisto incrocia un
medesimo ordine di vendita, dunque se sul mercato esiste un venditore disposto a vendere 1.000 azioni ad un
prezzo di 10,5. Detto ciò, è scontato che maggiori sono gli attori del mercato azionario (sia buyers che
sellers), maggiori sono le probabilità che i contratti vengano conclusi.
Diventa importante il c.d. FLOTTANTE, vale a dire il numero delle azioni in circolazione, delle azioni che
vengono negoziate sul mercato; non si fa riferimento all’azionista di maggioranza: maggiore è il flottante,
cioè il capitale detenuto dagli azionisti NON di maggioranza, maggiori sono le probabilità di concludere una
compravendita di azioni. Bisogna tener conto che la possibilità di monetizzare un investimento azionario
(anche definita “liquidità dell’investimento”) è fondamentale perché il rischio di non monetizzare
l’investimento deve trovare una contropartita nel prezzo dell’azione.
Il prezzo dell’azione coincide con il VALORE DI MERCATO perché, per definizione, il prezzo è un
valore di mercato. Per avere un prezzo vuol dire che c’è un mercato. Il prezzo delle società non quotate non
esiste perché non c’è mercato nelle società non quotate. Possiamo interpretare il prezzo come “un di più”
delle società quotate.
Il VALORE CONTABILE di un’azione, invece, rappresenta il rapporto tra patrimonio netto e n. delle
azioni.
Un terzo valore molto importate è il c.d. FAIR VALUE (fer veliu) , tradotto letteralmente come “valore
giusto”. Il fair value è il valore che effettivamente l’azienda rappresenta, il valore che effettivamente è in
grado di produrre per gli azionisti.
Per una legge di mercato, nel lungo periodo il valore di mercato tende ad allinearsi al fair value. Tuttavia, nel
breve periodo, si possono rilevare degli scostamenti, dei GAP (ghep) tra i tre valori: si può avere un valore
contabile diverso dal fair value così come un fair value diverso dal valore di mercato. Questo anche in
ragione del fatto che il valore contabile rappresenta il passato di una società, mentre il fair value ne
rappresenta il futuro. Naturalmente gli azionisti sono più interessati al valore futuro di una società, quindi
daranno maggiore importanza al fair value.
In analisi finanziaria non si è deterministici, è impossibile dare una misura esatta, quindi si deve essere in
grado non di valutare, ma di stimare e il fair value dipende anche dalla soggettività del valutatore. A seconda
della capacità dell’analista, ci si avvicina o meno al fair value, quindi al valore oggettivo, effettivo, della
società. Il compito dell’analista è quello di dare indicazioni sul fair value e vedere se la società e
sottovalutata o sopravvalutata, cioè se ha un prezzo superiore o inferiore al fair value. Se una società o
un’azione ha un prezzo superiore al fair value cosa è lecito aspettarsi?
Premesso che la prospettiva degli azionisti è quella di avere un capital gain (capital ghein) cioè realizzare un
aumento di valore, se oggi il prezzo di mercato è 10,3 e il fair value 10, gli azionisti non avranno interesse ad
entrare nella società perché si prevede che in futuro il valore delle azioni diminuirà. Si rischia di comprare
oggi a 10,3 e vendere domani a 10 dato che, nel lungo periodo il valore di mercato tende ad allinearsi al fair
value. Al contrario, se un’azionista riuscisse a trovare delle azioni che hanno un valore di mercato inferiore
al fair value, a quel punto converrebbe entrare nella società.
Il fair value, inoltre, non deve essere determinato in modo isolato, ma considerando le comparabili, cioè le
società simili a quella che si sta analizzando, quindi quelle che fanno parte del medesimo settore. La
classificazione di “BORSA ITALIANA” consente di individuare insiemi di imprese equivalenti dal punto di
vista merceologico.
Dobbiamo considerare comunque che il mercato italiano è povero in termini di numerosità, quindi, se si
limita l’analisi al mercato italiano, difficilmente si riesce ad ottenere un insieme di riferimento che sia
significativo dal punto di vista statistico. È per questa ragione che la maggior parte degli studi che sono
condotti oggi non considerano solo le società quotate sul mercato italiano, ma tutte le società quotate sui
mercati europei. Molto significativo è il mercato azionario inglese, il London Stock Exchange.
Aldilà della prospettiva europea, il mercato azionario più grande è quello americano, Wall Street.
Borsa Italiana tra gli altri dati, pubblica anche la CAPITALIZZAZIONE delle società cioè numero delle
azioni x prezzo di un’azione, quindi il valore di mercato di tutta la società. Chiaramente la
capitalizzazione cambia giorno dopo giorno perché il numero delle azioni resta invariato, ma prezzo delle
azioni cambia.
Borsa italiana pubblica la capitalizzazione delle società quotate al 31.12 di ogni anno.
Per concludere, serviranno le seguenti conoscenze:
Numero dei titoli quotati = 449
Numero delle società quotate = 331
Società quotate divise per settori
Classificazione di queste società per dimensione perché la capitalizzazione è può essere assunta come
indicatore di dimensione.
LEZIONE 2 (DIAMANTI) 21-09-2017
ESEMPIO
Nel corso nel 2016 l’azienda pone in essere delle
SP iniziale al 01.01.16
operazioni di gestione: acquista merci per € 50 e
Attività Passività
vende merci per € 200. Dunque avremo:
Fabbricati 1.500 Fornitori 1.000
CE finale al 31.12.16
Clienti 2.000 Mutui 500
COSTI RICAVI
Cassa 200 Capitale netto 2.200
50 200
Totale attività 3.700 Totale passività 3.700
UTILE 150
Lo SP finale varierà in base al fatto che i costi e ricavi riportati nel CE siano stati rispettivamente
pagati (o non pagati) e riscossi (o non riscossi). Quindi:
SP al 31.12.16 ricavi non incassati e costi non pagati CASH FLOW = Cassa finale(200)
Attività Passività – cassa iniziale(200) = 0
Fabbricati 1.500 Fornitori 1.050
Clienti 2.200 Mutui 500 UTILE D’ESERCIZIO 150
Cassa 200 Capitale netto 2.200 + AUMENTO DEBITI V/ FORNITORI 50
Utile 150 - AUMENTO CREDITI V/ CLIENTI 200
Totale attività 3.900 Totale passività 3.900 0
SP al 31.12.16 ricavi incassati e costi pagati
Attività Passività
Fabbricati 1.500 Fornitori 1.000 CASH FLOW = 350 – 200 = 150
Clienti 2.000 Mutui 500 In questo caso l’utile d’esercizio
Cassa 350 Capitale netto 2.200 misura effettivamente l’aumento di
Utile 150 disponibilità liquide.
Totale attività 3.850 Totale passività 3.850
Lo SP finale varierà in base al fatto che i costi e ricavi riportati nel CE siano stati rispettivamente
pagati (o non pagati) e riscossi (o non riscossi). Quindi:
CASH FLOW = cassa finale (200) – cassa
SP al 31.12.16 ricavi non incassati e costi non pagati iniziale (200) = 0
Attività Passività
UTILE D’ESERCIZIO 50
Fabbricati 1.400 Fornitori 1.050
+ AUMENTO DEBITI V/ FORNITORI 50
Clienti 2.200 Mutui 500
- AUMENTO CREDITI V/ CLIENTI 200
Cassa 200 Capitale netto 2.200
+ AMMORTAMENTO 100
Utile 50
Totale attività 3.800 Totale passività 3.800 0
I MULTIPLI sono indicatori che mettono in relazione una serie di variabili contabili, finanziarie
e/o operative in modo da renderle agevolmente e rapidamente confrontabili con quelle dei
competitors. In particolare, i multipli contabili rapportano una grandezza di mercato con una
contabile1 e possono essere di due tipi:
1) MULTIPLI EQUITY SIDE: “equity” sta per “capitale proprio, quindi sono multipli che hanno
al numeratore e al denominatore misure del capitale proprio. Nello specifico: il numeratore è
SEMPRE rappresentato dal valore di mercato del capitale proprio (price), mentre il
denominatore varia di volta in volta in base alla grandezza contabile scelta per riassumere la
capacità dell’azienda di produrre ricchezza.
mercato del capitale proprio) e l’utile netto per azione (remunerazione del capitale proprio). Può
essere calcolato anche come capitalizzazione2/utile netto. È il multiplo più utilizzato dagli
analisti perché può essere usato indistintamente in tutti i settori.
rappresenta il rapporto tra prezzo di mercato per azione e valore contabile per
azione. Il valore contabile (book value) si trova facendo PN/numero azioni. In via alternativa,
questo multiplo può essere calcolato come capitalizzazione/PN. A differenza del precedente è
mediamente utilizzato perché non può essere usato in tutti i settori, ma soprattutto per banche,
assicurazioni e società finanziarie di valutazione. In pratica è meno rilevante nel processo di
valutazione delle imprese industriali.
Questo multiplo può assumere solo valori positivi (>0) perché se assumesse valori negativi
vorrebbe dire che è negativo o il numeratore o il denominatore (uno solo dei due, non entrambi)
e questo non può accadere dato che non avremo mai un prezzo dell’azione negativo né
tantomeno un book value negativo. Inoltre sappiamo che il suo valore soglia è 1. Con il termine
“valore soglia” intendiamo un valore dell’indice che separa due situazioni possibili. Se < 1 il
prezzo di mercato è < del valore contabile, quindi la società è sottovalutata perché il mercato
prezza ad un valore < a quello contabile ci aspetteremo che il mercato reagisca portando ad
1
Tutti i multipli contabili rapportano una grandezza di mercato con una grandezza contabile perché si presume che la
grandezza contabile sia il fair value anche se effettivamente non lo è. È chiaro, però, che ci dà una prima indicazione
di quello che potrebbe essere il fair value. Calcolando i multipli, quindi, intendiamo verificare se il valore di mercato
della società analizzata si allontana o meno dal fair value
2
CAPITALIZZAZIONE = prezzo di un’azione x numero delle azioni
una rialzo del prezzo. Viceversa: se > 1 ci aspetteremo una correzione verso il basso del
prezzo, che tende al valore contabile.
calcolato come rapporto tra il prezzo di mercato per azione e il flusso netto di
cassa per azione. Può essere calcolato anche come capitalizzazione/net cash. Permette di
formulare un parere in merito alla capacità di generare flussi di cassa. È influenzato dalle
politiche contabili.
È un multiplo mediamente utilizzato perché non può essere usato in tutti i settori di attività,
infatti di solito non viene usato per le società finanziarie.
NB: se utilizziamo al numeratore il PRICE stiamo usando una grandezza unitaria; al contrario la
CAPITALIZZAZIONE è una grandezza totale. Naturalmente tra numeratore e denominatore
deve esserci omogeneità cioè se usiamo al numeratore una grandezza unitaria (price) dobbiamo
fare altrettanto al denominatore (es: earnings for share). Se invece usiamo al numeratore la
capitalizzazione, allora al denominatore possiamo utilizzare una grandezza totale (es: earnings).
2) MULTIPLI ENTERPRISE SIDE (o ASSET SIDE): sono multipli che considerano tutte le
fonti di finanziamento, non prendono in esame solo il capitale proprio. Al numeratore vi è
SEMPRE il valore dell’impresa, cioè l’ENTERPRISE VALUE (EV), mentre il denominatore
varia di volta in volta in base alla grandezza contabile scelta (SALES, EBITDA o EBIT).
società. Questo multiplo è poco colpito dalle politiche contabili, quindi tende ad essere
abbastanza stabile nel tempo. È sempre calcolabile e non esprime mai valori negativi. È da
vicino legato alla capacità di crescita delle vendite di una società. Si tratta di un multiplo
mediamente utilizzato, in particolare è usato per valutare le società in fase di start-up, le aziende
con bassa leva operativa e, solo raramente, per valutare aziende con business ben consolidato.
lordo (EBITDA). È il multiplo più utilizzato nella pratica perché l’EBITDA esprime la capacità
di un’azienda di generare valore attraverso il core business meglio di altre variabili contabili.
Viene usato per valutare tutte le aziende con business stabile, soprattutto industrie.
valore d’impresa e margine operativo (EBIT). È una buona alternativa al multiplo EV/EBITDA,
soprattutto per le aziende le cui attività sono caratterizzate dalla presenza dominante di attività
materiali. Il margine operativo (e quindi il multiplo) tiene conto delle politiche di
ammortamento, ma è più colpito dalle norme contabili (questo lo rende meno neutrale rispetto al
multiplo EV/EBITDA). Campi d’applicazione: aziende con business stabile; potrebbero
emergere distorsioni nella valutazione di aziende di diversi paesi a causa delle diverse politiche
di ammortamento.
In linea generale:
- Con la prospettiva ASSET SIDE si stima il valore dell’equity in modo indiretto, valutando prima
il capitale operativo dell’azienda e detraendo da esso la posizione finanziaria netta (c.d. leva
finanziaria). Infatti questo metodo viene definito UNLEVERED.
- Con la prospettiva EQUITY SIDE si stima invece il valore dell’Equity in modo diretto,
indipendentemente dalla posizione finanziaria netta metodo LEVERED.
Il cosiddetto “cash flow operativo” è legato alla gestione tipica (caratteristica) e quindi sostanzialmente al
conto economico. Esiste poi una componente di flusso di cassa che non è legata all’aspetto reddituale.
Nonostante si tratti di operazioni extra-reddituali, esse fanno comunque aumentare o diminuire la cassa (i
c.d. FLUSSI DI CASSA). Si tratta di operazioni di investimento, disinvestimento, operazioni di
finanziamento, operazioni di aumento di capitale sociale. Ad esempio se l’azienda contrae un mutuo passivo,
questa operazione assorbe o genera liquidità? – GENERA LIQUIDITA’. Quindi se l’azienda contrae un
mutuo, questo genera un flusso di cassa nella composizione dello stato patrimoniale, ma non vi è alcun
riflesso sul conto economico. Nello specifico se l’azienda si facesse prestare 1.000 € dalla banca, avremmo
questa situazione:
SP iniziale al 01.01.16
SP finale al 31.12.16
Attività Passività
Attività Passività
Fabbricati 1.500 Fornitori 1.000
Fabbricati 1.500 Fornitori 1.000
Clienti 2.000 Mutui 500
Clienti 2.000 Mutui 1500
Cassa 200 Capitale netto 2.200
Cassa 1200 Capitale netto 2.200
Totale attività 3.700 Totale passività 3.700
Totale attività 4.700 Totale passività 4.700
Utile(50)+Finanziamento(1000) = 1500
Viceversa, l’azienda anziché contrarre un prestito restituisce una quota di mutuo alla banca, la restituzione
del finanziamento non genera liquidità, ma assorbe liquidità.
Il FLUSSO DI CASSA è legato sia all’aspetto reddituale, sia ad operazioni che non hanno nulla a che vedere
con il conto economico (operazioni che non si rilevano nel conto economico perché sono operazioni che mi
fanno modificare solo la struttura patrimoniale). Facciamo un altro esempio:
Se l’azienda compra un nuovo fabbricato e lo paga 1000 euro, la cassa a quanto ammonterà?
La cassa può essere solo positiva o, al massimo, può essere 0; non può essere mai negativa. Di conseguenza
(dato lo SP iniziale indicato in alto a sinistra), al 31.12.16 avrò tra le attività cassa pari a 0 e tra le passività
un debito vs banche di 800 (1000-200). I debiti verso le banche sono come le liquidità perché la disponibilità
liquida di un’azienda è data da: cassa + c/c bancari + c/c postali - debiti vs banca o ufficio postale. Di
conseguenza il rendiconto finanziario deve considerare non solo la cassa, ma anche i soldi (le disponibilità
liquide) che si hanno in banca, all’ufficio postale.
A causa dell’influenza anglosassone, chi fa FINANZA AZIENDALE dà molta più importanza al flusso di
cassa che all’utile di esercizio perché l’utile di esercizio è semplicemente la differenza tra costi e ricavi,
mentre i flussi di cassa vengono presi in considerazione per valutare le aziende (il c.d. Discounted cash
flow).
Il ragionamento è sostanzialmente questo: se bisogna valutare un’azienda di ristorazione (cioè bisogna capire
quanto vale) gli italiani prendono tutti i flussi reddituali (cioè tutti gli utili che l’azienda riesce a produrre) e
riescono a capire quanto vale l’azienda in base agli utili che essa è in grado di realizzare. Invece gli
anglosassoni affermano che l’azienda vale non per gli utili che produce ma per i flussi di cassa che produce.
Dal punto di vista concettuale e razionale noi italiani abbiamo convenuto che effettivamente è più corretto
attualizzare i flussi di cassa che non l’utile di esercizio semplicemente perché l’utile di esercizio è
influenzato dagli ammortamenti, dalle svalutazioni delle rimanenze di magazzino e con le rimanenze “ci
giochiamo a palline” nel senso che, se si vuole chiudere con un utile di 100, aumento le rimanenze; se si
vuole chiudere con una perdita, diminuisco le rimanenze. Ecco perché “ci giochiamo a palline”.
Quando mi rapporto con i CASH FLOW, degli ammortamenti non mi interessa perché osservo nello
specifico la cassa non gli utili, cioè osservo quanti flussi di cassa l’azienda è in grado di produrre. Si tratta di
disponibilità liquide, non di utili. Allora prendo queste disponibilità liquide e, in base ad esse, faccio la
VALUTAZIONE D’AZIENDA. Si stravolge completamente il meccanismo di valutazione: prima si
andavano ad attualizzare i flussi reddituali, oggi si attualizzano i flussi di cassa. L’attualizzazione dei flussi
di cassa è un meccanismo che ha più senso perché, essendo dato dalla differenza tra cassa all’inizio e cassa
alla fine del periodo, il flusso di cassa è un numero che non può essere maneggiato. L’utile invece è qualcosa
di astratto.
Se faccio un’analisi per flussi, calcolo il rendiconto finanziario e scopro qual è la parte dei flussi di cassa che
l’azienda è in grado di produrre, posso fare una serie di previsioni. Ipotizziamo di prevedere che l’azienda
sarà in grado di produrre 100 euro di cash flow quest’anno, 150 l’anno prossimo, ecc.
Naturalmente il flusso di cassa calcolato adesso, è calcolato sulla base di elementi storici derivanti dai bilanci
quindi è un dato oggettivo. Invece quando vado a fare una previsione e ad esempio voglio vendere l’attività,
faccio una valutazione dell’azienda: se l’azienda produce molti flussi di cassa (non utili, FLUSSI DI
CASSA) l’azienda vale molto di più.
Il modello del quale stiamo parlando è il cosiddetto DISCOUNTED CASH FLOW (ovvero SCONTO DEI
FLUSSI DI CASSA), uno dei modelli di valutazione più utilizzato.
Per fare una valutazione d’azienda ci si deve necessariamente basare su previsioni. In genere le previsioni
vengono fatte per un periodo temporale dai 7 ai 10 anni. I flussi di cassa che si prevede di realizzare però
devono essere attualizzati cioè bisogna renderli disponibili oggi perché adesso non valgono quello che
varranno tra 2/3/4 anni. Valgono meno oggi. Come si attualizza? Attraverso un’operazione di sconto cioè
l’operazione inversa al calcolo degli interessi dove il capitale va moltiplicato x il tasso d’ interesse.
Ipotizzo di avere un tasso di sconto pari a: i = 10% = 0,10
Tra un anno (anno n+1) avrò 100 euro, quanto valgono questi 100 euro oggi? Attualizzo e ottengo 90,90909
n+1 n+2 n+3 n+4 n+5
100 150 200 250 300
100/(1+0,10) 150/(1+0,10)2 200/(1+0,10)3 250/(1+0,10)4 300/(1+0,10)5
= 90,90909 = 123.96694 = 150.2629 = 170.7533 = 186.2763
Questi in giallo sono i flussi di cassa attualizzati. I flussi di cassa attualizzati vanno sommati tra loro per
ottenere il valore dell’impresa. Dunque, se si utilizza il discounted cash flow, il valore dell’azienda è
calcolato come sommatoria dei flussi di cassa attualizzati.
Il tasso di sconto coincide con il c.d. REDIMENTO ATTESO, cioè il rendimento che mi aspetto di ottenere
da un investimento. In finanza aziendale è fondamentale il legame tra rischio e rendimento1: il rendimento
atteso è tanto più alto quanto tanto più è rischioso l’investimento; al contrario, meno è rischioso
l’investimento, meno sarà alto il rendimento.
È chiaro che se attualizzo i flussi di cassa ad un tasso di rendimento più alto, il valore dell’azienda
diminuisce. Viceversa, più è basso il rendimento atteso, più alto sarà il valore dell’azienda.
Se anziché valutare un’azienda di ristorazione si valutasse un’azienda di immobili, cambierebbe il criterio di
valutazione: non più il Discounted cash flow, ma bisognerebbe utilizzare il criterio patrimoniale o misto. Con
il criterio patrimoniale si va a valutare l’azienda non tanto per il cash flow che è in grado di generare, ma per
quella che è la ricchezza di immobili che ha a disposizione; si valuta la consistenza patrimoniale che
l’azienda ha.
Il cash flow è finalizzato a determinare il valore dell’attività aziendale che è la sommatoria dei flussi di cassa
che l’azienda è in grado di produrre attualizzati in base al c.d. “rendimento atteso”.
Il rendimento atteso è il rendimento che l’investitore si attende dall’investimento, tenendo conto del grado di
rischio che corre nel fare quel tipo di investimento.
Dunque, se faccio una valutazione in base al Discounted cash flow, il valore dell’azienda è legato sia
all’entità dei flussi di cassa (più sono alti i flussi di cassa, più è alto il valore dell’azienda), sia al tempo con
cui questi flussi di cassa ritornano. Se un’azienda mi dà sempre lo stesso reddito, devo notare in quanto
tempo ritornano questi flussi di cassa. Il tempo è direttamente proporzionale ai flussi di cassa e inversamente
proporzionale al rendimento atteso cioè a quello che attendo dopo aver fatto l’investimento.
Nelle valutazioni aziendali, oltre al DCF, abbiamo un altro modello: il c.d. DISCOUNTED DIVIDEND
MODEL (DDM) cioè il modello di sconto dei dividendi. In questo modello l’azienda vale non per i flussi di
cassa che è in grado di produrre, ma per i dividendi che è in grado di distribuire. Tale modello non ha molta
rilevanza perché ha delle problematiche non lo rendono facilmente applicabile.
Cosa sono i dividendi? – Utili distribuiti. Con quest’approccio di utili distribuiti osserviamo che se l’azienda
non distribuisce dividendi, allora vuol dire che non ha generato utili. In realtà non è così perché si possono
1
Questo legame è preso in considerazione da qualsiasi investitore.
avere utili anche senza distribuire dividendi e quindi non possiamo mai dire che un’azienda non vale niente
perché non distribuisce dividendi. È l’assemblea che decide se distribuire o meno i dividendi, anche perché
gli utili potrebbero essere utilizzati anche in modo diverso, ad esempio potrebbero essere accantonati.
Inoltre, paradossalmente, l’azienda (soprattutto se quotata in borsa) potrebbe distribuire dividendi anche
senza utili ricorrendo all’indebitamento per “dare all’esterno un’immagine migliore”. Un esempio lo
abbiamo avuto con la Parmalat. Il conclusione, il modello del DDM ha limiti applicativi molto evidenti
perché non necessariamente i dividendi rispecchiano il reale stato di salute dell’azienda.
Il rendimento atteso è frutto della teoria del portafoglio di MARKOWITZ, secondo il quale il rendimento
atteso può essere identificato come costo del capitale proprio.
Secondo il CAPITAL ASSET PRICING MODEL (CAPM), il rendimento atteso (i) dell’investitore è
funzione di:
• FREE RISK (= tasso privo di rischio, che solitamente si riferisce ai titoli di stato). La scelta del tasso deve
riflettere il periodo dell’investimento: se faccio un investimento a breve, faccio riferimento ad un BOT; se
faccio un investimento a lungo termine, faccio riferimento a buoni del tesoro pluriennali
+
• premio per il rischio di mercato
INTRISANO: Dopo aver parlato dei bilanci, in un’azienda bisogna tener conto della
DIMENSIONE, intesa come FATTURATO, e del TOTALE DELL’ATTIVO, che ci dice quanti
investimenti abbiamo fatto; dopodiché andiamo a vedere la POSIZIONE FINANZIARIA NETTA,
che è in genere esplicitata in una voce del bilancio. La posizione finanziaria netta è uguale al totale
dei debiti finanziari meno le attività prontamente smobilizzanti (o disponibilità liquide immediate),
chiamato anche INDEBITAMENTO FINANZIARIO NETTO. Se i debiti finanziari sono superiori
alle disponibilità liquide, la posizione finanziaria netta avrà segno negativo ; se avrà segno positivo
vuol dire che le disponibilità liquide saranno superiori rispetto al totale dei debiti. La posizione
finanziaria netta, può assolvere sia una funzione di investimento sia come fonte di finanziamento;
diventa fonte di finanziamento quando abbiamo una maggioranza di debito rispetto alle diponibilità
liquide. *nel bilancio, se gia c’è la voce posizione finanziaria netta, la dobbiamo ricalcolare.
DIAMANTI: Le attività finanziarie sono tutte quelle attività che comprendono le disponibilità
liquide più tutti i crediti finanziari ( ad. Esempio crediti verso una banca), cioè sono crediti che non
hanno natura commerciale. Tornando alla posizione finanziaria netta, possiamo dire che è una
differenza tra passività finanziarie e attività finanziarie, ciò vuol dire che se è positiva, l’azienda
avrà più debiti, se è negativa avrà ovviamente più liquidità. Es. passività 1000 – attività 900= 100 di
debiti, se è negativa vorrà dire che si ha più disponibilità liquida. Dopo aver parlato del discount
cash flow e del dividend discount model, parliamo di alcuni indicatori di performance aziendale. La
finalità dell’azienda è quella di produrre ricchezza, creare valore, ciò vuol dire che se io investo in
azienda una certa somma di denaro, da questo investimento mi aspetto un “ritorno” superiore al
rendimento atteso. Se investo 100.000 euro in un’azienda e il rendimento atteso sarà del 10%,
l’azienda deve essere in grado di remunerare un valore superiore al 10%; se ci riesce, l’azienda avrà
creato valore. Se l’azienda guadagnerà meno del rendimento atteso, si parla invece di “distruzione”
di valore, perché ha prodotto di meno. Bisogna dire che anche se il guadagno è inferiore al
rendimento atteso, l’azienda avrà comunque guadagnato qualcosa, ma si parla di distruzione di
valore perché le aspettative erano più alte. Un indicatore di performance aziendale che viene
utilizzato per le valutazioni aziendali in modo sintetico è l’EVA ( economic value added ) che vuol
dire valore aggiunto economico, è un indicatore che ci dice se quest’azienda che io sto considerando
ha creato valore o distrutto valore. Richiamiamo alcuni concetti di finanza aziendale: costo del
capitale proprio (Ke) , che è in pratica il rendimento atteso da parte dell’investitore a titolo di
capitale proprio, e il costo del debito (Kd) che sono 2 componenti del WACC o anche chiamato
costo medio ponderato del capitale (weighted average cost of capital). *ricordiamoci che il
rendimento atteso è sempre collegato al rischio: più è rischiosa l’attività, più il rendimento atteso è
alto.
L’azienda non viene finanziata solo dal proprietario investitore, ma anche dai terzi, e per terzi
intendiamo soprattutto le banche. Anche le banche investono nell’attività per poi guadagnare, dopo
un anno tipo, l’interesse; più è rischiosa l’attività, più l’interesse sarà alto. Es. se abbiamo un
azienda con un totale all’attivo di un milione di euro ( 500.000 versati dal proprietario e 500.000
dalla banca) e tutte e 2 si aspettano un rendimento atteso solo che il proprietario del 10% e la banca
del 5%, come si calcola il costo medio ponderato?? Bisogna fare la sommatoria dei rendimenti
moltiplicato per la percentuale investita, ossia : (50% x 10%)+(50% x 5%)= (0,5*0,1)+(0,5*0,05)=
7,5% che è il costo medio ponderato del capitale. Il costo medio ponderato del capitale esprime
quanto deve remunerare l’azienda al proprietario investitore e alla banca come capitale di debito. Se
il WACC lo vado a moltiplicare per il CAPITALE INVESTITO in azienda ( TOT. ATTIVO stato
patrimoniale) ottengo un numero che se è inferiore al risultato (reddito) operativo netto di
imposte (NOPAT), vorrà dire che l’azienda avrà creato valore, diversamente invece starà
distruggendo valore. *risultato operativo è la differenza tra ricavi tipici e costi tipici (esempio del
piatto di spaghetti ahahahah).
Quindi ribadiamo che se il risultato operativo netto di imposte è maggiore della moltiplicazione tra
WACC e capitale investito, l’azienda avrà creato valore, in caso contrario starà distruggendo valore.
Ritorniamo al concetto dei MULTIPLI che come abbiamo detto prima sono dei rapporti e i più
importanti sono circa 4/5: il primo multiplo si calcola rapportando al numeratore il prezzo di
mercato di un azione e al denominatore l’utile per azione ( P/E ), dove il prezzo di mercato è il
valore del titolo e l’utile per azione è il rapporto tra tutti gli utili della società diviso il numero delle
azioni; se il rapporto è maggiore di 1 vuol dire che il prezzo di mercato è superiore agli utili per
azione e vuol dire che il titolo è SOPRAVVALUTATO; se fosse il contrario cioè il prezzo di
mercato è inferiore all’utile allora il titolo è SOTTOVVALUTATO. Questi sono i criteri per le
aziende quotate, e per quelle non quotate?? Nel caso di società non quotata, dei due parametri
considerati io conosco solo l’utile per azione, il dividendo, e allora per valutare la società non
quotata bisogna far riferimento a una società COMPARATA quotata in borsa, comparata vuol dire
dello stesso settore di attività, ma la comparabilità non è solo il settore ma anche la dimensione. Se
la mia azienda non quotata non ha prezzo di mercato ma conosco l’utile per azione, vado a vedere il
multiplo di mercato della società quotata comparata e mi trovo il prezzo di mercato con
un’operazione matematica inversa.
Esistono poi altri tipi di multipli che non riguardano la parte equity ma la parte “asset side” come ad
esempio quello che al numeratore ha la capitalizzazione di borsa / e al denominatore EBITDA( o
MARGINE OPERATIVO LORDO) che sarebbe l’utile prima delle tasse E un altro multiplo con al
numeratore la capitalizzazione di borsa / e al denominatore EBIT ( risultato operativo) , che
approfondiremo la prossima volta, usati comunque per le società quotate.
Lezione5 4-10-2017
Il Pay Out Ratio (o Dividend Pay Out Ratio) rappresenta la percentuale di utili distribuita agli
azionisti sotto forma di dividendi, rappresenta un indicatore della politica dei dividendi e
rappresenta una proiezione dell’azienda verso il valore.
Nella prospettiva del valore è meglio trattenere gli utili piuttosto che distribuirli, quindi si tratta di
posticipare la remunerazione degli azionisti e di posticipare il momento della realizzazione del
valore. Gli accantonamenti degli utili alle riserve consentono di impiegare dette risorse per ulteriori
investimenti riducendo il fabbisogno aziendale, cioè non distribuire i dividendi consente all’azienda
di autofinanziarsi. Se l’azienda si autofinanzia, diminuisce il grado di dipendenza dall’esterno, così
facendo diventerà meno rischiosa ed essendo meno rischiosa applicheremo un costo del capitale
importante.
Il valore ha due “braccia” il braccio del rendimento ed il braccio del costo (o sacrificio); non
possiamo soltanto analizzare la parte del rendimento, perché il rendimento a sua volta implica il
sostenimento di un costo ed il costo, a sua volta, è direttamente legato al rischio. Se aumenta il
rischio dell’azienda dovremmo applicare un costo del capitale più alto.
Es: immaginiamo un’azienda con un ROE=10% e un costo del capitale=6%; l’azienda decide di
coprire un fabbisogno finanziario non utilizzando la leva dell’autofinanziamento, ma indebitandosi.
Cosa accadrà all’azienda che ha deciso di indebitarsi? Cambierà il profilo di rischiosità
dell’azienda.
Tenendo conto che il costo del capitale è un costo-opportunità, cioè si deve riconoscere agli
azionisti un rendimento pari a quello che l’azionista avrebbe potuto realizzare se avesse investito in
altre aziende aventi lo stesso rischio. Se l’azienda cambia profilo di rischio si posizionerà su
un’altra fascia composta da società aventi maggiori rischi e verrà applicato un costo del capitale più
alto.
In tutte le analisi non si può prescindere dall’analisi del rischio, così come non si può prescindere
dalla prospettiva di crescita. Infatti, altra componente importante del valore che non risulta dalla
performance contabile è la prospettiva di crescita, dunque l’Analista deve essere in grado di stimare
le prospettive di crescita, valorizzare i cambiamenti sul profilo di rischio e valorizzare le
performance.
Stima del costo del capitale: CAPM (Capital Asset Pricing Model)
Secondo questo modello, abbiamo un rendimento minimo di mercato, il cd “Risk Free”, ovvero il
rendimento degli asset senza rischio e può essere approssimato dal rendimento dei Titoli di Stato.
Dunque, partiamo da un rendimento certo e applichiamo ad esso il cd “Rischio sistematico”, il quale
riguarda tutte le azioni. Il rischio sistematico assume un’intensità diversa a seconda dei titoli presi in
considerazione, questa intensità è rappresentata dal coefficiente Beta. Esistono titoli che contengono
il rischio sistematico ed esistono titoli che lo amplificano. Vi è il rischio sistematico che riguarda
tutto il mercato azionario ed il rischio specifico che riguarda la singola azienda.
Secondo la teoria del portafoglio, il rischio specifico può essere neutralizzato mediante la
diversificazione, ovvero l’investitore anziché concentrare le sue disponibilità su un solo titolo può
distribuire le risorse su più titoli, così facendo riesce a neutralizzare il rischio specifico perché i
titoli si muovono in direzioni diverse (se un titolo scende l’altro sale e vi è una compensazione).
Dunque abbiamo:
= +( × )
β si calcola mediante l’analisi di regressione, e misura come cambia il titolo rispetto alla
componente di mercato, in particolare il rischio di un titolo è rappresentato dalla volatilità del
rendimento. β quindi, in quanto grandezza rappresentativa della variabilità del titolo rispetto alla
variabilità del mercato, lo possiamo ottenere mediante l’analisi storica dei rendimenti del titolo e dei
rendimenti del mercato.
Dunque, andiamo su un foglio Excel, riportiamo in una colonna i rendimenti del mercato, in
un’altra colonna i rendimenti del titolo azionario. Si ipotizza una funzione di regressione di tipo
lineare, la variabile dipendente sarà rappresentata dai rendimenti del titolo (Y) e la variabile
indipendente dai rendimenti di mercato (X). Si considerano i rendimenti mensili su un periodo di 5
anni e quindi avremo un totale di 60 rendimenti (12 x 5). I rendimenti (sia del titolo che del
mercato) saranno calcolati nel seguente modo:
β<1 : la funzione di regressione è più spostata verso l’asse dell’ascisse (coeff angol
minore) ciò significa che il titolo contiene gli andamenti del mercato. La pendenza della
funzione di regressione indica come potrà essere il rendimento del titolo rispetto al
rendimento del mercato.
Lezione 6 5-10-2017
Nelle società di capitali, il capitale sociale è formato da azioni che rappresentano frazioni di capitale sociale,
permettendo all’azionista di essere proprietario dell’azienda e di esprimere il diritto di voto in assemblea. Vi
sono diverse categorie di azioni:
• Azioni ordinarie: attribuiscono al detentore sia il diritto di voto che il diritto patrimoniale di
percepire gli utili. Tanto maggiori sono i diritti associati alle azioni e tanto più alto sarà il prezzo, e
viceversa, ecco perché il prezzo di queste azioni risulta essere più alto rispetto a quelle di risparmio;
• Azioni di risparmio: i detentori non possono esercitare il diritto di voto, ma possiedono soltanto i
diritti patrimoniali. Per tali azioni viene assegnato il diritto ad un dividendo minimo garantito anche
se non sono stati percepiti utili e risulta essere maggiore rispetto a quello spettante dalle azioni
ordinarie. Se in un esercizio non vengono distribuiti, tali dividendi rappresentano un credito
nell’anno successivo. Le azioni di risparmio vengono emesse per ottenere nuove risorse senza
intaccare il controllo della società. Solo le società quotate possono emettere questa tipologia di
azioni che solitamente vengono acquistate da categorie di risparmiatori.
Il fatto di emettere le azioni di risparmio consente agli azionisti di maggioranza di mantenere la loro
posizione di controllo e nel contempo di finanziare l’azienda. Questa tecnica è stata adottata dai
principali gruppi italiani per continuare a controllare le società riducendo gli investimenti. Per il
nostro ordinamento giuridico, si riesce a controllare il 100% della società sostenendo un
investimento pari al 51% della società (o anche percentuali più basse). Chi possiede tale percentuale
ha la maggioranza e il voto più pesante in assemblea.
• Azioni privilegiate: consentono ai loro detentori di votare soltanto nel corso della assemblee
straordinarie, contrariamente a quanto accade invece per i detentori di azioni ordinarie, che votano
nel corso di tutte le assemblee. A fronte di tale sacrificio dal punto di vista del diritto di voto, alle
azioni privilegiate viene riconosciuto un dividendo maggiore rispetto a quello fissato per le azioni
ordinarie.
Le azioni sono caratterizzate da:
1. Indivisibilità;
2. Autonomia;
3. Libertà nella trasferibilità: il capitale è liberamente trasferibile. Come si concretizza il trasferimento
delle azioni? Tramite il Mercato. Le società quotate rispetto alle non quotate sono agevolate dal fatto
che possono vendere sul mercato le proprie azioni. Si parla di rischio di liquidità dell’investimento,
cioè il rischio di non poter monetizzare l’investimento. Le società quotate dunque sono meno
rischiose rispetto alle società non quotate in quanto gli investimenti possono essere monetizzati più
facilmente.
In ambito economico-finanziario i mercati sono istituzioni caratterizzate dalla presenza di due o più
soggetti (operatori) che si scambiano valori mobiliari (strumenti) secondo determinate modalità. Il
mercato primario è quello sul quale avviene l'emissione di nuovi strumenti finanziari, mentre sul
mercato secondario avviene lo scambio di titoli già in circolazione. Dunque, nel mercato secondario
non ci sono più società, ma tutti i risparmiatori. Ogni azione ha un rischio di liquidità differente in
quanto dipende dal numero dei titoli in circolazione, cioè dalla quantità di flottante. Il flottante è il
numero di azioni non detenute dall’azionista di maggioranza. Tanto maggiore è il flottante e tanto
maggiore è il rischio di liquidità. A riguardo, è opportuno distinguere:
• Titoli sottili: hanno un basso flottante; sono più rischiosi
• Titoli liquidi: hanno un alto flottante (Es: titoli Fiat).
RATING
Il rating è un giudizio che viene espresso da un soggetto esterno e indipendente, l’agenzia di rating, sulle
capacità di una società di pagare o meno i propri debiti. L’agenzia di rating valuta la solvibilità di un
soggetto emittente obbligazioni; in altri termini attribuisce un giudizio circa la capacità della stessa di
generare le risorse necessarie a far fronte agli impegni presi nei confronti dei creditori. Il rating è importante
soprattutto per chi fa trading sul mercato obbligazionario del debito sovrano (mercato dei Titoli di Stato). Vi
sono tre agenzie internazionali che pubblicano il rating di tutti gli Stati: Moody's, Standard & Poor's e Fitch
Ratings. A seconda del rating abbiamo il tasso di interesse dell’obbligazione, tanto migliore è il rating e tanto
più basso è il rendimento.
Come possiamo vedere il rating dei Paesi? Andiamo su ideainvestimento.it, andiamo su “Paesi ed Indicatori
economici”, clicchiamo su “Titoli di Stato Mondiali: Rendimenti” è possibile visualizzare tutti i paesi con le
relative percentuali; il Paese di riferimento assunto è la Germania, non a caso ha 0 bp (basis point= punti
base dello spread1, per rapportarli occorre dividerli per 100); se prendiamo in considerazione anche il
rendimento dei titoli tedeschi, che ad oggi risulta essere 0.45%, notiamo che acquistando 100000 euro di
titoli tedeschi, a fine anno avremo 450 euro di interessi. L’Italia ha 181 bp, prendiamo 0.45% della Germania
e aumentiamo di 1.81% arrivando ad un rendimento dell’Italia di 2.26%, che rappresenta il rendimento a 10
anni. In sostanza, l’Italia ha un differenziale di rendimento sui titoli di 1.81%, questo accade perché l’Italia è
più rischiosa. Questi confronti possono essere effettuati soltanto in Europa in quanto vi è la stessa valuta.
Andando, invece, nell’elenco “rating aggiornati” possiamo notare che all’Italia, secondo l’agenzia Standard
& Poor’s, viene assegnato un rating BBB- per cui si sta avvicinando ai titoli high risk (ad alto rischio).
Standard & Poor’s utilizza una metrica di valutazione impostata con delle lettere che parte dalla AAA, che è
la migliore in assoluto, e viene attribuita alle società che hanno un’elevata capacità di ripagare il debito, poi
si avrà AA, A, BBB, BB e così via fino ad arrivare alla lettera D, che viene assegnata quando una società è
insolvente. Occorre aggiungere che una valuta forte consente di contenere lo spread.
1
Spread: differenza tra il rendimento di un titolo decennale di un determinato paese dell’Eurozona e quello omologo
del Bund tedesco, preso come punto di riferimento perché considerato il titolo del debito sovrano più sicuro; è
insomma il gap tra i tassi sui titoli pubblici dei due paesi presi in esame.
Si viene a creare un circolo vizioso: tanto più è rischioso lo Stato e tanto più saranno alti gli interesse, ma dal
momento che gli interessi vengono pagati dallo Stato, quest’ultimo si troverà ad essere sempre più rischioso.
Il prezzo dei titoli come si forma? Dipende dalla forza contrattuale dei sellers (che fisseranno un prezzo
minimo) e dalla forza contrattuale dei buyers (che fisseranno un prezzo massimo), inoltre dipende dalla
numerosità dei contraenti (dimensioni del mercato) e dalle caratteristiche del mercato. Il prezzo viene anche
determinato in base all’utilità che il bene ha.
Lezione 7- (Diamanti) 11-10-2017
Solitamente quando parliamo di multipli di mercato, parliamo di società che sono quotate in borsa. Vengono
utilizzati i multipli di mercato per effettuare valutazioni di società non quotate, prendendo come riferimento
il multiplo di mercato della società quotata, è però necessario che le due società siano comparabili, ovvero
che operino nello stesso settore.
Al numeratore solitamente si prendono dei valori che ci permettono di calcolare direttamente il valore
dell’equity della società, ovvero il capitale proprio della società. Posso percorrere due strade:
• i multipli nell’ottica dell’equity side; in grado di calcolare direttamente il valore del capitale netto
(capitale sociale + riserve) della società che devo valutare.
• i multipli nell’ottica di asset side; non calcola il valore dell’equity ma il valore complessivo dell’azienda,
ovvero il valore dell’attività dello stato patrimoniale.
Schema di SP dove il valore dell’equity esprime il valore di un’azienda che compete ai proprietari azionisti.
Attività Passività
Immobilizzazioni Debiti 500
Attivo circolante Equity ? → 500
Tot attività 1000 Tot passività 1000
1) EQUITY SIDE; Se calcolo con i multipli di mercato il valore di un’azienda non quotata, dal risultato
dell’operazione mi calcolo direttamente il valore dell’equity.
Il multiplo di mercato più usato è il rapporto tra prezzo di mercato/utile per azione.
Il prezzo di mercato è il prezzo del titolo di oggi, mentre l’utile per azione è un risultato che non posso
esprimere oggi non avendo il dato, ma ho solo il dato pubblicato dell’anno precedente. In ogni caso il dato va
calcolato, e quindi ipotizziamo che al numeratore il prezzo di mercato sia 10 e l’utile per azione nell’ultimo
bilancio sia 2 euro (per ogni azione sono stati dati 2 euro), possiamo dire che l’utile per azione sia come il
dividendo? NO, perche l’utile per azione è un rapporto tra l’utile della società e il numero di azioni, invece il
dividendo è la quota parte dell’utile che viene ridistribuito. Sono due concetti diversi perché nel momento in
cui la società ha realizzato l’utile non è detto che quell’utile venga materialmente distribuito agli azionisti.
= =
Se il rapporto è 5 (molto alto) significa che il titolo è sopravalutato; ovvero spendendo 10, per rientrare
nel mio investimento necessito di 5 anni. Se il titolo è sopravvalutato normalmente o non viene acquistato
oppure viene acquistato per altre finalità differenti dal rientro dell’investimento.
Se fosse invece = significa che investo 10 e dopo un anno sono rientrato nel mio investimento.
Se fosse invece = , vuol dire che il titolo è sottovalutato, spendo 10 per acquistare il titolo e dopo
un anno l’utile per azione è 20, quindi torno nel mio investimento in 6 mesi. È un titolo molto appetibile.
Se tutti pero acquistassero questo titolo il prezzo aumenterebbe e si ridurrebbe il rendimento.
Quando valuto una società non quotata non avrò il prezzo, ma conosco solo l’utile e posso dividerlo per il
numero di azioni per trovarmi il prezzo → = 0,5 → 20 × 0,5 = 10 → = 10
Quindi calcolato il numeratore della frazione e devo poi calcolare il valore dell’equity (che nelle società
quotate è la moltiplicazione del numero delle azioni per il prezzo di mercato) ma nelle società non quotate
dobbiamo prendere il prezzo di mercato calcolato con i multipli e lo moltiplico per il numero delle azioni.
La tecnica dei multipli di mercato viene associata alla tecnica del Discounted Cash Flow che valuta le
aziende attraverso lo sconto dei flussi di cassa (attualizzo i flussi e faccio la sommatoria dei flussi
attualizzati), quindi faccio prima la valutazione con il DCF e poi valuto l’azienda con la tecnica del multiplo
di mercato e lo metto a confronto per vedere se ci sono differenze. Non si può quindi valutare l’azienda solo
attraverso il DCF o solo i multipli di mercato, infatti in genere calcolo il rapporto prezzo/equità di varie
aziende che operano nello stesso settore quotate in borsa; faccio una media di ogni rapporto P/E di ogni
società del settore. Più sono le società e più ho la possibilità di ridurre il mio errore di valutazione; avrò
quindi una media del denominatore e una media del numeratore, e questo risultato lo esprimo sottoforma di
rapporto.
2) ASSET SIDE; fa riferimento al valore complessivo dell’azienda (CP + debiti); generalmente al numeratore
abbiamo l’Enterprice Value o valore dell’azienda quotata in borsa (capitalizzazione di mercato; numero
delle azioni per il prezzo di mercato) e al denominatore o il margine operativo lordo (EBITDA; ricavi –
costi caratteristici esclusi i costi degli ammortamenti) o il risultato operativo (EBIT; utile prima delle
imposte e al netto dell’ammortamento) oppure i ricavi dell’azienda.
Come mi calcolo l’incognita se la mia azienda non ha il valore? Facendo l’inverso → (500000 x 2) ed
ottengo il valore (EV) della mia azienda. Se volessi invece conoscere quale è il valore che spetta alla società,
quindi l’equity? Per saperlo basta prendere il totale dell’attivo e sottrarne la PFN per ottenere l’equity.
Attività Passività
Immob. 1000 Fornitori 200
Clienti 500 Mutui 300
Rimanenze 500 Capitale netto 1600
Cassa 100
Tot attività 2100 Tot passività 2100
Attività Passività
CCN 800 Patrimonio netto 1600
Immob. 1000 PFN 200
Tot attività 1800 Tot passività 1800
Posizione finanziaria netta (PFN)= un margine che esprime i debiti che ha l’azienda → Debiti finanziari −
attività finanziarie → (300-100)=200 la PFN è positiva ma in questo caso va nelle passività perché i
debiti finanziari sono maggiori delle attività finanziarie.
Capitale circolante netto = sommatoria (margine) tra crediti verso clienti + rimanenze di magazzino – debiti
operativi (debiti verso fornitori) → (500+500-200)=800
(Intrisano) → Capitoli del libro “Finanza Aziendale - Analisi, valutazioni e decisioni finanziarie” da
fare:
• Capitoli 5-7-9-10-12-15-16-20
Capitolo scritto dal prof. Intrisano → «Il costo del capitale proprio delle società non quotate.»
Lezione:
Parliamo del costo del capitale proprio e del costo del capitale di debito, entrambe hanno le loro
remunerazioni.
Prendiamo in considerazione gli interessi (nel conto economico) e nello stato patrimoniale il debito residuo
(mutui o debiti vs banca); per sapere il costo del debito bisogna fare un rapporto tra gli interessi (numeratore)
Questo non è il però il costo del debito perché il costo che deve interessare all’analista è il costo che
attualmente l’azienda dovrebbe sostenere se ottenesse oggi quei finanziamenti.
Ad esempio un mutuo, con un debito residuo di 100000 euro e 15000 euro di interessi, immaginiamo che
questo mutuo sia stato acceso alla fine del 2011 quando lo spread dei titoli italiani era di 500 punti base,
quindi tassi di interessi notevolmente più alti. Quello che ci ritroviamo in bilancio non è esplicativo delle
attuali condizioni, perché se vado sul mercato e chiedo 100000 euro a debito quanto mi costa questa
operazione? Se cerco queste operazioni dal bilancio ottengo valutazioni di anni passati, invece necessito di
un’informazione attuale. Quindi il bilancio ci dice pochissimo anche per quanto riguarda il costo del debito.
In finanzia aziendale il bilancio ci interessa veramente poco, perché sostanzialmente l’analista non guarda al
passato ma al futuro, si da un peso maggiore alle prospettive del futuro anche se è chiaro che il passato può
rappresentare una base del futuro ma è comunque impossibile basare l’analisi sul bilancio.
Il costo del debito NON può quindi essere desunto dalla contabilità.
Il costo del capitale proprio anche NON si può determinare dalla contabilità, è completamente diverso da
quello che si può desumere dal bilancio. Come si costruisce il costo del capitale proprio? L’azienda viene
intesa nel mercato (e non isolata come in economia aziendale) e l’azionista come un operatore del mercato, e
quindi le attese che ha l’azionista sono le attese maturate dal mercato e significa che chi investe lo fa perché
ha determinate aspettative e intende realizzare un determinato rendimento in ragione del rischio. Se si
acquista un titolo più rischioso ci si aspetterà un rendimento maggiore, e questa è la logica
rendimento/rischio.
Quando si decide di investire in una società, ci si priva nel contempo della possibilità di investire in un'altra
società, ed è la logica del capitale proprio, chiamata logica costo/opportunità. Quindi si tratta di definire il
rendimento atteso relativo ad un determinato asset che è funzione del rischio. Possiamo quindi dire che in
base al Capital Asset Pricing Model (CAPM); il rendimento atteso su investimento è:
Ṝ = !" + (% × &!')
• Rf= Risk free (senza trattino sopra perché è un rendimento certo e non atteso) è quello dei titoli di stato;
• Premio per il rischio di mercato (PRM): premio che si riconosce all’investitore qualora investisse
sull’intero portafoglio di mercato;
• β (Beta): è il peso per il rischio sistematico.
Esempio: il rendimento dei titoli di stato tedeschi è di 0,5 allora l’investitore deve prendere come minimo
uno 0,5 ,ma non si accontenterà di ciò perché si assume un rischio e quindi vuole più di 0,5 e quindi parliamo
del premio di mercato.
Il rischio specifico non richiede nessuna remunerazione perché può essere annullato.
Il rischio sistematico (secondo il CAPM) si dice che interessi tutte le azioni ma con intensità diversa da
azione ad azione e quindi bisogna applicare un coefficiente. È un rischio che riguarda tutto il mercato e in
alcuni titoli si amplifica e in altri si riduce (ipotizziamo un premio del 5%).
Ipotizziamo:
Nei titoli in cui il rischio sistematico si amplifica, rispetto a quello di mercato, dobbiamo dare un premio
maggiore del 5% e dare un coefficiente beta maggiore di 1 (β >1).
Se invece il rischio del titolo è uguale al rischio di mercato, se quello di mercato sale e sale anche quello
del titolo o il contrario, possiamo dare lo stesso rendimento e il coefficiente beta sarà uguale ad 1. (replica
del rischio di mercato)
Se invece il rischio sistematico si riduce bisognerà applicare al titolo un rendimento minore di 5% e
quindi un beta minore di 1 (β <1).
SCHEMI DI RIELABORAZIONE
Lo schema classico disciplinato dalla Consob è quello in cui abbiamo le attività correnti e passività
non correnti. Le società non quotate hanno anche un’altra elaborazione dello stato patrimoniale che
è il c.d. criterio della pertinenza gestionale. La posizione finanziaria netta è un margine importante
che si usa spesso.
Oltre allo stato patrimoniale che viene rielaborato secondo il criterio della pertinenza gestionale,
anche il conto economico, spesso viene rielaborato con degli schemi che sono diversi da quelli
tradizionali che conosciamo. La rielaborazione del conto economico, solitamente viene fatta
secondo:
1) gli schemi di rielaborazione a costi fissi e a costi variabili del conto economico;
2) rielaborazione secondo lo schema del valore aggiunto;
3) rielaborazione a costo del venduto
Tra questi tre schemi, quello che normalmente utilizziamo sono quelli a costo fisso e a costo
variabile e il valore aggiunto.
Se bisogna rielaborare il conto economico, devo partire dallo schema civilistico.
Se prendo in considerazione la rielaborazione secondo lo schema del costo fisso e del costo
variabile, devo sostanzialmente conoscere quali sono i costi fissi e quali sono i costi variabili.
Solitamente i costi variabili, sono tutti quei costi che variano al variare della produzione, mentre i
fissi sono quelli che vengono sostenuti indipendentemente dal volume di produzione.
I costi fissi sono ad esempio: 1) affitti (li prendo negli oneri diversi di gestione), 2) costo del
personale.
Partendo dallo schema civilistico del conto economico, la lettera A (valore produzione) rimane
uguale, poi vado a prendere tutti i costi variabili e ottengo:
MARGINE DI CONTRIBUZIONE =Val. PROD (ricavi di vendita) - Costi Variabili
Il margine di contribuzione esprime la differenza tra i ricavi di vendita di un’azienda e i costi
variabili. Più è alto il margine di contribuzione, più l’azienda sarà capace di coprire i costi fissi.
Poi inserisco i costi fissi(costo del personale; costo affitto;) e ottengo:
UTILE D’ESERCIZIO= Margine di contribuzione – costi fissi
L’utile che troviamo con la riclassificazione, sarà uguale all’utile che troviamo nel conto economico
civilistico.
Un’altra riclassificazione importante è quella del VALORE AGGIUNTO dato dalla differenza
tra i ricavi di vendita di un’azienda e tutti i costi che l’azienda sostiene all’esterno, sono tutti i costi
tranne i costi del personale e gli ammortamenti. Partendo dallo schema civilistico, faccio A – B e in
B non considero i costi del personale e ammortamenti.
Ottenuto il valore aggiunto, poi è possibile sottrarre i costi del personale e gli ammortamenti così da
ottenere:
MARGINE OPERATIVO LORDO (MOL o EBITDA)= VALORE AGGIUNTO - COSTI
PERSONALE
RISULTATO OPERATIVO (EBIT) = MOL - AMMORTAMENTI
LEZIONE 8 19-10-2017
INTRISANO
In cosa consiste il costo del capitale delle società non quotate?
Il costo del capitale proprio corrisponde agli investimenti alternativi che l’azionista avrebbe potuto realizzare
se avesse deciso di investire in questi asset.
E’ come se l’azionista avesse avanti a se una serie di alternative di investimento e per ogni alternativa
conosce il relativo rendimento del rischio, quindi per ogni asset, per ogni modalità di investimento conosce
sia il rischio sia il rendimento. Quindi ogni volta che decide lo fa in base alla combinazione del rendimento e
del rischio.
Quando deve decidere, effettivamente, di investire in una società, ha avanti a se in relazione a questo
investimento la rappresentazione sia dei benefici e sia dei sacrifici. I benefici sono rappresentati dai
rendimenti che può ottenere da quell’investimenti (dividendi e aumenti di capitale inteso come capital gain),
il sacrificio è rappresentato dal rendimento che avrebbe potuto ottenere in altri investimenti (ovvero in
un’altra società che ha lo stesso profilo di rischio quindi ci si riferisce al costo opportunità del capitale).
Il rendimento alternativo si calcola partendo dal rendimento risk free e si aumenta a tele rendimento un
premio che corrisponde al rischio che si accolla l’investitore (es: il rendimento delle obbligazioni tedesche è
0,5 che è il rendimento risk free, le obbligazioni pubbliche italiane danno 180 punti base in termini di spread
ovvero basic point 1,80%.
1 domanda: a quanto ammonta il rendimento dei titoli di stato italiani? Ammonta a 2,30.
A prescindere dal tipo di azione, se noi investiamo in un’azione ora in Italia il rendimento al di sotto del
quale non si può scendere non può essere inferiore al 2,30.
2 domanda: di quanto si deve distanziare rispetto a 2,30? Il problema è quello del premio che bisogna
riconoscere a quel tipo di azione, non può quindi essere inferiore a 2,30 ne uguale a 2,30 altrimenti
sceglieremmo il titolo di stato.
Stimiamo quindi il premio da aggiungere al rendimento risk free. Come si determina il premio? Si può
determinare in base alla logica del CAPM, che ci dice: abbiamo un premio associato a tutto il portafoglio di
mercato (posso frazionare, comunque, il mio investimento su tutti i titoli esistenti ottenendo l0intero
portafoglio di mercato), se acquistassi l’intero portafoglio mi aspetto di realizzare come rendimento atteso un
premio da aggiungere al rendimento risk free corrispondente al rischio del portafoglio di mercato. il
portafoglio di mercato ha due rischi: RISCHIO SISTEMATICO: dovuto dal mercato e quindi non è possibile
eliminarlo;
RISCHIO SPECIFICO: in questo caso annullato perché si ha l’intero portafoglio del mercato.
il premio per il rischio di mercato si aggira intorno al 4-5 %.
Gli analisti e prof. assumono il tasso che in maniera prevalente viene utilizzata sia nel campo della ricerca sia
nel ambito dell’analisi finanziaria.
Una volta assunto come dato il premio per il rischio di mercato (es. pari al 5%), dobbiamo calcolare il Beta,
basandoci su una serie storica dobbiamo fare attenzione se in quella serie storica ci siano degli eventi
straordinari che dobbiamo eliminare per normalizzare la serie.
Quando tracciamo la funzione di regressione con una funzione retta, abbiamo tre scenari:
1-la funzione retta corrisponde esattamente alla bisettrice del primo quadrante (inclinazione 45 gradi, in
questo caso il rischio di mercato ha un coefficiente angolare pari a 1 e quindi replica il mercato);
2-inclinazione maggiore di 1
3-inclinazione minore di 1
il Beta diventa importante perché ci consente di anticipare il futuro e di approssimare il rischio che è un
rischio rispetto alla volatilità del mercato.
Quale sarà il rendimento del titolo rispetto alla volatilità del mercato? se il titolo ha un beta inferiore a 1 la
sua volatilità sarà bassa, se il beta è maggiore di uno la volatilità sarà molto accentuata rispetto a quella di
mercato è quindi il titolo sarà più rischioso=
Il rendimento atteso: R (TRATTINO SOPRA LA R NON SO COME SI METTE!)=Rf+(beta x premio per il
rischio di mercato).
*Rf: rendimento risk free.
La funzione di regressione serve a descrivere l’andamento di una variabile, è comunque un’approssimazione,
quindi stiamo in un ambito probabilistico.
Riguardo il costo del capitale per le non quotate: sappiamo che per calcolare il costo del capitale per le
società quotate, prendiamo in considerazione il rendimento, o meglio, la variabilità del rendimento sul
rendimento di mercato. Ovvero stimiamo il rischio dell’azione sulla base del confronto tra rendimento
storico dell’azione e rendimento di mercato. il rischio quindi è: quanto varia il rendimento dell’azione
rispetto al rendimento di mercato?
Per le società non quotate non possiamo utilizzare questo approccio in quanto non hanno un rendimento di
mercato ne’ tantomeno abbiamo il mercato di riferimento.
Abbiamo inventato una metodologia nuova per stimare il costo del capitale delle società non quotate. Questa
nostra metodologia parte sempre dal costo del capitale delle società quotate e arriva, con una serie di
accorgimenti, al costo del capitale per le società non quotate.
L’assunto principale che mi sono posto, è stato uno, ovvero a parità di condizioni ciò significa che
prendiamo due società che hanno lo stesso fatturato, lo stesso business, la stessa longevità con l’unica
differenza, una è una società quotata e l’altra no.
Quale tra le due è più rischiosa?? È sicuramente più rischiosa quella non quotata perchè esiste un rischio di
liquidità e quindi non posso vendere quando voglio.
Immaginiamo che non ci sia neanche questo rischio, e vediamo che il rischio fondamentale che distingue le
società quotate da quelle non quotate è il fatto che le società quotate hanno degli obblighi informativi e di
trasparenza nel mercato e questo permette di garantire maggiormente l’azionista che avrà maggiore
informazione rispetto ad un’azionista di una società non quotata.
Le società di capitali depositano ogni anno i bilanci nei pubblici registri cosi che chiunque voglia avere delle
informazioni su quella società, può averle ma si trattano pur sempre di informazioni parziali. Le società
quotate invece pubblicano tutte le informazioni sul loro sito che permette quindi un facile accesso a tutti,non
è necessario andare in camera di commercio e scaricare il bilancio.
Quindi abbiamo detto che la società quotata è meno rischiosa di una non quotata e quindi possiamo dire che
il rendimento che ci si aspetta di realizzare un investitore in una società non quotata deve essere maggiore
rispetto a quello che otterrebbe in una società quotata.
Per calcolare il rendimento delle società non quotate, si applica un’ulteriore premio da aggiungere al
rendimento di una società quotata equivalente.
Determiniamo un beta totale per le società non quotate.
Il beta considerato per le società quotate è il cosiddetto beta levered cioè un beta che già sconta l’effetto
della leva finanziaria.
Abbiamo pensato di calcolare un beta globale, a prescindere se sia levered o unlevered, perchè il beta che vi
ho suggerito di determinare, è un beta che riguarda semplicemente il coefficiente di moltiplicazione da
calcolare al rischio sistematico in quanto si ipotizza che il rischio specifico non esista più perchè ho un
rendimento di mercato e il rischio specifico è stato annullato.
Nel nostro calcolo, abbiamo ipotizzato che la diversificazione non esista per cui se non esiste l’effetto della
diversificazione, ho anche da remunerare il rischio specifico ed in effetti è quello che accade nelle società
non quotate e non esiste la possibilità di diversificare l’investimento. Quindi oltre a remunerare il rischio
sistematico, devo remunerare anche il rischio specifico quindi, invece di calcolare solo il beta per il rischio
sistematico, considero il beta globale ovvero di quanto varierebbe il rendimento dell’azione se ci fosse anche
il rischio specifico?
Partendo dal fatto che per le società non quotate, noi abbiamo un rischio specifico che non può essere
annullato. Una volta determinato il nostro beta globale su tutti i settori e avendo fatto la nostra analisi su tutto
il mercato europeo, ad eccezione del mercato anglosassone, abbiamo determinato un beta globale di
riferimento per ogni società che utilizzeremo per calcolare il costo del capitale per una società non quotata.
LEZIONE 9 (DIAMANTI) 19-10-2017
IL MERCATO DEL CONTROLLO
Se volessi diventare proprietario e controllare un’azienda, posso farlo attraverso l’acquisizione di
azioni di quella società che ho intenzione di controllare. Non è detto che debba necessariamente
possedere la maggioranza delle azioni per avere il controllo in quanto a volte si può possedere il
controllo anche essendo proprietario solo di una parte di azioni. Nel caso in cui si possieda la
maggioranza delle azioni sia ordinarie che di risparmio, allora risulterà una coincidenza tra chi ha
la proprietà e chi esercita il controllo, ma in realtà per esercitare il potere di controllo, non è
necessario possedere anche le azioni di risparmio ma solo quelle ordinarie che attribuiscono il
diritto di voto.
Questo è possibile solo nelle società che emettono entrambe le categorie di azioni, perché se una
società ha soltanto azioni ordinarie, per esercitare il controllo devo avere la maggioranza del
capitale sociale.
Nelle società di capitali, il capitale sociale è formato da azioni che rappresentano frazioni di capitale
sociale, permettendo all'azionista di essere proprietario dell'azienda (in quota parte) e di esprimere il
diritto di voto in assemblea. Vi sono diversi tipi di azioni:
- Azione ordinaria: danno al detentore il diritto di percepire gli utili e di esercitare il diritto di voto;
- Azioni di risparmio: i detentori non possono esercitare il diritto di voto ma possiedono soltanto i
diritti patrimoniali. Per tali azioni vengono assegnati i dividendi di una certa quantità minima
anche se non sono stati percepiti utili (dividendi minimi garantiti). Se in un esercizio non
vengono distribuiti, tali dividendi rappresentano un credito nell'anno successivo. Solo le società
quotate emettono azioni di risparmio e si crea una separazione tra proprietà e controllo della
stessa attraverso un istituto giuridico.
Se non vi sono azioni di risparmio per esercitare il controllo, bisogna avere il 51% del pacchetto
azionario. Chi possiede tale percentuale ha la maggioranza e il voto più pesante in assemblea.
Se avessi 900.000 € di azioni ordinarie e 100.000 € di risparmio, per esercitare il controllo deve
avere il 51% di 900.000 (azioni che danno diritto al voto).
I GRUPPI PIRAMIDALI A
I gruppi possono essere distinti in base ai soggetti: gruppi pubblici o privati. 51%
Esistono diverse configurazioni:
B
• Grappolo: la società A controlla la società B con il 51% e la società B
51%
controlla con il 51% la società C. La società A è la capogruppo perché
C
oltre al controllo diretto sulla società B controlla indirettamente C
mediante B.
A
• Pettine: la società a controllo direttamente la società A, B e
C e per avere questo controllo diretto deve possedere in tutti
51% 51% 51%
B C D e tre i casi il 51% (la maggioranza). La capogruppo riesce a
controllare meglio il gruppo intero perché le controlla
direttamente.
A
• Misto: la società A controlla con il 51% la società B che a sua volta 51%
controlla direttamente C,D,E (coni con il 51% in tutte). La società A è B
comunque la capogruppo che controlla direttamente B e mediante questo 51%
51%
51%
controlla indirettamente C, D, E. C E
D
1
più società che si uniscono, con diversa personalità giuridica e autonomia finanziaria, patrimoniale; si uniscono con lo
scopo di realizzare degli interessi economici. Per entrare a far parte di un gruppo è necessario acquistare
partecipazioni del capitale sociale.
Regola della proprietà integrata attribuisce all’investitore iniziale la
possibilità di avere gli utili a cascata nel caso in cui un soggetto investe
nella società capogruppo, riesce ad ottenere gli utili di tutte le società del
gruppo se la struttura è a grappolo.
PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
Rappresenta le previsioni che l'azienda fa riguardo le entrate e le uscite future nel breve periodo (1-
2 anni ma anche pianificazione mensile) e nel lungo periodo (5 anni).
L'azienda deve cercare di prevedere basandosi sui dati storici. Tale pianificazione è molto
importante per dare anche informazioni agli azionisti circa la capacità di fare programmazioni che
poi verranno confrontati con ciò che realmente accadrà.
Il piano di solito non è più lungo di un anno e viene modificato giornalmente.
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
È una previsione in ambito di struttura completa dell'azienda e non solo di cassa come il piano
finanziario; ma anche della struttura dal punto di vista patrimoniale.
Tale piano ha una durata di circa un anno ed è legato non solo alle entrare e uscite ma anche a debiti
verso dipendenti, debito verso fornitori, scorte di magazzino. Dopo un anno si fa un rendiconto per
vedere se le previsioni sono state rispettate.
Il punto di partenza per entrambi i piani e l'ammontare delle vendite: vale a dire stimare
l'ammontare delle vendite che l'azienda prevede di fare in un determinato periodo di tempo.
Tali previsioni annuali si proiettano giornalmente: giorno per giorno si fa una previsione circa la
produzione prevedendo ad esempio tutto ciò che è legato ai dipendenti, materie prime, eccetera.
RICLASSIFICAZIONE STATO PATRIMONIALE SECONDO IL CRITERIO
LIQUIDITÀ/ESIGIBILITÀ(o FINANZIARIO)
Criterio legato al tempo di monetizzazione e scadenza delle poste attive e passive dello SP. Per le attività si
fa riferimento al tempo che impiegano per tornare in forma liquida/monetaria; per le passività al tempo in cui
risultano esigibili, cioè il tempo che impiegano ad essere rimborsati e che coincide con la scadenza.
La riclassificazione esprime l’attitudine degli investimenti e delle fonti di finanziamento a procurare o
richiedere mezzi di finanziamento. Deve esserci equilibrio tra scadenze temporali di investim. e finanziam.
S.P.
IMPIEGHI FONTI
a) Disponibilità liquide immediate (cassa e banca) a) Fonti elastiche (debiti con scadenza entro l’anno) BP
b) Disponibilità liquide differite (crediti) b) Fonti consolidate (“” oltre l’anno)
Tornano in forma liquida entro l’anno LP
c) Disponibilità finanziarie c) Patrimonio netto (non ha scadenza)
- rimanenze prodotti finiti
- rimanenze semilavorati
- rimanenze materie prime
Disposte a seconda del tempo di
monetizzazione: un prodotto finito torna in
forma liquida prima di un semilavorato o di
BP una materia prima.
TOTALE CAPITALE CIRCOLANTE LORDO
LP (a+b+c)
IMMOBILIZZAZIONI NETTE
Tornano in forma liquida oltre l’esercizio
Il prospetto ci permette di verificare se esiste un equilibrio temporale tra impieghi e fonti. Tale equilibrio
esiste solo se gli impieghi di breve termine (BP) sono stati finanziati con le fonti di breve termine. Ad
esempio se devo acquistare materie prime ricorre alle fonti elastiche.
Differenza tra impieghi e fonti = MARGINI
EQUILIBRIO TEMPORALE = - Nel tempo immediato disponibilità liquide immediate con fonti
elastiche
- Nel breve tempo capitale circolante lordo con fonti elastiche
- Nel medio/lungo tempo immobilizzazioni nette con fonti elastiche (per
vedere se le immobilizzazioni sono state finanziate con fonti consolidate).
Se non c’è equilibrio l’azienda può trovarsi in uno stato di insolvenza, cioè non ha capacità di rimborsare le
proprie obbligazioni. Il perdurare dello stato di insolvenza porta al fallimento. In ogni caso non è detto che il
disequilibrio porti all’insolvenza in modo certo perché potrebbe trattarsi di una situazione temporanea.
SCHEMA RICLASSIFICAZIONE SP CRITERIO FINANZIARIO
S.P.
IMPIEGHI FONTI
CAPITALE CIRCOLANTE LORDO a+b+c (entro FONTI ELASTICHE (entro l’anno) BP
l’anno) Cambiali passive
a) Disponibilità liquide immediate Debiti vs altri
banca Debiti v/banche
cassa Debiti vs dipendenti
c/c postale Debiti vs erario (o debiti per imposte)
Debiti INPS o istituti previdenziali
b) Disponibilità liquide differite
Debiti vs fornitori
Bot 3 mesi / BTP / CCT
Debiti vs professionisti
Cambiali attive
Quota mutui passivi che scadono nell’esercizio
Crediti vs clienti
Quota debiti TFR da corrisp. entro l’anno
Crediti vs/soci
Quota prestiti obbligaz. da versare nell’anno
Crediti per IVA o erario
Ratei e risconti passivi
Crediti controllate/collegate
Quota crediti v/clienti entro l’anno
Quota mutui attivi entro l’anno
d) Disponibilità finanziarie
Magazzino
Rimanenze prodotti finiti o materie prime
Ratei e risconti attivi
IMMOBILIZZAZIONI NETTE (oltre l’anno) FONTI CONSOLIDATE (oltre l’anno) LP
Automezzi Debiti vs fornitori oltre l’anno
Attrezzature Fondo imposte
Avviamento Fondo TFR
Biancheria Mutui passivi oltre l’anno
Fabbricati Prestiti obbligazionari
CTZ
Hardware
Impianti
Macchinari
Marchi
Mobili
Mutui attivi oltre l’anno
Partecipazioni
Quota rimanenze di difficile vendita
Quota crediti vs clienti riscossi oltre l’anno
Software
PATRIMONIO NETTO (non ha scadenza)
NO
Capitale sociale
SCAD
Riserva legale
Altre riserve .
Utile d’esercizio
ESERCIZIO:
SCHEMA STATO PATRIMONIALE CIVILISTICO
S.P.
ATTIVO PASSIVO
a) Crediti vs soci a) Patrimonio netto
1.000 50.000
b) Immobilizzazioni b) Fondo rischi e oneri
100.000 /
- immateriali
- materiali
- finanziarie
c) Attivo circolante c) TFR
50.000 30.000
- rimanenze 40.000
- crediti v/clienti 10.000
- disponibilità liquide /
d) Ratei e risconti attivi d) Debiti
5.000 66.000
debiti v/fornitori 46.000
debiti v/banche 20.000
e) Ratei e risconti passivi 10.000
TOTALE ATTIVO 156.TOTALE PASSIVO 156.0
NOTE:
- CREDITI V/SOCI sono interamente di breve periodo;
- RIMANENZE DI MAGAZZINO 5.000 € sono di difficile vendita;
- CREDITI V/CLIENTI 1.000 € sono di lungo periodo;
- RATEI E RISCONTI ATTIVI sono tutti ratei di breve periodo;
- TFR 5.000 € sono di breve periodo perché un dipendente sarà licenziato entro l’anno;
- DEBITI V/FORNITORI 6.000 € sono di medio/lungo termine;
- DEBITI V/BANCHE tutti debiti di breve periodo;
- RATEI E RISCONTI PASSIVI sono tutti di breve periodo quindi vanno nelle fonti elastiche.
RICLASSIFICAZIONE STATO PATRIMONIALE CRITERIO FINANZIARIO
S.P.
IMPIEGHI FONTI
c) Disponibilità liquide immediate / a) Fonti elastiche
75.000
(5.000+40.000+10.000+20.000)
d) Disponibilità liquide differite b) Fonti consolidate
(1.000+9.000+5.000) 31.000
15.000 (25.000+6.000)
e) Disponibilità finanziarie c) Patrimonio netto
35.000 50.000
- rimanenze prodotti finiti
- rimanenze semilavorati
- rimanenze materie prime
L’analisi finanziaria ha come target, come obbiettivo: definire i flussi finanziari. Bisogna porsi la
domanda : la valutazione per chi deve essere effettuata? Affinchè un valutazione sia meritevole, o meglio sia
da accogliere, sia da accettare, è necessario che massimizzi la relazione benefici-sacrifici. Se invece noi
prendiamo il valore dell’azienda nel suo insieme per cui si tratta di decidere se quella azienda sia
conveniente non soltanto per tutti gli azionisti ma anche per tutti i finanziatori, a quel punto i flussi che
dobbiamo prendere in esame non saranno flussi netti, perchè i benefici riguardano tutti i finanziatori. Quante
categorie di finanziatori dell’azienda abbiamo? 2, gli azionisti e i creditori. Mi fate un esempio di creditore?
La banca.
Ora, se parliamo di valore per l’azionista, noi andiamo a considerare i benefici per l’azionista; se parliamo
invece di valore dell’azienda dobbiamo considerare i benefici per gli azionisti e per i creditori. Il valore è la
combinazione di benefici e sacrifici, quando parliamo di valore per l’azionista, i benefici da cosa saranno
rappresentati? Da flussi di cassa che vanno agli azionisti. Il sacrificio che sostiene l’azionista invece da cosa
è rappresentato? Dal costo opportunità del capitale proprio.
Il valore prodotto dall’azienda per tutti i finanziatori sarà dato da i benefici per tutti i finanziatori e da i
sacrifici per tutti i finanziatori. Benefici per tutti i finanziatori da cosa sono rappresentati? Flussi di cassa che
vanno all’azionista…adesso saranno flussi di cassa che vanno a tutti i finanziatori.
Il sacrificio invece da che cosa sarà rappresentato? Dal costo opportunità del capitale riferito a tutti i
finanziatori che si chiama WACC( costo medio ponderato del capitale).Quindi se vogliamo misurare il
valore dell’azionista cosa facciamo? Come benefici dobbiamo andare a determinare i flussi di cassa
free(liberi) per l’azionista, se invece stiamo nel secondo modello e cioè intendiamo determinare il valore per
tutti i finanziatori allora a quel punto dobbiamo determinare i cosiddetti free cash flow from operation( cioè
sono flussi di cassa che scaturiscono dalla gestione operativa.
Nel testo viene riportato lo schema che permette di determinare questi flussi di cassa: abbiamo due
possibilità, o procediamo in maniera diretta cioè andiamo a vedere i flussi di cassa in entrata derivanti dalla
gestione operativa ma non è possibile perché non abbiamo le informazioni a disposizione…allora l’analista
quali sono i supporti informativi che ha? Sono stato patrimoniale conto economico nota integrativa e anche il
rendiconto finanziario. Pero in effetti se ha la disponibilità del rendiconto finanziario egli potrebbe
determinare i flussi di cassa provenienti dalla gestione operativa al netto delle uscite connesse alla gestione
operativa. Se c’è il rendiconto finanziario si può applicare il metodo diretto. Se non c’è come si può
procedere partendo dal conto economico? prima cosa quali sono i margini che voi conoscete del conto
economico? Margine operativo lordo che è il MOL , reddito operativo, e dopo andiamo risultato prima delle
imposte…tra tutte queste quale è quella più congeniale alle nostre analisi? Quale è la differenza tra margine
operativo lordo(Ebit da) e risultato operativo? È il risultato prima di aver determinato gli ammortamenti.
Ebit da è composto da due parti? Prima c’è Ebit e poi ce il da: se noi vogliamo determinare i flussi di cassa
lordi perché consideriamo l’Ebit da e non l’ebit? Ebit da è prima degli ammortamenti è il mol!!!! La
caratteristica degli ammortamenti è che non comportano flussi di cassa, non determinano delle uscite.
siccome vogliamo determinar ei il flusso di cassa consideriamo il margine al lordo degli ammortamenti,
perché altrimenti se noi considerassimo l’Ebit a quale conclusione andiamo a finire? Arriviamo a una
sopravvalutazione o una sottovalutazione? Sottovalutazione !…il reddito operativo è inferiore al mol,
quindi se considerassi l’Ebit finirei per sottovalutare i flussi di cassa. Ma ancora non siamo arrivati alla
conclusione del flusso di cassa, ci manca ancora qualcosa, cosa ci manca? Noi abbiamo una potenzialità di
flussi, noi dobbiamo determinare quelli monetari che effettivamente vengono prodotti perchè una parte di
flussi che vengono rappresentati dall’ebit da vanno a finanziare il capitale circolante netto. Non tutto lebit da
si è tradotto in flussi monetari, perchè una parte dellebit da si monetizza anche negli esercizi futuri. I ricavi
che si considerano per l’ebit da, per trasformarli in flussi monetari quale è l’operazione che dobbiamo fare ?
Il nostro obbiettivo è arrivare alla determinazione delle risorse monetarie dell’azienda . Se partiamo
dall’ebit da che riguarda tutti i ricavi e tutti i costi quindi comprende anche ricavi e costi che non sono stati
monetizzati ,bisogna tirare fuori dall’ebit da tutta la parte che non è stata monetizzata e si chiama variazione
del capitale circolante netto. Le diverse poste del capitale circolante sono i crediti commerciali, i debiti
commerciali come posta sottrattiva, i debiti verso dipendenti, i debiti tributari e gli eventuali crediti tributari.
Ora è evidente che bisogna fare una somma algebrica, si può procedere in 2 modi: si consiglia di calcolare il
capitale circolante di fine e inizio periodo e fate la differenza. Come si determina il capitale circolante di fine
periodo? facciamo un esempio: CCN 2015 che è 4000, ebit da 6000…abbiamo diminuzione capitale
circolante 2000: ebit da è stato tutto monetizzato ma anche una parte del capitale circolante che è pari a
2000. ora partiamo dall’ebit da, abbiamo una variazione del capitale circolante netto…la variazione è
negativa… se il capitale circolante netto è diminuito, quando l’investimento si contrae libera liquidità. Il
capitale circolante è un investimento: se aumenta il capitale circolante aumenta un investimento, se il
capitale circolante diminuisce , allora diminuisce un investimento e quindi è un disinvestimento e di
conseguenza quando diminuisce un investimento genera liquidità.
Adesso facciamo un altro esempio: Capitale circolante netto finale 2000, quello inziale pare a 1000..c’è un
investimento e quindi c’è un assorbimento di 1000, partiamo dall’ebit da che è 6000 e tiriamo fuori dall’ebit
da 1000 e quindi arriviamo a un flusso di cassa della gestione caratteristica pari 5000.
LEZIONE 11 26-10-2017
CAPITOLO 15 VALUTAZIONE DELL’EQUILIBRIO FINANZIARIO
ANALISI DI BILANCIO
L’analisi di bilancio è nata in Italia negli anni ’30, ma le prime riportavano solamente pochi dati.
L’analisi di bilancio è una tecnica che ci consente di raggruppare voce omogenee di bilancio. In
altre parole si tratta di una tecnica di indagine che, attraverso l’esame critico dei valori riportati in
bilancio, mira a soddisfare i bisogni di conoscenza e di comprensione del contenuto della gestione
aziendale. Si sostanzia attraverso il confronto di più bilanci d’esercizio. Naturalmente al fine di
comparare i bilanci delle varie società e i vari indicatori di performance occorre omogeneità.
In merito all’analisi di bilancio esistono 2 teorie:
• Zappiane: approccio critico degli strumenti di analisi di bilancio che indicano solo alcuni aspetti
gestionali;
• Correnti opposte: gli strumenti vanno oltre la mera analisi di bilancio; indagano le dinamiche
aziendali.
L’analisi di bilancio avviene attraverso vari step; il primo step riguarda la riclassificazione dei
prospetti di bilancio( stato patrimoniale e conto economico). Lo stato patrimoniale può essere
riclassificato secondo 2 criteri: finanziario o di pertinenza gestionale; il conto economico invece
secondo 3 ovvero valore aggiunto, costo del venduto, costi fissi e costi variabili. Una volta che
l’analista ha riclassificato i prospetti contabili, procede con l’analisi e vengono utilizzate le tre
tecniche margini, indici e flussi.
I campi d’applicazione dell’analisi di bilancio, cioè i contesti in cui può essere operata, sono
molteplici:
Autodiagnosi aziendale: l’azienda prende i suoi bilanci e fa una propria valutazione analizzando
l’andamento nel tempo. L’autodiagnosi aziendale è fatta dalla direzione amministrativa
attraverso un sistema informatico di riferimento;
Analisi settoriale: si effettua un’analisi sul settore, si vanno a stabilire quali sono stati gli
elementi che hanno determinato un utile o una perdita del settore. Successivamente si va a
confrontare l’andamento dell’azienda con l’andamento del settore. Se gli andamenti dell’azienda
sono diversi da quelli del settore, allora l’utile (o la perdita) è ricollegabile alla sola azione
dell’azienda. Al contrario, se gli andamenti sono uguali, allora l’utile (o la perdita) dell’azienda e
del settore sono ricollegabili a fattori macroeconomici. L’analisi settoriale è effettuata
dall’analista esterno che dà informazioni su uno specifico settore;
Analisi finanziaria/Decisioni finanziarie: valutare la propria capacità di sostenere un
investimento, di poterlo remunerare in tempo. L’analisi finanziaria è effettuata dalla direzione
finanziaria (sistema informatico aziendale);
Strategie: capire se è in grado di avviare una nuova strategia (es: entrare in un nuovo mercato);
Controllo di gestione: che permette di conoscere i risultati delle diverse aree gestionali perché
fornisce le dinamiche di ogni centro di costo;
Revisione contabile: l’analisi viene effettuata dalle società di revisione, in particolare da una
revisore esterno che controlla il bilancio. La fonte dei dati è la serie di bilanci depositati;
Valutazione azienda: esistono diverse tecniche per valutare il capitale economico delle imprese;
Affidamenti bancari: verificare i dati riportati in bilancio;
Analisi di previsione insolvenze: verificare se in un determinato periodo è insolvente o meno.
Per valutare un’azienda, i flussi di cassa da rilevare sono i flussi di cassa lordi, cioè quei flussi di
cassa che ancora non scontano l’effetto fiscale.
• LEVERED; su questi flussi si applica il costo del capitale proprio, perché sono flussi che
rimangono disponibili per gli azionisti (free for shareholder).
• UNLEVERED; non tengono conto dell’indebitamento e su questi flussi si applica il tasso di
attualizzazione chiamato WACC (Weighted Average Cost of Capital).
Tutti i flussi devono essere attualizzati perché i capitali hanno valori diversi in base al periodo in cui
si rende disponibile il flusso.
La base dei flussi è rappresentata dalla gestione dell’azienda e siccome parliamo di flussi di cassa
(Discounted Cash Flow), parte della gestione si monetizza nello stesso esercizio della gestione e
parte in un momento differito, è giusto partire quindi dall’EBIT e EBITDA ma l’EBITDA è meglio
dell’EBIT perché è al lordo degli ammortamenti perché non comportano flussi di cassa.
Quindi:
1. partiamo dall’EBITDA;
2. determiniamo le variazioni del CCN (NWC net working capital); misuriamo le variazioni
intervenute nel CCN del criterio della pertinenza gestionale; tenendo in considerazione gli
investimenti del CCN come crediti vs clienti, rimanenze e anche le fonti di finanziamento sono
invece debiti vs fornitori, debiti per tfr e debiti vs dipendenti. → (CCN è suddiviso in capitale
circolante e capitale immobilizzato)
Se la variazione del CC è positiva indica un investimento, se la variazione è negativa
(diminuzione del CC) indica un finanziamento;
3. Dopodiché dobbiamo portare queste variazioni del CCN in diminuzione o in aumento
dell’EBITDA. Generalmente si indica -+ perché la variazione positiva la porti in diminuzione e
quella negativa in aumento. Dopo aver corretto l’EBITDA con le variazioni del CCN otteniamo
un risultato, ma non posso ancora dire che quello che ho ottenuto rappresenti un flusso monetario
per tutti i finanziatori (Free cashflow to firm o flussi), perché bisogna considerare anche i flussi
finanziari che sono da impegnare o sono stati impegnati nelle immobilizzazioni e quindi bisogna
sistemare anche le variazioni del capitale fisso e cosi possiamo dire di essere arrivati ai flussi
free cashflow to firm o cashflow operazionali, ai quali va applicato il tasso di attualizzazione
WACC (perché è un flusso unlevered).
4. Per arrivare ai flussi levered e quindi free cashflow to shareholders dobbiamo togliere la
remunerazione dei finanziatori (pagamento dei debiti e degli interessi).
( Di Nallo)
LA STRUTTURA FINANZIARIA
Per struttura finanziaria si intende l’insieme delle fonti di finanziamento utilizzate da un’impresa.
Le componenti della struttura finanziaria sono sintetizzabili in:
• CAPITALE PROPRIO: I mezzi propri (equity) sono costituiti dal capitale fornito dai
proprietari dell’azienda all’atto della costituzione nonché successivamente per finanziarne
l’attività, dalle riserve e dalla somma degli utili generati dall’impresa che non vengono
distribuiti agli azionisti. Il tutto va considerato al netto delle perdite possibili registrate dalla
società. È un investimento a pieno rischio: in caso di perdite rilevanti, viene rimborsato in
via residuale;
• CAPITALE DI DEBITO: è costituito dai debiti di natura finanziaria di tipo oneroso, non
correlati quindi alla gestione corrente. Il debito finanziario può assumere forme e
caratteristiche a seconda della durata, del costo, delle garanzie e così via. Sono esempi di
debiti finanziari il debito bancario (che può essere a breve o a medio-lungo termine) ed il
debito obbligazionario (nelle configurazioni con obbligazioni convertibili o non
convertibili). L’obbligazionista della società viene considerato come una sorta di creditore e
nel caso in cui decida di esercitare l’opzione di convertire le obbligazioni in azioni cessa di
essere creditore della società e diventa azionista. È un investimento a rischio limitato: in
caso di perdite rilevanti, deve essere rimborsato per primo.
Lo studio della struttura finanziaria consente di indagare:
• se esiste o meno una struttura finanziaria ottimale che massimizzi il valore dell’impresa;
• come è possibile determinare il rapporto ideale tra debiti e mezzi propri.
Le politiche di finanziamento
Indicano i criteri e le finalità con cui si definiscono le scelte di copertura del fabbisogno finanziario.
1. Politiche finanziarie strutturali: individuare la struttura finanziaria che massimizza il valore
aziendale (struttura finanziaria ottimale);
2. Politiche finanziarie funzionali: indirizzano la gestione dei crediti e debiti commerciali,
fiscali e previdenziali e del magazzino: mirano ad ottimizzare la dinamica finanziaria
minimizzando il fabbisogno finanziario correlato al capitale circolante. Fissano i criteri con
cui il management definisce le strategie finanziarie per la copertura dei fabbisogni.
La leva finanziaria
Esprime la relazione tra struttura finanziaria e redditività aziendale e consente di individuare il
livello di indebitamento che permette di massimizzare il beneficio per la proprietà.
= + − ∗ * (1− )
Dove:
ROE: return on equity (redditività del capitale proprio)
ROI: return on investment (redditività del capitale investito)
ROD: return on debt (indice di onerosità del capitale di debito= OF/Capitale di debito)
: incidenza dei debiti finanziari sui mezzi propri
T : aliquota fiscale
Dal confronto tra il rendimento atteso del capitale investito e il costo del capitale finanziato a titolo
di prestito, è possibile individuare il livello di indebitamento oltre il quale gli investimenti operativi
non generano profitti in grado di coprire gli oneri finanziari.
Si possono cosi delineare tre scenari:
1. − =0 effetto leva finanziaria nulla: il rendimento dell’investimento e il costo del
capitale di debito si eguagliano. Non c’è effetto sulla redditività;
2. − > 0 effetto leva finanziaria positiva (moltiplicatore del ROE): il costo
dell’indebitamento è inferiore alla redditività dell’investimento → conviene incrementare il
livello di indebitamento;
3. − < 0 effetto leva finanziaria negativo (riduttore del ROE): il costo del capitale
preso in prestito è maggiore della redditività dell’investimento. Conviene finanziarsi con i
mezzi propri.
ESEMPIO 1
• Si ipotizzi una struttura finanziaria totalmente costituita da mezzi propri: Totale investimenti
= 600 e Capitale Proprio = 600
• L’azienda, non essendo indebitata, non sopporta oneri finanziari. Pertanto l’intero ROI va a
remunerare i portatori del CP, cioè i soci.
• Si supponga che il ROI è pari al 10%.
Il C.E. che rappresenta questa azienda ha la seguente struttura.
In tale situazione, escludendo l’effetto fiscale che dimezza l’utile, il reddito operativo remunera
soltanto i portatori del CP.
Il ROI ed il ROE (al lordo delle imposte) sono uguali. Infatti:
ROE = Utile/Capitale proprio = 60/600 = 10% ROI = Reddito operativo/Totale investimenti =
60/600 = 10%
ESEMPIO 2
Si ipotizzi una struttura finanziaria costituita in pari misura da Capitale Proprio e Capitale di terzi:
• Totale investimenti = 600 dato da Capitale Proprio = 300 e Capitale di terzi = 300.
• Si supponga che il ROD sia pari all’8%.
• In questo caso l’azienda ha oneri finanziari. Il ROI remunera prima i finanziatori esterni e
poi i portatori del Capitale Proprio, cioè i soci.
• Se si suppone il ROI = 10%, il CONTO ECONOMICO che rappresenta questa azienda è il
seguente:
In tale situazione, escludendo sempre per semplicità l’aspetto fiscale (che incide sull’utile lordo per
il 50%), il reddito operativo remunera sia i finanziatori sia i portatori del CP .
In questa ipotesi, il ROI è supposto sempre 10% ed è superiore al costo dell’indebitamento
(ipotizzato pari all’8%).
Si ha quindi un effetto della leva finanziaria positiva (ROI>ROD). Il ROE è pari al 12% (=
36/300x100)
ESEMPIO 3
• Si ipotizzi, la seguente struttura finanziaria in cui il Totale degli investimenti è pari a 600
dato da Capitale Proprio = 200 e Capitale di terzi = 400.
• Si supponga che il ROD sia dell’8%.
• Anche qui l’azienda ha oneri finanziari.
• Il ROI = 10%, come nelle altre ipotesi, ed il C.E. che rappresenta questa azienda è il
seguente:
Qui, escludendo sempre per semplicità l’aspetto fiscale (che incide sull’utile lordo per il 50%), il
reddito operativo remunera di nuovo sia i finanziatori esterni sia i portatori del CP.
In questa ipotesi, il ROI è supposto sempre 10%. Per effetto della leva finanziaria positiva
(ROI>ROD), il ROE è pari al 14% (= 28/200x100)
Commenti
ESEMPIO 1 2 3
Dall’esempio 1 al 2 e dal 2 al 3, a parità di ROI e di capitale investito, il ROE cresce dal 10 al 12%
e poi al 14% esclusivamente per effetto di una diversa struttura finanziaria che, in presenza di una
leva finanziaria positiva (ROI>ROD), privilegia l’indebitamento rispetto agli apporti dei soci.
L’aspetto fiscale
Se tenessimo conto dell’influenza delle imposte (con aliquota ipotizzata pari a t=50%), il ROE
(netto) sarebbe stato pari al:
• 5% (esempio 1, =[10%+(10%-8%)x0]x0,50=5%) anziché 10%;
• 6% (esempio 2, =[10%+(10%-8%)x1]x0,50=6%) anziché 12%;
• 7% (esempio 3, =[10%+(10%-8%)x2]x0,50=7%) anziché 14%
− ! "#
Prima di procedere al calcolo della struttura finanziaria è utile determinare le statistiche descrittive
al fine di poter scegliere il miglior indicatore di posizione.
Distribuzione alquanto simmetrica: indice di asimmetria vicino allo zero.
Valori simili per la media e la mediana: la media può essere considerata un buon indicatore di
posizione.
Lezione Di Nallo
MULTIPLI
La valutazione di un’azienda consiste in un processo finalizzato alla stima del suo valore tramite
l’utilizzo di uno o più metodi specifici. La misurazione del valore di una società trova applicazione
principalmente in:
- Operazioni di investimento nel capitale di rischio di società quotate e non quotate;
- Operazioni di fusione e acquisizione (M&A);
- Aumenti di capitale;
- Quotazione nei mercati finanziari (IPO);
- Valutazioni ad uso interno.
I multipli sono strumenti che ci permettono di valutare l’aziende ed è un rapporto tra due grandezze:
• al NUMERATORE possiamo avere L’Enterprise value (EV) che rappresenta il valore
dell’intero complesso aziendale comprensivo della posizione finanziaria e viene utilizzato in
presenza dell’approccio asset side ovvero unleverad; oppure il price o equity value che
rappresenta il valore per i portatori di capitale di rischio e viene utilizzato in presenza
dell’approccio equità side ovvero leverad.
• il DENOMINATORE è rappresentato da una variabile che riassume in sé la capacità
dell’azienda di produrre ricchezza, è dato da grandezze contabili (opzione usata più spesso:
sales, EBITDA, EBIT, utile netto, PN contabile) oppure da grandezze fisiche (opzione
usata poco e in casi particolari: numero abbonati e utenti).
Le caratteristiche dei multipli:
• Semplicità: è un metodo di valutazione basato sull'osservazione delle analogie con altre
aziende ( il campione deve essere uniforme). I multipli sono ampiamente usati nella pratica
professionale;
• Comparabilità: il valore di un'impresa non può differenziarsi in modo significativo dal
valore espresso dal mercato per le imprese di dimensioni analoghe, operanti nello stesso
settore e negli stessi mercati geografici;
• Convergenza: qualsiasi differenza significativa rispetto al campione tende ad essere riempita
prima o poi;
• Stabilità: capacità di assumere valori che rientrano in una gamma limitata di valori;
• Ordinabilità: con gli stessi risultati storici, le aziende hanno moltiplicatori molto più alti,
quanto più grandi sono le future opportunità di creazione di valore.
Nel campo di valutazione, l'uso di multipli presuppone che il valore di un'azienda possa essere
determinato tenendo come riferimento le informazioni fornite dal mercato (multipli di mercato) o
da operazioni di acquisto/vendita (operazioni paragonabili) che coinvolgono società con
caratteristiche simili rispetto all'azienda che vogliamo valutare.
Quale tipo di dati deve essere utilizzato per determinare il denominatore?
• STORICI: quando come grandezza contabile al denominatore si utilizza l’ultima disponibile
dal bilancio d’esercizio ;
• LEADING: quando ci sono casi previsionali;
• TRAILING: quando si fa riferimento all’ultimo semestre.
Il procedimento analitico per vedere fattivamente come utilizziamo la metodologia dei multipli di
mercato può essere scomposto in 4 fasi:
• Scelta del multiplo più significativo: Dobbiamo identificare i multipli più in grado di
sintetizzare la capacità di una società di produrre redditività, questo dipende anche dal
business dove opera la stessa azienda. Non esiste mai un unico multiplo in grado di
rappresentare il valore di un'azienda. Quindi, è importante prestare attenzione ad un insieme
di multipli.
I multipli calcolati utilizzando i valori più colpiti dalle politiche fiscali e contabili sono
soggetti ad un maggior rischio di distorsione; allo stesso tempo tendono a mostrare con
maggiore importanza la capacità di creare ricchezza dal punto di vista operativo. Per questa
ragione, nella pratica professionale, è comune l'uso di adeguamenti e normalizzazione;
• A seconda delle attività in cui opera la società, i multipli diversi possono essere più o meno
significativi;
• Determinazione dell campione di riferimento che deve essere composta da società
comparabili;
• Calcolo di multipli selezionati per le società del campione;
• Applicazioni dei multipli alle aziende da valutare.
tra valore d’impresa e margine operativo (EBIT). È una buona alternativa al multiplo
EV/EBITDA, soprattutto per le aziende le cui attività sono caratterizzate dalla presenza
dominante di attività materiali. Il margine operativo (e quindi il multiplo) tiene conto delle
politiche di ammortamento, ma è più colpito dalle norme contabili (questo lo rende meno
neutrale rispetto al multiplo EV/EBITDA). Campi d’applicazione: aziende con business
stabile; potrebbero emergere distorsioni nella valutazione di aziende di diversi paesi a causa
delle diverse politiche di ammortamento. Uso del multiplo in campo di valutazione: ALTO.
ESEMPIO
>+/?$
Teniamo conto il multiplo , abbiamo un campione di 5 società :
$2+,/,@&
>+/?$
Soc 1 = =5
$2+,/,@&
Soc 2 = 3
Soc 3 = 2,5 media rapporto P/E = 4,9
Soc 4 = 6
Soc 5 = 8
Px=?
Px= 4,9 * E della mia azienda
Se la mia società ha 10 000 000 di utile e 1 000 000 di utile per azione, quale utile si deve
utilizzare?
Dipende dall’utile che ho utilizzato per calcolare il rapporto P/E inoltre se utilizzo l’utile per azione
avrò il prezzo singolo, se utilizzo l’utile conseguito a livello globale avrò il valore della
capitalizzazione che dividerò per il numero di azioni che esistono e avrò di nuovo il prezzo.
Nella ricerca dei multipli da utilizzare nella valutazione di una società, può essere utile impiegare
una prova empirica che dimostri la loro capacità di spiegare il valore dell'azienda target: si cerca di
mettere il relazione il multiplo e la stessa grandezza contabile del campione e si determina quale
E
multiplo deve essere applicato ovvero quello che ha un maggiore.
Lezione 14 (Intrisano) 11/11/2017
ESEMPIO:
DISPONIBILITA’ LIQUIDE 2016 = 100
DISPONIBILITA’ LIQUIDE 2015 = 50
CASH FLOW 2016 = 100-50= 50
ESEMPIO:
Quel 50 potrebbe essere prodotto da un finanziamento ottenuto dalla banca o da un investimento, a
questo punto dobbiamo isolare da 50 la parte che connota il CASH FLOW OPERAZIONALE (cash
flow che scaturisce direttamente dalla gestione). E’ importante ricostruire il flusso di cassa dalla
gestione e se voglio pianificare i flussi di cassa si deve anche NORMALIZZARE il cash flow
operazionale, ovvero, si devono togliere quei dati legati a eventi straordinari.
E’ importante inoltre come si determina il CASH FLOW OPERAZIONALE: si utilizza il Conto
Economico e lo Stato Patrimoniale. Si utilizza il CE perché da esso si tira fuori MARGINE
OPERATIVO LORDO e qualora non ci fosse perché non è stato riclassificato il CE si prende il
REDDITO OPERATIVO e si aumenta degli AMMORTAMENTI.
Con il margine operativo lordo si POTENZIANO I FLUSSI: il margine è una combinazione di
flussi in entrata e in uscita, si tratta di flussi che prima o poi diventeranno risorse monetarie. Il
problema è il tempo perché si fa riferimento a un determinato intervallo, quindi di tale margine
dobbiamo togliere la parte che sarà monetizzata negli esercizi futuri.
Come si determina questa parte che deve essere sottratta? Attraverso l’analisi del CAPITALE
CIRCOLATE NETTO. In particolare si effettua la differenza tra il capitale circolante netto di
fine periodo – il capitale circolante netto di inizio periodo, se questa è aumenta ha assorbito
risorse altrimenti se è diminuito ha liberato risorse.
IL FREE CASH FLOW di cui fino ad ora abbiamo parlato si avvicina di più al un free cash flow
unleverad perché si parte dal MOL.
Se invece si parte dall’utile d’esercizio e si rettifica degli ammortamenti (utile + ammortamenti + le
rettifiche di capitale circolante netto) ci avviciniamo più al free cash flow leverad.
Lezione Di Nallo
ESERCITAZIONE DI NALLO
CALCOLO MULTIPLO
CAPITALIZZAZIONE UTILI DI BILANCIO UTILE 2016 AZIENDA DA VALUTARE =
AZIENDA price/earnings =
DI BORSA 2016 85.000
capitalizzazione/utile
1 1.000.000 100.000 10,00 MEDIA = 10,91719276 * 85000 = 927961,38
2 200.000 15.000 13,33 MEDIANA = 10,45454545 * 85000 = 888636,36
DISCOUNTED CASH FLOW
Il DCF è uno strumento di valutazione dell’azienda e basa il proprio modello sulla stima e
l’attualizzazione dei flussi. L’idea di base è: il valore ad oggi dell’azienda dipende da quanto flusso
di cassa riuscirà a generare.
Il DCF considera il valore finanziario del tempo: la prima legge della finanza afferma che “ un
euro oggi vale più di un euro domani”. Questo perché un euro oggi potrebbe essere investito e
generare un certo ritorno.
Valore futuro di un euro: FV = PV (1 + ) cioè il valore di oggi di un euro capitalizzato.
Valore attuale: PV = cioè il valore futuro si riporta indietro attraverso il tasso di
( )
attualizzazione.
In tale ambito è importante introdurre il concetto di CAPITAL BUDGETING ovvero il processo
di scelta da parte di un’azienda su cosa investire, come farlo e scegliere tra i diversi investimenti.
L'obiettivo è quello di massimizzare il valore per gli azionisti.
Uno strumento di capital budgeting è il valore attuale netto (VAN) che permette di riportare al
tempo 0 tutti i flussi di cassa derivanti da un investimento, in questo modo posso confrontare i
diversi investimenti e cercare di desumere quale sia il migliore.
Un altro metodologia che ci permette di determinare quale investimento preferire è IL TEMPO DI
RECUPERO , troppo semplicistico perché non considera il valore finanziario del tempo; la
domanda che si ci pone è: in quanto tempo rientro dall’investimento?.
In tale criterio si vanno a sommare gli importi di epoche diverse e non considera le entità dei flussi
futuri successivi al TEMPO DI RECUPERO. Più l’orizzonte temporale del TEMPO DI
RECUPERO si dilata più l’investimento sarà rischioso perché si recupera in un tempo più lungo e
più i flussi diventano aleatori. Dunque si tratta una misura del rischio che però non riesce a dare
informazioni puntuali sulla scelta del progetto di investimento piuttosto che su un altro.
Per questo si utilizza la metodologia del valore attuale netto che ha comunque la problematica
della stima dei flussi e dell’utilizzo di un tasso di attualizzazione ma ci da nello stesso tempo
informazioni maggiormente importanti del CAPITAL BUDGETING.
Il tasso di sconto è il tasso di interesse a cui attualizzare i futuri flussi di cassa. La teoria dei
mercati efficienti afferma che tutti le ipotesi fatte dagli investitori sono corrette e razionalmente
giuste e soprattutto quando i mercati sono efficienti si utilizzano per stimare una componente del
tasso di attualizzazione ovvero il COSTO DEL CAPITALE PROPRIO attraverso il CAPM
(Capital Asset Princing Model) utilizzando un’ analisi di regressione lineare.
Nel COSTO DEL CAPITALE PROPRIO si considera il come la misura del rischio per
quantificare la volitività di una certa azione.
Quale è l’espressione del CAMP che definisce il COSTO DEL CAPITALE PROPRIO?
COSTO DEL CAPITALE PROPRIO = + ( - )
Dove:
Rf = Risk free
(beta)= peso per il rischio sistemico
Rm - Rf = premio per il rischio di mercato
disponibili per tutti (azionisti e creditori) attualizzati al WACC perchè esso sconta sia il
costo del debito sia il costo degli azionisti + il terminal value attualizzato – Posizione
Finanziaria Netta in modo da aggiungere la componente finanziaria.
Il termina value può essere calcolato sia in presenza del tasso di crescita sia in ipotesi di
stabilità, l’ultimo flusso si ripercuoterà per tutto l’arco temporale futuro.
Se il tasso di crescita (g) è = 0, il TV è l’ultimo flusso di cassa diviso il tasso di
attualizzazione ( r).
Mentre se vi è il tasso di crescita (g), il TV è l’ultimo flusso di cassa diviso il tasso di
attualizzazione (r) – il tasso di crescita (g) :
TV = = $ / (1 + %)
!"#
Dove:
- r = WACC nell’approccio asset side
- r = &' = nell’approccio equity side
Nel caso dell’approccio Asset side l’ultimo flusso di cassa al numeratore è quello dell’intera
azienda, nel caso dell’approccio Equity side l’ultimo flusso di cassa al numeratore è quello
disponibile per gli azionisti.
(
• Equity side: ( =∑ + TV ovvero al numeratore si ha la sommatoria di tutti i
( )* )
flussi di cassa disponibili per gli azionisti mentre al denominatore si ha il costo del capitale
proprio + TV attualizzato.
Nel primo caso perveniamo al valore del capitale economico di tutta l’azienda mentre nel secondo
si calcola il valore per gli azionisti.
UTILE NETTO
- INVESTIMENTI NETTI
+/- VARIAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLATE
+ NUOVA ACCEZIONE DI DEBITI
– RIMBORSO DEI DEBITI CHE SONO INTERCORSI DURANTE L’ANNO
= FREE CASH FLOW TO EQUITY
Nel PROJECT WORK bisogna inserire il calcolo del multiplo P/E (necessariamente) ed effettuare il
confronto rispetto alle imprese del settore.
DI NALLO.
I MULTIPLI.
Una volta calcolato il multiplo storico (perché riferito al bilancio 2016), il prezzo ipotetico
individuato, della società analizzata, va confrontato con il prezzo che aveva la società al 31/12, per
desumere una sopravalutazione o sottovalutazione della società.
I MULTIPLI.
Si distinguono i multipli:
- Equity side sono quelli su cui ci soffermiamo per effettuare la nostra analisi.
Consentono di determinare il valore della società per l’azionista.
Al numeratore troviamo sempre il prezzo o la capitalizzazione della società.
- Asset side.
- Storici
- Trailing utilizzano dati trimestrali (li escludiamo per la nostra analisi).
- Leading utilizzano dati previsionali. Questi multipli possono essere calcolati se su
Yahoo.finanza si trovano i dati previsionali dell’azienda oggetto di analisi.
PASSAGGI:
Yahoo.finanza inserire il nome della società cliccare su ANALISTI considerare
la tabella UTILI STIMATI per l’anno 2018 In particolare si consideri la STIMA
MEDIA.
(PROBLEMA: non sono riportati per tutte le aziende, per cui comunque questo passaggio lo
si può fare solo se si hanno a disposizione i dati).
Il multiplo si calcola ponendo:
• Al numeratore: il prezzo o la capitalizzazione attuale della giornata odierna (es. 29
novembre ’17)
• Al denominatore: utile atteso per azione o utile complessivo.
Questo esercizio va fatto per le 6 società (ad esempio) del campione, comprensivo anche di
quella analizzata. Calcolati i multipli si determina la media e la si applica all’utile atteso,
nell’anno 2018, dell’azienda analizzata. Attraverso questa grandezza di bilancio viene
definito il prezzo, ad oggi, della azienda che va confrontato con il prezzo dell’azienda
nell’anno precedente (2017).
- Scelta del multiplo più significativo, anche sulla base del campionamento a disposizione.
fare attenzione al tipo di business all’interno del quale opera l’azienda oggetto di analisi.
- Definizione del campione di società comparabili.
- Calcolo dei multipli per le società comparabili.
- Applicazione del multiplo medio o mediano. ATTENZIONE: Ai fini nostra analisi
utilizziamo il MULTIPLO MEDIO.
Quando andiamo a calcolare il multiplo medio non inseriamo nella media il valore del
multiplo della azienda analizzata, per non inquinare la media stessa.
ESEMPIO: campione di 5 società + 1 (quella oggetto di analisi). Calcolo i multipli delle 6
società, faccio la media dei multipli delle 5 società (escludendo quindi quella analizzata).
Poi la media ottenuta la si applica per definire il valore ipotetico aziendale dell’azienda
analizzata.
Il multiplo dell’azienda analizzata può essere confrontato con il multiplo medio e a seconda
se sia maggiore o minore si stabilisce se l’azienda è sopravalutata o sottovalutata. Ma questo
lo si vede già attraverso la determinazione del valore ipotetico dell’azienda. Osservando se il
valore ipotetico è maggiore o minore del valore dell’azienda al 31/12/2016 si può stabilire se
essa è sopra o sottovalutata.
PRICE/EARNING.
E’ il multiplo più semplice e anche il più utilizzato. Esso è influenzato dalle politiche di bilancio,
dalle tasse, dalle misure straordinarie applicate.
Viene utilizzato meno del precedente. Generalmente è impiegato per banche, assicurazioni e società
finanziarie.
I free cash flow sono ancora più difficili da determinare rispetto alle altre grandezze di bilancio.
Anche questo viene utilizzato meno.
MULTIPLI OPERAZIONALI.
Non li utilizziamo.
CAMPIONAMENTO:
Partiamo da Borsa Italiana. Volendo il campione può anche essere variato, l’importante è stare
attenti al settore, all’area di provenienza dell’azienda, alla dimensione, al product mix.
Ulteriore metodo finanziario di valutazione dell’azienda. Ipotizza che il valore di un’azienda derivi
dal dividendo che essa riesce a rilasciare agli azionisti.
= + + ⋯+
( ) ( ) ( )
Dove:
Altra derivazione del DDM esso può inserire al proprio interno l’ipotesi di crescita costante dei
dividendi.
- Al tempo 1: 1 = (1 + )
- Al tempo 2: 2 = 1(1 + ) = (1 + )(1 + )
Altro caso di DDM: per un intervallo di tempo limitato, (ipotizziamo per esempio la crescita fino al
10’ anno), la formula diventa:
( )
Se K≠g = ∗ (1 − ( )
Altro caso di DDM il dividendo cresce in modo perpetuo cioè per sempre.
∗( )
= = però g<K (tasso di crescita minore del tasso di attualizzazione).
Così come il dividendo cresce di anno in anno, anche il Payout ratio cresce in maniera perpetua.
Esso rappresenta la parte di utile che viene mandata a dividendo.
- E’ molto semplice.
Difetti:
Come si stima il tasso di crescita dei dividendi g? per stimarlo si possono utilizzare:
- Dati storici si vede come l’azienda è cresciuta nel corso degli anni in termini di
dividendi.
- Media o mediana dei tassi di crescita dell’intero settore;
- Tasso di crescita sostenibile.
Il tasso di crescita sostenibile può essere stimato anche attraverso il ROE e il PAYOUT RATIO
(che può variare da 0 al 100%).
(1 − !" "# )
ROE = 10,17%
Dividendo = 1,56
Su 2,25 utili per azioni generati, l’azionista ne riceve solo 1,56. Il retention ratio sarà il
complementare ossia il 30,7%, ossia quanto sta tenendo l’azienda dell’utile creato al proprio interno
piuttosto che darlo agli azionisti.
Ultima sofisticazione del DDM. Possiamo dividere le previsione dei dividendi in 2 stadi:
(Formula slide)
Probabilmente g2 sarà più basso di g1. La prima parte della formula rappresenta il valore dei primi
10 anni di dividendi, la parte 2 i dividendi successivi.
Pregi:
- È un modello più realistico, perché riusciamo già a strutturare in due parti la crescita dei
dividendi;
- Si utilizza anche quando g>k nel primo stadio.
Difetti:
- Non è utilizzabile per aziende che non pagano dividendi;
- È molto sensibile alla scelta di g e K;
- In questo caso g deve essere stimato addirittura 2 volte.
LEZIONE 16 22/11/2017
Prof. Di Nallo
PROGETTO
Tabella2
VARIAZIONI % VARIAZIONE VARIAZIONE VARIAZIONE VARIAZIONE
2013-2012 2014-2013 2015-2014 2016-2015
GRAFICO
COMMENTO
Vedere in base al grafico l’andamento del pil e fatturato. Se i valori del pil sono maggiori di quello
del fatturato o viceversa il pil amplifica i movimenti del fatturato o viceversa. Commentare inoltre
l’andamento (crescenti o decrescenti) delle due curve di pil e fatturato. Inoltre verificare i segni
(negativo o positivo) dei valori di pil e fatturato che troviamo nella tabella 1.
GRAFICO DEL BETA
Oltre al grafico a dispersione per il beta possiamo trovare un altro grafico. Il grafico a linee è il più
indicato. Se quest’ultimo si discosta dal grafico a dispersione del beta, sul progetto deve essere
riportato il grafico a linee del beta e confrontato con quello a dispersione.
ANALISI CONGIUNTURALE
Nell’analisi congiunturale bisogna riportare l’andamento delle vendite del settore preso in
considerazione e eventuali previsioni future del settore se sono riportate. Non bisogna confrontare
con l’estero. Scegliere come competitors dell’azienda presa in esame, i competitors riportati nel ftse
mib e confrontare la dimensione.
Prof. Intrisano
I MULTIPLI
Il metodo dei multipli fa riferimento ad informazioni che provengono dal mercato, al contrario del
discount cash flow che si basa sui risultati dell’azienda. Se si parla di società quotate è altresì da
considerare l’apprezzamento che il mercato dà delle società a prescindere da quelle che sono le loro
performance. Questo apprezzamento, questa valutazione del mercato, si esprime attraverso il prezzo.
Si hanno due livelli di prezzo: il prezzo per il primo mercato ed il prezzo per il secondo mercato. Nel
primo mercato, viene fissato un prezzo che deve essere congruo e addirittura accettato dalla Consob.
Nel secondo mercato si ha un secondo prezzo che deve essere continuamente fissato dal mercato e
rinegoziato dal mercato. Questo prezzo dipende anche dalla capacità, dal livello di concorrenza che
contraddistingue l’acquisto e la vendita.
I multipli equity side si basano sul capitale proprio, il prezzo o capitalizzazione. I multipli enterprice
side considerano tutto il capitale, ovvero il valore complessivo dell’azienda, non solo quello
dell’azionista. Una parte del capitale, è costituita il capitale proprio o equity e l’altra dalla posizione
finanziaria netta o debiti ( equity + pfn).
titolo. Talvolta il prezzo di mercato può scontare, risentire delle prospettive di sviluppo dell’impresa.
Il valore contabile è un valore storico ed è il risultato di ciò che è avvenuto nella storia dell’impresa.
Il prezzo invece anticipa i futuri benefici per l’azionista. Questo spiega il divario fra price e book
value.
Non esiste un multiplo migliore dell’altro. Ogni multiplo ha una sua valenza esplicativa perché deve
rappresentare il valore, il far value. Il far value è il valore a cui deve tendere, il valore di riferimento.
considerata moltiplicato con il medio del settore, tale moltiplicazione è uguale al far
value. Il medio del settore viene calcolato attraverso la media della somma di tale
Se il prezzo del mercato è maggiore del far value si ha una sopravvalutazione del titolo, quindi si ha
una correzione verso il basso del prezzo. Se si possiede il titoli converrà venderlo, se non si possiede
non converrà acquistarlo.
Se il prezzo del mercato è minore del far value si ha una sottovalutazione del titolo. Il prezzo deve
avere una correzione verso l’alto. Se si possiede il titolo non converrà venderlo, se non si possiede
converrà acquistarlo.
I multipli riescono a coniugare le grandezze tipiche della società ovvero grandezza contabile e
grandezza di mercato. I multipli mettono insieme informazioni contabili e informazioni di mercato,
dicendoci come il mercato apprezza la situazione contabile ovvero se la sopravvaluta o la sottovaluta.
Il valore di conseguenza ha tre dimensioni: valore di mercato, valore contabile, far value. Il valore di
mercato nel lungo periodo deve tendere al far value.
Nel discount cash flow se si usano i free cash flow to equity, come tasso di attualizzazione si considera
il costo del capitale proprio ( ). Le configurazioni del costo del capitale sono: costo del debito,
costo del capitale proprio o equity, wacc. Se si considerano il free cash flow to firm, come tasso di
attualizzazione si considera il wacc. Nel free cash flow to firm si considerano i free cash flow
complessivi, cioè quelli che sono destinati sia al debito ovvero ai finanziatori, banche, sia all’equity.
Per calcolare il wacc si deve disporre del costo del capitale proprio( ), del costo del capitale di
debito( ), del peso del capitale proprio(E) e del peso del debito(D).
Per calcolare (costo del capitale proprio) devo disporre del risk free, del premio per il rischio di
mercato e del beta. Per calcolare il beta devo disporre del rendimento periodico del titolo e del
mercato.
Il discount cash flow si applica per calcolare il VAN mediante i flussi di cassa. Per il calcolo del VAN
c’è bisogno della proiezione dei flussi di cassa dell’azienda, come sono distribuiti e il tasso di
attualizzazione.
LEZIONE 17 23/11/2017
Prof. Di Nallo
Questi modelli hanno delle criticità. La criticità del metodo dei multipli è quella di utilizzare
grandezze di mercato che non sempre rappresentano il far value effettivo dell’azienda. Le criticità
del discount cash flow è che è difficile la stima dei flussi di cassa. La criticità del metodo
patrimoniale è che si basa solo sulla capacità patrimoniale.
• Stima puntuale dei flussi o basandosi sulle ipotesi di vendita dell’anno successivo o su
ipotesi di crescita, e attualizzazione
• Stima del terminal value che può scontare un’ipotesi di crescita costante o pari a zero e
attualizzazione
Consideriamo l’approccio asset side per svolgere l’esercizio. Si devono attualizzare flussi di cassa
disponibili per l’intera azienda, quindi bisogna utilizzare un tasso di attualizzazione che sia
congruo, che rappresenti l’intera rischiosità aziendale e questo è il WACC.
DATI ESERCIZIO
Beta = 1
.
Peso costo del debito= = =0.69
.
Si ipotizza che tutte le voci (ricavi e costi) del bilancio crescono del 2.5%.
I flussi di cassa per il discount factor danno il valore puntuale attualizzato al tempo zero dei flussi.
-+--./0
Terminal value= 123
dove
-+--.
Il Terminal value con crescita pari a zero dei flussi futuri è pari a .
1
Prof. Intrisano
BENEFICI PRIVATI
Gli azionisti investono in una società per ottenere benefici dalla società stessa e questi sono di
duplice natura: benefici da natura patrimoniale (cash flow rate) oppure diritto al voto (voting rate).
La maggior parte dei benefici sono condivisi con gli altri azionisti, alcuni benefici però, sono privati
cioè riservati a chi ne esercita il controllo. Immaginiamo la famiglia Agnelli che è controllante della
FIAT e di una società che produce plastica per auto. Il gruppo Agnelli può influenzare le decisioni
aziendali per far sì che la FIAT acquisti plastica dalla fabbrica controllata dallo stesso gruppo
Agnelli. Tale beneficio è realizzato solo dal gruppo Agnelli, in quanto azionista di controllo e non
dagli altri azionisti. Tali benefici sono chiamati benefici privati, poiché non sono condivisi con gli
altri azionisti. Il problema che ricorre è la stima di tali benefici, ovvero il loro valore. Molti
benefici, alcuni dei quali intangibili, hanno un determinato valore, ossia un valore in termini di
utilità. Quindi occorre trasformare l’utilità in valore. Da alcuni studiosi è stato proposto un metodo
che parte dal presupposto che lo scarto fra il prezzo delle azioni ordinarie e quello delle azioni di
risparmio sia rappresentativo proprio dei benefici privati che può trarre l’azionista di controllo.
L’azione ordinaria attribuisce diritto di voto e diritti di dividendi, l’azione di risparmio solo diritto
agli utili. Se si parte dall’assunto che il prezzo di un’azione è pari al valore attuale dei benefici attesi
(formula di Gordon in cui il prezzo di un’azione è uguale al valore attuale di una rendita perpetua
uguale a g), il valore attuale dei benefici associati all’azione ordinaria è superiore al valore attuale
dei benefici dell’azione di risparmio. Ciò trova conferma proprio sul prezzo delle azioni, poiché il
prezzo delle azioni ordinarie è maggiore del prezzo delle azioni di risparmio. Un ricercatore ha
affermato, che se si vogliono stimare i benefici aggiuntivi che trae l’azionista di riferimento questi
sono i benefici del controllo. Ed è solo l’azione ordinaria che dà i benefici del controllo. Quindi
alcuni ricercatori fra cui Zingares hanno affermato che i benefici privati derivano dalla differenza
tra il prezzo delle azioni ordinarie e quello delle azioni di risparmio. Il diritto di voto per questo, che
possiedono le azioni ordinarie, ha una sua utilità quando consente di esercitare il controllo. I
benefici privati spettano agli azionisti controllanti e in ragione di questo si giustifica il gap che
esiste tra prezzo delle azioni ordinarie e il prezzo delle azioni di risparmio. Tale metodo però
evidenza un elemento di debolezza ovvero quello che non tutte le società sono dual class e quindi
tale metodo è applicabile solo per società che emettono sia azioni ordinarie sia azioni di risparmio.
Per le società one class si è proposto un altro metodo. Alcuni ricercatori hanno affermato che il
valore dei benefici privati per queste ultime sia stimabile facendo riferimento ad un determinato tipo
di negoziazione, le cosiddette negoziazioni a blocchi. L’andamento delle azioni è particolare
quando c’è un passaggio di controllo, poiché accade qualcosa al prezzo. Per subentrare nel controllo
bisogna acquistare azioni e questo provoca un aumento del prezzo poiché aumenta in maniera
anomala la domanda. La Consob afferma, che quando si verificano operazioni di questo genere il
mercato viene congelato, si evita che delle grandi negoziazioni abbiano a riperquotersi
sull’andamento del mercato. La Consob dice che se gli acquisti superano determinate dimensioni, la
scalata del controllo potrebbe creare perturbazioni anche su altre mutazioni. Per tanto, queste
negoziazioni se superano determinati livelli devono essere fatte fuori mercato, ecco perchè si parla
di negoziazione a blocchi, dove direttamente l’acquirente negozia con chi detiene l’azione,
dichiarando la propria volontà d’acquisto. Il prezzo della negoziazione viene reso pubblico e viene
pubblicato dalla Consob. Si è visto che il prezzo associato a queste negoziazioni è alto in quanto
l’acquirente ha determinate attese di benefici che non sono condivisi con gli altri azionisti ma sono i
benefici privati. La differenza tra il prezzo del blocco o detto anche prezzo anomalo e il prezzo
corrente sul mercato dà la misura del valore aggiuntivo ovvero dei benefici privati che è stato
attribuito a chi intende esercitare il controllo. Anche laddove l’operazione non ha richiesto
l’intervento della Consob e quindi non vi è l’obbligatorietà del fuori mercato e quindi la scalata è
avvenuta sul mercato, anche in questo caso si può arrivare ad una stima dei benefici privati andando
a vedere il prezzo medio entro un periodo che sia statisticamente significativo dell’azione e si
raffronta il prezzo dei giorni immediatamente precedenti. Ogni qual volta che un soggetto supera
una partecipazione del 2% questo deve comunicarlo alla Consob, e quest’ultima pubblica il nome
dell’azionista che ha superato il 2% sul proprio sito. Infatti sul sito della Consob si trovano tutte le
partecipazioni rilevanti. Quando la partecipazione è più bassa del 2% l’azionista non si presenta in
assemblea, non esercita quindi il diritto di voto, poiché è inutile. Alle assemblee non partecipano
tutti gli azionisti ma solo alcuni. L’azionista di controllo dimostra la sua posizione in tutte le
assemblee dove si prendono determinate decisioni. Si appalesa il controllo ad esempio quando si
deve nominare il consiglio di amministrazione. In questo tipo di assemblee si è riscontrato che sono
presenti solo azionisti che detengono partecipazioni superiori al 2%. Tale percentuale è importante
per definire il cat-off (la soglia) per l’esercizio del controllo. Si esercita il controllo quando si arriva
ad una determinata percentuale di azioni detenute. Per questo vi sono due quorum deliberativi, uno
di prima convocazione in cui si deve detenere il 50%+1 delle azioni per esercitare il controllo, uno
di seconda convocazione nel quale vengono fatte la maggior parte delle delibere poichè
difficilmente un’azionista ha il 50%+1 di azioni. Quando si raggiunge la maggioranza dei voti in
assemblea si riesce a deliberare. Il quorum si ha in base ai partecipanti. I partecipanti spesso
coincidono con le partecipazioni rilevanti. Per le società quotate si è definito che la somma delle
partecipazioni rilevanti rappresenta un’approssimazione del numero delle quote di azionisti presenti
in assemblea ovvero il quorum. Per cui se una società ha una partecipazione rilevante del 30% per
cui il 70% sono azionisti minori, il quorum si va a rapportare al 30%. Quindi il controllo si esercita
avendo il 16% del capitale. Tale esempio indica la separazione tra proprietà e controllo. Tanto più il
capitale è diffuso tanto più si esaspera il discorso. Tanto meno numerosi sono gli azionisti rilevanti
tanto più si riesce a controllare la società con minore investimento. La separazione tar proprietà e
controllo, in tale esempio è forte perché si ha un diritto patrimoniale pari al 15% ma un diritto di
voto quindi una capacità di controllo pari al 100%. Una forte componete del prezzo è rappresentata
dall’utilità del diritto di voto, cioè dal fatto se realmente quel voto sia pivotale, svolge cioè una
funzione da pivot all’interno di un basket di voti. I patti parasociali sono accordi tra azionisti
rilevanti che si uniscono per raggiungere la maggioranza del diritto di voto. Più c’è separazione tra
proprietà e controllo più ci sono benefici privati. Il gruppo piramidale consente una forte
separazione tra proprietà e controllo, più delle dual calss, dove con un importo inferiore al 50% si
riesce a controllare una società. Nel gruppo piramidale se A controlla B detenendo il 50% del
capitale e B controlla C detenendo il 50%, allora A controlla C con il 50% del 50% del capitale,
quindi investendo solo il 25%.