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* Testo della relazione tenuta a Costanza il 15 novembre 1997 nell’ambito della “4.
Internationale Tagung des Deutschen Italianistenverbands”; ringrazio il collega e ami-
co Karlheinz Stierle dell’Università di Costanza per l’invito e la squisita ospitalità.
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1. L. SPITZER, Note on the Poetic and the Empirical ‘I’ in Medieval Authors, «Tradi-
tio», IV (1946), pp. 414-22, poi raccolto in Romanische Literaturstudien 1936-1956,
Tübingen, Max Niemeyer Verlag 1959, pp. 100-12. Prima di Spitzer l’opposizione fra
personaggio e poeta era già stata abbozzata da G. Pascoli e da F. D’Ovidio nei suoi
vari volumi di Studi danteschi; si veda anche la postilla di M. Porena nel suo commen-
to al canto XXIII dell’Inferno (Bologna, Zanichelli 1956, pp. 215-6) dove però si ha il
torto di ridurre tutto al décalage temporale fra l’anno del viaggio fittizio e gli anni del-
la lunga elaborazione del poema.
2. Ch. S. SINGLETON, La poesia della Divina Commedia, trad. it., Bologna, Il Mulino
1978, pp. 16-35.
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Chi parla qui è l’autore della Vita Nuova, non l’autore reale ma
la sua immagine proiettata nel testo, cioè l’autore implicito al
quale sono affidate le sezioni liminari del libello (il proemio e
l’epilogo) e le tre digressioni, una per ogni parte in cui si divide
l’opera (quella del cap. XI sul significato del «saluto» di Beatri-
ce, quella del cap. XXV sull’uso della personificazione di Amo-
re, e quella infine del cap. XXIX sul valore simbolico del nume-
ro «nove»). Questa figura autoriale, istanza primaria che mette
in movimento l’intera macchina compositiva, e che scandisce le
tappe fondamentali della narrazione (inizio/fine e partizioni in-
terne), rappresenta la risultante di varie azioni scrittorie indicate
per mezzo della metafora del libro6: essa è il punto di approdo
delle istanze secondarie del polo emittente.
Se la Vita Nuova è la conseguenza dell’atto di «assemplare»,
di trascrivere il «libro de la memoria» nel «libello», e se l’auctor
del libello è la proiezione dell’Auctor del «libro de la memoria»,
cioè di Dio che scrive la vita dell’io, una tale trascrizione si svol-
ge secondo modalità diverse (può essere più fedele alla littera o
10. Per la presenza del romanzo cortese nella Commedia si veda M. PICONE, Dante e
la tradizione arturiana, «Romanische Forschungen», 94 (1982), pp. 1-18; A. PIOLETTI,
Il romanzo nella «Commedia», in AA.VV., Letture classensi 17, a cura di N. MINEO,
Ravenna, Longo 1988, pp. 87-111; D. DELCORNO BRANCA, Il «Roman de Lancelot» fra
Dante e Petrarca, ora in Tristano e Lancillotto in Italia. Studi di letteratura arturiana,
Ravenna, Longo 1998, pp. 143-54. Per i rapporti con la Rose la bibliografia è molto
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vasta, ma tocca principalmente il problema del Fiore e molto meno quello della Com-
media; si rinvia al recente The «Fiore» in Context: Dante, France, Tuscany, a cura di
Z.G. BARANSKI e P. BOYDE, Notre Dame, University of Notre Dame Press 1996.
11. Decisivo a questo proposito l’intervento di Ch. S. SINGLETON, Visuali retrospetti-
ve, in La poesia della Divina Commedia..., pp. 463-94.
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le. Pertanto, se i racconti inseriti sono statici (nel senso che av-
vengono durante una pausa del viaggio) e discontinui, il raccon-
to portante sviluppato dalla cornice viatoria è dinamico e conti-
nuo, segue una sua linearità che unisce l’inizio alla fine, al di là
delle spezzature rappresentate dagli incontri con le anime.
Un’altra distinzione importante da fare per quanto riguarda le
strategie narratoriali è quella fra racconto diegetico e rappresen-
tazione mimetica: il primo include il resoconto del viaggio e del-
la visione, oltre alle didascalie che accompagnano gli scambi dia-
logici, la seconda comprende invece i dialoghi con i personaggi
del racconto portante (Virgilio, ma anche Stazio, e poi Beatrice e
San Bernardo) e con le anime incontrate. Se la parte mimetica
richiama il genere teatrale (fornendo così una ragione formale
per la scelta del titolo Commedia), la parte diegetica richiama in-
vece il genere epico e quello romanzesco. Sul polo della ricezio-
ne l’impiego massiccio della mimesi sortisce l’effetto di avvicina-
re la fictio narrativa alla prospettiva del lettore, o meglio del nar-
ratario; è come se al narratario fosse concesso di assistere all’in-
contro del pellegrino con le anime. L’effetto di presenzialità, il
passato che rivive nel presente, è uno dei tratti più caratterizzan-
ti della narrazione della Commedia, e vien ottenuto con vari
mezzi retorici e stilistici, ad esempio con le descrizioni (il cui
tempo è il presente, contrapposto al passato e l’imperfetto della
diegesi pura) o con le comparazioni (che rendono familiari con-
tenuti lontani e strani).
Ben distinto dal ruolo del narratore che guarda verso il passa-
to della storia, è il ruolo dell’autore che si situa nel presente del-
la scrittura. Il primo è preoccupato del senso da attribuire al
racconto, il secondo invece del senso da elargire al discorso che
traghetta quel racconto. Dalla verità istoriale ricercata dal narra-
tore si passa alla verità allegorica e tipologica ricercata dall’auto-
re15. Il compito infatti dell’autore è quello di proiettare la fictio
narrativa, sviluppata dal narratore, sullo sfondo della veritas di-
vina, assorbita attraverso la visione facie ad faciem di Dio. I luo-
ghi testuali dove risuonerà la voce autoriale saranno soprattutto
quelli consueti della tradizione classica e romanza fino alla Vita
17. Inoltre nella Vita Nuova è l’io personaggio che non «intende» il resoconto «sotti-
le» fatto dallo «spirito peregrino» (la parte sprirituale dell’io protagonista dell’avven-
tura paradisiaca); nel Paradiso invece l’io narratore non riesce a trasmettere al pubbli-
co l’avventura celeste che ha vissuto anche col corpo.
18. D. ALIGHIERI, Epistola a Cangrande, a cura di E. CECCHINI, Firenze, Giunti 1995,
p. 30 (§ 83).
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non deve tenerlo per sé, ma deve farlo fruttare, metterlo in cir-
colazione, e quindi trasmetterlo agli altri affinché ne traggano
beneficio. Questa trasmissione del tesoro sapienziale avviene at-
traverso il canto, il racconto che si fa poesia. Dal libro metafori-
co della memoria, fonte del narrator, passiamo così al libro reale,
al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra».
La parola «canto» (v. 12) con la quale si sigilla la propositio
introduce naturalmente la parte successiva dell’invocatio a Apol-
lo, dove tutti gli sparsi riferimenti alla dimensione autoriale del-
l’io trovano la loro finale fissazione semantica (vv. 13-15). Non
cessa di sorprendere il lettore moderno il fatto che la cantica
della verità cristiana rivelata, il Paradiso, sia affidata alla diretta
ispirazione di una divinità pagana: il «buono Appollo». Che si
invocassero le Muse nel prologo dell’Inferno (II, 7-9) e Calliope
in quello del Purgatorio (I, 7-12), poteva essere comprensibile,
dato che quelle cantiche rimanevano ancora legate alla terra e al-
la storia; l’esperienza però affabulata nel Paradiso è divina e non
umana, ciò che fa sembrare l’armamentario retorico della cultu-
ra classica del tutto fuor di luogo. Perché allora Dante invoca
Apollo, il dio pagano del canto e il padre delle Muse? Forse per
ragioni di simmetria strutturale e di gradazione stilistica con le
altre cantiche? Non crediamo che queste possano essere motiva-
zioni sufficienti a spiegare l’inquietante alterità ideologica di
questa presenza mitologica in un contesto unicamente cristiano.
Tanto più che le allusioni al mito sono disseminate non solo in
questa sede proemiale (oltre a Apollo si citano in rapida succes-
sione il Parnaso, Marsia, Dafne, Delfo, Peneo e Cirra) ma anche
nel resto del canto e nell’intera cantica19. La girandola degli echi
della poesia classica deve rispondere a delle giustificazioni più
profonde, di tipo precisamente poetologico e macrostrutturale.
L’esigenza fondamentale sottostante alla composizione della
Commedia è quella di affermare la propria auctoritas poetica: ciò
19. Basti pensare che la prima azione compiuta dal pellegrino, il «trasumanar» (Par.
I, 70) viene descritta in termini di deificatio mitologica: Dante come Glauco; e che
l’ultima immagine del viaggio celeste, quella dell’«ombra d’Argo» (Par. XXXIII, 96),
raffigura Dante come un nuovo Argonauta. Ma si vedano ora gli Atti del Seminario di
Ascona Dante: mito e poesia, a cura di M. PICONE e T. CRIVELLI, Firenze, Franco Ce-
sati Editore 1999.
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20. Il sincretismo classico-cristiano si mostra del resto in modo esemplare nel diverso
valore semantico assunto dall’espressione, chiaramente marcata in senso religioso, vas
electionis: riferita propriamente a S. Paolo (cfr. Inf. II, 28), ma qui applicata al «vaso»
riempito dallo spirito apollineo della poesia (v. 14).