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I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

I RAPPORTI CON LA SANTA SEDE


NELL’ETÀ DI FERDINANDO (1765-1800)

Stefano Tabacchi I BORBONE E LA SANTA SEDE


NEGLI ANNI SESSANTA DEL SETTECENTO

1
Per Parma, cfr. U. Benassi, Guglielmo Du
I l rapporto tra il ducato di Parma e la Santa Sede negli ultimi decenni del
Settecento fu assai più complesso di quanto abbia posto in rilievo una pur si-
Tillot. Un ministro riformatore del secolo XVIII. gnificativa tradizione storiografica, attenta soprattutto alla circolazione delle
Contributo alla storia dell’epoca delle riforme, idee illuministiche e al grande progetto riformista di Du Tillot1. Una lettura di
in “Archivio Storico per le Provincie Parmen-
questa fase storica centrata sul nesso lumi/riforme rischia infatti di essere limi-
si”, II s., XV (1915), pp. 1-121; XVI (1916),
pp. 193-368; XIX (1919), pp. 1-250; XX tativa, perché tende a porre l’accento in maniera esclusiva sull’influenza di idee
(1920), pp. 47-153; XXI (1921), pp. 1-76; e politiche in qualche modo “imposte” dalla Francia e dalla Spagna al ducato,
XXII (1922), pp. 191-272; XXIII (1923), a sottovalutare il ruolo delle variegate forze locali, a stabilire infine una con-
pp. 1-113; XXIV (1924), pp. 15-220; XXV
(1925), pp. 1-177. Per la storiografia sull’Illu-
trapposizione manichea tra “riformatori” e “conservatori” che mal si attaglia a
minismo cfr. in sintesi F. Venturi, Settecento descrivere la complessità dell’evoluzione che Parma e il ducato compirono alla
riformatore, vol. II: La chiesa e la repubblica fine dell’antico regime2.
dentro i loro limiti (1758-1774), Torino, Nell’ambito della politica ecclesiastica, il progetto riformista di Du Tillot,
1976 e il classico H. Bédarida, Parme et la
France de 1748 à 1789, Paris, 1928. che per un breve giro di anni pose il ducato al centro dell’attenzione dell’opi-
nione pubblica europea, andava a intervenire su una realtà, quella dell’antico
2
Fondamentali considerazioni in C. Mad- dominio farnesiano e poi borbonico, che aveva definito la sua identità e le sue
dalena, L’età delle riforme tra percorsi inter-
pretativi e modelli storiografici: osservazioni
strutture in quanto “piccolo Stato” che, al pari degli altri principati padani e
preliminari sui Ducati di Parma, Piacenza e della Toscana granducale, manteneva una relazione particolarmente stretta con
Guastalla (1759-1765), in “Società e Storia”, il Papato3. La Santa Sede costituiva ad un tempo un ancoraggio politico-ideolo-
CXIV (2006), pp. 805-842. gico forte e un luogo di attrazione delle élites degli Stati padani, che guardavano
3
Cfr. in sintesi B. A. Raviola, L’Europa dei a Roma per ottenere una proiezione sovraregionale, ma anche per gestire gli
piccoli stati. Dalla prima età moderna al decli- uffici e i benefici ecclesiastici negli Stati di provenienza.
no dell’Antico Regime, Roma, 2008. Il rapporto tra Parma e la Santa Sede si articolava dunque in molteplici
aspetti, che appare opportuno rievocare. C’era innanzi tutto un elemento di-
nastico che, in qualche modo, risaliva all’infeudazione di Parma a Pier Luigi
Farnese. Anche se nella storia delle relazioni tra Parma e Santa Sede non erano
Fig. 99 Giovanni Paolo Panini, Veduta mancati contrasti, prima con la guerra di Castro e poi, in un mutato contesto,
di Piazza del Quirinale (1733). Roma,
Palazzo del Quirinale, Coffee-House,
con le guerre di successione e la devoluzione del ducato ai Borbone, permaneva
Segretariato Generale della Presidenza uno stretto nesso che la Santa Sede cercò, con sempre minore fortuna, di di-
della Repubblica. (Foto A. Vasari/ fendere, rivendicando in competizione con l’Impero l’alto dominio feudale su
Studio Foto Vasari, Roma) Parma fino alla fine del Settecento. Per il Papato esercitare una forte influenza

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni

sui due ducati padani aveva infatti un valore strategico, sia per la contiguità alla Fig. 100 Luigi Marchesi, Piazza
turbolenta area delle legazioni sia per il valore simbolico che essi rivestivano in Grande di Parma (1850). Collezioni
relazione alla difesa della giurisdizione ecclesiastica (fig. 100). d’Arte Fondazione Cariparma,
inv. F 2993.
Il rapporto politico-dinastico aveva favorito, durante il ducato farnesiano,
la creazione di un saldo legame tra Parma e Roma, che funzionava nelle due
direzioni. Se infatti i Farnese esercitavano una certa influenza sul Papato, pur
avendo precocemente rinunciato a un “cardinale di famiglia”, allo stesso tempo
il loro controllo sulla complessa e articolata struttura del ducato passava dal
mantenimento di una sostanziale intesa con la Santa Sede. Accanto all’aspetto
politico, c’era però anche una dimensione più strettamente religiosa e culturale,
legata alle forme della presenza ecclesiastica nel ducato di Parma, in cui sin dal
Cinquecento si era creata una forte contiguità tra la dinastia e le élites, da un
lato, e gli ordini religiosi, dall’altro. Esemplare, da questo punto di vista, è il caso
della Compagnia di Gesù che, con il Collegio dei Nobili e le altre istituzioni
culturali e religiose, vantava una diffusione che ha pochi riscontri negli altri
Stati italiani ed europei4.
Se dunque il rapporto tra Parma e la Santa Sede si fondava su elementi di
lungo periodo, che si sarebbero esauriti solo nel periodo napoleonico e, defini-
tivamente, con l’unificazione italiana, è però vero che nel corso del Settecento
esso era entrato in tensione, già prima delle riforme di Du Tillot, in conse-
guenza prima della spregiudicata azione dell’Alberoni e poi dell’estinzione dei
Farnese e dell’ingresso di Parma nel sistema delle corti borboniche.
Dopo quasi quindici anni di dominio asburgico, il trattato di Aquisgrana
del 1748 ridiede vita autonoma al ducato di Parma, attribuendolo, inizial-
mente a titolo di établissement personale, a Filippo, fratello di Carlo III di
Borbone, nell’ambito di una sistemazione complessiva della penisola italiana
che aveva marginalizzato il ruolo della Santa Sede. Nonostante l’impegno di
Benedetto XIV e dei suoi negoziatori, la pace di Aquisgrana risolse la questione
politica dell’attribuzione del ducato nel segno dell’uti possidetis, rimuovendo
la questione dei diritti di sovranità feudale pretesi dalla Santa Sede. Inoltre, la
devoluzione di Parma, in forme ancora non ben definite, alla branca cadetta
di una grande dinastia europea cambiava radicalmente gli elementi strutturali
del rapporto con Roma, anche più di quanto era accaduto in Toscana con il
passaggio del granducato dai Medici ai Lorena. Al di là delle incertezze sul suo
assetto futuro, il ducato dipendeva infatti, anche finanziariamente, dal sup-
porto delle corti di Francia e Spagna, che ne condizionarono pesantemente il
governo e le scelte politiche.
Quando, nel marzo 1749, Filippo di Borbone raggiunse Parma e ne assunse
il governo, il rapporto tra potere civile e poteri religiosi nel ducato continuava
a svolgersi lungo le linee definitesi nel periodo farnesiano. Al contrario di altre
realtà per molti aspetti simili, come la Toscana della reggenza lorenese e il duca- 4
U. Baldini, I gesuiti nella cultura del ducato,
to di Modena, Parma non aveva sperimentato negli anni precedenti le politiche in A. Mora (a cura di), Un Borbone tra Par-
ma e l’Europa. Don Ferdinando e il suo tempo
giurisdizionaliste che avevano significativamente modificato l’impostazione del- (1751-1802). Atti del Convegno (Fontevivo,
le relazioni tra Stato/Chiesa ereditata dal “lungo Seicento”. In particolare, a Par- 12-14 giugno 2003), Reggio Emilia, 2005,
ma non erano state adottate misure efficaci per il contenimento della proprietà pp. 98-135.

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

ecclesiastica esente e la tassazione del clero avveniva nella forma del contributo aspetti giurisdizionali, un punto di principio di capitale importanza per la Santa
straordinario, concesso, volta per volta, dal pontefice, secondo il modello che Sede che il governo parmense scelse di forzare, confidando nell’appoggio della
caratterizzava gli Stati italiani sin dal Cinquecento. Spagna, dove, con il cosiddetto “Motín de Esquilache” (marzo 1766), si era affer-
Nel ducato di Parma, dunque, l’avvio di una nuova politica verso la Santa mata la linea anti-curiale del conte di Aranda. La definitiva rottura delle trattative
Sede, e in generale verso gli enti religiosi, avvenne in maniera relativamente con Roma (gennaio 1767) spinse Du Tillot a promuovere un’affermazione del
improvvisa e accelerata, sotto l’impulso di una personalità assai notevole dell’Il- diritto dello Stato a legiferare in maniera sostanzialmente unilaterale in materia
luminismo europeo, Guillaume Du Tillot, segretario di Stato dal 1758 (fig. 39). ecclesiastica, superando la tradizionale impostazione del rapporto tra potestà ci-
La vicenda delle riforme ecclesiastiche di Du Tillot, che è oggetto di altri vile e religiosa. Il 16 gennaio 1768 fu dunque emanata una legge che vietava ai
contributi in questo volume5, va anch’essa letta, al di fuori di ogni municipa- sudditi di ricorrere a tribunali esteri, compresi quelli curiali, introduceva il regio
lismo, in relazione alla politica delle corti borboniche di Francia e Spagna6. A exequatur su tutti gli atti della Santa Sede e riservava ai sudditi i benefici ecclesia-
questa vanno ricondotti non solo specifici provvedimenti come l’espulsione dei stici del ducato, quasi prefigurando la costruzione di una Chiesa nazionale.
Gesuiti (del resto non diversamente da ciò che accadde nell’Austria di Maria Il conflitto con la Santa Sede, che tra il 1768 e il 1770 diede centralità europea
Teresa)7, ma il complesso dell’impostazione dei rapporti tra il ducato e la San- al ducato di Parma, derivò dunque da una specifica contingenza, abilmente sfrut-
ta Sede. Se infatti negli anni di Filippo di Borbone il ducato di Parma aveva tata da Du Tillot per promuovere una politica riformatrice. In questo senso, va
riacquistato, anche grazie al “recupero” di Piacenza, una propria embrionale sottolineata la saldatura che i governi europei artificiosamente stabilirono tra la vi-
soggettività autonoma sul terreno internazionale, esso rimaneva vincolato alle cenda parmense e i provvedimenti di soppressione della Compagnia di Gesù, già
scelte della politica borbonica, sanzionate dal Terzo Patto di Famiglia (il trattato emanati in Portogallo (1759), Francia (1764), Spagna e regno di Napoli (1767).
di Parigi del 1761 e i conseguenti “atti di garanzia” dell’imperatore e dell’Inghil- Quando il papa Clemente XIII promulgò, il 30 gennaio 1768, il breve Alias ad
terra del 1763) e condizionato dalla sua natura politica di “piccolo Stato” sul Apostolatus, noto anche come “monitorio di Parma”, con cui annullava i decreti
quale ancora negli anni Sessanta del Settecento l’Impero poteva rivendicare una emanati e scomunicava il duca Ferdinando e i suoi collaboratori, l’immediata
forma di “alto dominio” di origine feudale8. reazione fu l’espulsione dei Gesuiti dal ducato, avvenuta tra il 7 e l’8 febbraio9.
Lo svolgimento delle riforme fino alla “crisi di Parma” del 1768 conferma La cacciata dei Gesuiti era stata in realtà già decisa nei mesi precedenti, sotto
questo intersecarsi della politica di Du Tillot con il grande confronto apertosi la pressione delle corti borboniche, ma la sua attuazione nella specifica congiun-
a livello europeo. Il ministro impostò una vasta politica di riforma fiscale e tura del febbraio 1768 consentì a Du Tillot di presentarla come parte di un più
finanziaria, ispirata ad un assolutismo illuminista e mercantilista, che rompeva ampio programma di riforma della vita religiosa del ducato che si imperniò, negli
la tradizionale struttura del ducato e trovava uno dei suoi punti più qualificanti anni successivi, in un piano di riduzione degli ordini religiosi, specie contempla-
nel contrasto ai privilegi del clero, fiscali, giurisdizionali e, in senso lato, poli- nel titolo Storia dei papi ho eli- tivi, che corrispondeva tanto alle linee del “cattolicesimo illuminato” di matrice
tici. Il percorso che condusse allo scontro aperto con la Santa Sede fu tuttavia minato i punti dopo XIV. etc...: è asburgica che alla finalità di rianimare la vita economica del ducato10. Quali che
lungo e complesso. I negoziati con Roma, apertisi nel 1761 e sostanzialmente corretto o ripristino? ne fossero le ragioni, il monitorio di Clemente XIII era stato un grave errore poli-
arenatisi nel 1764-1765, proseguirono durante tutti gli anni Sessanta in un cli- tico, sia per il momento in cui fu emanato sia per i suoi contenuti, che giungeva-
ma via via più teso e confuso, con ambigui mediatori, come il marchese – poi 5
Si veda, su tutti, il saggio di Claudio Mad- no a riproporre le pretese temporali della Santa Sede sul ducato. La reazione della
cardinale – Tommaso Antici e il più ferrato avvocato rotale Francesco Maria dalena, Il governo del ministro Du Tillot. cultura illuministica e dei governi fu, come ha mostrato Franco Venturi, molto
9
Per le vicende del “monitorio” cfr. L. von
Spedalieri, in un costante dialogo tra Parma e Madrid, soprattutto dopo la 6
Sulle riforme di Du Tillot cfr. C. Maddale- Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio forte e diede all’esperimento riformista di Parma una immediata centralità11. In
morte, nel luglio 1765, del duca Filippo di Borbone e il passaggio del ducato na, Le regole del principe. Fisco, clero, riforme Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto un contesto in cui l’opinione pubblica era facilmente mobilitabile circolarono le
a Ferdinando, ancora poco più che adolescente. Proprio la situazione creatasi a Parma e Piacenza (1756-1771), Milano, pontificio e di molti altri archivi, vol. XVI/1: voci più varie, spesso alimentate dalle potenze europee raccolte con un po’ troppa
2008, che offre una sistemazione definitiva Storia dei Papi nel periodo dell’assolutismo,
con la morte di Filippo di Borbone favorì una aggressiva politica ecclesiastica del tema.
facilità dagli storici delle riforme. Si parlava dunque, senza molto fondamento, di
dall’elezione di Benedetto XIV sino alla mor-
che ebbe il suo punto qualificante nella creazione di una magistratura speciale, te di Pio VI (1740-1799). Benedetto XIV e preparativi militari verso le legazioni pontificie, ad opera dei ducati di Modena e
la Giunta di Giurisdizione, con competenze esclusive tanto in campo giudizia- 7
Cfr. E. Garms-Cornides, Il Papato e gli Clemente XIII (1740-1769), Roma, 1933, in Parma. Più significativo fu il passo dei ministri di Francia e Spagna a Roma che
rio che fiscale, e nell’emanazione di un editto di perequazione, che disponeva Asburgo nell’età delle riforme settecentesche, in particolare pp. 924-956. chiesero una sconfessione pubblica del monitorio. Di fronte al rifiuto del pon-
G. De Rosa, G. Cracco (a cura di), Il Pa-
la tassazione dei beni entrati in mani ecclesiastiche dopo la redazione dei catasti pato e l’Europa, Soveria Mannelli, 2001, pp. 10
Sull’espulsione dei Gesuiti cfr. G. Gonzi,
tefice, la Francia e il regno di Napoli procedettero all’occupazione militare delle
cinquecenteschi. 255-296. L’espulsione dei gesuiti dai ducati parmen- enclaves pontificie di Avignone, Benevento e Pontecorvo.
Si trattava di una svolta che poneva il ducato all’avanguardia del riformismo si (febbraio 1768), in “Aurea Parma”, L/3 Alla fine del 1768 il rapporto del ducato di Parma con la Santa Sede sem-
8
B. Mazohl-Wallnig, Tra politica imperiale (1966), pp. 154-193; LI/1 (1967), pp. 3-62.
giurisdizionalista e che portò a un inasprimento dello scontro con Roma. A ben brava dunque avviarsi lungo i binari di un’avanzata politica giurisdizionalistica,
e politica dinastica: Maria Teresa, Giuseppe II
vedere, dopo il 1765 le ragioni del conflitto non stavano più tanto nella questio- e Parma, in Mora, Un Borbone tra Parma e 11
Venturi, La chiesa e la repubblica…, pp. ma, nel giro di pochi anni, venne a prodursi una nuova svolta politica, che
ne dell’assoggettamento del clero alle contribuzioni, ma nella definizione degli l’Europa…, pp. 25-37. 226-232. portò all’allontanamento di Du Tillot e al ristabilimento di una forte sintonia

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni

tra Parma e Roma. Protagonista di questa nuova fase fu una personalità che tra Fig. 101 Antonio Bresciani, Ritratto
la fine del Settecento e l’età napoleonica divenne in qualche modo un emblema di don Ferdinando di Borbone (1767).
della reazione alle riforme: il duca Ferdinando di Borbone. Collezioni d’Arte Fondazione
Cariparma, inv. F 2106.

LA PRESA DI POTERE DI FERDINANDO I

Ferdinando (Parma 1751-Fontevivo 1802; figg. 78, 101) non ha goduto di buo-
na stampa presso la storiografia. Se già nell’Ottocento egli fu assunto come
emblema dell’esaurimento politico e intellettuale delle dinastie italiane, nella
storiografia sull’Illuminismo italiano la sua figura è stata vista prevalentemente
in negativo, contrapponendola al rigoglio dell’epoca di Filippo di Borbone e
di Du Tillot e insistendo sui limiti psicologici e personali del duca di Parma12.
Ci si è dunque soprattutto interrogati, anche sulla scorta delle memorie la-
sciate dal duca, sugli imprevisti esiti di un’educazione che pose il giovane Ferdi-
nando, succeduto al padre a soli quattordici anni, in contatto con alcune delle
punte più avanzate della pedagogia illuministica, ottenendo il risultato di un
rifiuto del razionalismo e di un rifugio in una religiosità semplice e devoziona-
le13. Risultato paradossale o forse naturale conseguenza dell’applicazione, a tratti
non esente da punte di violenza, di un modello teorico ideato senza troppo
interesse per la persona reale del discente.
E, in effetti, precoce e irrecuperabile appare il contrasto tra la personalità
politico-religiosa di Ferdinando e quel mondo di “riformatori” di cui Du Tillot
rappresentava l’espressione politicamente più significativa. Un contrasto che
tuttavia non va ridotto a una dimensione meramente personale, che pure vi fu,
o psicologistica, in quanto esprimeva piuttosto il distanziamento culturale da un
progetto politico lontano dalla autoctona tradizione del ducato, che continuava
a caratterizzare frazioni importanti dell’élite politica parmense. Rivelatore, da
questo punto di vista, è lo sforzo di Ferdinando per riportare a Parma i Gesuiti,
che non era motivato da una particolare sintonia con la spiritualità gesuitica, ma
dal riconoscimento del potenziale religioso e didattico che i Gesuiti potevano
offrire a quel progetto di contrasto all’Illuminismo e di consolidamento della
società del ducato che Ferdinando aspirava a costruire.
Specialmente nella prima fase del suo governo, i ministri spagnoli e francesi
videro quasi esclusivamente gli elementi più ostentatori della religiosità di Ferdi-
nando che, già nell’ultima stagione del ministero di Du Tillot, era divenuta un 12
Cfr. in sintesi Mora, Un Borbone tra Parma
problema politico, tanto che fu inviato a Parma il marchese di Chauvelin per e l’Europa…, passim; E. Badinter, L’Infant de
dissuadere il duca dalle devozioni e per epurare il suo entourage, con la cacciata di Parme, Paris, 2008, passim.
due domenicani, Vincenzo Domenico Ferrari e Tommaso Misuracchi, e con la
sospensione di due cappellani ducali. D’altro canto, è indubbio che i primi anni
13
Cfr. tra gli altri, gli esempi ricordati in A.
Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati
del governo di Ferdinando, tra il 1765 e il 1771, rappresentarono l’apice del rifor- parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e con-
mismo di Du Tillot, con l’espulsione dei Gesuiti, l’emanazione di disposizioni che tinuate da Angelo Pezzana, vol. VII, Parma,
vietavano ai sudditi ducali il ricorso ai tribunali esteri e la riforma dell’Università 1833, pp. 547-575.

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

(1768). Misure che il duca successivamente sconfessò, non solo per una precon- La progressiva emancipazione di Ferdinando dalla tutela franco-spagnola, in
cetta ostilità, ma per un progressivo distanziamento dalle implicazioni politiche particolare dopo il matrimonio con Maria Amalia d’Asburgo (fig. 102), che fece
e religiose delle riforme, che era anche il frutto di un rapporto con il ducato assai il suo ingresso a Parma il 24 agosto 1769, e il conflitto con Du Tillot, conclusosi
più stretto e ‘intimo’ di quello che aveva avuto il padre. Cresciuto a Parma, Fer- con la sua rimozione, non furono un colpo di testa ma l’avvio di una politica di
dinando rifiutava l’idea che il futuro del ducato dovesse costruirsi sulla base di un restaurazione della presenza che la Chiesa aveva a Parma prima delle politiche
accelerato processo di adeguamento ai più avanzati standard politici continentali, giurisdizionaliste. Una politica nella quale il duca Ferdinando non si rivelò un
avvertendo, soprattutto nella politica religiosa, il rischio di una sostanziale subor- fanatico religioso, ma un sovrano abile a muoversi sul terreno politico-diploma-
dinazione all’iniziativa delle grandi potenze. Era al contrario propenso a valorizza- tico, anche scavalcando i suoi ministri, ritenuti generalmente figure scialbe e di
re la dimensione più antica e profonda del ducato, quella definitasi tra Cinque e modesta levatura.
Seicento nell’ambito di uno stretto rapporto con la Chiesa post-tridentina.

LA CHIESA DEL DUCATO


NEGLI ANNI DI FERDINANDO

Le misure adottate da Du Tillot nell’ultima fase del suo governo e le nuove po-
litiche di Ferdinando avevano modificato una realtà di rapporti tra potere civile
e religioso che era assai più complessa di quanto non ritenesse la storiografia ot-
tocentesca. Ciò non solo per il rapporto politico tra Roma e Parma ma perché la
Chiesa locale, al pari di quanto accadeva negli altri Stati italiani, era sotto molti
aspetti una “Chiesa di Stato”, pienamente integrata nella società aristocratica
del ducato.
A Parma, dopo il lunghissimo episcopato di Camillo Marazzani (1711-
1760), la diocesi fu retta da Francesco Pettorelli Lalatta (1760-1788), membro
di un’importante famiglia parmigiana, che seppe mantenere un buon equilibrio
tra le spinte giurisdizionaliste di Du Tillot e la difesa degli interessi ecclesiastici.
Lo stesso Du Tillot lo aveva correttamente inquadrato nel 1761, quando, dopo
averne patrocinato la nomina, aveva scritto al padre Paciaudi che “je trouvois
qu’on pouvoit etre mieux, mais qu’a Parme il est difficile d’avoir mieux”14. E in ef-
fetti il Pettorelli aveva cooperato alle riforme, ma aveva esplicitamente rifiutato
di farsi promotore di un moto episcopalista diretto contro il clero regolare e,
implicitamente, contro la Santa Sede.
A Piacenza, dopo la morte di Pietro Cristiani (1765), erudito ecclesiastico in
rapporto con Muratori, la sede episcopale fu tenuta da Alessandro Pisani (1766-
1783) e poi da Gregorio Cerati (1783-1807). Se il primo aveva contrastato con
14
G. Drei, Notizie sulla politica ecclesiasti- l’abilità diplomatica e la resistenza passiva la politica giurisdizionalistica di Du
ca del ministro Du Tillot. Sua corrisponden- Tillot, il secondo era più in linea con il revival religioso avviato da Ferdinando.
za segreta col vescovo di Parma, in “Archivio
Cerati apparteneva al clero regolare – era un monaco benedettino – ed era stato
Storico per le Province Parmensi”, II s., XV
(1915), p. 200. nominato per diretto impulso di Ferdinando, che aveva vinto le sue iniziali
perplessità, chiedendogli “che faccia questo sacrificio al Signore e mi dia questa
15
V. Agosti, Clero e rivoluzione nella Piacenza consolazione”15. Né l’ingerenza ducale si era limitata, come di prassi, alla desi-
del triennio 1796-1799, in C. Capra (a cura
Fig. 102 Ennemond-Alexandre Petitot, Elevazione geometrica dell’Illuminazione nel giardino di Colorno, in Descrizione delle Feste celebrate di), Giacobini e pubblica opinione nel Ducato
gnazione, ma si era estesa alla scelta dei collaboratori del vescovo, con l’allonta-
in Parma l’anno MDCCLXIX per le Auguste Nozze di Sua Altezza Reale l’Infante Don Ferdinando colla Reale Arciduchessa Maria Amalia, di Piacenza. Atti del Convegno (Piacenza, 27- namento nella remota località di Pomaro del sacerdote Ubaldo Cassina, colto
Parma, 1769. BPPr, Pal. 14981. (Foto A. Rossi) 28 settembre 1996), Piacenza, 1998, p. 17. professore di filosofia morale inizialmente designato come vicario generale.

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

Più mossa era la situazione dell’altra, minore, diocesi del ducato, quella di caricato d’affari un semplice abate, Cipriano Celleri, che morì nel 1791 e che, al
Borgo San Donnino. Qui, dopo il lungo episcopato di Girolamo Bajardi (1753- pari di altre figure di incaricati e sollecitatori, operava anche al servizio di altre
1775), si trovava Alessandro Garimberti (1776-1813), patrizio parmense e cu- personalità di curia, come il cardinale Livizzani17. C’era, per la verità, a Roma
gino di Cerati, anch’egli personalmente vicino a Ferdinando. un giovane prelato di origine piacentina, molto valorizzato da Clemente XIV e
Relativamente alla cultura politica e religiosa del clero, va sottolineato come Pio VI, monsignor Giulio Maria della Somaglia (1744-1830), ma tutta la sua
alla non trascurabile diffusione di idealità riformiste non corrispose un signifi- carriera, che lo portò ad essere autorevole cardinale di curia e segretario di Stato
cativo sviluppo del giansenismo, anche se da Parma proveniva l’abate Gaspare dal 1824 al 1828, si svolse a Roma, con limitati contatti con la realtà parmense.
Cerati (1690-1769) che a Roma e a Firenze fu uno dei principali esponenti del Nel complesso, il paesaggio religioso del ducato non appare così grigio e
riformismo religioso della sua epoca e che cooperò con Du Tillot nei progetti di arretrato come è stato spesso descritto. Anche se lo Stato di Parma rimase com-
16
G. Olmi, Sulla presenza e rimarchevole at-
riforma del sistema di istruzione. La cifra che più caratterizza l’alto clero del du- tività dei gesuiti spagnoli espulsi nel ducato di plessivamente ai margini delle correnti più avanzate del “cattolicesimo illumi-
cato negli anni di Ferdinando può dunque essere individuata, pur nella diversità Parma e Piacenza, in U. Baldini, G. P. Briz- nato”, non vi mancò anzi un vivace dibattito interno, specialmente a Piacenza
di figure e posizioni politico-religiose, in un forte e diretto rapporto dei singoli zi (a cura di), La presenza in Italia dei gesuiti dove fu forte la dialettica tra i lazzaristi, che esprimevano posizioni venate di
iberici espulsi. Aspetti religiosi, politici, cultura-
prelati con il duca, cementato anche sulla base della loro appartenenza ‘nazio- li, Bologna, 2010, pp. 509-539. giansenismo, e le famiglie religiose legate alla tradizione gesuita e molinista.
nale’, che li aveva in alcuni casi portati ad assumere ruoli di corte o nelle isti- La stessa presenza del clero regolare, anche prescindendo dal ruolo culturale
tuzioni culturali del ducato. Nel complesso i prelati e, per certi aspetti lo stesso dei Gesuiti, sembra evidenziare una forte integrazione tra il mondo dei religiosi
Ferdinando, non avevano tanto la prospettiva di un’alleanza trono- e la realtà politico-sociale del ducato, sia sul piano assistenziale che sul piano
altare come la si intese nell’Ottocento ma piuttosto quella, più Fig. 103 Jean-Baptiste Bou- culturale e religioso, certo grazie anche a una capillare presenza sul territorio e a
tradizionale, di uno “Stato paterno” sul modello farnesiano, dard (attr.), Busto di Paolo una buona disponibilità di proprietà e risorse finanziarie.
imperniato sulla centralità politica e religiosa del principe e Maria Paciaudi (1770
circa). Biblioteca Palati-
sul mantenimento di relazioni dialettiche, ma di sostanziale
na di Parma. (Foto A.
intesa, con la Santa Sede. Rossi)
A marcare il paesaggio religioso del ducato negli anni LA POLITICA DI FERDINANDO
di Ferdinando era però soprattutto la presenza degli ex DAL 1770 AL 1780, TRA ROMA E PARMA
Gesuiti, strategica per il progetto politico-culturale del
duca, che tuttavia escludeva, almeno inizialmente, ogni
velleità di ricostruzione dell’ordine16. Tra questi spicca- Preannunciata da proteste esplicite del Comune di Parma contro le riforme, la
vano personalità di vasta cultura letteraria come Juan An- ai suoi oppositori? caduta di Du Tillot avvenne repentinamente nel novembre 1771, dopo che, du-
drés (1740-1817), vicino alla corte e al duca, e di grande rante l’estate, erano scoppiati tumulti e diversi collaboratori del ministro – dal
prestigio come il principe-gesuita José Pignatelli, che giocò padre Paciaudi a Tommaso La Rocchette – erano stati oggetto di misure puni-
un ruolo importante nella ricostruzione dell’ordine. Più degli tive, come era del resto capitato, due anni prima, agli oppositori del ministro,
altri, sembra che abbia contato il gesuita Carlo Borgo (1731- capeggiati dal conte Luchino Dal Verme (fig. 51).
1794), vero consigliere politico e religioso del duca. Gra- La caduta di Du Tillot e la sua sostituzione con José Augustín de Llano,
dualmente emarginati, quando non perseguitati, inviato dalla Spagna per garantire una stretta tutela sul ducato, rappresentarono
furono invece i religiosi che, in vario modo, si una cesura nella storia di Parma, come da tempo riconosciuto dalla storiogra-
erano legati al partito regalista, dal padre fia. Le implicazioni della svolta del 1771 furono numerose e restano ancora da
Paciaudi (figg. 48, 103), all’abate Pie- approfondire, superando l’immagine un po’ semplicistica del contrasto tra in-
tro Coppellotti, inquieto religioso già novatori e conservatori e rivedendo, in una luce più articolata, il ruolo del duca
recluso dall’Inquisizione di Piacenza e Ferdinando I, ormai ventenne e deciso a tradurre in pratica il suo modello di
collaboratore segreto di Du Tillot, all’a- “assolutismo” decisamente caratterizzato in senso religioso.
bate Millot. La scelta politica di Ferdinando, pure originata anche da travagli di tipo per-
In questa sommaria rassegna di alcune sonale, era legata alla presenza di un forte partito avverso al ministero Du Tillot,
figure del clero del ducato va pure sottoli- che è troppo schematico ridurre a mere forze di conservazione. Nell’opposizione
neata la mancanza, a Roma, di esponenti del alle riforme si erano intrecciate infatti posizioni diverse: l’ostilità del duca e della
17
Cfr. il breve necrologio del Celleri in “Dia-
clero parmense di qualche rilievo. Come abbia- rio di Roma”, n. 1758, Roma, 5 novembre moglie Maria Amalia d’Austria, le resistenze del clero, la difesa di un municipa-
mo visto, Ferdinando manteneva a Roma come in- 1791. lismo e di una tradizione di governo autoctona che il ministro aveva sin troppo

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

sottovalutato, la competizione tra partito ‘francese’ e partito ‘spagnolo’, le rivali-


tà personali che spaccavano i vari gruppi al loro interno. Pur con i suoi eviden-
ti limiti, Ferdinando aveva interpretato queste diverse ma convergenti spinte.
Non a caso, una personalità impregnata di anti-clericalismo come il ministro di
Spagna a Roma, Nicolás de Azara, commentò la caduta di de Llano, avvenuta
nell’ottobre 1772, un anno dopo quella di Du Tillot, con saldo realismo:

por toda Italia no se habla de otra cosa que del caso de Parma que
ya saben vds., y no hay uno por aquí que no apruebe la accion del
Infante, porque todos los italianos hacen causa comun contra nosotros,
y detestan que tengamos la menor ingerencia en los negocios suyos18.

Nel corso del 1771, prima e dopo la caduta di Du Tillot, si diffuse così nel duca-
to una vasta letteratura pamphlettistica e satirica contro il ministro, largamente
spontanea e riconducibile a un ampio fronte di opposizione che univa – più a
Piacenza che a Parma – una serie di nobili, prelati e funzionari – dal marchese
Serafini, ai conti Volpari e Marazzani, al cavaliere Arcelli, a monsignor Girola-
mo Bajardi, vescovo di Borgo San Donnino –, e che aspirava a una completa
epurazione degli apparati amministrativi.
Non tutti gli esponenti del variegato mondo dell’opposizione possono tutta-
via essere ridotti a semplici difensori dello status quo. Ad esempio, è stata segna-
lata la figura del nobile piacentino Gaetano Tedaldi (1730-1781), commissario
ducale per i confini dello Stato, che, in un progetto redatto nel 1774, accettava
la sostanza della politica ecclesiastica di Du Tillot, ma proponeva insieme un
rinnovato patto tra il duca e la nobiltà dello Stato, indirizzata evidentemente
contro Roma, ma anche contro quella che era apparsa un’invasione di ministri
e burocrati estranei alla tradizione del ducato19.
Dopo la caduta di Du Tillot, il mondo politico ed ecclesiastico parmense ri-
mase comunque una realtà complessa e articolata. Se nell’ambito degli ordini
religiosi era forte il desiderio di rivalsa, l’episcopato e il clero secolare apparivano
maggiormente propensi a salvaguardare alcuni elementi della politica ecclesiasti-
ca degli anni Sessanta che avevano dato centralità all’episcopato rispetto a una Fig. 104 Francisco Vieira, Il vescovo Adeodato Turchi (1795 circa). Parma, Galleria Nazionale.
complessa strutturazione di enti religiosi ereditata dalla Controriforma. Del resto,
anche alcune scelte del duca Ferdinando sembravano valorizzare le frazioni più
colte e moderate del clero. Ad esempio, nella primavera del 1776 il cappuccino 18
El espíritu de Don José Nicolás de Azara,
descubierto en su correspondencia epistolar con
Adeodato Turchi (fig. 104), personalità centrale della vita religiosa parmense, che Don Manuel de Roda, Madrid, 1846, vol. II,
Sacco (1774-1781), Prospero Manara (1781-1787), Troilo Venturi (1787), Ce-
negli anni Sessanta aveva mantenuto una forte vicinanza culturale e personale p. 354. cit. , in A. Neri...? sare Ventura (1787-1800). La gestione delle relazioni diplomatiche con Roma
con Du Tillot, pur non aderendo completamente alle sue linee politiche, fu scelto fu però assunta direttamente dal duca, che, come rilevò alcuni anni dopo il
come istruttore dei giovani figli di Ferdinando e Maria Amalia e assunse un ruolo
19
R. Ghiringhelli, Idee, società ed istituzioni direttore della Biblioteca Palatina, il padre Ireneo Affò, era “così circospetto, e
nel Ducato di Parma e Piacenza durante l’età
anche politico nel quale espresse una costante attenzione per i riflessi sociali ed illuministica, Milano, 1988, pp. 14-20.
nelle massime dell’animo suo secreto, che talun di coloro che gli stanno al fian-
economici di un riformismo che non rifiutava la prospettiva di una compatibilità co da più anni mi à giurato di non averlo ancora imparato a conoscere”21. Non
tra dimensione religiosa e civile e che solo progressivamente si appannò20. 20
Cfr. Stanislao da Campagnola, Nuovi
21
Lettera di Ireneo Affò al cardinale Valenti si trattava però solo di segretezza, ma piuttosto della conseguenza della debole
documenti sui rapporti tra Adeodato Turchi e Gonzaga, 3 giugno 1788, in A. Neri, Let-
Sin dai primi anni Settanta, per Ferdinando rinsaldare il rapporto con la tere inedite di Ireneo Affò al cardinale Valenti
soggettività internazionale del ducato, che rimaneva ancora sotto la tutela della
Guglielmo du Tillot, in “Archivio Storico per
Santa Sede rappresentò una priorità politica e personale, che fu in diversa ma- le Province Parmensi”, IV s., XX (1968), pp. Gonzaga, in “Archivio Storico per le Province Spagna. Per Ferdinando lo svolgimento di una politica estera autonoma passava
niera assecondata o subita dai ministri che si succedettero al governo: Pompeo 273-330. Parmensi”, II s., V (1905), p. 203. necessariamente da un rapporto diretto e riservato con il pontefice, da gestire al

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

limite tramite incaricati di affari, come l’abate Cipriano Celleri, che fu chiamato comune preoccupazione di frenare le punte più avanzate dell’Illuminismo, nella
a sostituire l’avvocato Francesco Maria Spedalieri, troppo legato a Du Tillot e al quale il duca di Parma poté ritagliarsi uno specifico ruolo politico-diplomatico.
partito riformista. Già all’indomani della soppressione, Ferdinando si proponeva come media-
Già all’indomani della cacciata di Du Tillot, al Celleri fu comandato di fare tore tra Clemente XIV e le corti borboniche, inviando, il 6 novembre 1773, una
richiesta di alcune concessioni liturgiche per santi legati a Parma. Ancora più lettera redatta dal domenicano Vincenzo Domenico Ferrari – uno degli opposi-
che in passato, il rapporto tra Parma e la Santa Sede non costituiva però una tori di Du Tillot graziato dopo il 1772 –, nella quale, dopo aver protestato la sua
questione bilaterale. Si collocava invece su uno sfondo di rapporti internazionali devozione alla sede apostolica, offriva la sua interposizione per la restituzione
molto più ampio che, in questa specifica fase, era caratterizzato dall’ancora irri- al papa di Avignone, Benevento e Pontecorvo, sequestrate nel pieno della crisi
solto conflitto tra la Santa Sede e le potenze borboniche. Occorre dunque tenere diplomatica del 1768. Al contrario di ciò che spesso si ritiene, non si trattava
conto delle linee non convergenti che si stavano determinando a Roma e nei di una mossa autonoma, ma del frutto di una complessa azione diplomatica
principali Stati cattolici22. Il governo spagnolo e quello francese perseguivano delle corti borboniche, finalizzata a chiudere contestualmente la vicenda della
ormai linee diverse, se non antagoniste. In Francia, l’uomo forte del governo, Compagnia di Gesù e il conflitto innescato dal “monitorio di Parma”. Non a
duca di Choiseul, dovette abbandonare il potere, il 24 dicembre 1770, per con- caso, il pontefice, nella sua risposta, fu ben attento a riconoscere a Ferdinando
trasti con Luigi XV e con la sua favorita, contessa Du Barry e ciò comportò un il solo titolo di infante di Spagna, ma non quello di duca di Parma, non avendo
ripiegamento rispetto alle punte più avanzate della politica ecclesiastica. Diver- egli chiesto l’investitura23.
samente, in Spagna e nel regno di Napoli, proseguì, sia pure con alterne vicen- La lettera di Ferdinando aveva dunque una forte importanza politica, tanto
de, l’azione di riduzione delle immunità e dei privilegi fiscali del clero. che fu edita in diverse pubblicazioni di origine curiale24. La politica del duca di
A Roma, dopo la morte di Clemente XIII, nel febbraio 1769, si era aperto Parma, in effetti, riusciva a intersecare una generale tendenza alla composizione
un lungo conclave, nel quale il discrimine tra i diversi partiti – quello delle co- della frattura tra Stati e Santa Sede che portò alla dissoluzione di quell’unione
rone, quello legato all’eredità del pontefice defunto e un terzo partito moderato tra giansenismo, anti-gesuitismo, polemica illuministica e regalismo che aveva
– fu rappresentato proprio dall’atteggiamento rispetto all’“affare di Parma” e al determinato le politiche riformiste degli anni Sessanta del Seicento. In quell’i-
problema gesuitico. Dopo complesse trattative, la maggioranza curiale ‘modera- nizio degli anni Settanta, se la Francia attendeva ormai solo l’abolizione dei
ta’ riuscì a promuovere l’elezione di Clemente XIV (giugno 1769), sulla base di Gesuiti per chiudere le vertenze col Papato, il Portogallo, che aveva dato inizio
un’ormai diffusa volontà di avviare un nuovo tipo di rapporti tra la Chiesa ro- all’ondata anti-curiale nel 1759 e si era segnalato per un violento giurisdiziona-
mana e gli Stati europei, che liquidasse l’eredità di Clemente XIII e del conflitto lismo, aveva già ristabilito buone relazioni con Clemente XIV.
parmense e consentisse la definitiva soluzione del problema gesuitico nel nome Sotto molti aspetti, la politica ecclesiastica di Ferdinando apparve, già ai con-
di una ritrovata intesa tra Papato e potenze europee. Sin dall’esordio del pon- temporanei, un mero ritorno all’antico25. Già nel 1771 furono abrogati gli editti
tificato, Clemente XIV lanciò inequivocabili segnali di distensione. Concesse, del 1764-1765 relativi agli enti di manomorta, alla Giunta di Giurisdizione e alla
anche su pressioni del governo viennese, la dispensa per le nozze di Ferdinando perequazione. Negli anni successivi, furono annullate anche le altre principali leg-
di Borbone con Maria Amalia d’Asburgo, senza sollevare la questione del moni- gi di Du Tillot, con il ripristino dei privilegi ecclesiastici (1774), la riapertura dei
torio, non intervenne contro la legislazione toscana che aveva abolito il diritto 23
Clementis XIV Pont. Max. Epistolae et conventi già soppressi (1778), la riammissione dell’Inquisizione (1780) e – ma
Brevia […], edidit A. Theiner, Parisiis, 1852,
di asilo e, soprattutto, rinunciò alla lettura della bolla In coena Domini, che, con solo a coronamento di un lungo processo – la riammissione dei Gesuiti (1793).
pp. 271-272.
le sue antiche rivendicazioni, costituiva uno dei principali obiettivi polemici dei Sarebbe sbagliato vedere in queste misure dei provvedimenti singoli, legati
teorici del giurisdizionalismo. 24
È pubblicata ad esempio, con la risposta, allo smantellamento della politica giurisdizionalistica di Du Tillot. Specialmen-
La prima fase del rapporto tra Ferdinando e la Santa Sede si svolse dunque in Vita di Clemente XIV Pontefice Massimo te dopo la caduta di Ferrari, Ferdinando sembra invece puntare a una soluzione-
[…], Venezia, 1775, pp. 122-133. Ma cfr. su
in un contesto ancora in evoluzione, nel quale le potenze europee non erano di- tutta la vicenda E. Giménez López, Misión
quadro, in linea con la tradizione dei rapporti tra Santa Sede e ducato, quella
sposte ad assecondare più di tanto la volontà di pacificazione del duca di Parma, en Roma. Floridablanca y la extinción de los cioè di un concordato generale che, come scriveva il conte Sacco all’ambasciato-
il quale tuttavia disponeva ormai degli spazi per proporsi nella funzione di me- jesuitas, Murcia, 2008. re spagnolo a Roma conte di Floridablanca, “combini plausibilmente la libertà e
diatore, specialmente dopo essersi liberato di Du Tillot e dei suoi collaboratori. le immunità ecclesiastiche tutte coi diritti dello Stato e della giustizia”26.
25
Cfr. F. Dallasta, Appoggi, archivio, astu-
Dopo il congedo del ministro de Llano, nell’ottobre 1772, Francia e Spagna zia. Le armi dell’inquisitore di Parma Vincenzo La prospettiva concordataria rappresentava una credibile alternativa al giuri-
reagirono duramente, sospendendo il pagamento delle pensioni al duca, ma il 22
Cfr. N. Guasti, Clemente XIV e la diploma- Giuliano Mozani, in H. Wolf (hrsg.), Inqui- sdizionalismo assolutista e “illuminato” di Du Tillot, sia in quanto corrispondeva
conflitto poté rientrare rapidamente, nel luglio 1773, a seguito della decisione zia borbonica: la genesi del breve di soppressio- sition und Buchzensur im Zeitalter der Aufklä- agli scrupoli religiosi del duca di Parma di rifondare una continuità di intenti tra
ne della Compagnia di Gesù, in M. Rosa, M. rung, Paderborn, 2011, pp. 351-430.
del papa di sciogliere la Compagnia di Gesù e della nascita dell’infante di Parma, Colonna (a cura di), L’età di papa Clemente
potere civile ed ecclesiastico, sia in quanto riprendeva una impostazione di rap-
Ludovico. La soppressione della Compagnia di Gesù creava infatti le condizioni XIV. Religione, politica, cultura, Roma, 2010, 26
Benassi, Guglielmo Du Tillot…, XXV porti tra la Santa Sede e gli Stati italiani che era stata rilanciata con relativo succes-
per una nuova stagione di relazioni tra la Santa Sede e gli Stati, segnata da una pp. 29-77. (1925), p. 165. so negli anni Trenta e Quaranta del Settecento, in particolare da Benedetto XIV.

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Certo, nei rapporti tra Parma e la Santa Sede entrava pesantemente la di- vaticano e futuro nunzio a Vienna e cardinale Giuseppe Garampi (1725-1792)
mensione personale di un sovrano che si sentiva responsabile della vita civile e o del domenicano Tommaso Maria Mamachi (1713-1792), forse il più agguer-
della vita religiosa dei sudditi. Così, ad esempio, quando, nel marzo 1780, Fer- rito polemista di cui disponesse la Santa Sede29.
dinando manifestò l’intenzione di inviare al papa una lettera in cui affacciava i Con il pontificato di Pio VI (1775-1799; fig. 105) i termini del progetto di
suoi dubbi sulla legittimità canonica delle disposizioni contenute nella legge di rilancio del ruolo della Santa Sede si precisarono immediatamente, quando il
perequazione dei tributi del 13 gennaio 1765, si dovette confrontare con l’op- pontefice, con la sua prima enciclica, la Inscrutabile Divinae Sapientiae del Nata-
posizione dei funzionari, guidati da una personalità come quella dell’avvocato le 1775, definì una chiara linea di condanna della cultura illuministica, accusata
fiscale Antonio Bertioli (1735-1806), espressiva più del tradizionale regalismo in blocco di ateismo, e propose una rinnovata concordia tra la Chiesa e gli Stati.
che della cultura illuministica. E tuttavia, al di là degli scrupoli religiosi, la poli- Allo stesso tempo, il papa rifiutò di allinearsi apertamente alle posizioni filo-
tica di Ferdinando appariva orientata a un progetto di lungo periodo, finalizza- gesuitiche, reprimendo ogni azione in favore della ricostituzione della Compa-
to, all’interno, a ricompattare le forze conservatrici e, sul piano internazionale, gnia, e cercò piuttosto di promuovere una forte coesione delle diverse posizioni
a rafforzare la soggettività politica del suo Stato nel quadro del rapporto con
Roma e con gli Stati italiani, liberandolo così dell’ipoteca spagnola. Il duca,
insomma, sembrava indirizzarsi a un modello di “assolutismo paterno” diverso
da quello di sovrani illuministi come Pietro Leopoldo di Toscana e in linea
con la tradizione farnesiana, che prevedeva un rapporto personale tra sovrano e
pontefice e una promozione della presenza religiosa, in particolare degli ordini
conventuali, come i Domenicani a cui Ferdinando era particolarmente legato.
Del resto non è un caso se l’orazione funebre di Luigi Uberto Giordani, noto
letterato partigiano, ricordava che per Ferdinando “fu lo Stato una famiglia, ed
ei qual padre la resse”27.
La linea adottata da Ferdinando era in forte sintonia con gli indirizzi che
erano nel frattempo maturati a Roma, specie dopo la soppressione dei Gesuiti.
Come è stato rilevato, la scelta di Clemente XIV non costituiva un semplice
cedimento, ma prefigurava, sia pure in maniera ancora confusa, una riarti-
colazione complessiva delle relazioni tra la Santa Sede e gli Stati che accan-
tonasse il conflitto giurisdizionale e creasse le condizioni per nuove forme di
collaborazione, anche nei settori assistenziali ed educativi, in direzione di un
contenimento della secolarizzazione e della diffusione di posizioni illumini-
stiche o atee.
È in questo ambito che va letto il rapporto tra il duca di Parma, che nella
sua religiosità a tratti ingenua aspirava a proporsi come prototipo di sovrano
cristiano, e la Santa Sede, che valutava il ruolo del ducato all’interno di un più
vasto orizzonte politico-religioso, che comprendeva il rapporto con gli Stati
italiani e il tema ormai centrale della revisione delle forme di presenza della
Chiesa nella realtà sociale e religiosa di un’Europa multiconfessionale. Dagli
anni Settanta del Settecento, il Papato incoraggiò una robusta pubblicistica
che, pur muovendo dai quadri teorici canonistici e teologici sviluppatisi alla
metà del Settecento, elaborava una difesa della giurisdizione ecclesiastica e del-
27
L. U. Giordani, Orazione funebre in mor-
te di Ferdinando I di Borbone […], Parma,
la potestà pontificia che approdava a un conflitto globale con il riformismo 1803, p. 5.
religioso e la cultura illuministica, anticipando motivi che saranno propri del
cattolicesimo della Restaurazione28. Cospicua fu in particolare la produzione 28
Cfr. in sintesi S. J. Barnett, The
Temporal Imperative: Criticism and Defence 29
Cfr. M. Rosa, Le contraddizioni della mo-
polemica di personaggi come il gesuita Francesco Antonio Zaccaria (1714- of Eighteenth-Century Roman Theocracy, in dernità: apologetica cattolica e Lumi nel Sette-
1795), rimosso dalla carica di bibliotecario del duca di Modena nel 1768 per “History of Political Thought”, XXII (2001), cento, in “Rivista di Storia e Letteratura Reli-
la sua strenua difesa delle prerogative del pontefice romano, o dell’archivista pp. 472-493. giosa”, XLIV (2008), pp. 73-114. Fig. 105 Giandomenico Porta, Ritratto di Pio VI (1776). Roma, Museo di Roma.

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religiose intorno a una rafforzata centralità del magistero papale. L’intesa tra DAL RITORNO DEI GESUITI
Ferdinando e la Santa Sede poté maturare con facilità proprio sul terreno del ALLA RIVOLUZIONE FRANCESE
contrasto alle nuove idee e all’ateismo, un obiettivo che Pio VI raccomandò
esplicitamente al duca nel 1780, al momento del reinsediamento dei tribunali
inquisitoriali, giudicati dal papa come il “mezzo più opportuno per mantenere rivedere periodo: (ex) Coronamento della ritrovata intesa con la Santa Sede fu il rientro dei Gesuiti, una
la purità della religione nei principati cattolici, e specialmente nei tempi cor- Gesuiti troppe volte? misura nella quale il duca di Parma agì da solitario battistrada. Sin dal 1787 Fer-
renti, ne’ quali più che mai inondano gli errori colla stampa e divulgazione dei dinando aveva cercato di ottenere dallo zio Carlo III di Spagna un avallo in questo
libri perniziosi”30. senso, ma non ricevette aperture. Il progetto, promosso con il consiglio dell’ex
Lo stesso concordato concluso il 29 luglio 1780 per il ristabilimento dell’In- Gesuita reggiano Carlo Borgo (1731-1794), poté riprendere solo dopo la morte
quisizione riproponeva nel preambolo la tradizionale impostazione del rapporto di Carlo III (1788) e la caduta del conte di Floridablanca, svolgendosi sotto traccia
tra Chiesa e potere civile, sottolineando che il tribunale inquisitoriale “conferi- mediante il rientro di ex Gesuiti nello Stato. Dal 1791 il programma divenne im-
sce moltissimo al mantenimento del buon ordine nel principato, perché rattiene provvisamente più ambizioso ed ebbe un primo punto di caduta nel 1792-1793
i popoli entro i confini del vero e del giusto, vegliando di continuo, acciò non quando gli ex Gesuiti poterono assumere o riassumere la direzione di importanti
si spargano dottrine opposte ai divini prescritti, dai quali derivano le leggi tutte ho inserito qui come istituzioni educative, come il Collegio dei Nobili, e riaprire la loro chiesa di San
del buon governo”31. parentetica: ok? Rocco, nonché i due collegi di San Rocco a Parma e di San Pietro a Piacenza (uno
I fili che furono intessuti tra Parma e la Santa Sede furono numerosi e non si degli elementi della “risacralizzazzione” di Parma avviata da Ferdinando I fu la
limitarono a una dimensione politico-diplomatica ‘alta’, ma coinvolsero diverse costruzione della Chiesa ducale di San Liborio a Colorno; figg. 83, 106).
figure di religiosi e prelati che si muovevano tra Roma e Parma, godendo della L’operazione fu avallata dal papa Pio VI che, nel nuovo contesto apertosi con
fiducia del duca. Particolarmente importante fu, ad esempio, il ruolo dell’inqui- la Rivoluzione francese, ritenne che il ripristino dell’ordine potesse avere mag-
sitore Vincenzo Giuliano Mozani e di alcuni altri domenicani, legati alla chiesa giori speranze di successo. Nella corrispondenza che intercorse tra il pontefice e
di San Pietro Martire. il duca emergeva tuttavia, da parte della Santa Sede, un approccio pragmatico
I segnali della ritrovata intesa con la Santa Sede si infittirono progressiva- che, come scrisse Pio VI, guardava al “pubblico servizio”36, più che a elementi
mente, soprattutto a partire dagli anni Ottanta del Settecento, quando il gover- di tipo ideologico. Ferdinando però andò oltre e cercò di promuovere l’arrivo
no spagnolo rinunciò alle ingerenze su Parma e il Papato dovette confrontarsi in a Parma di Gesuiti presenti in altri Stati, dalla Russia alla Spagna. Scrivendo al
Lombardia e Toscana con l’aggressivo riformismo religioso asburgico. Sul piano papa, nel gennaio 1794, della domanda fatta a Caterina II di Russia, insistette
fiscale, il 1° aprile 1781, Pio VI concesse la collettazione dei beni ecclesiastici sull’utilità dell’ordine “a riparo del perduto costume, e singolarmente della buo-
del ducato secondo la tradizionale formula dell’indulto, come concessione cioè na educazione” e manifestò la sua volontà di procedere anche autonomamente,
30
Cfr. L. Ceriotti, F. Dallasta, Il posto di ma con il beneplacito papale. La Santa Sede decise però di frenare il coraggioso
e non come autonomo esercizio di un potere dello Stato. Caifa. L’Inquisizione a Parma negli anni dei
Sul piano dell’organizzazione ecclesiastica, la Santa Sede accolse con parti- Farnese, Milano, 2008, p. 243. Su questa fase
entusiasmo del duca, ritenendo che i tempi non fossero ancora maturi per un
colare favore le segnalazioni del duca, tanto più che a Parma le correnti religio- cfr. in generale M. Rosa, Politica ecclesiastica e ripristino formale della Compagnia e che anzi i movimenti del duca di Parma
se critiche del Papato erano ormai minoritarie e marginalizzate. Ferdinando e il riformismo religioso in Italia alla fine dell’anti- potessero creare pericolose tensioni con le potenze europee, ormai impegnate
co regime, in “Cristianesimo nella Storia”, X/2
pontefice si accordarono dunque senza difficoltà sulla scelta del successore del nel grande conflitto apertosi con la Rivoluzione francese. Pio VI scrisse dunque
(1989), pp. 227-248.
vescovo di Parma, Pettorelli Lalatta, morto nel maggio 1788, individuandolo apertamente a Ferdinando che, pur apprezzando il suo zelo,
nel già citato cappuccino Adeodato Turchi, famoso predicatore e precettore dei
31
Dallasta, Appoggi, archivio…, p. 413.
figli di Ferdinando, ma anche religioso aperto a un moderato riformismo32. Al se qualcuno dei Grandi Principi cattolici ce ne facesse rissentimento, come
32
Cfr. Stanislao da Campagnola, Adeodato
momento della consacrazione, avvenuta a Roma nell’agosto 1788, il Turchi sarà facile, per l’eccitamento degl’altri Regolari, che gli furono emuli, e per
Turchi. Uomo-oratore-vescovo (1724-1803),
subì tuttavia un rigoroso esame che intendeva evidenziare come la nomina Roma, 1961. l’impeto di certi Filosofanti, che mossero la macchina, saremo costretto ri-
fosse avvenuta in riconoscimento dello zelo religioso del duca33. Poco dopo la provare la rissoluzione presa da V.A.R., che ora sapendola, ci contentiamo di
33
Ibid., pp. 247-250. dissimularla37.
nomina episcopale, Ferdinando cercò di promuovere l’elevazione del Turchi al
cardinalato, ma, in questo caso, le resistenze furono assai maggiori. Nel 1790 a 34
Cfr. F. Fedi, L’età dei Borbone (1749-1796),
Parma il cardinalato era dato per certo, ma la missione a Roma del conte Carlo in Storia di Parma, diretta da D. Vera, vol. 36
Cfr. M. Inglot, La Compagnia di Gesù Negli anni Novanta del Settecento la questione dei Gesuiti era peraltro riassor-
IX: G. Ronchi (a cura di), Le lettere, Parma, nell’Impero russo (1772-1820) e la sua parte bita entro una problematica più ampia, quella del confronto tra la Santa Sede
Castone Della Torre di Rezzonico34 (fig. 77; vol. IX fig. 92), singolare figura di 2012, in particolare pp. 243-247. nella restaurazione generale della Compagnia,
letterato e viaggiatore, si rivelò fallimentare, forse anche perché il Rezzonico Roma, 1997, p. 169.
e gli altri Stati italiani e la Rivoluzione francese. Già prima della sua evolu-
operò in realtà contro il Turchi, tanto che nel novembre 1790 fu destituito da
35
Stanislao da Campagnola, Adeodato Tur- zione giacobina, la Rivoluzione favorì un ricompattamento degli episcopati e
ogni carica35.
chi…, pp. 256-259. 37
Ibid., p. 311. del clero, soprattutto del Piemonte, del Veneto e dei ducati padani, intorno al

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Storia di Parma. I Borbone: fra Illuminismo e rivoluzioni I rapporti con la Santa Sede nell’età di Ferdinando (1765-1800)

Turchi, rigoristi ma ormai entro i confini di una rigida ortodossia romanocen-


trica, nel ducato di Parma la questione giansenistica ebbe complessivamente
scarsa risonanza. Nel 1794 il vescovo di Parma accettò la pubblicazione della
bolla Auctorem Fidei, che condannava il sinodo di Pistoia, plaudendo in una
lettera a monsignor della Somaglia a questa “Bolla piena di celeste sapienza
[che] ha condannati, e condanna per sempre e codesti sinodi, e codeste novità
sinodali”39. Solo nel 1797 comparve a Parma un’opera in difesa del sinodo di
Pistoia, attribuita al carmelitano scalzo piacentino Vittore Sopransi, la figura di
maggiore spicco nel giansenismo del ducato.
La disarticolazione del quadro politico italiano conseguente alla Rivoluzione
francese e alla campagna d’Italia del 1796-1797 finì per travolgere sia il ducato
di Parma che lo Stato della Chiesa. Come è noto, Ferdinando si dichiarò neutra-
le, ma firmò, nel maggio 1794, un’alleanza difensiva segreta con l’Impero, che
si impegnava a difendere l’indipendenza di Parma. Questo inevitabile riorien-
tamento della politica parmense non bastò tuttavia a salvare il ducato – che nel
1796 fu invaso dalle truppe di Napoleone –, ma accentuò il clima di chiusura
che si era andato determinando sin dall’inizio del decennio.
Sebbene il ducato non fosse stato formalmente aggredito, dal 1797 si tro-
vò sostanzialmente sotto l’occupazione francese, che divenne definitiva dopo la
battaglia di Marengo (1800). Fu in questo contesto gravido di pericoli per la
sopravvivenza stessa del ducato che il papa Pio VI transitò per Parma nell’aprile
1799, in una tappa del drammatico viaggio che lo portava all’esilio dall’Italia,
ed ebbe un breve e toccante colloquio con Ferdinando40. Non sappiamo quan-
to questo abbia pesato sulle successive scelte del duca di Parma che nel 1801
rifiutò l’assegnazione della Toscana e, estromesso dal potere, giocò una sua per-
sonale partita politica conclusasi con l’improvvisa morte, il 9 ottobre 1802. Il
successivo passaggio di Parma alla Francia, sotto la diretta amministrazione di
39
Stanislao da Campagnola, Adeodato Tur-
chi…, p. 263. Moreau de Saint-Méry, portò al ripristino della legislazione ecclesiastica di Du
Tillot, in particolare con il decreto 12 maggio 1803, che ristabiliva le leggi sulle
40
G. Tononi, Il prigioniero apostolico Pio VI manimorte del 176441.
Fig. 106 Pietro Giacomo Palmieri, Veduta ideata della Reggia di Colorno (1771-1772). BPPr, Ms. Parm. 3714/105. (Foto A. Rossi) nei ducati parmensi (1-18 aprile 1799), Par-
ma, 1896.
La collocazione del ducato nell’Impero napoleonico costituì, sotto moltepli-
ci aspetti, una cesura nel rapporto tra Parma e la Santa Sede, ma non cancellò
41
Il testo è riprodotto in L. Corradi, La poli- la profondità di strutture e legami costruiti durante l’età moderna. Questi ri-
tica ecclesiastica degli ultimi Borboni a Parma. emersero più volte in diversi momenti dell’Ottocento, sin dal dibattito sulla
magistero romano, con la conseguente rinuncia a tentazioni regaliste ed episco- Contributo allo studio del diritto ecclesiastico
paliste che celebrarono i loro ultimi fasti con il sinodo di Pistoia del 1786 e con pre-unitario (1848-1859), Padova, 1992, pp. ricostruzione del ducato dopo la fine dell’Impero napoleonico, nel 1848-1849,
il fallito tentativo di promuovere la costruzione di una Chiesa nazionale tosca- 130-131. e poi nuovamente fino alle soglie dell’età contemporanea.
na. Alla luce dell’esperienza degli anni precedenti non deve stupire se proprio
due vescovi del ducato si trovarono in prima linea in questo processo nel quale
il vescovo proponeva una rinnovata centralità della Chiesa come elemento di
equilibrio tra sovrano e popolo e si impegnava a dimostrare ai fedeli il pericolo 38
C. Donati, Vescovi e diocesi d’Italia dall’età
di una società scristianizzata e priva del tradizionale ordine sociale: Alessandro post-tridentina alla caduta dell’antico regime,
Garimberti, vescovo di Borgo San Donnino, e il già citato Adeodato Turchi, che in M. Rosa (a cura di), Clero e società nell’I-
talia moderna, Roma-Bari, 19972, pp. 383-
con la sua predicazione costituì un modello per la Chiesa controrivoluzionaria, 384. Sull’ultima fase del Turchi cfr. anche A.
esprimendo una definitiva presa di distanza da quei fermenti di riforma con Prandi, Religiosità e cultura nel ’700 italiano,
cui negli anni precedenti si era misurato38. Grazie all’azione di prelati come il Bologna, 1966, pp. 164-190.

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