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ESPOSIZIONE E SVILUPPO

La coppia Diaframma - Otturatore: il rapporto di reciprocità

Diaframma ed Otturatore sono due parti della macchina fotografica


direttamente legati all’esposizione: al loro variare infatti si modifica la
quantità di luce ed il tempo (di scatto) che la luce stessa colpisce il sensore
fotografico. Nel dettaglio il tempo di scatto è tradizionalmente espresso in
secondi o in frazioni di secondo: 1/32000 s, 1/16000, 1/8000 s, 1/4000
s, 1/2000 s, 1/1000 s, 1/500 s, 1/250 s, 1/125 s, 1/60 s,1/30 s, 1/15 s, 1/8
s, 1/4 s, 1/2 s, 1 s. A questa scala si aggiungono valori maggiori di un
secondo (dipende molto dal produttore) fino a giungere al massimo di 30″.
Oltre questo valore, le reflex permettono anche di scattare in B
(Bulb : l’otturatore rimane aperto finché il fotografo tiene premuto il
pulsante di scatto) ed in T (l’otturatore rimane aperto fintanto che
l’operatore non preme nuovamente il pulsante di scatto).
Come accade per il Diaframma, anche in questo caso si segue una
standardizzazione sui tempi di scatto: il seguente deve essere sempre pari
al doppio o alla metà del predecessore (e la cosa è facilmente intuibile
leggendo la scala riportata sopra).
Ogni raddoppio o dimezzamento del tempo si chiama STOP (come anche
per l’apertura del diaframma). Il tempo di scatto incide direttamente sulla
fotografia finale: più la frazione di tempo è breve più l’immagine pare
fissa e momentanea ; più la frazione è lunga più il movimento verrà
registrato in modo meno netto e la foto presenterà l’effetto mosso.
I valori del diaframma, variano seguendo la legge diaframmale: f/1, f/1.4,
f/2, f/2.8, f/4, f/5.6, f/8, f/11, f/16, f/22 e f/32. Anche in questo caso ogni
passaggio è detto STOP e l’apertura di diaframma incide sulla fotografia
finale in termini di spazio focale : più alto è il valore diafframale maggiore
è la profondità di campo, viceversa più basso è il valore minore è la
distanza di messa a fuoco (frontale e posteriore).
Il rapporto che lega Diaframma e Otturatore è detto Rapporto di
Reciprocità : intensità e tempo di esposizione sono inversamente
proporzionali tra di loro. Raddoppiando uno dei parametri e dimezzando il
secondo, il risultato è immutato: esposizione = intensità luminosa x tempo.
Ciò significa che una volta definita la quantità di luce necessaria ad una
esposizione corretta (EV = Exposure Value), possiamo modificare il tempo
o il diaframma in modo tale che l’altro venga modificato all’opposto.
Ovvero, se raddoppio i tempi devo dimezzare il diaframma o viceversa se
dimezzo i tempi occorre che raddoppi il valore del diaframma. Per meglio
capire questo concetto, facciamo un esempio.
Supponiamo di voler riempire un recipiente (il sensore) con esattamente un
litro d’acqua (la luce richiesta, ovvero l’esposizione). Il nostro recipiente
ha una capienza di 10 litri (il sensore può catturare tantissima luce). Il
nostro rubinetto ha una determinata pressione (gli ISO, immaginiamo di
lavorare una fotocamera a rullino con cui tale valore rimane fisso) e vi si
possono collegare due tubi (corrispondenti a due differenti valori di
diaframma).
Due le vie percorribili per riempire il recipiente: possiamo usare il primo
tubo (supponiamo che sia grande il doppio del secondo) tenendo aperto il
rubinetto per un tempo di 10 secondi. Oppure possiamo usare il tubo più
piccolo, la cui portata è la metà dell’altro, tenendo aperto il rubinetto per
20 secondi. Quindi, modificando la dimensione del diaframma abbiamo di
conseguenza modificato il tempo necessario affinché arrivi nel recipiente
tutta l’acqua. Ecco spiegata la legge di reciprocità.
Ma c’è un’altra variabile che, per ora, non abbiamo considerato: la
pressione del rubinetto, ovvero il valore ISO. A seconda di quanto apriamo
il rubinetto (incrementiamo gli ISO), scenderà più o meno acqua nei tubi
(aumenta la pressione). La legge di reciprocità, nel contesto qui illustrato,
non tiene conto quindi della sensibilità del sensore o della pellicola MA si
applica ad ogni differente ISO.
Ricordiamoci sempre che il valore EV (il valore di esposizione) è sempre
riferito ad ISO 100: ogni qual vota salgo di ISO devo aumentare di uno
stop ovvero, nel caso del tempo, dimezzarlo. Nell’esempio del recipiente,
se raddoppio l’apertura del rubinetto impiegherò la metà del tempo per
riempire il recipiente stesso.
Tornando nel puro mondo fotografico, ecco un breve grafico che riporta
come variano tempi e diaframma proporzionalmente per non influire
sull’esposizione.

Vale sempre questa legge? La risposta è NO, almeno nell’ambito della


fotografia analogica: in taluni casi si incappa in quello che è definito
difetto di reciprocità.
Il difetto di reciprocità si manifesta quando si usano tempi di scatto molto
veloci o molto lenti, diciamo inferiori a 1/2000 o superiori a 1 o 2 secondi:
per raggiungere la corretta esposizione, l’emulsione (la parte fotosensibile
della pellicola, per intenderci) ha dei tempi di sviluppo specifici, definiti
normalmente su delle tabelle facilmente recuperabili sulle confezioni dei
rullini e/o dei chimici. Essere più veloci di questo tempo o troppo lenti
significa far lavorare “male” l’emulsione fotografica. Facciamo l’esempio
dei tempi di posa lunga: la pellicola è come se perdesse di sensibilità con
l’incrementarsi del tempo di posa. Per “correggere” questo problema è
quindi necessario aumentare ulteriormente il tempo di posa. Peccato che,
con il suo aumentare, ogni ulteriore step porta pochissimi benefici
(appunto perché si riduce ulteriormente la sensibilità). Ma non solo: una
esposizione lunga crea anche un problema cromatico e di contrasto sulla
fotografia, pertanto risulta fondamentale giunti a questo punto conoscere
accuratamente tutte le diverse fasi dei processi di sviluppo e stampa
fotografici e le varie accortezze che posso essere adottate al fine di
correggere eventuali difetti di esposizione (umani o meccanici che siano)
ed ottenere un prodotto finale che rispecchi le nostre aspettative.

Esponi per le ombre, sviluppa per le luci

Aumentare l’energia di sviluppo del negativo significa aumentarne il


contrasto. Significa che se una parte del negativo ha ricevuto più luce di
un altra ed aumentiamo l’energia dello sviluppo la parte che ha ricevuto
più luce si annerisce in misura maggiore di quella che ha ricevuto meno
luce. Ovvero la variazione di “annerimento” non è lineare, ma dipende dal
livello di esposizione e dall’energia dello sviluppo. Meno è l’esposizione
minore sarà la variazione di annerimento che una variazione dell’energia
dello sviluppo può produrre; maggiore è il livello di esposizione maggiore
è la variazione di annerimento che produce una variazione dell’energia
dello sviluppo.
Una fotografia é composta di parti più chiare e parti più scure: le parti più
scure sono tali perché ricevono una esposizione minore, le parti più chiare
sono tali perché ricevono una esposizione maggiore. Tanto più una parte
dell’immagine ha ricevuto luce, tanto più la sua variazione di densità
(ovvero il tono che assumerà sulla stampa) dipenderà dall’energia dello
sviluppo; viceversa tanto meno luce avrà ricevuto tanto meno il suo
annerimento dipenderà dallo sviluppo e quindi tanto più dipenderà dalla
sola esposizione.
La densità delle ombre nel negativo viene definita da quanta esposizione
hanno avuto in ripresa (e assai poco dallo sviluppo), la densità delle alte
luci al contrario viene influenzata in maggior parte da quanto sviluppo
viene dato alla pellicola.
Le ombre (le parti più trasparenti del negativo) si sviluppano nei primi 2-3
minuti di trattamento in soluzione dopo di che, anche aumentando in
maniera esagerata il tempo di sviluppo, non guadagneranno in densità in
maniera sostanziale. L’unico modo per aumentare la densità delle ombre è
quello di aumentare l’esposizione. Tanto meno luce avrà ricevuto tanto
meno il suo annerimento dipenderà dallo sviluppo (l’assenza di densità
corrisponde di fatto ad una limitata reazione dell’emulsione che viene
rapidamente eliminata dal rivelatore) e quindi tanto più dipenderà dalla
sola esposizione (difficilmente recuperabile anche in fase di stampa).
Al contrario l’azione del rivelatore sulle luci continua per tutto il tempo
che la pellicola rimane immersa nello sviluppo e, per ottenere un giusto
livello di contrasto, è necessario interrompere il trattamento nel momento
in cui le alte luci raggiungono una densità tale da poterci fornire un
negativo ben stampabile. Aumentando o diminuendo l'energia dello
sviluppo (aumentando il tempo di sviluppo, riducendo la diluizione del
rivelatore, aumentando la temperatura, ed in misura minore anche
aumentando l’agitazione) si è in grado di regolare la densità delle alte luci
e di fatto la pellicola non viene mai sviluppata fino in fondo.
Le alte luci possono anche essere corrette in fase di stampa entro limiti
abbastanza ampi (con conseguenze, sia chiaro) per cui "sviluppare per le
luci" è solo consigliabile. Il margine di correzione che invece abbiamo
nelle ombre è sempre assai ridotto, se non c'è sul negativo esposizione tale
da produrre densità sufficiente (sotto-esposizione) non esiste possibilità di
recupero. Per cui "esporre per le ombre" è necessario.
Dobbiamo quindi affrontare due problemi, come regolare l’esposizione
affinché la resa dei toni scuri sia quella che vogliamo e quanta energia dare
allo sviluppo del negativo in relazione alle condizioni di luce (ovvero a
quanto le alte luci siano esposte) ed a come vogliamo che esse siano rese
in stampa.

Il negativo si valuta dalle stampe che esso produce


Com'è un negativo adatto alla stampa? Un negativo è adatto alla stampa
quando produce su di essa il contrasto desiderato stampando con grado
medio e il giusto livello di dettaglio nei toni più scuri (è soggettivo) ed al
contempo, se lo si desidera e nella misura in cui lo si desidera, un "buon
nero" ed una densità dei toni chiari tale da non rendere necessari grandi
interventi di correzione in fase di stampa, pur mantenendo la desiderata
modulazione tonale ed il desiderato dettaglio. In termini tecnici un buon
negativo deve avere la giusta esposizione e il giusto contrasto. Ciò
significa dire che esso può essere stampato su un grado di contrasto medio
senza interventi di correzione e che la stampa che ne risulta ha a sua volta
il contrasto che desideriamo. È soggettivo e tecnico al contempo.
Il contrasto è dato dalla scena, dal negativo, dalla stampa e dalla carta.
Il contrasto della scena è la differenza di luminosità tra le parti chiare e
quelle scure di ciò che fotografiamo. Può essere misurato in stop o
semplicemente a occhio.
Il contrasto del negativo è la differenza tra le parti chiare di esso (le ombre
della stampa) e le parti scure (le luci della stampa); esso dipende dal
contrasto della scena e dall’energia con cui abbiamo sviluppato il negativo.
Idealmente dovremmo adattare il contrasto del negativo al contrasto della
scena, in pratica usare meno energia per sviluppare i negativi scattati in
scene ad alto contrasto e più energia per quelli scattati quando il contrasto
era basso. Il contrasto del negativo si può misurare sia con degli indici
(indice di contrasto, gamma) sia come differenza di densità. L’indice di
contrasto (I.E.) racconta con un numero quanto siano diverse come densità
due porzioni di negativo esposte in maniera diversa e nota, di più semplice
verifica ma altrettanto efficace risulta anche il cosiddetto sistema zonale,
per il quale è necessario tuttavia ricordare di tenere come riferimento la
sensibilità effettiva del negativo (S.E.) pari circa al 50% della sensibilità
dichiarata (I.E.) della pellicola.
Il contrasto della carta rappresenta invece la sua adattabilità al contrasto
del negativo. Se il negativo é contrastato, duro (o sovra-sviluppato), sarà
necessario usare in stampa una carta di contrasto basso o fare pesanti
interventi di correzione con mascherature e bruciature. Se il negativo è
poco contrastato, morbido (o sotto-sviluppato), sarà necessario usare in
stampa una carta di contrasto elevato.
Il contrasto della stampa sarà basso, alto o giusto. Giusto quando sia i toni
chiari che quelli scuri sono come e dove li volevamo, basso se i toni chiari
non sono abbastanza chiari e/o quelli scuri non sono abbastanza scuri; alto
se i toni scuri sono più scuri del desiderato e/o quelli chiari troppo chiari.
Ma sul contrasto della stampa è interessante anche ragionare in maniera
non ortodossa e meno intuitiva in “unità di superficie“, ovvero dire che
una stampa é dura perché le aree molto scure (oltre ad essere molto scure)
sono anche grandi e grandi sono anche quelle chiare (oltre ad essere molto
chiare) o é grande almeno una delle due, e dire che una stampa é morbida
perché i toni medi occupano tanto spazio mentre quelli più chiari e quelli
più scuri ne occupano poco.

Ma come si fa ad imparare dal negativo?

S’impara dai risultati che si ottengono in stampa!


Di fronte ad un negativo da stampare esistono 9 possibili casi:

1) Sotto-esposizione e sotto-sviluppo (- -)
2) Sotto-esposizione e sviluppo normale (- 0)
3) Sotto-esposizione e sovra-sviluppo (- +)

4) Esposizione corretta e sotto-sviluppo (0 -)


5) Esposizione corretta e sviluppo normale (0 0). Quello giusto!
6) Esposizione corretta e sovra-sviluppo (o +)

7) Sovra-esposizione e sotto-sviluppo (+ -)
8) Sovra-esposizione e sviluppo normale (+ 0)
9) Sovra-esposizione e sovra-sviluppo (+ +)

Ogni caso differisce per le modalità con cui si riesce a stampare


minimizzando i danni dovuti agli eventuali errori e quindi dalla tecnica di
stampa e dai risultati che si ottengono possiamo risalire a quali errori ci
sono nel negativo facendo sì da evitarli in futuro.

I casi da 1 a 3 sono caratterizzati dalla sotto-esposizione, ovvero da


un’insufficiente dettaglio nelle aree scure. Il difetto può manifestarsi anche
come “assenza di nero” (o densità sufficientemente elevate) quando nel
tentativo di stampare dei dettagli non stampabili si riduce l’esposizione
della carta rendendola di fatto insufficiente a produrre densità di stampa
sufficientemente elevate. In casi simili a nulla serve alzare il contrasto per
cercare “del nero”, se si ottiene “il nero” sparisce inevitabilmente il
dettaglio. Un altro modo per determinare che il negativo é sotto-esposto è
quando sulla stampa le aree scure sono più vaste (occupano più superficie)
del desiderato.
I casi da 4 a 6 sono caratterizzati dalla correttezza dell’esposizione, per
essi il dettaglio e la separazione tonale dei toni scuri sarà sempre ottimale,
sarà inoltre facile mantenere il dettaglio delle aree scure e
contemporaneamente avere un “buon nero”.

I casi da 7 a 9 sono caratterizzati dalla sovra-esposizione. Se la sovra-


esposizione é moderata con pellicole delle ultime generazioni di solito non
ci sono particolari problemi, solo al limite un leggero aumento della
visibilità della grana. Quando la sovra-esposizione invece si fa decisa, oltre
all’aumento della grana si può manifestare una perdita di modulazione e
micro-contrasto dei toni chiari (specialmente con rivelatori fortemente
compensatori).

I casi meno critici, in caso di errori di esposizione sono quindi quelli in cui
lo sviluppo un po’ compensa, ovvero sovra-sviluppo in caso di sotto-
esposizione e sotto-sviluppo in caso di sovra-esposizione. Sempre che gli
errori non siano consistenti!
È importante a questo punto notare che le valutazioni sono sì tecniche, ma
allo stesso tempo soggettive e che abbiamo finalmente formato “la catena”
ovvero reso interdipendente ogni fase del processo, dalla scelta
dell’esposizione fino alla stampa.

Dato che vorremmo esporre per le ombre ed imparare dal negativo,


l'analisi del provino scalare partirà dai toni scuri. La prima stampa di
verifica sarà quindi fatta su grado medio (2) con il tempo di esposizione
che ci darà i toni scuri che più si avvicinano a ciò che desideriamo.

Se le parti chiare sono troppo chiare vuol dire che il negativo ha contrasto
troppo alto, cioè è sovra-sviluppato e che dovrete usare un contrasto più
basso. Se le parti chiare sono troppo scure vuol dire che il negativo ha
contrasto troppo basso, cioè è sotto-sviluppato e che dovrete usare un
contrasto più alto. 


Rifare provini scalari finché non otterrete (con lo stesso tempo di


esposizione) sia i giusti toni scuri che i giusti toni chiari.

Se il negativo è sotto-esposto non si riescono ad avere sufficienti dettagli


nei toni scuri ed un buon "nero" allo stesso tempo e/o l'estensione delle
aree scure è più vasta del desiderato. 

La sovra-esposizione è un po' più difficile da "vedere" sulla stampa perché
facilmente si corregge aumentando a sua volta l'esposizione di stampa. La
sovra-esposizione produce una densità non utile, ovvero è possibile ridurre
l'esposizione della stampa ed avere ancora un buon nero mentre le aree
scure si riducono per dimensione e risultano troppo piccole. Osservando il
negativo invece si nota la presenza di densità anche in aree prive di
dettagli, come un velo grigino su tutto il fotogramma. Se la sovra-
esposizione è leggera nella maggioranza dei casi non produce danni. Se è
marcata può produrre un aumento della grana nei toni chiari ed
eventualmente una compressione di essi, ovvero scarso micro-contrasto e
modulazione, specialmente se si è usato uno sviluppo compensatore.

Se il sovra-sviluppo è accoppiato alla sottoesposizione il contrasto


potrebbe anche essere normale (ma con i problemi della sottoesposizione),

Se il sottosviluppo si accoppia ad una sovra-esposizione il contrasto
risultante potrebbe anche essere normale, ma i toni scuri dell'immagine
non avrebbero abbastanza "peso". Se è blando non è un errore grave. È in
ogni modo preferibile un leggero sotto-sviluppo ad un leggero sovra-
sviluppo.
Regolazione dello sviluppo
Per regolare lo sviluppo dobbiamo intervenire sulla sua energia,
riducendola od aumentandola alla bisogna.

Perché uso il termine energia? Perché con esso posso riferirmi
indifferentemente al tempo di sviluppo (se do più tempo, do più energia),
alla diluizione (se uso una concentrazione maggiore, do più energia), alla
temperatura (più è alta più energia do), ed in misura minore anche
all'agitazione (più agito, più do energia).
Tra le varie opzioni è quasi sempre preferibile intervenire sul tempo.

Intervenire sulla temperatura, nel range tollerato (18-24° C) è
particolarmente rognoso, spesso non da margine sufficiente e a volte
produce anche risultati strani poiché non tutti i componenti del rivelatore
cambiano la loro attività nello stesso modo al variare della temperatura.

Intervenire sulla diluizione produce variazioni di aspetto dell'immagine più
marcate del cambio del tempo, come aumento eccessivo della grana
all'aumentare della concentrazione, o effetti di compensazione inattesi alle
alte diluizioni, può cambiare anche l'effetto bordo, etc.

Variare l'agitazione non da margine di manovra sufficiente e produce una
variazione di densità maggiormente localizzata nelle sole alte luci; variare
l'agitazione è un controllo di rifinitura.
Esporre per le ombre
L'esposimetro non ci dice come esporre, ci dice solo che se facciamo come
dice lui, quello che misuriamo in luce riflessa verrà grossomodo reso come
un grigio al 18% (o se misuriamo in luce incidente che le cose presenti in
una scena che sono al 18% verranno grossomodo al 18%).

Ma il grigio medio non è abbastanza scuro da non essere influenzato dallo
sviluppo (quindi cambia a seconda del tempo di sviluppo) e se misuriamo
un tono medio l'errore (la sotto-esposizione) aumenta all'aumentare del
contrasto.
E’ preferibile non esporre sul grigio medio perché, ammesso di trovarlo
nella scena ripresa e regolarci sopra l’esposizione, sempre ammettendo che
la sensibilità impostata e lo sviluppo scelto producano sul negativo una
densità adeguata per far venire un grigio “medio” anche in stampa, non
sappiamo quanta differenza c’é tra quel grigio “medio” su cui abbiamo
regolato l’esposizione e le parti più scure dell’immagine.

Se la differenza di luminosità tra il grigio “medio” e le parti più scure è


moderata le parti più scure verranno (probabilmente) ben registrate
(esposte) poiché rientrano nella “latitudine di posa“, se invece la differenza
è consistente l’errore sarà una sotto-esposizione anche essa consistente. In
pratica, più è alto il contrasto più è alto l’errore.

Il grigio medio è instabile perché, come già detto, NON é un tono


abbastanza scuro da non essere influenzato dallo sviluppo, cioè varierà a
seconda di come viene sviluppato il negativo ed inoltre, sempre perché
NON è abbastanza scuro é anche un tono su cui si può intervenire
abbastanza in fase di stampa.

A questo punto però si presenta un problema. L'Indice di Esposizione (I.E.)


che essendo regolato sul grigio medio e sullo sviluppo e quindi variabile ci
porterebbe in errore.

In pratica l’I.E. è una sensibilità a cui può essere esposta la pellicola


perché in certe condizioni di sviluppo e stampa (anche approfittando un
po’ della variabilità della stampa) il risultato é quello di produrre un grigio
medio dove si sia misurato un grigio medio, ma nulla di più o quasi (i
fabbricanti seri associano allo sviluppo un indice di contrasto, cioè una
indicazione sulla latitudine di posa “potenziale”, quella reale dipende
anche dalla stampa).

Dobbiamo quindi passare ad usare la S.E (Sensibilità Effettiva).


La Sensibilità Effettiva non è riferita al grigio medio, ma alla soglia, al
livello minimo di esposizione in cui la pellicola comincia a reagire alla
luce e produrre una densità significativa.

È un tono talmente scuro da essere (quasi) completamente invariante
rispetto alle variazioni del tempo di sviluppo e può essere usato come
riferimento sicuro.
Una definizione della sensibilità effettiva è questa: la Sensibilità Effettiva
e quel numero ISO che va impostato su un esposimetro (in luce riflessa al
18%) affinché in corrispondenza di una sotto- esposizione di 4 stop
rispetto al valore di esposizione suggerito si verifichi il minimo
annerimento significativo. (Corrisponde quindi alla zona I)
La Sensibilità Effettiva va verificata in ogni singola catena, perché DEVE
realmente essere in grado di produrre il minimo annerimento significativo
(cioè utilizzabile) nella catena di chi poi la usa. Questo minimo
annerimento significativo vale circa 0.10 valori densitometrici sopra il velo
(1/3 di stop più scuro della base della pellicola) ed è l'annerimento minimo
in grado di essere visibile come "non nero" su una stampa fatta in modo da
produrre "il nero" in corrispondenza della base della pellicola con il
minimo tempo di esposizione possibile. Vale a dire che ognuno può
stabilire la sua sensibilità effettiva nella sua catena. In pratica si produce
una serie di negativi sottoesposti di 4 stop (fotografando un oggetto di
colore neutro ed uniformemente illuminato) variando gli ISO, poi si
sviluppano e poi si stampano. Facendo il provino scalare su un pezzo di
negativo non esposto ed usando come tempo di esposizione il tempo
minimo che produca il nero.
Il tempo minimo è quello in corrispondenza della striscetta del provino
scalare che ha un solo lato visibile (per tempi superiori è tutto nero nello
stesso modo). Un buon modo per vedere bene come si comporta la catena
con le densità minime è quello fare le stampe di verifica stampando parte
dei negativi a -4 e una parte trasparente insieme (tra un fotogramma e
l'altro). La parte trasparente riceverà la minima esposizione per il nero,
quella a -4 ci dirà quale è la sensibilità effettiva quando sulla stampa così
fatta la sua densità sarà appena appena visibile come un "quasi nero".
Grossomodo (per le pellicole negative) la sensibilità effettiva è circa la
metà dell'I.E. (rispetto a I.E. nominale circa -1stop (200ISO) per pellicole
fino a 400ISO e -2stop (800ISO) per pellicole 3200ISO). Quindi
dimezzando il dato scritto sulla scatolina ci si avvicina parecchio ed in
pratica, quando si espone per le ombre, il risultato va bene quasi sempre.
Esporre basandosi su I.E. è a tutti gli effetti un tiraggio.
Tiraggio = sotto-esposizione + sovra-sviluppo = contrasto del negativo alto
= perdita di dettaglio nei toni scuri e riduzione della latitudine di posa
= negativo non adatto a riprendere scene di alto contrasto.

L'unica cosa che in questo frangente rimane "stabile" (si fa per dire) è il
grigio medio che quindi è l'I.E. su cui BISOGNA necessariamente esporre
perché la riduzione della latitudine di posa non permette altro, se espongo
per un altro tono non verrà come ci si aspetta.
L'errore è prendere come riferimento l'I.E. ed i tempi di sviluppo associati.
La "logica della media" si annida li.
Sviluppare per le luci
La latitudine di posa cambia cambiando il tempo di sviluppo, aumenta se
lo diminuisci, diminuisce se l'aumenti, ma (esponendo per le ombre con la
sensibilità effettiva) il cambiamento dello sviluppo non interferisce con la
sensibilità. Cioè gli ISO da usare saranno sempre quelli, così come sempre
quella sarà la tecnica di esposizione.
Maggiori dettagli nei toni chiari si ottengono riducendo il tempo di
sviluppo (cioè aumentando la latitudine di posa), ma non c'entra nulla con
la sensibilità effettiva (che quella è) o con come si espongono le ombre;
ombre che anch'esse devono essere esposte sempre allo stesso modo.

Si sviluppa a seconda del contrasto della scena, l'idea di variare lo
sviluppo a seconda degli ISO impostati è parte della "logica della media".
Per registrare bene una scena che ha alto contrasto è necessario avere una
estesa latitudine di posa; viceversa per poter stampare bene una scena a
basso contrasto è preferibile lavorare con una latitudine di posa ridotta.


Perché due termini diversi: registrare e stampare? Perché una scena ad alto
contrasto supera facilmente i limiti di registrazione della pellicola
(latitudine di posa) e/o del sistema di stampa se non si effettuano
correzioni riducendo il tempo di sviluppo, mentre viceversa una scena a
basso contrasto rientra sicuramente nelle possibilità di registrazione della
pellicola dato che rientra facilmente nella latitudine di posa, ma potrebbe
(raramente, perché in stampa c'è margine) produrre negativi troppo
morbidi per una stampa ottimale. E' quindi necessario non esagerare con lo
sviluppo, far sì che anche gli scatti ad alto contrasto rientrino abbastanza
bene nella latitudine del sistema (includendo la stampa). Questo perché in
stampa è molto più facile e da quasi sempre risultati migliori alzare un po'
il contrasto piuttosto che ridurlo, ovvero meglio avere negativi morbidi
invece che duri.
Lavorando sulle ombre non vanno associati i tempi di sviluppo agli ISO,
ma solo alla latitudine di posa, gli ISO saranno quelli della sensibilità
effettiva che non cambia cambiando lo sviluppo.

Se io uso un I.E. invece della sensibilità effettiva non posso sapere con
certezza come verranno resi i toni scuri e quindi non posso esporre per le
ombre, proprio perché l'I.E. è stabilito in base ad una grandezza variabile,
il grigio medio (che è l'unico tono "garantito"), mentre il dettaglio e la resa
dei toni scuri non dipendono da questa grandezza variabile, ma solo dalla
sensibilità effettiva.
L'I.E. è variabile perché variabile è il grigio medio in conseguenza dello
sviluppo e quindi si può scegliere (entro certi limiti), ma scegliendo un I.E.
si ha come conseguenza una una certa latitudine di posa che NON si può
scegliere (se non cambiando l'I.E.).

La sensibilità effettiva invece non si sceglie, è quella, ma usandola si può
scegliere la latitudine di posa variando lo sviluppo a piacere.

In altre parole invece che lavorare con tre riferimenti mobili (ombre, luci e
grigio medio) e non determinati in maniera certa si lavora con un estremo
fisso (le ombre) dovuto alla sensibilità effettiva e quindi "certo" ed uno
mobile (le luci) che cambiano con lo sviluppo e del grigio medio, che tanto
si può modificare in stampa a piacimento, non ci si cura affatto (o quasi).
Trovare i tempi di sviluppo (specifici per la nostra catena, per ottenere
diverse latitudini di posa e da accoppiare a scene a diverso contrasto) ed

Esporre (basandosi su S.E.) 3 o più soggetti a basso medio e alto contrasto
su 3 rulli facendo bracketing da +2 a -2
Svilupparli a circa 50% 75% 100% del tempo suggerito.

In genere le pellicole più sensibili hanno bisogno di variazioni di tempo
più consistenti di quelle a bassa sensibilità; le T-grain di solito reagiscono a
variazioni di tempo più brevi.

Stampare tenendo fisso il grado 2 e regolando l'esposizione per avere il
maggior dettaglio possibile nei toni scuri mantenendo
contemporaneamente un "buon nero".
Se i negativi più morbidi producono comunque stampe ancora dure nella
situazione di alto contrasto sarà necessario ridurre ancora il tempo di
sviluppo più breve, così come sarà necessario aumentare ancora il tempo
più lungo se il contrasto ottenuto dalle foto scattate in situazione di basso
contrasto non è sufficiente.
Un secondo set di stampe da fare è quello "degli errori" ovvero delle
correzioni che è necessario apportare stampando i negativi non ottimali per
rendere le stampe più simili possibile a quelle ottenute dai negativi che
hanno dato i risultati ottimali. Da questo lavorio si impara sicuramente a
giudicare i negativi.
Consigli pratici
Sviluppate la carta a fondo e agitate bene.
La carta deve poter essere bagnata in breve tempo e restare bene immersa.
Orientativamente un tempo medio di sviluppo è di circa 10 volte il tempo
di comparsa (chiaramente si può variare, diciamo tra 4 e 20 volte, sempre
orientativamente). Questo significa che dovreste sempre usare lo sviluppo
fattoriale cioè cronometrare tutte le volte il tempo che l’immagine impiega
per iniziare ad apparire e moltiplicarlo per 10 (od altro fattore adatto).
Alcune carte non producono buoni “neri” se non sviluppate molto a fondo,
altre danno “neri” adeguati già con 4 volte il tempo di comparsa per cui il
tempo di sviluppo risultante è assai variabile e relativo.
Di solito una sovra-esposizione leggera non è un errore che ha
conseguenze, in quanto risulta più facilmente recuperabile.
Con una sovra-esposizione invece non si riescono ad avere sufficienti
dettagli nei toni scuri ed un buon “nero” allo stesso tempo e/o l’estensione
delle aree scure è più vasta del desiderato.

Per valutare la stampa usate una luce adatta. La luce DEVE essere debole
ed assolutamente non diffusa. I vari neon, le lampade a basso consumo, le
lampade opaline NON vanno bene. L’ideale è una lampada a filamento di
bassissima potenza (20w max) che proietti sulla carta una luce radente. È
utile che abbia un dimmer. La stampa NON si osserva nella bacinella, ma
ben messa di fronte a voi e senza acqua e gocce sopra, l’acqua in eccesso
va rimossa con una racletta.
Una volta trovato il tempo di esposizione adatto ai toni scuri si presentano
tre casi:

1) Le parti chiare sono troppo chiare (vuol dire che il negativo é sovra-
sviluppato) e che dovrete usare un contrasto più basso. Usare un
contrasto più basso significa rifare provini scalari su contrasti via, via
più bassi finché non otterrete CON LO STESSO TEMPO DI
ESPOSIZIONE sia i giusti toni scuri che i giusti toni chiari.
Naturalmente, più il contrasto che userete é basso più è marcato il
sovra-sviluppo del negativo. Il sovra-sviluppo è un errore comune,
anche perché spessissimo i tempi di sviluppo suggeriti sono esagerati.

2) Le parti chiare sono troppo scure (vuol dire che il negativo é sotto-
sviluppato) e che dovrete usare un contrasto più alto. La procedura è la
stessa che al caso 1, cambia solo il contrasto.

3) Va bene come viene sul grado 2. Esposizione e sviluppo sono centrati.

Una volta centrati esposizione e contrasto vi divertirete ad “interpretare”


l’immagine con mascherature, bruciature, etc. variando tempi o intensità di
esposizione in modo localizzato.

Se vi trovate a stampare tra il grado 1 ed il grado 3 (uno in meno ed uno in


più del normale) e con i toni scuri di vostro gradimento tutto il processo è
piuttosto ben centrato.

Nota Bene

Mai scendere sotto 4'00'' di sviluppo.

Bagni brevi (influiscono negativamente sulla grana)

Valutare il contrasto della scena


Guardare sempre l'aria, se è tersa il contrasto sarà decisamente più alto di
quando c'è umidità o foschia... tendenzialmente basso se c'è nebbia.

La posizione della sorgente luminosa: se è alle spalle del fotografo ovvero
illumina il soggetto frontalmente il contrasto è tendenzialmente basso; se è
laterale è più alto, in controluce è molto alto.
Le caratteristiche delle fonti di luce: se le luci sono "puntiformi" il
contrasto è molto alto. È la situazione di quando ci sono le luci artificiali,
in esterni o interni o quanto siano potenti (ovvero se ci sia tanta o poca
luce) NON conta: il contrasto è molto alto comunque. Mano a mano che la
fonte di luce è più diffusa il contrasto scende.
Il cielo. Se è coperto (anche parzialmente), e si inquadra sia il cielo che "la
terra" il contrasto è più alto di quando il cielo è sereno. Mentre se NON si
inquadra il cielo, ma solo soggetti a terra, illuminati da un cielo coperto il
contrasto è più basso di quando i soggetti sono direttamente illuminati dal
sole.
I "buchi": inquadrare un interno o da un interno (casa, tunnel, grotta, sotto-
passo, etc.) e riprendere sia il dentro che il fuori crea sempre una
situazione di contrasto ALTISSIMO. Probabilmente non c'è nulla di più
"rognoso" tanto che è necessario l'uso del flash.
Gamma dinamica: si estende da ciò che è scurissimo, ma non nero pieno
(zona I in stampa) a ciò che è quasi bianco come la base della carta (zona
IX). Rappresenta proprio i limiti del sistema, tutto ciò che è più scuro sarà
nero pieno, tutto cioè che è più chiaro sarà bianco.

Gamma superficiale: comprende i limiti di ciò che è reso in stampa con
trama e dettaglio, ovvero dettaglio pieno. In zone va dalla III alla VII. È
entro la gamma superficiale che tutto ciò che vorremmo reso con dettaglio
pieno deve rientrare.
In stop: quindi esponendo per la S.E. avremo un limite FISSO di sotto-
esposizione in cui si registra ancora pieno dettaglio in corrispondenza di
una sotto-esposizione di 2 stop (-2; zona III). È il tono più scuro in cui
ancora si distinguono bene i dettagli e si distinguono tutti. È il punto in cui
è più pratico prendere l'esposizione perché facilmente visualizzabile. In
pratica si cerca nella scena questa area molto, molto scura, ma che si
vorrebbe leggibile, si misura e si sotto-espone di 2 stop (sempre usando la
S.E.).
A -3 stop (zona II) il dettaglio registrato è parziale, sostanzialmente si
capisce bene solo la forma degli oggetti, ma poco di più. Questo è un buon
riferimento dove prendere l’esposizione; è più difficile da visualizzare, ma
è un po' più preciso della zona III, proprio perché è più scuro. Nel caso si
voglia esporre per le ombre più scure, quasi nere, si punta lì l'esposimetro
e si sotto-espone di 3 stop.

Il contrasto in stop
E’ usualmente definito normale un contrasto che vada da -2 a +2 stop (5
stop in totale) per le aree che si vogliano con pieno dettaglio (Gamma
superficiale - zone da III a VII). È stato chiamato "normale" perché NON
c'è differenza tra ciò che legge l'esposimetro e come verrà reso in stampa.
Quindi...
In fase di esposizione bisogna curarsi SOLO dei toni più scuri, per avere
dettagli nelle ombre fin dove i desidera.

Si imposta la sensibilità dell'esposimetro alla sensibilità effettiva e si
effettua la lettura esposimetrica sulla zona scura che vogliamo contenga il
minimo livello di dettagli nella stampa finale e quindi si fa in modo che
questa area/valore tonale risulti in zona II (esponendo 3 stop meno di
quanto indicato dalla lettura dell'esposimetro dato che questo è tarato sul
grigio medio/zona V), nel caso la scena contenga aree scure che vogliamo
tutte con un buon livello di dettaglio le metteremo in zona III
'sottoesponendo' solo 2 stop.
Per i toni chiari si prende (eventualmente) solo nota di quanto sono chiari e
si interviene successivamente in fase di sviluppo per regolare le luci (scelta
dell'energia e quindi della latitudine di posa) in base al contrasto che aveva
la scena (la differenza di luminosità tra le parti chiare e quelle scure di ciò
che fotografiamo), in modo da avere un negativo dal contrasto tale che lo
renda facilmente stampabile e adattabile alle proprie esigenze creative/
interpretative.

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