Antropologia e
teologia della castità
Sommario
Lezione 1 – FONDAMENTI BIBLICI DELLA CASTITÀ.......................................................5
Vivere nel corpo secondo la Parola di Dio.................................................................................5
1. La Castità nell’Antico Testamento.....................................................................................6
- L’infecondità era considerata come maledizione, una vergogna.....................................6
- La continenza delle vedove era oggetto di lode per la loro dedizione al popolo d’Israele
e al tempio...............................................................................................................................6
- La vergognosa infecondità viene compensata... per un intervento divino… che attua per
la nascita di personaggi. es. figli di:........................................................................................6
- Tipi o figure di vergini.....................................................................................................6
Gli eunuchi,.........................................................................................................................6
La figlia di Iefté,.................................................................................................................6
Elia......................................................................................................................................6
Geremia...............................................................................................................................6
2. La castità nel Nuovo Testamento........................................................................................8
Mt. 19, 3-12: Verginità per il Reino.......................................................................................8
Le rinunce della castità nel vangelo di Luca.........................................................................10
Paolo: Prima lettera ai Corinzi..............................................................................................11
3. Il modello di Gesù Cristo, della Santissima Vergine e della Chiesa................................14
3.1. Cristo, Vergine e sposo verginale..............................................................................15
3.1.1. Gesù appartiene solo al Padre suo......................................................................15
3.1.2. Su ordine del Padre suo, Gesù prende la Chiesa come sposa.............................16
3.1.3. L’unione che Gesù viene realizzare non è dell’ordine della carne.....................17
3.1.4. Gesù suscita vergini al suo seguito.....................................................................17
Maria, Vergine e madre verginale........................................................................................18
3.1.5. La verginità della Vergine d’Israele: pienamente attenta alla parola di Dio e
disponibile alla sua volontà...............................................................................................19
3.1.6. La verginità della Madre del salvatore: Dio Padre l’associa alla sua santità
feconda nello Spirito.........................................................................................................20
3.1.7. La verginità della Madre al Calvario e al Cenacolo: il Figlio suo se l’associa
come nuova Eva madre dei viventi...................................................................................21
3.1.8. L’aspetto supremo del mistero: la verginità glorificata di Maria assunta corpo e
anima nel cielo..................................................................................................................22
3.1.9. Un itinerario pieno di significato........................................................................22
4. La Chiesa pasquale, sposa e madre verginale...................................................................23
4.1. La Chiesa sposa verginale in se stessa.......................................................................25
4.1.1. Fede e amore verginale nello Spirito..................................................................26
4.1.2. Fecondità verginale per lo Spirito.......................................................................26
2
n.12: […] Infatti, «con la professione dei consigli evangelici fatta nella Chiesa (il religioso)
intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla
perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio».2 Essi
raggiungono la persona umana a livello delle tre componenti essenziali della sua esistenza e
delle sue relazioni: l'affettività, l'avere e il potere. Questo radicamento antropologico spiega
come la tradizione spirituale della Chiesa li abbia frequentemente messi in relazione con le tre
concupiscenze ricordate da San Giovanni.3 La loro pratica ben condotta favorisce la
1
La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che
pubblica il presente documento, dà allo stesso valore di «Istruzione », secondo il can. 34 del
Codice di Diritto Canonico. Si tratta di disposizioni ed orientamenti approvati dal S. Padre e
proposti dal Dicastero in vista di esplicitare le norme del Diritto e di aiutare ad applicarle.
Tali disposizioni ed orientamenti suppongono quindi le prescrizioni giuridiche già in vigore
in forza del diritto cui fanno riferimento all'occasione, non derogando da alcuna di esse.
2
LG 44
3
Cf. 1 Gv 2, 15-17
4
maturazione della persona, la libertà spirituale, la purificazione del cuore, il fervore della
carità ed aiuta il religioso a cooperare alla costruzione della città terrena.4
I consigli vissuti nella maniera più autentica possibile rivestono un grande significato per tutti
gli uomini5 poiché ogni voto dà una risposta specifica alle grandi tentazioni del nostro tempo.
Per mezzo di essi la Chiesa continua ad indicare al mondo le vie della sua trasfigurazione nel
Regno di Dio. Importa quindi che sia posta una cura attenta ad iniziare, teoricamente e
praticamente, i candidati alla vita religiosa, alle esigenze concrete dei tre voti.
LA CASTITÀ
13. «Il consiglio evangelico della castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita
futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta
continenza nel celibato».6 La sua pratica comporta che la persona consacrata mediante i voti
religiosi metta al centro della sua vita affettiva una relazione «più immediata» (ET 13) con
Dio per mezzo del Cristo, nello Spirito.
Una tendenza istintiva porta la persona umana ad assolutizzare l'amore umano. Tendenza
caratterizzata dall'egoismo affettivo che si afferma con il dominio sulla persona amata, come
se da tale dominio potesse nascere la felicità. D'altra parte, l'uomo fa fatica a comprendere che
l'amore possa essere vissuto nel dono intero di se stesso, senza necessariamente esigere
l'espressione sessuale. Quindi, l'educazione alla castità dovrà mirare ad aiutare ciascuna e
ciascuno a controllare e a padroneggiare i suoi impulsi sessuali, evitando nello stesso tempo
l'egoismo affettivo orgogliosamente soddisfatto dalla propria fedeltà nella purezza. Non è a
caso che gli antichi Padri dessero all'umiltà una priorità sulla castità, giacché - come
prova l'esperienza - la purezza può anche andare d'accordo con la durezza del cuore.
La castità rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo (1 Cor 7, 32-35), così da
accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini. Uno dei più grandi
contributi che il religioso può apportare agli uomini oggi è certamente quello di rivelare loro,
con la sua vita più che con le sue parole, la possibilità di una vera dedizione ed apertura agli
altri, condividendo le loro gioie, rimanendo fedele e costante nell'amore, senza atteggiamento
di dominio e di esclusività.
mantenere la gioia e l'azione di grazie per l'amore personale con cui ciascuno è
guardato e scelto da Cristo;
4
Cf. LG 46.
5
Cf. LG 39.42.43.
6
C.599.
7
PC 12.
5
Iniziamo con un’esortazione di S. Paolo a vivere nel corpo secondo la Parola di Dio. Sono due
versetti della Lettera ai Romani (Rm 12,1-2) Essi sono posti dalla liturgia romana delle Ore
come lettura breve delle lodi del “Comune dei santi e delle sante” di tutto l’anno. Dice Paolo:
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio a offrire i vostri corpi come sacrificio
vivente, santo e gradito a Dio. E’ questo il vostro culto spirituale” (v. 1). Si tratta di un culto
reso a Dio vivendo nel corpo secondo la Parola. Vivere nella carne secondo la Parola, in
virtù dello Spirito (Rm 8,4-5); questa è la liturgia dell’esistenza cristiana. Con l’offerta dei
corpi si intende tutta la rete di relazioni con cui, attraverso il corpo, noi comunichiamo con
Dio, con gli altri, con il mondo. I nostri corpi sono la nostra storia. Offrire il mio corpo è
offrire tutta me stessa. L’uomo interiore è la psiche, l’anima, ma questa si esteriorizza nel
corpo.
Il secondo versetto poi, spiega come si vive e ci si nutre secondo la Parola: “non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di
pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm
12,2).
Ma per diventare uomini e donne della Parola è necessario conoscerla tutta. Il mondo
della Parola deve diventare il nostro mondo: interiore, mentale, affettivo, emotivo. Ci si deve
sentire a casa, a proprio agio, dentro la Parola. Essa deve diventare in noi: consolazione,
6
riposo, gioia, amore. Come direbbe S. Caterina da Siena dovremmo “essere immersi in Dio
come il pesce è immerso nel mare” così avvolti nella Parola dalla mattina alla sera.
L’Antico Testamento è tutto sotto il segno dell’attesa e della preparazione, che trovano
nella fecondità fisica la loro migliore espressione. La verginità vi appare come condizione
temporanea da condurre alla sua conclusione naturale: il matrimonio. Se si impone quale stato
definitivo essa è segno di sterilità, ed è considerata una sciagura. (Cfr. Gdc 11, 3440).
- La continenza delle vedove era oggetto di lode per la loro dedizione al popolo
d’Israele e al tempio
Gd 4-5: Debora
Gd 8: Judith
Lc 1, 36-38: Profetisa Anna
Gli eunuchi,
Isaia 56, 3-5; Sapienza 3, 14-15
La figlia di Iefté,
È una vergine forzata
La figlia di Iefté, per esempio muore vergine (Gdc 11, 37-40) e ciò che dispiace di più ai suoi
genitori è che ella non abbia potuto conoscere le gioie del matrimonio e della maternità.
Elia
Elia conduceva di solito vita comune con un folto gruppo di discepoli in luoghi solitari adatti
alla contemplazione. Né di lui né di Eliseo (scelto per ordine di Dio a suo successore) si legge
7
che fossero sposati. I Carmelitani li onorano come iniziatori e ispiratori del loro ordine: castità
perfetta, vita comunitaria, zelo di evangelizzazione… sono i cardini ricevuti in eredità dai due
santi profeti.
Geremia
È l’unico celibe per comando esplicito del Signore (Ger. 16, 1-4)
Simbolo di una desolazione, della caducità dei beni e godimenti di questo mondo (senso
negativo)
Alcuni interpreti vedono in lui, la dimensione profetica (escatologica) della verginità.
Giovanni Battista
L’ultimo celibe dell’Antico Testamento è Giovanni il Battista.
Possiamo con tranquillità affermare che tutto l’Antico Testamento è orientato alla
generazione in obbedienza all’invito di Dio (Gen 1,28): “Siate fecondi e moltiplicatevi” ed è
un imperativo. La benedizione di Dio è avere una discendenza (salmo 128).
L’idea di celibato è talmente estranea alla mentalità ebraica che l’Antico Testamento
non possiede nemmeno un vocabolo per indicare chi vive nello stato celibatario. Va notata,
comunque, una certa evoluzione man mano che ci si accosta al Nuovo Testamento. La pratica
del celibato presso gli Esseni dimostra come esso, nel periodo immediatamente anteriore e
contemporaneo a Gesù, non era più un qualcosa di inaudito; tuttavia la dottrina ufficiale
continuava a considerare obbligatorio il matrimonio; e il celibato, non solo una menomazione
della persona, ma anche una violazione della legge. Uno stato, dunque, umanamente e
moralmente spregevole.
Alla fine del periodo antico-testamentario nasce una nuova sensibilità. Ci saranno
giorni in cui l’eunuco avrà un posto nella casa di Dio (Is 56,3-5) si dice addirittura che felice è
la sterile incorrotta (Sap 3,13); l’autore del libro di Giuditta elogia questa donna
intraprendente per la sua vita casta e ascetica, consacrata al ricordo del marito morto. (Gdt
16,21-23).
Un esempio luminoso di castità declinata al maschile la troviamo nella figura di Giuseppe che
resiste alla seduzione della moglie del suo padrone in Egitto, pagando a caro prezzo la sua
rettitudine di cuore. (Gen. 39,7-15) Da notare che Giuseppe afferma che egli non può tradire
la fiducia che il padrone aveva riposto in lui, poi parla della sua fedeltà a Dio. I primi motivi
addotti da coloro che intendono rifiutare il peccato proposto sono di carattere umano. Solo in
seguito i motivi si fanno soprannaturali. Non per essere di fronte a una visione umana del
peccato, ma occorre tener presente le finalità didattiche della Parola di Dio che segue un
cammino ascensionale: dalle ragioni umane, facilmente intuibili, la divina grazia conduce a
livelli più elevati, cioè al rifiuto del peccato poiché contrario alla volontà di Dio.
L’Antico testamento ci presenta la coraggiosa figura di Susanna, che resiste alla prepotenza e
violenza dei due anziani e rischia di perdere la vita, ella affermerà: “Meglio per me cadere
innocente nelle vostre mani, che peccare davanti al Signore” (Dan 13,23).
Si comincia a credere che è necessario rimanere celibi per poter ricevere la rivelazione divina,
poiché il contatto con il sacro, esclude ogni contaminazione specialmente la contaminazione
sessuale.
Si inizia a dare una connotazione positiva al celibato e all’astinenza sessuale, come
condizione per un rapporto assiduo con il Signore con una chiara connotazione escatologica.
8
Quando i Profeti usano il simbolo nuziale per indicare l’alleanza di Dio con il suo
popolo lo fanno con immagini splendide (basti rileggere Isaia 54, 4-8. 10) che si avvicinano
di molto alle parole di Paolo in Ef. 5, 25-32 che rivelano il “grande mistero”, cioè la verità
sulla Chiesa come sposa di Cristo. Tali immagini, però, sono solo anticipazione di una realtà
che sarà compiuta soltanto con la pienezza della rivelazione. La paternità e la sponsalità non
potevano dal comune credente essere realmente applicate a Dio; proprio perché la sua
paternità naturale e la nostra incorporazione al Figlio non erano ancora rivelate, come non era
ancora concluso il matrimonio del Verbo con l’umanità. Dio si comporta come e più che un
padre, una madre e uno sposo, ma non si capisce ancora che lo è davvero. Il matrimonio vero
è ancora solo quello umano, e quello con Dio è solo una bellissima immagine.
Con il Nuovo Testamento le cose cambiano di segno. La vera vita viene dall’alto come
frutto dello Spirito non della carne, e il vero matrimonio non è l’unione dell’uomo con la
donna, ma l’unione del Verbo con l’umanità. Ciò che prima era la realtà diventa segno, e ciò
che prima era solo l’immagine si rivela come l’autentica realtà. Di qui il ribaltamento dei
rapporti tra matrimonio, verginità e fecondità. Se il modo proprio di amare dell’uomo naturale
è il matrimonio carnale, il modo proprio di amare dell’uomo “nuovo” è quello verginale.
Cristo, Maria, la Chiesa (come vedremo a continuazione) amano così. Mentre prima la
verginità era solo un momento di transizione che non aveva in sé e per sé niente di
particolarmente significativo e che si concludeva naturalmente e doverosamente con il
matrimonio; ora è il matrimonio naturale che è un momento di transizione che tende a
concludersi e a risolversi nella verginità. Alla fine tutti si ameranno così, ed è così che
bisogna progressivamente imparare ad amare, man mano che ci si accosta alla meta. Se la
vocazione dell’uomo naturale è il matrimonio e la generazione fisica, la vocazione ultima del
cristiano è la verginità e la fecondità spirituale.
Vediamo insieme brani significativi del Nuovo Testamento (Matteo, Luca e Paolo):
“Vi sono alcuni che non si sposano per il Regno dei cieli”
La parola “eunuco” suona alquanto dura alle nostre orecchie moderne ed era dura
anche per gli uomini al tempo di Gesù. Secondo alcuni, la scelta di questo termine insolito
sarebbe dovuta al fatto che gli avversari di Gesù lo avevano accusato di essere un eunuco, non
essendosi sposato, come lo accusavano, altre volte, di essere un beone e un mangione (cf. Mt.
11, 19). Era una parola altamente offensiva per la mentalità ebraica del tempo. Gesù
riprenderebbe, dunque, l’accusa dei suoi avversari e la farebbe in qualche modo sua,
spiegandola però con questa rivelazione di una eunuchìa nuova e tutta speciale.
Vi sono – dice Gesù – alcuni che “non si sposano” (questo è l’equivalente, non
polemico, del termine “eunuchi”) perché ne sono impediti dalla nascita, a causa di qualche
difetto naturale; ve ne sono altri che non si sposano perché impediti dalla cattiveria degli
uomini o dalle circostanze della vita, e infine ci sono altri che non si sposano per il Regno dei
cieli. Nell’ultimo caso, la parola “eunuco” assume un significato diverso, non fisico ma
morale. La menzione del Regno dei cieli introduce di colpo nel discorso di Gesù una
9
dimensione di mistero che è accresciuta dalla laconica frase finale: “Chi può capire,
capisca”, cioè: coloro ai quali è dato di capire, capiranno.
Nasce così un secondo stato di vita nel mondo e questa ne è la “magna charta”. Solo la
presenza del Regno sulla terra poteva istituire questa seconda possibilità di vita che è il
celibato “per il Regno”.
Questa non annulla l’altra possibilità, il matrimonio, ma la relativizza. Avviene come
per l’idea di stato nell’ambito politico 8: esso non è abolito, ma radicalmente relativizzato dalla
rivelazione della contemporanea presenza, nella storia, di un Regno di Dio. La continenza
perfetta sta di fronte al matrimonio un po’ come il Regno di Dio sta di fronte al regno di
Cesare: non lo elimina, ma lo fa apparire in una posizione diversa da prima. Esso non è più
l’unica istanza nel suo campo. Siccome il Regno di Dio è un ordine di grandezza diverso dal
regno di Cesare, l’uno non ha bisogno di negare l’altro per sussistere.
Per capire questa nuova forma di vita e la sua intima ragion d’essere, bisogna partire
da qui, dalla motivazione addotta da Gesù: “per il Regno dei cieli”. La natura e la
giustificazione della verginità e del celibato dipendono dalla natura stessa del Regno dei
cieli (“Regno dei cieli” è l’espressione che Matteo usa per “Regno di Dio”, volendo, da buon
ebreo, evitare la menzione diretta di Dio, ma è la stessa cosa). Ora il Regno di Dio ha la
caratteristica che oggi viene espressa con la formula assai appropriata: “già” e “non
ancora”. Esso è “già” qui; è venuto, è presente. Il Regno dei cieli – proclama Gesù – è vicino,
è in mezzo a voi. Ma, in un altro senso, il Regno dei cieli non è ancora venuto, ma deve
venire, ed è per questo che preghiamo dicendo: “Venga il tuo Regno”.
Poiché il Regno dei cieli è già venuto, poiché con Cristo la salvezza finale è
operante nel mondo, dunque – ecco la conseguenza che ci riguarda – è possibile che
alcune persone, chiamate da Dio, scelgano, fin d’ora, di vivere come si vive nella
condizione finale del Regno. E come si vive nella condizione finale del Regno? Lo dice lo
stesso Gesù nel Vangelo di Luca: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono
marito, ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non
prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e,
essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20, 34-36; cf. anche Mt 22, 30).
In ciò risiede propriamente la dimensione profetica della verginità e del celibato per
il Regno. Questa forma di vita mostra, con la sua semplice esistenza e senza bisogno di
parole, quale sarà la condizione finale dell’uomo, quella destinata a durare in eterno.
[VIVERE IL CIELO GIÀ, VIVERE LA BEATITUDINE GIÀ, L’UNIONE.] È una
esistenza profetica.
"Voi avete cominciato a essere ciò che noi saremo”, scriveva san Cipriano alle prime vergini
cristiane.9
Partendo da questo carattere profetico della verginità e del celibato, possiamo capire
quanto sia ambigua e falsa la tesi secondo cui questo stato sarebbe contro natura e
impedirebbe all’uomo e alla donna di essere pienamente se stessi, cioè uomo e donna.
La verginità, infatti, prende senso proprio dall’esistenza di una vita eterna e di uno stato
di risorti. E è una cosa dello Spirito: che, cioè, “l’uomo naturale non le comprende; esse sono
follia per lui e non è capace di intenderle perché se ne può giudicare solo per mezzo dello
Spirito”, cioè alla luce della fede (cf. 1 Cor 2, 14).
8
Cfr. R. CANTALAMESSA, Verginità, Ancora, Milano19964, 16-24.
9
S. CIPRIANO, Sulle Vergini, 22 (PL 4, 475), citato in R. CANTALAMESSA, Verginità, 20.
10
Fra le condizioni per seguire Gesù solo in Luca figura l’odio (Lc 14,26-27) e
l’abbandono della moglie. La motivazione della scelta della verginità in Luca, è quella del
carico della croce.
Comparando con altro Vangelo, vediamo ciò che Luca aggiunge:
Mt 10,37-38 Lc 14,26-27
Entrambe sono state trasferite da Matteo in un contesto diverso: nel discorso di missione ai
“dodici discepoli” (Mt 10,37-38). Le affinità e le differenze si notano meglio nella sinossi.
Luca ha conservato espressioni con sapore più antico di quelle di Matteo: “odiare” con il
significato di “amare meno di”, è anteriore all’espressione di Matteo. Non si può dire che
quella sia una forma sviluppatasi da quest’altra. L’espressione “non può essere mio
discepolo” è più antica di quella di Matteo “non è degno di me”, poiché in questa risuona una
terminologia, propria della comunità ecclesiale. Tutte le coppie di Matteo (padre – madre,
figlio-figlia) rappresentano meglio lo stato originario della tradizione evangelica. Questo
significa che Luca ha aggiunto, fra ciò che bisognava odiare, “la moglie”, “la propria vita”, e
ha completato le coppie di Matteo aggiungendone una “fratelli-sorelle”. Per non perderci nei
meandri dell’esegesi, potremo riassumere così, Gesù invita a seguirlo sciogliendoci anche dai
legami familiari più cari al cuore dell’uomo. La disponibilità che Gesù richiede è totalizzante
esclude il primato degli altri legami. Luca prepara la conclusione della pericope con il versetto
33 in parallelo con il suo inizio: “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i sui averi non può
essere mio discepolo”. Non solo si chiede la rinuncia ai legami parentali, ma si chiede al
11
discepolo la disponibilità a rendersi libero dai beni che in qualche modo ne limitano la libertà
e non solo, ma chiede di seguirlo fino al dono totale che è quello della vita, il martirio.
Prima di decidere se scegliere Gesù bisogna ponderare bene, sebbene c’era una folla che
seguiva Gesù, solo alcuni sono chiamati a vivere senza moglie. Riteniamo che Luca proponga
il celibato solo ad alcuni. Questa opinione è giustificata dal logion collocato dopo la
conclusione generale (14,34s). Il simbolo del sale illustra bene qual’è il compito del discepolo
celibe di Gesù, povero, vergine fino al martirio. Il sale questo minerale in piccole dosi dà
gusto agli alimenti, allo stesso modo i cristiani sulle le orme di Gesù costituiscono il sapore
della moltitudine degli uomini, restano realtà piccole, granelli di sale.
In sintesi possiamo dire che Luca traccia l’immagine “ideale del discepolo perfetto, sapendo
che vi sono gradi di generosità e diversità di carismi”. Luca fa eco a ciò che il Signore aveva
detto a proposito del celibato, né da una duplice motivazione: 1) per il Regno dei cieli 2) per
la sopportazione quotidiana della croce.
Il celibe ha ricevuto l’intelligenza per comprendere la parola della croce, per questo può
rinunciare al desiderio di vedere la vita che continua in quella dei figli, per lui conta la
speranza che brilla dopo il mistero della croce. Il celibato annuncia la croce. Non solo indica
che sono giunti i tempi della decisone finale per la quale si entra nel nuovo Regno: è il segno
di un mistero che agisce ora in noi, il mistero di vita e di morte per il quale la passione e la
risurrezione di Cristo continuano nel suo corpo che è la Chiesa.
Altro grande testo del Nuovo Testamento sulla verginità, è quello di san Paolo nella Prima
lettera ai Corinzi. Esso dice così:
“Passa la scena di questo mondo! Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è
sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è
sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si
trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del
Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si
preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per
il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi
tiene uniti al Signore senza distrazioni” (1 Cor 7, 31-35).
A prima vista, la motivazione che san Paolo dà della verginità sembra diversa, rispetto
a quella data da Gesù. Una motivazione, si direbbe, soggettiva, quasi psicologica, che ha al
centro il bene dell’individuo e la sua quiete, più che il Regno di Dio. Ma non è così. Si tratta
della stessa motivazione squisitamente oggettiva e teologica, che ha per scopo Dio e non se
stessi. Tutti i motivi addotti dall’Apostolo per scegliere la verginità e il celibato si riassumono
nell’espressione: “per il Signore”, e questo è l’esatto equivalente, dopo la Pasqua,
dell’espressione: “per il Regno dei cieli”. Si sa che dopo la Pasqua scompare, quasi del tutto,
dalla predicazione cristiana, l’espressione “Regno dei cieli” o “Regno di Dio”, così centrale
nella predicazione di Gesù. Al suo posto troviamo il kerigma apostolico: Cristo è morto; è
risorto; è il Signore! Infatti, ora il Regno, o la salvezza, consiste proprio in questo. Prima della
Pasqua Gesù diceva: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
nel Vangelo” (Mc 1, 15); dopo la Pasqua, questo annuncio fondamentale, fatto di una notizia
(“Il Regno è venuto!”) e di un comando (“convertitevi!”), suona ormai così: “Dio ha costituito
Signore e Cristo, Gesù…: pentitevi e fatevi battezzare…” (At 2, 36.38).
12
Il motivo con cui Paolo giustifica la sua esortazione alla verginità (“Passa la scena di
questo mondo!”) richiama da vicino quello che abbiamo considerato sopra e cioè che “il
tempo è compiuto”, che si è inaugurato ormai il tempo della fine, in cui è possibile vivere già
come “figli della risurrezione”, secondo le modalità del secolo futuro.
Una differenza tra i due testi – quello di Gesù e quello di Paolo -, tuttavia, c’è ed è
importante notarla. Secondo il primo, non ci si sposa “per il Regno di cieli”, cioè per una
causa; secondo l’altro, non ci si sposa “per il Signore”, cioè per una persona. È un progresso
nell’idea di verginità, che non è dovuto, però, a san Paolo, ma a Gesù stesso che. Nel
frattempo, morendo e risorgendo per noi, è divenuto “il Signore”, lo Sposo e il capo della
Chiesa, colui che “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa,
purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine i farsi
comparire davanti la sua Chiesa, tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile,
ma santa e immacolata” (Ef 5, 25-27).
Esaminiamo ora un po’ più da vicino le parole dell’Apostolo sulla verginità. Egli
comincia dicendo che vorrebbe vedere i suoi fedeli “senza preoccupazioni”. Se uno si ferma
qui, c’è il pericolo di vedere, nella verginità e nel celibato, una magnifica occasione per avere
una vita tranquilla, senza problemi e preoccupazioni. Come san Pietro che, al sentire, quel
giorno, le esigenze austere del matrimonio proclamate da Gesù, esclamò: “Se è così, è meglio
non sposarsi!” (Cf. Mt 19, 10). Anche Gesù era del parere che è meglio non sposarsi, ma per
un motivo assai diverso da quello, egoistico, inteso dall’Apostolo e lo spiega subito, parlando
di quelli che non si sposano per il Regno dei cieli.
Chi non metterebbe, infatti, la firma a una vita senza preoccupazioni? Anche gli Stoici
e gli Epicurei, al tempo di Paolo, perseguivano un ideale del genere che chiamavano
dell’apatheia, o dell’atarassia, cioè del vivere senza cose emozionali e passionali, pronti a
sacrificare a esso tutto, perfino gioie e piaceri troppo intensi.
Ma facciamo attenzione a ciò che l’Apostolo aggiunge immediatamente: “chi non è
sposato si preoccupa delle cose del Signore”. Singolare contrasto e paradosso: ha appena
detto che vuole i suoi figli “senza preoccupazioni” e adesso dice che li vuole, invece, tutti
preoccupati e lo ripete due volte, una volta per il vergine e una volta per la vergine. Anch’essi,
dunque, si devono preoccupare, ma “delle cose del Signore”. Questo non è un ideale di vita
tranquilla e atarassica, senza affanni. È un vivere senza preoccupazioni mondane, per avere
tutto il tempo e l’agio di preoccuparsi delle cose del Signore. E quali sono “le cose del
Signore”, di cui bisogna preoccuparsi? I campi, i beni parrocchiali, o i cosiddetti “beni
ecclesiastici”? I beni, o le cose, del Signore sono le anime per le quali è morto, è il Regno.
Ecco perché esistono il celibe e la vergine: perché ci sia qualcuno, nella Chiesa e nel mondo,
che si preoccupi solo degli interessi di Dio.
Non è neppure vero che queste persone non si sposano. I vergini non sono coloro che
hanno rinunciato a sposarsi; sono coloro che hanno rinunciato a sposarsi con una creatura.
Questo diventa vero ed evidente per il vergine, nel momento in cui fa la scoperta personale di
Gesù come “Signore” della propria vita e prende coscienza che questo Signore non è una
persona appartenente solo al passato – quando anche noi saremo in cielo -, ma che, in forza
della sua risurrezione, egli “vive nello Spirito” ed è presente ogni momento alla sua Chiesa.
Non si tratta, dunque, per il vergine o la vergine, di rinunciare a un amore “concreto” per un
amore “astratto”, a una persona reale per una persona immaginaria; si tratta di rinunciare a un
amore concreto per un altro amore concreto, a una persona reale per un’altra persona
infinitamente più reale. La differenza è che in un caso ci si unisce “secondo la carne”,
nell’altro “secondo lo Spirito”; in uno si forma “una sola carne”, nell’altro “un solo spirito”.
E scritto infatti che “chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1 Cor 6, 17). E
questo realismo di fede che faceva dire alla vergine sant’Agnese, di fronte alla proposta di
13
nozze umane: “Sono già sposata… Mi ha legato a sé con l’anello il mio Signore Gesù Cristo”
(Antico ufficio della festa).
Non è sposare solo una “causa”, ma anche una persona; non è uno sposare solo per il
tempo, ma anche per l’eternità. Quello che lega il celibe e la vergine al Signore è un legame
così totalitario, esclusivo, al di sopra di ogni altro legame, da trovare un equivalente, sul piano
umano, solo quando un uomo sposa una donna.
[Ma a me piace pensare che è una unione molto più intima, molto più grande, altra cosa.]
Avendo sposato una persona, il Signore, siamo chiamati a piacere a questa persona: “Chi non
è sposato – dice san Paolo – si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al
Signore”.
Solo i mezzi per “piacere” sono diversi. San Pietro ne ricorda alcuni che valgono per ogni
donna credente, ma più ancora per la vergine: “cercate di adornare l’interno del vostro cuore
con un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio”
(1 Pt 3, 3-4).
Un cuore indiviso:
C’è un’idea espressa da san Paolo nel nostro testo alla quale non abbiamo ancora
prestato attenzione: è l’idea del cuore indiviso. Chi è sposato, dovendosi preoccupare delle
cose del mondo e di piacere alla moglie o al marito, “si trova diviso”, mentre la verginità
permette di vivere “uniti al Signore senza distrazione”. Dicevo sopra che lo stato di verginità,
nel modo con cui lo presenta san Paolo, non è di carattere soggettivo e psicologico, ma
oggettivo; che ha al centro e come scopo il Signore, non il proprio bene. Ma ora dobbiamo
dire che esso assolve, subordinatamente, anche questo secondo compito di promozione e di
valorizzazione della persona. Ha, in altre parole, anche una forte valenza soggettiva ed
esistenziale. Aiuta infatti la persona a realizzare l’impresa più difficile e più bella che ci
sia: quella della propria interiore riunificazione, del passare dall’essere “una persona”
all’essere “persona una”
C’è una diaspora, cioè una dispersione, anche dentro di noi. Se Gesù chiedesse anche a
me, come a quel pover’uomo del Vangelo: “Come ti chiami?”, dovrei rispondere anch’io: “Mi
chiamo Legione, perché siamo in molti” (Mc 5, 9). Siamo tanti quanti sono i desideri, i
progetti, i rimpianti che coltiviamo, uno diverso dall’altro e contrario all’altro, che ci tirano in
direzioni opposte; alla lettera: ci dis-traggono. La verginità è un valido aiuto per avanzare in
questo cammino verso l’unità interiore, per il fatto che essa permette di vivere “uniti al
Signore senza distrazioni”. Uniti in se stessi e uniti al Signore: ecco in che consiste l’unità di
cui stiamo parlando. Sant’Agostino ha scritto: “La continenza in verità ci raccoglie e
riconduce a quell’unità, che abbiamo lasciato, disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno (sta
parlando a Dio) chi ama altre cose con te, senza amarle per causa tua”10.
Questa unità è ciò che Gesù chiama “purezza di cuore”. Essa si realizza soprattutto a
livello di volontà. Consiste nel volere sempre meno cose, fino ad arrivare a volere “una cosa
sola”. Quando una persona può dire, in verità, con il salmista: “Una cosa ho chiesto al
Signore, questa sola io cerco (Sal 27, 4) e: “Fuori di te nulla bramo sulla terra” (Sal 73, 25),
tale persona si sta avvicinando alla vera verginità del cuore, di cui quella fisica è segno e
custodia. Perché la verginità di cuore consiste nel volere una cosa sola, quando questa cosa
sola è Dio. [Né parleremmo nel capitolo sulla formazione de l’affettività, della maturazione
affettiva]
10
S. AGOSTINO, Confessioni, X, 29, in R. CANTALAMESSA, Verginità, 43.
14
Il cuore indiviso è buona cosa, a patto che ami qualcuno. È miglio infatti un cuore
diviso che ama, che un cuore indiviso che non ama nessuno. Questo sarebbe, in realtà,
egoismo indiviso, un avere il cuore pieno, ma dell’oggetto più inquinante che ci sia: se stessi.
Di questa specie di vergini e di celibi, purtroppo non infrequente, è stato detto con ragione:
“Poiché non sono dell’uomo, credono di essere di Dio. Poiché non amano alcuno, credono di
amare Dio” (Ch. Péguy). [Parole terribili… ma che possono essere vere…!]
Da qualsiasi lato si considera, si vede come l’essenza del celibato e della verginità per
il Regno è l’amore sponsale per il Signore. La stessa “fecondità” di questo stato di vita
dipende da qui. Come un matrimonio, anche se “valido”, così una verginità senza amore non
sarebbe vera verginità, ma solo parvenza, un guscio vuoto e duro, senz’anima.
Esiste una buona preoccupazione. Paolo elogia Timoteo perché nessuno come lui si
preoccupa per le cose della comunità (Fil 2, 20) e prosegue dicendo: “Tutti cercano i propri
interessi non quelli di Cristo”. Gli interessi di Cristo coincidono con gli interessi dei Filippesi,
per i quali si preoccupa Timoteo, che è impegnato nella causa di Cristo. Anche Paolo con la
sua passione per la predicazione del Vangelo, diventa modello con la sua preoccupazione per
tutte le Chiese, questo appare chiaramente nelle lettere paoline.
Paolo parla del suo assillo quotidiano, della sua preoccupazione per tutte le Chiese (2 Cor
11,24-25.26-28) Egli ha un’unica preoccupazione che guida la sua vita, i suoi pensieri,
predicare il Vangelo.
Questo comportamento si basa sull’atteggiamento di Gesù, che non cercò di compiacere se
stesso, ma adotto la forma di vita del servo. In sintesi il celibe fa del Regno di Dio l’oggetto
di ogni sua preoccupazione.
È Dio stesso che, all’interno del mistero dell’Alleanza, ha fatto sorgere la verginità
consacrata nello stesso tempo in cui consacrava l’unione coniugale con la grazie di un
sacramento. Non siamo noi che l’abbiamo inventata a prezzo di uno sforzo eroico: noi
l’abbiamo ricevuta da lui, ed è lui solo che ci permette di viverla. Il suo intervento si è
manifestato in tre fatti che noi potremmo chiamare nello stesso tempo storici e dottrinali:
15
- Gesù, Verbo incarnato, ha scelto di restare vergine, e lui stesso si è presentato come un
misterioso “sposo verginale”.
- Maria, sua madre, è stata la vergine sposa di Giuseppe e una “madre vergine”
fecondata dallo Spirito di Dio.
- La Chiesa che egli ha fatto sorgere a Pasqua, “l’ha fatta comparire davanti a sé” come
una sposa vergine, “santa e immacolata” (Ef. 5, 26-27).
La verginità cristiana è così legata al Salvatore stesso e ai misteri dell’incarnazione e della
redenzione. Ogni cristiano chiamato a viverla si situa nella corrente salvifica iniziata
all’Annunciazione e a Pasqua: “I consigli abbracciati volontariamente secondo la personale
vocazione di ognuno… hanno la capacità di maggiormente conformare il cristiano al genere
di vita verginale e povera che Cristo Signore scelse per sé e che la vergine Madre sua
abbracciò”.11
La verginità consacrata è “cristiana” nel senso più forte dell’aggettivo: essa trova in
Gesù Cristo la sua sorgente più pura e il suo punto di riferimento più forte. Non solo Gesù,
per disposizione divina, “è nato dalla vergine Maria”, ma lui stesso ha rifiutato l’esperienza
coniugale e scelto di restare vergine. Perché? L’importante, infatti, non è il fatto in se stesso,
ma il suo significato. Perché si è messo, su questo punto, in contraddizione con la mentalità e
la pratica del suo popolo? Perché non ha spinto fino alla vita coniugale l’esperienza umana
che veniva ad assumere e a salvare con l’incarnazione? Perché si è accontentato di assistere
alle nozze di Cana e non ha vissuto quest’amore coniugale che lui stesso ha portato all’altezza
di un sacramento e di un mistero?
Per capire bene il significato della sua scelta, bisogna prima notare con cura che Gesù
non ha manifestato la minima paura né il minimo disprezzo verso le realtà sessuali e il
matrimonio: il suo comportamento riguardo alle donne che incontra, da Marta e Maria fino a
Maria Maddalena, la samaritana, la donna adultera e la peccatrice che piange ai suoi piedi, 12 lo
mostra in possesso di una padronanza sovrana, libero e sereno, capace di capire, di accogliere,
di amare e di liberare con delicatezza e limpidità, senza ricerca personale come senza
misoginia. Non appare maggiormente preoccupato di queste stesse realtà, come se
l’attirassero o l’interessassero in modo particolare: anche sotto questo aspetto la sua libertà è
totale, e i temi stessi della vita coniugale o della castità sono trattati, nelle sue predicazioni,
con tanta naturalezza quanta discrezione.13
La libera scelta della verginità si radica nella sua identità filiale e salvifica e nella
coscienza viva che ne ha: è il Figlio unico, mandato dal Padre a tutti gli uomini per realizzare
l’Alleanza definitiva. In altre parole, Gesù è stato vergine per due ragioni fondamentali
strettamente collegate tra di loro: appartiene al Padre suo, e il Padre suo lo dà come sposo alla
sua Chiesa in vista della Vita nuova.
All’origine storica della verginità di Gesù, c’è quella di sua madre: il Nuovo
Testamento e la tradizione più primitiva hanno affermato chiaramente, e come un fatto
importante, il suo concepimento e persino la sua nascita verginale. Il senso di un tale miracolo
non fa dubbio: il concepimento verginale di Gesù significa che la sua incarnazione rileva non
11
Vat. II: LG 46 b.
12
Cf. Gv 4, 9; 8, 5; 12, 27, Lc 7, 39-44; 10, 38-42…
13
Cf. J. Guillet, « La chasteté de Jésus-Christ », in Jésus-Christ dans le monde, Desclée de Brouwer, Paris 1974,
39-52.
16
dagli uomini, ma solamente dall’iniziativa di Colui che lo manda nel mondo. È il sigillo della
sua origine divina. Giuseppe non è intervenuto, e Maria non ha creato in se stessa il Figlio di
Dio: lo Spirito Santo l’ha fatto sorgere in essa e crescere per essa.
Nella stessa linea della sovranità di Dio, l’esistenza vergine di Gesù significa che egli
non si appartiene e che non dispone di se stesso, in nessun momento della sua vita. Quando
s’incarna, il suo cuore e la sua carne immediatamente appartengono al Padre suo: “Entrando
nel mondo, Cristo dice: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”” (Eb 10, 5-7). E man
mano che vive la sua esperienza umana, è in fedeltà di amore e di servizio al Padre suo, così
durante la vita nascosta: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc
2, 49), come durante la vita pubblica: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato
solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 29). L’intimità e la totalità
del dono di sé che l’amore coniugale suppone ed esprime, le sperimenta già in un modo
ineffabile nella sua relazione filiale con il Padre: niente potrebbe ostacolare la sua perfetta
disponibilità. È vero che il Padre suo lo manda agli uomini in modo molto concreto, ma è per
amarli tutti nel suo nome, ciascuno personalmente, e senza mai volersene accaparrare alcuno.
3.1.2. Su ordine del Padre suo, Gesù prende la Chiesa come sposa
Gesù pertanto non resta estraneo per se stesso alla realtà nuziale e coniugale. Al
contrario! Cosa strana a prima vista, dà a se stesso il titolo di sposo, una volta direttamente,
quando designa i suoi discepoli come invitati al banchetto delle sue nozze, e due volte per
allusione, nella parabola del re che celebra il banchetto di nozze di suo figlio e in quella delle
dieci vergini in attesa dell’arriva dello sposo (Mt 9, 15; 22, 1; 25, 1). E Giovanni Battista a sua
volta gli dà questo nome, riconoscendo che lui stesso è “l’amico dello sposo”, inviato per
preparargli la sua fidanzata (Gv 3, 29).
Chi è questa fidanzata? La tradizione messianica ce lo dice chiaramente: si tratta del
nuovo Israele: l’insieme della Chiesa e ciascuno dei suoi membri. La tradizione patristica
esplicita ancora il mistero: si tratta in modo più largo ancora dell’umanità intera, amata e
salvata prima ancora che non si converta in Chiesa credente. L’immagine delle nozze non è
solo un’immagine poetica: essa traduce la realtà più viva e più insondabile del disegno divino:
il Figlio incarnato, in nome del Padre suo, vuole legarsi personalmente a tutti e a ciascuno con
un amore totale, e richiede di ritorno un amore dove la persona si dà interamente.
“L’Alleanza” è il mistero di una comunione che tende di per sé a essere piena e definitiva.
Gesù annuncia e realizza questa alleanza come a tappe. Già dall’incarnazione si unisce
corpo e anima per sempre all’umanità che viene a salvare: il suo vincolo coniugale con la sua
miserabile sposa riceve la sua forza da quella stessa dell’unione ipostatica. A Cana, guarda i
giovani sposi con serenità e gioia, e benedice le loro nozze, perché ci vede l’immagine del suo
mistero salvatore, e già comincia a celebrare le sue proprie nozze, perché allora “i suoi
discepoli credettero in lui” (Gv 2, 11). Ma è durante la passione che “dichiara” pienamente il
suo amore e realizza le sue nozze definitive: sulla croce dichiara il suo amore di sacrificio,
dandosi corpo e anima per la sua Chiesa, per meritarle di esistere come Chiesa purificata e
salvata; e nell’eucaristia, dichiara il suo amore d’intimità, dandosi corpo e anima alla sua
Chiesa, per unirsi ad essa fino alla fine.
La ragione per cui il Cristo non si è sposato con una donna, la scopriamo dunque nel
senso stesso della missione che ha ricevuto dal Padre: viene a realizzare ciò che il destino e
l’amore degli sposi debbono significare: il dono totale di sé alla sua Chiesa, provocando la
risposta di amore di questa Chiesa. La realtà come tale non è il segno e non deve esserlo; essa
lo sorpassa e l’utilizzerà dopo per rivelarsi meglio. Più semplicemente ancora: Gesù non ha
preso visibilmente moglie perché il Padre gliene aveva già dato una: la Chiesa, e in essa,
ognuno dei suoi membri personalmente amato.
17
3.1.3. L’unione che Gesù viene realizzare non è dell’ordine della carne
Le nozze che Gesù viene a realizzare sono verginali: si tratta di un incontro reale di
persone estremamente concrete, ma che non obbedisce alle leggi del dinamismo carnale e non
è ordinato alla semplice vita di questo mondo. Il Figlio di Dio non s’incarna per rendere
presente un genio eccezionale in mezzo agli uomini, né per migliorare le loro condizioni di
vita culturale, economica o sociale, né per continuare una famiglia di questo mondo.
S’incarna per inaugurare sulla terra il regno “dei cieli”, per invitare i figli degli uomini a
diventare figli di Dio “rinati dall’alto, da acque e da Spirito” (Gv 3, 3-5), per chiamarli alla
vita divina e alla risurrezione. La salvezza che porta al mondo non è di questo mondo: essa
mira a “trasformare”, nel senso preciso del termine, il loro essere e la loro esistenza aprendoli
al dinamismo trascendente di Dio Trinità. Per realizzare tutto questo, la potenza della carne è
niente. Ci vuole quella dello Spirito.
Quando la Chiesa si unisce a Cristo suo sposo, essa “nasce” dunque alla sua vita
divina risuscitata, nello Spirito. Per la sua concezione nel seno di una vergine, ma anche,
secondo la stessa logica, per la condizione verginale di tutta la sua esistenza, Gesù, nello
stesso tempo Sposo e Fratello maggiore, ha voluto significare la trascendenza di questa
unione feconda.14 La sua condizione verginale si armonizza con la vita “spirituale” che egli
viene a offrire e inaugurare, e già con la vita risuscitata che viene ad annunciare e promettere,
quella vita nella quale “non si prende moglie né marito”.15
Che succede allora quando un cristiano, spinto dallo Spirito, sceglie a sua volta di
restare vergine? Entra, possiamo dire, nella verginità di Cristo e nel mistero di questa
verginità. “Amo la povertà perché Gesù l’ha amata”, esclamavano Pascal e Charles de
Foucauld. Nello stesso modo il cristiano vergine dice: “Amo la castità perfetta perché lui l’ha
amata”. Ma vuole evidentemente amarla come Cristo l’ha amata, partecipando per quanto
possibile alle sue intenzioni, e senza il minimo disprezzo per i suoi fratello o sorelle chiamati
all’esperienza del matrimonio cristiano. Come Gesù, vuol lasciarsi prendere interamente dalle
cose del Padre, avere la libertà di amarlo e di servirlo con una disponibilità totale. Vuole
anche, rinunciando alle nozze terrestri, proclamare la realtà sponsale del Figlio risuscitato, il
valore decisivo del suo amore con cui gli si risponde, la grandezza unica della comunione
misteriosa ma così reale con lui, essenziale dell’esistenza battesimale. Come lui infine, vuole
14
Si sa che il famoso versetto 1, 13 di Gv sulla generazione “non da sangre né da volere di carne né da volere di
uomo, ma da Dio” si applica tanto a Cristo quanto ai credenti. E se lo si legge come applicato a Cristo, il suo
parallelismo con Lc 1, 35 (sulla nascita verginale “spirituale” di Gesù Figlio di Dio) diventa evidente.
15
Lc 20, 35.
18
lasciare la vita nuova dello Spirito prender ampiamente possesso del suo essere e della sua
carne stessa, e tendere più ardentemente verso la sua pienezza nella risurrezione.
È un fatto scritto nella storia di tanti cristiani e cristiane chiamati alla verginità:
coscientemente e liberamente, hanno voluto “Seguire Cristo vergine”. Hanno percepito la
verginità come un mezzo privilegiato di vivere come lui, con lui e per lui. Ma è prima di tutto
un fatto scritto nel vangelo: la presenza di Gesù vergine rifulge come una primavera e suscita
vergini attorno a lui: in primo luogo la sua madre Maria e colui che rappresenta vicino a lui la
presenza provvidenziale del Padre suo, Giuseppe; poi Giovanni Battista il quale, dal seno
materno, al suo primo incontro misterioso con lui è santificato dallo Spirito, e si dedica anima
e corpo alla sua missione di annunciatore degli ultimi tempi, di precursore del Messia e di
“amico dello sposo, esultante di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3, 29); poi i Dodici, chiamati
a “seguirlo”: alcuni sono ancora vergini, in particolare Giovanni il discepolo prediletto, e a
quelli che sono sposati, come Pietro, chiede di lasciare “per il suo nome” e “per il regno di
Dio” casa, moglie, fratelli, genitori e figli (vedi Mt 19, 27-29; Lc 14, 26-27; 18, 28-30); poi
alcune sante donne, Marta e Maria per esempio; Maria Maddalena stessa, la quale, pentita e
perdonata, ridiventa spiritualmente vergine, riordinando tutto il suo essere a partire dall’amore
del Cristo;16 dopo la risurrezione, Paolo, per il quale “il vivere è Cristo” (Fil 1, 21).
Ma in questo corteo, un posto del tutto singolare spetta alla prima nominata, che fu
anche la prima “cristiana”: Maria. Prima di parlare di lei, basti precisare ancora questo: i
cristiani vergini non monopolizzano affatto nella Chiesa le ricchezze della verginità del
Cristo, di cui gli sposi stessi debbono vivere spiritualmente; ma l’esprimono e la prolungano
più vivamente, perché l’incarnano in qualche modo più profondamente in loro stessi.17
Il secondo punto di riferimento della verginità cristiana è infatti colei che la tradizione,
molto presto, ha chiamata “la Vergine”, “la santissima Vergine”, la “Vergine delle vergini”.
La verginità di Maria non è una realtà marginale, una specie di ornamento di convenienza: è
nel cuore stesso del mistero del suo destino personale e della sua funzione nel disegno di
salvezza; è nel cuore del mistero stesso dell’incarnazione redentrice. E questo fatto apre su
ogni verginità consacrata orizzonti dalle profondità insondabili.
La verginità del Cristo potrebbe sembrare, a prima vista, troppo speciale e troppo
lontana da noi, essendo quella di una Persona divina incarnata. La verginità di Maria è quella
di una creatura, quella di una donna: probabilmente ha per noi un valore più tipico, qualcosa
di più umile e di più umano. Ma bisogna anche dire che la verginità del Cristo ha irradiato su
quella di sua madre: su questo punto come su tanti altri, essa è la prima e la più perfetta
discepola. Certo, cronologicamente, Maria vergine esiste prima di Cristo. Ma la sua verginità
non deve essere rinchiusa in un momento del suo destino: è una condizione di vita e uno stato
d’animo che si stendono a tutta la sua esistenza e ne sposano dinamicamente le tappe. Nello
splendore del suo Figlio vergine, Maria non ha cessato di approfondire in sé le intenzioni e di
confermare le espressioni del suo amore verginale. Noi sappiamo, per esempio, quanto abbia
risuonato nella sua anima la parola dei dodici anni: “Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49; vedi v.51).
16
Maria Maddalena raffigura l’umanità peccatrice che Gesù converte in Chiesa santificata: “Si chiama vergine
colei che prima era meretrice. Cristo ha preso questa meretrice e ne ha fatto una vergine. O fatto meraviglioso!
Nei rapporti umani una vergine, se si sposa, cessa di essere vergine; nei rapporti umani una vergine, se si sposa,
cessa di essere vergine; nei rapporti con Cristo, persino una meretrice da lui sposata diventa vergine” (GIOVANNI
CRISOSTOMO, Hom. de capto Eutropio, 6: PG 52, 402).
17
“La castità consacrata raggiunge, trasforma e penetra l’essere umano fin nel suo intimo mediante una
misteriosa somiglianza con il Cristo” (Paolo VI, Ev. Test. 13).
19
Soprattutto, bisogna dire che la verginità di Maria è “cristica” nel senso che le è stata
data da Dio ed è stata voluta e vissuta da lei in funzione del servizio che Dio da lei aspettava:
essere la madre del suo Figlio incarnato. La caratteristica essenziale della verginità di
Maria è di essere totalmente ordinata alla sua maternità, essendo ben inteso che questa
maternità non è solo un atto, ma un compito che investe tutto il suo essere e tutta la sua vita. È
una verginità “relativa” ad una fecondità, che la unisce a Colui che genera, alla sua Persona,
ma anche al suo destino e alla sua missione di redentore, e, al di là, a tutti i suoi fratelli umani.
Potrà essere utile considerarla nelle tre tappe principali della sua vita: verginità della vergine
d’Israele, della vergine-madre di Nazareth e di Betlemme, della vergine-madre corredentrice
del Calvario e del Cenacolo. Tutto questo culmina nel mistero della vergine assunta nel cielo.
3.1.5. La verginità della Vergine d’Israele: pienamente attenta alla parola di Dio e
disponibile alla sua volontà
Guardiamo prima Maria nella sua adolescenza, prima dell’istante decisivo in cui
diventa madre di Dio. Noi sappiamo che è vergine non solo di fatto, ma per libera decisione.
Come è potuta arrivare ad una scelta così contraria alla mentalità corrente del suo ambiente?
Innanzitutto per grazia di Dio: la sua decisione è frutto di un dono carismatico. Sappiamo che
è stata concepita immacolata, e ciò significa che, dissociata dal primo Adamo, è dal principio
l’Eva del nuovo paradiso, unita e accordata in anticipo al nuovo Adamo che deve nascere da
lei: tutto il suo essere è fin dall’inizio orientato verso Dio, aperto a Dio, e lo Spirito non cessa
di animarla e santificarla. Niente di strano allora che, al momento in cui un’adolescente, in
Israele, deve decidere del suo avvenire, la “piena di grazia” opti per il dono totale di sé a Dio,
corpo e anima. Mi sembra importante, per capire bene Maria e l’unità del suo mistero, dare
alla sua verginità, fin da questa prima tappa, una piena consistenza di libertà e di decisione:
c’è stato un periodo della sua vita in cui non è stata altro che “la vergine”, anche quando fu
“fidanzata” o “sposata” a un uomo che aveva riconosciuto e accettato il suo proposito di
verginità.18
Al livello spirituale, ciò si esprime negli atteggiamenti più tipici del popolo d’Israele,
di cui la giovane Maria ha certamente sentito e meditato i testi sacri, attenta forse soprattutto
ai passi dove Osea, Geremia, Isaia e Ezechiele annunciavano l’alleanza sotto l’immagine di
nozze misteriose tra il Signore pieno di amore e il suo popolo finalmente deciso ad essergli
fedele. Essa chiude e condensa in sé tutta la storia spirituale di questo popolo, portando alla
loro perfezione i suoi atteggiamenti religiosi validi: senso di Dio, della sua santità, del suo
disegno di salvezza, desiderio di questa salvezza universale. E tutto questo culmina nel suo
proposito di verginità: essa si situa tra i “poveri di Jahvè”, 19 rinuncia alla gioia dell’unione
coniugale e alla gloria della maternità per appartenere interamente al suo Dio,
silenziosamente. Rinuncia probabilmente anche alle ricchezze materiali, accettando di restare
nella semplicità e nella povertà della sua condizione presente. Verginità e povertà non sono
forse come due sorelle che si accordano spontaneamente tra di loro e difficilmente si
separano?
Allora si precisa nella sua anima ciò che sarà l’atteggiamento fondamentale e come il
primo frutto di ogni verginità cristiana: la libertà interiore ed esteriore per portarsi verso Dio
nell’attenzione alla sua parola e nella disponibilità alla sua volontà. Non è per niente che tanti
artisti ispirati, e in prima linea il beato Angelico, hanno rappresentato la Vergine
18
Cf Lc 1, 27 e 34. “La verginità di Maria era oggetto di un proposito stabilito” (R. LAURENTIN, La Vergine,
Maria. Mariologia post-conciliare, Paoline, Roma 19734, 37; cf. la sua spiegazione e risposta alle obiezioni 37-
38 e 69-70).
19
“Ella primeggia tra gli umili e i poveri del Signore” (Vat. II, LG 55). Vedi A. GELIN, Il povero nella Sacra
Scrittura, Vita e Pensiero, Milano 1956, 121-133.
20
3.1.6. La verginità della Madre del salvatore: Dio Padre l’associa alla sua santità feconda
nello Spirito
Bisogna porgere un’immensa attenzione a questo fatto della storia della salvezza: a
Maria vergine Dio domanda di essere madre del Figlio suo; e la sua fede, la sua disponibilità
verginale prende la forma di un SÌ a questa procreazione e alla responsabilità di tutti i compiti
materni. Tutto ciò senza ledere la sua verginità; questa, al contrario, ne riceve a un grado
infinito la sua giustificazione, la sua consacrazione e il suo arricchimento. 21 Ormai, è una
verginità materna, innalzata al livello stesso del nuovo rapporto tra Maria e le Persone divine.
La ragione di essere della concezione verginale di Gesù in Maria, l’abbiamo già detto,
è stata sempre chiara nella coscienza cristiana: Gesù, Figlio di Dio, “viene dall’alto” (Gv 8,
33). La verginità di Maria è il segno e l’attestazione della libera iniziativa del Padre e
dell’origine trascendente di Gesù. Ma è una verginità attiva, in cui la Vergine s’impegna
corpo e anima. Dio non manda il suo Figlio come un “qualcuno” caduto dal cielo. Lo propone
come dono di amore che richiede di essere liberamente accettato, come una prima
realizzazione di quell’Alleanza definitiva che, a Pasqua, sarà conclusa totalmente. Maria si
trova all’incrocio tra Dio che propone il Salvatore e l’umanità disposta ad accoglierlo. E la
sua verginità la rende nello stesso tempo disponibile all’iniziativa di Dio e pronta
all’accoglienza che l’uomo gli dà.
Essa dice SÌ. Allora lo Spirito agisce in essa, potentemente, operando la duplice
meraviglia della fecondità, e di una fecondità che fa apparire all’esistenza umana il Figlio di
Dio stesso, il Salvatore universale. Il Magnificat è il grido di riconoscenza, di gioia e di umile
fierezza di una vergine, serva di Dio nascosta e in apparenza inutile, che Dio ha
prodigiosamente colmata, rendendola madre del Messia e la sua collaboratrice più decisiva
per tutte le generazioni: veramente “Dio ha guardato l’umiltà (si potrebbe tradurre: la
situazione umiliante di vergine senza prole) della sua serva… Grandi cose ha fatto in me
l’Onnipotente”.22 “Nella debolezza (della verginità) si manifesta pienamente la potenza
di Dio”.23
Ciò che bisogna notare accuratamente è che verginità e maternità qui, lungi
dall’opporsi o dal restare realtà parallele, s’intrecciano e si arricchiscono a vicenda. Perché
madre del Figlio di Dio, Maria è vergine in qualche modo divinamente. Ma anche, perché
20
“Maria è la Vergine in ascolto, che accoglie la parola di Dio con fede; e questo fu per lei premessa e via alla
maternità divina” (PAOLO VI, Marialis Cultus, 2 febb. 1974, n.17).
21
“Il Figlio primogenito di Maria non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata” (Vat. II: LG
57, riferendosi a diversi testi conciliari, a san Leone Magno e a sant’Ambrogio). È anche una formula della
liturgia mariana.
22
Lc 1, 48-49. Cf l’espressione usata da Elisabetta alla nascita di Giovanni Battista: “Ecco che cosa ha fatto per
me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini”.
23
2 Cor 12, 9. Cf 1 Cor 1, 26-29; 2 Cor 4, 7; Gc 2, 5.
21
vergine, essa è madre più intensamente e più pienamente di ogni altra madre. 24 Nel piano
umano infatti, Gesù riceve unicamente da essa: come dice l’Ave Maria, è il suo frutto, il frutto
unicamente suo; essa è la “terra vergine” dove è maturato durante nove mesi il seme divino
gettato in lei.25 Il fondo del mistero, è che Maria è qui l’immagine e come la proiezione
terrestre dell’eterna generazione del Figlio dal padre tre volte santo. Come il Padre, essa è,
con lo Spirito e senza intervento carnale, l’unica persona generatrice dello stesso unico Figlio.
Come lui, essa genera questo Figlio in tutta coscienza e libertà, con il massimo di luce e di
amore possibile ad una creatura, senza niente di quella ricerca personale che accompagna
ordinariamente il grande atto di dare la vita. In una parola, perché vergine, essa è madre
immediatamente con tutto il suo corpo e con tutta la sua anima, e mai bambino fu così presto
e così pienamente amato come il suo. Madre del Figlio unico con tutto il suo essere, essa è,
nella sua raggiante maternità di diciassette anni, l’immagine più pura del Padre celeste,
sempre così giovane!
È questo forse che ha segretamente affascinato tanti artisti e li ha ispirati quando
hanno dipinto la Madonna che stringe il suo figlio nelle braccia. In ogni caso, noi potremmo
pensarci quando contempliamo questi capolavori di luce e di tenerezza: qui verginità e
maternità si esprimono in una sintesi perfetta. E ci svelano in modo vivo uno degli aspetti
maggiori di ogni verginità cristiana: è come un richiamo allo Spirito perché fecondi la fede e
faccia nascere e crescere nell’anima Gesù Cristo, ma anche perché trasformi il cristiano
vergine in strumento di fecondità per far nascere e crescere Gesù Cristo negli altri.
3.1.7. La verginità della Madre al Calvario e al Cenacolo: il Figlio suo se l’associa come
nuova Eva madre dei viventi.
Secondo la fede, di che cosa si tratta? Nelle maternità normali, la madre provoca
l’apparizione della persona del figlio inesistente fino allora, e il suo destino non è di diventare
la compagna e l’associata del suo figlio. Non è lo stesso nel caso di Maria: qui la Persona del
suo Figlio esiste prima di lei; egli viene per cominciare l’opera della salvezza degli uomini, ne
pone le basi definitive e la mette in movimento dal momento stesso dell’incarnazione;
manifesta a sua madre (la prima persona umana che incontra) un amore, premuroso,
privilegiato: è per sua libera scelta che ella è sua madre e che lo è per l’opera di rigenerazione
dell’umanità. Quando dunque Maria s’impegna ad essere la madre del Messia, il suo Sì non è
solo una risposta al suo Figlio che la trascina nell’opera redentrice che comincia allora, è
dall’inizio un’accettazione ad essere madre associata, anche se ella non sospetta allora tutta
la portata del suo impegno. La loro vita, per tutti e due, in un amore reciproco, ha ormai lo
stesso senso, sono consacrati insieme alla stessa opera comune della salvezza del mondo.
Il legame che li lega definitivamente rassomiglia dunque a quello dello sposo e della
sposa associati in un’opera unica di vita, e qui è l’uomo che è primo, all’inverso di ciò che
succede nel caso del legame madre-figlio. La tradizione ha espresso questo utilizzando, a
partire da sant’Ireneo,26 il grande paragone tra Eva e Maria. Se Maria è la nuova Eva di questo
nuovo Adamo che è il Cristo (come lo diceva già san Paolo), essa è “per lui un aiuto che gli è
simile”,27 la sua associata per propagare la vita divina ed essere la madre dei nuovi viventi. In
breve, tra il Cristo e Maria, è un amore di qualità nuziale che s’instaura a poco a poco
all’interno stesso dell’amore materno e filiale. 28 Scambio straordinario: Maria precede il suo
24
Secondo la formula del Credo, Gesù nasce “de Spiritu Sancto ex Maria vergine”.
25
“Rorate coeli desuper et nubes pluant Justum: aperiatur terra et germinet Salvatorem”, dice bene la liturgia
dell’Avvento.
26
Cf R. Laurentin, La Vergine Maria, Paoline, Roma, 4 ed., 74-77 e 148.
27
Gn 2, 18. Il Vaticano II la chiama: “compagna generosa del Redentore, del tutto eccezionale” (LG 61).
28
Notiamo questo fatto liturgico: numerosi passi della messa e dell’ufficio delle feste mariane mettono sulle
labbra di maria le esclamazioni della sposa del Cantico dei Cantici o fanno di essa la sposa-regina del Re
22
Figlio per dargli la vita ed educarlo umanamente; lo segue per entrare nelle sue intenzione e
nelle sue attività di Salvatore.
Bisogna notare accuratamente questo fatto, perché mette in evidenza il destino molto
diverso di Giuseppe e di Maria. Giuseppe serve da padre a Gesù nelle ore dell’infanzia e della
vita nascosta, poi scompare. Maria segue il suo Figlio nella sua vita pubblica, perché la sua
missione non è finita. Essa interviene qualche volta, come a Cana, ma più ancora si fa sua
discepola, ascolta la sua parola, progredisce nella fede.29 In questo periodo ridiventa
tipicamente la Vergine attenta, come al tempo della sua adolescenza. Ma questa volta, è il
Nuovo Testamento che ascolta e medita, scruta il disegno redentore, si offre allo Spirito, cerca
la volontà del Padre sul suo Figlio e su di lei, si prepara ad accoglierla, sempre da umile serva,
quando si manifesterà.
Infatti è al Calvario che si manifesta. Maria vi è associata al salvatore in modo
esplicito e pieno. Il Padre le chiede di acconsentire, come lui stesso, al sacrificio del suo
Figlio per la salvezza del mondo e per la conclusione della nuova ed eterna alleanza. Maria
dice di sì. Raggiunge l’anima di Gesù al vertice dell’amore: entrando nelle sue intenzioni,
accetta, forte nel suo dolore infinito, di vederlo sacrificare, in spirito di obbedienza filiale al
Padre e di dedizione agli uomini peccatori.
Nello stesso tempo, in questo nuovo fiat doloroso, essa conosce una nuova fecondità
materna: diventare madre di tutti i “discepoli”: “donna, ecco il tuo figlio” (Gv 19 26). Gesù le
chiede di accettare con lui la responsabilità, a titolo di madre, di questa moltitudine di fratelli
che sta generando alla vita divina liberandoli dalla morte del peccato. Certo, anche Maria è
riscattata. Ma il suo Figlio la riscatta fino a darle il potere di meritare in lui e con lui per noi
tutti, e d’intervenire attivamente presso noi tutti.
Proprio per questo, Maria non può più essere assente dalla vita della Chiesa. Noi la
troviamo al Cenacolo, ricevuta come madre nella comunità primitiva: “implora con le sue
preghiere il dono dello Spirito che l’aveva già presa sotto la sua ombra nell’annunciazione”. 30
Il testo conciliare avvicina i due avvenimenti: Gesù è nato dallo Spirito per Maria, la sua
Chiesa nasce dallo Spirito nella presenza attiva di Maria.
3.1.8. L’aspetto supremo del mistero: la verginità glorificata di Maria assunta corpo e
anima nel cielo
L’assunzione è il dono supremo del Cristo a sua madre: dà un corpo di gloria a colei
che gli aveva dato il corpo terrestre, e assimila a se stesso colei che deve essere fino alla
fine dei tempi l’attiva associata alla sua opera di rigenerazione degli uomini. Ma sotto uno dei
suoi aspetti, l’assunzione è anche il vertice della verginità di Maria, il coronamento finale
dell’azione dello Spirito in lei e del movimento del suo proprio amore in cui tutta la sua
persona era impegnata.
La condizione verginale infatti concerne il corpo e l’anima: li sottrae alle esperienze
carnali ordinarie per offrirli all’azione dello Spirito “per il Regno”, cioè per la comunione
piena con Dio. Fin dall’infanzia, Maria immacolata e vergine è entrata in questo Regno e vi
ha camminato e progredito secondo le tappe della sua vita, offrendosi al possesso progressivo
dello Spirito, tendendo spontaneamente verso la sua pienezza, sostenuta dal dinamismo della
speranza. Quando giunge al termine, il suo Figlio, già entrato nella gloria e diventato il
diffusore dello Spirito, è premuroso di conferirle questa pienezza e di conformarla alla sua
propria immagine. La verginità di Maria, come quella stessa di Gesù, vi è esaltata per sempre
e il suo significato vi è totalmente svelato: con tutto il suo corpo e con tutta la sua anima, al di
messianico (in particolare le antifone del Vespro, tratte da Cant. 1, 4-5.12; 2, 6. 11-13).
29
Cf Mt 12, 46-50. “Anche la beata Vergine ha avanzato nel cammino della fede” (Vat.II: LG 58).
30
Vat. II: LG 59.
23
là di tutti i limiti della condizione terrestre, Maria vergine è, nella potenza dello Spirito, amore
vivente del Padre e del suo disegno, amore vivente del suo Figlio e dei fratelli innumerevoli
del suo Figlio, prima convitata alla tavola del banchetto nuziale dell’Agnello.
Maria non è solo modello, ma anche “avvocata” e difesa dei vergini. Non si limita
ad additare loro la via della verginità, ma li aiuta anche a percorrerla con la sua intercessione e
vigile custodia. San Basilio scrive: “Come i corpi limpidi e trasparenti, quando un raggio li
colpisce, diventano essi stessi splendenti e riflettono un altro raggio, così le anime
pneumatofori, illuminate dallo Spirito, diventano esse stesse pienamente spirituali e rinviano
31
LG 63-64, poi 68. Cf anche tutto il n.65.
24
sugli altri la grazia”32. Maria è, per eccellenza, l’anima “pneumatofora”, portatrice dello
Spirito, è il corpo luminoso che riflette sugli altri la luce.
Una costante attenzione e devozione a Maria è certamente uno dei mezzi, tra i più semplici ed
efficaci per coltivare il carisma del celibato e della verginità.
L’aspetto ascetico, di rinuncia, che c’è nella verginità e nel celibato si fonda sul
mistero pasquale.
La vita verginale e casta è dunque, in senso molto profondo, una vita pasquale.
“Cristo, nostra Pasqua – scrive l’Apostolo – è stato immolato. Celebriamo dunque la festa non
con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di
verità” (1 Cor. 5, 7-8). La parola che è tradotta con “sincerità”, e cioè heilikrineia, contiene
l’idea di splendore solare (heile) e di prova o giudizio (krino) e significa perciò una
trasparenza solare, qualcosa che è stato provato contro luce e trovato puro. Questo il modello
di vita che scaturisce dalla Pasqua di Cristo, che è comune a tutti i cristiani, ma che il vergine
deve fare suo a un titolo tutto speciale, tanto da divenirne, poi, testimone e segno per tutti
nella Chiesa.
Lo stesso concetto di fondo è espresso da san Paolo in quest’altro testo parenetico
della Lettera ai Romani, dove compare anche l’idea di sacrificio: “Vi esorto dunque,
fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e
gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi; rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm
12, 1-2). “Vi esorto dunque” questa congiunzione “dunque” è qui significativa; dice che il
sacrificio di Cristo, di cui l’Apostolo ha parlato in precedenza, ne è una conseguenza logica.
Poiché Cristo ha offerto il suo corpo in sacrificio, anche i discepoli devono offrire i loro
corpi in sacrificio. Qui si vede come la vita cristiana, oltre che un’impronta pasquale, ha
anche una impronta eucaristica.
32
S. Basilio Magno, Sullo Spirito Santo, IX, 23.
33
R. Cantalamessa, Verginità, 62.
25
La Chiesa è dunque la sposa del Cristo pasquale, ma le sue nozze sono verginali, ed
essa è una sposa che resterà vergine: i Padri hanno insistito su questo aspetto e noi abbiamo
sentito il Concilio riconfermarlo. Che cosa significa? 35 Che la doppia realtà delle nozze e
della verginità si realizza in modo misterioso e infinitamente profondo tra il Cristo e la
Chiesa.
La Chiesa è, davanti al Cristo crocifisso e risuscitato, come una sposa. Ciò vuol
dire prima di tutto che non si confondono: il Risuscitato è una Persona reale, concreta
anche se invisibile, Gesù di Nazareth entrato nella gloria, la Chiesa, essa, non è né una
34
Ef 5, 25-27. Il tema dell’alleanza “nuziale” di Dio con Israele, poi del Cristo con la sua Chiesa, attraversa tutta
la Bibbia; il testo più chiaro e più “commovente” al riguardo è la storia d’amore raccontata da Ezechiele al
capitolo 16. Ne ho già detto qualcosa sopra, parlando del Cristo vergine (p.16). Vedi nella Bibbia di
Gerusalemme la nota-sintesi di Osea 1, 2 dove sono indicati tutti i testi. Nel N.T., i testi più espliciti sul rapporto
sponsale Cristo-Chiesa sono, oltre Ef 5, 25-27, quello dove Paolo dice alla comunità di Corinto: “Vi ho promessi
a un unico sposo per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11, 2; vedi la nota della BJ; nel decreto PO
16, il Concilio lo applica ai presbiteri celibi “educatori di quell’arcano spozalizio istituito da Dio”); infine i testi
dell’Apocalisse sulla piena celebrazione delle nozze dell’Agnello con la nuova Gerusalemme nel cielo (Ap 19, 7-
9; 21, 2.9-10). Parlando della Chiesa sposa, il Vat. II si riferisce ad alcuni di questi testi: vedi LG 6e e 7h.
35
Vedi lo studio sostanziale di G. MOIOLI, “La verginità nel mistero di Cristo e della Chiesa”, in Rivista di vita
spirituale 20 (1966), 382-391, e in Vita religiosa e Concilio Vaticano II (in collab.), Teresianum, Roma 19672,
32-101. Sul pensiero dei padri, vedi l’ampio studio di G. OGGIONI, “Matrimonio e verginità presso i Padre”, in
Matrimonio e verginità, Venegono Inf. 1963, 161-418.
26
persona unica né una pura entità morale, ma “il corpo” ben definito delle persone che credono
in Gesù e professano questa fede nel battesimo, nella loro vita e nelle loro assemblee. Ma ciò
vuol dire anche che sono impensabili l’uno senza l’altra (come una testa e il suo corpo, dirà
ancora Paolo): si definiscono l’uno con l’altra, con la loro relazione stessa, ciascuno secondo
la sua propria situazione: il Cristo ha l’iniziativa, la chiesa risponde. Realizzano nella fede
reciproca e nell’amore reciproco una comunione totale e definitiva.
Ma qui lo Sposo e la Sposa sono vergini. Ciò vuol dire che “tale comunione trascende
il modo proprio di strutturarsi e di esprimersi della comunione coniugale umana.
Immensamente più profonda, più reale, più ricca, essa non si svolge “secondo la carne e il
sangue”, ma “Secondo lo spirito”. Suppone il dono dello Spirito Santo, ed ha una propria
struttura che ci rimane misteriosa: è “soprannaturale””.36 La Chiesa è una sposa che vive il suo
amore coniugale precisamente secondo gli atteggiamenti tipici della vergine cristiana.
È una sposa umile e povera: non conta su se stessa, perché riconosce che non è niente
per se stessa e che ha ricevuto tutto – a cominciare dalla sua esistenza – da Colui che “l’ha
amata e ha dato se stesso per lei”. Ella sa “a chi ha dato la sua fede” (2 Tm 1, 12). E per
rispondere al suo Sposo, non conta sul fascino né sulla potenza della carne, ma sulla “grazia”
e sulla potenza di amare che le viene dallo Spirito. L’unione profonda al suo Sposo, essa la
realizza spiritualmente con la sua fede amante, con la fede di tutti i suoi membri, martiri e
apostoli, sacerdoti e laici, vedove e bambini di prima comunione… una fede che ascolta: essa
rinuncia alle “sue” idee e non vuole avere come punto di riferimento che le parole del suo
Signore. Una fede che obbedisce: essa rinuncia ai “suoi” progetti e non cerca nient’altro che il
regno del suo Signore. Una fede che si vuole fedele: non ha occhi che per il suo Signore, e
nelle difficoltà e tentazioni del suo pellegrinaggio terrestre essa trova nello Spirito la forza di
mantenersi integra per lui e di non condividere con nessun altro la comunione d’amore di cui
vive: “La Chiesa è la vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo… e
conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità”. 37 Certo, i membri
individuali della chiesa possono essere peccatori e infedeli al Cristo, ma sono allora altrettanto
infedeli alla Chiesa stessa come il Cristo l’ha costituita e la vivifica con il suo Spirito.38
La Chiesa infatti non è solamente sposa amata e amante. Il Cristo la costituisce sua
collaboratrice vivente e responsabile nell’opera della salvezza e le permette di diventare una
madre feconda, una nuova Eva, “madre dei viventi”: quest’opera infatti è di ordine vitale: si
tratta di far “rinascere” gli uomini alla vita divina di figli di Dio, all’immagine del Figlio
unico, di far crescere in questa vita coloro che già vi sono nati. Per questo compito il Cristo
si associa ufficialmente dei collaboratori “sacramentali”, i membri della gerarchia, ai quali
sono affidati direttamente la parola e i sacramenti. Ma sotto una forma più spirituale si associa
tutti i suoi membri: tutti possono e devono contribuire a far nascere e crescere il Cristo negli
altri, non con la forza delle tecniche umane, ma con la potenza dello Spirito di Dio.
Questo compito materno è verginale non solo perché sfugge alle leggi della maternità
umana ordinaria e non toglie niente all’integrità soprannaturale della Chiesa (la consacra
piuttosto e l’arricchisce), ma anche perché si afferma di nuovo per l’umiltà che rinuncia alle
36
G. MOIOLI, op. Cit, 93.
37
Vat. II: LG 64.
38
“Immaculata ex maculis”, dicevano i Padri, e particolarmente sant’Ambrogio (Expos. Evang. Sec. Lucam I,
17: PL 15, 1540). “Non in se sed in nobis vulneratur Ecclesia” (De virginitate 48: PL 16, 278).
27
grandezze carnali e per la fiducia che si appoggia sulla fedeltà di Colui che può tutto.
Apparentemente la Chiesa è sterile: “Essa non può né vuole arrogarsi efficacia mondana. Non
compete con i poteri del mondo per acquistare più potenza e più prestigio. Essa non ha da
creare nuove tecniche né da conquistare per l’umanità continenti sconosciuti o nuovi pianeti.
Non tocca a lei espandere l’universo dell’uomo né fertilizzarlo. Ciò che genera, con la
potenza dello Spirito, è Cristo, e in Cristo, il mondo rigenerato, la creazione nuova annunciata
dai profeti”.39 “La Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. Sta scritto infatti:
“Rallegrati, sterile che non partorisci… perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di
quelli della donna che ha marito””.40 Anche quando è umiliato fino alla persecuzione, la
Chiesa non cessa di essere spiritualmente feconda con i suoi martiri e i suoi santi e di cantare
la vittoria che ha riportato “per mezzo del sangue dell’Agnello”.41
In una parola la verginità della Chiesa madre l’invita a diffidare di ogni tentazione di
voler rivaleggiare con il mondo e di confidare troppo nei metodi puramente umani.
Un ultimo aspetto caratterizza l’amore verginale della Chiesa per il suo Sposo: benché
già sposa, essa è ancora una vergine saggia in attesa dell’incontro definitivo. Il suo Sposo
certo è presente, ma è il Risuscitato invisibile, e, in questo senso, ancora lontano: ella è
“in esilio lontano dal Signore”, cammina “nella fede e non ancora in visione” (2 Cor 5, 7). Le
spose terrestri gioiscono pienamente della presenza del loro sposo e si affliggono della fuga
del tempo. La Sposa vergine, al contrario, è tutta tesa verso l’avvenire, verso la piena
celebrazione delle nozze celesti: lo Spirito la riempie di speranza: “Lo Spirito e la Sposa
dicono: “Vieni””.42
La riempie anche di santo timore, perché in questo possesso ancora imperfetto dello
Sposo, essa si sente debole, esposta alla distrazione e alla tentazione. I suoi membri peccatori
rischiano di farle perdere l’integrità della sua fede e del suo amore. Perciò tiene la sua
lampada accesa e desidera con impazienza, nella notte, la venuta di questo “giorno” in cui
sarà totalmente la Sposa dell’Agnello, al riparo ormai da ogni minaccia per la sua perfetta
verginità.
Ma la Chiesa, sposa verginale, suscita anche nel suo seno – ed è ben naturale –vergini,
carismaticamente chiamati a viver il suo mistero nuziale in modo verginale. Il cristiano
vergine infatti è a tal punto polarizzato dall’assoluto dell’amore di Cristo che non vuole più
conoscere altro. Rinuncia al simbolo (l’amore vissuto con un congiunto) per raggiungere
immediatamente la realtà simboleggiata: amare Cristo ed essere amato da lui. Sacrifica
l’innegabile ricchezza evocatrice del “simbolo” vissuto a due insieme, ma è per acquistare il
valore lineare del “tipo” e della “personificazione”. L’uomo e la donna cristiana, vivendo il
loro amore reciproco (senza essere vergini) sono, loro due insieme, l’immagine visibile di
Cristo e della Chiesa che si amano (verginalmente), ed essi per questa mediazione ne
realizzano in loro il mistero. Il cristiano vergine, restando solo, è il segno diretto della Chiesa
39
L.Legrand, op cit., 157-158.
40
Gal 4, 27, citando Is 54, 1.
41
Ap 12, 11. Si sa che “la donna vestita di sole” che partorisce rappresenta Israele che genera il Messia e la
chiesa in lotta, e in retro-fondo Maria, nuova Eva. Questo testo è da raffrontare con le parole di Gesù sulla
fecondità delle sofferenze dei suoi discepoli: Gv 16, 20-22.
42
Ap 22, 17. Cf 19, 7-9; 21, 2. 9-10.
28
che è verginalmente, ed è il suo segno chiaro e intenso perché non fa altro che vivere il suo
mistero. Il segno esteriore della sua esistenza verginale coincide perfettamente con il mistero
vissuto dell’amore verginale ricevuto e dato; l’uno e l’altro sono allo stesso livello. Il cristiano
vergine è semplicemente la Chiesa che in uno dei suoi membri vive senza intermediario il suo
amore verginale, ne è il testimone direttamente visibile e la personificazione stessa: “vox
sponsae”, dice san Fulgenzio di Ruspe.
In lui la chiesa manifesta con una forza singolare questa fecondità verginale che essa
esercita suscitando la fede, la speranza e l’amore nel cuore dei suoi membri. Nel cuore
degli sposi, suscita una fede che trasfigura spiritualmente il loro amore. Nel cuore delle
vergini, suscita una fede che supera l’amore umano stesso e fa accettare di rinunciarvi
per il Cristo e il suo Regno: stupore per il credente stesso, scandalo per la sensibilità dei non-
credenti e pazzia per la loro ragione, soprattutto nel nostro mondo erotizzato. La fede della
Chiesa, la realtà del suo amore per il Cristo invisibile, appare dunque qui eloquentemente
come forza e saggezza dello Spirito di Dio, come la “vittoria che ha sconfitto il mondo”.43
Suscitato e “portato” dalla Chiesa vergine, il cristiano vergine partecipa a sua volta
attivamente alla sua fecondità, con questa caratteristica che ne manifesta bene la natura
trascendente.
Il cristiano vergine è fecondo spiritualmente senza partire dalla carne. Offre la sua povertà
direttamente alla potenza dello Spirito, per il quale diventa per molti mediatore di
santificazione: fa nascere e crescere Gesù negli altri per la grazia stessa della sua carità
verginale, e si trova inoltre disponibile per ogni specie di lavoro apostolico. La sua sterilità
apparente mette precisamente in risalto la materna fecondità della Chiesa secondo lo Spirito.
Infine il cristiano vergine esprime con vigore la tensione escatologica di tutta la Chiesa
verso il suo incontro pieno con lo Sposo glorioso. Certo tutti i cristiani, dunque gli sposi,
vivendo nel regime della fede tendono verso la visione. Ma chi conduce la condizione di
vergine, rinunciando ai doveri coniugali e di parentela che inseriscono fortemente nel tempo
terrestre, è più direttamente aperto a questa speranza che anima tutta la Chiesa. Proclama il
carattere transitorio di questo mondo e annuncia in anticipo l’altra vita verso la quale la
Chiesa peregrina.
In una parola, è la condizione verginale che permette al cristiano di assimilarsi più
profondamente alla situazione stessa della Chiesa. È dunque attraverso i suoi membri vergini
che la Chiesa proclama con più chiarezza e più forza la sua realtà di umile sposa del Signore
nella forza dello Spirito secondo i suoi diversi aspetti: prima di tutto, la sua totale adesione di
fede e di amore a questo Signore; in seguito, la sua fecondità per generarlo nelle anime e
propagare il suo Regno in questo mondo; infine, il suo ardente desiderio di vederlo e di
possederlo pienamente nell’altro. “Le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta
verginità della loro madre, la Chiesa… Gloria altissima per le vergini è certo essere le
immagini viventi di quella perfetta integrità che unisce la Chiesa al suo Sposo divino”.44
Conclusione
abbiamo evocato: “La castità abbracciata “per il Regno dei cieli”, quale viene professata dai
religiosi, deve essere apprezzata come un insigne dono della grazia. Essa infatti rende libero
in maniera speciale il cuore dell’uomo (cf. 1 Cor 7, 32-35), così da accenderlo sempre più di
carità verso Dio e verso tutti gli uomini (dimensione esistenziale della verginità!), nonché un
mezzo efficacissimo offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino
e alle opere di apostolato (dimensione missionaria della verginità!). In tal modo, essi davanti a
tutti i fedeli sono un richiamo di quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà
pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come unico sposo (dimensione
sponsale della verginità!)”45.
Abbiamo basato il nostro discorso sulla verginità sul fatto che essa è anzitutto un
carisma, un dono ricevuto da Dio e, di conseguenza, una vocazione. Ma come nella messa
offriamo a Dio quel pane e quel vino che abbiamo ricevuto “dalla sua bontà”, perché, da dono
ricevuto, divenga dono offerto alla sua maestà, così la verginità, da dono ricevuto da Dio,
deve diventare dono offerto a Dio, sacrificio vivente e imitazione dell’eucaristia di
Cristo.
A conclusione della nostra meditazione la cosa più bella da fare è di rinnovare questa
donazione. Rioffrire a Dio il nostro “Eccomi!” per le mani di Maria. Ciò che fa la bellezza e
la preziosità di un dono è la sua integrità. La cosa donata deve essere “nuova”, intatta.
Nessuno si sognerebbe di donare a un amico un oggetto usato, un frutto già tutto
sbocconcellato. Bisogna, in questo campo, mirare alla delicatezza e non solo alla “sostanza”.
Bisogna, in altre parole, non sottrarre a Cristo nulla di ciò che gli abbiamo donato, non
ammettere in noi – nei pensieri, negli sguardi, nelle azioni – nulla che offenda la sua presenza
e che “rattristi” lo Spirito.
Dopo aver visto i fondamenti biblici della castità, oggi facciamo un po’ di storia, e
ricordiamo la storia del pensiero dei Padri e teologi sul tema della verginità. Aiuta conoscere
45
Perfectae caritatis, n.12.
30
la storia per sapere da dove veniamo, riconoscere le influenze ricevute, e riscoprire fonti e
valori perduti.
Per ciò, analizziamo la sintesi di questo libro: M. DA CRISPIERO, Teologia della sessualità.
Approfondimenti sui temi del matrimonio e della verginità, ESD, Bologna 1994.
Ci aiuta a collocare la verginità nel suo rapporto con il matrimonio, e nel suo rapporto con la
vita spirituale o il cammino di santità.
I Padri del II° e III° secolo
46
ATENAGORA, Leg. Pro Christ., 33, 1-5.
47
I testi sono sempre inseriti nel discoro morale e in particolare nell’obbligo che tutte le donne hanno –
specialmente le vergini – di portare il velo. Egli formula l’obiezione: si velano le coniugate; se le vergini le
imitassero, potrebbero trarre in inganno sulla loro condizione. E risponde facendo notare che in queste parole è
nascosta una menzogna, dal momento che la vergine è anch’essa coniugata, perché “ha sposato Cristo e ha
consacrato la sua carne a lui” (De orat. 2; PL 1, 1189). Se Cristo comanda che le spose altrui (“alienas sponsas”)
debbano essere velate, molto più esige ciò dalle sue spose (“utique multo magis suas”) (De Virg. Vel. 16; PL 2,
911).
31
continentiae (Cf. Cipriano, Ep. 55, 21), non ancora consacrato con un rito pubblico, né
sanzionato con una legislazione ecclesiastica.48
L’impegno per una vita santa coincide in concreto con lo sforzo di “circoscrivere le necessità
della carne”. Così accanto alla verginità Tertulliano ricorda sempre le altre forme di
continenza, compresa la castità coniugale; e le colloca secondo una gerarchia il cui vertice è
occupato dalla verginità. Anzi, ordina i diversi gradi di santità (“species santificationum”) in
piena corrispondenza la matrimonio monogamico, vedovanza e verginità; e presenta la
continenza come il mezzo idoneo per ottenere la più grande santità.49
CIPRIANO († 258), inculca la continenza a tutti. I suoi testi sulla verginità sono ricchi di
immagini e di espressioni suggestive: i vergini sono i figli più belli e cari della Chiesa, e ne
esprimono la fecondità e la gioia.50
Le vergini sono concepite da Cipriano come persone consacrate a Cristo e votate a Dio: esse
appartengono a Cristo come al loro Signore e al loro Capo.51 Questo rapporto è sponsale, fino
al punto che l’infedeltà diventa adulterio, dove lo sposo offeso è Cristo stesso (“Non mariti
sed Christi adulterae”).52 Dal punto di vista della dignità la verginità viene subito dopo il
martirio, in quanto rappresenta la realizzazione più perfetta dell’immagine di Cristo, iscritta
nell’anima del battezzato.53 In tale contesto – cioè come attuazione viva dell’immagine di
Colui che è disceso dal Cielo – la verginità è anche una anticipazione della vita futura: “Quod
futuri sumus, vos virgines iam esse coepistis”.54 È uno dei primi testi patristici in cui si trova
evidenziata la dimensione escatologica della verginità nel suo aspetto positivo de
partecipazione anticipata della vita celeste.
NOVAZIANO si trova sulla scia di Tertulliano e nel suo De Bono Pudicitiae ne
approfondisce le idee. La castità è avvertita come una esigenza di tutto l’essere cristiano,
poiché il battezzato è tempio di Dio; membro vivo di Cristo, abitazione dello Spirito Santo. È
significativa l’espressione secondo la quale i cristiani sono stati rigenerati “ex acqua et pudicitia” e
quindi resi affini allo Spirito (“consortes Spiritus Sancti”, attraverso un processo di totale
sradicamento da ogni carnalità (“Nihil carni debentes”). 55
Troviamo in lui molto bene evidenziata la dimensione ecclesiale della verginità. I cristiani
costituiscono una Chiesa che è la sposa verginale di Cristo. La castità non rappresenta soltanto
una norma etica ma una istanza teologica: essa trova ispirazione da un motivo di fede e dalla
chiara consapevolezza dell’inserimento della esistenza cristiana nella realtà ecclesiale che è
essenzialmente verginale.
Anche lui mette in evidenza la dimensione escatologica della verginità: essa, infatti, sospinge
la vita cristiana verso una interiorizzazione contemplativa che è il pregustamento della vita
futura (“futurae vitae gloriosa meditatio”).56
Origene († 253)
48
Cf. P. TH. CAMELOT, « Virginité », in D. Th. C. Tabl. Gen. [1972], cl. 4380.
49
De exhort. Cast. 10: “Per continentiam enim negotiaberis magnam substantiam sanctitatis; parcimonia carnis
spiritum adquires” (PL 2, 925).
50
De hab. virg. 3; PL 4, 455; cf. 20; PL 4, 472.
51
De hab. virg. 22: “Nullus vobis de partu circa filios metus est, nec maritus est dominus, sed dominus vester et
caput Christus est ad instar et vicem masculi” (PL 4, 474).
52
De hab. virg. 20; PL 4, 473.
53
De hab. virg. 21 e 23 (PL 4, 474, 477).
54
In riferimento a Lc 20, 31-36, Cipriano afferma: “Quod futuri sumus jiam vos esse coepistis. Vos resurectionis
gloriam in isto saecula jam tenetis, per saeculum sine saeculi contagione transitis. Cum castae perseveratis et
virgines, angelis Dei estis aequales” (De hab. Virg. 32, PL 4, 475).
55
De bon. Pud. 2, PL 4, 835; e 3, PL 853.
56
De bon. Pud. 7: “Virginitas quid alius est quam futurae vitae gloriosa meditatio?” (PL 4, 855).
32
57
“Se lo sposo si degnerà venire alla mia anima, essa diventerà sua sposa…” (In Cant. Hom., 1, 3; PG 13, 40-
41).
58
In Cant. Hom. 1, 5; PG 13, 42-43.
59
Cf. In Num. Hom. 11, 3; PG 12, 645-647; In Rom. Hom. 9, 1, PG 1201-8.
60
Cf. In Lev. Hom. 1, 5, PG 12, 410-411, cf. In Gen. Hom. 10, 4, PG 12, 218-219.
61
Cf. In Num. Hom. 10, 1; PG 12, 635-638.
33
62
“La nostra iniziale sostanza ci è stata data per mezzo della nostra formazione secondo l’immagine del
Creatore; quella che vi viene dal peccato deriva dal corpo che noi abbiamo ricevuto plasmato dalla polvere della
terra. Se dimentichi della nostra migliore natura, noi ci sottomettiamo al corpo plasmato con la polvere della
terra, ciò che in noi è migliore riceve l’immagine del terrestre, ma se… ci rivolgiamo verso colui di cui
riproduciamo l’immagine, noi raggiungeremo veramente la somiglianza con Dio…” (In Joan. Comm. Sermo 20,
20; PG 14, 622).
63
Cf. In Matt. Comm. 14, 16; PG 13, 1229.
64
Cf. Symp. 6, 2; PG 18, 116.
65
“Si offre totalmente a Dio colui che ha cura di custodire fin dalla giovinezza la propria carne pura, coltivando
la verginità” (Symp. 5, 3; PG 18, 101). La consacrazione verginale è un sacrificio non solo a livello dei sessi, ma
esige una mortificazione integrale di tutti i sensi e del cuore (cf. 5, 4-5, PG 18, 101-108). Anche lui pone la
verginità a livello del martirio: “Le vergini furono martiri in quanto sostennero le molestie del corpo non per un
solo e breve istante, ma per tutta la vita” (Symp. 7, 3; PG 18, 128-129).
34
consente una comunione piena con Dio, fino alla contemplazione di lui.66 Perciò rappresenta il
ritorno dell’uomo alla condizione paradisiaca e per questa sua pienezza può essere considerata
come il termine della rivelazione di Dio e si autocomunica attraverso l’amore.
I Padri del IV◦ e V◦ Secolo
GIOVANNI CRISOSTOMO è non solo il dottore ma il cantore della verginità. Pur avendo un
alto concetto del matrimonio, egli esalta la verginità molto al di sopra di questo.
Scrive per esempio: “Sono gli occhi [delle vergini] così belli e graziosi che attirano gli sguardi
non degli uomini, ma degli angeli e del Signore degli angeli; sono così puri e penetranti che
possono contemplare al posto delle bellezze corporali quelle incorporee”.77
La verginità è una via che è insieme più agile e meritoria in ordine alla perfezione e alla
santità. Anche lui tiene a precisare che la verginità concerne non solo il corpo ma soprattutto
l’anima: “Perché una persona sia vergine non basta che non si sposi, ma le occorre anche la
castità dell’anima. La castità, infatti, consiste non solo nella immunità dalle cattive e
vergognose concupiscenze, ma più ancora nell’essere liberi da preoccupazioni e cure
mondane. Anzi, vergine non è colui che di fatto non ha sposato, ovvero ha respinto il
72
Cf. De virg. 12; PG 46, 373-376. La verginità è descritta come un itinerario di ritorno al paradiso perduto.
Effettivamente coincide con il processo della ascesi mistica con cui l’uomo si unisce a Cristo. Idealmente è un
ritorno allo stato iniziale di libertà e beatitudine paradisiaca, in concreto coincide con la vita cristiana, intesa
come morte-risurrezione in prospettiva escatologica: va quindi compresa non come processo di disincarnazione
dello spirito, ma di morte-risurrezione dell’uomo intero (cf. De virg. 13, PG 46, 376-381).
73
“La verginità e la diligenza nel procurare la incorruzione ci conducono alla possibilità di vedere Dio” (De virg.
11; PG 46, 369). Per quanto concerne il tema dell’incorruttibilità e fecondità spirituale, la verginità, secondo il
NISSENO, sbarra il passo alla morte in quanto interrompe il processo della generazione carnale, con cui si cerca
di rimpiazzare con nuovi esseri le vite distrutte dalla morte, ma in realtà non si fa che aggiungere nuova esca
all’infuriare della morte (cf. De virg. 13, PG 46, 377). Sul piano storico la morte è stata debellata da Cristo frutto
della fecondità verginale di Maria (cf. PG 46, 377). La verginità cristiana ha il senso e la portata della verginità
feconda di Maria: si inserisce nel contesto salvifico e fruttifico per la vita eterna, dando inizio alla vita angelica
propria dei beati in cielo (cf. PG 46, 380-381).
74
Cf. De virg. 11, PG 46, 364-369.
75
“L’anima umana che abbandona questa vita materiale e turbolenta (e lo fa con la verginità) diventa splendente
in forza dello spirito, si fa luminosa…, si fa pura mediante l’incorruzione, sicché diventa lo specchio di fronte
alla santità di Dio a cui si fa simile mediante questa immagine e acquista così, grazie alla partecipazione e
all’impressione dell’archetipo della sua bellezza, la sua medesima forma” (De virg. 11; PG 46, 368).
76
Il matrimonio spirituale è tema dominante che unifica in sé tutti gli altri aspetti della verginità: incorruttibilità,
fecondità, anticipazione alla vita futura. Essa è un matrimonio che non conosce “privazione di figli, non
vedovanza; rimane invece sempre con lo sposo incorruttibile e abita una dimora dove la morte produce non la
separazione, ma l’abbraccio strettissimo con l’amato: quando l’anima si stacca da questa vita, scrive l’Apostolo,
allora essa si unisce a Cristo” (De virg. 3; PG 46, 333).
77
De Virg. 63; PG 48, 582).
36
matrimonio perché lo ritiene un male, ma chi della rinuncia ha fatto una scelta libera e con
promessa si è votato ad essa in perpetuo.”78
Il rapporto sponsale con Cristo ha valore nel contesto della comunità ecclesiale. È per il loro
inserimento nel mistero della Chiesa che le vergini diventano spose di Cristo. – Fuori di
questo contesto – com’è il caso della verginità presso gli eretici – essa non avrebbe più alcun
significato e valore -.79
Tutti i battezzati sono legati a Cristo da vincoli sponsali, i quali non possono essere che
verginali.
Nel Crisostomo troviamo lo schema: dalla trasgressione la concupiscenza, dalla
concupiscenza il matrimonio come rimedio. Da questo punto di vista il matrimonio è qualcosa
di estremamente utile, ma non può rappresentare nulla di positivamente valido in ordine alla
perfezione e alla santità. Scrive: “Sebbene il matrimonio sia cosa mirabile, esso mira solo a
non contaminare colui che lo usa. Non può far diventare santi gli uomini, perché è la verginità
che produce ciò”.80
La sua sollecitudine a ricondurre l’impegno cristiano all’ideale monacale è costante. Egli
esorta tutti a vivere alla maniera dei monaci.81
S. Ambrogio († 397)
S. Girolamo († 420)
78
De lib. Rep. 4; PG 51, 223; cf. De Virg. 8 ; PG 48, 538.
79
De Virg., 1; PG 48, 533.
80
De Virg. 30, PG 48, 554.
81
Adv. Opp. Vitae mon. III, 14; In act. Ap. Hom. 26, 3-4.
82
Questo primo scritto è considerato come l’esemplare tipico di tutti gli innumerevoli scritti di questo genere del
sec. IV; la sua struttura si snoda così: elogio ed esortazione a farne la scelta (Laudatio, Exhortatio); l’offerta di
modelli (Exempla); i consigli e i mezzi per la formazione ascetica (Praecepta, Disciplina). Cf. P. TH.
CAMELOT, « Les traités “De virginitate” au IV siècle », in Mystique et continence, Carm., Bruges 1952, 278.
83
De Virg. I, III, 11. 13; PL 16, 191-192.
84
Ai piedi del Figlio crocifisso Maria ha generato un altro figlio (l’umanità in Giovanni): “Neque ullum Virgo
quaerebat solatium, quod alium posset generare filium” (Ep. 63, 111; PL 16, 1218; cf. Expl. Ev. Luc. X, 129-134;
PL 15, 1836-38).
85
De virg. VII, 50; PL 16, 319.
37
La vocazione e la grazia cristiana trovano la loro valorizzazione piena nella verginità, dove il seme
divino frutta il cento per uno a differenza del sessanta che spetta alla continenza vedovile e del trenta
che appartiene alla castità coniugale.86
Interessante è il rapporto che egli cogli tra verginità e battesimo: se la verginità carnale
deriva dalla nascita carnale, l’autentica verginità cristiana trova la sua origine dalla nascita
spirituale.87 Ciò significa che il battesimo fa nascere a una vita che contiene in germe la
vocazione alla verginità.
Il significato sponsale del rito battesimale, contenuto in Ef 5, è posto da Girolamo in questa
logica. Con il battesimo si nasce alla vita cristiana, che consiste in una unione sponsale con
Cristo essenzialmente verginale; perciò in forza del battesimo viene deposto nel cristiano un
germe di vita verginale.88
Sintesi agostiniana
86
Ep. 22, 15, PL 22, 403.
87
Ep. 48, 20, PL 22, 510.
88
Ep. 22, 1; PL 22, 395.
89
Così interpreta W. M. AGTERBERG, Ecclesia – Virgo, Lovanio 1960, 35-90.
38
Nel piano esistenziale, essa è vita e gioia incentrata in Cristo; egli ne è la fonte, l’oggetto, il
motivo.
Il rapporto dei vergini con Cristo-modello è immediato, quello invece con Cristo-fonte della
verginità è mediato dalla e nella Chiesa.
La verginità del consacrato è una partecipazione alla verginità spirituale della Chiesa, comune
a tutti. Tuttavia se ne distingue in quanto si realizza nel corpo e ha il carattere di una
consacrazione. Per Agostino la verginità consacrata è quella offerta a Dio con voto. In quanto
tale essa ha un valore e una portata ultraterrena ed eterna, perché “adesione a un’unione che
non ha fine”.90
Verginità in S. Tommaso d’Aquino
90
Ep. 150; PL 33, 645.
91
S. Th. II-II q.184 a.3 c.
92
S. Th. II-II q.184 a.2 c.
93
S. Th. II-II q.44 a.4 ad.2.
39
L’amore per Dio non esige la fuga del mondo, perché il mondo e le creature non si pongono
in alternativa con Dio. L’amore per le creature è armonizzabile con l’amore totalitario per
Dio. Ma ciò esige una subordinazione del primo al secondo, ragion per cui la perfezione
consiste principalmente nell’amore di Dio, secondariamente nell’amore del prossimo. Solo
così i rapporti con le creature sono inseriti nella carità e la esprimono.
È necessario capire bene i principi fondamentali dell’etica tomista. L’ordine morale non solo
è dominato dall’ordine della carità, ma finalizzato ad essa. L’ordine teologale si sovrappone e
permea di sé tutto l’ordine etico. L’ordine della carità trascende l’ordine dei valori morali.
Esso è possibile solo in base a una autocomunicazione di Dio. L’ordine morale non solo è
dominato dall’ordine della carità, ma finalizzato ad essa. Il cristiano ama Dio compiendo i
precetti della legge morale. Ma attraverso le virtù morali egli attua in sé la carità e si orienta
verso l’unione con Dio nell’amore.
A causa del peccato, l’atteggiamento dell’uomo dinanzi alle istanze morali non è di adesione
spontanea, ma di spontanea opposizione. Nell’uomo giustificato si è operata la conversione a
Dio nella carità; ma la presenza della concupiscenza persiste e produce in lui una spontaneità
opposta all’orientamento di Carità che, se non distrugge, cerca di deviare o ritardare
l’adesione al bene e l’amore di Dio. Non possiamo vivere secondo lo Spirito e obbedire alla
legge di Dio che lottando e resistendo, non solo al peccato, ma alle tendenze che spingono al
peccato.
L’atteggiamento di totale disponibilità a Dio esige d’essere tradotto in un distacco spirituale
nei confronti delle creature. Per amare Dio egli dovrà far violenza a se stesso. In questo senso
“chi aa la sua vita la perde; chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna”
(Gv 12, 25). È in questo contesto che prende significato e valore la rinuncia evangelica (cf. Mt
5, 29; 10, 38; 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 33; 14, 26; 17, 32).
Agostino parlava di uno sforzo di contenimento per un orientamento sapienziale di tutta la
vita a Dio. Tommaso, riprendendo parole del Vangelo, parla di rinuncia totale per un totale
amore.
La morale cristiana entra così nel clima del Discorso della Montagna. La povertà, la mitezza,
la purezza di cuore, la misericordia ecc. vanno oltre i precetti; ma solo attraverso questi
atteggiamenti di fondo si ottiene l’orientamento virtuoso che apre decisamente a Dio,
introduce nel Regno e rende possibile il possesso anticipato della sua gioia e della sua pace.
Le beatitudini sperate sono un dono di Dio, al quale l’uomo si predispone attraverso
l’impegno virtuoso. Rappresentano insieme una grazia e un merito. Le beatitudini sono i frutti
che l’anima già assapora nella misura in cui si lascia condurre dallo Spirito nella ricerca di
Dio, attraverso l’impegno di un amore totalitario che parte dal totale distacco.94 Le virtù hanno
senso perché aprono a Dio, consentono di vedere Dio e di sperimentare il rapporto di
figliolanza con Lui. Lo sforzo fondamentale dell’uomo è quello di scoprire e adottare i valori
veri e definitivi che stanno non al-di-fuori, ma al-di-dentro e al-di sopra dell’uomo. La morale
cristiana, quindi, suppone un costante impegno di interiorità e di trascendenza. La carità, in sé
e negli atti che suscita, può esistere solo in un cuore puro, cioè distaccato dai desideri
malvagi, sinceramente e totalmente orientato a Dio. Essa richiede dal cristiano di portare il
suo sforzo morale sul cuore e di agire in base al dinamismo interiore che Dio stesso vi ha
effuso con il suo Spirito.
La legge di grazia è legge di amore e insieme di libertà e di perfezione. La grazia ha la
sua radice nel rapporto di amicizia con Cristo, la quale diventa sorgente di suggestioni
generose e di sollecitazioni che prendono forma di consigli.95 Nel pensiero di Tommaso essi
sono orientati a ottenere meglio quel fine il cui conseguimento è necessariamente
condizionato all’osservanza dei precetti.
94
S. Th. I-II qq.106-108; IV Cont. Gentes cc.20, 22; Lectura super Mattheum, nn.400-445.
95
S. Th. I-II q.108 ad.4 sed contra.
40
Coloro che fanno la professione dei consigli evangelici scelgono un modo di vivere di
totale disponibilità all’amore di Dio e sono completamente votati a lui. I consigli evangelici
tracciano la via della più ampia liberazione interiore per una dedizione generosa e un amore
puro per Dio e per i fratelli. Essi incarnano una esigenza di libertà, la quale a sua volta è una
esigenza dell’amore. Essi esprimono l’esigenza interiore di una grazia che, rimettendo la
condotta al nostro proprio consiglio (il consilium che ha per oggetto i mezzi in ordine al fine),
rende più perfetta la prudenza virtuosa che determina in concreto i mezzi in rapporto al fine.
Coloro che professano i consigli evangelici si trovano sotto una particolare suggestione
dell’amore puro. Da questo punto di vista essi sono una grazia speciale, e rappresentano un
impegno particolare di perfezione e di santità.96
La pratica dei consigli evangelici conferisce alla vita del cristiano un carattere di
stabilità, irreversibilità ed eroismo. Essi pongono anche esternamente in una condizione
permanente di totale dedizione a Dio. Costituiscono uno stato di perfezione (in quanto
sorgente viva di perfezione e di santità, “tirocinio spirituale” ordinato a ottenere la perfezione
della carità.97
Nel contesto della Chiesa ciò ha un significato e un valore, non solo ascetico-mistico,
ma religioso-sacramentale. La professione dei consigli ha un carattere sacro e dà luogo a una
specie di trasferimento dell’esistenza in proprietà di Dio. Ciò avviene attraverso il
pronunciamento dei voti religiosi che hanno il valore culturale di una consacrazione.98 I voti
fanno del religioso un segno e un testimone della santità della Chiesa.
Tra i consigli, il più espressamente evangelico è la verginità. La verginità risiede formalmente
nell’anima e materialmente nel corpo.99 La verginità ha una dimensione teologica ed è dotata
di una particolare carica sapienziale di apertura e di slancio verso Dio.100 La verginità
consacrata si astiene da tutti i piaceri venerei per attendere più liberamente alla
contemplazione di Dio.101 Pone l’anima nelle condizioni migliori per portare a maturazione il
processo di divinazione, consentendo in maniera del tutto particolare la beatitudine dei puri di
cuore destinati a contemplare Dio.
Posizioni preconciliari
perché potesse realizzarsi tale disposizione d’animo: la sua funzione precipua è quella di far
dimenticare all’anima i movimenti passionali della natura e d’impedire ai bassi bisogni della
carne di trovarsi in uno stato di necessità. Una volta liberatasi da questi, l’anima non correrà
più il rischio di abbandonare e d’ignorare – abituandosi a poco a poco alle cose che sembrano
permesse da una legge naturale – quel piacere divino e genuino che solo la purezza
dell’elemento razionale che ci guida può perseguire”103.
103
S. Gregorio Nisseno, Sulla verginità, 5 (S. Ch. 119, 336 s).
43
per svelarsi, ha bisogno della materia e si fa presente tramite il corpo, in esso si proietta, si
stampa, si manifesta.
La corporeità è allo stesso tempo esteriorità e interiorità. Il corpo umano è “umano” in
quanto animato internamente.
Nell’uomo si ha uno stretto rapporto tra le strutture somatiche e la dimensione
spirituale.
Capire bene la definizione dell’uomo come corpo e anima.
Cerchiamo di capire qual è la novità del pensiero di Giovanni Paolo II in quel senso,
facendo risalire gli argomenti filosofici, antropologici.
Mi concentrerò soltanto sulle catechesi: GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò.
Catechesi sull’amore umano. (Per questione di tempo).
Sarebbe utile anche analizzare il libro di allora Card. Karol WOJTYLA, Amore e
responsabilità. Il libro del Cardinale Karol WOJTYLA, Amore e responsabilità, edito per la
prima volta nel 1960 e tradotto subito in varie lingue nel giro di pochi anni. I temi riguardanti
l'amore, la castità, il matrimonio, l'impulso sessuale, la procreazione e la famiglia, sono
collocati entro una visione d'insieme della persona. (Nel testo Amore e responsabilità del
1960 egli sostiene che né la procreazione, né il piacere possono da soli giustificare un
rapporto coniugale: al contrario, egli rifiuta da una parte gli “utilitaristi”, come Freud, che si
concentrano sul piacere, dall’altra i “rigoristi”, come i puritani, che limiterebbero l’attività
sessuale alla procreazione. Wojtyla delinea piuttosto una dottrina elevata dove i rapporti
sessuali sono visti come una donazione reciproca di sé.)
Del significato teologico del corpo Giovanni Paolo II non parla una volta o due, ma per un
lungo ciclo di «catechesi del mercoledì»: dall’ ottobre del 1979 all’ ottobre del 1984. A
quella riflessione sulla corporeità fanno riferimento molti documenti del pontificato:
l’esortazione apostolica Familiaris consortio (1981), la Lettera ai giovani (1985), la lettera
apostolica Mulieris dignitatem (1988), la Lettera alle famiglie (1994), la Lettera alle donne
(1995).
Concetti da chiarire
Il secondo concetto è quello di “integrità della persona umana”. Integrità significa unità
delle parti così da formare un tutto.
Ora, la persona umana è una realtà complessa, sussistendo essa in una dimensione somatica,
psichica e spirituale. Si ha integrazione quando questa complessità è unificata. L’unificazione
o il processo di integrazione esige e un centro attivo di composizione delle parti e la
subordinabilità delle parti all’attività di questo centro.
Il “centro attivo di unificazione” è costituita dal fatto che l’io possiede se stesso, dall’auto-
possesso ed auto-dominio.
Terzo concetto: “L’esperienza essenzialmente umana”. Significa quell’atto nel quale si
istituisce un contatto diretto con la persona umana e si coglie la sua identità specifica: la
“consolida” nella sua specificità.
Significa due cose: Significa la qualità dell’esperienza contro ogni riduzione: è un modo di
sperimentare la realtà che è umana: né puramente sensibile, né puramente psichico, né
puramente spirituale. Significa poi l’oggetto dell’esperienza, ciò che è sperimentato:
l’integrum humanum. Ora, per sé, questo contatto è istituito primariamente da ciascuno di noi
nei confronti di se stesso. Tuttavia, all’intervento dell’intelligenza dobbiamo la possibilità di
trans-oggettivare questa esperienza che ciascuno ha di se stesso.
Una precisazione circa l’oggetto dell’esperienza: Esso non è direttamente ed immediatamente
la persona umana nella sua ipseità, ma direttamente ed immediatamente ciò che io
esperimento è l’esprimersi della persona nei suoi atti, il suo attuarsi. Nel suo atto conosco la
persona; l’atto mi significa la persona.
Quarto concetto per capire l’antropologia adeguata: il concetto di “significati permanenti”
mediante i quali la medesima antropologia è costituita.
Di se stessi, della propria umanità, si ha un duplice modo di conoscenza (pur sempre
attraverso e nell’attuarsi di se stessi mediante l’agire). Si ha una conoscenza di se stessi, della
propria umanità in quanto propria umanità; si ha una conoscenza della propria umanità non
più in quanto propria, ma in quanto natura di cui univocamente sono partecipi tutti gli uomini.
La conoscenza della persona umana può avvenire solo mediante l’atto della persona. La
conoscenza, dunque, si dà sempre mediante la coscienza di se stessi: è coscienza-conoscenza
di sé mediante l’agire o l’attivazione dei propri dinamismi sia fisici, sia psichici, sia spirituali.
Ma, poiché, ogni esperienza essenzialmente umana implica anche l’attività dell’intelligenza,
questa coscienza-conoscenza di sé nel proprio atto è omogeneamente sviluppabile nella
conoscenza di sé, non solo in quanto singolo individuo, ma in quanto partecipe dell’umanità.
Così, l’atto della persona auto-cosciente viene interpretato e compreso in quanto rivela la
natura nel suo significato universale e quindi permanente, che come tale (cioè permanente)
non mi dice solo chi sono io, ma anche chi è l’uomo.
Dunque “l’antropologia adeguata” è l’antropologia che comprende ed interpreta
l’uomo in ciò che è essenzialmente umano, cogliendo i significati permanenti dell’esistenza
umana mediante l’esperienza (intesa secondo la sua verità intera) di ciò in cui si esprime la
persona umana (actus humani) mettendo in atto il principio della riduzione.
47
- La verginità (Ciclo 4)
- Il matrimonio sacramento (Ciclo 5)
Ciclo 4 La verginità cristiana Mt 19, 3ss; Mc Verità della verginità alla luce
10, 2ss. Dialogo della “fine”, cioè alla luce di
di Cristo con i quello stato dell’essere della
farisei a proposito persona umana in cui le persone
dell’indissolubilit non prenderanno né mogli né
à del matrimonio. mariti, ma saranno come angeli
Per parlare della nel cielo.
“verginità per il La verginità riveste il carattere
regno dei cieli” di una via straordinaria,
Mt 22, 23-30; carismatica, che in una certa
Mc.12, 18-27, Lc. misura anticipa lo stato stesso
20, 27-40) della perfezione dell’essere
Dialogo di Cristo della persona umana.
con i sadducei E’ comprensibile solo nella
sulla risurrezione relazione con quella pienezza
del donarsi dell’uomo che
avverrà nella risurrezione.
Stato della risurrezione = stato
di essere pienamente dono.
L’uomo è dono di Dio e
volendo esistere secondo questa
sua natura deve esistere egli
stesso come dono.
La finalità sponsale dell’uomo è
chiave per comprendere sia la
verginità sia il matrimonio.
La verginità è una luce per la
comprensione della sessualità e
del matrimonio stesso.
L’amore proprio della verginità
e del matrimonio conduce alla
paternità o maternità spirituale,
eventualmente fisico.
Ciclo 5 Il matrimonio Ef. 5, 22-ss; 1, 3ss Il matrimonio sacramento,
cristiano compreso a partire dal disegno
divino.
- metodo dell’analogia
Lo stato coniugale riflette la
relazione divina con la
creazione.
Il disegno dell’origine aveva
come fine e compimento
l’amore del Figlio stesso di Dio
per l’umanità: un amore che, a
motivo del peccato, diviene
sacrificale e redentivo.
- il matrimonio come
sacramento primordiale. La sua
sacramentalità è il riferimento
all’origine dei sacramenti: il
50
In che cosa consiste la nudità originaria? Essa consiste in “quella semplicità e pienezza di
visione, nella quale la comprensione del significato del corpo nasce quasi nel cuore stesso
della loro comunità-comunione”. In altre parole: la coscienza o visione interiore che l’uomo
ha di se stesso come soggetto (significato della solitudine originaria) chiamato ad entrare nella
comunione, uno sguardo che crea comunione. Si comprende, pertanto, perché questo è il
tema-chiave. Tutto ciò che è stato detto finora diviene comprensibile: è mediante questo
“vedersi”, che l’uomo e la donna comunicano dal di dentro del loro se stessi, proprio
attraverso il loro essere maschile-femminile, divenendo dono l’uno all’altro.
Se questa è la verità alla luce della creazione, l’ethos è un ethos del dono.
Questa verità esige che non si consenta mai alla riduzione dell’altro ad “oggetto” di cui fare
uso o da cui trarre piacere.
Secondo grande tema di questa catechesi: “la redenzione del corpo”
La redenzione del corpo?
Redenzione della concupiscenza, dello sguardo, del cuore, di una visione riduzionista.
La nudità originaria esprimeva la capacità originaria di donare interamente se stessi l’uno
all’altro in tutta la ricchezza della propria umanità maschile-femminile, nel corpo e mediante
il corpo. La vergogna della propria nudità indica ed esprime che quell’originaria capacità è
stata sconvolta. La persona non vedeva più se stessa nella luce della visione che Dio aveva di
essa, cioè come venuta da Dio, come Dono creato per essere-donato.
La concupiscenza è la contraddizione del significato sponsale del corpo.
Questa contraddizione al significato sponsale del corpo è istituita da un “guardare l’altro” che
consiste in una riduzione intenzionale della mente e del cuore di colui che guarda; la ricchezza
personale è ricondotta al solo valore del sesso.
Aprendosi alla vita secondo lo Spirito, l’uomo ritrova e realizza il valore del corpo, liberato,
mediante la redenzione, dai vincoli della concupiscenza. Questa progressiva realizzazione è la
virtù della purezza.
Nel contesto di questo secondo ciclo di catechesi, la purezza è presentata come la sostanza
stessa dell’ethos della redenzione. Che cosa significa tutto ciò? Occorre notare, innanzi tutto,
che la definizione di purezza elaborata in queste catechesi, è molto più ricca e profonda di
quello che comunemente si intende, anche nelle comunità cristiane con questa parola.
Il tema della “redenzione del corpo” è il tema del terzo ciclo delle catechesi, ciclo che è tutto
incentrato sulla “risurrezione del corpo”, come evento che fonda essenziali verità sulla
teologia del corpo medesimo. Si ha così come un “trittico”: il principio, la redenzione nel
tempo, l’evento escatologico finale.
Il terzo ciclo prende l’avvio dalla disputa di Gesù coi sadducei (Mt. 22, 24-30; Mc 12, 18-27;
Lc 20, 27-40): disputa nella quale Egli si riferisce alla risurrezione, svelando così una
dimensione completamente nuova del mistero dell’uomo.
La “risurrezione dei corpi” fonda innanzitutto una tesi antropologica che già anche la ragione
(Aristotele) aveva confusamente percepito: la tesi dell’unità (sostanziale) della persona
umana. Anzi, la risurrezione dei corpi costituisce la perfetta unificazione della persona umana,
nelle sue dimensioni somatiche, psichiche e spirituali (è ancora il concetto di “integrum
humanum” che già abbiamo visto). Questa perfetta unificazione comporta una e consiste in
una subordinazione completa della dimensione psico-fisica alla dimensione spirituale: è una
perfetta spiritualizzazione del corpo e della psyche.
Spiritualizzazione non significa distruzione del corpo: nella risurrezione, il corpo viene
restituito alla persona. Significa ricostituzione piena della soggettività personale dell’uomo.
E’ la persona umana, in quanto persona umana che è ri-creata, così che – data la perfetta
subordinazione delle forze fisiche e psichiche allo spirito – nulla accade più nell’uomo che
non sia atto dell’uomo (è questa la distinzione centrale nell’opera Persona e atto). Il Santo
Padre usa anche l’espressione “un altro sistema di forze all’interno dell’uomo” (LXVI, 5,
p.266).
“La risurrezione consisterà…nella perfetta realizzazione di ciò che è personale nell’uomo”
(LXVIII, 2) poiché lo spirito non solo dominerà il corpo, ma lo “impregnerà completamente”
(obod, 1, p.267)
Da dove deriva all’uomo e alla donna questo modo di essere, o questo grado migliore
di essere-persona? Dalla perfetta donazione che Dio fa di se stesso ai risorti, alla quale
corrisponde la perfetta concentrazione della persona nel mistero trinitario (visione faccia a
faccia di Dio): dalla completa divinizzazione della persona umana sgorga la sua perfetta
spiritualizzazione. Essa è perfettamente persona.
Nel mondo della risurrezione, ci sarà l’uomo nel suo essere mascolino e femminile: ci saranno
uomini e donne.
Alla luce della “fine”, il significato sponsale indica la vocazione alla comunione. Il significato
sponsale appartiene ai significati immutabili che costituiscono l’integrum humanum. (La
realizzazione matrimoniale di questo significato appartiene solo all’uomo di questo mondo.)
L’uomo e la donna dal “cuore puro” sono l’uomo e la donna redenti nel loro corpo, nella loro
persona, dal dono dello Spirito; restituiti, cioè, alla loro capacità di dono.
Un segno di questo è l’esistenza del carisma della verginità per il Regno. La verginità non è la
negazione del significato sponsale del corpo umano. Essa ne è vera realizzazione: ne è la
realizzazione per il Regno.
L’uomo è stato collocato nella piena libertà del dono (nel senso che essa non ha più uno
sbocco per così dire obbligato, quello matrimoniale, ma è semplicemente libertà di dono).
= significato di essere carne nella prospettiva dell’altro mondo.
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Quinto ciclo: una ripresa dei stessi temi fatta alla luce degli “ultimi tempi”
Lettera agli Efesini, cap.5.
Presenta un’analogia fra il matrimonio e l’amore con cui Dio ha amato l’uomo nel dono che
Cristo fa di sé sulla croce. L’amore nuziale è un segno che rende visibile l’eterno mistero di
Dio.
L’amore di Cristo sulla croce è amore che redime e al contempo è amore sponsale; l’amore
coniugale è amore che redime proprio in quanto amore coniugale. La corporeità dei coniugi
diviene segno reale del dono reciproco delle persone, vincendo la concupiscenza del cuore.
La risposta all’interrogativo sull’uomo nelle catechesi è costruita attraverso la riflessione sulla
corporeità.
La corporeità è mascolinità-femminilità e si svela come portatrice di un “significato
sponsale”, che non è solo inscritto nella corporeità come tale ma nella persona umana come
tale.
L’essere-uomo/donna è essere-dono. L’essenza dell’umano è essere-dono secondo Giovanni
Paolo II. L’uomo, come maschio-femmina, è persona creata a immagine e somiglianza di Dio,
questa immagine si realizza nella comunione delle persone.
La capacità di suscitare nuove vite umane, inscritta nella sessualità umana, è la capacità di
cooperare col amore creativo di Dio.
Nell’ultima parte della catechesi, il Papa approfondisce l’Humanae vitae di Paolo VI.
IV- Lettura (o rilettura) delle catechesi di Giovanni Paolo II
La maturità affettiva
Non è facile esporre la relazione e il dinamismo dei principi della vita morale come:
la coscienza, la libertà, le virtù e le norme etc. Il pericolo sta nel centrare la
spiegazione in uno di questi elementi perdendo di vista il resto, o meglio avere un’idea
statica della moralità, senza considerarne lo sviluppo graduale. Perché la vita morale –
ossia la crescita personale dell’uomo - si sviluppa come un organismo vivente, nel cui
movimento prendono parte tutte le dimensioni umane: l’aspetto fisico, psichico e
spirituale. Per spiegarlo da un punto di vista cristiano i Padri della Chiesa e gli autori
della spiritualità hanno proposto uno schema sorprendentemente semplice e allo stesso
tempo profondo.
La vita morale è paragonabile ad un edificio a tre piani. Ogni piano rappresenta una
visione completa della morale, una prospettiva valida con cui affrontare in modo
responsabile la propria vita: sia come insieme di norme di condotta, sia come
organismo delle virtù che come disposizione di dedizione amorosa verso il prossimo.
Quindi anche se coerenti e affini a se stessi, ognuno di questi aspetti si deve
complementare con gli altri due per non cadere nel modo più rigido e semantico del
termine: legalismo vano, autosufficienza volenterosa o amore egocentrico. C’è bisogno
dunque di una “scala” che metta in comunicazione questi tre piani, permettendo
all’individuo di rifare il cammino quando ne sente il bisogno avendo sempre presente
l’unità dell’edificio. La scala simboleggia la conversione incessante che è l’attitudine
dell’uomo autentico che sa aprirsi alla verità e al dono trascendente cioè la grazia.
Come viene rappresentato nel seguente schema, possiamo chiamare le tre prospettive
menzionate correzione, perfezione e comunione.
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Primo piano: la correzione
Come abbiamo detto, l’inquilino del primo piano percepisce la morale come un insieme
di norme e proibizioni qualunque sia l’autorità che le richiede: Dio, la Chiesa, lo Stato,
la famiglia, la tradizione etc. Sia giusta o ingiusta dettata da un’autorità legittima o da
un dispota, si tratta sempre di un ordine imposto da fuori che stabilisce i limiti in cui
posso spiegare la mia condotta. Nasce in questo piano la domanda: cosa mi è
permesso?
Secondo piano: la perfezione
La morale delle virtù assume e supera le norme, è edificata su di essa. L’inquilino di
questo piano è riuscito ad interiorizzare i valori rappresentati nelle norme e ora li
incarna in modo personale e creativo. Vive le leggi come una grammatica che si deve
apprendere quando si impara una lingua. La grammatica non è un ostacolo che mi
impedisce di esprimermi liberamente anzi, senza di essa sarei incomprensibile. Ma le
virtù vanno oltre: mi procurano un auto-dominio e un auto-conoscenza che mi apre
verso la lingua della libertà, con questa si sveglia il mio appetito verso il Bene e la mia
smania nel superarlo. A questo livello la mia domanda è: in cosa posso migliorare?
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Come vediamo ad ogni piano corrisponde una domanda, che è l’espressione
dell’attitudine vitale che presiede la propria condotta.
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I tre modi di intendere la coscienza morale
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Tre relazioni tra sentimento e bene morale
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Per sentimento intendiamo tutta quella realtà spirituale vissuta da una persona a livello
corporale ossia tutta l’esperienza specificamente umana. Il sentimento si distingue dalla
mera sensazione che è intenzionale, perché proietta l’uomo fuori da se stesso; nei
sentimenti il volere e il capire umano si incarnano e si concentrano nello spazio e il
tempo della persona, si iscrivono nella sua storia.
In questo senso l’eros è considerato l’amore sentimentale: è la tendenza alla pienezza
esistenziale e alla felicità nel senso permanente del termine, concreto in numerosi
oggetti e con infinite varianti e intensità. È l’amore-desiderio, l’amore-necessità, che si
sveglia nella contemplazione della bellezza sensibile e rappresenta il suo paradigma
nell’amore tra uomo e donna.
Come si rapporta questa forma d’amore con il bene morale? Nello schema rappresentato
possiamo distinguere tre esperienze distinte.
Nel primo piano, si avverte un superamento netto tra eros e bene morale (ethos): una
cosa è ciò che “vuole il cuore” e l’altra è il senso meramente buono e conveniente.
Questo essere inadeguato vive un dramma, un conflitto violento e doloroso.
Ricordiamo a questo proposito le parole di San Paolo: “ non riesco a capire cosa sto
facendo; perché non faccio ciò che voglio, e faccio invece ciò che detesto”. (Rom 7,
15). In questo stadio la rettitudine morale richiede di sottomettersi e controllare i
sentimenti, effettuando uno sdoppiamento figurato tra il volere e il sentire, il decidere e
il desiderare.
Nel secondo piano il dominio di sé va a creare un’inclinazione spontanea verso il bene
morale oggettivo che non si riconosce in modo esterno e astratto ma attraverso
connotazioni affettive, intuitivamente. La promessa di pienezza e dedizione che
racchiude l’eros si compie gradualmente per opera delle virtù. Questo è senza dubbio un
processo arduo e laborioso non esente da cadute e retrocessioni.
Così oggi, invitato dalla vostra docente a parlare della «castità», vorrei, con l’aiuto dello
Spirito Santo farvi alcune annotazioni su questa tematica, annotazioni di natura spirituale
che ci possano aiutare a crescere nel nostro cammino di maturazione nell’amore di Dio,
ad apprezzare questa virtù, una volta era detta «la virtù più bella», oggi così disistimata e
poco coltivata.!
Castità e bellezza
La virtù più bella perché ci rende belli, belli dentro: se non sono casto mi abbruttisco, mi
rendo sempre più fosco, più torbido, più spento. Ed è bello essere belli, luminosi,
trasparenti, semplici, piccoli, umili. Se non sei casto, infatti, non sei luminoso, non sei
trasparente, non sei semplice, non sei piccolo, non sei umile e quindi sei brutto… ed è
brutto essere brutti… Gesù invece è bello, Lui «è il più bello tra i figli degli uomini» (Sal
45,3), il grande Agostino diceva:
– Bello è Dio, Verbo presso Dio; bello nel seno della Vergine, dove non perdette
la divinità e assunse l’umanità; bello il Verbo nato fanciullo, perché mentre era
fanciullo, mentre succhiava il latte, mentre era portato in braccio, i cieli hanno
parlato, gli angeli hanno cantato lodi, la stella ha diretto il cammino dei magi, è
stato adorato nel presepio, cibo per i mansueti. È bello dunque in cielo, bello in
terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori: bello nei miracoli, bello nei
supplizi; bello nell'invitare alla vita, bello nel non curarsi della morte, bello
nell'abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella croce, bello nel
sepolcro, bello nel cielo. (Commento al Salmo 44, c. 3).!
Ma questa bellezza, diceva sempre Agostino, non tutti la percepiscono e invece di vederLo
bello lo vedono brutto, talmente brutto e orribile e disprezzabile da coprirsi il volto per non
vederLo (cf Is 53,2).
Castità e umiltà
Perché la virtù della castità è strettamente legata all’umiltà, alla mitezza, alla semplicità ed
è espressione di un cuore che non cerca se stesso, ma l’Amato. L’occhio luminoso di cui
parla Gesù (cf Mt 6,22-23) esprime la rettitudine d’intenzione di chi è puro di cuore e
perciò vede Dio (cf Mt 5,8) perché ama nella verità e quindi è casto: il casto ha l’occhio
luminoso e risplende di sublime bellezza.!
Ma, attenzione: essere casto non significa semplicemente astenersi dalle attività sessuali.
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Castità
Ma perché è brutto il non casto? Cos’è la castità? La parola castità deriva dal latino castus
che sta ad indicare una persona che non è incastus cioè una persona che non fa incesti ,
che non è incestuosa. Un rapporto sessuale con un parente prossimo è cosa che ci disgusta, il
casto è uno che queste cose non le fa, il casto è uno che non sporca le relazioni perché le
vive nell’amore.!
La castità fa parte integrante di quella sapienza che il mondo non può capire perché non
ha ricevuto lo Spirito Santo, l’uomo naturale non capisce le cose spirituali, ma noi sì
perché «noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,14-16).
Quest’«uomo» naturale di cui parla Paolo, quest’uomo senza Spirito Santo, cosa fa oggi?
Tutti ormai dovreste sapere che i programmi educativi dell’Europa che sono già in
attuazione anche in Italia, prevedono l’educazione all’autoerotismo, alla scoperta del
“piacere” dall’età di 4 anni? Negli U.S.A. ormai da diversi anni viene promosso il mese di
maggio come il mese dell’autoerotismo.
In questo clima così avverso alla castità, noi cristiani dobbiamo rafforzarci nella stima e
nell’esperienza gioiosa della castità perché essa è bella e ci rende belli della vera
bellezza.
Ma cos’è la castità?
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CCC 2337 La castità esprime la positiva integrazione della sessualità nella persona e
conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La
sessualità, nella quale si manifesta l'appartenenza dell'uomo al mondo materiale e biologico,
diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a
persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna.
CCC 2345 La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una
grazia, un frutto dello Spirito [cf Gal 5,22]. Lo Spirito Santo dona di imitare la
purezza di Cristo a colui che è stato rigenerato dall'acqua del Battesimo.!
Il CCC mette in evidenza come essa sia in funzione dell’integrità della persona e della sua
realizzazione nel dono di sé.
CCC 2338 La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in
lei. Tale integrità assicura l'unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la
ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio [cf Mt 5,37].!
Senza castità le «forze di vita e di amore» della persona vengono disintegrate e la persona non
si ritrova più perché non si riversa in Qualcuno che ama, ma si trova spezzettata nei suoi
diversificati amori. La persona trova la sua individuale identità e unità solo nell’amore, ma
non in un qualsivoglia amore che passa per il suo cuore, ma nell’amore con la «A» maiuscola.
È l’amore che unifica la persona e la realizza, poiché noi siamo stati creati da Dio a
«immagine e somiglianza» sua (Gen 1,27) e «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). Così nella sua
crescita e maturazione la persona ritrova se stessa nella misura che ama qualcosa di valido e
di buono e solo Dio si pone davanti all’uomo come degno di essere amato con tutte le sue
«forze di vita e di amore», tutto il resto non può essere amato così perché se lo fosse, l’uomo
perderebbe la propria identità persona le consegnandola ad un qualcosa che passa e quando
ciò che si è amato così passerà, e passerà certamente, perché tutto passa e passa presto, non
ritroverebbe più se stesso. Il cammino della maturazione personale della persona possiamo
identificarlo nel cammino di crescita e maturazione dei suoi “amori” fino a che Dio non sarà
per lei l’Amato con la “A” maiuscola.!
Proprio per questo Dio ha dato all’uomo il comandamento di amarLo «con tutto il cuore,
con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6,5), perché se l’uomo non amasse Dio e se non
lo amasse da Dio, cioè «con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze», non
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ritroverebbe mai se stesso, perché l’uomo si perde in ciò che ama e nessuna creatura può
permettere all’uomo di perdersi e ritrovarsi. Solo amando Dio, l’uomo ritrova se stesso e si
unifica in quell’amore.!
• IL DONO DI SÉ!
La castità trova la sua ragione di essere oltre che della difesa dell’integrità della persona
anche nella realizzazione della persona nel dono di sé. Il CCC ha parole molto profonde:
CCC 2346 La carità è la forma di tutte le virtù. Sotto il suo influsso, la castità
appare come una scuola del dono della persona. La padronanza di sé è ordinata al dono di sé.
La castità rende colui che la pratica un testimone, presso il prossimo, della fedeltà e della
tenerezza di Dio.
Castità e l’amicizia
L’amicizia quando è vera fa maturare nella castità e aiuta ad essere casti, quando manca
un clima di affettuosa e allegra amicizia, la nostra castità è in pericolo, perché il suo
maggior supporto è abitare in un clima di amicizia. Ma è vero anche che la castità deve
guidare l’amicizia che è sempre tentata di trasbordare dall’affettuosa reciproca simpatia
alla sensualità che sempre si può nascondere travestendosi di innocente affetto.!
Molte infatti sono le vittime di innocenti amicizie che dalle altezze dello spirito sono planate
pian piano, come alianti senza motori, sulle pianure della carne. Come quel bravo giovane
prete che fece amicizia con una brava giovane donna e da quel momento sembrava che
avesse acquistato più vivacità ed entusiasmo nel suo ministero di prete, quell’amicizia gli
dava un’adrenalina in più, tutto gli sembrava più bello, ma… l’anno dopo aveva lasciato il
sacerdozio… !
CCC 1694 Incorporati a Cristo per mezzo del Battesimo, [cf Rm 6,5] i cristiani
sono “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,11)
partecipando così alla vita del Risorto [cf Col 2,12]. Alla sequela di Cristo e in
unione con Lui, [cf Gv 15,5] i cristiani possono farsi “imitatori di Dio, quali figli
carissimi”, e camminare “nella carità” (Ef 5,1), conformando i loro pensieri, le
loro parole, le loro azioni ai “sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5) e
seguendone gli esempi [cf Gv 13,12-16].
Partendo dall’uomo vecchio da uccidere, la castità diventa tutta un’espressione negativa:
per essere casto devi negarti a questo e a quello, devi mortificarti e così abbiamo
trasmesso al mondo un’immagine della castità tutta negativa di ciò che può piacere
all’uomo, una castità che è negazione di gratificazione, di gioia. Anche perché non hanno
visto poi in noi entusiasmo, voglia di vivere, gioia, vitalità, ma solo imposizione di regole, di
leggi da osservare perché altrimenti si fa peccato e si finisce all’inferno. Tutto questo in
definitiva poi ha portato a perdere il senso del peccato e a non credere più all’inferno…!
seppellito con Lui (cf Rm 6,4; Col 2,12). Per Paolo la nostra morte in Cristo non è
un’espressione simbolica astratta, ma è qualcosa di reale: «Voi infatti siete morti e la
vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!» (Col 3,3).!
L’essere diventati uomini nuovi non vuol dire che in noi c’è un germoglio di vita nuova che
ha attecchito sul nostro uomo vecchio, come se dal vecchio possa nascere il nuovo. Non
si tratta di una vita che nasce in noi e che deve essere alimentata, non si tratta tanto di
qualcosa che oggi inerisce in noi, ma la nostra persona che inerisce a Lui. Non si tratta di
una vita che nasce in noi, ma di noi che veniamo inseriti nella vita di Cristo che è eterna e
scorre dall’eternità:!
– il sacramento del Battesimo, … è realmente morte e risurrezione, rinascita,
trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai
Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2, 20). È stata
cambiata così la mia identità essenziale, tramite il Battesimo, e io continuo ad
esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e
viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c'è di
nuovo, ma trasformato, purificato, "aperto" mediante l'inserimento nell'altro, nel
quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così "uno in
Cristo" (Gal 3, 28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo
isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell'esistenza cristiana
fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula
della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo. (Benedetto XVI,
Discorso al Convegno della Chiesa Italiana di Verona, 19 ottobre 2006).
casto: il Risorto che vive in me con potenza. È l’esperienza del Gesù casto che vive in me
che mi suggerirà i modi in cui custodire questa presenza:
– Il nostro unico contributo alla vita consiste nell'aver cura dei doni, custodire le
grazie e non gettare via la corona che Dio ha intrecciata per noi a prezzo di
molte fatiche e sudori. (NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, I, 6).
Incontrai anni fa in confessionale un bravo giovane che tra l’altro mi disse: Sa padre, io
prima ogni fine settimana andavo in discoteca con gli amici, mi piaceva passare del tempo
al bar e fare tante altre cose che lei si può immaginare. Ma da un anno ho incontrato Gesù
e non vado più in discoteca né al bar né frequento più quegli amici perché non mi piace
più, non mi sento più a mio agio con loro, preferisco venire a messa ogni giorno e fare la s.
Comunione…!
Vedete, questo giovane non va più in discoteca: non è ascesi questa? non va più al bar
con gli amici a bere, scherzare…: non è ascesi questa? Ma da cosa è nata in lui
quest’ascesi? Dall’amore. Per non perdere l’amore, per custodire l’amore di Gesù che
sperimenta, si è impegnato in una dura ascesi, sì dura ascesi, perché questo
cambiamento di vita implica uno sforzo, una fatica non da poco, tutt’altro.!
Jean Laplace, un maestro spirituale francese del secolo scorso diceva a riguardo della
castità che l’apporto della conoscenza psicologica può essere utile e così anche i consigli
ascetici per dominare se stessi…
mi suggerivano con ciò che ho chiamato "questo e quell’altro", quali cose non mi
suggerivano, Dio mio! La tua misericordia le allontani dall’anima del tuo servo. Quali sozzure
non suggerivano, quali infamie! Ma io udivo ormai molto meno che a metà la loro voce.
Anziché contrastare, diciamo così, a viso aperto, venendomi innanzi, parevano bisbigliare
dietro le spalle e quasi mi pizzicavano di soppiatto mentre fuggivo, per farmi volgere indietro
lo sguardo. Così però mi attardavano, poiché indugiavo a staccarmi e scuotermi da esse per
balzare ove tu mi chiamavi. L’abitudine, tenace, mi diceva: "Pensi di poterne fare a meno?”.
Ma la sua voce era ormai debolissima. Dalla parte ove avevo rivolto il viso, pur temendo a
passarvi, mi si svelava la casta maestà della Continenza, limpida, sorridente senza lascivia,
invitante con verecondia a raggiungerla senza esitare, protese le pie mani verso di me per
ricevermi e stringermi, ricolme di una frotta di buoni esempi: fanciulli e fanciulle in gran
numero, moltitudini di giovani e gente d’ogni età, e vedove gravi e vergini canute. E in tutte
queste anime la continenza, dico, non era affatto sterile, bensì madre feconda di figli: i gaudi
ottenuti dallo sposo, da te, Signore. Con un sorriso sulle labbra, che era di derisione e
incoraggiamento insieme, sembrava dire: "Non potrai fare anche tu ciò che fecero questi
giovani, queste donne? E gli uni e le altre ne hanno il potere in se medesimi o nel Signore
Dio loro? Il Signore Dio loro mi diede ad essi. Perché ti reggi, e non ti reggi, su di
à". Io arrossivo troppo, udendo ancora i sussurri delle frivolezze; ero sospeso nell’esitazione,
mentre la Continenza riprendeva, quasi, a parlare: "Chiudi le orecchie al
richiamo della tua carne immonda sulla terra per mortificarla. Le voluttà
che ti descrive sono difformi dalla legge del Signore Dio tuo". Questa
disputa avveniva nel mio cuore, era di me stesso contro me stesso solo.
Alipio, immobile al mio fianco, attendeva in silenzio l’esito della mia
insolita agitazione. (Confessioni, VIII, 26-27).
Integrazione vuol dire fare entrare in tutto, per la sessualità la intendiamo nel senso largo: la
nostra psicologia, la nostra anima, il nostro corpo. Quello non integrato si disintegra. Per il
processo della integrazione ci vuole
Il coraggio di chiamare le cose per il suo nome
Incanalare le capacità – opzioni, rinuncia
La sincerità con se stesso e con gli superiori e con Dio
Siamo chiamati a vivere nella pienezza la nostra sessualità, vivere la nostra virilità nella
pienezza nei nostri rapporti con Dio, nel nostro servizio. La nostra società deve essere
ricordata cosa significa essere l’uomo.
Dobbiamo far fiorire la capacità di amare.
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Centro
personale:
vergine, sposo,
padre
Affetività
La dimensione
corporale
Verginità significa che nell’amore c’è un unico Signore. La verginità non si perde ma si
conquista.
Il Linguaggio esprime l’appartenza. Il nostro corpo esprime di chi siamo, anche il silenzio
della nostra sessualità esprime di chi siamo, anche il nostro corpo ma tutto quello che ci
appartiene è consacrato. Gli uomini hanno un desiderio forte di essere sostenuto dalla donna,
di proteggere, di provvedere per le necessità.
La donna costruisce la sua l’autostima negli relazioni. La dono è fatta per il sguardo dell’altro.
Dinamico – ogni esperienza ci influisce. Possiamo sviluppare, maturare e crescere nella vita
se possiamo imparare dalle situazionequotidiane. Questo non e dato per scontato. Ci sono aree
della nostra vita in cui riusciamo ad imparare dall’esperienza e ci sono aree nella nostra vita in
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cui siamo bloccati. Questo si vede tramite i patterns di comportamento che abbiamo stabilito
nella nostra vita.
Questo è molto importante per noi come formatori.
Dura per tutta la vita – in ogni tappa della vita c’è da imperare, la crescita anche nell’area
dello sviluppo sessuale
Tocca la dialettica di base nella dinamica della persona – vuole dire che in ogni tappa della
nostra crescita umana ci sono momenti di forte ansietà; l’ansietà aumenta quando la dialettica
di base nella nostra dinamica è stata toccata / vuole dire /quando c’è tensione tra quello che
vogliamo essere (i nostri ideali per noi stessi e i valori oggettivi) e quello che siamo
veramente vista nelle scelte che facciamo ogni giorno.(Esempio: se io professo di essere una
religiosa ma se non trovo tempo durante il giorno di stare da sola con Gesù , di pregare, allora
questa scelta suscita una tensione venendo dalla dialettico di base e io sento la frustrazione ma
non sono sempre conscio della base di questa frustrazione e posso spostare la ragione per la
frustrazione su qualcuno o qualch’altra situazione!)
B. Ogni stadio di sviluppo della nostra vita ha i suoi impegni specifici. Li chiamiamo i
cicli della vita.
Uno dei compiti dello sviluppo psicosociale è di “nominare i nostri giorni” che vuole dire dare
un nome a quello che sta capitando a noi.
Se prendiamo il salmo 90 o secondo Quoheleth - c’è un tempo per ogni stagione sotto il cielo.
Ogni stadio ha il suo compito, le sue domande.
Per l’adolescente la domanda più terrorizzante è “qui sono io” la domanda dell’identità. Il
compito è quello della fedeltà e c’è un conflitto psichico tra l’identità e la diffusione dei ruoli.
(Erikson -Identity vs Role Diffusion : 13 - 19). L’adolescente soffre da un senso profondo di
insecurita (che si puo esprimersi tramite la diffidenza o la ribellione. Cerca la sua identita
tramite il gruppo)
All’inizio dell’età di adulto, l’uomo/ la donna si trova davanti alla domanda dell’intimità –
con chi condividerò la mia vita? Il compito è quello dell’amore e il conflitto si trova tra
l’intimità e l’isolazione. La domanda è - posso amare? E le relazioni intimi, romantici sono
molto importanti. (Erikson - Intimacy vs Isolation: 20 - 39).
Uno dei primi compiti di questa tappa è di lasciare la casa – la famiglia d’origine. Anche se si
fa fisicamente questa tappa significa anche la sfida di tutta la vita di continuamente separarci
da quello che ci rende a posto, troppo al nostro agio (la sfida è di imparare come uscire dai
nostri ‘comfort zones’).
Questo periodo è anche il momento delle scelte, intorno al amore, intorno alla vita. Intorno
all’amore la domanda è “con chi condividerò la mia vita”. Intorno al lavoro la domanda è
“che cosa farò”. Sono decisioni molto importanti per la nostra vita di relazioni interpersonali
significative, e anche intorno al nostro progetto di vita, la nostra produttività. Con chi troverò
amore e l’appoggio reciproco se voglio sposarmi. Se scelgo il celibato con chi posso
condividere l’intimità (la comunita e il luogo dell’intimita per il celibato ma si vede la
difficolta per un giovane che a questo momento della vita sta cercando la particularieta)
Questo periodo è anche il momento di prendere il rischio. Il tempo del sognare ad occhi aperti
e già passato e ci troviamo di fronte alla scelta di vita, al rischio. Siamo sfidati di mettere
carne sugli ossi dei nostri ideali.
Questo periodo è anche il tempo per abbracciare – con grande passione, con grande
coinvolgimento nella vita. E la stagione della passione su tanti livelli del nostro essere.
(Nell’area dell’innamoramento gli uomini imparano come amare la donna che li attrae invece
la donna diventa di più in più attirata dall’uomo che l’ama).
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Più tardi nell’età di adulto la domanda bruciante è il progetto di vita. Uno si chiede, Posso
dare significato alla mia vita?. Il compito di questa tappa è prendere cura (Care) , e il
conflitto psichico è tra generatività e ristagno. Per chi o per che cosa spreco energia?
(Erikson – Generativity vs Stagnation 40 – 64)
Il periodo del “middle adulthood” si occupa delle cose interne e della generatività – di rendere
il mondo un posto migliore per i figli, i nipoti e i pronipoti. Si comincia ad approfondire la
vita, di valutare e di fissarci delle nostre scelte. Si nota quali sono le cose più significative
nella vita, nella mia vita.
Nella terza età dal sessanta in poi si continua il processo di approfondire la vita, di
comunicare, di tener presente nel cuore, di ritirarsi dal mondo del lavoro per godere di più il
mondo delle relazioni, di imparare di piu in piu come arrendersi
Da quello che ho detto potete vedere che ogni tappa della vita ha la sua sfida e il suo
impegno.
Ho focalizzato su quello dell’intimità/ isolazione perché mi sembra quella più rilevante
per voi in questo periodo?
La sessualita
Alcuni aspetti della maturità sessuale in relazione al celibato e alla castità
Erikson ha detto:
“Sapere che l’età adulta è generativa non significa necessariamente che uno debba generare
dei figli, ma significa che uno sa che cosa fa se non genera dei figli”.
In questa sezione guardiamo ad alcune delle modalità attraverso le quali diamo espressione al
nostro bisogno di amare e di essere amati umanamente, di essere generativi dentro il contesto
della nostra chiamata specifica e della nostra responsabilità come celibi.
Al principio era la chiamata. L’amore infinito di Dio e la sua scelta sovrana ci hanno
chiamato. Gv 15,16 “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, e così ci siamo imbarcati
in una relazione di amore che ha portato ciascuno di noi a questo giorno. La chiamata
richiede una risposta su tutti i livelli del nostro essere, psicofisiologico, psicosociale,
spirituale/razionale.
Rispondere ad una chiamata , scegliere il celibato, è una scelta libera per vivere l’amore.
Tocca tutte le nostre relazione, personali, interpersonali e il nostro gestire la nostra sessualità
Secondo il principio dello sviluppo umano il modo in cui comprendiamo e viviamo il celibato
oggi (come nostro modo di amare) avrà subito dei cambiamenti e delle mutazioni dal primo
giorno in cui abbiamo detto il nostro sì, al momento dell’ordinazione o della professione
religiosa.
La sessualita
La sessualità è un’energia in noi che coinvolge tutto. È la spinta in noi verso l’Amore, la
Comunione, la famiglia, l’amicizia, l’affezione, la totalità, il completamento,
l’autoperpetuazione e l’immortalità, la gioia, il piacere e lo humour. La nostra cultura ci
insegna che uno non può essere completo senza essere sessuale in modo sano. Questo è vero.
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Comunque, per la maggior parte la nostra cultura si concentra non sulla sessualità che permea
la maggioranza della nostra vita relazionale, ma è fissata sul sesso come nel sesso genitale e
pensa principalmente al “fare sesso”. Questa è una tragica riduzione di quanto abbiamo visto.
La sessualità è un’energia bella, buona e sacra data da Dio a noi come uomini e donne e
sperimentata in ogni fibra del nostro essere come un desiderio irrepressibile di superare la
nostra incompletezza e di muoverci verso l’unità e il completamento con ciò che è oltre noi
stessi. È anche il battito che porta a celebrare, a dare e a ricevere piacere. Nella sua
espressione matura cerca di essere co-creatrice con Dio, corresponsabile con Dio per tutto ciò
che Dio ha creato.
La sessualità nel suo frutto maturo non deve necessariamente assomigliare ad una scena di un
film di Hollywood o Bollywood. Potrebbe apparire come ciò che segue:
- Quando vedi un vecchio prete che non è mai andato a letto con una donna, che non ha
avuto figli, ma che attraverso gli anni di servizio, senza pensare a sé, è diventato una
persona la cui compassione gli dona un occhio luccicante e un sorriso smagliante,
allora vedi la sessualità nel suo frutto maturo.
- Quando vedi una consacrata che si lascia andare ad una risata genuina, trovata indifesa
dalla sorpresa della gioia, allora vedi la sessualità nel suo frutto maturo.
- Quando vedi una persona in un momento di servizio, di affezione, di amicizia, di
creatività, di gioia, di compassione, di amore e in quel momento è così preso in ciò che
è oltre se stesso che per quell’istante la sua separazione dagli altri è superata ed egli è
veramente aperto all’altro, allora sei testimone della sessualità nel suo frutto maturo.
- Per tutti noi, la sessualità, questa energia divina a noi donata, nella sua espressione
matura è qualcosa che riguarda il dare noi stessi all’amicizia, al servizio, alla
comunità, alla famiglia, al martirio, così che con Dio possiamo portare nuova vita nel
mondo.
La Castità
Nell’insegnamento cristiano la Castità è la “chiave di volta” per una sessualità sana. La
Castità non è la stessa cosa del Celibato. Essere casti non significa che uno non debba
coinvolgersi nel sesso genitale. Le coppie sposate devono essere caste come i celibi devono
essere. La castità, secondo me, ha a che fare con lo sperimentare e alla fine con il riverire.
Essere casti è coinvolgersi (esperienza) con le persone, le cose, i divertimenti e con le fasi del
nostro sviluppo in un modo che non le viola o non viola noi stessi. Essere casti è sperimentare
le persone, le cose con rispetto, in un modo che lascia gli altri e noi stessi più, e non meno,
integri, come esito dell’incontro.
Siamo casti quando non oltrepassiamo i confini; quando amiamo in verità; quando non
lasciamo che l’egoismo, l’irriverenza e l’impazienza rovinino, violandolo, ciò che è un dono.
La castità è rispetto, riverenza, pazienza, e i suoi frutti sono l’integrazione, la gratitudine e la
gioia. La mancanza di castità è impazienza, irriverenza, violazione e i suoi frutti sono
l’amarezza, il cinismo e la disintegrazione dell’anima.
La passione sessuale è qualcosa di profondo solamente quando è correlata con la castità, la
purezza, il rispetto.
Il concetto di castità è qualcosa riguardo al quale il nostro mondo è scettico, ma per il quale,
come Gesù, dobbiamo continuamente dare testimonianza alla gioia sottostante che dona.
Un altro compito che ci attende quando tentiamo di vivere le relazioni in modo amorevole è la
chiamata a consolarsi gli uni gli altri per il fatto che come esseri umani saremo sempre
frustrati gli uni dagli altri. Ci sarà sempre una certa solitudine esistenziale di base, anche nelle
relazioni più strette. Non possiamo essere mai abbastanza gli uni per gli altri e saremo sempre
in qualche modo separati, in qualche modo da soli. Se possiamo accettare questo e integrarlo
nelle nostre vite, allora diventerà una fonte di pace e di forza interiore (integrazione) dove
finalmente le cose cominciano ad avere senso e il celibato, come il matrimonio, diventa
possibile e bello.
Quando arriva a questo punto la maturità affettiva è semplicemente impegnarsi nella sfida ad
essere persone veramente amanti tutti i giorni della nostra vita.
Abbiamo una scelta: possiamo arrivare al dunque e accogliere la sfida di ripagare l’Amore
con l’Amore o, come a volte accade, possiamo rinunciare all’avventura e morire a 40 anni ed
essere sepolti a 90 anni.
Lo sviluppo sessuale
Ci sono tre stadi: infanzia, adolescenza ed età adulta.
Lo scopo dello sviluppo sessuale è permettere alla persona di muoversi dall’essere centrata su
di sé all’essere centrata sull’altro e all’abbracciare l’alterità (che è ciò in cui consiste l’amare).
La sfida, come ha descritto Schachtel (1960), è “il movimento dalla fissità all’emergenza”
(from embeddedness to emergence).
2. Lo sviluppo sessuale adolescenziale anche ha tre stadi: (i) la fantasia sessuale; (ii) la
preoccupazione sessuale; (iii) la relazionalità sessuale superficiale. Questo è il tempo
in cui i cambiamenti ormonali e corporei aumentano la sensazione di essere un essere
sessuale. Tutte e tre le dimensioni funzionano per muovere l’adolescente dal sesso
solitario ad una sessualità orientata più in senso sociale. Nello stadio della fantasia il
giovane adolescente agisce nella fantasia il proprio ruolo come un partner sessuale.
Questa è una preparazione essenziale per assumere dei ruoli in futuro, ma se
l’adolescente si fissa a questo stadio, per tutta la vita sarà molto deluso e risentito nelle
relazioni perché gli incontri nella vita reale sono sempre meno buoni che nella
fantasia. Durante la media adolescenza, i cambiamenti corporei e ormonali sono così
potenti (generalmente) che per un periodo il giovane è intensamente assorbito e
distratto dalla sessualità. Non ci sono due parole, pensieri o, battute che non subiscano
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Il bambino di quattro anni chiede al papà: “come sono arrivato qua?” e il padre si ritrova a domarsi
nervosamente come avvicinarsi ai fatti della vita in una risposta che sia adatta all’età di suo figlio. Dopo aver
fatto un coraggioso tentativo, il bambino che è annoiato dalla risposta, gli domanda di nuovo: “sono arrivato qua
in macchina o in treno?”.
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persona si impegna per la vita in una forma che richiede un livello di sviluppo sessuale non
ancora raggiunto dalla persona. La persona allora può andare in crisi dichiarando di non
essere in grado di vivere il proprio impegno, quando in realtà ciò di cui ha bisogno è qualche
aiuto per affrontare una difficoltà transitoria nello sviluppo emotivo o sessuale. Infatti come
comincia ad integrare i propri sentimenti con la propria situazione di vita, la crisi comincia a
svanire. Questo tipo di crisi può accadere in ogni percorso di vita, non solo per il celibato.
I valori hanno una parte importante nel definire la maturità sessuale perché la capacità della
persona di vivere secondo i valori è anche la misura della sua integrazione psicosessuale. Lo
sviluppo verso la maturità significa che la persona sviluppa un sistema internalizzato di valori;
perciò la persona che matura scopre non solo la vitalità delle proprie capacità biologiche, ma
cerca di apprezzare i valori, di comprendere il significato e di assumersi le responsabilità per
l’uso di queste capacità. La libertà di scelta suscita la possibilità di impegnarsi in modo
durevole per dei valori fondamentali.
Gestire I sentimenti
Quanto consapevole sei dei tuoi sentimenti? come entri in contatto con ciò che senti? tendi a
negare i sentimenti perché li percepisci come debolezze?
Come esprimi i tuoi sentimenti?
Come le scelte che fai in termini di espressione emotiva/affettiva ti aiutano ad essere più
maturo affettivamente come uomo e come sacerdote?
metteva alla prova confrontando le persone e la Sua risposta era forte e anche adeguata ad
ogni data situazione.
Come esprimi il tuo bisogno di amore e di affetto? come gestisci l’amore quando ti viene
offerto? quanto a tuo agio ti senti nell’intimità che è definita come condividere sentimenti,
idee, preoccupazioni con il migliore amico (qualcuno che non è della tua famiglia); è un
sentimento o atteggiamento caratterizzato dalla condivisione completa ed aperta con un altro.
Che ruolo gioca l’amicizia nella tua vita? che tipo di amico sei? le tue amicizie sono
possessive o aperte a terzi? che tipo di persona cerchi come amico?
Come dai espressione alla tua sessualità come uomo e come celibe? come hai imparato a
gestire l’eccitazione sessuale107?
Generalmente nella vita non abbiamo molti problemi a gestire i sentimenti piacevoli; più
spesso ci creano difficoltà i sentimenti meno piacevoli e che provocano ansia, colpa e
vergogna e a seconda di come li gestiamo possiamo aiutare o bloccare il nostro sviluppo
continuo.