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Università degli Studi di Bari

Facoltà di Medicina e Chirurgia


Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Corso Integrato di Anatomia Umana Normale


Prof. Ribatti - prof. Benagiano
_________________________________________________

Realizzato da Michele Carella

Compendio di ANATOMIA UMANA NORMALE


COLLO
Introduzione - Anatomia Topografica di Superficie
Il collo è quella porzione del corpo posta tra la testa, superiormente, e sia il tronco, inferomedialmente,
che l’arto superiore, inferolateralmente.

Esso è delimitato cranialmente da un margine superiore che si porta in senso anteroposteriore e


mediolaterale dal margine inferiore della mandibola fino ai processi mastoidei, per poi proseguire lungo
la linea nucale superiore fino a raggiungere la protuberanza occipitale esterna.
Caudalmente è separato dal tronco e dall’arto superiore, su ambo i lati, da un margine inferiore che si
porta sul d’avanti, in senso anteroposteriore e mediolaterale, dall’incisura o fossa giugulare lungo il
margine superiore del manubrio dello sterno, per poi proseguire lungo il margine superiore delle
clavicole. Posteriormente il margine non corrisponde a nessuna struttura anatomica, ma coincide con
una linea, che passa superficialmente al muscolo trapezio, e congiunge, in senso lateromediale,
l’acròmion della scapola con il processo spinoso della vertebra cervicale prominente C7.

Distinguiamo tra le regioni cervicali superficiali una regione posteriore o nucale e un insieme di regioni
anterolaterali. Quest’ultime sono suddivise dalla regione sternocleidomastoidea, regione pari di quelle
anterolaterali, che corrisponde alla proiezione superficiale del decorso completo del
m. sternocleidomastoideo, in una regione impari e mediana, e in due regioni laterali del collo. L’osso
ioide divide il settore impari mediano in una porzione sopraioidea e in una porzione sottoioidea.

La regione sopraioidea ha una forma di triangolo avente come apice superiore la sinfisi mentale e come
confine superiore il margine inferiore della mandibola. Essa viene suddivisa in sottoregioni, funzionali a
reperire alcune strutture anatomiche; queste sono: la regione sottomentale, impari e mediana;
lateralmente ad essa il trigono sottomandibolare, triangolo pari separato dalla regione sottomentale dal
ventre anteriore del m. digastrico; la fossa retromandibolare, ovvero quella piccola loggia, anch’essa
pari, posta agli apici lateroposteriori della regione sopraioidea.

La regione sottoioidea ha anch’essa un’approssimativa forma triangolare, ma con l’apice mediano


rivolto caudalmente. Essa infatti, spostandosi in senso craniocaudale, offre a considerare, come base,
l’osso ioide medialmente, e la metà craniale dei ventri superiori dei mm.omoioidei lateralmente, e, come
lati, i margini mediali dei mm. sternocleidomastoidei, che divergono lateromedialmente fino alla fossa
sovrasternale, l’apice del triangolo, ovvero quel piccolo spazio impari mediano posto tra la regione
sottoioidea e il margine superiore del manubrio dello sterno.
Inoltre, nella regione sottoioidea, possiamo osservare un triangolo pari di notevole importanza
morfofunzionale e clinica: il trigono carotico. Esso si estende nella porzione superolaterale della
regione sottoioidea ed è delimitato: lateralmente dal terzo medio del margine mediale del m.
sternocleidomastoideo, superiormente dal ventre posteriore del m. digastrico e inferomedialmente dalla
metà craniale del ventre superiore del m.omoioideo.

La regione laterale del collo o regione sovraclaveare, pari, confina: medialmente con il margine
posterolaterale del m. sternocleidomastoideo, caudalmente con il margine superiore della clavicola, nei
suoi terzi medio e laterale, e superoposteriormente con il m. trapezio.

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Parte I - Settore Anteriore del Collo
PARETI E FASCE - OSSO IOIDE

- Tela Sottocutanea
La tela sottocutanea è costituita dal tessuto sottocutaneo ipodermico posto tra la cute e la fascia
cervicale. Anterolateralmente include nel suo spessore il m. platisma (greco: “massa piatta”),
sottile muscolo superficiale del collo che si estende come un telo nello strato sottocutaneo. La
continuità di questo muscolo varia da individuo ad individuo, potendosi estendere fino alla
regione facciale, intrecciandosi così con il m. risorio, il m. depressore dell’angolo della bocca e
il m. depressore del labbro inferiore. Inoltre, i due margini superiori del m. platisma si
inseriscono ad “X” sul mento; le sue fibre originano, invece, inferiormente dalle fasce di
rivestimento del m. grande pettorale e del m. deltoide.
Inoltre, è utile sottolineare che i principali nervi superficiali del collo e le vv. giugulari esterne
passano al di sotto della tela sottocutanea e del m. platisma.

- Fascia Cervicale
La fascia cervicale è divisa in 3 strati o lamine che compartimentalizzano tutte le strutture del
collo rendendole parzialmente indipendenti l’una dall’altra e, da un punto di vista clinico -
chirurgico, limitando, quando è possibile, la diffusione di ascessi o infezioni. Questa divisione
strutturale della fascia cervicale è importante anche da un punto di vista biomeccanico, poiché
diminuisce le forze di attrito tra i vari compartimenti della regione cervicale e rende i movimenti
e le interazioni tra le varie strutture più fluidi ed agevoli.

1. F. C. Superficiale o Lamina di Rivestimento della F. C. :


Riveste superficialmente tutte le formazioni del collo escluso il m. platisma e si continua
dorsalmente nella fascia nucale. Andando in direzione dorsoventrale le sue inserzioni
superiori sono: - i processi spinosi delle vertebre cervicali
- la linea nucale superiore dell’osso occipitale
- i processi mastoidei delle ossa temporali
- il margine inferiore della mandibola e gli archi zigomatici
- l’osso ioide
Le sue inserzioni caudali sono invece: - il manubrio dello sterno
- le clavicole e l’acròmion delle scapole
In una sezione trasversale del collo è possibile apprezzare come, ai “4 angoli”, essa si
sdoppia in due foglietti, che rivestono e racchiudono anterolateralmente i mm.
sternocleidomastoidei e posterolateralmente i mm. trapezi.
Sotto l’inserzione della mandibola essa si sdoppia, andando a rivestire la ghiandola
sottomandibolare e formandone la capsula esterna; posteriormente alla mandibola,
invece, a livello della fossa retromandibolare, si divide per formare la capsula fibrosa
della ghiandola parotide.
Infine bisogna ricordare come il legamento stilomandibolare derivi da questa come suo
inspessimento. Questo legamento infatti si inserisce sulla superficie interna dell’angolo
della mandibola, originando dal processo stiloideo dell’osso temporale. Alcuni suoi
fascetti si continuano nel legamento stiloioideo mentre altri raggiungono l’osso ioide
originando dall’angolo della mandibola, costituendo così il legamento iomandibolare.

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2. F. C. Media o Lamina Pretracheale della F. C. :
E’ presente esclusivamente nel settore anteriore del collo e circonda in compartimenti
isolati la muscolatura sottoioidea. Oltre a ciò, inoltre, forma un singolo compartimento
impari e mediano, detto strato viscerale, che circonda la ghiandola tiroide, la trachea e
l’esofago; questo si fonde superiormente con la fascia bucco-faringea della faringe.
Lateralmente si fonde con le guaine carotidee dello spazio vasculo-nervoso del collo.
Le sue fibre originano nel mediastino dal pericardio fibroso e trovano inserzione
superiormente sull’osso ioide.
Nella regione sopraioidea la lamina di rivestimento e la lamina pretracheale si fondono e
trovano inserzione comune sul margine inferiore della mandibola.

3. F. C. Profonda o Lamina Prevertebrale della F. C. :


Forma una guaina tubulare profonda che riveste la colonna vertebrale ed i muscoli ad
essa associati quali i mm. cervicali profondi, posteriormente, i mm. scaleni,
anterolateralmente, e i mm. lungo del collo e lungo della testa anteriormente.
Si estende dalla base del cranio fino a congiungersi con il legamento longitudinale
anteriore a livello di T3; anteroinferiormente si fonde con la fascia endotoracica del
torace. Lateralmente si estende come guaina ascellare e riveste sia i vasi ascellari che il
plesso brachiale.

- Osso Ioide
E’ un osso impari, mobile, localizzabile nel settore anteriore del collo lungo il piano sagittale
mediano, che si proietta posteriormente a livello di C3 e anteriormente a livello dell’angolo tra
regione sottomentale e cartilagine tiroidea. Deve il suo nome alla sua forma ad “U” (in greco
infatti “hyoeides” significa appunto “a forma di y”).
Non è articolato con nessun altro osso ed è tenuto sospeso dai legamenti stiloidei, pari, e dal
legamento tiroioideo, impari, che lo connette strettamente alla cartilagine tiroidea dello scheletro
della laringe. Inoltre contribuiscono al mantenimento della sua posizione svariati muscoli, che lo
connettono con la mandibola, con i processi stiloidei delle ossa temporali, con la cartilagine
tiroidea, col manubrio dello sterno e con la scapola.
E’ formato da un corpo, corrispondente alla porzione impari e mediana, a forma di U, con una
superficie convessa rivolta ventralmente ed una concava rivolta dorsalmente; esso è largo circa
2,5 cm e spesso 1 cm. Offre a considerare inoltre delle strutture pari che si dipartono
lateralmente dal corpo dello stesso: i corni maggiori e i corni minori. I primi si proiettano
posteriormente e lateralmente al corpo; gli altri, i corni minori, di più modeste dimensioni, si
proiettano verso l’alto e all’indietro verso i processi stiloidei, a livello della giunzione tra corpo
e corni maggiori.

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REGIONE SOPRAIOIDEA

- Triangolo Sottomentale
E’ un’area, o sottoregione, sopraioidea, impari e mediana, di forma triangolare, che offre a
considerare come base il corpo dell’osso ioide, come lati i ventri anteriori destro e sinistro dei
mm. digastrici e, come apice craniale, la sinfisi mentale, ovvero il punto di fusione durante lo
sviluppo fetale delle due metà dell’osso della mandibola. Il pavimento craniale di questo
triangolo e costituito dai due mm. miloioidei che si uniscono in un rafe fibroso mediano.
Esso contiene sia piccole vene che si uniscono per formare, in posizione paramediana al piano
sagittale mediano, la v. giugulare anteriore, sia vari linfonodi sottomentali.

- Triangolo Sottomandibolare
E’ un’area pari, di pertinenza quasi totalmente ghiandolare, posta tra il margine inferiore della
mandibola, superiormente, e i ventri posteriori dei mm. digastrici., quello anteriore,
anteromedialmente, e quello posteriore, posteroinferiormente. In quest’area trova alloggio, nella
sua quasi totalità, la ghiandola sottomandibolare; i linfonodi sottomandibolari giacciono su
entrambi i lati della ghiandola lungo il margine inferiore della mandibola.

1. Loggia Sottomandibolare :
E’ lo spazio profondo che contiene la ghiandola sottomandibolare, con il suo dotto
sottomandibolare, lungo ca. 5 cm, che passa dal processo profondo della ghiandola,
parallelo alla lingua, fino alla cavità orale, dove si apre con 1-3 orifizi: queste aperture
sono localizzabili su una protuberanza, la caruncola sottolinguale, posta lateralmente
su ambo i lati del frenulo linguale.
In quest’area decorrono il nervo ipoglosso (XII paio) e il nervo motore per i muscoli
intrinseci ed estrinseci della lingua, oltre che il nervo per il m. miloioideo e il m.
digastrico (ventre anteriore).
Nella loggia sottomandibolare infine troviamo porzioni dell’a. e della v. facciali e l’a.
sottomentale che deriva proprio dall’a. facciale.

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- Muscoli Sopraioidei
Sono muscoli pari e simmetrici, costituiscono la parete della regione sovraioidea; trovano tutti
inserzione sull’osso ioide e lo connettono con diverse componenti del cranio.

1. M. Miloioidei : sostengono la lingua e costituiscono il pavimento mobile della bocca.


Originano dalla linea miloioidea della mandibola e trovano inserzione sul rafe
miloioideo mediano e sul corpo dell’osso ioide.
Sono innervati dai nn. miloioidei, rami del n. alveolare.
Svolgono l’azione di innalzare il pavimento della bocca durante la deglutizione e
contribuiscono ai movimenti della cavità orale durante la fonazione.

2. M. Genioioidei : posti superoposteriormente ai mm. miloioidei contribuiscono a


sorreggere il pavimento della bocca, soprattutto nella sua porzione mediana. Sono
posti l’uno accanto all’altro in posizione paramediana, separati, appunto, da uno
spazio virtuale e sottile, posto tra i due muscoli, lungo il piano sagittale mediano.
Originano dalla spina mentale inferiore della mandibola e trovano inserzione sul corpo
dell’osso ioide.
Sono innervati dal n. ipoglosso.
Svolgono l’azione di tirare anterosuperiorrmente l’osso ioide, di dilatare la faringe e di
accorciare il pavimento della bocca.

3. M. Stiloioidei: Sono una sottile striscia muscolare parallela al ventre posteriore del m.
digastrico; originano dal processo stiloideo dell’osso temporale del cranio e trovano
inserzione sul corno minore dell’osso ioide.
Sono innervati dal ramo cervicale del n. facciale.
Agiscono tirando posterosuperiormente l’osso ioide; sono dei parziali antagonisti dei
mm. genioioidei e contribuiscono modestamente nella dilatazione del pavimento della
bocca.

4. M. Digastrici: Costituiti da due ventri che convergono sull’osso ioide unendosi in un


tendine intermedio; un sottile anello fibroso, derivato dalla fascia cervicale, permette
al tendine di ancorarsi saldamente, e, contemporaneamente, di scivolare liberamente
anteriormente o posteriormente, sul corpo e sul corno maggiore dell’osso ioide.
Il ventre anteriore origina dalla fossetta digastrica della mandibola, quello posteriore
dal processo mastoideo dell’osso temporale.
Sono innervati, il ventre anteriore dal nervo miloioideo, un ramo del nervo alveolare
inferiore, mentre il ventre posteriore dal nervo facciale.
Svolgono l’importante azione di abbassare la mandibola e di innalzare l’osso ioide.

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REGIONE SOTTOIOIDEA

- Muscoli Sottoioidei
Si sviluppano caudalmente all’osso ioide e svolgono importanti azioni durante la fonazione e la
deglutizione, oltre che a stabilizzare l’osso ioide inferiormente, connettendolo con svariate
strutture; sono 4, tutti pari e simmetrici, e disposti su due piani, uno superficiale ed uno
profondo; sono avvolti in specifici compartimenti della fascia cervicale media.

1. M. Sternoioidei : Sottili e stretti, scorrono superficialmente ai muscoli dello strato


profondo e parallelamente al piano sagittale mediano.
Originano dal manubrio dello sterno, dall’articolazione sternoclaveare e talvolta anche
dal terzo mediale o sternale della clavicola. Trovano inserzione sulla porzione
inferolaterale del corpo dell’osso ioide.
Svolgono l’azione di riportare in situ l’osso ioide dopo la deglutizione.

2. M. Omoioidei : Posti più lateralmente rispetto ai mm. sternoioidei, sono formati da


due ventri, uno superiore e uno inferiore, uniti in prossimità della clavicola e
dorsalmente rispetto al m. sternocleidomastoideo, da un tendine intermedio ancorato
alla clavicola da un anello sottile di tessuto fibroso. Il ventre inferiore origina dal
margine superiore della scapola, accanto all’incisura sovrascapolare, il ventre
superiore invece origina sul terzo laterale del margine inferiore del corpo dell’osso
ioide e in gran parte sul corno maggiore.
Svolgono l’azione di abbassare, retrarre e stabilizzare l’osso ioide. Inoltre stabiliscono
un intimo rapporto con lo spazio vasculo-nervoso e riescono ad agire per questo come
muscoli tensori delle vv. giugulari interne, facilitando così il drenaggio venoso del
cranio, verso la v. cava superiore.

3. M. Sternotiroidei : Situati in profondità rispetto al m. sternoioideo, sono più larghi di


questo ed entrano in stretto rapporto con i lobi della ghiandola tiroide e con le porzioni
più laterali dell’istmo, proteggendola anteriormente e limitandone così i movimenti.
Originano dalla superficie dorsale o posteriore del manubrio dello sterno e trovano
inserzione sulle linee oblique della cartilagine tiroidea.
Svolgono l’azione di abbassare l’osso ioide e l’intera laringe, durante la deglutizione.

4. M. Tiroioidei : continuano il decorso dei mm. sterno tiroidei originando dalla linea
obliqua della cartilagine tiroidea e trovando inserzione sulle porzioni laterali del corpo
dell’osso ioide e sulle metà mediali dei corni maggiori di questo.
Svolge l’azione di abbassare l’osso ioide e di innalzare la laringe.

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SPAZIO VISCERALE IMPARI MEDIANO

- Ghiandola Tiroide
È un organo impari dello strato endocrino del settore anteriore del collo. Origina dall’epitelio del
pavimento della cavità orale come ghiandola endocrina. È di colore rosso-marrone, ha un peso,
nell’adulto in condizioni fisiologiche, di ca. 60g, e presenta una struttura chiaramente
riconoscibile nello spazio impari mediano del collo.
1. STRUTTURA/DIMENSIONI - E’ formata da due lobi laterali conici connessi in
prossimità della loro base da un istmo.
Lobi della Tiroide : pari e disposti lateralmente rispetto all’istmo. Ciascun lobo
misura in altezza ca. 4/8 cm, in larghezza ca. 2/4 cm, in diametro sagittale ca 1,5/2,5
cm. Generalmente il lobo di destra è più largo di quello di sinistra. Si orientano
obliquamente portandosi, in direzione craniocaudale, anteromedialmente, spostati in
dietro e verso l’alto rispetto all’istmo, fino ad ancorarsi in alto alla cartilagine
cricoidea e alla cartilagine tiroidea attraverso robusti legamenti della sua capsula.
Istmo della Tiroide : può variare notevolmente di forma e dimensioni, anche in
relazioni a situazioni patologiche comuni, e talvolta può non essere presente. Può
presentare anche in ca. un 10% della popolazione un lobo piramidale che si porta
superiormente lungo il piano sagittale mediano verso l’osso ioide. Ha un diametro
sagittale di ca. 1 cm e una larghezza di ca. 2 cm.
2. RAPPORTI TOPOGRAFICI - In sezione trasversale i lobi tiroidei appaiono
triangolari: le loro superfici anteriori appaiono convesse, quelle posteriori concave e
rivolte posteromedialmente verso la trachea e la laringe. I margini posterolaterali
della tiroide comunicano con la guaina vasculo-nervosa, che instaura rapporti diretti
con la capsula esterna della tiroide.
I poli superiori di entrambi i lobi della tiroide raggiungono la linea obliqua della
cartilagine tiroidea; i poli inferiori arrivano invece al IV anello tracheale. I muscoli
sottoioidei coprono e avvolgono solo in parte la tiroide, garantendone fissità e
copertura solo nelle porzioni paramediane e laterali.
La ghiandola tiroide si proietta ad un livello compreso tra C5 e T1.
3. RIVESTIMENTI E GUAINE - La ghiandola tiroide è avvolta da una sottile e
robusta capsula tiroidea costituita da due foglietti.
La Capsula Interna è sottile e formata da tessuto connettivo, saldamente ancorata alla
ghiandola e al suo parenchima, attraverso setti che portano vasi e dividono la tiroide
in lobuli di varie dimensioni.
La Capsula Esterna è invece più robusta e può considerarsi una porzione dello strato
pretracheale della fascia cervicale.
Tra i due foglietti è compreso un spazio o fessura di scorrimento, colmo di tessuto
connettivo che trasporta le strutture vasali maggiori della tiroide e posteriormente
contiene le ghiandole paratiroidi.
4. VASCOLARIZZAZIONE
Arteriosa : A. Tiroidea Superiore, con un ramo esterno e un ramo interno, per le
porzioni anteriori, superiori e laterali. A. Tiroidea Inferiore, sale fino a C7 e si porta
medialmente per raggiungere le porzioni inferiori, posteriori e mediali. Può essere
presente un’a. tiroidea ima nel 10% della popolazione.
Venosa : Vv. Tiroidee Superiori, Medie e Inferiori.

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5. DRENAGGIO LINFATICO - Un sistema capsulare di vasi linfatici consente il
drenaggio linfatico dell’organo, che è sostanzialmente parallelo a quello del sistema
vascolare; la linfa viene drenata a livello dei linfonodi cervicali profondi superiori e
inferiori.
6. INNERVAZIONE - L’innervazione ortosimpatica deriva da fibre post-gangliari dei
gangli cervicali superiore, medio e inferiore; queste fibre raggiungono la ghiandola
attraverso plessi periarteriosi delle arterie tiroidee. Queste fibre sono sostanzialmente
vasocostrittrici e non secromotorie, dato che la secrezione tiroidea avviene sotto
controllo ormonale ipofisario. L’innervazione parasimpatica avviene tramite i rami
laringei superiori e laringei ricorrenti del n. vago.

- Ghiandole Paratiroidi
Sono piccolissime ghiandole che hanno diversa funzionalità rispetto alla tiroide e sono
strettamente associate ad essa. Derivano dall’epitelio endodermico del diverticolo dorsale della
III e IV tasca branchiale e possiedono forma e dimensioni paragonabili a quelle di un chicco di
grano. La forma invece ricorda quella di una lenticchia ca. 5 mm x 3 mm x 2mm e il loro peso si
aggira intorno ai 0,16g. hanno un colore rossastro - giallastro tendente al marrone. In base allo
sviluppo embrionale possono avere diverse posizioni e variazioni topografiche, di notevole
importanza chirurgica.
Producono il Paratormone PTH, ormone peptidico formato da 82 Aa che stimola l’attività
osteoclastica indirettamente e, di conseguenza, regola, facendo aumentare, i livelli di Ca2+
ematici (ipercalcemia); inoltre agisce anche a livello renale, regolando i livelli di assorbimento
del fosfato.
Le Paratiroidi superiori si ritrovano solitamente all’altezza del margine caudale della cartilagine
cricoidea.
Le Paratiroidi inferiori sono situate alla base dei lobi della ghiandola tiroide, all’altezza del IV
anello cartilagineo della trachea.
La posizione delle paratiroidi è molto variabile, ma in una buona percentuale della popolazione
si possono riscontrare posizionate dorsalmente alla capsula interna della ghiandola tiroide,
posteromedialmente ai suoi lobi.
La vascolarizzazione arteriosa è affidata ad un’arteria paratiroidea, ramo dell’a. inferiore; il
drenaggio venoso invece segue, come anche quello linfatico, quello della ghiandola tiroide.
L’innervazione è compito dei plessi periarteriosi tiroidei, rami dei gangli del simpatico.

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- Laringe
La laringe fa parte dello strato respiratorio dei visceri del collo ed è un organo, impari e
mediano, molto articolato di questo spazio; si estende sostanzialmente dalla parete inferiore
della faringe, o ipofaringe, alla trachea. Nel maschio adulto ha un’estensione che si proietta tra
C3/C5; nella femmina e nel bambino occupa una posizione leggermente più alta. Oltre a
permettere il corretto passaggio dell’aria verso le vie respiratorie più inferiori, assolve
l’importante funzione di chiudere il suo passaggio al bolo, che transita dalla faringe all’esofago,
durante la deglutizione. Inoltre, la laringe è l’organo della fonazione, e ciò quel complesso
insieme di strutture che permette la modulazione e la produzione dei suoni e della voce.
Lo scheletro della laringe è costituito da lamine cartilaginee reciprocamente connesse tra loro
tramite legamenti e membrane, che risultano essere mobili tra loro grazie alle importanti
interazioni muscolari.

1. SCHELETRO DELLA LARINGE


Cartilagine Tiroide : è la più estesa delle cartilagini ialine impari della laringe. È
formata da due lamine, i cui 2/3 inferiori si uniscono anteroinferiormente sul piano
sagittale mediano per formare la prominenza laringea. Superiormente a questa,
portandosi in senso craniocaudale, le due lamine piatte divergono a “V” portandosi
lateromedialmente, superoinferiormente e dorsoventralmente per formare l’incisura
tiroidea superiore. Invece, l’incisura tiroidea inferiore è appena accennata lungo il
piano sagittale mediano, dal margine inferiore di questa cartilagine ialina.
Posteriormente le lamine divergono l’una dall’altra separandosi in senso
posterolaterale e danno origine ai corni superiori, situati superoposteriormente e che
si dirigono verso l’alto, e ai corni inferiori, situati inferoposteriormente e diretti
verso il basso, provvisti tra l’altro di una faccia articolare cricoidea, ovvero di una
superficie articolare per la cartilagine cricoide, posta inferiormente alla cartilagine
tiroidea.
Ogni lamina, lungo la sua faccia esterna, viene divisa in una porzione anteriore e in
una posteriore da una linea obliqua, che si porta dall’alto in basso
posteroanteriormente e lateromedialmente, dal margine cartilagineo superiore fino a
quello inferiore nella sua porzione mediana. Sulla faccia esterna delle lamine
trovano inserzione varie strutture, tra cui i mm. tiroiodei; su quella interna o
posteriore i mm. sternotiroidei.
Cartilagine Cricoide : è anch’essa una delle due cartilagini ialine impari della
laringe. Ha la chiara forma di anello, con castone rivolto dorsalmente. Forma infatti
un cerchio chiuso attorno alla via aerea, posto inferiormente alla cartilagine tiroide.
Il diametro di questo anello è approssimativamente quello di un dito medio ed è
formato da una porzione anteriore detta arco e una posteriore, che corrisponde al
castone dell’anello, detta lamina. Ha una consistenza più spessa e robusta rispetto
alla cartilagine tiroide, sebbene sia di estensione più piccola.
Nel punto di passaggio tra lamina e arco troviamo, caudalmente e vicino al margine
inferiore della cartilagine cricoide, una faccia articolare tiroidea, articolata con il
corno inferiore della cartilagine omonima; invece troviamo, su ambo i lati del
margine superiore della lamina, una faccia articolare aritenoidea.

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Cartilagine Epiglottide : è una delle tre cartilagini impari della laringe, ma, a
differenza della cartilagine cricoide e della cartilagine tiroide, è costituita da
cartilagine di natura fibroelastica e non va mai, in nessun caso, in contro a processi
di ossificazione con l’avanzare dell’età, cosa che invece può accadere per le altre
due suddette, di natura cartilaginea ialina.
Ha una caratteristica forma a foglia, che si applica tramite un peduncolo, il petiolus,
alla superficie interna della cartilagine tiroide. Presenta una superficie anteriore,
convessa e rivolta superoventralmente verso il versante faringeo, rivestita da un
epitelio caratteristico della porzione superiore dell’apparato digerente, l’epitelio
pavimentoso stratificato nella varietà non cornificata, e una superficie posteriore
con andamento concavo, rivolta inferodorsalmente verso il versante laringeo, che è
rivestita da epitelio respiratorio.
Cartilagini Aritenoidi : le due cartilagini hanno una tipica forma piramidale, con gli
apici orientati superodorsomedialmente. Ogni cartilagine aritenoide, essendo
approssimativamente una piramide, presenterà una faccia anterolaterale, una
mediale e una posteriore, con tre spigoli annessi, un apice superiore e una base.
Le loro basi sono, sia articolate con le facce articolari aritenoidee della cartilagine
cricoide, sia si continuano con due processi per ciascuna; i primi, i processi
muscolari, sono diretti dorsolateralmente; i secondi, i processi vocali, servono per
l’ancoraggio delle due corde vocali e sono diretti ventralmente, ventromediali
rispetto ai processi muscolari, con un decorso parallelo, rivolto verso la superficie
interna della cartilagine tiroide.
Ciascuno dei due apici è articolato con le piccole cartilagini corniculate.
Cartilagini Corniculate : cartilagini pari articolate con l’apice delle cartilagini
aritenoidee; sono localizzabili inferoposteromedialmente ai tubercoli cuneiformi
perché poste all’estremità dorsale delle pieghe ariepiglottiche; delimitano
superiormente la piccola incisura a “V”, posta tra le due cartilagini aritenoidi e
formata anch’essa da membrana mucosa, detta incisura interaritenoidea.
Cartilagini Cuneiformi : cartilagini pari, inglobate nella porzione inferodorsale delle
pieghe ariepiglottiche, danno origine ai tubercoli cuneiformi.
Cartilagini Triticee : piccoli noduli cartilaginei pari, inglobati nel legamento
tiroioideo, lungo il margine posterolaterale, tra le estremità craniali dei corni
superiori della cartilagine tiroide e l’estremità posteriori dei corni maggiori
dell’osso ioide.

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2. LEGAMENTI, ARTICOLAZIONI E MEMBRANE LARINGEE
Ligamento Tiroioideo : si estende tra il margine superiore della cartilagine tiroide e
l’osso ioide, che non entra a far parte dello scheletro della laringe. I fasci più robusti
si trovano nella porzione mediana del ligamento tiroioideo, ovvero quella porzione
che unisce l’incisura tiroidea superiore con il corpo dell’osso ioide. La porzione
laterale del ligamento tiroioideo è invece più sottile e permette il passaggio,
attraverso il suo spessore tramite specifici fori, del n. laringeo superiore e dei vasi
laringei superiori. La porzione laterale, inoltre, risulta essere irrobustita nei suoi
margini lateroposteriori dalla presenza, al suo interno, delle cartilagini triticee.
Ligamenti Cricoidei : da un punto di vista generale, la cartilagine cricoide risulta
essere ancorata al primo anello tracheale, caudalmente, con il suo margine inferiore,
attraverso il ligamento cricotracheale. Invece, il margine superiore dell’arco della
cartilagine cricoide si stabilizza, ancorandosi anteromedialmente al margine
inferiore della cartilagine tiroide, attraverso il ligamento cricotiroideo mediale.
Ligamenti Epiglottici : il peduncolo della cartilagine epiglottide risulta essere
inserito sulla superficie interna della cartilagine tiroide attraverso il ligamento
tiroepiglottico, impari e mediano. Inoltre la cartilagine epiglottide è connessa con il
corpo dell’osso ioide per mezzo del ligamento ioepiglottico, anch’esso impari e
mediano, che origina dalla faccia anteriore della cartilagine epiglottide.
Articolazione Cricotiroidea : è un’articolazione pari, localizzabile tra il corno
inferiore della cartilagine tiroide e la superficie inferolaterale della lamina della
cartilagine cricoide. Attorno ad un asse trasversale passante per entrambe le
articolazioni, queste consentono due punti di perno per l’azione dei muscoli
cricotiroidei, consentendo così lo spostamento posteroanteriore della cart. tiroide.
Articolazioni Cricoaritenoidee : articolazione pari, posta tra la base delle cartilagini
aritenoidi e il margine superiore della lamina della cartilagine cricoide. È circondata
da una capsula lassa che contrae stretti rapporti con i brevi ligamenti
cricoaritenoidei, che connettono la base delle cartilagini aritenoidi con il margine
superiore della lamina della cartilagine cricoide.
Membrane Laringee : il tessuto connettivo situato sotto la mucosa della laringe è
ricco di fibre elastiche che nel loro complesso formano una struttura chiamata
membrana fibroelastica della laringe. Questa comprende innanzitutto una porzione
superiore, detta membrana quadrangolare, situata sotto la mucosa laringea,
lateralmente alla faccia posteriore della cartilagine epiglottide, e poco sviluppata; la
membrana quadrangolare si porta obliquamente, dall’alto verso il basso, sia
anteroposteriormente che lateromedialmente, fino alla plica vestibolare, dove con il
suo margine inferiore libero forma il ligamento vestibolare. Inoltre, la membrana
fibroelastica della laringe comprende una porzione inferiore, che risale dalla
superficie interna della cartilagine cricoide per giungere al suo margine superiore
libero, detto ligamento vocale. Questa porzione inferiore della membrana, più
robusta e spessa, forma il cono elastico insieme al ligamento cricotiroideo laterale,
che si continua anteromedialmente col ligamento cricotiroideo medio e procede
caudocranialmente in senso obliquo lateromediale; il cono elastico è la struttura che
funge da impalcatura per le pliche vocali, che comprendono il suo margine libero
superiore, il ligamento vocale, e il muscolo vocale, delimitando la porzione
anteriore della glottide, o rima vocale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 13


3. MUSCOLI LARINGEI
I mm. laringei garantiscono il movimento reciproco delle cartilagini dello scheletro
della laringe e influiscono perciò sulla posizione e sulla tensione delle corde vocali.
In base a origine e inserzione vengono suddivisi in interni ed esterni. Tra quelli
esterni o estrinseci della laringe ricordiamo il m. cricotiroideo, oltre che i mm.
sternotiroideo, tiroioideo e costrittori della faringe. Tra quelli interni o intrinseci
della laringe, tutti innervati dal n. laringeo ricorrente, enumeriamo i mm.
cricoaritenoidei laterali e posteriori, i mm. tiroaritenoidei, i mm. vocali, i mm.
aritenoidei obliqui e il m. aritenoideo trasverso.
Mm. Cricotiroidei : originano, su entrambi i lati, dall’arco della cartilagine cricoide
e si portano, con le loro due porzioni, parte retta, anteromediale, e parte obliqua,
posterolaterale, verso il margine inferiore della cartilagine tiroide e verso la
superficie interna dei suoi corni inferiori.
Crea movimenti tra la cartilagine cricoide e la cartilagine tiroide che consentono alle
corde vocali di allungarsi e tendersi.
Mm. Cricoaritenoidei Posteriori : originano dalla superficie dorsale della lamina
della cartilagine cricoide e si portano, in senso dorsoventrale sia mediolateralmente
che caudocranialmente, fino a trovare inserzione sulle superfici laterali dei processi
muscolare delle cartilagini aritenoidi.
È l’unico muscolo che può aprire la glottide svolgendo azione di abduttore delle
corde vocali; la sua contrazione tira indietro e medialmente i processi muscolari
facendo allontanare i processi vocali, dilatando così la rima vocale.
Mm. Cricoaritenoidei Laterali : originano dal margine superiore e dalla superficie
esterna della porzione anterolaterale dell’arco della cartilagine cricoide. Si portano
obliquamente, dal basso verso l’alto e anteroposteriormente, per poi trovare
inserzione, anch’essi, sul processo muscolare delle cartilagini aritenoidi.
Tirando in avanti il processo muscolare, spostano medialmente i processi vocali,
svolgendo così azione di adduttore delle corde vocali e chiudendo la rima vocale o
porzione anteriore della glottide.
Mm. tiroaritenoidei : hanno origine dalla superficie interna della cartilagine tiroide e
trovano inserzione sia sui processi muscolari che sulle facce laterali delle cartilagini
aritenoidi. In una sua componente tiro-epiglottica o m. tiroepiglottico, invece, si
inserisce sull’epiglottide, portandosi anteroposteriormente e dal basso verso l’alto
verso le pliche ariepiglottiche, di cui però non forma lo strato muscolare, formato da
fibre che si continuano dai mm. aritenoidei obliqui.
I mm. tiroaritenoidei contribuiscono così a circoscrivere e sostenere l’ingresso della
laringe, portandosi dal margine inferiore, paralleli e laterali ai m. vocali con cui
formano le pliche vocali, fino alle porzioni superiori o mm. tiroepiglottici.
Agiscono tirando in avanti le cartilagini aritenoidi e così facendo accorciano e
chiudono la rima vocale.
Mm. Vocali : hanno origine dalla superficie posteriore della cartilagine tiroidea e
trovano inserzione sui processi vocali delle cartilagini aritenoidi. Sono paralleli e
laterali ai legamenti vocali e ne regolano e modulano, in modo molto preciso e
sensibile, la tensione. Si continuano lateralmente con i sottili e larghi mm.
tiroaritenoidei.

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Mm. Aritenoidei Obliqui : sono situati dorsalmente e superficialmente rispetto al m.
aritenoideo trasverso, avendo origine comune con esso; tuttavia i suoi fasci si
portano inferosuperiormente e con decorso obliquo dalla superficie posteriore del
processo muscolare di una cartilagine aritenoide, verso l’apice della cartilagine
aritenoide opposta. Inoltre alcuni suoi fasci si continuano per formare lo strato
muscolare delle pliche ariepiglottiche o m. ariepiglottico.
Restringe l’ingresso della laringe e avvicina le cartilagini aritenoidi, chiudendo così
la porzione posteriore della glottide o porzione intercartilaginea, ovvero quella
porzione posta tra i processi vocali delle due cartilagini aritenoidi e non tra i
legamenti vocali.
M. Aritenoideo Trasverso : è l’unico muscolo impari tra quelli interni alla laringe.
Le sue fibre si portano come una striscia trasversa dalla faccia posteriore della
cartilagine aritenoidea fino alla stessa della cartilagine opposta.
Svolge la stessa azione del m. aritenoideo obliquo.

4. CAVITA’ LARINGEA
Si definisce tale lo spazio rivestito da muscosa che si trova tra l’ingresso della
laringe e il margine cricotracheale della cartilagine cricoide. Questa cavità è divisa
dalle pliche vestibolari e vocali in 3 porzioni, una superiore, una media e una
inferiore.
Porzione Superiore : l’ingresso della laringe, l’aditus laryngis, è orientato
obliquamente e rivolto dorsalmente. È delimitato infatti anteromedialmente dal
margine superiore della cartilagine epiglottide, lateralmente dalle pliche
ariepiglottiche, che ne costituiscono il margine superiore portandosi
superoinferiormente in senso ventrodorsale fino ai tubercoli cuneiformi e, in
seguito, ai tubercoli corniculati, i quali delimitano superiormente la sua parete
posteromediale, o incisura interaritenoidea.
La parete laterale della prima porzione della cavità laringea è formata in gran parte
dai mm. tiroaritenoidei che delimitano medialmente uno spazio esterno alla cavità,
il recesso piriforme, ovvero un solco muscoso pari, delimitato medialmente dai mm.
tiroaritenoidei, appunto, e lateralmente dalla superficie interna della cartilagine
tiroidea, che permette di far confluire i liquidi deviati all’esterno della laringe
nell’esofago.
Porzione Media : corrisponde a quella piccola cavità intermedia posta tra le pliche
vestibolari e le pliche vocali. La cavità laringea intermedia si continua lateralmente
in due piccoli recessi a fondo cieco, uno per lato, detti ventricoli della laringe,
delimitati in alto dalle pliche vestibolari o false corde vocali, poco sporgenti e
pronunciate e inferiormente dalle pliche vocali, chiaramente riconoscibili in una
laringoscopia.
Porzione Inferiore : corrisponde alla cavità infraglottica ed è rivestita quasi
completamente dal cono elastico della membrana fibroelastica della laringe.
Si estende dalle pliche vocali, superiormente, fino al margine inferiore della
cartilagine cricoide dove si apre nell’ingresso della trachea.

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5. PLICHE VESTIBOLARI
Sono anche dette false corde vocali e contengono numerose ghiandole, oltre che il
ligamento vestibolare, ovvero il margine inferiore della membrana quadrangolare.
Rispetto alle pliche vocali esse sporgono in minor modo nella cavità laringea e,
anche per questo, lo spazio tra loro compreso risulta essere meno stretto e più
ampio; tale fessura è detta rima vestibolare e, proprio per la sua ampiezza, non
interagisce con l’aria per modularla in suoni e voce come invece fa la rima glottidea
o vocale, ad essa inferiore.

6. PLICHE VOCALI
Sono l’unica porzione della laringe non rivestita da epitelio respiratorio ciliato, ma
da un epitelio vocale pavimentoso stratificato non cornificato. Questa mucosa
risulta essere saldamente ancorata al ligamento vocale sottostante ed è caratterizzata
da un colore più biancastro e facilmente riconoscibile durante una laringoscopia.
Questo colore è dovuto sostanzialmente all’assenza sia della sottomucosa sia dei
vasi sanguigni a questa associati.
Le pliche vocali formano la rima glottidea o vocale, con il contributo dei mm. vocali
e in minor parte dei mm. tiroaritenoidei.

- Nn. Laringei Ricorrenti


Originano dai nn. vaghi nella porzione più basale del collo, a destra, e in quella superiore del
mediastino, a sinistra. Hanno la stessa distribuzione, simmetrica e speculare. Risalgono
superomedialmente con un decorso paramediano, paralleli ai visceri impari della regione
sottoioidea, andandosi ad alloggiare nel solco tracheoesofageo, posterolateralmente alla trachea,
anterolateralmente all’esofago, e passando posteriormente ai lobi della ghiandola tiroide.
Innerva tutti i muscoli intrinseci della laringe tranne il m. cricotiroideo.
Sebbene seguano un decorso speculare su ambo i lati, hanno origini diverse:
1. N. Laringeo Ricorrente di Destra : origina a livello delle vertebre T1-T2 e forma
un’ansa attorno all’a. succlavia destra portandosi dorsalmente a questa per poi
risalire.
2. N. Laringeo Ricorrente di Sinistra : origina dal n. vago a livello di T4-T5 e forma
un’ansa attorno all’arco dell’aorta, portandosi posteriormente a questa e risalendo
con decorso uguale su entrambi i lati.

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- Trachea (tratto cervicale)
La trachea è un tubo fibrocartilagineo sostenuto da 16-20 anelli di cartilagine ialina a forma di
ferro di cavallo e incompleti posteriormente. Questi anelli rinforzano e mantengono aperto il
canale tracheale, anterolateralmente. Posteriormente, invece, la parete è formata da uno strato di
muscolatura liscia e prende il nome di parete membranacea, costituita prevalentemente dal m.
tracheale, che entra in contatto sul di dietro con l’esofago. Inoltre, gli anelli tracheali sono tenuti
insieme dai ligamenti anulari, che consentono a questi anche un minimo di grado di motilità.
Il diametro trasversale del lume della trachea è maggiore rispetto a quello sagittale, che è di ca.
2,5 cm. La trachea ha una lunghezza di ca. 10-12 cm e si estende dal margine inferiore della
cartilagine cricoide, proiettabile a livello di C6, fino alla sua biforcazione all’interno del torace,
che si proietta o a livello del disco vertebrale tra T4 e T5 o anteriormente a livello dell’angolo
sternale. La porzione cervicale della trachea corrisponde alla parte posta anteriormente alle
vertebre C6 e C7. La trachea entra in rapporto, in questa porzione, lateralmente con i lobi
tiroidei e, più in basso, con le arterie carotidi comuni, anteriormente, nella sua porzione
superiore, con l’istmo della tiroide e, inferiormente a questo, con l’arco venoso giugulare.

- Esofago (tratto cervicale)


L’esofago è un canale muscolomucoso deformabile della lunghezza di ca. 25 cm che provvede a
trasportare, nelle sue diverse porzioni, il bolo dalla faringe allo stomaco. L’inizio dell’ esofago
si proietta in avanti col margine inferiore della cartilagine cricoide, a livello quindi di C6 o del
disco intervertebrale tra C6 e C7, mentre sbocca nello stomaco con il cardias a livello di T10 o
T11. La porzione cervicale dell’esofago entra, indirettamente, in contatto, posteriormente, con la
porzione anteriore della colonna vertebrale mentre, anteriormente, entra in contatto direttamente
con la faccia posteriore o parete membranacea della trachea.
Superiormente quest’organo presenta un restringimento superiore, nella sua primissima
porzione cervicale, detto anche bocca dell’esofago. Questa struttura è situata dietro la cartilagine
cricoide ed è formata da fibre muscolari circolari proprie dell’esofago. Il lume del canale, in
questo punto, è ridotto ad una fessura di ca. 1,4 cm e rappresenta il punto più stretto dell’organo.
L’esofago offre a considerare nella sua tonaca muscolare, uno strato muscolare interno
circolare, la cui potente azione peristaltica provoca la propulsione del bolo verso lo stomaco, e
uno strato muscolare esterno longitudinale, responsabile della tensione longitudinale delle
pareti dell’esofago e degli accorciamenti di singole porzioni durante la trasmissione dell’onda
peristaltica. Nei 2/3 superiori la tonaca muscolare comprende ancora fibre di muscolatura striata
provenienti dalla faringe, mentre, nel 1/3 inferiore, sono presenti solo fibre di muscolatura liscia.
La porzione cervicale dell’esofago decorre dietro la trachea e, rispetto alla linea mediana, appare
leggermente più spostata a sinistra. Per questo, tale porzione contrae rapporti diretti con il lobo
tiroideo sinistro e con l’a. tiroidea inferiore. Per giunta, rami di questa arteria, irrorano
l’esofago nella sua porzione sia anteriore che posteriore. Il n. laringeo ricorrente di sinistra
decorre inizialmente anterolateralmente all’esofago ma si porta successivamente, nella sua
porzione superiore, anteriormente all’organo. Infine, l’esofago, risulta essere separato dai mm.
profondi del collo grazie alla lamina prevertebrale della fascia cervicale.

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- Faringe
È un canale muscolare impari, lungo ca. 12-15 cm che si inserisce alla base del neurocranio,
grazie alla membrana faringobasilare, e si continua nell’esofago a livello della cartilagine
cricoide. La parete posteriore e le pareti laterali della faringe sono prive di aperture, mentre la
parete anteriore comunica, superoanteriormente, con la cavità nasale e, più inferiormente a
questa, con la cavità orale e la laringe. In base a questo tipo di comunicazioni che la faringe nel
suo complesso instaura con le strutture ad essa continue e contigue potremo distinguere 3
porzioni dell’organo. Avremo una epifaringe o rinofaringe, una mesofaringe o orofaringe e una
ipofaringe o laringofaringe.
Oltre alle sue tre porzioni, la faringe offre a considerare sia una tonaca muscolare, che
costituisce l’impalcatura morfofunzionale dell’organo, sia uno spazio perifaringeo, ovvero uno
spazio, diviso in più settori, che la faringe crea attraverso i rapporti che instaura con le strutture
ad essa adiacenti e contigue, e che si continua poi nel mediastino. Da un punto di vista
puramente topografico lo spazio perifaringeo viene diviso in un settore o spazio retrofaringeo,
posto tra la parete posteriore della faringe e la lamina prevertebrale della fascia cervicale, e un
settore o spazio parafaringeo, posto lateralmente alla faringe. Le pareti muscolari della faringe
risultano inoltre essere coperte da una sottile fascia buccofaringea che avvolge l’intero organo.

1. PORZIONI DELLA FARINGE


Rinofaringe : la cavità nasale si apre, attraverso le coane, nella porzione superiore della
faringe, la rinofaringe o epifaringe. Essa fa parte esclusivamente delle vie aeree e
dell’apparato respiratorio. Essa è delimitata in alto dalla base del cranio e
posterolateralmente dalla parete faringea. In basso il palato molle crea il confine tra
questa porzione e la porzione media o orale della faringe. Nel fornice della faringe e
nelle pareti superiore, posteriore e laterali della rinofaringe, un anello incompleto di
abbondante tessuto linfoide forma la tonsilla faringea. Nella parete laterale, su ambo i
lati, è situato lo sbocco della tuba di Eustachio, o ostio faringeo della tuba uditiva, a ca.
1,5 cm di distanza dal margine posteriore della conca nasale inferiore. Attorno a questo
sbocco un orlo cartilagineo solleva la mucosa formando il torus tubarius e
posteriormente a questo si trova il recesso faringeo che comunica caudalmente con
l’orofaringe. Sotto lo sbocco della tuba uditiva troviamo una seconda e più lieve
sporgenza, il torus levatorius, determinato dal m. elevatore del velo del palato, un
muscolo del palato molle.
Orofaringe : fa parte sia dell’apparato digerente che di quello respiratorio, perché
consente il passaggio dell’aria verso la laringofaringe, che comunica con l’adito
laringeo. Essa è posta caudalmente alla rinofaringe ed è circondata superoanteriormente
dal palato molle, superoposteriormente comunica con il recesso faringeo della
rinofaringe, posterolateralmente dalle pareti della laringe e inferoanteriormente dalla
radice della lingua. Inoltre comunica sul davanti con la cavità orale che si apre in essa
attraverso l’istmo delle fauci, ovvero quella struttura formata sia dagli archi palatini dei
mm. palatoglossi e dei mm. palatofaringei, sia dalla fossetta tonsillare, tra questi
compresa.

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Laringofaringe : giace posteriormente alla laringe, estendendosi, cranialmente, dal
margine superiore dell’epiglottide, anteromedialmente, e dalle pieghe faringo-
epiglottiche, anterolateralmente, fino, caudalmente, a livello del margine inferiore della
cartilagine cricoide, dove si continua nell’esofago attraverso la bocca dell’esofago.
Comprende le strutture pari chiamate recessi piriformi, poste lateralmente alla laringe.
È compresa in uno spazio che si proietta compreso tra C4 e C6.

2. TONACA MUSCOLARE DELLA FARINGE


La tonaca muscolare è composta dalla muscolatura striata dei mm. elevatori e dei mm.
costrittori della faringe. È composta principalmente da uno strato esterno circolare e da
uno più interno longitudinale; una disposizione dei due strati muscolari esattamente
opposta a quella che poi segue nel canale alimentare.
Lo strato longitudinale interno è formato dai mm. elevatori della faringe, muscoli pari e
poco sviluppati, che sono rispettivamente il m. palatofaringeo, il m. salpingofaringeo e
il m. stilofaringeo. Lo strato circolare esterno comprende i 3 mm. costrittori della
faringe, composti da robuste fibre muscolari ascendenti, divise in 3 gruppi in base alla
loro origine, ma tutti confluenti sulla parete posteriore in un rafe mediano, ovvero una
solida sutura connettivale fibrosa.
M. Costrittore Superiore : si inserisce come tutti i costrittori della faringe sul rafe
faringeo mediano, una robusta struttura di connettivo fibroso, che si inserisce a sua
volta sul tubercolo faringeo, posizionato nella porzione basilare dell’osso occipitale.
M. Costrittore Medio : si inserisce sul rafe faringeo e origina dall’osso ioide.
M. Costrittore Inferiore : origina dalla linea obliqua della cartilagine tiroide e dalla
porzione laterale dell’arco della cartilagine cricoide. I mm. costrittori della faringe
contribuiscono a ridurre il lume della faringe e a spingere il bolo caudalmente verso
l’esofago. Inoltre sollevano la laringe e l’osso ioide. La fascia faringobasilare, una
spessa e robusta membrana che origina dalla base del cranio, riveste per intero la
superficie interna della tonaca muscolare. Esternamente sono ricoperti dalla fascia
bucco-faringea.
M. Palatoglosso : origina dal palato duro e si unisce prima al m. salpingofaringeo,
cranialmente, e in seguito, caudalmente, con il m. stilofaringeo, trovando poi inserzione
comune sulla superficie interna della lamina della cartilagine tiroide.
M. Salpingofaringeo : origina dall’orlo cartilagineo della porzione finale della tuba
uditiva.
M. Stilofaringeo : origina dal processo stiloideo dell’osso temporale. Contribuisce ad
innalzare, accorciare e allargare la faringe.

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LOGGIA VASCULO-NERVOSA

- Trigono Carotico
Regione pari del collo, di estensione simile ad un triangolo, delimitata cranialmente dal margine
inferiore del ventre posteriore del m. digastrico, anteromedialmente dalla metà craniale del
margine laterale del ventre superiore del m. omoioideo e posterolateralmente dalla metà craniale
del margine mediale del muscolo sternocleidomastoideo.
In questa regione risale l’a. carotide comune; a livello della cartilagine tiroidea essa si divide in
una a. carotide interna e in una a. carotide esterna. A livello della sua biforcazione possono
essere descritte due particolarità anatomiche dell’a. carotide:

1. Seno Carotideo: è una dilatazione della primissima porzione dell’a. carotide interna
che può estendersi ed interessare anche l’a. carotide comune. Il seno carotideo è un
baro-recettore e reagisce ai cambiamenti di pressione arteriosa; riceve fibre nervose
sensitive dal n. glossofaringeo (IX) e dal n. vago (X).

2. Glomo Carotideo: è una massa ovoidale di tessuto bruno-rossastro, che giace sul lato
mediale della biforcazione carotidea; riceve fibre nervose dal seno carotideo ed è un
importantissimo chemiorecettore: infatti, controlla il livello di ossigeno nel sangue e
se stimolato da una bassa concentrazione di esso stimola l’aumento della pressione
arteriosa, dell’intensità della respirazione e della frequenza cardiaca.

- Guaina Carotidea o Vagina Carotica e Spazio Vasculo-Nervoso


E’ costituita da un addensamento di tessuto connettivo proveniente dalla fascia cervicale media
e si estende per tutta la lunghezza della regione cervicale. La sua porzione inferiore racchiude lo
spazio vasculo-nervoso che, avvolto dalla guaina e riempito con tessuto connettivo lasso
contiene: l’a. carotide comune e, dopo la biforcazione, l’a. carotide interna, in posizione
mediale; la v. giugulare interna in posizione laterale; il nervo vago posteriormente a queste due
strutture.
Bisogna ricordare che numerosi linfonodi cervicali profondi giacciono lungo la guaina carotidea.

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- Arterie Carotidi
L’a. carotide comune di destra inizia dalla biforcazione del tronco brachiocefalico; l’a. carotide
comune di sinistra invece risale direttamente dall’arco dell’aorta nel collo e per questo decorre
per circa 2 cm nel mediastino.
L’a. carotide comune risale all’interno della guaina carotidea fino a livello della cartilagine
tiroidea (C4) dove si divide in:
1. A. Carotide Interna: non hanno rami nel collo e si portano nel cranio attraversando i
canali carotidei scavati nelle ossa temporali. Contiene il seno carotideo ed entra
direttamente in contatto con il glomo carotideo.
2. A. Carotide Esterna: conta ca. 6 diramazioni intermedie più 2 finali, nella maggior
parte degli individui, che alimentano, per lo più, strutture esterne al cranio. Le aa.
carotidi esterne scorrono posterosuperiormente alla regione compresa tra il collo della
mandibola e il lobulo dell’orecchio; in questa regione l’a. carotide esterna è inglobata
nel parenchima della ghiandola parotide. Termina cranialmente con le sue due
diramazioni finali: l’A. Mascellare Interna e l’A. Temporale Superficiale.
Le 6 diramazioni sono, in senso caudocraniale:
1. A. Tiroidea Superiore : decorre anteroinferiormente ai mm.
sottoioidei e raggiunge la ghiandola tiroide nella sua porzione
anteriore. Invia rami per i mm. sottoioidei e per il m.
sternocleidomastoideo. Da origine prima di portarsi in basso
verso la ghiandola tiroide alla a. laringea superiore.
2. A. Faringea Ascendente : risale lateralmente alla a. carotide
esterna e parallelamente alla a. carotide interna verso la
porzione profonda della faringe.
3. A. Linguale : giace sul muscolo costrittore medio della faringe,
formando un arco superoanteriormente che risale passando
posteriormente al n. ipoglosso, al ventre posteriore del m.
digastrico e al m. stiloioideo. Da origine a due diramazioni: l’a.
sottolinguale e l’a. profonda della lingua.
4. A. Facciale o Mascellare Esterna : origina contiguamente all’a.
linguale; emette il principale ramo arterioso per le tonsille
palatine, l’a. tonsillare, un ramo per il palato e uno per le
ghiandole sottomandibolari.
Decorre risalendo in direzione caudocraniale dietro l’angolo
della mandibola per poi scendere lateralmente alla ghiandola
sottomandibolare scavando un solco nel suo parenchima e
portarsi, scavalcando il margine inferiore della mandibola
disegnando un uncino intorno alla metà della mandibola ed
entrando così nella regione facciale.
5. A. Occipitale : origina superiormente alla a. facciale e si porta
in profondità e posteriormente al ventre posteriore del m.
digastrico; incrocia il n. accessorio spinale.
6. A. Auricolare Posteriore: risale posteriormente parallela ai
processi mastoidei delle ossa temporali del cranio per rifornire
tra gli altri anche la ghiandola parotide.

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- Vena Giugulare Interna
Drena il sangue dal cervello, dalla porzione anteriore della faccia, dai muscoli profondi del
cranio e dai visceri cervicali. Ha origine nel forame giugulare della fossa cranica posteriore;
all’origine presenta una dilatazione craniale detta bulbo superiore della v. giugulare interna.
Nello spazio vasculo-nervoso decorre lateralmente all’a. carotide interna e poi all’a. carotide
comune e anterolateralmente al nervo vago.
Ha un decorso posteriore al m. sternocleidomastoideo e la sua porzione finale è alloggiata tra i
due capi del muscolo, profondamente. Dorsalmente all’estremità sternale della clavicola si dilata
in un bulbo inferiore della v. giugulare interna e, in seguito a quest’ultima struttura, che
contiene una valvola bicuspide che evita il reflusso di sangue, si unisce alla v. succlavia per dare
origine alla v. brachiocefalica.
Le vene tributarie della v. giugulare interna sono in senso craniocaudale:
1. Vv. Faringee : provengono dal plesso faringeo, drenano la parete laterale della faringe a
livello dell’angolo della mandibola.
2. V. Occipitale : può drenare anche nella v. cervicale profonda o nella v. vertebrale
attraverso il plesso venoso sottoccipitale.
3. Tronco Comune della V. Facciale, V. Retromandibolare, V. Linguale : la v.
retromandibolare anteriore confluisce in questo tronco, a differenza di quella
posteriore che si unisce alla v. auricolare posteriore per confluire insieme nella v.
giugulare esterna. La v. retromandibolare drena il sangue dalla v. temporale
superficiale, dalla v. trasversa della faccia, dalle vv. mascellari interne, tributarie del
plesso pterigoideo.
La v. facciale decorre insieme all’a. facciale scavalcando la mandibola intorno alla metà
del suo margine inferiore. Prima di confluire nel tronco comune riceve la v. palatina e la
v. sottomentale.
La v. linguale è formata dalla confluenza della v. linguale dorsale con la v. linguale
satellite del n. ipoglosso.
4. V. Tiroidea Superiore : prima di confluire nella v. giugulare interna ha come ramo
tributario la v. laringea superiore, che transita insieme all’arteria omonima e al nervo
laringeo superiore attraverso un forame nel legamento tiroioideo.
5. V. Tiroidea Media : drena il sangue dalle porzioni inferiori dei lobi della ghiandola
tiroide.

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- Nervo Vago (X paio di nervi cranici)
Questo nervo lascia il cranio insieme al n. glossofaringeo e al n. accessorio attraverso il forame
giugulare. Questo nervo possiede un ganglio superiore, posto contiguamente al forame
giugulare, che contiene i corpi dei neuroni della sensibilità somatica del nervo, e un ganglio
inferiore, posto inferiormente e vicino al primo, che contiene i corpi dei neuroni per la
sensibilità viscerale del n. vago. Numerosi rami formano delle anastomosi con il n. accessorio e
il n. glossofaringeo proprio nel tratto posto tra i due gangli.
Nella sua porzione cervicale da origine in senso craniocaudale a:
1. Nn. Faringei del Plesso Faringeo
2. Nn. Laringei Superiori da cui originano il r. esterno e il r. interno
3. Nn. Cardiaci Superiori
4. N. Laringeo Ricorrente Destro
Il n. vago decorre nella porzione cervicale contenuto all’interno della parte posteriore della
guaina carotidea, dorsalmente all’angolo formato dalla v. giugulare interna lateralmente e l’a.
carotide comune/interna medialmente.
Successivamente, a destra passa al davanti della prima porzione dell’arteria succlavia e
posteriormente alla v. brachiocefalica, a sinistra, invece, entra nel torace compreso nello spazio
tra l’a. succlavia e l’a. carotide comune portandosi poi al davanti dell’arco dell’aorta.

- N. Ipoglosso (XII paio di nervi cranici)


Ha funzione motrice per i mm. intrinseci ed estrinseci della lingua, per il m. genioioideo e per il
m. tiroioideo. Lascia il cranio attraverso il canale dell’ipoglosso e si porta inferiormente
all’angolo della mandibola per poi curvare anteriormente ed entrare nella lingua dove innerva
tutti i mm. intrinseci eccetto il m. palatoglosso; inoltre, insieme all’ansa cervicale, innerva i mm.
sottoioidei. Penetra, posteriormente al ventre posteriore del m. digastrico, nel triangolo
sottomandibolare ed emette un ramo per i mm. genioioidei.
1. Ansa Cervicale : E’ un ansa, pari, che discende inferoanteriormente dalla porzione
superiore del collo, ed è formata da due radici, una superiore, che origina dal n.
ipoglosso, ed una inferiore, che origina direttamente dal plesso cervicale.
In realtà contiene in entrambe le sue radici solo fibre provenienti dal plesso
cervicale, che però decorrono nella radice superiore accompagnate dal n. ipoglosso.
Le sue fibre innervano i mm. sottoioidei.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 23


REGIONE STERNOCLEIDOMASTOIDEA

- M. Sternocleidomastoideo
E’ un importante punto di repere del collo poiché, essendo un ampio e forte muscolo pari del
collo, permette di dividere la regione cervicale anterolaterale in un settore anteriore impari
mediano, compreso tra i margini mediali dei due mm. sternocleidomastoidei, e in due settori
laterali sovraclaveari, triangoli compresi tra i margini laterali di questi muscoli e i mm. trapezi.
1. Origine/Inserzione : ha origine sul processo mastoideo delle ossa temporali del
cranio, dove i due capi che lo compongono si uniscono. Questi trovano
inserzioni diverse, discendendo anteromedialmente rispetto all’origine; il capo
sternale discende più medialmente e si inserisce con un tendine arrotondato
sul manubrio dello sterno; il capo clavicolare invece, più spesso e carnoso,
trova inserzione, più lateralmente, sulla superficie superiore del terzo mediale
della clavicola. Lo spazio compreso tra i due punti d’inserzione viene detto
loggia sovraclaveare minore.
2. Innervazione/Vascolarizzazione : il m. sternocleidomastoideo è vascolarizzato
dall’a. occipitale con il ramo omonimo del muscolo. L’innervazione è
garantita dal n. accessorio con fibre motrici e dai nervi C2 e C3 con fibre
sensitive.
3. Azione : piega il capo lateralmente, flette il collo e lo ruota in modo da poter
rivolgere il viso verso il lato opposto. Può contribuire come muscolo
respiratorio accessorio durante una respirazione forzata.

- Nervo Accessorio (XI paio di nervi cranici)


E’ formato da due radici, una craniale e una spinale. Queste due radici o gruppi distinti di fibre
nervose sono uniti solo per un breve tratto, ovvero quando oltrepassano insieme il foro
giugulare. Le fibre che compongono la radice cranica o accessoria del vago si uniscono al n.
vago e si distribuiscono, con esso e mediante, esso ai muscoli del palato molle, della faringe,
della laringe e dell’esofago. Le fibre della radice spinale, invece, scendono seguendo il decorso
dell’a. carotide interna come n. accessorio spinale, e, portandosi in senso craniocaudale
mediolateralmente, penetrano in profondità e passano attraverso il m. sternocleidomastoideo, a
cui forniscono innervazione. Una volta superato questo muscolo il nervo accessorio spinale
continua la sua discesa mediolaterale e anteroposteriore fino al m. trapezio.

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- Vena Giugulare Esterna
Questa vena drena la maggior parte del sangue proveniente dal cuoio capelluto e dalle guancie;
origina tra l’angolo della mandibola e il lobulo dell’orecchio dall’unione del ramo posteriore
della v. retromandibolare con la v. auricolare posteriore. Si porta sul davanti del m.
sternocleidomastoideo incrociandolo obliquamente, portandosi abbastanza in superficie tra la
fascia cervicale superficiale e la tela sottocutanea. E’ una vena tributaria della v. succlavia.

- Vena Giugulare Anteriore


Molto variabili da individuo a individuo, sia nel decorso e che nelle confluenze. E’ la più piccola
tra le vv. giugulari. Origina a livello dell’osso ioide dall’unione delle vv. sottomandibolari
superiori o dalle anastomosi che si creano tra le vv. linguali.
Le vv. giugulari anteriori discendono al di sotto della tela sottocutanea, in superficie, l’ungo
l’asse sagittale paramediano, anastomizzandosi tra loro con piccoli archi venosi, impari mediani.
Confluiscono o nella v. giugulare esterna o nella v. succlavia passando dietro i capi sternale e
clavicolare dei mm. sternocleidomastoidei.

- Linfonodi Cervicali Anteriori


Posti nel settore anterolaterale del collo sono divisi in un gruppo superficiale, associato alla v.
giugulare esterna, e in un gruppo profondo, che forma una catena lungo il decorso della v.
giugulare interna e drena la linfa proveniente dal gruppo superficiale e dalle regioni occipitale e
facciale. Un altro gruppo di linfonodi cervicali profondi è quello dei linfonodi prelaringei,
pretracheali, paratracheali e retrofaringei.
Tutti questi linfonodi cervicali anteriori profondi confluiscono nei linfonodi cervicali profondi
inferiori.

- Linfonodi Cervicali Laterali


Anch’essi sono divisi in un gruppo superficiale, che giace lungo il decorso della porzione
inferiore della v. giugulare esterna, in stretto rapporto con il m. sternocleidomastoideo, e in un
gruppo profondo, che drenano la linfa del gruppo superficiale e sono in stretto rapporto con lo
spazio vasculo-nervoso e con la v. giugulare interna. I primi raccolgono la linfa dalla porzione
inferiore della parotide e dal padiglione auricolare; i secondi invece, i linfonodi cervicali
profondi, vengono divisi in un gruppo superiore, che costituisce la seconda stazione linfatica per
i linfonodi della testa, e in uno inferiore, che costituisce la seconda stazione linfatica per i
linfonodi del collo e l’ultima per quelli della testa. I linfonodi cervicali profondi inferiori
riversano poi la loro linfa nei linfonodi sovraclaveari che accompagnano il decorso dell’a.
trasversa del collo.

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REGIONE SOVRACLAVEARE

- Muscoli Scaleni
Rappresentano, in un certo senso, la continuazione craniale della muscolatura intercostale.
Originano infatti dai processi trasversi delle vertebre cervicali, che possono essere considerati,
soprattutto in questo, caso dei rudimenti costali, e contribuiscono agli atti respiratori, qualora
fosse necessario in una respirazione forzata, come muscoli accessori.
1. M. Scaleno Anteriore : origina dai tubercoli anteriori dei processi trasversi di
C4/C6 e trova inserzione sul tubercolo del m. scaleno anteriore della I costa.
E’ innervato dal plesso brachiale con i nervi spinali C4/C6.
Svolge l’azione di flettere e ruotare il collo, oltre che di innalzare la prima costa.
2. M. Scaleno Medio : ha origine dai tubercoli posteriori dei processi trasversi di
C2/C7 e trova inserzione sia sulla I costa che sulla fascia intercostale esterna del I
spazio intercostale. L’inserzione si trova, più precisamente, posteriormente al solco
costale dove è alloggiata l’a. succlavia.
E’ innervato dal plesso brachiale e dal plesso cervicale.
Svolge l’azione di innalzare, durante una inspirazione forzata, la I costa, oltre che a
flettere lateralmente il collo.
3. M. Scaleno Posteriore : ha origine sui tubercoli posteriori dei processi trasversi di
C5/C7 e trova inserzione sui margini esterni della II e III costa.
E’ innervato dal plesso brachiale.
Svolge l’azione di innalzare la II costa durante una inspirazione forzata e di flettere
lateralmente il collo.

- Triangolo degli Scaleni


Tra il m. scaleno anteriore e il m. scaleno medio si forma questo spazio di forma triangolare, che
crea una comunicazione tra la regione più inferiore del settore impari mediano del collo e la
regione laterale di quest’ultimo. Il triangolo degli scaleni è alloggiato sopra la I costa e consente
il passaggio al suo interno di strutture importantissime quali l’a. succlavia e, superodorsalmente
a questa, il plesso brachiale.

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LOGGIA SOVRACLAVEARE

- Arteria Succlavia
Le aa. succlavie irrorano principalmente gli arti superiori, ma contribuiscono anche alla
vascolarizzazione del neurocranio e del collo. Ciascuna a. succlavia disegna un arco nel suo
decorso, portandosi mediolateralmente e anteroposteriormente, dalla sua origine per tutto il suo
decorso, incrociando cranialmente anche la pleura e il polmone.
Le arterie si portano in senso superoposterolaterale nella loro prima porzione o porzione
ascendente, nascoste dal terzo medio della clavicola. Dopo essere risalite per un breve tratto
anterolateralmente alla colonna vertebrale, infatti, passano attraverso il triangolo degli scaleni
nella regione latero-cervicale. Nel discendere per portarsi verso l’arto superiore passano
inferiormente al punto di mezzo della clavicola e superiormente alla I costa.
A scopo puramente descrittivo il m. scaleno anteriore divide l’a. succlavia in 3 porzioni: I
porzione, offre a considerare un decorso superolaterale e ascende dalla sua origine fino al
margine mediale del m. scaleno anteriore; II porzione, offre a considerare un decorso orizzontale
e posteriore al m. scaleno anteriore, inclusa nel triangolo degli scaleni; III porzione, offre a
considerare un decorso inferolaterale e discende dal margine laterale del m. scaleno anteriore
fino al margine inferiore della I costa, dove diventa a. ascellare.
L’a. succlavia di destra origina dal tronco brachiocefalico, posteriormente all’articolazione
sternoclavicolare di destra e ventralmente alla trachea, a livello di T2-T3. Il nervo vago giace
ventralmente ad essa, mentre la cupola pleurica, l’apice del polmone e il tronco del simpatico le
giacciono dorsalmente.
L’a. succlavia di sinistra origina direttamente dall’arco aortico, a circa 1 cm lateralmente dell’a.
carotide comune di sinistra e a livello di T4. Il nervo vago decorre medialmente ad essa,
compreso tra le due grandi arterie. L’a. succlavia di sinistra penetra nel collo a livello
dell’articolazione sternoclaveare di sinistra.
L’a. succlavia invia le seguenti ramificazioni, distinte nelle 3 porzioni:
1. I porzione : A. vertebrale, che si dirige posterosuperiormente verso la colonna
vertebrale e risale, a partire da C6, decorrendo nei forami trasversali delle
vertebre cervicali, fino a raggiungere il neurocranio attraverso i forami occipitali.
Secondo il suo tragitto l’a. vertebrale viene suddivisa in 4 porzioni: porzione
prevertebrale, porzione trasversaria, porzione atlantica e porzione intracranica.
A. toracica interna che corre inferomedialmente nel torace in posizione
parasternale, a ca. 1 cm dallo sterno, fino al diaframma.
Tronco tireo-cervicale, tronco ampio che si porta superoanteriormente e che da
origine a grossi vasi come l’a. tiroidea inferiore, che si porta superomedialmente
verso la superficie posteriore della ghiandola tiroide e che vascolarizza attraverso
l’a. laringea inferiore l’esofago, la trachea, la faringe e porzioni della laringe e
attraverso l’altro suo ramo, l’a. cervicale ascendente, risale ventralmente ai
muscoli scaleni.
2. II porzione : Tronco costo-cervicale, si dirige posteroinferiormente e ad arco e dà
origine ventralmente all’a. intercostale suprema, ovvero l’origine comune delle
prime due aa. intercostali, e dorsalmente all’a. cervicale profonda, che
vascolarizza i muscoli della nuca.
3. III porzione : A. trasversa del collo, accompagnata lungo il suo decorso dai
linfonodi sovraclaveari è immersa tra i fasci del plesso brachiale.

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- Vena Succlavia
Drena il sangue proveniente dalla v. ascellare, come suo diretto proseguimento, verso l’angolo
venoso, ovvero quella struttura anatomica angolare formata dalla confluenza e dall’unione, in
un'unica v. brachiocefalica, della v. giugulare interna con, appunto, la v. succlavia, a livello
dell’articolazione sternoclaveare. L’angolo venoso assume particolare importanza soprattutto
perché è il punto in cui la linfa, raccolta da tutte le porzioni del corpo,viene riversata nel circolo
venoso sistemico dai due grossi vasi del sistema linfatico, ovvero, a destra, il tronco linfatico e,
a sinistra, il dotto toracico.
Inoltre, la v. succlavia scorre anteriormente al m. scaleno anteriore e dorsalmente al m.
sternocleidomastoideo. Infatti, il m. scaleno anteriore la separa dall’a. succlavia che ne segue il
decorso in modo parallelo, passando anch’essa sopra la prima costa.
Di solito possiede un solo ramo tributario, la v. giugulare esterna.

- Tronco Linfatico
Raccoglie la linfa dalla porzione superiore destra del corpo e sbocca nell’angolo venoso destro.
Il dotto si forma per la confluenza del tronco broncomediastinico, del tronco succlavio e del
tronco giugulare.

- Dotto Toracico (porzione cervicale)


La breve porzione cervicale, ubicata al davanti di C7, precede l’arco del dotto toracico, che
costituisce la porzione arcuata del dotto posta subito prima lo sbocco ampollare nell’angolo
venoso sinistro.
Esso raccoglie la linfa di tutte le porzioni inferiori del corpo e delle porzioni superiori di sinistra.
Prima dell’angolo venoso, nella porzione cervicale, in esso sboccano:
1. Tronco Broncomediastinico di sinistra: raccoglie la linfa dalla cavità toracica e
sbocca direttamente nel dotto toracico; è formato dalla confluenza, nel torace, di
numerosi tronchi linfatici.
2. Tronco Succlavio di sinistra : raccoglie la linfa proveniente dall’estremità superiore
sinistra e dalle parti molli della metà sinistra del torace.
3. Tronco Giugulare di sinistra : raccoglie la linfa dalla testa e dal collo e può
riversarla o direttamente nell’angolo venoso o nel dotto toracico.

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- Plesso Cervicale
E’ formato dai rami ventrali dei primi 4 nervi cervicali; ciascun nervo eccetto il primo, si divide
in un ramo ascendente e in uno discendente. Questi si uniscono formando delle anse che con le
loro ramificazioni compongono il plesso cervicale; queste anse giacciono tutte
anterolateralmente al m. scaleno medio e sono poste in profondità nella loggia sovraclaveare,
dorsalmente al m. sternocleidomastoideo.
Le ramificazioni posteriori del plesso cervicale innervano la cute del collo, la parete
superolaterale del torace e parte del cuoio capelluto. Esse emergono dalla loggia sovraclaveare e
si estendono superficialmente all’altezza del punto di mezzo del margine posterolaterale del m.
sternocleidomastoideo, formando così il punto nervoso del collo.
Le ramificazioni anteriori formano l’ansa cervicale, sia nella sua componente proveniente da
C1 e C2, associata al n. ipoglosso che non fa parte dell’ansa cervicale, nella radice superiore, sia
isolate come ramificazioni provenienti da C3 e C4, nella radice inferiore dell’ansa cervicale.
Inoltre vicino alle loro origini i nervi del plesso cervicale ricevono rami comunicanti grigi, la
maggior parte dei quali discende dal ganglio cervicale superiore del tronco del simpatico.

- Nervo Frenico
Origina principalmente dal IV nervo cervicale, ma riceve spesso contributi dal III e dal V. I nn.
frenici contengono fibre motrici, sensitive e simpatiche. L’origine avviene a livello del margine
laterale della porzione superiore del m. scaleno anteriore e del margine superiore della
cartilagine tiroidea; a questo livello riceve anche fibre derivanti dal tronco del simpatico.
Il n. frenico discende obliquamente al davanti del m. scaleno anteriore insieme alla v. giugulare
interna, ponendosi in profondità rispetto allo strato prevertebrale della fascia cervicale.
A sinistra incrocia ventralmente l’a. succlavia nella sua I porzione.
A destra corre ventralmente al m. scaleno anteriore e quindi incrocia indirettamente e separato
dal muscolo, l’a. succlavia nella sua II porzione.
Su entrambi i lati si pone dorsalmente alla v. succlavia.
Il V nervo cervicale può confluire con un n. frenico accessorio nel n. frenico, discendendo da
principio parallelo e laterale a questo per poi unirsi a livello della primissima porzione del
torace.

- Plesso Brachiale
E’ costituito dai rami ventrali dei 5 nervi spinali che vanno da C5 a C8 e includendo T1. Si può
distinguere una parte sottoclavicolare da una sopraclavicolare. Quest’ultima, la porzione
prettamente cervicale, vede il costituirsi, all’interno della loggia sovraclaveare, di 3 tronchi
primari, formati dall’associazione tra loro dei nervi, che si dirigono inferolateralmente verso
l’arto superiore, passando nel triangolo degli scaleni, dorsalmente all’a. succlavia. Essi sono: il
Tronco Superiore, formato dalla confluenza di C5 e C6; il Tronco Medio, formato
esclusivamente da C7; il Tronco Inferiore, formato dalla confluenza di C8 e T1.
Nella porzione cervicale, il plesso brachiale manda rami motori ai mm. del cingolo scapolare.

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FORMAZIONI AL CONFINE CON IL SETTORE POSTERIORE

- Tratto Cervicale del Tronco dell’Ortosimpatico


Formazione pari, posta anterolateralmente alla colonna vertebrale, davanti ai processi trasversi
delle vertebre, a partire da C1. Si pone posteromedialmente alla guaina carotidea e allo spazio
vasculo-nervoso ed entra in stretto contatto con lo strato prevertebrale della fascia cervicale. È
formato sostanzialmente da una catena di gangli, collegati tra loro da rami intergangliari che
inviano i rami comunicanti. Nel collo il tronco del simpatico invia rami comunicanti grigi ai
nervi spinali superiori con fibre post-sinaptiche provenienti dai gangli cervicali, che sono:
1. Ganglio Cervicale Superiore : si trova a livello di C1-C2 ed ha una lunghezza
notevole e apprezzabile, di ca. 2,5-3 cm. Può essere confuso con il ganglio
nodoso del n. vago, ad esso molto vicino. Invia rami comunicanti grigi ai
nervi spinali C1/C4, fornisce fibre al n. cardiaco superiore e ai plessi
periarteriosi dell’a. carotide esterna. Inoltre forma il plesso simpatico
carotideo che arriva fino alla cavità cranica seguendo il decorso dell’a.
carotide interna.
2. Ganglio Cervicale Medio : occasionalmente può essere assente; è il più
piccolo dei 3 gangli. Giace sovente sulla superficie anteriore dell’a. tiroidea
inferiore, a livello del processo trasverso di C6 e della cartilagine cricoidea. Da
questo ganglio si dipartono rami comunicanti grigi per i nervi spinali C5 e C6.
Inoltre invia nn. cardiaci medi e forma il plesso periarterioso tiroideo.
3. Ganglio Cervicale Inferiore : nella maggior parte dei casi si fonde con il primo
ganglio toracico per formare quel grosso addensamento di tessuto nervoso
chiamato Ganglio Cervico-toracico o Stellato; esso giace anteriormente al
processo trasverso di C7, proprio sopra il collo della prima costa,
posteriormente all’origine dell’a. vertebrale. Invia rami ai nervi C7 e C8 e
attraverso questi entra nel plesso brachiale; inoltre invia fibre che si uniscono
al n. cardiaco inferiore, per formarne la componente ortosimpatica; invia fibre
anche verso l’a. vertebrale dove forma il plesso periarterioso vertebrale che
arriva fino alla cavità cranica.

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Parte II - Settore Posteriore del Collo
VERTEBRE CERVICALI

La prima, Atlante, la seconda, Epistrofeo, e la settima, Vertebra Cervicale Prominente, sono


distinguibili dalle altre 4 vertebre cervicali, più simili tra loro nella forma e nelle caratteristiche.

- C3/C7
Sono formate da un corpo, che, in continuità con i dischi intervertebrali, si articola nella
colonna vertebrale, e da un arco vertebrale, che si divide in una porzione posteromediale, le
lamine, e in una anterolaterale, i peduncoli. Dove peduncoli e lamine si uniscono, su entrambi i
lati, vediamo dipartire, verso l’alto, i processi articolari superiori e, verso il basso, i processi
articolari inferiori. Tra il corpo e i processi articolari superiori vi è una incisura vertebrale
superiore, mentre, tra il corpo e i processi articolari inferiori, troviamo una incisura vertebrale
inferiore, più profonda e marcata. I processi articolari presentano delle superfici articolari;
quelli superiori sono inclinati dorsalmente, quelli inferiori ventralmente. L’arco vertebrale
termina, sul piano sagittale mediano, con un processo spinoso, che da C3 a C6 è bifido. L’area
racchiusa tra il corpo, ventralmente, e l’arco con il processo spinoso, laterodorsalmente, prende
il nome di forame vertebrale che, nelle vertebre cervicali, è particolarmente ampio.
Bilateralmente ai peduncoli dell’arco vertebrale si sviluppano i processi trasversi, che si
uniscono separatamente, ventralmente, al corpo e, dorsalmente, al peduncolo, circoscrivendo
così un foro tra i due punti di fusione, il forame trasversario. I forami trasversali sono formati
dalla fusione incompleta delle due componenti che danno origine ai processi trasversi, ovvero
l’abbozzo vertebrale e l’abbozzo costale. Nei processi trasversi si distinguono un tubercolo
anteriore e un tubercolo posteriore che delimitano una doccia chiamata solco del n. spinale.

- Atlante o C1
E’ la prima vertebra cervicale. Si distingue da tutte le altre vertebre per l’assenza del corpo
vertebrale. Infatti, nella struttura dell’Atlante riconosciamo un arco anteriore e un arco
posteriore, quest’ultimo più sviluppato.
Sul piano sagittale mediano troviamo, sull’arco anteriore, un tubercolo anteriore e, sull’arco
posteriore, un tubercolo posteriore, che può essere poco pronunciato e visibile in alcuni casi.
A lato dell’ampio forame vertebrale troviamo le due masse laterali che presentano ciascuna una
faccetta articolare superiore, leggermente più ampia e concava, e una faccetta articolare
inferiore, circolare e pianeggiante o modestamente depressa. Sulla superficie dorsale dell’arco
anteriore, troviamo, inoltre, una faccetta articolare per il dente dell’epistrofeo.
Un solco, discretamente marcato, è riconoscibile sull’arco posteriore e si porta, medialmente, su
entrambi i lati, dal forame trasversario, subito dietro le masse laterali e la faccetta articolare
superiore fino al forame vertebrale. È il solco per l’a. vertebrale e si estende, appunto, dal
forame trasversario del processo trasverso.

- Epistrofeo o C2
Si distingue dalle altre vertebre per la presenza di un processo odontoideo o dente, ovvero una
voluminosa sporgenza anterosuperiore che si diparte dal corpo vertebrale. Il dente presenta sulla
sua superficie ventrale una faccia articolare anteriore; esso termina superiormente con un apice.
Sulla superficie dorsale è presente una faccia articolare posteriore. I processi trasversi e i
formai trasversali sono poco marcati. Il processo spinoso invece è tozzo e bifido.
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TORACE
Introduzione - Anatomia Topografica di Superficie
Il torace è la porzione superiore del tronco, posta tra il collo e l’addome.

Numerose linee verticali e orizzontali facilitano la suddivisone del tronco in diversi settori di superficie
e forniscono importanti punti di repere per le strutture interne del tronco.

Sulla parete anteriore queste linee sono:


La linea mediosternale corrisponde al piano sagittale mediano e divide il tronco in due metà
simmetriche. Le linee marginosternali seguono il decorso dei margini laterali dello sterno. Le linee
parasternali corrono a ca. 1,5/2 cm lateralmente dalle linee marginosternali.
Le linee emiclaveari originano dai punti medi delle clavicole e discendono, leggermente inclinate,
dall’alto in basso, lateromedialmente, tangenti medialmente al capezzolo, verso il margine della sinfisi
pubica.

Sulla parete laterale le linee hanno come riferimento il cavo ascellare e, in senso anteroposteriore,
delimitano una superficie laterale compresa tra il m. grande pettorale e il m. grande dorsale. Esse sono
3, tutte verticali e parallele tra loro:
La linea ascellare anteriore, che discende lungo la piega ascellare, e corrisponde al margine laterale del
m. grande pettorale. La linea ascellare media, che origina dall’apice del cavo ascellare, ovvero dal suo
punto più profondo. La linea ascellare posteriore decorre verticalmente lungo il pilastro ascellare
posteriore, formato dai muscoli grande dorsale e grande rotondo.

Lungo la parete posteriore le più importanti strutture anatomiche, che consentono di tracciare delle linee
di superficie, sono la colonna vertebrale e le ossa scapolari. Come linee verticali avremo così: La linea
vertebrale spondiloidea, comune a tutta la regione del dorso, corrisponde al piano sagittale mediano ed è
tangente ai processi spinosi di tutte le vertebre. La linea paravertebrale decorre a ca. 1,5/2 cm
lateralmente alla linea vertebrale spondiloidea. La linea angolare della scapola scende tangente
all’angolo della scapola. Come linee orizzontali invece avremo: la linea bispinoscapolare e la linea
biangoloscapolare, tangenti alle spine e agli angoli delle scapole.

La parete anteriore del torace viene così divisa in diverse regioni. Queste sono: regione mammaria,
corrispondente alla regione della ghiandola mammaria, che si continua inferiormente nella regione
sottomammaria e lateralmente nella regione pettorale laterale. Queste 3 regioni vengono raggruppate in
un'unica regione pettorale della parete toracica anteriore. Medialmente le regioni pettorali dei due lati
sono separate tra loro dalla regione sternale, regione impari mediana compresa tra le due linee
marginosternali. Lateralmente invece la regione pettorale laterale confina con la regione ascellare.
Superomedialmente la regione mammaria confina con la fossa sottoclaveare mentre,
superolateralmente, la regione ascellare la separa dalla porzione superiore dell’arto inferiore.
Superiormente a questa zona, compreso tra la fossa sottoclaveare, in basso, la regione deltoidea,
lateralmente, e il margine inferiore del terzo laterale della clavicola, in alto, troviamo il trigono
clavipettorale, importante regione della spalla attraverso cui vasi e nervi passano nella regione ascellare
e nell’arto superiore. Infine, al limite tra la parete toracica e la parete addominale, troviamo le regioni
ipocondriache destra e sinistra, che appartengono come superfici e pareti al torace, mentre, come cavità,
all’addome.

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Parte I - Parete Toracica
STRATI SUPERICIALI DELLA PARETE TORACICA

- Tessuto sottocutaneo
Il tessuto sottocutaneo o ipoderma è uno strato composto da tessuto connettivo lasso, posto
immediatamente al di sotto della cute, a cui è strettamente ancorato attraverso fasci fibrosi detti
retinacula cutis. L’ipoderma delle regioni toraciche contiene quantità variabili di tessuto
adiposo, oltre che ghiandole sudoripare, vasi sanguigni e linfatici, nervi cutanei e le ghiandole
mammarie.

- Fascia Toracica
In profondità rispetto al tessuto sottocutaneo e alla ghiandola mammaria troviamo la fascia
toracica, ovvero una sottile membrana fibrosa, densa e debolmente ancorata agli strati più
superficiali. La fascia toracica riveste strettamente i muscoli sottostanti formandone l’epimisio,
ovvero l’involucro di tessuto connettivo in cui questi sono avvolti. Questa si fonde con il
periostio laddove riveste i tendini di inserzione dei muscoli sulle ossa di riferimento. Costituisce
una importante barriera nella diffusione di ascessi e infezioni e, a seconda del muscolo che va a
rivestire, viene divisa in porzioni omonime al muscolo.
Dunque, la fascia pettorale, ovvero quella porzione di fascia toracica che riveste il m. grande
pettorale, si pone in profondità rispetto alla ghiandola mammaria.
Superficialmente alla fascia toracica decorrono i vasi superficiali e i nervi cutanei.
Nella fossa sottoclaveare e nel trigono clavipettorale si può osservare il decorso dei nn.
sopraclavicolari medi e intermedi, quest’ultimi più laterali rispetto ai primi, i quali provengono
dal plesso cervicale, e, portandosi in basso, incrociano anteriormente e superficialmente la
clavicola.

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- Regione mammaria e ghiandola mammaria
Le mammelle sono delle strutture anatomiche pari dello strato superficiale della parete anteriore
del torace. La ghiandola mammaria è presente in entrambi i sessi, ma ben poco sviluppata nei
maschi. Nel sesso maschile infatti esse presentano un cuscinetto adiposo sottostante e una
componente ghiandolare poco sviluppata, insieme a piccoli e scarsi dotti. Nel sesso maschile,
infatti, il corpo ghiandolare è largo ca. 1,5 cm e spesso non più di 0,5 cm; un fenomeno di
sovrasviluppo del parenchima ghiandolare nei soggetti di sesso maschile, in età puberale, prende
il nome di ginecomastia. Nel sesso femminile, invece, soprattutto nell’età post-puberale, le
mammelle sono le strutture superficiali più prominenti della parete toracica.
1. MACROSTRUTTURA
La quantità di tessuto adiposo sottocutaneo che avvolge la ghiandola mammaria
determina le dimensioni della mammella. L’apice delle mammelle è costituito dal
capezzolo o papilla mammaria, alto ca. 1/1,2 cm e circondato da un’area di cute
pigmentata, che prende il nome di areola mammaria.
L’areola contiene, nella sua periferia, circa 10-15 noduli superficiali, chiamati tubercoli
di Montgomery, corrispondenti alle ghiandole areolari. Queste sono ghiandole
sudoripare apocrine ed eccrine e, soprattutto, ghiandole sebacee a secrezione olocrina,
che si ingrossano durante la gravidanza e l’allattamento, e secernono una sostanza oleosa
lubrificante che protegge l’areola mammaria durante lo sforzo dell’allattamento.
Il capezzolo è una prominenza conica o cilindrica posta al centro delle areole. Sono privi
di adipe, di peli e di ghiandole sudoripare. Sono generalmente, nelle donne nullipare, a
livello del IV spazio intercostale mentre variano considerevolmente nelle donne
multipare. Nel capezzolo si trovano numerose fibre muscolari lisce disposte in modo
circolare attorno ai dotti galattofori che si aprono su di esso. I dotti galattofori contano
circa 12-20 sbocchi indipendenti sul capezzolo, che drenano i singoli lobuli ghiandolari.
Nella parte profonda dell’areola i dotti galattofori possiedono una porzione dilatata, il
seno galattoforo, in cui si accumula il latte durante l’allattamento e che vengono
compressi dal bambino durante la suzione.
Le ghiandole mammarie nella donna hanno una base grossolanamente circolare, che si
estende, trasversalmente, dal margine laterale dello sterno alla linea ascellare media e,
longitudinalmente, dalla II alla VI costa. Esse sono localizzabili al davanti sia della
fascia superficiale che ricopre il m. grande pettorale, per ca. 2/3 della loro estensione,
che della fascia superficiale che riveste il m. dentato anteriore, per ca. 1/3 della loro
estensione. Tra la mammella e la fascia pettorale si trova un piano di tessuto connettivo
interstiziale, contenete una piccola quantità di tessuto adiposo, che costituisce lo spazio
retromammario. Questo sottile spazio consente un certo grado di motilità della struttura
mammaria rispetto alla fascia pettorale; La mammella è, tuttavia, saldamente ancorata e
tenuta in sede attraverso i ligamenti sospensori della mammella o ligamenti sospensori
di Cooper, ovvero quegli addensamenti fibrosi, o retinacula cutis, che si inseriscono nel
derma cutaneo e aiutano a suddividere e sostenere i lobuli ghiandolari.
Una piccola coda della ghiandola mammaria può estendersi, lungo il margine
inferolaterale del m. grande pettorale, verso l’ascella, costituendo quella estrema
porzione che, se presente, si definisce come coda ascellare della mammella o coda
ascellare di Spence.
Il solco mediano situato tra le due mammelle è noto come seno mammario o solco
intermammario.

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2. VASCOLARIZZAZIONE
Arteriosa : l’a. toracica interna , ramo della I porzione dell’a. succlavia, fornisce,
medialmente e in posizione parasternale, i rr. perforanti, che emergono nel sottocutaneo
negli spazi intercostali che vanno dal I al VI; i più robusti tra questi raggiungono
medialmente il corpo della mammella, come rami mammari mediali.
L’a. toracica laterale, ramo dell’a. ascellare, fornisce i rami mammari laterali, che
decorrono in superficie rispetto alla fascia ascellare e raggiungono la porzione laterale
del corpo e la coda ascellare della mammella.
Venosa : attorno all’areola è visibile una delicata rete venosa, chiamata plesso venoso;
questo scarica essenzialmente attraverso 2 vie, corrispondenti alle metà laterale e
mediale del corpo della mammella. Superomedialmente e inferomedialmente il plesso
venoso è drenato dai rr. cutanei anteriori e dalle vv. intercostali anteriori che hanno un
decorso simile ai rr. mammari mediali della vascolarizzazione arteriosa.
Superolateralmente il plesso venoso scarica nella v. toracica laterale, che discende dalla
cavità ascellare vicina alla più lunga v. toracoepigastrica, che contribuisce a drenare la
porzione inferolaterale del corpo della mammella e che si porta inferiormente lungo il
confine con la parete toracica laterale.
3. DRENAGGIO LINFATICO
Il drenaggio linfatico della mammella è importantissimo da un punto di vista clinico
perché consente di intuire le vie attraverso cui un eventuale carcinoma della mammella
metastatizza e si diffonde verso altre strutture dell’organismo. La linfa passa dal
capezzolo, dall’areola e dai lobuli ghiandolari per confluire in un unico . La linfa
proveniente dal plesso linfatico subareolare della mammella raggiunge l’angolo venoso
attraverso almeno 4 vie diverse:
1) La I via di drenaggio linfatico, che raccoglie quasi il 75% della
linfa della regione, è quella che raggiunge i linfonodi ascellari
o direttamente o attraverso i linfonodi paramammari; dai
linfonodi ascellari, in particolare i linfonodi pettorali, la linfa
arriva ai linfonodi sotto/sovraclaveari e da qui raggiunge
l’angolo venoso.
2) La II via è quella che drena la porzione mediale della
mammella, attraverso cui la linfa giunge ai linfonodi
paramammari e poi direttamente ai linfonodi sovraclaveari.
3) La III via è quella che sfrutta i linfonodi parasternali e anche
questa drena la porzione mediale della mammella. I linfonodi
parasternali seguono il decorso dell’a. e v. toracica interna.
4) La IV via è quella che drena la porzione posterolaterale della
mammella attraverso i linfonodi interpettorali, allocati nello
spazio compreso tra il m. grande pettorale e il m. piccolo
pettorale. Questi linfonodi riversano la linfa a livello dei
linfonodi sotto/sovraclaveari.
4. INNERVAZIONE
La regione mammaria è innervata dai rr. anteriori e laterali dei n. intercostali IV-V-VI.
I nn. intercostali sono in realtà i rami ventrali delle vertebre da T1 a T11, che decorrono
all’interno degli spazi intercostali e attraverso i rami comunicanti, ricevono fibre dal
tronco del simpatico. Passando attraverso la fascia pettorale raggiungono la superficie.

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SCHELETRO DEL TORACE

Lo scheletro toracico forma la gabbia toracica osteocartilaginea, che protegge i visceri toracici ed
alcuni organi addominali. Lo scheletro del torace comprende: 12 paia di coste e cartilagini costali, 12
vertebre toraciche con altrettanti dischi intervertebrali e lo sterno. Inoltre sono presenti diversi tipi di
articolazioni nella gabbia toracica, distinguibili in articolazioni anteriori e articolazioni posteriori.

- Vertebre Toraciche
Nelle 12 vertebre toraciche si possono osservare numerose e importanti differenze rispetto a
quella che era la struttura caratteristica delle vertebre cervicali. Innanzitutto, si può osservare
come il corpo vertebrale appaia più alto e robusto. Inoltre, da ciascun lato, i corpi offrono a
considerare 2 fossette costali, ciascuna delle quali presenta un’emifaccetta articolare per
l’articolazione con le teste costali; fanno eccezione a questa caratteristica T1,T10,T11 e T12.
Infatti sul corpo di T1 troviamo, superiormente, una faccetta articolare completa e,
inferiormente, una emifaccetta articolare incompleta. T10 possiede, invece, solo una emifaccetta
articolare superiore mentre T11 mostra una faccetta articolare completa verso il suo margine
craniale. Infine, T12 presenta una faccetta articolare completa per la testa della XII costa,
posizionata a circa metà della superficie laterale del corpo vertebrale.
Dai margini posterolaterali del corpo vertebrale si dipartono, su ciascun lato, gli archi vertebrali,
formati dai peduncoli, ovvero la porzione dell’arco continua con il corpo vertebrale, e dalle
lamine, la loro porzione più posteriore. Su ciascuna vertebra ogni lamina si unisce dorsalmente
lungo il piano sagittale mediano con la lamina controlaterale per formare il lungo processo
spinoso. I processi spinali delle prime 9 vertebre toraciche sono diretti obliquamente verso il
basso, tanto che l’apice di ogni processo trasverso viene a trovarsi una vertebra più sotto dalla
sua origine. i processi spinosi delle ultime 3 vertebre toraciche invece sono quasi orizzontali.
I processi spinosi delle vertebre toraciche hanno una sezione trasversale approssimativamente
triangolare. Tra gli archi vertebrali e la faccia posteriore del corpo vertebrale si viene a formare
il forame vertebrale.
Nel peduncolo vertebrale si trova l’incisura vertebrale superiore, meno pronunciata rispetto
all’incisura vertebrale inferiore, molto più profonda grazie al fatto che il peduncolo origina
dalla porzione più superiore del corpo vertebrale e che i processi spinosi sono orientati verso il
basso.
Nel punto di passaggio tra peduncolo e lamina dell’arco vertebrale si diparte, cranialmente, il
processo articolare superiore e, caudalmente, il processo articolare inferiore, che guarda verso
l’incisura vertebrale inferiore.
Lateralmente al punto di unione tra peduncoli e lamine degli archi vertebrali originano,
portandosi orizzontalmente e lateroposteriormente, i processi trasversi delle vertebre toraciche
che, da T1 a T10, presentano sulla superficie ventrale della loro estremità, una fossetta costale
per l’articolazione con il tubercolo costale. La concavità di questa fossetta è molto importante in
relazione al grado di motilità delle coste. Infatti, questa fossetta articolare è realmente concava
solo da T2 a T5, mentre su T1 e da T6 a T10 e pianeggiante e leggermente meno estesa.

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- Coste
In ciascuna costa si può distinguere una parte ossea, o costa propriamente detta, e una parte
cartilaginea, o cartilagine costale.
Esistono 12 paia di coste, di cui: le prime sette vengono dette coste vere o propriamente dette
perché articolate direttamente con lo sterno attraverso proprie cartilagini costali; le coste
dall’VIII alla X sono unite allo sterno indirettamente, ovvero attraverso le cartilagini della costa
superiore e vengono perciò chiamate coste false; e infine, le coste XI e XII non contraggono
rapporti con lo sterno e non sono articolate con esso e vengono perciò chiamate coste libere o
fluttuanti.
Ogni costa offre a considerare una testa, di forma cuneiforme, che si articola con i corpi delle
vertebre toraciche attraverso due faccette articolari separate da una cresta, poste alla sua
estremità, un collo e, infine, un corpo, quest’ultimo sottile, piatto e incurvato, soprattutto a
livello dell’angolo costale, ovvero quel punto in cui la costa curva anterolateralmente e offre a
considerare, lungo la sua superficie interna e concava, un solco costale dove sono alloggiati i
nervi e i vasi intercostali.
È importante ricordare come il passaggio tra collo e corpo sia definito da una struttura che si
porta posteriormente verso i processi trasversi delle vertebre toraciche con cui si articola, e
prende il nome di tubercolo costale, che presenta una faccetta articolare rivolta
posteromedialmente per i processi trasversi.
La I, la II, la X, la XI e la XII costa si distinguono per alcune peculiarità dalle altre 7 coste.
La I costa è piccola e appiattita; il suo corpo è largo e quasi orizzontale. Sulla faccia superiore,
vicino al margine mediale presenta un tubercolo per il m. scaleno anteriore, per l’inserzione del
muscolo omonimo. Posteriormente a questa struttura presenta un solco per l’a. succlavia,
mentre, anteriormente al tubercolo, presenta un solco per la v. succlavia, non sempre ben
visibile. Inoltre presenta una sola faccetta articolare, non separata da nessuna cresta e articolata
con la faccetta articolare superiore del corpo vertebrale di T1.
La II costa presenta una tuberosità per il m. dentato anteriore sulla sua superficie superiore.
La X, XI e XII costa hanno una sola faccetta articolare, come nel caso della I costa.
Inoltre le coste fluttuanti XI e XII sono corte, prive di tubercolo costale, con una curvatura poco
accentuata e senza solco costale.

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- Sterno
Lo sterno è un osso, di forma piatta e allungata, impari e mediano della parete toracica anteriore.
È suddiviso in 3 porzioni: il manubrio, il corpo e il processo xifoideo.
Manubrio : ha una forma grossolanamente triangolare e si proietta posteriormente a
livello delle vertebre T3 e T4. È la parte più larga e spessa di quelle che compongono lo
sterno. Sul margine superiore è facilmente palpabile una porzione più concava che
corrisponde all’incisura giugulare. Lateralmente a quest’ultima troviamo le incisure
clavicolari, troppo piccole per accogliere tutto lo spessore delle clavicole con cui si
articolano, che perciò sporgono anteriormente, facendo percepire ancora di più, ad una
palpazione, la profondità della fossetta giugulare. Inferolateralmente alle articolazioni
sternoclaveari troviamo il punto di fusione tra la I cartilagine costale e il margine
laterale del manubrio dello sterno, dove si viene a formare la sincondrosi sternoclaveare
della I costa. Il manubrio e il corpo dello sterno si articolano attraverso la sinfisi
manubriosternale, giacendo su piani con angolazioni diverse. Infatti, l’angolo che si
forma a livello della sinfisi manubriosternale viene detto angolo di Louis, ed è un
importante punto di repere per localizzare gli spazi intercostali e i livelli vertebrali, dato
che l’angolo individua il disco intervertebrale tra T4 e T5 e il II spazio intercostale.
Corpo : è più lungo, più stretto e più sottile rispetto al manubrio, e si estende da T5 fino
a T9. La sua larghezza varia anche in relazione al livello di dentellatura dei bordi laterali
rispetto alle articolazioni con le cartilagini costali. Nei soggetti giovani si possono
riscontrare le sternebre, ovvero i segmenti primari dello sterno che si articolano tra loro
attraverso giunzioni cartilaginee primarie dette sincondrosi sternali. Questi segmenti
originari vanno in contro a sinostosi e si uniscono per formare il corpo sternale,
lasciando visibili su di esso 3 creste trasversali, che individuano i punti di fusione delle
sternebre.
Immediatamente sopra alla sincondrosi xifosternale, troviamo l’incisura articolare della
VI e VII costa.
Processo Xifoideo : è di forma variabile, può essere unico o bifido, può essere piegato in
avanti o indietro e può anche non essere articolato ma fuso con il corpo sternale
attraverso una sincondrosi. È di piccole dimensioni e talvolta può presentare, come
anche il corpo nei suoi 2/3 inferiori, un forame congenito. Si proietta a livello di T10 ed
è prevalentemente cartilagineo fino all’età di 40 anni ca. Sul piano sagittale mediano è
un importante punto di riferimento per strutture sia toraciche che addominali.

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- Articolazioni posteriori
Art. della Testa delle Coste : sono caratterizzate, tranne che per la I, la XI e la XII costa, da due
cavità articolari poste all’estremità della testa. Queste due faccette articolari sono separate da
una sottile cresta. Questa organizzazione è dovuta al fatto che ogni costa si articola,
superiormente, con la porzione inferiore del corpo della vertebra toracica di numero superiore al
suo, e, inferiormente, con la faccetta articolare superiore del corpo della vertebra, il cui numero
coincide con quello della costa.
Il disco intervertebrale risulta essere unito con la cresta che separa le due faccette articolari dal
ligamento intrarticolare delle coste. Il ligamento radiato della testa invece risulta unire i corpo
vertebrali, superiori e inferiori, con la superficie ventrale della testa delle coste, rinforzando così,
anteriormente, la capsula articolare della testa delle coste.
Art. Costotrasversaria : tranne l’XI e la XII costa, tutte le altre coste presentano un’ulteriore
punto di articolazione con le vertebre toraciche. L’articolazione costotrasversaria ha come capi
articolari la faccia articolare del tubercolo costale e la fossetta articolare dei processi trasversi.
La capsula articolare è rinforzata da vari ligamenti. Il ligamento costotrasversario si porta
dorsalmente alla testa e al collo della costa e ventralmente ai processi trasversi, fino a sporgere
nel forame vertebrale; in questo modo rinforza anche la porzione posteriore della capsula
articolare dell’articolazione della testa delle coste. Il ligamento costotrasversario laterale, che
unisce l’estremità laterale del processo trasverso con il tubercolo costale nel punto di giunzione
tra collo e corpo della costa. Il ligamento costotrasversario superiore, che unisce il margine
superiore del collo e della testa della costa con il margine inferiore del processo trasverso della
vertebra superiore.

- Articolazioni anteriori
Art. Sternocostali : sono delle vere e proprie articolazioni solo dalla II alla V costa. La I, la VI e
la VII costa, invece, si uniscono allo sterno con delle sincondrosi. I legamenti che rinforzano le
capsule articolari, in particolare i ligamenti sternocostali radiati, di entrambi i lati per le
articolazioni propriamente dette, si uniscono a formare la fascia sternale, ovvero quel robusto
intreccio di fibre e ligamenti posto sulla superficie anteriore dello sterno. Inoltre, per le 4 coste
articolate con lo sterno, si può menzionare un ligamento sternocostale intrarticolare, ovvero un
corto e robusto ligamento che unisce l’ultimissima porzione della cartilagine costale con il
margine sternale nel loro punto di unione.
Art. Intercondrali : si stabiliscono tra la VI e VII, tra la VII e l’VIII, tra l’VIII e la IX costa.
Sono rinforzate da un ligamento intercondrale e, oltre la IX costa, si trasformano in ligamenti e
connessioni fibrose.
Art. Sternoclaveare : è un’articolazione a sella e ha come capi articolari l’estremità sternale
della clavicola, che si articola, medialmente, con il margine superolaterale del manubrio dello
sterno e, inferiormente, con la cartilagine costale della I costa. È rinforzata dai ligamenti
sternoclaveari anteriori e posteriori e dai ligamenti costoclaveari. Un sottile disco articolare
divide questa articolazione in due scompartimenti, uno sternale e uno costale.

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MUSCOLI DELLA PARETE TORACICA

I mm. della parete toracica propriamente detti si distinguono dai mm. accessori della respirazione, che
originano nella parete toracica ma che trovano inserzione in altre regioni del corpo, perché agiscono
come mm. intrinseci degli atti respiratori, non solo durante le respirazioni forzate come: i mm. scaleni,
che si inseriscono sulle prime due coste, i mm. pettorali, grande e piccolo, e il m. dentato anteriore.

Mm. Accessori della Respirazione

- M. Grande Pettorale
Muscolo pari della parete toracica anteriore. Ampio e a forma di ventaglio, copre la parte
superiore del torace. Mantiene, quando l’arto superiore è pendente, una forma quadrangolare,
ma con l’abduzione dell’arto, assume una forma triangolare, mettendo in evidenza le sue origini
e inserzioni. È costituito da un capo clavicolare e un capo sternocostale. Quest’ultimo è più
ampio e con il suo margine inferolaterale forma il bordo anteriore della cavità ascellare, ovvero
la piega o pilastro ascellare anteriore. Insieme al deltoide e alla clavicola forma la regione a
confine tra porzione basilaterale del collo, porzione superolaterale del torace e porzione
superiore dell’arto superiore: il trigono clavipettorale.
Durante una inspirazione forzata, mantenendo fisso l’arto superiore, il m. grande pettorale
svolge il ruolo di m. respiratore accessorio.
Origine o inserzione prossimale : Il capo clavicolare origina dalla superficie anteriore della
metà mediale della clavicola.
Il capo sternocostale origina dalla superficie anteriore dello sterno, dalla porzione mediale delle
prime 6 cartilagini costali e, in una sua porzione inferomediale o addominale, dall’ aponeurosi
del m. obliquo esterno dell’addome.
Inserzione distale : Tutti i suoi capi muscolari trovano inserzione comune sull’arto superiore,
dove le fibre muscolari si incrociano portandosi ad avere, per il capo clavicolare, un inserzione
più inferiore, rispetto al capo sternocostale e ancor più alla porzione addominale di questo.
L’inserzione è sull’omero, sulla cresta del tubercolo maggiore, anche detta labbro laterale del
solco intertubercolare.
Azione : Svolge l’importante azione di essere il principale muscolo adduttore dell’arto
superiore. Inoltre i suoi capi possono agire singolarmente come flessori, il capo clavicolare, o
estensori, il capo sternocostale, dell’omero.

- M. Piccolo Pettorale
Muscolo pari della parete anteriore del torace. È posto in profondità, posteriormente al più
ampio m. grande pettorale. Ha una forma approssimativamente triangolare, con inserzioni
variabili sui capi costali. Quando la cintura scapolare è fissata o sollevata può partecipare come
m. accessorio della respirazione ad una inspirazione profonda.
Origine o inserzione prossimale : le sue fibre hanno come origine le cartilagini costali dalla III
alla V che formano i capi costali del muscolo.
Inserzione distale : il muscolo trova inserzione comune sulla superficie anteriore e sul margine
mediale del processo coracoideo della scapola.
Azione : stabilizza la scapola tirandola anteroinferiormente contro la parete toracica posteriore.

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- M. Dentato Anteriore
Muscolo pari della parete anterolaterale del torace. Forma la parete mediale del cavo ascellare. È
caratterizzato, come il nome suggerisce, dalle digitazioni o denti che i suoi ventri muscolari
formano portandosi in senso posteroanteriore sia superoinferiormente che lateromedialmente. È
uno dei muscoli più potenti del cingolo scapolare e può agire come m. accessorio della
respirazione attraverso l’innalzamento delle coste da cui origina.
Origine o inserzione prossimale : i suoi ventri carnosi originano sulle superfici esterne delle
porzioni anterolaterali delle prime 8-9 coste.
Inserzione distale : i ventri del muscolo trovano inserzione lungo tutta la superficie anteriore del
margine mediale della scapola.
Azione : può ruotare la scapola oppure tenerla saldamente ancorata contro la parete toracica.

Mm. della Parete Toracica posteriore

- M. Dentato Posteriore
E’ un muscolo pari, intrinseco della respirazione. Si distinguono due mm. dentati posteriori per
lato, indipendenti tra loro: uno superiore, cervicotoracico, e uno inferiore, toracolombare.
M. DENTATO POSTERIORE SUPERIORE
Origine : origina dai processi spinosi dell’ultime due vertebre cervicali e delle prime
due vertebre toraciche.
Inserzione : le sue digitazioni si portano inferolateralmente e trovano inserzione sui
margini superiori delle coste dalla II alla V.
Azione : svolge l’azione di aumentare il diametro anteroposteriore della gabbia
toracica sollevando le coste su cui si inserisce e lo sterno.
M. DENTATO POSTERIORE INFERIORE
Origine : origina dai processi spinosi, delle ultime due vertebre toraciche e delle prime
due-tre vertebre lombari, e si connette con questi attraverso la fascia toracolombare.
Inserzione : le sue digitazioni si portano superolateralmente ai margini inferiori delle
ultime 4-5 coste, inserendosi nei pressi dell’angolo costale.
Azione : svolge azione di abbassare le ultime coste.

- M. Elevatori delle Coste


Originano dai processi trasversi di C7 e delle prime 11 vertebre toraciche. In base alla loro
inserzione si distinguono in mm. elevatori brevi e mm. elevatori lunghi delle coste; i primi infatti
si inseriscono sul tubercolo e sull’angolo costale della costa sottostante, mentre, i secondi, della
costa più sottostante ancora. Come indica il loro nome queste 12 paia muscoli contribuiscono, in
maniera tuttavia poco rilevante, durante gli atti respiratori, ad innalzare le coste.

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Mm. della Parete Toracica propriamente detti

- Mm. Intercostali
Occupano gli spazi intercostali, dividendosi in uno strato più superficiale, occupato dai mm.
intercostali esterni, e in uno strato più profondo, occupato dai mm. intercostali interni.
Mm. intercostali esterni : Sono 11 paia e occupano gli spazi intercostali dai tubercoli costali,
dorsalmente, fino alle giunzioni condrocostali, ventralmente. Nelle porzioni di spazio
intercostale anteriori, non coperte dai mm. intercostali esterni, troviamo la membrana
intercostale interna; questi muscoli hanno un decorso che si porta in senso posteroanteriore
dall’alto in basso, e possono considerarsi la porzione toracica del m. obliquo esterno
dell’addome. Le fibre dei mm. intercostali hanno orientamenti diversi ma originano tutte dal
margine inferiore di una costa per inserirsi su margine superiore della costa sottostante.
Sono muscoli coinvolti nell’atto inspiratorio.
Mm. intercostali interni : decorrono in profondità rispetto ai mm. intercostali esterni e le loro
fibre si orientano in senso opposto a quelle del m. intercostale esterno, formando con questo un
angolo di 90°. Si portano in senso anteroposteriore dall’alto in basso, similmente
all’orientamento che assume, nella parete addominale, il m. obliquo interno dell’addome; hanno
origine sul margine superiore della faccia interna di una costa e trovano inserzione sul solco
costale della costa contigua inferiormente. Rivestono gli spazi intercostali nella porzione che va
dallo sterno fino all’angolo costale; oltre questo lo spazio intercostale che arriva fino alle
vertebre è rivestito dalla membrana intercostale interna.
Sono muscoli coinvolti nell’atto espiratorio.
Nella porzione in cui rivestono gli spazi posti tra le cartilagini costali prendono il nome di mm.
intercartilaginei del torace. Inoltre, una loro porzione prende il nome di mm. intercostali intimi;
tra questi e i mm. intercostali interni decorrono i vasi e i nervi intercostali.

- Mm. Sottocostali
Svolgono un’azione parallela ai mm. intercostali interni ovvero di sollevare le coste. Sono
formati da fascetti muscolari endotoracici che originano, a livello degli angoli costali, dalla
superficie interna o endotoracica delle coste, per inserirsi, portandosi obliquamente dall’alto in
basso lateromedialmente, sulla costa inferiore non contigua o seguente.

- Mm. Trasversi del Torace


Questo m. pari della parete toracica occupa una posizione profonda rispetto agli altri muscoli del
torace. Sono posto internamente alla gabbia toracica e passano dorsalmente al decorso dell’aa. e
delle vv. toraciche interne.
Sono formati da 5 fasci muscolari, che hanno origine comune sulla superficie dorsale del
processo xifoideo e della porzione inferiore del corpo dello sterno e si inseriscono sulle
cartilagini costali che vanno dalla II alla VI. I fasci sono disposti a ventaglio in modo tale da
avere quello superiore, che si inserisce sulla II cartilagine costale, con andamento longitudinale
e quello più inferiore, che si inserisce sulla VI cartilagine costale, parallelo al m. trasverso
dell’addome. Svolge l’azione di abbassare le coste.

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DIAFRAMMA

Il diaframma è un muscolo impari che chiude inferiormente la cavità toracica e la divide dalla cavità
addominale. È formata da una zona fibrosa centrale, il centro tendineo del diaframma, e una porzione
muscolare. Quest’ultima è suddivisa, su ciascun lato, in una parte sternale, una parte costale e una parte
lombare. Tra la parte sternale, la parte costale e la parte lombare si distinguono delle fessure di minore
resistenza; queste sono il trigono lombocostale, che si pone lateralmente al m. quadrato dei lombi e
inferiormente alla porzione posteriore dell’arcata costale, e il trigono sternocostale, pari, stretto e poco
esteso, che divide su ambo i lati la parte sternale da quella costale.
La parte sternale della porzione muscolare del diaframma e la meno estesa ed è posta
anteromedialmente rispetto alle altre porzioni. Occupa una posizione retrosternale, originando dalla
superficie posteriore del processo xifoideo dello sterno, ed è costituita da fibre muscolari più chiare
rispetto alle altre zone, che si continuano nel centro tendineo.
La parte costale origina, su entrambi i lati, dalle superfici interne delle coste dalla VII alla XII, e si
porta, attraverso le sue digitazioni, verso il centro tendineo, in un ventaglio che si estende, da una
posizione parasternale, fino all’angolo costale. Le sue digitazioni si ingranano con il m. trasverso
dell’addome.
La parte lombare si pone in posizione paravertebrale, mediale rispetto alla parte costale e posteriore
rispetto al centro tendineo e alla parte sternale. Essa è formata, su ambo i lati, da un pilastro mediale e
da un pilastro laterale. Il primo è formato da fasci fibrosi e muscolari che si dipartono dalle superfici
anteriori dei corpi vertebrali delle vertebre lombari, a destra, dalla I alla IV, mentre, a sinistra, delle
vertebre lombari che vanno dalla I alla III. Il pilastro laterale, invece, origina da due arcate fibrose,
ovvero dall’arcata lombocostale mediale, formata dal ligamento arcuato mediale che gira intorno al m.
grande psoas, e dall’arcata lombocostale laterale, formata dall’arcata del m. quadrato dei lombi o
ligamento arcuato laterale; queste due arcate si inseriscono sul processo costiforme di L1, l’una
lateroposteriormente, l’altra medioposteriormente. L’arcata lombocostale mediale si porta dalle superfici
laterali dei corpi vertebrali di L1 e L2, circoscrivendo perimetro del m. grande psoas, fino al processo
costiforme posto posteriormente a questo. L’arcata lombocostale laterale va dal processo costiforme fino
all’angolo costale o al collo della XII costa, girando attorno al perimetro del m. quadrato dei lombi
Il diaframma forma una doppia cupola e, sul centro tendineo, si inserisce, superiormente, il sacco
pericardico. Nel diaframma si notano le varie aperture che consentono il passaggio di numerose e
importanti strutture dalla cavità toracica a quella addominale. Tra i pilastri mediali della parte lombare
del diaframma e la superficie anteriore della colonna vertebrale troviamo medialmente e leggermente
spostato a sinistra, lo iato aortico, delimitato dai fasci tendinei; attraverso questo decorrono l’aorta
discendente e il dotto toracico. Il pilastro mediale destro è formato essenzialmente da tre fasci
muscolari, di cui quello che origina dalle vertebre lombari è il più esteso e arriva direttamente al centro
tendineo, delimitando la porzione superiore dello iato esofageo. Quest’apertura consente il passaggio
dell’esofago e dei nn. vaghi ed è delimitata da altri due fasci muscolari, oltre quello su detto. Un fascio è
formato dal ligamento arcuato mediano, che rappresenta il margine tendineo dello iato aortico, e lo
delimita a destra; l’ultimo fascio muscolare, invece, forma il bordo sinistro dello iato esofageo, e origina
anch’esso dal legamento arcuato destro, ma dorsalmente rispetto al precedente, incrociandosi sul di
dietro con questo e formando il “laccio dello iato”. Inoltre, un’altra grande apertura del diaframma è il
forame della v. cava, posto nella porzione destra del centro tendineo, e che consente il passaggio, oltre
che della vena cava inferiore, anche di un ramo del n. frenico destro.

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ANATOMIA FUNZIONALE DELLA GABBIA TORACICA

- Generalità
La gabbia toracica è costituita da 12 vertebre toraciche, con i loro dischi intervertebrali, da 12
paia di coste e dallo sterno. La gabbia o cassa toracica circoscrive la spazio cavitario superiore
del tronco, la cavità toracica. Questa presenta un’apertura superiore e un’apertura inferiore.
Mentre la prima è relativamente stretta, quella inferiore è assai più larga, attribuendo così alla
gabbia toracica la tipica forma di un tronco di cono schiacciato posteriormente, in
corrispondenza della colonna vertebrale, e anteriormente, in corrispondenza dello sterno.
L’apertura superiore della cavità toracica è delimitata dal margine superiore del primo paio di
coste e dall’incisura giugulare del manubrio dello sterno, anteromedialmente.
L’apertura inferiore invece è delimitata dal margine inferiore delle ultime coste,
lateroposteriormente, e dall’arcata costocartilaginea che, anteromedialmente, risale verso il
processo xifoideo dello sterno, formando quello che viene definito come angolo infrasternale.

- Movimenti Respiratori
A causa della sua elasticità, la gabbia toracica è molto resistente. I suoi movimenti sono il
risultato della somma e della cooperazione di tanti piccoli movimenti muscolari.
Durante l’inspirazione il torace si espande sia in senso ventrodorsale, sia in senso laterale.
Questo movimento viene reso possibile, oltre che dalla forza motrice muscolare, dalle strutture
che formano la parete toracica e in particolare: dalla motilità delle articolazioni costovertebrali,
dal grado di plasticità delle cartilagini costali che vengono sottoposte ad una forza di torsione e,
in minima parte, da un lieve aumento della cifosi vertebrale del tratto toracico della colonna.
Invece, durante l’espirazione, il volume toracico viene ridotto in maniera speculare e opposta
rispetto all’atto inspiratorio. Inoltre l’angolo infrasternale viene ridotto in fase espiratoria,
diventando più acuto.

- Forze Motrici Muscolari


Le forze motrici della gabbia toracica che consentono gli atti respiratori sono il risultato
dell’interazione tra moltissime componenti muscolari del torace, del collo e dell’addome,
ciascuna delle quali contribuisce anche in minima parte ad ampliare il volume della gabbia
toracica. Sicuramente, tra i mm. respiratori propri della parete toracica, sono i mm. intercostali
che svolgono un importantissimo ruolo nella respirazione tranquilla, insieme ai m. trasverso del
torace e ai m. sottocostali. Tuttavia, recentemente si è dimostrato che i principali muscoli
respiratori, cioè i muscoli che più degli altri contribuiscono ad ampliare il volume della cavità
toracica durante l’atto respiratorio tranquillo, sono i mm. scaleni del collo, che innalzano le
prime due coste su cui essi stessi trovano inserzione.

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Parte II - Mediastino
DEFINIZIONE E SUDDIVISIONE

Il mediastino è il compartimento centrale della cavità toracica, ovvero lo spazio occupato dalla massa di
organi e strutture poste al centro tra le due cavità pleuropolmonari. Esso contiene tutti gli organi della
cavità toracica, eccetto i polmoni, e questi sono circondati da vasi, nervi, linfonodi e tessuto adiposo. Il
mediastino è una regione molto mobile poiché costituito principalmente da visceri cavi, che contengono
liquidi o aria, uniti tra loro da tessuto connettivo lasso, spesso infiltrato di una ricca componente
adiposa. La scarsa compattezza del tessuto connettivo e l’elasticità dei polmoni e della pleura parietale
consentono al mediastino un certo grado di movimento e di cambiamenti di volume e pressione nella
cavità toracica.

A scopo puramente descrittivo il mediastino viene diviso in una porzione superiore e in una inferiore. Il
mediastino superiore è compreso tra l’apertura toracica superiore e il piano toracico trasversale, ovvero
quel piano trasversale passante per l’angolo sternale, anteriormente, e il disco intervertebrale tra T4 e
T5, posteriormente; esso comprende le vie di conduzione e il timo. Il mediastino inferiore, invece, è
compreso tra questo piano e il m. diaframma, che chiude l’apertura toracica inferiore, ed è ulteriormente
diviso dal pericardio in una porzione anteriore, una media e una posteriore. Il mediastino anteriore
occupa un sottile spazio colmo di connettivo situato tra la fascia endotoracica della parete toracica
anteriore e il pericardio; il mediastino medio accoglie il cuore e il pericardio, mentre, quello posteriore
si estende dalla parete posteriore del pericardio fino alla superficie anteriore della colonna vertebrale
toracica e include le grandi vie di conduzione e l’esofago.

Il mediastino si estende, sul piano sagittale mediano, dalla faccia posteriore dello sterno fino alla
superficie anteriore della porzione toracica della colonna vertebrale. Lateralmente risulta essere
delimitato dalla pleura parietale mediastinica.

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CUORE E PERICARDIO

- Pericardio
Come tutti gli organi interni soggetti a variazioni di volume e a spostamenti nei confronti degli
organi adiacenti, anche il cuore è alloggiato in una cavità sierosa, la cavità pericardica.
Il pericardio è un sacco fibro-sieroso che contiene il cuore e le radici dei suoi grossi vasi. È
costituito da due porzioni, una esterna, fibrosa e una interna, sierosa. Il pericardio fibroso forma
un sacco esterno costituito da tessuto connettivo denso, ricco di fibre collagene, che circonda il
cuore, senza instaurare rapporti diretti con tale organo. Il pericardio sieroso, invece, è formato da
un sistema bistratificato chiuso, interno rispetto alla componente fibrosa, costituito
principalmente da mesotelio, ovvero un epitelio pavimentoso semplice di origine mesenchimale;
come ogni sierosa anche il pericardio sieroso offre a considerare un foglietto parietale e uno
viscerale. Il foglietto viscerale forma l’epicardio e poggia direttamente sulla superficie del cuore
e sulla radice dei grossi vasi. Esso è in continuità con il foglietto parietale, che riveste, a sua
volta, la superficie interna del pericardio fibroso.

1. PERICARDIO FIBROSO
Il pericardio fibroso stabilisce in più punti connessioni con le strutture adiacenti,
fissando in tal modo la posizione del cuore all’interno della cavità toracica. Innanzitutto,
il pericardio fibroso è fuso con la tonaca avventizia dei grossi vasi che entrano ed escono
dal cuore. Inoltre, il suo tessuto e le sue fibre si fondono, caudalmente, con il centro
tendineo del diaframma, su cui è stabilmente poggiato. Posteriormente, risulta essere
ancorato alla trachea e alla colonna vertebrale attraverso robusti tralci che si dipartono
in direzione posterosuperiore, mentre, anteriormente, si ancora alla superficie posteriore
dello sterno, mediante ligamenti sterno pericardici di vario spessore. Una certa quantità
di tessuto connettivo lasso separa, lateralmente, il pericardio fibroso dalla pleura
parietale mediastinica.

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2. PERICARDIO SIEROSO
La cavità pericardica è lo spazio virtuale chiuso, compreso tra le facce opposte dei
foglietti viscerale e parietale del pericardio sieroso, che, riflettendosi, la chiudono come
un involucro bistratificato. Questa è di solito rivestita da un sottile film liquido che
permette al cuore di muoversi e di pulsare in scarsa presenza di attrito.
Il foglietto parietale del pericardio sieroso entra in intimo rapporto con la superficie
interna del pericardio fibroso, mentre il foglietto viscerale forma l’epicardio, ovvero lo
strato esterno della parete cardiaca, che si riflette con particolare bordi di riflessione, in
continuità con il foglietto parietale.
Le linee di riflessione tra i due foglietti sierosi sono evidenziabili, dopo rimozione del
cuore, come una sorta di orlo chiuso che avvolge strettamente i grossi vasi cardiaci. Si
distinguono così due differenti seni pericardici, ovvero aree circoscritte dai bordi
pericardici dei grossi vasi cardiaci, che il pericardio avvolge in due gruppi distinti,
derivati dal ripiegamento embrionale del cuore, ovvero due tubi complessi di cui uno,
anteriore, circoscrive la porta arteriosa, comprendente l’aorta e il tronco polmonare, e
uno, posteriore, circoscrive la porta venosa, comprendente le vene polmonari e le vene
cave inferiori e superiori.
L’aorta e il tronco polmonare escono dal cuore rivestiti in maniera isolata dal pericardio;
in questo modo si viene a formare, superiormente al cuore e dietro di essi, uno spazio, il
seno pericardico trasverso, posto anteriormente alle grosse vene. Invece, la porta venosa
descrive una linea di riflessione del pericardio ben più articolata, che comprende
numerose nicchie, i recessi pericardici, grazie alle confluenze delle vene cave, superiore
e inferiore, e delle vene polmonari. È proprio tra queste strutture, solo parzialmente
ricoperte da pericardio, che si viene a formare l’area posteriore, nota come seno
pericardico obliquo, ovvero una largo recesso a fondo cieco della cavità pericardica,
posteriore alla base del cuore, circoscritto lateralmente dai ripiegamenti del pericardio
attorno alle vene polmonari e, in basso, alla vena cava inferiore.

3. VASCOLARIZZAZIONE E INNERVAZIONE
L’irrorazione arteriosa del pericardio è assicurata principalmente ad un ramo superiore
dell’a. toracica interna, l’a. pericardico-frenica, che raggiunge il pericardio fibroso su
entrambi i suoi lati, discendendo insieme al n. frenico, che assicura al pericardio fibre
sensitive, e alla v. pericardico-frenica che drena il sangue refluo del pericardio e lo
convoglia nella v. brachiocefalica. Inoltre, l’innervazione vasomotrice avviene ad opera
del tronco dell’ortosimpatico, mentre, all’irrorazione arteriosa dell’epicardio,
contribuiscono anche le a. coronarie.
L’a. e la v. pericardico-frenica, insieme al n. frenico, discendono compresi nello spazio
tra la pleura parietale mediastinica e il pericardio, passando anterolateralmente sia
all’arco dell’aorta che alla v. cava superiore.

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- Cuore
Il cuore è un organo muscolare cavo a forma di cono appiattito, che si trova alloggiato nel
mediastino, obliquamente rispetto all’asse sagittale mediano del corpo. Il cuore offre a
considerare un apice, rivolto inferoanteriormente e a sinistra, e una base, rivolta
superoposteriormente e a destra. Esso è contenuto interamente nel sacco pericardico, situato
posteriormente al corpo dello sterno, per 1/3 del suo volume a destra della linea mediosternale e
per 2/3 del suo volume a sinistra di questa. Nel soggetto sano il cuore e il pericardio risultano
essere separati solo da una fessura capillare e, in tal modo, i loro profili sostanzialmente
coincidono.
Il limiti del cuore, cosi come il suo volume e peso, variano in base all’età, al sesso e alla
costituzione fisica dell’individuo, ma, in un soggetto adulto di peso medio, possono essere
decretati nei seguenti modi. Questi possono essere proiettati sulla parete toracica formando
approssimativamente un trapezio rettangolo, avente come angolo acuto l’apice del cuore.
Il margine destro corre parallelo al margine sternale destro, ad una distanza di ca. 2 cm,
estendendosi dalla III cartilagine costale destra fino alla VI. Questa linea corrisponde, grosso
modo, al profilo laterale dell’atrio destro e, se prolungata superiormente, disegna il margine
destro della v. cava superiore. A livello della VI cartilagine costale il margine destro si porta
medialmente, poggiandosi sulla cupola diaframmatica, verso l’apice del cuore, formando
l’angolo destro acuto del cuore, ovvero il confine tra la faccia diaframmatica e quella
sternocostale. L’apice è posto a livello del V spazio intercostale di sinistra, medialmente, a ca. 2
cm dalla linea emiclaveare di sinistra. Il margine sinistro, in seguito, risale verso la base
descrivendo una linea leggermente concava a livello del III spazio intercostale, arrivando fino
alla II cartilagine costale.
Il cuore, nel cadavere, ha una consistenza molto variabile. Le pareti degli atri sono depressibili,
quelle dei ventricoli resistenti ed elastiche. Il peso varia in base alle caratteristiche staturo-
ponderali, all’attività fisica e al sesso dell’individuo; grosso modo si aggira tra i 270-310g,
mentre, nel neonato, può essere valutato relazionando ad ogni kg corporeo 10g di peso cardiaco.
La circonferenza media alla base dei ventricoli è di ca. 26 cm, il diametro trasversale
laterolaterale è di 9-11 cm, quello longitudinale, lungo il solco longitudinale posteriore, di 7-9
cm, mentre, il diametro anteroposteriore di ca. 7 cm. Il cuore, in condizioni normali, ha una
colorazione rossastra tipica dei tessuti muscolari.

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1. MORFOLOGIA ESTERNA
Faccia anteriore : Osservando il cuore anteriormente, nella sua posizione naturale, in
seguito ad asportazione del pericardio, si può apprezzare la sua faccia sternocostale
o anteriore. Essa è formata prevalentemente dalla parete anterosuperiore del
ventricolo destro e da una piccola porzione della parete del ventricolo sinistro, che si
estende verso il margine sinistro e verso l’apice del cuore.
Sulla faccia sternocostale il confine tra i due ventricoli è segnato, a sinistra del piano
sagittale mediano e con andamento obliquo, dall’alto in basso, mediolateralmente,
dal solco interventricolare anteriore. Il contorno superolaterale destro della faccia
sternocostale del cuore è formato principalmente dall’atrio destro e dalla v. cava
superiore. Lo spazio tra aorta e v. cava superiore è colmato da una propaggine
dell’atrio destro, l’auricola destra. Il solco coronario, anch’esso colmato da vasi e
tessuto adiposo, separa atrio e auricola destra dal ventricolo destro. Il contorno
superolaterale sinistro è formato parzialmente dall’auricola sinistra, che copre la
superficie lateroposteriore del tronco polmonare.
Osservando la faccia sternocostale del cuore si nota che il tronco polmonare, che
origina dal ventricolo destro, è situato anteriormente all’aorta, che origina dal
ventricolo sinistro. Questi due grossi vasi, che costituiscono la porta arteriosa del
cuore, sono reciprocamente avvolti a spirale; infatti, l’aorta, inizialmente in
posizione posteriore, si porta come aorta ascendente ventralmente al tronco
polmonare e, scavalcandolo, disegna l’arco dell’aorta, che copre in tal modo la
biforcazione del tronco polmonare in a. polmonare di destra e a. polmonare di
sinistra. Inoltre, tra il margine inferoanteriore dell’arco aortico e quello superiore
della diramazione del tronco polmonare e situata una breve struttura nastriforme, il
ligamento arterioso, che costituisce un residuo del dotto arterioso fetale.
Faccia Posteriore : osservando il cuore dal dietro, nella sua posizione naturale, si può
osservare una porzione della sua faccia diaframmatica, ma soprattutto gli sbocchi
della porta venosa del cuore. Le vv. cave superiore e inferiore confluiscono
nell’atrio destro seguendo un asse longitudinale verticale, che solo in prossimità
dello sbocco si inclina leggermente in avanti. Le vv. cave risultano essere separate
dalla base dell’auricola di destra, visibile appena da una visione posteriore, per
mezzo del solco terminale. L’atrio sinistro, ben visibile in questa posizione, offre a
considerare gli sbocchi delle vv. polmonari e, sopra di queste, è ben visibile la
biforcazione del tronco polmonare con l’arco aortico che la scavalca e, in seguito, dà
origine all’aorta discendente.
Faccia Diaframmatica : apprezzabile da una visuale inferiore, corrisponde alla
porzione del cuore che poggia sul diaframma. Da una visione dal basso si può
apprezzare, oltre che la faccia diaframmatica del cuore, anche l’asse, longitudinale e
leggermente spostato in avanti, delle vv. cave con i loro sbocchi nell’atrio destro.
La faccia diaframmatica del cuore è formata prevalentemente dal ventricolo sinistro;
quest’ultimo risulta essere separato dall’atrio sinistro per mezzo del solco coronario,
occupato in larga misura dal seno coronario venoso e da un ramo dell’a. coronaria
sinistra. Il solco interventricolare posteriore separa, lungo la faccia diaframmatica, i
due ventricoli.

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2. SCHELETRO CARDIACO E STRATI DELLA PARETE CARDIACA
La parete del cuore è formata da tre diversi strati: epicardio, miocardio e
endocardio. Lo spessore della parete del cuore viene determinato prevalentemente
dallo spessore del miocardio e rispecchia il lavoro svolto dalle singole camere
cardiache; infatti, la parete dei ventricoli, e in particolar modo quella del ventricolo
sinistro, apparirà più spessa e robusta rispetto a quella degli atri.
Epicardio : liscio e lucido, è lo strato più esterno della parete cardiaca. È formato dal
foglietto viscerale del pericardio sieroso e, più in profondità, da un sottile strato
sottoepicardico di connettivo e di tessuto adiposo, che colmano le irregolarità della
superficie cardiaca.
Miocardio : Nello strato di muscolatura atriale si distingue uno strato superficiale e
uno profondo. Lo strato superficiale si estende attraverso entrambi gli atri e risulta
essere più robusto sulla porzione anteriore di questi. Lo strato muscolare profondo
circonda le aperture atriali delle vene e risulta essere indipendente per ciascun atrio;
questo strato offre a considerare fibre arcuate o circolari che avvolgono ciascun
atrio fino all’apertura atrioventricolare corrispondente.
Nel miocardio ventricolare, la cui organizzazione risulta essere estremamente
complessa, si possono descrivere uno strato sottoepicardico, uno strato intermedio,
presente solo nella parete del ventricolo sinistro, e uno strato sottoendocardico.
Nello miocardio ventricolare sottoepicardico i fasci muscolari sono disposti, sul
ventricolo destro, con andamento quasi orizzontale, mentre, sul ventricolo sinistro, si
orientano quasi longitudinalmente, seguendo l’andamento della faccia
diaframmatica. I fasci muscolari si incontrano, in corrispondenza dell’apice di
entrambi ventricoli, formando il vortice cardiaco, e si continuano poi nello strato
sottoendocardico.
Il miocardio ventricolare intermedio è presente solo nella parete del ventricolo
sinistro e del setto interventricolare e forma uno spesso strato di muscolatura
circolare della parete. Da un punto di vista biomeccanico, questa differenza tra i due
ventricoli fa si che, nel momento della contrazione, si generi un certo grado di
torsione del muscolo cardiaco che aumenta la forza di spinta del sangue al di fuori
delle camere cardiache.
Infine, il miocardio ventricolare sottoendocardico è più sottile ed è lo strato
miocardico più interno. Partecipa con le sue fibre alla formazione delle trabecole
carnee e dei muscoli papillari cardiaci.
Endocardio : è lo strato più interno delle pareti cardiache e può essere considerato
come la continuazione, all’interno del cuore, delle pareti dei vasi sanguiferi. È
formato da un sottile strato esterno connettivale subendoteliale sopra cui si pone uno
strato più profondo di endotelio. Riveste le pareti, le valvole e l’ingresso dei grossi
vasi cardiaci.

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Scheletro del Cuore : fornisce un piano di inserzione per le fibre muscolari
cardiache. È formato da un complesso intreccio di tessuto connettivo denso fibroso.
Questo intreccio di tessuto connettivo forma gli anelli incompleti delle valvole
tricuspide e bicuspide, ovvero l’anello fibroso destro e l’anello fibroso sinistro, che
fungono da punti di ancoraggio per i lembi delle valvole. Inoltre, lungo il piano
trasversale valvolare, ovvero il piano osservabile dalla base del cuore dopo
asportazione degli atri, che divide gli atri dai ventricoli e su cui sono situate,
approssimativamente, tutte le 4 valvole cardiache, queste fibre di tessuto connettivo
denso formano lo scheletro cardiaco propriamente detto, che separa il miocardio
atriale da quello ventricolare. In particolare, queste si addensano e si incontrano
nella zona posta tra valvola tricuspide, valvola bicuspide e valvola aortica, formando
così il trigono fibroso destro. Invece, tra valvola bicuspide e valvola aortica, si viene
a formare il trigono fibroso sinistro. La valvola polmonare non risulta essere
ancorata allo scheletro cardiaco.
Lo scheletro cardiaco, da un punto di vista funzionale, è fondamentale, perché
contribuisce sia a tenere aperti gli orifizi atrioventricolari e le valvole semilunari,
impedendone anche l’eccessiva estensione, sia fornisce origine e inserzione al
miocardio e sia funge da materiale isolante, che separa elettricamente gli atri dai
ventricoli, ad eccezione del passaggio della porzione iniziale del fascio
atrioventricolare o fascio di His, facendo si che atri e ventricoli si contraggano
indipendentemente e in sequenza.

3. VALVOLE CARDIACHE
Le valvole cardiache si dividono in valvole a lembi e valvole a nido di rondine. Le
valvole a lembi sono costituite da una membrana connettivale rivestita su entrambi i
lati da endocardio, che non contiene vasi sanguiferi. Le valvole a nido di rondine
sono costituite da tre tasche approssimativamente delle stesse dimensioni, dette
valvole semilunari. Queste sono formate da una duplicatura dell’endocardio, che si
attacca ad arco alla parete delle arterie, formando una tasca di forma semisferica,
sottile e rigonfia. Il margine libero di ciascuna delle tre tasche presenta, al centro
dell’arco, un piccolo nodulo fibroso, detto nodulo delle valvole semilunari. I tre
noduli sporgono tutti contiguamente al centro della valvola. Lateralmente al nodulo,
lungo il margine libero, si dipartono orli di forma semilunare, chiamati lunule delle
valvole semilunari.

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4. ATRIO DESTRO
È la cavità che accoglie il flusso venoso dalle vv. cave inferiore e superiore e dal
seno coronario venoso. Forma il margine superolaterale destro del cuore e con la sua
auricola destra, ovvero un appendice muscolare conica che si proietta come se fosse
una camera aggiuntiva dall’atrio destro, si sovrappone alla prima porzione dell’aorta
ascendente.
La camera atriale destra internamente si presenta con una parete anteriore rugosa,
formata dai muscoli pettinati, ovvero quella porzione atriale di origine miocardica
che si continua anterosuperiormente nell’auricola destra ed è detta atrio vero, e una
parete posteriore, di diversa morfologia, più liscia, che offre a considerare il seno
delle vene cave. Queste strutture risultano essere delimitate da una cresta terminale,
ovvero un rilievo da cui originano i muscoli pettinati che corrisponde, esternamente,
al solco terminale che pone il confine tra vv. cave e auricola destra.
Il setto interatriale che separa gli atri presenta una fossa ovale della grandezza di
un’impronta di pollice, circondata da un margine detto lembo della fossa ovale, ed è
sostanzialmente un residuo della vita fetale del forame ovale e della sua valvola.
Lo sbocco della v. cava superiore, detto ostio della v. cava superiore, e diretto in
basso e in avanti e non possiede valvole. Invece, l’ostio della v. cava inferiore è
protetto in avanti da una valvola semilunare, la valvola della v. cava inferiore.
Durante la vita fetale questa valvola possiede grandi dimensioni e comunica
direttamente con il forame ovale per creare il cortocircuito interatriale che bypassa
la circolazione polmonare.
Infine, medialmente rispetto all’ostio della v. cava inferiore, si apre nell’atrio destro
il seno coronario venoso, che raccoglie la maggior parte del sangue refluo dal
miocardio. Anche il suo sbocco, l’ostio del seno coronario, possiede una valvola del
seno coronario. Inoltre, attraverso i forami venosi minimi, finissime vene provenienti
dal miocardio si aprono in punti vari dell’atrio destro.

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5. VENTRICOLO DESTRO
Il ventricolo destro forma la maggior parte della superficie sternocostale o anteriore,
una piccola parte della faccia diaframmatica e quasi la totalità del margine inferiore
del cuore. Due creste muscolari, la cresta sopraventricolare, superolateralmente, e la
trabecola settomarginale, inferomedialmente, separano con le loro trabecole carnee
la porzione rugosa, inferoposteriore, del ventricolo, che costituisce la porzione di
afflusso del ventricolo destro chiusa in alto dalla valvola tricuspide, dalla porzione di
deflusso, anterosuperiore, più liscia e affusolata, detta cono arterioso, che si porta
poi nel tronco polmonare, creando così una precisa via di flusso per la colonna
ematica che si porta in questa camera cardiaca.
Orifizio Atrioventricolare Destro : è abbastanza grande da poter accogliere
l’estremità di tre dita e dista 2 cm, in basso e a destra, dall’orifizio del tronco
polmonare.
Valvola Tricuspide : i tre lembi di questa valvola sono il cuspide anteriore, il
cuspide posteriore e, in corrispondenza del setto interventricolare, il cuspide settale
o mediale. Tra le tre grandi cuspidi si trovano altre cuspidi di collegamento che però
non raggiungono l’anello fibroso di inserzione.
La cuspide anteriore è la più grande e le sue corde tendinee sono saldamente
ancorate al muscolo papillare anteriore. La cuspide settale si ancora a livello della
porzione membranacea del setto interventricolare. Le basi delle cuspidi valvolari
sono ancorate all’anello fibroso dell’orifizio atrioventricolare mentre le estremità
libere sono unite a delle corde tendinee attaccate ai lati adiacenti di cuspidi contigue,
in modo tale che queste si aprano all’unisono.
Muscoli Papillari : formano proiezioni coniche con le basi attaccate alla parete
ventricolare e le corde tendinee emergenti dai loro apici. Nel ventricolo destro sono
tre e portano i nomi delle cuspidi della valvola tricuspide.
Il m. papillare anteriore è il più grande e prominente dei tre e origina dalla trabecola
settomarginale della parete anteroinferiore del ventricolo destro. Le sue corde
tendinee sono ancorate con le cuspidi anteriore e posteriore della valvola tricuspide.
Il m. papillare posteriore è più piccolo dell’anteriore e può essere costituito da più
parti. È formato dalle trabecole carnee che si dipartono dalla parete inferiore del
ventricolo destro e le sue corde tendinee si inseriscono sulle cuspidi posteriore e
settale della valvola tricuspide.
Il m. papillare mediale emerge, in maniera molto variabile da individuo ad
individuo, dal 1/3 medio del setto interventricolare e le sue corde tendinee si portano
verso le cuspidi settale e anteriore della valvola tricuspide.
Setto Interventricolare : è una robusta parete disposta obliquamente tra i due
ventricoli. È composto da una parte membranacea, in continuità con lo scheletro del
cuore e una parte muscolare, che sporge nella cavità ventricolare destra per la grossa
pressione presente nel ventricolo sinistro. Il fascio moderatore detto trabecola
settomarginale è un fascio muscolare curvo che decorre dalla porzione inferiore del
setto interventricolare fino alla parete anterolaterale del ventricolo destro, dove da
origine alla trabecola carnea del m. papillare anteriore.
Valvola Polmonare : si trova a livello della III cartilagine costale, all’apice del cono
arterioso della cavità ventricolare di destra. E’ una valvola a nido di rondine che si
apre nel tronco polmonare inferiormente ai tre seni polmonari o seni di Valsalva.

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6. ATRIO SINISTRO
È più piccolo dell’atrio destro e forma la gran parte della base del cuore. È formato
prevalentemente da una parete liscia, dove trovano sbocco gli orifizi, privi di
valvole, delle vv. polmonari, osti venosi polmonari, che occupano buona parte della
superficie interna. Le vv. polmonari, di regola due per lato, sboccano nella porzione
più superiore dell’atrio sinistro. In direzione ventrale l’atrio sinistro si continua con
l’auricola sinistra, nel cui lume sporge una piccola quantità di muscoli pettinati e
che forma la parte superiore del margine sinistro del cuore. Nell’atrio sinistro non si
osserva nessuna vistosa separazione tra parete liscia e parete muscolare rugosa.
La parete liscia è sottile ed estesa, deriva dalle vv. polmonari che entrano nella
parete posteriore della camera e si presenta leggermente più spessa rispetto alla
parete dell’atrio destro. Questa porzione liscia deriva dal riassorbimento di parte
delle vv. polmonari embrionali mentre la porzione rugosa, prevalentemente
l’auricola, corrisponde alla parte restante dell’atrio primordiale.

7. VENTRICOLO SINISTRO
Questa cavità forma l’apice del cuore, la sua faccia sinistra o polmonare e la
maggior parte della faccia diaframmatica. Essendo la pressione arteriosa della
circolazione sistemica molto più alta rispetto a quella polmonare, il ventricolo
sinistro è la camera che svolge il lavoro cardiaco più gravoso. La sua parete è ca. 3
volte più spessa di quella del ventricolo destro.
Anche il ventricolo sinistro risulta essere suddiviso dalle trabecole carnee in una via
di afflusso e una via di deflusso della camera cardiaca.
Valvola Bicuspide o Mitrale : l’aggettivo mitrale deriva dalla somiglianza di questa
valvola con il copricapo vescovile, la mitra. Infatti, questa valvola è formata da due
cuspidi, uno anteriore e l’altro posteriore. E’ localizzabile posteriormente allo sterno
a livello della IV cartilagine intercostale. È situata sul contorno dell’ostio
atrioventricolare sinistro e dirige il sangue dall’atrio di sinistra alla via di afflusso
ematico del ventricolo sottostante.
È formata da due ampi lembi, la cuspide anteriore e la cuspide posteriore, entrambe
fissate attraverso numerose e robuste corde tendinee ai muscoli papillari della parete
del ventricolo, più grossi e spessi rispetto a quelli del ventricolo destro, provvisti di
due grossi apici che formano il m. papillare anteriore e il m. papillare posteriore, i
quali originano l’uno sulla parete sternocostale del ventricolo e l’altro sulla parete
diaframmatica.
Oltre ai due lembi maggiori la valvola bicuspide possiede anche due lembi più
piccoli che non si ancorano all’anello fibroso sinistro e sono detti cuspidi
commisurali.
Valvola Aortica : è formata da tre robuste tasche semilunari e superiormente offre a
considerare, lungo la parete aortica, i seni aortici, ovvero delle piccole dilatazioni
della parete in corrispondenza delle valvole, che impediscono alle tasche di
accollarsi alla parete aortica durante la gittata cardiaca; sono speculari ai seni di
Valsalva della valvola polmonare. È situata a livello del II-III spazio intercostale.
Nei seni aortici destro e sinistro si aprono gli imbocchi per le arterie coronarie
destra e sinistra.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 57


8. VASI DEL CUORE
I vasi privati o vasi nutritizi del cuore sono quelli che provvedono alla
vascolarizzazione arteriosa e al drenaggio venoso delle pareti del cuore e, in
particolare, del miocardio. I vasi pubblici, invece, sono i grossi vasi afferenti ed
efferenti del cuore, funzionali al resto dell’organismo, che arrivano e si dipartono
dalle camere cardiache attraverso la porta venosa e la porta arteriosa, nella
circolazione sistemica e in quella polmonare.
Mentre i tronchi principali dei vasi coronarici decorrono in posizione subepicardica,
immersi nel tessuto adiposo che colma le irregolarità dei solchi e delle pareti del
miocardio, i rami secondari dei vasi coronarici si possono trovare o immersi nei fasci
di miocardio superficiale o scavalcati a ponte, per brevi porzioni, da questi.
Ricevono innervazioni sia simpatiche che parasimpatiche.
Aa. Coronarie: i principali tronchi vasali, l’a. coronaria destra e l’a. coronaria
sinistra, originano a livello del seno aortico, rispettivamente dalla tasca destra e
sinistra, come primissime diramazioni arteriose dell’aorta.
Secondo un tipo di irrorazione equilibrata tipica l’a. coronaria destra irrora l’atrio
destro, ampie porzioni del ventricolo destro, il nodo seno atriale nel 60% delle
persone e il nodo atrioventricolare nel 80% delle persone, il setto interventricolare
nella sua porzione posteriore e la faccia diaframmatica del ventricolo sinistro; l’a.
coronaria sinistra invece irrora una piccola porzione anteroinferiore del ventricolo di
destra, la maggior parte del ventricolo di sinistra, l’atrio sinistro e la porzione
ventrale del setto interventricolare. Comunque non vi è una chiara linea di
demarcazione tra i settori irrorati dalle arterie coronarie. La regola dovrebbe essere
che la dominanza del sistema arterioso coronarico spetta all’arteria che da origine
al a. interventricolare posteriore o posteriore discendente.
L’a. coronaria di destra raggiunge il solco coronario dal versante di destra e nella
sua porzione iniziale risulta essere coperta parzialmente dall’auricola di destra.
Fornisce all’inizio un ramo nodale senoatriale; poi fornisce rami, nel suo decorso,
per l’atrio destro e il ramo marginale destro che arriva alla porzione superiore della
faccia sternocostale del ventricolo destro e al margine destro del cuore. Segue poi il
solco coronario portandosi dorsalmente fino al solco interventricolare posteriore
dove corre come ramo interventricolare posteriore. Prima di portarsi inferiormente
nel solco interventricolare, a livello del crus cordi, ovvero del punto in cui si
uniscono i setti e il piano trasversale valvolare, da origine ad un ramo nodale
atrioventricolare, per il nodo atrioventricolare.
L’a. coronaria di sinistra passa nel solco coronario posteriormente al tronco
polmonare e coperta dall’auricola di sinistra. All’estremità sinistra del solco
coronario l’a. coronaria di sinistra si divide in un ramo interventricolare anteriore e
in un ramo circonflesso. Il primo passa nel solco omonimo fino all’apice del cuore e
si anastomizza con il ramo posteriore; inoltre questo, in molte persone, da origine ad
un ramo diagonale laterale che scende lungo il ventricolo sinistro. Il ramo
circonflesso, invece, invia il ramo marginale sinistro, per portarsi poi verso la faccia
diaframmatica del cuore.

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Drenaggio Venoso : il cuore viene drenato da vene che scaricano prevalentemente
nel seno coronarico ma anche liberamente nel atrio destro. Il seno coronarico è la
principale vena del cuore, che decorre da sinistra a destra come un ampio canale,
posteriormente, nel solco coronarico. Distalmente al suo sbocco nell’atrio destro
riceve la v. cardiaca magna dalla faccia sternocostale del cuore, insieme alla vena
marginale sinistra; la vena cardiaca magna è la più grande tributaria del seno
coronario e risale dall’apice del cuore lungo il solco interventricolare anteriore.
Lungo la faccia diaframmatica della porzione superiore del ventricolo sinistro il seno
coronario riceve le vv. cardiache media e parva, che drenano le porzioni del cuore
vascolarizzate dall’a. coronaria destra.
Il drenaggio linfatico del cuore è assicurato da un plesso linfatico subepicardico.
Questo plesso è formato da una fitta rete composta da una trama endocardica
profonda, una trama miocardica intermedia e una trama epicardica superficiale. I
vasi passano poi da questo plesso al solco coronario e seguono il decorso delle
arterie coronarie. In seguito, un singolo vaso linfatico risale nello spazio tra l’atrio
sinistro e il tronco polmonare per confluire nei linfonodi tracheobronchiali inferiori,
generalmente sul lato destro.

9. SISTEMA D’ORIGINE E CONDUZIONE DELL’ECCITAZIONE


Il cuore possiede specifiche fibre muscolari capaci di dare origine e propagare
l’eccitazione spontanea e ritmica che determina la contrazione del miocardio. Queste
fibre vengono definite nel complesso sistema di conduzione del cuore. Le fibre
muscolari cardiache che generano l’impulso nervoso si raggruppano in strutture
nodose, il nodo senoatriale e il nodo atrioventricolare. Tuttavia la maggior parte
delle fibre appartenenti al sistema di conduzione dell’eccitazione si trova
raggruppata in fasci; si distinguono così un fascio atrioventricolare e due fasci che
da esso si dipartono lungo le pareti ventricolari, ovvero le branche destra e sinistra.
Il nodo senoatriale o nodo senoatriale di Keith-Flack è situato in prossimità dello
sbocco della v. cava superiore nel tessuto subepicardico del solco terminale. È il
pacemaker dell’attività cardiaca, ha forma affusolata e dà origine a ca. 70 stimoli al
minuto, che vengono poi trasmessi alle altre strutture di conduzione del cuore e al
miocardio di lavoro.
Il nodo atrioventricolare o nodo di Aschoff-Tawara è situato nel setto interatriale
nella porzione tra atrio e ventricolo, tra lo sbocco del seno coronario nell’atrio
destro e la cuspide settale della valvola tricuspide. L’impulso, da questa seconda
tappa, si propaga al miocardio di lavoro dell’atrio destro e in direzione dei ventricoli,
attraverso il fascio atrioventricolare o fascio di His.

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10. PLESSO CARDIACO
Il sistema autonomo vegetativo influisce sulla contrazione cardiaca, sia nella sua
porzione ortosimpatica che nella sua porzione parasimpatica. La stimolazione della
componente ortosimpatica dei nervi cardiaci provoca tachicardia, maggiore forza del
battito e dell’eccitazione cardiaca e aumenta l’accelerazione di propagazione degli
stimoli al nodo atrioventricolare. Invece, la stimolazione parasimpatica provoca
bradicardia, diminuzione della forza del battito e dell’accelerazione di propagazione
degli impulsi al nodo atrioventricolare.
I nervi cardiaci ortosimpatici e i rami parasimpatici del n. vago confluiscono e si
diramano alla base del cuore nel plesso cardiaco. Da un punto di vista topografico
questo viene diviso in una porzione superficiale e in una porzione profonda. La
porzione superficiale, anteriore, del plesso cardiaco è situata sotto l’arco aortico
prima dell’origine dell’arteria polmonare destra e riceve prevalentemente fibre
provenienti dai nn. cardiaci di sinistra. La porzione profonda o posteriore riceve
fibre provenienti da i nn. cardiaci di entrambi i lati ed è situata al di sotto dell’arco
aortico, tra questo e la biforcazione della trachea. Le due porzioni del plesso
cardiaco sono connesse ed unite e danno origine a tutti i nervi cardiaci propriamente
detti che raggiungono gli atri e le porzioni del cuore attraverso reti cardiache, lungo
il decorso delle aa. coronarie.
I rami cardiaci ortosimpatici che raggiungono il plesso cardiaco provengono
prevalentemente dai gangli cervicali, attraverso i nn. cardiaci cervicali superiore,
medio e inferiore che si portano anteriormente al fascio vasculo-nervoso, a destra,
posteriormente al’a. succlavia e, a sinistra, anteriormente all’arco dell’aorta.
I rami cardiaci parasimpatici provengono dal n. vago e si diramano a vari livelli
della porzione cervicale di questo come rr. cardiaci cervicali superiori e inferiori
che raggiungono il plesso cardiaco passando sopra, a sinistra, all’a. succlavia sinistra
e all’arco dell’aorta e, a destra, all’a. succlavia destra.

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MEDIASTINO SUPERIORE

- Aorta Ascendente
A un diametro di ca. 2,5 cm a livello dell’orifizio aortico. Sale per ca. 5 cm fino all’angolo
sternale. Origina dal ventricolo sinistro a livello della valvola aortica e sale, appunto, per una
breve porzione ascendente, inizialmente verso destra, posteriormente al tronco polmonare e,
scavalcato l’ilo polmonare sinistro, da origine all’arco dell’aorta. I vasi che si diramano a livello
dell’aorta ascendente sono le aa. coronarie di destra e di sinistra.

- Arco dell’Aorta
Da esso originano i grandi vasi arteriosi destinati a portarsi alla testa, al collo e agl’arti superiori.
È la continuazione anatomica dell’aorta ascendente, la quale, a livello della seconda
articolazione sternocostale di destra e dell’angolo sternale, piega superoposteromedialmente
verso sinistra. L’arco aortico sale anteriormente all’arteria polmonare destra e alla biforcazione
della trachea, in una porzione leggermente a destra del piano sagittale mediano; raggiunge poi
l’apice a sinistra della trachea e dell’esofago e si porta posteriormente verso la colonna
vertebrale cominciando la sua lunga discesa e passando posteriormente sia alle vv. polmonari di
sinistra che all’a. polmonare di sinistra. Posteriormente alla II articolazione sternocostale di
sinistra termina diventando aorta toracica.
Il legamento arterioso, residuo del dotto arterioso fetale, passa dalla radice dell’arteria
polmonare sinistra alla superficie inferiore dell’arco dell’aorta. Il n. laringeo ricorrente sinistro
origina anteriormente all’arco dell’aorta e disegna un’ansa inferiormente ad esso, portandosi
posteriormente, e risalendo nel collo; si pone tra l’arco dell’aorta e il ligamento aortico.

- Arteria Anonima o Tronco Brachiocefalico


Seguendo il flusso emodinamico, è la prima e la più grande ramificazione dell’arco dell’aorta. È
l’unica ramificazione dell’arco dell’aorta posta a destra del piano sagittale mediano. Emerge
posteriormente al manubrio dello sterno e alla vena anonima o brachiocefalica di destra. Risale
superolateralmente, contiguamente al margine destro della trachea, dove si divide in arteria
carotide comune di destra e in arteria succlavia subito dietro l’articolazione sternoclaveare.

- Arteria Carotide Comune Sinistra


È il II ramo dell’arco dell’aorta nonché ramo mediale dei due posti a destra del piano sagittale
mediano. Emerge dall’aorta posteriormente al manubrio dello sterno, leggermente dietro e a
sinistra del tronco brachicefalico. Sale prima anteriormente sia all’a. succlavia di sinistra che
alla trachea, per poi portarsi lateralmente a quest’ultima. Entra nel collo posteriormente
all’articolazione sternoclaveare sinistra.

- Arteria Succlavia Sinistra


È il III ramo arterioso che si diparte dall’arco dell’aorta. Emerge lateralmente all’a. carotide
comune sinistra dalla superficie supero posteriore dell’arco dell’aorta. Risale lateralmente alla
trachea nel mediastino superiore, senza inviare rami in questo. Entra nel collo per diventare a.
succlavia sinistra cervicale e passa, prima, posteriormente all’articolazione sternoclaveare di
sinistra e, in seguito, nel trigono degli scaleni anteroinferiormente al plesso brachiale.

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- Vena Anonima o Brachicefalica
Le vv. brachicefaliche si formano, posteriormente al m. sternocleidomastoideo, dall’unione delle
v. giugulare interna e succlavia. A livello del margine inferiore della prima cartilagine costale le
vv. brachicefaliche si uniscono a formare la v. cava superiore. La v. brachiocefalica sinistra è
lunga più del doppio di quella destra perché si porta dal lato sinistro al lato destro, passando
davanti alle radici dei tre rami arteriosi dell’arco dell’aorta e drenando il sangue, dalla metà
destra del collo e della testa, e dall’arto superiore destro.
La v. brachiocefalica destra è più corta e si porta posteriormente al margine destro del manubrio
dello sterno e all’articolazione sternoclaveare di destra, superolateralmente, fino a raggiungere
l’angolo venoso destro, dove si divide in v. giugulare interna destra e v. succlavia destra, e dove
sboccano i tronchi linfatici di destra.
Nella v. brachiocefalica di sinistra sbocca, posteriormente al manubrio dello sterno, il plesso
tiroideo impari, da cui originano tutte le vv. tiroidee inferiori. Inoltre, sboccano anche le vv.
toraciche interne, a destra, a livello dell’unione tra le due vv. brachicefaliche in v. cava
superiore, a sinistra, nella v. brachiocefalica sinistra a livello del margine inferiore
dell’articolazione sternoclaveare sinistra.

- Vena Cava Superiore


Nasce dalla confluenza tra vv. brachicefaliche destra e sinistra che raccolgono il sangue che
confluisce dalla testa, dal collo e dagl’arti superiori. Essa si porta inferiormente fino alla III
cartilagine costale, dove entra nell’atrio destro. Giace sul lato destro del mediastino superiore,
posterolateralmente all’aorta ascendente e anterolateralmente alla trachea. Il n. frenico destro
giace tra la v. cava superiore e la pleura mediastinica. La metà terminale della v. cava superiore
è nel mediastino medio, dove giace accanto all’aorta ascendente e dove forma il margine
posteriore del seno pericardico trasverso.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 62


- Tratto Toracico dei Nervi Frenici
Innervano il diaframma e, approssimativamente, 1/3 delle loro fibre sono fibre sensitive per
questo muscolo. Ogni nervo entra nel mediastino anteriormente all’a. succlavia e
posteriormente alla v. brachiocefalica. Si distinguono dai nn. vaghi grazie al fatto che questi
passano anteriormente ai peduncoli dei polmoni e alla biforcazione della trachea, mentre i nn.
vaghi decorrono posteriormente.
Il n. frenico destro passa lungo il margine destro della v. brachiocefalica destra, della v. cava
superiore e del pericardio che riveste la porzione destra del cuore. Scende poi sul lato destro
della v. cava inferiore per arriva a perforare il diaframma vicino all’orifizio della v. cava.
Il n. frenico sinistro scende tra le aa. carotide comune sinistra e succlavia sinistra, incrociando
sul davanti il n. vago di sinistra e passando lungo il margine sinistro dell’arco dell’aorta. Passa
anteriormente al bronco sinistro e al peduncolo del polmone sinistro e si porta lungo la porzione
sinistra del pericardio per entrare nel diaframma, sotto di esso.

- Tratto Toracico dei Nervi Vaghi e Laringeo Ricorrente Sinistro


Ogni n. vago entra nel mediastino posteriormente alla rispettiva articolazione sternoclaveare e v.
brachiocefalica. Il n. vago destro entra nel torace anteriormente all’a. succlavia destra, dove da
origine al n. laringeo ricorrente destro, formando un ansa posteriore all’a. succlavia. In seguito,
il n. vago destro decorre posteroinferiormente nel mediastino superiore, sul lato destro della
trachea e posteriormente a questa. Il n. vago destro passa poi posteriormente alla v.
brachicefalica destra, alla v. cava superiore e al peduncolo del polmone. Qui si divide in
molteplici ramificazioni che forniscono la componente parasimpatica del plesso polmonare. In
seguito, lascia il plesso come nervo singolo e si porta inferoposteriormente verso l’esofago per
dividersi nuovamente nel plesso esofageo. Fornisce fibre parasimpatiche al plesso cardiaco.
Il n. vago sinistro entra nel mediastino compreso nello spazio tra a. carotide comune sinistra e a.
succlavia sinistra, raggiungendo il lato sinistro dell’arco aortico e portandosi anteriormente a
questo. In questo punto diverge posteriormente rispetto al n. frenico sinistro, che si porta in
avanti verso il sacco pericardico, e invia il n. laringeo ricorrente sinistro, che risale
posteriormente formando un’ansa attorno all’aorta, passando poco lateralmente tra questa e il
ligamento arterioso. Contribuisce a formare il plesso polmonare sinistro e il plesso esofageo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 63


- La Trachea
La trachea discende anteriormente all’esofago ed entra nel mediastino superiore, inclinandosi
leggermente alla destra del piano sagittale mediano. La superficie posteriore della trachea è
piatta ed entra in comunicazione con la muscolatura longitudinale dell’esofago. Termina a
livello dell’angolo sternale dividendosi nei due bronchi destro e sinistro.
La porzione toracica della trachea si proietta posteriormente tra T1 e T4. La biforcazione
terminale della trachea è leggermente spostata a destra rispetto alla linea mediana e dà origine ad
un bronco principale destro e ad un bronco principale sinistro. Il primo è inclinato di soli 20°
rispetto alla trachea e, grosso modo, ne continua il decorso, oltre ad essere più corto e ampio
rispetto al bronco sinistro. Questo, invece, è più lungo e possiede un lume più stretto, formando
con la trachea un angolo di ca. 35 °.
In corrispondenza della biforcazione della trachea, sporge nel suo lume un rilievo cartilagineo
lungo il piano sagittale mediano, la carina tracheale, che distribuisce ai due bronchi l’aria
inspirata.

- Il Timo
Il timo è l’organo linfatico primario del sistema dei linfociti T e rappresenta quindi l’organo
primario di controllo per lo sviluppo della difesa immunitaria.
Il timo è costituito da due lobi di dimensioni diseguali che sono reciprocamente uniti in modo
incompleto. L’organo è alloggiato nel mediastino superiore dietro lo sterno e davanti ai grossi
vasi, ovvero sopra il pericardio e davanti alle vv. brachicefaliche e alla v. cava superiore. Il timo
è delimitato su entrambi i lati dai margini di riflessione tra pleura costale e pleura mediastinica,
che forma a livello della II costa il triangolo timico, posto subito sotto il manubrio dello sterno.
Nel neonato il timo è rappresentato da una striscia lunga 5 cm e larga e spessa 1,5 cm. Pesa ca.
11-13g e raggiunge, alla fine del 3 anno di vita un peso di ca. 23g. l’apice del suo sviluppo
corrisponde al periodo di vita che precede la pubertà, con un peso che di 35-50g.
Nel bambino il timo è ben rappresentato ed entrambi i lobi raggiungono in alto il margine
inferiore della ghiandola tiroide e in basso i IV spazio intercostale. Un suo prolungamento può
raggiungere la fascia cervicale media entrando nella cavità del collo attraverso l’apertura
toracica superiore.
Nell’adulto il timo è poco rappresentato e lascia spazio ad un abbozzo funzionale localizzabile in
posizione sovra pericardica, dietro il manubrio dello sterno.
La vascolarizzazione arteriosa del timo è garantita dalle aa. timiche, modesti rami che possono
originare dalle aa. toraciche interne, dalle aa. tiroidee inferiori e dalle aa. pericardicofreniche.
Il drenaggio venoso è garantito dalle vv. timiche, tributarie delle vv. brachiocefaliche, e in minor
misura delle vv. tiroidee inferiori.

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MEDIASTINO POSTERIORE

- Aorta Discendente Toracica


Dalla faccia sinistra della IV vertebra toracica si continua nel torace fino alla XII vertebra
toracica e passa, attraverso il diaframma, nell’addome. Al confine con l’arco aortico è frequente
un restringimento, l’istmo aortico, a cui segue una lieve dilatazione fusiforme, il fuso aortico. È
lunga in media 17,5-20 cm con un diametro medio di 2,2 cm. Dall’origine viene gradualmente a
porsi sul davanti della colonna vertebrale seguendo una leggera curva concava anteriormente e,
nella porzione superiore, entra in stretti rapporti con l’esofago. È incrociata dorsalmente dalla v.
emiazygos; in avanti è prima incrociata dal peduncolo polmonare sinistro, poi si pone dietro
l’esofago, che però se ne discosta, avviandosi verso il proprio orifizio diaframmatico, in modo
tale che l’aorta assuma diretto contatto con la faccia dorsale di questo muscolo. A sinistra il vaso
è in rapporto col polmone e con la relativa pleura; a destra si trova prima sul lato sinistro
dell’esofago, poi lo incrocia ad X, ponendosi posteriormente a questo. Insieme all’aorta, nel foro
diaframmatico, passano il dotto toracico e spesso la radice mediale della v. azygos. I rami che si
dipartono dall’aorta toracica sono numerosi ma di piccolo calibro e vengono divisi in parietali e
viscerali.
I rami viscerali sono:
1. Le aa. bronchiali, assai variabili, risultano per lo più una a destra e due a sinistra;
queste ultime, una superiore e una inferiore, nascono dall’aorta toracica al suo inizio;
quella sinistra in alcuni casi può originare dalla III a. intercostale. Seguono con i loro
rami di minor calibro tutte le diramazioni dei bronchi lungo la parete dorsale di
questi e penetrano nello stroma polmonare. Con alcuni loro piccoli rami
raggiungono anche i linfonodi bronchiali, il pericardio e l’esofago.
2. Le aa. pericardiche per la porzione dorsale del sacco pericardico.
3. Le aa. mediastiniche per gli organi del mediastino posteriore e per la parte lombare
del diaframma, con le aa. freniche superiori.
4. Le aa. esofagee, in numero di 4 o 5 raggiungono l’esofago in tutta la sua estensione.
I rami parietali sono:
1. Aa. Intercostali o Toraciche, sono in numero di 10 e decorrono, le prime 9, negli
spazi intercostali dal III al XI e la decima lungo il margine inferiore della XII costa.
Questo perché ai primi due spazi intercostali provvede l’arteria intercostale
suprema, ramo dell’a. succlavia. Passano sul rispettivo corpo vertebrale, in maggior
lunghezza le aa. intercostali di destra data la posizione dell’aorta, leggermente a
sinistra della colonna vertebrale e del piano sagittale mediano, e giunte all’inizio
dello spazio intercostale si dividono in aa. intercostali propriamente dette e aa.
dorso-spinali. Nel loro primo tratto sono incrociate, in avanti, dal tronco
dell’ortosimpatico e, a destra, dall’esofago, dal dotto toracico e dalla v. azygos,
mentre, a sinistra, dalla v. emiazygos.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 65


- Vena Cava Inferiore (tratto toracico)
È il tronco venoso che, attraverso i suoi rami collaterali, raccoglie il sangue refluo dalle porzioni
sottodiaframmatiche del corpo. Arriva nel torace attraverso il diaframma ed entra nel cuore a
livello dell’orifizio della v. cava inferiore del atrio destro, che raggiunge dopo aver tracciato una
leggera curva a concavità inferiore, per una lunghezza di 4 cm, con direzione in avanti e sinistra.
il calibro subisce un incremento nella porzione prossimale dell’addome, dopo il tributo delle vv.
epatiche e renali, diventando di ca. 3,3 cm. La v. cava inferiore manca di valvole e la sua
struttura è tipicamente propulsiva. Il foro cavale del diaframma è posto nella porzione anteriore
destra del centro frenico. Nel decorso toracico la v. cava inferiore è circondata in dietro e sui lati
dalla base del polmone destro; penetrata nell’angolo posteriore destro del sacco pericardico e
rivestitasi anteriormente della sua lamina fibrosa, la vena cava inferiore sbocca nella porzione
diaframmatica al limite con la base, dell’atrio destro; questo livello è proiettabile sulla IX
vertebra toracica.

- Vene Azygos, Emiazygos e Emiazygos Accessoria


Possono essere considerate delle continuazioni toraciche delle vv. lombari ascendenti.
La vena azygos nasce davanti ai pilastri diaframmatici medio e laterale e sale applicata al lato
destro della colonna vertebrale toracica fino al suo sbocco nella v. cava superiore. Costeggia da
destra l’aorta e il dotto toracico, incrocia dal davanti le aa. intercostali e si pone posteriormente
all’esofago e al peduncolo polmonare destro. A livello di T3 o T4 si incurva in avanti
contornando superiormente il bronco destro e va a sboccare con un ostio di ca. 0,9 cm nella
superficie posteriore della v. cava superiore, appena prima dell’inizio del suo rivestimento
pericardico. Nella v. azygos affluiscono le vv. intercostali destre, in numero di 12 che
aumentano dall’alto in basso il loro calibro e hanno un decorso e delle ramificazioni
sovrapponibili a quelli delle aa. intercostali, quindi costituite dall’incontro di un ramo dorso-
spinale con uno intercostale propriamente detto, la v. emiazygos e la v. emiazygos accessoria.
La v. emiazygos corrisponde alla continuazione della v. lombare ascendente di sinistra e risale
applicandosi alla superficie laterale sinistra della colonna vertebrale, incrociando sul davanti le
arterie intercostali del medesimo lato. Di solito, all’altezza di T9 si inoltra dietro l’aorta toracica
e il dotto toracico portandosi a sinistra per confluire nella v. azygos. Raccoglie dunque il sangue
refluo delle ultime 3-5 vv. intercostali di sinistra.
La v. emiazygos accessoria è sostanzialmente un ramo venoso che si anastomizza con la v.
anonima o brachiocefalica di sinistra ma che confluisce a livello dell’VIII v. intercostale nella v.
azygos, come già fatto dalla v. emiazygos, portandosi a destra posteriormente all’aorta e al dotto
toracico sul davanti della colonna vertebrale. Raccoglie il sangue refluo dagli spazi intercostali
di sinistra che vanno dal I al VII in modo speculare alla v. emiazygos. Scende dal I spazio
intercostale a sinistra della colonna vertebrale raccogliendo le prime 3-7 vv. intercostali dello
stesso lato; in seguito raccoglie le vv. intercostali del VI-VIII spazio confluendo con un ramo
trasversale nella v. azygos; fanno capo a questa vena anche alcune v. mediastiniche e esofagee,
oltre che le vv. bronchiali posteriori.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 66


- Vene Polmonari
Le vene polmonari derivano da successive convergenze, all’interno del parenchima polmonare,
prima dei capillari alveolari e poi delle radici venose che confluiscono in esse. Si riducono a tre
per il polmone destro e a due per quello sinistro, corrispondendo ciascuna ad un lobo
polmonare. Tuttavia, per il confluire della vena superiore e media di destre, all’atrio sinistro
arrivano da ambedue i polmoni solo due vene polmonari per lato, una vena superiore e una
inferiore, le prime dirette dall’alto in basso lateromedialmente, le seconde approssimativamente
orizzontali. Sboccano nel tetto del vestibolo dell’atrio sinistro a destra presso il setto interatriale
e, a sinistra, presso la parete laterale. La lunghezza, un po’ maggiore a destra, è di 1,5 cm
mentre il loro calibro è di ca. 1,3-1,6 cm, con prevalenza della vena superiore destra.
Le vene di destra decorrono dietro l’atrio destro ed incrociano dorsalmente la v. cava superiore e
il n. frenico; le vene di sinistra incrociano sul davanti l’aorta toracica, mentre, su ambo i lati le
vene polmonari superiori si pongono sul davanti e in basso rispetto all’a. polmonare dello stesso
lato, mentre, le vene polmonari inferiori si pongono in dietro ed ancora più in basso di queste.
Il pericardio avvolge le vv. polmonari limitatamente alla loro superficie anteriore e solo in
prossimità dell’atrio.

- Tronco Polmonare e Arterie Polmonari


Poco sotto la biforcazione della trachea il tronco polmonare, originato dal tronco arterioso del
ventricolo destro e quindi dalla porta arteriosa del cuore, si divide in un arteria polmonare
destra e in una arteria polmonare sinistra, che rientrano nei vasa publica polmonari e conducono
il sangue deossigenato ai polmoni attraverso la piccola circolazione.
L’a. polmonare destra e più lunga di quella di sinistra e possiede un lume più ampio. Entrambe
decorrono anteriormente ai bronchi principali e si suddividono in rami secondari prima di
entrare nell’ilo polmonare. Le diramazioni polmonari di questi due grossi tronchi arteriosi
decorrono parallelamente e insieme alle diramazioni dell’albero bronchiale, situati in stretta
contiguità con queste, generalmente in posizione posterolaterale. Per questo motivo le aa.
polmonari e i loro rami hanno un decorso intralobulare all’interno del parenchima polmonare,
insieme alle ramificazioni bronchiali che raggiungono gli alveoli, a differenza della circolazione
venosa polmonare che fornisce la via di efflusso del sangue ossigenato verso l’atrio sinistro del
cuore, che possiede un decorso definito interlobulare.

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- Il Dotto Toracico
Nel mediastino posteriore il dotto toracico giace sul davanti delle superfici anteriori dei corpi
vertebrali delle vertebre da T6 a T12. È il più grande canale linfatico del corpo e convoglia nel
sistema venoso gran parte di tutta la linfa dell’organismo, escludendo il quadrante superiore
destro del tronco e l’arto superiore destro. Origina dalla cisterna del chilo nel’addome e risale,
passando attraverso l’orifizio aortico del diaframma. È di colorazione biancastra opaca e ha una
parete abbastanza sottile; spesso appare con un aspetto bitorzoluto a causa delle sue numerose
valvole. Sale nel mediastino posteriore avendo, anteriormente l’esofago e posteriormente la
colonna vertebrale, e a sinistra l’aorta discendente toracica e a destra la vena azygos. A livello
delle vertebre T4, T5 e T6 il dotto toracico passa a sinistra, posteriormente all’esofago, e risale
nel mediastino superiore. Riceve ramificazioni dagli spazi intercostali medi e superiori per
mezzo di numerosi tronchi collettori. Vicino alla sua terminazione nell’angolo venoso sinistro
raccoglie i tronchi linfatici, che però possono terminare indipendentemente, broncomediastinico,
succlavio e giugulare. Può terminare, oltre che come di consueto nell’angolo venoso, anche nella
v. succlavia sinistra.

- Linfonodi Mediastinici
Si distinguono in linfonodi mediastinici anteriori, posteriori e bronchiali.
I linfonodi mediastinici anteriori sono divisi in un gruppo diaframmatico, alloggiato vicino alle
inserzioni anteriori del diaframma, e in un gruppo che si colloca anteriormente all’arco
dell’aorta e sale fino all’apertura della cavità toracica, seguendo il decorso dei grossi tronchi
arteriosi nati dall’arco. Questi confluiscono tutti nel tronco broncomediastinico e drenano
porzioni del timo, del cuore, del pericardio e di porzioni contigue a questi organi.
I linfonodi mediastinici posteriori accompagnano l’aorta toracica, ponendosi, in alcuni casi,
sulla porzione posteriore del diaframma. Qui, raccolgono la linfa proveniente dai linfonodi
mediastinici anteriori diaframmatici oppure dalla porzione inferiore del mediastino posteriore.
Possono inviare efferenze per i linfonodi bronchiali, oltre che confluire nel dotto toracico.
I linfonodi bronchiali sono una famiglia di linfonodi mediastinici e comprendono i linfonodi
della biforcazione tracheale, i linfonodi tracheobronchiali e i linfonodi dell’ilo e del
parenchima polmonare. I linfonodi della biforcazione tracheale si trovano in stretta relazione
con la biforcazione della trachea, inferiormente ad essa e applicati sotto l’angolo medio e
inferiore del tubo tracheobronchiale, antistanti all’aorta e all’esofago e posti dietro sia all’atrio
sinistro che al pericardio. I linfonodi tracheobronchiali sono situati lungo gli angoli esterni tra la
trachea e il bronco stipite. A destra sono retrostanti alla v. cava superiore ed in rapporto con il
polmone; in alto con l’arco dell’a. succlavia; in basso con l’arco della v. azygos e con l’a.
polmonare destra; a sinistra hanno rapporti anterosuperiormente con l’arco dell’aorta e
inferiormente con l’a. polmonare sinistra. I linfonodi dell’ilo polmonare, infine, si pongono a
livello delle biforcazioni bronchiali sia all’ingresso che nella compagine del polmone, in stretto
rapporto con i suoi vasi sanguiferi. I linfonodi tracheobronchiali scaricano nei tronchi bronco
mediastinici e, insieme agli altri linfonodi bronchiali, contribuiscono a drenare la linfa di
strutture quali polmoni, bronchi, tratto inferiore della trachea, cuore e tratto inferiore
dell’esofago. Un parziale flusso vasi efferenti di questi può giungere ai linfonodi sovraclaveari.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 68


- Tratto Toracico del Tronco dell’Ortosimpatico
La catena del tronco ortosimpatico decorre nel torace al davanti delle articolazioni tra il corpo
della vertebra e la testa costale, ponendosi anteriormente ai nervi e ai vasi intercostali e
posteriormente alla pleura parietale. Più precisamente, il tronco toracico dell’ortosimpatico
segue un decorso, andando dall’alto verso il basso, leggermente lateromediale, portandosi contro
le teste costali nella porzione superiore del torace, lateralmente alle articolazioni costovertebrali
nella porzione media del torace e, infine, contro la superficie laterale dei corpi vertebrali nella
porzione più inferiore del torace. La catena dei gangli passa posteriormente, a destra, alla v.
azygos nella porzione che va da T4 a T10, mentre, a sinistra, all’arco e alla porzione discendente
dell’aorta.
Solitamente i gangli sono 11 e piuttosto piccoli; hanno una forma leggermente ovoidale. Il
primo ganglio cervicale si fonde spesso con il ganglio cervicale inferiore per dare origine al
ganglio cervicotoracico o stellato, che talora può includere anche il II ganglio toracico. Anche
l’ultimo ganglio ha un volume maggiore rispetto agli altri.

- Bronchi Principali
I bronchi principali destro e sinistro si suddividono, in base al numero di lobi polmonari
presenti, a destra in 3 e a sinistra in 2 bronchi lobari dal diametro di 0,8-1,2 cm. A destra, il
bronco lobare superiore si dirama a ca. 1-2,5 cm dall’origine del bronco principale, mentre, il
bronco lobare medio e inferiore originano a ca. 5 cm dalla biforcazione della trachea. A sinistra,
invece, il bronco principale si divide in bronco lobare superiore e in bronco lobare inferiore a
ca. 5 cm dalla biforcazione della trachea. I bronchi lobari a loro volta si dividono in 10 bronchi
segmentali a destra e 9 bronchi segmentali a sinistra.

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- Esofago
L’esofago scende nel mediastino posteriore, attraversando il mediastino superiore, dietro la
trachea e medialmente rispetto al tronco brachiocefalico, a destra, e all’a. succlavia sinistra, a
sinistra. In questa porzione è leggermente inclinato a sinistra rispetto alla trachea. Nella porzione
mediastinica superiore, l’esofago si pone anteromedialmente a destra rispetto al dotto toracico,
che è posteromediale rispetto all’arco dell’aorta. L’esofago, superata la biforcazione della
trachea, è spinto medialmente a sinistra dall’arco dell’aorta che poi si porterà posteriormente a
questo nel mediastino posteriore. la porzione toracica dell’esofago è lunga ca. 16 cm e si porta,
nel passaggio dal mediastino superiore a quello posteriore, posteroanteriormente, allontanandosi
progressivamente dalla colonna vertebrale e cedendo questa posizione all’aorta discendente. La
porzione toracica dell’aorta discendente, infatti, decorre inizialmente a sinistra dell’esofago,
portandosi poi posteriormente a questo. L’esofago, in tutto il suo decorso, offre a considerare 3
restringimenti, di cui il II, quello intermedio, è posto a confine tra mediastino superiore e
mediastino posteriore, posteriormente alla biforcazione tracheale, a 10 cm dal primo
restringimento. Questo restringimento intermedio è causato dallo scavalcamento, da parte
dell’arco aortico, dell’esofago. Il III restringimento, o restringimento diaframmatico, è causato
dal passaggio dell’esofago attraverso l’orifizio esofageo del diaframma.
L’esofago è il principale punto di appoggio per la base del cuore, che si appoggia su di esso a
livello del seno pericardico obliquo, che porta incisa, per questo motivo, una lieve impronta
esofagea in corrispondenza dell’atrio sinistro. Infatti, la porzione retro pericardica dell’esofago è
accompagnata a sinistra e posteriormente dall’aorta discendente e a destra dalla v. azygos.
Caudalmente l’esofago si allontana dalla colonna vertebrale tanto che la pleura parietale può
insinuarsi tra esofago e aorta nella porzione più inferiore del mediastino posteriore. il dotto
toracico sale posteriormente all’esofago, a destra dell’aorta e del piano sagittale mediano a
sinistra della v. azigos. Si porta a sinistra dell’asse mediano solo dopo aver superato l’arco
aortico. La superficie posteriore dell’esofago contrae rapporti con il tronco vagale posteriore e
con il plesso esofageo vegetativo.
La vascolarizzazione arteriosa dell’esofago è affidata, nella porzione cervicale, a rr. dell’a.
tiroidea inferiore, nella porzione toracica, da rr. esofagei provenienti dall’aorta.
Il drenaggio venoso invece permette alle vv. esofagee, di confluire in alto nella v. cava
superiore, mentre, in basso e in particolare nella porzione addominale dell’esofago, di confluire
nella circolazione venosa portale. Le vv. della porzione cervicale sono tributarie della v. tiroidea
inferiore, che raggiunge attraverso la v. brachiocefalica, la v. cava superiore. La porzione
toracica dell’esofago invece viene drenata dalle vv. esofagee, in alto, nella v. azygos e nella v.
emiazygos, tributarie della v. cava superiore. In ogni caso l’esteso plesso venoso esofageo
permette di stabilire numerose anastomosi portocavali, attraverso i collegamenti tra le vene della
tonaca sottomucosa del canale.

- Plesso Esofageo
L’innervazione parasimpatica dell’esofago è affidata al n. vago. Le fibre del n. laringeo
ricorrente si diramano nella porzione cervicale e in quella toracica superiore. Nella porzione
toracica inferiore, al di sotto della biforcazione della trachea, il n. vago di destra e il n. vago di
sinistra si incontrano per formare un plesso esofageo, posto nella tonaca avventizia, da cui
originano un tronco vagale anteriore, che si pone anteriormente all’esofago, e un tronco vagale
posteriore, che decorre posteriormente alla parete dell’esofago. I due tronchi penetrano nella
cavità addominale insieme all’esofago.

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Parte III - Compartimento Pleuro-Polmonare

- Pleura
La pleura è la sierosa del polmone. Si distinguono una pleura viscerale e una pleura parietale,
quest’ultima che riveste le pareti della cavità che accoglie il polmone. La riflessione tra le due
pleure e la loro unione avviene a livello dell’ilo polmonare. Tra i due foglietti pleurici è situata
una cavità sierosa capillare, contenente pochi millilitri di liquido sieroso e che consente ai due
foglietti di scivolare l’uno sull’altro durante i movimenti polmonari della respirazione.

1. PLEURA VISCERALE
Appare liscia, trasparente e lucente. È saldamente connessa con la superficie polmonare
e la riveste praticamente ovunque. Penetra inoltre nelle scissure interlobari costituendo i
setti pleurici che accompagnano le vv. polmonari nel loro decorso interlobare. Manca
nella regione circondata dalla piega di riflessione dei due foglietti pleurici, l’ilo
polmonare, ovvero l’ingresso dove vengono accolte le strutture costituenti il peduncolo
del polmone, e nella sottile regione della superficie mediastinica di questo, in cui i due
foglietti pleurici si accollano a formare il ligamento polmonare.

2. PLEURA PARIETALE
Si divide in tre porzioni in base alla sua posizione nella cavità toracica.
Pleura Costale : pur sottile, prevale in spessore e resistenza rispetto alle altre. È
addossata verso il davanti sulla fascia endotoracica che però, posteriormente, si fa più
discontinua. La fascia endotoracica è sostanzialmente un sottile strato connettivale
interno della parete toracica che separa quest’ultima dalla pleura; questo sottile strato
extrapleurico di connettivo è molto importante da un punto di vista chirurgico e si trova
interposto anche tra il m. diaframma e la pleura diaframmatica. In corrispondenza della
cupola pleurica la fascia endotoracica si irrobustisce e forma una membrana sovra
pleurica che fissa in alto questa porzione della parete sierosa con le strutture della parete.
In avanti la pleura costale entra in rapporto con la superficie posteriore dello sterno, con
il m. trasverso del torace e con i vasi toracici e mammari interni, sul davanti;
lateralmente si accolla ai m. inter- e sottocostali; posteriormente entra in comunicazione
con il versante laterale della colonna vertebrale. Riveste inoltre, prima di pervenire a
questo rapporto, le vv. azygos ed emiazygos, il tronco toracico dell’ortosimpatico e i
vasi e i nervi intercostali.

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Pleura Diaframmatica : sottile, aderisce saldamente alle porzioni laterali del diaframma
sulla sua superficie superiore. Confina medialmente col mediastino e in questa zona
presenta, lungo la base del pericardio, propaggini lobate e villose ricche di tessuto
adiposo, dette pieghe adipose. Lateralmente scende nell’interstizio tra parete toracica e
diaframma per continuarsi poi superiormente nella pleura costale; in questo punto si
viene a forma una cavità virtuale che non contiene nessuna porzione del polmone ma
che può servire come spazio disponibile per una eventuale sovra estensione di questo,
chiamata seno pleurale costo-diaframmatico, ovvero un recesso capillare rivestito dalla
pleura diaframmatica e da quella costale, accollate l’una sull’altra. Il seno pleurale non
arriva a toccare il fondo dell’interstizio distando da questo ca. 1-2 cm, riempiti per lo più
da tessuto connettivo lasso. È posto a livello del margine inferiore della VI costa sul
davanti e arriva a lambire posteriormente il margine superiore del collo della XII costa.
La pleura diaframmatica è collegata direttamente con il diaframma attraverso fasci
fibrosi della porzione frenico-pleurica della fascia endotoracica.
Pleura Mediastinica : riveste lo spazio compreso tra le due cavità pleuropolmonari. È
continua sia anteriormente che posteriormente con la pleura costale, inferiormente con la
pleura diaframmatica e superiormente con la cupola pleurica. Superiormente al
peduncolo polmonare la pleura mediastinica è un foglietto continuo tra colonna
vertebrale e sterno. A livello dell’ilo riveste le strutture del peduncolo e si riflette in
continuità con la pleura viscerale. Inferiormente all’ilo non si unisce nuovamente a
formare un foglio continuo ma procede lateroanteriormente all’esofago, e a sinistra
anche all’aorta, con la sua porzione posteriore, per formare il ligamento polmonare.
Una tasca pleurica, di dimensioni minori rispetto al seno costo-diaframmatico, si trova
anteriormente tra la parete toracica e la cavità mediastinica, superiormente alla base del
cuore, ed è formata dalla continuità che si crea tra pleura costale e mediastinica. Questa
tasca, più larga a sinistra, costituisce il recesso pleurico detto seno costo-mediastinico,
che, a causa dell’impronta cardiaca, a sinistra, non risulta essere occupato dal polmone
durante atti respiratori tranquilli ed è per questo più profondo.
Cupola Pleurica : è la porzione cupoliforme del sacco pleurico che riveste l’apice del
polmone. Corrisponde all’area circoscritta dal margine superiore della prima costa ed è
sostanzialmente una continuazione della porzione costale e mediastinica della pleura. La
sommità della cupola pleurica è posta a ca. 2-3 cm sopra il margine superiore del 1/3
medio della clavicola. La cupola pleurica o pleura cervicale è rafforzata da un apparato
sospensore anche detto fascia di Sibson, che si attacca alla superficie interna della I costa
e al processo trasverso di C7. La fascia di Sibson è costituita da fasci fibrosi che
connettono la pleura alla membrana sovrapleurica, una robusta porzione della fascia
endotoracica, e alla lamina prevertebrale della fascia cervicale. Possono essere presenti
dei veri e propri ligamenti costopleurici e vertebropleurici, attraverso cui decorrono l’aa.
e le vv. intercostali supreme e il tronco del simpatico.

LIGAMENTO POLMONARE
È formato dalle pieghe di riflessione anteriore e posteriore che, caudalmente all’ilo
polmonare, si avvicinano moltissimo delimitando una sottile area, anterolateralmente
all’esofago e ancor di più, a sinistra, all’aorta.

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- Polmoni
I due polmoni, destro e sinistro, sono contenuti nella cavità toracica ed ognuno di essi ha sede in
uno spazio limitato lateralmente dalla gabbia toracica, medialmente dallo spazio mediastinico, in
alto dalla cupola pleurica e in basso dal diaframma. Il setto mediastinico impari divide le due
cavità pleuropolmonari; esso è formato dal cuore con i grossi vasi, la trachea, l’esofago, la v.
azygos, il dotto toracico e vari nervi con i loro plessi; dal mediastino si diparte lateralmente la
radice polmonare, costituita dai bronchi, i vasi e i nervi polmonari. Nella cavità compresa tra i
due foglietti pleurici, viscerale e parietale, la pressione è negativa e il polmone può così
accompagnare solidamente le espansioni e i restringimenti della parete toracica, grazie alla
pressione atmosferica contenuta nelle vie aeree che accoglie nel suo parenchima, ritmicamente
determinati dai movimenti dei mm. respiratori.

1. PROPRIETA’ GENERALI
Volume : premessa la variabilità individuale, in stato di media distensione, il diametro
verticale massimo è, posteriormente, ca. 25 cm; il diametro sagittale alla base è di ca. 16
cm; il diametro trasversale è, sempre alla base, a sinistra di ca. 10 cm e a destra di ca. 7
cm. Nel maschio il volume polmonare è più grande di ca. ¼. In media esso è di 1617
cm3, nel maschio, mentre, nella femmina, di 1290 cm3. Il volume del polmone destro è
di 1/10 più grande di quello sinistro.
A destra il volume è occupato quasi per metà dal lobo inferiore, a cui seguono per
volumetria il lobo superiore e poi il medio. Nel polmone sinistro prevale leggermente il
lobo inferiore.
Peso : in media nel maschio adulto il polmone destro a un peso di ca. 682g, mentre il
polmone sinistro di ca. 619g. Nella donna il peso del polmone sinistro è di ca. 541g
mentre per il polmone destro di ca. 482g.
Il tessuto di un polmone dopo inspirazione contiene aria e ha un peso specifico inferiore
rispetto a quello dell’acqua, e quindi vi galleggia. Questa nozione è di notevole
importanza in Medicina Legale e in Anatomia Patologica, tenendo presente che processi
morbosi appesantiscono il polmone sostituendo il suo tessuto con tessuti più compatti e
rendendo il suo peso specifico superiore a quello dell’acqua.
Capacità : in una espirazione profonda rimane nel polmone una quantità d’aria residuale
pari a ca. 2,4 l, mentre in una espirazione tranquilla rimangono nei polmoni ca. 3,2 l di
aria. Se consideriamo invece il volume di aria presente nei polmoni alla fine dell’atto
inspiratorio tranquillo possiamo stabilire approssimativamente un volume di ca. 3,4-3,7 l
d’aria.

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2. SUPERFICIE ESTERNA
Riproduce le strutture circostanti della parete toracica, del mediastino e del diaframma.
Ogni polmone possiede un apice, a forma di cupola che supera di alcuni centimetri
l’apertura toracica superiore. La base del polmone ovvero la sua faccia diaframmatica, è
concava e poggia sul diaframma. La superficie polmonare rivolta verso le coste invece è
convessa e viene definita faccia costale. La superficie rivolta medialmente viene definita
come faccia mediale o mediastinica, che a sua volta si divide per mezzo dell’ilo
polmonare, in una faccia mediastinica anteriore e in una faccia mediastinica vertebrale
posteriore. Entrambi i polmoni possiedono sulle rispettive facce mediastiniche una
impressione cardiaca, più profonda e presente a sinistra. Inoltre, lungo la faccia
mediastinica del polmone di destra si possono rilevare le impronte dovute all’a.
succlavia destra, alla v azygos e all’esofago. A sinistra si possono osservare le impronte
lasciate dall’arco aortico e dall’a. succlavia sinistra.

3. ILO POLMONARE
Si definisce peduncolo polmonare l’insieme di tutti i vasi e i bronchi che entrano ed
escono dal centro della faccia mediastinica del polmone e che costituiscono un
collegamento con il cuore e la trachea. Le strutture in entrata e in uscita dall’ilo
polmonare sono completamente rivestite da una piega di riflessione della pleura che si
estende in direzione caudale posteriormente all’impronta cardiaca. in questo modo le
pieghe si accollano l’una all’altra e formano il ligamento polmonare. L’ilo polmonare,
escluso dalla cavità pleurica, risulta essere connesso direttamente con la cavità
mediastinica attraverso tessuto connettivo lasso mediastinico.

4. MARGINI POLMONARI
Le superfici del polmone sono delimitate anteriormente e in basso da margini sottili e
netti. Anteriormente la faccia costale e quella mediastinica confluiscono l’una nell’altra
in corrispondenza del margine anteriore. Nel polmone sinistro tale margine mostra un
insenatura, l’incisura cardiaca, dovuta alla profonda ed estesa impronta cardiaca. Il
margine inferiore si trova tra la faccia costale e quella diaframmatica.

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5. LOBI POLMONARI ED INCISURE INTERLOBARI
Il polmone destro consta di tre lobi, superiore, medio e inferiore, mentre il polmone
sinistro di due, superiore e inferiore. La lobazione è attuata da incisure lobari, che si
approfondano nell’ilo, ove i lobi si connettono solo per mezzo di connettivo, di vasi e
della sierosa pleurica.
Le incisure del polmone destro si distinguono in principale e secondaria. La prima sale
dall’ilo obliqua in dietro e in alto e raggiunge posteriormente la faccia laterale del
polmone a ca. 7 cm dall’apice; qui, dopo un breve tragitto orizzontale, scende obliqua in
basso e in avanti, fino a raggiungere il margine inferiore a livello della linea emiclaveare
di destra. L’incisura secondaria origina a livello del IV spazio intercostale, sotto il cavo
ascellare, dall’incisura principale e, procedendo orizzontale, taglia le facce anterolaterale
e mediastinica e fa capo all’ilo; il lobo medio risulta dunque essere compreso fra le due
incisure.
Ambedue i polmoni, visti da dietro, si mostrano costituiti per la più gran parte dal lobo
inferiore e solo in alto da una piccola porzione del lobo superiore; di lato il polmone
destro presenta i tre lobi con prevalenza del superiore, mentre il polmone sinistro mostra
entrambi suoi lobi con volume circa uguale.
È utile ricordare che l’estremità anteromediale del lobo superiore di entrambi i lobi
forma caudalmente, rivolta verso il mediastino e confinate con l’incisura secondaria o
orizzontale, una lingula.

6. TOPOGRAFIA TORACO-POLMONARE
In ambedue i polmoni il margine anteriore ha inizio al di dietro dell’articolazione
sternoclaveare; di qui i suoi margini scendono in dietro e obliquamente dietro il
manubrio dello sterno fino all’angolo sternale. Poi essi procedono verticalmente in basso
separati da un sottile interstizio, fino a livello della IV o V cartilagine costale, trovandosi
peraltro il margine destro a sinistra della linea mediana, mentre quello sinistro decorre
lungo il margine sternale dello stesso lato. Qui il margine destro si inclina e raggiunge
l’estremità sternale della VI e VII cartilagine costale, dove incontra il margine inferiore.
Il margine sinistro invece si incurva fortemente in fuori per formare l’incisura cardiaca,
la cui convessità corrisponde nel suo apice al IV spazio intercostale.
Il segmento laterale del margine inferiore a destra muove dall’estremità sternale della VI
o VII cartilagine costale, a sinistra dal margine superiore del terzo laterale della VI
cartilagine costale. In ambedue i polmoni esso si dirige in basso e lateralmente e poi in
dietro e orizzontalmente, incrociando via via coste sempre più basse. Così, lungo la linea
ascellare media si trova a livello della VII costa, a livello della linea scapolare incrocia
la IX costa e infine, raggiunta l’XI costa, l’accompagna fino alla colonna vertebrale.
Comunque il punto più basso del margine inferiore si trova tra la linea ascellare e la
linea scapolare.
È specialmente il margine inferiore a subire modificazioni durante la fase respiratoria
tranquilla, in armonia col fatto che sono le modificazioni spaziali in senso verticale della
cavità toracica ad influire maggiormente sull’aumento del volume polmonare. Infatti, il
margine inferiore trova posto nell’espandersi, nell’esteso seno pleurico costo-
diaframmatico, che però non è mai, anche in una inspirazione profonda, del tutto
riempito. Il massimo di espansione avviene lungo la linea ascellare anteriore è non va
mai oltre un’escursione di 3-4 cm, distando ancora 5,5-7 cm dal fondo del seno pleurale.

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7. VASI E NERVI DEL POLMONE
L’irrorazione ematica del tessuto polmonare viene assicurata dai rami bronchiali
provenienti dalla parte toracica dell’aorta, precisamente nella porzione prima dell’aorta
discendente, a livello della biforcazione della trachea. Di regola il polmone sinistro
riceve due rami arteriosi bronchiali, mentre il polmone destro uno solo. I rami bronchiali
decorrono nel tessuto connettivo peribronchiale seguendone il decorso attraverso l’ilo
polmonare in tutte le sue ramificazioni dell’albero bronchiale.
Il drenaggio venoso del tessuto polmonare è garantito dalle vv. bronchiali che
confluiscono nella v. azygos e in parte direttamente nelle vv. polmonari.
Nei polmoni il sistema dei vasi linfatici è suddiviso in due parti in rapporto allo scheletro
connettivale. Il sistema linfatico profondo o peribronchiale si estende in porzioni
intralobulari attraverso il tessuto connettivo peribronchiale e possiede stazioni linfatiche
nei punti di diramazione dei bronchi dette linfonodi broncopolmonari. Questi linfonodi
drenano a livello dei linfonodi tracheobronchiali inferiori e superiori, situati a livello
della biforcazione della trachea nei due bronchi. Il sistema linfatico superficiale inizia
con piccoli capillari linfatici situati nel tessuto connettivo lasso sottopleurico e nei setti
connettivali interlobulari e intersegmentali. Questi capillari confluiscono in dotti linfatici
che si dispongono attorno al decorso delle vv. polmonari, giungendo poi come vasi
efferenti a numerosi linfonodi tra cui i linfonodi paratracheali e, attraverso questi, ai
linfonodi paratracheali.
Il plesso polmonare è formato da rami del n. vago e dei primi 4 o 5 gangli toracici del
tronco del simpatico e si colloca presso i grossi bronchi. Esso segue con le sue
ramificazioni il decorso di questi, innervando l’albero bronchiale e la pleura viscerale.

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ADDOME
Introduzione - Anatomia Topografica e di Superficie
L’addome è la porzione inferiore del tronco e viene descritto come un cilindro fortemente appiattito in
senso anteroposteriore. È costituito da una parete muscolo-aponeurotica e da una cavità che contiene la
maggior parte dei visceri appartenenti agli apparati digerente, urinario e genitale. Esso è delimitato in
alto dal m. diaframma e dalla cavità toracica inferiore, anterolateroposteriormente dalla parete
addominale e in basso dal pavimento pelvico.

LIMITI ANATOMICI

I limiti anatomici della parete anteriore si continuano in corrispondenza della parete posteriore, creando
continuità tra la parete anterolaterale e quella posteriore.
Il limite craniale dell’addome corrisponde a quella che viene definita come linea toraco-addominale e
individua il limite anatomico superficiale tra torace e addome. In corrispondenza di questo limite vi è sul
piano profondo una corrispondenza con il limite craniale della cavità addominale rappresentato dal m.
diaframma. Quando si descrivono le linee anatomiche si parte sempre dal piano sagittale mediano; in
questo caso la struttura anatomica di riferimento da cui ha origine la linea toraco-addominale è
rappresentata dall’apofisi del processo xifoideo dello sterno, ovvero la porzione più caudale di
quest’osso piatto. Da qui la linea si porta inferolateralmente da ambo le parti, tangente al margine
inferiore dell’arcata costale. In questo modo la linea si porta dalla parete anteriore a quella laterale per
poi deviare medialmente al confine tra parete laterale e parete posteriore, per risalire in senso supero
mediale fino alla colonna vertebrale e in particolare fino al processo spinoso prominente di T12.
Il limite caudale dell’addome corrisponde alla linea addomino-pelvica; questa linea dovrebbe
corrispondere al limite anatomico tra regione addominale e regione pelvica, ma in realtà sappiamo che il
limite tra cavità addominale e cavità pelvica è solo un limite convenzionale, poiché esiste una continuità
tra questi due compartimenti presi singolarmente. Ripartendo dal piano sagittale mediano la prima
struttura anatomica che si individua è la sinfisi pubica, in particola il suo margine superiore; procedendo
superolateralmente su entrambi i lati si incontrano due strutture di riferimento piuttosto rilevanti come i
tubercoli pubici, da cui si risale attraverso la piega inguinale, una piega cutanea, verso la parete
anterolaterale in corrispondenza delle creste iliache. Continuando lateroposteriormente e seguendo il
decorso delle creste iliache si giunge, attraverso una linea convenzionale della parete posteriore, al
processo spinoso di L5, sul piano sagittale mediano.
Tutto ciò che si trova incluso tra queste due linee può essere considerato parte della parete addominale.
A differenza di quanto avviene nella parete toracica noi non abbiamo strutture ossee che delimitano la
cavità addominale; questa caratteristica fondamentale fa si che il compito di contenimento e protezione
sia affidato, nella costituzione della parete toracica, prevalentemente, alla componente muscolare.

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LA CAVITA’ ADDOMINALE

La maggior parte dei visceri contenuti nella cavità addominale entrano in rapporto diretto con la lamina
peritoneale; per questo motivo vanno distinti i visceri contenuti in essa da quelli che si pongono al di
fuori del suo rivestimento parietale. In una sezione frontale si può osservare un sottile spazio che si
interpone tra quelle che sono le strutture più interne della parete dell’addome e la cavità peritoneale
propriamente detta. Questo esiguo spazio viene definito come spazio pre-peritoneale, che si interpone
tra la cavità peritoneale propriamente detta e i piani più superficiali e contiene visceri che appartengono
alla cavità pelvica. Un altro spazio, molto più ampio dello spazio pre-peritoneale è lo spazio
extraperitoneale, che occupa la porzione più caudale della cavità addominale e va ad interporsi tra
cavità addominale propriamente detta e pavimento pelvico, ovvero quella struttura che chiude in basso i
visceri contenuti nella cavità pelvica.
Per convenzione quando si descrive una sezione sagittale si procede dal piano più superficiale a quello
più profondo; in questo caso, superato lo strato superficiale e la parete addominale, che comprende lo
strato cutaneo e sottocutaneo, la parete muscolare e le rispettive guaine di rivestimento, possiamo
osservare lo spazio pre-peritoneale, limitato posteriormente dalla lamina peritoneale, ma più
precisamente dalla lamina anteriore che guarda verso la parete addominale anteriore anche detta
peritoneo parietale anteriore; per contro, potremo osservare un peritoneo parietale posteriore, che
chiude posteriormente la cavità peritoneale. Tra quest’ultimo e la colonna vertebrale potremo osservare
uno spazio retroperitoneale, spostandoci su un piano più profondo e procedendo verso la parete
posteriore. È utile notare che vi è, osservando una sezione sagittale mediana, una particolarità nella
parete anteriore dell’addome. Si può apprezzare, infatti, una importante struttura anatomica di
riferimento che corrisponde alla cicatrice ombelicale o ombelico, e che consiste in un addossamento dei
piani superficiali rispetto a quelli più profondi dell’addome.
Infine, abbiamo lo spazio extraperitoneale che chiude in basso la cavità addomino-pelvica; quest’ultima
è divisa in cavità addominale e cavità pelvica da un piano obliquo trasversale convenzionale che passa,
sul davanti, per la sinfisi pubica e si porta superoposteriormente verso il promontorio del sacro, ovvero
il punto di passaggio tra tratto lombare e tratto sacro-coccigeo della colonna vertebrale.
I visceri della cavità addominale sono divisi convenzionalmente in due compartimenti, in base alla loro
posizione rispetto al mesocolon trasverso: compartimento sovramesocolico e compartimento
sottomesocolico; caudalmente a quest’ultimo si trova la cavità pelvica.

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LINEE E REGIONI DELL’ADDOME

- Linee di Repere Verticali


1. Parete Anteriore : ci sono linee tracciate sulla parete anteriore del torace che possono essere
riferite anche alla parete anteriore dell’addome. Vengono descritte in senso mediolaterale
per convenzione, intendendo come prima la linea corrispondente al piano sagittale mediano.
Tranne alcune eccezioni sono linee che decorrono tutte parallele tra loro.
La linea mediosternale, che corrisponde al piano sagittale mediano, divide lo sterno in due
metà simmetriche. Subito lateralmente a questa troviamo la linea che discende
longitudinalmente e parallela alla prima, tangente al margine laterale dello sterno, ovvero la
linea marginosternale. Lateralmente alle due linee marginosternali, su ambo i lati e a una
distanza di ca. 2 cm, troviamo le linee parasternali. Ancora più lateralmente abbiamo un
paio di linee definite come linee emiclaveari, il cui punto di origine si identifica con il punto
di mezzo della clavicola. Questa linea discende tangente al capezzolo in senso
craniocaudale. La linea mediosternale si continua a livello della parete addominale anteriore
con la linea xifopubica, che decorre dall’alto in basso dal processo xifoideo dello sterno fino
al margine inferiore della sinfisi pubica. Questa linea incrocia nel suo decorso l’ombelico e,
proprio in questo punto, si incrocerà perpendicolarmente con la linea orizzontale detta linea
ombelicale trasversa, costituendo un importante crocevia per la divisione in regioni della
parete addominale. Anche la linea emiclaveare discende, leggermente obliqua dall’alto in
basso in senso lateromediale, tangente al capezzolo e raggiunge la sinfisi pubica, costituendo
una importante linea di riferimento in campo clinico. Comunque anche la linea
mediosternale e la linea parasternale possono essere continuate in corrispondenza della
parete addominale, non costituendo però linee di repere particolarmente importanti in questa
porzione del tronco.
2. Parete Posteriore : anche in questo caso, in corrispondenza del piano sagittale mediano,
abbiamo la linea vertebrale, anche definita linea spondiloidea, ovvero una linea virtuale che
unisce tutti i processi spinosi della colonna vertebrale. Lateralmente a questa, a ca. 2-3 cm di
distanza, troviamo la linea paravertebrale e, ancora più lateralmente a questa, la linea
angolare della scapola, chiamata così perché risulta essere tangente all’angolo inferiore
della scapola; questa linea va distinta dalla linea orizzontale che unisce gli angoli inferiori
delle due scapole.
3. Parete Laterale : possiamo identifica in questa zona tre linee che si succedono dall’avanti
all’indietro a partire dalla prima, ovvero la linea ascellare anteriore, a cui succedono la
linea ascellare media e la linea ascellare posteriore. Queste tre linee originano i
corrispondenza della parete laterale del torace, ma si continuano poi sulla parete laterale
dell’addome. Prendono il nome di linee ascellari perché delimitano la regione ascellare,
ovvero la porzione superolaterale del torace che si continua nell’arto superiore.
Per quanto riguarda le loro origini e i punti di repere che ci consentono di tracciarle,
possiamo considerare per la linea ascellare anteriore, il margine lateroinferiore del m. grande
pettorale; per la linea ascellare media, invece, identifichiamo come origine l’apice del cavo
ascellare e, infine, per la linea ascellare posteriore, disegniamo il suo decorso tangente al
margine laterale del m. grande dorsale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 82


- Linee di Repere Orizzontali
1. Parete Anteriore : le linee orizzontali riferite alla parete anteriore dell’addome sono, in senso
craniocaudale la linea xifosternale, che risulta essere tangente all’articolazione che si
instaura tra processo xifoideo e corpo dello sterno, la linea transpilorica, che risulta essere
tangente al piloro su un piano profondo mentre, su un piano superficiale, ha come punto di
riferimento il corpo di L1; questa linea si pone, inoltre, esattamente a metà distanza tra
l’incisura giugulare dello sterno e la sinfisi pubica. Procedendo caudalmente troviamo, sotto
la linea transpilorica, la linea costale trasversa, tangente al margine inferiore dell’arcata
costale, e, più in basso, la linea ombelicale trasversa, tangente all’ombelico, su un piano
superficiale, e, su un piano più profondo, tangente al corpo di L3.
Se ci spostiamo nella porzione inferiore della parete addominale, ovvero quella posta sotto
la linea ombelicale trasversa, incontriamo una linea orizzontale passante per le spine iliache
superiori anteriori di entrambi i lati, detta linea bispinoiliaca. Più in basso rispetto a questa
troviamo la linea che passa dai tubercoli pubici e da L4, detta linea transtubercolare.
2. Parete Posteriore : parallela alla linea orizzontale tangente ad entrambi gli angoli inferiori
delle scapole, la linea biangoloscapolare, troviamo cranialmente la linea bispinoscapolare,
tangente alle due spine delle scapole. Queste due linee costituiscono sostanzialmente i limiti
anatomici della scapola e dividono in tre macroregioni la parete posteriore, ovvero le regioni
sovra spinata, infrascapolare e sottospinata.

- Regioni Superficiali dell’Addome


Il criterio più semplice utilizzato per suddividere la parete anteriore dell’addome in regioni
superficiali è quello che prevede la divisione di questo in 4 grosse aree o regioni. Due quadranti
superiori, uno destro e uno sinistro, e due quadranti inferiori, anch’essi uno a destra e uno a
sinistra. Le linee di riferimento che ci consentono di adottare questo sistema di divisione della
parete anteriore sono, rispettivamente, una linea verticale e una orizzontale, perpendicolari tra
loro, ovvero la linea xifopubica, longitudinalmente, e la linea ombelicale trasversa,
orizzontalmente.
In ogni caso il criterio di divisione della parete toracica in 4 quadranti è meno usato rispetto a
quello che divide la medesima parete in 9, più dettagliate, regioni della porzione inferiore del
tronco. Questa divisione, che crea 3 regioni superiori, 3 medie e 3 inferiori, viene praticato
facendo intersecare, come linee longitudinali, le due linee emiclaveari, che non scendono
parallele ma tendono a convergere verso i tubercoli pubici, con le due linee orizzontali, l’una più
craniale, la linea costale trasversa, e l’altra, più caudale, la linea bispinoiliaca.
Avremo così 9 regioni, di cui 2, le regioni ipocondriache di destra e di sinistra, appartengono in
superficie alla parete toracica ma, come cavità, sono comprese nella cavità addominale. In senso
craniocaudale avremo dunque, andando da destra a sinistra, come regioni superiori la regione
ipocondriaca destra, la regione epigastrica e la regione ipocondriaca di sinistra; come regioni
medie, ovvero comprese tra le due linee orizzontali, avremo la regione del fianco destro, la
regione mesogastrica e la regione del fianco sinistro; ed infine, come regioni inferiori, avremo
la fossa iliaca di destra, la regione dell’ipogastrio e la fossa iliaca di sinistra.

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- Divisione Topografica della Parete Addominale
Da un punto di vista topografico la parete addominale può essere suddivisa in due ampie regioni
superficiali: la regione anterolaterale, interessa e comprende la parete anteriore e quella laterale
e può essere a sua volta suddivisa in una regione sterno-costo-pubica e in una regione costo-
iliaca, e la regione lombare, localizzata posteriormente.
1. REGIONE STERNO-COSTO-PUBICA
Ha come limiti anatomici, in alto, una linea che coinvolge il processo xifoideo e il margine
inferiore dell’arcata costale dove incrocia i mm. retti dell’addome, in basso, una linea che
unisce i due tubercoli pubici passando sul margine superiore della sinfisi pubica, ed è
delimitata sui lati dai margini laterali dei mm. retti dell’addome che si incrociano in alto con
l’arcata costale e in basso con la sinfisi pubica.
Questa regione ha dunque una forma grossolanamente rettangolare e include, nella sua area
di estensione, un’altra piccola regione, la regione ombelicale. Questa è la regione che
circonda l’ombelico ed ha una forma sostanzialmente quadrangolare. Ha come limiti
anatomici lateralmente i due margini mediali dei mm. retti dell’addome e, in alto e in basso,
due linee orizzontali che incrociano i limiti longitudinali, e che passano 2 cm sopra
l’ombelico e 2 cm sotto di esso.
La fossetta ombelicale è una regione depressa rispetto ai piani superficiali circostanti; questa
fossetta è delimitata da un rilievo che prende il nome di cercine o orletto ombelicale;
all’interno della fossetta, poi, dalla parte più centrale di essa, emerge il capezzolo
ombelicale. Tra il cercine e il capezzolo ombelicale si trova il solco ombelicale.
Questa regione assume notevole importanza da un punto di vista clinico perché rappresenta
un punto di minore resistenza della parete addominale circostante. In questa regione infatti
abbiamo sostanzialmente solo uno strato cutaneo in comunicazione con la cavità
addominale, data la mancanza sia della linea alba che delle aponeurosi dei muscoli
addominali, oltre che del tessuto sottocutaneo e del pannicolo adiposo. Cranialmente e
caudalmente all’ombelico, nello spazio pre-peritoneale della cavità addominale, troviamo
delle strutture che non appartengono alla regione ombelicale ma che possono essere
considerate in stretta connessione con la cicatrice ombelicale; esse sono il ligamento rotondo
del fegato e il ligamento vescicale mediano.
Un’altra struttura fondamentale della regione sterno-costo-pubica è la linea alba.
Essa si interrompe al di sotto e al di sopra della cicatrice ombelicale e per questo motivo
circonda l’ombelico. Decorre in direzione craniocaudale dall’apofisi ensiforme del processo
xifoideo dello sterno fino a raggiungere, in basso, il margine superiore della sinfisi pubica.
La linea alba si viene a costituire grazie all’intrecciarsi delle aponeurosi dei muscoli obliqui
e trasverso dell’addome, lungo il piano sagittale mediano. L’estensione in senso trasversale
della linea alba è diversa, nel senso che man mano che procediamo in senso craniocaudale,
la sua estensione trasversale subisce un progressivo aumento. Così ci spostiamo da una
estensione trasversale di ca. 0,5 cm fino ad una estensione, sopra l’ombelico, di quasi 2,2
cm. L’estensione trasversale poi, dal margine inferiore dell’ombelico fino alla sinfisi pubica,
torna a ridursi progressivamente.

2. REGIONE COSTO-ILIACA
I limiti anatomici di questa regione sono, in alto, il margine inferiore dell’arcata costale, a
partire dal punto in cui si interrompe il limite craniale della regione sterno-costo-pubica; in
basso, corrisponde alla linea bispinoiliaca, escludendo la porzione corrispondente della
regione sterno-costo-pubica; il limite anteromediale di questa regione corrisponde ai margini
laterali dei mm. retti dell’addome, fino a quando questi non si intersecano con l’arcata
costale in alto e con la linea bispinoiliaca in basso; posteromedialmente i limiti anatomici
sono rappresentati dai margini laterali dei mm. delle docce vertebrali, ovvero al decorso
della linea paravertebrale, fino a quando questa non incrocia la XII costa nel suo margine
inferiore, e la linea che unisce le spine iliache posteriori superiori. All’interno di questa
regione sono compresi i due triangoli inguino-addominali.
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Parte I - Pareti dell’Addome
PARETE ADDOMINALE ANTEROLATERALE

Da un piano superficiale ad uno più profondo si possono individuare dapprima il tessuto cutaneo e il
tessuto sottocutaneo; in seguito troviamo uno spesso strato, a seconda della conformazione fisica
dell’individuo, di tessuto adiposo, detto pannicolo adiposo. Al di sotto di questo strato di adipe
troviamo lo strato muscolare vero e proprio della parete, dove ciascun muscolo è rivestito da una fascia
connettivale. Infine, tra lo strato muscolare e il peritoneo parietale abbiamo un altro strato di tessuto
adiposo, avente in genere sempre lo stesso spessore, chiamato grasso endoaddominale o
extraperitoneale.

- Fasce della Parete Addominale


In corrispondenza della porzione inferiore della parete addominale, della regione inguinale e di
quella pubica troviamo la tela sottocutanea dell’addome formata dal pannicolo adiposo
dell’addome e dalla fascia di Scarpa, o strato membranoso dell’addome, ovvero una
impalcatura connettivale e membranosa disposta tra il tessuto adiposo con trabecole connettivali
membranose, che si continuano verso il pene o il clitoride per formarvi il legamento fundiforme.
Al di sotto dello strato membranoso troviamo i vasi e i nervi sottocutanei e la fascia addominale
superficiale propriamente detta. Quest’ultima appare assai sottile, tranne che in corrispondenza
della linea alba, e riveste la muscolatura dell’addome e le aponeurosi di questa. La parte
mediana della fascia assume notevole importanza perché va a formare in basso il ligamento
sospensorio del pene o del clitoride, circondandone i corpi cavernosi.
In profondità rispetto alla muscolatura della parete addominale troviamo la fascia trasversale
dell’addome, interna e sottile, che ricopre i muscoli dall’interno. Questa fascia è raggiunta da
uno strato di tessuto connettivo lasso con cellule adipose che si porta i alto dalla cupola
vescicale; in tale strato decorrono i ligamenti ombelicali mediano e mediali, e viene perciò
denominato come setto fibroso vescico-ombelicale.

- Fascia Toraco-Lombare
Questa fascia è rappresentata da un esteso foglio connettivale che si divide in una lamina
anteriore e in una posteriore e va a rivestire e a contenere i mm. profondi del dorso. Nella sua
porzione toracica è sottile e trasparente mentre, scendendo verso la porzione lombare, si fa più
spessa e robusta. Quest’ultima porzione, che discende dalla XII costa fino alla cresta iliaca si
attacca lateralmente ai mm. obliquo interno e trasverso dell’addome.

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- Canale Inguinale
Il canale inguinale è una struttura pari ed formato dallo strato muscolare e da quello fasciale
dell’addome; attraversa obliquamente la parete addominale ed è attraversato nel maschio dal
funicolo spermatico e nella femmina dal legamento rotondo dell’utero. È posto lungo la metà
mediale del ligamento inguinale ed è diretto dall’indietro al davanti in senso supero inferiore e
lateromediale; è costituito da un ingresso profondo e da un’uscita superficiale, definiti
rispettivamente come anello inguinale profondo e anello inguinale superficiale.
Nell’uomo adulto ha una lunghezza di ca. 4-5 cm, nella donna ca. 0,5 cm in più.
L’anello inguinale superficiale è lungo ca. 2,5 cm e largo ca. 1 cm, meno nella donna, ed è
posto sul pube a ca. 2,5 cm di distanza dalla linea alba. Esso deriva dalla scissione dei fascetti
intermedi dell’aponeurosi del m. obliquo esterno in due gruppi, un pilastro mediale che si
inserisce sulla sinfisi pubica e si unisce ai fasci del pilastro mediale controlaterale, e un pilastro
laterale, che si inserisce sul tubercolo pubico. Inoltre, questi due pilastri sono collegati
attraverso le fibre arciformi o intercrurali, tese in alto tra i due pilastri, che portano la primitiva
fessura ad avere una forma tipicamente ellittica o ovale, costituendone la volta; dal contorno
dell’anello si diparte un esile lamina connettivale detta fascia del Cooper, che accompagna il
funicolo spermatico. Inoltre, vi è anche un pilastro posteriore o profondo che costituisce il
ligamento riflesso, anch’esso originato dall’aponeurosi del m. obliquo esterno e inserito sul
pube, che costituisce la parete posteriore dell’anello inguinale superficiale e che chiude
parzialmente sul piano profondo quest’apertura, accogliendo sulla sua superficie il decorso del
funicolo spermatico. L’anello inguinale profondo si trova ca. 1,2-1,5 cm sopra la porzione
media del ligamento inguinale, a 7 cm di distanza dalla linea alba. È una fessura verticale alta 1-
1,5 cm. La parete inferiore del canale è data dalla faccia superiore del ligamento inguinale,
avente forma di una doccia concava verso l’alto, sulla quale si adagiano il ligamento rotondo o il
funicolo spermatico. Il ligamento inguinale si porta dalla spina iliaca anteriore superiore verso il
tubercolo pubico ed è lungo ca. 10-12 cm nell’uomo e 1 cm in più nella donna.
La parete anteriore del canale è costituita dall’aponeurosi tendinea del m. obliquo esterno e
dalle sue fibre arciformi. La parete superiore è data dal tendine congiunto, formato dalla fusione
dei margini tendinei inferiori dei muscoli obliquo interno e trasverso dell’addome. La parete
posteriore è formata dalla fascia trasversale e in parte dal tendine congiunto.

- Parete Addominale dall’Interno


Le due aperture del canale inguinale, l’anello inguinale profondo e l’anello inguinale
superficiale, sono punti deboli della parete addominale e da un punto di vista clinico possono far
insorgere ernie inguinali dirette oppure congenite. Osservando la parete addominale dall’interno
nella sua porzione inferiore si può osservare come il peritoneo parietale sia depresso in cinque
punti o fossette, proprio perché il suo velo si poggia sui residui delle aa. ombelicali e dell’uraco.
Più precisamente se si considera la porzione della parete interna di questa regione dell’addome
si può vedere come, ai lati dei ligamenti residui delle aa. ombelicali o ligamenti vescicali
laterali,si vengano a formare la fossetta inguinale laterale, corrispondente all’area dove è posto
l’anello inguinale profondo, e la fossetta inguinale mediale, compresa tra il ligamento vescicale
laterale e il ligamento interfoveale, ovvero una struttura di rinforzo della fascia trasversale.
Infine, tra il legamento vescicale e l’uraco si vengono a formare, su entrambi i lati di
quest’ultimo due fossette sopravescicali. È utile precisare che lungo il ligamento interfoveale
decorrono l’a. e la v. epigastrica inferiore, che sollevano il peritoneo formando la piega
ombelicale laterale.

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- Muscoli della Parete Addominale Anteriore
Per quanto riguarda i muscoli che avvolgono la cavità addominale possiamo parlare di strato
muscolare complementare. Infatti il m. obliquo esterno, il m. obliquo interno e il m. trasverso
dell’addome, si trovano raggruppati e in stretta connessione sia per quanto riguarda il loro
decorso, avente orientamento diverso ma comunque origine e inserzione complementari, sia per
quanto riguarda le azioni antagoniste tra loro. Il raggruppamento di questi tre muscoli è ottenuto
per la loro sovrapposizione indipendente l’uno sull’altro, isolati reciprocamente dalle rispettive
fasce connettivali.

1. MUSCOLO OBLIQUO ESTERNO


Origina dalla superficie esterna delle coste e in particolare di quelle che vanno dalla V alla
XII; è un muscolo pari e i suoi fasci si dirigono in senso posteroanteriore lateromedialmente
e superoinferiormente. Le sue origini si ingranano sia con le digitazioni del m. dentato
anteriore, sia con quelle del m. grande dorsale.
Trova inserzione in corrispondenza del piano sagittale mediano, lungo la linea alba.
L’inserzione si completa lungo la metà anteriore della cresta iliaca, in modo tale che tutta la
parete anterolaterale sia avvolta da questo muscolo.

2. MUSCOLO OBLIQUO INTERNO


L’origine del m. obliquo interno dell’addome si trova sulla linea intermedia della cresta
iliaca, sul foglietto profondo della fascia toraco-lombare e sulla spina iliaca anteriore
superiore. Alcune fibre possono avere origine anche dal legamento inguinale. Le fibre del
muscolo si orientano in maniera opposta a quelle del m. obliquo esterno; si dirigono
lateromedialmente e inferosuperiormente, ascendendo dall’indietro al davanti e, in base alla
loro inserzione, si possono distinguere tre porzioni distinte del m. obliquo interno
dell’addome. Una parte craniale, che si inserisce lungo i margini inferiori delle ultime tre
coste; una parte intermedia che si continua medialmente nell’aponeurosi, la quale si divide
in due foglietti per dare origine alla guaina dei mm. retti dell’addome; e, infine, una parte
caudale, le cui fibre si continuano nel m. cremastere, decorrendo sul funicolo spermatico,
oppure nella donna, entrano a far parte come componente muscolare del legamento rotondo
dell’utero. In ogni caso quest’ultima porzione è molto variabile.

3. MUSCOLO TRASVERSO DELL’ADDOME


Origina con 6 digitazioni dalla faccia interna delle ultime 6 cartilagini costali; queste
digitazioni si ingranano con la porzione costale del diaframma, e sono situate nelle
immediate vicinanze dell’origine del m. trasverso del torace. Possiede numerose origini
secondarie tra cui il foglietto profondo della fascia toraco-lombare, il labbro interno della
cresta iliaca, la spina iliaca anteriore superiore e a volte, anche il legamento inguinale.
Le sue fibre hanno un decorso trasversale e si inseriscono, attraverso la sua aponeurosi, sulla
linea alba, formando la porzione posteriore della guaina dei m. retti dell’addome.

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- Muscoli Retti dell’Addome
Sono muscoli pari, contigui e localizzati in posizione paramediana sulla parete anteriore
dell’addome. Hanno un decorso sostanzialmente longitudinale. Hanno origine in corrispondenza
del tubercolo pubico e della sinfisi pubica. I fasci hanno un decorso longitudinale e si portano
verso l’alto fino a trovare inserzione sul processo xifoideo dello sterno e sulle cartilagini costali
dalla V alla VII. Le funzioni di questo muscolo sono complementari a quelle degli altri tre
muscoli della parete anterolaterale dell’addome; infatti esso contribuisce a mantenere in situ i
visceri addominali e svolge azione di flessore del tronco. Può presentare un insignificante
muscolo accessorio detto m. piramidale, che non svolge particolari funzioni motorie per il
tronco. Di solito tre inserzioni tendinee percorrono trasversalmente il muscolo, trovandosi quella
inferiore a livello dell’ombelico. Le inserzioni, che sono saldate alla parete anteriore della
guaina del muscolo, non si approfondano fino ai piani posteriori dello stesso e, sia sulla faccia
dorsale dei muscoli, sia nell’intervallo tra le inserzioni, uno strato di tessuto connettivo lasso
separa il m. retto dalla sua guaina aponeurotica.

- Guaina dei Muscoli Retti dell’Addome


È una struttura anatomica che costituisce il punto di arrivo in corrispondenza della parete
addominale anteriore di tutti e quattro i muscoli fin’ora considerati, essendo costituita dalle
aponevrosi dei mm obliquo esterno, obliquo interno e trasverso dell’addome. Ha una struttura
diversa in relazione ad un piano di riferimento; questo piano può essere considerato come una
linea trasversale che si colloca in posizione intermedia rispetto ad una linea longitudinale
ombelico-pubica. Questo piano trasversale taglia dunque questa linea longitudinale in due metà
uguali e viene detto piano semicircolare del Douglas o della linea arcuata. La guaina dei mm.
retti dell’addome si organizza in maniera diversa a seconda che sia posta sopra o sotto questa
linea semicircolare del Douglas.
Al di sopra la guaina è costituita da due lamine aponevrotiche, una anteriore e una posteriore,
che si fondono sia lungo il piano sagittale mediano esaurendosi nella linea alba, e sia
lateralmente ai mm. retti dell’addome.
L’aponeurosi del m. obliquo esterno concorre a formare la lamina anteriore portandosi sul
davanti del m. retto dell’addome dello stesso lato ed incontrandosi con la stessa aponeurosi
controlaterale sulla linea alba. La linea alba deriva dalla confluenza aponevrotica di questi
muscoli lungo il piano sagittale mediano.
L’aponevrosi del m. obliquo interno si sdoppia in due lamine, di cui una si porta anteriormente
per concorrere alla formazione della lamina anteriore, mentre l’altra si porta posteriormente, per
concorrere alla formazione della lamina posteriore. L’aponevrosi del m. trasverso dell’addome,
infine, forma la parte più dorsale della lamina posteriore della guaina dei m. retti dell’addome al
di sopra della linea semicircolare del Douglas.
Al di sotto invece si può osservare come le tre aponevrosi si portano tutte anteriormente ai m.
retti, costituendo la lamina anteriore e facendo scomparire quella posteriore. Infatti, sia il m.
trasverso dell’addome si porta anteriormente, sia il m. obliquo interno non si sdoppia più in due
lamine ma si porta anch’egli sul davanti dei mm. retti, incontrandosi lungo il piano sagittale
mediano sulla linea alba. In questo modo non troviamo, in questa porzione più inferiore, al di
sotto del piano muscolare della parete dell’addome, una guaina di rivestimento posteriore per i
mm. retti dell’addome; questi risultano essere rivestiti posteriormente solo dalla fascia
trasversale, che in questo settore inferiore della parete si fa più spessa e robusta.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 89


PARETE POSTERIORE

- Vertebre Lombari
I corpi delle 5 vertebre lombari sono nettamente più grandi di quelli delle altre vertebre della
colonna. Il processo spinoso è piatto e diretto orizzontalmente indietro. La lamina dell’arco
vertebrale è breve e tozza; il peduncolo appare molto robusto, in relazione alla grandezza del
corpo. Procedendo dall’avanti all’indietro troviamo, dopo il peduncolo, su ambo i lati, i processi
costiformi, che si dipartono lateralmente come se fossero dei processi trasversi. Dietro di questi
troviamo un piccolo processo accessorio, che rappresenta, insieme al processo mammillare,
situato sul processo articolare superiore, il vero residuo del processo trasverso delle vertebre
lombari. A livello del confine tra peduncolo e lamina dell’arco vertebrale troviamo, come di
consueto, i processi articolari che si dipartono l’uno cranialmente e l’atro caudalmente. I
processi articolari superiori presentano le facce articolari orientate medialmente, i processi
articolari inferiori, invece, hanno le facce articolari rivolte lateralmente. Come in tutte le altre
vertebre anche in quelle lombari possiamo notare tra corpo vertebrale e processi articolari, delle
incisure vertebrali superiori e inferiori. Queste ultime, le incisure vertebrali inferiori, sono
molto più accentuate, e si estendono dalla faccia lateroposteriore del corpo fino al margine
anteriore del processo articolare inferiore, su entrambi i lati. I forami vertebrali risultano piccoli.
Una particolarità tra le vertebre lombari è che il corpo di L5 diminuisce in altezza procedendo in
senso anteroposteriore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 90


- Osso Sacro e Osso Coccigeo
L’osso sacro origina dalle 5 vertebre sacrali e dai rispettivi dischi intervertebrali. Nell’osso
sacro possiamo descrivere una faccia pelvica, concava ventralmente, e una faccia dorsale,
convessa posteriormente, oltre che una base, craniale, rivolta e articolata con L5, e un apice,
caudale, di piccola estensione, che si articola con l’osso coccigeo.
L’osso sacro nel maschio è più lungo e ha una curvatura maggiore. Nella donna il sacro è più
breve, più largo e meno curvo. Inoltre nel maschio la superficie auricolare è chiaramente più
marcata che nella donna.
Nella faccia pelvica la curvatura non è uniforme; è invece massima all’altezza della III vertebra
sacrale; qui il sacro può sembrare anche angolato. Sulla faccia pelvica, da ogni lato, si possono
distinguere 4 forami sacrali anteriori, per l’uscita dei rami ventrali dei nervi spinali. Essi
corrispondono alle aperture che nelle altre vertebre vengono formate dalle vertebre, dalle coste o
dai processi costi formi e dai ligamenti costotrasversari superiori. Tra i forami sacrali anteriori
destri e sinistri si trovano le creste trasverse, corrispondenti ai punti di sinostosi tra le vertebre e
i dischi intervertebrali. La porzione del sacro posta lateralmente ai forami sacrali è denominata
parte laterale.
Nella faccia dorsale il sacro si presenta convesso con una curvatura regolare. Si possono
osservare 5 creste longitudinali formate dalla fusione dei rispettivi processi vertebrali. Avremo
così una cresta sacrale mediana, formata dalla fusione dei processi spinosi; una cresta sacrale
intermedia, pari, posta lateralmente a quella mediana ma medialmente ai forami sacrali
posteriori, che si forma per la fusione dei processi articolari e che in alto si continua con il
processo articolare superiore, che serve per l’articolazione con L5; e una cresta sacrale
laterale, posta lateralmente ai forami sacrali posteriori, pari anch’essa, residuo della fusione dei
processi trasversi. La cresta sacrale mediana termina a livello della IV vertebra sacrale con uno
iato sacrale, che forma l’apertura inferiore del canale vertebrale. Lateralmente a questo si
trovano le due corna sacrali.
Osservando la base dell’osso sacro si può notare come essa formi il piano di contatto per il disco
intervertebrale che la unisce ad L5. L’articolazione lombo-sacrale, o promontorio, costituisce il
punto più anteriore di tutta la colonna vertebrale. Ai lati della base si possono notare le ali del
sacro, che rappresentano le superfici superiori delle porzioni laterali di quest’osso, formatesi
dalla fusione dei processi trasversi e degli abbozzi costali di queste vertebre. Posteriormente alla
base è situato l’ingresso del canale vertebrale sacrale e, lateralmente a questo, si osservano i
processi articolari superiori dell’osso sacro.
Lateralmente nel sacro si osserva la superficie auricolare per l’articolazione coxo-sacrale con
l’osso dell’anca. Dietro alla superficie auricolare riscontriamo una tuberosità sacrale che offre
inserzione a numerosi ligamenti coxo-sacrali.
Il rudimentale osso coccigeo o coccige è di norma formato da 4 o 5 minute vertebre che si
fondono in un unico piccolo osso. Sulla porzione superiore sono riscontrabili le corna coccigee,
vicino alla base che si articola con l’apice del sacro, che derivano dai processi articolari
superiori della prima vertebra coccigea e che appaiono come piccole e arrotondate sporgenze.
Le vertebre coccigee diminuiscono di volume in senso craniocaudale e solo nella prima vertebra
coccigea si possono osservare i rudimenti delle classiche strutture vertebrali, come i processi
trasversi e i processi articolari.

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- Muscoli della Parete Addominale Posteriore

1. MUSCOLO GRANDE PSOAS


Il m. grande psoas si divide in una porzione superficiale ed in una porzione profonda in base
alla sua origine sulle vertebre. Infatti, la porzione superficiale ha origine dalle superfici
laterali dei corpi di T12 e delle vertebre lombari che vanno da L1 a L4 e dai dischi
intervertebrali tra questi interposti, mentre, la porzione profonda ha origine dai processi
trasversi o costi formi di tutte e 5 le vertebre lombari.
Il m. grande psoas si unisce caudalmente con il m. iliaco per dare origine al m. ileopsoas, il
quale, circondato dalla fascia iliaca va a inserirsi sul piccolo trocantere del femore.
Tra i due strati del m. grande psoas decorre il plesso lombare, che fornisce l’innervazione al
m. ileopsoas insieme al n. femorale.
Il m. grande psoas agisce come flessore della coscia sul bacino; il suo movimento è
completato dal m. iliaco che si unisce con esso. Contribuisce in modo modesto anche ad
inclinare di lato il tronco.

2. MUSCOLO QUADRATO DEI LOMBI


Questo muscolo origina dal labbro interno della cresta iliaca e si inserisce sui processi costi
formi delle prime 3 o 4 vertebre lombari e, più laterosuperiormente, sulla prima parte del
corpo della XII costa.
Il m. quadrato dei lombi è innervato dal XII n. toracico e dai primi 3 o 4 n. lombari.
Favorisce l’azione di flessione laterale della colonna vertebrale e di estensione di questa.
Inoltre svolge l’importante compito, grazie alla sua inserzione, di tenere stabile durante gli
atti inspiratori la XII costa, che ricordiamo essere una costa fluttuante.

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Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 93
Parte II - La Grande Cavità Peritoneale
COMPARTIMENTO SOVRAMESOCOLICO

- Fegato
Il fegato è la ghiandola più grossa del corpo. Oltre che a numerose attività metaboliche e ad
immagazzinare glicogeno, il fegato secerne la bile. Ha una forma grossolanamente ovoidale e
una consistenza teso-elastica; in corrispondenza della faccia anterosuperiore presenta una
superficie liscia. Il fegato in condizioni normali ha un peso di ca. 1500g e un colorito rosso-
brunastro. Misura nel suo diametro trasversale ca. 26-28 cm, in quello anteroposteriore o
sagittale 16-17 cm e nel diametro longitudinale ca. 8 cm.

1. STRUTTRA DEL FEGATO


Nel fegato si riconoscono una faccia anterosuperiore e una faccia viscerale. La prima,
anteriore, superiore e in parte posteriore si presenta convessa ed è separata dalla seconda,
posteroinferiore, da un acuto margine inferiore.
La faccia anterosuperiore del fegato appare liscia e a forma di cupola, seguendo il profilo
della superficie inferiore del diaframma. Essa è separata dal legamento falciforme in un lobo
destro e in un lobo sinistro; il primo è la porzione più estesa e costituisce ca. i 5/6 della
superficie anterosuperiore del fegato, mentre, il secondo occupa 1/6 di questa. I due lobi
sono separati da un solco sagittale anterosuperiore a livello del quale prende inserzione il
ligamento falciforme; questo ligamento inoltre contribuisce a separare i recessi subfrenici,
posti tra fegato e diaframma, in un recesso subfrenico destro e in uno sinistro. I recessi
subfrenici corrispondono a spazi compresi tra il fegato e il diaframma. Un’importante
recesso peritoneale della superficie posteriore del fegato è la borsa epato-renale o recesso
epato-renale o borsa di Morison, che si viene a creare tra il peritoneo parietale che riveste la
faccia posteriore del rene destro e il peritoneo viscerale che ricopre la faccia viscerale del
fegato.
In corrispondenza del margine anteroinferiore del fegato si può apprezzare il fondo della
cistifellea che sporge da questo come punto cistico, importante punto di repere. La faccia
anteriore del fegato risulta essere liscia tranne che per le lievi impronte costali riportate su di
essa; inoltre, importanti sono i rapporti diretti che la superficie anterosuperiore del fegato
instaura con gli organi circostanti, ovvero, in alto, il diaframma, in avanti e lateralmente, con
le coste e le cartilagini costali. Importanti sono anche i rapporti indiretti di questa porzione
del fegato, ovvero quelli mediati dall’interposizione del diaframma, che sono, in alto e a
destra, con la base del polmone destro e, in alto e a sinistra, con la faccia diaframmatica del
cuore e con il polmone di sinistra.
La porzione del fegato diretta in alto è nota come parte superiore e, nella regione della v.
cava inferiore, risulta essere strettamente in contatto con il diaframma essendo priva di
rivestimento peritoneale. Quest’area, definita per questo area nuda, risulta essere rivestita
dai margini di riflessione del peritoneo parietale e di quello viscerale che formano le lamine
anteriori e posteriori del ligamento coronario, il quale si porta con le lamine anteriori
mediolateralmente, su entrambi i lati, dal ligamento falciforme fino ai ligamenti triangolari,
di destra e di sinistra, formati dall’unione delle lamine anteriori e posteriori del ligamento
coronario. Il ligamento triangolare di sinistra termina con una lamina robusta di tessuto
connettivo detta appendice fibrosa del fegato. In direzione anteromediale entrambi i foglietti
anteriori del legamento coronario si uniscono a formare il ligamento falciforme.
Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 94
La faccia viscerale del fegato risulta essere pianeggiante e irregolare. Si porta obliquamente
dall’indietro al davanti e dall’alto in basso e contrae stretti rapporti con gli organi adiacenti.
La superficie della faccia viscerale o posteroinferiore del fegato risulta essere sempre divisa
in lobo destro e lobo sinistro, ma tra questi si vanno a frapporre superoposteriormente il lobo
caudato e inferoanteriormente il lobo quadrato. Questi lobi si creano grazie alle strutture
epatiche che, formando solchi disposti ad H, li delimitano con precisione topografica. La
porzione trasversale dell’H è rappresentata dall’ilo epatico, ovvero la sede di ingresso della
v. porta, delle aa. epatiche e dei nervi epatici e di uscita dei dotti epatici e dei vasi linfatici. Il
solco sagittale sinistro dell’H è rappresentato dalla fossa del ligamento rotondo che ospita il
ligamento rotondo del fegato, residuo connettivale della v. ombelicale che si dirige
anteroinferiormente dal ligamento falciforme fino all’ombelico, e dal ligamento venoso,
residuo connettivale breve del dotto venoso. Il solco sagittale destro dell’H è rappresentato
dalla fossa cistica, una piccola porzione non rivestita da peritoneo in cui alloggia la colecisti,
e dal solco della v. cava inferiore, dove è accolto il decorso di questo grosso vaso. La linea
sagittale sinistra può essere considerata come una continuazione posteroinferiore del
ligamento falciforme e divide la faccia viscerale del fegato in lobo destro e lobo sinistro.
Invece, la linea sagittale destra divide il lobo destro propriamente detto dal lobo caudato,
posterosuperiormente, e dal lobo quadrato, anteroinferiormente.
La faccia viscerale del fegato è ricoperta da peritoneo tranne che nella porzione della fossa
cistica e in quella dell’ilo epatico. Questa offre a considerare varie impronte o impressioni
lasciate dagli organi che entrano in rapporto con l’estesa superficie epatica; abbiamo
dunque, a sinistra, una impronta esofagea nella porzione supero mediale del lobo sinistro, e
una impronta gastrica che si estende per tutto il lobo sinistro della faccia viscerale del
fegato. Per il lobo destro della faccia viscerale del fegato potremo considerare una impronta
colica, lasciata dalla flessura destra del colon a livello della porzione anteroinferiore della
faccia viscerale del lobo destro, una impronta duodenale, posteriore a quella colica, lasciata
dalla flessura superiore del duodeno medialmente ad un’altra impronta, ovvero l’impronta
renale e surrenale che il polo superiore del rene destro lascia sulla faccia viscerale.

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2. SEGMENTI FUNZIONALI E LOBULI EPATICI
Questo criterio di divisione viene utilizzato sia in clinica ma soprattutto in ambito
chirurgico, poiché permette di isolare porzioni indipendenti del fegato da un punto di vista
funzionale, ovvero segmenti raggiunti da rami della triade portale indipendenti. Ogni
segmento avrà dunque una propria a. epatica lobulare, accompagnata da un ramo segmentale
della v. porta e da un proprio dotto epatico indipendente. Il drenaggio venoso epatico verso
le vv. epatiche che confluiscono nella v. cava inferiore avviene e per via intersegmentale.
Osservando la faccia anterosuperiore del fegato e partendo dal lobo destro, vediamo come
questa includa il fegato destro, o lobo portale destro, e una porzione del fegato sinistro, o
lobo portale sinistro. Infatti se ci spostiamo da destra a sinistra vediamo come il fegato
destro possa essere diviso in una divisione laterale destra e in una divisione mediale destra.
La prima risulta essere divisa in un segmento laterale posteriore VII e in un segmento
anteriore laterale destro VI, mentre, la divisione mediale comprende un segmento mediale
posteriore VIII e un segmento mediale anteriore V. La divisione mediale sinistra, compresa
nel lobo destro ma appartenente al fegato sinistro o lobo portale sinistro, include il segmento
mediale IV, che comprende le aree mediale inferiore, ovvero il lobo quadrato, e mediale
superiore. Invece, la divisione laterale sinistra, che rappresenta il lobo sinistro del fegato,
include il segmento laterale II e il segmento anteriore laterale sinistro III.
Spostandoci sulla faccia viscerale ritroviamo sostanzialmente le stesse aree o segmenti,
organizzate però in un modo diverso, che offre a considerare, per il lobo destro, una
porzione posteriore fatta dai segmenti V, VI e VII e una mediale, fatta dal lobo quadrato,
ovvero l’area mediale inferiore, e dal segmento posteriore I, che include tutto il lobo
caudato. Spostandoci al lobo sinistro avremo una porzione laterale che include i segmenti II
e III.
La vecchia divisione segmentale del fegato divideva quest’ultimo 8 aree, 4 superiori e 4
inferiori, che da destra a sinistra erano rispettivamente le aree posteriori, anteriori, mediali
e laterali.

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3. VASCOLARIZZAZIONE
Il fegato riceve sangue principalmente da due fonti, ovvero dalla vena porta, per ca. il 70%,
e dall’a. epatica, per ca. il 30%. La v. porta, una vena corta e larga è formata dalla
confluenza, dietro l’istmo del pancreas, delle vv. mesenterica superiore e lienale o splenica.
Essa risale anteriormente alla v. cava inferiore e si divide all’estremità destra dell’ilo epatico
in un ramo destro e uno sinistro, che si ramificano ulteriormente all’interno del parenchima
epatico. L’arteria epatica è un ramo del tronco celiaco ed è divisa in a. epatica comune,
nella porzione che va dal tronco celiaco fino all’origine del suo ramo gastro-duodenale, e,
dopo di questo, diventa a. epatica propria, che si divide subito prima dell’ilo epatico in un
ramo destro e uno sinistro.
L’a. epatica porta sangue ben ossigenato dall’aorta mentre la v. porta convoglia sangue
scarsamente ossigenato ma ricco di nutrienti, proveniente dal tubo gastrointestinale escluso
il canale anale inferiore, dal pancreas e dalla milza.
Il drenaggio venoso vero e proprio del fegato avviene ad opera delle vv. epatiche
intersegmentali, che drenano il parenchima epatico e il sangue venoso, già filtrato dagli
epatociti, nella v. cava inferiore. La confluenza delle vv. epatiche nella v. cava inferiore
aiuta inoltre a mantenere il fegato in posizione.
Il fegato è uno dei principali organi produttori di linfa: da ¼ a metà della linfa che arriva nel
dotto toracico proviene dal parenchima epatico. I vasi linfatici del fegato sono rappresentati
principalmente da vasi linfatici superficiali, posti nella capsula di Glisson o capsula fibrosa
subperitoneale che riveste il fegato e forma la sua superficie esterna, e dai vasi linfatici
profondi, che accompagnano le ramificazioni della triade portale e delle vv. epatiche e
drenano il parenchima epatico. I vasi linfatici superficiali della porzione anteriore del fegato
e i vasi linfatici profondi drenano nei linfonodi epatici sparsi lungo i vasi epatici. I vasi
linfatici efferenti di questi drenano a livello dei linfonodi celiaci che scaricano a loro volta la
loro linfa direttamente all’interno della cisterna chili. I vasi linfatici superficiali della
porzione superoposteriore del fegato invece drenano verso l’area nuda del fegato dove
raggiungono i linfonodi frenici, o attraverso il decorso della v. cava inferiore, i linfonodi
mediastinici posteriori, oltrepassando il diaframma.

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- Vie Biliari Extraepatiche e Cistifellea

1. CISTIFELLEA
Uno dei compiti del fegato all’interno dell’apparato digerente è quello di produrre la bile,
ovvero una sostanza giallo-verdognola che al momento giusto viene riversata nel duodeno
attraverso le vie biliari. La bile è dunque prodotta nel fegato, ma viene conservata in un
sacchetto di piccole dimensioni che contrae intimi rapporti con quest’organo e prende il
nome di cistifellea o colecisti. Questa funge da deposito della bile ed è alloggiata nella fossa
cistica, lungo la faccia viscerale del fegato, a livello della metà anteriore del solco sagittale
destro.
La cistifellea si presenta con una tipica forma a sacchetto o piriforme, avente una lunghezza
di 8-10 cm, una larghezza di 3-4 cm e una capacità di ca. 50 ml.
Può essere suddivisa in 3 parti, ovvero, in senso craniocaudale, il collo, il corpo e il fondo. Il
collo poi si continua nel dotto cistico, che favorisce al contempo sia l’afflusso della bile
verso la cistifellea dal dotto epatico, sia il deflusso della bile dalla cistifellea verso il dotto
coledoco.
La bile prodotta nel parenchima epatico giunge attraverso la triade portale nel dotto epatico
di destra o di sinistra e questi, dopo essersi uniti, danno origine al dotto epatico comune che
incrocia dopo poco il dotto cistico.
Dalla confluenza tra dotto cistico e dotto epatico comune nasce il dotto coledoco che
convoglia la bile nella cavità duodenale. La colecisti lascia una impronta cistica sulla
porzione discendente del duodeno. Ricordiamo la possibilità della presenza di un ligamento
breve detto colecisto-colico diretto verso la flessura destra del colon.
Inoltre, in corrispondenza della transizione tra collo della cistifellea e dotto cistico troviamo
un tratto spiraliforme, molto irregolare. Questa valvola a spirale mantiene aperto il dotto
cistico in maniera tale da permettere alla bile di confluire nella cistifellea quando il dotto
coledoco è contratto e chiuso dallo sfintere epato-duodenale.

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2. VIE BILIARI EXTRAEPATICHE
Nella regione dell’ilo epatico, il dotto epatico destro e quello sinistro si uniscono a formare
il dotto epatico comune, che costituisce la prima porzione delle vie biliari extraepatiche. Si
tratta di un dotto di una lunghezza di 4-6 cm situato nel ligamento epato-duodenale, che
dopo essersi unito ad angolo acuto con il dotto cistico, forma il dotto coledoco o dotto
biliare comune.
Il coledoco è lungo ca. 7-10 cm ed è convenzionalmente diviso in 4 porzioni; la prima è la
porzione sovraduodenale, che decorre superiormente al duodeno, la seconda è il tratto
retroduodenale, che decorre posteriormente al duodeno, il terzo tratto è quello
retropancreatico, che decorre posteriormente al pancreas, e l’ultimo tratto è quello
intraduodenale, ovvero quella porzione che si apre all’interno del duodeno.
Prima di aprirsi all’interno del duodeno nel coledoco tende a confluire il dotto pancreatico
principale; infatti, il succo pancreatico lavorato e secreto dal pancreas si scioglie nella bile e
questi, dopo essersi mescolati, vengono riversati nel duodeno.
La componente muscolare del duodeno finisce per avvolgere al suo interno l’ultima
porzione del coledoco; nel suo insieme, dunque, i fasci muscolari del duodeno vanno a
formare una struttura anatomica muscolare che regola il flusso della bile e del succo
pancreatico. Infatti, la bile e il succo pancreatico passano nel duodeno in rapporto alle fasi
della digestione e questo dispositivo impedisce l’afflusso continuo di succo pancreatico e
biliare all’interno della cavità duodenale: avremo così uno sfintere del dotto biliare.
Questo meccanismo muscolare ha la capacità di chiudersi e di contrarsi impedendo
l’afflusso di bile; questo dispositivo va a formare, a livello della parete del duodeno,
l’ampolla duodenale, una sorta di rilievo che corrisponde alla regione in corrispondenza
della quale il dotto epato-pancreatico confluisce nel duodeno. Questa viene definita ampolla
duodenale maggiore, ma possono essere osservati anche meccanismi simili che svolgono
una funzione accessoria a quest’ultimi, come nel caso dell’ampolla duodenale minore. A
definire l’ampolla duodenale concorre un particolare arrangiamento della tonaca muscolare
del duodeno che si organizza a costituire lo sfintere epato-pancreatico. Bisogna dire che la
cavità del coledoco è maggiore rispetto a quella del dotto pancreatico principale; nel punto
in cui i due condotti si uniscono, risultano essere entrambi accolti nella muscolatura che da
vita allo sfintere epato-pancreatico. Spostandoci poi verso l’apertura duodenale potremo
osservare come i due dotti sono praticamente fusi l’uno con l’altro e condividono
completamente la componente muscolare dello sfintere.
Il condotto pancreatico accessorio prende origine dal condotto pancreatico principale e,
portandosi più cranialmente, si apre indipendentemente dal coledoco, all’interno della cavità
duodenale, sottoforma di ampolla duodenale minore.
La colecisti riceve sangue arterioso dall’a. cistica, un ramo con origine variabile dell’a.
epatica destra; l’a. cistica forma insieme al dotto cistico e al dotto epatico comune il
triangolo di Calot o triangolo cistico, ovvero la struttura dove si colloca l’origine dell’a.
cistica nella maggior parte degli individui. Le vv. cistiche che drenano i dotti biliari e il collo
della colecisti entrano nel fegato direttamente o drenano nel fegato attraverso la v. porta o si
uniscono alle vene che drenano i dotti epatici e il dotto biliare superiore. Le vv. cistiche che
drenano il fondo e il corpo della cistifellea passano direttamente nei sinusoidi epatici
attraverso la faccia viscerale del fegato.

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- Stomaco
Lo stomaco è un voluminoso organo cavo situato nell’addome superiore in sede intraperitoneale
sotto la cupola sinistra del diaframma. In termini di proiezione sulla parete addominale anteriore
lo stomaco occupa tutta la regione epigastrica e gran parte dell’ipocondrio sinistro.
Lo stomaco ha la tipica forma di un sacco allungato e offre a considerare una parte craniale, in
continuità con l’esofago, e una parte caudale, in continuità col duodeno. La prima corrisponde al
cardias, la seconda al piloro. Le facce anteriore e posteriore dello stomaco sono in continuità tra
loro a livello dei margini o curvature dello stomaco; il margine destro, o piccola curvatura dello
stomaco, misura ca. 15 cm; il margine sinistro, o grande curvatura dello stomaco, arriva a
misurare 40 cm.
Il fondo dello stomaco si proietta a livello di T10 sulla colonna vertebrale, mentre,
anteriormente, a livello della VI costa di sinistra. il piloro invece è proiettabile a livello di L1,
ovvero della linea transpilorica, sulla VIII cartilagine costale di destra; l’estremità inferiore della
grande curvatura in condizioni postprandiali può raggiungere una estensione maggiore,
arrivando anche a proiettarsi a livello del disco intervertebrale tra L2-L3.
Le dimensioni dello stomaco sono molto variabili; in condizioni di vacuità è lungo mediamente
18 cm e largo 7 cm; se invece consideriamo le misure dell’organo in condizioni postprandiali
esso è lungo 25 cm e largo 12 cm.

1. MORFOLOGIA
La porzione addominale dell’esofago si apre attraverso l’ostio cardiale, nella prima porzione
conica dello stomaco, il cardias, al quale segue il fondo dello stomaco, situato sotto la
cupola sinistra del diaframma. Il fondo dello stomaco rappresenta la porzione più alta della
cavità gastrica e in un individuo adulto in posizione eretta contiene quasi sempre aria.
In corrispondenza dell’ostio cardiale, il margine sinistro dell’esofago e la grande curvatura
dello stomaco formano un angolo acuto detto incisura cardiale; il margine destro
dell’esofago invece si continua longitudinalmente a livello della piccola curvatura fino al
punto in cui vira bruscamente a destra verso il duodeno, dando così origine all’incisura
angolare dello stomaco.
La maggior parte della cavità gastrica è costituita dal corpo dello stomaco che si continua in
basso con la porzione pilorica, quest’ultima divisa in un antro pilorico e in un canale
pilorico che, attraverso l’ostio pilorico circondato dallo sfintere pilorico, comunica con la
prima porzione del duodeno.
In corrispondenza dell’incisura angolare la grande curvatura presente quella caratteristica
che in anatomia radiografica viene detta ginocchio dello stomaco e differisce dall’incisura
angolare della piccola curvatura, detta gomito dello stomaco.
Il limite convenzionale tra fondo e corpo dello stomaco può essere considerato tracciando un
piano trasversale passante per il punto di passaggio tra margine destro dell’esofago e
piccola curvatura dello stomaco. Se consideriamo il limite anatomico convenzionale tra
corpo e porzione pilorica dello stomaco possiamo tracciare un piano sagittale passante per
l’incisura angolare e per il ginocchio dello stomaco.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 100


2. LIGAMENTI DELLO STOMACO
Sia la faccia anteriore che quella posteriore dello stomaco risultano essere rivestite da
peritoneo; le due lamine sierose si accollano a livello dei margini destro e sinistro dello
stomaco dando origine a importanti strutture come il ligamento epatogastrico, che
corrisponde alla porzione più estesa del piccolo omento, a livello della piccola curvatura, e il
ligamento gastrocolico, a livello della grande curvatura, che collega questo margine dello
stomaco alla faccia anteriore del colon trasverso e alla flessura destra del colon, dando
origine al foglietto anteriore del grande omento.
Un altro importante ligamento gastrico è il ligamento gastrosplenico, in cui trovano alloggio
importanti vasi, che si porta dal fondo dello stomaco verso l’ilo della milza, sulla sua faccia
viscerale. Il ligamento gastrosplenico è anch’egli una conseguenza dell’unione dei foglietti
peritoneali che rivestono la faccia anteriore e la faccia posteriore dello stomaco, che si
portano lateralmente e a sinistra a rivestire la milza.

3. PARETE MUSCOLARE DELLO STOMACO


La tonaca muscolare della parete gastrica è costituita da tre strati. Oltre allo strato
longitudinale e a quello circolare, che troviamo comunemente nelle pareti del canale
digerente, si può considerare un terzo strato più interno costituito da fibre oblique.
Lo strato longitudinale esterno comprende fibre muscolari particolarmente robuste ed è ben
sviluppato in corrispondenza della grande curvatura, dal cardias fino al piloro, e della
piccola curvatura, fino all’incisura angolare. Dopo l’incisura angolare hanno inizio altri fasci
muscolari longitudinali che si continuano attraverso la porzione pilorica fino al duodeno; per
questo motivo l’incisura angolare segna il confine tra due porzioni gastriche funzionalmente
diverse della parete dello stomaco, ovvero una porzione superiore, a cui compete la funzione
digerente, detta saccus digestorius, e una porzione inferiore, corrispondente al piloro, a cui
compete soprattutto la funzione di svuotamento della cavità gastrica, detta canalis
egestorius.
Lo strato circolare si trova in una porzione intermedia della parete ed è ben sviluppato e
inspessito soprattutto in corrispondenza del piloro, dove forma lo sfintere pilorico.
Infine, lo strato più interno è costituito da fibre muscolari oblique, presenti soprattutto a
livello del corpo dello stomaco, che si continuano poi nella muscolatura circolare a livello
del piloro.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 101


4. PROIEZIONI A LIVELLO DELLA PARETE ADDOMINALE ANTERIORE
Area semilunare di Traube - in alto questa semiluna risulta essere tangente al V spazio
intercostale di sinistra; questa poi è chiusa in basso da un piano obliquo che si porta dall’alto
in basso e mediolateralmente verso sinistra, tangente all’arcata costale, passante per il
processo xifoideo e per la X costa.
Triangolo di Labbè - corrisponde a quella porzione dello stomaco che entra in rapporto
diretto con la parete addominale anteriore, ovvero un rapporto non mediato da altre strutture.
Il limite destro di questo triangolo corrisponde al margine anteroinferiore del fegato, il limite
sinistro invece risulta essere in continuità con l’area semilunare di Traube perché è
rappresentato dal margine inferiore dell’arcata costale di sinistra. il triangolo è poi chiuso da
una base virtuale costituita da una linea orizzontale che unisce il margine inferiore
dell’arcata costale di sinistra con il margine inferiore dell’arcata costale di destra e che
corrisponde sul piano profondo alla parte più inferiore della grande curvatura dello stomaco.

5. RAPPORTI DELLO STOMACO


In avanti, lo stomaco risulta essere quasi completamente coperto dalla faccia viscerale del
fegato, in corrispondenza dell’impronta gastrica del lobo sinistro di questo, con eccezione
dell’area che corrisponde al triangolo di Labbè.
In avanti e in alto, invece, lo stomaco risulta essere in rapporto con la faccia diaframmatica
del polmone sinistro, con l’interposizione del diaframma; inoltre, lo stomaco risulta essere
in questa porzione, in rapporto anche con le coste dalla V all’VIII.
La faccia posteriore dello stomaco entra indirettamente in rapporto con numerose strutture
attraverso l’interposizione del recesso peritoneale che prende il nome di piccola cavità
peritoneale o borsa omentale. Andando in senso lateromediale da sinistra a destra questi
rapporti sono: rapporto con la flessura sinistra del colon e, posteriormente a questo, il
rapporto con la milza; più medialmente abbiamo poi il rapporto che lo stomaco instaura con
il rene e il surrene di sinistra; infine, consideriamo il rapporto importante che lo stomaco
instaura con il corpo e la coda del pancreas.

6. ASPETTI RADIOGRAFICI DELLO STOMACO


Esiste una certa variabilità nelle caratteristiche morfologiche dello stomaco, apprezzabile
attraverso gli strumenti radiografici e l’analisi delle bioimmagini. Potremo avere:
Stomaco ad Uncino - stomaco che risulta essere più allungato rispetto al normale e si
proietta sulla colonna vertebrale a livello di L1-L2. Dal quadro radiografico si osserva che il
fondo rimane invariato mentre, per quanto riguarda il corpo, le due curvature tendono ad
avvicinarsi notevolmente descrivendo due curve parallele con concavità opposte; si può
osservare molto bene il passaggio tra piloro e duodeno.
Stomaco Allungato - risulta essere ancora più allungato rispetto al precedente e può arrivare,
in termini di proiezione, a raggiungere L5; si colloca a sinistra della colonna vertebrale ed è
una condizione più riscontrata nelle donne.
Stomaco a Corno - lo stomaco tende ad avere una maggiore estensione in senso trasversale;
manca dell’incisura angolare e si porta sia a destra che a sinistra rispetto alla colonna
vertebrale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 102


7. VASCOLARIZZAZIONE
Vascolarizzazione Arteriosa - le arterie che vascolarizzano lo stomaco provengono tutte da
rami che originano a livello del tronco celiaco e si organizzano in archi vasali che irrorano
le pareti gastriche decorrendo lungo le curvature dello stomaco, all’interno dei ligamenti di
questo.
La piccola curvatura è irrorata da un arco vasale costituito dall’a. gastrica sinistra e dall’a.
gastrica destra; la prima origina direttamente dal tronco celiaco e, risalendo
retroperitonealmente, entra nella plica gastropancreatica per poi portarsi, inferiormente,
verso la porzione superiore della piccola curvatura dello stomaco, fornendo però prima rami
che risalgono per l’ultima porzione dell’esofago; l’a. gastrica di sinistra si anastomizza
lungo la piccola curvatura con l’a. gastrica destra, che origina dall’a. epatica propria, subito
dopo la sua origine, e che decorre all’interno del ligamento epatogastrico.
La grande curvatura è irrorata da un arco arterioso formato dall’anastomosi che si crea tra a.
gastroepiploica di destra con l’a. gastroepiploica di sinistra e che decorre all’interno del
ligamento gastrocolico. La prima origina dall’a. gastroduodenale, che origina a sua volta
dall’a. epatica comune a livello della sua biforcazione in a. epatica propria e, appunto, a.
gastroduodenale. L’a. gastroepiploica di sinistra origina invece dall’a. splenica e decorre
all’interno del ligamento gastrosplenico fino alla grande curvatura.
Sono presenti 4-5 rami arteriosi che irrorano il fondo dello stomaco, passando attraverso il
ligamento gastrosplenico, e originano dall’a. splenica a livello dell’ilo della milza; sono detti
aa. gastriche brevi.
Drenaggio Venoso - il drenaggio venoso dello stomaco decorre parallelo alla
vascolarizzazione arteriosa di quest’organo; le vv. gastriche di destra e di sinistra e le vv.
gastroepiploiche di destra e di sinistra, insieme alle vv. gastriche brevi per il fondo dello
stomaco, si riversano nella v. porta o direttamente, come la v. gastrica di sinistra, o
indirettamente attraverso la v. splenica e la v. mesenterica superiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 103


- Duodeno Superiore o Bulbo Duodenale
Il duodeno costituisce la prima porzione dell’intestino tenue, oltre che ad essere la porzione più
corta, più ampia e più fissa di questo. Ha una tipica forma a C che avvolge la testa del pancreas.
La maggior parte del duodeno è fissato dal peritoneo alla parete addominale posteriore e viene
considerato in gran parte un organo retroperitoneale. È diviso in 4 porzioni.
La I porzione è il duodeno superiore; esso rappresenta la prima parte dell’organo che inizia con
il piloro e decorre leggermente verso l’alto in senso anteroposteriore fino alla flessura duodenale
superiore dove si continua nella seconda porzione del duodeno o duodeno discendente. È una
porzione piuttosto corta, misura ca. 5 cm, e si pone anterolateralmente a destra di L1.
I primi 2 cm della porzione superiore del duodeno hanno un meso costituito dal ligamento epato-
duodenale. Questa porzione viene chiamata bulbo duodenale o più correttamente ampolla
duodenale, e si riconosce in un esame radiologico perché appare modestamente dilatata rispetto
alle altre porzioni. I restanti 3 cm distali della porzione superiore sono immobili e considerati,
come la maggior parte del duodeno, retroperitoneali.
La porzione superiore del duodeno instaura rapporti superiormente con il lobo quadrato del
fegato e con la cistifellea; inoltre, questa porzione risulta essere rivestita da due foglietti
peritoneali che superiormente formano il ligamento epato-duodenale e inferiormente si
accollano per formare un breve tratto continuo al ligamento gastrocolico.
Posteriormente alla porzione superiore del duodeno possiamo apprezzare il decorso del dotto
coledoco, che facente parte della triade portale decorre all’interno del legamento epato-
duodenale e posteriormente al duodeno, insieme all’a. gastroduodenale e alla v. porta.
Inferiormente entra in rapporto con l’istmo del pancreas.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 104


- Milza
La milza è un organo linfo-reticolare impari che, contrariamente ai linfonodi, risulta essere
inserito nel sistema vascolare sistemico. Ha una funzione emocateretica poiché provvede alla
distruzione degli elementi corpuscolati del sangue, al termine del loro ciclo fisiologico di vita;
inoltre svolge anche la funzione di accogliere la maturazione nelle aree B e T dipendenti, dei
linfociti B e T. Durante il corso della vita embrionale, ha anche una importante funzione
emopoietica. Nonostante tutto ciò, la milza non è un organo vitale propriamente detto, nel senso
che è possibile sopravvivere anche senza di essa.
La milza si presenta con un colore rosso-bluastro e ha la forma di un grosso chicco di caffè o di
un ovoide schiacciato lungo le sue facce. L’organo è lungo 10-12 cm, largo 6-8 e spesso 3-4 cm.
Pesa all’incirca 150-200g.

1. POSIZIONE E MORFOLOGIA
La milza si proietta a livello della parete addominale anteriore a livello dell’ipocondrio
di sinistra e la regione della cavità addominale dove essa viene alloggiata prende il nome
di loggia splenica o lienale. Il suo asse maggiore corrisponde a quello della X costa e si
può dire, dunque, che è obliquo dall’alto in basso sia posteroanteriormente che
mediolateralmente.
La superficie convessa della milza o faccia diaframmatica risulta essere rivolta
superolateralmente, mentre, la superficie concava o faccia viscerale, e diretta
inferomedialmente. Il margine superiore della milza è esile e provvisto di piccole
incisure irregolari e si rivolge in alto e in avanti. Il margine inferiore e più largo e ottuso
e si rivolge in dietro e in basso. L’estremità posteriore o polo posterosuperiore della
milza giunge fino a 2 cm dal processo trasverso di T10; il polo anteroinferiore o
estremità anteriore della milza invece si può palpare e arriva fino alla linea ascellare
media a livello dell’arcata costale di sinistra.

2. FACCE DELLA MILZA


La milza offre a considerare una faccia diaframmatica e una viscerale. La prima è liscia
ed entra in contatto con il diaframma, che media il rapporto dell’organo con strutture
quali pleura e polmone sinistro. Inoltre, la faccia diaframmatica risulta essere in rapporto
con le coste, tra cui la milza si estende, dalla IX alla XI.
La faccia viscerale, invece, si presenta un po’ più complessa e offre a considerare delle
impronte lasciate dagli organi con cui la milza entra in contatto che permettono di
distinguere delle aree; queste sono l’area gastrica, che corrisponde al rapporto con il
fondo dello stomaco, l’area colica, che corrisponde al rapporto con la flessura sinistra
del colon, e l’area renale, che corrisponde al rapporto che la milza instaura con il polo
superiore del rene di sinistra e con il surrene annesso.
Inoltre lungo la faccia viscerale riscontriamo la presenza dell’ilo della milza, ovvero di
quella struttura attraverso cui importanti vasi e nervi entrano ed escono dall’organo. In
corrispondenza dell’ilo splenico troviamo, lungo la faccia viscerale della milza, il solco
ilare, descritto dai margini di riflessione peritoneale dei vari ligamenti splenici, che
suddivide la faccia viscerale in una porzione anterosuperiore e in una porzione
posteroinferiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 105


3. MEZZI DI FISSITA’ DELLA MILZA
Il pavimento della loggia splenica è formato dal ligamento frenico-colico che si estende
dalla flessura colica di sinistra alla parete laterale dell’addome ed è il principale mezzo
di fissità della milza; è l’unico legamento presente lungo la faccia diaframmatica
dell’organo. Altri mezzi di fissità che mantengono la milza in situ sono il ligamento
gastrosplenico, che si porta dall’ilo della milza alla grande curvatura dello stomaco a
livello del fondo e che contiene i vasi gastrici brevi e l’a. gastroepiploica di sinistra, e il
ligamento pancreatico-lienale che si porta dalla coda del pancreas all’ilo della milza.

4. VASCOLARIZZAZIONE
L’a. splenica rappresenta il ramo principale del tronco celiaco e decorre lungo il margine
superiore del pancreas, raggiungendo l’ilo splenico attraverso il ligamento pancreatico-
lienale; le prime diramazioni si trovano ancora incluse in tale ligamento e, in tal modo,
l’a. splenica penetra attraverso 5-6 rami nell’ilo splenico.
La v. splenica rappresenta una delle due grandi radici della v. porta e origina a livello
dell’ilo renale per confluenza di diverse vene. Decorre insieme all’a. omonima
posterosuperiormente al pancreas.
I vasi linfatici passano dai linfonodi splenici, situati in corrispondenza dell’ilo della
milza, per raggiungere i linfonodi pancreatici superiori, alloggiati lungo il decorso dei
grossi vasi splenici, e i linfonodi celiaci, localizzabili a livello del tronco celiaco.

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COLON TRASVERSO - MESOCOLON TRASVERSO

- Generalità dell’Intestino Crasso


L’intestino crasso risulta essere più corto rispetto al tenue e si presenta con un organizzazione
ben definita. Occupa il compartimento sottomesocolico e tende a delimitare la porzione coperta
dal grande omento. Rispetto all’intestino tenue, l’intestino crasso presenta tre tenie, ovvero delle
bande longitudinali che attraversano tutto il crasso lungo il suo asse maggiore, costituite da
muscolatura liscia. Fanno eccezione l’intestino retto e l’appendice, a livello dei quali le tenie
mancano. Queste hanno però una lunghezza inferiore rispetto a quella dell’intestino crasso; per
questo motivo la parete si raggrinzisce presentando delle gibbosità o haustra coli, ovvero dei
rilievi causati dalla minor lunghezza delle tenie rispetto alla parete colica. Un’altra importante
differenza tra tenue e crasso è che il diametro del lume di quest’ultimo appare maggiore e più
ampio. L’intestino crasso è diviso nelle seguenti porzioni:
1. L’intestino cieco è una porzione a fondo cieco; segue all’ileo da cui è separato per mezzo
della valvola ileo-ciecale. È posizionato a livello della fossa iliaca di destra.
2. Il colon ascendente che decorre in corrispondenza della parete laterale della parete
addominale. Ha un altezza di ca. 15-16 cm e risale dalla fossa iliaca di destra fino
all’ipocondrio di destra. a livello dell’ipocondrio di destra il colon ascendente si continua,
attraverso la flessura destra del colon, nel colon trasverso.
3. Il colon trasverso attraversa tutta la cavità addominale. Tende a portarsi dal basso verso
l’alto, andando da destra a sinistra; per questo motivo la flessura destra del colon è
posizionata più in basso rispetto alla flessura sinistra. Esso è lungo ca. 50-60 cm.
4. Il colon discendente ha un decorso simmetrico rispetto a quello del colon ascendente,
trovandosi però a livello della parete laterale sinistra. E’ lungo ca. 15-20 cm e si porta
dall’ipocondrio di sinistra fino alla fossa iliaca di sinistra, risultando un po’ più lungo
rispetto al colon ascendente.
5. Il colon sigmoideo si presenta con la forma di una S, da cui deriva il nome. È anche definito
come colon ileo-pelvico, dato che origina e decorre nel tratto pelvico della cavità
addominale. Dalla fossa iliaca di sinistra si porta verso il piano sagittale mediano per
raggiungere la cavità pelvica. È lungo all’incirca 40 cm.
6. L’intestino retto ha come punto di repere sulla colonna vertebrale, per individuare la sua
posizione, la vertebra S3. L’intestino retto raggiunge il perineo e si apre all’esterno
attraverso l’orifizio anale, in corrispondenza del triangolo posteriore della regione perineale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 107


- Colon Trasverso
Attraversa tutta la cavità addominale in senso trasversale, andando dalla flessura colica di destra
fino a quella di sinistra, descrivendo una curva avente una concavità rivolta
posterosuperiormente. La porzione centrale del colon trasverso è quella più prossima alla parete
addominale, mentre le regioni laterali si approfondano nei due ipocondri.
In avanti il colon trasverso contrae rapporti con la parete addominale anteriore dalla quale è
separato per mezzo del grande omento. In alto, poi, è in rapporto con la grande curvatura dello
stomaco, attraverso il ligamento gastrocolico. Infine, indietro, da inserzione al mesocolon
trasverso che ancora questa porzione del colon alla parete addominale posteriore.
La flessura destra del colon va a collocarsi in corrispondenza dell’ipocondrio di destra. Entra in
rapporto con la faccia viscerale del fegato, anteriormente e, posteriormente, con il 1/3 inferiore
del rene destro, dal quale è separata per mezzo della capsula adiposa e della fascia renale.
Il peritoneo permette alla flessura colica di destra di rimanere addossata alla parete posteriore
dell’addome e, inoltre, il ligamento colecistico-colico e freno-colico di destra contribuiscono a
tenere in situ questa porzione del colon.
La flessura sinistra del colon risulta essere localizzata nell’ipocondrio di sinistra ed è collocata
più cranialmente rispetto alla flessura colica di destra. Entra in rapporto con l’area colica della
faccia viscerale della milza, e, indietro, con il 1/3 medio del rene di sinistra. il principale mezzo
di fissità è il ligamento freno-colico, che fissa la flessura al diaframma e mantiene in situ questa
porzione del colon.
Il rifornimento arterioso del colon trasverso è garantito dall’a. colica media, principalmente, ma
anche dalle aa. coliche destra e sinistra che si anastomizzano con l’a. colica media. Questa è un
ramo dell’a. mesenterica superiore e, insieme alle altre aa. coliche, forma arcate arteriose che si
portano lungo le facce del colon trasverso, come anche delle altre porzioni del colon.
Il drenaggio venoso avviene grazie alla v. colica media e di destra, che confluiscono entrambe
nella v. mesenterica superiore.

- Mesocolon Trasverso
Il mesocolon trasverso si inserisce sulla parete addominale posteriore secondo una linea
trasversale da destra a sinistra, che incrocia dapprima la faccia anteriore del rene destro, poi la
porzione discendente del duodeno e la testa del pancreas, poi il margine inferiore del corpo e
della coda di questo e, infine, la faccia anteriore del rene di sinistra.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 108


COMPARTIMENTO SOTTOMESOLCOLICO

Viene definito compartimento sottomesocolico perché interessa tutti quei visceri che si pongono al di
sotto di un piano che attraversa tutta la cavità addominale da destra a sinistra, che coincide con il
decorso del colon trasverso. In realtà il vero limite anatomico che consente di suddividere i due
compartimenti non è tanto il colon trasverso quanto il suo meso, mesocolon appunto, derivato dalla
riflessione delle lamine peritoneali anteriore e posteriore che hanno rivestito le facce del colon trasverso.
Il compartimento sottomesocolico risulta dunque essere delimitato cranialmente dal mesocolon
trasverso, mentre, caudalmente, non presenta un preciso limite anatomico, e si fa corrispondere il
confine tra cavità addominale e cavità pelvica con un piano virtuale obliquo, passante per il
promontorio del sacro e per il margine superiore della sinfisi pubica, diretto dall’indietro in avanti
superoinferiormente.

- Il Mesentere
Il mesentere corrisponde alla lamina peritoneale che riveste tutte le anse dell’intestino tenue
ileodigiunale. Il mesentere aderisce alla parete addominale posteriore attraverso la radice del
mesentere, che si porta attraverso una linea obliqua, mediolaterale da sinistra a destra, e
craniocaudale dal livello di L2 fino alla fossa iliaca di destra. Il mesentere occupa lo spazio
circoscritto dal colon ed è molto importante perché fornisce un ulteriore limite anatomico per
suddividere il compartimento sottomesocolico in più regioni.
Proiettando il decorso della radice del mesentere sulla colonna vertebrale possiamo osservare
come esso origini a sinistra di L2 e discenda craniocaudalmente delimitando due , una di destra
e una di sinistra. Nel discendere inoltre il mesentere incrocia la III e la IV porzione del duodeno,
l’aorta, la v. cava inferiore, l’a. iliaca comune destra, l’uretere di destra e l’a. iliaca esterna di
destra.
Le anse dell’intestino tenue ileodigiunale possiedono diversi gradi di motilità rispetto alla parete
addominale posteriore; questo perché il mesentere riveste le anse non in modo omogeneo ma in
modo differenziato, ovvero esso dopo aver rivestito la parete intestinale prende inserzione
attraverso il meso in corrispondenza della radice del mesentere, in maniera diversa e con diverse
altezze a seconda della porzione intestinale in cui ci troviamo. Infatti, nella prima porzione
l’altezza del mesentere risulta essere minima, mentre, a livello dell’ultima porzione dell’ileo, la
lunghezza del meso compreso tra anse intestinali e radice risulta essere molto lunga.
La linea obliqua tracciata dalla radice del mesentere è lunga ca. 18 cm.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 109


- Regioni dello Spazio Sottomesocolico
La radice del mesentere divide il compartimento sottomesocolico in 2 distinte porzioni, ovvero
gli spazi mesenterocolici di destra e di sinistra.
Lo spazio mesenterocolico di destra risulta essere meno esteso e si presenta con una forma
triangolare avente tre margini, il cui apice inferiore corrisponde alla fossa iliaca di destra. Esso
risulta essere delimitato in alto dalla metà destra del colon trasverso, mentre a destra troviamo il
margine sinistro del colon ascendente; inoltre il limite sinistro è dato dalla lamina destra della
radice del mesentere.
Lo spazio mesenterocolico di sinistra risulta essere leggermente più esteso di quello
controlaterale, mantenendo però una configurazione sostanzialmente speculare. In alto è
delimitato dalla metà sinistra del colon trasverso, a sinistra dal margine destro del colon
discendente, mentre, a destra troviamo la lamina sinistra della radice del mesentere. Questo
spazio però risulta essere aperto in basso e questo può consentire l’afflusso di processi infettivi e
ascitici dalla fossa iliaca allo spazio mesenterocolico di sinistra.
Altri due spazi possono essere considerati facenti parte del compartimento sottomesocolico,
ovvero gli spazi parietocolici di destra e sinistra.
Lo spazio parietocolico di destra ha come limiti anatomici, lateralmente e a destra, il peritoneo
che riveste la parete addominale di destra, medialmente e a sinistra, il margine destro del
peritoneo che si accolla alla parete anteriore del colon ascendente. Questo spazio risulta essere
aperto, in alto, verso i recessi subfrenico e sottoepatico di destra, mentre, in basso, comunica con
la fossa iliaca di destra.
Lo spazio parietocolico di sinistra è speculare a quello di destra, essendo limitato, lateralmente,
dal peritoneo che riveste la parete addominale sinistra, e, medialmente, dal peritoneo che si
accolla al margine sinistro del colon discendente. Invece, questo spazio risulta essere aperto solo
verso il basso, verso la fossa iliaca sinistra.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 110


- L’Intestino Mesenteriale
L’intestino tenue mesenteriale o ileodigiunale risulta essere alloggiato, all’interno del
compartimento sottomesocolico, nell’area circoscritta dall’intestino crasso. L’intestino tenue
mesenteriale inizia in corrispondenza della flessura duodeno-digiunale, a sinistra di L2, e
termina in corrispondenza della valvola ileo-ciecale, a livello della fossa iliaca di destra, dove si
apre nell’intestino cieco. Esso è lungo grossomodo ca. 6-7 m e questo può far facilmente
comprendere il grado di avvolgimento che le anse subiscono ripetutamente nel compartimento
sottomesocolico. Il suo diametro tende progressivamente a ridursi portandosi da ca. 4,7 cm a
livello del primo tratto digiunale, fino a 2,7 cm, a livello dell’ultima porzione dell’ileo.

1. ANSE DELL’INTESTINO MESENTERIALE


Le anse di questa estesa porzione dell’intestino tenue si distinguono in anse digiunali e anse
ileali. Le prime prendono questo nome perché nel cadavere risultano sempre prive di
contenuto; corrispondono ai 2/5 prossimali dell’intestino tenue mesenteriale.
Le anse ileali invece corrispondono al secondo tratto, ovvero ai 3/5 distali dell’intestino
tenue mesenteriale.
Le anse dell’intestino possono essere divise, a seconda della posizione in cui generalmente
sono collocate, in 4 gruppi. Il primo gruppo va ad occupare la regione della flessura colica di
sinistra e dell’ipocondrio di sinistra. Il secondo gruppo occupa la regione mesogastrica e
arriva ad interessare l’ipocondrio di destra. Il terzo gruppo si riporta a sinistra ed arriva fino
alla fossa iliaca di sinistra. Il quarto ed ultimo gruppo si riporta a destra in una posizione
compresa tra i due mm. grandi psoas, all’interno della cavità pelvica.
Se noi isoliamo un’ansa rispetto alle altre possiamo individuare caratteristiche morfologiche
comuni; infatti, ciascun’ansa tende a descrivere un semicerchio, e, nell’ambito di questo,
possiamo osservare un margine libero, convesso e rivolto verso la parete anterolaterale
dell’addome, e un margine “aderente”, concavo ed in rapporto con il mesentere, in
corrispondenza del quale giungono le componenti vasculo-nervose.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 111


2. VASCOLARIZZAZIONE
Vascolarizzazione Arteriosa - L’intestino tenue è vascolarizzato dalle aa. intestinali, il cui
numero varia dalle 15 alle 18. Queste arterie originano dall’a. mesenterica superiore, che
origina a sua volta dall’aorta addominale ca. 1 cm sotto il tronco celiaco. Le aa. intestinali
sono poi contenute tra i due foglietti del mesentere.
Le aa. intestinali si dispongono nel mesentere per giungere alle anse intestinali
organizzandosi in strutture molto particolari; infatti, ciascuna di esse va incontro ad processo
di ramificazione più o meno fitto a seconda del punto intestinale dove ci troviamo. Ciascuna
arteria si ramifica ripetutamente all’interno del mesentere, tendendo così ad ampliare di
molto il suo territorio di vascolarizzazione, e, giunta in prossimità del margine aderente
concavo dell’ansa intestinale, assume un decorso rettilineo e giunge all’intestino. Quindi
queste arterie dapprima si dividono ripetutamente, anastomizzandosi con i rami adiacenti e
formando una numerosa serie di arcate arteriose comunicanti tra loro, e, in seguito,
raggiungono l’ansa intestinale assumendo un decorso rettilineo come arterie rette. Una volta
raggiunta l’ansa intestinale, si dividono nuovamente, andando a vascolarizzare entrambe le
facce dell’ansa intestinale, riunendosi poi in corrispondenza del margine libero o convesso.
Questo complesso sistema arterioso ha la funzione di garantire la possibilità che se vengono
a crearsi delle ostruzioni a carico di uno di questi vasi, i rami contigui possano garantire
comunque la funzione vascolare in alternativa al ramo ostruito.
Drenaggio Venoso - le vv. intestinali accompagnano le arterie nel loro decorso
anteriormente e confluiscono nella v. mesenterica superiore, che insieme alla v. splenica, da
origine alla v. porta.

3. DIFFERENZE MORFOLOGICHE TRA DIGIUNO E ILEO


Le principali differenze morfologiche che si possono riscontrare ad un esame macroscopico
comparato delle anse dell’ileo e del digiuno sono sicuramente differenze nel colore, nel
calibro e nello spessore della parete. Il digiuno si presenta infatti di colore rosso scuro,
dotato di una imponente vascolarizzazione e di una parete pesante e spessa; inoltre il calibro
del lume del canale digerente, nel digiuno, risulta essere più ampio rispetto a quanto avviene
a livello dell’ileo. Quest’ultimo infatti si presenta di colore rosso chiaro, meno
vascolarizzato e con una parete più sottile e leggera; inoltre l’ileo si presenta con un lume
meno ampio, che non supera i 3 cm, e presenta, a livello del mesentere, più grasso rispetto al
mesentere digiunale.
Le pieghe circolari sono rilievi della superficie interna dell’intestino tenue, disposti
trasversalmente rispetto all’asse maggiore. Raramente sono estese in forma di anello
completo per tutta la circonferenza del calibro intestinale. Il digiuno presenta molte più
pieghe circolari rispetto all’ileo, che nella sua porzione più distale, appare privo di queste
strutture e liscio. Al contrario, l’ileo presenta numerosi noduli di tessuto linfatico negli strati
della sua parete, cosa meno frequente da riscontrare a livello del digiuno.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 112


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 113
Parte III - La Piccola Cavità Peritoneale o Borsa Omentale
La borsa omentale è rappresentata da una fessura capillare della cavità peritoneale, praticamente chiusa
situata posteriormente agli organi intraperitoneali e anteriormente rispetto a quelli retroperitoneali del
compartimento sovramesocolico.
Se seguiamo il profilo della lamina peritoneale in una sezione sagittale possiamo notare come il recesso
della borsa omentale interessi dapprima la faccia viscerale del fegato, poi quella dello stomaco e, in
corrispondenza della grande curvatura dello stomaco, la lamina peritoneale contribuisce a costituire il
ligamento gastrocolico, che va dalla grande curvatura dello stomaco fino al colon trasverso, dove da
origine al foglio anteriore del grande omento, che scende dal compartimento sovramesocolico a quello
sottomesocolico; in seguito la lamina peritoneale si riflette in basso verso il dietro andando a formare i
foglio posteriore del grande omento, che risale ritornando verso il mesocolon trasverso. A questo livello
si continua con la lamina peritoneale posteriore, andando a rivestire sul davanti i visceri retroperitoneali
fino a quando, giunta in alto a livello della faccia viscerale del fegato, non si riflette chiudendo in alto la
piccola cavità peritoneale.
La borsa omentale offre a considerare dunque due recessi, uno inferiore, compreso tra i fogli del grande
omento, e uno superiore, che chiude superiormente la cavità ed è delimitato tra il diaframma e i foglietti
posteriori dei ligamenti coronari del fegato. I recessi inferiore e superiore della borsa omentale
chiudono in alto e in basso questo spazio consentendo alle lamine peritoneali di riflettersi.
Si può, dunque, dire che la borsa omentale propriamente detta risulta essere quello spazio, più ampio in
termini di espansione spaziale rispetto ai recessi omentali, che si pone tra la parete addominale
posteriore e la faccia viscerale del fegato e dello stomaco. In un soggetto adulto la piccola cavità
peritoneale o borsa omentale diventa relativamente piccola occupando uno spazio solo virtuale, perché
le due lamine, anteriore e posteriore, tendono ad accollarsi, consentendo così il movimento fluido e
privo di attrito dello stomaco lungo la parete posteriore dell’addome.

Forame Epiploico di Winslow - E’ sostanzialmente l’unica via di accesso possibile alla borsa omentale
e viene delimitato da precise strutture che ne consentono il riconoscimento; anteriormente è delimitato
da una porzione del piccolo omento, ovvero il ligamento epato-duodenale e dal peduncolo epatico, che
corrisponde alla triade portale che decorre all’interno, compresa tra i due foglietti peritoneali, di questo
ligamento. Posteriormente, il forame epiploico è delimitato dal decorso di un breve tratto della v. cava
inferiore, posta in posizione retroperitoneale. In basso e in alto il forame epiploico si estende nello
spazio compreso tra il lobo caudato del fegato, in alto, e la faccia posterosuperiore della porzione I o
superiore del duodeno, in basso.

Vestibolo della Borsa Omentale - osservando una sezione trasversale si può notare come attraverso il
forame epiploico si giunga ad una sorta di accesso o vestibolo della borsa omentale, che precede la
cavità propriamente detta. Il lobo caudato del fegato sporge completamente nel vestibolo della borsa
omentale, che costituisce la continuazione spaziale del forame epiploico. A sinistra del lobo caudato del
fegato il vestibolo si estende fino alla plica gastropancreatica, che separa questa porzione dalla cavità
vera e propria. All’interno di tale plica peritoneale decorre l’a. gastrica di sinistra, di cui eventualmente
si può apprezzare anche il polso.

Cavità della Borsa Omentale - la cavità precedentemente descritta offre a considerare un recesso
omentale superiore, che si estende grosso modo a destra tra la faccia viscerale del fegato e il diaframma,
e, a sinistra, dalla plica gastropancreatica all’esofago, e un recesso omentale splenico, che chiude la
borsa omentale a sinistra, delimitato dal ligamento pancreatico-lienale e dal ligamento gastrosplenico.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 114


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 115
Parte IV - Lo Spazio Retro-Peritoneale
VISCERI RETRO-PERITONEALI

- Il Duodeno
La porzione II del duodeno o duodeno discendente si porta in senso craniocaudale, lateralmente
2-3 cm a destra rispetto a L2 e L3, curvandosi attorno alla testa del pancreas. Nel suo decorso
iniziale essa giace parallela alla destra della v. cava inferiore, che passa posteriormente alla
porzione superiore del duodeno. Nella sua parete posteromediale offre a considera l’ampolla
duodenale maggiore o ampolla di Water e, superiormente a questa, può presentare una ampolla
duodenale minore in cui sbocca un eventuale dotto pancreatico accessorio. Si continua nella
porzione III o orizzontale del duodeno attraverso la flessura inferiore, dopo aver contratto
rapporti, in avanti, con il mesocolon e il colon trasverso e con alcune anse dell’intestino tenue,
indietro con l’ilo del rene destro, con l’uretere e con i vasi renali, oltre che con il m. grande
psoas, e, medialmente, con la testa del pancreas.
La porzione III del duodeno o duodeno orizzontale si porta da destra a sinistra rispetto al piano
sagittale mediano, a livello di L3. In avanti entra rapporto con l’a. e la v. mesenterica superiore,
incluse nella radice del mesentere, che tracciano il limite tra la porzione orizzontale e la
porzione ascendente del duodeno. Mantiene alcuni dei rapporti, come quello con il m. grande
psoas, con le anse dell’intestino tenue e con la testa del pancreas, oltre che instaurare,
superiormente, rapporti con il processo uncinato della testa del pancreas e, posteriormente,
rapporti con la v. cava inferiore, con l’aorta e con l’uretere destro.
La IV ed ultima porzione del duodeno o duodeno ascendente è compresa tra la radice del
mesentere e la flessura duodeno-digiunale. Si porta a sinistra del piano sagittale mediano
risalendo fino a livello di L2; entra in rapporto sul davanti con le prime anse digiunali e,
posteriormente, con il margine sinistro dell’aorta addominale e con il m. grande psoas di
sinistra. Inferiormente e medialmente instaura rapporti con l’ultima e più superiore porzione
della testa del pancreas e, superiormente e medialmente, con la prima porzione della coda del
pancreas. A livello della flessura duodeno-digiunale si porta posteroanteriormente per tornare
come intestino mesenterico in sede intraperitoneale.
È utile ricordare ce la porzione IV o ascendente del duodeno risulta particolarmente stabile
grazie alla presenza di cellule muscolari lisce che formano tra essa e il tronco dell’a. mesenterica
superiore il m. sospensore del duodeno di Treitz.

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- Il Pancreas
Il pancreas è situato in corrispondenza della parete posteriore della borsa omentale. La superficie
anteriore dell’organo è rivestita da peritoneo parietale e la testa risulta essere circondata dalla C
duodenale. Il pancreas è un organo a forma di cuneo o martello, della lunghezza di ca. 15-20 cm,
che si trova in corrispondenza della parete addominale posteriore, all’altezza di L1-L2. Si
estende quasi orizzontalmente, attraversando il piano sagittale mediano, dalla curvatura a C del
duodeno fino all’ilo splenico. Presenta una leggera concavità nella parete posteriore,
leggermente accentuata nella porzione centrale dell’organo.
Il pancreas è una grossa ghiandola, sia esocrina sierosa pura che endocrina, con la produzione
degli ormoni iper e ipo glicemizzanti insulina e glucagone. I carcinomi e le neoplasie del
pancreas sono letali al 98%, e ciò e anche dovuto alla difficoltà chirurgica di raggiungere il
pancreas e intervenire su di esso. Gli enzimi proteolitici prodotti dalla componente esocrina del
pancreas, in caso di pancreatite, possono riversarsi e autodigerire il parenchima dell’organo.
L’inserzione del mesocolon trasverso taglia la superficie anteriore della testa del pancreas in una
porzione sottomesocolica e in una sovramesocolica.

1. MORFOLOGIA
A scopi di una descrizione macroanatomica il pancreas viene diviso in 4 porzioni: testa,
istmo, corpo e coda.
Testa del Pancreas - si tratta della porzione più slargata, alta 6-7 cm, incastrata
completamente nella C duodenale. Presenta posteroinferiormente e a sinistra un processo
uncinato, disposto a destra della flessura duodeno-digiunale e posteriormente rispetto al
decorso dei vasi mesenterici superiori, di cui forma il letto posteriore; il solco che si
frappone tra processo uncinato e testa propriamente detta è chiamato incisura pancreatica.
Istmo del Pancreas - è una porzione molto breve, di ca. 1,5-2 cm, che si pone anteriormente
ai vasi mesenterici superiori e si frappone tra la testa e il corpo della ghiandola. Presenta due
incisure da cui deriva il nome istmo, ovvero una incisura superiore che entra in rapporto con
il margine inferiore del duodeno superiore, e una inferiore, segnata dal decorso dei vasi
mesenterici superiori.
Corpo del Pancreas - fa seguito all’istmo e giace a sinistra dei vasi mesenterici superiori,
passando anteriormente all’aorta e alla vertebra L2. La superficie anteriore del corpo del
pancreas è rivestita da peritoneo parietale e corrisponde alla parete posteriore della cavità
della borsa omentale.
Coda del Pancreas - giace anteriormente al rene sinistro e contrae intimi rapporti con l’ilo
splenico e la flessura colica di sinistra. L’apice della coda risulta essere tronco e rivolto
verso l’alto. Inoltre, quest’ultima porzione dell’organo risulta essere più mobile ed essere
compresa tra gli strati del ligamento pancreatico-lienale, insieme ai grossi vasi splenici.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 117


2. RAPPORTI DEL PANCREAS
La testa del pancreas instaura, posteriormente, rapporti con la v. cava inferiore, l’a. e la v.
renale di destra e la v. renale di sinistra. Inoltre, può accogliere nel suo parenchima, oppure
accogliere in un incavo scavato lungo la sua superficie posteriore, il decorso del dotto
coledoco. La superficie anteriore dell’istmo risulta essere in rapporto con la porzione distale
del piloro dello stomaco e, posteriormente, entra in rapporto con il punto in cui confluiscono
la v. mesenterica superiore e la v. splenica per dare origine alla v. porta. Il corpo del
pancreas instaura rapporti, anteriormente e indirettamente, con la facci viscerale dello
stomaco, rapporto mediato dalla borsa omentale, mentre, posteriormente, entra in contatto
diretto con l’aorta, l’a. mesenterica superiore, il rene e il surrene sinistro e i suoi vasi renali.

3. DOTTO PANCREATICO
Il dotto pancreatico ha un lume il cui diametro risulta essere di ca. 0,2 cm; decorre nel
parenchima del pancreas lungo il suo asse maggiore dalla coda verso la testa, dove entra in
stretto rapporto con il dotto coledoco. Il dotto pancreatico principale si unisce con il dotto
coledoco a formare una porzione breve e dilatata comune, detta dotto o ampolla epato-
pancreatica, che si apre lungo la parete mediale della porzione discendente del duodeno, alla
sommità della papilla duodenale maggiore o ampolla di Vater. Nella sua porzione terminale
il dotto pancreatico principale, come anche il dotto coledoco, possiedono strati di cellule
muscolari lisce disposti in maniera circolare, che formano, rispettivamente, lo sfintere del
dotto pancreatico e lo sfintere del dotto coledoco, che si uniscono a livello della ampolla
epato-pancreatica, a formare lo sfintere di Oddi o sfintere epato-pancreatico.
Se a livello duodenale è presente una ampolla duodenale minore vorrà dire che a livello
pancreatico avremo un corrispondente dotto pancreatico accessorio o del Santorini, che
potrà essere estremamente variabile nel decorso, e presenterà un calibro minore rispetto al
dotto principale. Il dotto pancreatico accessorio, se presente, può essere sia duplice che
duplice con anastomosi con il dotto pancreatico principale, ed è questa una conformazione
che crea qualche problema dal punto di vista clinico. Può, inoltre, essere più lungo e
originare a livello della coda del pancreas, portandosi poi, o sotto lo sbocco del dotto epato-
pancreatico o prima sotto e poi sopra quest’ultimo, incrociandolo due volte; può, infine,
presentarsi con un decorso estremamente variabile e irregolare.

4. VASCOLARIZZAZIONE
La vascolarizzazione arteriosa del pancreas può essere divisa in due porzioni. La prima
porzione corrisponde ai rami che derivano dal tronco celiaco; infatti l’a. splenica, ramo del
tronco celiaco fornisce fino a 10 rami pancreatici, che raggiungono corpo e coda del
pancreas; questi rami poi, formano arcate anastomotiche con le altre aa. pancreatiche che
irrorano la testa del pancreas. La prima porzione arteriosa, derivante dal tronco celiaco,
irrora anche la porzione superiore della testa del pancreas grazie all’a. pancreatico-
duodenale superiore con i suoi due rami, anteriore e posteriore, che raggiungono le facce,
rispettivamente, anteriore e posteriore della testa del pancreas; quest’arteria è una
diramazione dell’a. gastroduodenale che origina dall’a. epatica comune, ramo del tronco
celiaco. Infine, la seconda porzione arteriosa del pancreas è quella che deriva dall’a.
mesenterica superiore con i rami anteriore e posteriore dell’a. pancreatico-duodenale
inferiore, che irrorano la porzione inferiore della testa del pancreas.

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- L’Intestino Cieco e l’Appendice Vermiforme
L’intestino cieco è il primo tratto dell’intestino crasso. Corrisponde a quella porzione che, per
convenzione, va a collocarsi al di sotto di un piano trasversale passante in corrispondenza della
valvola ileo-ciecale, ovvero del punto in cui l’ileo si continua nel crasso. La lunghezza del cieco
è di ca. 6-8 cm.
Il peritoneo avvolge completamente il cieco e, in questo modo, si possono considerare due
pieghe che si vengono a formare a livello della transizione tra ileo e cieco, ovvero la piega ileo-
colica, che corrisponde al margine superiore dell’ileo e delimita il recesso ileo-colico, e la piega
ileo-ciecale, che delimita il recesso ileo-ciecale e corrisponde al margine inferiore dell’ileo.

1. MORFOLOGIA
Possiamo prendere in considerazione, per quanto riguarda il cieco, una faccia anteriore, in
rapporto con la parete addominale anteriore, una faccia posteriore, in rapporto con il
peritoneo che tappezza la fossa iliaca, e una faccia laterale, in rapporto con la parete
addominale laterale e con la porzione inferiore dello spazio parietocolico di destra. Inoltre
possiamo considerare anche una faccia mediale dell’intestino cieco, in rapporto con i vasi
iliaci esterni e il m. grande psoas, oltre che con le anse più inferiori dell’intestino tenue
mesenteriale. Il peritoneo che riveste la fossa iliaca e che si riflette per rivestire la faccia
posteriore del cieco forma a questo livello, ovvero posteriormente al cieco, un recesso
retrociecale che consente di apprezzare il grado di motilità che il cieco possiede in quanto
porzione intraperitoneale dell’intestino crasso. Lungo la faccia anteriore decorre la tenia
libera, ovvero l’unica delle tre tenie apprezzabile sul davanti in questa porzione dopo
apertura dell’addome; lungo la faccia laterale del cieco decorre la tenia omentale, da cui si
dipartono delle esili pieghe ciecali che rinforzano l’inserzione dell’intestino cieco sulla
parete addominale anteriore; infine, lungo la parete posteriore decorre la tenia mesocolica.
Le tre tenie confluiscono lungo il fondo del cieco, incontrandosi a livello del punto di
origine dell’appendice vermiforme.

2. VALVOLA ILEO-CIECALE
La valvola ileo-ciecale consente il transito, in direzione univoca, dall’ileo al cieco. Questa
valvola è delimitata da un labbro superiore e da un labbro inferiore, che consentono al
materiale che transita dall’ileo al cieco di non refluire in direzione opposta. Questi labbri o
pieghe, che la valvola possiede dal momento che l’ileo si invagina all’interno della cavità
ciecale, si continuano confluendo lateralmente in due angoli o frenuli della valvola ileo-
ciecale. I frenuli si stirano o si distendono a seconda che l’orifizio ileo-ciecale debba essere
aperto o chiuso dalla valvola.

3. VASCOLARIZZAZIONE
Il cieco è vascolarizzato da un ramo dell’a. mesenterica superiore, ovvero l’a. ileo-colica,
che si ramifica e provvede alla vascolarizzazione del cieco sia lungo la sua faccia anteriore,
sia lungo quella posteriore. I rami ciecali dell’a. ileo-ciecale si anastomizzano poi lungo la
parete laterale, circondando l’intestino. Il drenaggio venoso segue parallelamente quello
arterioso attraverso la v. ileo-colica, ce drena nella v. mesenterica superiore.

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4. APPENDICE VERMIFORME
È un appendice che, in forma di diverticolo, si distacca dalla parete mediale dell’intestino
cieco. Può disporsi nello spazio secondo posizioni molto diverse, di cui la più frequente è
sicuramente la posizione retrociecale, riscontrabile nel ca. 65% degli individui, in cui
l’appendice si porta dalla sua origine in direzione superoposterolaterale, andandosi ad
alloggiare nel recesso retrociecale. Un’altra frequente condizione, riscontrabile nel ca. 30%
degli individui, è la posizione discendente dell’appendice vermiforme, in cui l’origine è
posta sempre sulla faccia mediale del cieco, ma molto più in basso rispetto alla posizione di
maggiore riscontro. In questa posizione l’appendice si spinge in direzione della cavità
pelvica e risulta più facilmente esposta, grazie alla sua posizione più declive, all’ostruzione e
all’infezione da parte di coproliti e materiale fecale.
Il punto di repere per stabilire, attraverso la palpazione, se l’appendice sta andando in corso
a processi infiammatori, è definito come punto di McBurney. Questo corrisponde al punto di
mezzo di una linea che va dalla spina iliaca anteriore superiore fino all’ombelico, in senso
lateromediale e inferosuperiore.
L’appendice risulta essere vascolarizzata da un ramo dell’a. ileocolica, ovvero l’a.
appendicolare; il drenaggio venoso avviene attraverso la v. appendicolare, che confluisce
nella v. ileo-colica.
Il rivestimento peritoneale dell’appendice vermiforme è detto mesenteriolo; è una piega
molto esile che accoglie il decorso dei vasi appendicolari ed è costituita sostanzialmente da
un tratto della porzione terminale del mesentere e da parte del rivestimento del cieco e
dell’appendice. Il triangolo del mesenteriolo è costituito da una base che corrisponde
all’origine sul cieco, un lato in rapporto con l’appendice, che ne segue l’estensione fino al
suo apice, e un lato più mediale, libero, in rapporto con i vasi appendicolari, che termina in
corrispondenza della giunzione ileo-ciecale.
Il peritoneo si può comportare in maniera molto variabile rispetto all’appendice vermiforme,
provocando una notevole variazione di motilità di quest’organo. in ogni caso si possono
riassumere ca. 3 possibilità di rapporto tra l’appendice vermiforme e il peritoneo:
I - Il peritoneo riveste l’appendice e la collega alla porzione terminale dell’ileo, nel suo
margine inferiore; in questa condizione l’appendice risulta essere molto mobile.
II - Il peritoneo che ricopre l’appendice, invece che fissarsi alla porzione terminale dell’ileo,
aderisce e si collega direttamente alla parete della fossa iliaca di destra, con una inserzione
di maggiore estensione e che consente una maggiore grado di motilità sia verso destra che
verso sinistra.
III - L’appendice rimane immobile perché il peritoneo aderisce completamente alla parete
della fossa iliaca. L’appendice in questo caso possiede il maggiore grado di fissità.

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- Il Colon Ascendente
Interessa la parete laterale destra del compartimento sottomesocolico, estendendosi dal cieco
fino alla flessura destra del colon, ovvero dalla fossa iliaca di destra fino all’ipocondrio di
destra. il peritoneo riveste integralmente il colon ascendente, ad eccezione della sua parete
posteriore. In questa situazione si potrà parlare di posizione retroperitoneale secondaria.
Tuttavia, quando il colon ascendente risulta essere vuoto, esso si porta leggermente in avanti ed
in questo modo anche la parete posteriore viene rivestita da peritoneo.
Il colon ascendente risulta essere vascolarizzato da due rami dell’a. mesenterica superiore; la
porzione superiore risulta essere vascolarizzata principalmente dall’a. colica di destra, che
forma arcate anastomotiche con l’a. colica media in alto e, in basso, con il ramo arterioso che
vascolarizza la porzione inferiore del colon ascendente, ovvero l’a. ileocolica. Per quanto
concerne il drenaggio venoso del colon ascendente, questo è garantito dalla v. mesenterica
superiore attraverso alcuni suoi rami, ovvero la v. colica destra e la v. ileocolica.

- Il Colon Discendente
Decorre in corrispondenza della parete laterale sinistra in posizione retroperitoneale. In
corrispondenza della flessura sinistra del colon, situata sotto la cupola sinistra del diaframma, il
colon trasverso forma un angolo acuto che si continua nella porzione discendente del colon.
Quest’organo occupa una posizione retroperitoneale secondaria, poiché risulta essere rivestito
dal peritoneo lungo le sue facce laterale, anteriore e mediale, ma non posteriormente, dove si
ancora alla parete addominale posteriore.
Il colon discendente, come tutte le porzioni coliche infero laterali di sinistra, risulta essere
vascolarizzato dall’a. colica di sinistra, che forma importanti arcate anastomotiche in alto con
l’a. colica media, e che è un ramo prossimale dell’a. mesenterica inferiore, arteria che si diparte
dall’aorta, caudalmente rispetto all’a. mesenterica superiore.
Il drenaggio venoso del colon discendente avviene attraverso la v. colica di sinistra, che drena
nella v. mesenterica inferiore, che confluisce, attraverso la v. splenica, nella v. porta.

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- Il Colon Sigmoideo
Si possono avere due conformazioni, di cui quella più atipica corrisponde ad un colon
sigmoideo più corto e rettilineo, che non descrive la tipica S, portandosi obliquamente dalla
fossa iliaca di sinistra alla cavità pelvica. La conformazione più tipica, invece, del colon
sigmoideo, vede questa porzione dell’intestino crasso, lunga ca. 40 cm, suddividersi in una parte
iliaca, contenuta nella fossa iliaca, e in una parte pelvica, che segue la parte iliaca fino
all’apertura nell’intestino retto ed è contenuta nella cavità pelvica.
Anche in questo caso, come nel colon trasverso, abbiamo una esplicita lamina peritoneale che
riveste il colon sigmoideo, che prende il nome di mesocolon sigmoideo, e che include
quest’organo in uno spazio intraperitoneale.
Il mesocolon sigmoideo o mesosigma, dopo aver rivestito la parete anteriore, laterale e
posteriore del colon sigmoideo, aderisce con la sua radice alla fossa iliaca di sinistra, con un
decorso irregolare, che si porta obliquamente sia in senso lateromediale che craniocaudale. Nel
descrivere questo profilo il mesocolon sigmoideo entra i rapporto dapprima con il m. ileopsoas,
poi con i vasi iliaci comuni e genitali e con l’uretere, fino a raggiungere in corrispondenza di S3
il piano sagittale mediano.
La vascolarizzazione arteriosa del colon sigmoideo è garantita dalle aa. sigmoidee superiore,
media e inferiore, rami dell’a. mesenterica inferiore, che stabiliscono, soprattutto quella
superiore ed inferiore, importanti anastomosi con le a. rettale superiore, in basso, e con l’a.
colica di sinistra, in alto.
Il drenaggio venoso è parallelo alla vascolarizzazione arteriosa e viene assicurato da rami della
v. mesenterica inferiore, ovvero le vv. sigmoidee.

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- L’Intestino Retto
L’intestino retto corrisponde all’ultima porzione del canale digerente; è localizzabile nella cavità
pelvica, origina lungo la linea mediana a livello di S3 ed è lungo approssimativamente 13 cm. Si
esaurisce a livello del perineo posteriore o triangolo anale, attraverso il canale e l’orifizio
anale.

1. MORFOLOGIA
In sezione sagittale offre a considerare due curve, una a concavità anteriore, posta
anteriormente al sacro e al coccige e detta curva sacrale o flessura sacrale del retto, ed una
a concavità posteriore, meno estesa e corrispondente, nel maschio, all’apice della prostata e,
nella femmina, alla parte media della vagina, detta flessura anorettale o curva perineale.
Esistono due punti di repere per stabilire il passaggio dalla curva sacrale a quella perineale;
sono due strutture anatomiche diverse nei due sessi, ovvero l’apice della prostata nel
maschio e la vagina nella femmina.
Osservando una sezione frontale, la prima parte dell’intestino retto che risulta essere più
dilatata corrisponde all’ampolla rettale e si continua con il canale anale, una parte più
ristretta che corrisponde alla parte perineale dell’intestino retto ed è lunga ca. 4 cm, che
sbocca all’esterno attraverso l’ano. Il limite anatomico tra queste due porzioni corrisponde
all’inserzione, sulle pareti laterali dell’intestino retto di due importanti muscoli. Il primo
corrisponde ai mm. elevatori dell’ano, importanti per l’atto della defecazione, che si portano
dalle due pareti laterali, convergendo verso il piano sagittale mediano e prendono inserzione
sulle pareti laterali del retto. La transizione da ampolla rettale a canale anale corrisponde
anche al punto in cui il retto va a perforare il diaframma pelvico, che chiude in basso il
pavimento pelvico.
Sempre in una proiezione frontale, l’intestino retto offre a considerare tre pliche trasversali,
interne e con andamento ortogonale all’asse maggiore del retto. Queste sono responsabili
della formazioni di tre flessure, superiore e inferiore provenienti da sinistra, e una media, più
marcata e sporgente nella parete laterale interna del canale, proveniente da destra. La plica
media corrisponde al punto più basso, nella donna, della cavità peritoneale, ovvero al cavo
retto-uterino, distante ca. 6 cm dall’orifizio anale.

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2. RAPPORTI CON IL PERITONEO
Il peritoneo riveste le superfici anteriori e laterali del terzo superiore de retto; per quanto
riguarda il terzo medio del retto il peritoneo riveste soltanto la superficie anteriore del retto,
mentre, nel terzo inferiore l’intestino retto è completamente sprovvisto di rivestimento
peritoneale. Il peritoneo nel rivestire le pareti del retto determina la formazione di alcune
pieghe sia in corrispondenza della parete anteriore, sia di quelle laterali. Lateralmente il
riflettersi e l’accollarsi dei foglietti peritoneali determina la formazione di due recessi
pararettali, a livello del terzo superiore. Anteriormente, il comportamento del peritoneo
differisce nei due sessi.
Nella femmina la lamina peritoneale che riveste la parete anteriore del retto si continua con
la lamina che riveste la parete posteriore dell’utero; questo foglietto si spinge a rivestire
anche la parte posteriore della vagina, per un breve tratto, in particolare fino al fornice
vaginale posteriore; in seguito, dopo essersi riflesso, risale posteriormente lungo la parete
anteriore del retto, formando la regione declive nel punto di riflessione detta cavo retto-
uterino. Al di sotto del cavo retto-uterino vi è sempre un rapporto di continuità spaziale tra
la parete anteriore del retto e la parete posteriore della vagina, tuttavia questo rapporto non è
più mediato dalla lamina peritoneale ma semplicemente da un setto retto-vaginale.
Inoltre la parete anteriore dell’intestino retto, nella donna, entra in rapporto con il colon
sigmoideo e con alcune anse dell’ileo, che si spingono a questo livello. Per quanto riguarda i
rapporti della parete posteriore dell’intestino retto, questa risulterà essere in contatto con il
sacro, con il coccige, con i vasi e il plesso sacrale.
Nel maschio il peritoneo che ha rivestito la parete posteriore della vescica si riflette e si
continua, ad un certo punto, con il peritoneo che riveste la parete anteriore dell’intestino
retto, col terzo medio e col terzo superiore. In corrispondenza di questo punto di riflessione
si forma un incavo che viene definito come cavo retto-vescicale.
La parete anteriore dell’intestino retto risulta essere in rapporto anche, superiormente, con il
colon sigmoideo e con le anse dell’intestino mesenteriale. Inferiormente al cavo retto-
vescicale, l’intestino retto è in rapporto con la prostata e le altre strutture dell’apparato
genitale maschile, come le vescichette seminali e i condotti deferenti. Un altro rapporto
meno importante è quello con gli ureteri. Il peritoneo si riflette dal retto alla vescica per
formare il pavimento del cavo retto-vescicale, mentre, tra il fondo della vescica e l’ampolla
rettale è situato il setto retto-vescicale.

3. VASCOLARIZZAZIONE
Alla vascolarizzazione arteriosa dell’intestino retto concorrono tre vasi arteriosi, che si
succedono in senso craniocaudale e possiedono diverse origini. Il primo vaso, l’a. rettale
superiore, origina dall’a. mesenterica inferiore e vascolarizza la porzione superiore del retto
dividendosi in un ramo destro e in uno sinistro. Il secondo ramo corrisponde all’a. rettale
media, che origina dall’a. iliaca interna e irrora le porzioni media e inferiore del retto. La
terza ed ultima arteria che concorre alla vascolarizzazione di quest’organo è l’a. rettale
inferiore, ramo dell’a. pudenda interna, che vascolarizza la giunzione anorettale e il canale
anale. Tra loro questi tre rami arteriosi stabiliscono importanti circoli anastomotici.
La vascolarizzazione venosa è simile a quella arteriosa, ma va ricordato come il drenaggio
venoso sia garantito da un vero e proprio plesso venoso emorroidale, che drena attraverso le
tre principali vene emorroidali, ovvero la superiore, la media e l’inferiore; la v. emorroidale
superiore appartiene alla circolazione venosa portale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 124


- Il Rene
I più importanti visceri retroperitoneali sono i due reni. Occupano una posizione piuttosto
superficiale, tanto che sono rivestiti e tenuti in situ da una struttura protettiva connettivale che
prende il nome di fascia renale.
Da un punto di vista topografico i reni sono posti all’interno di uno spazio lombare definito
come loggia renale. Tuttavia, la posizione dei due reni non è perfettamente simmetrica, grazie al
fatto che i due organi non giacciono perfettamente su uno stesso piano; infatti il rene di destra è
spinto ad una posizione leggermente più caudale rispetto al rene di sinistra dal voluminoso lobo
destro del fegato, ca. 2-2,5 cm più in basso.
I due reni occupano una posizione paravertebrale, ma non decorrono paralleli alla colonna
vertebrale, poiché il loro asse maggiore risulta inclinato obliquamente, in senso mediolaterale
andando dall’alto in basso, facendo si che la distanza tra i due poli superiori dei reni sia minore
rispetto alla distanza tracciata tra i due poli inferiori. Inoltre osservando l’orientamento dei poli
superiore ed inferiore dei reni si può osservare, non solo che i poli superiori sono più vicini alla
linea spondiloidea ovvero al piano sagittale mediano, ma anche che questi sono posti più
posteriormente rispetto ai poli inferiori, rendendo l’asse maggiore obliquo dall’alto in basso
posteroanteriormente.
Considerando queste differenze spaziali tra i due reni possiamo dire che l’estensione generica in
posizione normale di questi organi va dal margine inferiore della vertebra T11 fino ad L3.
I due reni hanno un peso di ca. 150-200g e misurano ca. 10-12 cm in lunghezza, 6-7 cm in
larghezza e 3-4 cm in spessore. Spesso il rene destro appare leggermente più piccolo rispetto a
quello di sinistra. Si presentano con una tipica forma a fagiolo o fetale.

1. MORFOLOGIA
In ciascun rene si possono distinguere una faccia anteriore, che guarda verso la parete
addominale anteriore, una faccia posteriore, che guarda la parete addominale posteriore, un
margine laterale, che guarda verso la parete laterale dell’addome ed appare convesso, e l’ilo
renale, che appare concavo e dove entrano ed escono i vasi e i nervi renali, oltre che gli
ureteri. Inoltre nel rene si possono distinguere un polo superiore, in rapporto con il surrene,
ed un polo inferiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 125


2. ILO RENALE
In corrispondenza del margine mediale si vede l’ilo del rene, attraverso cui arrivano e si
dipartono vasi arteriosi e vasi venosi, ovvero le vene e le arterie renali. Un’altra struttura
anatomica di notevole importanza che arriva all’ilo renale è la pelvi renale. Se dunque ci
spostiamo in senso anteroposteriore a livello dell’ilo, troveremo dapprima i vasi venosi, poi,
su un piano intermedio, i vasi arteriosi e, posteriormente a questi, la pelvi renale, che darà
origine all’uretere. Se osserviamo il rene in sezione potremo vedere l’organizzazione
spaziale dell’ilo renale; se infatti rimuoviamo la componente venosa e arteriosa, osserviamo
meglio la modalità di organizzazione della pelvi renale e i suoi rapporti con le altre
componenti del parenchima renale. Per quanto concerne le modalità di suddivisione della
pelvi renale all’interno del parenchima renale, essa dà origine a strutture dette calici
maggiori, che in realtà confluiscono tutti per dare origine alla pelvi renale, originati a loro
volta da strutture di ordine minore dette calici minori; quest’ultimi entrano poi in rapporto
con le cosiddette papille renali o piramidi renali, in particolare con i loro apici.
A livello dell’ilo renale troviamo una abbondante presenza, nella porzione più slargata che
accoglie il confluire dei calici maggiori ed è detta seno renale, di tessuto connettivo adiposo
con funzione di protezione. Il seno renale è la porzione della pelvi renale da cui poi
originano i calici maggiori e le altre strutture secondarie.

3. STRUTTURE DI RIVESTIMENTO
Il parenchima renale risulta essere rivestito da una capsula fibrosa, formata da tessuto
connettivo, che lo avvolge come struttura di protezione. Mancando di rivestimento
peritoneale, il rene non gode della funzione che il peritoneo svolge rispetto agli altri organi
posti in sede intraperitoneale o retroperitoneale secondaria.
Il rene risulta contrarre un rapporto molto importante per la sua posizione anatomica con il
m. quadrato dei lombi, posteriormente, oltre che poggiare, medialmente, in posizione
paramediana, sulla superficie ventrolaterale del m. grande psoas.
La fascia renale ha una funzione di protezione e di rivestimento del parenchima renale, e lo
riveste sia in corrispondenza della superficie anteriore dei due reni, sia in corrispondenza
della loro superficie posteriore, presentandosi, in una sezione trasversale, con un foglietto
anteriore, o prerenale, e un foglietto posteriore, o retrorenale. Queste due lamine tendono
ad unirsi in corrispondenza del polo superiore del rene e lungo il suo margine laterale.
Quindi in una sezione trasversa i due reni risultano essere completamente avvolti dalle due
lamine che costituiscono la fascia renale, in continuità tra loro, e che si portano dall’avanti
all’indietro, mediolateralmente. Inoltra va ricordato che il foglietto posteriore della fascia
renale risulta essere più spesso di quello anteriore. La fascia renale è aperta medialmente e in
basso, dove contiene esclusivamente tessuto adiposo. Il volume della capsula adiposa,
costituita dal grasso perirenale, ovvero l’altra struttura connettivale che contribuisce a
tenere in situ il rene, varia in base allo stato di nutrizione dell’individuo. La capsula adiposa
risulta essere rivestita dalla fascia renale, mentre, all’esterno di questa, troviamo lo strato
adiposo comune della parete addominale o grasso endoaddominale, più spesso e presente,
che prende il nome di grasso pararenale. Il fatto che la fascia renale sia aperta verso il basso
corrisponde ad una situazione fisiologica che garantisce la possibilità che durante
l’inspirazione i due reni si spostino rispetto alle loro posizioni normali, con un escursione
variabile di 2-3 cm. Inoltre, come per tutti i visceri della cavità addominale, contribuisce
come mezzo di fissità anche la pressione endoaddominale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 126


4. RAPPORTI
La faccia posteriore del rene contrae rapporti che possono essere descritti prendendo come
punto di riferimento anatomico la XII costa; al di sopra di questa infatti, il parenchima
renale risulterà essere in rapporto con il m. diaframma, sia a destra che a sinistra, e, in
questo caso, si parlerà di area diaframmatica renale. Se invece ci spostiamo al di sotto della
XII costa, la parete posteriore del rene risulta essere in rapporto con tre strutture muscolari,
con la mediazione delle strutture di rivestimento dell’organo. La prima, l’area laterale della
faccia posteriore del rene, corrisponderà al rapporto che la faccia posteriore instaura, più
lateralmente, con il m. trasverso dell’addome e in particolare con la sua aponevrosi.
Procedendo in senso lateromediale troveremo, come area intermedia, il rapporto che il rene
instaura, posteriormente, con il m. quadrato dei lombi; mentre, l’area mediale della faccia
posteriore instaurerà rapporti con il m. grande psoas. Infine, il margine mediale del rene avrà
rapporti, a destra, con la v. cava inferiore, e a sinistra, con l’aorta addominale. Su entrambi i
margini mediali inoltre vanno considerati anche i rapporti tra reni e rispettivi ureteri.
La superficie anteriore del rene sinistro è in rapporto con la faccia viscerale della milza,
oltre che con la coda del pancreas, quest’ultimo lungo il margine mediale della faccia
anteriore del rene sinistro. Al di sopra, inoltre, dell’area che corrisponde al rapporto con la
coda del pancreas, vi è un’altra area di estensione maggiore, che corrisponde al rapporto con
la parete posteriore dello stomaco. Su un piano più inferiore abbiamo inoltre, da una parte il
rapporto con l’intestino tenue mesenteriale, mentre, più anteriormente, il rapporto con la
flessura sinistra del colon e, lungo il margine laterale, con il colon discendente. Possiamo
dunque dire che il margine laterale del rene sinistro instaura rapporti con la milza e con il
colon discendente.
La superficie anteriore del rene destro instaura prima di tutto un importante rapporto con la
faccia viscerale del lobo destro del fegato. Più in basso abbiamo altri rapporti di minore
estensione che interessano soprattutto la porzione discendente del duodeno, parte
dell’intestino mesenteriale, e in minor misura la flessura destra del colon e il colo
ascendente. Il margine laterale del rene destro contrae rapporti solo con il lobo destro del
fegato.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 127


5. ORGANIZZAZIONE DEL PARENCHIMA
Il parenchima renale offre a considerare una zona corticale e una zona midollare.
La zona midollare corrisponde alla parte più profonda. Convenzionalmente questa zona
risulta essere costituita da una successine di piramidi renali, in numero da 8 a 18, aventi gli
apici in contiguità con i calici minori, a formare le papille renali, che sporgono all’interno
dei calici minori. La porzione più slargata delle piramidi renali è costituita dalla base delle
piramidi renali, che comunica con la zona corticale interna del parenchima renale. La zona
midollare può essere costituita da una porzione interna, corrispondente alla porzione in
continuità con le papille renali, e una porzione esterna, che comunica con la porzione
interna della zona corticale del parenchima renale.
La zona corticale è la parte più superficiale, posta al limite tra la base delle piramidi renali e
la superficie esterna del rene, che è a contatto con la capsula renale. La regione corticale del
rene può essere suddivisa in una porzione esterna, a contatto con la capsula adiposa
perirenale della capsula renale, e una porzione interna, ovvero la zona più prossima alla base
delle piramidi renali; quest’ultima zona viene anche detta iuxta midollare. Inoltre, la zona
corticale presenta una parte che si spinge ad occupare gli spazi che si interpongono tra le
piramidi renali, a formare le cosiddette colonne renali.
Un’ulteriore suddivisione del parenchima renale vede la distinzione tra parte convoluta,
ovvero la parte costituita dalle colonne renali e anche la restante parte della corticale che non
è occupata dai raggi midollari, e una parte radiata, ovvero la parte costituita dai raggi
midollari, che originano dalla base delle piramidi renali. La differenza tra queste due zone
sta nel fatto che nella parte radiata si ha un andamento più regolare, mentre, nella parte
convoluta, l’andamento si presenta più irregolare.
Il parenchima renale può essere suddiviso anche in strutture di ordine e grandezza minore,
ovvero può essere costituito da un certo numero di lobi renali. Ciascun lobo renale è
formato da una piramide renale e dalla parte corticale ad essa connessa. All’interno di
ciascun lobo renale, poi, possiamo prendere in considerazione strutture di ordine e grandezza
inferiore, che prendono il nome di lobuli renali; ciascuno di questi risulta essere costituito da
una parte di zona radiata, un raggio midollare, e dalla parte convoluta di pertinenza del
raggio midollare.

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6. VASCOLARIZZAZIONE
Tutti i vasi arteriosi che entrano nel parenchima renale prendono origine dall’a. renale, una a
destra e una a sinistra. L’a. renale di destra decorre posteriormente alla v. cava inferiore e
risulta essere coperta dalla porzione discendente del duodeno, nonché dalla testa del
pancreas. L’a. renale di sinistra risulta essere più corta rispetto alla controlaterale ed è
coperta dal corpo del pancreas.
Per quanto riguarda la distribuzione delle arterie nel parenchima renale, l’a. renale
principale dà origine a due vasi arteriosi, uno che si porta anteriormente e prende il nome di
a. renale principale anteriore o prepielico, e uno che si porta posteriormente e prende il
nome di a. renale principale posteriore o retropielico. Il primo ramo può essere anche
chiamato a. segmentale anteriore e viene suddiviso ulteriormente in un ramo superiore
soprapielico e in uno inferiore. Invece, il secondo ramo o ramo retropielico, viene anche
detto a. segmentale posteriore, e resta indiviso.
Tutti questi rami arteriosi principali danno origine a vasi di ordine e grandezza inferiore, che
prendono il nome di aa. interlobari, poiché decorrono tra i lobi renali. Da queste arterie
originano a loro volta, con un orientamento ortogonale rispetto alla loro origine, le aa.
arcuate, che si pongono al confine tra basi delle piramidi renali e zona corticale. Dalle aa.
arcuate poi originano rami inferiori che possono essere divisi in aa. interlobulari e aa. rette,
aventi tra loro orientamenti diversi. Le prime si risolvono con una rete capillare
glomerulare, mentre, le aa. rette, si dedicano alla formazione della rete capillare
peritubulare.
Per quanto riguarda la disposizione del sistema di drenaggio venoso, questo ricalca
sostanzialmente la disposizione spaziale della componente arteriosa. Avremo dunque un
gruppo di vv. interlobulari, localizzate a livello dei lobuli renali che occupano la parte più
superficiale della regione corticale, delle vv. corticali profonde, che occupano in profondità
nella zona corticale e delle vv. rette, poste a livello della zona midollare. Tutti questi vasi
venosi confluiscono nelle vv. arcuate, parallele alle aa. omonime, che confluiscono a loro
volta nelle vv. interlobari, che si riuniscono a livello del seno renale in collettori venosi di
calibro maggiore e confluiscono a formare le vv. renali, che decorrono anteriormente alle aa.
omonime.

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- La Pelvi Renale
La pelvi renale o bacinetto renale raccoglie l’urina proveniente dai calici renali. I calici minori
sono in numero variabile da 8 a 12; ciascuno di essi entra in rapporto con la papilla renale e
confluisce poi nel calice maggiore. Il calici maggiori invece sono in numero di 3 e sono
classificati in superiore, medio e inferiore. I calici maggiori si aprono nella pelvi renale
indipendentemente l’uno dall’altro. La via urinaria più importante è rappresentata dall’uretere,
che fa seguito alla pelvi renale.

- L’Uretere
L’uretere è un canale leggermente appiattito e caratterizzato da una parete spessa, che collega la
pelvi renale alla vescica urinaria. È un organo pari della lunghezza approssimativa di 25-30 cm.
I due ureteri, destro e sinistro, si aprono indipendentemente l’uno dall’altro nella vescica
urinaria.

1. MORFOLOGIA
In base alla situazione topografica e in seguito alla sua notevole lunghezza, ogni uretere
viene diviso in tre porzioni, ovvero una porzione addominale, che corrisponde alla porzione
più superiore e prossimale e si trova in sede retroperitoneale, una porzione pelvica, che
decorre nella pelvi e corrisponde alla porzione media, e, infine, una pozione intramurale o
vescicale, che corrisponde alla breve porzione distale degli ureteri compresa nello spessore
della parete vescicale.
Nel descrivere gli ureteri possono essere descritti dei restringimenti riscontrabili lungo il
loro decorso. Questi saranno l’istmo superiore, o colletto, che si trova subito dopo il loro
punto di emergenza a partire dalla pelvi renale, l’istmo inferiore, o restringimento iliaco, che
si trova in corrispondenza del punto di transizione tra la porzione addominale e la porzione
pelvica; come punto di repere per individuare questo restringimento si considerano i due
vasi iliaci, a. e v. iliaca, dove l’uretere, scavalcati questi due grossi tronchi vasali, si
restringe e modifica il suo decorso portandosi più medialmente verso il piano mediano.
Infine, il terzo ed ultimo restringimento riscontrabile nella struttura dell’uretere è il
restringimento intramurale, ovvero quella diminuzione di calibro che l’uretere offre a
considerare subito prima di entrare nello spessore della parete vescicale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 130


2. RAPPORTI
La porzione addominale degli ureteri entra in rapporto, lateralmente, con i due margini
mediali dei due reni e con i loro rispettivi poli inferiori; inoltre, l’uretere sinistro entrerà in
rapporto con il colon discendente, mentre l’uretere destro con il colon ascendente;
posteriormente invece, troviamo un rapporto bilaterale con il m. grande psoas, che
contribuisce a mantenere in situ quest’organo; spostandoci medialmente possiamo
riscontrare per l’uretere destro il rapporto con la v. cava inferiore, mentre, per l’uretere di
sinistra, il rapporto con l’aorta addominale; infine, anteriormente, troviamo a destra, il
rapporto tra uretere destro e duodeno discendente, e a sinistra, il rapporto tra uretere sinistro
e flessura duodeno-digiunale. Il terzo prossimale dell’uretere, a livello della sua porzione
addominale, viene scavalcato ed entra così in contatto diretto con i vasi spermatici interni
che discendono verso le gonadi.
La flessura marginale o istmo inferiore dell’uretere entra in rapporto, a destra, con l’a. iliaca
esterna e, in un primo e breve tratto, con l’a. iliaca comune, mentre, a sinistra, il rapporto è
solo con l’a. iliaca comune.
Per quanto concerne la porzione pelvica dell’uretere bisogna distinguere i rapporti
riscontrabili nel sesso maschile, che differiscono da quelli riscontrabili nel sesso femminile.
Nel maschio, infatti, i due ureteri entrano in rapporto con le aa. vescicali, con i vasi e i nervi
otturatori e con l’a. ombelicale; a questo livello inoltre sono presenti anche importanti
rapporti che l’uretere contrae con le anse del tenue e con il retto; inoltre, poco prima che
l’uretere entri nella parete vescicale, ovvero prima del restringimento intramurale,
riscontriamo un importante rapporto che l’uretere instaura con il condotto deferente.
Nella femmina il rapporto più importante è quello con l’a. uterina; infatti questa prima tende
ad affiancare l’uretere decorrendo anterolateralmente a questo, dopo essere originata dall’a.
iliaca interna e passata subito posteriormente all’uretere; in seguito, l’a. uterina passa a ponte
sul davanti dell’uretere per portarsi orizzontalmente verso l’utero. Altri importanti rapporti
sono quelli con l’utero e con il retto; infatti, nella femmina si può osservare un cavo retto-
uterino, con cui l’uretere entra in rapporto medialmente; l’uretere infatti entra in rapporto
anteriormente con l’utero, posteriormente con il retto e con le anse del tenue, più in alto.
Inoltre, ricordiamo che l’uretere prima di entrare nella sua porzione intramurale, stabilisce
rapporti con il fornice vaginale laterale e anteriore. Infine, l’ultimo importantissimo rapporto
che l’uretere instaura nel sesso femminile è quello con il margine posteriore dell’ovaio; in
tal modo l’uretere contribuisce a delimitare la regione anatomica che accoglie l’ovaio,
ovvero la fossa ovarica.

3. VASCOLARIZZAZIONE
Diversi vasi arteriosi concorrono alla vascolarizzazione dell’uretere lungo il suo intero
decorso; a livello della porzione addominale avremo rami delle aa. renali e delle aa.
spermatiche interne o ovariche. A livello della porzione pelvica invece, alla
vascolarizzazione dell’uretere concorreranno rami dell’a. rettale media, dell’a. vescicale
inferiore e, più caudalmente e destinati alla porzione più inferiore, rami dell’a. pudenda
interna; è utile ricordare come queste ultime arterie citate siano tutti rami dell’a. iliaca
interna.
Il drenaggio venoso è garantito, parallelamente all’impalcatura arteriosa disposta attorno
all’uretere, dalle vv. renali, dalle vv. spermatiche interne e dai rami delle vv. iliache interne.

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- Il Surrene
Le ghiandole surrenali sono organi neuroendocrini pari, localizzabili in sede retroperitoneale.
Ogni ghiandola surrenale è formata in realtà da due ghiandole di diversa origine filo
embriologica, che si fondono a dare un unico organo parenchimatoso, il surrene appunto. La
porzione mesodermica o endocrina è costituita dalla corticale del surrene, mentre la midollare
del surrene, costituisce la porzione nervosa di derivazione ectodermica. Ogni surrene ha un peso
di ca. 4,2-5g e si posiziona a guisa di cappello frigio sul polo superiore del rene. Sono circondate
da abbondante tessuto adiposo della capsula adiposa renale. Posteriormente ciascuna ghiandola
possiede un piccolo ilo per le vene e i vasi linfatici, mentre arterie e nervi penetrano nel
parenchima surrenale attraverso diversi punti superficiali.

1. MORFOLOGIA
Dall’avanti il surrene destro presenta una forma triangolare con un apice evidente. La base
appare concava e in stretta relazione con il polo superiore del rene. Ventralmente il surrene
di destra entra in rapporto con il lobo destro del fegato e, più medialmente, con la v. cava
inferiore. Il surrene sinistro possiede una forma a semiluna e si applica più medialmente nei
confronti del rene rispetto a quanto avviene a destra. Infatti, la parte superiore del margine
mediale del rene risulta essere in stretto contatto con la base concava del surrene sinistro.
Ventralmente il surrene sinistro entra in rapporto con la borsa omentale e con la faccia
posteriore dello stomaco. Entrambi i surreni si trovano in uno spazio che si proietta sulla
parete addominale posteriore tra la XI e la XII costa.

2. VASCOLARIZZAZIONE
Le ghiandole surrenali sono riccamente fornite di sangue arterioso. Secondo una descrizione
classica, queste ricevono principalmente tre rami arteriosi per lato, che si dividono in base
alla loro origine e alla porzione degli organi surrenali che vanno a vascolarizzare. Avremo
così un’ a. surrenale superiore, che origina dal ramo laterale dell’a. frenica inferiore prima
che questa raggiunga il centro frenico del diaframma lungo la sua faccia inferiore, un’a.
surrenale media, che origina direttamente dall’aorta ed un’a. surrenale inferiore, che origina
dall’a. renale. Per quanto concerne la distribuzione di questi rami avremo che l’a. surrenale
superiore si porterà lungo il margine mediale del surrene fino al suo apice, per
vascolarizzare la faccia anteriore della ghiandola; l’a. surrenale media si distribuisce lungo
la faccia posteriore mentre, l’a. surrenale inferiore, giunge alla ghiandola più in basso della
media, ma ne vascolarizza la medesima porzione. In ogni caso si ritrovano numerose
anastomosi sia superficiali che interne al parenchima della ghiandola tra questi tre rami
arteriosi.
Il drenaggio venoso avviene, a destra, con un breve ramo surrenale che sfocia direttamente
nella vicina v. cava inferiore e, a sinistra, attraverso una più lunga v. surrenale sinistra che
può raggiungere o la v. renale sinistra o direttamente la v. cava inferiore o, in ultima istanza,
la v. frenica inferiore di sinistra.

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SISTEMA VASCOLARE RETRO-PERITONEALE

- L’Aorta Discendente Addominale


Dopo ce l’aorta ha attraversato l’orifizio aortico del diaframma, prende il nome di aorta
addominale. Questa comincia a livello di T12; discende anteriormente al corpo delle vertebre
lombari, spostata leggermente a sinistra del piano sagittale mediano. Termina dinnanzi al corpo
di L4, dove si divide in due grossi tronchi collaterali, le aa. iliache comuni destra e sinistra, e in
un piccolo ramo terminale, l’a. sacrale media. Con l’adattarsi alla curva della lordosi lombare
della colonna vertebrale risulta, in questo tratto, leggermente convessa in avanti.
La lunghezza media dell’aorta addominale è di ca. 13 cm, mentre, il diametro varia da 2,1 cm a
livello dell’orifizio aortico del diaframma fino a 1,7 cm a livello della sua biforcazione nei rami
collaterali terminali.
L’aorta contrae rapporti in avanti con il tessuto connettivo denso che la riveste lungo tutto il suo
decorso e con i plessi celiaco ed aortico del simpatico; inoltre comunica sul davanti con diverse
strutture, in senso craniocaudale, ovvero il pancreas, il duodeno orizzontale, il margine aderente
del mesentere. La v. renale sinistra e la v. splenica la incrociano sul davanti. A destra è
fiancheggiata dalla v. cava inferiore, che se ne discosta in alto per l’interposizione del pilastro
mediale del diaframma e del lobo caudato del fegato. A sinistra l’aorta instaura rapporti con il
tratto superiore del margine mediale del rene sinistro e con il surrene annesso, oltre che alla
pelvi renale e all’uretere di sinistra.
Le arterie collaterali dell’aorta si possono dividere in parietali e viscerali, queste ultime poi
possono essere aa. impari e aa. pari.

1. RAMI PARIETALI DELL’AORTA ADDOMINALE


Arterie Freniche Inferiori - sono due piccoli vasi, destro e sinistro, che nascono direttamente
o con un tronco comune dalla faccia anteriore dell’aorta addominale, contiguamente al
margine superiore dell’orifizio aortico del diaframma o del tronco celiaco. Divergono subito
l’una dall’altra e si portano entrambe superoanterolateralmente, applicate dal peritoneo sulla
faccia inferiore della parte lombare del diaframma. L’a. frenica inferiore di sinistra passa
posteriormente all’esofago, quella di destra alla v. cava inferiore. I suoi rami si
distribuiscono principalmente al m. diaframma. Il ramo laterale delle aa. freniche inferiori
fornisce anche delle arterie destinate alla faccia mediale e all’apice del surrene dello stesso
lato, ovvero dei ramoscelli arteriosi chiamati aa. surrenali superiori.
Arterie Lombari - formano da ciascun lato una serie di 4 rami arteriosi, che continua il
decorso e la morfologia che avevano presentato le aa. intercostali.
Le aa. lombari aortiche originano dall’aorta, come già facevano le aa. intercostali, e sono
ordinariamente in numero di 4 per lato; la V a. lombare è un ramo dell’a. sacrale media e
non è quindi compresa tra i rami dell’aorta. Originano dalla faccia posteriore dell’aorta e
decorrono indietro posteriormente alla v. cava inferiore, a destra, e all’interno del m. grande
psoas, originando comprese a livello degli intervalli tra i processi costiformi delle vertebre
lombari. Forniscono sul loro tragitto esili rami agli organi con cui hanno rapporto e a livello
del forame vertebrale si dividono in un ramo anteriore, o a. lombare propriamente detta, e
in un ramo posteriore, o a. dorso-spinale.

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2. RAMI VISCERALI IMPARI
Tronco Celiaco - è un breve e grosso vaso, lungo ca. 2 cm e del calibro di 1 cm, che nasce
dall’aorta addominale anteriormente, presso il margine dell’orifizio aortico del diaframma, a
sinistra della linea mediana. Proiettato sulla colonna vertebrale il tronco celiaco si trova a
livello del disco intervertebrale tra T12 ed L1. Il tronco celiaco si dirige in avanti e in basso
con una leggera obliquità verso destra, contornato da tessuto connettivo denso, ed entra in
stretto rapporto con i rami nervosi del plesso celiaco. Dà origine nel suo terzo medio all’a.
gastrica di sinistra, che si porta superoanteriormente nella piega gastropancreatica fino a
raggiungere il tratto superiore della piccola curvatura dello stomaco. Inoltre, il tronco celiaco
termina biforcandosi in a. epatica comune e a. splenica, quest’ultima avente un calibro
maggiore rispetto agli altri due rami arteriosi, di ca. 0,7 cm nell’adulto.
Arteria Mesenterica Superiore - è l’arteria che rifornisce l’intestino mesenteriale e parte del
duodeno, oltre che la metà destra e superiore destra dell’intestino crasso. Impari e mediana,
origina dalla faccia anteriore dell’aorta ca. 2 cm sotto l’origine del tronco celiaco. Si dirige
inferoanteriormente dinnanzi all’aorta e posteriormente alla testa del pancreas; emerge
proprio sotto quest’organo compresa tra la testa e il processo uncinato e si porta
superiormente al duodeno al confine tra III e IV porzione, insieme alla v. omonima che
decorre alla sua destra e, in basso, anteriormente all’arteria stessa. Penetra nel mesentere e
segue il decorso della sua radice disegnando una curva con convessità rivolta a sinistra e in
avanti, arrivando fino alla fossa iliaca di destra. Termina in corrispondenza della giunzione
ileocolica con un calibro molto ridotto, grazie alla numerosa serie di rami collaterali emessi,
e anastomizzandosi con un ramo dell’a. ileocolica, suo ramo collaterale. I principali rami
dell’a. mesenterica superiore sono l’a. pancreatico-duodenale inferiore, con i suoi rami
anteriore e posteriore, le aa. intestinali, l’a. colica media, l’a. colica destra e l’a. ileocolica.
Arteria Mesenterica Inferiore - è un’arteria impari e mediana che nasce dalla faccia anteriore
dell’aorta ca. 4-5 cm cranialmente alla sua biforcazione in aa. iliache comuni destra e
sinistra. ha un calibro molto più piccolo rispetto all’a. mesenterica inferiore e irrora le
porzioni di sinistra del colon, fino all’intestino retto e al canale anale. Si dirige in basso e
leggermente a sinistra, posteriormente al peritoneo parietale, fornendo rami quali l’a. colica
sinistra e l’a. sigmoidea, e termina col nome di a. emorroidale superiore, nella parete del
retto, come principale ramo arterioso di quest’organo.

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3. RAMI VISCERALI PARI
Sono i rami che forniscono la vascolarizzazione arteriosa ad organi quali reni, genitali
interni e ghiandole surrenali.
Arterie Surrenali Medie - Delle arterie che vascolarizzano le ghiandole surrenali solo le aa.
surrenali medie originano direttamente dall’aorta, a livello delle facce laterali destra e
sinistra di questa; sono molto piccole nel calibro, pari e distinte in destra e sinistra.
decorrono anteriormente ai rispettivi pilastri mediali del diaframma e, a destra, l’a. surrenale
incrocerà sul di dietro la v. cava inferiore, mentre, a sinistra, l’a. surrenale media decorrerà
inclusa in uno spazio connettivale molto ricco di linfonodi.
Arterie Renali - pari, anche loro in numero di due, distinte in destra e sinistra. nascono dalle
facce laterali destra e sinistra dell’aorta addominale L1. Per raggiungere i reni si portano
obliquamente all’infuori e in basso, descrivendo una curva con concavità posteriore che si
adatta alla porzione anterolaterale dei corpi vertebrali. Ovviamente, essendo il rene destro in
una posizione più bassa rispetto al rene sinistro, la rispettiva a. renale destra, sarà più
obliqua. Per questo motivo, inoltre, l’a. renale destra sarà più lunga rispetto a quella di
sinistra, oltre che per la posizione che l’aorta assume rispetto al piano mediano, ovvero
leggermente spostata a sinistra. giacciono posteriormente alle vv. renali e, a destra, anche
alla v. cava inferiore. L’a. renale destra è lunga ca. 5-6 cm, l’a. renale sinistra non supera i 4
cm. Il calibro è ampio in relazione all’attività renale, non alla grandezza degli organi.
Arterie Spermatiche Interne - in numero di due riforniscono di sangue arterioso le gonadi
come, rispettivamente, nel maschio aa. testicolari e, nella femmina, aa. ovariche. Nascono a
livello di L2 dalla parete anteriore dell’aorta, caudalmente alle aa. renali. Possiedono un
calibro ridotto ma una notevole lunghezza, in relazione alla migrazione delle gonadi dalla
regione lombare allo scroto o alla piccola pelvi. Si portano ad angolo acuto
inferoanteriormente e, a destra, l’a. spermatica interna passa sul davanti della v. cava
inferiore. Forniscono nel loro decorso rami all’uretere, alla capsula fibrosa del rene e ai
linfonodi contigui.

4. ARTERIA SACRALE MEDIA


L’a. sacrale media rappresenta il ramo terminale ed estremo dell’aorta addominale, impari e
mediano, divenuto atrofico in seguito all’involuzione che il segmento sacro coccigeo della
colonna vertebrale ha subito nella nostra specie. Si dirige in basso con decorso leggermente
flessuoso, applicandosi alla colonna vertebrale.

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- La Vena Cava Inferiore
La v. cava inferiore o ascendente è il tronco comune delle vene provenienti dalla porzione
sottodiaframmatica del corpo. Decorre per quasi tutta la sua lunghezza nella cavità addominale
e, dopo aver oltrepassato il diaframma, decorre per un breve tratto nella cavità toracica, per
aprirsi poi nell’atrio destro del cuore. Il suo territorio di origine corrisponde a quello di
distribuzione dell’aorta addominale, di cui è satellite.
Si forma per la confluenza delle vv. iliache comuni a livello del disco intervertebrale tra L4 ed
L5, a destra rispetto alla linea mediana. Si dirige poi in alto, inclinandosi in avanti e a destra
rispetto alla colonna vertebrale, per prendere rapporto con la faccia posteriore del fegato.
Ha una lunghezza media di 22 cm, di cui 18 appartenenti alla porzione addominale. Il suo
calibro è maggiore rispetto a quello della v. cava superiore e dell’aorta, misurando mediamente
ca. 3,3 cm; il calibro del suo lume aumenta progressivamente in direzione caudocraniale
soprattutto dopo la confluenza delle vv. renali e delle vv. epatiche. È priva di valvole e presenta
una parete con due strati muscolari ortogonali, uno circolare e uno longitudinale, che fanno di
essa la vena prototipo tra quelle di tipo propulsivo. Tra gli importanti rapporti della v. cava
inferiore ricordiamo quello che instaura con il forame epiploico, chiudendolo posteriormente in
posizione retroperitoneale.
Parallelamente a quanto avviene per l’aorta, avremo dei rami affluenti parietali e dei rami
affluenti viscerali. I primi sono costituiti dalle vv. lombari e dalle vv. freniche inferiori; i rami
viscerali sono invece le vv. renali e surrenali, le vv. spermatiche interne e le vv. epatiche. Inoltre
a livello dell’origine della v. cava inferiore, ovvero nel punto di unione delle due vv. iliache
comuni, troviamo una v. sacrale media, satellite dell’arteria omonima.

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1. RAMI PARIETALI
Vene freniche inferiori - nascono da una rete estesa posta sulla faccia inferiore del diaframma.
Raggiungono, dopo aver accompagnato con rami distinti le arterie omonime, un piccolo tronco
comune che sbocca direttamente nella v. cava inferiore, sopra le vv. epatiche e subito prima
dell’orifizio cavale del centro frenico del diaframma.
Vene Lombari - sono rami in numero di 4-5 che originano per la confluenza di un ramo ventrale,
che decorre orizzontalmente nella parete addominale e raccoglie sangue dai muscoli larghi
dell’addome, e un ramo dorsale o dorso-spinale, più ampio, che drena la parete del dorso e i
plessi venosi vertebrali. Raggiungono la v. cava inferiore, a sinistra, passando dietro l’aorta e
incrociando il piano mediano.

2. RAMI VISCERALI
Vene Renali - è un tronco pari, breve e voluminoso, che si costituisce a livello dell’ilo renale per
la confluenza di 3-5 vene principali che emergono dal parenchima renale. Decorre
trasversalmente, un po’ obliqua caudocranialmente in direzione lateromediale, a livello di L2, e
aprendosi nella v. cava inferiore lungo le facce laterali di questa, determinandone un discreto
aumento di calibro. Sono affluenti delle vv. renali le vene della capsula fibrosa del rene, quelle
dell’uretere, piccole vv. provenienti dal surrene e, a sinistra, anche la v. spermatica interna, che
può confluire nella v. renale sinistra. le vv. renali stabiliscono anastomosi con le vv. lombari e, a
volte, con la v. emiazygos. A livello del loro sbocco si può trovare una valvola rudimentale.
Ciascuna v. renale è posta davanti all’omonima arteria in sede retroperitoneale. La sinistra è un
po’ più voluminosa e decorre, data la posizione del rene sinistro, con un decorso meno obliquo e
più lungo, portandosi davanti all’aorta e passando immediatamente al di sotto dell’origine dell’a.
mesenterica superiore.
Vene Surrenali - è una vena pari discretamente voluminosa, che proviene, soprattutto a destra,
dal parenchima della ghiandola surrenale. A sinistra infatti vi sono vv. surrenali dirette alla v.
renale e alla v. frenica inferiore, oltre che alla v. cava inferiore.
Vene Spermatiche Interne - sono vene pari che accompagnano il decorso delle arterie omonime.
Vene Epatiche - le grandi vv. epatiche sono costituite da tre grossi tronchi di 1,5-1,8 cm di
calibro che emergono dal fegato in corrispondenza della parte più alta della fossa della v. cava e
si aprono ad angolo acuto in questa vena determinandone un secondo, il primo era in
corrispondenza delle vv. renali, aumento di calibro. Dei tre il tronco destro, che drena il lobo
destro del fegato, è il più voluminoso mentre il medio e quello più piccolo.

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- La Vena Porta
La v. porta è il vaso che raccoglie il sangue refluo dalla parte sottodiaframmatica del canale
alimentare, dal pancreas, dalla colecisti e dalla milza. Si costituisce per la confluenza di grossi
tronchi venosi che, dopo essersi uniti nella v. porta, si diramano attraverso questa nel
parenchima epatico insieme all’a. epatica dando origine ad una fitta rete capillare nei lobuli del
fegato. Dalle reti capillari dei lobuli epatici traggono origine le vv. epatiche, tributarie della v.
cava inferiore. Il sangue degli organi drenati dal sistema della v. porta deve, dunque, prima
circolare nel parenchima epatico e poi riversarsi nella v. cava inferiore.
La v. porta si forma per la confluenza, in posizione retropancreatica, di due grossi tronchi
venosi, ovvero la v. mesenterica superiore e la v. splenica.
La v. mesenterica superiore corrisponde per distribuzione all’a. omonima e raccoglie il sangue
refluo dall’intestino mesenteriale e da una porzione del duodeno, e dalla metà destra
dell’intestino crasso. Comincia presso l’estremità terminale dell’ileo e si porta verticalmente
nella radice del mesentere, descrivendo una lunga curva con concavità a destra ed in avanti;
passa insieme all’a. mesenterica superiore sul davanti della porzione orizzontale del duodeno e
dietro la testa del pancreas dove si unisce alla v. splenica. Decorre a destra e sul davanti all’a.
omonima. nel suo decorso riceve come vene tributarie le vv. intestinali, la v. ileo-colica, la v.
colica media, la v. colica destra, la v. pancreatico duodenale, v. gastroepiploica destra, vv.
pancreatiche e vv. duodenali.
La v. splenica è un vaso di grosso calibro che corrisponde, come decorso, all’a. omonima e che
drena organi quali milza, pancreas, stomaco e grande omento. Il tronco di questa vena scorre da
sinistra a destra, dapprima sul margine superiore della coda del pancreas, poi sulla faccia
posteriore del corpo di quest’organo, accolta in un solco leggero scavato nel parenchima
pancreatico. Si unisce ad angolo retto con la v. mesenterica superiore dopo aver incrociato sul
davanti l’aorta. In confronto all’a. omonima ha un decorso più caudale e rettilineo, oltre che
essere più grossa nel calibro. Le vene tributarie della v. splenica sono le vv. lienali, le vv.
gastriche brevi, la v. gastroepiploica di sinistra e la v. mesenterica inferiore. Quest’ultima drena
la metà sinistra e la porzione inferiore dell’intestino crasso, compreso la v. rettale superiore,
vena che contribuisce a formare il plesso venoso emorroidale, importante plesso anastomotico
portocavale.
La v. porta offre a considerare numerose vene tributarie collaterali, che affluiscono nel suo
circolo con posizioni e disposizione variabili; queste sono le vv. gastriche destra e sinistra e la v.
cistica.
La v. porta giunta a livello dell’ilo epatico si divide a T ed i suoi rami terminali, che stanno su
un medesimo piano orizzontale, occupano la parte posteriore dell’ilo, ponendosi posteriormente
all’a. epatica e alle sue diramazioni e, ancor di più, rispetto ai dotti biliari che confluiscono nel
dotto epatico. Queste tre componenti formano la triade portale, ovvero l’insieme di vasi e dotti
che decorrono assieme sia nel parenchima epatico che nel loro decorso extraepatico. Dei due
rami della v. porta, il ramo destro è sicuramente più grosso e fornisce sangue al lobo destro e
alla maggior parte del lobo quadrato e del lobo caudato. Il lobo sinistro appare più esile e sottile.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 138


- Le Vene Porte Accessorie
Possono essere descritti almeno 5 gruppi di vene che confluiscono nel parenchima epatico non
attraverso la v. porta ma direttamente come ramificazioni indipendenti; tuttavia, è possibile che
molte di queste vv. porte accessorie si presentino come semplici rami collaterali della v. porta
principale. I piccoli sistemi di vene che confluiscono in un piccolo tronco direttamente nel
fegato vengono detti vv. porte accessorie perché sostanzialmente ricalcano in miniatura la
morfologia e le caratteristiche del sistema portale.
I - il primo gruppo è formato da numerose piccole vene provenienti dalla piccola curvatura dello
stomaco e dal piccolo omento; seguendo il decorso di quest’ultimo raggungono l’ilo epatico e si
distribuiscono nel parenchima dell’organo in corrispondenza del solco da cui il ligamento
gastro-epatico origina.
II - il secondo gruppo è più cospicuo e offre a considerare un gruppo di 12-15 piccole vene che
nascono dalla parete della colecisti e si distribuiscono nel parenchima epatico vicino.
III - il terzo gruppo raccoglie piccole ed esili vene dalla faccia inferiore del diaframma che si
portano, attraverso il ligamento falciforme, alla faccia superiore del fegato, in particolare in
corrispondenza dell’area nuda di questo.
IV - il quarto gruppo è rappresentato dalle vv. paraombelicali o del Sappey, ovvero 4-5 piccole
vene che nascono dalla parete addominale in corrispondenza della regione paraombelicale.
Creano numerose anastomosi con le altre vene della parete addominale anteriore e si dirigono,
attraverso il ligamento rotondo, al fegato, entrando nel parenchima di questo attraverso il
margine anteriore o attraverso la fossa della v. ombelicale.
V - il quinto e ultimo gruppo è rappresentato dalle piccole venule e dai capillari venosi di
piccolo calibro, che originano dalle pareti della triade portale.

- Comunicazioni Porto-Cavali Inferiori


I due principali sistemi anastomotici che si costituiscono tra il sistema portale e il sistema cavale
riguardano le vv. paraombelicali e le vv. rettali. Infatti attraverso le vv. paraombelicali la v.
porta comunica con le vv. addominali sottocutanee; in caso di ipertensione portale può
manifestarsi la condizione di dilatazione di queste vv. paraombelicali definita come caput
medusae. È utile a tal proposito ricordare che piccole vene, dal calibro esile, provenienti da
diverse porzioni del tratto gastrointestinale dell’apparato digerente e comunicanti con il sistema
portale si portano verso la parete addominale attraverso il sistema del Retzius. Tali vene piccole
e numerose, formano diversi e variabili collegamenti anastomotici tra il circolo sistemico e il
circolo portale.
La v. rettale superiore che raggiunge la v. porta attraverso la v. mesenterica inferiore, è
compresa nel plesso venoso emorroidario insieme alle più esili vv. rettali o emorroidali
inferiore e media, entrambe tributarie della v. iliaca interna, che confluisce attraverso la v. iliaca
comune nella v. cava inferiore. Se si verifica una stasi portale in tale regione può verificarsi
l’insorgere di emorroidi venose.

- Comunicazioni Porto-Cavali Superiori


In corrispondenza del cardias dello stomaco si trovano anastomosi portocavali tra rami della v.
gastrica sinistra e le vv. esofagee, tributarie della v. azygos e della v. emiazygos, entrambe
tributarie della v. cava superiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 139


- Vasi Iliaci Comuni
1. ARTERIE ILIACHE COMUNI
Le aa. iliache comuni sono due grossi rami, destro e sinistro, collaterali, che l’aorta emette
quando è giunta alla sua terminazione; esse provvedono con le loro diramazioni a
vascolarizzare le pelvi, gli organi pelvici e gli arti inferiori.
Si estendono da L4 fino all’articolazione sacroiliaca, poco sopra al livello del promontorio
del sacro, dove terminano biforcandosi. Sono obliquamente dirette lateroinferiormente e
leggermente posteroanteriormente, portandosi dall’alto verso in basso, ovvero dalla loro
origine aortica. L’angolo che si forma tra le aa. iliache destra e sinistra è, nel maschio, un
angolo acuto di 65°, nella femmina, un angolo più ampio di ca. 75°. Il calibro medio è di 1,1
cm e la lunghezza di ca. 5-6 cm.
Le aa. iliache comuni in avanti sono ricoperte da peritoneo parietale e sono incrociate da
rami del tronco dell’ortosimpatico. L’a. iliaca comune di sinistra è anche incrociata, presso il
suo punto di divisione, dall’uretere di sinistra e dai vasi mesenterici inferiori. In dietro le aa.
iliache comuni alloggiano sulla faccia laterale dei corpi vertebrali di L4 ed L5, oltre che sul
margine mediale del m. grande psoas; a destra questi rapporti sono in gran parte indiretti per
l’interposizione delle due vv. iliache comuni. I rapporti delle aa. iliache comuni con le vv.
omonime sono differenti dai due lati, in conseguenza della posizione che assume la v. cava
inferiore rispetto all’aorta; a destra, l’a. iliaca comune decorre anteriormente alla v. iliaca
comune di destra ed è ad essa intimamente unita; a sinistra, all’origine, la v. iliaca comune
decorre posteromedialmente all’a. iliaca comune, diventando nel salire sempre più mediale
e, infine, passando posteriormente anche alla prima porzione o porzione prossimale dell’a.
iliaca comune di destra.

2. VENE ILIACHE COMUNI


Le vv. iliache comuni, destra e sinistra, che formano i tronchi di origine della v. cava
inferiore, sono due grossi vasi nei quali si raccoglie il sangue che proviene dalle pelvi e dalle
estremità addominali. Si costituiscono su ciascun lato dalla confluenza ad angolo acuto della
v. iliaca esterna con la v. iliaca interna; tale unione ha luogo su entrambi i lati a livello della
porzione superiore dell’articolazione sacro-iliaca. Le vv. iliache comuni poggiano sulla base
del sacro e sulle facce anterolaterali del corpo di L5; terminano unendosi tra loro per
formare la v. cava inferiore sotto un angolo di 65°, a livello del disco intervertebrale tra L4
ed L5, a destra della linea mediana e dell’aorta.
Le vv. iliache comuni hanno un calibro di ca. 1,6 cm; la lunghezza, i rapporti e la direzione
delle vene sui due lati sono diversi, in relazione al fatto che la loro origine avviene in punti
simmetrici ma la loro terminazione e confluenza è spostata a destra rispetto al piano sagittale
mediano. La v. iliaca comune di destra è lunga ca. 5 cm, più verticale rispetto all’omonima
controlaterale, presentando ugualmente il tipico decorso lateromediale in senso
caudocraniale. Si pone rispetto all’arteria omonima, prima posteriormente e poi
lateralmente. La v. iliaca comune sinistra invece è più lunga e più obliqua. Decorre
inizialmente posteriormente all’a. omonima, per poi portarsi medialmente a questa, fino ad
incrociare sul di dietro l’a. iliaca comune destra, e per unirsi alla v. omonima controlaterale.
Nelle v. iliache comune spesso confluisce la vena impari e mediale, piccola e modesta nel
calibro, detta v. sacrale media; alle volte anche le vv. ileo lombari, ciascuna per lato,
confluiscono come tributarie nelle vv. iliache comuni.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 140


- Vasi Iliaci Interni
1. ARTERIE ILIACHE INTERNE
L’a. iliaca interna è il ramo mediale di biforcazione dell’a. iliaca comune e provvede alla
vascolarizzazione di visceri e pareti della regione pelvica. Dalla sua origine, che è poco al di
sopra del promontorio del sacro, discende in senso obliquo posteroinferomedialmente,
disegnando una leggera curva a concavità posteriore. forma con l’a. iliaca esterna un angolo
acuto di ampiezza variabile. La sua lunghezza è di ca. 3-5 cm, mentre, il suo calibro risulta
essere minore rispetto a quello dell’a. iliaca esterna, tranne che nel feto.
Alla sua origine l’a. iliaca interna si trova presso il margine mediale del m. ileopsoas,
mentre, più in basso, si poggia sul sacro e sul plesso nervoso lombosacrale: la v. iliaca
interna destra decorre posterolateralmente all’a. omonima, mentre, a sinistra, segue un
decorso posteromediale.
Le ramificazioni dell’a. iliaca interna sono molto variabili nei punti di origine e di
distribuzione; nel maggior numero dei casi tuttavia, in prossimità della grande incisura
ischiatica, emette, dapprima un piccolo ramo arterioso ileo lombare, e poi si divide in due
tronchi maggiori, uno anteriore e uno posteriore. Il tronco posteriore, più voluminoso, si
dirige posteroinferiormente ed esce dal bacino a livello della porzione superiore della grande
incisura ischiatica, passando inferiormente al nervo lombo-sacrale; il tronco posteriore
emette le aa. sacrali laterali superiore e inferiore e si continua al di fuori del bacino come a.
glutea superiore. Il tronco anteriore scende verticalmente emettendo rami come l’a.
otturatoria e l’a. ombelicale, quest’ultima da origine all’a. vescicale superiore e all’a.
ombelicale propriamente detta obliterata nella vita postnatale; poi avremo l’a. vescicale
inferiore con l’a. rettale media, e prima di questo, nella donna, il tronco comune utero-
vaginale, con le aa. uterina e vaginale; il tronco anteriore dell’a. iliaca interna termina
dividendosi in a. glutea inferiore, che si porta posteriormente, e in a. pudenda interna, da
cui origina l’a. rettale inferiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 141


2. VENE ILIACHE INTERNE
La v. iliaca interna è un grosso vaso, che si costituisce dalla confluenza delle vene
provenienti dalla parete delle pelvi e dai visceri in questa contenuti e che, unendosi alla v.
iliaca esterna, dà origine con essa alla v. iliaca comune. Incomincia presso la parte più alta
dell’incisura ischiatica e si dirige in alto, scorrendo davanti all’articolazione sacroiliaca, al
m. piriforme e al plesso sacrale della v. sacrale media. Decorre posteromedialmente all’a.
omonima e termina a livello del margine superiore dell’a. sacroiliaca, unendosi ad angolo
acuto con la v. iliaca esterna. È lunga mediamente 4 cm con un diametro di ca. 1 cm; di
regola non presenta valvole. Secondo le loro origine le radici della v. iliaca interna si
possono classificare in rami parietali e rami viscerali. Le prime provengono dalle pareti
della pelvi, le seconde dai visceri di questa. Le v. viscerali si distinguono per il numero
maggiore, per la grossezza e per le numerosissime anastomosi che si creano tra i loro rami;
per questo motivo esse formano non rami retti ma veri e propri plessi venosi in
comunicazione tra loro e con quelli controlaterali.
I decorsi della v. e dell’a. iliaca interna sono sovrapponibili; la v. iliaca interna è formata
principalmente dalla confluenza della v. glutea superiore, che drena la v. sacrale laterale, e
del tronco venoso in cui confluiscono secondo un ordine prossimodistale la v. otturatoria, il
tronco comune della v. vescicale superiore e della v. uterina che drena il plesso venoso
utero-vaginale, il tronco comune della v. vescicale inferiore e della vena che drena il plesso
o vescico-vaginale o vescico-prostatico, la v. rettale media e infine, la v. pudenda interna,
che drena la v. glutea inferiore e soprattutto la v. rettale inferiore.
Vv. Glutee Superiori ed Inferiori - le prime, anche dette semplicemente v. glutee,
raggiungono il bacino passando attraverso il forame soprapiriforme insieme all’a. glutea
superiore e confluiscono nel tronco venoso che sbocca nella v. iliaca interna e che raccoglie
la v. sacrale laterale. Le vv. glutee inferiori o vv. ischiatiche invece decorrono, passando
attraverso il forame infrapiriforme, fino a confluire nella porzione prossimale della v.
pudenda interna.
Vv. Otturatorie e Vv. Sacrali Laterali - le prime raggiungono il bacino attraverso il forame
otturatorio; le seconde si anastomizzano nel plesso venoso sacrale, situato ventralmente
all’osso sacro, con la v. sacrale media.
Plesso Emorroidario - contenuto nella parete dell’intestino retto è drenato principalmente
dalla v. rettale superiore, tributaria della v. mesenterica inferiore che decorre anteriormente
alla v. iliaca comune di sinistra, dalla v. rettale media, che drena non solo il retto ma anche
la maggior parte delle strutture pelviche, e dalla v. rettale inferiore, che drena le porzioni
inferiori del retto e del canale anale e che scarica nella v. pudenda interna.
Plesso Venoso Vescico-Prostatico/Vescico-Vaginale e Utero-Vaginale - nel maschio è il
principale plesso venoso pelvico ed è posto lungo la faccia inferiore e laterale della vescica e
lungo la faccia laterale della prostata, su entrambi i lati. Il plesso vescico-vaginale nella
donna è collegato con il principale plesso venoso della pelvi femminile, il plesso utero-
vaginale. Il plesso vescico-vaginale è posto lungo la faccia laterale della vescica, su
entrambi i lati, e sulla faccia laterale della vagina. Risulta essere separato dal plesso utero-
vaginale, che decorre lungo le facce laterali dell’utero, dall’uretere, che decorre medialmente
tra questi due plessi, strettamente collegati tra loro.
V. Pudenda Interna - in questa vena confluiscono numerose vene tributarie appartenenti sia
al plesso emorroidario sia alle vene del pavimento pelvico, tra cui ricordiamo le vv. profonde
del pene o del clitoride, la v. rettale inferiore e le vene del plesso pudendo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 142


- Vasi Iliaci Esterni
1. ARTERIE ILIACHE ESTERNE
Il ramo laterale della biforcazione dell’a. iliaca comune è un grosso tronco, che si prolunga
dalla pelvi nell’arto inferiore ed arriva fino al di sotto dell’arcata tendinea del m. soleo. Nei
suoi tratti successivi si continua nell’arto inferiore come a. femorale e a . poplitea.
L’a. iliaca esterna si estende, posta entro la pelvi, dalla divisione dell’a. iliaca comune, fino
al ligamento inguinale, dove, passando per la lacuna dei vasi, emerge nella coscia come a.
femorale. Ha una lunghezza di 10-11 cm e un diametro medio di 1,2 cm. È diretta
obliquamente anterolateroinferiormente, continuando l’asse del decorso dell’a. iliaca
comune. Descrive una leggera curva con concavità rivolta inferomedialmente.
La v. iliaca esterna è posta posteromedialmente all’a. iliaca esterna. I due vasi risultano
essere intimamente uniti e sono involti da una guaina connettivale, che dipende dalla fascia
iliaca.
L’a. iliaca esterna emette come rami collaterali l’a. epigastrica inferiore, a ca. 1 cm prima
di incrociare il ligamento inguinale, che si porta superoanteriormente verso la parete
addominale anteriore per penetrare nel m. retto dell’addome e anastomizzarsi con l’a.
epigastrica superiore, e l’a. circonflessa iliaca profonda, che nasce più distalmente rispetto
all’epigastrica inferiore, a pochi mm di distanza dal ligamento inguinale, e si porta in alto
verso l’osso dell’anca, ovvero verso la cresta iliaca e le porzioni inferiori dei muscoli della
parete anterolaterale.

2. VENE ILIACHE ESTERNE


La vena principale dell’estremità addominale è un grosso vaso, che comincia nella fossa
poplitea, percorre la regione anteromediale della coscia, e termina nella pelvi, unendosi alla
v. iliaca interna ad angolo acuto, per formare insieme la v. iliaca comune. Il suo segmento
prossimale è la v. iliaca esterna, che è preceduto da un segmento decorrente nella coscia, la
v. femorale e, più distalmente, da un altro posto dietro il ginocchio, la v. poplitea.
La v. iliaca esterna incomincia facendo seguito alla v. femorale, al di dietro del ligamento
inguinale. È diretta verso l’alto e verso un piano più profondo, superoposteromedialmente. È
dapprima mediale all’a. omonima ma si sposta gradatamente posteriormente a questa,
decorrendo lungo il margine mediale del m. grande psoas. Ha un diametro medio di 1,3 cm e
si anastomizza con la v. iliaca interna per mezzo di un ramo pubico che si unisce alla v.
otturatoria, ramo prossimale della v. iliaca interna.
I suoi rami collaterali sono rappresentati dalla v. circonflessa iliaca profonda, satellite dell’a.
omonima, che si anastomizza con la v. ileo lombare e procede in alto seguendo l’osso ileo
dell’anca, e la v. epigastrica inferiore, doppia per quasi tutto il suo decorso, che si unisce in
un unico ramo prima di sboccare nella v. iliaca esterna; la v. epigastrica inferiore drena la
porzione inferiore della parete addominale, in particolare del m. retto dell’addome e del m.
obliquo esterno.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 143


SISTEMA NERVOSO RETRO-PERITONEALE

- Tratto Lombo-Sacro-Coccigeo del Tronco dell’Ortosimpatico


Il sistema nervoso autonomo dell’addome si costituisce a partire dal nervo vago e da numerosi
nervi splancnici. La parte ortosimpatica del sistema nervoso autonomo dell’addome è costituita
da nervi splancnici addomino-pelvici derivati dai tronchi simpatici toracici e addominali, gangli
simpatici, plessi addominali e infine plessi periarteriosi; i plessi sono misti e contengono sia
fibre ortosimpatiche che fibre parasimpatiche, oltre che fibre afferenti viscerali o dolorifiche.
I nervi splancnici addomino-pelvici includono i nervi splancnici toracici inferiori, che derivano
dalla porzione toracica del tronco dell’ortosimpatico, e i nervi splancnici lombari derivanti dalla
parte lombare del tronco dell’ortosimpatico. I primi sono la fonte principale delle fibre
simpatiche che innervano i visceri addominali; sono tre, ovvero il nervo splancnico grande, che
va da T5 a T9, il nervo splancnico piccolo, che comprende T10 e T11, e il nervo splancnico
minimo, che comprende solo T12, e attraversano il diaframma per raggiungere i plessi
addominali.
La parte addominale dei tronchi dell’ortosimpatico è composta da 4 gangli lombari
paravertebrali. Questi danno origine a 4 nervi splancnici lombari che si portano verso i plessi
inferiori della cavità addomino-pelvica.
I nervi splancnici pelvici non hanno nulla a che vedere con il tronco dell’ortosimpatico e
derivano direttamente dai rami ventrali dei nervi spinali, da S2 a S4.

- Il Plesso Celiaco
Il plesso celiaco, o plesso solare, che circonda la radice del tronco celiaco arterioso, contiene
due gangli celiaci irregolari, uno destro e uno sinistro, della lunghezza approssimativa di 2 cm,
che si uniscono al di sopra e al di sotto del tronco celiaco. Le fibre simpatiche del plesso celiaco
provengono dai nervi grande e piccolo splancnico, ovvero da nervi splancnici toracici inferiori.
Le fibre parasimpatiche, invece, derivano dal tronco vagale posteriore, che deriva sia dal nervo
vago destro che dal nervo vago di sinistra.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 144


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 145
Parte V - Lo Spazio Pelvico
SCHELETRO E PARETI DELLA PELVI

- Osso Coxale o Osso dell’Anca


Il bacino o pelvi è costituito dalle due ossa dell’anca e dal tratto sacrococcigeo della colonna
vertebrale. L’osso dell’anca è un osso pari, costituito a sua volta da tre ossa, ovvero l’ileo,
l’ischio e il pube, unite a livello dell’acetabolo in una sinostosi. L’acetabolo è quello spazio
concavo che accoglie la testa del femore e si articola con essa; esso è delimitato dal ciglio
dell’acetabolo che circoscrive la fossa dell’acetabolo; tra il ciglio e la fossa dell’acetabolo si
interpone una superficie articolare semilunare, incompleta, che riveste parte della superficie
concava della fossa dell’acetabolo; in basso, l’acetabolo confina con il forame otturato
attraverso una incisura dell’acetabolo.

1. ILEO
L’ileo è la porzione più estesa dell’osso dell’anca. È costituito da un corpo e da un ala; il
corpo contribuisce alla costituzione dell’acetabolo e risulta essere la porzione più inferiore,
l’ala invece, risulta essere la porzione superiore più slargata, separata dal corpo mediante la
linea arcuata dell’ileo, ovvero una linea che si porta anteroposteriormente e
inferosuperiormente dal corpo del pube fino alla superficie auricolare dell’articolazione
sacroiliaca. Il corpo dell’ileo presente come caratteristiche morfologiche evidenti, lungo la
faccia laterale o esterna, in corrispondenza dell’acetabolo, il solco sopraacetabolare, che si
pone attorno a demarcare il decorso del ciglio dell’acetabolo, e lungo la faccia mediale o
interna la linea arcuata. L’ala dell’ileo offre a considerare, sulla faccia laterale o esterna, la
faccia glutea, ovvero una superficie liscia ed estesa attraversata da tre linee glutee, ovvero
inferiore, anteriore e posteriore, mentre, lungo la faccia mediale o interna, la fossa iliaca,
che presenta una porzione anteriore liscia ed estesa, ed una porzione posteriore più
irregolare, dove si possono trovare la tuberosità iliaca e soprattutto la superficie auricolare
per l’articolazione sacroiliaca. Il margine superiore dell’ala dell’ileo è rappresentato dalla
cresta iliaca, che origina anteriormente in corrispondenza della spina iliaca anteriore
superiore e si continua anteroposteriormente attraverso due labbri, uno laterale o esterno e
uno mediale o interno, separati da una linea intermedia; una lieve sporgenza detta tubercolo
iliaco si diparte dal labbro laterale, a circa metà del decorso della cresta iliaca; quest’ultima
termina in corrispondenza della spina iliaca posteriore superiore, posta superiormente alla
vicina spina iliaca posteriore inferiore. Anche la spina iliaca anteriore superiore risulta
essere contigua alla spina iliaca anteriore inferiore, da cui è separata per mezzo di una lieve
incisura. Sulla faccia glutea oltre a decorrere le tre linee glutee si trovano numerosi forami
nutritizi formati da diversi canalicoli vascolari.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 146


2. PUBE
Anche l’osso pubico risulta essere costituito da un corpo, a cui seguono un ramo superiore e
un ramo inferiore. I due rami, superiore e inferiore, delimitano in avanti e in basso il forame
otturatorio. Essi si uniscono anteromedialmente a livello della faccia sinfisaria e, sopra
quest’ultima, si trova il tubercolo pubico, da cui si dipartono, medialmente, la cresta pubica
e, lateralmente, la cresta pettinea. Quest’ultima si dirige verso il corpo del pube,
anterosuperiormente al forame otturatorio e si continua, superoposteriormente, con la linea
arcuata dell’ileo. A livello del punto di passaggio tra ramo superiore del pube e ileo,
superiormente al corpo del pube, si trova l’eminenza ileopubica o ileopettinea, ovvero un
inspessimento della cresta pettinea, che si solleva rispetto al corpo del pube e dell’ileo. Al di
sotto del tubercolo pubico e del ramo superiore del pube si forma il solco otturatorio,
delimitato da due piccoli tubercoli non sempre presenti, ovvero i tubercoli otturatorii
anteriore e posteriore.

3. ISCHIO
L’ischio è formato da un corpo e da un ramo, il quale unendosi in basso con il ramo
inferiore del pube forma la branca ischiopubica che delimita posteroinferiormente il forame
otturatorio. Nell’ischio si osserva una importante spina ischiatica, lungo il margine
posteriore, che divide quest’ultimo in una grande incisura ischiatica, superiore e in rapporto
con il corpo dell’ileo, ed in una piccola incisura ischiatica, inferiore e in rapporto con il
ramo dell’ischio. La grande incisura ischiatica si estende ad angolo acuto, dapprima
portandosi in alto lungo il margine posteriore del corpo dell’ischio e, in seguito, portandosi
posteriormente lungo il margine inferiore della superficie auricolare dell’ileo. Nel punto di
passaggio tra branca ischiopubica e ramo dell’ischio si trova la tuberosità ischiatica.

4. MORFOLOGIA GENERALE DELLA PELVI


Si deve innanzitutto distinguere una grande pelvi da una piccola pelvi; il limite tra queste
due regioni anatomiche, ovvero la grande pelvi situata superiormente e la piccola pelvi poste
inferiormente, è rappresentato dallo stretto superiore, ovvero uno stretto circolare, che
risulta essere più largo nella donna, e che si porta posteroanteriormente dall’alto in basso e
risulta essere formato dal promontorio del sacro, dalla linea arcuata dell’ileo, dall’eminenza
ileopubica, dalla cresta pettinea e, anteromedialmente, dal margine superiore della sinfisi
pubica. L’apertura inferiore della piccola pelvi è invece detta stretto inferiore.
Il piano obliquo passante per lo stretto superiore forma con un piano trasverso inferiore un
angolo di circa 60°; infatti, in posizione eretta le spine iliache anteriori superiori e i tubercoli
pubici risultano essere posizionati su uno stesso piano frontale.
Le differenze morfologiche tra pelvi maschile e pelvi femminile si riferiscono ai diametri e
alle coniugate caratteristici dei due sessi. Nella femmina le ali iliache sono più slargate, i
forami otturatori posti più verticalmente, la piccola pelvi è più larga che nel maschio ed è
presente un arco pubico; nel maschio viceversa le ali iliache sono più verticali e strette e, in
corrispondenza del margine inferiore della sinfisi pubica, è presente un angolo sottopubico,
che è più acuto e stretto rispetto all’arco pubico femminile.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 147


- Ligamenti della Pelvi

1. SINFISI PUBICA
Le due ossa dell’anca sono unite sul davanti per messo della sinfisi pubica, ovvero
un’articolazione per continuità, una sinartrosi, in cui le due facce sinfisarie del pube sono
unite per mezzo di cartilagine fibrosa e tessuto connettivo denso. Inoltre, in corrispondenza
della sinfisi pubica, l’unione tra le due ossa pubiche è rafforzata, cranialmente in
corrispondenza del margine superiore della sinfisi dal ligamento pubico superiore e,
caudalmente in corrispondenza del margine inferiore della sinfisi, dal ligamento arcuato del
pube o pubico inferiore.

2. ARTICOLAZIONE SACROILIACA
Le facce articolari dell’articolazione sacroiliaca sono costituite dalla faccia auricolare di
ciascun osso dell’anca e dalla faccia auricolare ipsilaterale del sacro. Ambedue le facce
articolari risultano essere rivestite da cartilagine fibrosa e da una capsula articolare molto
robusta e praticamente immobile. La capsula risulta essere rivestita da numerosi ligamenti
che ne rafforzano la struttura. I ligamenti specifici della capsula, con una lunghezza minima,
che ancorano direttamente le due facce articolari tra loro, sono i ligamenti posti tra l’ileo e la
faccia laterale del sacro, ovvero i ligamenti sacroiliaci anteriori e posteriori, e i ligamenti
sacroiliaci interossei.
Altri ligamenti robusti e di maggior lunghezza, che contribuiscono ad ancorare l’anca al
sacro, sono il ligamento ileolombare, che va dal processo costiforme di L4-L5 fino alla
tuberosità iliaca, il ligamento sacrotuberoso, che si porta mediolateralmente dall’alto in
basso dalla faccia laterale del sacro alla tuberosità ischiatica ipsilaterale e chiude
posterolateralmente lo stretto inferiore della pelvi, e il ligamento sacrospinoso, che, più
breve e meno robusto rispetto al ligamento sacrotuberoso, si porta medialmente a
quest’ultimo sempre dalla faccia lateroanteriore del sacro fino alla spina ischiatica; questi
due ligamenti originano anche dal coccige e, come dei ventagli, le loro fibre confluiscono e
si addensano in corrispondenza dell’inserzione sulle componenti ischiatiche. Inoltre i
ligamenti sacrotuberoso e sacrospinoso trasformano le incisure ischiatiche, e dividono lo
spazio posto tra queste e il sacro, in due forami, ovvero il grande forame ischiatico, posto in
corrispondenza della grande incisura ischiatica, e il piccolo forame ischiatico, posto in
corrispondenza della piccola incisura ischiatica, quest’ultimo compreso tra le inserzioni dei
due ligamenti, in alto sacrospinoso e in basso sacrotuberoso.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 148


3. MEMBRANA OTTURATORIA
La membrana otturatoria è costituita da un ligamento largo ed esteso che chiude il forame
otturatorio, lasciando solo una piccola apertura, il canale otturatorio, destinato al passaggio
e al decorso dei vasi e dei nervi omonimi.

4. LIGAMENTO INGUINALE
Il ligamento inguinale, che corrisponde in superficie alla piega inguinale, costituisce il
margine anteroinferiore dell’aponevrosi del m. obliquo esterno dell’addome. Esso si estende
dalla spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico. Oltre a dare origine con alcune
sue fibre al ligamento riflesso, che costituisce la parete posteriore dell’anello inguinale
superficiale del canale inguinale, il ligamento inguinale dà origine, in corrispondenza della
sua inserzione sul tubercolo pubico al ligamento lacunare; l’area attraverso cui decorrono
tutte le più importanti strutture destinate agli arti inferiori è posta inferiormente al ligamento
inguinale; quest’area è divisa da un fascio di fibre del ligamento inguinale, che si inserisce
sull’eminenza ileopettinea, detto arco ileopettineo, in una lacuna muscolorum, superiore e
posta tra il ligamento inguinale, l’arco ileopettineo e l’ala dell’ileo, e in una lacuna vasorum,
inferiore è più ristretta, posta tra il ligamento inguinale, il ramo superiore del pube e l’arco
ileopettineo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 149


- Il Diaframma Pelvico
Il diaframma pelvico rappresenta la chiusura inferiore del tronco; esso si pone, su davanti in
corrispondenza del trigono urogenitale, superiormente al diaframma urogenitale e, tra questi, si
interpone lo spazio perineale.
Il diaframma pelvico risulta essere costituito dal m. elevatore dell’ano, dal m. ischiococcigeo e,
posterosuperiormente dal m. piriforme.
Il m. ischiococcigeo è un piccolo muscolo pari che origina dalla spina ischiatica e si inserisce sul
coccige, decorrendo lateroposteriormente al m. elevatore dell’ano.
Il m. piriforme appartiene ai m. dell’arto inferiore.
Il m. elevatore dell’ano origina, portandosi simmetricamente su ambo i lati mediolateralmente,
dalla superficie dorsale del pube, dall’arco tendineo del m. elevatore dell’ano e dalla spina
ischiatica. In base alla loro origine e inserzione le sue fibre si dividono in m. puborettale,
formato dai fasci mediani del m. elevatore dell’ano, che si porta anteroposteriormente dalla
superficie dorsale del pube fino alla porzione distale dell’intestino retto, confluendo nella
muscolatura longitudinale di questo, e in m. pubococcigeo, più laterale del precedente, con
origine comune a questo, ma che si inserisce sul coccige; le fibre del muscolo elevatore dell’ano
che originano dall’arco tendineo del m. elevatore dell’ano e dalla spina ischiatica, si portano a
ventaglio lateromedialmente verso il coccige formando il m. ileococcigeo, ovvero la porzione
più laterale e slargata del diaframma pelvico.
L’arco tendineo del m. elevatore dell’ano si porta anteroposteriormente e leggermente
mediolateralmente dal basso verso l’alto dalla superficie posteriore della porzione mediale del
ramo superiore del pube fino alla spina ischiatica. Alcuni fasci muscolari girano posteriormente
al retto con decorso arciforme. È utile ricordare che le fibre del m. elevatore dell’ano non si
inseriscono solo sull’osso coccigeo ma trovano inserzione anche su un rafe mediano fibroso che
prende il nome di ligamento anococcigeo.
Il m. elevatore dell’ano dà origine in corrispondenza del canale anale al m. sfintere esterno
dell’ano, nelle sue porzioni profonda, superficiale e sottocutanea.

- La Fascia Endopelvica
Le strutture comprese nello spazio pelvico sono rivestite da fasce e da spazi virtuali che nel loro
insieme prendono il nome di fascia endopelvica, ovvero quella struttura connettivale che li
riveste nel loro insieme. Dopo aver rimosso il peritoneo e il tessuto connettivo lasso e adiposo
che riempie gli spazi posti tra il peritoneo e la fascia endopelvica, si possono osservare gli spazi
virtuali formati da questa. Dall’indietro al davanti avremo innanzitutto lo spazio presacrale,
ovvero uno spazio chiuso in basso formato, posteriormente, dal ligamento sacrococcigeo
anteriore e, anteriormente, dalla fascia presacrale che si porta mediolateralmente dalla superficie
posteriore del retto alla faccia ventrale dell’articolazione sacroiliaca; lateralmente allo spazio
presacrale si colloca l’addensamento fibroso da cui originano, andando mediolateralmente, la
fascia presacrale, che si porta con il foglietto anteriore e con quello posteriore a rivestire la
muscolatura del retto, il ligamento uterosacrale e il ligamento cardinale con la rispettiva a.
uterina nella femmina, e più anteriormente, la fascia vescicale da cui si diparte l’arco tendineo
della fascia pelvica.
La fascia endopelvica prende origine sia dalle fasce che rivestono i visceri pelvici che dalle
fasce che rivestono i muscoli del pavimento pelvico e delle pareti pelviche.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 150


- Decorso Pelvico del Peritoneo
Nel maschio il peritoneo si porta dalla parete addominale anteriore superiormente alle ossa
pubiche; procede in senso anteroposteriore sopra la superficie superiore della vescica fino a
raggiungere la sua parete posteriore. A questo livello il peritoneo piega caudalmente fino a
raggiungere il margine superiore delle vescichette seminali e si riflette verso l’alto per formare il
cavo retto-vescicale e per rivestire la superficie anteriore del retto; infine si porta
superoposteriormente per formare il mesocolon sigmoideo.
Nella femmina il peritoneo si porta dalla parete addominale anteriore superiormente alle ossa
pubiche; procede in senso anteroposteriore sopra la superficie superoposteriore della vescica
urinaria fino a raggiungere la porzione inferiore del collo dell’utero dove si riflette
anterosuperiormente per formare il cavo vescico-uterino e per procedere nel rivestimento del
corpo e del fondo dell’utero; portatosi posteriormente fino al fornice vaginale posteriore il
peritoneo si riflette per formare il cavo retto-uterino compreso tra retto e sia porzione distale
dell’utero che porzione prossimale della vagina. Una volta essersi riflesso il peritoneo risale
rivestendo la superficie anterolaterale del retto nei suoi terzi medio e superiore, per poi portarsi
posterosuperiormente, per formare il mesocolon sigmoideo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 151


VISCERI E CONTENUTO DELLA PELVI

- La Vescica Urinaria
La vescica urinaria è un viscere dotato di una robusta parete muscolare e caratterizzato da una
marcata distensibilità. La vescica rappresenta un deposito temporaneo per le urine e può variare
per dimensioni, forma , posizione e rapporti in base al suo stato di riempimento e alle condizioni
degli organi adiacenti. Quando è vuota, la vescica dell’adulto si trova nella piccola pelvi,
posteriormente e appena al di sopra delle ossa pubiche. Essa è separata dalle ossa pubiche da
uno spazio retropubico contenente una certa quantità di adipe, e giace inferiormente al peritoneo
poggiandosi sul pavimento pelvico. La vescica è relativamente libera all’interno del tessuto
connettivo extraperitoneale, ma possiede comunque come mezzi di fissità i ligamenti
pubovescicali nella donna e i ligamenti puboprostatici nell’uomo.

1. MORFOLOGIA
La vescica offre a considerare diverse parti; l’apice corrisponde alla parte superoanteriore,
ovvero quella porzione dell’organo che sporge al di sopra del margine superiore della sinfisi
pubica, quando la vescica risulta essere piena; in corrispondenza dell’apice trova
applicazione l’uraco obliterato, che decorre all’interno del ligamento ombelicale mediano.
Il fondo, o la base, della vescica corrisponde alla parte più alta della vescica, ovvero a quella
che si riempie per ultima, in diretta continuità con l’apice, circondata dal pavimento pelvico.
Il corpo della vescica corrisponde alla parte più interna dell’organo mentre il collo della
vescica rappresenta la parte più declive posta tra il corpo della vescica e l’uretra.
L’uretere destro e sinistro si aprono all’interno della cavità della vescica; se consideriamo
come punto di repere i due orifizi ureterali e l’orifizio uretrale posto a livello del collo
vescicale, possiamo descrivere una struttura di forma triangolare, la cui base corrisponde ad
un rilievo detto piega interureterica che va ad unire i due orifizi ureterali, e il cui apice,
posto inferiormente, corrisponde all’orifizio uretrale; questa struttura è detta trigono
vescicale. Nell’ambito del trigono vescicale possono essere considerate due regioni, ovvero
una regione posterosuperiore, che guarda indietro e in alto ed entra in rapporto, nel maschio,
con i condotti deferenti e le vescichette seminali, mentre, nella femmina, con la faccia
anteriore della porzione sopravaginale del collo dell’utero, e una regione inferiore, che
corrisponde al segmento che si continua con l’orifizio uretrale e che, nel maschio, entra in
rapporto con la base della prostata, mentre nella femmina, entra in rapporto con la parete
anteriore della vagina. Quest’ultima porzione corrisponde al collo imbutiforme della vescica.
Per quanto riguarda invece il corpo della vescica, possiamo descrivere una faccia
anteroinferiore, in rapporto con la sinfisi pubica e rivolta verso la parete addominale
anteriore, una faccia posterosuperiore, che individua come punti di repere per la sua
estensione l’apice della vescica e gli orifizi ureterali ed è rivestita da peritoneo parietale, e
due margini laterali, in rapporto con il m. elevatore dell’ano, sia a destra che a sinistra.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 152


2. SUPERFICIE INTERNA
La mucosa dell’organo appare di colore rosa pallido e può essere distinta in due porzioni; la
prima porzione corrisponde alla maggior parte della parete interna della vescica, ovvero
quella formata da pliche estendibili rispetto allo spesso strato muscolare sottostante, rivestite
da urotelio o epitelio di transizione; la vescica può contenere fino a 0,5 l di urine, sebbene lo
stimolo della minzione si avverta già quando vi sono 0,2-0,3 l di urine al suo interno; in caso
di riempimento la parete della vescica risulta essere spessa non più di 0,2 cm, mentre, in
caso di pervietà, la parete risulta essere contratta e si presenta spessa ca. 0,5-0,7 cm. La
seconda porzione apprezzabile e distinguibile lungo l’estensione della superficie interna
della vescica è lo spazio incluso nel trigono vescicale, che si presenta liscio e privo di
pieghe, grazie al forte ancoraggio della mucosa allo strato muscolare sottostante. Nell’uomo,
a livello dell’orifizio uretrale interno, sporge una lieve protuberanza detta ugola vescicale,
che corrisponde a una sporgenza provocata dalla prostata sottostante. Infine, osservando la
parete vescicale interna, possiamo descrivere come la piega interureterica descriva una lieve
depressione detta fossa retroureterica.

3. VASCOLARIZZAZIONE
La vescica riceve una ricca vascolarizzazione arteriosa da due rami vescicali, ovvero l’a.
vescicale superiore, ramo dell’a. ombelicale che origina dal tronco anteriore dell’a. iliaca
interna e che si oblitera dopo aver fornito i rami vescicali superiori, e l’a. vescicale inferiore,
che origina insieme all’a. rettale media dall’a. iliaca interna.
Per quanto concerne il drenaggio venoso, l’organo sarà drenato da un plesso venoso, che
nella femmina corrisponde al plesso venoso vescico-vaginale, nel maschio al plesso venoso
vescico-prostatico.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 153


- La Prostata
La prostata è un organo ghiandolare esocrino proprio del solo sesso maschile. È composto da
ca. 40 ghiandole tubuloalveolari i cui dotti escretori, detti condottini prostatici, sboccano ai lati
del collicolo seminale dell’uretra. La prostata è circondata da una robusta capsula connettivale,
detta capsula prostatica, e da uno stroma fibromuscolare, ovvero un’impalcatura in cui sono
immerse le ghiandole prostatiche, formato da fibrocellule muscolari lisce immerse in tessuto
connettivale.
La prostata ha la forma e le dimensioni di una castagna, e misura ca. 4 x 3 x 2 cm. Il peso, in un
uomo adulto senza ipertrofia prostatica varia tra i 15-30 g occupa una posizione sottovescicale
ed è attraversata nella sua porzione periuretrale dall’uretra.
La faccia anteriore della prostata guarda la sinfisi pubica, mentre la faccia posteriore è rivolta
verso il retto. Si distinguono una base prostatica, saldamente ancorata alla base della vescica
urinaria, e un apice, caudale, rivolto verso il diaframma pelvico e in continuità con la faccia
lateroinferiore dell’organo. Macroscopicamente la prostata può essere divisa in un lobo destro,
un lobo sinistro e un lobo medio, ma si preferisce in ambito clinico, suddividere l’organo in una
zona mantellare periuretrale, che circonda all’interno dell’organo il decorso dell’uretra, fino
allo sbocco in questa dei dotti eiaculatori, e in una zona interna e una zona esterna, che
contengono il tessuto ghiandolare dell’organo.
La vascolarizzazione arteriosa della prostata è garantita da rami prostatici dell’a. pudenda
interna, oltre che da rami provenienti sia dall’ a. vescicale inferiore che dall’a. rettale media. Il
drenaggio venoso dell’organo avviene attraverso il plesso venoso vescico-prostatico, che drena a
livello della v. iliaca interna.

- La Vescichetta Seminale
Le vescichette seminali sono ghiandole pari che producono un secreto alcalino ricco di fruttosio
che costituisce una buona percentuale del liquido spermatico. La vescichetta seminale è lunga
ca. 5 cm ed è costituita da un canale ghiandolare lungo ca. 15 cm avvolto ripetutamente su se
stesso; si presentano come delle piccole ghiandole dilatate poste obliquamente sopra la prostata
al di dietro della vescica. Il loro apice è in rapporto con il peritoneo che si riflette per formare il
cavo retto-vescicale; risultano essere separate dal retto, come anche la faccia posteriore della
prostata, dalla fascia retto-vescicale o retto-prostatica del Denonvillers, che si porta dal cavo
retto-vescicale fino al centro tendineo del perineo separando la porzione urogenitale anteriore da
quella rettale posteriore, del compartimento pelvico extraperitoneale. Il dotto escretore delle
vescichette seminali, dopo essersi unito al condotto deferente sbocca come dotto eiaculatore
nell’uretra prostatica, attraverso gli orifizi pari del condotto eiaculatore.
La vascolarizzazione arteriosa di quest’organo pari è garantita da rami dell’a. vescicale inferiore
come l’a. vesciculo-deferenziale e le aa. per le vescichette seminali; il drenaggio venoso avviene
attraverso il plesso venoso vescico-prostatico.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 154


- Tratto Pelvico del Condotto Deferente
Il condotto deferente è la continuazione dell’epididimo da cui origina in corrispondenza della
coda di quest’ultimo; è percorso da onde di contrazione che favoriscono il trasporto veloce degli
spermatozoi e del liquido seminale dall’epididimo all’uretra. Costituisce una via di trasporto
lunga 35-40 cm e spessa 0,3-0,35 cm e possiede una parete muscolare consistente. Il suo lume si
presenta in sezione trasversale a forma di stella con 4-5 pieghe di riserva, longitudinali; la
tonaca muscolare è costituita da tre strati muscolari, uno interno e uno esterno longitudinali, tra
i quali si interpone uno strato medio circolare.
Il tratto pelvico del dotto deferente corrisponde al tratto non rivestito dal funicolo spermatico,
che va dunque dall’anello inguinale profondo fino al suo sbocco, attraverso il dotto eiaculatore,
nella porzione prostatica dell’uretra. Il decorso del tratto pelvico del dotto deferente è
caratterizzato dal rapporto diretto che questo instaura con il peritoneo parietale. Il condotto
deferente incrocia superiormente i vasi iliaci esterni ed entra nella pelvi portandosi
superoposteromedialmente. Passa lungo la parete laterale della pelvi a contatto con il peritoneo
parietale, per portarsi poi superiormente all’uretere dello stesso lato a livello dell’angolo
superolaterale della vescica, compreso tra uretere e peritoneo; il rapporto che l’uretere instaura
nel maschio con il dotto deferente è simile a quello che nella femmina questo instaura con l’a.
uterina. Portatosi posteriormente alla vescica, appoggiato sulla sua parete posteriore il dotto
deferente discende medialmente alla vescichetta seminale ipsilaterale; in questa porzione il suo
lume si dilata e si forma così l’ampolla del dotto deferente. Quando poi il suo decorso termina,
l’ampolla si restringe e il dotto si unisce al dotto della vescichetta seminale per formare il dotto
comune detto dotto eiaculatore.
Il dotto deferente è irrorato dall’a. vesciculo-deferenziale, che origina dalla porzione non
obliterata dell’a. ombelicale, con decorso paragonabile a quello dell’a. uterina.
Il dotto deferente è drenato dalle vene del plesso venoso pampiniforme nella sua porzione
distale, mentre dal plesso venoso vescico-prostatico nella sua porzione pelvica.

- Condotte Eiaculatore
Ciascun condotto eiaculatore è un esile tubo pari di breve lunghezza che nasce dalla confluenza
del dotto di una vescichetta seminale, lateralmente, con il condotto deferente ipsilaterale,
medialmente. Il dotto eiaculatore è lungo ca. 2,5 cm e si dirige, dopo essere originato in
prossimità del collo della vescica lungo la sua parete posteroinferiore, in direzione
anteroinferiore, nel parenchima della porzione posteriore della prostata parallelamente e
lateralmente su entrambi i lati dell’utricolo prostatico. Sono vascolarizzati dalle medesime
componenti che provvedono ad irrorare e a drenare il sangue arterioso e venoso del condotto
deferente.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 155


- L’Ovaio
L’ovaio è un organo pari e rappresenta la gonade femminile, nonché il luogo di maturazione dei
follicoli e delle cellule uovo. È situato in corrispondenza della parete pelvica laterale all’interno
della fossa ovarica. L’ovaio ha la forma di una mandorla della lunghezza di 4 cm, spessa ca. 1
cm e larga ca. 1,5-2 cm.
Da un punto di vista macroscopico l’ovaio offre a considerare una faccia mediale, rivolta verso
gli organi pelvici, e una faccia laterale, che si accosta alla parete pelvica. L’organo si dispone
obliquamente dall’alto in basso in senso lateromediale e posteroanteriore, presentando così una
estremità superoposteriore, detta estremità tubarica, e una estremità inferoanteriore, detta
estremità uterina.
L’ovaio è completamente rivestito dal peritoneo; infatti il peritoneo parietale che chiude
inferiormente la cavità addominale si accolla sia alla superficie superiore e posteriore della
vescica che a quella sia anteriore che posteriore dell’utero, formando il cavo utero-vescicale. In
questo modo i foglietti che hanno rivestito le due superfici del corpo e del fondo dell’utero si
uniscono lungo ii margini laterali di questo formando il mesometrio e il ligamento largo
dell’utero, che offre a considerare quindi due foglietti accollati, uno anteroinferiore e uno
posterosuperiore, corrispondenti ai fogli peritoneali che hanno rivestito la faccia vescicale e la
faccia rettale dell’utero. L’ovaio è collocato in sede intraperitoneale e risulta essere ancorato
alla superficie posteriore o lamina rettale del ligamento largo dell’utero attraverso una
duplicatura o meso peritoneale nota come mesovario; il mesovario si continua con i suoi due
foglietti, attraverso il mesosalpinge che rende le tube uterine intraperitoneali, anteriormente con
il foglietto anteroinferiore o vescicale del ligamento largo, e posteriormente con il foglietto
posteroinferiore o rettale del ligamento largo. Il ligamento sospensore dell’ovaio, al cui interno
decorrono i vasi ovarici, prende origine dall’estremità tubarica e incrocia portandosi
posteriormente sia la tuba uterina che il mesosalpinge, ipsilaterali. Invece, il sistema di
ancoraggio caudale dell’ovaio è costituito dal ligamento proprio dell’ovaio, che origina
dall’estremità uterina dell’organo e che si porta fino all’angolo tubarico dell’utero,
superoposteriormente all’ origine del ligamento rotondo dell’utero.
In corrispondenza del margine laterale dell’ovaio o margine mesovarico si trova l’ilo dell’ovaio,
ovvero il punto di ancoraggio del peritoneo dove entrano ed escono i vasi e i nervi ovarici. Il
margine mediale o margine libero dell’ovaio, invece, risulta essere convesso e regolare, oltre
che rivestito interamente da peritoneo, e guarda posteriormente verso la piega peritoneale che il
decorso dell’uretere disegna, portandosi dall’alto in basso lateromedialmente verso la vescica.
L’ovaio risulta essere rivestito da una tonaca albuginea da un punto di vista microscopico.
Inoltre ricordiamo che l’ovaio di destra può contrarre importanti rapporti indiretti con
l’appendice vermiforme e con il suo mesenteriolo.
L’ovaio riceve il sangue arterioso principalmente dall’a. ovarica, corrispettivo femminile dell’a.
spermatica interna; inoltre in piccola parte, è vascolarizzato anche da rami dell’a. uterina che si
anastomizzano a livello del mesosalpinge con rami dell’a. ovarica. Il drenaggio venoso è
assicurato dal plesso venoso ovarico, che drena nella v. ovarica, parallela dell’a. omonima.
Anche a livello venoso si riscontrano, in corrispondenza della vascolarizzazione della tuba
uterina, ricche anastomosi tra il plesso venoso uterino e quello ovarico.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 156


- La Tuba Uterina
La tuba uterina, o salpinge o ovidutto o tuba di Falloppio, è un canale pari che origina in
corrispondenza del fondo dell’utero e che si apre, in corrispondenza dell’ovaio, nella cavità
peritoneale. Decorre su entrambi i lati dell’utero lungo il margine superiore del ligamento largo,
descrivendo una curva a concavità posteriore rivolta verso il margine mesovarico dell’ovaio
ipsilaterale. Ogni tuba ha una lunghezza di 10-18 cm e si apre, attraverso il suo ostio
addominale, nella cavità addominale; nel loro decorso ideale le tube uterine si portano
simmetricamente in senso caudocraniale superoposterolateralmente verso le pareti laterali della
pelvi, a livello del quale si incurvano rivolgendo la loro estremità libera e dilatata all’ovaio;
tuttavia non sempre la posizione ideale corrisponde alla posizione reale in cui le tube uterine si
collocano rispetto all’utero. Le tube uterine sono localizzate in sede intraperitoneale, come le
ovaie, e risultano essere connesse al ligamento largo attraverso la mesosalpinge, ovvero il meso
costituito dai due foglietti peritoneali del ligamento largo che si accollano con i loro margini
liberi.
La tuba uterina viene divisa in 4 porzioni, ovvero, procedendo in senso lateromediale, avremo
l’infundibolo, che corrisponde alla porzione terminale e aperta della tuba, a forma d’imbuto, che
si apre attraverso l’ostio addominale nella cavità peritoneale, e che possiede numerose fimbrie,
ovvero processi digitiformi contigui al margine mediale o libero dell’ovaio, che si dipartono dal
margine fimbriato dell’infundibolo e che comprendono una grossa fimbria ovarica che si unisce
con l’ovaio sulla sua estremità tubarica; la seconda porzione detta ampolla della tuba uterina,
corrisponde alla parte che precede in senso mediolaterale l’infundibolo, ovvero la porzione più
dilatata e lunga della tuba uterina; a questa segue una porzione dalla spessa parete, con un lume
stretto e sottile, detta istmo della tuba uterina che precede la quarta e ultima porzione,
intramurale, ovvero la porzione uterina della tuba uterina, compresa nella parete dell’utero e che
si apre in questo attraverso l’ostio uterino della cavità uterina.
La vascolarizzazione arteriosa della tuba uterina avviene ad opera dei rami terminali provenienti
dalle anastomosi arteriose che si creano, a livello del mesosalpinge, tra a. uterina e a. ovarica.
Il drenaggio venoso ricalca la vascolarizzazione arteriosa dell’organo e le vene che drenano la
tuba uterina confluiscono prevalentemente come vene tributarie nel plesso venoso uterino, con
la possibilità di raggiungere anche il plesso venoso ovarico e la v. ovarica.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 157


- L’Utero
L’utero è un organo muscolare cavo caratterizzato da una spessa parete e da una cavità stretta e
collassata come una fessura, ma dotata di un ampissimo livello di estensione e dilatazione.
L’utero è alloggiato al centro della piccola pelvi, inclinato in avanti e posto tra la vescica
urinaria, anteriormente, e il retto, posteriormente. Nella donna sessualmente matura ha la forma
di una pera appiattita sia sulla faccia anteroinferiore o vescicale, che sulla faccia
posterosuperiore o intestinale. Inoltre, nella donna matura l’utero si presenta antiverso, ovvero
inclinato anterosuperiormente rispetto all’asse maggiore della vagina, e antiflesso, ovvero che il
suo corpo risulta essere inclinato o flesso leggermente rispetto al suo collo, facendo si che la sua
faccia vescicale si presenti leggermente concava seguendo il decorso della vescica.

1. MORFOLOGIA
Sebbene la sua posizione possa cambiare notevolmente in relazione al grado di pienezza sia
del retto che della vescica urinaria e sebbene le sue dimensioni possano variare
considerevolmente in relazione al ciclo uterino, l’utero si presenta di forma piriforme,
leggermente schiacciato sulle sue facce vescicale e intestinale, con un peso di ca. 90 g e, in
situ, un diametro maggiore anteroposteriore o in lunghezza di ca. 8 cm, uno spessore
superoinferiore di ca. 3 cm e una larghezza laterolaterale di ca. 5 cm.
L’utero può essere diviso macroscopicamente in due porzioni, il corpo e il collo. Il corpo
dell’utero costituisce i 2/3 superiori dell’organo ed offre a considerare due particolari
porzioni lungo la sua estensione, ovvero il fondo, che corrisponde alla porzione arrotondata
del corpo situata sopra la linea ideale che unisce i due orifizi uterini dove si aprono su ambo
i lati le tube uterine, e l’istmo, lungo ca. 1 cm, ch corrisponde alla porzione leggermente più
stretta del corpo posta al confine col collo dell’utero. Il collo dell’utero, o cervice, è la
porzione inferiore dell’organo, che protrude all’interno della cavità vaginale nella sua
porzione più alta.
Il corpo dell’utero risulta essere leggermente flesso e mobile rispetto alla cervice dell’organo
e offre a considerare una superficie anteroinferiore, appiattita e leggermente concava, detta
faccia vescicale e una posterosuperiore, leggermente convessa, detta faccia intestinale.
Entrambe le superfici risultano essere rivestite dal peritoneo che, con l’accollamento dei due
foglietti vescicale e intestinale, forma lungo i margini dell’organo il mesometrio o ligamento
largo dell’utero.
I punti superolaterali su cui si inseriscono le tube uterine prendono il nome di corna uterine,
destra e sinistra. La fessura uterina è lunga ca. 6 cm e si porta in senso caudocraniale
dall’orifizio uterino esterno fino alla parete interna del fondo dell’utero.
La cervice o collo dell’utero è lunga ca. 2,5 cm e costituisce il 1/3 distale dell’organo; si
presenta di forma cilindrica e offre a considerare una porzione sopravaginale, separata,
posteriormente, dal retto tramite il cavo retto-uterino e, anteriormente, dalla vescica tramite
uno strato di tessuto connettivo lasso, e una porzione vaginale del collo, arrotondata e detta
anche portio, che si estende nella cavità vaginale e comunica con essa attraverso l’orifizio
uterino esterno.
Il canale cervicale differisce dalla cavità uterina e comunica, attraverso l’orifizio uterino
interno, con essa, mentre, attraverso l’orifizio uterino esterno, comunica con la cavità
vaginale; si presenta con una forma affusolata ed è caratterizzato da una superficie provvista
di pieghe, dette pliche palmate.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 158


2. PERITONEO E APPARATO ANCORANTE DELL’UTERO
Varie formazioni connettivali sono descritte come strutture di ancoraggio dell’utero; questi
ligamenti collegano l’utero alle strutture adiacenti e possono essere descritti come ligamenti
propri del corpo dell’utero, e ligamenti del collo dell’utero.
Il ligamento largo dell’utero è formato da una duplicatura peritoneale originata dai foglietti
che hanno rivestito le facce uterine; la maggior parte del ligamento largo è costituita da
mesometrio, ovvero dalla porzione che collega i margini laterali dell’utero con le pareti
pelviche laterali. All’interno del ligamento largo sono accolti i vasi e i nervi dell’organo.
Inferiormente alle corna uterine, ovvero ai punti di origine delle tube uterine, su ambo i lati,
le fibre fibromuscolari della parete dell’utero si portano a formare due strutture pari e
distinte, aventi però origine comune, ovvero il ligamento proprio dell’ovaio e il ligamento
rotondo. Il primo unisce il polo uterino dell’ovaio all’angolo tubarico dell’utero, nel punto
in cui, posterosuperiormente a questo, origina il ligamento rotondo dell’utero, ovvero un
robusto cordone fibromuscolare, che si porta prima lateralmente, e poi vira
anteromedialmente, fino a raggiungere il canale inguinale e il tessuto adiposo sottocutaneo
delle grandi labbra.
Il collo dell’utero è la parte meno mobile dell’organo a causa del sostegno passivo offerto
dai ligamenti propri di questa porzione. Il ligamento cardinale o cervicale trasverso è un
ligamento pari che si porta dal collo dell’utero e dalle porzioni centrali dei fornici vaginali,
lateroinferiormente sino alle pareti laterali della pelvi. Le sue fibre originano, a livello della
cervice uterina, insieme a quelle del ligamento rettouterino o sacrouterino. Questo
ligamento forma, dirigendosi superoposteriormente, la plica rettouterina o sacrouterina,
ovvero quella piega ben visibile, che si porta, posteriormente, dal collo dell’utero fino al
sacro circondando il retto e, anteriormente a questo, l’adito del cavo retto-uterino.
All’interno della plica rettouterina, talvolta, viene descritto anche un m. rettouterino, che
corrisponderebbe alla componente muscolare liscia di tale ligamento; tuttavia la sua
presenza non è comunemente riconosciuta.
Lateralmente all’utero è importante segnalare come, oltre che al ligamento largo e ai
ligamenti cervicali trasversi o cardinali dell’utero si possano osservare anche gli ureteri e i
loro importanti rapporti; questi infatti si portano, per raggiungere la vescica sottostante,
lateralmente a ca. 2 cm dai margini laterali della porzione vaginale del collo dell’utero e
superoanteriormente ai fornici vaginali; inoltre, in prossimità del loro decorso marginale
rispetto all’utero, gli ureteri passano sotto i vasi e i nervi uterini che raggiungono l’utero in
prossimità dell’istmo del corpo dell’utero.

3. VASCOLARIZZAZIONE
L’utero è irrorato prevalentemente dalle aa. uterine, rami dell’aa. iliache interne, che
raggiungono l’utero decorrendo prima sotto peritonealmente e poi all’interno del
mesometrio. Raggiunto l’utero a livello della giunzione tra istmo e cervice, le aa. uterine, su
entrambi i lati, si dividono in un ramo ascendente, che si porta con andamento sinuoso lungo
la parete laterale dell’utero, verso il corpo dell’organo e verso le sue porzioni superiori,
lanciando archi anastomotici per il ramo controlaterale, lungo le facce anteriore e posteriore
dell’utero, e in un ramo discendente, che si porta inferiormente come a. vaginale. Nella
regione del fondo dell’utero il ramo principale si anastomizza, su ambo i lati, con rami
terminali dell’a. ovarica. Il drenaggio venoso è assicurato dalle vv. uterine che, a livello del
fondo dell’utero e della cervice, drenano l’esteso plesso venoso uterino.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 159


Parte VI - Perineo
Con il termine perineo si indica sia un’area superficiale che un compartimento poco profondo della
porzione inferiore del tronco. Il compartimento perineale si trova al di sotto dell’apertura pelvica, è
separato dalla cavità pelvica per mezzo del diaframma pelvico, formato dal m. elevatore dell’ano e dal
m. ischiococcigeo, ed ha confini osteofibrosi, rappresentati anteriormente dalla sinfisi pubica,
anterolateralmente dai rami pubici inferiori e dalle branche ischiopubiche, lateralmente dalle tuberosità
ischiatiche, posterolateralmente dai ligamenti sacrotuberosi e, infine, posteriormente dal coccige. Si
presenta come una area di forma romboidale, costituita da due triangoli, divisi da una linea trasversale
che unisce le terminazioni anteriori delle due tuberosità ischiatiche; i due triangoli sono il trigono
urogenitale, che include nel maschio la radice del pene e dello scroto e nella femmina i genitali esterni,
posto anteriormente, e il trigono anale, posto posteriormente, che include l’ano.
Il punto medio della linea trasversa che unisce le porzioni terminali anteriori delle tuberosità ischiatiche
costituisce il centro tendineo del perineo, ovvero una massa fibromuscolare irregolare situata sul piano
mediano tra il canale anale e la membrana perineale.

Lo spazio perineale è lo spazio compreso tra la cute, superficialmente, e il diaframma pelvico, in


profondità. Questo spazio risulta essere diviso in molteplici compartimenti colmi di adipe e tessuto
connettivo separati tra loro per mezzo di complesse interazioni fasciali e muscolari.

Gli spazi pelvici che si creano per le interazioni tra fasce e muscoli delle pelvi sono: lo spazio
prevescicale o retropubico del Retzius, che si porta lungo la faccia anteroinferiore della vescica e,
posteroinferiormente rispetto alla sinfisi pubica, al davanti della faccia anteriore della prostata nel
maschio e dell’uretra nella femmina; posteriormente tra la vescica e la fascia di Denonvillers, che separa
longitudinalmente, come un piano frontale, il compartimento urogenitale da quello rettale, si trova lo
spazio retrovescicale, diviso in una porzione superiore, retrovescicale propriamente detta, e una
inferiore, retroprostatica; tra la fascia del Denonvillers e il foglietto anteriore della fascia presacrale
che riveste la superficie anteriore del retto troviamo lo spazio prerettale che si porta craniocaudalmente
dal cavo retto-vescicale o retto-uterino a seconda del sesso, fino al pavimento pelvico, in prossimità
della porzione profonda del m. sfintere esterno dell’ano. Infine, l’unico spazio pelvico posteriore al retto
corrisponde allo spazio presacrale, posto sopra il diaframma pelvico.

Gli spazi perineali, posti dunque al di sotto del pavimento pelvico, risultano essere, anteriormente lo
spazio perineale superficiale, compreso tra la fascia perineale superficiale del Colles e il foglietto
inferiore della fascia profonda del trigono urogenitale, la quale in corrispondenza dei mm. perineali,
costituisce le fasce di rivestimento di questi o fasce di Gallaudet. Superiormente e in profondità rispetto
al foglietto inferiore della fascia profonda, al m. trasverso profondo del perineo e al foglietto superiore
della fascia profonda del perineo, si trova, nel trigono urogenitale, lo spazio perineale profondo, che
posteriormente comunica con le fosse ischiorettali ed è compreso tra il diaframma urogenitale, ovvero il
m. trasverso profondo del perineo, e il diaframma pelvico.
La fascia del Colles si porta posteriormente come setto fibroso trasverso, dividendo il m. sfintere
dell’ano nelle sue porzioni superficiale e sottocutanea; il setto fibroso trasverso divide la fossa
ischiorettale in una porzione profonda o pelvica, da una superficiale o perineale. Il setto fibroso
trasverso corrisponde, sulla parete interna del canale anale, alla linea intermuscolare o linea bianca di
Hilton, al di sotto del quale sono poste la porzione perineale dell’ano e il plesso venoso emorroidale
esterno.

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MUSCOLI E FASCE DEL PERINEO

Il perineo è costituito anteriormente da un diaframma urogenitale e posteriormente dalla porzione


superficiale della fossa ischiorettale; quest’ultima è divisa dalla porzione profonda tramite il setto
fibroso trasverso.

Il diaframma urogenitale risulta essere costituito principalmente dal m. trasverso profondo del perineo,
che chiude in basso lo spazio perineale profondo compreso tra questo, in basso, e il diaframma pelvico,
in alto. Il diaframma urogenitale si trova solo in corrispondenza del trigono urogenitale o anteriore del
perineo e chiude solo in basso, e non posteriormente, lo spazio perineale profondo. Questo infatti risulta
comunicare posteriormente con entrambe le fosse ischiorettali profonde.
Il m. trasverso profondo del perineo appare di forma triangolare avente come base la linea trasversa del
perineo, come apice il ligamento trasverso del perineo, il quale origina per l’unione, in prossimità del
ligamento arcuato del pube e del margine inferiore della sinfisi pubica, dei foglietti superiore e inferiore
della fascia perineale profonda, che riveste il m. trasverso profondo del perineo. Il m. trasverso profondo
del perineo origina dalla branca ischiopubica ipsilaterale e si porta, come muscolo piatto ed esteso, verso
il piano mediano dove, in corrispondenza incontra lo iato urogenitale.

Superficialmente al foglietto inferiore della fascia perineale profonda che riveste la faccia inferiore del
m. trasverso profondo del perineo, si trovano i mm perineali superficiali, rivestiti tutti dalla fascia di
rivestimento o fascia di Gallaudet, che origina dal foglietto inferiore della fascia perineale profonda; i
mm. perineali superficiali sono muscoli pari e circoscrivono, su ambo i lati del piano mediano delle aree
o spazi perineali superficiali di forma triangolare; il m. trasverso superficiale del perineo rinforza il
diaframma urogenitale portandosi dal centro tendineo del perineo fino alla tuberosità ischiatica, e
corrisponde come decorso alla linea trasversale del perineo. Il m. ischiocavernoso segue il decorso
posteroanteriore e lateromediale della branca ischiopubica, su ambo i lati, ponendosi superficialmente
alle radici dei corpi cavernosi del pene e del clitoride e inserendosi sul ligamento sospensore di questi. Il
m. bulbospongioso decorre posteroanteriormente dal centro tendineo del diaframma alla sinfisi pubica,
parallelo al piano mediano, nella femmina, in profondità rispetto alle grandi labbra, nel maschio, a
rivestire il bulbo del pene. Lo spazio pari triangolare posto tra questi 3 muscoli, su ciascun lato, viene
rivestito superficialmente dalla fascia perineale superficiale o del Colles che poi si continua, nel
maschio, come tonaca dartos dello scroto o fascia dartos del pene.

In corrispondenza delle inserzioni mediali del m. trasverso profondo del perineo, questo forma i m.
sfinteri dell’uretra, nel maschio, e uretro-vaginale, nella femmina. Le fasce che rivestono i muscoli e le
strutture del perineo trovano tutte origine sul centro tendineo del perineo.

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LA REGIONE PERINEALE ANTERIORE NEL MASCHIO

- Il Pene
Il pene è l’organo esterno impari del maschio deputato alla copulazione e all’espulsione sia di
urina che di liquido seminale. Il pene risulta essere formato da una radice, da un corpo e da un
glande; la radice del pene risulta essere ancorata all’osso pubico e al perineo, il corpo del pene
invece risulta esser la parte sporgente e mobile dell’organo che offre a considerare una faccia
uretrale, ovvero la superficie ventrale del pene, e un dorso del pene, ovvero la superficie dorsale
appiattita. L’organo è composto da tre corpi cilindrici di tessuto erettile cavernoso, ovvero un
corpo cavernoso bicamerato e un corpo spongioso, rivestiti da una spessa capsula fibrosa che
prende il nome di tonaca albuginea.

1. RADICE DEL PENE


La radice del pene comprende le porzioni di origine del corpo cavernoso del pene, che
prendono il nome di gambe o pilastri del pene, applicate da entrambi i lati lungo il ramo
ischiopubico, come già osservato per le radici del clitoride nella femmina, e circondate dal
m. ischiocavernoso. Tra i due pilastri del pene è posta la porzione iniziale del corpo
spongioso, detta bulbo del pene, che sia si àncora saldamente al diaframma urogenitale,
posteriormente, sia, anteriormente, è ricoperta dal m. bulbospongioso.
La radice del pene risulta essere fissata alla parete addominale e alla sinfisi pubica attraverso
il ligamento fundiforme e il ligamento sospensore del pene. Il primo è una banderella di
fibre elastiche del tessuto sottocutaneo che origina dalla linea alba, al di sopra della sinfisi
pubica, e si inserisce nella fascia del pene dopo averlo circondato; il ligamento sospensore
del pene, invece, risulta essere sostanzialmente, un inspessimento della fascia che origina
dalla superficie anteriore della sinfisi pubica e che si porta a ventaglio, convergendo a
livello della giunzione tra radice e corpo, formando un fascio di fibre che si inserisce nella
fascia del pene.

2. CORPO DEL PENE


I due pilastri della radice del pene si uniscono al di sotto della sinfisi pubica per dare origine
a un corpo cavernoso unico e bicamerato, che costituisce la maggior parte del corpo del
pene, rivestito intimamente dalla tonaca albuginea. Dalla tonaca un setto si porta in
profondità nel corpo cavernoso distinguendo le due camere e demarcando il solco mediale in
cui si alloggia il corpo spongioso. La doccia longitudinale che decorre inferiormente al
corpo cavernoso, distinto in due camere separate dal setto, offre alloggio al decorso del
corpo spongioso, contenente l’uretra spongiosa.

3. GLANDE DEL PENE


Distalmente il corpo spongioso si espande a formare il glande, ovvero un cappuccio che si
slarga distalmente e ricopre l’estremità del corpo cavernoso. Il margine del glande si estende
oltre il corpi cavernosi, come bordo smusso alla base del cappuccio, e risulta essere separato
per mezzo di un solco dal corpo del pene; tale margine va a formare la corona del glande.
L’uretra spongiosa si apre similmente ad una fessura, a livello dell’apice del glande,
formando l’orifizio uretrale esterno.

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4. RIVESTIMENTI DEL PENE
Il pene risulta essere rivestito da un sottile strato di cute pigmentata, intimamente connessa
ad uno strato sottocutaneo detto tonaca dartos o fascia superficiale del pene. La fascia
superficiale del pene risulta essere il corrispettivo membranoso della fascia perineale
superficiale o fascia del Colles, a livello del perineo, mentre, a livello addominale, risulta
essere il corrispettivo della fascia di Scarpa o strato membranoso del sottocutaneo. La cute
risulta essere mobile sui piani sottostanti ma contemporaneamente saldamente ancorata alla
corona del glande; il prepuzio, infatti, rappresenta una duplicatura cutanea priva di tessuto
adiposo che si applica saldamente alla corona del glande e incappuccia il glande. Sulla
superficie inferiore del glande, il prepuzio risulta essere fissato al glande mediante il frenulo
del prepuzio.
La radice del pene risulta essere rivestita dalla fascia di rivestimento dei muscoli del perineo
urogenitale, ovvero la fascia del Gallaudet; questa fascia si pone superficialmente ai
muscoli del trigono urogenitale del perineo.
Per quanto riguarda il corpo invece, in profondità rispetto alla tonaca dartos del pene o
fascia superficiale del pene, troviamo la fascia profonda del pene o fascia del Buck; questa
fascia robusta riveste indipendentemente il corpo spongioso e il corpo cavernoso,
suddividendo quest’ultimo, attraverso un setto, in due compartimenti indipendenti. In
profondità e in superficie rispetto alla fascia del Buck si dispongono i vasi e nervi,
rispettivamente, profondi e superficiali.

5. VASCOLARIZZAZIONE
Inferiormente al m. ischiocavernoso decorrono l’a. pudenda interna e il n. dorsale del pene; i
rami destinati alle varie porzioni del pene attraversano il ligamento trasverso del perineo,
ovvero il ligamento profondo formato dalla fusione delle fasce che accompagnano le
strutture del trigono urogenitale del perineo e che chiude in profondità la cavità perineale.
Procedendo in senso anteroposteriore, ovvero dal ligamento arcuato del pube fino al centro
tendineo del perineo, troveremo dapprima la v. dorsale profonda del pene, che si pone lungo
l’asse mediano e penetra tra il ligamento arcuato del pube e il ligamento trasverso del
perineo, in profondità rispetto alla fascia del Buck, come vena impari profonda che drena il
pene, tributaria del plesso vescicale. Superficialmente, invece, alla fascia del Buck
troveremo l’altra vena impari che drena le strutture superficiali dell’organo, ovvero la v.
dorsale superficiale del pene, tributaria del plesso prostatico.
Viceversa, la vascolarizzazione arteriosa del pene è assicurata da tre rami pari dell’a.
pudenda interna, che attraversano il ligamento trasverso del perineo simmetricamente su
ambo i lati del trigono urogenitale; procedendo in senso anteroposteriore avremo dapprima
le aa. dorsali del pene, che decorrono insieme ai nervi omonimi, in profondità della fascia di
Buck, e irrorano gli strati cutanei e sottocutanei, compreso il prepuzio e il glande, del pene.
L’a. dorsale del pene è, insieme all’a. profonda del pene, un ramo terminale dell’a. pudenda
interna; infatti, posteriormente all’a. dorsale decorrono, all’interno delle due camere del
corpo cavernoso le aa. profonde del pene, che forniscono le aa. elicine utili all’erezione dei
corpi cavernosi. Per quanto riguarda la vascolarizzazione arteriosa del corpo spongioso
questa è garantita, su ambo i lati della struttura, dall’a. del bulbo dell’uretra, anch’essa
arteria pari, ramo collaterale dell’a. pudenda interna.

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- L’Uretra Maschile
L’uretra nel maschio è costituita da un canale muscolare lungo ca. 18-20 cm che convoglia
l’urina dall’orifizio uretrale interno della vescica urinaria fino all’orifizio uretrale esterno posto
all’apice del glande del pene. L’uretra fornisce per gran parte del suo decorso anche una via di
deflusso per il liquido seminale, composto da sperma e dalle varie secrezioni ghiandolari. A
scopo descrittivo l’uretra viene divisa in quattro porzioni macroscopiche, ovvero la porzione
compresa nel collo della vescica, la porzione prostatica, la porzione membranosa o parte
intermedia dell’uretra e la porzione distale o uretra spongiosa.

1. PORZIONE PELVICA DELL’URETRA


L’uretra compresa nel collo della vescica o uretra preprostatica si estende per ca. 1-1,5 cm
quasi verticalmente dal collo della vescica alla base della prostata.
L’uretra prostatica lunga ca. 4 cm discende dalla I porzione dell’uretra attraverso la
prostata, più vicina alla parete anteriore che a quella posteriore dell’organo, formando una
lieve curva a concavità anteriore. È la porzione più dilatata e distendibile dell’uretra e
termina a livello dell’apice della prostata, dove l’uretra viene completamente circondata
dallo sfintere dell’uretra, e dove si trova il restringimento della parte membranosa
dell’uretra, che origina in questo punto. A livello del passaggio tra porzione prostatica e
porzione membranosa dell’uretra si trova la curvatura anteriore che questo tubo muscolare
compie per portarsi anteriormente verso il pene.
La superficie interna della parete posteriore della porzione prostatica dell’uretra presenta una
caratteristica evidente, ovvero la cresta uretrale, un rilievo mediano affiancato, su ciascun
lato da un solco, il solco seno-prostatico, in cui si aprono i dotti delle ghiandole della
prostata. A metà di questa cresta si trova una protuberanza rotondeggiante, il collicolo
seminale, il quale presenta un orifizio simile ad una fessura, in cui si apre l’otricolo
prostatico; quest’ultimo rappresenta un residuo del canale uterovaginale che nella femmina
rappresenta la struttura embrionale da cui si sviluppano in seguito le strutture dell’utero e di
parte della vagina. Sempre sul collicolo seminale si riscontra un’altra apertura, pari, posta
vicino all’orifizio dell’otricolo prostatico, ovvero gli orifizi dei condotti eiaculatori.
Le due porzioni prossimali dell’uretra sono irrorate dalle aa. vescicale inferiore e rettale
media, attraverso i rami arteriosi destinati alla porzione inferiore della vescica e alla
prostata. Il drenaggio venoso invece viene garantito dal plesso venoso prostatico.

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2. PORZIONE PERINEALE DELL’URETRA
La porzione intermedia o membranosa dell’uretra è la più corta e stretta, nonché la meno
estensibile. Misura infatti ca. 1-2 cm e si estende dall’apice della prostata, dove forma il
restringimento della parte intermedia, fino al bulbo del pene. Attraversa lo spazio perineale
profondo, passando attraverso il diaframma urogenitale, dove risulta essere circondata dallo
sfintere esterno dell’uretra e dalla membrana perineale.
L’uretra spongiosa risulta essere la porzione più lunga dell’organo, misurando ca. 15-16 cm.
Essa passa attraverso il bulbo e il corpo spongioso del pene, iniziando nell’estremità distale
dell’uretra membranosa, quando questa oltrepassa la membrana perineale, e terminando a
livello dell’orifizio uretrale esterno. Il tratto prossimale dell’uretra spongiosa o cavernosa
risulta essere leggermente dilatato a formare un’ampolla, a livello della quale sboccano i
condottini escretori delle ghiandole bulbouretrali o del Cowper. Una seconda dilatazione del
lume di questa porzione dell’uretra è riscontrabile nella sua porzione distale, dove forma la
fossa navicolare, situata all’interno del glande del pene e lunga ca. 2 cm, che si restringe a
livello dell’orifizio uretrale esterno.
I tre restringimenti che l’uretra maschile offre a considerare sono dunque l’orifizio uretrale
interno, il restringimento della parte intermedia e l’orifizio uretrale esterno.
Le due porzioni distali dell’uretra sono vascolarizzate da remi dell’a. pudenda interna.
Parallelamente alle arterie decorrono le vene che garantiscono il drenaggio di queste due
porzioni dell’organo.

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- Lo Scroto
Lo scroto è un sacco fibromuscolare impari che contiene i testicoli e le strutture ad essi
associate. Si trova inferoposteriormente rispetto al pene e inferiormente rispetto alla sinfisi
pubica.
Parallelamente a quanto avviene per le grandi labbra, anche lo scroto è irrorato dalle aa.
pudende esterne, rami dell’a. femorale, che decorrono superomedialmente nella coscia fino a
raggiungere i genitali esterni per formare le aa. scrotali anteriori; tuttavia la porzione posteriore
dello scroto risulta essere irrorata, a differenza di quella anteriore, da rami terminali dell’a.
pudenda interna, detti aa. scrotali posteriori; ovviamente i vari strati dello scroto ricevono rami
secondari anche dalle aa. cremasterica, ramo dell’a. epigastrica inferiore, e testicolare.
Parallelamente alla vascolarizzazione arteriosa, il drenaggio venoso viene garantito da rami
tributari della v. pudenda interna, della v. pudenda esterna e della v. epigastrica inferiore.

1. SACCO SCROTALE PROPRIAMENTE DETTO - CUTE E TONACA DARTOS


Lo scroto propriamente detto è formato da due strati, ovvero uno strato cutaneo, che si
presenta fortemente pigmentato, e uno strato sottocutaneo, detto tonaca dartos, che è
formato da una maglia sottile di cellule muscolari lisce fortemente connesse con la cute; la
tonaca dartos è responsabile dell’aspetto rugoso dello scroto e aiuta, insieme al m.
cremastere, a diminuire la dispersione di calore a temperature fredde da parte della parete
dello scroto. Lo strato sottocutaneo dello scroto deriva esclusivamente dalla porzione
membranosa del sottocutaneo addominale, anche detta fascia di Scarpa; tra cute e tonaca
dartos non vi è interposizione di alcun pannicolo adiposo, cosa che invece avviene a livello
della parete addominale. La cute dello scroto rappresenta, dunque, il proseguimento della
cute addominale e si presenta sottile, con lunghi peli, rugosa, pigmentata e ricca di ghiandole
sebacee. Il tessuto membranoso della tonaca dartos forma, all’interno della cavità scrotale,
un setto scrotale che divide il sacco scrotale in due camere distinte, dove sono alloggiati
indipendentemente tra loro, i due testicoli. A livello cutaneo o superficiale il setto scrotale
corrisponde al rafe scrotale, che si porta fino a livello del perineo.

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2. RIVESIMENTO DEL TESTICOLO E DELL’EPIDIDIMO
I testicoli si sviluppano nella cavità addominale e migrano nello scroto durante la prima fase
della vita postnatale. Durante la discesa i testicoli attraversano gli strati della parete
addominale passando attraverso il canale inguinale. Un estroflessione peritoneale dà origine
al processo vaginale del testicolo, che funge da guida durante la discesa. Dopo la nascita, la
maggior parte della porzione craniale del processo vaginale si oblitera, lasciando soltanto
una porzione caudale di questo processo derivato dal peritoneo, in corrispondenza del
testicolo e dell’epididimo. La porzione caudale di tale processo si trasforma dunque in
tonaca vaginale propria del testicolo, che costituisce l’involucro sieroso chiuso posto
intorno al testicolo e all’epididimo. La lamina viscerale della tonaca vaginale propria è
detta epiorchio e riveste la tonaca albuginea del testicolo in tutte le zone non coperte
dall’epididimo; si continua a livello del funicolo spermatico, dopo aver rivestito gran parte
dell’epididimo, con la lamina parietale della tonaca vaginale propria, anche detta
periorchio. La epiorchio e periorchio è posta una cavità sierosa virtuale, bagnata da un
sottile strato di liquido sieroso.
Al foglio parietale o periorchio aderisce esternamente la fascia spermatica interna o tonaca
vaginale comune, derivata dalla fascia trasversale dell’addome. Il m. trasverso dell’addome
e la sua fascia non hanno corrispettivi a livello dello scroto e degli strati di rivestimento dei
testicoli. Alla tonaca vaginale comune segue, come strato più superficiale, il m. cremastere,
derivato direttamente dal m. obliquo interno, e rivestito da una fascia, derivata dalla fascia
del m. obliquo interno, detta fascia cremasterica, che si presenta unita al muscolo formando
un unico strato fibromuscolare.
Infine, tra il tessuto sottodartotico e il muscolo e la fascia cremasterica, troviamo un
importante strato membranoso detto fascia spermatica esterna, derivata dall’aponevrosi
fasciale del m. obliquo esterno dell’addome; questa forma il rivestimento esterno del
testicolo, dell’epididimo e del funicolo spermatico.

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- Il Testicolo
Il testicolo corrisponde alla gonade maschile ed è l’organo pari che rappresenta il luogo di
produzione delle cellule germinali maschili, gli spermatozoi. I testicoli sono collocati al di fuori
della cavità addominale, contenuti nella borsa scrotale o scroto. Hanno forma ovoidale,
solitamente il testicolo sinistro è più basso di quello destro e possiedono una consistenza sodo-
elastica. Si presentano con dimensioni di ca. 4,5 x 2,5 x 2 cm e con un colorito giallo-roseo; il
peso è all’incirca di 25g.
Da un punto di vista macroscopico si possono distinguere un polo superiore e un polo inferiore
del testicolo; inoltre, essendo l’organo leggermente schiacciato laterolateralmente, presenterà
una faccia laterale e una faccia mediale, separate da un margine anteriore e da un margine
posteriore. Il margine posteriore risulta essere leggermente più largo e meno acuto rispetto a
quello anteriore, anche in relazione al suo rapporto con il corpo e la coda dell’epididimo.
I testicoli sono orientati in senso obliquo rispetto all’asse mediano, presentando così il polo
superiore rivolto anterolateralmente e il polo inferiore rivolto posteromedialmente.
I testicoli sono avvolti da una spessa capsula connettivale indipendente dalla capsula
connettivale che avvolge l’epididimo; questa capsula di connettivo fibroso denso, detta tonaca
albuginea, si presenta biancastra e costituisce la struttura di rivestimento più intima dell’organo.
Dalla tonaca albuginea del testicolo si dipartono setti testicolari disposti a raggiera, che
suddividono il parenchima testicolare in 200-300 lobuli testicolari di forma conica; i setti
convergono lungo il margine dorsale del testicolo per formare il mediastino testicolare, ovvero
l’area non occupata da alcun lobulo testicolare e da cui entrano ed escono i vasi e i nervi
dell’organo, oltre che i condottini efferenti destinati all’epididimo. Ogni lobulo testicolare è
formato da canalicoli sinuosi, i tubuli seminiferi contorti, che a livello del mediastino testicolare
sboccano nella rete testis attraverso i tubuli seminiferi retti. Dalla rete testis originano 12-20
condottini efferenti, che si portano verso l’epididimo per sboccare nel suo dotto.
Il testicolo e l’epididimo sono irrorati dall’a. testicolare o spermatica interna, che discende in
sede retroperitoneale fino ad entrare nel canale inguinale e nel funicolo spermatico; si
anastomizza con rami dell’a. deferenziale per irrorare il condotto deferente e con rami dell’a.
cremasterica, che origina dall’a. epigastrica inferiore, per vascolarizzare porzioni dello scroto.
Il drenaggio venoso del testicolo e dell’epididimo è garantito dal plesso venoso pampiniforme.

- L’Epididimo
L’epididimo è formato da minute convoluzioni e avvolgimenti del dotto dell’epididimo, così
fortemente giustapposte da assumere un’apparenza solida. È un organo pari, disposto come una
cresta sulla superficie dorsale del testicolo e, da un punto di vista macroscopico, può essere
diviso in tre porzioni, ovvero la testa, che sovrasta il polo superiore del testicolo ed è collocata
superiormente, formata dalla confluenza di 12-14 porzioni terminali contorte di condottini
efferenti, il corpo, ovvero la porzione più avvolta del dotto dell’epididimo, e la coda, che si
continua poi con il dotto deferente; il corpo e la coda dell’epididimo aderiscono entrambi al
margine posteriore del testicolo, leggermente spostati verso la sua faccia laterale. Il dotto
dell’epididimo, fortemente avvolto su se stesso, misura quasi 5 m, ma presenta un così alto
grado di avvolgimento da poter essere raccolto in pochi cm cubi. Il dotto deferente origina a
livello della coda dell’epididimo come continuazione del dotto dell’organo. i condottini efferenti
trasportano invece verso l’epididimo gli spermatozoi dalla rete testis, ovvero da quella porzione
interna al testicolo, che si presenta come una maglia di canalicoli, dove confluiscono tutti i
tubuli seminiferi.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 168


- Il Funicolo o Cordone Spermatico
Corrisponde alla complessa formazione cordonale pari che riveste, comprende e sospende il
testicolo all’interno del sacco scrotale, fornendo al suo interno vie afferenti ed efferenti per il
testicolo. Esso inizia a livello dell’anello inguinale profondo, lateralmente ai vasi epigastrici
inferiori, da cui originano i vasi cremasterici, e si porta all’interno del canale inguinale per poi
emergere dall’anello inguinale superficiale. Raggiunto il testicolo, termina a livello della sua
porzione superoposteriore.
Il funicolo spermatico è costituito da un insieme di fasce derivate dagli strati della parete
addominale anterolaterale, che si portano attraverso il canale inguinale a formare poi gli strati
di rivestimento del testicolo. Questi strati sono costituiti, portandosi da un piano profondo ad
uno più superficiale, innanzitutto dalla tonaca vaginale comune del testicolo, o fascia
spermatica interna, derivata dalla fascia trasversa, che nell’addome, si pone superficialmente al
grasso endoaddominale e al peritoneo parietale, poi dal muscolo e dalla fascia cremasterica,
derivati dai fasci muscolari e dall’aponevrosi del m. obliquo interno dell’addome e, infine, dalla
fascia spermatica esterna derivata dall’aponevrosi del m. obliquo esterno dell’addome.
La fascia cremasterica contiene fibre del m. cremastere che derivano dalla porzione più
inferomediale del m. obliquo interno dell’addome, a livello del ligamento inguinale. La
contrazione riflessa del m. cremastere solleva il testicolo nella porzione superiore dello scroto;
ciò avviene specialmente in condizioni di raffreddamento corporeo, mentre, in ambienti caldi, il
m. cremastere si rilascia e il testicolo discende profondamente nello scroto. Entrambe queste
risposte avvengono allo scopo di regolare la temperatura del testicolo per la spermatogenesi,
che richiede una temperatura costante, approssimativamente di un grado più bassa rispetto alla
temperatura corporea. Il n. genitofemorale, derivato dal plesso lombare, innerva con le sue
branche genitali il m. cremastere.
Il funicolo spermatico risulta così essere costituito da diverse strutture; la prima è il dotto
deferente, che decorre al suo interno, e viene diviso in una pozione scrotale, una inguinale e una
pelvica; le prime due porzioni del dotto deferente, lungo ca. 40 cm, sono comprese all’interno
del funicolo spermatico, che si apre in corrispondenza dell’anello inguinale profondo, dove
inizia la porzione pelvica del dotto deferente.
Anteriormente al decorso del dotto deferente si collocano l’a. testicolare o spermatica interna e
le vv. del gruppo anteriore; queste ultime, insieme alle vv. del gruppo posteriore, vanno a
formare i plesso venoso pampiniforme, costituito da 10-12 vene tributarie, in gran parte, della v.
testicolare destra o sinistra.
Posteriormente al dotto deferente si collocano dapprima l’a. deferenziale, che origina dall’a.
vescicale inferiore, l’a. cremasterica, che origina dall’a. epigastrica inferiore, e posteriormente
a queste due arterie, le vv. del gruppo posteriore. inoltre si trovano all’interno del funicolo
spermatico il n. ileoipogastrico e il n. ileoinguinale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 169


LA REGIONE PERINEALE ANTERIORE NELLA FEMMINA

- L’Uretra Femminile
Nella donna l’uretra è molto corta, ca. 3-5 cm, e decorre posteriormente alla sinfisi pubica,
separata anteriormente da questa attraverso uno spazio retropubico, inferiore alla superficie
inferoanteriore della vescica, colmo di tessuto connettivo lasso e di adipe. L’uretra entra in
rapporto posteriormente con la parete anteriore della vagina, tanto da imprimere lungo la parete
interna di questa una carena vaginale dell’uretra, posta con orientamento longitudinale sulla
metà inferiore della parete anteriore della vagina. L’uretra femminile inizia in corrispondenza
dell’orifizio uretrale interno e, portandosi per tutta la sua lunghezza, anteroinferiormente,
descrive un leggero arco con concavità anteriore, rimanendo in stretto rapporto, posteriormente,
con la vagina. Termina con l’orifizio uretrale esterno, a forma di becco di flauto, nel vestibolo
della vagina, a ca. 2 cm inferiormente dal glande del clitoride.

- La Vagina
La vagina è un canale muscolomembranoso, che si estende dal collo dell’utero fino al vestibolo
della vagina, quest’ultimo situato tra le piccole labbra. È un organo impari, cavo e
fibromuscolare, dalla parete sottile, che decorre all’incirca lungo l’asse pelvico, appiattita su un
piano frontale, ovvero in maniera tale che la parete anteriore e quella posteriore si avvicinino
formando un orifizio esterno a forma di H; l’asse maggiore della vagina è posto in maniera tale
che l’organo sia diretto, in senso craniocaudale, anteroinferiormente, lungo il piano sagittale
mediano.
La vagina funge da dotto escretore per il flusso mestruale, forma la porzione inferiore del canale
del parto, accoglie il pene e l’eiaculato durante la copulazione e il rapporto sessuale, e comunica
superiormente con il canale cervicale e inferiormente con il vestibolo della vagina.
La vagina è situata anteriormente al retto e posteriormente all’uretra, e le sue pareti anteriore e
posteriore, tranne che nella sua porzione superiore, sono collassate l’una sull’altra. In condizioni
normali è lunga ca. 7-9 cm.
In corrispondenza della porzione superiore della vagina, le pareti di quest’organo abbracciano la
porzione vaginale del collo dell’utero, formando delle fessure o recessi a fondo cieco costituiti
dallo sporgere del collo dell’utero all’interno della cavità vaginale. Queste fessure comunicanti
tra loro, sono dette fornice vaginale, che può essere suddiviso in una porzione anteriore, in una
posteriore e in una laterale. In una sezione sagittale si può osservare come la porzione
posteriore del fornice vaginale, come anche la parete vaginale posteriore, si portano ca. 1,5-2 cm
più in alto rispetto alla porzione anteriore del fornice vaginale; questo fa si che la porzione
posteriore contragga stretti rapporti con il fondo del cavo retto-uterino.
La mucosa della vagina forma pieghe trasversali, dette rughe vaginali. A causa dei plessi venosi
ben sviluppati e situati nella parete vaginale, si formano inoltre creste longitudinali dette colonne
vaginali. A causa della stretta vicinanza con l’uretra si può osservare lungo la parete vaginale
anteriore una carena uretrale della vagina.
La vagina riceve sangue arterioso dalle aa. vaginali, provenienti sia, superiormente, dal ramo
discendente dell’a. uterina, su ambo i lati, sia, inferiormente, dall’a. rettale media che dall’a.
pudenda interna.
Il drenaggio venoso dell’organo è garantito dall’importante plesso venoso vaginale, che
comunica con gli altri plessi venosi e, attraverso questi, confluisce nelle vv. iliache interne.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 170


- La Vulva
La vulva o pudendo muliebre è la l’insieme dei genitali esterni femminili che ha il compito di
orientare il flusso di urina espulsa dall’uretra, di prevenire l’ingresso di materiale esterno nel
tratto urogenitale e di fornire tessuto erettile e sensitivo durante il rapporto sessuale. Le strutture
che compongono il complesso di genitali esterni femminili sono il monte del pube e le grandi
labbra, le piccole labbra, il clitoride e il vestibolo della vulva.
Il monte del pube o monte di Venere è un cuscinetto cutaneo-adiposo situato davanti alla sinfisi
pubica, ai tubercoli pubici e ai rami superiori del pube; la superficie di questa struttura è
continua con la parete addominale anteriore. Dopo la pubertà il monte del pube si ricopre di
robusti peli e aumenta la quantità di adipe sottocutaneo, che invece diminuisce dopo la
menopausa.
1. Le grandi labbra sono pieghe cutanee sporgenti che proteggono indirettamente gli orifizi
uretrale e vaginale. Ogni grande labbro è ampiamente riempito da una porzione digitiforme
di connettivo lasso, di tessuto adiposo e di tessuto membranoso proveniente dal ligamento
rotondo dell’utero. Le grandi labbra si portano inferoposteriormente dal monte del pube
all’ano delimitando una fessura compresa tra loro, detta rima vulvare o fessura pudenda; la
superficie laterale delle grandi labbra contiene numerose ghiandole sebacee e peli ispidi,
mentre la superficie mediale appare liscia, rosea e non pigmentata. Le grandi labbra sono più
spesse anteriormente, dove si uniscono a formare la commessura anteriore, rispetto a quanto
avviene in prossimità dell’ano, dove si forma la commessura posteriore, che è marcata
soprattutto nelle donne nullipare.
2. Le piccole labbra sono pieghe cutanee prive di tessuto adiposo e peli, contenute nella rima
vulvare all’interno delle grandi labbra, in diretta continuità con il vestibolo della vagina.
Risultano essere unite posteriormente da una piega trasversale, il frenulo delle piccole
labbra, che scompare dopo il primo parto vaginale. La superficie interna di ciascun piccolo
labbro si presenta sottile e umida, e mantiene le caratteristiche delle mucose, rivestita da un
sottile epitelio e accompagnata da ghiandole sebacee, da un cospicuo stroma connettivale e
da molte terminazioni nervose.
3. Il clitoride è un piccolo organo erettile impari localizzabile nel punto di incontro anteriore
tra le piccole labbra. È estremamente ricco di terminazioni nervose, paragonabile al glande
del pene del sesso maschile, sebbene, a differenza di questo, non sia connesso
funzionalmente con gli organi della minzione come l’uretra e il suo orifizio. Il clitoride
viene diviso in una radice, pari, e in un corpo, impari, composti da due pilastri, i corpi
cavernosi; questi si uniscono al di sotto della sinfisi pubica, dopo essersi applicati ai rami
ischiopubici, formando un corpo unico, che termina con il glande del clitoride, ricoperto a
sua volta da un prepuzio, formato dalle piccole labbra che coprono anteriormente il glande
del clitoride. I corpi cavernosi risultano essere separati tra loro da un setto incompleto, detto
setto del corpo cavernoso, e la loro radice risulta essere applicata alla sinfisi pubica nel suo
margine inferiore dal ligamento sospensore del clitoride. Le due radici del clitoride
risultano essere coperte, nel loro decorso lungo il ramo ischiopubico, dal m.
ischiocavernoso, muscolo pari del perineo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 171


4. Il vestibolo è lo spazio compreso tra le piccole labbra che contiene gli orifizi dell’uretra,
della vagina e dei dotti delle ghiandole vestibolari maggiori e minori. L’orifizio uretrale
esterno si trova ca. 2 cm posteroinferiormente rispetto al glande del clitoride e anteriormente
rispetto all’orifizio vaginale. Su ciascun lato dell’orifizio uretrale esterno si trovano gli
orifizi o aperture dei dotti delle ghiandole parauretrali. L’orifizio vaginale varia di aspetto e
dimensioni in relazione allo stato dell’imene, ovvero quella sottile piega mucosa che
circonda l’orifizio vaginale; dopo il primo parto vaginale rimangono visibili solo dei piccoli
residui dell’imene, detti caruncole imenali che costituiscono il confine tra vulva e vagina.
Le ghiandole vestibolari maggiori o del Bartolino, del diametro di ca. 0,5 cm, si trovano su
ciascun lato del vestibolo, posterolateralmente all’orifizio vaginale, parzialmente circondate
dai m. bulbospongiosi. I dotti di queste ghiandole, lunghi ca. 2 cm, si aprono in prossimità
dell’orifizio vaginale e secernono durante l’eccitamento sessuale un liquido mucoso, come
anche le ghiandole vestibolari minori, che si aprono in prossimità dell’orifizio vaginale, tra
questo e l’orifizio uretrale esterno.

La vulva risulta essere vascolarizzata dai rami terminali dell’a. pudenda interna; il drenaggio
venoso invece viene operato dalla v. pudenda interna e dalla v. pudenda esterna, oltre che dal
plesso venoso vescicale, attraverso la v. dorsale profonda del clitoride.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 172


LA REGIONE PERINEALE POSTERIORE

- Il Canale Anale
Il canale anale è la porzione terminale dell’intestino crasso che si estende dalla faccia superiore
del diaframma pelvico sino all’ano. Il canale anale è lungo ca. 2,5-3,5 cm e si estende obliquo in
senso anteroposteriore dall’alto in basso, originando in corrispondenza del punto in cui
l’ampolla rettale si restringe a causa delle fibre muscolari arciformi della porzione puborettale
del m. elevatore dell’ano, che stringono posteriormente, come una fionda tesa, la parete
posteriore del retto. Il canale anale risulta essere collassato tranne che nel momento della
defecazione, quando gli sfinteri si rilassano e permettono il transito delle feci all’esterno,
attraverso l’ano, ovvero l’orifizio esterno del tubo gastroenterico.
Lo sfintere esterno dell’ano è un muscolo volontario costituito da tre porzioni, di cui due
comprese nel compartimento pelvico e una, al di sotto, in quello perineale. Il m. elevatore
dell’ano in prossimità della parete del retto si dispone all’esterno della muscolatura
longitudinale congiunta del retto, per dare origine al m. sfintere esterno; questo si divide in una
porzione profonda, più superiore e in diretto contatto con le fibre della muscolatura
longitudinale congiunta, e in una superficiale, inferiore rispetto a quella profonda, anch’essa a
contatto con le fibre muscolari longitudinali e, in basso, separata dallo spazio perineale per
mezzo del setto fibroso trasverso. La porzione più superficiale dello sfintere esterno dell’ano è
la parte sottocutanea di questo, posta nello spazio perineale della fossa ischiorettale.
Lo sfintere interno dell’ano è uno sfintere involontario interno che circonda la porzione pelvica
dell’ano, ovvero i suoi 2/3 prossimali, come inspessimento dello strato muscolare circolare del
retto.
La metà superiore della parete interna del canale anale è caratterizzata da una serie di rilievi
longitudinali dette colonne rettali del Morgagni, che corrispondono ai rilievi del plesso venoso
emorroidale interno. La giunzione anorettale corrisponde alla linea circolare che unisce i
margini prossimali delle colonne rettali e che stabilisce la linea di confine tra retto e canale
anale. I margini distali delle colonne rettali sono uniti per mezzo di piccoli recessi detti seni
rettali. Inoltre, i margini distali delle colonne rettali e i seni rettali sono uniti su una linea
circolare detta linea pettinata, che divide il canale anale in due porzioni distinte da un punto di
vista embriogenico e vascolare.
Il canale anale al di sopra della linea pettinata differisce dalla parte al di sotto di questa per
quanto riguarda la vascolarizzazione arteriosa, il drenaggio venoso e linfatico e l’innervazione.
L’a. rettale superiore vascolarizza la porzione superiore, le aa. rettali inferiori la porzione
inferiore. Il drenaggio venoso non risulta essere così diviso in relazione alla linea pettinata; il
plesso venoso emorroidale interno, drena sia le porzioni superiori che quelle inferiori del canale
anale, costituendo un importante punto anastomotico venoso portocavale tra vv. rettali superiori
e vv. rettali inferiori. Inoltre, di rilevante importanza clinica risulta essere il plesso venoso
emorroidale esterno, posto all’interno dello spazio sottocutaneo perineale perianale, tributario
delle vv. rettali inferiori.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 173


- La Fossa Ischio-Rettale
Le fosse ischiorettali sono ampi spazi cuneiformi colmi di tessuto connettivo adiposo e lasso,
dotati di un modesto sistema di impalcature fibrose e fasciali, che costituiscono lo stroma del
tessuto che lo colma. Le fosse ischiorettali corrispondono alle porzioni perineali posteriori,
sottostanti il diaframma pelvico, poste tra questo e la cute. Infatti la fossa ischiorettale è formata
da una parete inferiore che corrisponde alla cute del perineo posteriore, una parete laterale
formata dalla fascia e dal canale otturatorio, e quindi dalla porzione caudale del omonimo
muscolo, e superomedialmente dal m. elevatore dell’ano, che discende obliquamente verso l’ano
per formarne lo sfintere esterno. Il setto fibroso trasverso derivante dal centro tendineo del
perineo divide la fossa ischiorettale in una porzione superiore, profonda e rivolta verso la pelvi
da una porzione inferiore, superficiale, meno estesa e anche detta perineale.
Le fosse ischiorettali sono delimitate posteriormente dal m. grande gluteo e dal ligamento
sacrotuberoso, mentre, anteriormente si assottigliano per confluire e comunicare con lo spazio
perineale profondo compreso tra il diaframma pelvico e il foglietto superiore della fascia
perineale profonda del trigono urogenitale del perineo. Gli spazi perineali profondi, anteriori e
compresi tra il diaframma urogenitale e quello pelvico vengono talvolta descritti come recessi
anteriori delle fosse ischiorettali, per indicarne la diretta continuità spaziale posteroanteriore.

- Il Canale Pudendo
Il canale pudendo o di Alcock è formato da una duplicatura della fascia che riveste la superficie
mediale del m. otturatore e si porta posteroanteriormente seguendo la superficie laterale della
fossa ischiorettale ipsilaterale. Include i vasi pudendi interni e il n. pudendo che entrano in esso
attraverso il piccolo forame ischiatico, al di sotto della spina ischiatica e del ligamento
sacrospinoso.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 174


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 175
ARTO INFERIORE
Introduzione - Anatomia Topografica e di Superficie
L’arto inferiore corrisponde all’appendice pari inferiore del tronco, connesso ad esso attraverso le
strutture della cintura pelvica. L’arto inferiore è formato da strutture specializzate nel sostegno del peso
corporeo, nel mantenimento dell’equilibrio, e quindi nel bilanciare le forze di tale peso, e
nell’importante atto della locomozione e deambulazione.

L’arto inferiore è diviso in quattro grosse macroporzioni, ovvero l’anca, la coscia, la gamba e il piede.
L’anca corrisponde alla sporgenza laterale della pelvi, che si estende dalla cresta iliaca alla coscia e che
contiene l’osso coxale o osso dell’anca, già descritto, che connette il femore e in generale l’arto inferiore
con la colonna vertebrale. La coscia è la porzione, contenete l’osso del femore, che si porta, dunque,
dall’anca al ginocchio, dove include anche la patella, piccolo osso distale del ginocchio. La gamba è la
porzione posta tra il ginocchio e la caviglia. Il piede è la porzione più distale dell’arto inferiore, che
segue alla caviglia.

Anteriormente l’arto inferiore viene diviso in regioni più piccole, in maniera arbitraria e senza chiari
punti di repere in superficie; anteromedialmente troviamo il trigono femorale, delimitato cranialmente
dal ligamento inguinale e mediolateralmente dal m. adduttore lungo e dal m. sartorio. La porzione più
superiore del trigono femorale, ovvero la porzione contigua alla regione pubica o perineale anteriore,
prende il nome di regione sottoinguinale, ed è delimitata dal m. sartorio e dal m. pettineo.
Anterolateralmente invece troviamo la regione femorale anteriore, che include il trigono femorale, ma
che si estende, come regione indipendente, dal m. sartorio, lateralmente, verso la faccia laterale della
coscia. Procedendo in senso craniocaudale troviamo la regione anteriore del ginocchio, che va dal
margine inferiore della regione femorale fino alla tuberosità tibiale. La gamba è divisa in una regione
crurale anteriore, che va dal margine anteroinferiore della regione del ginocchio fino alla caviglia, in
una regione crurale posteriore, che si continua a livello del piede con la regione calcaneare e con la
regione plantare del piede. La caviglia comprende le regioni pari per ciascun arto inferiore dette regioni
retromalleolari, laterale e mediale. Il piede offre a considerare invece oltre che una faccia plantare
anche una faccia o regione dorsale.

Posteriormente la regione dell’anca e della coscia offrono a considerare la regione glutea, che grosso
modo corrisponde all’estensione del m. grande gluteo, e la regione femorale posteriore, che termina in
corrispondenza della regione posteriore del ginocchio, nella fossa poplitea.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 176


REGIONE SOTTOINGUINALE O INGUINO-FEMORALE

La regione sottoinguinale corrisponde ad un triangolo di modesta estensione che si porta lungo la faccia
anterosuperiore della coscia, compreso tra il margine mediale del m. sartorio, lateralmente, il margine
mediale del m. pettineo, medialmente, e il ligamento inguinale, superiormente. Questa regione rientra
nella più estesa regione detta triangolo femorale, che in superficie corrisponde a quell’area compresa tra
il m. adduttore lungo, medialmente, il m. sartorio, lateralmente, e il ligamento inguinale, come base
superiore del triangolo. Lo strato sottocutaneo di questa regione presenta un prolungamento dello strato
membranoso del sottocutaneo o fascia di Scarpa, già presente nell’addome, fino al livello in cui la v.
safena sbocca nella v. femorale in profondità, ovvero fino allo iato safeno.

Una volta rimosso o strato sottocutaneo, prima adiposo e poi membranoso è visibile, nella regione
sottoinguinale, la fascia lata, nella sua porzione più anterosuperiore. La zona della fascia lata che non
appare robusta, densa e di consistenza aponeurotica prende il nome di fascia cribrosa e corrisponde
proprio alla porzione sottoinguinale, posta cranialmente rispetto allo iato safeno. Attraverso la fascia
cribrosa e al di sotto dello strato membranoso del sottocutaneo giungono alla v. grande safena ma in
particolare alla v. femorale, a livello del triangolo femorale e della regione sottoinguinale, le vv.
superficiali provenienti da più direzioni. Assumendo una conformazione a stella queste vv. tributarie
della v. femorale giungono, al di sopra dello iato safeno, alla v. femorale; avremo le vv. pudende esterne
che arriveranno dalla regione pudenda, la v. epigastrica superficiale, che giungerà dall’alto dalla regione
ombelicale, la v. circonflessa iliaca superficiale che giungerà dall’alto e lateralmente e, soprattutto, la v.
grande safena e, eventualmente, la v. safena accessoria, provenienti inferiormente dalla coscia.

Lo iato safeno si evidenzia, dopo rimozione della fascia cribrosa, come un forame nello strato fasciale di
forma semicircolare, delimitato da un margine falciforme, con concavità rivolta medialmente, che
mostra parte del decorso della v. femorale, con lo sbocco della v. grande safena, e lascia intravedere l’a.
femorale, laterale alla v. omonima. L’estremità superiore del margine falciforme dello iato safeno
prende il nome di corno superiore, l’estremità inferiore, invece, corno inferiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 177


STRUTTURE DELLA REGIONE FEMORALE ANTERIORE

- Triangolo Femorale
Il triangolo femorale corrisponde ad una struttura o area ben caratterizzata della regione
femorale anteriore della coscia. Appare come uno spazio fasciale di forma prismatica posto nel
terso superiore della coscia. Risulta essere delimitato superiormente, come base, dal ligamento
inguinale, inferomedialmente, come lato mediale, dal margine laterale del m. adduttore lungo, e,
lateralmente, come lato laterale, dal margine mediale del m. sartorio. L’incrocio di questi lati
forma l’apice, rivolto caudalmente, del triangolo femorale. Il pavimento del triangolo, ovvero la
parete posteriore, è formata lateralmente dal m. ileopsoas, medialmente dal m. pettineo. Il tetto o
parete anteriore è formato dalla fascia lata e, nella porzione sottoinguinale, anche dalla fascia
cribrosa, regione in cui si trova lo iato safeno. Andando in senso lateromediale il contenuto del
triangolo femorale è costituito dal n. femorale, con i suoi rami collaterali, dall’a. femorale, con
alcuni suoi rami e dalla v. femorale, con lo sbocco a livello dello iato safeno, della v. grande
safena. L’a. e la v. femorale dividono il triangolo femorale in due metà, una mediale e una
laterale; in corrispondenza dell’apice del triangolo i vasi femorali, con il n. femorale, entrano nel
canale degli adduttori, ovvero la struttura presente nel terzo medio della coscia.

- Guaina Femorale e Canale Femorale


La guaina femorale è una guaina o involucro fasciale a forma di imbuto che si estende fino a 3-4
cm sotto il ligamento inguinale, avvolgendo le porzioni prossimali dei vasi femorali e il canale
femorale. Infatti, risulta essere divisa in tre compartimenti; uno laterale, che include l’a.
femorale, uno intermedio che include la v. femorale e uno mediale, chiamato canale femorale.
La guaina femorale è costituita da un prolungamento distale della fascia dell’addome e
dell’ileopsoas. Non include e non avvolge il n. femorale, separandolo quindi, nella porzione in
cui è presente, dai vasi femorali. Distalmente termina come il collo di un imbuto fondendosi alla
tonaca avventizia dei vasi femorali. La guaina femorale permette ai vasi sottostanti di scivolare
in assenza di forte attrito sul robusto ligamento inguinale. È attraversata da setti connettivali che
la dividono in tre scompartimenti; inoltre, anteriormente, presenta un’apertura in corrispondenza
dello iato safeno.
Il canale femorale, il più piccolo e mediale dei tre scompartimenti della guaina femorale, è un
piccolo spazio di forma conica, posto tra la v. femorale, lateralmente, e la guaina femorale,
medialmente. La base del canale femorale si presenta aperta e di forma ovale, ed è detta anello
femorale. Da un punto di vista funzionale non è precisato il ruolo svolto dal canale femorale e
dall’anello che rappresenta la sua base superiore.

- Canale degli Adduttori


Il canale degli adduttori, o canale di Hunter o canale subsartoriale, è il canale profondo della
regione femorale anteriore che accoglie il decorso dei vasi femorali e del n. safeno. È lungo ca.
15 cm ed è formato da uno stretto tunnel fasciale che va, in senso craniocaudale, dall’apice del
triangolo femorale, fino allo iato degli adduttori, posto nel tendine del grande adduttore.
Decorre posterolateralmente al terzo medio del m. sartorio, accogliendo il decorso dei vasi
femorali, che dopo essere transitati attraverso di esso, diventano vasi poplitei.
È chiuso anterolateralmente dal m. vasto mediale del quadricipite femorale, posteriormente dal
m. grande adduttore e dal m. adduttore lungo, e anteromedialmente dal m. sartorio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 178


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 179
Parte I - Apparato Locomotore dell’Arto Inferiore

ANCA E COSCIA

- Fasce dell’Anca e della Coscia


Quando il connettivo sottocutaneo forma una guaina di rivestimento si parla di fascia, indicando
che essa lega insieme delle strutture; ciascun muscolo è intimamente avvolto da una sottile
fascia connettivale detta epimisio e, nel caso dell’arto inferiore, si contano due strati fasciali che
rivestono le strutture interne dell’arto.
Il connettivo sottocutaneo o fascia superficiale si trova immediatamente sotto la cute ed è
formato da tessuto connettivo lasso, contenete un quantitativo variabile di adipe, nervi e vasi
cutanei superficiali, sia venosi che linfatici. Le fibre dello strato sottocutaneo si fondono come
ipoderma con il derma, non mostrando un evidente piano di divisione tra queste due strutture. A
livello del ginocchio lo strato profondo si fonde con quello superficiale, perdendo il contenuto
lasso e adiposo e presentandosi come un unico strato sottile, fibroso e robusto.
La fascia profonda è uno strato di tessuto connettivo denso che si interpone tra l’ipoderma e lo
strato muscolare dell’arto inferiore. Esso forma dei setti che si interpongono tra i muscoli
separandoli l’uno dall’altro e formando così dei setti intermuscolari che suddividono in porzioni
la coscia e la gamba. La fascia profonda riveste l’arto inferiore come una calza elastica che
rende tonici e adesi tra loro i muscoli. La fascia profonda della coscia è chiamata fascia lata, la
fascia profonda della gamba invece fascia crurale.
La fascia lata si inserisce superiormente al ligamento inguinale, all’arcata pubica, al corpo del
pube e al tubercolo pubico. La fascia di Scarpa o strato membranoso del sottocutaneo della
parete addominale si continua nella fascia lata a ca. 1 cm sotto il ligamento inguinale. La fascia
lata inoltre trova inserzione lateroposteriormente in alto sulla cresta iliaca e posteriormente sul
ligamento sacrotuberoso, sul tratto sacrococcigeo della colonna vertebrale e sulla tuberosità
ischiatica. Distalmente invece la fascia lata si continua nella fascia crurale dopo essersi inserita
sulle porzioni più esterne delle strutture che formano il ginocchio.
Lateralmente si presenta notevolmente inspessita e rinforzata da fibre addizionali che formano il
tratto ileotibiale della fascia lata. Quest’ampia striscia fibrosa laterale è unita al tendine
aponevrotico del m. tensore della fascia lata, oltre che fornire l’inserzione per gran parte delle
fibre del m. grande gluteo. Il tratto ileotibiale prende questo nome perché si porta dal tubercolo
iliaco della cresta iliaca fino al condilo laterale della tibia.
I muscoli della coscia sono divisi in 3 logge, rispettivamente anteriore, mediale e posteriore, le
cui pareti sono formate da tre setti fasciali intermuscolari che originano dallo strato profondo
della fascia lata e che si inseriscono sulla linea aspra del femore. Il più robusto di questi setti è
il setto intermuscolare laterale, che divide la loggia anteriore dalla loggia posteriore.
Anterosuperiormente, al di sotto del ligamento inguinale, la fascia lata presenta una zona lassa e
meno robusta, detta fascia cribrosa. A questo livello si localizza lo iato safeno.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 180


- Femore
Il femore, il più lungo e pesante osso del corpo, trasmette il peso corporeo dall’anca alla tibia in
posizione eretta. La sua lunghezza, correlata alla lunghezza del passo, risulta essere circa ¼ di
tutta la lunghezza del corpo, ovvero ca. 40-45 cm. Il femore è suddiviso in un corpo, o diafisi,
un collo e due estremità, ovvero le epifisi, distale e prossimale. Tra gli assi maggiori del corpo e
del collo del femore si costituisce un angolo di inclinazione che misura ca. 126°.

1. DIAFISI
Nel corpo si distinguono tre facce, ovvero una anteriore, una laterale e una mediale;
posteriormente le facce laterale e mediale risultano essere separate da una rugosità ossea
separata da due labbri, ovvero la linea aspra, che rappresenta un inspessimento di tessuto
compatto esteso longitudinalmente tra le due epifisi e visibile dal di dietro. Vicino alla linea
aspra si trova un forame nutritizio, a circa metà del suo decorso. La linea aspra è formata da
un labbro mediale e un labbro laterale, che divergono tra loro sia distalmente che
prossimalmente, portandosi verso le epifisi. Il labbro laterale, prossimalmente, si estende
fino alla tuberosità glutea, che talvolta può essere più pronunciata e formare un terzo
trocantere dell’epifisi prossimale. Il labbro mediale si estende fino alla faccia inferomediale
del collo del femore, parallelo e contiguo alla linea pettinea. Quest’ultima corrisponde ad
una cresta che discende dal piccolo trocantere, lateralmente al labbro mediale.
La morfologia e la struttura del corpo o diafisi del femore si presenta, in sezione trasversale,
tipicamente triangolare al centro, per poi diventare, portandosi verso le epifisi, più
quadrangolare e robusta.

2. EPIFISI PROSSIMALE
La testa del femore, liscia e semisferica, si articola con l’acetabolo dell’osso dell’anca, e per
far ciò, si porta leggermente in avanti e superomedialmente. La testa del femore presenta una
depressione al centro, detta fossetta della testa. Lungo il margine della superficie articolare
della testa del femore è possibile seguire la linea irregolare di passaggio tra testa e collo
dell’epifisi prossimale del femore, che rappresenta la linea di inserzione della membrana
sinoviale per l’articolazione coxofemorale. Per quanto riguarda la linea di passaggio tra
corpo e collo del femore si prende in considerazione, anteriormente, la linea
intertrocanterica, mentre, posteriormente, la cresta intertrocanterica. In corrispondenza
dell’unione tra terzo medio e terzo prossimale della cresta intertrocanterica è presente il
tubercolo quadrato. All’unione tra corpo e collo del femore si trovano, invece, i due
grossolani rilievi che danno origine alla linea e alla cresta intertrocanterica, i trocanteri.
Il piccolo trocantere, di forma conica e arrotondata, si estende medialmente dalla porzione
posteromediale della giunzione tra corpo e collo, inferiormente dunque alla cresta
intertrocanterica; dal piccolo trocantere origina la linea pettinea, ovvero una lieve cresta che
discende, lungo la faccia posteriore, verso la diafisi del femore.
Il grande trocantere è invece un grosso e tozzo processo, che si estende lateralmente rispetto
all’asse maggiore dell’osso e si porta verso l’alto e posteriormente dal punto di unione tra
corpo e collo. Subito sotto il grande trocantere si trova una la fossa trocanterica.

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3. EPIFISI DISTALE
L’estremità distale del femore è formata dal condilo mediale e dal condilo laterale, uniti
anteriormente, attraverso la faccia patellare, e separati posteriormente, in maniera piuttosto
netta, attraverso la fossa intercondiloidea. Posteriormente, lo spazio posto tra i due condili, o
fossa intercondiloidea, e delimitato in alto da una breve linea intercondiloidea, che unisce le
porzioni postero superiori dei due condili e che forma la base del triangolo popliteo, ovvero
quella struttura di forma triangolare della faccia posteriore dell’epifisi distale del femore,
avente come lati i labbri laterale e mediale della linea aspra che divergono tra loro
distalmente e, come base, la linea intercondiloidea.
Superomedialmente al condilo mediale è visibile l’epicondilo mediale, che presenta
evidente, soprattutto in una proiezione posteriore, il tubercolo degli adduttori, ovvero una
piccola protuberanza dell’epicondilo mediale dell’epifisi distale del femore.
Controlateralmente all’epicondilo mediale troviamo l’epicondilo laterale, separati dal
triangolo popliteo; condilo e epicondilo laterali sono separati tra loro per mezzo
dell’interposizione di un piccolo solco poco profondo, ben visibile in proiezione
posterolaterale, ovvero il solco popliteo.

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- Articolazione Coxo-Femorale
Le superfici articolari dell’articolazione coxofemorale sono rappresentate dalla faccia
semilunare dell’acetabolo e dalla testa del femore; la faccia semilunare si continua con il labbro
dell’acetabolo che ne aumenta la superficie d’incastro con la testa del femore; il labbro o
cercine dell’acetabolo è costituito da tessuto cartilagineo fibroso e, insieme alla faccia
semilunare propria dell’acetabolo, ricopre ca. 2/3 della testa del femore. La superficie ossea
ricoperta da questa articolazione risulta essere incompleta perché presenta una particolarità;
infatti la superficie articolare è completata in basso da un ligamento intrinseco
dell’articolazione, il ligamento trasverso dell’acetabolo, che si inserisce sul labbro acetabolare,
inferiormente. Dalla fossa acetabolare si diparte, in continuità con il ligamento trasverso
dell’acetabolo, il ligamento della testa del femore, che, rivestito completamente da membrana
sinoviale, poggia su un cuscinetto adiposo posto della fossa dell’acetabolo, e che si porta sulla
testa del femore per inserirsi sulla fossetta della testa del femore. In questa porzione
dell’articolazione dunque avremo la testa del femore, ricoperta da superficie articolare, in
contatto con il ligamento della testa del femore, a sua volta, rivolto verso l’acetabolo, in contatto
con il cuscinetto adiposo della fossa dell’acetabolo.

1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare del femore è fissata, oltre che sul labbro dell’acetabolo anche
sull’osso dell’anca, facendo si che il labbro dell’acetabolo sporga liberamente nella capsula
articolare, la quale si porta, dunque, come inserzioni terminali, dal femore all’anca,
inserendosi solo in modo intermedio e di rinforzo sul labbro acetabolare. Nel femore
l’inserzione capsulare avviene su un circolo che gira attorno al collo dell’epifisi prossimale,
equidistante sia sul davanti che indietro dalla superficie articolare della testa. In tal modo
però, la porzione extracapsulare del collo risulta essere più estesa posteriormente che
anteriormente, facendo si che la capsula si inserisca sul davanti, lungo la linea
intertrocanterica, occupando tutto il collo nella sua estensione, e, posteriormente, a ca. 1 cm
dalla cresta intertrocanterica, lasciando così una piccola porzione extracapsulare del collo.
La capsula articolare risulta essere rinforzata, protetta e orientata da 5 ligamenti
dell’articolazione coxofemorale, di cui solo uno intracapsulare.

2. LIGAMENTI INTRACAPSULARI
L’unico ligamento intracapsulare è il ligamento della testa del femore. Questo si estende
dall’incisura acetabolare fino alla fossetta della testa del femore, interponendosi tra la
superficie dell’acetabolo non rivestita dal cartilagine ialina ma solo da un cuscinetto adiposo
e la superficie articolare della testa del femore. Non svolge particolari funzioni meccaniche
nei movimenti articolari, tranne nel caso in cui, avvenuta una lussazione del femore, viene
messo in tensione come extrema ratio per impedire un ulteriore allontanamento dei capi
articolari.

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3. LIGAMENTI EXTRACAPSULARI
I ligamenti extracapsulari sono la zona orbicolare, il ligamento ileofemorale, il ligamento
ischiofemorale e il ligamento pubofemorale. Gli ultimi tre da un lato rinforzano la capsula e
dall’altro impediscono movimenti troppo estesi del femore rispetto all’anca.

Zona Orbicolare : circonda come un colletto la parte più stretta del collo articolare; è ben
visibile dall’interno della capsula articolare mentre, dall’esterno, risulta essere coperta
dall’estensione dei tre ligamenti extracapsulari maggiori. La testa del femore passa
attraverso la zona orbicolare come un bottone nel proprio occhiello; in questo modo, tale
ligamento contribuisce , insieme al labbro acetabolare, a mantenere in contatto la testa
del femore con la superficie concava e semisferica dell’acetabolo.

Ligamento Ileofemorale : è il ligamento più robusto del corpo e può arrivare a


sopportare una trazione anche di 350 Kg. Questo ligamento origina dalla spina iliaca
anteriore inferiore e dal margine dell’acetabolo e si inserisce sulla linea intertrocanterica.
È formato da una porzione trasversa, più robusta, che discende parallela al collo del
femore più cranialmente rispetto all’altra porzione, la porzione discendete, meno
robusta, che discende parallela all’asse maggiore del corpo del femore. La porzione
trasversa limita l’extrarotazione e l’abduzione della coscia; la parte discendente limita
l’intrarotazione. Inoltre questo ligamento mantiene la tensione necessaria al contatto tra
testa del femore e acetabolo.
Ambedue le parti si portano con andamento a spirale verso il basso, divergendo per
inserirsi lungo tutta la linea intertrocanterica, e assumendo così una tipica forma ad Y
rovesciata. La torsione, in posizione eretta, mantiene la tensione necessaria al ligamento
per svolgere in modo ottimale le sue fondamentali funzioni meccaniche.

Ligamento Ischiofemorale : ha origine sull’ischio, al confine tra corpo e ramo di questo,


sotto l’acetabolo; procede, quasi orizzontalmente, lungo la superficie posteriore del
collo del femore, come ligamento robusto e corto, per limitare l’intrarotazione della
coscia. Si unisce, lateroinferiormente alla sua origine sull’ischio, ai fasci della zona
orbicolare, per confluire, anterolateralmente, nei robusti fasci laterali della parte
trasversa del ligamento ileofemorale.

Ligamento Pubofemorale : origina dalla superficie superoanteriore del ramo superiore


del pube, oltre che ricevere fasci fibrosi dalla membrana otturatoria, e risulta essere, dei
tre ligamenti maggiori dell’articolazione coxofemorale, il più debole. Si irradia
all’interno della capsula articolare con alcuni suoi fasci, oppure si inserisce, confluendo
nella zona orbicolare, sul ligamento ileofemorale, nella porzione discendente. Limita i
movimenti di abduzione.

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- Muscoli Anteriori della Coscia
La suddivisione dei muscoli dell’anca può essere fatta secondo vari criteri; i muscoli possono
essere divisi sia in base alla loro innervazione, sia in base alla loro situazione topografica e sia
in base alla loro origine e inserzione. Oltre queste suddivisioni vi è, ovviamente, anche una
suddivisione in base alla funzione che i muscoli assolvono.
La suddivisione che comunemente viene considerata è quella fatta in base ai rapporti che i
muscoli contraggono rispetto alle logge anteriore, mediale e posteriore, derivate dai setti
intermuscolari della fascia lata, che passando tra i muscoli si inseriscono sul femore.
I muscoli anteriori della coscia sono flessori dell’anca ed estensori del ginocchio, e sono
localizzati nella loggia anteriore.

1. MUSCOLO ILEOPSOAS
Il m. grande psoas si unisce al m. iliaco, che origina nella fossa iliaca fino alla spina iliaca
anteriore inferiore e include le fibre che poi si inseriranno più distalmente rispetto al piccolo
trocantere, per formare il m. ileopsoas, circondato dalla fascia iliaca. Questo muscolo
attraversa la lacuna musculorum del ligamento inguinale, lateralmente all’arco ileopettineo
che forma le due lacunae, e si porta medialmente dall’alto in basso per raggiungere il
piccolo trocantere dell’epifisi prossimale del femore. A livello dell’eminenza ileopubica tra
muscolo e osso si trova una borsa, detta borsa ileopettinea, che si estende inferiormente fino
alla faccia anteriore della capsula articolare dell’articolazione coxofemorale.

2. MUSCOLO TENSORE DELLA FASCIA LATA


È un particolare muscolo fusiforme lungo ca. 15 cm, compreso tra le due lamine della fascia
lata, topograficamente incluso nei muscoli anteriori della coscia, ma appartenente al gruppo
muscolare della regione glutea.
Origina a livello della porzione più anteriore della cresta iliaca e dalla spina iliaca anteriore
superiore; trova inserzione sul tratto ileo tibiale della fascia lata, nella porzione di questa che
si inserisce sul condilo laterale della tibia.
Svolge azione principalmente come flessore della coscia, insieme al m. ileopsoas. Tuttavia
può, insieme ai mm. glutei svolgere azione di abduzione e intrarotazione. Non ha azione
diretta sulla gamba, bensì svolge da tensore solo del tratto della fascia lata a cui fa capo,
comprimendo la testa del femore contro l’acetabolo.

3. MUSCOLO PETTINEO
Il muscolo pettineo è un piccolo muscolo adduttore della coscia, posto nella porzione
anteriore della superficie superomediale della coscia. Si presenta di forma piatta e
quadrangolare, origina sul ramo superiore del pube da diverse strutture, che andando in
senso lateromediale, risultano essere l’eminenza ileopettinea, la cresta pettinea e infine, il
tubercolo pubico ipsilaterale.
Si inserisce, portandosi obliquamente dall’alto in basso mediolateralmente, sulla linea
pettinea che discende, come lieve cresta rugosa, dal piccolo trocantere.

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4. MUSCOLO SARTORIO
Il sartorio, o muscolo del sarto, è un lungo muscolo nastriforme che discende obliquo
dall’alto in basso lateromedialmente, avvolto da una fascia indipendente, attraverso la
superficie anterosuperiore della coscia. Costituisce il muscolo più lungo del corpo e, oltre a
essere flessore della gamba risulta essere anche flessore della coscia, provocandone
l’antiversione; contribuisce data la sua inserzione anche come muscolo intrarotatore della
gamba o extrarotatore della coscia. In ogni caso l’azione di questo muscolo non risulta
essere particolarmente potente ed è perciò comunque accompagnato nelle sue funzioni da
altri muscoli.
Origina dalla spina iliaca anteriore superiore e dalla porzione superiore dell’incisura tra le
due spine iliache anteriori.
Si inserisce con una struttura tendinea tipica “a zampa d’oca superficiale”, sulla fascia
crurale, medialmente alla tuberosità tibiale sulla faccia mediale dell’epifisi prossimale della
tibia.

5. MUSCOLO QUADRICIPITE FEMORALE


Il quadricipite femorale è il più voluminoso tra i muscoli anteriori della coscia, nonché uno
tra i più grandi e potenti muscoli del corpo. Ricopre con i suoi capi le superfici anteriore,
mediale e laterale del femore. È il più potente flessore della gamba e risulta essere, come
suggerisce il nome, costituito da 4 capi o parti muscolari, ovvero il m. retto del femore, il m.
vasto laterale, il m. vasto intermedio e il m. vasto mediale.
I 4 muscoli che lo compongono si uniscono in un unico tendine, il tendine quadricipitale,
per trovare inserzione comune sulla base della patella e, attraverso il ligamento patellare,
sulla tuberosità tibiale; le fibre superficiali sorpassano la patella e si dirigono direttamente
alla tuberosità tibiale, le fibre profonde, invece, si inseriscono lungo la base e lungo i
margini laterale e mediale della patella.
M. Retto del Femore : questo muscolo, così chiamato perché discende rettilineo lungo la
coscia, concorre insieme all’ileopsoas a flettere la coscia. Agisce su due articolazioni,
essendo dunque biarticolare, a differenza dei muscoli vasti. In questo modo svolge sia la
comune funzione di estensore della gamba che la funzione suppletiva di flessore
ausiliario della coscia. Origina dalla spina iliaca anteriore inferiore e dall’ileo,
superiormente all’acetabolo.
M. Vasto Laterale : è il più grosso tra i muscoli del quadricipite e occupa la superficie
laterale della coscia. Origina dalla faccia laterale del grande trocantere, dalla linea
intertrocanterica, dalla tuberosità glutea e dal labbro laterale della linea aspra.
M. Vasto Intermedio : è ben delimitato dal vasto laterale ma non dal vasto mediale; una
parte delle fibre del vasto intermedio forma il m. articolare del ginocchio, che si irradia
anteriormente alla capsula articolare del ginocchio e posteriormente alla patella. Il m.
vasto intermedio origina dalla superficie anteriore e laterale della diafisi del femore.
M. Vasto Mediale : origina dal labbro mediale della linea aspra.

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- Muscoli della Regione Glutea
I muscoli della regione glutea possono essere divisi in due gruppi, ovvero il gruppo dei muscoli
glutei, più superficiali, che costituiscono i principali estensori e abduttori della coscia e il
gruppo dei muscoli profondi della regione glutea, più piccoli, coperti dalla metà inferiore del m.
grande gluteo, che costituiscono i principali extrarotatori della coscia e i principali muscoli
accessori alla stabilità dell’articolazione coxofemorale.

1. MUSCOLO GRANDE GLUTEO


Il m. grande gluteo è il più potente, il più grosso e quello composto da fibre più grossolane
tra i muscoli glutei. È anche il più superficiale, ricoprendo gli altri muscoli glutei eccetto il
terzo superiore del m. medio gluteo. In posizione eretta ricopre la tuberosità ischiatica,
lasciandola invece libera e sottocutanea in posizione seduta.
In base alla sua origine e inserzione si divide in una porzione profonda e in una porzione
superficiale. La porzione profonda origina dall’ala dell’ileo, posteriormente alla linea glutea
posteriore, e dal ligamento sacrotuberoso; questa porzione si inserisce sulla tuberosità glutea
del femore. La porzione superficiale, invece, origina dalla cresta iliaca, nei suoi terzi medio
e posteriore, dalla spina iliaca posteriore superiore, dalle facce laterali e dorsali del sacro e
del coccige e, infine, dal tratto distale della fascia toracolombare; questa porzione trova
inserzione per gran parte sul tratto ileotibiale della fascia lata che si inserisce sul condilo
laterale della tibia, e in minor misura sulla tuberosità glutea del femore.

2. MUSCOLO MEDIO GLUTEO


Il m. medio gluteo e il m. piccolo gluteo si presentano complementari, con fibre, che si
portano anteriormente e in profondità rispetto al m. grande gluteo, con forma di ventaglio e
inserzione comune sul grande trocantere, incappucciando dall’alto questa struttura ossea del
femore. Il m. medio gluteo origina dalla faccia glutea dell’ala dell’ileo, compreso tra le linee
glutee anteriore e posteriore, e dalla cresta iliaca; trova inserzione sul grande trocantere.
Giacciono profondamente rispetto al m. grande gluteo e sono innervati e vascolarizzati dalle
medesime strutture vasculo-nervose. Inoltre svolgono la medesima azione, principalmente di
abduzione e intrarotazione della coscia.

3. MUSCOLO PICCOLO GLUTEO


Origina anteroinferiormente al m. medio gluteo dalla faccia glutea dell’ala iliaca, tra le linee
anteriore e inferiore. Trova inserzione comune con il m. medio gluteo sul grande trocantere.

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4. MUSCOLO PIRIFORME
Questo sottile muscolo a forma di pera è posto, in parte, sulla parete posterolaterale della
piccola pelvi, lateralmente al m. ischiococcigeo, e in parte, dopo aver attraversato il grande
forame ischiatico che occupa quasi interamente, si dirige alla sua inserzione passando
posteriormente all’articolazione dell’anca.
La superficie che segna il margine superiore del m. piriforme è indicata in superficie da una
linea ipsilaterale che congiunge la fossetta cutanea, formata dalla spina iliaca posteriore
superiore, con il margine laterosuperiore del grande trocantere. Il m. piriforme assume
notevole importanza rispetto ai vasi e ai nervi glutei superiori e inferiori, dato che i primi
passano superiormente ad esso, mentre, i vasi e i nervi glutei inferiori, passano al di sotto di
esso. Origina dalla faccia pelvica del sacro con più capi, oltre che in piccola parte anche dal
ligamento sacrotuberoso. Si inserisce sul margine superiore del grande trocantere.

5. MUSCOLI OTTURATORI
Il muscolo otturatore interno forma, con i muscoli gemelli superiore e inferiore, il m.
tricipite dell’anca, posto tra il m. quadrato del femore, posteroinferiormente, e il m.
piriforme, posterosuperiormente. Il tendine comune del tricipite dell’anca si inserisce sul
grande trocantere, dirigendosi orizzontalmente, posteriormente al m. otturatore esterno.
Il m. otturatore interno è localizzato parzialmente nella piccola pelvi dove riveste gran parte
della parete laterale, insieme al m. piriforme. Fuoriesce dalla pelvi attraverso il piccolo
forame ischiatico, tra la spina ischiatica e la tuberosità ischiatica, per decorrere
orizzontalmente compreso tra i mm. gemelli superiore e inferiore. Origina dalla membrana
otturatoria interna e dalla faccia interna del margine osseo del forame otturatorio.
Il m. otturatore esterno è inserito tra i muscoli della loggia mediale della coscia o muscoli
adduttori, anche in relazione alla sua funzione, come il m. pettineo. È localizzabile
superoposteriormente a quest’ultimo, come il più craniale tra gli adduttori. È un robusto
muscolo extrarotatore. Origina dalla faccia esterna del margine osseo del forame otturatorio
e dalla faccia esterna della membrana otturatoria. Si inserisce sul femore a livello della
fossa trocanterica, caudalmente rispetto al grande trocantere, sulla faccia posteriore
dell’epifisi prossimale del femore.

6. MUSCOLI GEMELLI
I mm. gemelli, il m. gemello superiore e il m. gemello inferiore, hanno origini distinte ma
inserzione comune, decorrendo superiormente e inferiormente al m. otturatore interno e
formando, insieme a questo, il tricipite dell’anca che si inserisce sul grande trocantere. Il m.
gemello superiore origina dalla spina ischiatica, il m. gemello inferiore dalla tuberosità
ischiatica.

7. MUSCOLO QUADRATO DEL FEMORE


È un muscolo di forma rettangolare, breve e sottile, posto inferiormente agli altri muscoli
profondi della regione glutea. Origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce sulla cresta
intertrocanterica dell’epifisi prossimale del femore. È un potente extrarotatore della coscia.

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- Muscoli Adduttori o Mediali della Coscia
I gruppi mediali della coscia, o gruppo degli adduttori, sono situati nella loggia mediale e
svolgono principalmente l’azione di addurre la coscia, oltre che svariate altre azioni più
complesse. I muscoli il m. adduttore lungo, il m. adduttore breve, il m. grande adduttore, il m.
gracile e il m. otturatore esterno, già annoverato tra i muscoli della regione glutea.

1. MUSCOLO ADDUTTORE LUNGO


È il muscolo più ventrale di tutto il gruppo degli adduttori. Le fibre distali dell’adduttore
lungo si estendono fino al canale adduttorio. Come la maggior parte degli adduttori
contribuisce debolmente alla flessione della coscia e, in larga misura, svolge, oltre che
all’adduzione, l’extrarotazione.
Origina dal corpo e dal ramo superiore del pube e si inserisce, con decorso obliquo
mediolaterale dall’alto in basso, sul 1/3 medio sul labbro mediale della linea aspra.

2. MUSCOLO ADDUTTORE BREVE


Si trova su un piano più profondo rispetto al m. adduttore lungo e al m. pettineo. Svolge la
funzione, oltre che essere un’importante adduttore, di extrarotazione e debole flessione della
coscia. Origina dal ramo inferiore del pube e si inserisce sul labbro mediale del terzo
superiore della linea aspra del femore, con forma leggermente a ventaglio.

3. MUSCOLO GRANDE ADDUTTORE


Il m. grande adduttore è il più grande e potente tra gli adduttori e si presenta di forma
triangolare, composto da due porzioni, ovvero una adduttoria e una estensoria. Le due
componenti differiscono non solo per inserzione e innervazione, ma ovviamente, per
l’azione che svolgono.
La porzione adduttoria del m. grande adduttore origina dal ramo inferiore del pube e si
inserisce, come ventre muscolare, andando in senso superoinferiore, sulla tuberosità glutea,
sulla linea aspra e sul labbro mediale del triangolo popliteo dell’epifisi distale del femore. La
porzione estensoria, invece, origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce, come tendine,
sul tubercolo adduttorio dell’epicondilo mediale dell’epifisi distale del femore. Distalmente
si viene così a formare un’area triangolare compresa tra il tendine della porzione estensoria
e il ventre muscolare distale della porzione adduttoria, detto iato tendineo adduttorio.
Dalla parte muscolare del m. adduttore grande si separano fibre tendinee tipo aponevrosi,
che si continuano lateroinferiormente nelle fibre tendinee del m. vasto mediale del m.
quadricipite femorale. Queste fibre coprono sul davanti lo iato tendineo adduttorio e
vengono dette membrana vastoadduttoria o setto intermuscolare vastoadduttorio. Dietro
questa membrana e superiormente allo iato tendineo adduttorio troviamo il canale
adduttorio, che si continua poi nella cavità poplitea.

4. MUSCOLO GRACILE
Scorre come lungo muscolo nastriforme nel lato mediale della coscia e del ginocchio. È
l’unico adduttore biarticolare, oltre che ad essere il più superficiale e il più debole tra
questi. Contribuisce, oltre all’adduzione della coscia, alla flessione e alla intrarotazione della
gamba. Origina dal ramo inferiore del pube, subito al di sotto della sinfisi pubica, per
inserirsi come muscolo biarticolare sulla “zampa d’oca” superficiale, della faccia mediale
della tibia, insieme al m. sartorio e al m. semitendinoso.

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- Muscoli Posteriori della Coscia
I muscoli posteriori della coscia sono detti ischiocrurali poiché si portano dall’articolazione
dell’anca a quella del ginocchio, partecipandovi, ed essendo dunque muscoli biarticolari.
Originano dalla tuberosità ischiatica al di sotto del m. grande gluteo, e sono tutti flessori della
gamba ed estensori, o retroversori, della coscia. I muscoli posteriori della coscia sono tre,
ovvero il m. bicipite del femore, il m. semitendinoso e il m. semimembranoso.

1. MUSCOLO BICIPITE FEMORALE


Il m. bicipite femorale si presenta come un robusto muscolo di forma allungata, formato da
due capi, uno lungo e uno breve. Il m. bicipite femorale discende proteggendo il n.
ischiatico sul di dietro, dopo che questo discende dalla regione glutea nella porzione
posteriore della coscia.
Il capo lungo del m. bicipite femorale origina dalla tuberosità ischiatica e diventa tendineo
dopo essersi unito al capo breve. Il capo lungo comunemente origina da un unico tendine
con il m. semitendinoso e si porta, discostandosi da questo, mediolateralmente dall’alto in
basso, per inserirsi, insieme al capo breve in un ventre unico, sulla testa della fibula. Il capo
breve origina, invece, dal labbro laterale della linea aspra, nel suo terzo medio e inferiore.
Il m. bicipite femorale, oltre alle sue comuni funzioni, svolge anche il ruolo di unico
extrarotatore della gamba. Esso si inserisce lateralmente all’articolazione del ginocchio, a
differenza degli altri due muscoli posteriori della coscia, che si inseriscono medialmente a
questa. Tra il tendine distale del m. bicipite femorale e il ligamento collaterale fibulare
dell’articolazione del ginocchio decorre uno spazio o borsa subtendinea

2. MUSCOLO SEMITENDINOSO
Come indica il suo nome questo muscolo si presenta di forma fusiforme e decorre
anteriormente al m. semimembranoso, formato da una porzione muscolare prossimale e da
una porzione tendinea distale. È formato da un ventre muscolare superiore che si stringe,
distalmente e medialmente rispetto al m. bicipite femorale, in un lungo tendine, per
raggiungere la sua inserzione, nel 1/3 distale del suo decorso.
Il m. semitendinoso origina con un tendine comune al m. bicipite femorale, dalla tuberosità
ischiatica, per decorrere lateromedialmente dall’alto in basso e inserirsi, con il suo lungo
tendine, sulla faccia mediale dell’epifisi prossimale della tibia, anch’esso sulla zampa d’oca
superficiale, come i mm. gracile e sartorio.
Oltre alle comuni funzioni dei muscoli posteriori della coscia, svolge anche la funzione di
intrarotatore della gamba.

3. MUSCOLO SEMIMEMBRANOSO
Questo muscolo origina e decorre in stretta relazione con il m. semitendinoso. È il più
mediale dei tre muscoli posteriori, tranne che nella sua porzione più distale. Il suo nome
deriva dalla caratteristica piatta e simil membranosa del suo tendine di inserzione, oltre che
alla sua forma appiattita e posteriore rispetto al m. semitendinoso.
Origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce irradiandosi in più parti sulla porzione
posteriore del condilo mediale della tibia.

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GINOCCHIO

- Patella
La patella o rotula è l’osso sesamoide più grande; ha una forma grossolanamente triangolare,
con l’apice inferiore e la base superiore. Una faccia guarda verso il femore, l’altra è rivolta
anteriormente e, inoltre, presenta un margine laterale, più sottile, ed uno mediale più spesso.
La faccia anteriore, che risulta essere inclusa nel tendine del m. quadricipite femorale, può
essere divisa in tre porzioni. Il terzo superiore appare rugoso, spesso irregolare e con lievi
sporgenze ossee riferite all’inserzione di tendini del m. quadricipite femorale; il terzo medio
presenta numerosi canalicoli e forami nutritizi, mentre, il terzo inferiore, corrisponde all’apice
della patella e serve da origine per il ligamento patellare.
La faccia posteriore mostra nei suoi ¾ superiori una superficie articolare mentre, nel ¼
inferiore, numerosi canalicoli vascolari. L’apice, posteriormente, risulta essere in rapporto con il
corpo adiposo infrapatellare.
La superficie articolare è divisa da una cresta verticale in una faccetta laterale e in una mediale;
si estende per circa 12 cm2 ed è rivestita da cartilagine ialina che risulta avere uno spessore che
varia, a seconda dell’età, da 0,1 a 0,6 cm, con un massimo intorno ai 30 anni di vita.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 191


- Articolazione del Ginocchio
L’articolazione del ginocchio è una delle articolazioni più grandi del corpo; è un ginglimo
angolare che permette, oltre ai movimenti di antiversione o estensione e di retroversione o
flessione, anche lievi intrarotazioni ed extrarotazioni.
Le superfici articolari del ginocchio sono caratterizzate da ampie dimensioni e da superfici
complesse e incongruenti. Il femore infatti, risulta essere inclinato medialmente rispetto alla
tibia che si presenta verticale. Le articolazioni comprese nella complessa articolazione del
ginocchio sono l’articolazione tra i condili femorali e i condili tibiali, che risultano essere non
perfettamente complementari tra loro e, per questo motivo, richiedono l’ausilio di uno spesso
strato di rivestimento di cartilagine ialina e soprattutto, di menischi fibrosi; poi vi è
l’articolazione femoropatellare, tra femore e patella. È utile ricordare che la fibula non
partecipa all’articolazione del ginocchio.
Stando alla forma delle sue superfici articolari, l’articolazione del ginocchio risulterebbe essere
debole e poco resistente alle forze meccaniche imponenti a cui è sottoposta. Tuttavia, il
complesso sistema muscolare che vi partecipa e i robusti ligamenti che la stabilizzano la
rendono una delle articolazioni più resistenti del corpo. Il principale muscolo che agisce
direttamente sull’articolazione del ginocchio risulta essere il m. quadricipite femorale, principale
estensore o antiversore della gamba.

1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare che riveste l’articolazione del ginocchio è costituita da connettivo lasso
e si presenta sottile e ampia, irregolare in più punti. Si àncora, superiormente, al femore, nei
punti di origine delle cartilagini che rivestono i condili femorali dell’epifisi distale del
femore. Posterosuperiormente invece, si àncora in prossimità della fossa poplitea.
Inferiormente la capsula articolare si àncora alla tibia, in prossimità dei margini articolari dei
condili di questa.
La capsula articolare risulta essere formata da due membrane, una fibrosa, esterna e di
rivestimento, e una sinoviale, intimamente connessa con la cavità articolare. La vasta
membrana sinoviale riveste la superficie interna della capsula fibrosa determinando, con la
sua riflessione, numerosi recessi dette borse sinoviali e rivestendo in larga misura il tessuto
adiposo che si interpone tra patella e tibia, come cuscinetto di resistenza alle forze di
pressione, separandolo dalla cavità articolare.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 192


2. LIGAMENTI EXTRACAPSULARI
La capsula fibrosa viene rivestita sull’esterno da 5 ligamenti extracapsulari e da un muscolo
che decorre direttamente connesso, lungo la superficie posteriore della capsula,
all’articolazione del ginocchio, ovvero il m. popliteo.
I ligamenti esterni sono il ligamento patellare, il ligamento collaterale fibulare e il
ligamento collaterale tibiale, il ligamento popliteo obliquo e il ligamento popliteo arcuato.

Ligamento Patellare : questo ligamento corrisponde alla porzione distale del tendine del
m. quadricipite femorale e si presenta come una spessa e forte banda fibrosa che si
estende dai margini laterali e dall’apice della patella fino ad inserirsi sulla tuberosità
tibiale. Dai fasci tendinei provenienti dai mm. retto del femore e vasto laterale trae
origine il retinacolo laterale della patella alla cui costituzione partecipa anche il tratto
ileotibiale della fascia lata, con alcune sue importanti fibre; medialmente, invece, dai
fasci tendinei del m. vasto mediale, trae origine il retinacolo mediale della patella.
I retinacoli laterale e mediale della patella costituiscono due importanti diramazioni
legamentose del ligamento patellare, una anteromediale e una anterolaterale, che
rinforzano sul davanti, come espansioni aponevrotiche robuste dei muscoli del
quadricipite femorale, la capsula articolare del ginocchio.
Il ligamento patellare decorre intermedio tra queste due bande legamentose, una
mediale e una laterale. I fasci dei retinacoli patellari si fondono, a livello del ginocchio,
con le fasce di rivestimento profonda e superficiale dell’arto inferiore, non separate in
questo breve tratto da ipoderma lasso o adiposo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 193


Ligamento Collaterale Laterale o Fibulare : i ligamenti collaterali fungono da guida nei
movimenti di flessione ed estensione della gamba.
Il ligamento collaterale fibulare è un robusto cordone fibroso che decorre verticale
superoinferiormente dall’ epicondilo laterale del femore fino alla superficie laterale della
testa della fibula. Non entra in contatto con il menisco laterale perché si interpone tra
questi il tendine del m. popliteo, che decorre obliquo dall’alto in basso,
lateromedialmente, portandosi dalla faccia laterale a quella posteriore del ginocchio.
Laterosuperficialmente a questo ligamento decorre il grosso tendine d’inserzione del m.
bicipite femorale.

Ligamento Collaterale Mediale o Tibiale : è costituito da una robusta fascia appiattita di


forma vagamente triangolare, che si estende longitudinalmente in senso craniocaudale
dalla superficie mediale dell’epicondilo mediale del femore fino alla superficie mediale
del condilo mediale della tibia. Intorno a metà del suo decorso le sue fibre si portano
verso il menisco mediale attaccandosi saldamente a questo. Si presenta comunque più
debole rispetto al ligamento collaterale laterale.
In genere le fibre che lo compongono vengono divise in tre gruppi per indicarne origine
e inserzione; il primo gruppo detto fibre lunghe anteriori, sono quelle che decorrono più
medialmente dal femore alla tibia; il secondo gruppo, le fibre corte superiori posteriori,
si portano dal femore al menisco mediale mentre, le fibre inferiori posteriori, vanno dal
menisco mediale alla tibia.
È incrociato superficialmente dalla zampa d’oca superficiale, ovvero il tendine di
inserzione comune dei mm. gracile, sartorio e semitendinoso, e dalla zampa d’oca
profonda, ovvero le tre porzioni dell’inserzione del m. semimembranoso.

Ligamento Popliteo Obliquo : è costituito da un’espansione della zampa d’oca profonda,


più precisamente dalla terza porzione del tendine d’inserzione del m. semimembranoso,
ovvero quella porzione posteromediale che riveste la parete posteriore della capsula
articolare del ginocchio e che si continua nel ligamento popliteo obliquo. Questo
legamento si dirige leggermente obliquo e quasi orizzontale dal basso verso l’alto e
lateromedialmente, rivestendo la capsula dalla porzione in cui si inserisce la zampa
d’oca profonda, ovvero la faccia dorsale della porzione laterale del condilo mediale della
tibia, alla superficie mediale del condilo laterale del femore.

Ligamento Popliteo Arcuato : il ligamento popliteo arcuato decorre parallelo al


ligamento collaterale laterale, posteromedialmente a questo. Si porta dall’apice della
testa della fibula irradiandosi con inserzione a ventaglio sulla capsula fibrosa
dell’articolazione. Incrocia superficialmente, o posteriormente, il tendine del m.
popliteo. Le inserzioni di entrambi i ligamenti poplitei non sono robuste e definite su
strutture ossee, come negli altri ligamenti esterni, ma si irradiano nella capsula fibrosa.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 194


3. LIGAMENTI INTRACAPSULARI
Un ulteriore gruppo di ligamenti articolari è rappresentato dai ligamenti crociati, anteriore e
posteriore. Nei movimenti di rotazione essi assicurano il normale mantenimento dei
rapporti articolari tra i condili della tibia e del femore.
I ligamenti crociati sono ligamenti intrinseci dell’articolazione del ginocchio, intracapsulari,
perché posti all’interno della capsula fibrosa, ed extrarticolari, perché esterni alla
membrana sinoviale. Altre strutture intracapsulari sono rappresentate dai menischi e da un
porzione del tendine del m. popliteo, che penetra e decorre, per un breve tratto del suo
decorso, nella capsula fibrosa.

Ligamento Crociato Anteriore : i ligamenti crociati uniscono il femore e la tibia


incrociandosi ad X all’interno della capsula articolare ma all’esterno della cavità
sinoviale.
Il ligamento crociato anteriore è il più debole tra i due e si porta dall’area
intercondiloidea anteriore dell’epifisi prossimale della tibia fino alla faccia interna del
condilo laterale dell’epifisi distale del femore.

Ligamento Crociato Posteriore : è più robusto del ligamento crociato anteriore e si porta
anterosuperiormente, incrociando sul lato mediale il ligamento crociato anteriore, che
decorre invece in senso superoposteriore.
Il ligamento crociato posteriore origina dall’area intercondiloidea posteriore per
inserirsi sulla faccia laterale del condilo mediale del femore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 195


4. MENISCHI
Sono costituiti da tessuto cartilagineo fibroso, ricco di fibre collagene. Appaiono entrambi
di forma semilunare, in sezione frontale più sottili all’interno che verso l’esterno. Risultano
essere mobili sulla loro base d’appoggio, ovvero la tibia. Hanno la funzione di aumentare la
profondità dell’articolazione del ginocchio, adattare le superfici articolari del femore e della
tibia tra loro e ammortizzare le forze di pressione verticale. Hanno forma di cuneo in sezione
frontale e sono saldamente ancorati all’area intercondiloidea della tibia.

Menisco Mediale : ha la forma di una C e si presenta più ampio posteriormente che


anteriormente. Il corno anteriore, più sottile di quello posteriore, si inserisce all’area
intercondiloidea anteriore dell’epifisi prossimale della tibia. Il corno posteriore si
inserisce sull’area intercondiloidea posteriore dell’epifisi prossimale della tibia,
anteriormente al ligamento crociato posteriore. Il menisco mediale risulta essere meno
mobile di quello laterale. Risulta essere saldamente ancorato al ligamento collaterale
mediale o tibiale attraverso una porzione di questo, ovvero le fibre lunghe anteriori, a
circa metà della curva disegnata dal menisco.

Menisco Laterale : è quasi circolare e si presenta più piccolo, regolare e mobile rispetto
a quello mediale. Presenta quasi la stessa larghezza in ogni suo punto e i suoi punti di
inserzione sono vicini l’uno all’altro. Non essendo in comunicazione o collegato al
ligamento collaterale ipsilaterale risulta essere più mobile rispetto al menisco mediale.
Dal suo corno posteriore si estendo, posteriormente e anteriormente al ligamento
crociato posteriore due ligamenti meniscofemorali, anteriore e posteriore, che uniscono
il corno posteriore alla faccia interna del condilo mediale dell’epifisi distale del femore.
Nella maggior parte degli individui questi ligamenti non coesistono e si trova
prevalentemente solo il ligamento meniscofemorale posteriore.
Questo menisco essendo più mobile si presenta molto meno esposto a traumi di rottura
dei menischi; il menisco mediale va in contro a rottura circa 20 volte più frequentemente
rispetto al menisco laterale.

5. BORSE SINOVIALI E CAVITA’ ARTICOLARE


La membrana sinoviale e la membrana fibrosa della capsula articolare sono separate tra
loro, sia anteriormente che posteriormente, da accumuli di adipe e grasso, resistenti alle
forze di pressione come cuscinetti adiposi, che inoltre diminuiscono l’attrito tra le strutture
del ginocchio.
Nell’articolazione del ginocchio si trovano numerose borse sinoviali, soprattutto negli spazi
dove i tendini e le ossa sono ravvicinati, diminuendone così l’attrito.
Tra le borse sinoviali 4 comunicano con la cavità articolare e sono la borsa soprapatellare,
la borsa anserina, la borsa poplitea e le borse dei mm. gastrocnemi. La più estesa tra queste
è la borsa soprapatellare, situata anteriormente al femore, che amplia superiormente la
cavità articolare del ginocchio fino al punto in cui la membrana sinoviale si riflette in avanti
e in alto, anteriormente al femore.
Tra le borse che non comunicano con la cavità articolare ricordiamo la borsa infrapatellare
profonda, situata dietro il ligamento patellare e sul davanti della capsula articolare, e la
borsa prepatellare situata tra sottocutaneo e patella.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 196


GAMBA

- Tibia
Lo scheletro della gamba è costituito da due ossa, la tibia e la fibula; la tibia è l’osso più
robusto, che da solo costituisce la connessione tra femore e scheletro del piede; essa sostiene il
peso corporeo articolandosi con i condili femorali e, caudalmente, con l’astragalo. Come
grandezza e peso è secondo solo al femore, essendo il principale osso della gamba che deve
sostenere e scaricare il peso corporeo in posizione eretta.
La tibia presenta un corpo, avente una tipica forma triangolare in sezione trasversale, e due
estremità, una distale e una prossimale.

1. EPIFISI PROSSIMALE
All’estremità distale si trovano il condilo laterale e il condilo mediale, ovvero due rilievi
dotati di superficie articolare che si rivolgono verso i condili dell’epifisi distale del femore.
La faccia articolare superiore, rivolta verso l’alto, risulta essere interrotta dall’eminenza
intercondiloidea che, portandosi anteroposteriormente, la divide in due facce articolari
distinte. Questa eminenza risulta essere formata da due aree intercondiloidee, ossee e non
articolari, una anteriore e una posteriore, separate tra loro attraverso due tubercoli
ravvicinati, detti tubercolo intercondiloideo laterale e tubercolo intercondiloideo mediale,
posti al centro della superficie craniale dell’epifisi prossimale. Se osserviamo con
attenzione, in una proiezione posteriore, il condilo laterale, si può notare come,
inferiormente ad esso, si trovi una faccia articolare fibulare, per l’unione articolare della
tibia con la testa della fibula.

2. EPIFISI DISTALE
L’estremità distale della tibia si prolunga dal lato mediale con una struttura appuntita che
costituisce il malleolo mediale, con la faccia articolare malleolare. Sulla superficie
posteriore del malleolo, visibile in proiezione posteriore, decorre il solco malleolare. La
faccia articolare inferiore, situata sull’estremità inferiore della tibia, serve per
l’articolazione con l’astragalo. Lateralmente al malleolo mediale troviamo l’incisura
fibulare, ovvero il solco dell’epifisi distale della tibia dove quest’osso si articola per
sindesmosi con la fibula.

3. DIAFISI O CORPO TIBIALE


Il corpo tibiale presenta un caratteristico margine acuto rivolto in avanti, detto margine
anteriore, che si continua, superiormente e a livello della faccia anteriore, nella tuberosità
tibiale, mentre, in basso, si perde in una superficie piana. Il margine anteriore divide la
faccia anteriore della tibia in una faccia mediale e in una laterale; posteriormente troviamo
invece la terza faccia del triangolo, che la tibia presenta in sezione, ovvero la faccia
posteriore, che si continua con la faccia laterale, lateralmente, attraverso il margine
interosseo, e, medialmente, con la faccia mediale, attraverso il margine mediale.
Posteriormente, la faccia posteriore della tibia offre a considerare, nella sua porzione più
prossimale, una linea modestamente marcata, che si porta dall’alto in basso
lateromedialmente, detta linea del m. soleo. Lateralmente a questa leggera rugosità troviamo
un forame nutritizio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 197


- Fibula o Perone
La fibula è più sottile e debole rispetto alla tibia, avendone lunghezza praticamente uguale.
Decorre parallela alla tibia, posterolateralmente a questa, senza però avere funzioni di scarico e
sostegno del peso corporeo, che grava interamente sulla tibia. Svolge funzione di offrire
inserzione alle strutture legamentose, articolari e muscolari della gamba, del ginocchio e della
coscia. Anch’essa risulta essere divisa in due estremità, distale e prossimale, e in un corpo.

1. CORPO
Il corpo della fibula appare in sezione trasversale, nella sua parte media, triangolare e offre a
considerare, come la tibia, tre margini e tre facce. Nel terzo distale appare anche un quarto
margine. Il margine più acuto è il margine anteriore, che separa la faccia laterale da quella
mediale. La cresta o margine mediale separa la faccia mediale dalla faccia posteriore, che a
sua volta è separata per mezzo del margine posteriore dalla faccia laterale. La faccia
mediale offre a considerare un margine interosseo, dove si fissa la membrana interossea
dell’articolazione tibiofibulare. A circa metà della faccia posteriore si trova un forame
nutritizio.

2. ESTREMITA’ PROSSIMALE
L’epifisi prossimale offre a considerare la testa fibulare con la faccia articolare e con un
piccolo tubercolo, l’apice della testa. Il collo della fibula unisce il corpo e testa dell’osso.

3. ESTREMITA’ DISTALE
Sulla faccia esterna dell’epifisi distale si trova il malleolo laterale, piatto e più largo verso il
basso. Esso presenta sulla sua faccia mediale una superficie articolare detta faccia articolare
del malleolo laterale, funzionale all’articolazione con l’astragalo. Posteriormente il malleolo
offre a considerare una fossa del malleolo laterale, dove si inserisce il ligamento talofibulare
posteriore. Posterolateralmente, sulla superficie esterna dell’epifisi distale della fibula, è
localizzato il solco malleolare, dove si inseriscono i tendini dei mm. peronei.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 198


- Articolazione Tibio-Fibulare
L’articolazione tibiofibulare è un’unione quasi immobile, anfiartrosi, tra la testa della fibula,
con la sua superficie articolare, e la faccia articolare fibulare del condilo laterale dell’epifisi
prossimale della tibia. Tale articolazione presenta una robusta capsula, rivestita e rinforzata dai
ligamenti della testa della fibula.
Inoltre la tibia e la fibula sono collegate per mezzo di una sindesmosi attraverso la membrana
interossea, che fissa le due ossa tra loro attraverso un robusto setto interosseo, formato da fibre
aventi un decorso che si porta dalla tibia alla fibula e dalla’alto in basso, e fornisce anche
inserzione ad alcuni muscoli della gamba.
Durante i movimenti del piede, i movimenti tra tibia e fibula sono limitati e stabilizzati anche da
legamenti situati in prossimità della caviglia, detti ligamenti tibiofibulari inferiori, anteriore e
posteriore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 199


- Retinacoli dei Muscoli Estensori
I retinacoli sono dei robusti e ampi inspessimenti della fascia profonda, in numero di due,
distinti in superiore e inferiore, localizzabili in prossimità dell’articolazione della caviglia nella
parte più prossimale del dorso del piede.
Il retinacolo superiore dei mm. estensori è una ampia fascia robusta che si porta
laterolateralmente in prossimità dei malleoli laterale e mediale, dalla fibula alla tibia. Raccoglie i
tendini dei mm. anteriori, avvolti da guaine o vagine sinoviali indipendenti, evitando così che
questi si pieghino anteriormente durante la flessione dorsale del piede.
Il retinacolo inferiore dei mm. estensori è più riconoscibile e distinto rispetto al suo omonimo
superiore; si presenta come una fascia spessa a forma di Y orizzontale, poggiata sempre sulla
superficie dorsale del piede, con il gambo unico rivolto lateralmente e i bracci doppi e separati,
rivolti medialmente. Anche queste benderelle fibrose avvolgono i tendini, con le loro guaine
sinoviali, dei mm. anteriori della gamba.

- Muscoli Anteriori della Gamba


La gamba viene divisa in tre logge, anteriore, posteriore e laterale dai setti anteriore e posteriore
e dalla membrana interossea. Il setto anteriore separa la loggia anteriore da quella laterale, il
setto posteriore separa la loggia laterale da quella posteriore.
La loggia anteriore è posta anteriormente alla membrana interossea e medialmente rispetto al
setto intermuscolare anteriore della gamba. Occupa, infatti, un’area quadrangolare, in sezione
trasversa, che confina medialmente con la faccia laterale della tibia, anteriormente con la fascia
crurale, posteriormente con la membrana interossea della fibula e con il suo acuto margine
anteriore e, infine, lateralmente è chiusa dal setto intermuscolare anteriore.
I muscoli della loggia anteriore della gamba sono il m. tibiale anteriore, il m. estensore lungo
delle dita, il m. estensore lungo dell’alluce e il m. peroniero terzo.

1. MUSCOLO TIBIALE ANTERIORE


È un lungo e sottile muscolo situato lungo la superficie laterale della tibia il cui tendine
compare nell’ultimo terzo o terzo distale della sua estensione all’interno della gamba, sulla
faccia anteriore della tibia. Il tendine del m. tibiale anteriore passa in profondità
inferomedialmente rispetto sia al retinacolo superiore degli estensori che al retinacolo
inferiore degli estensori. Il tendine decorre poi parallelo al tendine del m. estensore lungo
dell’alluce, fino all’articolazione tarso-metatarsica, dove si porta inferiormente e
medialmente per inserirsi, a livello della superficie plantare del piede, sulla superficie
mediale e inferiore dell’osso cuneiforme mediale del tarso e del I osso metatarsale.
Il suo tendine risulta essere accompagnato da una vagina sinoviale a livello della caviglia e
del dorso del piede, quando il tendine passa sotto i retina coli superiore e inferiore dei mm.
estensori.
Il m. tibiale anteriore origina su una larga superficie posta a cavallo tra membrana interossea
e faccia laterale della tibia.
Il m. tibiale anteriore svolge azione di flessore del piede e supinatore, ovvero solleva
superomedialmente il margine mediale del piede.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 200


2. MUSCOLO ESTENSORE LUNGO DELLE DITA
È un lungo muscolo anteriore della gamba, il più laterale tra questi. Origina in larga misura
da un’estesa superficie, che si porta per i ¾ superiori della faccia mediale della fibula, oltre
che dal condilo laterale della tibia e dalla porzione più superiore della membrana interossea.
Il muscolo diventa tendineo solo sopra la caviglia e i suoi tendini, si inseriscono
indipendentemente sul dorso delle falangi delle 4 dita laterali del piede.
I 4 tendini di inserzione del m. estensore lungo delle dita, prima di passare inferiormente al
retinacolo inferiore del m. estensore, vengono avvolti da una vagina sinoviale comune e, a
questo livello, divergono indipendentemente, come 4 tendini indipendenti, ognuno verso la
propria falange. Lasciano la vagina sinoviale indipendenti l’uno dall’altro a ca. 2 cm,
anteroinferiormente, dal retinacolo inferiore.
Ciascun tendine dell’estensore forma una espansione membranosa sul dorso della falange
prossimale di ciascun dito; questa espansione si divide poi a sua volta in tre fascetti, due
laterali e uno centrale. Il fascetto centrale si inserisce sulla falange media, i fascetti laterali
si portano su ambo i lati di quello centrale per inserirsi sulla falange distale.

3. MUSCOLO ESTENSORE LUNGO DELL’ALLUCE


È un muscolo lungo e sottile che flette dorsalmente l’alluce e contribuisce alla flessione
dorsale del piede. Origina dalla membrana interossea e dalla faccia mediale della fibula. si
porta con il suo tendine d’inserzione, con un decorso intermedio tra i tendini dei mm. tibiale
anteriore ed estensore lungo delle dita, avvolto da una vagina sinoviale indipendente, al di
sotto dei retinacoli superiore e inferiore. Il tendine decorre sopra l’osso I metatarsale e si
inserisce sulla falange prossimale del I dito o alluce. Anche questo tendine forma
distalmente una espansione membranosa per le falangi media e distale dell’alluce.
Il m. estensore dell’alluce appare, in sezione trasversale della gamba, completamente
coperto sul davanti dai mm. tibiale anteriore, medialmente, e estensore lungo delle dita,
lateralmente. Decorre dunque posteriormente a questi ed emerge tra loro, con il suo tendine,
solo in prossimità dell’articolazione della caviglia.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 201


- Muscoli Laterali della Gamba
La loggia laterale della gamba è la più stretta e sottile ed accoglie i mm. fibulari o peronieri
lungo e breve. Risulta essere delimitata posteriormente dal setto intermuscolare posteriore,
lateralmente dalla fascia crurale e medioanteriormente dalla faccia mediale della fibula, indietro,
e dal setto intermuscolare anteriore, sul davanti.
I muscoli peronieri lungo e breve decorrono posteriormente al malleolo laterale, al contrario di
quanto avviene in molti animali dove, non svolgendo una funzione flessoria della pianta del
piede, decorrono anteriormente al malleolo laterale.
I tendini dei due muscoli peronieri sono strettamente legati al malleolo fibulare attraverso il
retinacolo superiore dei mm. peronieri, ovvero un inspessimento della fascia profonda, che si
estende dal malleolo laterale fino alla superficie laterale del calcagno. I tendini dei mm.
peronieri passano al di sotto del retinacolo superiore dei mm. peronieri avvolti da una guaina o
vagina sinoviale comune e si portano lungo la faccia laterale del piede, passando sotto il
retinacolo inferiore dei mm. peronieri, che origina dal calcagno distalmente al retinacolo
superiore dei mm. peronieri e si inserisce come un breve e robusto anello, avvolgendo il tendine
dei mm. peronieri, sul retinacolo inferiore dei mm. estensori.

1. MUSCOLO PERONIERO LUNGO


È il più lungo dei muscoli fibulari e origina a livello della testa e del collo della fibula. Si
porta in basso lateralmente al m. peroniero breve e decorre, con il suo tendine d’inserzione,
insieme al tendine di quest’ultimo, dietro il malleolo fibulare, passando incluso nei
retinacoli dei mm. peronieri, e inserendosi, infine sul cuneiforme mediale e sul I
metatarsale.
Per portarsi dalla faccia laterale del piede, dove decorre insieme con il tendine del m.
peroniero breve, fino alla faccia mediale del piede, dove trova la sua inserzione, il tendine
del m. peroniero lungo attraversa lateromedialmente, avvolto da una seconda vagina
sinoviale, un proprio canale fibroso, posto al di sotto delle ossa metatarsali, che lo conduce
obliquamente fino alla sua inserzione sul lato mediale del piede. In questo modo questo
tendine contribuisce a tendere, come la corda di una arco, la volta plantare del piede,
passando inferiormente alla giunzione tarso-metatarsica.

2. MUSCOLO PERONIERO BREVE


È un muscolo affusolato e breve, piuttosto robusto, che decorre medialmente rispetto al m.
peroniero lungo. Ha origine dai 2/3 inferiori della superficie laterale della fibula e si porta,
con il suo tendine d’inserzione, all’interno di una guaina sinoviale comune al tendine del m.
peroniero lungo. Superato il retinacolo inferiore dei mm. peronieri, incrocia per un breve
tratto superiormente il tendine del m. peroniero lungo, per poi inserirsi alla base del V
metatarsale, lungo il suo margine laterale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 202


- Muscoli Posteriori della Gamba
La loggia posteriore è la più ampia ei tre scompartimenti della gamba e si presenta divisa in due
gruppi, uno anteriore o profondo e uno posteriore o superficiale. La loggia posteriore è divisa in
questi due gruppi muscolari dal setto intermuscolare trasverso, che delimita posteriormente
un’area che va dalla fascia crurale al setto, e anteriormente un area che va dal setto alla
membrana interossea. Il gruppo superficiale o posteriore è formato dal m. tricipite della sura,
che risulta essere formato dai due capi del m. gastrocnemio e dal m. soleo, e dal m. plantare. Il
gruppo anteriore o profondo, invece, risulta essere composto dal m. tibiale posteriore, dal m.
popliteo, dal m. flessore lungo delle dita e dal m. flessore lungo dell’alluce.

1. MUSCOLO GASTROCNEMIO
Il m. gastrocnemio è un muscolo bicipite, che trova con i suoi due capi inserzione in un
tendine comune con il m. soleo, posto in profondità rispetto ad esso, sulla tuberosità
calcaneare. Il tendine calcaneare, o tendine d’Achille si inserisce percorrendo il 1/3
inferiore della gamba, posteriormente, sulla tuberosità calcaneare. I due capi del m.
gastrocnemio più il m. soleo formano il m. tricipite della sura. Il m. gastrocnemio è il più
superficiale e i suoi due capi decorrono paralleli fino a quando confluiscono nel tendine
comune; originano sulla faccia posteriore dell’epifisi distale del femore, il capo mediale,
sull’epicondilo mediale medialmente al triangolo popliteo, il capo laterale, sull’epicondilo
laterale, lateralmente sia all’inserzione del m. plantare, che al triangolo popliteo.
Il m. tricipite della sura è il più forte flessore plantare del piede e il più forte supinatore del
piede. Con il tricipite della sura collabora il m. plantare. Il m. gastrocnemio inoltre collabora
nella flessione del ginocchio agendo come muscolo biarticolare.
I capi mediale e laterale del m. gastrocnemio formano i margini inferomediale e
inferolaterale della fossa poplitea.

2. MUSCOLO SOLEO
È un grosso muscolo piatto, potente ed esteso, con le fibre inclinate inferomedialmente,
chiamato cosi per la sua somiglianza al pesce sogliola. È un muscolo antigravitario che si
contrae, alternativamente e impercettibilmente ai mm. estensori della gamba, per mantenere
l’equilibrio in posizione eretta. La sua azione come flessore plantare del piede è potente ma
relativamente lenta rispetto a quella del m. gastrocnemio; inoltre non è un muscolo
biarticolare, agendo dunque solo sull’articolazione tra gamba e piede. Origina dorsalmente
sia alla fibula, dalla superficie posteriore della testa e dalla faccia posteriore del corpo nel
suo ¼ superiore, che alla tibia, lungo la linea del m. soleo che si porta dall’alto in basso
lateromedialmente lungo la faccia posteriore dell’osso. Si inserisce in un tendine comune
detto tendine d’Achille sulla tuberosità calcaneare.

3. MUSCOLO PLANTARE
Il m. plantare è un muscolo formato da un breve e tozzo ventre e da un lungo e filiforme
tendine, che decorre medialmente agli altri muscoli, superficialmente rispetto al m. soleo,
inserendosi anch’esso sul tendine calcaneare. Non è un importante muscolo, data la sua
scarsa estensione, e risulta essere secondario nei movimenti di flessione del piede. Origina
superomedialmente all’origine del m. gastrocnemio, sull’epicondilo laterale dell’epifisi
distale del femore. Nelle sue funzioni assiste come muscolo ausiliario il gastrocnemio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 203


4. MUSCOLO TIBIALE POSTERIORE
Nello spazio compreso tra il m. soleo e la membrana interossea si trovano i muscoli del
gruppo profondo della loggia posteriore della gamba. Il m. tibiale posteriore è il più
profondo tra questi e risulta comunicare in avanti, con l’interposizione della membrana
interossea con il m. tibiale anteriore, medialmente, e con il m. estensore lungo dell’alluce,
lateralmente, quest’ultimo posto in profondità rispetto al m. estensore lungo delle dita, nella
loggia anteriore. Il m. tibiale posteriore è quindi il muscolo più profondo della loggia
posteriore, e si pone proprio posteriormente alla membrana interossea, a colmare lo spazio
interposto tra la faccia laterale tibia e la faccia mediale della fibula, compreso tra i mm.
flessori lunghi delle dita, medialmente, e dell’alluce, lateralmente.
Il m. tibiale posteriore ha una estesa origine in corrispondenza della membrana interossea,
della superficie dorsale della tibia al di sotto della linea del m. soleo e in parte, della
superficie postero mediale del corpo della fibula. Il tendine d’inserzione di questo muscolo
decorre posteriormente al malleolo mediale, nel solco malleolare, avvolto da una propria
vagina sinoviale, e si inserisce a livello del tarso, sulla tuberosità del navicolare, nella pianta
del piede. In realtà il tendine d’inserzione in prossimità delle ossa del tarso, lungo la pianta
del piede, si divide in un robusto fascio mediale, che raggiunge la tuberosità del navicolare,
e in un fascio laterale più esile, che si porta alle tre ossa cuneiformi.

5. MUSCOLO POPLITEO
Il m. popliteo è un muscolo breve e triangolare che forma la porzione inferiore della parete
posteriore della fossa poplitea. È un muscolo flessore dell’articolazione del ginocchio e il
suo tendine decorre in stretto contatto con la capsula articolare dell’articolazione del
ginocchio. Origina in prossimità della superficie laterale del condilo laterale dell’epifisi
distale del femore, come tendine, e trova inserzione, con la sua parte muscolare,
superiormente alla linea del m. soleo, sulla superficie posteriore della tibia.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 204


6. MUSCOLO FLESSORE LUNGO DELLE DITA
A differenza di quanto avviene per i muscoli estensori, il m. flessore lungo delle dita risulta
essere più piccolo rispetto al m. flessore lungo dell’alluce.
Origina dalla faccia posteriore della tibia. Dopo essersi portato inferiormente, mediale
rispetto agli altri muscoli del gruppo profondo della loggia posteriore, attraversa il
retinacolo dei mm. flessori, ovvero un inspessimento posteriore posto all’altezza della
caviglia della fascia profonda, e, avvolto da una guaina sinoviale, decorre a livello della
pianta del piede, superficialmente al tendine del m. flessore lungo dell’alluce. Nella gamba
incrocia il m. tibiale posteriore e a livello della pianta del piede il tendine del m. flessore
lungo dell’alluce, ponendosi con entrambi superficialmente. Nella pianta del piede si divide
in 4 tendini che si portano indipendentemente alle falangi distali delle 4 dita laterali del
piede; qui, questi tendini ricevono il m. quadrato della pianta del piede. È utile ricordare che
il tendine del m. peroniero lungo attraversa, nel suo canale fibroso, la pianta del piede, in
profondità rispetto al gruppo tendineo dei mm. flessori.

7. MUSCOLO FLESSORE LUNGO DELL’ALLUCE


Il m. flessore lungo dell’alluce è un potente muscolo che fornisce gran parte dell’energia
necessaria nella deambulazione per spingere in avanti il peso del corpo. Il suo ventre
muscolare, relativamente forte, origina dai 2/3 distali della faccia posteriore della fibula e in
parte, dal setto intermuscolare posteriore. Il suo tendine d’inserzione si porta
inferomedialmente, passando per il retinacolo dei mm. flessori, attraverso il solco tendineo
dell’astragalo e dl calcagno, rivestito da una guaina o vagina sinoviale.
Decorrendo in profondità rispetto al gruppo tendineo del m. flessore lungo delle dita va ad
inserirsi alla base della falange distale dell’alluce, sollevando la porzione mediale della
volta del piede e prevenendo così l’insorgenza del piede piano. Collabora alla supinazione e
svolge l’importantissima azione di flessione plantare dell’alluce.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 205


PIEDE

- Tarso
Lo scheletro del piede è formato dal tarso, dal metatarso e dalle falangi. Il tarso è formato da
7 ossa, ovvero il calcagno, l’astragalo o talo, il cuboide, lo scafoide o navicolare, e i tre
cuneiformi, mediale, laterale e intermedio.

1. CALCAGNO
Il calcagno è l’osso del tallone, nonché il più grande e robusto osso del piede. Esso riceve
la maggior parte del peso del corpo dall’astragalo e lo scarica al suolo. Il calcagno si
articola con l’astragalo superiormente e con il cuboide anteriormente. Presenta
posteriormente una rugosità dove si inserisce il tendine di Achille o tendine calcaneare.
La porzione posteriore del calcagno, che non si articola con nessuna struttura, è detta
tuberosità calcaneare. In una proiezione superiore il calcagno offre a considerare, nella
sua porzione anteriore, tre facce articolari per l’astragalo e una per il cuboide. La faccia
articolare per il cuboide è visibile solo in proiezione frontale dal davanti, perché
corrisponde alla parete anteriore del calcagno. Le facce articolari per l’astragalo sono le
facce anteriore, media e posteriore. Tra la faccia media, che è posta più in alto grazie al
sustentaculum tali, ovvero un rilievo su cui poggia l’astragalo, e la faccia posteriore, che
si presenta ampia ed estesa, si interpone il solco calcaneare, che insieme al solco
dell’astragalo forma il seno del tarso. Sotto il sostentaculum tali passa il solco per il m.
flessore lungo dell’alluce.

2. ASTRAGALO o TALO
L’astragalo è l’osso che trasferisce il peso del corpo dalla gamba al piede. È formato da
una testa, da un collo e da un corpo. La testa appare liscia e semisferica, occupata quasi
interamente dalla faccia articolare per il navicolare. Il collo appare tozzo e pieno di
forami nutritizi. L’astragalo si articola con la tibia, con la fibula, con il calcagno e con il
navicolare.
Osservando dall’alto il corpo dell’astragalo si osserva la troclea e posteriormente a
questa, il processo posteriore con i suoi due tubercoli, mediale e laterale. Accanto al
tubercolo mediale si trova il solco per il tendine del m. flessore lungo dell’alluce. La
faccia superiore della troclea è più larga anteriormente che posteriormente e si continua
lateralmente nella faccia malleolare laterale e medialmente nella piccola faccia
malleolare mediale. Le tre facce articolari della troclea, ovvero le tre facce articolari
superiori dell’astragalo servono per l’articolazione con la tibia e con la fibula.
Osservando dal basso l’astragalo si può notare come la semisfera anteriore destinata
all’articolazione con il navicolare si continui posteriormente con una faccetta articolare
calcaneare anteriore e con una faccetta articolare calcaneare media. Queste due faccette
articolari inferiori, continue con la testa dell’astragalo, si articolano con la faccia
articolare per l’astragalo, anteriore e media, del calcagno. Infine, posteriormente alla
faccetta articolare media per il calcagno, si trova la vasta ed estesa faccia articolare
posteriore per il calcagno; tuttavia queste due risultano essere separate da un solco detto
solco dell’astragalo che insieme al solco del calcagno forma il seno del tarso.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 206


3. CUBOIDE
Di forma grossolanamente cubica è l’osso più laterale, tra quelli distali, del tarso. Lungo
la sua superficie inferiore presenta un solco in cui decorre il canale fibroso che contiene
il tendine del m. peroniero lungo. Dietro il solco, in prossimità della faccia articolare per
il calcagno, ovvero la faccia posteriore, è presente una tuberosità del cuboide.
Medialmente presenta lungo tutta la sua faccia mediale una faccia articolare per il
cuneiforme laterale e, posteriormente a questa, una piccola faccia articolare per il
navicolare. Anteriormente si articola con il IV e V metatarsale mentre, posteriormente,
con la faccia anteriore del calcagno.

4. NAVICOLARE o SCAFOIDE
Presenta una presumibile forma a scafo o nave ed è posto tra le tre ossa cuneiformi e
l’astragalo. In realtà lateralmente presenta anche una piccola faccetta articolare per il
cuboide. La faccia articolare posteriore, unica e concava, si articola con la testa
dell’astragalo, di forma semisferica. La faccia articolare anteriore presenta un'unica
superficie articolare divisa in tre regioni distinte da due creste ed è destinata
all’articolazione con le tre ossa cuneiformi. Medialmente presenta una tuberosità che
sporge sul lato marginale mediale della pianta del piede, la tuberosità del navicolare.

5. OSSA CUNEIFORMI
Le tre ossa cuneiformi si distinguono tra loro per grandezza e orientamento. Infatti, la più
grande delle tre ossa, ovvero il cuneiforme mediale, si presenta con la sua superficie
estesa rivolto verso la pianta del piede e il margine acuto del cuneo rivolto
superiormente. Invece, il cuneiforme intermedio, il più piccolo dei tre, e il cuneiforme
laterale rivolgono la faccia stretta e acuta verso la pianta del piede.
Le tre ossa cuneiformi presentano anteriormente facce articolari per le ossa metatarsali,
posteriormente facce articolari per il navicolare e tra loro si articolano con facce
articolari che combaciano. Inoltre il cuneiforme laterale si articola lateralmente con la
faccia mediale del cuboide.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 207


- Metatarso
Le 5 ossa metatarsali sono ossa lunghe con una curvatura rivolta superiormente, ovvero con
concavità rivolta verso il dorso del piede. Le ossa metatarsali vengono numerate in senso
mediolaterale. Quasi sempre si trova in prossimità dell’estremità distale del I metatarsale un
piccolo osso sesamoide, che funge da rinforzo per l’appoggio della pianta del piede.
Le ossa metatarsali offrono a considerare una base, o estremità prossimale, un corpo intermedio
e più snello, e una testa, articolata con la falange prossimale, che corrisponde all’estremità
distale delle ossa metatarsali.
Il I metatarsale è l’osso più breve e robusto; presenta in prossimità della base un piccolo
tubercolo che sporge per articolarsi con il II metatarsale e, medialmente, con il cuneiforme
mediale. La base presenta una faccia articolare concava, che si articola con il cuneiforme
mediale. La testa presenta sul lato plantare una cresta e due piccoli solchi, in cui sono alloggiati
solitamente uno o due ossa sesamoidi.
Il II metatarsale è il più lungo tra le ossa del metatarso. Come anche il III e il IV metatarsale si
presenta snello e con la base più piccola rispetto alla testa. Inoltre queste tre ossa presentano una
faccia dorsale più larga rispetto a quella plantare, oltre che delle faccette articolari laterali per
articolarsi tra loro. Posteriormente si articolano con le ossa cuneiformi e con l’osso cuboide del
tarso. Infine, il V metatarsale mantiene queste caratteristiche ed in più presenta, lateralmente alla
sua base che si articola con il cuboide, una tuberosità, palpabile lungo il margine laterale della
pianta del piede.

- Falangi del Piede


Il II, III, IV e V dito del piede hanno una falange prossimale, una falange intermedia e una
falange distale. Il I dito invece presenta solo una falange prossimale e una falange distale.
Ogni falange presenta una base, un corpo e una testa. Le falangi del I dito sono brevi e robuste.
Le falangi in tutto sono 14 ossa e, nelle persone anziane, le falangi del V dito possono andare
incontro a sinostosi.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 208


- Articolazione Talocrurale
Nelle articolazioni del piede si distinguono una articolazione superiore, l’articolazione
talocrurale o tibiotarsica, e un’articolazione inferiore rappresentata dalle articolazioni
subtalare e talocalcaneonavicolare.
Nel piede poi sono presenti articolazioni minori poste tra le ossa del tarso quali l’articolazione
cuneonavicolare, l’articolazione calcaneocuboidea, l’articolazione cuneocuboidea e infine le
articolazioni intercuneiformi.
Vi sono poi delle articolazioni tarso-metatarsiche, delle articolazioni intermetatarsali e delle
articolazioni metatarso-falangee. Infine si possono osservare delle articolazioni interfalangee.

1. FACCE E CAPSULA ARTICOLARI


L’articolazione talocrurale è formata dal mortaio tibiofibulare, che forma una concavità
rivestita da cartilagine, che accoglie la troclea dell’astragalo, con le sue faccette articolari
malleolari laterale e mediale.
La capsula articolare si inserisce al margine delle facce articolari rivestite da cartilagine.
Presenta una capsula fibrosa e una membrana con pliche sinoviali all’interno della cavità
capsulare.

2. LIGAMENTI EXTRACAPSULARI
Il più robusto dei ligamenti che rinforzano la capsula articolare della caviglia è il ligamento
collaterale mediale, che in base alle sue inserzioni sulle ossa del tarso viene diviso in tre
porzioni, aventi tutte origine comune sulla faccia inferomediale del malleolo tibiale
dell’epifisi distale della tibia. Portandosi anteroposteriormente troviamo il ligamento
tibionavicolare, il ligamento tibiocalcaneare e infine il ligamento tibiotalare. Questi
ligamenti si inseriscono rispettivamente sulla faccia mediale del navicolare, sul
sustentaculum tali del calcagno e sul collo dell’astragalo, originando tutti in un'unica
confluenza sulla tibia.
Lateralmente abbiamo il ligamento collaterale laterale, formato dai ligamenti più esili detti
ligamenti talofibulari anteriore e posteriore e ligamento calcaneofibulare. I ligamenti
talofibulari anteriore e posteriore uniscono, rispettivamente, il collo dell’astragalo e la
porzione posteriore di questo, con decorso quasi orizzontale, al malleolo laterale o fibulare.
Infine i rapporti distali tra tibia e fibula vengono garantiti e rafforzati da ligamenti robusti
quali i ligamenti tibiofibulari anteriore e posteriore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 209


- Articolazioni Subtalare e Talocalcaneonavicolare
Le due articolazioni pur rimanendo separate svolgono una funzione comune. Contribuiscono
entrambe ai movimenti di rotazione, che, nel caso del piede, prendono il nome di pronazione,
extrarotazione, e supinazione, intrarotazione.

1. ARTICOLAZIONE SUBTALARE
L’articolazione subtalare forma la porzione posteriore ed ha, come facce articolari,
l’astragalo e il calcagno. Ha una capsula lassa e sottile rinforzata prevalentemente dai
ligamenti talocalcaneari mediale e laterale. l’articolazione si forma tra la faccia articolare
posteriore per il calcagno dell’astragalo e la faccia articolare posteriore per l’astragalo del
calcagno.

2. ARTICOLAZIONE TALOCALCANEONAVICOLARE
L’articolazione si viene a costituire tra le facce articolari talari anteriore e media del
calcagno e le facce calcaneari anteriore e media dell’astragalo, oltre che tra la faccia
articolare della testa dell’astragalo per la faccia articolare talare del navicolare.
Quest’articolazione risulta avere una capsula piuttosto lassa rinforzata posteriormente dai
ligamenti talocalcaneari interossei, che la separano dalla capsula dell’articolazione subtalare
a livello del seno del tarso, e, inferiormente, dai ligamenti calcaneonavicolari plantari.
Lateralmente la capsula risulta essere rinforzata anche dal ligamento biforcuto, posto in
tensione nell’angolo formato dai ligamenti cuboideonavicolare dorsale e calcaneocuboideo
dorsale, che unisce il calcagno con due bande al cuboide, lateralmente, e al navicolare,
medialmente.

- Ligamenti del Piede


Sono divisi in vari gruppi; il primo gruppo è costituito dai ligamenti che uniscono la tibia e la
fibula con le ossa tarsali. A questi appartengono i robusti ligamenti collaterali laterale e
mediale; il ligamento collaterale laterale risulta essere costituito dai ligamenti talofibulari
anteriore e posteriore e dal ligamento calcaneofibulare. Inoltre a rafforzare i rapporti interni del
mortaio tibiofibulare vi sono i ligamenti tibiofibulari anteriore e posteriore.
Il secondo gruppo di ligamenti è costituito dai ligamenti che uniscono l’astragalo alle ossa
tarsali, in particolare il navicolare e il calcagno. Questi ligamenti sono i ligamenti talocalcaneari
laterale, mediale, posteriore e interosseo e il ligamento talonavicolare.
Il terzo gruppo è costituito dai numerosi ligamenti dorsali del piede, posti tra le ossa del tarso.
Questi sono il ligamento biforcato, formato dalla porzione calcaneocuboidea e dalla porzione
calcaneonavicolare, i ligamenti intercuneiformi dorsali, il ligamento cuneocuboideo dorsale, il
ligamento cuboideonavicolare dorsale, i ligamenti cuneonavicolari dorsali e infine, i ligamenti
calcaneocuboidei dorsali.
Il quarto gruppo è costituito dai ligamenti plantari del piede, posti tra le ossa del tarso. Questi
sono il ligamento plantare lungo che va dalla tuberosità calcaneare fino alle ossa metatarsali e al
cuboide, e il ligamento calcaneonavicolare plantare.
Il quinto gruppo è costituito dai ligamenti tarsometatarsali plantari e dorsali e dai ligamenti
intermetatarsali.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 210


- Muscoli del Dorso del Piede
I tendini del m. estensore lungo delle dita e del m. estensore lungo dell’alluce decorrono
superficialmente ai ventri dei mm. estensori brevi delle dita e dell’alluce. Il m. estensore breve
delle dita origina dal calcagno in prossimità del seno tarsale. Questi due muscoli sono
strettamente connessi tra loro e formano una massa carnosa che si evidenzia nella parte laterale
del dorso del piede, anteriormente al malleolo laterale.

- Muscoli della Pianta del Piede


I muscoli della pianta del piede possono essere divisi in 4 strati, dal più superficiale al più
profondo, e contribuiscono a tendere e a mantenere la volta del piede e a raffinare i movimenti
di equilibrio su un suolo scosceso. Non contribuiscono a veri e propri movimenti delle dita, non
essendo per queste necessari movimenti raffinati.
Il I strato dei muscoli plantari è costituito dal m. abduttore dell’alluce, medialmente, dal m.
abduttore del V dito, lateralmente, e dal m. flessore breve delle dita, che flette le 4 dita laterali.
Il II strato dei muscoli plantari è costituito dal m. quadrato della pianta, che flette come flessore
accessorio le 4 dita laterali, e dai mm. lombricali, estensori delle falangi medie e distali e flessori
di quelle prossimali, riferiti sempre alle 4 dita laterali. Inoltre in questo strato si può osservare il
decorso superficiale dei tendini dei mm. flessori lunghi delle dita e dell’alluce.
Il III strato offre a considerare il m. flessore breve dell’alluce, che flette la falange prossimale
del I dito, il m. flessore breve del V dito e il m. adduttore dell’alluce, formato dai capi trasverso
e obliquo.
Il IV strato dei muscoli della pianta del piede è lo strato più profondo è comprende i mm.
interossei plantari, adduttori del II/IV dito e flessori delle articolazioni metatarsofalangee, e i
mm. interossei dorsali, abduttori delle II/IV dito e anch’essi flessori delle articolazioni
meatarsofalangee.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 211


Parte II - Sistema Vascolare dell’Arto Inferiore

CIRCOLAZIONE ARTERIOSA

- Arteria Femorale
Fa direttamente seguito all’a. iliaca esterna, estendendosi dal ligamento inguinale all’anello
degli adduttori, al di là del quale diventa, continuandosi, a. poplitea.
Discende sostanzialmente verticale, con obliquità appena accennata dall’alto in basso
lateromedialmente, e il suo decorso può essere indicato da una linea che unisce il punto di
mezzo del ligamento inguinale con la faccia posteriore del condilo mediale dell’epifisi distale
del femore. Appare più flessuosa con la coscia flessa, mentre è praticamente rettilinea a coscia
estesa.
Dopo aver fornito il suo più grosso ramo collaterale, l’a. femorale profonda, diminuisce di
calibro, che risulta essere di ca. 1 cm di diametro a livello del ligamento inguinale.

1. RAPPORTI
Origina trovandosi a livello dell’angolo laterale della lacuna vasorum , avendo
anteriormente, dunque, il ligamento inguinale, e, lateralmente, l’arco ileopettineo, che si
porta dal ligamento inguinale all’eminenza ileopubica, e separa l’arteria dalla lacuna
musculorum dove decorrono il nervo femorale e il m. ileopsoas; medialmente contrae
rapporti con la v. femorale e posteriormente si appoggia, nel suo tratto iniziale,
all’inserzione del m. pettineo.
Nella sua prima porzione l’a. femorale decorre nel triangolo femorale, contenuta
nell’interstizio prismatico di tale triangolo. Superficialmente è coperta dalla fascia lata e
dalla fascia cribrosa, che chiudono in avanti l’interstizio del triangolo. Posteriormente è
alloggiata, anteriormente alla v. femorale, nell’angolo formato dal m. pettineo, medialmente,
e dal m. ileopsoas, lateralmente, il quale, quest’ultimo, la separa dalla testa del femore e
dall’articolazione coxofemorale.
Superato il triangolo femorale decorre posteriormente al m. sartorio, che la incrocia
obliquamente, dall’alto in basso, lateromedialmente, e, in questo lungo tratto intermedio del
suo decorso, si poggia sulla doccia formata dal m. vasto mediale del quadricipite femorale,
lateroanteriormente, e dal m. adduttore lungo, medioposteriormente.
Nel suo tratto distale l’arteria decorre nel canale degli adduttori e, di conseguenza, contrae
rapporti con le pareti di detto canale, ovvero con il m. vasto mediale, con il m. grande
adduttore e con la lamina fibrosa che chiude anteriormente la doccia compresa tra questi
due muscoli. In corrispondenza del suo tratto distale, l’a. femorale risulta essere molto
vicina al femore, nel momento in cui si continua in a. poplitea, molto più vicina di quanto
non lo fosse stata in precedenza, in corrispondenza del tratto inferomediale dell’osso.
L’a. femorale è accompagnata nel suo decorso dalla v. femorale, ed entrambe risultano
essere avvolte da una guaina connettivale comune di rivestimento. La v. femorale decorre
inizialmente mediale rispetto all’arteria ma, nella loro discesa, questa si porta gradatamente
sempre più posteriormente, tanto da arrivare in posizione retrostante e quasi laterale
all’arteria, a livello del canale degli adduttori.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 212


2. RAMI COLLATERALI
L’a. femorale fornisce numerose diramazioni nel suo decorso superinferiore. La più
importante tra tutte è sicuramente l’a. femorale profonda, che da alcuni è considerata
addirittura una biforcazione dell’a. femorale.

Arteria Epigastrica Superficiale - è un’a. sottocutanea e nasce ca. 1 cm sotto il ligamento


inguinale, spesso insieme al secondo ramo dell’a. femorale, ovvero l’a. circonflessa iliaca
superficiale. Incrocia superficialmente il ligamento inguinale e si porta superiormente verso
la parete anteroinferiore dell’addome.

Arteria Circonflessa Iliaca Superficiale - nasce o immediatamente sotto la precedente o


insieme a questa da un tronco comune. È un a. sottocutanea che si dirige verso la spina iliaca
anteriore superiore, dove si anastomizza con l’a. circonflessa iliaca profonda.

Arteria Pudenda Esterna - è formata da due rami che nascono o da un tronco comune dell’a.
femorale o separatamente come a. pudenda esterna superiore e a. pudenda esterna inferiore.
La prima diventa sottocutanea portandosi alle regioni pubiche e perineali. La seconda
decorre inferiormente allo strato fasciale di questa regione e si distribuisce anch’essa agli
strati superficiali della regione perineale anteriore.

Arteria Femorale Profonda - è il principale vaso nutritizio della coscia e nasce dalla faccia
posteriore dell’a. femorale, a livello del triangolo femorale, circa 4 cm al di sotto del
ligamento inguinale. Il suo calibro è considerevole, quasi quanto il calibro dell’arteria dal
quale deriva. Nel suo primo tratto discende posterolateralmente all’a. femorale, per poi
collocarsi decisamente posteriormente a questo vaso, insinuandosi negli interstizi compresi,
dapprima, tra il m. ileopsoas e il m. pettineo, poi tra il m. adduttore lungo e i mm. adduttore
breve e grande adduttore. Decorre in profondità, vicina al femore e all’inserzione dei mm.
adduttori su quest’osso. Diminuisce progressivamente di calibro per i numerosi rami
muscolari che fornisce lungo il suo decorso. Termina come a. perforante del m. grande
adduttore, a livello del 1/3 inferiore della coscia.

Arteria Suprema del Ginocchio - è un grosso ramo collaterale distale dell’a. femorale che si
stacca da questa a livello del canale degli adduttori e del tratto terminale di questo. Si divide
in un ramo superficiale e in un ramo profondo, che si portano in superficie o in profondità
alla porzione superiore del ginocchio per alcuni muscoli del quadricipite femorale e per la
capsula articolare del ginocchio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 213


- Arteria Poplitea
L’a. poplitea che fa seguito all’a. femorale è posta nella parte posteriore del ginocchio e si
estende dal termine del canale degli adduttori fino all’arcata tendinea del m. soleo, ovvero alla
sua origine sulla faccia posteriore della testa della fibula e sulla linea del m. soleo lungo la faccia
posteriore della tibia. Decorre in superficie, ovvero posteriormente, tra il m. popliteo e il m.
soleo, e, superato il margine d’origine di quest’ultimo, si divide in a. tibiale anteriore e a. tibiale
posteriore, suoi rami terminali. A livello del triangolo popliteo dell’epifisi distale del femore
mostra, a gamba estesa, un decorso rettilineo e leggermente obliquo, dall’alto in basso,
mediolateralmente, portandosi tra i tendini d’origine dei capi laterale e medio del m.
gastrocnemio. Dopo aver attraversato la fossa poplitea tra i due condili femorali passa
posteriormente al m. popliteo, discendendo verticalmente.

1. RAPPORTI
In tutta la sua lunghezza è situata in profondità; nel suo tratto iniziale si colloca tra il m.
semimembranoso e la faccia mediale del femore, poi, portandosi obliqua mediolateralmente,
si porta posteriormente al femore verso l’apice del triangolo popliteo dove la linea aspra
diverge nei suoi labbri mediale e laterale e, a questo livello, compare compresa tra il m.
semimembranoso e il m. bicipite del femore. Sebbene decorra intimamente associata alla
fossa o triangolo popliteo del femore, risulta essere separata da questo, per questioni di
attrito con il periostio fibroso, da uno spesso strato di grasso e, più caudalmente, dalla
capsula articolare del ginocchio. Superata la fossa poplitea decorre in profondità rispetto ai
capi mediale e laterale del m. gastrocnemio e al m. plantare, superficialmente, invece, al m.
popliteo.
L’a. poplitea è strettamente associata alla v. poplitea in una guaina comune che rende
difficile la loro separazione. La v. poplitea si pone lateroposteriormente all’a. poplitea e, nel
suo tratto distale, si porta posteromedialmente a questa. Inoltre l’a. contrae intimi rapporti
anche con il n. tibiale, che si avvicina progressivamente alla v. e all’a. poplitea ponendosi
posterolateralmente a queste. Inoltre l’a. poplitea contrae rapporti anche con i linfonodi
poplitei, che decorrono contigui alla v. poplitea.
(Ne.V.A. = rapporti, andando lateromedialmente e dalla superficie alla profondità )

2. RAMI COLLATERALI
I rami collaterali dell’a. poplitea possono essere racchiusi in due gruppi, ovvero un gruppo
destinato alla capsula articolare e all’irrorazione di tutte le strutture del ginocchio, insieme al
ramo profondo o articolare dell’a. superiore del ginocchio, ramo collaterale dell’a. femorale,
e un gruppo più inferiore, destinato all’irrorazione delle strutture muscolari posteriori della
gamba. Al primo gruppo appartengono le aa. articolari del ginocchio, in numero di 5, che
sono il ramo superolaterale, il ramo superomediale, il ramo medio, il ramo inferolaterale e
il ramo inferomediale. Al secondo gruppo appartengono le aa. surali, rami per i muscoli del
tricipite della sura.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 214


CIRCOLAZIONE VENOSA PROFONDA

- Vena Femorale
La v. femorale si estende inferosuperiormente dallo iato distale del canale degli adduttori, dove
segue alla v. poplitea, fino al livello del ligamento inguinale, dove diventa v. iliaca esterna. Essa
accompagna l’a. femorale, essendo con essa avvolta da una stessa guaina, che invia un sottile e
debole setto tra i due vasi. La v. femorale nasce dalla v. poplitea lateroposteriormente all’a.
femorale e, portandosi verso l’alto, decorre prima posteriormente a questa e poi, come una lieve
spirale, si porta posteromedialmente fino alla lacuna vasorum, posteriormente al ligamento
inguinale, dove è mediale rispetto all’a. femorale.
La v. femorale riceve nel suo decorso la v. grande safena, che costituisce il più grande dotto
collettore della v. femorale, che risale dal dorso del piede fino alla regione sottoinguinale, dove
attraversa lo iato safeno, e sbocca nella v. femorale. Altri rami tributari della v. femorale sono le
vv. dei genitali esterni, le vv. della parete addominale anteroinferiore e le vv. profonde della
coscia.
La struttura interna della v. femorale offre a considerare 4 o 5 paia di valvole e un discreto strato
muscolare circolare nella tonaca media.

- Vena Poplitea
Decorre parallela all’a. omonima, dal tendine di origine del m. soleo a livello della linea del
soleo della tibia, fino allo iato distale del canale degli adduttori, posteriormente al ginocchio e
alla sua articolazione. È la porzione più distale del tronco venoso principale che drena l’arto
inferiore e nasce per la confluenza delle vv. tibiali anteriore e posteriore. Entrata nel canale
degli adduttori cambia nome in v. femorale.
È contenuta nella stessa guaina di rivestimento dell’a. poplitea e aderisce strettamente a questa.
Incrocia ad X, andando dal basso verso l’alto, l’a. poplitea perché, rimanendo posteriore a questa
si porta da leggermente mediale a laterale, rispetto all’arteria. Sappiamo che la v. femorale si
comporterà in maniera opposta ritornando nel tratto più prossimale mediale all’a. femorale. A
livello tibiale, la v. tibiale posteriore si interpone lateralmente all’a. tibiale posteriore, tra questa
e il n. tibiale.
Nel suo decorso la v. poplitea riceve piccoli rami collaterali provenienti dalle strutture muscolari
e articolari della regione che drena. Inoltre la v. poplitea riceve anche la v. piccola safena, che
drena la superficie posteriore della gamba. Nella sua struttura presenta non più di 2-3 valvole.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 215


CIRCOLAZIONE VENOSA SUPERFICIALE

Le vv. superficiali dell’arto inferiore formano una fitta rete venosa nel sottocutaneo, superiormente allo
strato fasciale dell’arto. Le maglie di tale rete raggiungono tutte le regioni superficiali dell’arto
inferiore, anastomizzandosi in più punti tra loro e con la circolazione venosa profonda dell’arto. I rami
tributari dei due grossi tronchi venosi superficiali, rappresentati dalla v. grande safena e dalla v. piccola
safena, sono tutti orientati paralleli all’asse maggiore, o asse longitudinale, dell’arto inferiore.

- Vena Grande Safena


La v. grande safena o safena interna e una vena superficiale che si estende dal collo del piede,
lungo la faccia mediale della gamba e lungo la faccia anteromediale della coscia, fino al suo
sbocco nella v. femorale, nella regione sottoinguinale.
Origina dinnanzi al malleolo mediale o tibiale come prolungamento della v. marginale mediale
del dorso del piede, ovvero il ramo mediale ben sviluppato rispetto agli esili rami venosi
plantari, che raccoglie le vv. dorsali del piede. Si dirige superiormente decorrendo lungo la
faccia mediale della tibia per poi portarsi più posteriormente, parallela al margine mediale di
quest’osso. Descrive a livello dell’articolazione del ginocchio una lieve curva a concavità
anteriore che le consente di virare, posteriormente al condilo mediale della tibia e del femore,
diretta verso la faccia anteromediale della coscia. Segue a questo livello il decorso del m.
sartorio, che si pone in profondità a questa. A una distanza di ca. 3,5 cm dal ligamento inguinale
penetra nella v. femorale attraversando lo iato safeno, superiormente al margine falciforme di
questo, penetrando la fascia cribrosa e lo strato superficiale della fascia lata.
La vena in tutto il suo decorso risulta essere applicata alla faccia anteromediale della fascia
crurale e della fascia lata. Inoltre risulta essere costeggiata dal malleolo al ginocchio, dal n.
safeno. Presenta un calibro di ca. 0,5 cm ed una grossa parete provvista di valvole e di uno
spesso strato muscolare.
Raccoglie la maggior parte delle vv. superficiali della gamba, soprattutto quelle che decorrono
lungo la faccia anteromediale. Riceve tutte le vv. superficiali della coscia e, talvolta, le vene
provenienti dalle facce posteriore e mediale della coscia raggiungono la v. grande safena
attraverso una v. safena accessoria, tributaria della v. grande safena a livello della sua
terminazione. Presenta numerosi rami anastomotici, anche diretti, con la v. piccola safena.

- Vena Piccola Safena


La v. piccola safena o safena esterna è una discreta vena superficiale che si estende dal collo del
piede, lungo la faccia posteriore della gamba, fino alla regione poplitea, dove drena nella v.
poplitea.
Origina posteriormente al malleolo laterale o fibulare come prolungamento della v. marginale
laterale del dorso del piede; in seguito decorre, prima lungo il margine laterale del tendine
calcaneare o di Achille, e poi, si porta posteriormente a questo, risalendo lungo la superficie
posteriore della gamba, compresa nel solco creato tra i capi mediale e laterale del m.
gastrocnemio. Arrivata a livello in cui i due capi muscolari divergono, perfora la fascia crurale
penetrando in profondità nella parte inferiore della cavità poplitea, per poi terminare come vena
tributaria della v. poplitea. Nella sua metà inferiore risulta essere sottocutanea ma diventa
subfasciale nella metà superiore, seguendo la doccia tra i capi del m. gastrocnemio.
Presenta un calibro di ca. 0,4 cm e una parete muscolare spessa.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 216


DRENAGGIO LINFATICO

- Drenaggio Linfatico dell’Arto Inferiore


I vasi collettori per il drenaggio linfatico sono divisi in vasi superficiali e vasi profondi,
entrambi aventi un decorso parallelo alle vene di riferimento. I vasi linfatici superficiali sono più
numerosi nella pianta del piede; lasciano il piede risalendo paralleli al decorso della v. grande
safena, lungo la faccia mediale della gamba, oppure lungo il decorso della v. piccola safena,
lateroposteriormente. I vasi linfatici superficiali mediali sono più numerosi rispetto a quelli
laterali e drenano il dorso, la superficie mediale e quella plantare del piede. Questi vasi poi
risalgono paralleli alla v. grande safena fino a giungere nei linfonodi inguinali superficiali, che
possono poi drenare o nei linfonodi iliaci esterni o nei linfonodi inguinali profondi. I vasi
linfatici superficiali laterali invece, sono meno numerosi e drenano la superficie laterale della
pianta del piede. La maggior parte di questi vasi risale lateralmente alla v. piccola safena e drena
nei linfonodi poplitei superficiali, posti attorno alla terminazione della v. piccola safena.
I vasi linfatici profondi raggiungono in profondità i linfonodi poplitei profondi e, attraverso
questi, i linfonodi inguinali profondi.

- Linfonodi Inguinali
I linfonodi inguinali formano con i rispettivi vasi afferenti ed efferenti, il plesso linfatico
inguinale. Questi si possono dividere in linfonodi inguinali superficiali e linfonodi inguinali
profondi.

1. LINFONODI INGUINALI SUPERFICIALI


Occupano il triangolo femorale al di sotto dello strato ipodermico, davanti alla fascia
cribrosa. Variano sia in grandezza che in numero, oscillando da 12 a 20. Secondo le
diramazioni afferenti ed efferenti vengono descritti in 4 gruppi del tutto artificiosi nella loro
divisione, ovvero tracciando una linea verticale e una orizzontale, passanti
perpendicolarmente tra loro allo sbocco della v. grande safena nella v. femorale. Questi
gruppi corrispondono ai 4 quadranti che si vengono a formare, ovvero il gruppo
superolaterale, il gruppo superomediale, il gruppo inferolaterale e il gruppo inferomediale.

2. LINFONODI INGUINALI PROFONDI


I linfonodi inguinali profondi, più piccoli e in numero di 2 o 3, sono posti posteriormente
allo iato safeno, in profondità rispetto allo strato fasciale del triangolo femorale,
medialmente alla v. femorale. Se sono più di uno si dispongono a catena, con il linfonodo
inferiore al di sotto dello sbocco della v. grande safena e con il linfonodo superiore, detto
linfonodo di Cloquet, più voluminoso.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 217


Parte III - Sistema Nervoso dell’Arto Inferiore
Il plesso lombosacrale è costituito dai rami ventrali dei nervi spinali lombari e sacrali. I suoi rami
forniscono l’innervazione sensitiva e motoria all’arto inferiore; i rami di L1-L3 e parte di L4 formano il
plesso lombare, che con le sue radici è situato all’interno del m. psoas e, oltre a brevi rami destinati per
lo più all’innervazione di strutture appartenenti al tronco, esso fornisce due importanti nervi, ovvero il
grosso n. femorale e il n. otturatore. La restante parte del ramo L4 e il ramo L5 si uniscono per formare
il tronco lombosacrale, che, nella piccola pelvi, si unisce ai rami sacrali S1-S3 per formare il plesso
sacrale. Come ramo principale del tronco sacrale troviamo il n. ischiatico, ma da esso origina,
distalmente, anche il n. pudendo.

PLESSO LOMBARE

Il plesso lombare invia direttamente brevi rami muscolari alla muscolatura della parete addominale
lateroposteriore, come i rami per il m. grande e piccolo psoas e i rami per il m. quadrato dei lombi. I
rami più alti del plesso sono simili, come decorso e distribuzione, ai rami dei nn. intercostali,
rappresentando, insieme al n. sottocostale, il punto di passaggio tra plesso lombare e nn. intercostali.

Osservando la parete addominale dall’interno con il m. grande psoas in situ, si può osservare, andando
dall’alto verso il basso, innanzitutto il n. sottocostale, lungo il margine inferiore della XII costa, ultimo
ramo dei rami anteriori dei nn. toracici. Il n. sottocostale decorre più o meno nascosto dalla porzione
lombare del diaframma, in particolare da quella porzione che origina dal ligamento arcuato laterale.
Inferomedialmente al decorso del n. sottocostale si può notare lo spessore del m. quadrato dei lombi e,
più medialmente il m. grande psoas, che origina a livello del diaframma, dal ligamento arcuato mediale.

Il m. quadrato dei lombi è tagliato obliquamente dall’alto in basso mediolateralmente dal primo ramo
del plesso lombare ovvero il n. ileoipogastrico, che si dirige dalla sua origine in prossimità del m grande
psoas, a livello del ligamento arcuato mediale, fino al di sopra della cresta iliaca e dove, a questo
livello, perfora i muscoli laterali dell’addome. Più caudalmente a questo troviamo il n. ileoinguinale
che, con decorso quasi parallelo al precedente, ma più in basso, si porta anteriormente al m. ileopsoas e
raggiunge l’anello inguinale profondo. Il terzo ramo, il n. genitofemorale, decorre lungo la faccia
anteriore del m. grande psoas per raggiungere anch’esso la parete anteriore della regione inguinale; a
questo livello si divide in un ramo genitale, che si porta all’interno del canale inguinale, e in un ramo
femorale, che si porta verso l’arto inferiore attraverso la lacuna vasorum.

Gli ultimi tre rami del plesso lombare sono rappresentati dai nervi più caudali di questo, ovvero il n.
femorale, il n. otturatore e il n. cutaneo laterale della coscia, che verranno descritti nel dettaglio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 218


- Nervo Femorale
Il n. femorale è il ramo più importante del plesso lombare, che origina posteriormente al m.
grande psoas dalle radici L1-L4. Si porta laterale al m. grande psoas, compreso nella doccia
scavata tra questo e il m. iliaco e, quando queste due grosse strutture uniscono le loro fibre, il
grosso nervo si porta anteriormente al m. ileopsoas, attraversando con esso la lacuna
musculorum.
Attraversato il ligamento inguinale si porta nella regione anteriore della coscia, dove manda
numerosi rami collaterali del tronco nervoso principale; le diramazioni possono essere riassunte
in un gruppo ventrale, principalmente sensitivo, che prende il nome di nervi cutanei anteriori
della coscia, un gruppo laterale, principalmente nervi motori per i muscoli della coscia, e un
ramo mediale, che è anche distale e terminale del n. femorale, detto n. safeno, che si porta
insieme all’a. e alla v. femorale, lateralmente all’arteria, nel canale degli adduttori e, perforata
la membrana vastoadduttoria che riveste anteriormente il canale, insieme all’a. discendente del
ginocchio, si porta lungo la faccia anteromediale dell’arto inferiore fino al malleolo mediale,
parallelo alla v. grande safena. Il n. safeno è un nervo esclusivamente sensitivo, che innerva la
cute mediale della gamba attraverso i nervi cutanei mediali. Il suo territorio d’innervazione
ricopre tutta la porzione tibiale o mediale del ginocchio e della gamba, fino al malleolo mediale
e alla metà mediale del piede, compreso l’alluce.
La cute anteriore e mediale della coscia è innervata, con rami sensitivi cutanei anteriori, dalle
ramificazioni sensitive del n. femorale, ovvero i nervi cutanei anteriori della coscia, che
emergono dalla fascia alta anteriore, principalmente a livello dello iato safeno, lateralmente a
questo.
Il n. femorale innerva esclusivamente la maggior parte dei mm. anteriori della coscia; i mm.
posteriori di questa regione sono innervati da ramificazioni del n. ischiatico, mentre, i mm.
adduttori o mediali, sono innervati dal n. otturatore.

- Nervo Otturatore
Fornisce l’innervazione motoria per i mm. adduttori della coscia. Corrisponde all’ultimo nervo
del plesso lombare, che decorre posteromedialmente al m. grande psoas fino a portarsi,
medialmente a questo nella piccola pelvi. Incrocia posteriormente l’a. e la v. iliaca esterna e si
dirige verso il canale otturatorio. Dopo aver attraversato il canale otturatorio raggiunge la
coscia, dove invia subito un ramo motorio per il m. otturatore esterno. A questo livello si divide
in un ramo anteriore o profondo e in un ramo posteriore o superficiale, il primo decorre tra i
mm. adduttori lungo e breve, il secondo tra i mm. adduttori breve e grande. Invia ramificazioni
anche per i mm. gracile e pettineo. Inoltre, contribuisce all’innervazione della porzione mediale
della cute della coscia, attraverso nervi cutanei mediali della coscia.
Il ramo anteriore o profondo innerva il m. gracile, il m. pettineo, il m. adduttore breve e il m.
adduttore lungo. Il ramo superficiale o posteriore innerva il m. adduttore grande e il m.
otturatore esterno.

- Nervo Cutaneo Laterale della Coscia


Il nervo decorre sopra il m. iliaco fino al di sotto della spina iliaca anteriore superiore e, passato
sotto il ligamento inguinale attraverso la porzione più laterale della lacuna musculorum, perfora
la fascia lata portandosi in superficie. Il nervo è esclusivamente sensitivo e innerva la cute della
porzione laterale della coscia, fino all’altezza del ginocchio, ovvero il tratto ileotibiale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 219


PLESSO SACRALE

Il tronco lombosacrale o plesso lombosacrale è costituito da parte del nervo spinale di L4, e dai nervi
spinali L5-S3. I rami ventrali di questi nervi spinali si uniscono anteriormente al m. piriforme per
formare il plesso lombosacrale.

Dal plesso sacrale originano numerosi e importanti nervi per la regione glutea, sia rami motori che rami
sensitivi e, inoltre, originano gli importanti nervi che si portano alla regione pelvica, perineale e alla
coscia, come il n. pudendo e il n. ischiatico. I nervi cutanei della regione glutea sono rappresentati dai
nn. cluneali superiore, medio e inferiore, che innervano la cute della regione media e superiore della
natica. La regione inferiore della cute del grande gluteo e la piega glutea sono invece innervati dal n.
cutaneo perforante della regione glutea. Tra i nervi profondi invece del plesso sacrale ricordiamo il n.
sciatico, il n. pudendo e il n. cutaneo posteriore della coscia, che verranno di seguito descritti. Inoltre vi
sono il n. per il m. otturatore interno, che entra nella regione glutea dal grande forame ischiatico,
passando sotto al m. piriforme, per poi rientrare dirigendosi verso il m. otturatore intermo, attraverso il
piccolo forame ischiatico; poi vi sono i nn. glutei superiore ed inferiore che innervano, il superiore, i
mm. glutei medio e piccolo e il m. tensore della fascia lata e, l’inferiore, il m. grande gluteo, e si
distinguono perché attraversano il grande forame ischiatico l’uno sopra e l’atro sotto il m. piriforme;
infine, l’ultimo nervo è il n. per il m. quadrato del femore.

- Nervo Ischiatico
Il nervo è formato da due tronchi, il n. peroneo comune e il n. tibiale, che nella pelvi e nella
coscia sono avvolti da un'unica guaina connettivale, apparendo quindi come un solo nervo che
prende appunto il nome di n. ischiatico o sciatico. Il n. ischiatico attraversa il grande forame
ischiatico inferiormente al m. piriforme e superiormente al ligamento sacrospinoso; decorre
posteriormente, andando in senso craniocaudale, prima al tricipite dell’anca, formato dal m.
gemello superiore, dal m. otturatore interno e dal m. gemello inferiore, poi al m. quadrato del
femore e infine al m. grande adduttore. Inoltre decorre medialmente e in profondità rispetto al
m. grande gluteo e al m. bicipite femorale. All’interno del bacino il n. tibiale è posto
inferiormente al n. peroneo comune, mentre, a livello della coscia, il n. tibiale si pone
medialmente al n. peroneo comune.
Giunti a livello del ginocchio e della porzione superiore della fossa poplitea il n. ischiatico si
divide in n. peroneo e in n. tibiale.
Il n. tibiale decorre insieme ai vasi poplitei, lateroposteriormente a questi. Si appoggia
posteriormente al m. popliteo che si interpone tra di esso e la capsula articolare del ginocchio.
Scende inferiormente lungo la superficie posteriore del m. tibiale posteriore, all’interno dello
spazio vasculo-nervoso della gamba, anteriormente e in profondità rispetto al setto
intermuscolare trasverso, nella loggia posteriore della gamba. Passa posteriormente al malleolo
mediale fornendo i nn. plantari mediale e laterale.
Il n. fibulare o peroniero comune segue invece il decorso mediale del tendine del m. bicipite
femorale e, portatosi lungo la superficie posteriore della testa della fibula, gira attorno al collo
della fibula in profondità rispetto al m. peroneo lungo, portandosi in profondità rispetto alla
superficie anterolaterale della gamba, e dividendosi a questo livello in n. peroneo profondo,
mediale, per i mm. della loggia anteriore della gamba, e in n. peroneo superficiale, laterale, per
i mm. della loggia laterale della gamba.

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- Nervo Pudendo
Il n. pudendo origina dai rami ventrali dei nervi S2-S4 e, portatosi fuori dal bacino attraverso la
porzione anteroinferiore del grande forame ischiatico, decorre per un breve tratto
posteriormente alla spina ischiatica e, al di sotto di questa, rientra, lungo la porzione anteriore
del margine inferiore del ligamento sacrospinoso, nella pelvi, attraverso il piccolo forame
ischiatico. Lungo la faccia interna dell’ischio decorre all’interno del canale di Alcock o canale
pudendo, formato da una duplicatura della membrana o fascia che riveste la parete interna del m.
otturatore interno, insieme ai vasi pudendi interni. Il n. pudendo non innerva la regione glutea
ma gran parte della regione perineale. Portatosi posteroanteriormente e, rispetto alla sua origine,
anche dall’alto in basso lateromedialmente, termina con rami sensitivi dorsali per il pene o il
clitoride, a seconda del sesso.

- Nervo Cutaneo Posteriore della Coscia


Il nervo esce dal bacino attraverso il grande forame ischiatico insieme al n. gluteo inferiore e al
n. ischiatico. Raggiunge la cute della regione posteriore della coscia, passando inferiormente al
m. grande gluteo. Il nervo fornisce rami esclusivamente sensitivi per la cute della regione della
natica e della regione posteriore della coscia e della gamba. Innerva inoltre la superficie laterale
del perineo e la superficie più superiore della faccia mediale della coscia, posta al confine con il
perineo. Tra i nervi cutanei del corpo e quello che provvede all’innervazione sensitiva di una
superficie che è la più estesa del corpo.
A differenza di quanto si possa pensare, la particolarità di questo nervo è che, nonostante con i
suoi rami raggiunga l’ipoderma e il derma, il suo tronco principale decorre in profondità rispetto
alla fascia lata, raggiungendo la cute con i suoi rami perforanti.

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ARTO SUPERIORE
Introduzione - Anatomia Topografica di Superficie
In superficie non è visibile un limite netto tra il tronco e la sua appendice pari superiore, l’arto superiore.
Questo offre a considerare 6 macroregioni, distinte poi in più porzioni. Queste sono la regione della
spalla, la regione del braccio, la regione del gomito, la regione dell’avambraccio, la regione del polso e
la regione della mano.

Osservando la regione della spalla in una proiezione anteriore si può osservare come essa comprenda
superomedialmente, la regione sottoclavicolare, con il trigono clavipettorale, attraverso cui i vasi e i
nervi raggiungono l’arto superiore, e inferomedialmente la regione ascellare, al di sotto del quale si
trova la fossa o cavo ascellare. Lateralmente all’articolazione gleno-omerale si trova la regione
deltoidea alla quale segue, posteriormente, la regione scapolare.

Il braccio si divide in una regione brachiale anteriore, la cui componente muscolare e costituita dai
muscoli flessori, e in una regione brachiale posteriore, la cui componente muscolare è costituita dai
muscoli estensori. Sulla superficie cutanea della regione brachiale anteriore può essere visibile un solco
bicipitale mediale, che funge da doccia guida per i vasi che si portano dalla fossa ascellare alla fossa
cubitale. Lateralmente, al confine tra regione brachiale anteriore e regione brachiale posteriore, troviamo
il solco bicipitale laterale, dove trova decorso e alloggia la v. cefalica.

Alla regione brachiale anteriore fa seguito, sul davanti, la regione cubitale anteriore, il cui centro è
rappresentato dalla fossa cubitale, al cui interno avvengono le principali divisioni di nervi e vasi. Esiste
anche una regione cubitale posteriore, che però non presenta particolari strutture vasali e nervose ma
solo strati membranosi e ossei.

Distalmente alla fossa cubitale si trova la regione anteriore dell’avambraccio, che, suddivisa in una
parte anterolaterale e in una anteromediale, contiene tra la componente muscolare flessoria, i principali
vasi e nervi di questa regione. La faccia dorsale dell’avambraccio è formata dalla regione posteriore
dell’avambraccio che contiene pochi vasi e i muscoli estensori.

Compresa tra il palmo della mano e la regione anteriore dell’avambraccio si trova la regione volare del
polso o regione carpale anteriore. Dorsalmente invece si trova la regione carpale posteriore, a cui
segue il dorso della mano.

Il palmo della mano si estende dall’articolazione radiocarpica alle articolazioni metacarpofalangee, e


offre a considerare una zona più declive mediana, corrispondente all’aponevrosi palmare, e due zone
prominenti, una laterale e una mediale, dette eminenze tenar e ipotenar. La faccia posteriore della mano
prende invece il nome di dorso della mano e possiede caratteristiche diverse ma stessi limiti.
Lateralmente, tra dorso e palmo della mano si interpone la tabacchiera anatomica, che contiene il
decorso dell’a. radiale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 224


REGIONE CLAVIPETTORALE

Il trigono clavipettorale è delimitato, superiormente, dalla clavicola, lateralmente, dal m. deltoide e,


medialmente, dal m. grande pettorale. In direzione distale inferolaterale si continua nel solco
deltoideopettorale, ove alloggia il decorso della porzione superiore della v. cefalica.

In superficie troviamo la fascia pettorale, che in corrispondenza del trigono appare un po’ infossata.
Questa regione appare divisa in due strati dalla fascia clavipettorale, ovvero una membrana che si porta
dalla faccia interna del m. deltoide alla faccia interna del m. grande pettorale, estendendosi in una
porzione che va dalla clavicola al margine mediale del m. piccolo pettorale e, in alto, fino al processo
coracoideo della scapola. Nello strato superficiale rispetto alla fascia clavipettorale, si può osservare la
v. cefalica, che proviene dal solco deltoideopettorale, che perfora lo strato fasciale portandosi in
prossimità come vena tributaria della v. ascellare.

Nello strato profondo della regione sottoclavicolare o del trigono clavipettorale si può osservare il
decorso delle strutture vascolari e nervose destinate all’arto superiore. Dunque, in una porzione
compresa tra il m. succlavio, superomedialmente, e il m. piccolo pettorale, inferolateralmente, si
apprezza il decorso andando in senso mediolaterale, anteroposteriore e inferosuperiore, dapprima la v.
ascellare, con lo sbocco della v. cefalica sulla sua faccia anteriore, poi l’a. ascellare, che a questo
livello invia l’a. toraco-acromiale, e il plesso brachiale, già diviso nei suoi fascicoli mediale, laterale e
posteriore. a questo livello si trovano i principali ed ultimi linfonodi ascellari, ovvero il gruppo
sottoclavicolare, ultima stazione linfatica dell’arto superiore.

REGIONE ASCELLARE

Attraverso l’ascella e la cavità ascellare trovano passaggio le strutture vasculo-nervose dell’arto


superiore. L’ascella è delimitata anteriormente dal m. grande pettorale e dal m. piccolo pettorale,
posteriormente dal tendine del m. grande dorsale. Medialmente si trova la parete toracica con i ventri del
m. dentato anteriore, lateralmente l’omero con il capo breve del m. bicipite brachiale e il m.
coracobrachiale. Andando in senso anteroposteriore troviamo, in corrispondenza della parete laterale
della cavità ascellare, dapprima il tendine del m. grande pettorale, poi il tendine del m. bicipite
brachiale, poi il tendine del m. coracobrachiale e, infine, il tendine del m. grande dorsale, incrociato
anteriormente dalle strutture vasculo-nervose brachiali e ascellari.

Osservando dorsalmente la regione ascellare si può notare come essa presenti una fessura compresa tra
il m. grande rotondo, in basso, e il m. piccolo rotondo, in alto, e, lateralmente, chiusa dall’omero. Questa
fessura è separata in due porzioni dal tendine d’inserzione del capo lungo del m. tricipite brachiale, che
divide la fessura, passando posteriormente al m. grande rotondo e anteriormente al m. piccolo rotondo,
ovvero una porzione laterale, il forame ascellare laterale, e una mediale, il forame ascellare mediale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 225


REGIONE ANTERIORE DEL BRACCIO

La fascia brachiale, spessa e robusta, riveste l’arto superiore mantenendo in tensione le componenti
muscolari, come se fosse una calza ben stretta che avvolge l’arto. Medialmente e lateralmente all’omero
originano due setti trasversali che raggiungono in superficie la fascia brachiale, dividendo così in due
compartimenti lo spazio interno del braccio. I due compartimenti saranno uno anteriore, o flessore del
braccio, e uno posteriore, o estensore del braccio.

In corrispondenza del lato laterale del m. bicipite brachiale, decorre in superficie la v. cefalica, che poi si
porta all’interno del solco deltoideopettorale. Invece, nel terzo intermedio e distale della superficie
mediale del braccio, si può osservare il decorso della v. basilica, prima che essa attraversi la fascia
brachiale, perforandola in corrispondenza dello iato basilico. Si osserva la v. basilica accompagnata dal
n. cutaneo mediale dell’avambraccio che, diviso in un ramo anteriore e in uno posteriore, si pone
lateralmente a stretto contatto con la vena, con il ramo anteriore, e medialmente, più lontano e mediale
rispetto alla vena, con il ramo posteriore. Per quanto riguarda il n. cutaneo mediale del braccio invece,
questo discende lungo la faccia mediale del braccio dall’ascella, con 2 o 3 rami cutanei.

Il solco bicipitale mediale è delimitato in dietro dal setto intermuscolare mediale della fascia brachiale,
lateralmente dal m. bicipite brachiale, e, medialmente e in avanti, dalla fascia brachiale. All’interno di
tale solco decorrono le strutture vasculo-nervose dell’arto superiore. La più superficiale è sicuramente il
n. cutaneo mediale dell’avambraccio, che decorre sul davanti della v. basilica. La struttura più mediale
che incrocia posteriormente la v. basilica è il n. ulnare, che si porta al davanti del m. tricipite brachiale,
separato da questo dal setto intermuscolare mediale. Al confine tra terzo mediale e terzo distale del
braccio il n. ulnare perfora il setto intermuscolare e si porta posteriormente a questo, nella loggia
posteriore, sul davanti del m. tricipite brachiale, fino a raggiungere il solco del n. ulnare, sulla superficie
posteriore dell’epicondilo mediale dell’omero.
Lateralmente e un po’ distante dalla v. basilica decorre il n. mediano, che decorre dall’alto in basso
lateromediale rispetto all’a. brachiale, incrociandola sul davanti. Quest’ultima è la struttura più profonda
del solco bicipitale mediale.

REGIONE CUBITALE ANTERIORE

La fossa cubitale è una depressione triangolare sulla superficie anteriore del gomito, avente come
confini, superiormente, una linea virtuale che unisce gli epicondili omerali mediale e laterale,
medialmente, il m. pronatore rotondo e, lateralmente, il m. brachioradiale. Il pavimento della fossa
cubitale è formato dai m. brachiale e supinatore, muscoli del braccio e dell’avambraccio. La fascia
profonda, rinforzata medialmente dall’aponevrosi bicipitale, forma il tetto della fossa cubitale.

Medialmente si trova la v. basilica, ben visibile attraverso la cute. La v. basilica dell’avambraccio, che si
continua poi nella v. basilica, si unisce attraverso la v. mediana del gomito, con la v. cefalica, a livello
della fossa cubitale. In prossimità dello sbocco della v. mediana del gomito nella v. basilica, questa
risulta essere incrociata in avanti e in dietro, dalla biforcazione del ramo anteriore del n. cutaneo
mediale dell’avambraccio.

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Parte I - Apparato Locomotore dell’Arto Superiore
CINGOLO SCAPOLARE

- Scapola
La scapola è un osso piatto di forma triangolare, posto lungo la parete posterolaterale del torace,
tra la II e la VII costa. Presentandosi di forma grossolanamente triangolare offre a considerare
tre margini, ovvero il margine superiore, il margine mediale e il margine laterale, e tre angoli,
ovvero l’angolo superiore, posto tra i margini superiore e mediale, l’angolo inferiore, posto tra i
margini mediale e laterale, e, infine, l’angolo laterale, posto tra i margini superiore e laterale.
La faccia ventrale o superficie anteriore della scapola presenta spesso linee di inserzione
muscolare ben marcate ed è di forma leggermente scavata e piatta; la faccia dorsale o superficie
posteriore invece viene suddivisa dalla spina della scapola in una fossa sovraspinata, di minor
estensione, e in una fossa infraspinata, con un estensione maggiore. La spina della scapola ha
origine dal 1/3 superiore del margine mediale della scapola, dove si presenta di forma
triangolare con il trigono della spina, e, aumentando progressivamente di altezza, si porta
lateralmente e leggermente superiormente, terminando, dopo essersi piegata in avanti, con un
processo piatto chiamato acromion, che presenta una faccia articolare per l’articolazione
acromioclavicolare.
L’acromion si presenta come una protrusione della spina scapolare, e l’angolo acromiale, che
segna il passaggio tra queste due strutture lungo il margine inferolaterale, è ben palpabile,
soprattutto nei soggetti magri. A livello dell’angolo laterale della scapola, osservando l’osso in
una proiezione laterale, si può osservare una faccia articolare glenoidea, compresa in una cavità
glenoidea concava. Superiormente al margine della cavità glenoidea si trova un tubercolo
sopraglenoideo mentre, inferiormente, si trova un tubercolo infraglenoideo, che si continua poi
nel margine laterale della scapola.
Medialmente alla cavità glenoidea, questa si continua nella scapola attraverso il collo della
scapola, mentre, superiormente, si diparte da questi il processo coracoideo della scapola, che
piega ad angolo retto, portandosi anterolateralmente ed appiattendosi progressivamente.
L’acromion e il processo coracoideo formano due strutture di protezione superoanteriore e
superoposteriore per l’articolazione tra omero e scapola. Lungo il margine superiore della
scapola, medialmente al processo coracoideo, si trova una incisura scapolare.
La cavità glenoidea si orienta anterolateralmente per accogliere la testa dell’omero. È una fossa
concava poco profonda e di forma ovale, lunga ca. 4 cm e larga 2-3 cm, rivolta oltre che
anterolateralmente, anche leggermente verso l’alto.

- Ligamenti propri della Scapola


Un’importante ligamento della scapola è il ligamento coracoacromiale, che sovrasta
l’articolazione della spalla portandosi anteroposteriormente, mediolateralmente e
inferosuperiormente, dal processo coracoideo all’acromion, formando così un rinforzo e una
guida in alto per l’articolazione della spalla. Vi è anche un ligamento trasverso superiore della
scapola, posto sopra l’incisura scapolare.

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- Clavicola
La clavicola è un osso lungo, che unisce l’arto superiore al tronco. Si presenta con una forma ad
“S”, caratterizzata da due curve a concavità opposta. Nel terzo mediale o sternale della
clavicola, la concavità è rivolta posteriormente, mentre, nel terzo laterale o acromiale, la
concavità è rivolta anteriormente. Quest’ultima estremità risulta essere meno tozza e più
appiattita rispetto all’estremità sternale; inoltre, ciascuna estremità offre a considerare una faccia
articolare, rispettivamente, per la scapola quella acromiale e per lo sterno quella sternale; le
facce articolari si presentano l’una triangolare, quella per lo sterno, l’altra, quella per la scapola,
di forma più o meno ovale. Tra le due estremità è compreso un corpo della clavicola.
Osservando la clavicola dal basso si può notare, lungo la porzione mediale o clavicolare del
margine inferiore dell’osso, in prossimità della faccia articolare sternale, una tuberosità per il
ligamento costoclavicolare. In prossimità dell’estremità laterale invece si può osservare,
dapprima, il tubercolo conoide, dove si inserisce il ligamento omonimo, e, lateralmente a
quest’ultimo e medialmente alla faccia articolare acromiale, una cresta, che prende il nome di
cresta trapezoidea, dove si inserisce il ligamento trapezoide.
Osservando la superficie superiore della clavicola si può osservare anzitutto un tubercolo
deltoideo, in prossimità dell’estremità acromiale dell’osso, sede di inserzione del m. deltoide.
Mentre, lungo la faccia inferiore della diafisi o corpo dell’osso si può apprezzare un solco
succlavio, sede di inserzione del m. succlavio.
La clavicola svolge sostanzialmente la funzione di montante, attraverso cui l’estremità libera e il
cingolo scapolare dell’arto superiore vengono sospesi rispetto al tronco, scostati dal torace.
Questa caratteristica dell’arto superiore consente una maggiore motilità all’estremità libera e un
discreto grado di movimento della scapola rispetto alla gabbia toracica. Inoltre, un’altra
importante, funzione meccanica della clavicola è quella di trasmettere gli urti e le forze che
intervengono sull’arto superiore, da questo allo scheletro assiale del corpo; questa funzione di
scarico è resa ancor più evidente ed efficace grazie alla doppia curvatura dell’osso.

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- Articolazione Sternoclavicolare
L’articolazione sternoclavicolare è un’articolazione del tipo a sella, ma funziona e si comporta
come una enartrosi, quindi di forma sferica. Un disco articolare di cartilagine fibrosa divide la
cavità articolare in due compartimenti, sia diminuendone l’attrito, sia aumentandone la
resistenza alle forze di pressione lateromediali. Questo disco è saldamente ancorato ai ligamenti
sternoclavicolari e al ligamento interclavicolare che rinforzano la capsula articolare. La faccia
articolare concava dell’articolazione è costituita dal margine clavicolare del manubrio dello
sterno, lateralmente, su ambo i lati, rispetto alla fossetta sternale; la faccia articolare convessa,
invece, è rappresentata dall’estremità sternale e dalla faccetta articolare sternale della clavicola.
Fra i capi articolari, rivestiti da cartilagine ialina come di consueto, si interpone il disco
articolare. La capsula articolare sporge anteriormente e si presenta spessa e robusta, rinforzata
da importanti ligamenti. Avremo così i ligamenti sternoclavicolari, anteriore e posteriore, e il
ligamento interclavicolare, a cavallo tra i due capi clavicolari. Inoltre, tra il margine inferiore
della clavicola, nella sua porzione mediale, e il margine superiore della I costa, si tende un
ligamento esteso detto ligamento costoclavicolare, che trova inserzione sul proprio tubercolo, a
livello dell’estremità mediale della clavicola.

- Articolazione Acromioclavicolare
È un’articolazione sinoviale del tipo delle artrodie; si presenta ca. 2-3 cm medialmente all’apice
della spalla, costituito dalla porzione laterale dell’acromion, formata essenzialmente da due
facce articolari piane.
Le due facce articolari sono separate da un disco di cartilagine fibrosa, incompleto e a forma di
cuneo; le due superfici sono rappresentate dall’epifisi acromiale, con la sua faccia articolare
acromiale, della clavicola e l’acromion della scapola. La capsula articolare si presenta piuttosto
lassa, come un manicotto attorno ai capi articolari, attorniata da ligamenti di rinforzo. L’unico
ligamento intrinseco dell’articolazione è il ligamento acromioclavicolare, costituito da una
piccola banderella che si porta, superiormente alla capsula, dall’acromion alla clavicola.
Tuttavia, le principali strutture di rinforzo dell’articolazione, sono i ligamenti estrinseci della
capsula, ovvero quelli distanti dall’articolazione vera e propria, che però agiscono su questa; il
più importante tra questi ligamenti è sicuramente il ligamento coracoclavicolare, formato da due
gruppi di fasci che consentono di suddividere due ligamenti che lo costituiscono, ovvero il
ligamento conoide e il ligamento trapezoide. Il ligamento conoide, che costituisce la porzione
mediale del ligamento coracoclavicolare, ha la forma di un cono con apice rivolto inferiormente
e si porta, con andamento longitudinale, dal tubercolo conoide della clavicola, fino al suo apice
sul processo coracoideo. Il ligamento trapezoide, che costituisce la porzione laterale del
ligamento coracoclavicolare, si pone con andamento obliquo, dall’alto in basso
lateromedialmente, avente una forma più regolare e quadrangolare. Si porta dalla cresta
trapezoide della superficie inferiore della clavicola fino alla superficie superiore del processo
coracoideo della scapola.

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- Muscoli Toracoappendicolari Anteriori
Quattro muscoli toracoappendicolari anteriori muovono la cintura scapolare. Questi sono
muscoli che hanno origine a livello del tronco ma che trovano inserzione su varie strutture
dell’arto superiore. Sono i muscoli pettorali, ovvero il m. grande pettorale, il m. piccolo
pettorale, il m. succlavio e il m. dentato anteriore.

1. MUSCOLO GRANDE PETTORALE


Ampio e a forma di ventaglio copre la parte anteriore del torace. È adiacente al m. deltoide e
insieme a questo forma il solco deltopettorale, mentre, superiormente, diverge da questo per
formare il trigono deltopettorale, con la partecipazione anche del margine inferiore della
clavicola. È il più potente rotatore mediale dell’omero e adduttore del braccio.
Origine - il capo clavicolare del m. grande pettorale origina dalla superficie anteriore della
metà mediale o sternale della clavicola. Il capo sternocostale del m. grande pettorale origina
dalla faccia anteriore dello sterno, dalle sei cartilagini costali superiori e, in basso, dalla
porzione superomediale dell’aponevrosi del m. obliquo esterno dell’addome.
Inserzione - il m. grande pettorale trova inserzione con un tendine comune sul labbro
laterale, che discende dal tubercolo maggiore, dell’epifisi prossimale e della diafisi
dell’omero, lateralmente al solco intertubercolare.
Innervazione - il plesso brachiale innerva il capo clavicolare con C5 e C6 e il capo
sternocostale con C7, C8 e T1. Nn. pettorali laterale e mediale.
Azione - è il principale adduttore e rotatore interno dell’omero. Il capo clavicolare è un
flessore dell’omero, mentre il capo sternocostale estende quest’ultimo.

2. MUSCOLO PICCOLO PETTORALE


È posto nella parete anteriore dell’ascella dove viene coperto per gran parte dai due capi del
m. grande pettorale, il capo clavicolare in alto e il capo sternocostale in basso. Presenta una
tipica forma triangolare, con la base rivolta inferiormente e l’apice rivolto in alto, verso la
sua inserzione sulla scapola. Al di sotto di questo muscolo e del processo coracoideo della
scapola decorrono le più importanti strutture vasculo-nervose destinate all’arto superiore
ipsilaterale.
Origine - origina dalle cartilagini costali, dalla III alla V, presentando però alcune variazioni.
Inserzione - si inserisce sulla superficie superiore del processo coracoideo della scapola.
Innervazione - è innervato dal n. pettorale mediale, con fibre provenienti da C8 e T1.
Azione - stabilizza la scapola tirandola inferiormente contro la parete toracica posteriore e
protegge le strutture vasculo-nervose che passano inferoposteriormente al suo decorso.

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3. MUSCOLO SUCCLAVIO
In posizione anatomica giace quasi orizzontalmente, con forma rotondeggiante, posto al di
sotto della clavicola. Fornisce una sorta di fascio muscolare di protezione per l’a. succlavia
in caso di frattura della clavicola.
Origine - origina in corrispondenza della giunzione osteocartilaginea della I costa.
Inserzione - si inserisce lungo la superficie inferiore della metà laterale della clavicola.
Innervazione - è innervato dal n. per il succlavio, proveniente da C5 e C6.
Azione - fissa la clavicola all’articolazione sternoclavicolare.

4. MUSCOLO DENTATO ANTERIORE


Riveste la superficie laterale del torace e forma la parete mediale dell’ascella. I suoi ventri
carnosi e le sue digitazioni assumono l’aspetto di denti che si inseriscono nella parete
toracica laterale, continuandosi poi con interdigitazioni per i mm. obliqui esterni
dell’addome. Trovando inserzione in più punti della scapola agisce come il più forte pro
trattore di quest’osso, stabilizzando la cintura scapolare; mantiene in questo modo la scapola
ancorata alla parete posteriore della gabbia toracica.
Origine - origina dalle superfici esterne delle porzioni laterali delle prime 8 o 9 coste.
Inserzione - trova inserzione sulla superficie anteriore del margine mediale della scapola.
Innervazione - è innervato dal n. toracico lungo, proveniente da C5, C6 e C7.
Azione - protrae la scapola tenendola ancorata alla gabbia toracica.

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- Muscoli Estrinseci della Spalla - Toracoappendicolari Posteriori Superficiali
I muscoli toracoappendicolari posteriori uniscono lo scheletro dell’arto inferiore allo scheletro
assiale del tronco. Si dividono in tre gruppi, ovvero il gruppo posteriore superficiale, il gruppo
posteriore profondo e il gruppo dei mm. scapolo-omerali o intrinseci della spalla. I mm.
toracoappendicolari posteriori superficiali sono rappresentati dal m. trapezio e dal m. grande
dorsale o latissimus dorsi.

1. MUSCOLO TRAPEZIO
Il trapezio unisce direttamente la cintura scapolare al cranio e alla colonna vertebrale. Le sue
fibre vengono divise in tre porzioni in relazione all’articolazione scapolotoracica. Le fibre
superiori elevano la scapola, le fibre medie retraggono la scapola e le fibre inferiori
abbassano la scapola. Queste fibre differiscono anche per il decorso che appare
rispettivamente, discendente, trasverso o orizzontale e ascendente rispetto al decorso verso
l’inserzione sulla scapola.
Origine - la porzione superiore o discendente origina dal terzo medio della linea nucale
superiore, dal ligamento nucale e dalla protuberanza occipitale esterna; la porzione trasversa
origina dai processi spinosi e dai ligamenti sovraspinosi delle vertebre da C7 a T3; la
porzione ascendente o inferiore origina dai processi spinosi e dai ligamenti sovraspinosi
delle vertebre toraciche da T3 a T12.
Inserzione - la porzione discendente si inserisce sul terzo laterale della clavicola; la porzione
trasversa si inserisce sull’estremità acromiale della scapola e sulla porzione più laterale della
spina scapolare; la porzione ascendente o inferiore si inserisce lungo tutta la porzione
mediale della spina scapolare, fino al trigono della spina scapolare.
Innervazione - l’innervazione motoria del m. trapezio è adibita al n. accessorio, con la sua
radice spinale. Il plesso cervicale con i nn. C3 e C4 svolgono invece la funzione afferente.
Azione - eleva, retrae e ruota la scapola. È il principale muscolo del movimento delle spalle.

2. MUSCOLO GRANDE DORSALE O LATISSIMUS DORSI


Questo esteso muscolo si estende dal tronco all’omero costituendo una vasta porzione della
parete posteriore del tronco. Agisce direttamente sull’articolazione della spalla e
indirettamente sul cingolo scapolare o articolazione scapolotoracica. È il muscolo più esteso
del corpo e viene diviso, in base all’origine delle sue fibre, in quattro porzioni, ovvero una
parte vertebrale, una parte iliaca, una parte costale e una parte scapolare. Costituisce la
parte muscolare del pilastro ascellare posteriore.
Origine - la porzione vertebrale origina dai processi spinosi delle vertebre toraciche da T7 a
T12; la porzione costale origina più inferolateralmente alla precedente dalla porzione
posteriore delle coste dalla X alla XII; la porzione iliaca è la più inferiore ed origina dalla
fascia toracolombare e dalla porzione più posteriore della cresta iliaca; infine, la porzione
scapolare, è quella più superiore e vicina all’inserzione sull’omero del m. grande dorsale e
origina dall’angolo inferiore della scapola.
Inserzione - si inserisce con il m. grande rotondo sulla cresta o labbro mediale del tubercolo
minore dell’omero.
Innervazione - è innervato dal n. toracodorsale, derivato da C6, C7 e C8.
Azione - è un potente adduttore e rotatore mediale dell’omero. Inoltre partecipa
all’estensione del braccio e può sollevare il corpo quando gli arti superiori sono fissi.

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- Muscoli Estrinseci della Spalla - Toracoappendicolari Posteriori Profondi
I muscoli toracoappendicolari posteriori profondi sono il m. elevatore della scapola e i mm.
romboidi grande e piccolo. Questo muscoli ancorano direttamente la scapola allo scheletro
assiale del tronco.

1. MUSCOLO ELEVATORE DELLA SCAPOLA


Il terzo superiore di questo muscolo è posto in profondità rispetto al m.
sternocleidomastoideo, mentre, il terzo inferiore, è posto in profondità rispetto al m.
trapezio.
Origine - questo muscolo origina dai tubercoli posteriori dei processi trasversi delle vertebre
cervicali superiori, da C1 a C4.
Inserzione - il m. elevatore della scapola trova inserzione sulla porzione superiore del
margine mediale della scapola.
Innervazione - è innervato da rami muscolari del plesso cervicale e dal n. dorsale della
scapola, proveniente da C5.
Azione - è il principale muscolo elevatore della scapola.

2. MUSCOLI GRANDE E PICCOLO ROMBOIDE


I due muscoli romboidi, non sempre chiaramente separati l’uno dall’altro, sono così
chiamati per il loro aspetto; essi formano un parallelogramma equilatero e obliquo dall’alto
in basso mediolateralmente. Formano larghe strisce parallele poste in profondità rispetto al
trapezio. Il grande romboide risulta essere piatto ed esteso e si pone al di sotto del piccolo
romboide, più robusto e meno esteso.
Origine - il piccolo romboide origina dai processi spinosi di C7 e T1, mentre il grande
romboide dai processi spinosi delle vertebre da T2 a T5.
Inserzione - si inseriscono lungo il margine mediale della scapola nella porzione che va
dall’angolo inferiore dell’osso fino al trigono della spina scapolare.
Innervazione - innervati dal n. dorsale della scapola, proveniente da C5.
Azione - fissano la scapola alla parete toracica e ruotano la scapola per abbassare la cavità
glenoidea.

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- Muscoli Intrinseci della Spalla o Scapolo-Omerali
I sei muscoli scapolo-omerali sono relativamente corti e si estendono dalla scapola all’omero.
Sono tutti muscoli motori dell’articolazione della spalla e quattro di loro costituiscono la cuffia
dei rotatori, ovvero il m. sopraspinato,il m. sottospinato, il m. piccolo rotondo e il m.
sottoscapolare.
I quattro muscoli che formano il rivestimento muscolo tendineo dell’articolazione gleno-
omerale sono indicati con il nome di cuffia dei muscoli rotatori, anche se il m. sopraspinato non
è incluso tra i muscoli rotatori ma svolge l’azione di aiutare il m. deltoide e di assisterlo nei
primi 15° di abduzione. I tendini dei 4 muscoli rotatori si fondono insieme sulla capsula fibrosa
dell’articolazione, rinforzandola e fornendo un rivestimento utile che dà stabilità e protezione
alla capsula articolare, chiamato cuffia rotatoria. La cuffia rotatoria si porta dall’avanti
all’indietro prima dal basso verso l’alto e poi viceversa, con decorso semicircolare, e lasciando
libera la porzione inferiore dell’articolazione gleno-omerale. Andando in senso anteroinferiore i
tendini si dispongono con il m. sottoscapolare, anteriormente, il m. sopraspinato
anterosuperiormente, il m. sottospinato, posterosuperiormente, e il m. piccolo rotondo,
posteroinferiormente.
I muscoli più superficiali sono costituiti dal m. grande rotondo e dal m. deltoide.

1. MUSCOLO DELTOIDE
Il m. deltoide è un grosso muscolo che ricopre superficialmente la spalla, potente e
apprezzabile al tatto. Come indica il suo nome questo muscolo ha la forma di una lettera
“delta” invertita, con l’apice rivolto verso l’omero, lateroinferiormente.
Viene diviso in una parte anteriore e in una parte posteriore, entrambe unipennate, che
differiscono entrambe da una parte intermedia, più spessa, estesa e robusta, multipennata,
che svolge la principale azione del muscolo, ovvero l’abduzione del braccio. Le parti
anteriore e posteriore del deltoide sono usate durante la deambulazione per far oscillare gli
arti, per conferire più equilibrio all’atto del camminare. Inoltre il deltoide mantiene la testa
dell’omero all’interno della cavità glenoidea, stabilizzando la spalla.
Origine - il m. deltoide origina dal terzo laterale della clavicola e dalla spina della scapola.
Inserzione - il muscolo trova inserzione sulla tuberosità deltoidea dell’omero.
Innervazione - è innervato dal n. ascellare, proveniente da C5 e C6.
Azione - la parte anteriore del m. deltoide flette e ruota internamente il braccio; la parte
media abduce il braccio e la parte posteriore estende e ruota esternamente il braccio.

2. MUSCOLO GRANDE ROTONDO


Il m. grande rotondo è un robusto muscolo cilindrico che forma un rilievo arrotondato e
ovale nel terzo inferolaterale della scapola. Il margine inferiore della porzione laterale della
parete posteriore dell’ascella è formato dal m. grande rotondo. È un muscolo antagonista
del deltoide, insieme al m. piccolo rotondo, e stabilizza la testa dell’omero durante
l’abduzione del m. deltoide.
Origine - il grande rotondo origina dalla superficie dorsale della parte più inferiore della
scapola, in prossimità dell’angolo inferiore.
Inserzione - trova inserzione insieme al m. grande dorsale sulla cresta o labbro mediale del
tubercolo minore dell’omero.
Innervazione - è innervato dal n. sottoscapolare inferiore.
Azione - è un forte adduttore del braccio e contribuisce anche alla rotazione interna.

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3. MUSCOLO SOPRASPINATO
Occupa la fossa sopraspinata della scapola, lungo la parete dorsale di questa. Viene separato
dall’estremità laterale della fossa da una borsa sinoviale che diminuisce l’attrito del suo
tendine con la capsula articolare gleno-omerale.
Origine - origina dalla fossa sopraspinata della scapola.
Inserzione - si inserisce sul tubercolo maggiore dell’omero, lungo la sua faccia superiore.
Innervazione - è innervato dal n. soprascapolare.
Azione - assiste il m. deltoide nei primi 15° di abduzione. Agisce insieme ai m. della cuffia
rotatoria come rotatore del braccio.

4. MUSCOLO SOTTOSPINATO
Occupa i ¾ mediali della fossa infraspinata e risulta essere parzialmente coperto dal m.
deltoide e dal m. trapezio. È un potente rotatore laterale del braccio.
Origine - origina dalla fossa sottospinata della scapola.
Inserzione - si inserisce sul tubercolo maggiore dell’epifisi prossimale dell’omero, lungo la
faccia posterosuperiore di questo, inferiormente all’inserzione del m. sopraspinato e
superiormente all’inserzione del m. piccolo rotondo.
Innervazione - è innervato dal n. soprascapolare.
Azione - insieme al m. piccolo rotondo ruota lateralmente il braccio e mantiene nella
corretta posizione la testa dell’omero.

5. MUSCOLO PICCOLO ROTONDO


È un sottile e piccolo muscolo nastriforme talvolta nascosto tra il m. sottospinato e il m.
grande rotondo. Alle volte non è ben distinguibile da questi e risulta essere completamente
coperto dal m. deltoide. I mm. della superficie dorsale della scapola sono, andando in senso
caudocraniale, il m. grande rotondo, il m. piccolo rotondo, il m. sottospinato e il m.
sopraspinato. Il m. sottoscapolare invece appartiene alla superficie ventrale della scapola.
Origine - origina dalla porzione superiore del margine laterale della scapola.
Inserzione - si inserisce inferiormente al m. sottospinato sulla faccia posteroinferiore del
tubercolo maggiore dell’omero.
Innervazione - è innervato dal n. ascellare, come il m. deltoide.
Azione - la stessa del m. sottospinato.

6. MUSCOLO SOTTOSCAPOLARE
È un grosso muscolo triangolare posto lungo la superficie costale della scapola. Nel suo
decorso si pone anteriormente alla capsula dell’articolazione gleno-omerale, formando parte
della parete posteriore dell’ascella. È un forte adduttore nonché uno dei principali rotatori
mediali del braccio.
Origine - origina dalla fossa sottoscapolare, tra la faccia ventrale della scapola e le coste.
Inserzione - si inserisce sul tubercolo minore dell’omero, decorrendo anteriormente
all’articolazione gleno-omerale.
Innervazione - è innervato dai nn. sottoscapolari inferiore e superiore.
Azione - concorre a mantenere la testa dell’omero in situ e ruota medialmente il braccio,
contribuendo anche all’adduzione di questo.

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BRACCIO

- Omero
L’omero, il più grande osso dell’arto superiore, si articola prossimalmente con la scapola,
nell’articolazione scapolo-omerale, e distalmente con ulna e radio, nell’articolazione del
gomito. Parallelamente a quanto avviene nell’arto inferiore, per quanto riguarda il femore,
anche per l’omero possono essere descritte due epifisi, una prossimale e una distale, e una
diafisi, o corpo intermedio.
L’epifisi prossimale è formata da una testa, che presenta una faccia articolare liscia, delimitata
da un collo anatomico, ovvero una linea obliqua dall’alto in basso lateromedialmente che segna
il confine tra superficie articolare e diafisi. In realtà, tra il collo anatomico e la diafisi dell’omero
si trovano, lungo la faccia anteriore dell’omero, un tubercolo maggiore e un tubercolo minore,
l’uno laterale e l’altro mediale, separati da un solco intertubercolare.
La diafisi offre a considerare due creste che discendono longitudinalmente dai due tubercoli,
rispettivamente la cresta del tubercolo maggiore, lateralmente, e la cresta del tubercolo minore,
medialmente, e, tra queste, è compreso ancora il solco intertubercolare. Il confine tra diafisi e
epifisi prossimale dell’omero è rappresentato dal collo chirurgico. Lungo la faccia anteriore,
inoltre, lateralmente, si osserva a livello della metà della diafisi dell’omero, una tuberosità
deltoidea, dove si inserisce il m. deltoide.
Il corpo dell’omero offre a considerare, lungo la sua superficie anteriore, una faccia
anterolaterale e una faccia anteromediale, delimitate, lateralmente e medialmente, rispetto alla
superficie posteriore, da due margini, che si fanno sempre più acuti distalmente, detti margine
mediale e margine laterale. Ambedue i margini, diventando progressivamente più acuti, si
trasformano in creste sopracondiloidee mediale e laterale, a livello dell’epifisi distale
dell’omero. Posteriormente il corpo dell’omero offre a considerare un solco per il n. radiale che
decorre obliquo dall’alto in basso mediolateralmente.
L’epifisi distale offre a considerare innanzitutto due sporgenze, una più piccola e laterale, che
prende il nome di epicondilo laterale, e una più sporgente e mediale, ovvero l’epicondilo
mediale. Compresi tra queste due sporgenze, lungo la faccia anteriore, si trovano le superfici
articolari per le ossa dell’avambraccio, ovvero la troclea omerale e il condilo o capitello
omerale, l’una mediale e l’altro laterale. Medialmente all’epicondilo laterale, superiormente al
condilo omerale, si trova la fossa radiale, mentre, superiormente alla troclea e lateralmente
all’epicondilo mediale, si trova la fossa coronoidea, più estesa e profonda. Medialmente alla
troclea omerale, tra questa e l’epicondilo mediale, si trova un solco per il n. ulnare, mentre,
posteriormente, troviamo al di sopra della troclea una fossa profonda detta fossa olecranica.

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- Articolazione della Spalla
L’articolazione gleno-omerale è un’articolazione particolarmente mobile, e in quanto tale, anche
discretamente instabile, del tipo delle enartrosi.
Le superfici articolari sono rappresentate dalla grande e rotonda testa dell’omero e dalla cavità
glenoidea della scapola. Quest’ultima si presenta poco profonda e, come già visto
nell’articolazione coxofemorale tra acetabolo e testa del femore, la sua profondità viene
aumentata attraverso un labbro glenoideo che avvolge la testa dell’omero, costituito da
cartilagine fibrosa.
La cavità glenoidea è perpendicolare all’asse maggiore dell’omero; quest’articolazione non è
stabilizzata da grossi ligamenti, come nel caso dell’anca, e quindi si parla di articolazione
garantita da muscoli, proprio perché sono le strutture muscolari a doverne garantire la corretta
stabilità. La cavità glenoidea accoglie poco più di 1/3 della testa omerale, esponendo
l’articolazione ad un alto rischio di lussazione.

1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare fibrosa si presenta lassa e avvolge l’articolazione gleno-omerale
inserendosi medialmente al margine della cavità glenoidea e lateralmente in corrispondenza
del collo anatomico dell’omero. La capsula fibrosa forma un anello connettivale attorno alla
capsula sinoviale, formando in prossimità di alcune porzioni di questa dei veri e propri
canali osteofibrosi. La capsula sinoviale risulta essere fissata al labbro glenoideo e protrude,
formando una specie di rivestimento, in corrispondenza del tendine del m. bicipite, che
scorre in prossimità del solco intertubercolare, dentro la capsula, avvolto quindi da questa,
circondato da una vagina sinoviale causata dalla riflessione in corrispondenza della sua
inserzione, della membrana sinoviale. Dunque la membrana sinoviale si riflette delimitando
la cavità articolare in prossimità del labbro glenoideo, del collo dell’omero, e del tendine del
capo lungo del m. bicipite, estendendosi così, lungo questo tendine e attraverso le
invaginazioni che lo rivestono, fino al collo chirurgico dell’omero.
La parte inferiore della capsula articolare, ovvero la porzione non rinforzata dalla cuffia dei
rotatori, rappresenta l’area più debole ed esposta a lussazioni. Dunque nella sua porzione
inferiore presenta una porzione più lassa che, a braccio addotto, offre a considerare un
recesso ascellare che si porta dal labbro glenoideo, inferiormente, visibile come
rigonfiamento della capsula fibrosa. Tale recesso si tende e non è visibile a braccio abdotto.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 238


2. LIGAMENTI INTRINSECI
I ligamenti intrinseci dell’articolazione si presentano come inspessimenti della capsula
fibrosa e sono i ligamenti gleno-omerali e il ligamento coraco-omerale; inoltre, il ligamento
trasverso dell’omero, rinforza la capsula articolare, passando a ponte su di essa nella
porzione intertubercolare dell’omero.

Ligamenti Gleno-Omerali : sono tre bande fibrose evidenti solo nella superficie interna della
capsula. Rinforzano la parte anteriore di questa e si irradiano come benderelle fibrose dal
collo anatomico dell’omero fino al labbro glenoideo e al tubercolo sopraglenoideo.

Ligamento Coraco-Omerale : è il ligamento più robusto dell’articolazione gleno-omerale, e


si estende dalla base del processo coracoideo fino alla superficie anteriore del tubercolo
maggiore dell’omero, come una robusta fascia fibrosa.

Ligamento Trasverso dell’Omero : è un grosso fascio fibroso che scorre appena


obliquamente dal tubercolo maggiore al tubercolo minore dell’omero, convertendo il solco
intertubercolare in un canale osteofibroso, al cui interno alloggia la guaina sinoviale del
tendine del capo lungo del bicipite.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 239


- Muscoli Flessori del Braccio
Dei 4 muscoli del braccio, 3 si trovano nel compartimento anteriore, e sono i muscoli flessori del
braccio, mentre uno si trova nel compartimento posteriore ed è l’unico estensore del braccio. I
tre muscoli del compartimento anteriore sono innervati dal n. muscolocutaneo, principalmente
con il ramo segmentale C6 che risulta essere il principale ramo di questo nervo, e sono il m.
bicipite brachiale, il m. brachiale e il m. coracobrachiale.

1. MUSCOLO BICIPITE BRACHIALE


Il m. bicipite brachiale è un muscolo fusiforme situato nel compartimento anteriore del
braccio e, come indica il suo nome, risulta essere formato da due capi che confluiscono
distalmente in un’unica inserzione. I due ventri muscolari infatti si uniscono appena al di
sotto della metà del braccio. Il tendine cilindrico da cui origina il capo lungo del m. bicipite
incrocia la testa dell’omero all’interno della cavità dell’articolazione gleno-omerale. Il
tendine, circondato da membrana sinoviale scorre nel solco intertubercolare dell’omero.
Viene rivestito superiormente dal ligamento trasverso dell’omero che converte il solco bici
pitale in un canale osteofibroso, passando a ponte tra i tubercoli maggiore e minore
dell’omero. Distalmente il tendine comune dei due ventri del bicipite si inserisce sulla
tuberosità del radio e risulta essere separato dall’osso da una borsa bicipitoradiale che
elimina l’attrito tra tendine e osso.
Una fascia membranosa aponevrotica si stacca distalmente dal suo tendine e si porta
medialmente, ricoprendo il n. mediano e l’a. brachiale, unendosi poi alla fascia
dell’avambraccio o fascia antibrachiale e inserendosi al margine sottocutaneo dell’ulna.
Questo muscolo è un muscolo biarticolare.
Origine - il capo breve del bicipite origina dall’apice del processo coracoideo della scapola,
mentre, il capo lungo, origina dal tubercolo sopraglenoideo della scapola.
Inserzione - il m. bicipite brachiale si inserisce sulla tuberosità radiale e si irradia attraverso
l’aponevrosi bici pitale nella fascia di rivestimento dell’avambraccio.
Innervazione - è innervato dal n. muscolocutaneo, con fibre provenienti da C5 e C6.
Azione - quando il braccio è esteso in posizione anatomica svolge la funzione di semplice
flessore di questo. Se il braccio invece si trova già in posizione flessa svolge l’importante
funzione di essere il più potente supinatore dell’avambraccio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 240


2. MUSCOLO BRACHIALE
È situato profondamente al bicipite e si presenta con una forma allungata e appiattita. La sua
inserzione ricopre sul davanti l’articolazione del gomito e la capsula fibrosa di tale
articolazione. Flette l’avambraccio in tutte le sue posizioni sia nei movimenti lenti che nei
movimenti veloci.
Origine - origina dalla metà distale della superficie anteriore dell’omero.
Inserzione - si inserisce sul processo coronoideo e sulla tuberosità dell’ulna.
Innervazione - è innervato dal n. muscolocutaneo con fibre nervose provenienti da C5 e C6
Azione - è un semplice flessore dell’avambraccio.

3. MUSCOLO CORACOBRACHIALE
È un lungo ed esile muscolo che viene attraversato dal n. muscolocutaneo e la cui inserzione
indica la posizione del forame nutritizio dell’omero. Non interviene sull’articolazione del
gomito e si ritrova nella porzione superomediale del braccio. Contribuisce a stabilizzare sul
davanti l’articolazione gleno-omerale.
Origine - origina dall’apice del processo coracoideo della scapola.
Inserzione - si inserisce sulla superficie mediale della diafisi dell’omero, nel 1/3 medio di
quest’osso.
Innervazione - è innervato dal n. muscolocutaneo, con fibre provenienti da C5, C6 e C7.
Azione - contribuisce come muscolo ausiliario sia alla flessione dell’braccio che
all’adduzione del braccio. Non agisce sull’articolazione del gomito.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 241


- Muscoli Estensori del Braccio
I muscoli estensori del braccio e dell’avambraccio sono il m. tricipite e il piccolo m. anconeo,
che si ritrova nella porzione distale dell’omero, posteriormente al gomito, e può essere
considerato una diretta continuazione del m. tricipite. Questi muscoli sono innervati dal n.
radiale, principalmente con i rami segmentali C7 e C8.

1. MUSCOLO TRICIPITE BRACHIALE


Come indicato dal suo nome il m. tricipite possiede tre capi, ovvero il capo lungo, il capo
mediale e il capo laterale. Il tricipite partecipa alla stabilizzazione dell’articolazione gleno-
omerale poiché incrocia posteriormente la capsula di tale articolazione con il suo capo
lungo. Una porzione del tendine del m. tricipite si irradia nella fascia dell’avambraccio, e
può coprire il m. anconeo quasi completamente; a livello dell’inserzione di questo tendine
sull’olecrano dell’ulna si possono osservare due o tre borse sinoviali dette borsa
sottocutanea dell’olecrano, borsa subtendinea del m. tricipite e, a volte, può essere presente
una borsa intratendinea. Queste borse diminuiscono le forze di attrito contro il tendine del
m. tricipite esercitate dalle strutture circostanti.
Origine - il capo lungo origina a livello del tubercolo infraglenoideo della scapola e scende
in basso sul davanti del m. piccolo rotondo e, più in basso, posteriormente al m. grande
rotondo; il capo mediale origina dalla superficie posteriore dell’omero, al di sotto del solco
radiale; il capo laterale origina invece al di sopra del solco radiale, sempre sulla superficie
posteriore dell’omero.
Inserzione - il tendine comune dei tre capi del m. tricipite brachiale si inserisce sulla
superficie dorsale dell’estremità prossimale dell’olecrano dell’ulna. Inoltre fibre
aponevrotiche del tendine si irradiano verso la fascia dell’avambraccio.
Innervazione - il m. tricipite brachiale è innervato dal n. radiale, con fibre provenienti da
C6, da C7 e da C8.
Azione - è il principale estensore dell’avambraccio e durante i movimenti di abduzione il
capo lungo stabilizza inferiormente la testa dell’omero.

2. MUSCOLO ANCONEO
È un piccolo e breve muscolo di forma triangolare che può essere considerato una
derivazione funzionale del m. tricipite brachiale. È situato posteriormente al gomito e per
questo viene indicato anche come tensore della capsula articolare del gomito. Si presenta
talvolta parzialmente fuso con il m. tricipite brachiale.
Origine - questo muscolo origina dall’epicondilo laterale dell’omero e decorre
posteriormente all’articolazione del gomito, con decorso obliquo dall’alto in basso
lateromediale, fino alla sua inserzione.
Inserzione - si inserisce sulla superficie posteriore dell’ulna nella sua porzione più superiore
e sulla superficie posterolaterale dell’olecrano.
Innervazione - il m. anconeo è innervato dal n. radiale con fibre provenienti da C7, C8 e T1.
Azione - assiste il m. tricipite brachiale nell’estensione dell’avambraccio e stabilizza
posteriormente l’articolazione del gomito. Partecipa alla pronazione dell’avambraccio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 242


AVAMBRACCIO

- Radio
Nell’avambraccio si trovano lateralmente il radio, più corto, e medialmente l’ulna, più lunga. Il
radio viene distinto in un corpo, o diafisi, e in due estremità epifisarie, una prossimale e una
distale. In corrispondenza dell’estremità prossimale si trova la testa del radio, ovvero la
porzione di quest’osso che si articola nei movimenti di flessione ed estensione dell’avambraccio
con il capitello dell’omero. Superiormente, la sua faccia articolare, detta fossa articolare, si
continua nella circonferenza articolare, che corrisponde al bordo superiore circolare della testa
dell’omero, ricoperto da cartilagine ialina.
Al passaggio tra collo e corpo del radio si trova, medialmente, la tuberosità radiale, che separa
dunque l’epifisi prossimale dell’osso, dal suo corpo. Il collo si presenta come una porzione
ristretta mentre il corpo, in sezione trasversale, risulta essere di forma triangolare con un
margine mediale interosseo, un margine anteriore e un margine posteriore. Ovviamente tra
questi margini saranno presenti delle facce, che risulteranno essere una faccia posteriore, una
faccia laterale ed una faccia anteriore o mediale; il margine anteriore divide la faccia anteriore
dalla faccia laterale, mentre il margine posteriore divide quest’ultima dalla faccia posteriore.
Nel terzo intermedio della faccia laterale è visibile una tuberosità pronatoria.
Progressivamente il corpo del radio si ingrossa assumendo in sezione trasversale una forma
rettangolare. L’epifisi distale presenta una sporgenza laterale, detto processo stiloideo del radio
e una incisura mediale, detta incisura ulnare. Inferiormente, l’epifisi distale termina con la
faccia articolare carpale. Dorsalmente l’estremità carpale del radio offre a considerare numerosi
solchi più o meno profondi in cui scorrono i tendini, con le proprie guaine tendinee, dei muscoli
estensori lunghi.
Procedendo in senso radio-ulnare o lateromediale avremo dapprima il primo solco, dove
alloggiano i tendini del m. abduttore lungo del pollice e estensore breve del pollice, in
prossimità del processo stiloideo. In seguito nel secondo solco sono alloggiati i tendini dei mm.
estensori radiali del carpo lungo e breve. Il terzo solco ha un decorso leggermente obliquo e
contiene il tendine del m. estensore lungo del pollice, mentre, il quarto solco contiene i tendini
del m. estensore delle dita e del m. estensore dell’indice. La cresta ossea del terzo solco è quasi
sempre palpabile e si presenta come una lieve sporgenza detta tubercolo dorsale.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 243


- Ulna
Anche l’ulna offre a considerare due estremità epifisarie, una distale e una prossimale, e una
diafisi intermedia o corpo dell’ulna. L’estremità prossimale offre a considerare un processo a
superficie ruvida e curvatura irregolare, l’olecrano, che si proietta dalla parete posteriore
dell’ulna verso l’alto, con concavità anteriore. Anteriormente l’olecrano offre a considerare la
faccia articolare trocleare o incisura trocleare, che raggiunge un altro processo dell’ulna, il
processo coronoideo, che sporge anteriormente conferendo all’incisura trocleare una leggera
concavità verso l’alto, nella sua porzione inferiore, oltre che una concavità verso il davanti, nella
porzione olecranica. Lateralmente al processo coronoideo si trova l’incisura radiale, che
accoglie la testa del radio e in particolare la circonferenza articolare di questa.
La faccia anteriore dell’ulna offre a considerare, nel punto di passaggio tra epifisi prossimale e
diafisi, una tuberosità ulnare e, lateralmente a questa e al di sotto dell’incisura radiale, si
localizza una cresta del m. supinatore, che si continua in basso con il margine interosseo del
corpo dell’ulna. Questo infatti presenta una forma triangolare in sezione trasversa e questo
consente di distinguere, oltre ad un margine interosseo laterale, anche un margine anteriore ed
un margine posteriore. Il margine anteriore discende dalla tuberosità ulnare e divide la faccia
anteriore dell’ulna dalla faccia mediale, mentre, il margine posteriore, divide la faccia mediale
dalla faccia posteriore. La faccia anteriore a metà della sua estensione offre a considerare un
forame nutritizio.
L’estremità distale dell’ulna si presenta, inversamente a quanto accade nel radio, più stretta e
snella, ed offre a considerare una circonferenza articolare per il carpo e un processo stiloideo,
posteriore e di piccole dimensioni.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 244


- Articolazione del Gomito
L’articolazione del gomito è un’articolazione composta, del tipo a ginglimo angolare, posta 2-3
cm al di sotto degli epicondili omerali e formata da tre articolazioni rivestite da un’unica capsula
articolare, ovvero l’articolazione omeroradiale, l’articolazione omeroulnare e l’articolazione
radioulnare prossimale. Sostanzialmente la stabilità dell’articolazione del gomito è assicurata da
strutture ossee quali la troclea omerale che viene accolta nell’incisura trocleare dell’ulna, e da
strutture legamentose quali il ligamento anulare del radio e i ligamenti collaterali.
All’articolazione del gomito appartengono i movimenti di flessione ed estensione
dell’avambraccio e di pronazione e supinazione di questo.

1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare è sottile e lassa, e circonda i capi articolari inserendosi superiormente
sull’omero, prossimalmente sia sul davanti che sul di dietro, alle fosse olecranica e
coronoidea. Per impedire che nel corso dei movimenti la capsula venga schiacciata tra i capi
articolari, fibre muscolari del m. brachiale e del m. bicipite brachiale si irradiano al suo
interno mantenendola in tensione, e prendono il nome di mm. articolari. Gli epicondili
omerali sono extracapsulari.
Tra la membrana sinoviale e la capsula fibrosa si trovano dei cuscinetti di tessuto adiposo
che riempiono le fosse articolari, con chiara funzione di resistenza meccanica alle forze di
pressione.
Nell’ulna l’inserzione capsulare segue il margine dell’incisura trocleare, comprendendo
all’interno della capsula l’apice dell’olecrano e il processo coronoideo.
Per quanto riguarda il radio la capsula si continua fin sotto il ligamento anulare, formando
qui un recesso sacciforme superiore che facilita la rotazione del radio.

2. LIGAMENTI DELL’ARTICOLAZIONE DEL GOMITO


Nell’articolazione del gomito si possono distinguere ligamenti molto robusti chiamati
ligamenti collaterali.
Il ligamento collaterale ulnare origina dall’epicondilo mediale dell’omero ed è costituito da
due fasci fibrosi assai robusti, uno anteriore, diretto verso il processo coronoideo, e uno
posteriore, diretto verso il margine dell’olecrano. Il n. ulnare decorre al di sotto del fascio
posteriore del ligamento collaterale ulnare. Fasci trasversi di natura legamentosa decorrono
trasversalmente tra il fascio anteriore e il fascio posteriore, rinforzando la porzione più lassa,
compresa tra i due fasci principali, del ligamento collaterale ulnare.
Il ligamento collaterale radiale si porta dall’epicondilo laterale dell’omero al ligamento
anulare e, confluendo in questo, si porta irradiandosi sull’ulna.
Il ligamento anulare del radio origina e si inserisce sulla faccia mediale dell’ulna,
circondando come un robusto manicotto la testa del radio. Risulta essere ricoperto da tessuto
cartilagineo sulla sua faccia interna, per diminuire le forze di attrito con il radio durante i
movimenti di pronazione e supinazione.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 245


3. ARTICOLAZIONE OMEROULNARE
Questa articolazione possiede come capi articolari il condilo omerale e la fossa della testa
del radio. Si presenta come un’articolazione di tipo sferico in cui il capitello omerale si
articola con la superficie superiore della testa del radio.

4. ARTICOLAZIONE OMERORADIALE
Ha come capi articolari l’incisura trocleare dell’ulna e la troclea omerale. Anteriormente la
troclea omerale presenta una gola della troclea, ovvero il punto in cui la troclea si articola
con il processo coronoideo dell’epifisi prossimale dell’ulna.
L’articolazione omeroulnare e l’articolazione omeroradiale permettono i movimenti di
estensione e flessione dell’avambraccio.

5. ARTICOLAZIONE RADIOULNARE PROSSIMALE


Quest’articolazione permette i movimenti di supinazione e di pronazione del radio sull’ulna.
I capi articolari sono rappresentati dalla circonferenza articolare della testa del radio e dalla
facci articolare dell’incisura radiale dell’ulna. Inoltre partecipa a quest’articolazione anche
il ligamento anulare del radio, con la sua superficie interna.

- Articolazione Radioulnare Distale e Membrana Interossea


L’articolazione radioulnare distale è formata dall’incisura ulnare dell’epifisi distale del radio e
dalla testa dell’ulna, e risulta essere separata dall’incisura radiocarpica per mezzo di un disco
articolare fibrocartilagineo. Questo disco di natura legamentosa più che cartilaginea, anche
detto ligamento triangolare dell’ulna, si porta dal processo stiloideo dell’ulna alla faccia
articolare per il carpo del radio, isolando l’ulna dall’articolazione radiocarpica. La capsula
fibrosa e la membrana sinoviale di quest’articolazione risalgono con un recesso sacciforme per
2 cm verso il corpo dell’ulna. Le articolazioni radioulnari prossimale e distale agiscono in
contemporanea per i movimenti di pronazione e supinazione.
La membrana interossea costituisce la sindesmosi, articolazione radioulnare per continuità, tra
le ossa dell’avambraccio. La membrana interossea origina da una corda obliqua che si porta
obliquamente dall’alto in basso mediolateralmente e discende, lungo i margini interni e
affrontati dell’ulna e del radio, con fasci aventi decorso opposto alla corda obliqua, ovvero
obliqui dall’alto in basso lateromedialmente, che uniscono le diafisi dell’ulna e del radio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 246


- Muscoli Flessori e Pronatori dell’Avambraccio
I mm. flessori dell’avambraccio si trovano nella loggia anteriore dell’avambraccio e sono
separati dagli estensori per mezzo dell’ulna, del radio e della membrana interossea che unisce
queste due ossa. I tendini della maggior parte dei muscoli flessori sono posti sulla superficie
anteriore del polso e tenuti in posizione dal ligamento palmare del carpo e dal retinacolo dei
flessori, ovvero ligamenti e inspessimenti fibrosi della fascia antibrachiale.
I muscoli anteriori dell’avambraccio sono 8 e sono divisi in un gruppo superficiale e in un
gruppo profondo.
Il gruppo superficiale è costituito dal m. pronatore rotondo, dal m. flessore superficiale delle
dita, dal m. flessore radiale del carpo, dal m. flessore ulnare del carpo e dal m. palmare lungo;
questo gruppo ha un tendine di origine comune o di inserzione prossimale sull’epicondilo
mediale dell’omero.
Il gruppo profondo è costituito dal m. pronatore quadrato, dal m. flessore profondo delle dita e
dal m. flessore lungo del pollice. Questi tre muscoli profondi non attraversano la regione e
l’articolazione del gomito, cosa che invece accade per i 5 muscoli superficiali.
Tutti i muscoli della loggia anteriore dell’avambraccio sono innervati dal n. mediale, tranne due,
il m. flessore ulnare del carpo e la porzione mediale del m. flessore profondo delle dita, innervati
entrambi dal n. ulnare.

1. PRONATORE ROTONDO
Questo muscolo affusolato è un pronatore e flessore dell’avambraccio. L’inserzione
prossimale è costituita da due capi, di cui uno è l’inserzione comune ai mm. flessori
superficiali della loggia anteriore. Per avere il massimo braccio di leva durante la pronazione
questo muscolo si inserisce distalmente nel punto più laterale del radio, ovvero a livello
della metà della sua diafisi. Il suo margine laterale forma il limite mediale della fossa
cubitale.
Origine - origina, con il capo omerale, dal tendine comune dei flessori superficiali
sull’epicondilo mediale dell’omero e, con il capo ulnare, dal processo coronoideo dell’ulna.
Inserzione - trova inserzione sulla rugosità posta intorno alla metà della diafisi del radio,
lungo la faccia laterale di questa.
Innervazione - innervato dal n. mediano.
Azione - prona e contribuisce alla flessione dell’avambraccio.

2. FLESSORE RADIALE DEL CARPO


Questo lungo e sottile muscolo è posto medialmente al m. pronatore rotondo. A metà
dell’avambraccio il suo ventre carnoso viene sostituito da un lungo cordone tendineo che si
dirige verso il polso e passa attraverso la porzione laterale del retinacolo dei flessori.
Raggiunge la sua inserzione distale passando attraverso una doccia scavata nel trapezio.
Origine - origina dal tendine comune dei flessori superficiali.
Inserzione - si inserisce sulla faccia palmare della base del II metacarpale.
Innervazione - è innervato dal n. mediano
Azione - flette e contribuisce alla abduzione della mano, soprattutto quando agisce da solo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 247


3. PALMARE LUNGO
Questo muscolo possiede un breve ventre muscolare e un lungo tendine che passa come un
cordone sottile superficialmente al retinacolo del flessori, per inserirsi poi sull’aponevrosi
palmare. Il tendine del m. palmare lungo è utilizzato per individuare il n. mediano che giace
in profondità e leggermente mediale a questo muscolo, prima di entrare nel retinacolo dei
flessori.
Origine - origina dal tendine comune dei mm. flessori superficiali.
Inserzione - si inserisce irradiandosi sulla aponevrosi palmare e sulla porzione distale del
retinacolo dei flessori.
Innervazione - è innervato dal n. mediano.
Azione - svolge l’azione, oltre che di flessione, di rinforzo dell’aponevrosi palmare.

4. FLESSORE ULNARE DEL CARPO


Esso è il più mediale dei muscoli flessori superficiali e costituisce il muscolo principale
dell’atto flessorio e adduttorio del polso. Possiede due capi di inserzione prossimale, ovvero
il tendine comune dei flessori sull’epicondilo mediale dell’omero, e un capo ulnare, più
inferiore e mediale del precedente. Tra i due capi decorre il n. ulnare, che lo innerva
completamente, costituendo così l’unica eccezione completa tra le innervazioni dei mm.
flessori della loggia anteriore dell’avambraccio, innervati per quasi la loro totalità dal n.
mediano. Il tendine del flessore ulnare del carpo è usato per individuare il decorso in
prossimità dell’estremità distale dell’avambraccio, del n. e dell’a. ulnari, che decorrono
lateralmente ad esso. Decorre all’esterno del canale carpale.
Origine - origina con il capo omerale dal tendine comune dei mm. flessori e con il capo
ulnare dall’olecrano e dai 2/3 superiori del margine posteriore dell’ulna.
Inserzione - trova inserzione sul pisiforme e si continua, attraverso il ligamento pisouncinato
sull’uncinato e, attraverso il ligamento pisometacarpeo, sul V metacarpale.
Innervazione - è innervato dal n. ulnare.
Azione - contribuisce all’adduzione della mano e, più efficacemente rispetto al flessore
radiale del carpo, alla flessione del polso.

5. FLESSORE SUPERFICIALE DELLE DITA


Il flessore superficiale delle dita è il più grande muscolo superficiale dell’avambraccio. È
posto in profondità rispetto ai muscoli della loggia anteriore precedentemente descritti,
formando così uno strato intermedio tra i mm. superficiali e mm. profondi della loggia
anteriore. Questo muscolo possiede due capi d’inserzione prossimale, di cui uno corrisponde
al capo d’inserzione comune sull’epicondilo mediale dell’omero. I due capi prendono il
nome di omeroulnare e radiale e tra di essi decorrono l’a. ulnare e il n. mediano.
Distalmente da origine a 4 tendini per le 4 dita mediali della mano, che, portandosi
all’interno del retinacolo dei flessori, attraversano il canale carpale avvolti da una guaina
sinoviale tendinea, insieme ai tendini del m. flessore profondo delle dita. Questa vagina di
rivestimento è detta guaina sinoviale comune per i flessori delle dita.
Origine - con il capo omeroulnare, dal tendine comune dei mm. flessori superficiali, e con il
capo radiale, dalla metà superiore del margine anteriore del radio.
Inserzione - corpi delle falangi medie delle 4 dita mediali.
Innervazione - è innervato dal n. mediano.
Azione - flette la mano, le falangi medie e le falangi prossimali; non quelle distali.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 248


6. FLESSORE LUNGO DEL POLLICE
Questo muscolo giace lateralmente e distalmente rispetto al m. flessore profondo delle dita,
e va a rivestire la superficie anteriore del radio, nella sua metà distale, dove non vi è
l’inserzione del m. supinatore. Il suo tendine piatto passa in profondità al retinacolo dei
flessori con una guaina sinoviale propria e indipendente rispetto a quella del m. flessore
profondo delle dita.
Origine - origina come muscolo uni pennato dalla superficie anteriore del radio e della
membrana interossea adiacente, nel loro terzo distale.
Inserzione - si inserisce alla base della falange distale del pollice.
Innervazione - è innervato dal n. interosseo anteriore, ramo del n. mediano.
Azione - flette le falangi del I dito o pollice. Può determinare anche una lieve abduzione
radiale del pollice.

7. FLESSORE PROFONDO DELLE DITA


Questo grosso muscolo flessore è l’unico che agisce sull’articolazione interfalangea distale
delle 4 dita mediali della mano. Riveste la superficie anteriore dell’ulna e della membrana
interossea con una estesa inserzione. I suoi 4 tendini passano posteriormente ai 4 tendini del
m. flessore superficiale delle dita e decorrono all’interno del retinacolo dei flessori e del
canale carpale. È costituito da una porzione mediale destinata al dito anulare e mignolo,
innervata dal n. ulnare, e da una porzione laterale, innervata come gli altri mm. flessori
della loggia anteriore, dal n. mediano, e destinata alle dita medio e indice. La porzione
muscolare laterale si fa sottile e tendinea a livello della porzione distale dell’avambraccio,
prima rispetto alla porzione mediale.
Origine - origina dai ¾ prossimali delle superfici anteriori e mediali dell’ulna e della
membrana interossea.
Inserzione - si inserisce sulla base della 4 falangi distali delle 4 dita mediali.
Innervazione - la porzione mediale dal n. ulnare, la porzione laterale dal n. mediano.
Azione - è l’unico flessore delle falangi distali. Partecipa alla flessione della mano.

8. PRONATORE QUADRATO
Come indica il suo nome questo piccolo muscolo distale dell’avambraccio è di forma
quadrangolare e contribuisce alla pronazione dell’avambraccio. È in assoluto il muscolo più
profondo della loggia anteriore e non si può ne palpare ne osservare, proprio per questo
motivo. Riveste anteriormente il ¼ distale del radio e dell’ulna, e della membrana interossea
posta tra questi. È l’unico muscolo che si inserisce esclusivamente con un’estremità all’ulna
e con l’altra estremità al radio. È il muscolo pronatore più potente dell’avambraccio,
sebbene abbia un’azione più lenta rispetto al m. pronatore rotondo. Contribuisce anche a
rinforzare le articolazioni radioulnari intermedia e distale, tenendo insieme l’ulna e il radio.
Origine - origina dal ¼ distale della superficie anteriore dell’ulna.
Inserzione - decorre obliquo, o quasi orizzontale, mediolateralmente dall’alto in basso, per
inserirsi sul ¼ distale della superficie anteriore del radio.
Innervazione - è innervato dal n. interosseo anteriore, ramo del n. mediano.
Azione - tiene insieme radio e ulna ed è il più potente pronatore dell’avambraccio.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 249


- Muscoli Laterali dell’Avambraccio
Questi tre muscoli vengono denominati in base ad una loro posizione topografica e non
funzionale, come mm. laterali dell’avambraccio. Sono innervati direttamente o indirettamente,
attraverso rami secondari, dal n. radiale e sono il m. brachioradiale, flessore dell’avambraccio,
e i mm. estensori radiali lungo e breve del carpo, estensori dell’avambraccio e del polso.

1. MUSCOLO BRACHIORADIALE
Questo sottile muscolo si trova superficialmente sulla parete anterolaterale dell’avambraccio
e forma il margine laterale della fossa cubitale. Risulta essere un’eccezione tra i muscoli
della loggia posteriore, essendo l’unico flessore tra questi. Mentre si porta verso il basso il
m. brachioradiale decorre superficialmente al m. pronatore rotondo, al m. flessore
superficiale delle dita e al m. flessore lungo del pollice, ricoprendo l’a. e il n. radiali che
decorrono sui muscoli elencati.
Origine - origina sulla cresta sopracondiloidea prossimalmente al m. estensore radiale lungo.
Inserzione - si inserisce sul processo stiloideo del radio, in corrispondenza della faccia
laterale di questo.
Innervazione - è innervato dal n. radiale.
Azione - portando il braccio in posizione intermedia o di taglio rispetto alla pronazione e
alla supinazione, agisce come rapido flessore dell’avambraccio.

2. MUSCOLO ESTENSORE RADIALE LUNGO DEL CARPO


Questo muscolo affusolato si presenta parzialmente ricoperto dal m. brachioradiale e nel suo
decorso viene incrociato dal m. abduttore lungo del pollice e dal m. flessore breve del
pollice, a livello della sua porzione tendinea.
Origine - origina sulla cresta sopracondiloidea dell’omero, superiormente al condilo omerale
e quindi all’inserzione prossimale del m. estensore radiale breve del carpo, e inferiormente
all’inserzione prossimale del m. brachioradiale.
Inserzione - si inserisce dopo aver attraversato il retinacolo degli estensori insieme al m.
estensore radiale breve del carpo, sulla base del II metacarpale.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - contribuisce alla flessione dorsale della mano e all’abduzione radiale del polso.
Risulta essere un debole flessore dell’articolazione del gomito.

3. MUSCOLO ESTENSORE RADIALE BREVE DEL CARPO


Come indica il suo nome questo muscolo risulta essere più breve rispetto al m. estensore
radiale lungo del carpo, il quale lo ricopre durante il loro decorso. Entrambi gli estensori
radiali del carpo, lungo e breve, contribuiscono durante la flessione delle dita, a rinforzare il
polso e a irrigidirlo.
Origine - ha origine con un esteso capo comune dall’epicondilo laterale dell’omero, dal
ligamento collaterale radiale e dal ligamento anulare del radio.
Inserzione - si inserisce decorrendo come il più mediale tra i mm. laterali della loggia
posteriore sulla base del III metacarpale.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - agisce come adduttore della mano, contribuendo all’abduzione ulnare del polso, e
debole flessore dorsale del polso. È un debole flessore del gomito, qualora l’avambraccio si
trovi in posizione intermedia tra pronazione e supinazione.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 250


- Muscoli Estensori e Supinatori dell’Avambraccio
I muscoli estensori e supinatori dell’avambraccio giacciono tutti nella loggia posteriore di questo
e sono innervati tutti o direttamente o indirettamente dal n. radiale. Una importante struttura,
costituita da un inspessimento della fascia dell’avambraccio, denominata retinacolo degli
estensori, raccoglie in sei compartimenti distinti da appositi setti fibrosi, le 6 guaine tendinee dei
mm. estensori situati nella porzione volare o dorsale del polso e della mano.
I mm. estensori sono divisi in un gruppo superficiale, formato da 3 muscoli, ovvero il m.
estensore delle dita, il m. estensore del mignolo e il m. estensore ulnare del carpo, e da un
gruppo profondo, che offre a considerare procedendo in senso lateromediale, il m. supinatore, il
m. abduttore lungo del pollice, il m. estensore breve del pollice, il m. estensore lungo del pollice
e il m. estensore dell’indice.
Le guaine tendinee carpali dorsali sono contenute in 6 compartimenti tendinei costituiti dal
retinacolo degli estensori e dai suoi setti, che originano dalla faccia profonda del retinacolo
stesso e si vanno a fissare ai margini ossei del radio e dell’ulna. I sei compartimenti vengono
numerati in senso radioulnare e sono rispettivamente il I, che include i tendini del m. abduttore
lungo del pollice e del m. estensore breve del pollice; il II, che include la guina tendinea per il
m. estensore radiale lungo del carpo e per il m. estensore radiale breve del carpo; il III, che
include la guaina tendinea per il solo m. estensore lungo del pollice, che si porta obliquamente in
superficie rispetto alla guaina II; il compartimento IV, che rappresenta l’ultimo e più esteso
compartimento in rapporto con il radio, decorrono i numerosi tendini del m. estensore delle dita
e del m. estensore dell’indice; la guaina V include il solo tendine del m. estensore del mignolo e
la guaina VI il solo tendine del m. estensore ulnare del carpo.
È utile ricordare che quasi tutti i mm. estensori della loggia posteriore dell’avambraccio
originano se non totalmente almeno in parte, da un tendine comune di inserzione prossimale
localizzato sull’epicondilo laterale dell’omero.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 251


1. MUSCOLO ESTENSORE DELLE DITA
Questo muscolo è il principale estensore delle 4 dita mediali e occupa una buona parte della
superficie posteriore dell’avambraccio. I suoi tendini attraversano il retinacolo degli
estensori avvolti da una guaina sinoviale comune, assieme al m. estensore dell’indice. I
tendini divergono nel portarsi verso le loro inserzioni distali, sulle dita. Tra i singoli tendini
sono regolarmente presenti giunzioni membranose intertendinee, che partono dal IV tendine
e si portano verso il mignolo e verso il medio. È il m. estensore della mano più potente nel
determinare la flessione dorsale del polso. Con avambraccio in posizione prona risulta essere
il più mediale tra i mm. estensori superficiali.
Origine - origina con un tendine comune al m. estensore del mignolo dal tendine comune dei
mm. estensori sull’epicondilo laterale dell’omero, dal ligamento anulare del radio e dal
ligamento collaterale radiale.
Inserzione - si inserisce con i suoi tendini con delle aponevrosi dorsali delle dita dalla II alla
V, trovando inserzione distale alla base delle falangi distali di queste.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - determina efficacemente la flessione dorsale delle dita e può contribuire ad una
abduzione ulnare di queste, ovvero delle 4 dita mediali della mano.

2. MUSCOLO ESTENSORE DEL MIGNOLO


Questo sottile e snello muscolo può essere considerato una porzione indipendente del m.
estensore delle dita. Il suo tendine scorre indipendente all’interno del retinacolo degli
estensori, avvolto da una propria guaina sinoviale, e si divide in prossimità del V dito in due
strisce, di cui quella laterale si unisce al tendine del m. estensore delle dita.
Origine - origine comune al m. estensore delle dita.
Inserzione - attraversa la guaina tendinea V e si inserisce alla base della falange prossimale
del V dito o mignolo, dando origine alla sua aponevrosi dorsale.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - l’azione è parallela a quella del m. estensore delle dita.

3. MUSCOLO ESTENSORE ULNARE DEL CARPO


Questo lungo e affusolato muscolo decorre parallelo all’ulna, lungo il margine mediale
dell’avambraccio, ed è provvisto di due capi. Distalmente il suo tendine decorre compreso in
un solco tra la testa dell’ulna e il processo stiloideo di questa e, attraversata l’articolazione
radiocarpica dorsalmente, si porta con decorso palmare anteriormente all’articolazione
mediocarpica, raggiungendo la sua inserzione. Decorre in un compartimento separato del
retinacolo degli estensori.
Origine - ha un capo che origina insieme al m. estensore delle dita e un capo che origina da
una porzione diafisaria della faccia posteriore dell’ulna.
Inserzione - si inserisce con il suo tendine sulla base del V metacarpale, dopo aver
attraversato la guaina tendinea VI.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - è un efficiente adduttore e, contrariamente al suo nome, un debole estensore,
poiché interviene prima come flessore dorsale e poi come flessore palmare a livello delle
articolazioni radiocarpica e mediocarpica, annullando così la sua azione.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 252


4. MUSCOLO SUPINATORE
Questo breve ma esteso muscolo forma, insieme al brachiale, il pavimento della fossa
cubitale, trovandosi in profondità rispetto ai muscoli estensori superficiali. I capi omerale e
ulnare del muscolo avvolgono la porzione prossimale del corpo e il collo del radio,
accogliendo tra loro il ramo profondo del n. radiale, quando questo abbandona la fossa
cubitale per portarsi nella loggia posteriore dell’avambraccio. Il ramo posteriore del n.
radiale si unisce all’a. interossea posteriore per decorrere in profondità e posteriormente
nell’avambraccio, prendendo così il nome di n. interosseo posteriore. il supinatore è il più
potente muscolo supinatore dell’avambraccio, determinando la rotazione laterale del radio.
Origine - origina a livello dell’ulna dalla cresta del m. supinatore, nonché anche
dall’epicondilo laterale dell’omero, dal ligamento anulare del radio e dal ligamento
collaterale radiale, con una inserzione prossimale che decorre obliquamente dall’alto in
basso lateromedialmente.
Inserzione - trova una inserzione radiale sulla faccia laterale del radio, compreso tra la
tuberosità radiale e l’inserzione del m. pronatore rotondo.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - circonda il radio e ne determina la rotazione laterale o supinazione.

5. MUSCOLO ESTENSORE DELL’INDICE


Nel gruppo dei m. estensori profondi risulta essere il più laterale. tutti i mm. estensori
profondi risultano essere compresi in uno spazio che si porta dall’alto in basso
lateromedialmente, tra il m. supinatore e il m. estensore dell’indice. Il suo ventre sottile e
allungato si porta medialmente al tendine del m. estensore lungo del pollice e, raggiunta la
sua inserzione, conferisce particolare indipendenza nei movimenti di estensione all’indice o
II dito della mano.
Origine - origina dal terzo distale dell’ulna e della membrana interossea.
Inserzione - decorre insieme al m. estensore delle dita nella guaina tendinea IV e si irradia
formando l’aponevrosi dorsale dell’indice.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale
Azione - collabora alla flessione dorsale della mano ed estende l’indice.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 253


6. MUSCOLO ABDUTTORE LUNGO DEL POLLICE
Il lungo e affusolato ventre del m. abduttore lungo del pollice giace appena distalmente al
supinatore e, ad avambraccio in posizione supina, medialmente a questo. Il suo tendine
decorre in profondità rispetto al tendine del m. estensore breve del pollice e strettamente
connesso con questo. Può presentarsi diviso in due porzioni, una che si inserisce
sull’inserzione distale del muscolo ed una che trova inserzione più prossimalmente sul
trapezio. Il suo tendine attraversa il retinacolo degli estensori in una guaina comune insieme
al m. estensore breve del pollice.
Origine - ha origine a livello del terzo intermedio della faccia posteriore dell’ulna e della
membrana interossea, superiormente all’origine del m. estensore breve del pollice e
distalmente rispetto alla cresta del m. supinatore.
Inserzione - si inserisce alla base del I metacarpale.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - è un abduttore radiale della mano e del pollice.

7. MUSCOLO ESTENSORE BREVE DEL POLLICE


Il ventre di questo muscolo giace inferiormente e distalmente rispetto al m. abduttore lungo
del pollice e risulta essere parzialmente coperto da questo. Il suo tendine decorre parallelo e
mediale rispetto al tendine ad esso strettamente associato, ovvero quello del m. abduttore
lungo del pollice, sebbene si estenda più in avanti rispetto a questo, fino a raggiungere la sua
inserzione distale sulla falange prossimale del pollice. La guaina tendinea comune di questi
due muscoli e visibile con il pollice abdotto sul margine laterale di questo, come tendine
anteriore della “tabacchiera anatomica”, ovvero quel solco superficiale scavato tra i due
tendini che raggiungono il pollice, ovvero quello del m. estensore breve del pollice,
associato al m. abduttore lungo del pollice, e quello del m. estensore lungo del pollice.
Origine - origina lateralmente al m. estensore lungo del pollice e distalmente al m. abduttore
lungo del pollice, a livello della faccia posteriore dell’ulna e della membrana interossea.
Inserzione - raggiunge la base della falange prossimale del pollice.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - è in stretta relazione con il m. abduttore del pollice e perciò ne segue l’azione.

8. MUSCOLO ESTENSORE LUNGO DEL POLLICE


Questo muscolo risulta essere più grande e più lungo rispetto al m. estensore breve del
pollice. Il suo tendine decorre medialmente rispetto al tubercolo dorsale del radio e
medialmente rispetto ai tendini del m. estensore breve del pollice e del m. abduttore lungo
del pollice. Insieme a questi forma la tabacchiera anatomica, delimitandola posteriormente.
Origine - origina medialmente al m. estensore breve del pollice, dalla faccia posteriore
dell’ulna e dalla membrana interossea.
Inserzione - si inserisce alla base della falange distale del pollice.
Innervazione - è innervato dal ramo profondo del n. radiale.
Azione - è un abduttore radiale della mano, nonché anche flessore dorsale di questa. Inoltre
estende il pollice.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 254


MANO

- Carpo
Il carpo corrisponde allo scheletro del polso, costituito da 8 ossa carpali disposte su due file da 4
ossa ciascuna, che conferiscono mobilità al polso, risultando distintamente convesso
dorsalmente e concavo ventralmente.
Procedendo lateromedialmente le 4 ossa della fila prossimale sono lo scafoide, il semilunare, il
piramidale e il pisiforme. Per quanto riguarda la fila distale invece, avremo il trapezio, il
trapezoide, il capitato o grande osso e l’uncinato.
Sul lato palmare il carpo si presenta concavo e, tra questa concavità è teso il retinacolo dei
flessori, che forma così un tunnel osteofibroso detto canale del carpo. Il retinacolo dei flessori si
estende dallo scafoide e dal trapezio fino al piramidale, al pisiforme e al all’uncinato.

1. SCAFOIDE
È l’osso più grande della fila prossimale; presenta un tubercolo dello scafoide che è
palpabile sulla faccia palmare della mano. Lo scafoide si articola con il radio
prossimalmente e con il trapezio e il trapezoide distalmente, nell’articolazione intercarpale.
Medialmente, inoltre, si articola con il semilunare e con il capitato.

2. SEMILUNARE
Possiede un’articolazione prossimale con il radio e con il disco articolare o ligamento
triangolare radioulnare. Inoltre si articola lateralmente con lo scafoide, medialmente con il
piramidale e distalmente con il capitato.

3. PIRAMIDALE
Ha la forma di una piramide con l’apice orientato medialmente. La base della piramide è
rivolta lateralmente e si articola con il semilunare. Prossimalmente si ritrova
un’articolazione tra il piramidale e il disco articolare radioulnare. Distalmente invece, l’osso
si articola con l’uncinato. Il piramidale presenta sulla sua faccia palmare una piccola
superficie per l’articolazione con il pisiforme.

4. PISIFORME
È l’osso più piccolo del carpo. Ha una forma grossolanamente sferoidale e presenta
dorsalmente una superficie articolare per il piramidale. È ben palpabile sotto la cute ed è
considerato a tutti gli effetti un osso sesamoide del tendine del m. flessore ulnare del carpo.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 255


5. TRAPEZIO
Presenta un tubercolo del trapezio, palpabile nella flessione dorsale della mano.
Medialmente è situato un solco dove è accolto il decorso del m. flessore radiale del carpo.
Distalmente e lateralmente si osserva una faccia articolare concava per l’articolazione con la
base del I metacarpale mentre, medialmente, si osserva una faccia articolare per il
trapezoide, e, tra queste due, un’altra faccia articolare destinata a parte della base del II
metacarpale. Prossimalmente si articola con lo scafoide.

6. TRAPEZOIDE
È più largo sul lato dorsale che su quello palmare, presentandosi così a forma di cuneo. Si
articola lateralmente con il trapezio e medialmente con il capitato. Distalmente possiede una
faccia articolare per il II osso metacarpale e prossimalmente una per lo scafoide.

7. CAPITATO
È il più grande osso del carpo e presenta facce articolari prossimalmente per il semilunare e
per lo scafoide, lateralmente per il trapezoide e medialmente per l’uncinato. Distalmente si
articola con il III metacarpale e, in parte, sia con il IV che con il II metatarsale.

8. UNCINATO
È ben palpabile sul lato palmare e offre a considerare un processo, detto uncino, incurvato in
direzione anterolaterale. l’uncinato si articola distalmente con il V e il IV metacarpale e con
il capitato lateralmente. Prossimalmente e medialmente si articola con il piramidale, mentre,
prossimalmente e lateralmente si articola con il semilunare.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 256


- Articolazione del Polso
L’articolazione del polso o articolazione radiocarpica è un’articolazione sinoviale il cui asse è
orientativamente rappresentato da una linea che unisce i due processi stiloidei del radio e
dell’ulna.
I capi articolari di questa articolazione sono rappresentati dall’epifisi distale del radio, dal disco
articolare o ligamento triangolare dell’articolazione radioulnare distale, e dalle facce articolari
prossimali delle ossa carpali della fila prossimale. Non tutte le ossa della fila prossimale però
sono articolate nell’articolazione radiocarpica; infatti solo lo scafoide e il semilunare sono in
permanete contatto articolare con il radio e il disco articolare mentre, per quanto riguarda il
piramidale, questo si affronta con il disco articolare solo durante l’abduzione ulnare, perdendo,
invece, questo contatto durante l’abduzione radiale. Il pisiforme invece non rientra tra le facce
articolari dell’articolazione radiocarpica.
La capsula articolare di questa articolazione si presenta lassa e sottile, soprattutto sul lato
dorsale. Per questo motivo risulta essere rinforzata da numerosi e robusti ligamenti del polso.
Inoltre la cavità sinoviale può presentare delle pliche sinoviali e spesso può entrare in
comunicazione con la cavità articolare dell’articolazione intercarpica. La cavità articolare viene
divisa dal disco articolare in un compartimento prossimale, che si estende dall’epifisi dell’ulna
fino ad un recesso compreso tra epifisi distale dell’ulna e epifisi distale del radio, e in un
compartimento distale, più ampio, in cui si affrontano, mediamente, il disco articolare e le facce
articolari delle ossa del carpo e lateralmente, le facce articolari delle ossa del carpo e la faccia
articolare carpale del radio.
I ligamenti che rinforzano la capsula articolare del polso si dividono in ligamenti radiocarpici
palmari e in ligamenti radiocarpici dorsali. Si estendono dal radio alle ossa delle due fila del
carpo con decorso obliquo e differiscono per la funzione motoria dell’avambraccio in cui
intervengono; i ligamenti radiocarpici palmari intervengono nella supinazione, i ligamenti
radiocarpici dorsali nella pronazione.
Inoltre sono presenti anche dei ligamenti collaterali del carpo. Il ligamento collaterale ulnare del
carpo unisce il processo stiloideo dell’ulna all’osso piramidale e pisiforme. Il ligamento
collaterale radiale del carpo unisce il processo stiloideo del radio allo scafoide. Sulla faccia
palmare del carpo si può notare anche un ligamento ulnocarpico palmare.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 257


- Articolazione Intercarpica
Le articolazioni sinoviali tra le ossa del carpo possono essere riassunte in una divisione che
distingue le articolazioni tra le ossa della fila prossimale, le articolazioni tra le ossa della fila
distale, le articolazioni tra le due file o articolazione mediocarpica e l’articolazione
pisopiramidale, ovvero una piccola articolazione indipendente tra superficie palmare del
piramidale e superficie dorsale del pisiforme.
Una cavità a forma di S si articola tra le ossa del carpo, ovvero tra la fila prossimale e la fila
distale, come articolazione mediocarpica. Questa cavità sinoviale fornisce dei recessi cavitari
che si portano tra le file delle ossa del carpo, soprattutto per quanto riguarda le ossa della fila
prossimale, scafoide, semilunare e piramidale.
Le ossa della fila distale godono di un assai minore grado di motilità rispetto a quelle della fila
prossimale, essendo legate tra loro da corti e robusti ligamenti.
Le articolazioni intercarpiche prossimali e distali, mediocarpica e carpometacarpica
possiedono dunque cavità sinoviali comuni, ad eccezione dell’articolazione carpometacarpica
del pollice, che è indipendente.
Avremo ligamenti intercarpici interossei che uniscono strettamente tra loro le ossa del carpo,
ligamenti intercarpici palmari e dorsali, il ligamento pisouncinato, proprio dell’articolazione tra
pisiforme e uncinato, e il ligamento radiato del carpo, che si porta “a ponte” tra le ossa del
carpo lungo il palmo della mano.

- Metacarpo e Dita
Le 5 ossa metacarpali sono costituite ciascuna da una testa, da un corpo e da una base. Alle due
estremità si trovano le facce articolari per il carpo e per la falange prossimale del corrispondente
dito. Le ossa metacarpali si presentano leggermente concave sul lato palmare e leggermente
convesse su quello dorsale.
La faccia dorsale del corpo presenta una superficie caratteristica di forma triangolare, con la
base rivolta verso la testa dell’osso metacarpale. Il I metacarpale ha una faccia articolare
prossimale a sella, per l’articolazione con il trapezio. Il II metacarpale presenta oltre ad
un’articolazione prossimale per il carpo anche una mediale, per il III metacarpale. Quest’ultimo
possiede sul lato radiale e dorsalmente, in posizione prossimale, un processo stiloideo e una
piccola superficie articolare per il II metacarpale. Sulla base inoltre presenta una faccia
articolare per il carpo e, sulla superficie prossimale mediale, presenta due faccette articolari per
il IV metacarpale, che a sua volta possiede una faccia articolare per il V metacarpale.
Ogni dito risulta essere costituito da una falange prossimale, una falange intermedia ed una
falange distale. Il pollice possiede solo due falangi, distale e prossimale.
La falange prossimale si presenta piatta sul lato palmare e convessa su quello dorsale. Ha
margini ruvidi per l’inserzione di alcun tendini flessori e offre a considerare una base, un corpo
e una testa o troclea, situata all’estremità distale.
La falange media possiede anch’essa una faccia articolare prossimale più larga per
l’articolazione con la falange prossimale.
La falange distale presenta una tuberosità della falange distale che costituisce l’apice della
testa, dove si inserisce il tendine del m. flessore profondo delle dita.
Infine, due piccole ossa sesamoidi sono regolarmente presenti a livello dell’articolazione
dell’osso metacarpale con la falange prossimale del pollice. Altre ossa sesamoidi possono essere
presenti a livello di altre articolazioni metacarpofalangee.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 258


- Articolazioni Carpometacarpiche e Intermetacarpiche
Queste articolazioni sono tutte artrodie, a superfici articolari piane; fa eccezione l’articolazione
tra trapezio e I metacarpale che costituiscono l’articolazione a sella del pollice. Le superfici
articolari sono rappresentate dalla base e dall’epifisi prossimale delle ossa metacarpali e dalle
rispettive ossa del carpo. L’articolazione del pollice possiede una cavità articolare indipendente.
Le articolazioni sono rivestite da una capsula fibrosa continua e, al loro interno, da membrana
sinoviale. Le quattro articolazioni carpometacarpiche e le tre articolazioni intermetacarpiche
vengono tutte racchiuse in un'unica capsula fibrosa che si inserisce in prossimità del palmo e del
dorso della mano. La particolare lassità della capsula aumenta il grado di motilità di queste
articolazioni.

- Articolazioni Metacarpofalangee e Interfalangee


Queste articolazioni sono del tipo a condilo e permettono i movimenti di abduzione-adduzione e
flessione-estensione. Per quanto riguarda le articolazioni interfalangee queste sono articolazioni
a troclea e permettono solo i movimenti di flessione-estensione.
Le capsule articolari sono indipendenti e singole per ciascuna articolazione. Queste si
inseriscono lungo i margini dei capi articolari.
Le teste delle ossa metacarpali, dalla II alla V sono tenute insieme da ligamenti trasversi
profondi che uniscono tra loro trasversalmente le articolazioni metacarpofalangee delle dita
laterali. Inoltre, una lamina fibrosa detta ligamento palmare riveste la parte anteriore di ciascuna
capsula.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 259


- Fascia Palmare e Logge della Mano
La fascia palmare si continua con la fascia antibrachiale e con la fascia del dorso della mano. La
fascia palmare è sottile sopra le eminenze tenar e ipotenar, ma si inspessisce centralmente in
corrispondenza dello spazio palmare medio, dove forma l’aponevrosi palmare, insieme con il
tendine aponevrotico del m. palmare lungo, e sulle dita, dove costituisce le guaine fibrose
digitali della mano.
L’aponevrosi palmare corrisponde ad una robusta e ben delimitata porzione della fascia
profonda del palmo della mano, che ricopre le parti molli e i tendini dei mm. flessori lunghi
delle dita. L’estremità prossimale o apice dell’aponevrosi palmare, che si presenta di forma
triangolare con un apice e due lati corrispondenti ai confini con le legge tenar e ipotenar, si
continua con il retinacolo dei flessori e con il tendine del m. palmare lungo. Distalmente
l’aponevrosi forma 4 protrusioni fibrose che andranno a formare le guaine fibrose digitali delle 4
dita mediali della mano. L’aponevrosi palmare si continua a rivestire i mm. interossei palmari
della mano attraverso la fascia palmare profonda, che fornisce anche un setto laterale che va a
rivestire il m. adduttore del pollice, prendendo il nome di fascia adduttoria.
Nel punto in cui il ligamento metacarpico trasversale incrocia le radici fibrose delle guaine
digitali della mano, si possono notare le diramazioni dell’aponevrosi palmare verso le dita.
Anteriormente alla fascia adduttoria e lateralmente allo spazio palmare medio si trova la loggia
tenar. Questa è delimitata medialmente da un setto fibroso laterale che si porta a delimitare
lateralmente lo spazio palmare andando dalla superficie alla profondità, dall’aponevrosi palmare
alla superficie palmare del III metacarpale. Un altro setto che si porta anteroposteriormente
dall’aponevrosi palmare fino al V metacarpale è costituito dal setto fibroso mediale del margine
mediale dell’aponevrosi palmare, che delimita lateralmente la loggia ipotenar.
Dunque, l’aponevrosi palmare, con i suoi setti, ricopre anteriormente 4 logge della mano che,
andando mediolateralmente, risultano essere la loggia ipotenar, la loggia centrale o palmare
media, la loggia tenar e, posteriormente a questa, la loggia adduttoria.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 260


- Muscoli della Loggia Tenar
I muscoli della loggia tenar sono posti sulla superficie laterale del palmo della mano dove
formano l’eminenza tenar; essi sono principalmente muscoli che permettono l’opposizione del
pollice. Il movimento di opposizione è un complesso movimento che coinvolge tutti i muscoli
dell’eminenza tenar; questo movimento inizia con una intrarotazione del pollice, a livello
dell’articolazione carpometacarpica, prodotta dal m. opponente del pollice. Poi segue una
flessione e una adduzione del pollice. Poiché il I metacarpale risulta essere più mobile rispetto
alle altre ossa metacarpali e poiché la capsula dell’articolazione carpometacarpica del pollice
risulta essere più lassa, è necessario che i muscoli che controllano quest’articolazione siano più
precisi e robusti, per la funzione di rinforzo e motilità precisa.

1. MUSCOLO ABDUTTORE BREVE DEL POLLICE


Costituisce la porzione anterolaterale dell’eminenza tenar. Insieme all’abduttore lungo del
pollice provvede alla sua abduzione. Nei primi movimenti di opposizione assiste il m.
opponente del pollice.

2. MUSCOLO FLESSORE BREVE DEL POLLICE


Questo muscolo è posto medialmente rispetto al m. abduttore breve del pollice. Insieme al
m. flessore breve del pollice permette la flessione del pollice.

3. MUSCOLO OPPONENTE DEL POLLICE


Questo spesso muscolo quadrangolare giace in profondità rispetto al m. abduttore breve del
pollice e lateralmente rispetto al m. flessore breve del pollice. È il principale flessore e
intrarotatore del pollice, e guida con precisione i movimenti di opposizione del pollice.

- Muscoli della Loggia Adduttoria


La fascia adduttoria derivata da un setto profondo e laterale del setto laterale dell’aponevrosi
palmare delimita anteroposteriormente il m. adduttore del pollice, che si pone posteriormente ai
mm. lombricali e anteriormente ai mm. interossei.

1. MUSCOLO ADDUTTORE DEL POLLICE


È contenuto nella loggia adduttoria, localizzata in profondità rispetto alla loggia tenar, e si
presenta a forma di ventaglio con un capo trasverso e un capo obliquo. La sua inserzione è
principalmente sul III metacarpale e sul sesamoide posto in corrispondenza della I
articolazione metacarpofalangea. I due capi, obliquo e trasverso, risultano essere separati
dal decorso dell’a. radiale. Muove il pollice verso il palmo, adducendolo, e costituisce il
pavimento del palmo della mano.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 261


- Muscoli della Loggia Ipotenar
I muscoli ipotenar, ovvero il m. abduttore del mignolo, il m. flessore del mignolo e il m.
opponente del mignolo, costituiscono l’eminenza ipotenar sul lato mediale del palmo della
mano. Si trovano insieme al V metacarpale nella loggia ipotenar.

1. MUSCOLO ABDUTTORE DEL MIGNOLO


Abduce il mignolo e costituisce lo strato più superficiale o anteriore dell’eminenza ipotenar.

2. MUSCOLO FLESSORE DEL MIGNOLO


Si trova lateroposteriormente all’abduttore del mignolo e origina dall’uncino dell’uncinato
insieme al m. opponente del mignolo. Contribuisce a flettere la falange prossimale del
mignolo.

3. MUSCOLO OPPONENTE DEL MIGNOLO


È il più profondo della loggia ipotenar e si presenta di forma quadrangolare. Svolge l’azione
di opporre il mignolo contro il pollice attraverso i movimenti di flessione, abduzione e
rotazione laterale.

- Muscoli Brevi della Mano


Sono costituiti dai mm. interossei palmari e dorsali, a cui compete l’abduzione e l’adduzione
delle dita, e dai mm. lombricali, flessori delle dita ed estensori delle singole falangi.

1. MUSCOLI LOMBRICALI
Sono così chiamati per la loro forma e risultano essere i più superficiali tra i muscoli
intrinseci della mano. Originano da ogni lato radiale dei 4 tendini del m. flessore profondo
delle dita e si inseriscono, coperti dall’aponevrosi palmare e dal ligamento intermetacarpale
trasverso, sull’aponevrosi degli estensori, sul lato dorsale delle dita.
I due laterali sono innervati dal n. mediano, i due mediali dal ramo profondo del n. ulnare.

2. MUSCOLI INTEROSSEI PALMARI


I 3 mm. interossei palmari giacciono sulla superficie palmare delle ossa metacarpali. Questi
partecipano all’adduzione delle dita (PAD).

3. MUSCOLI INTEROSSEI DORSALI


I 4 mm. interossei dorsali sono posti tra le ossa metacarpali e sono i principali abduttori delle
dita mediali della mano (DAB).

- Guaine Tendinee della Dita


Le 5 guaine sinoviali digitali della mano sono singolarmente circondate da una guaina fibrosa
digitale della mano, derivata dall’aponevrosi palmare al di sopra del ligamento metacarpale
trasverso, la quale guaina fibrosa presenta una porzione anulare, che riveste le capsule articolari
delle singole articolazioni interfalangee, e da una porzione crociata, dove i fasci della guaina
fibrosa si incrociano, in corrispondenza dei corpi delle falangi prossimale e intermedia. Tra la
guaina sinoviale e il tendine si trova un mesotendine che si porta, come riflessione dei foglietti
viscerale e parietale della guaina sinoviale, dall’osso falangeo al tendine, accogliendo il decorso
delle arterie palmari digitali.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 262


Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 263
Parte II - Sistema Vascolare dell’Arto Superiore
CIRCOLAZIONE ARTERIOSA

- Arteria Ascellare
Col nome di a. ascellare s’intende quel tratto arterioso compreso tra l’a. succlavia,
prossimalmente, e l’a. brachiale, distalmente. L’a. ascellare si estende dal punto di mezzo del
margine inferiore della clavicola fino al margine inferiore del tendine del m. grande pettorale.
Decorre all’interno della cavità ascellare seguendo la parete anteriore di questa e si accosta nel
discendere verso il braccio, diventando assai superficiale, a livello della base dell’ascella. La
posizione dell’a. ascellare varia a seconda della posizione del braccio.
Considerando il braccio in posizione anatomica si nota come l’a. ascellare si avvicini molto
all’asse verticale, con lieve obliquità anterolateroinferiore, descrivendo una leggera curva a
concavità posteromediale.
L’a. ascellare viene divisa in tre porzioni in base ai suoi rapporti con il m. piccolo pettorale, che
incrocia decorrendo posteriormente a questo, ovvero una prima porzione sovrapettorale, lunga
ca. 2,5 cm, una seconda porzione retropettorale, lunga ca. 4 cm, e una terza porzione
sottopettorale, lunga ca. 7,5 cm. Il decorso completo dell’a. ascellare è di ca. 13-14 cm.

1. RAPPORTI
L’a. ascellare penetra nella cavità ascellare a livello dell’apice mediale di questa,
decorrendo inferiormente alla clavicola e al m. succlavio ad essa strettamente connesso,
anterolateralmente alla I costa e alla più alta digitazione, eventualmente presente, del m.
dentato anteriore, e anterosuperiormente rispetto alla faccia ventrale della scapola, ricoperta
dal m. sottoscapolare.
Anteriormente all’a. ascellare decorrono il m. grande pettorale e il m. piccolo pettorale,
lateralmente costeggia il processo coracoideo e le inserzioni prossimali del m. bicipite
brachiale e del m. coracobrachiale; medialmente entra in contatto con il m. dentato anteriore,
discostandosi da questo nel proseguire la sua discesa; posteriormente, infine, entra in
contatto dapprima con il m. sottoscapolare, poi con i tendini del m. grande rotondo e infine,
grande dorsale, discendendo compresa nel solco scavato tra il tendine di quest’ultimo e il
tendine del m. coracobrachiale.
Importanti sono i rapporti che l’a. ascellare contrae con le altre strutture del fascio vasculo-
nervoso, del quale l’arteria fa parte. La v. ascellare, più voluminosa dell’arteria omonima,
decorre anteromedialmente all’a. ascellare, ricoprendola soprattutto nel primo tratto del suo
decorso. I nervi del plesso brachiale sono, nella prima porzione dell’a. ascellare ancora poco
distinti l’uno dall’altro e ancora raccolti in un fascio comune, che si pone
lateroposteriormente all’a. ascellare. Tuttavia, quando il plesso brachiale comincia a
dividersi nei suoi rami principali, si può osservare il rapporto che l’a. ascellare contrae con il
n. ulnare, che decorre medialmente all’arteria, tra questa e la v. ascellare, con il n. radiale,
che si pone posteriormente all’a. ascellare, e con il n. mediano, che decorre lateralmente
all’a. ascellare e riceve la sua radice mediale, che decorre anteriormente all’a. ascellare,
formando una biforcazione con le sue due radici, all’interno del quale compare l’a. ascellare.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 264


2. RAMI COLLATERALI
In senso craniocaudale l’a. ascellare fornisce normalmente 9 rami collaterali quali l’a.
toracica suprema, l’a. toraco-acromiale, l’a. toracica laterale, l’a. per il m. sottoscapolare,
l’a. sottoscapolare, l’a. circonflessa posteriore dell’omero, l’a. circonflessa anteriore
dell’omero, le aa. coracoidee e l’a. cutanea ascellare.
L’a. toracica suprema è un sottile ramo che origina dalla faccia inferiore dell’a. ascellare, in
corrispondenza del margine inferiore del m. succlavio. Si dirige in basso e medialmente e
raggiunge la cute della regione mammaria oltre che fornire rami per i muscoli pettorali.
L’a. toraco-acromiale è un grosso e costante tronco arterioso collaterale dell’a. ascellare che
nasce dalla faccia anteriore dell’a. ascellare in corrispondenza del margine superiore del m.
piccolo pettorale, e, perforata la fascia clavipettorale, si porta posteriormente al m. grande
pettorale per dividersi in un ramo toracico e in un ramo acromiale.
L’a. toracica laterale nasce come un’arteria lunga e di cospicue dimensioni dalla faccia
interna dell’a. ascellare, poco sopra il margine lateroinferiore del m. piccolo pettorale. Si
dirige inferomedialmente fino al VII spazio intercostale, seguendo il margine anteriore del
m. dentato anteriore. si fa via via più superficiale decorrendo prima tra il m. dentato
anteriore e il m. grande pettorale, poi tra questo e la cute. Invia rami mammari esterni.
L’a. per il m. sottoscapolare è un piccolo ramo che si dirige dorsalmente verso il m.
omonimo, per distribuirsi alla sua porzione superiore.
L’a. sottoscapolare è il ramo più voluminoso dell’a. ascellare e nasce da questa
medialmente, in corrispondenza del margine inferiore del m. sottoscapolare. A questo livello
prosegue posteromedialmente fornendo rami per la porzione inferiore del m. sottoscapolare
e i suoi rami terminali, ovvero l’a. circonflessa della scapola e l’a. toraco-dorsale.
L’a. circonflessa posteriore dell’omero si stacca come voluminoso ramo arterioso dalla
faccia dorsale dell’a. ascellare, a livello del margine superiore del m. grande rotondo. Si
anastomizza attorno all’omero e al suo collo chirurgico con l’a. circonflessa anteriore.
L’a. circonflessa anteriore dell’omero è più sottile e si dirama dall’a. ascellare allo stesso
livello dell’a. omonima posteriore, tuttavia sulla faccia anterolaterale di questa.
Le aa. coracoidee sono generalmente tre piccole arterie dirette lateralmente verso il m.
coracobrachiale.
L’a. cutanea ascellare è una piccola arteria che nasce verso l’estremità distale dell’a.
ascellare e si dirige, a livello del cavo ascellare, medialmente nel sottocutaneo, fino a
raggiungere la mammella.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 265


- Arteria Brachiale
L’a. brachiale, anche detta a. omerale, è la continuazione dell’ascellare a livello del braccio,
ovvero dal margine inferiore del tendine del m. grande pettorale, alla fossa cubitale, ove si
divide, a livello del processo coronoideo dell’ulna, in a. radiale e a. ulnare, suoi rami terminali.
Offre a considerare un decorso quasi rettilineo, portandosi gradualmente al lato mediale della
faccia anteriore dell’arto, seguendo il solco posto tra il m. bicipite brachiale e il m.
coracobrachiale. A livello della fossa cubitale si approfondì compresa tra il tendine e
l’aponevrosi bicipitale, anteriormente, e il m. pronatore rotondo, posteriormente.
È coperta dalla fascia brachiale e, a livello della fossa cubitale dal lacertus fibrosus, ovvero
l’aponevrosi tendinea proveniente dal tendine del m. bicipite brachiale. I margini mediali dei
mm. coracobrachiale e bicipite brachiale entrano in contatto con la superficie anterolaterale
dell’a. brachiale. Posteriormente questa risulta entrare in contatto con il setto intermuscolare
mediano, che la separa dalla loggia posteriore del braccio e dal m. tricipite brachiale.
È accompagnata dalle vv. brachiali che si pongono lateralmente e medialmente a questa e
inviano rami anastomotici tra di loro, circondando completamente il decorso dell’a. brachiale.
Inoltre, nel terzo superiore del braccio, ovvero fino allo iato basilico, anteriormente all’a.
brachiale si ritrova la v. basilica, poi separata dalla fascia brachiale. Il n. mediano si pone prima
lateralmente, poi anteriormente e infine medialmente, a livello della fossa cubitale, rispetto all’a.
brachiale. Anche il n. cutaneo mediale si pone anteromedialmente all’a. brachiale, fino al punto
in cui perfora la fascia antibrachiale e si porta in superficie.
Fornisce numerosi rami collaterali di piccolo calibro per la cute e per i muscoli del braccio, e
inoltre fornisce 4 rami collaterali quali l’a. deltoidea, l’a. profonda del braccio, l’a. collaterale
ulnare superiore e l’a. collaterale ulnare inferiore.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 266


CIRCOLAZIONE VENOSA

- Vena Ascellare
La v. ascellare rappresenta insieme alla v. succlavia, con la quale sta in diretta continuazione, il
principale tronco venoso dell’arto superiore. Si costituisce a livello del margine inferiore del
tendine del m. grande pettorale, per la confluenza delle due vv. brachiali e, attraversato
trasversalmente dal basso in alto leggermente obliqua lateromedialmente, raggiunge il margine
superiore della prima costa, dove cambia nome e diventa v. succlavia, portandosi anteriormente
al m. scaleno anteriore.
È un ramo satellite dell’a. ascellare e risulta essere posta decisamente mediale rispetto a questa,
nel suo primo tratto per poi diventare sempre più anteroinferiore. Tra la v. e l’a. ascellare si
interpongono il n. ulnare e la radice mediale del n. mediano, almeno fino a quando questa non si
porta anteriormente all’a. ascellare per unirsi alla radice laterale come unico n. mediano.
Il suo calibro è di ca. 1 cm e contrae rapporti uguali all’a. omonima.

- Vena Brachiale
Le vv. brachiali, in numero di due, sono entrambe satelliti dell’a. brachiale, e si portano dalla
fossa cubitale fino al margine inferiore del tendine del m. grande pettorale, ove si uniscono per
formare la v. ascellare. Sono poste l’una medialmente e l’altra lateralmente rispetto all’a.
brachiale, e stabiliscono numerosi rami anastomotici trasversi tra loro, che si portano
anteriormente all’arteria, e stabiliscono così una rete che attornia l’a. brachiale nel suo decorso.
I rami collaterali sono gli stessi dell’a. brachiale e, inoltre, la v. brachiale mediale riceve, a
livello dello iato basilico, tra terzo medio e terzo superiore della fascia brachiale, la v. basilica.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 267


CIRCOLAZIONE VENOSA SUPERFICIALE

- Vena Basilica
Viene definita v. basilica la vena epifasciale che origina sopra la porzione distale dell’ulna e sale
in corrispondenza del lato ulnare dell’avambraccio. A metà del braccio la v. basilica si porta
posterosuperiormente al di sotto della fascia brachiale, attraversando lo iato basilico, per
sboccare nella v. brachiale mediana. Risulta essere la più grossa tra le vv. superficiali e origina a
livello del dorso della mano dalla confluenza di numerose vv. dorsali superficiali della mano;
portandosi obliquamente verso il margine ulnare dell’avambraccio, lo raggiunge a livello del suo
terzo inferiore, facendosi da mediale ad anteriore, a livello della fossa cubitale. Dopo aver
ricevuto la v. mediana del gomito si porta nel braccio alloggiata nel solco bicipitale mediale,
percorrendolo fino al terzo medio. A questo livello perfora in profondità la fascia e si porta
attraverso lo iato basilico prossimalmente, ancora per un breve tratto, per poi drenare all’interno
della v. brachiale mediale. A livello del polso una importante arcata anastomotica unisce le vv.
ulnari all’arcata venosa palmare. Molti rami venosi anastomotici collegano trasversalmente la v.
basilica alla v. cefalica, soprattutto a livello del polso e dell’avambraccio.

- Vena Cefalica
È un vaso cospicuo, che si forma sempre a livello del dorso della mano, specialmente per il
contributo della I v. metacarpale dorsale, della v. cefalica del pollice e dei rami che salgono
dall’eminenza tenar. Si può considerare essere la prima e principale via emissaria della rete
venosa dorsale della mano.
Il tronco della v. cefalica percorre per un breve tratto la faccia posteriore dell’avambraccio e, a
livello del terzo inferiore di questo, si porta anteriormente contornando il margine radiale
dell’avambraccio, dirigendosi superolateralmente verso la fossa cubitale. A livello del gomito
emette una v. mediale del gomito che si porta superomedialmente verso la v. basilica. A livello
del braccio si colloca nel solco bicipitale laterale e successivamente nel solco compreso tra il m.
grande pettorale e il m. deltoideo. Perforando la fascia clavipettorale al di sotto della clavicola
approfonda per sboccare nella v. ascellare.

- Vena Cefalica Accessoria


È una vena che si costituisce sempre dalle vv. dorsali superficiali della mano ma che si porta
lungo la faccia posteriore del braccio. È molto frequente e offre a considerare un decorso simile
alla v. cefalica. Si porta dal terzo inferiore fino al terzo superiore dell’avambraccio lungo la
parete posteriore per poi a questo livello scavalcare il margine radiale dell’avambraccio e
portarsi parallela alla v. cefalica. È tributaria di questa vena e si apre in essa alcuni cm
prossimalmente alla biforcazione tra v. cefalica e v. mediale del gomito.

- Vene Mediane dell’Avambraccio


Si indicano con questo nome vv. longitudinali della parete anteriore dell’avambraccio e dei
margini di questo, che risalgono fino a livello della fossa cubitale per sboccare o nella v. mediale
del gomito o nella v. basilica. Sono longitudinali e comprese nello spazio anteriore delimitato
medialmente dalla v. basilica e lateralmente dalla v. cefalica.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 268


DRENAGGIO LINFATICO

- Linfonodi Ascellari
I linfonodi dell’estremità superiore sono divisi in un gruppo ascellare, più numeroso, e in singoli
gruppi sparsi lungo l’arto superiore meno frequenti e più variabili sia in posizione che in
numero. I linfonodi non ascellari vengono divisi in un gruppo superficiale, molto presente a
livello della fossa cubitale, e in un gruppo profondo di linfonodi, che seguono il decorso dell’aa.
interossee, radiale, ulnare e brachiale.
I linfonodi ascellari sono contenuti nella cavità dell’ascella accolti nel tessuto lasso e adiposo
che la riempie. Formano delle catene comunicanti lungo le pareti della cavità ascellare che
confluiscono tutte verso l’apice del cavo ascellare. Possono essere divisi in un gruppo brachiale,
associato alla faccia mediale del fascio vasculo-nervoso, soprattutto in rapporto con v. ascellare;
in un gruppo di linfonodi toracici o pettorali, applicati sul m. dentato anteriore, ovvero sulla
parete mediale dell’ascella, e che seguono il decorso dell’a. toracica laterale, ramo dell’a.
ascellare; poi troviamo un gruppo di linfonodi scapolari, che seguono il decorso dei vasi
sottoscapolari e risultano contrarre intimi rapporti con la parete posteriore della loggia ascellare;
vi sono i linfonodi centrali, che comunicano ampiamente con i linfonodi scapolari, e si trovano a
livello della base della loggia ascellare; infine, troviamo a livello del margine superiore del m.
piccolo pettorale, un gruppo di linfonodi sottoclavicolari, compresi tra la faccia posteroinferiore
della v. ascellare e il ventre più craniale del m. dentato anteriore. I linfonodi sottoclavicolari
costituiscono l’ultima stazione della linfa prima che questa venga drenata a livello del tronco
succlavio, costituito dalla confluenza di numerosi vasi efferenti dei linfonodi ascellari.

- Vasi Linfatici Superficiali


Nascono dalle reti linfatiche dei tegumenti e decorrono nel connettivo sottocutaneo,
analogamente a quanto avviene nel piede, presentandosi numerosi soprattutto a livello del palmo
della mano e della superficie palmare delle dita. A livello della mano costituiscono una fitta rete
linfatica attraverso numerosissimi rami anastomotici, continuandosi poi a livello
dell’avambraccio. I vasi collettori che sono originati dalle porzioni superiori e inferiori, e
mediali e laterali, della mano diminuiscono di numero e aumentano leggermente il loro calibro,
facendosi via via sempre più prossimali.
A livello dell’avambraccio si costituiscono 3 vasi collettori linfatici principali, uno mediale, uno
laterale e uno intermedio anteriore. alcuni vasi del gruppo mediale confluiscono come vasi
afferenti ai linfonodi cubitali per poi risalire a livello della faccia mediale del braccio. Il gruppo
laterale e anteriore dei collettori linfatici dell’avambraccio si uniscono a livello del braccio e,
divenuti profondi nel terzo superiore del braccio, si uniscono, sulla faccia mediale di questo, per
confluire nel gruppo mediale. Il gruppo mediale drena a livello dei linfonodi brachiali.

- Vasi Linfatici Profondi


Seguono le arterie dell’arto superiore, generalmente in numero di due, portandosi su ambo i lati
delle arterie, come le vv. omonime di queste. Spesso presentano dei linfonodi profondi come
stazioni intermedie. A livello del braccio costituiscono i vasi linfatici brachiali, che si portano
insieme alle strutture vascolari brachiali, verso l’ascella, dove confluiscono nei linfonodi
brachiali.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 269


Parte III - Sistema Nervoso dell’Arto Superiore
PLESSO BRACHIALE E SUOI RAMI COLLATERALI

La maggior parte dei nervi dell’arto superiore originano dal plesso brachiale, ovvero il principale plesso
nervoso destinato all’arto superiore, che inizia a livello della regione laterale del collo, inferiormente al
plesso cervicale e decorre posteriormente alla clavicola, dividendosi in una porzione sopraclavicolare e
in una sottoclavicolare.
Il plesso brachiale risulta essere formato dai rami ventrali dei nn. spinali C5-T1 e gran parte dei suoi
rami si formano a livello della prima porzione della regione ascellare, ovvero ancor prima che esso
abbia superato il margine inferiore della I costa. Le radici del plesso brachiale passano attraverso il
trigono degli scaleni, superoposteriormente rispetto all’a. succlavia, e qui ricevono rami comunicanti
grigi per la componente di innervazione simpatica. Nella parte inferiore del collo le radici del plesso
brachiale si uniscono a formare tre tronchi primari, ovvero il tronco superiore, formato da C5 e C6, il
tronco medio, formato da C7, e il tronco inferiore, formato da C8 e T1. Attraversando il canale
cervicoascellare, posteriormente alla clavicola, i tronchi primari si dividono ciascuno in un ramo
anteriore e in un ramo posteriore, che saranno destinati rispettivamente alle logge anteriore e
posteriore dell’arto superiore, ovvero muscoli flessori e muscoli estensori, come divisione anteriore e
divisione posteriore dei tronchi del plesso brachiale.

Le divisioni anteriori dei tronchi superiore e medio vanno a costituire il fascicolo laterale mentre la
divisione anteriore del tronco inferiore decorre da sola come fascicolo mediale. La divisione posteriore,
ovvero i tre rami posteriori dei tronchi del plesso brachiale, va a formare il fascicolo posteriore. I
fascicoli laterale e mediale decorrono, come dicono i loro nomi, lateralmente e medialmente rispetto alla
terza porzione dell’a. ascellare. Subito dopo essersi formato il fascicolo laterale si divide in un n.
muscolocutaneo, superoposteriore, e in una radice laterale del n. mediano, che si porta obliqua
lateroinferiormente. Il fascicolo posteriore dopo aver fornito un ramo detto n. ascellare incrocia sul di
dietro la radice laterale del n. mediano, e portatosi posteriormente all’a. ascellare, verso la loggia
posteriore del braccio, prende il nome di n. radiale. Il fascicolo mediale, si divide anch’esso in un ramo
inferomediale, il n. ulnare, e in un ramo superolaterale, ovvero la radice mediale del n. mediano, che si
unirà alla radice laterale formando il n. mediano, anteriormente all’a. ascellare, formando una
caratteristica biforcazione di unione, in cui decorre prima compresa e poi posteriore, l’a. ascellare.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 270


- Rami Collaterali Sovrascapolari del Plesso Brachiale
I rami motori della porzione sovra clavicolare del plesso brachiale sono destinati
prevalentemente a mm. del cingolo scapolare. Il primo ramo che origina dalla radice C5, con un
piccolo contributo anche da C4, del plesso brachiale è il n. dorsale della scapola, che si porta
dalla superficie posteriore della radice del plesso brachiale, in profondità al m. elevatore della
scapola, che innerva, fino ai mm. romboidi grande e piccolo.
Dalla superficie posteriore delle radici C5, C6 e C7 origina il n. toracico lungo che incrocia
posteriormente il plesso brachiale e discende longitudinalmente verso il basso, attraverso il
canale cervicoascellare e l’apice dell’ascella, raggiungendo il m. dentato anteriore.
Dal tronco superiore del plesso brachiale nasce, dalla superficie anteriore, un esile ramo per il
m. succlavio, che discende sul davanti del plesso e posteriormente alla clavicola.
Infine, il n. soprascapolare origina dalla superficie posteriore del tronco superiore del plesso
brachiale portandosi verso i mm. sopraspinato e sottospinato. Questo nervo, insieme all’a.
omonima, attraversa l’incisura della scapola, al di sotto del ligamento trasverso superiore della
scapola, e si porta sulla superficie dorsale di questa.

- Rami Collaterali Infraclavicolari


Il fascicolo laterale del plesso brachiale, prima di dividersi nei suoi due rami terminali, ovvero il
n. muscolocutaneo e la radice laterale del n. mediano, fornisce un ramo detto n. pettorale
laterale. Questo perfora la fascia clavipettorale e si porta al m. grande pettorale, fornendo un
ramo pettorale mediale per il m. piccolo pettorale.
Il fascicolo mediale del plesso brachiale, oltre ai suoi rami terminali, ovvero la radice mediale
del n. mediano e il n. ulnare, fornisce come rami collaterali un n. pettorale mediale, un n.
cutaneo mediale del braccio e un n. cutaneo mediale dell’avambraccio. Il n. pettorale mediale,
contrariamente a quanto dice il suo nome, decorre lateralmente al n. pettorale laterale,
portandosi all’interno del m. piccolo pettorale e tra l’a. e la v. pettorale, come esile ramo motore
per i mm. pettorali. Il n. cutaneo mediale del braccio si distribuisce, decorrendo medialmente
alla v. ascellare, alla superficie mediale del braccio e superomediale dell’avambraccio. Il n.
cutaneo mediale dell’avambraccio si distribuisce, decorrendo tra l’a. e la v. ascellare, fino alla
cute della porzione mediale dell’avambraccio.
Il fascicolo posteriore, oltre ai suoi due rami terminali, ovvero il n. ascellare e il n. radiale,
fornisce anche tre rami collaterali, ovvero il n. sottoscapolare superiore, il n. sottoscapolare
inferiore e il n. toracodorsale. Il primo e il secondo innervano, rispettivamente, la porzione
superiore e inferiore del m. sottoscapolare e il m. grande rotondo. Il n. toracodorsale si
distribuisce al m. grande dorsale, originando compreso tra i nn. sottoscapolari.

Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 271


RAMI TERMINALI DEL PLESSO BRACHIALE

I rami terminali del plesso brachiale sono 6 e originano tutti dalle diramazioni terminali dei fascicoli
laterale, posteriore e mediale del plesso brachiale. Il fascicolo laterale fornisce il n. muscolocutaneo e la
radice laterale del n. mediano, il fascicolo posteriore si porterà posteriormente fornendo il n. ascellare e
il n. radiale, e, il fascicolo mediale, darà origine alla radice mediale del n. mediano e al n. ulnare.

- Nervo Muscolocutaneo
Questo nervo lascia la cavità ascellare perforando la porzione superiore del m. coracobrachiale
e, portatosi anteriormente a questo a livello del collo dell’omero, discende compreso tra il m.
coracobrachiale e il m. bicipite brachiale. Il n. muscolocutaneo fornisce l’innervazione motoria,
a questo livello, per i mm. della loggia anteriore del braccio, ovvero il m. bicipite brachiale, sia
il capo lungo che il capo breve, il m. coracobrachiale e il m. brachiale.
A livello della piega del gomito o fossa cubitale si porta lateralmente al tendine d’inserzione
distale del m. coracobrachiale e, perforata la fascia antibrachiale, si porta in superficie come n.
cutaneo laterale dell’avambraccio, che decorre parallelo alla v. cefalica dell’avambraccio.

- Nervo Mediano
Anteriormente all’a. ascellare la radice laterale e la radice mediale del n. mediano, provenienti
dai fascicoli mediale e laterale del plesso brachiale, si uniscono a V per formare il n. mediano. Il
nervo decorre nel solco bicipitale mediale, procedendo dall’alto in basso obliquamente
lateromedialmente nei confronti dell’a. brachiale, con cui contrae stretti rapporti, incrociandola
sul davanti e sempre in contatto anche con le vv. brachiali.
A livello della fossa cubitale decorre compreso tra i due capi del m. pronatore rotondo, il capo
omerale e il capo ulnare, e si porta nello spazio tra il m. flessore superficiale delle dita e il m.
flessore profondo delle dita, fornendo a questo livello rami motori per i mm. flessori
dell’avambraccio, tutti di sua competenza, meno il m. flessore ulnare del carpo, di competenza
del n. ulnare. A livello della fossa cubitale fornisce anche l’importante ramo interosseo
anteriore dell’avambraccio, che va ad innervare i muscoli flessori laterali dell’avambraccio,
quale il m. pronatore quadrato, il m. flessore lungo del pollice e il m. flessore profondo delle
dita, nella sua porzione radiale.
Giunto nella porzione distale dell’avambraccio si porta superficialmente tra il tendine del m.
flessore radiale del carpo e il tendine del m. palmare lungo, per attraversare il canale del carpo e
fornire i suoi rami terminali, tra cui quelli sensitivi, destinati alla cute palmare della porzione
laterale della mano.
All’altezza del polso presenta costantemente un’anastomosi con il n. ulnare. Esso fornisce rami
per le articolazioni del gomito, per l’articolazione radioulnare distale, per articolazione
radiocarpica e per quella intercarpica.

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- Nervo Ascellare
Il n. ascellare decorre nella profondità della cavità ascellare, lungo la sua parete posteriore e,
attraversato il forame ascellare laterale, fornisce a questo livello un ramo per il m. deltoide e un
ramo per il m. piccolo rotondo. Raggiunta la superficie dorsale si porta, in profondità al m.
deltoide, con decorso circolare posteroanteriore e mediolaterale, sfiorando l’articolazione gleno-
omerale, in corrispondenza del collo chirurgico dell’omero.
A livello del forame ascellare laterale dell’ascella dà origine ad un ramo cutaneo laterale
superiore del braccio, che innerva la cute, portandosi in superficie, della porzione superolaterale
del braccio. Il n. ascellare è accompagnato dall’a. e dalle vv. circonflesse posteriori dell’omero.

- Nervo Radiale
Il n. radiale è il principale nervo del fascicolo posteriore del plesso brachiale, derivato
direttamente dalla divisione posteriore di questo, che provvede all’innervazione motoria dei mm.
estensori del braccio e dell’avambraccio, ovvero i mm. della loggia posteriore dell’arto
superiore. Il n. radiale decorre nella regione ascellare, anteriormente al tendine del m. grande
dorsale, a differenza del n. ascellare. Superato il tendine di questo muscolo inizia il suo decorso
a spirale dall’alto in basso sia anteroposteriore che mediolaterale, decorrendo lungo la faccia
posteriore dell’omero e discostandosi dal solco bicipitale mediale, in cui era compreso nel suo
tratto iniziale. Portatosi sulla faccia posterolaterale dell’omero decorre all’interno del solco
scavato nell’osso per accogliere il suo decorso e, nel terzo distale dell’omero, si riporta lungo la
faccia anterolaterale dell’osso, compreso tra il m. brachiale e il m. brachioradiale. Si porta
anteriormente all’articolazione del gomito, sorpassandola lungo la sua superficie flessoria e,
all’altezza dell’epifisi prossimale del radio si biforca in due rami terminali, ovvero un ramo
profondo e un ramo superficiale. Il ramo profondo si continua nel n. interosseo posteriore
dell’avambraccio, posteriormente alla membrana interossea, e raggiunge l’articolazione del
polso; questo fornisce prevalentemente rami muscolari per i mm. estensori dell’avambraccio. Il
ramo superficiale emette rami digitali dorsali per la mano, che forniscono l’innervazione
sensitiva di gran parte del dorso della mano, soprattutto la porzione radiale di questa.
Il n. radiale emette nel braccio il n. cutaneo posteriore del braccio e il n. cutaneo laterale
inferiore del braccio, oltre che, a livello del terzo medio, rami muscolari per il m. tricipite e per
il m. anconeo. Nell’avambraccio il n. radiale emette il n. cutaneo posteriore dell’avambraccio e
rami collaterali per i mm. estensori dell’avambraccio. Dopo, si divide nei suoi due rami
terminali, uno prevalentemente sensitivo e uno prevalentemente motore muscolare.

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- Nervo Ulnare
Decorre nel braccio, all’interno del solco bicipitale mediale, senza dare diramazioni. Discende
lungo la superficie mediale del braccio, attraversando l’articolazione del gomito lungo la sua
superficie estensoria, accolto nel solco del n. ulnare, ovvero una doccia scavata nell’epicondilo
mediale dell’omero, dove può essere palpato e dove una forte pressione provoca un dolore
elettrizzante e acuto lungo la superficie mediale dell’avambraccio e della mano.
Il n. ulnare decorre poi compreso tra i due capi del m. flessore ulnare del carpo e si porta nella
parte anteromediale dell’avambraccio dove decorre, sotto il m. flessore ulnare del carpo, fino al
polso. Non attraversa il canale del carpo, portandosi superficialmente al ligamento trasverso del
carpo e raggiungendo così il palmo della mano, dove si divide in un ramo superficiale e in un
ramo profondo.
Emette rami collaterali motori, a livello dell’avambraccio, per il m. flessore ulnare del carpo e
per la porzione ulnare del m. flessore profondo delle dita. Più distalmente fornisce rami sensitivi
dorsale e palmare, per la porzione ulnare del dorso e del palmo della mano, ovvero la porzione
delle due dita più mediali, IV e V.
Il ramo profondo è un ramo motore dei mm. dell’eminenza ipotenar, oltre che per i mm.
profondi dell’eminenza tenar e i mm. interossei e lombricali. Il ramo superficiale svolge
funzione prevalentemente sensitiva per il palmo della mano e per la superficie palmare delle dita
IV e V .

- Innervazione Cutanea dell’Arto Superiore


L’innervazione cutanea dell’arto superiore è affidata a rami diretti o indiretti del plesso
brachiale.
La porzione deltoidea, la porzione della spalla, e la porzione superiore del braccio sono
innervate dal n. cutaneo laterale superiore del braccio, ramo del n. ascellare.
Le porzioni anteromediale e posteromediale del braccio e dell’avambraccio sono innervate
invece dai n. cutanei mediali del braccio e dell’avambraccio, rami collaterali del fascicolo
mediale del plesso brachiale.
La porzione posterolaterale del braccio e dell’avambraccio, e il dorso della mano nella sua
porzione più laterale, sono innervate dal n. cutaneo laterale superiore del braccio e dai nn.
cutanei posteriori del braccio e dell’avambraccio, rami del n. radiale.
Infine, la porzione anterolaterale della mano, soprattutto il suo palmo, sono innervate dai rami
palmari del n. mediano.

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