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I Segreti Del Jazz Riassunto PDF
I Segreti Del Jazz Riassunto PDF
Voglio raccontare alcune cose del libro – “I segreti del jazz” – non per fare una recensione, ma
per descriverlo e per dare valore ai molti aspetti di questo lavoro che possono essere
importanti al fine del nostro incontro.
Un testo vivente
Il libro è un volume di circa 300 pagine, che analizza a vari livelli una quantità soverchiante
d’incisioni di jazz: circa mille, un centinaio delle quali allegate in DVD ed altre 400 disponibili
prossimamente in formato mp3 sul sito dell’editore.
L’intera storia discografica del jazz viene usata come un testo vivente di composizione da
cui attingere. Con l’attenzione al fatto – fondamentale - che l’obiettivo del lavoro non è
introdurre all’analisi ma all’ascolto attraverso l’analisi.
La struttura del libro è molto chiara, didatticamente lineare, ma contiene anche una
complessità da indagare, che emerge se ci si lascia stimolare dai tanti rimandi e se si accetta
la sfida proposta dall’autore di istituire nessi tra i diversi livelli del discorso. Per questo motivo
indugio – qui di seguito – in maniera elencatoria al succedersi degli argomenti.
Il primo capitolo
Il volume si apre indagando l’eterogeneità dei modelli storiografici del jazz, intesi come
forme di racconto frutto di un continuo “negoziato tra passato e presente”. In questo modo la
storia del jazz perde la sua struttura “naturalmente” lineare e si apre piuttosto anche ai
dislivelli ed alle “contraddizioni”, alle vie di fuga ed alle strade senza uscita.
L’eterogeneità della storia dei linguaggi jazzistici è tuttavia subito messa in relazione con la
centralità che il jazz dà ai propri atti performativi, la dimensione orale e corporea del fare
I segreti del jazz di Stefano Zenni: una descrizione del libro 1
a cura di Claudio Vedovati
musica, “con cui – sostiene il libro - possiamo imparare a riconnetterci”.
Il jazz viene dunque descritto come una musica dialogica, collaborativa, performativa, in cui
l’improvvisazione è un processo che entra in relazione con le tecnologie di produzione e
riproduzione del suono, in cui l’uso della scrittura è prevalentemente descrittivo e non
prescrittivo, in cui le modalità di apprendimento portano a dare valore all’invenzione
individuale di tecniche strumentali e sviluppano competenze per “manipolare il linguaggio”.
Tuttavia – si sottolinea “negli ultimi quarant’anni si è gradualmente imposta una didattica più
formale, basata su curricula standardizzati” che produce musicisti “tecnicamente meglio
preparati ma stilisticamente più uniformi”.
Per quanto riguarda gli aspetti motori e l’organizzazione del tempo musicale (terzo capitolo),
si analizzano:
- la dimensione audio-tattile del jazz (viene ripreso il modello proposto recentemente da
Vincenzo Caporaletti);
- i legami tra la pulsazione e lo “swing”: spiegando in maniera molto chiara anche come lo
swing non abbia nulla a che fare con le sincopi e come si possano trovare, anche sovrapposti,
diversi modi di “swingare”.
L’improvvisazione, ad esempio, può essere vista come una tecnica solistica che si
sovrappone a diverse possibilità formali o come pratica performativa che investe più di un
aspetto del suonare e che può diventare la forma stessa di un brano.
L’armonia può essere il materiale dell’improvvisazione e delle varie forme di arrangiamento di
altre funzioni interne ad un brano (come l’accompagnamento) e contemporaneamente il luogo
dove si giocano le tensioni della forma (ad esempio la relazione tra le strutture compositive e
l’armonia tonale o modale), o dove si manifesta una dimensione timbrica (competenze diverse
di ascolto degli armonici), verticale o a strati (comprensibile facendo riferimento alla
dimensione contrametrica) o ancora ciclica di origine africana.
Il percorso del capitolo non segue una logica storica quanto una sequenza – giustificabile con
l’origine didattica di questo modello di articolazione delle forme - che va dal semplice al
complesso. Si inizia con la forma chorus derivata dalla canzone americana (descrivendo
anche le tecniche con cui è possibile manipolare questa forma) per approdare al grande
universo delle strutture multitematiche (con cui si apre la storia del jazz) e delle più complesse
costruzioni compositive del jazz (dalle suite di Ellington alla Third Stream Music, dalle fughe di
John Lewis alle “forme estese” di Mingus, dalle composizioni polimodali di Coltrane fino a
Nonaah di Roscoe Mitchell).
È qui che emerge – nel miglior modo e suffragata da una vera e propria montagna di esempi -
la complessità e la molteplicità delle prassi jazzistiche, spesso sacrificata da modelli
storiografici riduttivi e “progressivi”. Una complessità che la didattica del jazz – lascia
intendere l’autore – dovrebbe tenere più in conto.
Questo è un libro importante, che sintetizza anni di lavoro, senza per questo diventare
troppo ingombrante per chi lo legge. Esso rende sempre visibile la vasta rete di persone che
hanno contribuito ad arricchire le idee e le competenze di chi lo ha scritto.
È un libro da cui ci si sente “nutriti”, non solo per la poderosa quantità di stimoli e
d’informazioni che contiene, spesso di prima mano, e per l’intelligenza con cui le organizza, ma
anche perché si sente l’amore ed il rispetto per i suoni di cui si parla e per chi li ha prodotti.
Meglio: perché è frutto di una qualità dell’ascolto che viene prima dell’analisi e che non è mai
competitiva con la musica ed il suono.
Rispetto a molta tradizione pubblicistica sul jazz, questo è un libro che fa piazza pulita del
tipico “risentimento” dell’esperto del settore, che deve per forza affermare il jazz “contro”
I segreti del jazz di Stefano Zenni: una descrizione del libro 4
a cura di Claudio Vedovati
qualcos’altro e che usa il jazz come un oggetto su cui proiettarsi, per legittimarsi, per
configgere con la cultura a cui crede di non appartenere o con altri fantasmi. Questo è un
antico nodo della critica jazz che qui appare finalmente sciolto.
Chi legge il libro, inoltre, non incappa mai in un uso esibito e pretenzioso del linguaggio,
soprattutto quello tecnico musicale, cosa che evidentemente corrisponde anche alla qualità
umana di chi lo ha scritto.
Ci tengo che questo avvenga anche a Scuola e tra noi. Non vedo occasione migliore del libro di
Stefano
Claudio Vedovati
Stefano Zenni, I segreti del jazz. Una guida all’ascolto, Roma, Stampa Alternativa 2008
Gerhard Kubik, L’africa e il blues, Subbiaco, Fogli volanti, 2007 (traduzione a cura di G.
Adamo)
Vincenzo Caporaletti, I processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale,
Lucca, Libreria Musicale Italiana 2005
Samuel A. Floyd, The Power of Black Music: Interpreting Its History from Africa to
United States, New York, Oxford University Press, 1995 (di prossima traduzione italiana)