Sei sulla pagina 1di 26

OPERAZIONI UNITARIE TRA FASI FLUIDE

Le operazioni unitarie tra fasi fluide vengono utilizzate per separare i componenti che
costituiscono miscele omogenee, gassose o liquide. L’operazione di separazione
presuppone un trasferimento di materia tra fasi fluide a contatto (gas-liquido, vapore-
liquido, o liquido-liquido): tale trasferimento avviene all’interfaccia tra le fasi ed è favorito
da un’ampia superficie di contatto. Le apparecchiature utilizzate per le operazioni
unitarie sono quindi configurate in modo da consentire una elevata superficie
all’interfaccia tra le fasi.
Il trasferimento di materia in molti casi è accompagnato da un trasferimento di calore,
quando i componenti cambiano di fase (ossia vaporizzano o condensano) di cui si deve
tenere conto nello scegliere la configurazione degli apparecchi
Le operazioni unitarie tra le fasi fluide comprendono le seguenti tipologie:
• Assorbimento: una miscela gassosa è messa a contatto con una fase liquida (detta
solvente) in grado di assorbire preferenzialmente uno o più dei suoi componenti. Ad
esempio, si può sottoporre ad assorbimento una corrente di azoto che contenga
toluene utilizzando un liquido organico per rimuovere il toluene dal gas. Si ottiene
una miscela gassosa in cui il tenore di toluene è diminuito, ed una fase liquida che
comprende il liquido organico ed il toluene.
• Stripping (desorbimento): costituisce l’operazione inversa rispetto all’assorbimento.
Una miscela liquida è messa a contatto con una fase gassosa, detta gas (o vapore)
di stripping, in grado di desorbire uno o più dei suoi componenti: si ottiene una fase
liquida impoverita di alcuni dei suoi componenti iniziali ed una fase gassosa che
comprende il gas di stripping ed i componenti desorbiti. Ad esempio, si può
sottoporre a stripping con vapor d’acqua la miscela liquido organico-toluene,
ottenuta dall’assorbimento dell’esempio precedente: in tal modo si ottiene liquido
organico depurato, da riutilizzare nell’assorbimento, ed una corrente gassosa vapor
d’acqua e toluene, che si può condensare e separare per decantazione, dato che
acqua e toluene sono tra loro praticamente immiscibili.
• Distillazione: una miscela liquida viene parzialmente vaporizzata, creando un
contatto tra una fase vapore ed una liquida: la fase vapore è maggiormente ricca dei
componenti con tensione di vapore più alta (più volatili), la fase liquida è
maggiormente ricca dei componenti con tensione di vapore più bassa (meno
volatili). Procedendo con successive vaporizzazioni e condensazioni si ottiene una
fase vapore in cui sono presenti prevalentemente i componenti più volatili ed una
fase liquida in cui sono presenti prevalentemente i componenti meno volatili. Ad
esempio, si può sottoporre a distillazione una miscela di composti aromatici,
costituita da toluene e da xileni: il toluene, che è il composto più volatile si
recupererà condensando la fase vapore uscente dall’apparecchio, mentre gli xileni,
che sono i composti meno volatili, costituiranno la fase liquida finale.
• Umidificazione: una fase gassosa ed una fase liquida sono poste a contatto e parte
delle fase liquida passa nella fase gassosa. Ad esempio, nel contatto tra aria,
relativamente fredda, ed acqua, relativamente calda, l’aria si umidifica, ossia parte
dell’acqua si trasferisce dal liquido al gas e l’acqua restante si raffredda.
• Deumidificazione: costituisce l’operazione inversa rispetto all’umidificazione. Una
fase gassosa ed una liquida sono poste a contatto e parte delle fase gassosa passa
passa nella fase liquida. Ad esempio, nel contatto tra aria, relativamente calda, ed
acqua, relativamente fredda, l’aria si deumidifica, ossia parte del vapor d’acqua si

122
trasferisce dal gas al liquido.
• Estrazione liquido-liquido: una miscela liquida viene messa a contatto con una fase
liquida (detta solvente) con essa immiscibile. Uno o più componenti della miscela
liquida si trasferiscono nel solvente, formando una fase liquida detta estratto mentre
la miscela liquida residua costituisce una seconda fase liquida, immiscibile con la
prima, detta raffinato. Le due fasi si separano per decantazione a gravità ed escono
separatamente dall’apparecchio. Ad esempio, si può estrarre la dimetilformammide
da una miscela acquosa utilizzando come solvente il benzene: si otterrà una fase
estratto costituita da benzene e dimetilformammide ed una fase raffinato costituita
da acqua e dalla dimetilformammide residua.
Le operazioni di trasferimento tra fasi fluide sono governate dalle relazioni di equilibrio
tra le fasi, dai bilanci di materia e di energia (calore), dal trasferimento tra le fasi e
dall’efficienza dell’apparecchiatura utilizzata.

ASSORBIMENTO E STRIPPING

Assorbimento
L’assorbimento è l’operazione in cui si realizza un trasferimento di materia dalla fase
gassosa a quella liquida. Ipotizziamo una miscela gassosa costituita dai componenti A e
B e mettiamola a contatto con un liquido S (il solvente) che sia in grado di sciogliere A,
ma non B. Al termine dell’operazione la miscela gassosa avrà una concentrazione di A
più bassa (al limite sarà costituita solo da B puro), mentre si sarà formata una miscela
liquida di A ed S (vedi figura 90).
Gas B con tracce di A

Liquido S

Gas A + B

Liquido S + A

Figura 90

I presupposti dell’operazione di assorbimento sono che non ci sia trasferimento dalla


fase liquida a quella gassosa, ossia che la tensione di vapore del liquido S sia
trascurabile (o molto bassa) nelle condizioni operative adottate.

Equilibrio gas-liquido
L’equilibrio gas-liquido per l’i-esimo componente presente sia in fase gassosa che in
fase liquida si può esprimere con la relazione:
y i = ki ⋅ xi
dove

123
yi = frazione molare del componente i nella fase gassosa
ki = costante di equilibrio del componente i
xi = frazione molare del componente i nella fase liquida
La costante di equilibrio è in realtà funzione della pressione, della temperatura e della
composizione: la relazione precedente dà quindi luogo, sul piano x, y ad una curva. Al
crescere della costante di equilibrio la curva presenta una pendenza più pronunciata e
diminuisce la solubilità del componente considerato nel liquido (per i componenti
praticamente insolubili si può assumere ki = ∞, ossia xi = 0).
L’effetto della pressione e della temperatura sull’equilibrio è mostrato nella figura 91: la
pendenza della curva diminuisce (ossia la solubilità del componente aumenta)
all’aumentare della pressione ed al diminuire della temperatura. Dal punto di vista
termodinamico è quindi conveniente effettuare l’assorbimento a bassa temperatura (in
pratica, a temperatura ambiente) ed in pressione.

Figura 91 [11]

Per componenti con comportamento ideale, la costante di equilibrio non dipende dalla
composizione e la curva di equilibrio diviene quindi una retta. In questo caso il valore
della costante di equilibrio si può ricavare direttamente dalla conoscenza della costante
di Henry, che si trova tabulata in funzione della temperatura per vari sistemi gas-liquido:
H i* (T )
ki =
P
dove
Hi*(T) = costante di Henry, alla temperatura T, del componente considerato
P = pressione del sistema (atm)
I valori della costante di Henry per la solubilità di alcuni prodotti in acqua sono riportati
nella tabella seguente [11].

Prodotto Costante di Henry (atm) per la solubilità in acqua


T=0°C T=10°C T=20°C T=30°C T=40°C T=50°C
Acido solfidrico 267 380 500 615 740 870
Ammoniaca 2.0 2.4 2.8 3.1 3.4 -
Anidride carbonica 715 1090 1470 1850 2270 2640
Anidride solforosa 16.1 22.0 30.0 41.6 58.8 80.9
Cloro 222 415 555 667 769 870

124
Tra i composti in tabella l’ammoniaca è quello più solubile.

Operazioni di assorbimento
La portata minima di liquido necessario per ridurre la concentrazione del componente
nella fase gassosa dal valore iniziale a quello finale desiderato, dipende, oltre che da
tali valori, dall’eventuale presenza del componente nel liquido utilizzato (probabile se il
liquido viene ricircolato dopo un’operazione di stripping) e dall’andamento della curva di
equilibrio. La portata necessaria sarà tanto più bassa quanto maggiore è la solubilità
del componente nel liquido.
Nella solubilizzazione di un componente gassoso si ha generalmente lo sviluppo di
calore: in molti casi, tuttavia, i quantitativi di calore sviluppati sono assai modesti e si
può considerare l’operazione come isoterma, il che è particolarmente comodo poiché
consente di riferirsi ad un’unica curva di equilibrio. In altri casi, invece, il calore
sviluppato può essere assai notevole, come accade abbastanza frequentemente
quando il liquido assorbente dà luogo ad una vera e propria reazione chimica con il
componente assorbito (per esempio nell’assorbimento di acido cloridrico in acqua). Il
calore che si sviluppa va prevalentemente a riscaldare il liquido, che, specie se la sua
portata è bassa può innalzare di molte decine di gradi la propria temperatura. Per
limitare questo fenomeno dannoso si può cercare di asportare calore dall’apparecchio,
e/o aumentare la portata del liquido: ciò può essere fatto, ad esempio, ricircolando il
liquido dopo averlo refrigerato in uno scambiatore di calore esterno.
Per quanto riguarda la pressione, generalmente si può assumere che essa si mantenga
costante nel corso dell’operazione.
Le operazioni di assorbimento sono utilizzate soprattutto per purificare correnti gassose
(aria, azoto, gas naturale, ecc.) da componenti indesiderati (NH3, H2S, ecc.) che sono di
solito presenti a basse concentrazioni.

Stripping
Lo stripping, come già detto, rappresenta l’inverso dell’operazione di assorbimento,
poiché implica il trasferimento di un componente dalla fase liquida a quella gassosa.
Vapore V + Gas A

Liquido S + A
Gas A con tracce di V

Liquido V

Vapore V

Liquido S con tracce di A

Figura 92

125
Proseguendo con l’esempio fatto per l’assorbimento, la miscela liquida formata da S ed
A può essere avviata ad una operazione di stripping per separare A, che sarà inviato
alla sua destinazione finale o smaltito, da S che potrà essere inviato nuovamente
all’assorbimento. Nello stripping viene inviata una fase gassosa V che è in grado di
“strippare” dal liquido il componente solubilizzato A, ma non S: quindi da questa
operazione si ottiene il liquido S sul fondo e la fase gassosa costituita da A e V in testa
(vedi figura 92). Quest’ultima miscela presenta caratteristiche diverse da quella di A e B
che costituiva il prodotto di partenza: può essere utilizzata o smaltita tal quale oppure
essere separata nei suoi costituenti. In quest’ultima eventualità la separazione deve
risultare semplice ed economica. Ciò si ottiene se la fase gassosa V è costituita da un
vapore, poiché in tal caso la separazione si può realizzare direttamente per
condensazione (vedi figura 92): la fase liquida sarà costituita dal solo componente V,
condensato, mentre quella gassosa, visto che si tratta di una condensazione in
presenza di incondensabili, sarà costituita dal componente A saturo di vapori del
componente V. Il componente V può essere costituito da vapor d’acqua, se esso è
immiscibile con A ed S, o dal componente S stesso.
Anche nelle operazioni di stripping si fa riferimento all’equilibrio gas-liquido visto in
precedenza. In questo caso, tuttavia, poiché il trasferimento è dalla fase liquida alla fase
gassosa, le operazioni di stripping sono favorite da condizioni operative opposte
rispetto a quelle di assorbimento, ossia da alta temperatura e bassa pressione.
Normalmente si opera a pressione atmosferica ed a temperature maggiori di quella
ambiente.
Gas B con tracce di A
Liquido S con Vapore V + Gas A
tracce di A

Liquido S + A
Gas A con tracce di V

Liquido V

Gas A + B Vapore V

Liquido S + A

Liquido S con
tracce di A

Figura 93

Operazioni di stripping
Le operazioni di stripping sono tipicamente abbinate a quelle di assorbimento in quanto
consentono di recuperare il solvente, che così viene utilizzato in ciclo chiuso. Sono
comunque previsti reintegri periodici del solvente per rimpiazzare i piccoli quantitativi di
vapori che inevitabilmente fuoriescono insieme alla fase gassosa. Date le diverse
condizioni operative adottate per l’assorbimento e per lo stripping, il passaggio del
liquido dalla colonna di assorbimento a quella di stripping può avvenire
spontaneamente, mentre è necessario un pompaggio per rinviarlo dalla colonna di

126
stripping a quella di assorbimento (vedi figura 93). Inoltre, il liquido va riscaldato prima
di essere inviato allo stripping e raffreddato prima di ritornare all’assorbimento: se
possibile, per questa operazione viene effettuato un recupero termico facendo
scambiare calore tra loro alle due correnti liquide in uscita dall’assorbimento e dallo
stripping.

DISTILLAZIONE
La distillazione è un’operazione in cui si realizza un trasferimento di materia,
scambievole, tra una fase vapore ed una liquida: in questo caso non si una fase
estranea alla miscela di partenza, a cui viene fornito o sottratto calore. Ciò è
vantaggioso, in quanto non si rendono necessarie ulteriori separazioni in cui siano
coinvolti prodotti diversi da quelli costituenti la miscela originaria, anche se avviene a
spese di notevoli consumi energetici.
La distillazione costituisce probabilmente l’operazione di separazione maggiormente
utilizzata negli impianti dell’industria di processo.

Equilibrio liquido-vapore
Nella distillazione è coinvolto l’equilibrio liquido-vapore, espresso, per l’i-esimo
componente della miscela, dalla relazione:
y i = k i ⋅ xi
dove
yi = frazione molare del componente i nella fase vapore
ki = costante di equilibrio del componente i
xi = frazione molare del componente i nella fase liquida
Questa relazione è formalmente analoga a quella dell’equilibrio gas-liquido, ma la
costante di equilibrio viene calcolata in maniera diversa. La costante di equilibrio è
funzione della pressione, della temperatura e della composizione ed il suo valore
aumenta all’aumentare della temperatura ed al diminuire della pressione.
Per un sistema ideale, la costante di equilibrio è indipendente dalla composizione e la
relazione di equilibrio diviene:
p (T )
y i = k i ⋅ x i = si xi
P
dove
psi(T) = tensione di vapore del componente i alla temperatura T (atm)
P = pressione del sistema (atm)
Questa relazione è valida per ognuno dei componenti della miscela. L’equilibrio liquido-
vapore di una miscela binaria che si trovi ad una certa pressione, viene rappresentato
mediante diagrammi temperatura-composizione, come quello di figura 94. Sull’asse
delle ascisse è riportata la composizione di uno dei componenti, mentre quella dell’altro
si ricava per differenza, poiché la somma delle frazioni molari è pari a 1.
Per un sistema ideale (come quello rappresentato in figura 94) il diagramma ha la
classica forma “a lente”: al di sotto della lente (zona a bassa temperatura) la miscela si
trova in stato liquido, al di sopra della lente (zona ad alta temperatura) in stato vapore,
mentre all’interno della lente coesistono una fase liquida ed una vapore in equilibrio tra
loro. Le composizioni che si leggono sulla curva che delimita la lente inferiormente sono
quindi quelle del liquido (x), mentre quelle che si leggono sulla curva che delimita la

127
lente superiormente sono quelle del vapore (y). Il diagramma di figura 94 è in funzione
della composizione del componente 1. In corrispondenza del valore x=y=0 le curve si
uniscono in un punto, a dare la temperatura di ebollizione del componente 2 e,
analogamente, in corrispondenza del valore x=y=1 si legge la temperatura di ebollizione
del componente 1. Il componente che bolle a temperatura superiore (nella figura 94, il
componente 2) è detto altobollente, quello che bolle a temperatura inferiore (nella figura
94, il componente 1) bassobollente.

Figura 94 [11]

Principio di funzionamento della distillazione


La distillazione sfrutta la zona del diagramma posta all’interno della lente, ossia quella
in cui coesistono una fase liquida ed una vapore in equilibrio, come sarà chiarito meglio
con l’esempio seguente, in cui la simbologia utilizzata fa riferimento alla figura 94.
Ipotizziamo di avere una miscela liquida con composizione x0 e di riscaldarla fino alla
temperatura TA, portandosi nelle condizioni rappresentate sul diagramma dl punto M’.
Questo punto si trova all’interno della zona di coesistenza liquido-vapore: tracciando
una retta orizzontale (ossia una isoterma) all’intersezione con le due curve che
delimitano la lente si individuano i punti LA e VA, rappresentativi rispettivamente delle
composizioni delle fasi liquide (xA) e vapore (yA) in equilibrio tra loro. Con una semplice
costruzione grafica, che va sotto il nome di “regola della leva”, è pure possibile
determinare i quantitativi molari relativi di fase liquida e fase vapore presente:
vapore A lunghezza segmento M ' LA
=
liquido A lunghezza segmento M 'VA
Nel caso in esame, infatti, il punto M’ si trova più vicino alla curva del liquido che non a
quella del vapore (ossia il liquido è presente in quantità maggiore) e, infatti, il segmento
M’LA è più corto di quello M’VA.
Proseguendo con l’esempio, il liquido LA che si è ottenuto ha una composizione più
ricca di componente 2 (ossia di quello altobollente) rispetto alla miscela originaria,
mentre il vapore VA è più ricco di componente 1. Prendiamo adesso il vapore VA e
raffreddiamolo fino alla temperatura TB: esso subirà una condensazione parziale e si
porterà nelle condizioni rappresentate dal punto M’’, e sarà quindi costituito da una fase
liquida LB ed una fase vapore VB in equilibrio tra loro. La composizione del vapore VB,

128
yB, si è ulteriormente avvicinata a quella del componente 1 puro. Analogamente, se
prendiamo il liquido LA e lo riscaldiamo fino a portarlo alla temperatura TC esso subirà
una vaporizzazione parziale e si porterà nelle condizioni rappresentate dal punto M’’’,
dando luogo ad una fase liquida LC ed una fase vapore VC in equilibrio tra loro: la
composizione del liquido LC si è avvicinata a quella del componente 2 puro.
Da questo esempio risulta evidente che, ripetendo sulla fase liquida operazioni di
parziale vaporizzazione, ci si avvicina alla composizione del componente altobollente e
che, analogamente, ripetendo sulla fase vapore operazioni di parziale condensazione ci
si avvicina alla composizione del componente bassobollente. La fase liquida finale che
si ottiene è detta residuo, mentre la fase vapore finale (che generalmente viene
condensata completamente all’uscita dall’apparecchio) è detta distillato.

Volatilità relativa
Nelle operazioni di distillazione, per esprimere la tendenza di un componente ad
accumularsi nel distillato o nel residuo si utilizza il concetto di volatilità relativa, αij, che
esprime la volatilità del componente i rispetto al componente j:
k
α ij = i
kj
Se αij è maggiore di 1, il componente i è più volatile del componente j e si raccoglie nel
distillato. Inoltre la volatilità relativa fornisce una prima informazione riguardo alla
separazione dei due componenti che sarà tanto più agevole quanto più è elevato il
valore della volatilità relativa del componente più volatile rispetto al meno volatile.
Per sistemi ideali la volatilità relativa è data direttamente dal rapporto delle tensioni di
vapore ed è quindi più volatile il componente che ha la tensione di vapore maggiore
(ovvero il più basso bollente). La volatilità relativa è perciò funzione della temperatura
(come le tensioni di vapore) e non è quindi costante nel corso dell’operazione, dato che
la temperatura va diminuendo man mano che ci si avvicina alla composizione del
distillato e va aumentando man mano che ci si avvicina alla composizione del residuo.
Tuttavia, le variazioni di volatilità relativa con la temperatura non comportano inversioni
tra componente più volatile e meno volatile.
I componenti più volatili sono spesso indicati anche come “leggeri” e quelli meno volatili
come “pesanti”: in questo caso i termini “leggero” e “pesante” non hanno nulla a che
vedere con le densità di questi componenti.
La posizione e la forma della lente caratteristica dell’equilibrio liquido-vapore mutano al
variare della pressione: un aumento della pressione causa una traslazione delle curve
verso valori di temperatura più alti ed un appiattimento della lente, mentre una riduzione
di pressione trasla la lente verso valori di temperatura più bassi e rende la lente più
“panciuta”. Ne consegue che una riduzione di pressione comporta un aumento della
volatilità relativa e quindi una separazione più agevole, mentre un aumento di pressione
diminuisce la volatilità relativa rendendo meno agevole la separazione. Sulla scelta
della pressione operativa pesano però anche altri fattori, come sarà meglio chiarito nel
seguito.

Sistemi non ideali


I sistemi non ideali sono quelli in cui la costante di equilibrio dipende, oltre che da
pressione e da temperatura, anche dalla composizione. In alcuni casi ciò non comporta
variazioni nella forma della lente caratteristica dell’equilibrio liquido-vapore, ma se la
non idealità è marcata si può avere la formazione di azeotropi. Gli azeotropi possono

129
essere di tipo omogeneo, quando si ha comunque la formazione di una sola fase liquida
(ad esempio per il sistema acqua-alcool etilico), oppure eteorogeneo quando si
formano due fasi liquide tra loro immiscibili (ad esempio per il sistema acqua-benzene).
Nelle figure 95 sono rappresentati azeotropi omogenei e nella figura 96 un azeotropo
eterogeneo: in entrambe la composizione dell’azeotropo è quella del punto L, in cui le
curve del liquido e del vapore si uniscono, a significare che la composizione del vapore
coincide con quella del liquido in equilibrio con esso. Per quanto riguarda gli azeotropi
omogenei, esistono azeotropi “di massima” in cui la temperatura dell’azeotropo è la
massima temperatura presentata dal sistema (figura 95a, relativa al sistema acetone-
cloroformio), e “di minima”, ossia corrisponde alla minima temperatura del sistema: ciò
è più frequente per gli azeotropi omogenei (figura 95b, relativa al sistema solfuro di
carbonio-acetone) e costituisce la norma per quelli eterogenei (figura 96, relativa al
sistema acqua-isobutanolo).

(a) (b)

Figura 95 [16]

Figura 96 [16]

La presenza di un azeotropo pone seri problemi alla separazione dei componenti.


Infatti, sia che la composizione di partenza sia situata a sinistra o a destra
dell’azeotropo, il distillato (supposto che l’azeotropo sia di minima) sarà costituito
dall’azeotropo ed il residuo da uno dei due composti, ma non sarà possibile recuperare
l’altro, che si trova “al di là” della composizione dell’azeotropo. Per “scavalcare”
l’azeotropo e recuperare entrambi i componenti, occorre utilizzare due distinte
operazioni di distillazione, operanti a pressione diversa, sfruttando il fatto che la
composizione corrispondente all’azeotropo varia al variare della pressione. Nella prima
operazione di distillazione si ottiene come residuo uno dei componenti e come distillato

130
l’azeotropo: quest’ultimo viene alimentato ad una seconda operazione di distillazione,
che ha luogo a pressione diversa. Da questa operazione si ottiene come residuo l’altro
componente e come distillato l’azeotropo alla pressione della seconda distillazione, che
viene ricircolato alla prima colonna di distillazione, in cui entra insieme all’alimentazione.

Operazioni di distillazione
Nelle realizzazione delle operazioni di distillazione occorre procedere attraverso una
successione di stadi di vaporizzazione parziale del liquido e condensazione parziale del
vapore. La maniera migliore per realizzarla è quella di collegare tra loro questi stadi, in
controcorrente, in modo che il vapore che si sviluppa da ogni stadio salga a quello
successivo, che si trova a temperatura inferiore, arricchendosi man mano del
componente più volatile, mentre il liquido residuo da ogni stadio scende su quello
sottostante, che si trova a temperatura superiore, arricchendosi man mano del
componente meno volatile. In generale (come nell’esempio visto in precedenza),
l’alimentazione, avrà una composizione vicina a qualcuno degli stadi intermedi: essa
verrà quindi alimentata (eventualmente dopo averla parzialmente vaporizzata, se
liquida) allo stadio con composizione più prossima alla propria.

Figura 97 [11]

Per realizzare la controcorrente tra liquido e vapore in tutti gli stadi sarà però necessario
avere anche un flusso di liquido al primo stadio (quello a temperatura più bassa) ed un
flusso di vapore dall’ultimo stadio (quello a temperatura più alta). Queste correnti di
liquido e di vapore vengono ottenute, rispettivamente, a spese del distillato e del
residuo (vedi figura 97). Il vapore uscente dal primo stadio, ossia in testa, viene infatti
condensato nel condensatore C: una parte del liquido ottenuto va a costituire il distillato
D, mentre un’altra parte viene ricircolata al primo stadio a costituire il cosiddetto riflusso,
L0. Analogamente, il liquido che arriva all’ultimo stadio, ossia in fondo, esce in parte

131
dal fondo come residuo (in figura 97, la corrente L’4), mentre un’altra parte viene
vaporizzata ed inviata allo stadio precedente. In figura 97, la vaporizzazione viene
effettuata mediante l’invio di un fluido riscaldante in un serpentino posto nel liquido
dell’ultimo stadio: nelle apparecchiature industriali è tuttavia più frequente l’utilizzo di un
ribollitore esterno alla colonna in cui viene vaporizzato il liquido proveniente dall’ultimo
stadio.
Si definisce rapporto di riflusso E, il rapporto tra le portate molari di riflusso L0 e di
distillato D:
L
E= 0
D
Il suo valore può essere superiore o inferiore all’unità: l’entità del rapporto di riflusso
definisce, tramite i bilanci di materia e di calore sia la portata del riflusso liquido in testa
che quella di vapore al fondo.
Le operazioni di distillazione vengono effettuate in colonne di distillazione,
schematizzate come mostra la figura 98: la miscela da separare (alimentazione) entra
di norma nella parte centrale della colonna, come liquido, miscela liquido-vapore o
vapore. In testa alla colonna viene condensato il vapore ed il condensato si raccoglie in
un serbatoio, detto accumulatore di riflusso, da cui sono prelevati il distillato ed il
riflusso: quest’ultimo viene inviato in testa alla colonna mediante una pompa. In fondo
alla colonna viene prelevato il residuo, mentre parte del liquido di fondo viene
vaporizzato in un ribollitore e reimmesso al fondo.

Figura 98 [11]

Man mano che si procede lungo la colonna dall’alto verso il basso variano le
composizioni (va aumentando la concentrazione dei componenti meno volatili),
aumenta la temperatura, poiché tali componenti bollono a temperatura più alta, ed
aumenta anche, seppure non di molto, la pressione, per effetto delle perdite di carico.
La temperatura più alta si ha quindi al fondo e quella più bassa in testa: tali temperature
sono funzione della pressione operativa che è, convenzionalmente, quella misurata in
testa.
La separazione migliora quanto più è bassa la pressione operativa per cui, da questo
solo punto di vista, potrebbe essere conveniente lavorare sotto vuoto: tuttavia, questa
soluzione comporta problemi meccanici alla struttura dell’apparecchio e richiede
diametri molto grandi, poiché la densità del vapore diminuisce al diminuire della
pressione e sono necessarie sezioni maggiori per far passare le portate di vapore
132
necessarie. Molto spesso la pressione operativa viene quindi fissata pari a quella
atmosferica, a meno che non vi siano altre considerazioni che suggeriscano di
innalzarla o ridurla.
Tali considerazioni sono per lo più legate alla disponibilità di adeguati fluidi refrigeranti,
per effettuare la condensazione in testa, e riscaldanti, per il ribollitore di fondo. Infatti, se
la temperatura in testa è eccessivamente bassa (al di sotto di circa 45°C) non è più
possibile utilizzare come refrigerante al condensatore acqua industriale e si devono
utilizzare fluidi più costosi (acqua refrigerata, salamoie, fluidi frigoriferi). In tal caso può
risultare conveniente aumentare la pressione operativa, fino a portare il valore della
temperatura di condensazione in testa almeno a 50°C, se si usa un condensatore ad
acqua industriale, o a 65°C se si utilizza un condensatore ad aria. Occorre però
ricordare che un aumento di pressione comporta anche un aumento della temperatura
al fondo e verificare quindi la disponibilità di un fluido termico alla temperatura
necessaria.
Un altro problema potrebbe essere invece quello di una temperatura di fondo
eccessivamente alta, tale da richiedere fluidi termici speciali (o la sostituzione del
ribollitore con un forno) o tale da poter causare danni termici (crackizzazioni,
polimerizzazione, ecc.) allo stesso prodotto di fondo: in tal caso si può ridurre la
pressione operativa.
Una colonna di distillazione consente la separazione, pressoché completa, di due
componenti: ne consegue che se i componenti da separare sono più di due occorre
prevedere più colonne di distillazione (due colonne per tre componenti, tre colonne per
quattro componenti, ecc.). In alcuni casi, tuttavia, non interessa separare componenti
puri, ma è sufficiente ottenere miscele di prodotti con caratteristiche di volatilità similari,
come accade ad esempio nella raffinazione del petrolio, in cui molti dei “prodotti”
(benzina, gasolio, olio combustibile, ecc.) sono costituiti da miscele. In questo caso è
possibile effettuare la separazione in una sola colonna (quella di “topping”) prelevando i
vari prodotti a diversa altezza lungo la colonna (vedi figura 99), sulla base dei profili di
temperatura e composizione che si hanno lungo l’altezza dell’apparecchio.

Figura 99 [16]
133
Nella figura 99 le correnti provenienti dai tagli laterali sono purificate in piccole colonne
laterali poste a fianco di quella principale.

Scambio termico nella distillazione


L’operazione di distillazione richiede la presenza di due apparecchiature di scambio
termico: un condensatore per il distillato ed un ribollitore per il residuo. I quantitativi di
calore scambiati dai due apparecchi dipendono dall’entità del riflusso e del vapore al
fondo e sono tra loro simili, ma i livelli termici a cui si deve realizzare lo scambio termico
sono diversi, come è diversa la temperatura del primo stadio rispetto a quella
dell’ultimo.
Come condensatori per le colonne di distillazione si utilizzano air-cooler refrigerati ad
aria e condensatori a fascio tubiero orizzontale, con condensazione lato mantello: il
liquido uscente viene inviato ad un serbatoio ad asse orizzontale, detto accumulatore di
riflusso, da cui viene prelevato il riflusso, reimmesso in colonna mediante una pompa,
ed il distillato, inviato a stoccaggio o alle lavorazioni successive. L’accumulatore di
riflusso contiene liquido al suo punto di ebollizione e quindi, come visto nel capitolo
dedicato ai sistemi di tubazioni, occorre fornire un battente adeguato alla pompa
centrifuga di rilancio del riflusso in colonna per evitare problemi di cavitazione. Questo
serbatoio è quindi posto su una struttura sopraelevata di 3-5 rispetto alla quota del
terreno dove si trova la pompa. La medesima struttura alloggia il condensatore, in un
piano posto immediatamente al di sopra dell’accumulatore di riflusso. La tubazione, di
grosso diametro, che porta il vapore dalla testa della colonna di distillazione al
condensatore corre lungo la colonna fissata mediante supporti.
In alcuni casi, in cui per esigenze di processo non viene richiesto un distillato in fase
liquida, il condensatore di testa può essere un condensatore parziale (figura 100) che
provvede alla sola condensazione del riflusso: ciò accade, per esempio, quando il
distillato costituisca l’alimentazione di un’altra operazione di distillazione.

Figura 100 [11]

Come ribollitori per le colonne di distillazione si utilizzano sia le tipologie a termosifone


verticale che quelle Kettle, solitamente con circolazione a termosifone naturale; ove i
livelli di temperatura lo richiedano si possono anche utilizzare forni. Poiché nel fondo
della colonna di distillazione è presente liquido bollente, tale livello dovrà trovarsi in
generale anch’esso 3-5 m al di sopra della quota del terreno su cui è posta la pompa
centrifuga del residuo, per le stesse ragioni viste per l’accumulatore di riflusso. La quota
del pelo libero nel fondo, d’altra parte, influenza anche le quote a cui porre i ribollitori, se
si utilizza, come si fa usualmente, la circolazione a termosifone naturale. Ciò spiega
ulteriormente l’esigenza di mantenere corto il fascio tubiero del ribollitore a termosifone
verticale, poiché un fascio tubiero lungo costringerebbe a rialzare non solo il ribollitore,
ma anche la colonna di distillazione. Quando si utilizza un ribollitore Kettle, il residuo

134
viene prelevato direttamente al di là dello stramazzo del Kettle (figura 101a) mentre
quando si utilizza un ribollitore a termosifone il residuo viene generalmente prelevato
direttamente dal fondo colonna (figura 101b). In alcuni casi al fondo della colonna non si
utilizza un ribollitore esterno, ma un serpentino posto al suo interno, oppure si alimenta
direttamente al fondo vapore ottenuto per altra via: quest’ultimo caso si può verificare,
ad esempio, se il residuo è costituito da acqua ed è possibile inviare al fondo
direttamente vapor d’acqua disponibile nell’impianto.

(a) (b)

Figura 101 [11]

Abbastanza frequentemente si verifica il caso in cui il distillato o il residuo debbano


essere ulteriormente refrigerati prima di essere avviati a stoccaggio o alle lavorazioni
successive. Ove possibile e conveniente si può procedere a recuperi termici, sfruttando
il calore ceduto da queste correnti per riscaldare altre correnti dell’impianto. Poiché la
temperatura dell’alimentazione alla colonna di distillazione è inferiore rispetto a quella
del residuo, quest’ultimo viene frequentemente utilizzato per preriscaldare, o
vaporizzare parzialmente, l’alimentazione alla medesima colonna.

UMIDIFICAZIONE E DEUMIDIFICAZIONE
L’umidificazione è l’operazione in cui si realizza un trasferimento da una fase liquida ad
una gassosa, mentre la deumidificazione configura l’operazione opposta: queste
operazioni sono per certi versi simili a quelle di stripping e assorbimento, ma in questo
caso viene a cadere l’ipotesi di bassa volatilità del liquido.
Nell’industria di processo le applicazioni delle operazioni di umidificazione e
deumidificazione, anche se possono interessare varie combinazioni di gas e liquidi,
sono spesso limitate al sistema aria-acqua. In particolare l’umidificazione viene
utilizzata in quasi tutti gli impianti dell’industria di processo come mezzo economico per
raffreddare l’acqua industriale; l’utilizzo della deumidificazione è assai più ridotto e
dettato principalmente da esigenze di condizionamento dell’aria (ad esempio, per
stoccaggi di solidi deperibili).

Raffreddamento dell’acqua industriale


Nel raffreddamento dell’acqua industriale si esegue un’operazione di umidificazione
dell’aria in cui si sfruttano gli effetti termici associati al trasferimento di materia dalla
fase liquida alla fase gassosa. Infatti, come già visto per l’assorbimento, al trasferimento
di uno o più componenti dal liquido al gas (o viceversa) risulta associato un
trasferimento di calore, poiché si verifica un passaggio di stato a cui è associato un
calore latente di vaporizzazione. Dato che le operazioni di umidificazione e
deumidificazione sono di norma adiabatiche, ossia hanno luogo senza scambio di

135
calore con l’esterno, ciò comporta un raffreddamento o un riscaldamento del liquido, e,
in misura assai minore, del gas.
L’acqua industriale lavora in ciclo chiuso e quindi, dopo essersi riscaldata ad una
temperatura intorno ai 40°C nel passaggio attraverso i dispositivi di scambio termico in
cui funge da refrigerante, sorge la necessità di raffreddarla nuovamente in un modo
che, dati gli elevatissimi quantitativi coinvolti, deve essere semplice ed economico.
Ciò viene effettuato in apparecchi appositi, detti torri di raffreddamento dell’acqua, in cui
l’acqua calda viene posta a contatto con aria atmosferica: l’aria si umidifica, ossia si ha
trasferimento di materia dal liquido al gas, e l’acqua rimanente si raffredda, fino ad una
temperatura di poco superiore a quella di saturazione (detta anche di bulbo umido)
dell’aria ambiente, funzione della temperatura e dell’umidità dell’aria. Alle nostre
latitudini, nella stagione estiva si riesce a raffreddare l’acqua fino a circa 30°C, mentre
nella stagione invernale si possono raggiungere temperature più basse.
Nell’operazione l’acqua che va ad umidificare l’aria non può essere recuperata: va
quindi reintegrato un quantitativo di acqua che si aggira intorno al 2-5% del totale.

ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO
L’operazione di estrazione liquido-liquido viene utilizzata per separare i componenti di
una miscela liquida quando la loro volatilità sia assai simile: infatti, in questa situazione,
una separazione per distillazione, seppure possibile, risulterebbe molto costosa poiché
richiederebbe una colonna di altezza molto elevata.
Nell’operazione di estrazione la miscela, costituita dai componenti A e B viene posta a
contatto con un solvente costituito da un liquido S, caratterizzato da un’affinità maggiore
per uno dei due componenti (ad esempio A) e parzialmente miscibile con la miscela
originaria. Dall’apparecchio escono due fasi liquide distinte, l’estratto che contiene la
maggior parte del solvente S e del componente A e tracce di B, ed il raffinato che
contiene la maggior parte del componente B e quantità minori di A e di S (vedi figura
102).
Estratto S + A
con tracce di B

Liquido A + B

Solvente S

Raffinato B
con tracce di S + A

Figura 102

L’equilibrio liquido-liquido è poco influenzato dalla pressione, mentre è sensibile alla


temperatura. L’operazione di estrazione viene di norma effettuata a temperatura
ambiente, poiché la lacuna di miscibilità è più ampia a bassa temperatura, ed a bassa

136
pressione, a meno che non sia necessario aumentarla per mantenere liquido il solvente,
come avviene, ad esempio, se si utilizza come solvente il propano.
Va rimarcato che un’operazione di estrazione liquido-liquido, non risolve, da sola, il
problema della separazione di A da B, perché se è vero che nel raffinato si separa B ad
una purezza che in alcuni casi può essere sufficiente, è pure vero nell’estratto sono
presenti insieme A ed S, che andranno separati in un altro apparecchio. Il problema di
separare A da B si trasforma quindi in quello di separare A da S: tale separazione viene
di solito effettuata per distillazione, ma data la notevole differenza di volatilità tra A ed S
è generalmente sufficiente un’apparecchiatura di dimensioni e costo modesti.

APPARECCHIATURE PER LE OPERAZIONI UNITARIE TRA FASI FLUIDE


Come già detto, le apparecchiature per realizzare il trasferimento di materia tra le fasi
gassosa e liquida o liquide a contatto tra di loro devono anzitutto garantire un’adeguata
superficie di contatto tra le fasi. Altre esigenze possono essere quelle di limitare le
perdite di carico (particolarmente sentita se l’apparecchiatura lavora sotto vuoto), ridurre
le dimensioni, ridurre il quantitativo di liquido presente, ecc.
Una distinzione preliminare importante per quanto riguarda le fasi coinvolte è tra:
• fase continua e fase dispersa: la prima è quella che riempie la gran parte
dell’apparecchio, mentre la seconda è quella che viene suddivisa per assicurare
una elevata superficie di trasferimento di materia
• fase leggera e fase pesante: con riferimento alla densità delle fasi a contatto: nelle
operazioni gas-liquido e liquido-vapore, la fase leggera è, ovviamente, quella
gassosa e quella pesante è quella liquida. Fase leggera e fase pesante si muovono
in controcorrente nell’apparecchio, la prima entrando dal basso e uscendo dall’alto
e l’altra entrando dall’alto e uscendo dal basso.
Le apparecchiature utilizzate sono, per lo più, cilindriche ad asse verticale e sono
denominate genericamente “colonne” o “torri” per la loro forma snella e decisamente
allungata (solo le torri di raffreddamento per l’acqua sono decisamente più tozze, per le
ragioni esposte più avanti in questo paragrafo).
In linea di massima la stessa tipologia di apparecchio può essere utilizzata sia per
operazioni tra fasi gassose e liquide che per quelle tra fasi liquide.
Si utilizzano le tipologie:
• a bolle
• a spruzzo
• a parete bagnata
• a riempimento
• a piatti
Per l’estrazione liquido-liquido si possono tuttavia anche adottare colonne particolari,
dotate di un meccanismo di dispersione delle fasi.
Le tipologie di colonne a riempimento ed a piatti sono le uniche adottate per la
distillazione e sono comunque quelle più utilizzate anche per le altre operazioni unitarie
tra fasi fluide. In queste colonne il diametro dell’apparecchio dipende essenzialmente
dalla portata della fase leggera, la cui velocità deve essere inferiore al valore, detto di
“flooding”, che è quello a cui la portata di fase leggera ascendente impedisce a quella
pesante di scendere lungo l’apparecchio. Le colonne presentano diametri che vanno
generalmente da qualche decina di centimetri ad un paio di metri, per quelle a
riempimento, e da circa mezzo metro ad alcuni metri, per quelle a piatti. L’altezza della

137
colonna dipende invece dalla superficie necessaria al trasferimento di materia, ed è
tanto maggiore quanto più è difficile è la separazione: i valori tipici vanno da pochi metri
ad alcune decine di metri per le operazioni di assorbimento, stripping, umidificazione e
deumidificazione ed estrazione liquido-liquido, ma possono arrivare, in alcuni casi, fino
al centinaio di metri per le operazioni di distillazione.
Colonne a bolle
Le colonne a bolle sono utilizzate prevalentemente per operazioni di assorbimento,
umidificazione ed estrazione liquido-liquido. Con riferimento ai sistemi gas-liquido la
colonna è piena di liquido, che entra dall’alto e costituisce la fase continua, mentre il
gas viene disperso in forma di bolle nella parte bassa della colonna. Il gas attraversa la
colonna dal basso verso l’alto, per raccogliersi al di sopra del punto di ingresso del
liquido ed uscire dall’apparecchio dall’alto; il liquido esce dal basso al di sotto del punto
di immissione del gas. Nel caso di estrazione liquido-liquido, il liquido pesante entra
dall’alto e costituisce la fase continua, mentre quello leggero viene disperso in basso in
forma di goccioline (figura 103a).

(a) (b)

Figura 103 [12]

La colonna a bolle è semplice dal punto di vista costruttivo, ma poco efficiente: infatti, la
superficie di contatto tra le fasi va diminuendo per la coalescenza delle bolle (o delle
goccioline) lungo la colonna. Inoltre, le perdite di carico incontrate dal gas (o dal liquido
leggero) sono elevate poiché esso deve attraversare un grosso spessore di liquido. Per
contro, alle colonne a bolle si possono applicare con successo dispositivi di scambio
termico (come serpentini o camicie), poiché la colonna è pressoché piena di liquido, che
presenta un coefficiente di scambio del calore sufficientemente alto.

Colonne a spruzzo
Le colonne a spruzzo sono utilizzate prevalentemente per operazioni di assorbimento,
umidificazione, deumidificazione ed estrazione liquido-liquido. Con riferimento ai sistemi
gas-liquido, la colonna è piena di gas (fase continua) che entra dal basso, mentre il
liquido (fase dispersa) viene spruzzato in forma di goccioline dall’alto: essa costituisce
quindi un’apparecchiatura simmetrica rispetto alla colonna a bolle. Il liquido si raccoglie
in basso, al di sotto del condotto di ingresso del gas ed il gas esce dalla parte alta

138
dell’apparecchio, al di sopra del distributore del liquido. Nel caso di estrazione liquido-
liquido, la colonna è piena di liquido leggero (fase continua), mentre il liquido pesante
(fase dispersa) viene spruzzato dall’alto (figura 103b).
La colonna a spruzzo è caratterizzata anch’essa da una bassa efficienza, poiché la
superficie di contatto tra le fasi va diminuendo lungo la colonna per la coalescenza delle
gocce liquide; le perdite di carico incontrate dal gas sono però molto basse. In queste
colonne, quando sono utilizzate per sistemi gas-liquido, non si può garantire uno
scambio termico efficace, dato il basso coefficiente di scambio termico della fase
gassosa che è quella che riempie la colonna.

Colonne a parete bagnata


Le colonne a parete bagnata si utilizzano quasi esclusivamente per le operazioni di
assorbimento caratterizzate dal fatto di presentare un forte sviluppo di calore.
Il liquido (fase dispersa) entra nell’apparecchio dall’alto e cola formando uno strato
sottile lungo la parete, mentre il gas (fase continua) sale nella parte centrale: il gas
fuoriesce quindi dall’alto, mentre il liquido esce dal basso.
Nella colonna a parete bagnata la superficie di contatto gas-liquido per unità di volume
è assai inferiore che non per le colonne a bolle ed a spruzzo: l’efficienza è quindi bassa,
ma rimane circa costante lungo tutto l’apparecchio. Le perdite di carico incontrate dal
gas sono modeste, poiché esso ha a disposizione un’ampia sezione di passaggio.
La ragione primaria cui sono utilizzate le colonne a parete bagnata è però
rappresentata dalle loro notevoli capacità di scambio termico, che le rendono
particolarmente adatte a realizzare operazioni di assorbimento in cui si abbia un elevato
sviluppo di calore. In tal caso si può provvedere la colonna con una camicia di
refrigerazione, in cui lo scambio di calore è efficiente, dato che nella zona interna a
contatto con la parete scorre una fase liquida ed il coefficiente di trasferimento del
calore è alto. Inoltre, la bassa efficacia dello scambio di materia, limita il quantitativo di
calore che si sviluppa per unità di lunghezza della colonna e rende più agevole il
controllo del processo.

Colonne a riempimento
Le colonne a riempimento si utilizzano prevalentemente per le operazioni di
assorbimento ed umidificazione. All’interno dell’apparecchio è disposto un
“riempimento”, costituito da corpi solidi di forma tale da consentire una elevata
superficie per unità di volume e, al tempo stesso, basse perdite di carico. Con
riferimento ai sistemi gas-liquido la colonna è piena di gas (fase continua), che entra dal
basso, mentre il liquido che entra dall’alto va a “bagnare” il riempimento e scende
nell’apparecchio formando un velo liquido sulla sua superficie. Il gas esce dall’alto, al di
sopra del punto di distribuzione del liquido, mentre il liquido si raccoglie in basso, al di
sotto del condotto di immissione del gas (vedi figura 104).
Per un corretto funzionamento dell’apparecchio è necessario che il liquido sia distribuito
in modo uniforme lungo tutta la sezione della colonna: in caso contrario, infatti, ci
sarebbero delle zone di riempimento non irrorate dal liquido e quindi totalmente
inefficaci per lo scambio di materia. Sono stati quindi messi a punto vari sistemi di
distribuzione del liquido (con tubi forati, piatti forati, canali sovrapposti, ecc., vedi figura
105) che diventano più complicati al crescere del diametro della colonna.
Il problema della corretta distribuzione del liquido sul riempimento si pone non solo al
suo ingresso, ma anche man mano che esso scende lungo la colonna, poiché esso
tende ad accumularsi lungo le pareti, diminuendo la superficie bagnata nella zona
139
centrale e quindi l’efficienza dello scambio di materia. Per questa ragione, nel caso in
cui siano necessarie altezze elevate di materiale di riempimento, si procede a
suddividerlo in più strati, di altezza massima 4-8 m disponendo dei coni di
redistribuzione del liquido (detti coni di rinvio) al di sotto di ogni strato (vedi figura 104).

Figura 104 [12]

Figura 105 [8]

Ogni strato di riempimento poggia su una grigia di sostegno, generalmente costituita da


profilati metallici disposti paralleli tra loro, di taglio per aumentate la resistenza
all’inflessione, a distanza tale da non consentire il passaggio dei corpi di riempimento
(figura 106a); si possono utilizzare anche elementi speciali, come quelli di figura 106b.

(a)
(b)

Figura 106 [8]


140
Il gas entra semplicemente da un tubo che termina con un taglio a 45° (a fetta di
salame) all’incirca al centro della colonna (figura 104): tale forma consente una certa
distribuzione del gas all’interno della colonna e impedisce che il liquido che sgocciola
dall’alto possa entrare nel condotto del gas.
Il gas che esce dalla parte alta della colonna può trascinare goccioline di liquido: ciò
non costituisce un grave problema nel caso della distillazione, dato che la fase gassosa
uscente viene condensata, ma può diventarlo nelle operazioni di assorbimento, in cui
non è previsto generalmente alcun ulteriore trattamento della fase gassosa. Per ovviare
a questo inconveniente si può porre nella parte alta della colonna, al di sopra
dell’ingresso del liquido e prima dell’uscita del gas una rete snebbiante, costituita da un
intreccio di fili metallici dello spessore di 10-20 cm oppure da un ulteriore strato di 40-50
cm di riempimento, che trattiene le goccioline di liquido trascinato facendole coalescere
tra loro, come mostra ancora la figura 104.
Per quanto riguarda i riempimenti ne esistono di varie forme, dimensioni e materiali. La
forma e le dimensioni sono fissate in base alle esigenze di efficienza (superficie di
contatto disponibile per unità di volume) ed a quelle legate alle perdite di carico (grado
di vuoto). Il materiale (acciaio, ceramica, plastica, ecc.) è invece scelto in base alla
compatibilità con le fasi ed alla sua “bagnabilità” da parte del liquido: ad esempio, la
ceramica viene bagnata facilmente da soluzione acquose, ma non da liquidi organici, la
plastica viene bagnata bene dai liquidi organici e non dalle soluzioni acquose, ecc.
Le tipologie dei riempimenti utilizzati comprendono:
• corpi di riempimento: detti anche riempimento alla rinfusa (random), poiché sono
disposti in modo casuale all’interno della colonna. Essi hanno forma di cilindri cavi
(detti anelli) dotati eventualmente di pareti forate o munite di inserti interni, o di
“selle” (vedi figura 107). Le dimensioni dei corpi di riempimento sono scelte in base
al diametro della colonna e variano tra 12 mm (1/2 pollice) per colonne con diametro
inferiore a 30 cm e 75 mm (3 pollici) per colonne di diametro superiore a 1.5 m.

Figura 107 [8]

I corpi di riempimento sono generalmente immessi nella colonna attraverso


aperture del diametro di 20 cm (dette passi di mano) praticate al di sopra di ogni
strato, come mostra la figura 104. Nel caso di materiali fragili, per evitare che essi si
rompano per l’impatto sulla griglia di sostegno o sui corpi di riempimento sottostanti,
prima di iniziare questa operazione si riempie la colonna con acqua o con il liquido
di processo, in modo da ridurre la velocità di caduta.
L’aspetto di una colonna riempita con riempimento alla rinfusa è quello mostrato
dalla figura 108. La maggior parte delle colonne a riempimento utilizzate per
assorbimento, distillazione ed estrazione liquido-liquido adotta questa tipologia di
riempimento.
• listelli: i listelli, generalmente di legno o di plastica, sono lunghi qualche metro e
presentano una sezione molto piccola (quadrata, rettangolare o triangolare): essi
sono disposti in forma di catasta ordinata, costituita da strati di listelli disposti
paralleli tra loro, alternativamente in una direzione e nella direzione ortogonale. La

141
superficie disponibile per lo scambio di materia per unità di volume è assai inferiore
rispetto a quella presentata dai corpi di riempimento, ma il grado di vuoto è
maggiore e quindi le perdite di carico sono nettamente inferiori.

Figura 108 [16]

Questa tipologia di riempimento si utilizza quasi esclusivamente per le torri di


raffreddamento per l’acqua, in cui le portate da trattare sono elevate. L’acqua calda
viene distribuita in parallelo sulle cataste di listelli e cola verso il basso
raccogliendosi in vasche sottostanti. L’aria entra dal basso e attraversa i listelli
umidificandosi, per uscire dall’alto. L’aria uscente è più calda e più umida (quindi a
densità inferiore) rispetto a quella ambiente per cui le torri possono funzionare a
tiraggio naturale (figura 109a). In tal caso, tuttavia possono raggiungere altezze
notevoli (fino a 70 m), per cui viene generalmente preferito il tipo a tiraggio forzato,
ossia indotto da ventilatori (figura 109b).
L’altezza massima della catasta di listelli è in ogni caso limitata a qualche metro,
mentre le sezioni di ogni torre possono facilmente raggiungere il centinaio di metri
quadrati: spesso si utilizzano più torri in cui l’acqua è inviata in parallelo.

142
(a) (b)

Figura 109 [12]

• riempimento strutturato: il riempimento è costituito da fogli di lamiera forati e piegati


disposti alternati in modo preordinato e che si autosostengono (vedi figura 110).
Questa tipologia di riempimento, di cui sono commercializzati vari tipi, tutti coperti da
brevetto, garantisce una elevatissima superficie per il trasferimento di materia per
unità di volume, ma comporta perdite di carico decisamente più alte che non i corpi
di riempimento.
Il riempimento strutturato si utilizza per colonne di assorbimento e di distillazione,
soprattutto in fase di “revamping”, ossia quando si stanno apportando modifiche ad
un impianto pre-esistente per aumentarne la capacità produttiva o l’efficienza. Infatti,
la sostituzione (anche parziale) di corpi di riempimento con uno strato di pari altezza
di riempimento strutturato consente di aumentare la resa della colonna senza
modificarne sostanzialmente la struttura e, soprattutto, senza che se ne renda
necessaria la sostituzione. Gli spessori di riempimento strutturato utilizzati
generalmente non superano il paio di metri.

Figura 110 [8]

Le colonne a riempimento sono molto più efficaci rispetto a quelle a bolle, a spruzzo ed
a parete bagnata, ossia riescono ad effettuare il trasferimento di materia in un
apparecchio di altezza inferiore; inoltre, esse presentano perdite di carico modeste e
sono poco costose. Le colonne a riempimento rappresentano quindi spesso la migliore
soluzione per realizzare un’operazione unitaria tra fasi fluide: tuttavia, per il loro
funzionamento corretto si richiede che la portata di liquido sia elevata, in modo che
esso riesca a bagnare tutto il riempimento. Infatti, se sul riempimento non è presente un
velo di liquido esso è inefficace ai fini del trasferimento di materia. La portata di liquido a
sua volta dipende dal processo in esame, dalle specifiche di separazione richieste e
dalle caratteristiche del sistema fluido-fluido, per cui non è possibile aumentarne il
valore a piacimento. Ne consegue che quando la portata di liquido non risulta sufficiente
a bagnare il riempimento, si cambia tipologia di apparecchio e, in particolare, si

143
utilizzano le colonne a piatti.
Un ulteriore vantaggio delle colonne a riempimento è il basso valore dell’hold-up di
liquido, ossia del liquido che è presente nella colonna e che bagna il riempimento: tale
valore è generalmente pari al 2-6% del volume del riempimento ed è nettamente
inferiore a quello delle colonne a piatti. Un basso valore di hold-up implica che, in caso
di incidente, la quantità di liquido che può fuoriuscire dall’apparecchio è anch’essa
modesta e ciò è vantaggioso in termini di sicurezza.
Quando le colonne a riempimento sono utilizzate per l’estrazione liquido-liquido, viene
di norma dispersa la fase con portata volumetrica maggiore, che può essere tanto
quella pesante (come accade per i sistemi gas-liquido e liquido-vapore) che quella
leggera. In quest’ultimo caso, il distributore della fase leggera è posto in basso ed essa
bagna il riempimento muovendosi verso l’alto nella colonna, piena del liquido che
costituisce la fase pesante. L’interfaccia tra fase leggera e fase pesante è quindi posta
nella parte alta della colonna, al di sopra del distributore della fase pesante.

Colonne a piatti
Le colonne a piatti si utilizzano prevalentemente per le operazioni di distillazione, poiché
in queste operazioni accade frequentemente che la portata liquida richiesta sia
relativamente bassa, tanto da risultare inadeguata a bagnare il riempimento qualora si
utilizzasse una colonna di questo tipo.
In una colonna a piatti all’interno dell’apparecchio sono disposti dei “piatti” metallici che
occupano gran parte della sezione circolare, lasciando libera solo una zona a forma di
segmento circolare, detta discendente. In corrispondenza del discendente il piatto
presenta un bordo rialzato, detto stramazzo, che prosegue con una lamina verticale
verso il basso, terminando non molto al di sopra del piatto sottostante, che ha il
discendente posizionato in posizione diametralmente opposta (figura 111).

Figura 111 [8]

Il liquido, che entra dall’alto e costituisce la fase continua, si distribuisce sul primo
piatto, formando uno strato il cui spessore è regolato dall’altezza dello stramazzo;
superato il bordo dello stramazzo esso scende nel discendente, finendo sul piatto
sottostante, che viene a sua volta attraversato in senso trasversale fino allo stramazzo
(figura 111), superato il quale il liquido procede ancora verso il basso allo stesso modo
fino all’ultimo piatto, da cui cade nel fondo della colonna. La parte centrale di ogni
piatto, ossia quella compresa tra il discendente e la proiezione sul piatto del

144
discendente sovrastante, presenta dei fori per il passaggio del gas (fase dispersa). Il
gas entra dal basso, si accumula sotto all’ultimo piatto e lo attraversa formando delle
bolle (gorgogliando) all’interno dello strato di liquido sul piatto; quindi si accumula sotto
il piatto sovrastante e procede in tale maniera dal basso verso l’alto.
Il gas non può passare all’interno del discendente, poiché la zona di piatto sottostante al
discendente non è forata, e ne è impedito dalla parete verticale del discendente stesso
e dalla tenuta idraulica assicurata dal livello del liquido nel discendente, superiore a
quello del liquido nel piatto. D’altra parte, purché il gas abbia una velocità sufficiente nel
passaggio attraverso i fori, il liquido non può sgocciolare dai fori stessi poiché ne è
impedito dal moto del gas.
La distanza tra i piatti varia generalmente tra i 40 cm, per colonne di diametro inferiore
al metro, ed i 120 cm per colonne di diametro superiore ai 4 m. Nelle colonne più
piccole il piatto è costituito di un unico pezzo che poggia su un profilato saldato alla
circonferenza della colonna, mentre in quelle più grandi esso viene montato in
segmenti, sorretti da appositi travetti trasversali.
L’altezza dello stramazzo varia da circa 10 mm per le colonne che lavorano sotto vuoto
per arrivare a 100 mm per quelle che lavorano a pressione medio-alta. Infatti, la
maggior parte delle perdite di carico del gas sono dovute all’attraversamento dello
strato di liquido sul piatto, per cui si preferisce tenerle basse nel caso di colonne che
lavorino sotto vuoto, mentre possono essere maggiori per le colonne in pressione.
Nel funzionamento di una colonna a piatti ha grande importanza il montaggio
perfettamente orizzontale del piatto, per evitare che vi sia disuniformità nello spessore
del liquido sul piatto (figura 112a) ovvero che il liquido scenda solo da una parte dello
stramazzo (vedi figura 112b).

(a) (b)

Figura 112 [12]

Le tipologie di piatti maggiormente utilizzate sono:


• piatti forati: i fori, del diametro di qualche millimetro sono disposti molto ravvicinati
con maglia triangolare: la superficie forata è circa il 10% di quella utile del piatto
(vedi figura 113a).
I piatti forati sono la tipologia di piatto più economica e quella che presenta le
perdite di carico più basse; essi si possono adottare in tutte le situazioni in cui la
portata gassosa si mantenga abbastanza alta e, soprattutto, non sia soggetta ad
eccessive variazioni. Infatti, non si può evitare che un piatto forato lasci sgocciolare
il liquido (situazione che viene sintetizzata con: il piatto “piange”) quando la portata
del gas scende troppo al di sotto di quella di progetto.
• piatti a valvole: i fori, del diametro di qualche centimetro, sono dotati di un
coperchietto metallico (detto valvola) che è trattenuto all’interno del foro da piedini
che ne consentono un sollevamento limitato (vedi figura 125b). La spinta del gas fa
sollevare la valvola, tanto più quanto maggiore è la portata del gas stesso: quindi è
la portata stessa del gas a regolare la sezione di passaggio.

145
I piatti a valvola sono di realizzazione più costosa di quelli forati e presentano
perdite di carico maggiori, poiché il gas deve anche sollevare la valvola. Essi si
adottano nelle situazioni in cui la portata gassosa è molto variabile e può divenire
anche piuttosto bassa: poiché in queste condizioni la valvola si alza solo
parzialmente, si evita che il liquido possa sgocciolare dai fori. Ovviamente, neanche
i piatti a valvola sono in grado di mantenere il liquido sul piatto, se la portata della
fase gassosa si interrompe completamente.

(b)
(a)

Figura 113 [8]

Le colonne a piatti, a differenza di quelle a riempimento, consentono di operare anche


con basse portate di liquido, ma sono più costose e comportano perdite di carico
decisamente più elevate. Inoltre, esse presentano un hold-up di liquido, costituito dal
liquido sui piatti e da quello nei discendenti, molto maggiore delle colonne a
riempimento: questa situazione può avere ripercussioni sfavorevoli sulla sicurezza
qualora si abbia la fuoriuscita accidentale del liquido dalla colonna, poiché i quantitativi
in gioco aumentano di molto.
Quando le colonne a piatti sono utilizzate per l’estrazione liquido-liquido non è più
necessario che il piatto sia munito di stramazzo, poiché la colonna è comunque piena di
una fase liquida continua. Come già visto per le colonne a riempimento, la fase
dispersa, che è di norma quella con portata volumetrica maggiore, può essere tanto
quella leggera (come accade per i sistemi gas-liquido e liquido-vapore) che quella
pesante: in quest’ultimo caso, i piatti sono disposti rovesciati, ossia con il discendente
diretto verso l’alto.

Colonne dotate di dispositivi di dispersione delle fasi


Queste tipologie di colonne si utilizzano esclusivamente per l’estrazione liquido-liquido,
data la maggiore difficoltà di ottenere una elevata superficie a disposizione per lo
scambio di materia per questi sistemi, a cui si ovvia imponendo una dispersione
aggiuntiva tra le fasi ad opera di un dispositivo apposito. L’aumento del rendimento
avviene a spese dei consumi energetici del dispositivo che migliora la dispersione tra le
fasi a contatto.
Tra le varie tipologie di colonne che rientrano in questa categoria, le più diffuse sono:
• colonne pulsanti: presentano piatti forati, che occupano tutta la sezione
dell’apparecchio ed un dispositivo simile ad una pompa alternativa, posto sulla
tubazione di ingresso di uno dei liquidi trasmette un movimento pulsante al liquido in
colonna che viene forzato a passare attraverso i fori, disperdendosi finemente.
• colonne a dischi rotanti: presenta dei dischi calettati su un albero centrale che
ruotano all’interno di specie di compartimenti, creati mediante dei setti anulari.

146
PROBLEMATICHE DI SICUREZZA DELLE OPERAZIONI DI DISTILLAZIONE [6]
Tra le operazioni unitarie per i fluidi la distillazione è quella che presenta maggiori
problematiche di sicurezza, sia per la sua maggiore complessità che per i valori di
temperatura e pressione raggiunti.
Il pericolo maggiore è rappresentato dalla presenza di grossi quantitativi di liquido
bollente, spesso in pressione. Le condizioni operative più severe si realizzano al fondo,
per cui la pompa ed il ribollitore di fondo sono le apparecchiature sottoposte alle
condizioni più critiche.
Il quantitativo di prodotto presente in una colonna di distillazione è la somma di quello
presente all’interno dell’apparecchio e quello accumulato nel fondo: il primo può essere
ridotto scegliendo (se possibile) una colonna a riempimento invece di una a piatti, il
secondo riducendo il volume del fondo colonna, o limitando il battente di liquido o
utilizzando un fondo colonna di sezione inferiore al resto dell’apparecchio.
Nella maggior parte dei casi la pressione operativa della colonna viene controllata
agendo sul condensatore di testa: ciò comporta il fatto che, se non si riesce a smaltire il
calore, la pressione nella colonna aumenta, con possibilità di sovrapressurizzazioni.
Analogamente, se non si riesce ad assicurare un sufficiente approvvigionamento di
calore al fondo della colonna, diminuisce il quantitativo di vapore prodotto al ribollitore e
la pressione in colonna scende. Se la colonna lavora a pressione atmosferica o
prossima a quella atmosferica ciò potrebbe comportare il fatto che la colonna si porti a
pressione inferiore a quella atmosferica, ossia vada sotto vuoto. Ove si tema che si
possa verificare questa eventualità occorre provvedere un sistema che in caso di
depressurizzazione faccia entrare gas inerte. Una pressurizzazione della colonna può
invece aversi in caso di incendio nelle vicinanze, con irraggiamento verso la colonna, o
in caso di ingresso accidentale di acqua. Infatti, l’acqua vaporizza aumentando molto di
volume, causando una sovrappressione che può essere molto pericolosa.
Un esempio di incidente che si è verificato in una colonna di distillazione è quello di
Porto Marghera del 1984. L’incidente ha avuto origine al fondo di una colonna di
topping, in corrispondenza del punto di prelievo di liquido di fondo in prossimità di un
indicatore. Per la mancata intercettazione della valvola di collegamento con la colonna
prima dell’apertura di quella di prelievo si verificava la fuoriuscita di una portata
massiccia e continua di olio combustibile in pressione: questa si nebulizzava
miscelandosi con l’aria e si innescava immediatamente, poiché si trovava a temperatura
superiore rispetto a quella di autoaccensione. I danni materiali sono stati limitati alla
zona della colonna vicina al punto di fuoriuscita e, in parte, alla struttura di sostegno,
mentre è morto l’operaio che doveva eseguire il prelievo.

147

Potrebbero piacerti anche