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Aristotele

Metafisica A
Commento ai capitoli 1-3

Renato Curreli
docente di Filosofia e Storia
Liceo G. Siotto Pintor - Cagliari
Aristotele: presunto ritratto giovanile (GettyImages)
Ἀριστοτέλης
(Στάγειρος, 384-83 – Χαλκίς, 322 a.C.)

Τὰ μετὰ τὰ φυσικά Α
Introduzione
 I due libri alpha

• La Metafisica 1 è un testo che Aristotele non ha mai scritto nella


veste in cui è stato tramandato e ci è pervenuto.

• L’opera, che riunisce una serie di libri aventi come tema comune la
ricerca delle cause prime dell’ente, è in realtà il risultato di una
operazione editoriale che, forse iniziatasi dopo la morte di Aristotele2,
ha trovato una sistemazione definitiva nell’edizione che Andronico di
Rodi (I secolo a.C.) fece di tutto il corpus aristotelicum.

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1 La parola Metafisica deriva dall’espressione Μετά τα φυσικά che può essere interpretata come dopo i libri
di fisica o anche oltre le cose fisiche.
2 Esichio di Mileto (V-VI sec. d.C.) cita nell’Onomatologos una edizione della Metafisica in 10 libri, forse

precedente a quella curata da Andronico. Si ritiene che la fonte di Esichio sia Ermippo, bibliotecario
alessandrino, oppure lo scolarca peripatetico Aristone di Ceo, entrambi attivi nel III sec. a.C.
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• L’edizione di Andronico della Metafisica consta di 14 libri, di cui i
primi due sono denominati entrambi con la lettera alpha, sebbene si
indichi il primo con la maiuscola (A) e il secondo con la minuscola (α).

• Non sono chiari i motivi per cui questi due libri siano numerati con la
stessa lettera. È probabile che Andronico non fosse convinto
dell’autenticità di uno dei due, per quanto non siamo in grado di
capire quale.

• La scelta del maiuscolo o del minuscolo pare non abbia connessione


con l’autenticità o meno, ma che si riferisca piuttosto alla differente
ampiezza dei due libri.

• Il Libro A, composto di dieci capitoli, fu quindi chiamato Ἄλφα


μείζον (più grande) mentre quello α, formato da tre soli capitoli, fu
detto ἄλφα ἔλαττον (più piccolo, minore).
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• Entrambi i libri appartengono al periodo accademico di Aristotele. In
particolare nel Libro A (Ἄλφα μείζον) vi sono dei passi in cui
Aristotele usa la prima persona plurale per accomunarsi ai platonici,
per quanto questo non significhi che ne condivida le tesi, ponendosi
anzi in una posizione di aperta e spesso dura critica nei loro confronti.

• Ciò potrebbe significare che nell’Accademia platonica non solo


venisse tollerato il dissenso ma che, anzi, fosse addirittura
incoraggiato: solo l’aperto confronto di posizioni differenti nel
contesto di un dialogo acceso ma rispettoso avrebbe potuto
garantire una autentica ricerca della verità scientifica.

• Che i libri alpha siano antichi è avvalorato anche dal fatto che in essi
vi sono echi delle tematiche affrontate da Aristotele nelle opere
pubblicate, Protreptico e Sulla Filosofia in particolare, testi che
sicuramente risalgono agli anni della permanenza del filosofo
nell’Accademia.
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 Conoscere è sapere le cause

• Il libro A solleva il problema della forma di conoscenza che costituirà


l’oggetto di indagine di tutto il trattato: la Filosofia prima (πρώτη
φιλοσοφία). 1

• Per il momento, nel libro A questa forma di conoscenza è chiamata


ancora tradizionalmente e genericamente sapienza (σοφία), ma è
chiaro che con tale termine si intende la scienza più elevata, quella
che è in grado di conoscere le cause che determinano quel che è a
essere ciò che è.
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campo di studio della filosofia prima sarà poi determinato con precisione nel libro Γ, dove è detto che
1 Il

essa tratta dell’ente in quanto ente (τὸ ὂν ᾗ ὄν): «Esiste una certa scienza, la quale conosce teoreticamente il
τὸ ὂν ᾗ ὄν e gli attributi che gli appartengono di per sé stesso.» (Metaph. Γ 1, 1003 a 21)
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Il libro A della Metafisica

 L’aspirazione a conoscere

Tutti gli esseri umani (πάντες ἄνθρωποι) per natura desiderano sapere.
Metaph. A 1, 980 a 21

• Tutti gli uomini e le donne aspirano al sapere: è una tendenza o


propensione che proviene direttamente dalla loro natura (φύσις).

• Prova di ciò è l’amore per le SENSAZIONI, per quelle VISIVE in


particolare, a prescindere dalla loro utilità.

• Ma per quanto le sensazioni visive siano particolarmente amate, non


va trascurato il ruolo svolto nel processo di apprendimento
dall’UDITO.
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• Quanto le sensazioni uditive siano decisive in rapporto all’intelligenza
e alla conoscenza lo troveremo ribadito in un passo del Περὶ
αἰσθήσεως καὶ αἰσθητῶν (Del senso e dei sensibili):

[…] l’udito contribuisce in moltissima parte all’intelligenza, perché il


discorso è causa di istruzione, in quanto è udito […] infatti è formato
di parole e ogni parola è un simbolo.1
De sensu I, 436 b 10-15

 Sensazione, memoria, immaginazione e apprendimento

• Questo preludio individua pertanto un solido punto di partenza


dell’analisi: la conoscenza inizia dalle SENSAZIONI (αἴσθησις, da
αἰσθάνομαι, sento, ho sensazione, percepisco).

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1 Ossia, ogni parola è significante e come tale condensa in sé un universo di significati.
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• Dalle sensazioni – che anche gli animali sono in grado di provare – si
sviluppa la MEMORIA (μνήμη).

• Per quanto ogni animale sia in grado di provare sensazioni, non in


tutti però si origina una «persistenza dell’impressione sensoriale»1
che determina la memoria.

• Gli animali che possiedono anche memoria sono più intelligenti di


quelli che non la possiedono.

• Quelli che poi hanno il senso dell’UDITO, oltre a essere più


intelligenti, hanno anche CAPACITÀ di APPRENDERE.

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1 Anal. post. II 19, 99 b 35 8
• “Intelligenti” è traduzione di φρόνιμα, termine che si può rendere
anche con “saggi”, ossia capaci di considerare bene le cose che li
riguardano.

[È] proprio del saggio essere capace di ben deliberare su ciò che è
buono e vantaggioso per lui.
Perciò anche alcuni animali si dice che siano saggi, se mostrano
chiaramente di avere una capacità di previsione rispetto alla propria
vita.
Eth. Nic. V, 1140 a 25; VII, 1141 a 26

• Si discute su quale sia la traduzione più fedele, però in questa


sede è sufficiente mettere a confronto le due possibilità implicate
dal termine.

• Un altro aspetto che caratterizza l’animale in generale è la φαντασία,

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l’immaginazione, ossia la capacità di recepire e produrre immagini. 1

Ricordo e immaginazione sono entrambi elementi che caratterizzano


l’intelligenza animale.
• Quindi, riepilogando, abbiamo il seguente quadro delle capacità che
gli animali e gli esseri umani hanno in comune:
SENSAZIONE – MEMORIA – IMMAGINAZIONE – INTELLIGENZA –
APPRENSIONE.
 L’esperienza, le tecniche e il ragionamento
[…] dalla sensazione si sviluppa ciò che chiamiamo ricordo, dal ricordo
ripetuto di un medesimo oggetto nasce l’esperienza.
Anal. post. II 19, 100 a 4

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1 « L’immaginazione è ciò per cui diciamo che sorge in noi l’immagine» (De anim. III 3, 428 a 1). Nello
stesso testo Aristotele preciserà che non tutti gli animali godono dell’immaginazione, come per esempio la
formica, l’ape o il verme (cfr. ibidem, 10-25).
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• Aristotele sostiene che gli animali vivono di immaginazione e di
ricordi, ma partecipano poco dell’ESPERIENZA (ἑμπειρία).

• Certi animali sono in grado – come sappiamo – di conservare


memoria persistente delle sensazioni.

• Essi, dunque, in una modalità intuitiva e inconsapevole partecipano


di una forma di esperienza.

• L’essere umano è però in grado di ricavare dall’esperienza l’universale


(καϑόλου), ossia di pervenire alla conoscenza concettuale e
linguisticamente categorizzata:
[…] poiché si percepisce l’oggetto singolo, ma la sensazione si rivolge
all’universale, per esempio all’uomo, non già all’uomo Callia.
Ibidem, 100 a 18

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• Dalla memoria si genera l’ESPERIENZA, ma solo nell’uomo l’esperienza
conduce all’UNIVERSALE.

• Infatti, per giungere all’universale è necessario possedere l’anima razionale


e le sue superiori funzioni conoscitive.

 Esperienza, arte, scienza

• Dice Polo di Agrigento (V-IV sec. a.C.), allievo di Gorgia:

[…] l’esperienza ha prodotto l’arte (τέχνη), l’inesperienza il caso (τύχη).


( In Metaph. A 1, 981 a 4-5; cfr. Platone, Gorg. 448 C)

• Aristotele concorda con lui e spiega che l’arte (la tecnica), ma anche
la scienza (ἑπιστήμη), provengono dall’esperienza.
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L’arte nasce qualora da molte conoscenze dell’esperienza si generi un’
unica assunzione universale intorno ai casi simili. Infatti l’assumere che
questa determinata cosa ha giovato a Callia, ammalato di questa
determinata malattia, e <che ha giovato> a Socrate, e così a molti altri
considerati individualmente, è proprio dell’esperienza. Invece
<l’assumere> che essa ha giovato a tutti gli individui di un certo tipo,
definiti secondo un’unica specie, ammalati di questa determinata
malattia, per esempio ai flemmatici o ai biliosi1, quando bruciano di
febbre, è proprio dell’arte.
Metaph. A 1, 981 a 10-15

• L’esperienza si ferma alla constatazione del che (ὃτι), mentre l’arte –


e qui come esempio di arte viene addotto quello della medicina –
individua il perché (διότι).
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1 Secondo la teoria ippocratica il corpo è governato da quattro umori: sangue, bile gialla, bile nera, flegma. Il
loro equilibrio determina la salute (crasi) mentre lo squilibrio conduce alla malattia. Il flemmatico può
soffrire di muco e catarri, mentre il bilioso può soffrire al fegato ( bile gialla) o alla milza (nera).
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• È vero che talvolta le persone che hanno una certa pratica riescono
ad affrontare un particolare problema con maggiore successo di un
qualificato esperto, questo però accade perché all’esperto è sfuggita
la specificità del caso singolo.

• Ecco perché il rimedio della nonna può talvolta guarire il mal di


pancia di Callia, mentre quello prescritto dal medico esperto – che
però non ha studiato per bene le caratteristiche individuali di Callia –
può non conseguire gli effetti che la TEORIA medica faceva
prevedere.

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Tuttavia riteniamo che il sapere e l’intendersene siano propri della τέχνη più
che dell’ ἐμπειρία1 e consideriamo i possessori dell’arte più sapienti di coloro
che hanno esperienza (sc. “una certa pratica”) ritenendo che la sapienza consegua
maggiormente a ciascuno secondo il <livello del suo> sapere; questo <succede>
perché gli uni sanno la causa, mentre gli altri no.
Infatti coloro che hanno una certa pratica sanno il che ma non sanno il perché;
gli altri invece conoscono il perché e la causa (αἰτία).
Ibidem 24-31

• Coloro che sanno sono tali perché conoscono la ragione (λόγος) delle
cose e le loro cause.

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1 Possibili traduzioni di ἐμπειρία:
1. esperienza;
2. cognizione acquistata con l'esperienza, perizia, destrezza, abilità;
3. pratica
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• L’argomentazione svolta porta Aristotele a due considerazioni:

1) Chi sa è in grado di insegnare.


La padronanza di una tecnica implica che si conoscano i principi
teorici su cui si fonda e sono proprio tali principi che possono essere
comunicati con l’insegnamento.

2) Nessuna sensazione è sapienza.


Le sensazioni conoscono validamente le cose particolari, ma non
sono in grado di rivelare il perché di nessuna di esse.
La sensazione percepisce soltanto che (ὃτι) il fuoco è caldo, ma
non sa dire perché (διότι) è caldo (cfr. ib. 981 b 10-15).

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È verosimile dunque che colui che scoprì per primo una qualsiasi arte che
andasse oltre le comuni conoscenze sensibili, sia stato ammirato dagli
uomini non solo per il fatto che qualcuna delle sue scoperte fosse utile,
ma come sapiente e come diverso dagli altri.
E, una volta scoperte più arti, alcune delle quali rivolte a procurare le
cose necessarie e altre rivolte a trascorrere <piacevolmente il tempo>, gli
scopritori di queste siano sempre stati ritenuti più sapienti di quelli, per
il fatto che le loro scienze non erano rivolte all’utilità.
Ibidem 981 b 14-20

• In questi passi, Aristotele stabilisce una gerarchia tra le arti:


1) vi sono quelle che sono state escogitate per rispondere ai
problemi posti dalle comuni necessità umane (p.e. tecniche
di caccia, agricole o di utilizzo del fuoco, etc.);
2) e quelle, forse scoperte in una seconda fase dell’evoluzione
umana, dirette all’arricchimento culturale della società e
alla crescita personale del singolo individuo (p.e. la
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scultura, la pittura, la musica, il teatro, etc.).
• Un’altra cosa che va notata del passo precedente è come Aristotele
introduca un parallelismo tra arte (τέχνη) – sapienza (σοφία) –
scienza (ἑπιστήμη). Sono aspetti del sapere che la filosofia più
matura di Aristotele distinguerà accuratamente, ma che in questi
passaggi sono posti sul medesimo piano per il fatto di avere in
comune la ricerca della conoscenza.

• Confrontiamo ora con un testo coevo, tratto dal Περὶ φιλοσοφίας,


uno degli ἑκδεδομένοι λόγοι (discorsi pubblicati), andato perduto ma
di cui si sono conservati parecchi frammenti:

Questi sopravvissuti (sc. a una delle grandi catastrofi che hanno distrutto le civiltà umane),
dunque, non avendo di che nutrirsi, spinti dalla necessità escogitarono ciò
che occorreva al loro bisogno: sia macinare il grano con le mole, sia seminare

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sia altro; e chiamarono sapienza una tale capacità di escogitare, che scopriva
ciò che giovava alle necessità della vita, e sapiente colui che possedeva quella
capacità.
Successivamente inventarono le arti, come dice il poeta, per i suggerimenti di
Atena: arti costituite non per le sole necessità della vita ma che via via
pervennero fino a ciò che è bello e civile. E tutto ciò, ancora una volta,
chiamarono sapienza e chiamarono sapiente colui che era autore di quelle
invenzioni, come nei versi «un sapiente artefice ha costruito» [Il 23, 712 ] e
«lui che ben conosceva per i suggerimenti di Atena» [Ib. 15, 412; Od. 16, 233 ]. A
causa dell’ eccellenza delle scoperte, infatti essi attribuivano alla divinità la
loro invenzione.
In seguito, ancora, volsero lo sguardo alle faccende politiche e scoprirono le
leggi e tutto ciò che tiene insieme le città; e chiamarono sapienza anche
questa scoperta: di tal genere erano i sette sapienti [οἱ ζ' σοφοί], scopritori di
alcune virtù politiche. Procedendo così in seguito essi volsero la loro
attenzione ai corpi stessi e alla natura che li ha prodotti: e questa fu chiamata
più specificamente indagine naturale (e noi diciamo sapienti coloro che si
applicano alla natura); in quinto luogo, da ultimo, si servirono di quel nome
in relazione alle realtà divine , sopramondane e immutabili per se stesse, e
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alla conoscenza di queste realtà dettero nel modo più appropriato il nome
di sapienza.
Περὶ φιλοσοφίας, fram. 8 Ross

• È la conclusione a cui giunge anche il testo della Metafisica:

Dopo di che, quando tutte queste forme di arti furono inventate, vennero
scoperte tra le scienze quelle non rivolte al piacere né alle necessità della
vita, <e ciò avvenne> dapprima in quei luoghi in cui <gli uomini> avevano
tempo libero. Perciò le arti matematiche si formarono per la prima volta in
Egitto, poiché là fu permesso di avere tempo libero alla casta dei sacerdoti.
Metaph. A I, 981 b 20-25

Dopo aver precisato che nei libri di etica 1 (Eth. Nic. VI) sono state mostrate
quali siano le differenze tra arte e scienza (cfr. Appendice), Aristotele trae
delle importanti conclusioni da quanto ha esposto fin qui:
________________________
1È probabile che le righe 25 -29 di 981 b, dove Aristotele rimanda ai libri di etica, siano state inserite
posteriormente.
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Ma il motivo per cui ora facciamo questo discorso è di mostrare che tutti
ritengono la cosiddetta sapienza riguardare le cause prime e i principi; di
conseguenza, secondo quanto è stato detto in precedenza, chi ha
esperienza sembra essere più sapiente di chi prova una qualche
sensazione, chi possiede l’arte più di chi ha esperienza, colui che dirige i
lavori più del manovale e le <scienze > teoretiche 1 più di quelle
produttive. È chiaro allora che la sapienza è una scienza riguardante certe
cause e certi principi.
Ibidem, 981 b 25 -30; 982 a 1-3

___________________
1 ϑεωρητικός (da ϑεωρέω, vedo, guardo, osservo; contemplo; (poi) considero, rifletto, comprendo) è
quindi chiaramente connesso col vedere, anche se in questo caso si tratta ormai di un vedere intellettuale,
ossia di quel vedere che ha per oggetto i puri concetti.
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 La sapienza e il sapiente

• Quello che Aristotele sta cercando è una forma superiore di sapere.


Di sicuro è una scienza teoretica, ossia fondata su puri concetti, e non
ha fini pratici o produttivi, dato che il suo vero scopo consiste proprio
nel conoscere per il puro piacere di conoscere.

• Non c’è dubbio che si tratta quindi di una sapienza così elevata che
forse mai prima era stata individuata e che quindi sia necessario un
particolare sforzo per definirla.

• Per provare a chiarire cosa sia tale sapienza, l’idea di Aristotele è


quella di prendere in considerazione cosa si intende di norma per
sapiente.

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• Facendo ricorso a uno dei suoi principali metodi di ricerca, Aristotele
propone una serie di ἔνδοξα, ossia di pareri degni di nota e con grado
variabile di autorevolezza1, che sono stati espressi intorno
all’argomento. Per cui, si dice che sia sapiente (σοφός):

1) chi sa, nei limiti del possibile e in termini generali, un gran numero di cose;

2) colui che è capace di conoscere cose comunemente ritenute difficili;

3) chi è più preciso e più capace di insegnare le cause delle varie scienze;

4) colui che dà ordini anziché riceverli, perché chi sa non deve obbedire ad altri,
essendo invece chi meno conosce a dover dipendere da chi maggiormente
conosce.

__________________
1 "Principi fondati sull'opinione (τὰ ἔνδοξα) [sono quelli] che appaiono accettabili a tutti, oppure alla grande
maggioranza, oppure ai sapienti, e tra questi o a tutti o alla grande maggioranza, o a quelli oltremodo noti o
illustri." (Topici, I, 100b.) 23
• L’ultimo punto implica una importante considerazione:
quella tra le scienze che è più desiderabile in vista di sé stessa, ossia
per il puro amore del sapere, deve essere più sapienza di quelle
scienze che sono desiderabili in vista di altro, cioè dei vantaggi pratici
che se ne possono ricavare.
Il primo tipo di scienza ha maggiore potere di guida e comando
rispetto a quelle del secondo tipo: da ciò deriva che chi è più
sapiente è maggiormente atto a condurre e a dirigere.

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• Dopo questa rassegna di opinioni, Aristotele ne propone una che
appare più sua e fondata sulle personali acquisizioni che ci sta
presentando.

• La scienza superiore a tutte è quella con maggiore grado di


universalità, ossia quella che deve mostrarsi in grado di spiegare i
principi sui quali tutte le altre scienze si fondano.
Le realtà più universali sono proprio le più difficili a conoscersi per
l’uomo, dato che esse sono le più lontane dai sensi. 1
E ciò che è più difficile a conoscersi per l’uomo consiste nei principi
supremi e nelle cause prime: di questo dovrà occuparsi «la scienza
di ciò che più di tutto è oggetto di scienza.» (982 b 2)
_______________________
1 «È naturale che si proceda da quello che è più conoscibile e chiaro per noi verso quello che è più chiaro e conoscibile per
natura: perché non sono la medesima cosa il conoscibile per noi e il conoscibile in senso assoluto. Perciò è necessario
procedere in questo modo: da ciò che è meno chiaro per natura ma più chiaro per noi a ciò che è più chiaro e conoscibile
per natura.» Phys. I, 1, 184 a 18-20. 25
 La scienza delle cause prime e la meraviglia

• Questa scienza non è di tipo produttivo: non è coltivata per la sua


utilità, ma per la conoscenza che essa ci offre dei fondamenti della
realtà.

• Secondo Aristotele ciò risulta già chiaro nell’orientamento di coloro


che per primi si impegnarono in questo tipo di ricerca.

Che essa non sia una scienza produttiva, risulta evidente anche a partire da quanti
per primi ricercarono il sapere: a causa della meraviglia 1 infatti gli esseri umani,
sia ora che la prima volta, hanno cominciato a ricercare il sapere, all’inizio
meravigliandosi per le cose strane che erano a portata di mano, in seguito

___________________________
1 Nel testo greco: τὸ ϑαυμάζειν, il meravigliarsi, lo stupirsi; ϑαῦμα è una cosa strana, che è perciò
oggetto d’ammirazione, che provoca cioè meraviglia e stupore. Il verbo corrispondente ϑαυμάζω
equivale a mi meraviglio, sono colto da stupore, ammiro, guardo con meraviglia.
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procedendo poco a poco nello stesso modo, sino a porsi problemi sulle
cose più importanti, quali le fasi della luna, e i fenomeni riguardanti il sole
e le stelle, e l’origine dell’universo.
Chi si pone problemi e si meraviglia, ritiene di essere ignorante, perciò
anche l’amante del mito è in un certo senso amante del sapere, poiché il
mito è un insieme di cose che destano meraviglia;
Di conseguenza, se gli <esseri umani ricercarono il sapere > per fuggire l’
ignoranza, è chiaro che perseguirono la scienza a causa del sapere e non in
vista di qualche utilità.
Ibidem, A 2, 982 b 20-21

• Dopo di che, Aristotele ribadisce una convinzione che abbiamo già


avuto modo di incontrare:
[…] una volta, infatti, procurate quasi tutte le cose necessarie e anche quelle
relative alla comodità e al trascorrere <piacevolmente il tempo>, cominciò ad
essere ricercato il sapere di questo tipo.
Ibidem, 22-24

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• Quindi, solo dopo aver conseguito i beni necessari al sostentamento
e quelli che procurano comodità e divertimento, gli uomini hanno
incominciato a ricercare tale forma di sapere, che è superiore alle
altre perché è libera dalla contingenza e praticata invece per il puro
gusto di conoscere.

• Aristotele ritiene che questa scienza suprema sia divina per due
ordini di ragioni:
1) si occupa di cose divine, ossia delle cause supreme, e lo stesso
Dio rientra tra le cause ed è un principio;
2) è, ancora più propriamente, il sapere posseduto da Dio.

• Tutte le scienze potranno essere più necessarie di questa, ma


nessuna sarà superiore a essa.

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 Le quattro cause

• Nel capitolo 3, Aristotele entra nei dettagli e comincia a spiegare cosa


siano queste cause supreme.

Poiché è chiaro che bisogna acquisire la scienza delle cause sin da principio
(allora infatti diciamo di sapere ciascuna cosa, qualora pensiamo di conoscerne
la causa prima), le cause si dicono in quattro modi, di cui una singola causa
diciamo essere l’essenza e il che cos’era essere <una certa cosa> (infatti il
primo «perché» si riduce da ultimo alla definizione, e il primo «perché» è
causa e principio), un’altra singola <causa diciamo essere> la materia, ossia il
sostrato, una terza ciò da cui <dipende> l’inizio del movimento, e una quarta la
causa opposta a questa, ossia l’in vista di cui, ossia il bene (questo infatti è il
fine della generazione e di ogni movimento).
Ibidem, A 3, 983 a 24-33

29
• Le cause, dunque, si dicono in quattro modi: 1

1. è causa l’οὐσία, l’essenza, e τὸ τὶ ἦν εἶναι, il che cos’era essere


(una determinata cosa): entrambi le espressioni rimandano al primo
perché, individuando il principio costitutivo di una cosa, quello che
deve essere espresso nel discorso definitorio. È chiaro che in questo
contesto οὐσία e τὸ τὶ ἦν εἶναι, sono sinonimi di εἶδος, forma, e ciò
ha permesso di chiamare causa formale tale tipo di causa. 2

__________________________
1Subito dopo il passo citato, è lo stesso filosofo a rimandare ai «libri sulla natura» (ossia, Phys. II 3), dove la
dottrina delle cause è trattata in modo più ampio.
2 Abbiamo precisato "in questo contesto" perché in generale οὐσία (letteralmente, la cosa che è) è termine
polivoco e può rimandare alla forma (εἶδος), alla materia (ὕλη, ὑποκείμενον) o all’unione di tutti e due, il
sinolo (σύνολον), ossia l’individuo concretamente esistente.
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 Esempio:

• Secondo questo punto di vista aristotelico, se vogliamo comprendere


cosa sia un determinato oggetto, dobbiamo chiederci innanzitutto
quali siano le qualità che lo contraddistinguono nel senso più proprio
e specifico.

• Dovremo perciò individuare il suo modo di essere, ciò che costituisce


la sua realtà propria e quel che lo caratterizza come una ben precisa
e individuata entità (οὐσία).

• Così facendo circoscriviamo il che cos’era essere (quella determinata


cosa). L’imperfetto pare rimandare alla domanda che ha dato origine
alla ricerca: che cos’è (τί ἑστι) (questa determinata cosa)?

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• Se, per esempio, ci chiediamo che cos’è
una casa, probabilmente ci accorderemo
sul fatto che è una costruzione che offre
riparo e comodità. In tal modo, nel giun-
gere a questa definizione, stiamo indivi-
duando le caratteristiche fondamentali
che fanno sì che un oggetto sia una casa
(deve riparare e offrire comodità) ed
esprimendo la sua specifica realtà (οὐσία)
e il suo modo di essere (τὸ τὶ ἦν εἶναι).
In base alla sinonimia che intercorre tra tutte queste espressioni aristoteliche e
che abbiamo già avuto modo di riscontrare, tali caratteristiche fondamentali
dicono dunque anche l’εἶδος, la forma dell’oggetto in questione. Forma che,
evidentemente, non si riferisce al puro dato esteriore e morfologico, ma riman-
da invece agli aspetti precipui e specifici che determinano un ente a essere quello
che è e non può non essere.

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• Analisi terminologica:
οὐσία è un sostantivo che deriva dal participio femminile del verbo εἰμί (= io sono) (ὤν-οὖσα-
ὄν), indica perciò il ciò che è, l’essenza di una cosa, e quindi ciò che la costituisce come una
certa realtà o entità. È comune la sua traduzione con sostanza [ attraverso il latino
substantia, da substans, participio presente di substare, stare sotto], tradizionale ma a mio
avviso impropria, perché altera il senso del vocabolo greco originario e invade il campo
semantico di subiectum o substratum, traduzioni di ὑποκείμενον.

2. L’altra causa che Aristotele prende in considerazione è la ὕλη, ossia la


materia, e la equipara al sostrato, ὑποκείμενον. Questa causa è
perciò chiamata causa materiale.

• Analisi terminologica:
ὕλη ha originariamente il significato di selva, foresta, bosco, poi quello di legna, legname, da
cui materiale da costruzione, materia.
È il "ciò di cui" le cose sono costituite, il materiale che sta alla base della loro corporeità. Esso
riceve – e perciò funge da ὑποκείμενον, substrato o sostrato – la sua conformazione dall’
εἶδος, che lo plasma conferendogli la caratteristica fondamentale che lo porterà a essere una
certa cosa.
33
3. Una terza causa è ciò da cui dipende l’inizio del movimento (ἡ ἀρχὴ
τῆς κινήσεως).
Questa è la causa motrice, ossia quella che origina un processo: una
statua di Apollo è costituita dal marmo (causa materiale) e da quelle
caratteristiche che la fanno essere una raffigurazione di Apollo (causa
formale), ma perché il processo inizi e si svolga è necessario che vi
sia lo scultore (causa motrice) che lavori la materia con un preciso
progetto.
• Analisi terminologica:
ἀρχὴ [ἄρχω, sono a capo, guido, comando, do inizio, comincio] inizio, origine,
principio.
κίνησις [κινέω, mi metto in movimento], movimento.
Altre espressioni usate da Aristotele per indicare la causa motrice:
ἡ ἀρχὴ τῆς µεταβολής: ciò da cui dipende l’inizio del cambiamento (µεταβολή
[μεταβάλλω, cambio, muto], cambiamento, mutamento).
τὸ ποιητικὸν αἴτιον, la causa efficiente (ποιέω, faccio, genero, produco)

34
Kalamis (480-460 a.C.),
Apollo dell’Omphalos,
copia romana.
4. L’esposizione delle cause si conclude con τὸ οὗ ἓνεκα, l’in vista di
cui. Aristotele ritiene tale causa opposta a quella precedente, perché
se la prima rappresenta ciò che dà avvio al processo, la seconda
invece indica il fine o lo scopo (τέλος) del processo medesimo. In
ultima analisi, essa equivale perciò al Bene (τἀγαϑόν), cioè a quell’
ordine verso il quale ogni ente deve tendere per realizzare il proprio
fine, la propria funzione, la propria natura.
La casa dovrà veramente riparare perché è in vista di ciò che è stata
costruita (questo è uno dei casi in cui causa formale e causa finale
si rimandano vicendevolmente), e la statua dovrà realmente essere
bella e in grado di adornare il luogo che la ospiterà, perché è in vista
di tutto ciò che il suo artefice l’ha creata.

36
 La filosofia prima

• La ricerca di una scienza riguardante certe cause e principi che


Aristotele aveva iniziato a delineare nei capitoli 1 e 2 pare, proprio
con l’individuazione delle quattro cause, essere giunta a buon punto.
• La sua più accurata definizione avrà comunque bisogno di una
ulteriore riflessione e comparirà in un periodo successivo.
[…] è chiaro allora che anche conoscere teoreticamente gli enti in quanto enti
spetta a un’unica <scienza>. Ma in tutti i casi la scienza è principalmente
<scienza> di ciò che è primo, e da cui le altre cose dipendono, e in virtù di cui
sono dette <tali>. Se dunque questo è l’οὐσία, bisognerà che il filosofo
possieda i principi e le cause delle cose che sono.
Ibidem, Γ 2, 1003 b 15-19

• Va notato che è il filosofo a possedere la scienza di ciò che è primo,


ossia la conoscenza dei principi e delle cause da cui tutte le cose
derivano e da cui ricevono adeguata spiegazione.
37
Se poi c’è qualcosa di immobile ed eterno e separato, è chiaro che spetta a una
scienza teoretica il conoscerlo, non tuttavia alla fisica (la fisica verte infatti su
certi oggetti mobili, né alla matematica, ma a una scienza anteriore ad
entrambe. La fisica infatti verte su oggetti inseparabili ma non immobili, alcune
branche della matematica vertono invece su oggetti immobili ma probabilmente
non separati, bensì contenuti nella materia, mentre la scienza prima verte
anche su oggetti separabili ed immobili.
Ora è necessario che tutte le cause siano eterne, ma soprattutto queste; queste
infatti sono cause di quelle che sono manifeste tra le realtà divine. Sicché ci
saranno tre filosofie teoretiche , una matematica, una fisica e una teologica.
Ibidem, E 2, 1026 a 15-19

• Dunque, tre sono le scienze che indagano per il puro gusto di


conoscere e senza finalità pratiche, limitandosi a scoprire la pura
struttura concettuale del loro oggetto: la fisica, che studia l’ente
sottoposto alla condizione del movimento, la matematica, che lo
studia dal punto di vista della quantità e la filosofia teologica, che
studia l’ente in quanto tale, ricercando le cause e i principi che esso
deve avere, e non può non avere, per essere ente.
38
• Molte discussioni ha suscitato l’aggettivo teologica (ϑεολογική) riferito a
questa suprema forma di filosofia.1 Una possibile soluzione dei vari e
complessi problemi che ha generato tale scelta terminologica potrebbe
essere che la realtà divina (quella degli astri, delle intelligenze astrali e di
Dio stesso) sia paradigmatica per tutte le altre οὐσίαι che esistono nel
cosmo (abbiamo già visto come l’ οὐσία sia la causa fondamentale di ogni
tipo di realtà), e che ogni tipo di essere vada ricondotto, pur con differenti
gradazioni, al superiore modello teologico.

• Altra possibilità potrebbe essere quella che la più alta tra le filosofie abbia
individuato una modalità di studio delle cause sostanzialmente unitaria,
valida sia per le realtà dotate di materia che per quelle, perfette e divine,
che possono esserne prive, come Dio e le intelligenze astrali. Questo suo
poter giungere fino allo studio della perfezione divina, giustificherebbe
l’appellativo di teologica.

_______________________
1 Il termine ritorna in K 7, 1064 b 1, libro di dubbia paternità, per quanto antico. L’autore potrebbe essersi rifatto al passo del libro E.
39
• Commentando il passo citato, E. Berti osserva che «La scienza prima non è
"teologia", come spesso si traduce, perché per Aristotele la teologia è
l’insieme dei miti sugli dèi narrati dai poeti. Essa è anche teologica, perché
tra le cause dell’ente in quanto ente alcune sono divine.» 1
• Ma già nell’introduzione alla sua traduzione della Metafisica, ancora Berti,
analizzando nello specifico il passo che stiamo esaminando, sostiene che
«bisogna considerare il motivo per cui Aristotele dichiara che la filosofia
prima è una scienza teologica, ed esso risulta chiaramente dalle righe che
precedono tale dichiarazione, cioè " è necessario che tutte le cause siano
eterne, ma soprattutto queste; queste infatti sono cause di quelle che sono
manifeste tra le realtà divine". Le realtà divine "manifeste" sono i corpi
celesti, cioè gli astri, che si vedono e che tutti gli antichi consideravano
divini, quindi sono divine anche le cause di questi, per cui la scienza che
conosce teoreticamente queste cause è una scienza "teologica", cioè
avente a che fare col divino. Il motivo dunque per cui la filosofia prima è
detta "teologica", è il fatto che essa si occupa di cause, di tutte le cause,
comprese quelle degli astri, che sono divine. 2
______________________
1 E. Berti, in Aristotele, Metafisica, Laterza, Bari-Roma 2017, p. 266, n.12 (corsivo mio);
2 Ibidem, pp. XIX-XXI.
Altri elementi utili alla discussione del passo si trovano in Vegetti-Ademollo [2016], pp. 243 sgg.
40
• Un’ultima ipotesi, se ci è concesso avanzarla, potrebbe fare leva sul fatto
che Aristotele riteneva esservi nel cosmo un ordine determinato dalla
struttura causale a cui è sottoposto ogni essere, dal più insignificante a
quello supremo. E sarebbe proprio quest’ordine, unitario ma multiforme in
ragione della varietà degli enti, estendentesi tra la potenzialità della pura
materia e la perfezione di Dio, ad essere in senso lato divino, perché eterno,
stabile e necessario. Ora, la scienza che studia tale ordine potrà a buon
diritto venire qualificata come teologica e reputata divina essa stessa, dato
che indaga i principi che sostengono l’essere stesso del cosmo.

Chi sceglie infatti il coltivare la scienza di per sé stessa sceglierà soprattutto quella che più di
tutte è scienza, e tale è la scienza di ciò che più di tutto è oggetto di scienza, ma sono più di
tutto oggetto di scienza i principi e le cause (per mezzo di questi infatti e a partire da questi
sono conosciute le altre cose, e non questi per mezzo delle cose che vi sottostanno).
[…] [tale scienza è] quella che conosce i principi e le cause prime […]
[…] Né bisogna reputare alcun’altra <scienza> più degna di essere coltivata rispetto a questa.
La più divina, infatti, è anche la più degna di essere coltivata. <Una scienza> può essere tale
soltanto in due sensi: sia perché è divina tra le scienze quella che soprattutto il dio possiede,
sia qualora esista una sorta <di scienza> delle cose divine. Ma questa sola si trova ad avere
entrambi questi requisiti: sia perché il dio sembra a tutti far parte delle cause ed essere una
sorta di principio, sia <perché> tale <scienza> la potrebbe possedere solo o soprattutto il dio.
Tutte <le altre>, dunque, sono più necessarie di essa, ma nessuna è migliore.
Ibidem, A 2, 982 a 35- b 9; 983 a 4-10 (grassetto mio)

41
• Sia come sia, questa scienza superiore, tenacemente cercata e
minuziosamente descritta, è quella che Aristotele in altri luoghi
chiamerà filosofia prima (πρώτη φιλοσοφία) e giudicherà superiore
alla stessa fisica.

Qualcuno infatti potrebbe trovarsi nell’aporia se mai la filosofia prima


sia universale oppure concernente un certo genere , cioè una natura di un
solo tipo (infatti il modo di considerare l’oggetto non è lo stesso nemmeno
nelle matematiche, ma la geometria e l’astronomia vertono su una certa
natura, mentre quella è universalmente comune a tutte ). Se dunque non
c’è una qualche entità (οὐσία ) diversa oltre a quelle composte per natura,
la fisica sarà scienza prima; se invece c’è una qualche entità immobile,
questa sarà anteriore e la filosofia <che se ne occupa> sarà prima, e anche
universale in questo senso, cioè nel senso che è prima; e a questa
spetterà conoscere teoreticamente, a proposito dell’ente in quanto
ente, sia che cos’è (τί ἑστι), sia le proprietà che gli appartengono in
quanto ente.
Ibidem, E 1, 1026 a 28-32

42
• Un altro passo in cui si fa riferimento esplicito alla filosofia prima si
trova nei trattati di fisica:
[…] tuttavia, questo genere di distinzione è di pertinenza della filosofia prima […]
Phys. 192 a 35

• O anche
La dimostrazione si potrebbe condurre con gli argomenti propri della
filosofia prima […]
De caelo 277 b 9

• In realtà l’espressione πρώτη φιλοσοφία compare nello stesso libro


A1, sebbene in una forma un po’ ambigua, potendo infatti avere il
semplice significato di "filosofia dei primordi", ma riferendosi pur
sempre a quel tipo di conoscenza dedita alla ricerca delle cause che
ha le sue origini in Talete.
______________________
1 A 10. Si veda, inoltre, Meteor. 700 b 8.
43
 Conclusione: il divino, la conoscenza e la felicità

• Il tema del rapporto tra la conoscenza umana e il divino ritorna nelle


parti conclusive dell’Etica Nicomachea, dove si intreccia con la virtù e
la felicità. Per comprendere il punto di vista aristotelico, è necessario
tenere presente il significato che la parola virtù (ἀρετή) aveva
assunto nel periodo, evocando un’attività o una condotta consona a
un certo essere perché capace di realizzare l’eccellenza che gli è
propria.

• Ora, nota Aristotele, la felicità che spetta alla natura umana deve
essere in relazione con la sua parte più elevata, ovvero con l’intelletto
e con la facoltà di conoscere razionalmente le cose più alte (si ripensi

44
all’inizio del Libro A, cfr. supra, p. 5). Tali cose sono, come abbiamo
già avuto modo di vedere, divine, perché costituiscono la struttura
stessa del cosmo ma, proprio perché può conoscere tutto ciò, è
altrettanto divina la facoltà razionale che è in noi.

Se dunque la felicità è un’attività conforme a virtù, logicamente essa sarà


conforme alla virtù superiore; e questa sarà la virtù della parte migliore
dell’anima. Sia dunque essa l’intelletto1 oppure qualcosa d’altro, che per
natura appaia capace di comandare e guidare e avere nozione delle cose
belle e divine o perché esso stesso divino o perché è la parte più divina di
ciò che è in noi, comunque la felicità perfetta sarà l’attività di questa
parte, conforme alla virtù che le è propria. Che essa sia l’attività teoretica
è stato detto. E ciò apparirà concordare sia con ciò che s’è detto prima sia
con la verità. Quest’attività è infatti la più alta; infatti l’intelletto è tra le
cose che sono in noi quella superiore, e tra le cose conoscibili le più alte
sono quelle a cui si riferisce il pensiero.
Eth. Nic. X, 1177 a 11-21

___________________________
1 Cfr. infra, appendice II.
45
Lisippo, Aristotele, copia romana
• . (mantello in alabastro di epoca
posteriore)
Appendici
 Il sapere e il vedere

Tutti gli esseri umani per natura desiderano sapere. Ne è segno il godimento <che si prova
nell’esercizio > dei sensi, poiché questi sono goduti per sé stessi, anche indipendentemente
dall’utilità, e più di tutti gli altri quello che <si esercita> per mezzo degli occhi. Infatti non
solo per agire, ma anche quando non intendiamo compiere nessuna azione, preferiamo il
vedere a tutte […] le altre cose. La causa è che questo ci fa conoscere più di tutti gli altri
sensi, perché ci mostra molte differenze.
Metaph. A I, 980 a 21-27

La connessione tra il vedere e il sapere può essere ritrovata anche in alcuni verbi della lingua greca. Per
esempio, il verbo ὁράω ha i seguenti significati: vedo, guardo, volgo lo sguardo, ma anche cerco,
comprendo, scorgo, riconosco, conosco, capisco, intendo. L’aoristo 2 εἶδον equivale a vedo, guardo, osservo,
e in senso figurato a intendo, conosco, so.
È probabile che vi sia legame tra ὁράω e ϑεωρέω (vedo, guardo, osservo; contemplo; (poi) considero,
rifletto, comprendo, indago concettualmente ), altro verbo il cui significato passa dal vedere in senso fisico
a quel vedere in senso mentale che guida e permette l’indagine e la comprensione concettuale.
Il passaggio dal vedere sensibile a quello intellettuale può essere osservato anche in due sostantivi
fondamentali del lessico platonico-aristotelico:
1. ἰδέα [da ἰδεῖν, inf. di εἶδον, aor. di ὁράω. La radice -ἶδ è collegata con il vedere e la visione (cfr. lat.
video).], aspetto, figura, forma; carattere distintivo, qualità; tipo, genere, specie, classe, concetto
astratto.
2. εἶδος [cfr. ἰδεῖν; οἶδα, ho visto, io so], figura, aspetto, forma; idea, specie, classe, genere (γένος), tipo,
prototipo, qualità, carattere distintivo, modo di essere, categoria qualità.
I
 Le virtù dianoetiche
Nel libro VI dell’Etica Nicomachea (libro comune anche all’Etica Eudemea), Aristotele distingue le disposizioni
a essere o agire della ragione, o abiti dianoetici 1: arte, scienza, saggezza, sapienza, intelletto.
L’arte riguarda il campo della produzione ed è

[…] una disposizione creativa accompagnata da ragione vera (la mancanza di arte al
contrario è una disposizione produttiva accompagnata da ragione erronea) intorno a
quelle cose che possono essere diversamente da quello che sono.
Eth. Nic. VI 4, 1140 a 21-24

La scienza invece è una disposizione dimostrativa che ha come oggetto il necessario, ossia ciò che non può
essere diversamente da quello che è (cfr. Ibidem, 1139 b 19 ss.).
Ciò che invece può essere diversamente da quel che è, quando sia fuori della nostra
osservazione, non si può dire se vi è oppure no. L’oggetto della scienza dunque esiste
necessariamente. È quindi eterno: infatti tutte le cose che esistono con assoluta
necessità sono eterne, e le cose eterne sono ingenerabili e incorruttibili. Inoltre ogni
scienza sembra essere insegnabile; e ciò che è oggetto di scienza è apprendibile.
Ibidem, 3, 1139 b 22-25

La saggezza è una disposizione ad agire in relazione a ciò che è bene e male per l’uomo, di conseguenza essa è
pertinente al campo delle scelte etiche. Anch’essa, come l’arte, ha di mira le cose che possono essere altrimenti,
quelle attinenti al settore del possibile, opposto a quello del necessario. Comunque, tra arte e saggezza vi è una
differenza, perché mentre la creazione artistica implica un fine diverso da sé stessa, nell’azione etica il fine si
identifica con la stessa bontà dell’azione: se la volontà di bene ha originato e diretto una certa azione, il fine
dell’azione medesima sarà anch’esso il bene.
___________________________________
1 διανοητικός, che riguarda il pensiero, intellettuale. II
Perciò la saggezza è necessariamente una disposizione pratica accompagnata da ragione vera
intorno ai beni umani.
Ibidem, 5, 1140 b 20-21

Aristotele fu, a quanto pare, il primo a distinguere la sapienza (σοφία) dalla saggezza (φρόνησις),
intendendola come la conoscenza più elevata perché ha come oggetto le cose più alte e divine.

[…] la sapienza dev’essere la più perfetta delle scienze. Quindi il sapiente non deve conoscere
soltanto ciò che deriva dai principi, bensì essere nel vero anche intorno ai principi. Cosicché
la sapienza può dirsi insieme intelletto e scienza, ed essendo come a capo delle scienze sarà
la scienza delle cose più eccellenti.
Ibidem, 7, 1141 a 16-20

La sapienza, essendo insieme intelletto (vedi sotto) e scienza, è la forma di conoscenza più completa perché
è, al tempo stesso, conoscenza dei principi e delle dimostrazioni che discendono da essi.

L’intelletto (νοῦς) è la facoltà capace di cogliere i principi e le definizioni prime. Questi aspetti non possono
essere dimostrati col ragionamento , ma vanno invece afferrati con un atto di visione mentale.

L’intelletto è proprio della definizione prima, di cui non si dà ragionamento [...] Infatti
l’intelletto e non il ragionamento è proprio delle definizioni prime e dei termini ultimi.
Ibidem, 8, 1142 a 25; 11, 1143 b 36

III
• Bibliografia essenziale
N.B. Laddove ho ritenuto opportuno, ho apportato lievi modifiche alla traduzione proposta dai testi citati.

ARISTOTELE, Metafisica, testo greco a fronte, a cura di E. Berti, Laterza, Roma-Bari 2017 (testo di riferimento per le citazioni di Metaph.)
ARISTOTELE, Opere, a cura di G. Giannantoni, 11 voll., Laterza, Roma-Bari 1984. Il vol. I contiene anche la Vita di Aristotele di D. Laerzio.
ARISTOTELIS Fragmenta selecta, recognovit brevique adnotatione instruxit W.D. Ross, Oxonii 1955
ARISTOTELIS Opera, vol. III; Librorum deperditorum fragmenta, collegit et adnotationibus instruxit O. Gigon, Berlin, W. De Gruyter, 1987.
ARISTOTELE, Frammenti. Opere logiche e filosofiche, testo greco a fronte, a cura di M. Zanatta, BUR, Milano 2010.
ARISTOTELE, I Dialoghi, testo greco a fronte, a cura di M. Zanatta, BUR, Milano 2008.
ARISTOTELE, Organon, testo greco a fronte, coordinamento generale di M. Migliori, Bompiani, Milano 2016.
ARISTOTELE, Metafisica, libri A, α, B, testo greco a fronte, introduzione, traduzione e commento di R. L. Cardullo, Carocci, Roma 2013.
J. BARNES [1982], Aristotle. A very short introduction, Oxford University Press.
E. BERTI, [2004/2014], Aristotele. Dalla dialettica alla filosofia prima. Con saggi integrativi. Bompiani, Milano.
E. BERTI (a cura di), [1997], Guida ad Aristotele, Laterza, Roma-Bari.
E. BERTI, [2017], Tradurre la Metafisica di Aristotele, Morcelliana, Brescia.
R. L. CARDULLO (a cura di) [2009], Il libro ALPHA della METAFISICA di Aristotele tra storiografia e teoria, presentazione di E. Berti, CUEM, Catania.
I. DüRING [1966], Aristoteles - Darstellung und Interpretation seines Denkens, C. Winter Universitätsverlag, Heidelberg; trad. it. di P. Donini, Aristotele, Mursia,
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W. JAEGER [1912], Studien zur Entstehungsgeschichte der Metaphysik des Aristoteles, Weidmann, Berlin.
W. JAEGER [1923], Aristoteles. Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung, Weidmann, Berlin; trad. it. di G. Calogero, Aristotele. Prime linee di una storia
della sua evoluzione spirituale, La Nuova Italia, Firenze 1935. []
C. NATALI [2014], Aristotele, Carocci, Roma.
P. DONINI [1995], La Metafisica di Aristotele. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma.
G. REALE [2008], Il concetto di «filosofia prima» e l'unità della metafisica di Aristotele, Bombiani, Milano
W. D. ROSS [1923], Aristotle, Methuen & Co. Ltd, London; trad. it. di A. Spinelli, Aristotele, Feltrinelli, Milano 1976.
M. VEGETTI - F. ADEMOLLO [2016], Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi, Torino.
Ideato e realizzato
da
Renato Curreli
Docente di Filosofia e Storia
Liceo G. Siotto Pintor – Cagliari

Visita il mio sito didattico: https://sites.google.com/view/lo-studio-della-filosofia/home

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