Distinguiamo tra le regioni cervicali superficiali una regione posteriore o nucale e un insieme di regioni
anterolaterali. Quest’ultime sono suddivise dalla regione sternocleidomastoidea, regione pari di quelle
anterolaterali, che corrisponde alla proiezione superficiale del decorso completo del
m. sternocleidomastoideo, in una regione impari e mediana, e in due regioni laterali del collo. L’osso
ioide divide il settore impari mediano in una porzione sopraioidea e in una porzione sottoioidea.
La regione sopraioidea ha una forma di triangolo avente come apice superiore la sinfisi mentale e come
confine superiore il margine inferiore della mandibola. Essa viene suddivisa in sottoregioni, funzionali a
reperire alcune strutture anatomiche; queste sono: la regione sottomentale, impari e mediana;
lateralmente ad essa il trigono sottomandibolare, triangolo pari separato dalla regione sottomentale dal
ventre anteriore del m. digastrico; la fossa retromandibolare, ovvero quella piccola loggia, anch’essa
pari, posta agli apici lateroposteriori della regione sopraioidea.
La regione laterale del collo o regione sovraclaveare, pari, confina: medialmente con il margine
posterolaterale del m. sternocleidomastoideo, caudalmente con il margine superiore della clavicola, nei
suoi terzi medio e laterale, e superoposteriormente con il m. trapezio.
- Tela Sottocutanea
La tela sottocutanea è costituita dal tessuto sottocutaneo ipodermico posto tra la cute e la fascia
cervicale. Anterolateralmente include nel suo spessore il m. platisma (greco: “massa piatta”),
sottile muscolo superficiale del collo che si estende come un telo nello strato sottocutaneo. La
continuità di questo muscolo varia da individuo ad individuo, potendosi estendere fino alla
regione facciale, intrecciandosi così con il m. risorio, il m. depressore dell’angolo della bocca e
il m. depressore del labbro inferiore. Inoltre, i due margini superiori del m. platisma si
inseriscono ad “X” sul mento; le sue fibre originano, invece, inferiormente dalle fasce di
rivestimento del m. grande pettorale e del m. deltoide.
Inoltre, è utile sottolineare che i principali nervi superficiali del collo e le vv. giugulari esterne
passano al di sotto della tela sottocutanea e del m. platisma.
- Fascia Cervicale
La fascia cervicale è divisa in 3 strati o lamine che compartimentalizzano tutte le strutture del
collo rendendole parzialmente indipendenti l’una dall’altra e, da un punto di vista clinico -
chirurgico, limitando, quando è possibile, la diffusione di ascessi o infezioni. Questa divisione
strutturale della fascia cervicale è importante anche da un punto di vista biomeccanico, poiché
diminuisce le forze di attrito tra i vari compartimenti della regione cervicale e rende i movimenti
e le interazioni tra le varie strutture più fluidi ed agevoli.
- Osso Ioide
E’ un osso impari, mobile, localizzabile nel settore anteriore del collo lungo il piano sagittale
mediano, che si proietta posteriormente a livello di C3 e anteriormente a livello dell’angolo tra
regione sottomentale e cartilagine tiroidea. Deve il suo nome alla sua forma ad “U” (in greco
infatti “hyoeides” significa appunto “a forma di y”).
Non è articolato con nessun altro osso ed è tenuto sospeso dai legamenti stiloidei, pari, e dal
legamento tiroioideo, impari, che lo connette strettamente alla cartilagine tiroidea dello scheletro
della laringe. Inoltre contribuiscono al mantenimento della sua posizione svariati muscoli, che lo
connettono con la mandibola, con i processi stiloidei delle ossa temporali, con la cartilagine
tiroidea, col manubrio dello sterno e con la scapola.
E’ formato da un corpo, corrispondente alla porzione impari e mediana, a forma di U, con una
superficie convessa rivolta ventralmente ed una concava rivolta dorsalmente; esso è largo circa
2,5 cm e spesso 1 cm. Offre a considerare inoltre delle strutture pari che si dipartono
lateralmente dal corpo dello stesso: i corni maggiori e i corni minori. I primi si proiettano
posteriormente e lateralmente al corpo; gli altri, i corni minori, di più modeste dimensioni, si
proiettano verso l’alto e all’indietro verso i processi stiloidei, a livello della giunzione tra corpo
e corni maggiori.
- Triangolo Sottomentale
E’ un’area, o sottoregione, sopraioidea, impari e mediana, di forma triangolare, che offre a
considerare come base il corpo dell’osso ioide, come lati i ventri anteriori destro e sinistro dei
mm. digastrici e, come apice craniale, la sinfisi mentale, ovvero il punto di fusione durante lo
sviluppo fetale delle due metà dell’osso della mandibola. Il pavimento craniale di questo
triangolo e costituito dai due mm. miloioidei che si uniscono in un rafe fibroso mediano.
Esso contiene sia piccole vene che si uniscono per formare, in posizione paramediana al piano
sagittale mediano, la v. giugulare anteriore, sia vari linfonodi sottomentali.
- Triangolo Sottomandibolare
E’ un’area pari, di pertinenza quasi totalmente ghiandolare, posta tra il margine inferiore della
mandibola, superiormente, e i ventri posteriori dei mm. digastrici., quello anteriore,
anteromedialmente, e quello posteriore, posteroinferiormente. In quest’area trova alloggio, nella
sua quasi totalità, la ghiandola sottomandibolare; i linfonodi sottomandibolari giacciono su
entrambi i lati della ghiandola lungo il margine inferiore della mandibola.
1. Loggia Sottomandibolare :
E’ lo spazio profondo che contiene la ghiandola sottomandibolare, con il suo dotto
sottomandibolare, lungo ca. 5 cm, che passa dal processo profondo della ghiandola,
parallelo alla lingua, fino alla cavità orale, dove si apre con 1-3 orifizi: queste aperture
sono localizzabili su una protuberanza, la caruncola sottolinguale, posta lateralmente
su ambo i lati del frenulo linguale.
In quest’area decorrono il nervo ipoglosso (XII paio) e il nervo motore per i muscoli
intrinseci ed estrinseci della lingua, oltre che il nervo per il m. miloioideo e il m.
digastrico (ventre anteriore).
Nella loggia sottomandibolare infine troviamo porzioni dell’a. e della v. facciali e l’a.
sottomentale che deriva proprio dall’a. facciale.
3. M. Stiloioidei: Sono una sottile striscia muscolare parallela al ventre posteriore del m.
digastrico; originano dal processo stiloideo dell’osso temporale del cranio e trovano
inserzione sul corno minore dell’osso ioide.
Sono innervati dal ramo cervicale del n. facciale.
Agiscono tirando posterosuperiormente l’osso ioide; sono dei parziali antagonisti dei
mm. genioioidei e contribuiscono modestamente nella dilatazione del pavimento della
bocca.
- Muscoli Sottoioidei
Si sviluppano caudalmente all’osso ioide e svolgono importanti azioni durante la fonazione e la
deglutizione, oltre che a stabilizzare l’osso ioide inferiormente, connettendolo con svariate
strutture; sono 4, tutti pari e simmetrici, e disposti su due piani, uno superficiale ed uno
profondo; sono avvolti in specifici compartimenti della fascia cervicale media.
4. M. Tiroioidei : continuano il decorso dei mm. sterno tiroidei originando dalla linea
obliqua della cartilagine tiroidea e trovando inserzione sulle porzioni laterali del corpo
dell’osso ioide e sulle metà mediali dei corni maggiori di questo.
Svolge l’azione di abbassare l’osso ioide e di innalzare la laringe.
- Ghiandola Tiroide
È un organo impari dello strato endocrino del settore anteriore del collo. Origina dall’epitelio del
pavimento della cavità orale come ghiandola endocrina. È di colore rosso-marrone, ha un peso,
nell’adulto in condizioni fisiologiche, di ca. 60g, e presenta una struttura chiaramente
riconoscibile nello spazio impari mediano del collo.
1. STRUTTURA/DIMENSIONI - E’ formata da due lobi laterali conici connessi in
prossimità della loro base da un istmo.
Lobi della Tiroide : pari e disposti lateralmente rispetto all’istmo. Ciascun lobo
misura in altezza ca. 4/8 cm, in larghezza ca. 2/4 cm, in diametro sagittale ca 1,5/2,5
cm. Generalmente il lobo di destra è più largo di quello di sinistra. Si orientano
obliquamente portandosi, in direzione craniocaudale, anteromedialmente, spostati in
dietro e verso l’alto rispetto all’istmo, fino ad ancorarsi in alto alla cartilagine
cricoidea e alla cartilagine tiroidea attraverso robusti legamenti della sua capsula.
Istmo della Tiroide : può variare notevolmente di forma e dimensioni, anche in
relazioni a situazioni patologiche comuni, e talvolta può non essere presente. Può
presentare anche in ca. un 10% della popolazione un lobo piramidale che si porta
superiormente lungo il piano sagittale mediano verso l’osso ioide. Ha un diametro
sagittale di ca. 1 cm e una larghezza di ca. 2 cm.
2. RAPPORTI TOPOGRAFICI - In sezione trasversale i lobi tiroidei appaiono
triangolari: le loro superfici anteriori appaiono convesse, quelle posteriori concave e
rivolte posteromedialmente verso la trachea e la laringe. I margini posterolaterali
della tiroide comunicano con la guaina vasculo-nervosa, che instaura rapporti diretti
con la capsula esterna della tiroide.
I poli superiori di entrambi i lobi della tiroide raggiungono la linea obliqua della
cartilagine tiroidea; i poli inferiori arrivano invece al IV anello tracheale. I muscoli
sottoioidei coprono e avvolgono solo in parte la tiroide, garantendone fissità e
copertura solo nelle porzioni paramediane e laterali.
La ghiandola tiroide si proietta ad un livello compreso tra C5 e T1.
3. RIVESTIMENTI E GUAINE - La ghiandola tiroide è avvolta da una sottile e
robusta capsula tiroidea costituita da due foglietti.
La Capsula Interna è sottile e formata da tessuto connettivo, saldamente ancorata alla
ghiandola e al suo parenchima, attraverso setti che portano vasi e dividono la tiroide
in lobuli di varie dimensioni.
La Capsula Esterna è invece più robusta e può considerarsi una porzione dello strato
pretracheale della fascia cervicale.
Tra i due foglietti è compreso un spazio o fessura di scorrimento, colmo di tessuto
connettivo che trasporta le strutture vasali maggiori della tiroide e posteriormente
contiene le ghiandole paratiroidi.
4. VASCOLARIZZAZIONE
Arteriosa : A. Tiroidea Superiore, con un ramo esterno e un ramo interno, per le
porzioni anteriori, superiori e laterali. A. Tiroidea Inferiore, sale fino a C7 e si porta
medialmente per raggiungere le porzioni inferiori, posteriori e mediali. Può essere
presente un’a. tiroidea ima nel 10% della popolazione.
Venosa : Vv. Tiroidee Superiori, Medie e Inferiori.
- Ghiandole Paratiroidi
Sono piccolissime ghiandole che hanno diversa funzionalità rispetto alla tiroide e sono
strettamente associate ad essa. Derivano dall’epitelio endodermico del diverticolo dorsale della
III e IV tasca branchiale e possiedono forma e dimensioni paragonabili a quelle di un chicco di
grano. La forma invece ricorda quella di una lenticchia ca. 5 mm x 3 mm x 2mm e il loro peso si
aggira intorno ai 0,16g. hanno un colore rossastro - giallastro tendente al marrone. In base allo
sviluppo embrionale possono avere diverse posizioni e variazioni topografiche, di notevole
importanza chirurgica.
Producono il Paratormone PTH, ormone peptidico formato da 82 Aa che stimola l’attività
osteoclastica indirettamente e, di conseguenza, regola, facendo aumentare, i livelli di Ca2+
ematici (ipercalcemia); inoltre agisce anche a livello renale, regolando i livelli di assorbimento
del fosfato.
Le Paratiroidi superiori si ritrovano solitamente all’altezza del margine caudale della cartilagine
cricoidea.
Le Paratiroidi inferiori sono situate alla base dei lobi della ghiandola tiroide, all’altezza del IV
anello cartilagineo della trachea.
La posizione delle paratiroidi è molto variabile, ma in una buona percentuale della popolazione
si possono riscontrare posizionate dorsalmente alla capsula interna della ghiandola tiroide,
posteromedialmente ai suoi lobi.
La vascolarizzazione arteriosa è affidata ad un’arteria paratiroidea, ramo dell’a. inferiore; il
drenaggio venoso invece segue, come anche quello linfatico, quello della ghiandola tiroide.
L’innervazione è compito dei plessi periarteriosi tiroidei, rami dei gangli del simpatico.
4. CAVITA’ LARINGEA
Si definisce tale lo spazio rivestito da muscosa che si trova tra l’ingresso della
laringe e il margine cricotracheale della cartilagine cricoide. Questa cavità è divisa
dalle pliche vestibolari e vocali in 3 porzioni, una superiore, una media e una
inferiore.
Porzione Superiore : l’ingresso della laringe, l’aditus laryngis, è orientato
obliquamente e rivolto dorsalmente. È delimitato infatti anteromedialmente dal
margine superiore della cartilagine epiglottide, lateralmente dalle pliche
ariepiglottiche, che ne costituiscono il margine superiore portandosi
superoinferiormente in senso ventrodorsale fino ai tubercoli cuneiformi e, in
seguito, ai tubercoli corniculati, i quali delimitano superiormente la sua parete
posteromediale, o incisura interaritenoidea.
La parete laterale della prima porzione della cavità laringea è formata in gran parte
dai mm. tiroaritenoidei che delimitano medialmente uno spazio esterno alla cavità,
il recesso piriforme, ovvero un solco muscoso pari, delimitato medialmente dai mm.
tiroaritenoidei, appunto, e lateralmente dalla superficie interna della cartilagine
tiroidea, che permette di far confluire i liquidi deviati all’esterno della laringe
nell’esofago.
Porzione Media : corrisponde a quella piccola cavità intermedia posta tra le pliche
vestibolari e le pliche vocali. La cavità laringea intermedia si continua lateralmente
in due piccoli recessi a fondo cieco, uno per lato, detti ventricoli della laringe,
delimitati in alto dalle pliche vestibolari o false corde vocali, poco sporgenti e
pronunciate e inferiormente dalle pliche vocali, chiaramente riconoscibili in una
laringoscopia.
Porzione Inferiore : corrisponde alla cavità infraglottica ed è rivestita quasi
completamente dal cono elastico della membrana fibroelastica della laringe.
Si estende dalle pliche vocali, superiormente, fino al margine inferiore della
cartilagine cricoide dove si apre nell’ingresso della trachea.
6. PLICHE VOCALI
Sono l’unica porzione della laringe non rivestita da epitelio respiratorio ciliato, ma
da un epitelio vocale pavimentoso stratificato non cornificato. Questa mucosa
risulta essere saldamente ancorata al ligamento vocale sottostante ed è caratterizzata
da un colore più biancastro e facilmente riconoscibile durante una laringoscopia.
Questo colore è dovuto sostanzialmente all’assenza sia della sottomucosa sia dei
vasi sanguigni a questa associati.
Le pliche vocali formano la rima glottidea o vocale, con il contributo dei mm. vocali
e in minor parte dei mm. tiroaritenoidei.
- Trigono Carotico
Regione pari del collo, di estensione simile ad un triangolo, delimitata cranialmente dal margine
inferiore del ventre posteriore del m. digastrico, anteromedialmente dalla metà craniale del
margine laterale del ventre superiore del m. omoioideo e posterolateralmente dalla metà craniale
del margine mediale del muscolo sternocleidomastoideo.
In questa regione risale l’a. carotide comune; a livello della cartilagine tiroidea essa si divide in
una a. carotide interna e in una a. carotide esterna. A livello della sua biforcazione possono
essere descritte due particolarità anatomiche dell’a. carotide:
1. Seno Carotideo: è una dilatazione della primissima porzione dell’a. carotide interna
che può estendersi ed interessare anche l’a. carotide comune. Il seno carotideo è un
baro-recettore e reagisce ai cambiamenti di pressione arteriosa; riceve fibre nervose
sensitive dal n. glossofaringeo (IX) e dal n. vago (X).
2. Glomo Carotideo: è una massa ovoidale di tessuto bruno-rossastro, che giace sul lato
mediale della biforcazione carotidea; riceve fibre nervose dal seno carotideo ed è un
importantissimo chemiorecettore: infatti, controlla il livello di ossigeno nel sangue e
se stimolato da una bassa concentrazione di esso stimola l’aumento della pressione
arteriosa, dell’intensità della respirazione e della frequenza cardiaca.
- M. Sternocleidomastoideo
E’ un importante punto di repere del collo poiché, essendo un ampio e forte muscolo pari del
collo, permette di dividere la regione cervicale anterolaterale in un settore anteriore impari
mediano, compreso tra i margini mediali dei due mm. sternocleidomastoidei, e in due settori
laterali sovraclaveari, triangoli compresi tra i margini laterali di questi muscoli e i mm. trapezi.
1. Origine/Inserzione : ha origine sul processo mastoideo delle ossa temporali del
cranio, dove i due capi che lo compongono si uniscono. Questi trovano
inserzioni diverse, discendendo anteromedialmente rispetto all’origine; il capo
sternale discende più medialmente e si inserisce con un tendine arrotondato
sul manubrio dello sterno; il capo clavicolare invece, più spesso e carnoso,
trova inserzione, più lateralmente, sulla superficie superiore del terzo mediale
della clavicola. Lo spazio compreso tra i due punti d’inserzione viene detto
loggia sovraclaveare minore.
2. Innervazione/Vascolarizzazione : il m. sternocleidomastoideo è vascolarizzato
dall’a. occipitale con il ramo omonimo del muscolo. L’innervazione è
garantita dal n. accessorio con fibre motrici e dai nervi C2 e C3 con fibre
sensitive.
3. Azione : piega il capo lateralmente, flette il collo e lo ruota in modo da poter
rivolgere il viso verso il lato opposto. Può contribuire come muscolo
respiratorio accessorio durante una respirazione forzata.
- Muscoli Scaleni
Rappresentano, in un certo senso, la continuazione craniale della muscolatura intercostale.
Originano infatti dai processi trasversi delle vertebre cervicali, che possono essere considerati,
soprattutto in questo, caso dei rudimenti costali, e contribuiscono agli atti respiratori, qualora
fosse necessario in una respirazione forzata, come muscoli accessori.
1. M. Scaleno Anteriore : origina dai tubercoli anteriori dei processi trasversi di
C4/C6 e trova inserzione sul tubercolo del m. scaleno anteriore della I costa.
E’ innervato dal plesso brachiale con i nervi spinali C4/C6.
Svolge l’azione di flettere e ruotare il collo, oltre che di innalzare la prima costa.
2. M. Scaleno Medio : ha origine dai tubercoli posteriori dei processi trasversi di
C2/C7 e trova inserzione sia sulla I costa che sulla fascia intercostale esterna del I
spazio intercostale. L’inserzione si trova, più precisamente, posteriormente al solco
costale dove è alloggiata l’a. succlavia.
E’ innervato dal plesso brachiale e dal plesso cervicale.
Svolge l’azione di innalzare, durante una inspirazione forzata, la I costa, oltre che a
flettere lateralmente il collo.
3. M. Scaleno Posteriore : ha origine sui tubercoli posteriori dei processi trasversi di
C5/C7 e trova inserzione sui margini esterni della II e III costa.
E’ innervato dal plesso brachiale.
Svolge l’azione di innalzare la II costa durante una inspirazione forzata e di flettere
lateralmente il collo.
- Arteria Succlavia
Le aa. succlavie irrorano principalmente gli arti superiori, ma contribuiscono anche alla
vascolarizzazione del neurocranio e del collo. Ciascuna a. succlavia disegna un arco nel suo
decorso, portandosi mediolateralmente e anteroposteriormente, dalla sua origine per tutto il suo
decorso, incrociando cranialmente anche la pleura e il polmone.
Le arterie si portano in senso superoposterolaterale nella loro prima porzione o porzione
ascendente, nascoste dal terzo medio della clavicola. Dopo essere risalite per un breve tratto
anterolateralmente alla colonna vertebrale, infatti, passano attraverso il triangolo degli scaleni
nella regione latero-cervicale. Nel discendere per portarsi verso l’arto superiore passano
inferiormente al punto di mezzo della clavicola e superiormente alla I costa.
A scopo puramente descrittivo il m. scaleno anteriore divide l’a. succlavia in 3 porzioni: I
porzione, offre a considerare un decorso superolaterale e ascende dalla sua origine fino al
margine mediale del m. scaleno anteriore; II porzione, offre a considerare un decorso orizzontale
e posteriore al m. scaleno anteriore, inclusa nel triangolo degli scaleni; III porzione, offre a
considerare un decorso inferolaterale e discende dal margine laterale del m. scaleno anteriore
fino al margine inferiore della I costa, dove diventa a. ascellare.
L’a. succlavia di destra origina dal tronco brachiocefalico, posteriormente all’articolazione
sternoclavicolare di destra e ventralmente alla trachea, a livello di T2-T3. Il nervo vago giace
ventralmente ad essa, mentre la cupola pleurica, l’apice del polmone e il tronco del simpatico le
giacciono dorsalmente.
L’a. succlavia di sinistra origina direttamente dall’arco aortico, a circa 1 cm lateralmente dell’a.
carotide comune di sinistra e a livello di T4. Il nervo vago decorre medialmente ad essa,
compreso tra le due grandi arterie. L’a. succlavia di sinistra penetra nel collo a livello
dell’articolazione sternoclaveare di sinistra.
L’a. succlavia invia le seguenti ramificazioni, distinte nelle 3 porzioni:
1. I porzione : A. vertebrale, che si dirige posterosuperiormente verso la colonna
vertebrale e risale, a partire da C6, decorrendo nei forami trasversali delle
vertebre cervicali, fino a raggiungere il neurocranio attraverso i forami occipitali.
Secondo il suo tragitto l’a. vertebrale viene suddivisa in 4 porzioni: porzione
prevertebrale, porzione trasversaria, porzione atlantica e porzione intracranica.
A. toracica interna che corre inferomedialmente nel torace in posizione
parasternale, a ca. 1 cm dallo sterno, fino al diaframma.
Tronco tireo-cervicale, tronco ampio che si porta superoanteriormente e che da
origine a grossi vasi come l’a. tiroidea inferiore, che si porta superomedialmente
verso la superficie posteriore della ghiandola tiroide e che vascolarizza attraverso
l’a. laringea inferiore l’esofago, la trachea, la faringe e porzioni della laringe e
attraverso l’altro suo ramo, l’a. cervicale ascendente, risale ventralmente ai
muscoli scaleni.
2. II porzione : Tronco costo-cervicale, si dirige posteroinferiormente e ad arco e dà
origine ventralmente all’a. intercostale suprema, ovvero l’origine comune delle
prime due aa. intercostali, e dorsalmente all’a. cervicale profonda, che
vascolarizza i muscoli della nuca.
3. III porzione : A. trasversa del collo, accompagnata lungo il suo decorso dai
linfonodi sovraclaveari è immersa tra i fasci del plesso brachiale.
- Tronco Linfatico
Raccoglie la linfa dalla porzione superiore destra del corpo e sbocca nell’angolo venoso destro.
Il dotto si forma per la confluenza del tronco broncomediastinico, del tronco succlavio e del
tronco giugulare.
- Nervo Frenico
Origina principalmente dal IV nervo cervicale, ma riceve spesso contributi dal III e dal V. I nn.
frenici contengono fibre motrici, sensitive e simpatiche. L’origine avviene a livello del margine
laterale della porzione superiore del m. scaleno anteriore e del margine superiore della
cartilagine tiroidea; a questo livello riceve anche fibre derivanti dal tronco del simpatico.
Il n. frenico discende obliquamente al davanti del m. scaleno anteriore insieme alla v. giugulare
interna, ponendosi in profondità rispetto allo strato prevertebrale della fascia cervicale.
A sinistra incrocia ventralmente l’a. succlavia nella sua I porzione.
A destra corre ventralmente al m. scaleno anteriore e quindi incrocia indirettamente e separato
dal muscolo, l’a. succlavia nella sua II porzione.
Su entrambi i lati si pone dorsalmente alla v. succlavia.
Il V nervo cervicale può confluire con un n. frenico accessorio nel n. frenico, discendendo da
principio parallelo e laterale a questo per poi unirsi a livello della primissima porzione del
torace.
- Plesso Brachiale
E’ costituito dai rami ventrali dei 5 nervi spinali che vanno da C5 a C8 e includendo T1. Si può
distinguere una parte sottoclavicolare da una sopraclavicolare. Quest’ultima, la porzione
prettamente cervicale, vede il costituirsi, all’interno della loggia sovraclaveare, di 3 tronchi
primari, formati dall’associazione tra loro dei nervi, che si dirigono inferolateralmente verso
l’arto superiore, passando nel triangolo degli scaleni, dorsalmente all’a. succlavia. Essi sono: il
Tronco Superiore, formato dalla confluenza di C5 e C6; il Tronco Medio, formato
esclusivamente da C7; il Tronco Inferiore, formato dalla confluenza di C8 e T1.
Nella porzione cervicale, il plesso brachiale manda rami motori ai mm. del cingolo scapolare.
- C3/C7
Sono formate da un corpo, che, in continuità con i dischi intervertebrali, si articola nella
colonna vertebrale, e da un arco vertebrale, che si divide in una porzione posteromediale, le
lamine, e in una anterolaterale, i peduncoli. Dove peduncoli e lamine si uniscono, su entrambi i
lati, vediamo dipartire, verso l’alto, i processi articolari superiori e, verso il basso, i processi
articolari inferiori. Tra il corpo e i processi articolari superiori vi è una incisura vertebrale
superiore, mentre, tra il corpo e i processi articolari inferiori, troviamo una incisura vertebrale
inferiore, più profonda e marcata. I processi articolari presentano delle superfici articolari;
quelli superiori sono inclinati dorsalmente, quelli inferiori ventralmente. L’arco vertebrale
termina, sul piano sagittale mediano, con un processo spinoso, che da C3 a C6 è bifido. L’area
racchiusa tra il corpo, ventralmente, e l’arco con il processo spinoso, laterodorsalmente, prende
il nome di forame vertebrale che, nelle vertebre cervicali, è particolarmente ampio.
Bilateralmente ai peduncoli dell’arco vertebrale si sviluppano i processi trasversi, che si
uniscono separatamente, ventralmente, al corpo e, dorsalmente, al peduncolo, circoscrivendo
così un foro tra i due punti di fusione, il forame trasversario. I forami trasversali sono formati
dalla fusione incompleta delle due componenti che danno origine ai processi trasversi, ovvero
l’abbozzo vertebrale e l’abbozzo costale. Nei processi trasversi si distinguono un tubercolo
anteriore e un tubercolo posteriore che delimitano una doccia chiamata solco del n. spinale.
- Atlante o C1
E’ la prima vertebra cervicale. Si distingue da tutte le altre vertebre per l’assenza del corpo
vertebrale. Infatti, nella struttura dell’Atlante riconosciamo un arco anteriore e un arco
posteriore, quest’ultimo più sviluppato.
Sul piano sagittale mediano troviamo, sull’arco anteriore, un tubercolo anteriore e, sull’arco
posteriore, un tubercolo posteriore, che può essere poco pronunciato e visibile in alcuni casi.
A lato dell’ampio forame vertebrale troviamo le due masse laterali che presentano ciascuna una
faccetta articolare superiore, leggermente più ampia e concava, e una faccetta articolare
inferiore, circolare e pianeggiante o modestamente depressa. Sulla superficie dorsale dell’arco
anteriore, troviamo, inoltre, una faccetta articolare per il dente dell’epistrofeo.
Un solco, discretamente marcato, è riconoscibile sull’arco posteriore e si porta, medialmente, su
entrambi i lati, dal forame trasversario, subito dietro le masse laterali e la faccetta articolare
superiore fino al forame vertebrale. È il solco per l’a. vertebrale e si estende, appunto, dal
forame trasversario del processo trasverso.
- Epistrofeo o C2
Si distingue dalle altre vertebre per la presenza di un processo odontoideo o dente, ovvero una
voluminosa sporgenza anterosuperiore che si diparte dal corpo vertebrale. Il dente presenta sulla
sua superficie ventrale una faccia articolare anteriore; esso termina superiormente con un apice.
Sulla superficie dorsale è presente una faccia articolare posteriore. I processi trasversi e i
formai trasversali sono poco marcati. Il processo spinoso invece è tozzo e bifido.
Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 32
Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 33
TORACE
Introduzione - Anatomia Topografica di Superficie
Il torace è la porzione superiore del tronco, posta tra il collo e l’addome.
Numerose linee verticali e orizzontali facilitano la suddivisone del tronco in diversi settori di superficie
e forniscono importanti punti di repere per le strutture interne del tronco.
Sulla parete laterale le linee hanno come riferimento il cavo ascellare e, in senso anteroposteriore,
delimitano una superficie laterale compresa tra il m. grande pettorale e il m. grande dorsale. Esse sono
3, tutte verticali e parallele tra loro:
La linea ascellare anteriore, che discende lungo la piega ascellare, e corrisponde al margine laterale del
m. grande pettorale. La linea ascellare media, che origina dall’apice del cavo ascellare, ovvero dal suo
punto più profondo. La linea ascellare posteriore decorre verticalmente lungo il pilastro ascellare
posteriore, formato dai muscoli grande dorsale e grande rotondo.
Lungo la parete posteriore le più importanti strutture anatomiche, che consentono di tracciare delle linee
di superficie, sono la colonna vertebrale e le ossa scapolari. Come linee verticali avremo così: La linea
vertebrale spondiloidea, comune a tutta la regione del dorso, corrisponde al piano sagittale mediano ed è
tangente ai processi spinosi di tutte le vertebre. La linea paravertebrale decorre a ca. 1,5/2 cm
lateralmente alla linea vertebrale spondiloidea. La linea angolare della scapola scende tangente
all’angolo della scapola. Come linee orizzontali invece avremo: la linea bispinoscapolare e la linea
biangoloscapolare, tangenti alle spine e agli angoli delle scapole.
La parete anteriore del torace viene così divisa in diverse regioni. Queste sono: regione mammaria,
corrispondente alla regione della ghiandola mammaria, che si continua inferiormente nella regione
sottomammaria e lateralmente nella regione pettorale laterale. Queste 3 regioni vengono raggruppate in
un'unica regione pettorale della parete toracica anteriore. Medialmente le regioni pettorali dei due lati
sono separate tra loro dalla regione sternale, regione impari mediana compresa tra le due linee
marginosternali. Lateralmente invece la regione pettorale laterale confina con la regione ascellare.
Superomedialmente la regione mammaria confina con la fossa sottoclaveare mentre,
superolateralmente, la regione ascellare la separa dalla porzione superiore dell’arto inferiore.
Superiormente a questa zona, compreso tra la fossa sottoclaveare, in basso, la regione deltoidea,
lateralmente, e il margine inferiore del terzo laterale della clavicola, in alto, troviamo il trigono
clavipettorale, importante regione della spalla attraverso cui vasi e nervi passano nella regione ascellare
e nell’arto superiore. Infine, al limite tra la parete toracica e la parete addominale, troviamo le regioni
ipocondriache destra e sinistra, che appartengono come superfici e pareti al torace, mentre, come cavità,
all’addome.
- Tessuto sottocutaneo
Il tessuto sottocutaneo o ipoderma è uno strato composto da tessuto connettivo lasso, posto
immediatamente al di sotto della cute, a cui è strettamente ancorato attraverso fasci fibrosi detti
retinacula cutis. L’ipoderma delle regioni toraciche contiene quantità variabili di tessuto
adiposo, oltre che ghiandole sudoripare, vasi sanguigni e linfatici, nervi cutanei e le ghiandole
mammarie.
- Fascia Toracica
In profondità rispetto al tessuto sottocutaneo e alla ghiandola mammaria troviamo la fascia
toracica, ovvero una sottile membrana fibrosa, densa e debolmente ancorata agli strati più
superficiali. La fascia toracica riveste strettamente i muscoli sottostanti formandone l’epimisio,
ovvero l’involucro di tessuto connettivo in cui questi sono avvolti. Questa si fonde con il
periostio laddove riveste i tendini di inserzione dei muscoli sulle ossa di riferimento. Costituisce
una importante barriera nella diffusione di ascessi e infezioni e, a seconda del muscolo che va a
rivestire, viene divisa in porzioni omonime al muscolo.
Dunque, la fascia pettorale, ovvero quella porzione di fascia toracica che riveste il m. grande
pettorale, si pone in profondità rispetto alla ghiandola mammaria.
Superficialmente alla fascia toracica decorrono i vasi superficiali e i nervi cutanei.
Nella fossa sottoclaveare e nel trigono clavipettorale si può osservare il decorso dei nn.
sopraclavicolari medi e intermedi, quest’ultimi più laterali rispetto ai primi, i quali provengono
dal plesso cervicale, e, portandosi in basso, incrociano anteriormente e superficialmente la
clavicola.
Lo scheletro toracico forma la gabbia toracica osteocartilaginea, che protegge i visceri toracici ed
alcuni organi addominali. Lo scheletro del torace comprende: 12 paia di coste e cartilagini costali, 12
vertebre toraciche con altrettanti dischi intervertebrali e lo sterno. Inoltre sono presenti diversi tipi di
articolazioni nella gabbia toracica, distinguibili in articolazioni anteriori e articolazioni posteriori.
- Vertebre Toraciche
Nelle 12 vertebre toraciche si possono osservare numerose e importanti differenze rispetto a
quella che era la struttura caratteristica delle vertebre cervicali. Innanzitutto, si può osservare
come il corpo vertebrale appaia più alto e robusto. Inoltre, da ciascun lato, i corpi offrono a
considerare 2 fossette costali, ciascuna delle quali presenta un’emifaccetta articolare per
l’articolazione con le teste costali; fanno eccezione a questa caratteristica T1,T10,T11 e T12.
Infatti sul corpo di T1 troviamo, superiormente, una faccetta articolare completa e,
inferiormente, una emifaccetta articolare incompleta. T10 possiede, invece, solo una emifaccetta
articolare superiore mentre T11 mostra una faccetta articolare completa verso il suo margine
craniale. Infine, T12 presenta una faccetta articolare completa per la testa della XII costa,
posizionata a circa metà della superficie laterale del corpo vertebrale.
Dai margini posterolaterali del corpo vertebrale si dipartono, su ciascun lato, gli archi vertebrali,
formati dai peduncoli, ovvero la porzione dell’arco continua con il corpo vertebrale, e dalle
lamine, la loro porzione più posteriore. Su ciascuna vertebra ogni lamina si unisce dorsalmente
lungo il piano sagittale mediano con la lamina controlaterale per formare il lungo processo
spinoso. I processi spinali delle prime 9 vertebre toraciche sono diretti obliquamente verso il
basso, tanto che l’apice di ogni processo trasverso viene a trovarsi una vertebra più sotto dalla
sua origine. i processi spinosi delle ultime 3 vertebre toraciche invece sono quasi orizzontali.
I processi spinosi delle vertebre toraciche hanno una sezione trasversale approssimativamente
triangolare. Tra gli archi vertebrali e la faccia posteriore del corpo vertebrale si viene a formare
il forame vertebrale.
Nel peduncolo vertebrale si trova l’incisura vertebrale superiore, meno pronunciata rispetto
all’incisura vertebrale inferiore, molto più profonda grazie al fatto che il peduncolo origina
dalla porzione più superiore del corpo vertebrale e che i processi spinosi sono orientati verso il
basso.
Nel punto di passaggio tra peduncolo e lamina dell’arco vertebrale si diparte, cranialmente, il
processo articolare superiore e, caudalmente, il processo articolare inferiore, che guarda verso
l’incisura vertebrale inferiore.
Lateralmente al punto di unione tra peduncoli e lamine degli archi vertebrali originano,
portandosi orizzontalmente e lateroposteriormente, i processi trasversi delle vertebre toraciche
che, da T1 a T10, presentano sulla superficie ventrale della loro estremità, una fossetta costale
per l’articolazione con il tubercolo costale. La concavità di questa fossetta è molto importante in
relazione al grado di motilità delle coste. Infatti, questa fossetta articolare è realmente concava
solo da T2 a T5, mentre su T1 e da T6 a T10 e pianeggiante e leggermente meno estesa.
- Articolazioni anteriori
Art. Sternocostali : sono delle vere e proprie articolazioni solo dalla II alla V costa. La I, la VI e
la VII costa, invece, si uniscono allo sterno con delle sincondrosi. I legamenti che rinforzano le
capsule articolari, in particolare i ligamenti sternocostali radiati, di entrambi i lati per le
articolazioni propriamente dette, si uniscono a formare la fascia sternale, ovvero quel robusto
intreccio di fibre e ligamenti posto sulla superficie anteriore dello sterno. Inoltre, per le 4 coste
articolate con lo sterno, si può menzionare un ligamento sternocostale intrarticolare, ovvero un
corto e robusto ligamento che unisce l’ultimissima porzione della cartilagine costale con il
margine sternale nel loro punto di unione.
Art. Intercondrali : si stabiliscono tra la VI e VII, tra la VII e l’VIII, tra l’VIII e la IX costa.
Sono rinforzate da un ligamento intercondrale e, oltre la IX costa, si trasformano in ligamenti e
connessioni fibrose.
Art. Sternoclaveare : è un’articolazione a sella e ha come capi articolari l’estremità sternale
della clavicola, che si articola, medialmente, con il margine superolaterale del manubrio dello
sterno e, inferiormente, con la cartilagine costale della I costa. È rinforzata dai ligamenti
sternoclaveari anteriori e posteriori e dai ligamenti costoclaveari. Un sottile disco articolare
divide questa articolazione in due scompartimenti, uno sternale e uno costale.
I mm. della parete toracica propriamente detti si distinguono dai mm. accessori della respirazione, che
originano nella parete toracica ma che trovano inserzione in altre regioni del corpo, perché agiscono
come mm. intrinseci degli atti respiratori, non solo durante le respirazioni forzate come: i mm. scaleni,
che si inseriscono sulle prime due coste, i mm. pettorali, grande e piccolo, e il m. dentato anteriore.
- M. Grande Pettorale
Muscolo pari della parete toracica anteriore. Ampio e a forma di ventaglio, copre la parte
superiore del torace. Mantiene, quando l’arto superiore è pendente, una forma quadrangolare,
ma con l’abduzione dell’arto, assume una forma triangolare, mettendo in evidenza le sue origini
e inserzioni. È costituito da un capo clavicolare e un capo sternocostale. Quest’ultimo è più
ampio e con il suo margine inferolaterale forma il bordo anteriore della cavità ascellare, ovvero
la piega o pilastro ascellare anteriore. Insieme al deltoide e alla clavicola forma la regione a
confine tra porzione basilaterale del collo, porzione superolaterale del torace e porzione
superiore dell’arto superiore: il trigono clavipettorale.
Durante una inspirazione forzata, mantenendo fisso l’arto superiore, il m. grande pettorale
svolge il ruolo di m. respiratore accessorio.
Origine o inserzione prossimale : Il capo clavicolare origina dalla superficie anteriore della
metà mediale della clavicola.
Il capo sternocostale origina dalla superficie anteriore dello sterno, dalla porzione mediale delle
prime 6 cartilagini costali e, in una sua porzione inferomediale o addominale, dall’ aponeurosi
del m. obliquo esterno dell’addome.
Inserzione distale : Tutti i suoi capi muscolari trovano inserzione comune sull’arto superiore,
dove le fibre muscolari si incrociano portandosi ad avere, per il capo clavicolare, un inserzione
più inferiore, rispetto al capo sternocostale e ancor più alla porzione addominale di questo.
L’inserzione è sull’omero, sulla cresta del tubercolo maggiore, anche detta labbro laterale del
solco intertubercolare.
Azione : Svolge l’importante azione di essere il principale muscolo adduttore dell’arto
superiore. Inoltre i suoi capi possono agire singolarmente come flessori, il capo clavicolare, o
estensori, il capo sternocostale, dell’omero.
- M. Piccolo Pettorale
Muscolo pari della parete anteriore del torace. È posto in profondità, posteriormente al più
ampio m. grande pettorale. Ha una forma approssimativamente triangolare, con inserzioni
variabili sui capi costali. Quando la cintura scapolare è fissata o sollevata può partecipare come
m. accessorio della respirazione ad una inspirazione profonda.
Origine o inserzione prossimale : le sue fibre hanno come origine le cartilagini costali dalla III
alla V che formano i capi costali del muscolo.
Inserzione distale : il muscolo trova inserzione comune sulla superficie anteriore e sul margine
mediale del processo coracoideo della scapola.
Azione : stabilizza la scapola tirandola anteroinferiormente contro la parete toracica posteriore.
- M. Dentato Posteriore
E’ un muscolo pari, intrinseco della respirazione. Si distinguono due mm. dentati posteriori per
lato, indipendenti tra loro: uno superiore, cervicotoracico, e uno inferiore, toracolombare.
M. DENTATO POSTERIORE SUPERIORE
Origine : origina dai processi spinosi dell’ultime due vertebre cervicali e delle prime
due vertebre toraciche.
Inserzione : le sue digitazioni si portano inferolateralmente e trovano inserzione sui
margini superiori delle coste dalla II alla V.
Azione : svolge l’azione di aumentare il diametro anteroposteriore della gabbia
toracica sollevando le coste su cui si inserisce e lo sterno.
M. DENTATO POSTERIORE INFERIORE
Origine : origina dai processi spinosi, delle ultime due vertebre toraciche e delle prime
due-tre vertebre lombari, e si connette con questi attraverso la fascia toracolombare.
Inserzione : le sue digitazioni si portano superolateralmente ai margini inferiori delle
ultime 4-5 coste, inserendosi nei pressi dell’angolo costale.
Azione : svolge azione di abbassare le ultime coste.
- Mm. Intercostali
Occupano gli spazi intercostali, dividendosi in uno strato più superficiale, occupato dai mm.
intercostali esterni, e in uno strato più profondo, occupato dai mm. intercostali interni.
Mm. intercostali esterni : Sono 11 paia e occupano gli spazi intercostali dai tubercoli costali,
dorsalmente, fino alle giunzioni condrocostali, ventralmente. Nelle porzioni di spazio
intercostale anteriori, non coperte dai mm. intercostali esterni, troviamo la membrana
intercostale interna; questi muscoli hanno un decorso che si porta in senso posteroanteriore
dall’alto in basso, e possono considerarsi la porzione toracica del m. obliquo esterno
dell’addome. Le fibre dei mm. intercostali hanno orientamenti diversi ma originano tutte dal
margine inferiore di una costa per inserirsi su margine superiore della costa sottostante.
Sono muscoli coinvolti nell’atto inspiratorio.
Mm. intercostali interni : decorrono in profondità rispetto ai mm. intercostali esterni e le loro
fibre si orientano in senso opposto a quelle del m. intercostale esterno, formando con questo un
angolo di 90°. Si portano in senso anteroposteriore dall’alto in basso, similmente
all’orientamento che assume, nella parete addominale, il m. obliquo interno dell’addome; hanno
origine sul margine superiore della faccia interna di una costa e trovano inserzione sul solco
costale della costa contigua inferiormente. Rivestono gli spazi intercostali nella porzione che va
dallo sterno fino all’angolo costale; oltre questo lo spazio intercostale che arriva fino alle
vertebre è rivestito dalla membrana intercostale interna.
Sono muscoli coinvolti nell’atto espiratorio.
Nella porzione in cui rivestono gli spazi posti tra le cartilagini costali prendono il nome di mm.
intercartilaginei del torace. Inoltre, una loro porzione prende il nome di mm. intercostali intimi;
tra questi e i mm. intercostali interni decorrono i vasi e i nervi intercostali.
- Mm. Sottocostali
Svolgono un’azione parallela ai mm. intercostali interni ovvero di sollevare le coste. Sono
formati da fascetti muscolari endotoracici che originano, a livello degli angoli costali, dalla
superficie interna o endotoracica delle coste, per inserirsi, portandosi obliquamente dall’alto in
basso lateromedialmente, sulla costa inferiore non contigua o seguente.
Il diaframma è un muscolo impari che chiude inferiormente la cavità toracica e la divide dalla cavità
addominale. È formata da una zona fibrosa centrale, il centro tendineo del diaframma, e una porzione
muscolare. Quest’ultima è suddivisa, su ciascun lato, in una parte sternale, una parte costale e una parte
lombare. Tra la parte sternale, la parte costale e la parte lombare si distinguono delle fessure di minore
resistenza; queste sono il trigono lombocostale, che si pone lateralmente al m. quadrato dei lombi e
inferiormente alla porzione posteriore dell’arcata costale, e il trigono sternocostale, pari, stretto e poco
esteso, che divide su ambo i lati la parte sternale da quella costale.
La parte sternale della porzione muscolare del diaframma e la meno estesa ed è posta
anteromedialmente rispetto alle altre porzioni. Occupa una posizione retrosternale, originando dalla
superficie posteriore del processo xifoideo dello sterno, ed è costituita da fibre muscolari più chiare
rispetto alle altre zone, che si continuano nel centro tendineo.
La parte costale origina, su entrambi i lati, dalle superfici interne delle coste dalla VII alla XII, e si
porta, attraverso le sue digitazioni, verso il centro tendineo, in un ventaglio che si estende, da una
posizione parasternale, fino all’angolo costale. Le sue digitazioni si ingranano con il m. trasverso
dell’addome.
La parte lombare si pone in posizione paravertebrale, mediale rispetto alla parte costale e posteriore
rispetto al centro tendineo e alla parte sternale. Essa è formata, su ambo i lati, da un pilastro mediale e
da un pilastro laterale. Il primo è formato da fasci fibrosi e muscolari che si dipartono dalle superfici
anteriori dei corpi vertebrali delle vertebre lombari, a destra, dalla I alla IV, mentre, a sinistra, delle
vertebre lombari che vanno dalla I alla III. Il pilastro laterale, invece, origina da due arcate fibrose,
ovvero dall’arcata lombocostale mediale, formata dal ligamento arcuato mediale che gira intorno al m.
grande psoas, e dall’arcata lombocostale laterale, formata dall’arcata del m. quadrato dei lombi o
ligamento arcuato laterale; queste due arcate si inseriscono sul processo costiforme di L1, l’una
lateroposteriormente, l’altra medioposteriormente. L’arcata lombocostale mediale si porta dalle superfici
laterali dei corpi vertebrali di L1 e L2, circoscrivendo perimetro del m. grande psoas, fino al processo
costiforme posto posteriormente a questo. L’arcata lombocostale laterale va dal processo costiforme fino
all’angolo costale o al collo della XII costa, girando attorno al perimetro del m. quadrato dei lombi
Il diaframma forma una doppia cupola e, sul centro tendineo, si inserisce, superiormente, il sacco
pericardico. Nel diaframma si notano le varie aperture che consentono il passaggio di numerose e
importanti strutture dalla cavità toracica a quella addominale. Tra i pilastri mediali della parte lombare
del diaframma e la superficie anteriore della colonna vertebrale troviamo medialmente e leggermente
spostato a sinistra, lo iato aortico, delimitato dai fasci tendinei; attraverso questo decorrono l’aorta
discendente e il dotto toracico. Il pilastro mediale destro è formato essenzialmente da tre fasci
muscolari, di cui quello che origina dalle vertebre lombari è il più esteso e arriva direttamente al centro
tendineo, delimitando la porzione superiore dello iato esofageo. Quest’apertura consente il passaggio
dell’esofago e dei nn. vaghi ed è delimitata da altri due fasci muscolari, oltre quello su detto. Un fascio è
formato dal ligamento arcuato mediano, che rappresenta il margine tendineo dello iato aortico, e lo
delimita a destra; l’ultimo fascio muscolare, invece, forma il bordo sinistro dello iato esofageo, e origina
anch’esso dal legamento arcuato destro, ma dorsalmente rispetto al precedente, incrociandosi sul di
dietro con questo e formando il “laccio dello iato”. Inoltre, un’altra grande apertura del diaframma è il
forame della v. cava, posto nella porzione destra del centro tendineo, e che consente il passaggio, oltre
che della vena cava inferiore, anche di un ramo del n. frenico destro.
- Generalità
La gabbia toracica è costituita da 12 vertebre toraciche, con i loro dischi intervertebrali, da 12
paia di coste e dallo sterno. La gabbia o cassa toracica circoscrive la spazio cavitario superiore
del tronco, la cavità toracica. Questa presenta un’apertura superiore e un’apertura inferiore.
Mentre la prima è relativamente stretta, quella inferiore è assai più larga, attribuendo così alla
gabbia toracica la tipica forma di un tronco di cono schiacciato posteriormente, in
corrispondenza della colonna vertebrale, e anteriormente, in corrispondenza dello sterno.
L’apertura superiore della cavità toracica è delimitata dal margine superiore del primo paio di
coste e dall’incisura giugulare del manubrio dello sterno, anteromedialmente.
L’apertura inferiore invece è delimitata dal margine inferiore delle ultime coste,
lateroposteriormente, e dall’arcata costocartilaginea che, anteromedialmente, risale verso il
processo xifoideo dello sterno, formando quello che viene definito come angolo infrasternale.
- Movimenti Respiratori
A causa della sua elasticità, la gabbia toracica è molto resistente. I suoi movimenti sono il
risultato della somma e della cooperazione di tanti piccoli movimenti muscolari.
Durante l’inspirazione il torace si espande sia in senso ventrodorsale, sia in senso laterale.
Questo movimento viene reso possibile, oltre che dalla forza motrice muscolare, dalle strutture
che formano la parete toracica e in particolare: dalla motilità delle articolazioni costovertebrali,
dal grado di plasticità delle cartilagini costali che vengono sottoposte ad una forza di torsione e,
in minima parte, da un lieve aumento della cifosi vertebrale del tratto toracico della colonna.
Invece, durante l’espirazione, il volume toracico viene ridotto in maniera speculare e opposta
rispetto all’atto inspiratorio. Inoltre l’angolo infrasternale viene ridotto in fase espiratoria,
diventando più acuto.
Il mediastino è il compartimento centrale della cavità toracica, ovvero lo spazio occupato dalla massa di
organi e strutture poste al centro tra le due cavità pleuropolmonari. Esso contiene tutti gli organi della
cavità toracica, eccetto i polmoni, e questi sono circondati da vasi, nervi, linfonodi e tessuto adiposo. Il
mediastino è una regione molto mobile poiché costituito principalmente da visceri cavi, che contengono
liquidi o aria, uniti tra loro da tessuto connettivo lasso, spesso infiltrato di una ricca componente
adiposa. La scarsa compattezza del tessuto connettivo e l’elasticità dei polmoni e della pleura parietale
consentono al mediastino un certo grado di movimento e di cambiamenti di volume e pressione nella
cavità toracica.
A scopo puramente descrittivo il mediastino viene diviso in una porzione superiore e in una inferiore. Il
mediastino superiore è compreso tra l’apertura toracica superiore e il piano toracico trasversale, ovvero
quel piano trasversale passante per l’angolo sternale, anteriormente, e il disco intervertebrale tra T4 e
T5, posteriormente; esso comprende le vie di conduzione e il timo. Il mediastino inferiore, invece, è
compreso tra questo piano e il m. diaframma, che chiude l’apertura toracica inferiore, ed è ulteriormente
diviso dal pericardio in una porzione anteriore, una media e una posteriore. Il mediastino anteriore
occupa un sottile spazio colmo di connettivo situato tra la fascia endotoracica della parete toracica
anteriore e il pericardio; il mediastino medio accoglie il cuore e il pericardio, mentre, quello posteriore
si estende dalla parete posteriore del pericardio fino alla superficie anteriore della colonna vertebrale
toracica e include le grandi vie di conduzione e l’esofago.
Il mediastino si estende, sul piano sagittale mediano, dalla faccia posteriore dello sterno fino alla
superficie anteriore della porzione toracica della colonna vertebrale. Lateralmente risulta essere
delimitato dalla pleura parietale mediastinica.
- Pericardio
Come tutti gli organi interni soggetti a variazioni di volume e a spostamenti nei confronti degli
organi adiacenti, anche il cuore è alloggiato in una cavità sierosa, la cavità pericardica.
Il pericardio è un sacco fibro-sieroso che contiene il cuore e le radici dei suoi grossi vasi. È
costituito da due porzioni, una esterna, fibrosa e una interna, sierosa. Il pericardio fibroso forma
un sacco esterno costituito da tessuto connettivo denso, ricco di fibre collagene, che circonda il
cuore, senza instaurare rapporti diretti con tale organo. Il pericardio sieroso, invece, è formato da
un sistema bistratificato chiuso, interno rispetto alla componente fibrosa, costituito
principalmente da mesotelio, ovvero un epitelio pavimentoso semplice di origine mesenchimale;
come ogni sierosa anche il pericardio sieroso offre a considerare un foglietto parietale e uno
viscerale. Il foglietto viscerale forma l’epicardio e poggia direttamente sulla superficie del cuore
e sulla radice dei grossi vasi. Esso è in continuità con il foglietto parietale, che riveste, a sua
volta, la superficie interna del pericardio fibroso.
1. PERICARDIO FIBROSO
Il pericardio fibroso stabilisce in più punti connessioni con le strutture adiacenti,
fissando in tal modo la posizione del cuore all’interno della cavità toracica. Innanzitutto,
il pericardio fibroso è fuso con la tonaca avventizia dei grossi vasi che entrano ed escono
dal cuore. Inoltre, il suo tessuto e le sue fibre si fondono, caudalmente, con il centro
tendineo del diaframma, su cui è stabilmente poggiato. Posteriormente, risulta essere
ancorato alla trachea e alla colonna vertebrale attraverso robusti tralci che si dipartono
in direzione posterosuperiore, mentre, anteriormente, si ancora alla superficie posteriore
dello sterno, mediante ligamenti sterno pericardici di vario spessore. Una certa quantità
di tessuto connettivo lasso separa, lateralmente, il pericardio fibroso dalla pleura
parietale mediastinica.
3. VASCOLARIZZAZIONE E INNERVAZIONE
L’irrorazione arteriosa del pericardio è assicurata principalmente ad un ramo superiore
dell’a. toracica interna, l’a. pericardico-frenica, che raggiunge il pericardio fibroso su
entrambi i suoi lati, discendendo insieme al n. frenico, che assicura al pericardio fibre
sensitive, e alla v. pericardico-frenica che drena il sangue refluo del pericardio e lo
convoglia nella v. brachiocefalica. Inoltre, l’innervazione vasomotrice avviene ad opera
del tronco dell’ortosimpatico, mentre, all’irrorazione arteriosa dell’epicardio,
contribuiscono anche le a. coronarie.
L’a. e la v. pericardico-frenica, insieme al n. frenico, discendono compresi nello spazio
tra la pleura parietale mediastinica e il pericardio, passando anterolateralmente sia
all’arco dell’aorta che alla v. cava superiore.
3. VALVOLE CARDIACHE
Le valvole cardiache si dividono in valvole a lembi e valvole a nido di rondine. Le
valvole a lembi sono costituite da una membrana connettivale rivestita su entrambi i
lati da endocardio, che non contiene vasi sanguiferi. Le valvole a nido di rondine
sono costituite da tre tasche approssimativamente delle stesse dimensioni, dette
valvole semilunari. Queste sono formate da una duplicatura dell’endocardio, che si
attacca ad arco alla parete delle arterie, formando una tasca di forma semisferica,
sottile e rigonfia. Il margine libero di ciascuna delle tre tasche presenta, al centro
dell’arco, un piccolo nodulo fibroso, detto nodulo delle valvole semilunari. I tre
noduli sporgono tutti contiguamente al centro della valvola. Lateralmente al nodulo,
lungo il margine libero, si dipartono orli di forma semilunare, chiamati lunule delle
valvole semilunari.
7. VENTRICOLO SINISTRO
Questa cavità forma l’apice del cuore, la sua faccia sinistra o polmonare e la
maggior parte della faccia diaframmatica. Essendo la pressione arteriosa della
circolazione sistemica molto più alta rispetto a quella polmonare, il ventricolo
sinistro è la camera che svolge il lavoro cardiaco più gravoso. La sua parete è ca. 3
volte più spessa di quella del ventricolo destro.
Anche il ventricolo sinistro risulta essere suddiviso dalle trabecole carnee in una via
di afflusso e una via di deflusso della camera cardiaca.
Valvola Bicuspide o Mitrale : l’aggettivo mitrale deriva dalla somiglianza di questa
valvola con il copricapo vescovile, la mitra. Infatti, questa valvola è formata da due
cuspidi, uno anteriore e l’altro posteriore. E’ localizzabile posteriormente allo sterno
a livello della IV cartilagine intercostale. È situata sul contorno dell’ostio
atrioventricolare sinistro e dirige il sangue dall’atrio di sinistra alla via di afflusso
ematico del ventricolo sottostante.
È formata da due ampi lembi, la cuspide anteriore e la cuspide posteriore, entrambe
fissate attraverso numerose e robuste corde tendinee ai muscoli papillari della parete
del ventricolo, più grossi e spessi rispetto a quelli del ventricolo destro, provvisti di
due grossi apici che formano il m. papillare anteriore e il m. papillare posteriore, i
quali originano l’uno sulla parete sternocostale del ventricolo e l’altro sulla parete
diaframmatica.
Oltre ai due lembi maggiori la valvola bicuspide possiede anche due lembi più
piccoli che non si ancorano all’anello fibroso sinistro e sono detti cuspidi
commisurali.
Valvola Aortica : è formata da tre robuste tasche semilunari e superiormente offre a
considerare, lungo la parete aortica, i seni aortici, ovvero delle piccole dilatazioni
della parete in corrispondenza delle valvole, che impediscono alle tasche di
accollarsi alla parete aortica durante la gittata cardiaca; sono speculari ai seni di
Valsalva della valvola polmonare. È situata a livello del II-III spazio intercostale.
Nei seni aortici destro e sinistro si aprono gli imbocchi per le arterie coronarie
destra e sinistra.
- Aorta Ascendente
A un diametro di ca. 2,5 cm a livello dell’orifizio aortico. Sale per ca. 5 cm fino all’angolo
sternale. Origina dal ventricolo sinistro a livello della valvola aortica e sale, appunto, per una
breve porzione ascendente, inizialmente verso destra, posteriormente al tronco polmonare e,
scavalcato l’ilo polmonare sinistro, da origine all’arco dell’aorta. I vasi che si diramano a livello
dell’aorta ascendente sono le aa. coronarie di destra e di sinistra.
- Arco dell’Aorta
Da esso originano i grandi vasi arteriosi destinati a portarsi alla testa, al collo e agl’arti superiori.
È la continuazione anatomica dell’aorta ascendente, la quale, a livello della seconda
articolazione sternocostale di destra e dell’angolo sternale, piega superoposteromedialmente
verso sinistra. L’arco aortico sale anteriormente all’arteria polmonare destra e alla biforcazione
della trachea, in una porzione leggermente a destra del piano sagittale mediano; raggiunge poi
l’apice a sinistra della trachea e dell’esofago e si porta posteriormente verso la colonna
vertebrale cominciando la sua lunga discesa e passando posteriormente sia alle vv. polmonari di
sinistra che all’a. polmonare di sinistra. Posteriormente alla II articolazione sternocostale di
sinistra termina diventando aorta toracica.
Il legamento arterioso, residuo del dotto arterioso fetale, passa dalla radice dell’arteria
polmonare sinistra alla superficie inferiore dell’arco dell’aorta. Il n. laringeo ricorrente sinistro
origina anteriormente all’arco dell’aorta e disegna un’ansa inferiormente ad esso, portandosi
posteriormente, e risalendo nel collo; si pone tra l’arco dell’aorta e il ligamento aortico.
- Il Timo
Il timo è l’organo linfatico primario del sistema dei linfociti T e rappresenta quindi l’organo
primario di controllo per lo sviluppo della difesa immunitaria.
Il timo è costituito da due lobi di dimensioni diseguali che sono reciprocamente uniti in modo
incompleto. L’organo è alloggiato nel mediastino superiore dietro lo sterno e davanti ai grossi
vasi, ovvero sopra il pericardio e davanti alle vv. brachicefaliche e alla v. cava superiore. Il timo
è delimitato su entrambi i lati dai margini di riflessione tra pleura costale e pleura mediastinica,
che forma a livello della II costa il triangolo timico, posto subito sotto il manubrio dello sterno.
Nel neonato il timo è rappresentato da una striscia lunga 5 cm e larga e spessa 1,5 cm. Pesa ca.
11-13g e raggiunge, alla fine del 3 anno di vita un peso di ca. 23g. l’apice del suo sviluppo
corrisponde al periodo di vita che precede la pubertà, con un peso che di 35-50g.
Nel bambino il timo è ben rappresentato ed entrambi i lobi raggiungono in alto il margine
inferiore della ghiandola tiroide e in basso i IV spazio intercostale. Un suo prolungamento può
raggiungere la fascia cervicale media entrando nella cavità del collo attraverso l’apertura
toracica superiore.
Nell’adulto il timo è poco rappresentato e lascia spazio ad un abbozzo funzionale localizzabile in
posizione sovra pericardica, dietro il manubrio dello sterno.
La vascolarizzazione arteriosa del timo è garantita dalle aa. timiche, modesti rami che possono
originare dalle aa. toraciche interne, dalle aa. tiroidee inferiori e dalle aa. pericardicofreniche.
Il drenaggio venoso è garantito dalle vv. timiche, tributarie delle vv. brachiocefaliche, e in minor
misura delle vv. tiroidee inferiori.
- Linfonodi Mediastinici
Si distinguono in linfonodi mediastinici anteriori, posteriori e bronchiali.
I linfonodi mediastinici anteriori sono divisi in un gruppo diaframmatico, alloggiato vicino alle
inserzioni anteriori del diaframma, e in un gruppo che si colloca anteriormente all’arco
dell’aorta e sale fino all’apertura della cavità toracica, seguendo il decorso dei grossi tronchi
arteriosi nati dall’arco. Questi confluiscono tutti nel tronco broncomediastinico e drenano
porzioni del timo, del cuore, del pericardio e di porzioni contigue a questi organi.
I linfonodi mediastinici posteriori accompagnano l’aorta toracica, ponendosi, in alcuni casi,
sulla porzione posteriore del diaframma. Qui, raccolgono la linfa proveniente dai linfonodi
mediastinici anteriori diaframmatici oppure dalla porzione inferiore del mediastino posteriore.
Possono inviare efferenze per i linfonodi bronchiali, oltre che confluire nel dotto toracico.
I linfonodi bronchiali sono una famiglia di linfonodi mediastinici e comprendono i linfonodi
della biforcazione tracheale, i linfonodi tracheobronchiali e i linfonodi dell’ilo e del
parenchima polmonare. I linfonodi della biforcazione tracheale si trovano in stretta relazione
con la biforcazione della trachea, inferiormente ad essa e applicati sotto l’angolo medio e
inferiore del tubo tracheobronchiale, antistanti all’aorta e all’esofago e posti dietro sia all’atrio
sinistro che al pericardio. I linfonodi tracheobronchiali sono situati lungo gli angoli esterni tra la
trachea e il bronco stipite. A destra sono retrostanti alla v. cava superiore ed in rapporto con il
polmone; in alto con l’arco dell’a. succlavia; in basso con l’arco della v. azygos e con l’a.
polmonare destra; a sinistra hanno rapporti anterosuperiormente con l’arco dell’aorta e
inferiormente con l’a. polmonare sinistra. I linfonodi dell’ilo polmonare, infine, si pongono a
livello delle biforcazioni bronchiali sia all’ingresso che nella compagine del polmone, in stretto
rapporto con i suoi vasi sanguiferi. I linfonodi tracheobronchiali scaricano nei tronchi bronco
mediastinici e, insieme agli altri linfonodi bronchiali, contribuiscono a drenare la linfa di
strutture quali polmoni, bronchi, tratto inferiore della trachea, cuore e tratto inferiore
dell’esofago. Un parziale flusso vasi efferenti di questi può giungere ai linfonodi sovraclaveari.
- Bronchi Principali
I bronchi principali destro e sinistro si suddividono, in base al numero di lobi polmonari
presenti, a destra in 3 e a sinistra in 2 bronchi lobari dal diametro di 0,8-1,2 cm. A destra, il
bronco lobare superiore si dirama a ca. 1-2,5 cm dall’origine del bronco principale, mentre, il
bronco lobare medio e inferiore originano a ca. 5 cm dalla biforcazione della trachea. A sinistra,
invece, il bronco principale si divide in bronco lobare superiore e in bronco lobare inferiore a
ca. 5 cm dalla biforcazione della trachea. I bronchi lobari a loro volta si dividono in 10 bronchi
segmentali a destra e 9 bronchi segmentali a sinistra.
- Plesso Esofageo
L’innervazione parasimpatica dell’esofago è affidata al n. vago. Le fibre del n. laringeo
ricorrente si diramano nella porzione cervicale e in quella toracica superiore. Nella porzione
toracica inferiore, al di sotto della biforcazione della trachea, il n. vago di destra e il n. vago di
sinistra si incontrano per formare un plesso esofageo, posto nella tonaca avventizia, da cui
originano un tronco vagale anteriore, che si pone anteriormente all’esofago, e un tronco vagale
posteriore, che decorre posteriormente alla parete dell’esofago. I due tronchi penetrano nella
cavità addominale insieme all’esofago.
- Pleura
La pleura è la sierosa del polmone. Si distinguono una pleura viscerale e una pleura parietale,
quest’ultima che riveste le pareti della cavità che accoglie il polmone. La riflessione tra le due
pleure e la loro unione avviene a livello dell’ilo polmonare. Tra i due foglietti pleurici è situata
una cavità sierosa capillare, contenente pochi millilitri di liquido sieroso e che consente ai due
foglietti di scivolare l’uno sull’altro durante i movimenti polmonari della respirazione.
1. PLEURA VISCERALE
Appare liscia, trasparente e lucente. È saldamente connessa con la superficie polmonare
e la riveste praticamente ovunque. Penetra inoltre nelle scissure interlobari costituendo i
setti pleurici che accompagnano le vv. polmonari nel loro decorso interlobare. Manca
nella regione circondata dalla piega di riflessione dei due foglietti pleurici, l’ilo
polmonare, ovvero l’ingresso dove vengono accolte le strutture costituenti il peduncolo
del polmone, e nella sottile regione della superficie mediastinica di questo, in cui i due
foglietti pleurici si accollano a formare il ligamento polmonare.
2. PLEURA PARIETALE
Si divide in tre porzioni in base alla sua posizione nella cavità toracica.
Pleura Costale : pur sottile, prevale in spessore e resistenza rispetto alle altre. È
addossata verso il davanti sulla fascia endotoracica che però, posteriormente, si fa più
discontinua. La fascia endotoracica è sostanzialmente un sottile strato connettivale
interno della parete toracica che separa quest’ultima dalla pleura; questo sottile strato
extrapleurico di connettivo è molto importante da un punto di vista chirurgico e si trova
interposto anche tra il m. diaframma e la pleura diaframmatica. In corrispondenza della
cupola pleurica la fascia endotoracica si irrobustisce e forma una membrana sovra
pleurica che fissa in alto questa porzione della parete sierosa con le strutture della parete.
In avanti la pleura costale entra in rapporto con la superficie posteriore dello sterno, con
il m. trasverso del torace e con i vasi toracici e mammari interni, sul davanti;
lateralmente si accolla ai m. inter- e sottocostali; posteriormente entra in comunicazione
con il versante laterale della colonna vertebrale. Riveste inoltre, prima di pervenire a
questo rapporto, le vv. azygos ed emiazygos, il tronco toracico dell’ortosimpatico e i
vasi e i nervi intercostali.
LIGAMENTO POLMONARE
È formato dalle pieghe di riflessione anteriore e posteriore che, caudalmente all’ilo
polmonare, si avvicinano moltissimo delimitando una sottile area, anterolateralmente
all’esofago e ancor di più, a sinistra, all’aorta.
1. PROPRIETA’ GENERALI
Volume : premessa la variabilità individuale, in stato di media distensione, il diametro
verticale massimo è, posteriormente, ca. 25 cm; il diametro sagittale alla base è di ca. 16
cm; il diametro trasversale è, sempre alla base, a sinistra di ca. 10 cm e a destra di ca. 7
cm. Nel maschio il volume polmonare è più grande di ca. ¼. In media esso è di 1617
cm3, nel maschio, mentre, nella femmina, di 1290 cm3. Il volume del polmone destro è
di 1/10 più grande di quello sinistro.
A destra il volume è occupato quasi per metà dal lobo inferiore, a cui seguono per
volumetria il lobo superiore e poi il medio. Nel polmone sinistro prevale leggermente il
lobo inferiore.
Peso : in media nel maschio adulto il polmone destro a un peso di ca. 682g, mentre il
polmone sinistro di ca. 619g. Nella donna il peso del polmone sinistro è di ca. 541g
mentre per il polmone destro di ca. 482g.
Il tessuto di un polmone dopo inspirazione contiene aria e ha un peso specifico inferiore
rispetto a quello dell’acqua, e quindi vi galleggia. Questa nozione è di notevole
importanza in Medicina Legale e in Anatomia Patologica, tenendo presente che processi
morbosi appesantiscono il polmone sostituendo il suo tessuto con tessuti più compatti e
rendendo il suo peso specifico superiore a quello dell’acqua.
Capacità : in una espirazione profonda rimane nel polmone una quantità d’aria residuale
pari a ca. 2,4 l, mentre in una espirazione tranquilla rimangono nei polmoni ca. 3,2 l di
aria. Se consideriamo invece il volume di aria presente nei polmoni alla fine dell’atto
inspiratorio tranquillo possiamo stabilire approssimativamente un volume di ca. 3,4-3,7 l
d’aria.
3. ILO POLMONARE
Si definisce peduncolo polmonare l’insieme di tutti i vasi e i bronchi che entrano ed
escono dal centro della faccia mediastinica del polmone e che costituiscono un
collegamento con il cuore e la trachea. Le strutture in entrata e in uscita dall’ilo
polmonare sono completamente rivestite da una piega di riflessione della pleura che si
estende in direzione caudale posteriormente all’impronta cardiaca. in questo modo le
pieghe si accollano l’una all’altra e formano il ligamento polmonare. L’ilo polmonare,
escluso dalla cavità pleurica, risulta essere connesso direttamente con la cavità
mediastinica attraverso tessuto connettivo lasso mediastinico.
4. MARGINI POLMONARI
Le superfici del polmone sono delimitate anteriormente e in basso da margini sottili e
netti. Anteriormente la faccia costale e quella mediastinica confluiscono l’una nell’altra
in corrispondenza del margine anteriore. Nel polmone sinistro tale margine mostra un
insenatura, l’incisura cardiaca, dovuta alla profonda ed estesa impronta cardiaca. Il
margine inferiore si trova tra la faccia costale e quella diaframmatica.
6. TOPOGRAFIA TORACO-POLMONARE
In ambedue i polmoni il margine anteriore ha inizio al di dietro dell’articolazione
sternoclaveare; di qui i suoi margini scendono in dietro e obliquamente dietro il
manubrio dello sterno fino all’angolo sternale. Poi essi procedono verticalmente in basso
separati da un sottile interstizio, fino a livello della IV o V cartilagine costale, trovandosi
peraltro il margine destro a sinistra della linea mediana, mentre quello sinistro decorre
lungo il margine sternale dello stesso lato. Qui il margine destro si inclina e raggiunge
l’estremità sternale della VI e VII cartilagine costale, dove incontra il margine inferiore.
Il margine sinistro invece si incurva fortemente in fuori per formare l’incisura cardiaca,
la cui convessità corrisponde nel suo apice al IV spazio intercostale.
Il segmento laterale del margine inferiore a destra muove dall’estremità sternale della VI
o VII cartilagine costale, a sinistra dal margine superiore del terzo laterale della VI
cartilagine costale. In ambedue i polmoni esso si dirige in basso e lateralmente e poi in
dietro e orizzontalmente, incrociando via via coste sempre più basse. Così, lungo la linea
ascellare media si trova a livello della VII costa, a livello della linea scapolare incrocia
la IX costa e infine, raggiunta l’XI costa, l’accompagna fino alla colonna vertebrale.
Comunque il punto più basso del margine inferiore si trova tra la linea ascellare e la
linea scapolare.
È specialmente il margine inferiore a subire modificazioni durante la fase respiratoria
tranquilla, in armonia col fatto che sono le modificazioni spaziali in senso verticale della
cavità toracica ad influire maggiormente sull’aumento del volume polmonare. Infatti, il
margine inferiore trova posto nell’espandersi, nell’esteso seno pleurico costo-
diaframmatico, che però non è mai, anche in una inspirazione profonda, del tutto
riempito. Il massimo di espansione avviene lungo la linea ascellare anteriore è non va
mai oltre un’escursione di 3-4 cm, distando ancora 5,5-7 cm dal fondo del seno pleurale.
LIMITI ANATOMICI
I limiti anatomici della parete anteriore si continuano in corrispondenza della parete posteriore, creando
continuità tra la parete anterolaterale e quella posteriore.
Il limite craniale dell’addome corrisponde a quella che viene definita come linea toraco-addominale e
individua il limite anatomico superficiale tra torace e addome. In corrispondenza di questo limite vi è sul
piano profondo una corrispondenza con il limite craniale della cavità addominale rappresentato dal m.
diaframma. Quando si descrivono le linee anatomiche si parte sempre dal piano sagittale mediano; in
questo caso la struttura anatomica di riferimento da cui ha origine la linea toraco-addominale è
rappresentata dall’apofisi del processo xifoideo dello sterno, ovvero la porzione più caudale di
quest’osso piatto. Da qui la linea si porta inferolateralmente da ambo le parti, tangente al margine
inferiore dell’arcata costale. In questo modo la linea si porta dalla parete anteriore a quella laterale per
poi deviare medialmente al confine tra parete laterale e parete posteriore, per risalire in senso supero
mediale fino alla colonna vertebrale e in particolare fino al processo spinoso prominente di T12.
Il limite caudale dell’addome corrisponde alla linea addomino-pelvica; questa linea dovrebbe
corrispondere al limite anatomico tra regione addominale e regione pelvica, ma in realtà sappiamo che il
limite tra cavità addominale e cavità pelvica è solo un limite convenzionale, poiché esiste una continuità
tra questi due compartimenti presi singolarmente. Ripartendo dal piano sagittale mediano la prima
struttura anatomica che si individua è la sinfisi pubica, in particola il suo margine superiore; procedendo
superolateralmente su entrambi i lati si incontrano due strutture di riferimento piuttosto rilevanti come i
tubercoli pubici, da cui si risale attraverso la piega inguinale, una piega cutanea, verso la parete
anterolaterale in corrispondenza delle creste iliache. Continuando lateroposteriormente e seguendo il
decorso delle creste iliache si giunge, attraverso una linea convenzionale della parete posteriore, al
processo spinoso di L5, sul piano sagittale mediano.
Tutto ciò che si trova incluso tra queste due linee può essere considerato parte della parete addominale.
A differenza di quanto avviene nella parete toracica noi non abbiamo strutture ossee che delimitano la
cavità addominale; questa caratteristica fondamentale fa si che il compito di contenimento e protezione
sia affidato, nella costituzione della parete toracica, prevalentemente, alla componente muscolare.
La maggior parte dei visceri contenuti nella cavità addominale entrano in rapporto diretto con la lamina
peritoneale; per questo motivo vanno distinti i visceri contenuti in essa da quelli che si pongono al di
fuori del suo rivestimento parietale. In una sezione frontale si può osservare un sottile spazio che si
interpone tra quelle che sono le strutture più interne della parete dell’addome e la cavità peritoneale
propriamente detta. Questo esiguo spazio viene definito come spazio pre-peritoneale, che si interpone
tra la cavità peritoneale propriamente detta e i piani più superficiali e contiene visceri che appartengono
alla cavità pelvica. Un altro spazio, molto più ampio dello spazio pre-peritoneale è lo spazio
extraperitoneale, che occupa la porzione più caudale della cavità addominale e va ad interporsi tra
cavità addominale propriamente detta e pavimento pelvico, ovvero quella struttura che chiude in basso i
visceri contenuti nella cavità pelvica.
Per convenzione quando si descrive una sezione sagittale si procede dal piano più superficiale a quello
più profondo; in questo caso, superato lo strato superficiale e la parete addominale, che comprende lo
strato cutaneo e sottocutaneo, la parete muscolare e le rispettive guaine di rivestimento, possiamo
osservare lo spazio pre-peritoneale, limitato posteriormente dalla lamina peritoneale, ma più
precisamente dalla lamina anteriore che guarda verso la parete addominale anteriore anche detta
peritoneo parietale anteriore; per contro, potremo osservare un peritoneo parietale posteriore, che
chiude posteriormente la cavità peritoneale. Tra quest’ultimo e la colonna vertebrale potremo osservare
uno spazio retroperitoneale, spostandoci su un piano più profondo e procedendo verso la parete
posteriore. È utile notare che vi è, osservando una sezione sagittale mediana, una particolarità nella
parete anteriore dell’addome. Si può apprezzare, infatti, una importante struttura anatomica di
riferimento che corrisponde alla cicatrice ombelicale o ombelico, e che consiste in un addossamento dei
piani superficiali rispetto a quelli più profondi dell’addome.
Infine, abbiamo lo spazio extraperitoneale che chiude in basso la cavità addomino-pelvica; quest’ultima
è divisa in cavità addominale e cavità pelvica da un piano obliquo trasversale convenzionale che passa,
sul davanti, per la sinfisi pubica e si porta superoposteriormente verso il promontorio del sacro, ovvero
il punto di passaggio tra tratto lombare e tratto sacro-coccigeo della colonna vertebrale.
I visceri della cavità addominale sono divisi convenzionalmente in due compartimenti, in base alla loro
posizione rispetto al mesocolon trasverso: compartimento sovramesocolico e compartimento
sottomesocolico; caudalmente a quest’ultimo si trova la cavità pelvica.
2. REGIONE COSTO-ILIACA
I limiti anatomici di questa regione sono, in alto, il margine inferiore dell’arcata costale, a
partire dal punto in cui si interrompe il limite craniale della regione sterno-costo-pubica; in
basso, corrisponde alla linea bispinoiliaca, escludendo la porzione corrispondente della
regione sterno-costo-pubica; il limite anteromediale di questa regione corrisponde ai margini
laterali dei mm. retti dell’addome, fino a quando questi non si intersecano con l’arcata
costale in alto e con la linea bispinoiliaca in basso; posteromedialmente i limiti anatomici
sono rappresentati dai margini laterali dei mm. delle docce vertebrali, ovvero al decorso
della linea paravertebrale, fino a quando questa non incrocia la XII costa nel suo margine
inferiore, e la linea che unisce le spine iliache posteriori superiori. All’interno di questa
regione sono compresi i due triangoli inguino-addominali.
Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 84
Compendio di Anatomia Umana Normale Pagina 85
Parte I - Pareti dell’Addome
PARETE ADDOMINALE ANTEROLATERALE
Da un piano superficiale ad uno più profondo si possono individuare dapprima il tessuto cutaneo e il
tessuto sottocutaneo; in seguito troviamo uno spesso strato, a seconda della conformazione fisica
dell’individuo, di tessuto adiposo, detto pannicolo adiposo. Al di sotto di questo strato di adipe
troviamo lo strato muscolare vero e proprio della parete, dove ciascun muscolo è rivestito da una fascia
connettivale. Infine, tra lo strato muscolare e il peritoneo parietale abbiamo un altro strato di tessuto
adiposo, avente in genere sempre lo stesso spessore, chiamato grasso endoaddominale o
extraperitoneale.
- Fascia Toraco-Lombare
Questa fascia è rappresentata da un esteso foglio connettivale che si divide in una lamina
anteriore e in una posteriore e va a rivestire e a contenere i mm. profondi del dorso. Nella sua
porzione toracica è sottile e trasparente mentre, scendendo verso la porzione lombare, si fa più
spessa e robusta. Quest’ultima porzione, che discende dalla XII costa fino alla cresta iliaca si
attacca lateralmente ai mm. obliquo interno e trasverso dell’addome.
- Vertebre Lombari
I corpi delle 5 vertebre lombari sono nettamente più grandi di quelli delle altre vertebre della
colonna. Il processo spinoso è piatto e diretto orizzontalmente indietro. La lamina dell’arco
vertebrale è breve e tozza; il peduncolo appare molto robusto, in relazione alla grandezza del
corpo. Procedendo dall’avanti all’indietro troviamo, dopo il peduncolo, su ambo i lati, i processi
costiformi, che si dipartono lateralmente come se fossero dei processi trasversi. Dietro di questi
troviamo un piccolo processo accessorio, che rappresenta, insieme al processo mammillare,
situato sul processo articolare superiore, il vero residuo del processo trasverso delle vertebre
lombari. A livello del confine tra peduncolo e lamina dell’arco vertebrale troviamo, come di
consueto, i processi articolari che si dipartono l’uno cranialmente e l’atro caudalmente. I
processi articolari superiori presentano le facce articolari orientate medialmente, i processi
articolari inferiori, invece, hanno le facce articolari rivolte lateralmente. Come in tutte le altre
vertebre anche in quelle lombari possiamo notare tra corpo vertebrale e processi articolari, delle
incisure vertebrali superiori e inferiori. Queste ultime, le incisure vertebrali inferiori, sono
molto più accentuate, e si estendono dalla faccia lateroposteriore del corpo fino al margine
anteriore del processo articolare inferiore, su entrambi i lati. I forami vertebrali risultano piccoli.
Una particolarità tra le vertebre lombari è che il corpo di L5 diminuisce in altezza procedendo in
senso anteroposteriore.
- Fegato
Il fegato è la ghiandola più grossa del corpo. Oltre che a numerose attività metaboliche e ad
immagazzinare glicogeno, il fegato secerne la bile. Ha una forma grossolanamente ovoidale e
una consistenza teso-elastica; in corrispondenza della faccia anterosuperiore presenta una
superficie liscia. Il fegato in condizioni normali ha un peso di ca. 1500g e un colorito rosso-
brunastro. Misura nel suo diametro trasversale ca. 26-28 cm, in quello anteroposteriore o
sagittale 16-17 cm e nel diametro longitudinale ca. 8 cm.
1. CISTIFELLEA
Uno dei compiti del fegato all’interno dell’apparato digerente è quello di produrre la bile,
ovvero una sostanza giallo-verdognola che al momento giusto viene riversata nel duodeno
attraverso le vie biliari. La bile è dunque prodotta nel fegato, ma viene conservata in un
sacchetto di piccole dimensioni che contrae intimi rapporti con quest’organo e prende il
nome di cistifellea o colecisti. Questa funge da deposito della bile ed è alloggiata nella fossa
cistica, lungo la faccia viscerale del fegato, a livello della metà anteriore del solco sagittale
destro.
La cistifellea si presenta con una tipica forma a sacchetto o piriforme, avente una lunghezza
di 8-10 cm, una larghezza di 3-4 cm e una capacità di ca. 50 ml.
Può essere suddivisa in 3 parti, ovvero, in senso craniocaudale, il collo, il corpo e il fondo. Il
collo poi si continua nel dotto cistico, che favorisce al contempo sia l’afflusso della bile
verso la cistifellea dal dotto epatico, sia il deflusso della bile dalla cistifellea verso il dotto
coledoco.
La bile prodotta nel parenchima epatico giunge attraverso la triade portale nel dotto epatico
di destra o di sinistra e questi, dopo essersi uniti, danno origine al dotto epatico comune che
incrocia dopo poco il dotto cistico.
Dalla confluenza tra dotto cistico e dotto epatico comune nasce il dotto coledoco che
convoglia la bile nella cavità duodenale. La colecisti lascia una impronta cistica sulla
porzione discendente del duodeno. Ricordiamo la possibilità della presenza di un ligamento
breve detto colecisto-colico diretto verso la flessura destra del colon.
Inoltre, in corrispondenza della transizione tra collo della cistifellea e dotto cistico troviamo
un tratto spiraliforme, molto irregolare. Questa valvola a spirale mantiene aperto il dotto
cistico in maniera tale da permettere alla bile di confluire nella cistifellea quando il dotto
coledoco è contratto e chiuso dallo sfintere epato-duodenale.
1. MORFOLOGIA
La porzione addominale dell’esofago si apre attraverso l’ostio cardiale, nella prima porzione
conica dello stomaco, il cardias, al quale segue il fondo dello stomaco, situato sotto la
cupola sinistra del diaframma. Il fondo dello stomaco rappresenta la porzione più alta della
cavità gastrica e in un individuo adulto in posizione eretta contiene quasi sempre aria.
In corrispondenza dell’ostio cardiale, il margine sinistro dell’esofago e la grande curvatura
dello stomaco formano un angolo acuto detto incisura cardiale; il margine destro
dell’esofago invece si continua longitudinalmente a livello della piccola curvatura fino al
punto in cui vira bruscamente a destra verso il duodeno, dando così origine all’incisura
angolare dello stomaco.
La maggior parte della cavità gastrica è costituita dal corpo dello stomaco che si continua in
basso con la porzione pilorica, quest’ultima divisa in un antro pilorico e in un canale
pilorico che, attraverso l’ostio pilorico circondato dallo sfintere pilorico, comunica con la
prima porzione del duodeno.
In corrispondenza dell’incisura angolare la grande curvatura presente quella caratteristica
che in anatomia radiografica viene detta ginocchio dello stomaco e differisce dall’incisura
angolare della piccola curvatura, detta gomito dello stomaco.
Il limite convenzionale tra fondo e corpo dello stomaco può essere considerato tracciando un
piano trasversale passante per il punto di passaggio tra margine destro dell’esofago e
piccola curvatura dello stomaco. Se consideriamo il limite anatomico convenzionale tra
corpo e porzione pilorica dello stomaco possiamo tracciare un piano sagittale passante per
l’incisura angolare e per il ginocchio dello stomaco.
1. POSIZIONE E MORFOLOGIA
La milza si proietta a livello della parete addominale anteriore a livello dell’ipocondrio
di sinistra e la regione della cavità addominale dove essa viene alloggiata prende il nome
di loggia splenica o lienale. Il suo asse maggiore corrisponde a quello della X costa e si
può dire, dunque, che è obliquo dall’alto in basso sia posteroanteriormente che
mediolateralmente.
La superficie convessa della milza o faccia diaframmatica risulta essere rivolta
superolateralmente, mentre, la superficie concava o faccia viscerale, e diretta
inferomedialmente. Il margine superiore della milza è esile e provvisto di piccole
incisure irregolari e si rivolge in alto e in avanti. Il margine inferiore e più largo e ottuso
e si rivolge in dietro e in basso. L’estremità posteriore o polo posterosuperiore della
milza giunge fino a 2 cm dal processo trasverso di T10; il polo anteroinferiore o
estremità anteriore della milza invece si può palpare e arriva fino alla linea ascellare
media a livello dell’arcata costale di sinistra.
4. VASCOLARIZZAZIONE
L’a. splenica rappresenta il ramo principale del tronco celiaco e decorre lungo il margine
superiore del pancreas, raggiungendo l’ilo splenico attraverso il ligamento pancreatico-
lienale; le prime diramazioni si trovano ancora incluse in tale ligamento e, in tal modo,
l’a. splenica penetra attraverso 5-6 rami nell’ilo splenico.
La v. splenica rappresenta una delle due grandi radici della v. porta e origina a livello
dell’ilo renale per confluenza di diverse vene. Decorre insieme all’a. omonima
posterosuperiormente al pancreas.
I vasi linfatici passano dai linfonodi splenici, situati in corrispondenza dell’ilo della
milza, per raggiungere i linfonodi pancreatici superiori, alloggiati lungo il decorso dei
grossi vasi splenici, e i linfonodi celiaci, localizzabili a livello del tronco celiaco.
- Mesocolon Trasverso
Il mesocolon trasverso si inserisce sulla parete addominale posteriore secondo una linea
trasversale da destra a sinistra, che incrocia dapprima la faccia anteriore del rene destro, poi la
porzione discendente del duodeno e la testa del pancreas, poi il margine inferiore del corpo e
della coda di questo e, infine, la faccia anteriore del rene di sinistra.
Viene definito compartimento sottomesocolico perché interessa tutti quei visceri che si pongono al di
sotto di un piano che attraversa tutta la cavità addominale da destra a sinistra, che coincide con il
decorso del colon trasverso. In realtà il vero limite anatomico che consente di suddividere i due
compartimenti non è tanto il colon trasverso quanto il suo meso, mesocolon appunto, derivato dalla
riflessione delle lamine peritoneali anteriore e posteriore che hanno rivestito le facce del colon trasverso.
Il compartimento sottomesocolico risulta dunque essere delimitato cranialmente dal mesocolon
trasverso, mentre, caudalmente, non presenta un preciso limite anatomico, e si fa corrispondere il
confine tra cavità addominale e cavità pelvica con un piano virtuale obliquo, passante per il
promontorio del sacro e per il margine superiore della sinfisi pubica, diretto dall’indietro in avanti
superoinferiormente.
- Il Mesentere
Il mesentere corrisponde alla lamina peritoneale che riveste tutte le anse dell’intestino tenue
ileodigiunale. Il mesentere aderisce alla parete addominale posteriore attraverso la radice del
mesentere, che si porta attraverso una linea obliqua, mediolaterale da sinistra a destra, e
craniocaudale dal livello di L2 fino alla fossa iliaca di destra. Il mesentere occupa lo spazio
circoscritto dal colon ed è molto importante perché fornisce un ulteriore limite anatomico per
suddividere il compartimento sottomesocolico in più regioni.
Proiettando il decorso della radice del mesentere sulla colonna vertebrale possiamo osservare
come esso origini a sinistra di L2 e discenda craniocaudalmente delimitando due , una di destra
e una di sinistra. Nel discendere inoltre il mesentere incrocia la III e la IV porzione del duodeno,
l’aorta, la v. cava inferiore, l’a. iliaca comune destra, l’uretere di destra e l’a. iliaca esterna di
destra.
Le anse dell’intestino tenue ileodigiunale possiedono diversi gradi di motilità rispetto alla parete
addominale posteriore; questo perché il mesentere riveste le anse non in modo omogeneo ma in
modo differenziato, ovvero esso dopo aver rivestito la parete intestinale prende inserzione
attraverso il meso in corrispondenza della radice del mesentere, in maniera diversa e con diverse
altezze a seconda della porzione intestinale in cui ci troviamo. Infatti, nella prima porzione
l’altezza del mesentere risulta essere minima, mentre, a livello dell’ultima porzione dell’ileo, la
lunghezza del meso compreso tra anse intestinali e radice risulta essere molto lunga.
La linea obliqua tracciata dalla radice del mesentere è lunga ca. 18 cm.
Forame Epiploico di Winslow - E’ sostanzialmente l’unica via di accesso possibile alla borsa omentale
e viene delimitato da precise strutture che ne consentono il riconoscimento; anteriormente è delimitato
da una porzione del piccolo omento, ovvero il ligamento epato-duodenale e dal peduncolo epatico, che
corrisponde alla triade portale che decorre all’interno, compresa tra i due foglietti peritoneali, di questo
ligamento. Posteriormente, il forame epiploico è delimitato dal decorso di un breve tratto della v. cava
inferiore, posta in posizione retroperitoneale. In basso e in alto il forame epiploico si estende nello
spazio compreso tra il lobo caudato del fegato, in alto, e la faccia posterosuperiore della porzione I o
superiore del duodeno, in basso.
Vestibolo della Borsa Omentale - osservando una sezione trasversale si può notare come attraverso il
forame epiploico si giunga ad una sorta di accesso o vestibolo della borsa omentale, che precede la
cavità propriamente detta. Il lobo caudato del fegato sporge completamente nel vestibolo della borsa
omentale, che costituisce la continuazione spaziale del forame epiploico. A sinistra del lobo caudato del
fegato il vestibolo si estende fino alla plica gastropancreatica, che separa questa porzione dalla cavità
vera e propria. All’interno di tale plica peritoneale decorre l’a. gastrica di sinistra, di cui eventualmente
si può apprezzare anche il polso.
Cavità della Borsa Omentale - la cavità precedentemente descritta offre a considerare un recesso
omentale superiore, che si estende grosso modo a destra tra la faccia viscerale del fegato e il diaframma,
e, a sinistra, dalla plica gastropancreatica all’esofago, e un recesso omentale splenico, che chiude la
borsa omentale a sinistra, delimitato dal ligamento pancreatico-lienale e dal ligamento gastrosplenico.
- Il Duodeno
La porzione II del duodeno o duodeno discendente si porta in senso craniocaudale, lateralmente
2-3 cm a destra rispetto a L2 e L3, curvandosi attorno alla testa del pancreas. Nel suo decorso
iniziale essa giace parallela alla destra della v. cava inferiore, che passa posteriormente alla
porzione superiore del duodeno. Nella sua parete posteromediale offre a considera l’ampolla
duodenale maggiore o ampolla di Water e, superiormente a questa, può presentare una ampolla
duodenale minore in cui sbocca un eventuale dotto pancreatico accessorio. Si continua nella
porzione III o orizzontale del duodeno attraverso la flessura inferiore, dopo aver contratto
rapporti, in avanti, con il mesocolon e il colon trasverso e con alcune anse dell’intestino tenue,
indietro con l’ilo del rene destro, con l’uretere e con i vasi renali, oltre che con il m. grande
psoas, e, medialmente, con la testa del pancreas.
La porzione III del duodeno o duodeno orizzontale si porta da destra a sinistra rispetto al piano
sagittale mediano, a livello di L3. In avanti entra rapporto con l’a. e la v. mesenterica superiore,
incluse nella radice del mesentere, che tracciano il limite tra la porzione orizzontale e la
porzione ascendente del duodeno. Mantiene alcuni dei rapporti, come quello con il m. grande
psoas, con le anse dell’intestino tenue e con la testa del pancreas, oltre che instaurare,
superiormente, rapporti con il processo uncinato della testa del pancreas e, posteriormente,
rapporti con la v. cava inferiore, con l’aorta e con l’uretere destro.
La IV ed ultima porzione del duodeno o duodeno ascendente è compresa tra la radice del
mesentere e la flessura duodeno-digiunale. Si porta a sinistra del piano sagittale mediano
risalendo fino a livello di L2; entra in rapporto sul davanti con le prime anse digiunali e,
posteriormente, con il margine sinistro dell’aorta addominale e con il m. grande psoas di
sinistra. Inferiormente e medialmente instaura rapporti con l’ultima e più superiore porzione
della testa del pancreas e, superiormente e medialmente, con la prima porzione della coda del
pancreas. A livello della flessura duodeno-digiunale si porta posteroanteriormente per tornare
come intestino mesenterico in sede intraperitoneale.
È utile ricordare ce la porzione IV o ascendente del duodeno risulta particolarmente stabile
grazie alla presenza di cellule muscolari lisce che formano tra essa e il tronco dell’a. mesenterica
superiore il m. sospensore del duodeno di Treitz.
1. MORFOLOGIA
A scopi di una descrizione macroanatomica il pancreas viene diviso in 4 porzioni: testa,
istmo, corpo e coda.
Testa del Pancreas - si tratta della porzione più slargata, alta 6-7 cm, incastrata
completamente nella C duodenale. Presenta posteroinferiormente e a sinistra un processo
uncinato, disposto a destra della flessura duodeno-digiunale e posteriormente rispetto al
decorso dei vasi mesenterici superiori, di cui forma il letto posteriore; il solco che si
frappone tra processo uncinato e testa propriamente detta è chiamato incisura pancreatica.
Istmo del Pancreas - è una porzione molto breve, di ca. 1,5-2 cm, che si pone anteriormente
ai vasi mesenterici superiori e si frappone tra la testa e il corpo della ghiandola. Presenta due
incisure da cui deriva il nome istmo, ovvero una incisura superiore che entra in rapporto con
il margine inferiore del duodeno superiore, e una inferiore, segnata dal decorso dei vasi
mesenterici superiori.
Corpo del Pancreas - fa seguito all’istmo e giace a sinistra dei vasi mesenterici superiori,
passando anteriormente all’aorta e alla vertebra L2. La superficie anteriore del corpo del
pancreas è rivestita da peritoneo parietale e corrisponde alla parete posteriore della cavità
della borsa omentale.
Coda del Pancreas - giace anteriormente al rene sinistro e contrae intimi rapporti con l’ilo
splenico e la flessura colica di sinistra. L’apice della coda risulta essere tronco e rivolto
verso l’alto. Inoltre, quest’ultima porzione dell’organo risulta essere più mobile ed essere
compresa tra gli strati del ligamento pancreatico-lienale, insieme ai grossi vasi splenici.
3. DOTTO PANCREATICO
Il dotto pancreatico ha un lume il cui diametro risulta essere di ca. 0,2 cm; decorre nel
parenchima del pancreas lungo il suo asse maggiore dalla coda verso la testa, dove entra in
stretto rapporto con il dotto coledoco. Il dotto pancreatico principale si unisce con il dotto
coledoco a formare una porzione breve e dilatata comune, detta dotto o ampolla epato-
pancreatica, che si apre lungo la parete mediale della porzione discendente del duodeno, alla
sommità della papilla duodenale maggiore o ampolla di Vater. Nella sua porzione terminale
il dotto pancreatico principale, come anche il dotto coledoco, possiedono strati di cellule
muscolari lisce disposti in maniera circolare, che formano, rispettivamente, lo sfintere del
dotto pancreatico e lo sfintere del dotto coledoco, che si uniscono a livello della ampolla
epato-pancreatica, a formare lo sfintere di Oddi o sfintere epato-pancreatico.
Se a livello duodenale è presente una ampolla duodenale minore vorrà dire che a livello
pancreatico avremo un corrispondente dotto pancreatico accessorio o del Santorini, che
potrà essere estremamente variabile nel decorso, e presenterà un calibro minore rispetto al
dotto principale. Il dotto pancreatico accessorio, se presente, può essere sia duplice che
duplice con anastomosi con il dotto pancreatico principale, ed è questa una conformazione
che crea qualche problema dal punto di vista clinico. Può, inoltre, essere più lungo e
originare a livello della coda del pancreas, portandosi poi, o sotto lo sbocco del dotto epato-
pancreatico o prima sotto e poi sopra quest’ultimo, incrociandolo due volte; può, infine,
presentarsi con un decorso estremamente variabile e irregolare.
4. VASCOLARIZZAZIONE
La vascolarizzazione arteriosa del pancreas può essere divisa in due porzioni. La prima
porzione corrisponde ai rami che derivano dal tronco celiaco; infatti l’a. splenica, ramo del
tronco celiaco fornisce fino a 10 rami pancreatici, che raggiungono corpo e coda del
pancreas; questi rami poi, formano arcate anastomotiche con le altre aa. pancreatiche che
irrorano la testa del pancreas. La prima porzione arteriosa, derivante dal tronco celiaco,
irrora anche la porzione superiore della testa del pancreas grazie all’a. pancreatico-
duodenale superiore con i suoi due rami, anteriore e posteriore, che raggiungono le facce,
rispettivamente, anteriore e posteriore della testa del pancreas; quest’arteria è una
diramazione dell’a. gastroduodenale che origina dall’a. epatica comune, ramo del tronco
celiaco. Infine, la seconda porzione arteriosa del pancreas è quella che deriva dall’a.
mesenterica superiore con i rami anteriore e posteriore dell’a. pancreatico-duodenale
inferiore, che irrorano la porzione inferiore della testa del pancreas.
1. MORFOLOGIA
Possiamo prendere in considerazione, per quanto riguarda il cieco, una faccia anteriore, in
rapporto con la parete addominale anteriore, una faccia posteriore, in rapporto con il
peritoneo che tappezza la fossa iliaca, e una faccia laterale, in rapporto con la parete
addominale laterale e con la porzione inferiore dello spazio parietocolico di destra. Inoltre
possiamo considerare anche una faccia mediale dell’intestino cieco, in rapporto con i vasi
iliaci esterni e il m. grande psoas, oltre che con le anse più inferiori dell’intestino tenue
mesenteriale. Il peritoneo che riveste la fossa iliaca e che si riflette per rivestire la faccia
posteriore del cieco forma a questo livello, ovvero posteriormente al cieco, un recesso
retrociecale che consente di apprezzare il grado di motilità che il cieco possiede in quanto
porzione intraperitoneale dell’intestino crasso. Lungo la faccia anteriore decorre la tenia
libera, ovvero l’unica delle tre tenie apprezzabile sul davanti in questa porzione dopo
apertura dell’addome; lungo la faccia laterale del cieco decorre la tenia omentale, da cui si
dipartono delle esili pieghe ciecali che rinforzano l’inserzione dell’intestino cieco sulla
parete addominale anteriore; infine, lungo la parete posteriore decorre la tenia mesocolica.
Le tre tenie confluiscono lungo il fondo del cieco, incontrandosi a livello del punto di
origine dell’appendice vermiforme.
2. VALVOLA ILEO-CIECALE
La valvola ileo-ciecale consente il transito, in direzione univoca, dall’ileo al cieco. Questa
valvola è delimitata da un labbro superiore e da un labbro inferiore, che consentono al
materiale che transita dall’ileo al cieco di non refluire in direzione opposta. Questi labbri o
pieghe, che la valvola possiede dal momento che l’ileo si invagina all’interno della cavità
ciecale, si continuano confluendo lateralmente in due angoli o frenuli della valvola ileo-
ciecale. I frenuli si stirano o si distendono a seconda che l’orifizio ileo-ciecale debba essere
aperto o chiuso dalla valvola.
3. VASCOLARIZZAZIONE
Il cieco è vascolarizzato da un ramo dell’a. mesenterica superiore, ovvero l’a. ileo-colica,
che si ramifica e provvede alla vascolarizzazione del cieco sia lungo la sua faccia anteriore,
sia lungo quella posteriore. I rami ciecali dell’a. ileo-ciecale si anastomizzano poi lungo la
parete laterale, circondando l’intestino. Il drenaggio venoso segue parallelamente quello
arterioso attraverso la v. ileo-colica, ce drena nella v. mesenterica superiore.
- Il Colon Discendente
Decorre in corrispondenza della parete laterale sinistra in posizione retroperitoneale. In
corrispondenza della flessura sinistra del colon, situata sotto la cupola sinistra del diaframma, il
colon trasverso forma un angolo acuto che si continua nella porzione discendente del colon.
Quest’organo occupa una posizione retroperitoneale secondaria, poiché risulta essere rivestito
dal peritoneo lungo le sue facce laterale, anteriore e mediale, ma non posteriormente, dove si
ancora alla parete addominale posteriore.
Il colon discendente, come tutte le porzioni coliche infero laterali di sinistra, risulta essere
vascolarizzato dall’a. colica di sinistra, che forma importanti arcate anastomotiche in alto con
l’a. colica media, e che è un ramo prossimale dell’a. mesenterica inferiore, arteria che si diparte
dall’aorta, caudalmente rispetto all’a. mesenterica superiore.
Il drenaggio venoso del colon discendente avviene attraverso la v. colica di sinistra, che drena
nella v. mesenterica inferiore, che confluisce, attraverso la v. splenica, nella v. porta.
1. MORFOLOGIA
In sezione sagittale offre a considerare due curve, una a concavità anteriore, posta
anteriormente al sacro e al coccige e detta curva sacrale o flessura sacrale del retto, ed una
a concavità posteriore, meno estesa e corrispondente, nel maschio, all’apice della prostata e,
nella femmina, alla parte media della vagina, detta flessura anorettale o curva perineale.
Esistono due punti di repere per stabilire il passaggio dalla curva sacrale a quella perineale;
sono due strutture anatomiche diverse nei due sessi, ovvero l’apice della prostata nel
maschio e la vagina nella femmina.
Osservando una sezione frontale, la prima parte dell’intestino retto che risulta essere più
dilatata corrisponde all’ampolla rettale e si continua con il canale anale, una parte più
ristretta che corrisponde alla parte perineale dell’intestino retto ed è lunga ca. 4 cm, che
sbocca all’esterno attraverso l’ano. Il limite anatomico tra queste due porzioni corrisponde
all’inserzione, sulle pareti laterali dell’intestino retto di due importanti muscoli. Il primo
corrisponde ai mm. elevatori dell’ano, importanti per l’atto della defecazione, che si portano
dalle due pareti laterali, convergendo verso il piano sagittale mediano e prendono inserzione
sulle pareti laterali del retto. La transizione da ampolla rettale a canale anale corrisponde
anche al punto in cui il retto va a perforare il diaframma pelvico, che chiude in basso il
pavimento pelvico.
Sempre in una proiezione frontale, l’intestino retto offre a considerare tre pliche trasversali,
interne e con andamento ortogonale all’asse maggiore del retto. Queste sono responsabili
della formazioni di tre flessure, superiore e inferiore provenienti da sinistra, e una media, più
marcata e sporgente nella parete laterale interna del canale, proveniente da destra. La plica
media corrisponde al punto più basso, nella donna, della cavità peritoneale, ovvero al cavo
retto-uterino, distante ca. 6 cm dall’orifizio anale.
3. VASCOLARIZZAZIONE
Alla vascolarizzazione arteriosa dell’intestino retto concorrono tre vasi arteriosi, che si
succedono in senso craniocaudale e possiedono diverse origini. Il primo vaso, l’a. rettale
superiore, origina dall’a. mesenterica inferiore e vascolarizza la porzione superiore del retto
dividendosi in un ramo destro e in uno sinistro. Il secondo ramo corrisponde all’a. rettale
media, che origina dall’a. iliaca interna e irrora le porzioni media e inferiore del retto. La
terza ed ultima arteria che concorre alla vascolarizzazione di quest’organo è l’a. rettale
inferiore, ramo dell’a. pudenda interna, che vascolarizza la giunzione anorettale e il canale
anale. Tra loro questi tre rami arteriosi stabiliscono importanti circoli anastomotici.
La vascolarizzazione venosa è simile a quella arteriosa, ma va ricordato come il drenaggio
venoso sia garantito da un vero e proprio plesso venoso emorroidale, che drena attraverso le
tre principali vene emorroidali, ovvero la superiore, la media e l’inferiore; la v. emorroidale
superiore appartiene alla circolazione venosa portale.
1. MORFOLOGIA
In ciascun rene si possono distinguere una faccia anteriore, che guarda verso la parete
addominale anteriore, una faccia posteriore, che guarda la parete addominale posteriore, un
margine laterale, che guarda verso la parete laterale dell’addome ed appare convesso, e l’ilo
renale, che appare concavo e dove entrano ed escono i vasi e i nervi renali, oltre che gli
ureteri. Inoltre nel rene si possono distinguere un polo superiore, in rapporto con il surrene,
ed un polo inferiore.
3. STRUTTURE DI RIVESTIMENTO
Il parenchima renale risulta essere rivestito da una capsula fibrosa, formata da tessuto
connettivo, che lo avvolge come struttura di protezione. Mancando di rivestimento
peritoneale, il rene non gode della funzione che il peritoneo svolge rispetto agli altri organi
posti in sede intraperitoneale o retroperitoneale secondaria.
Il rene risulta contrarre un rapporto molto importante per la sua posizione anatomica con il
m. quadrato dei lombi, posteriormente, oltre che poggiare, medialmente, in posizione
paramediana, sulla superficie ventrolaterale del m. grande psoas.
La fascia renale ha una funzione di protezione e di rivestimento del parenchima renale, e lo
riveste sia in corrispondenza della superficie anteriore dei due reni, sia in corrispondenza
della loro superficie posteriore, presentandosi, in una sezione trasversale, con un foglietto
anteriore, o prerenale, e un foglietto posteriore, o retrorenale. Queste due lamine tendono
ad unirsi in corrispondenza del polo superiore del rene e lungo il suo margine laterale.
Quindi in una sezione trasversa i due reni risultano essere completamente avvolti dalle due
lamine che costituiscono la fascia renale, in continuità tra loro, e che si portano dall’avanti
all’indietro, mediolateralmente. Inoltra va ricordato che il foglietto posteriore della fascia
renale risulta essere più spesso di quello anteriore. La fascia renale è aperta medialmente e in
basso, dove contiene esclusivamente tessuto adiposo. Il volume della capsula adiposa,
costituita dal grasso perirenale, ovvero l’altra struttura connettivale che contribuisce a
tenere in situ il rene, varia in base allo stato di nutrizione dell’individuo. La capsula adiposa
risulta essere rivestita dalla fascia renale, mentre, all’esterno di questa, troviamo lo strato
adiposo comune della parete addominale o grasso endoaddominale, più spesso e presente,
che prende il nome di grasso pararenale. Il fatto che la fascia renale sia aperta verso il basso
corrisponde ad una situazione fisiologica che garantisce la possibilità che durante
l’inspirazione i due reni si spostino rispetto alle loro posizioni normali, con un escursione
variabile di 2-3 cm. Inoltre, come per tutti i visceri della cavità addominale, contribuisce
come mezzo di fissità anche la pressione endoaddominale.
- L’Uretere
L’uretere è un canale leggermente appiattito e caratterizzato da una parete spessa, che collega la
pelvi renale alla vescica urinaria. È un organo pari della lunghezza approssimativa di 25-30 cm.
I due ureteri, destro e sinistro, si aprono indipendentemente l’uno dall’altro nella vescica
urinaria.
1. MORFOLOGIA
In base alla situazione topografica e in seguito alla sua notevole lunghezza, ogni uretere
viene diviso in tre porzioni, ovvero una porzione addominale, che corrisponde alla porzione
più superiore e prossimale e si trova in sede retroperitoneale, una porzione pelvica, che
decorre nella pelvi e corrisponde alla porzione media, e, infine, una pozione intramurale o
vescicale, che corrisponde alla breve porzione distale degli ureteri compresa nello spessore
della parete vescicale.
Nel descrivere gli ureteri possono essere descritti dei restringimenti riscontrabili lungo il
loro decorso. Questi saranno l’istmo superiore, o colletto, che si trova subito dopo il loro
punto di emergenza a partire dalla pelvi renale, l’istmo inferiore, o restringimento iliaco, che
si trova in corrispondenza del punto di transizione tra la porzione addominale e la porzione
pelvica; come punto di repere per individuare questo restringimento si considerano i due
vasi iliaci, a. e v. iliaca, dove l’uretere, scavalcati questi due grossi tronchi vasali, si
restringe e modifica il suo decorso portandosi più medialmente verso il piano mediano.
Infine, il terzo ed ultimo restringimento riscontrabile nella struttura dell’uretere è il
restringimento intramurale, ovvero quella diminuzione di calibro che l’uretere offre a
considerare subito prima di entrare nello spessore della parete vescicale.
3. VASCOLARIZZAZIONE
Diversi vasi arteriosi concorrono alla vascolarizzazione dell’uretere lungo il suo intero
decorso; a livello della porzione addominale avremo rami delle aa. renali e delle aa.
spermatiche interne o ovariche. A livello della porzione pelvica invece, alla
vascolarizzazione dell’uretere concorreranno rami dell’a. rettale media, dell’a. vescicale
inferiore e, più caudalmente e destinati alla porzione più inferiore, rami dell’a. pudenda
interna; è utile ricordare come queste ultime arterie citate siano tutti rami dell’a. iliaca
interna.
Il drenaggio venoso è garantito, parallelamente all’impalcatura arteriosa disposta attorno
all’uretere, dalle vv. renali, dalle vv. spermatiche interne e dai rami delle vv. iliache interne.
1. MORFOLOGIA
Dall’avanti il surrene destro presenta una forma triangolare con un apice evidente. La base
appare concava e in stretta relazione con il polo superiore del rene. Ventralmente il surrene
di destra entra in rapporto con il lobo destro del fegato e, più medialmente, con la v. cava
inferiore. Il surrene sinistro possiede una forma a semiluna e si applica più medialmente nei
confronti del rene rispetto a quanto avviene a destra. Infatti, la parte superiore del margine
mediale del rene risulta essere in stretto contatto con la base concava del surrene sinistro.
Ventralmente il surrene sinistro entra in rapporto con la borsa omentale e con la faccia
posteriore dello stomaco. Entrambi i surreni si trovano in uno spazio che si proietta sulla
parete addominale posteriore tra la XI e la XII costa.
2. VASCOLARIZZAZIONE
Le ghiandole surrenali sono riccamente fornite di sangue arterioso. Secondo una descrizione
classica, queste ricevono principalmente tre rami arteriosi per lato, che si dividono in base
alla loro origine e alla porzione degli organi surrenali che vanno a vascolarizzare. Avremo
così un’ a. surrenale superiore, che origina dal ramo laterale dell’a. frenica inferiore prima
che questa raggiunga il centro frenico del diaframma lungo la sua faccia inferiore, un’a.
surrenale media, che origina direttamente dall’aorta ed un’a. surrenale inferiore, che origina
dall’a. renale. Per quanto concerne la distribuzione di questi rami avremo che l’a. surrenale
superiore si porterà lungo il margine mediale del surrene fino al suo apice, per
vascolarizzare la faccia anteriore della ghiandola; l’a. surrenale media si distribuisce lungo
la faccia posteriore mentre, l’a. surrenale inferiore, giunge alla ghiandola più in basso della
media, ma ne vascolarizza la medesima porzione. In ogni caso si ritrovano numerose
anastomosi sia superficiali che interne al parenchima della ghiandola tra questi tre rami
arteriosi.
Il drenaggio venoso avviene, a destra, con un breve ramo surrenale che sfocia direttamente
nella vicina v. cava inferiore e, a sinistra, attraverso una più lunga v. surrenale sinistra che
può raggiungere o la v. renale sinistra o direttamente la v. cava inferiore o, in ultima istanza,
la v. frenica inferiore di sinistra.
2. RAMI VISCERALI
Vene Renali - è un tronco pari, breve e voluminoso, che si costituisce a livello dell’ilo renale per
la confluenza di 3-5 vene principali che emergono dal parenchima renale. Decorre
trasversalmente, un po’ obliqua caudocranialmente in direzione lateromediale, a livello di L2, e
aprendosi nella v. cava inferiore lungo le facce laterali di questa, determinandone un discreto
aumento di calibro. Sono affluenti delle vv. renali le vene della capsula fibrosa del rene, quelle
dell’uretere, piccole vv. provenienti dal surrene e, a sinistra, anche la v. spermatica interna, che
può confluire nella v. renale sinistra. le vv. renali stabiliscono anastomosi con le vv. lombari e, a
volte, con la v. emiazygos. A livello del loro sbocco si può trovare una valvola rudimentale.
Ciascuna v. renale è posta davanti all’omonima arteria in sede retroperitoneale. La sinistra è un
po’ più voluminosa e decorre, data la posizione del rene sinistro, con un decorso meno obliquo e
più lungo, portandosi davanti all’aorta e passando immediatamente al di sotto dell’origine dell’a.
mesenterica superiore.
Vene Surrenali - è una vena pari discretamente voluminosa, che proviene, soprattutto a destra,
dal parenchima della ghiandola surrenale. A sinistra infatti vi sono vv. surrenali dirette alla v.
renale e alla v. frenica inferiore, oltre che alla v. cava inferiore.
Vene Spermatiche Interne - sono vene pari che accompagnano il decorso delle arterie omonime.
Vene Epatiche - le grandi vv. epatiche sono costituite da tre grossi tronchi di 1,5-1,8 cm di
calibro che emergono dal fegato in corrispondenza della parte più alta della fossa della v. cava e
si aprono ad angolo acuto in questa vena determinandone un secondo, il primo era in
corrispondenza delle vv. renali, aumento di calibro. Dei tre il tronco destro, che drena il lobo
destro del fegato, è il più voluminoso mentre il medio e quello più piccolo.
- Il Plesso Celiaco
Il plesso celiaco, o plesso solare, che circonda la radice del tronco celiaco arterioso, contiene
due gangli celiaci irregolari, uno destro e uno sinistro, della lunghezza approssimativa di 2 cm,
che si uniscono al di sopra e al di sotto del tronco celiaco. Le fibre simpatiche del plesso celiaco
provengono dai nervi grande e piccolo splancnico, ovvero da nervi splancnici toracici inferiori.
Le fibre parasimpatiche, invece, derivano dal tronco vagale posteriore, che deriva sia dal nervo
vago destro che dal nervo vago di sinistra.
1. ILEO
L’ileo è la porzione più estesa dell’osso dell’anca. È costituito da un corpo e da un ala; il
corpo contribuisce alla costituzione dell’acetabolo e risulta essere la porzione più inferiore,
l’ala invece, risulta essere la porzione superiore più slargata, separata dal corpo mediante la
linea arcuata dell’ileo, ovvero una linea che si porta anteroposteriormente e
inferosuperiormente dal corpo del pube fino alla superficie auricolare dell’articolazione
sacroiliaca. Il corpo dell’ileo presente come caratteristiche morfologiche evidenti, lungo la
faccia laterale o esterna, in corrispondenza dell’acetabolo, il solco sopraacetabolare, che si
pone attorno a demarcare il decorso del ciglio dell’acetabolo, e lungo la faccia mediale o
interna la linea arcuata. L’ala dell’ileo offre a considerare, sulla faccia laterale o esterna, la
faccia glutea, ovvero una superficie liscia ed estesa attraversata da tre linee glutee, ovvero
inferiore, anteriore e posteriore, mentre, lungo la faccia mediale o interna, la fossa iliaca,
che presenta una porzione anteriore liscia ed estesa, ed una porzione posteriore più
irregolare, dove si possono trovare la tuberosità iliaca e soprattutto la superficie auricolare
per l’articolazione sacroiliaca. Il margine superiore dell’ala dell’ileo è rappresentato dalla
cresta iliaca, che origina anteriormente in corrispondenza della spina iliaca anteriore
superiore e si continua anteroposteriormente attraverso due labbri, uno laterale o esterno e
uno mediale o interno, separati da una linea intermedia; una lieve sporgenza detta tubercolo
iliaco si diparte dal labbro laterale, a circa metà del decorso della cresta iliaca; quest’ultima
termina in corrispondenza della spina iliaca posteriore superiore, posta superiormente alla
vicina spina iliaca posteriore inferiore. Anche la spina iliaca anteriore superiore risulta
essere contigua alla spina iliaca anteriore inferiore, da cui è separata per mezzo di una lieve
incisura. Sulla faccia glutea oltre a decorrere le tre linee glutee si trovano numerosi forami
nutritizi formati da diversi canalicoli vascolari.
3. ISCHIO
L’ischio è formato da un corpo e da un ramo, il quale unendosi in basso con il ramo
inferiore del pube forma la branca ischiopubica che delimita posteroinferiormente il forame
otturatorio. Nell’ischio si osserva una importante spina ischiatica, lungo il margine
posteriore, che divide quest’ultimo in una grande incisura ischiatica, superiore e in rapporto
con il corpo dell’ileo, ed in una piccola incisura ischiatica, inferiore e in rapporto con il
ramo dell’ischio. La grande incisura ischiatica si estende ad angolo acuto, dapprima
portandosi in alto lungo il margine posteriore del corpo dell’ischio e, in seguito, portandosi
posteriormente lungo il margine inferiore della superficie auricolare dell’ileo. Nel punto di
passaggio tra branca ischiopubica e ramo dell’ischio si trova la tuberosità ischiatica.
1. SINFISI PUBICA
Le due ossa dell’anca sono unite sul davanti per messo della sinfisi pubica, ovvero
un’articolazione per continuità, una sinartrosi, in cui le due facce sinfisarie del pube sono
unite per mezzo di cartilagine fibrosa e tessuto connettivo denso. Inoltre, in corrispondenza
della sinfisi pubica, l’unione tra le due ossa pubiche è rafforzata, cranialmente in
corrispondenza del margine superiore della sinfisi dal ligamento pubico superiore e,
caudalmente in corrispondenza del margine inferiore della sinfisi, dal ligamento arcuato del
pube o pubico inferiore.
2. ARTICOLAZIONE SACROILIACA
Le facce articolari dell’articolazione sacroiliaca sono costituite dalla faccia auricolare di
ciascun osso dell’anca e dalla faccia auricolare ipsilaterale del sacro. Ambedue le facce
articolari risultano essere rivestite da cartilagine fibrosa e da una capsula articolare molto
robusta e praticamente immobile. La capsula risulta essere rivestita da numerosi ligamenti
che ne rafforzano la struttura. I ligamenti specifici della capsula, con una lunghezza minima,
che ancorano direttamente le due facce articolari tra loro, sono i ligamenti posti tra l’ileo e la
faccia laterale del sacro, ovvero i ligamenti sacroiliaci anteriori e posteriori, e i ligamenti
sacroiliaci interossei.
Altri ligamenti robusti e di maggior lunghezza, che contribuiscono ad ancorare l’anca al
sacro, sono il ligamento ileolombare, che va dal processo costiforme di L4-L5 fino alla
tuberosità iliaca, il ligamento sacrotuberoso, che si porta mediolateralmente dall’alto in
basso dalla faccia laterale del sacro alla tuberosità ischiatica ipsilaterale e chiude
posterolateralmente lo stretto inferiore della pelvi, e il ligamento sacrospinoso, che, più
breve e meno robusto rispetto al ligamento sacrotuberoso, si porta medialmente a
quest’ultimo sempre dalla faccia lateroanteriore del sacro fino alla spina ischiatica; questi
due ligamenti originano anche dal coccige e, come dei ventagli, le loro fibre confluiscono e
si addensano in corrispondenza dell’inserzione sulle componenti ischiatiche. Inoltre i
ligamenti sacrotuberoso e sacrospinoso trasformano le incisure ischiatiche, e dividono lo
spazio posto tra queste e il sacro, in due forami, ovvero il grande forame ischiatico, posto in
corrispondenza della grande incisura ischiatica, e il piccolo forame ischiatico, posto in
corrispondenza della piccola incisura ischiatica, quest’ultimo compreso tra le inserzioni dei
due ligamenti, in alto sacrospinoso e in basso sacrotuberoso.
4. LIGAMENTO INGUINALE
Il ligamento inguinale, che corrisponde in superficie alla piega inguinale, costituisce il
margine anteroinferiore dell’aponevrosi del m. obliquo esterno dell’addome. Esso si estende
dalla spina iliaca anteriore superiore al tubercolo pubico. Oltre a dare origine con alcune
sue fibre al ligamento riflesso, che costituisce la parete posteriore dell’anello inguinale
superficiale del canale inguinale, il ligamento inguinale dà origine, in corrispondenza della
sua inserzione sul tubercolo pubico al ligamento lacunare; l’area attraverso cui decorrono
tutte le più importanti strutture destinate agli arti inferiori è posta inferiormente al ligamento
inguinale; quest’area è divisa da un fascio di fibre del ligamento inguinale, che si inserisce
sull’eminenza ileopettinea, detto arco ileopettineo, in una lacuna muscolorum, superiore e
posta tra il ligamento inguinale, l’arco ileopettineo e l’ala dell’ileo, e in una lacuna vasorum,
inferiore è più ristretta, posta tra il ligamento inguinale, il ramo superiore del pube e l’arco
ileopettineo.
- La Fascia Endopelvica
Le strutture comprese nello spazio pelvico sono rivestite da fasce e da spazi virtuali che nel loro
insieme prendono il nome di fascia endopelvica, ovvero quella struttura connettivale che li
riveste nel loro insieme. Dopo aver rimosso il peritoneo e il tessuto connettivo lasso e adiposo
che riempie gli spazi posti tra il peritoneo e la fascia endopelvica, si possono osservare gli spazi
virtuali formati da questa. Dall’indietro al davanti avremo innanzitutto lo spazio presacrale,
ovvero uno spazio chiuso in basso formato, posteriormente, dal ligamento sacrococcigeo
anteriore e, anteriormente, dalla fascia presacrale che si porta mediolateralmente dalla superficie
posteriore del retto alla faccia ventrale dell’articolazione sacroiliaca; lateralmente allo spazio
presacrale si colloca l’addensamento fibroso da cui originano, andando mediolateralmente, la
fascia presacrale, che si porta con il foglietto anteriore e con quello posteriore a rivestire la
muscolatura del retto, il ligamento uterosacrale e il ligamento cardinale con la rispettiva a.
uterina nella femmina, e più anteriormente, la fascia vescicale da cui si diparte l’arco tendineo
della fascia pelvica.
La fascia endopelvica prende origine sia dalle fasce che rivestono i visceri pelvici che dalle
fasce che rivestono i muscoli del pavimento pelvico e delle pareti pelviche.
- La Vescica Urinaria
La vescica urinaria è un viscere dotato di una robusta parete muscolare e caratterizzato da una
marcata distensibilità. La vescica rappresenta un deposito temporaneo per le urine e può variare
per dimensioni, forma , posizione e rapporti in base al suo stato di riempimento e alle condizioni
degli organi adiacenti. Quando è vuota, la vescica dell’adulto si trova nella piccola pelvi,
posteriormente e appena al di sopra delle ossa pubiche. Essa è separata dalle ossa pubiche da
uno spazio retropubico contenente una certa quantità di adipe, e giace inferiormente al peritoneo
poggiandosi sul pavimento pelvico. La vescica è relativamente libera all’interno del tessuto
connettivo extraperitoneale, ma possiede comunque come mezzi di fissità i ligamenti
pubovescicali nella donna e i ligamenti puboprostatici nell’uomo.
1. MORFOLOGIA
La vescica offre a considerare diverse parti; l’apice corrisponde alla parte superoanteriore,
ovvero quella porzione dell’organo che sporge al di sopra del margine superiore della sinfisi
pubica, quando la vescica risulta essere piena; in corrispondenza dell’apice trova
applicazione l’uraco obliterato, che decorre all’interno del ligamento ombelicale mediano.
Il fondo, o la base, della vescica corrisponde alla parte più alta della vescica, ovvero a quella
che si riempie per ultima, in diretta continuità con l’apice, circondata dal pavimento pelvico.
Il corpo della vescica corrisponde alla parte più interna dell’organo mentre il collo della
vescica rappresenta la parte più declive posta tra il corpo della vescica e l’uretra.
L’uretere destro e sinistro si aprono all’interno della cavità della vescica; se consideriamo
come punto di repere i due orifizi ureterali e l’orifizio uretrale posto a livello del collo
vescicale, possiamo descrivere una struttura di forma triangolare, la cui base corrisponde ad
un rilievo detto piega interureterica che va ad unire i due orifizi ureterali, e il cui apice,
posto inferiormente, corrisponde all’orifizio uretrale; questa struttura è detta trigono
vescicale. Nell’ambito del trigono vescicale possono essere considerate due regioni, ovvero
una regione posterosuperiore, che guarda indietro e in alto ed entra in rapporto, nel maschio,
con i condotti deferenti e le vescichette seminali, mentre, nella femmina, con la faccia
anteriore della porzione sopravaginale del collo dell’utero, e una regione inferiore, che
corrisponde al segmento che si continua con l’orifizio uretrale e che, nel maschio, entra in
rapporto con la base della prostata, mentre nella femmina, entra in rapporto con la parete
anteriore della vagina. Quest’ultima porzione corrisponde al collo imbutiforme della vescica.
Per quanto riguarda invece il corpo della vescica, possiamo descrivere una faccia
anteroinferiore, in rapporto con la sinfisi pubica e rivolta verso la parete addominale
anteriore, una faccia posterosuperiore, che individua come punti di repere per la sua
estensione l’apice della vescica e gli orifizi ureterali ed è rivestita da peritoneo parietale, e
due margini laterali, in rapporto con il m. elevatore dell’ano, sia a destra che a sinistra.
3. VASCOLARIZZAZIONE
La vescica riceve una ricca vascolarizzazione arteriosa da due rami vescicali, ovvero l’a.
vescicale superiore, ramo dell’a. ombelicale che origina dal tronco anteriore dell’a. iliaca
interna e che si oblitera dopo aver fornito i rami vescicali superiori, e l’a. vescicale inferiore,
che origina insieme all’a. rettale media dall’a. iliaca interna.
Per quanto concerne il drenaggio venoso, l’organo sarà drenato da un plesso venoso, che
nella femmina corrisponde al plesso venoso vescico-vaginale, nel maschio al plesso venoso
vescico-prostatico.
- La Vescichetta Seminale
Le vescichette seminali sono ghiandole pari che producono un secreto alcalino ricco di fruttosio
che costituisce una buona percentuale del liquido spermatico. La vescichetta seminale è lunga
ca. 5 cm ed è costituita da un canale ghiandolare lungo ca. 15 cm avvolto ripetutamente su se
stesso; si presentano come delle piccole ghiandole dilatate poste obliquamente sopra la prostata
al di dietro della vescica. Il loro apice è in rapporto con il peritoneo che si riflette per formare il
cavo retto-vescicale; risultano essere separate dal retto, come anche la faccia posteriore della
prostata, dalla fascia retto-vescicale o retto-prostatica del Denonvillers, che si porta dal cavo
retto-vescicale fino al centro tendineo del perineo separando la porzione urogenitale anteriore da
quella rettale posteriore, del compartimento pelvico extraperitoneale. Il dotto escretore delle
vescichette seminali, dopo essersi unito al condotto deferente sbocca come dotto eiaculatore
nell’uretra prostatica, attraverso gli orifizi pari del condotto eiaculatore.
La vascolarizzazione arteriosa di quest’organo pari è garantita da rami dell’a. vescicale inferiore
come l’a. vesciculo-deferenziale e le aa. per le vescichette seminali; il drenaggio venoso avviene
attraverso il plesso venoso vescico-prostatico.
- Condotte Eiaculatore
Ciascun condotto eiaculatore è un esile tubo pari di breve lunghezza che nasce dalla confluenza
del dotto di una vescichetta seminale, lateralmente, con il condotto deferente ipsilaterale,
medialmente. Il dotto eiaculatore è lungo ca. 2,5 cm e si dirige, dopo essere originato in
prossimità del collo della vescica lungo la sua parete posteroinferiore, in direzione
anteroinferiore, nel parenchima della porzione posteriore della prostata parallelamente e
lateralmente su entrambi i lati dell’utricolo prostatico. Sono vascolarizzati dalle medesime
componenti che provvedono ad irrorare e a drenare il sangue arterioso e venoso del condotto
deferente.
1. MORFOLOGIA
Sebbene la sua posizione possa cambiare notevolmente in relazione al grado di pienezza sia
del retto che della vescica urinaria e sebbene le sue dimensioni possano variare
considerevolmente in relazione al ciclo uterino, l’utero si presenta di forma piriforme,
leggermente schiacciato sulle sue facce vescicale e intestinale, con un peso di ca. 90 g e, in
situ, un diametro maggiore anteroposteriore o in lunghezza di ca. 8 cm, uno spessore
superoinferiore di ca. 3 cm e una larghezza laterolaterale di ca. 5 cm.
L’utero può essere diviso macroscopicamente in due porzioni, il corpo e il collo. Il corpo
dell’utero costituisce i 2/3 superiori dell’organo ed offre a considerare due particolari
porzioni lungo la sua estensione, ovvero il fondo, che corrisponde alla porzione arrotondata
del corpo situata sopra la linea ideale che unisce i due orifizi uterini dove si aprono su ambo
i lati le tube uterine, e l’istmo, lungo ca. 1 cm, ch corrisponde alla porzione leggermente più
stretta del corpo posta al confine col collo dell’utero. Il collo dell’utero, o cervice, è la
porzione inferiore dell’organo, che protrude all’interno della cavità vaginale nella sua
porzione più alta.
Il corpo dell’utero risulta essere leggermente flesso e mobile rispetto alla cervice dell’organo
e offre a considerare una superficie anteroinferiore, appiattita e leggermente concava, detta
faccia vescicale e una posterosuperiore, leggermente convessa, detta faccia intestinale.
Entrambe le superfici risultano essere rivestite dal peritoneo che, con l’accollamento dei due
foglietti vescicale e intestinale, forma lungo i margini dell’organo il mesometrio o ligamento
largo dell’utero.
I punti superolaterali su cui si inseriscono le tube uterine prendono il nome di corna uterine,
destra e sinistra. La fessura uterina è lunga ca. 6 cm e si porta in senso caudocraniale
dall’orifizio uterino esterno fino alla parete interna del fondo dell’utero.
La cervice o collo dell’utero è lunga ca. 2,5 cm e costituisce il 1/3 distale dell’organo; si
presenta di forma cilindrica e offre a considerare una porzione sopravaginale, separata,
posteriormente, dal retto tramite il cavo retto-uterino e, anteriormente, dalla vescica tramite
uno strato di tessuto connettivo lasso, e una porzione vaginale del collo, arrotondata e detta
anche portio, che si estende nella cavità vaginale e comunica con essa attraverso l’orifizio
uterino esterno.
Il canale cervicale differisce dalla cavità uterina e comunica, attraverso l’orifizio uterino
interno, con essa, mentre, attraverso l’orifizio uterino esterno, comunica con la cavità
vaginale; si presenta con una forma affusolata ed è caratterizzato da una superficie provvista
di pieghe, dette pliche palmate.
3. VASCOLARIZZAZIONE
L’utero è irrorato prevalentemente dalle aa. uterine, rami dell’aa. iliache interne, che
raggiungono l’utero decorrendo prima sotto peritonealmente e poi all’interno del
mesometrio. Raggiunto l’utero a livello della giunzione tra istmo e cervice, le aa. uterine, su
entrambi i lati, si dividono in un ramo ascendente, che si porta con andamento sinuoso lungo
la parete laterale dell’utero, verso il corpo dell’organo e verso le sue porzioni superiori,
lanciando archi anastomotici per il ramo controlaterale, lungo le facce anteriore e posteriore
dell’utero, e in un ramo discendente, che si porta inferiormente come a. vaginale. Nella
regione del fondo dell’utero il ramo principale si anastomizza, su ambo i lati, con rami
terminali dell’a. ovarica. Il drenaggio venoso è assicurato dalle vv. uterine che, a livello del
fondo dell’utero e della cervice, drenano l’esteso plesso venoso uterino.
Gli spazi pelvici che si creano per le interazioni tra fasce e muscoli delle pelvi sono: lo spazio
prevescicale o retropubico del Retzius, che si porta lungo la faccia anteroinferiore della vescica e,
posteroinferiormente rispetto alla sinfisi pubica, al davanti della faccia anteriore della prostata nel
maschio e dell’uretra nella femmina; posteriormente tra la vescica e la fascia di Denonvillers, che separa
longitudinalmente, come un piano frontale, il compartimento urogenitale da quello rettale, si trova lo
spazio retrovescicale, diviso in una porzione superiore, retrovescicale propriamente detta, e una
inferiore, retroprostatica; tra la fascia del Denonvillers e il foglietto anteriore della fascia presacrale
che riveste la superficie anteriore del retto troviamo lo spazio prerettale che si porta craniocaudalmente
dal cavo retto-vescicale o retto-uterino a seconda del sesso, fino al pavimento pelvico, in prossimità
della porzione profonda del m. sfintere esterno dell’ano. Infine, l’unico spazio pelvico posteriore al retto
corrisponde allo spazio presacrale, posto sopra il diaframma pelvico.
Gli spazi perineali, posti dunque al di sotto del pavimento pelvico, risultano essere, anteriormente lo
spazio perineale superficiale, compreso tra la fascia perineale superficiale del Colles e il foglietto
inferiore della fascia profonda del trigono urogenitale, la quale in corrispondenza dei mm. perineali,
costituisce le fasce di rivestimento di questi o fasce di Gallaudet. Superiormente e in profondità rispetto
al foglietto inferiore della fascia profonda, al m. trasverso profondo del perineo e al foglietto superiore
della fascia profonda del perineo, si trova, nel trigono urogenitale, lo spazio perineale profondo, che
posteriormente comunica con le fosse ischiorettali ed è compreso tra il diaframma urogenitale, ovvero il
m. trasverso profondo del perineo, e il diaframma pelvico.
La fascia del Colles si porta posteriormente come setto fibroso trasverso, dividendo il m. sfintere
dell’ano nelle sue porzioni superficiale e sottocutanea; il setto fibroso trasverso divide la fossa
ischiorettale in una porzione profonda o pelvica, da una superficiale o perineale. Il setto fibroso
trasverso corrisponde, sulla parete interna del canale anale, alla linea intermuscolare o linea bianca di
Hilton, al di sotto del quale sono poste la porzione perineale dell’ano e il plesso venoso emorroidale
esterno.
Il diaframma urogenitale risulta essere costituito principalmente dal m. trasverso profondo del perineo,
che chiude in basso lo spazio perineale profondo compreso tra questo, in basso, e il diaframma pelvico,
in alto. Il diaframma urogenitale si trova solo in corrispondenza del trigono urogenitale o anteriore del
perineo e chiude solo in basso, e non posteriormente, lo spazio perineale profondo. Questo infatti risulta
comunicare posteriormente con entrambe le fosse ischiorettali profonde.
Il m. trasverso profondo del perineo appare di forma triangolare avente come base la linea trasversa del
perineo, come apice il ligamento trasverso del perineo, il quale origina per l’unione, in prossimità del
ligamento arcuato del pube e del margine inferiore della sinfisi pubica, dei foglietti superiore e inferiore
della fascia perineale profonda, che riveste il m. trasverso profondo del perineo. Il m. trasverso profondo
del perineo origina dalla branca ischiopubica ipsilaterale e si porta, come muscolo piatto ed esteso, verso
il piano mediano dove, in corrispondenza incontra lo iato urogenitale.
Superficialmente al foglietto inferiore della fascia perineale profonda che riveste la faccia inferiore del
m. trasverso profondo del perineo, si trovano i mm perineali superficiali, rivestiti tutti dalla fascia di
rivestimento o fascia di Gallaudet, che origina dal foglietto inferiore della fascia perineale profonda; i
mm. perineali superficiali sono muscoli pari e circoscrivono, su ambo i lati del piano mediano delle aree
o spazi perineali superficiali di forma triangolare; il m. trasverso superficiale del perineo rinforza il
diaframma urogenitale portandosi dal centro tendineo del perineo fino alla tuberosità ischiatica, e
corrisponde come decorso alla linea trasversale del perineo. Il m. ischiocavernoso segue il decorso
posteroanteriore e lateromediale della branca ischiopubica, su ambo i lati, ponendosi superficialmente
alle radici dei corpi cavernosi del pene e del clitoride e inserendosi sul ligamento sospensore di questi. Il
m. bulbospongioso decorre posteroanteriormente dal centro tendineo del diaframma alla sinfisi pubica,
parallelo al piano mediano, nella femmina, in profondità rispetto alle grandi labbra, nel maschio, a
rivestire il bulbo del pene. Lo spazio pari triangolare posto tra questi 3 muscoli, su ciascun lato, viene
rivestito superficialmente dalla fascia perineale superficiale o del Colles che poi si continua, nel
maschio, come tonaca dartos dello scroto o fascia dartos del pene.
In corrispondenza delle inserzioni mediali del m. trasverso profondo del perineo, questo forma i m.
sfinteri dell’uretra, nel maschio, e uretro-vaginale, nella femmina. Le fasce che rivestono i muscoli e le
strutture del perineo trovano tutte origine sul centro tendineo del perineo.
- Il Pene
Il pene è l’organo esterno impari del maschio deputato alla copulazione e all’espulsione sia di
urina che di liquido seminale. Il pene risulta essere formato da una radice, da un corpo e da un
glande; la radice del pene risulta essere ancorata all’osso pubico e al perineo, il corpo del pene
invece risulta esser la parte sporgente e mobile dell’organo che offre a considerare una faccia
uretrale, ovvero la superficie ventrale del pene, e un dorso del pene, ovvero la superficie dorsale
appiattita. L’organo è composto da tre corpi cilindrici di tessuto erettile cavernoso, ovvero un
corpo cavernoso bicamerato e un corpo spongioso, rivestiti da una spessa capsula fibrosa che
prende il nome di tonaca albuginea.
5. VASCOLARIZZAZIONE
Inferiormente al m. ischiocavernoso decorrono l’a. pudenda interna e il n. dorsale del pene; i
rami destinati alle varie porzioni del pene attraversano il ligamento trasverso del perineo,
ovvero il ligamento profondo formato dalla fusione delle fasce che accompagnano le
strutture del trigono urogenitale del perineo e che chiude in profondità la cavità perineale.
Procedendo in senso anteroposteriore, ovvero dal ligamento arcuato del pube fino al centro
tendineo del perineo, troveremo dapprima la v. dorsale profonda del pene, che si pone lungo
l’asse mediano e penetra tra il ligamento arcuato del pube e il ligamento trasverso del
perineo, in profondità rispetto alla fascia del Buck, come vena impari profonda che drena il
pene, tributaria del plesso vescicale. Superficialmente, invece, alla fascia del Buck
troveremo l’altra vena impari che drena le strutture superficiali dell’organo, ovvero la v.
dorsale superficiale del pene, tributaria del plesso prostatico.
Viceversa, la vascolarizzazione arteriosa del pene è assicurata da tre rami pari dell’a.
pudenda interna, che attraversano il ligamento trasverso del perineo simmetricamente su
ambo i lati del trigono urogenitale; procedendo in senso anteroposteriore avremo dapprima
le aa. dorsali del pene, che decorrono insieme ai nervi omonimi, in profondità della fascia di
Buck, e irrorano gli strati cutanei e sottocutanei, compreso il prepuzio e il glande, del pene.
L’a. dorsale del pene è, insieme all’a. profonda del pene, un ramo terminale dell’a. pudenda
interna; infatti, posteriormente all’a. dorsale decorrono, all’interno delle due camere del
corpo cavernoso le aa. profonde del pene, che forniscono le aa. elicine utili all’erezione dei
corpi cavernosi. Per quanto riguarda la vascolarizzazione arteriosa del corpo spongioso
questa è garantita, su ambo i lati della struttura, dall’a. del bulbo dell’uretra, anch’essa
arteria pari, ramo collaterale dell’a. pudenda interna.
- L’Epididimo
L’epididimo è formato da minute convoluzioni e avvolgimenti del dotto dell’epididimo, così
fortemente giustapposte da assumere un’apparenza solida. È un organo pari, disposto come una
cresta sulla superficie dorsale del testicolo e, da un punto di vista macroscopico, può essere
diviso in tre porzioni, ovvero la testa, che sovrasta il polo superiore del testicolo ed è collocata
superiormente, formata dalla confluenza di 12-14 porzioni terminali contorte di condottini
efferenti, il corpo, ovvero la porzione più avvolta del dotto dell’epididimo, e la coda, che si
continua poi con il dotto deferente; il corpo e la coda dell’epididimo aderiscono entrambi al
margine posteriore del testicolo, leggermente spostati verso la sua faccia laterale. Il dotto
dell’epididimo, fortemente avvolto su se stesso, misura quasi 5 m, ma presenta un così alto
grado di avvolgimento da poter essere raccolto in pochi cm cubi. Il dotto deferente origina a
livello della coda dell’epididimo come continuazione del dotto dell’organo. i condottini efferenti
trasportano invece verso l’epididimo gli spermatozoi dalla rete testis, ovvero da quella porzione
interna al testicolo, che si presenta come una maglia di canalicoli, dove confluiscono tutti i
tubuli seminiferi.
- L’Uretra Femminile
Nella donna l’uretra è molto corta, ca. 3-5 cm, e decorre posteriormente alla sinfisi pubica,
separata anteriormente da questa attraverso uno spazio retropubico, inferiore alla superficie
inferoanteriore della vescica, colmo di tessuto connettivo lasso e di adipe. L’uretra entra in
rapporto posteriormente con la parete anteriore della vagina, tanto da imprimere lungo la parete
interna di questa una carena vaginale dell’uretra, posta con orientamento longitudinale sulla
metà inferiore della parete anteriore della vagina. L’uretra femminile inizia in corrispondenza
dell’orifizio uretrale interno e, portandosi per tutta la sua lunghezza, anteroinferiormente,
descrive un leggero arco con concavità anteriore, rimanendo in stretto rapporto, posteriormente,
con la vagina. Termina con l’orifizio uretrale esterno, a forma di becco di flauto, nel vestibolo
della vagina, a ca. 2 cm inferiormente dal glande del clitoride.
- La Vagina
La vagina è un canale muscolomembranoso, che si estende dal collo dell’utero fino al vestibolo
della vagina, quest’ultimo situato tra le piccole labbra. È un organo impari, cavo e
fibromuscolare, dalla parete sottile, che decorre all’incirca lungo l’asse pelvico, appiattita su un
piano frontale, ovvero in maniera tale che la parete anteriore e quella posteriore si avvicinino
formando un orifizio esterno a forma di H; l’asse maggiore della vagina è posto in maniera tale
che l’organo sia diretto, in senso craniocaudale, anteroinferiormente, lungo il piano sagittale
mediano.
La vagina funge da dotto escretore per il flusso mestruale, forma la porzione inferiore del canale
del parto, accoglie il pene e l’eiaculato durante la copulazione e il rapporto sessuale, e comunica
superiormente con il canale cervicale e inferiormente con il vestibolo della vagina.
La vagina è situata anteriormente al retto e posteriormente all’uretra, e le sue pareti anteriore e
posteriore, tranne che nella sua porzione superiore, sono collassate l’una sull’altra. In condizioni
normali è lunga ca. 7-9 cm.
In corrispondenza della porzione superiore della vagina, le pareti di quest’organo abbracciano la
porzione vaginale del collo dell’utero, formando delle fessure o recessi a fondo cieco costituiti
dallo sporgere del collo dell’utero all’interno della cavità vaginale. Queste fessure comunicanti
tra loro, sono dette fornice vaginale, che può essere suddiviso in una porzione anteriore, in una
posteriore e in una laterale. In una sezione sagittale si può osservare come la porzione
posteriore del fornice vaginale, come anche la parete vaginale posteriore, si portano ca. 1,5-2 cm
più in alto rispetto alla porzione anteriore del fornice vaginale; questo fa si che la porzione
posteriore contragga stretti rapporti con il fondo del cavo retto-uterino.
La mucosa della vagina forma pieghe trasversali, dette rughe vaginali. A causa dei plessi venosi
ben sviluppati e situati nella parete vaginale, si formano inoltre creste longitudinali dette colonne
vaginali. A causa della stretta vicinanza con l’uretra si può osservare lungo la parete vaginale
anteriore una carena uretrale della vagina.
La vagina riceve sangue arterioso dalle aa. vaginali, provenienti sia, superiormente, dal ramo
discendente dell’a. uterina, su ambo i lati, sia, inferiormente, dall’a. rettale media che dall’a.
pudenda interna.
Il drenaggio venoso dell’organo è garantito dall’importante plesso venoso vaginale, che
comunica con gli altri plessi venosi e, attraverso questi, confluisce nelle vv. iliache interne.
La vulva risulta essere vascolarizzata dai rami terminali dell’a. pudenda interna; il drenaggio
venoso invece viene operato dalla v. pudenda interna e dalla v. pudenda esterna, oltre che dal
plesso venoso vescicale, attraverso la v. dorsale profonda del clitoride.
- Il Canale Anale
Il canale anale è la porzione terminale dell’intestino crasso che si estende dalla faccia superiore
del diaframma pelvico sino all’ano. Il canale anale è lungo ca. 2,5-3,5 cm e si estende obliquo in
senso anteroposteriore dall’alto in basso, originando in corrispondenza del punto in cui
l’ampolla rettale si restringe a causa delle fibre muscolari arciformi della porzione puborettale
del m. elevatore dell’ano, che stringono posteriormente, come una fionda tesa, la parete
posteriore del retto. Il canale anale risulta essere collassato tranne che nel momento della
defecazione, quando gli sfinteri si rilassano e permettono il transito delle feci all’esterno,
attraverso l’ano, ovvero l’orifizio esterno del tubo gastroenterico.
Lo sfintere esterno dell’ano è un muscolo volontario costituito da tre porzioni, di cui due
comprese nel compartimento pelvico e una, al di sotto, in quello perineale. Il m. elevatore
dell’ano in prossimità della parete del retto si dispone all’esterno della muscolatura
longitudinale congiunta del retto, per dare origine al m. sfintere esterno; questo si divide in una
porzione profonda, più superiore e in diretto contatto con le fibre della muscolatura
longitudinale congiunta, e in una superficiale, inferiore rispetto a quella profonda, anch’essa a
contatto con le fibre muscolari longitudinali e, in basso, separata dallo spazio perineale per
mezzo del setto fibroso trasverso. La porzione più superficiale dello sfintere esterno dell’ano è
la parte sottocutanea di questo, posta nello spazio perineale della fossa ischiorettale.
Lo sfintere interno dell’ano è uno sfintere involontario interno che circonda la porzione pelvica
dell’ano, ovvero i suoi 2/3 prossimali, come inspessimento dello strato muscolare circolare del
retto.
La metà superiore della parete interna del canale anale è caratterizzata da una serie di rilievi
longitudinali dette colonne rettali del Morgagni, che corrispondono ai rilievi del plesso venoso
emorroidale interno. La giunzione anorettale corrisponde alla linea circolare che unisce i
margini prossimali delle colonne rettali e che stabilisce la linea di confine tra retto e canale
anale. I margini distali delle colonne rettali sono uniti per mezzo di piccoli recessi detti seni
rettali. Inoltre, i margini distali delle colonne rettali e i seni rettali sono uniti su una linea
circolare detta linea pettinata, che divide il canale anale in due porzioni distinte da un punto di
vista embriogenico e vascolare.
Il canale anale al di sopra della linea pettinata differisce dalla parte al di sotto di questa per
quanto riguarda la vascolarizzazione arteriosa, il drenaggio venoso e linfatico e l’innervazione.
L’a. rettale superiore vascolarizza la porzione superiore, le aa. rettali inferiori la porzione
inferiore. Il drenaggio venoso non risulta essere così diviso in relazione alla linea pettinata; il
plesso venoso emorroidale interno, drena sia le porzioni superiori che quelle inferiori del canale
anale, costituendo un importante punto anastomotico venoso portocavale tra vv. rettali superiori
e vv. rettali inferiori. Inoltre, di rilevante importanza clinica risulta essere il plesso venoso
emorroidale esterno, posto all’interno dello spazio sottocutaneo perineale perianale, tributario
delle vv. rettali inferiori.
- Il Canale Pudendo
Il canale pudendo o di Alcock è formato da una duplicatura della fascia che riveste la superficie
mediale del m. otturatore e si porta posteroanteriormente seguendo la superficie laterale della
fossa ischiorettale ipsilaterale. Include i vasi pudendi interni e il n. pudendo che entrano in esso
attraverso il piccolo forame ischiatico, al di sotto della spina ischiatica e del ligamento
sacrospinoso.
L’arto inferiore è diviso in quattro grosse macroporzioni, ovvero l’anca, la coscia, la gamba e il piede.
L’anca corrisponde alla sporgenza laterale della pelvi, che si estende dalla cresta iliaca alla coscia e che
contiene l’osso coxale o osso dell’anca, già descritto, che connette il femore e in generale l’arto inferiore
con la colonna vertebrale. La coscia è la porzione, contenete l’osso del femore, che si porta, dunque,
dall’anca al ginocchio, dove include anche la patella, piccolo osso distale del ginocchio. La gamba è la
porzione posta tra il ginocchio e la caviglia. Il piede è la porzione più distale dell’arto inferiore, che
segue alla caviglia.
Anteriormente l’arto inferiore viene diviso in regioni più piccole, in maniera arbitraria e senza chiari
punti di repere in superficie; anteromedialmente troviamo il trigono femorale, delimitato cranialmente
dal ligamento inguinale e mediolateralmente dal m. adduttore lungo e dal m. sartorio. La porzione più
superiore del trigono femorale, ovvero la porzione contigua alla regione pubica o perineale anteriore,
prende il nome di regione sottoinguinale, ed è delimitata dal m. sartorio e dal m. pettineo.
Anterolateralmente invece troviamo la regione femorale anteriore, che include il trigono femorale, ma
che si estende, come regione indipendente, dal m. sartorio, lateralmente, verso la faccia laterale della
coscia. Procedendo in senso craniocaudale troviamo la regione anteriore del ginocchio, che va dal
margine inferiore della regione femorale fino alla tuberosità tibiale. La gamba è divisa in una regione
crurale anteriore, che va dal margine anteroinferiore della regione del ginocchio fino alla caviglia, in
una regione crurale posteriore, che si continua a livello del piede con la regione calcaneare e con la
regione plantare del piede. La caviglia comprende le regioni pari per ciascun arto inferiore dette regioni
retromalleolari, laterale e mediale. Il piede offre a considerare invece oltre che una faccia plantare
anche una faccia o regione dorsale.
Posteriormente la regione dell’anca e della coscia offrono a considerare la regione glutea, che grosso
modo corrisponde all’estensione del m. grande gluteo, e la regione femorale posteriore, che termina in
corrispondenza della regione posteriore del ginocchio, nella fossa poplitea.
La regione sottoinguinale corrisponde ad un triangolo di modesta estensione che si porta lungo la faccia
anterosuperiore della coscia, compreso tra il margine mediale del m. sartorio, lateralmente, il margine
mediale del m. pettineo, medialmente, e il ligamento inguinale, superiormente. Questa regione rientra
nella più estesa regione detta triangolo femorale, che in superficie corrisponde a quell’area compresa tra
il m. adduttore lungo, medialmente, il m. sartorio, lateralmente, e il ligamento inguinale, come base
superiore del triangolo. Lo strato sottocutaneo di questa regione presenta un prolungamento dello strato
membranoso del sottocutaneo o fascia di Scarpa, già presente nell’addome, fino al livello in cui la v.
safena sbocca nella v. femorale in profondità, ovvero fino allo iato safeno.
Una volta rimosso o strato sottocutaneo, prima adiposo e poi membranoso è visibile, nella regione
sottoinguinale, la fascia lata, nella sua porzione più anterosuperiore. La zona della fascia lata che non
appare robusta, densa e di consistenza aponeurotica prende il nome di fascia cribrosa e corrisponde
proprio alla porzione sottoinguinale, posta cranialmente rispetto allo iato safeno. Attraverso la fascia
cribrosa e al di sotto dello strato membranoso del sottocutaneo giungono alla v. grande safena ma in
particolare alla v. femorale, a livello del triangolo femorale e della regione sottoinguinale, le vv.
superficiali provenienti da più direzioni. Assumendo una conformazione a stella queste vv. tributarie
della v. femorale giungono, al di sopra dello iato safeno, alla v. femorale; avremo le vv. pudende esterne
che arriveranno dalla regione pudenda, la v. epigastrica superficiale, che giungerà dall’alto dalla regione
ombelicale, la v. circonflessa iliaca superficiale che giungerà dall’alto e lateralmente e, soprattutto, la v.
grande safena e, eventualmente, la v. safena accessoria, provenienti inferiormente dalla coscia.
Lo iato safeno si evidenzia, dopo rimozione della fascia cribrosa, come un forame nello strato fasciale di
forma semicircolare, delimitato da un margine falciforme, con concavità rivolta medialmente, che
mostra parte del decorso della v. femorale, con lo sbocco della v. grande safena, e lascia intravedere l’a.
femorale, laterale alla v. omonima. L’estremità superiore del margine falciforme dello iato safeno
prende il nome di corno superiore, l’estremità inferiore, invece, corno inferiore.
- Triangolo Femorale
Il triangolo femorale corrisponde ad una struttura o area ben caratterizzata della regione
femorale anteriore della coscia. Appare come uno spazio fasciale di forma prismatica posto nel
terso superiore della coscia. Risulta essere delimitato superiormente, come base, dal ligamento
inguinale, inferomedialmente, come lato mediale, dal margine laterale del m. adduttore lungo, e,
lateralmente, come lato laterale, dal margine mediale del m. sartorio. L’incrocio di questi lati
forma l’apice, rivolto caudalmente, del triangolo femorale. Il pavimento del triangolo, ovvero la
parete posteriore, è formata lateralmente dal m. ileopsoas, medialmente dal m. pettineo. Il tetto o
parete anteriore è formato dalla fascia lata e, nella porzione sottoinguinale, anche dalla fascia
cribrosa, regione in cui si trova lo iato safeno. Andando in senso lateromediale il contenuto del
triangolo femorale è costituito dal n. femorale, con i suoi rami collaterali, dall’a. femorale, con
alcuni suoi rami e dalla v. femorale, con lo sbocco a livello dello iato safeno, della v. grande
safena. L’a. e la v. femorale dividono il triangolo femorale in due metà, una mediale e una
laterale; in corrispondenza dell’apice del triangolo i vasi femorali, con il n. femorale, entrano nel
canale degli adduttori, ovvero la struttura presente nel terzo medio della coscia.
ANCA E COSCIA
1. DIAFISI
Nel corpo si distinguono tre facce, ovvero una anteriore, una laterale e una mediale;
posteriormente le facce laterale e mediale risultano essere separate da una rugosità ossea
separata da due labbri, ovvero la linea aspra, che rappresenta un inspessimento di tessuto
compatto esteso longitudinalmente tra le due epifisi e visibile dal di dietro. Vicino alla linea
aspra si trova un forame nutritizio, a circa metà del suo decorso. La linea aspra è formata da
un labbro mediale e un labbro laterale, che divergono tra loro sia distalmente che
prossimalmente, portandosi verso le epifisi. Il labbro laterale, prossimalmente, si estende
fino alla tuberosità glutea, che talvolta può essere più pronunciata e formare un terzo
trocantere dell’epifisi prossimale. Il labbro mediale si estende fino alla faccia inferomediale
del collo del femore, parallelo e contiguo alla linea pettinea. Quest’ultima corrisponde ad
una cresta che discende dal piccolo trocantere, lateralmente al labbro mediale.
La morfologia e la struttura del corpo o diafisi del femore si presenta, in sezione trasversale,
tipicamente triangolare al centro, per poi diventare, portandosi verso le epifisi, più
quadrangolare e robusta.
2. EPIFISI PROSSIMALE
La testa del femore, liscia e semisferica, si articola con l’acetabolo dell’osso dell’anca, e per
far ciò, si porta leggermente in avanti e superomedialmente. La testa del femore presenta una
depressione al centro, detta fossetta della testa. Lungo il margine della superficie articolare
della testa del femore è possibile seguire la linea irregolare di passaggio tra testa e collo
dell’epifisi prossimale del femore, che rappresenta la linea di inserzione della membrana
sinoviale per l’articolazione coxofemorale. Per quanto riguarda la linea di passaggio tra
corpo e collo del femore si prende in considerazione, anteriormente, la linea
intertrocanterica, mentre, posteriormente, la cresta intertrocanterica. In corrispondenza
dell’unione tra terzo medio e terzo prossimale della cresta intertrocanterica è presente il
tubercolo quadrato. All’unione tra corpo e collo del femore si trovano, invece, i due
grossolani rilievi che danno origine alla linea e alla cresta intertrocanterica, i trocanteri.
Il piccolo trocantere, di forma conica e arrotondata, si estende medialmente dalla porzione
posteromediale della giunzione tra corpo e collo, inferiormente dunque alla cresta
intertrocanterica; dal piccolo trocantere origina la linea pettinea, ovvero una lieve cresta che
discende, lungo la faccia posteriore, verso la diafisi del femore.
Il grande trocantere è invece un grosso e tozzo processo, che si estende lateralmente rispetto
all’asse maggiore dell’osso e si porta verso l’alto e posteriormente dal punto di unione tra
corpo e collo. Subito sotto il grande trocantere si trova una la fossa trocanterica.
1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare del femore è fissata, oltre che sul labbro dell’acetabolo anche
sull’osso dell’anca, facendo si che il labbro dell’acetabolo sporga liberamente nella capsula
articolare, la quale si porta, dunque, come inserzioni terminali, dal femore all’anca,
inserendosi solo in modo intermedio e di rinforzo sul labbro acetabolare. Nel femore
l’inserzione capsulare avviene su un circolo che gira attorno al collo dell’epifisi prossimale,
equidistante sia sul davanti che indietro dalla superficie articolare della testa. In tal modo
però, la porzione extracapsulare del collo risulta essere più estesa posteriormente che
anteriormente, facendo si che la capsula si inserisca sul davanti, lungo la linea
intertrocanterica, occupando tutto il collo nella sua estensione, e, posteriormente, a ca. 1 cm
dalla cresta intertrocanterica, lasciando così una piccola porzione extracapsulare del collo.
La capsula articolare risulta essere rinforzata, protetta e orientata da 5 ligamenti
dell’articolazione coxofemorale, di cui solo uno intracapsulare.
2. LIGAMENTI INTRACAPSULARI
L’unico ligamento intracapsulare è il ligamento della testa del femore. Questo si estende
dall’incisura acetabolare fino alla fossetta della testa del femore, interponendosi tra la
superficie dell’acetabolo non rivestita dal cartilagine ialina ma solo da un cuscinetto adiposo
e la superficie articolare della testa del femore. Non svolge particolari funzioni meccaniche
nei movimenti articolari, tranne nel caso in cui, avvenuta una lussazione del femore, viene
messo in tensione come extrema ratio per impedire un ulteriore allontanamento dei capi
articolari.
Zona Orbicolare : circonda come un colletto la parte più stretta del collo articolare; è ben
visibile dall’interno della capsula articolare mentre, dall’esterno, risulta essere coperta
dall’estensione dei tre ligamenti extracapsulari maggiori. La testa del femore passa
attraverso la zona orbicolare come un bottone nel proprio occhiello; in questo modo, tale
ligamento contribuisce , insieme al labbro acetabolare, a mantenere in contatto la testa
del femore con la superficie concava e semisferica dell’acetabolo.
1. MUSCOLO ILEOPSOAS
Il m. grande psoas si unisce al m. iliaco, che origina nella fossa iliaca fino alla spina iliaca
anteriore inferiore e include le fibre che poi si inseriranno più distalmente rispetto al piccolo
trocantere, per formare il m. ileopsoas, circondato dalla fascia iliaca. Questo muscolo
attraversa la lacuna musculorum del ligamento inguinale, lateralmente all’arco ileopettineo
che forma le due lacunae, e si porta medialmente dall’alto in basso per raggiungere il
piccolo trocantere dell’epifisi prossimale del femore. A livello dell’eminenza ileopubica tra
muscolo e osso si trova una borsa, detta borsa ileopettinea, che si estende inferiormente fino
alla faccia anteriore della capsula articolare dell’articolazione coxofemorale.
3. MUSCOLO PETTINEO
Il muscolo pettineo è un piccolo muscolo adduttore della coscia, posto nella porzione
anteriore della superficie superomediale della coscia. Si presenta di forma piatta e
quadrangolare, origina sul ramo superiore del pube da diverse strutture, che andando in
senso lateromediale, risultano essere l’eminenza ileopettinea, la cresta pettinea e infine, il
tubercolo pubico ipsilaterale.
Si inserisce, portandosi obliquamente dall’alto in basso mediolateralmente, sulla linea
pettinea che discende, come lieve cresta rugosa, dal piccolo trocantere.
5. MUSCOLI OTTURATORI
Il muscolo otturatore interno forma, con i muscoli gemelli superiore e inferiore, il m.
tricipite dell’anca, posto tra il m. quadrato del femore, posteroinferiormente, e il m.
piriforme, posterosuperiormente. Il tendine comune del tricipite dell’anca si inserisce sul
grande trocantere, dirigendosi orizzontalmente, posteriormente al m. otturatore esterno.
Il m. otturatore interno è localizzato parzialmente nella piccola pelvi dove riveste gran parte
della parete laterale, insieme al m. piriforme. Fuoriesce dalla pelvi attraverso il piccolo
forame ischiatico, tra la spina ischiatica e la tuberosità ischiatica, per decorrere
orizzontalmente compreso tra i mm. gemelli superiore e inferiore. Origina dalla membrana
otturatoria interna e dalla faccia interna del margine osseo del forame otturatorio.
Il m. otturatore esterno è inserito tra i muscoli della loggia mediale della coscia o muscoli
adduttori, anche in relazione alla sua funzione, come il m. pettineo. È localizzabile
superoposteriormente a quest’ultimo, come il più craniale tra gli adduttori. È un robusto
muscolo extrarotatore. Origina dalla faccia esterna del margine osseo del forame otturatorio
e dalla faccia esterna della membrana otturatoria. Si inserisce sul femore a livello della
fossa trocanterica, caudalmente rispetto al grande trocantere, sulla faccia posteriore
dell’epifisi prossimale del femore.
6. MUSCOLI GEMELLI
I mm. gemelli, il m. gemello superiore e il m. gemello inferiore, hanno origini distinte ma
inserzione comune, decorrendo superiormente e inferiormente al m. otturatore interno e
formando, insieme a questo, il tricipite dell’anca che si inserisce sul grande trocantere. Il m.
gemello superiore origina dalla spina ischiatica, il m. gemello inferiore dalla tuberosità
ischiatica.
4. MUSCOLO GRACILE
Scorre come lungo muscolo nastriforme nel lato mediale della coscia e del ginocchio. È
l’unico adduttore biarticolare, oltre che ad essere il più superficiale e il più debole tra
questi. Contribuisce, oltre all’adduzione della coscia, alla flessione e alla intrarotazione della
gamba. Origina dal ramo inferiore del pube, subito al di sotto della sinfisi pubica, per
inserirsi come muscolo biarticolare sulla “zampa d’oca” superficiale, della faccia mediale
della tibia, insieme al m. sartorio e al m. semitendinoso.
2. MUSCOLO SEMITENDINOSO
Come indica il suo nome questo muscolo si presenta di forma fusiforme e decorre
anteriormente al m. semimembranoso, formato da una porzione muscolare prossimale e da
una porzione tendinea distale. È formato da un ventre muscolare superiore che si stringe,
distalmente e medialmente rispetto al m. bicipite femorale, in un lungo tendine, per
raggiungere la sua inserzione, nel 1/3 distale del suo decorso.
Il m. semitendinoso origina con un tendine comune al m. bicipite femorale, dalla tuberosità
ischiatica, per decorrere lateromedialmente dall’alto in basso e inserirsi, con il suo lungo
tendine, sulla faccia mediale dell’epifisi prossimale della tibia, anch’esso sulla zampa d’oca
superficiale, come i mm. gracile e sartorio.
Oltre alle comuni funzioni dei muscoli posteriori della coscia, svolge anche la funzione di
intrarotatore della gamba.
3. MUSCOLO SEMIMEMBRANOSO
Questo muscolo origina e decorre in stretta relazione con il m. semitendinoso. È il più
mediale dei tre muscoli posteriori, tranne che nella sua porzione più distale. Il suo nome
deriva dalla caratteristica piatta e simil membranosa del suo tendine di inserzione, oltre che
alla sua forma appiattita e posteriore rispetto al m. semitendinoso.
Origina dalla tuberosità ischiatica e si inserisce irradiandosi in più parti sulla porzione
posteriore del condilo mediale della tibia.
- Patella
La patella o rotula è l’osso sesamoide più grande; ha una forma grossolanamente triangolare,
con l’apice inferiore e la base superiore. Una faccia guarda verso il femore, l’altra è rivolta
anteriormente e, inoltre, presenta un margine laterale, più sottile, ed uno mediale più spesso.
La faccia anteriore, che risulta essere inclusa nel tendine del m. quadricipite femorale, può
essere divisa in tre porzioni. Il terzo superiore appare rugoso, spesso irregolare e con lievi
sporgenze ossee riferite all’inserzione di tendini del m. quadricipite femorale; il terzo medio
presenta numerosi canalicoli e forami nutritizi, mentre, il terzo inferiore, corrisponde all’apice
della patella e serve da origine per il ligamento patellare.
La faccia posteriore mostra nei suoi ¾ superiori una superficie articolare mentre, nel ¼
inferiore, numerosi canalicoli vascolari. L’apice, posteriormente, risulta essere in rapporto con il
corpo adiposo infrapatellare.
La superficie articolare è divisa da una cresta verticale in una faccetta laterale e in una mediale;
si estende per circa 12 cm2 ed è rivestita da cartilagine ialina che risulta avere uno spessore che
varia, a seconda dell’età, da 0,1 a 0,6 cm, con un massimo intorno ai 30 anni di vita.
1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare che riveste l’articolazione del ginocchio è costituita da connettivo lasso
e si presenta sottile e ampia, irregolare in più punti. Si àncora, superiormente, al femore, nei
punti di origine delle cartilagini che rivestono i condili femorali dell’epifisi distale del
femore. Posterosuperiormente invece, si àncora in prossimità della fossa poplitea.
Inferiormente la capsula articolare si àncora alla tibia, in prossimità dei margini articolari dei
condili di questa.
La capsula articolare risulta essere formata da due membrane, una fibrosa, esterna e di
rivestimento, e una sinoviale, intimamente connessa con la cavità articolare. La vasta
membrana sinoviale riveste la superficie interna della capsula fibrosa determinando, con la
sua riflessione, numerosi recessi dette borse sinoviali e rivestendo in larga misura il tessuto
adiposo che si interpone tra patella e tibia, come cuscinetto di resistenza alle forze di
pressione, separandolo dalla cavità articolare.
Ligamento Patellare : questo ligamento corrisponde alla porzione distale del tendine del
m. quadricipite femorale e si presenta come una spessa e forte banda fibrosa che si
estende dai margini laterali e dall’apice della patella fino ad inserirsi sulla tuberosità
tibiale. Dai fasci tendinei provenienti dai mm. retto del femore e vasto laterale trae
origine il retinacolo laterale della patella alla cui costituzione partecipa anche il tratto
ileotibiale della fascia lata, con alcune sue importanti fibre; medialmente, invece, dai
fasci tendinei del m. vasto mediale, trae origine il retinacolo mediale della patella.
I retinacoli laterale e mediale della patella costituiscono due importanti diramazioni
legamentose del ligamento patellare, una anteromediale e una anterolaterale, che
rinforzano sul davanti, come espansioni aponevrotiche robuste dei muscoli del
quadricipite femorale, la capsula articolare del ginocchio.
Il ligamento patellare decorre intermedio tra queste due bande legamentose, una
mediale e una laterale. I fasci dei retinacoli patellari si fondono, a livello del ginocchio,
con le fasce di rivestimento profonda e superficiale dell’arto inferiore, non separate in
questo breve tratto da ipoderma lasso o adiposo.
Ligamento Crociato Posteriore : è più robusto del ligamento crociato anteriore e si porta
anterosuperiormente, incrociando sul lato mediale il ligamento crociato anteriore, che
decorre invece in senso superoposteriore.
Il ligamento crociato posteriore origina dall’area intercondiloidea posteriore per
inserirsi sulla faccia laterale del condilo mediale del femore.
Menisco Laterale : è quasi circolare e si presenta più piccolo, regolare e mobile rispetto
a quello mediale. Presenta quasi la stessa larghezza in ogni suo punto e i suoi punti di
inserzione sono vicini l’uno all’altro. Non essendo in comunicazione o collegato al
ligamento collaterale ipsilaterale risulta essere più mobile rispetto al menisco mediale.
Dal suo corno posteriore si estendo, posteriormente e anteriormente al ligamento
crociato posteriore due ligamenti meniscofemorali, anteriore e posteriore, che uniscono
il corno posteriore alla faccia interna del condilo mediale dell’epifisi distale del femore.
Nella maggior parte degli individui questi ligamenti non coesistono e si trova
prevalentemente solo il ligamento meniscofemorale posteriore.
Questo menisco essendo più mobile si presenta molto meno esposto a traumi di rottura
dei menischi; il menisco mediale va in contro a rottura circa 20 volte più frequentemente
rispetto al menisco laterale.
- Tibia
Lo scheletro della gamba è costituito da due ossa, la tibia e la fibula; la tibia è l’osso più
robusto, che da solo costituisce la connessione tra femore e scheletro del piede; essa sostiene il
peso corporeo articolandosi con i condili femorali e, caudalmente, con l’astragalo. Come
grandezza e peso è secondo solo al femore, essendo il principale osso della gamba che deve
sostenere e scaricare il peso corporeo in posizione eretta.
La tibia presenta un corpo, avente una tipica forma triangolare in sezione trasversale, e due
estremità, una distale e una prossimale.
1. EPIFISI PROSSIMALE
All’estremità distale si trovano il condilo laterale e il condilo mediale, ovvero due rilievi
dotati di superficie articolare che si rivolgono verso i condili dell’epifisi distale del femore.
La faccia articolare superiore, rivolta verso l’alto, risulta essere interrotta dall’eminenza
intercondiloidea che, portandosi anteroposteriormente, la divide in due facce articolari
distinte. Questa eminenza risulta essere formata da due aree intercondiloidee, ossee e non
articolari, una anteriore e una posteriore, separate tra loro attraverso due tubercoli
ravvicinati, detti tubercolo intercondiloideo laterale e tubercolo intercondiloideo mediale,
posti al centro della superficie craniale dell’epifisi prossimale. Se osserviamo con
attenzione, in una proiezione posteriore, il condilo laterale, si può notare come,
inferiormente ad esso, si trovi una faccia articolare fibulare, per l’unione articolare della
tibia con la testa della fibula.
2. EPIFISI DISTALE
L’estremità distale della tibia si prolunga dal lato mediale con una struttura appuntita che
costituisce il malleolo mediale, con la faccia articolare malleolare. Sulla superficie
posteriore del malleolo, visibile in proiezione posteriore, decorre il solco malleolare. La
faccia articolare inferiore, situata sull’estremità inferiore della tibia, serve per
l’articolazione con l’astragalo. Lateralmente al malleolo mediale troviamo l’incisura
fibulare, ovvero il solco dell’epifisi distale della tibia dove quest’osso si articola per
sindesmosi con la fibula.
1. CORPO
Il corpo della fibula appare in sezione trasversale, nella sua parte media, triangolare e offre a
considerare, come la tibia, tre margini e tre facce. Nel terzo distale appare anche un quarto
margine. Il margine più acuto è il margine anteriore, che separa la faccia laterale da quella
mediale. La cresta o margine mediale separa la faccia mediale dalla faccia posteriore, che a
sua volta è separata per mezzo del margine posteriore dalla faccia laterale. La faccia
mediale offre a considerare un margine interosseo, dove si fissa la membrana interossea
dell’articolazione tibiofibulare. A circa metà della faccia posteriore si trova un forame
nutritizio.
2. ESTREMITA’ PROSSIMALE
L’epifisi prossimale offre a considerare la testa fibulare con la faccia articolare e con un
piccolo tubercolo, l’apice della testa. Il collo della fibula unisce il corpo e testa dell’osso.
3. ESTREMITA’ DISTALE
Sulla faccia esterna dell’epifisi distale si trova il malleolo laterale, piatto e più largo verso il
basso. Esso presenta sulla sua faccia mediale una superficie articolare detta faccia articolare
del malleolo laterale, funzionale all’articolazione con l’astragalo. Posteriormente il malleolo
offre a considerare una fossa del malleolo laterale, dove si inserisce il ligamento talofibulare
posteriore. Posterolateralmente, sulla superficie esterna dell’epifisi distale della fibula, è
localizzato il solco malleolare, dove si inseriscono i tendini dei mm. peronei.
1. MUSCOLO GASTROCNEMIO
Il m. gastrocnemio è un muscolo bicipite, che trova con i suoi due capi inserzione in un
tendine comune con il m. soleo, posto in profondità rispetto ad esso, sulla tuberosità
calcaneare. Il tendine calcaneare, o tendine d’Achille si inserisce percorrendo il 1/3
inferiore della gamba, posteriormente, sulla tuberosità calcaneare. I due capi del m.
gastrocnemio più il m. soleo formano il m. tricipite della sura. Il m. gastrocnemio è il più
superficiale e i suoi due capi decorrono paralleli fino a quando confluiscono nel tendine
comune; originano sulla faccia posteriore dell’epifisi distale del femore, il capo mediale,
sull’epicondilo mediale medialmente al triangolo popliteo, il capo laterale, sull’epicondilo
laterale, lateralmente sia all’inserzione del m. plantare, che al triangolo popliteo.
Il m. tricipite della sura è il più forte flessore plantare del piede e il più forte supinatore del
piede. Con il tricipite della sura collabora il m. plantare. Il m. gastrocnemio inoltre collabora
nella flessione del ginocchio agendo come muscolo biarticolare.
I capi mediale e laterale del m. gastrocnemio formano i margini inferomediale e
inferolaterale della fossa poplitea.
2. MUSCOLO SOLEO
È un grosso muscolo piatto, potente ed esteso, con le fibre inclinate inferomedialmente,
chiamato cosi per la sua somiglianza al pesce sogliola. È un muscolo antigravitario che si
contrae, alternativamente e impercettibilmente ai mm. estensori della gamba, per mantenere
l’equilibrio in posizione eretta. La sua azione come flessore plantare del piede è potente ma
relativamente lenta rispetto a quella del m. gastrocnemio; inoltre non è un muscolo
biarticolare, agendo dunque solo sull’articolazione tra gamba e piede. Origina dorsalmente
sia alla fibula, dalla superficie posteriore della testa e dalla faccia posteriore del corpo nel
suo ¼ superiore, che alla tibia, lungo la linea del m. soleo che si porta dall’alto in basso
lateromedialmente lungo la faccia posteriore dell’osso. Si inserisce in un tendine comune
detto tendine d’Achille sulla tuberosità calcaneare.
3. MUSCOLO PLANTARE
Il m. plantare è un muscolo formato da un breve e tozzo ventre e da un lungo e filiforme
tendine, che decorre medialmente agli altri muscoli, superficialmente rispetto al m. soleo,
inserendosi anch’esso sul tendine calcaneare. Non è un importante muscolo, data la sua
scarsa estensione, e risulta essere secondario nei movimenti di flessione del piede. Origina
superomedialmente all’origine del m. gastrocnemio, sull’epicondilo laterale dell’epifisi
distale del femore. Nelle sue funzioni assiste come muscolo ausiliario il gastrocnemio.
5. MUSCOLO POPLITEO
Il m. popliteo è un muscolo breve e triangolare che forma la porzione inferiore della parete
posteriore della fossa poplitea. È un muscolo flessore dell’articolazione del ginocchio e il
suo tendine decorre in stretto contatto con la capsula articolare dell’articolazione del
ginocchio. Origina in prossimità della superficie laterale del condilo laterale dell’epifisi
distale del femore, come tendine, e trova inserzione, con la sua parte muscolare,
superiormente alla linea del m. soleo, sulla superficie posteriore della tibia.
- Tarso
Lo scheletro del piede è formato dal tarso, dal metatarso e dalle falangi. Il tarso è formato da
7 ossa, ovvero il calcagno, l’astragalo o talo, il cuboide, lo scafoide o navicolare, e i tre
cuneiformi, mediale, laterale e intermedio.
1. CALCAGNO
Il calcagno è l’osso del tallone, nonché il più grande e robusto osso del piede. Esso riceve
la maggior parte del peso del corpo dall’astragalo e lo scarica al suolo. Il calcagno si
articola con l’astragalo superiormente e con il cuboide anteriormente. Presenta
posteriormente una rugosità dove si inserisce il tendine di Achille o tendine calcaneare.
La porzione posteriore del calcagno, che non si articola con nessuna struttura, è detta
tuberosità calcaneare. In una proiezione superiore il calcagno offre a considerare, nella
sua porzione anteriore, tre facce articolari per l’astragalo e una per il cuboide. La faccia
articolare per il cuboide è visibile solo in proiezione frontale dal davanti, perché
corrisponde alla parete anteriore del calcagno. Le facce articolari per l’astragalo sono le
facce anteriore, media e posteriore. Tra la faccia media, che è posta più in alto grazie al
sustentaculum tali, ovvero un rilievo su cui poggia l’astragalo, e la faccia posteriore, che
si presenta ampia ed estesa, si interpone il solco calcaneare, che insieme al solco
dell’astragalo forma il seno del tarso. Sotto il sostentaculum tali passa il solco per il m.
flessore lungo dell’alluce.
2. ASTRAGALO o TALO
L’astragalo è l’osso che trasferisce il peso del corpo dalla gamba al piede. È formato da
una testa, da un collo e da un corpo. La testa appare liscia e semisferica, occupata quasi
interamente dalla faccia articolare per il navicolare. Il collo appare tozzo e pieno di
forami nutritizi. L’astragalo si articola con la tibia, con la fibula, con il calcagno e con il
navicolare.
Osservando dall’alto il corpo dell’astragalo si osserva la troclea e posteriormente a
questa, il processo posteriore con i suoi due tubercoli, mediale e laterale. Accanto al
tubercolo mediale si trova il solco per il tendine del m. flessore lungo dell’alluce. La
faccia superiore della troclea è più larga anteriormente che posteriormente e si continua
lateralmente nella faccia malleolare laterale e medialmente nella piccola faccia
malleolare mediale. Le tre facce articolari della troclea, ovvero le tre facce articolari
superiori dell’astragalo servono per l’articolazione con la tibia e con la fibula.
Osservando dal basso l’astragalo si può notare come la semisfera anteriore destinata
all’articolazione con il navicolare si continui posteriormente con una faccetta articolare
calcaneare anteriore e con una faccetta articolare calcaneare media. Queste due faccette
articolari inferiori, continue con la testa dell’astragalo, si articolano con la faccia
articolare per l’astragalo, anteriore e media, del calcagno. Infine, posteriormente alla
faccetta articolare media per il calcagno, si trova la vasta ed estesa faccia articolare
posteriore per il calcagno; tuttavia queste due risultano essere separate da un solco detto
solco dell’astragalo che insieme al solco del calcagno forma il seno del tarso.
4. NAVICOLARE o SCAFOIDE
Presenta una presumibile forma a scafo o nave ed è posto tra le tre ossa cuneiformi e
l’astragalo. In realtà lateralmente presenta anche una piccola faccetta articolare per il
cuboide. La faccia articolare posteriore, unica e concava, si articola con la testa
dell’astragalo, di forma semisferica. La faccia articolare anteriore presenta un'unica
superficie articolare divisa in tre regioni distinte da due creste ed è destinata
all’articolazione con le tre ossa cuneiformi. Medialmente presenta una tuberosità che
sporge sul lato marginale mediale della pianta del piede, la tuberosità del navicolare.
5. OSSA CUNEIFORMI
Le tre ossa cuneiformi si distinguono tra loro per grandezza e orientamento. Infatti, la più
grande delle tre ossa, ovvero il cuneiforme mediale, si presenta con la sua superficie
estesa rivolto verso la pianta del piede e il margine acuto del cuneo rivolto
superiormente. Invece, il cuneiforme intermedio, il più piccolo dei tre, e il cuneiforme
laterale rivolgono la faccia stretta e acuta verso la pianta del piede.
Le tre ossa cuneiformi presentano anteriormente facce articolari per le ossa metatarsali,
posteriormente facce articolari per il navicolare e tra loro si articolano con facce
articolari che combaciano. Inoltre il cuneiforme laterale si articola lateralmente con la
faccia mediale del cuboide.
2. LIGAMENTI EXTRACAPSULARI
Il più robusto dei ligamenti che rinforzano la capsula articolare della caviglia è il ligamento
collaterale mediale, che in base alle sue inserzioni sulle ossa del tarso viene diviso in tre
porzioni, aventi tutte origine comune sulla faccia inferomediale del malleolo tibiale
dell’epifisi distale della tibia. Portandosi anteroposteriormente troviamo il ligamento
tibionavicolare, il ligamento tibiocalcaneare e infine il ligamento tibiotalare. Questi
ligamenti si inseriscono rispettivamente sulla faccia mediale del navicolare, sul
sustentaculum tali del calcagno e sul collo dell’astragalo, originando tutti in un'unica
confluenza sulla tibia.
Lateralmente abbiamo il ligamento collaterale laterale, formato dai ligamenti più esili detti
ligamenti talofibulari anteriore e posteriore e ligamento calcaneofibulare. I ligamenti
talofibulari anteriore e posteriore uniscono, rispettivamente, il collo dell’astragalo e la
porzione posteriore di questo, con decorso quasi orizzontale, al malleolo laterale o fibulare.
Infine i rapporti distali tra tibia e fibula vengono garantiti e rafforzati da ligamenti robusti
quali i ligamenti tibiofibulari anteriore e posteriore.
1. ARTICOLAZIONE SUBTALARE
L’articolazione subtalare forma la porzione posteriore ed ha, come facce articolari,
l’astragalo e il calcagno. Ha una capsula lassa e sottile rinforzata prevalentemente dai
ligamenti talocalcaneari mediale e laterale. l’articolazione si forma tra la faccia articolare
posteriore per il calcagno dell’astragalo e la faccia articolare posteriore per l’astragalo del
calcagno.
2. ARTICOLAZIONE TALOCALCANEONAVICOLARE
L’articolazione si viene a costituire tra le facce articolari talari anteriore e media del
calcagno e le facce calcaneari anteriore e media dell’astragalo, oltre che tra la faccia
articolare della testa dell’astragalo per la faccia articolare talare del navicolare.
Quest’articolazione risulta avere una capsula piuttosto lassa rinforzata posteriormente dai
ligamenti talocalcaneari interossei, che la separano dalla capsula dell’articolazione subtalare
a livello del seno del tarso, e, inferiormente, dai ligamenti calcaneonavicolari plantari.
Lateralmente la capsula risulta essere rinforzata anche dal ligamento biforcuto, posto in
tensione nell’angolo formato dai ligamenti cuboideonavicolare dorsale e calcaneocuboideo
dorsale, che unisce il calcagno con due bande al cuboide, lateralmente, e al navicolare,
medialmente.
CIRCOLAZIONE ARTERIOSA
- Arteria Femorale
Fa direttamente seguito all’a. iliaca esterna, estendendosi dal ligamento inguinale all’anello
degli adduttori, al di là del quale diventa, continuandosi, a. poplitea.
Discende sostanzialmente verticale, con obliquità appena accennata dall’alto in basso
lateromedialmente, e il suo decorso può essere indicato da una linea che unisce il punto di
mezzo del ligamento inguinale con la faccia posteriore del condilo mediale dell’epifisi distale
del femore. Appare più flessuosa con la coscia flessa, mentre è praticamente rettilinea a coscia
estesa.
Dopo aver fornito il suo più grosso ramo collaterale, l’a. femorale profonda, diminuisce di
calibro, che risulta essere di ca. 1 cm di diametro a livello del ligamento inguinale.
1. RAPPORTI
Origina trovandosi a livello dell’angolo laterale della lacuna vasorum , avendo
anteriormente, dunque, il ligamento inguinale, e, lateralmente, l’arco ileopettineo, che si
porta dal ligamento inguinale all’eminenza ileopubica, e separa l’arteria dalla lacuna
musculorum dove decorrono il nervo femorale e il m. ileopsoas; medialmente contrae
rapporti con la v. femorale e posteriormente si appoggia, nel suo tratto iniziale,
all’inserzione del m. pettineo.
Nella sua prima porzione l’a. femorale decorre nel triangolo femorale, contenuta
nell’interstizio prismatico di tale triangolo. Superficialmente è coperta dalla fascia lata e
dalla fascia cribrosa, che chiudono in avanti l’interstizio del triangolo. Posteriormente è
alloggiata, anteriormente alla v. femorale, nell’angolo formato dal m. pettineo, medialmente,
e dal m. ileopsoas, lateralmente, il quale, quest’ultimo, la separa dalla testa del femore e
dall’articolazione coxofemorale.
Superato il triangolo femorale decorre posteriormente al m. sartorio, che la incrocia
obliquamente, dall’alto in basso, lateromedialmente, e, in questo lungo tratto intermedio del
suo decorso, si poggia sulla doccia formata dal m. vasto mediale del quadricipite femorale,
lateroanteriormente, e dal m. adduttore lungo, medioposteriormente.
Nel suo tratto distale l’arteria decorre nel canale degli adduttori e, di conseguenza, contrae
rapporti con le pareti di detto canale, ovvero con il m. vasto mediale, con il m. grande
adduttore e con la lamina fibrosa che chiude anteriormente la doccia compresa tra questi
due muscoli. In corrispondenza del suo tratto distale, l’a. femorale risulta essere molto
vicina al femore, nel momento in cui si continua in a. poplitea, molto più vicina di quanto
non lo fosse stata in precedenza, in corrispondenza del tratto inferomediale dell’osso.
L’a. femorale è accompagnata nel suo decorso dalla v. femorale, ed entrambe risultano
essere avvolte da una guaina connettivale comune di rivestimento. La v. femorale decorre
inizialmente mediale rispetto all’arteria ma, nella loro discesa, questa si porta gradatamente
sempre più posteriormente, tanto da arrivare in posizione retrostante e quasi laterale
all’arteria, a livello del canale degli adduttori.
Arteria Pudenda Esterna - è formata da due rami che nascono o da un tronco comune dell’a.
femorale o separatamente come a. pudenda esterna superiore e a. pudenda esterna inferiore.
La prima diventa sottocutanea portandosi alle regioni pubiche e perineali. La seconda
decorre inferiormente allo strato fasciale di questa regione e si distribuisce anch’essa agli
strati superficiali della regione perineale anteriore.
Arteria Femorale Profonda - è il principale vaso nutritizio della coscia e nasce dalla faccia
posteriore dell’a. femorale, a livello del triangolo femorale, circa 4 cm al di sotto del
ligamento inguinale. Il suo calibro è considerevole, quasi quanto il calibro dell’arteria dal
quale deriva. Nel suo primo tratto discende posterolateralmente all’a. femorale, per poi
collocarsi decisamente posteriormente a questo vaso, insinuandosi negli interstizi compresi,
dapprima, tra il m. ileopsoas e il m. pettineo, poi tra il m. adduttore lungo e i mm. adduttore
breve e grande adduttore. Decorre in profondità, vicina al femore e all’inserzione dei mm.
adduttori su quest’osso. Diminuisce progressivamente di calibro per i numerosi rami
muscolari che fornisce lungo il suo decorso. Termina come a. perforante del m. grande
adduttore, a livello del 1/3 inferiore della coscia.
Arteria Suprema del Ginocchio - è un grosso ramo collaterale distale dell’a. femorale che si
stacca da questa a livello del canale degli adduttori e del tratto terminale di questo. Si divide
in un ramo superficiale e in un ramo profondo, che si portano in superficie o in profondità
alla porzione superiore del ginocchio per alcuni muscoli del quadricipite femorale e per la
capsula articolare del ginocchio.
1. RAPPORTI
In tutta la sua lunghezza è situata in profondità; nel suo tratto iniziale si colloca tra il m.
semimembranoso e la faccia mediale del femore, poi, portandosi obliqua mediolateralmente,
si porta posteriormente al femore verso l’apice del triangolo popliteo dove la linea aspra
diverge nei suoi labbri mediale e laterale e, a questo livello, compare compresa tra il m.
semimembranoso e il m. bicipite del femore. Sebbene decorra intimamente associata alla
fossa o triangolo popliteo del femore, risulta essere separata da questo, per questioni di
attrito con il periostio fibroso, da uno spesso strato di grasso e, più caudalmente, dalla
capsula articolare del ginocchio. Superata la fossa poplitea decorre in profondità rispetto ai
capi mediale e laterale del m. gastrocnemio e al m. plantare, superficialmente, invece, al m.
popliteo.
L’a. poplitea è strettamente associata alla v. poplitea in una guaina comune che rende
difficile la loro separazione. La v. poplitea si pone lateroposteriormente all’a. poplitea e, nel
suo tratto distale, si porta posteromedialmente a questa. Inoltre l’a. contrae intimi rapporti
anche con il n. tibiale, che si avvicina progressivamente alla v. e all’a. poplitea ponendosi
posterolateralmente a queste. Inoltre l’a. poplitea contrae rapporti anche con i linfonodi
poplitei, che decorrono contigui alla v. poplitea.
(Ne.V.A. = rapporti, andando lateromedialmente e dalla superficie alla profondità )
2. RAMI COLLATERALI
I rami collaterali dell’a. poplitea possono essere racchiusi in due gruppi, ovvero un gruppo
destinato alla capsula articolare e all’irrorazione di tutte le strutture del ginocchio, insieme al
ramo profondo o articolare dell’a. superiore del ginocchio, ramo collaterale dell’a. femorale,
e un gruppo più inferiore, destinato all’irrorazione delle strutture muscolari posteriori della
gamba. Al primo gruppo appartengono le aa. articolari del ginocchio, in numero di 5, che
sono il ramo superolaterale, il ramo superomediale, il ramo medio, il ramo inferolaterale e
il ramo inferomediale. Al secondo gruppo appartengono le aa. surali, rami per i muscoli del
tricipite della sura.
- Vena Femorale
La v. femorale si estende inferosuperiormente dallo iato distale del canale degli adduttori, dove
segue alla v. poplitea, fino al livello del ligamento inguinale, dove diventa v. iliaca esterna. Essa
accompagna l’a. femorale, essendo con essa avvolta da una stessa guaina, che invia un sottile e
debole setto tra i due vasi. La v. femorale nasce dalla v. poplitea lateroposteriormente all’a.
femorale e, portandosi verso l’alto, decorre prima posteriormente a questa e poi, come una lieve
spirale, si porta posteromedialmente fino alla lacuna vasorum, posteriormente al ligamento
inguinale, dove è mediale rispetto all’a. femorale.
La v. femorale riceve nel suo decorso la v. grande safena, che costituisce il più grande dotto
collettore della v. femorale, che risale dal dorso del piede fino alla regione sottoinguinale, dove
attraversa lo iato safeno, e sbocca nella v. femorale. Altri rami tributari della v. femorale sono le
vv. dei genitali esterni, le vv. della parete addominale anteroinferiore e le vv. profonde della
coscia.
La struttura interna della v. femorale offre a considerare 4 o 5 paia di valvole e un discreto strato
muscolare circolare nella tonaca media.
- Vena Poplitea
Decorre parallela all’a. omonima, dal tendine di origine del m. soleo a livello della linea del
soleo della tibia, fino allo iato distale del canale degli adduttori, posteriormente al ginocchio e
alla sua articolazione. È la porzione più distale del tronco venoso principale che drena l’arto
inferiore e nasce per la confluenza delle vv. tibiali anteriore e posteriore. Entrata nel canale
degli adduttori cambia nome in v. femorale.
È contenuta nella stessa guaina di rivestimento dell’a. poplitea e aderisce strettamente a questa.
Incrocia ad X, andando dal basso verso l’alto, l’a. poplitea perché, rimanendo posteriore a questa
si porta da leggermente mediale a laterale, rispetto all’arteria. Sappiamo che la v. femorale si
comporterà in maniera opposta ritornando nel tratto più prossimale mediale all’a. femorale. A
livello tibiale, la v. tibiale posteriore si interpone lateralmente all’a. tibiale posteriore, tra questa
e il n. tibiale.
Nel suo decorso la v. poplitea riceve piccoli rami collaterali provenienti dalle strutture muscolari
e articolari della regione che drena. Inoltre la v. poplitea riceve anche la v. piccola safena, che
drena la superficie posteriore della gamba. Nella sua struttura presenta non più di 2-3 valvole.
Le vv. superficiali dell’arto inferiore formano una fitta rete venosa nel sottocutaneo, superiormente allo
strato fasciale dell’arto. Le maglie di tale rete raggiungono tutte le regioni superficiali dell’arto
inferiore, anastomizzandosi in più punti tra loro e con la circolazione venosa profonda dell’arto. I rami
tributari dei due grossi tronchi venosi superficiali, rappresentati dalla v. grande safena e dalla v. piccola
safena, sono tutti orientati paralleli all’asse maggiore, o asse longitudinale, dell’arto inferiore.
- Linfonodi Inguinali
I linfonodi inguinali formano con i rispettivi vasi afferenti ed efferenti, il plesso linfatico
inguinale. Questi si possono dividere in linfonodi inguinali superficiali e linfonodi inguinali
profondi.
PLESSO LOMBARE
Il plesso lombare invia direttamente brevi rami muscolari alla muscolatura della parete addominale
lateroposteriore, come i rami per il m. grande e piccolo psoas e i rami per il m. quadrato dei lombi. I
rami più alti del plesso sono simili, come decorso e distribuzione, ai rami dei nn. intercostali,
rappresentando, insieme al n. sottocostale, il punto di passaggio tra plesso lombare e nn. intercostali.
Osservando la parete addominale dall’interno con il m. grande psoas in situ, si può osservare, andando
dall’alto verso il basso, innanzitutto il n. sottocostale, lungo il margine inferiore della XII costa, ultimo
ramo dei rami anteriori dei nn. toracici. Il n. sottocostale decorre più o meno nascosto dalla porzione
lombare del diaframma, in particolare da quella porzione che origina dal ligamento arcuato laterale.
Inferomedialmente al decorso del n. sottocostale si può notare lo spessore del m. quadrato dei lombi e,
più medialmente il m. grande psoas, che origina a livello del diaframma, dal ligamento arcuato mediale.
Il m. quadrato dei lombi è tagliato obliquamente dall’alto in basso mediolateralmente dal primo ramo
del plesso lombare ovvero il n. ileoipogastrico, che si dirige dalla sua origine in prossimità del m grande
psoas, a livello del ligamento arcuato mediale, fino al di sopra della cresta iliaca e dove, a questo
livello, perfora i muscoli laterali dell’addome. Più caudalmente a questo troviamo il n. ileoinguinale
che, con decorso quasi parallelo al precedente, ma più in basso, si porta anteriormente al m. ileopsoas e
raggiunge l’anello inguinale profondo. Il terzo ramo, il n. genitofemorale, decorre lungo la faccia
anteriore del m. grande psoas per raggiungere anch’esso la parete anteriore della regione inguinale; a
questo livello si divide in un ramo genitale, che si porta all’interno del canale inguinale, e in un ramo
femorale, che si porta verso l’arto inferiore attraverso la lacuna vasorum.
Gli ultimi tre rami del plesso lombare sono rappresentati dai nervi più caudali di questo, ovvero il n.
femorale, il n. otturatore e il n. cutaneo laterale della coscia, che verranno descritti nel dettaglio.
- Nervo Otturatore
Fornisce l’innervazione motoria per i mm. adduttori della coscia. Corrisponde all’ultimo nervo
del plesso lombare, che decorre posteromedialmente al m. grande psoas fino a portarsi,
medialmente a questo nella piccola pelvi. Incrocia posteriormente l’a. e la v. iliaca esterna e si
dirige verso il canale otturatorio. Dopo aver attraversato il canale otturatorio raggiunge la
coscia, dove invia subito un ramo motorio per il m. otturatore esterno. A questo livello si divide
in un ramo anteriore o profondo e in un ramo posteriore o superficiale, il primo decorre tra i
mm. adduttori lungo e breve, il secondo tra i mm. adduttori breve e grande. Invia ramificazioni
anche per i mm. gracile e pettineo. Inoltre, contribuisce all’innervazione della porzione mediale
della cute della coscia, attraverso nervi cutanei mediali della coscia.
Il ramo anteriore o profondo innerva il m. gracile, il m. pettineo, il m. adduttore breve e il m.
adduttore lungo. Il ramo superficiale o posteriore innerva il m. adduttore grande e il m.
otturatore esterno.
Il tronco lombosacrale o plesso lombosacrale è costituito da parte del nervo spinale di L4, e dai nervi
spinali L5-S3. I rami ventrali di questi nervi spinali si uniscono anteriormente al m. piriforme per
formare il plesso lombosacrale.
Dal plesso sacrale originano numerosi e importanti nervi per la regione glutea, sia rami motori che rami
sensitivi e, inoltre, originano gli importanti nervi che si portano alla regione pelvica, perineale e alla
coscia, come il n. pudendo e il n. ischiatico. I nervi cutanei della regione glutea sono rappresentati dai
nn. cluneali superiore, medio e inferiore, che innervano la cute della regione media e superiore della
natica. La regione inferiore della cute del grande gluteo e la piega glutea sono invece innervati dal n.
cutaneo perforante della regione glutea. Tra i nervi profondi invece del plesso sacrale ricordiamo il n.
sciatico, il n. pudendo e il n. cutaneo posteriore della coscia, che verranno di seguito descritti. Inoltre vi
sono il n. per il m. otturatore interno, che entra nella regione glutea dal grande forame ischiatico,
passando sotto al m. piriforme, per poi rientrare dirigendosi verso il m. otturatore intermo, attraverso il
piccolo forame ischiatico; poi vi sono i nn. glutei superiore ed inferiore che innervano, il superiore, i
mm. glutei medio e piccolo e il m. tensore della fascia lata e, l’inferiore, il m. grande gluteo, e si
distinguono perché attraversano il grande forame ischiatico l’uno sopra e l’atro sotto il m. piriforme;
infine, l’ultimo nervo è il n. per il m. quadrato del femore.
- Nervo Ischiatico
Il nervo è formato da due tronchi, il n. peroneo comune e il n. tibiale, che nella pelvi e nella
coscia sono avvolti da un'unica guaina connettivale, apparendo quindi come un solo nervo che
prende appunto il nome di n. ischiatico o sciatico. Il n. ischiatico attraversa il grande forame
ischiatico inferiormente al m. piriforme e superiormente al ligamento sacrospinoso; decorre
posteriormente, andando in senso craniocaudale, prima al tricipite dell’anca, formato dal m.
gemello superiore, dal m. otturatore interno e dal m. gemello inferiore, poi al m. quadrato del
femore e infine al m. grande adduttore. Inoltre decorre medialmente e in profondità rispetto al
m. grande gluteo e al m. bicipite femorale. All’interno del bacino il n. tibiale è posto
inferiormente al n. peroneo comune, mentre, a livello della coscia, il n. tibiale si pone
medialmente al n. peroneo comune.
Giunti a livello del ginocchio e della porzione superiore della fossa poplitea il n. ischiatico si
divide in n. peroneo e in n. tibiale.
Il n. tibiale decorre insieme ai vasi poplitei, lateroposteriormente a questi. Si appoggia
posteriormente al m. popliteo che si interpone tra di esso e la capsula articolare del ginocchio.
Scende inferiormente lungo la superficie posteriore del m. tibiale posteriore, all’interno dello
spazio vasculo-nervoso della gamba, anteriormente e in profondità rispetto al setto
intermuscolare trasverso, nella loggia posteriore della gamba. Passa posteriormente al malleolo
mediale fornendo i nn. plantari mediale e laterale.
Il n. fibulare o peroniero comune segue invece il decorso mediale del tendine del m. bicipite
femorale e, portatosi lungo la superficie posteriore della testa della fibula, gira attorno al collo
della fibula in profondità rispetto al m. peroneo lungo, portandosi in profondità rispetto alla
superficie anterolaterale della gamba, e dividendosi a questo livello in n. peroneo profondo,
mediale, per i mm. della loggia anteriore della gamba, e in n. peroneo superficiale, laterale, per
i mm. della loggia laterale della gamba.
Osservando la regione della spalla in una proiezione anteriore si può osservare come essa comprenda
superomedialmente, la regione sottoclavicolare, con il trigono clavipettorale, attraverso cui i vasi e i
nervi raggiungono l’arto superiore, e inferomedialmente la regione ascellare, al di sotto del quale si
trova la fossa o cavo ascellare. Lateralmente all’articolazione gleno-omerale si trova la regione
deltoidea alla quale segue, posteriormente, la regione scapolare.
Il braccio si divide in una regione brachiale anteriore, la cui componente muscolare e costituita dai
muscoli flessori, e in una regione brachiale posteriore, la cui componente muscolare è costituita dai
muscoli estensori. Sulla superficie cutanea della regione brachiale anteriore può essere visibile un solco
bicipitale mediale, che funge da doccia guida per i vasi che si portano dalla fossa ascellare alla fossa
cubitale. Lateralmente, al confine tra regione brachiale anteriore e regione brachiale posteriore, troviamo
il solco bicipitale laterale, dove trova decorso e alloggia la v. cefalica.
Alla regione brachiale anteriore fa seguito, sul davanti, la regione cubitale anteriore, il cui centro è
rappresentato dalla fossa cubitale, al cui interno avvengono le principali divisioni di nervi e vasi. Esiste
anche una regione cubitale posteriore, che però non presenta particolari strutture vasali e nervose ma
solo strati membranosi e ossei.
Distalmente alla fossa cubitale si trova la regione anteriore dell’avambraccio, che, suddivisa in una
parte anterolaterale e in una anteromediale, contiene tra la componente muscolare flessoria, i principali
vasi e nervi di questa regione. La faccia dorsale dell’avambraccio è formata dalla regione posteriore
dell’avambraccio che contiene pochi vasi e i muscoli estensori.
Compresa tra il palmo della mano e la regione anteriore dell’avambraccio si trova la regione volare del
polso o regione carpale anteriore. Dorsalmente invece si trova la regione carpale posteriore, a cui
segue il dorso della mano.
In superficie troviamo la fascia pettorale, che in corrispondenza del trigono appare un po’ infossata.
Questa regione appare divisa in due strati dalla fascia clavipettorale, ovvero una membrana che si porta
dalla faccia interna del m. deltoide alla faccia interna del m. grande pettorale, estendendosi in una
porzione che va dalla clavicola al margine mediale del m. piccolo pettorale e, in alto, fino al processo
coracoideo della scapola. Nello strato superficiale rispetto alla fascia clavipettorale, si può osservare la
v. cefalica, che proviene dal solco deltoideopettorale, che perfora lo strato fasciale portandosi in
prossimità come vena tributaria della v. ascellare.
Nello strato profondo della regione sottoclavicolare o del trigono clavipettorale si può osservare il
decorso delle strutture vascolari e nervose destinate all’arto superiore. Dunque, in una porzione
compresa tra il m. succlavio, superomedialmente, e il m. piccolo pettorale, inferolateralmente, si
apprezza il decorso andando in senso mediolaterale, anteroposteriore e inferosuperiore, dapprima la v.
ascellare, con lo sbocco della v. cefalica sulla sua faccia anteriore, poi l’a. ascellare, che a questo
livello invia l’a. toraco-acromiale, e il plesso brachiale, già diviso nei suoi fascicoli mediale, laterale e
posteriore. a questo livello si trovano i principali ed ultimi linfonodi ascellari, ovvero il gruppo
sottoclavicolare, ultima stazione linfatica dell’arto superiore.
REGIONE ASCELLARE
Osservando dorsalmente la regione ascellare si può notare come essa presenti una fessura compresa tra
il m. grande rotondo, in basso, e il m. piccolo rotondo, in alto, e, lateralmente, chiusa dall’omero. Questa
fessura è separata in due porzioni dal tendine d’inserzione del capo lungo del m. tricipite brachiale, che
divide la fessura, passando posteriormente al m. grande rotondo e anteriormente al m. piccolo rotondo,
ovvero una porzione laterale, il forame ascellare laterale, e una mediale, il forame ascellare mediale.
La fascia brachiale, spessa e robusta, riveste l’arto superiore mantenendo in tensione le componenti
muscolari, come se fosse una calza ben stretta che avvolge l’arto. Medialmente e lateralmente all’omero
originano due setti trasversali che raggiungono in superficie la fascia brachiale, dividendo così in due
compartimenti lo spazio interno del braccio. I due compartimenti saranno uno anteriore, o flessore del
braccio, e uno posteriore, o estensore del braccio.
In corrispondenza del lato laterale del m. bicipite brachiale, decorre in superficie la v. cefalica, che poi si
porta all’interno del solco deltoideopettorale. Invece, nel terzo intermedio e distale della superficie
mediale del braccio, si può osservare il decorso della v. basilica, prima che essa attraversi la fascia
brachiale, perforandola in corrispondenza dello iato basilico. Si osserva la v. basilica accompagnata dal
n. cutaneo mediale dell’avambraccio che, diviso in un ramo anteriore e in uno posteriore, si pone
lateralmente a stretto contatto con la vena, con il ramo anteriore, e medialmente, più lontano e mediale
rispetto alla vena, con il ramo posteriore. Per quanto riguarda il n. cutaneo mediale del braccio invece,
questo discende lungo la faccia mediale del braccio dall’ascella, con 2 o 3 rami cutanei.
Il solco bicipitale mediale è delimitato in dietro dal setto intermuscolare mediale della fascia brachiale,
lateralmente dal m. bicipite brachiale, e, medialmente e in avanti, dalla fascia brachiale. All’interno di
tale solco decorrono le strutture vasculo-nervose dell’arto superiore. La più superficiale è sicuramente il
n. cutaneo mediale dell’avambraccio, che decorre sul davanti della v. basilica. La struttura più mediale
che incrocia posteriormente la v. basilica è il n. ulnare, che si porta al davanti del m. tricipite brachiale,
separato da questo dal setto intermuscolare mediale. Al confine tra terzo mediale e terzo distale del
braccio il n. ulnare perfora il setto intermuscolare e si porta posteriormente a questo, nella loggia
posteriore, sul davanti del m. tricipite brachiale, fino a raggiungere il solco del n. ulnare, sulla superficie
posteriore dell’epicondilo mediale dell’omero.
Lateralmente e un po’ distante dalla v. basilica decorre il n. mediano, che decorre dall’alto in basso
lateromediale rispetto all’a. brachiale, incrociandola sul davanti. Quest’ultima è la struttura più profonda
del solco bicipitale mediale.
La fossa cubitale è una depressione triangolare sulla superficie anteriore del gomito, avente come
confini, superiormente, una linea virtuale che unisce gli epicondili omerali mediale e laterale,
medialmente, il m. pronatore rotondo e, lateralmente, il m. brachioradiale. Il pavimento della fossa
cubitale è formato dai m. brachiale e supinatore, muscoli del braccio e dell’avambraccio. La fascia
profonda, rinforzata medialmente dall’aponevrosi bicipitale, forma il tetto della fossa cubitale.
Medialmente si trova la v. basilica, ben visibile attraverso la cute. La v. basilica dell’avambraccio, che si
continua poi nella v. basilica, si unisce attraverso la v. mediana del gomito, con la v. cefalica, a livello
della fossa cubitale. In prossimità dello sbocco della v. mediana del gomito nella v. basilica, questa
risulta essere incrociata in avanti e in dietro, dalla biforcazione del ramo anteriore del n. cutaneo
mediale dell’avambraccio.
- Scapola
La scapola è un osso piatto di forma triangolare, posto lungo la parete posterolaterale del torace,
tra la II e la VII costa. Presentandosi di forma grossolanamente triangolare offre a considerare
tre margini, ovvero il margine superiore, il margine mediale e il margine laterale, e tre angoli,
ovvero l’angolo superiore, posto tra i margini superiore e mediale, l’angolo inferiore, posto tra i
margini mediale e laterale, e, infine, l’angolo laterale, posto tra i margini superiore e laterale.
La faccia ventrale o superficie anteriore della scapola presenta spesso linee di inserzione
muscolare ben marcate ed è di forma leggermente scavata e piatta; la faccia dorsale o superficie
posteriore invece viene suddivisa dalla spina della scapola in una fossa sovraspinata, di minor
estensione, e in una fossa infraspinata, con un estensione maggiore. La spina della scapola ha
origine dal 1/3 superiore del margine mediale della scapola, dove si presenta di forma
triangolare con il trigono della spina, e, aumentando progressivamente di altezza, si porta
lateralmente e leggermente superiormente, terminando, dopo essersi piegata in avanti, con un
processo piatto chiamato acromion, che presenta una faccia articolare per l’articolazione
acromioclavicolare.
L’acromion si presenta come una protrusione della spina scapolare, e l’angolo acromiale, che
segna il passaggio tra queste due strutture lungo il margine inferolaterale, è ben palpabile,
soprattutto nei soggetti magri. A livello dell’angolo laterale della scapola, osservando l’osso in
una proiezione laterale, si può osservare una faccia articolare glenoidea, compresa in una cavità
glenoidea concava. Superiormente al margine della cavità glenoidea si trova un tubercolo
sopraglenoideo mentre, inferiormente, si trova un tubercolo infraglenoideo, che si continua poi
nel margine laterale della scapola.
Medialmente alla cavità glenoidea, questa si continua nella scapola attraverso il collo della
scapola, mentre, superiormente, si diparte da questi il processo coracoideo della scapola, che
piega ad angolo retto, portandosi anterolateralmente ed appiattendosi progressivamente.
L’acromion e il processo coracoideo formano due strutture di protezione superoanteriore e
superoposteriore per l’articolazione tra omero e scapola. Lungo il margine superiore della
scapola, medialmente al processo coracoideo, si trova una incisura scapolare.
La cavità glenoidea si orienta anterolateralmente per accogliere la testa dell’omero. È una fossa
concava poco profonda e di forma ovale, lunga ca. 4 cm e larga 2-3 cm, rivolta oltre che
anterolateralmente, anche leggermente verso l’alto.
- Articolazione Acromioclavicolare
È un’articolazione sinoviale del tipo delle artrodie; si presenta ca. 2-3 cm medialmente all’apice
della spalla, costituito dalla porzione laterale dell’acromion, formata essenzialmente da due
facce articolari piane.
Le due facce articolari sono separate da un disco di cartilagine fibrosa, incompleto e a forma di
cuneo; le due superfici sono rappresentate dall’epifisi acromiale, con la sua faccia articolare
acromiale, della clavicola e l’acromion della scapola. La capsula articolare si presenta piuttosto
lassa, come un manicotto attorno ai capi articolari, attorniata da ligamenti di rinforzo. L’unico
ligamento intrinseco dell’articolazione è il ligamento acromioclavicolare, costituito da una
piccola banderella che si porta, superiormente alla capsula, dall’acromion alla clavicola.
Tuttavia, le principali strutture di rinforzo dell’articolazione, sono i ligamenti estrinseci della
capsula, ovvero quelli distanti dall’articolazione vera e propria, che però agiscono su questa; il
più importante tra questi ligamenti è sicuramente il ligamento coracoclavicolare, formato da due
gruppi di fasci che consentono di suddividere due ligamenti che lo costituiscono, ovvero il
ligamento conoide e il ligamento trapezoide. Il ligamento conoide, che costituisce la porzione
mediale del ligamento coracoclavicolare, ha la forma di un cono con apice rivolto inferiormente
e si porta, con andamento longitudinale, dal tubercolo conoide della clavicola, fino al suo apice
sul processo coracoideo. Il ligamento trapezoide, che costituisce la porzione laterale del
ligamento coracoclavicolare, si pone con andamento obliquo, dall’alto in basso
lateromedialmente, avente una forma più regolare e quadrangolare. Si porta dalla cresta
trapezoide della superficie inferiore della clavicola fino alla superficie superiore del processo
coracoideo della scapola.
1. MUSCOLO TRAPEZIO
Il trapezio unisce direttamente la cintura scapolare al cranio e alla colonna vertebrale. Le sue
fibre vengono divise in tre porzioni in relazione all’articolazione scapolotoracica. Le fibre
superiori elevano la scapola, le fibre medie retraggono la scapola e le fibre inferiori
abbassano la scapola. Queste fibre differiscono anche per il decorso che appare
rispettivamente, discendente, trasverso o orizzontale e ascendente rispetto al decorso verso
l’inserzione sulla scapola.
Origine - la porzione superiore o discendente origina dal terzo medio della linea nucale
superiore, dal ligamento nucale e dalla protuberanza occipitale esterna; la porzione trasversa
origina dai processi spinosi e dai ligamenti sovraspinosi delle vertebre da C7 a T3; la
porzione ascendente o inferiore origina dai processi spinosi e dai ligamenti sovraspinosi
delle vertebre toraciche da T3 a T12.
Inserzione - la porzione discendente si inserisce sul terzo laterale della clavicola; la porzione
trasversa si inserisce sull’estremità acromiale della scapola e sulla porzione più laterale della
spina scapolare; la porzione ascendente o inferiore si inserisce lungo tutta la porzione
mediale della spina scapolare, fino al trigono della spina scapolare.
Innervazione - l’innervazione motoria del m. trapezio è adibita al n. accessorio, con la sua
radice spinale. Il plesso cervicale con i nn. C3 e C4 svolgono invece la funzione afferente.
Azione - eleva, retrae e ruota la scapola. È il principale muscolo del movimento delle spalle.
1. MUSCOLO DELTOIDE
Il m. deltoide è un grosso muscolo che ricopre superficialmente la spalla, potente e
apprezzabile al tatto. Come indica il suo nome questo muscolo ha la forma di una lettera
“delta” invertita, con l’apice rivolto verso l’omero, lateroinferiormente.
Viene diviso in una parte anteriore e in una parte posteriore, entrambe unipennate, che
differiscono entrambe da una parte intermedia, più spessa, estesa e robusta, multipennata,
che svolge la principale azione del muscolo, ovvero l’abduzione del braccio. Le parti
anteriore e posteriore del deltoide sono usate durante la deambulazione per far oscillare gli
arti, per conferire più equilibrio all’atto del camminare. Inoltre il deltoide mantiene la testa
dell’omero all’interno della cavità glenoidea, stabilizzando la spalla.
Origine - il m. deltoide origina dal terzo laterale della clavicola e dalla spina della scapola.
Inserzione - il muscolo trova inserzione sulla tuberosità deltoidea dell’omero.
Innervazione - è innervato dal n. ascellare, proveniente da C5 e C6.
Azione - la parte anteriore del m. deltoide flette e ruota internamente il braccio; la parte
media abduce il braccio e la parte posteriore estende e ruota esternamente il braccio.
4. MUSCOLO SOTTOSPINATO
Occupa i ¾ mediali della fossa infraspinata e risulta essere parzialmente coperto dal m.
deltoide e dal m. trapezio. È un potente rotatore laterale del braccio.
Origine - origina dalla fossa sottospinata della scapola.
Inserzione - si inserisce sul tubercolo maggiore dell’epifisi prossimale dell’omero, lungo la
faccia posterosuperiore di questo, inferiormente all’inserzione del m. sopraspinato e
superiormente all’inserzione del m. piccolo rotondo.
Innervazione - è innervato dal n. soprascapolare.
Azione - insieme al m. piccolo rotondo ruota lateralmente il braccio e mantiene nella
corretta posizione la testa dell’omero.
6. MUSCOLO SOTTOSCAPOLARE
È un grosso muscolo triangolare posto lungo la superficie costale della scapola. Nel suo
decorso si pone anteriormente alla capsula dell’articolazione gleno-omerale, formando parte
della parete posteriore dell’ascella. È un forte adduttore nonché uno dei principali rotatori
mediali del braccio.
Origine - origina dalla fossa sottoscapolare, tra la faccia ventrale della scapola e le coste.
Inserzione - si inserisce sul tubercolo minore dell’omero, decorrendo anteriormente
all’articolazione gleno-omerale.
Innervazione - è innervato dai nn. sottoscapolari inferiore e superiore.
Azione - concorre a mantenere la testa dell’omero in situ e ruota medialmente il braccio,
contribuendo anche all’adduzione di questo.
- Omero
L’omero, il più grande osso dell’arto superiore, si articola prossimalmente con la scapola,
nell’articolazione scapolo-omerale, e distalmente con ulna e radio, nell’articolazione del
gomito. Parallelamente a quanto avviene nell’arto inferiore, per quanto riguarda il femore,
anche per l’omero possono essere descritte due epifisi, una prossimale e una distale, e una
diafisi, o corpo intermedio.
L’epifisi prossimale è formata da una testa, che presenta una faccia articolare liscia, delimitata
da un collo anatomico, ovvero una linea obliqua dall’alto in basso lateromedialmente che segna
il confine tra superficie articolare e diafisi. In realtà, tra il collo anatomico e la diafisi dell’omero
si trovano, lungo la faccia anteriore dell’omero, un tubercolo maggiore e un tubercolo minore,
l’uno laterale e l’altro mediale, separati da un solco intertubercolare.
La diafisi offre a considerare due creste che discendono longitudinalmente dai due tubercoli,
rispettivamente la cresta del tubercolo maggiore, lateralmente, e la cresta del tubercolo minore,
medialmente, e, tra queste, è compreso ancora il solco intertubercolare. Il confine tra diafisi e
epifisi prossimale dell’omero è rappresentato dal collo chirurgico. Lungo la faccia anteriore,
inoltre, lateralmente, si osserva a livello della metà della diafisi dell’omero, una tuberosità
deltoidea, dove si inserisce il m. deltoide.
Il corpo dell’omero offre a considerare, lungo la sua superficie anteriore, una faccia
anterolaterale e una faccia anteromediale, delimitate, lateralmente e medialmente, rispetto alla
superficie posteriore, da due margini, che si fanno sempre più acuti distalmente, detti margine
mediale e margine laterale. Ambedue i margini, diventando progressivamente più acuti, si
trasformano in creste sopracondiloidee mediale e laterale, a livello dell’epifisi distale
dell’omero. Posteriormente il corpo dell’omero offre a considerare un solco per il n. radiale che
decorre obliquo dall’alto in basso mediolateralmente.
L’epifisi distale offre a considerare innanzitutto due sporgenze, una più piccola e laterale, che
prende il nome di epicondilo laterale, e una più sporgente e mediale, ovvero l’epicondilo
mediale. Compresi tra queste due sporgenze, lungo la faccia anteriore, si trovano le superfici
articolari per le ossa dell’avambraccio, ovvero la troclea omerale e il condilo o capitello
omerale, l’una mediale e l’altro laterale. Medialmente all’epicondilo laterale, superiormente al
condilo omerale, si trova la fossa radiale, mentre, superiormente alla troclea e lateralmente
all’epicondilo mediale, si trova la fossa coronoidea, più estesa e profonda. Medialmente alla
troclea omerale, tra questa e l’epicondilo mediale, si trova un solco per il n. ulnare, mentre,
posteriormente, troviamo al di sopra della troclea una fossa profonda detta fossa olecranica.
1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare fibrosa si presenta lassa e avvolge l’articolazione gleno-omerale
inserendosi medialmente al margine della cavità glenoidea e lateralmente in corrispondenza
del collo anatomico dell’omero. La capsula fibrosa forma un anello connettivale attorno alla
capsula sinoviale, formando in prossimità di alcune porzioni di questa dei veri e propri
canali osteofibrosi. La capsula sinoviale risulta essere fissata al labbro glenoideo e protrude,
formando una specie di rivestimento, in corrispondenza del tendine del m. bicipite, che
scorre in prossimità del solco intertubercolare, dentro la capsula, avvolto quindi da questa,
circondato da una vagina sinoviale causata dalla riflessione in corrispondenza della sua
inserzione, della membrana sinoviale. Dunque la membrana sinoviale si riflette delimitando
la cavità articolare in prossimità del labbro glenoideo, del collo dell’omero, e del tendine del
capo lungo del m. bicipite, estendendosi così, lungo questo tendine e attraverso le
invaginazioni che lo rivestono, fino al collo chirurgico dell’omero.
La parte inferiore della capsula articolare, ovvero la porzione non rinforzata dalla cuffia dei
rotatori, rappresenta l’area più debole ed esposta a lussazioni. Dunque nella sua porzione
inferiore presenta una porzione più lassa che, a braccio addotto, offre a considerare un
recesso ascellare che si porta dal labbro glenoideo, inferiormente, visibile come
rigonfiamento della capsula fibrosa. Tale recesso si tende e non è visibile a braccio abdotto.
Ligamenti Gleno-Omerali : sono tre bande fibrose evidenti solo nella superficie interna della
capsula. Rinforzano la parte anteriore di questa e si irradiano come benderelle fibrose dal
collo anatomico dell’omero fino al labbro glenoideo e al tubercolo sopraglenoideo.
3. MUSCOLO CORACOBRACHIALE
È un lungo ed esile muscolo che viene attraversato dal n. muscolocutaneo e la cui inserzione
indica la posizione del forame nutritizio dell’omero. Non interviene sull’articolazione del
gomito e si ritrova nella porzione superomediale del braccio. Contribuisce a stabilizzare sul
davanti l’articolazione gleno-omerale.
Origine - origina dall’apice del processo coracoideo della scapola.
Inserzione - si inserisce sulla superficie mediale della diafisi dell’omero, nel 1/3 medio di
quest’osso.
Innervazione - è innervato dal n. muscolocutaneo, con fibre provenienti da C5, C6 e C7.
Azione - contribuisce come muscolo ausiliario sia alla flessione dell’braccio che
all’adduzione del braccio. Non agisce sull’articolazione del gomito.
2. MUSCOLO ANCONEO
È un piccolo e breve muscolo di forma triangolare che può essere considerato una
derivazione funzionale del m. tricipite brachiale. È situato posteriormente al gomito e per
questo viene indicato anche come tensore della capsula articolare del gomito. Si presenta
talvolta parzialmente fuso con il m. tricipite brachiale.
Origine - questo muscolo origina dall’epicondilo laterale dell’omero e decorre
posteriormente all’articolazione del gomito, con decorso obliquo dall’alto in basso
lateromediale, fino alla sua inserzione.
Inserzione - si inserisce sulla superficie posteriore dell’ulna nella sua porzione più superiore
e sulla superficie posterolaterale dell’olecrano.
Innervazione - il m. anconeo è innervato dal n. radiale con fibre provenienti da C7, C8 e T1.
Azione - assiste il m. tricipite brachiale nell’estensione dell’avambraccio e stabilizza
posteriormente l’articolazione del gomito. Partecipa alla pronazione dell’avambraccio.
- Radio
Nell’avambraccio si trovano lateralmente il radio, più corto, e medialmente l’ulna, più lunga. Il
radio viene distinto in un corpo, o diafisi, e in due estremità epifisarie, una prossimale e una
distale. In corrispondenza dell’estremità prossimale si trova la testa del radio, ovvero la
porzione di quest’osso che si articola nei movimenti di flessione ed estensione dell’avambraccio
con il capitello dell’omero. Superiormente, la sua faccia articolare, detta fossa articolare, si
continua nella circonferenza articolare, che corrisponde al bordo superiore circolare della testa
dell’omero, ricoperto da cartilagine ialina.
Al passaggio tra collo e corpo del radio si trova, medialmente, la tuberosità radiale, che separa
dunque l’epifisi prossimale dell’osso, dal suo corpo. Il collo si presenta come una porzione
ristretta mentre il corpo, in sezione trasversale, risulta essere di forma triangolare con un
margine mediale interosseo, un margine anteriore e un margine posteriore. Ovviamente tra
questi margini saranno presenti delle facce, che risulteranno essere una faccia posteriore, una
faccia laterale ed una faccia anteriore o mediale; il margine anteriore divide la faccia anteriore
dalla faccia laterale, mentre il margine posteriore divide quest’ultima dalla faccia posteriore.
Nel terzo intermedio della faccia laterale è visibile una tuberosità pronatoria.
Progressivamente il corpo del radio si ingrossa assumendo in sezione trasversale una forma
rettangolare. L’epifisi distale presenta una sporgenza laterale, detto processo stiloideo del radio
e una incisura mediale, detta incisura ulnare. Inferiormente, l’epifisi distale termina con la
faccia articolare carpale. Dorsalmente l’estremità carpale del radio offre a considerare numerosi
solchi più o meno profondi in cui scorrono i tendini, con le proprie guaine tendinee, dei muscoli
estensori lunghi.
Procedendo in senso radio-ulnare o lateromediale avremo dapprima il primo solco, dove
alloggiano i tendini del m. abduttore lungo del pollice e estensore breve del pollice, in
prossimità del processo stiloideo. In seguito nel secondo solco sono alloggiati i tendini dei mm.
estensori radiali del carpo lungo e breve. Il terzo solco ha un decorso leggermente obliquo e
contiene il tendine del m. estensore lungo del pollice, mentre, il quarto solco contiene i tendini
del m. estensore delle dita e del m. estensore dell’indice. La cresta ossea del terzo solco è quasi
sempre palpabile e si presenta come una lieve sporgenza detta tubercolo dorsale.
1. CAPSULA ARTICOLARE
La capsula articolare è sottile e lassa, e circonda i capi articolari inserendosi superiormente
sull’omero, prossimalmente sia sul davanti che sul di dietro, alle fosse olecranica e
coronoidea. Per impedire che nel corso dei movimenti la capsula venga schiacciata tra i capi
articolari, fibre muscolari del m. brachiale e del m. bicipite brachiale si irradiano al suo
interno mantenendola in tensione, e prendono il nome di mm. articolari. Gli epicondili
omerali sono extracapsulari.
Tra la membrana sinoviale e la capsula fibrosa si trovano dei cuscinetti di tessuto adiposo
che riempiono le fosse articolari, con chiara funzione di resistenza meccanica alle forze di
pressione.
Nell’ulna l’inserzione capsulare segue il margine dell’incisura trocleare, comprendendo
all’interno della capsula l’apice dell’olecrano e il processo coronoideo.
Per quanto riguarda il radio la capsula si continua fin sotto il ligamento anulare, formando
qui un recesso sacciforme superiore che facilita la rotazione del radio.
4. ARTICOLAZIONE OMERORADIALE
Ha come capi articolari l’incisura trocleare dell’ulna e la troclea omerale. Anteriormente la
troclea omerale presenta una gola della troclea, ovvero il punto in cui la troclea si articola
con il processo coronoideo dell’epifisi prossimale dell’ulna.
L’articolazione omeroulnare e l’articolazione omeroradiale permettono i movimenti di
estensione e flessione dell’avambraccio.
1. PRONATORE ROTONDO
Questo muscolo affusolato è un pronatore e flessore dell’avambraccio. L’inserzione
prossimale è costituita da due capi, di cui uno è l’inserzione comune ai mm. flessori
superficiali della loggia anteriore. Per avere il massimo braccio di leva durante la pronazione
questo muscolo si inserisce distalmente nel punto più laterale del radio, ovvero a livello
della metà della sua diafisi. Il suo margine laterale forma il limite mediale della fossa
cubitale.
Origine - origina, con il capo omerale, dal tendine comune dei flessori superficiali
sull’epicondilo mediale dell’omero e, con il capo ulnare, dal processo coronoideo dell’ulna.
Inserzione - trova inserzione sulla rugosità posta intorno alla metà della diafisi del radio,
lungo la faccia laterale di questa.
Innervazione - innervato dal n. mediano.
Azione - prona e contribuisce alla flessione dell’avambraccio.
8. PRONATORE QUADRATO
Come indica il suo nome questo piccolo muscolo distale dell’avambraccio è di forma
quadrangolare e contribuisce alla pronazione dell’avambraccio. È in assoluto il muscolo più
profondo della loggia anteriore e non si può ne palpare ne osservare, proprio per questo
motivo. Riveste anteriormente il ¼ distale del radio e dell’ulna, e della membrana interossea
posta tra questi. È l’unico muscolo che si inserisce esclusivamente con un’estremità all’ulna
e con l’altra estremità al radio. È il muscolo pronatore più potente dell’avambraccio,
sebbene abbia un’azione più lenta rispetto al m. pronatore rotondo. Contribuisce anche a
rinforzare le articolazioni radioulnari intermedia e distale, tenendo insieme l’ulna e il radio.
Origine - origina dal ¼ distale della superficie anteriore dell’ulna.
Inserzione - decorre obliquo, o quasi orizzontale, mediolateralmente dall’alto in basso, per
inserirsi sul ¼ distale della superficie anteriore del radio.
Innervazione - è innervato dal n. interosseo anteriore, ramo del n. mediano.
Azione - tiene insieme radio e ulna ed è il più potente pronatore dell’avambraccio.
1. MUSCOLO BRACHIORADIALE
Questo sottile muscolo si trova superficialmente sulla parete anterolaterale dell’avambraccio
e forma il margine laterale della fossa cubitale. Risulta essere un’eccezione tra i muscoli
della loggia posteriore, essendo l’unico flessore tra questi. Mentre si porta verso il basso il
m. brachioradiale decorre superficialmente al m. pronatore rotondo, al m. flessore
superficiale delle dita e al m. flessore lungo del pollice, ricoprendo l’a. e il n. radiali che
decorrono sui muscoli elencati.
Origine - origina sulla cresta sopracondiloidea prossimalmente al m. estensore radiale lungo.
Inserzione - si inserisce sul processo stiloideo del radio, in corrispondenza della faccia
laterale di questo.
Innervazione - è innervato dal n. radiale.
Azione - portando il braccio in posizione intermedia o di taglio rispetto alla pronazione e
alla supinazione, agisce come rapido flessore dell’avambraccio.
- Carpo
Il carpo corrisponde allo scheletro del polso, costituito da 8 ossa carpali disposte su due file da 4
ossa ciascuna, che conferiscono mobilità al polso, risultando distintamente convesso
dorsalmente e concavo ventralmente.
Procedendo lateromedialmente le 4 ossa della fila prossimale sono lo scafoide, il semilunare, il
piramidale e il pisiforme. Per quanto riguarda la fila distale invece, avremo il trapezio, il
trapezoide, il capitato o grande osso e l’uncinato.
Sul lato palmare il carpo si presenta concavo e, tra questa concavità è teso il retinacolo dei
flessori, che forma così un tunnel osteofibroso detto canale del carpo. Il retinacolo dei flessori si
estende dallo scafoide e dal trapezio fino al piramidale, al pisiforme e al all’uncinato.
1. SCAFOIDE
È l’osso più grande della fila prossimale; presenta un tubercolo dello scafoide che è
palpabile sulla faccia palmare della mano. Lo scafoide si articola con il radio
prossimalmente e con il trapezio e il trapezoide distalmente, nell’articolazione intercarpale.
Medialmente, inoltre, si articola con il semilunare e con il capitato.
2. SEMILUNARE
Possiede un’articolazione prossimale con il radio e con il disco articolare o ligamento
triangolare radioulnare. Inoltre si articola lateralmente con lo scafoide, medialmente con il
piramidale e distalmente con il capitato.
3. PIRAMIDALE
Ha la forma di una piramide con l’apice orientato medialmente. La base della piramide è
rivolta lateralmente e si articola con il semilunare. Prossimalmente si ritrova
un’articolazione tra il piramidale e il disco articolare radioulnare. Distalmente invece, l’osso
si articola con l’uncinato. Il piramidale presenta sulla sua faccia palmare una piccola
superficie per l’articolazione con il pisiforme.
4. PISIFORME
È l’osso più piccolo del carpo. Ha una forma grossolanamente sferoidale e presenta
dorsalmente una superficie articolare per il piramidale. È ben palpabile sotto la cute ed è
considerato a tutti gli effetti un osso sesamoide del tendine del m. flessore ulnare del carpo.
6. TRAPEZOIDE
È più largo sul lato dorsale che su quello palmare, presentandosi così a forma di cuneo. Si
articola lateralmente con il trapezio e medialmente con il capitato. Distalmente possiede una
faccia articolare per il II osso metacarpale e prossimalmente una per lo scafoide.
7. CAPITATO
È il più grande osso del carpo e presenta facce articolari prossimalmente per il semilunare e
per lo scafoide, lateralmente per il trapezoide e medialmente per l’uncinato. Distalmente si
articola con il III metacarpale e, in parte, sia con il IV che con il II metatarsale.
8. UNCINATO
È ben palpabile sul lato palmare e offre a considerare un processo, detto uncino, incurvato in
direzione anterolaterale. l’uncinato si articola distalmente con il V e il IV metacarpale e con
il capitato lateralmente. Prossimalmente e medialmente si articola con il piramidale, mentre,
prossimalmente e lateralmente si articola con il semilunare.
- Metacarpo e Dita
Le 5 ossa metacarpali sono costituite ciascuna da una testa, da un corpo e da una base. Alle due
estremità si trovano le facce articolari per il carpo e per la falange prossimale del corrispondente
dito. Le ossa metacarpali si presentano leggermente concave sul lato palmare e leggermente
convesse su quello dorsale.
La faccia dorsale del corpo presenta una superficie caratteristica di forma triangolare, con la
base rivolta verso la testa dell’osso metacarpale. Il I metacarpale ha una faccia articolare
prossimale a sella, per l’articolazione con il trapezio. Il II metacarpale presenta oltre ad
un’articolazione prossimale per il carpo anche una mediale, per il III metacarpale. Quest’ultimo
possiede sul lato radiale e dorsalmente, in posizione prossimale, un processo stiloideo e una
piccola superficie articolare per il II metacarpale. Sulla base inoltre presenta una faccia
articolare per il carpo e, sulla superficie prossimale mediale, presenta due faccette articolari per
il IV metacarpale, che a sua volta possiede una faccia articolare per il V metacarpale.
Ogni dito risulta essere costituito da una falange prossimale, una falange intermedia ed una
falange distale. Il pollice possiede solo due falangi, distale e prossimale.
La falange prossimale si presenta piatta sul lato palmare e convessa su quello dorsale. Ha
margini ruvidi per l’inserzione di alcun tendini flessori e offre a considerare una base, un corpo
e una testa o troclea, situata all’estremità distale.
La falange media possiede anch’essa una faccia articolare prossimale più larga per
l’articolazione con la falange prossimale.
La falange distale presenta una tuberosità della falange distale che costituisce l’apice della
testa, dove si inserisce il tendine del m. flessore profondo delle dita.
Infine, due piccole ossa sesamoidi sono regolarmente presenti a livello dell’articolazione
dell’osso metacarpale con la falange prossimale del pollice. Altre ossa sesamoidi possono essere
presenti a livello di altre articolazioni metacarpofalangee.
1. MUSCOLI LOMBRICALI
Sono così chiamati per la loro forma e risultano essere i più superficiali tra i muscoli
intrinseci della mano. Originano da ogni lato radiale dei 4 tendini del m. flessore profondo
delle dita e si inseriscono, coperti dall’aponevrosi palmare e dal ligamento intermetacarpale
trasverso, sull’aponevrosi degli estensori, sul lato dorsale delle dita.
I due laterali sono innervati dal n. mediano, i due mediali dal ramo profondo del n. ulnare.
- Arteria Ascellare
Col nome di a. ascellare s’intende quel tratto arterioso compreso tra l’a. succlavia,
prossimalmente, e l’a. brachiale, distalmente. L’a. ascellare si estende dal punto di mezzo del
margine inferiore della clavicola fino al margine inferiore del tendine del m. grande pettorale.
Decorre all’interno della cavità ascellare seguendo la parete anteriore di questa e si accosta nel
discendere verso il braccio, diventando assai superficiale, a livello della base dell’ascella. La
posizione dell’a. ascellare varia a seconda della posizione del braccio.
Considerando il braccio in posizione anatomica si nota come l’a. ascellare si avvicini molto
all’asse verticale, con lieve obliquità anterolateroinferiore, descrivendo una leggera curva a
concavità posteromediale.
L’a. ascellare viene divisa in tre porzioni in base ai suoi rapporti con il m. piccolo pettorale, che
incrocia decorrendo posteriormente a questo, ovvero una prima porzione sovrapettorale, lunga
ca. 2,5 cm, una seconda porzione retropettorale, lunga ca. 4 cm, e una terza porzione
sottopettorale, lunga ca. 7,5 cm. Il decorso completo dell’a. ascellare è di ca. 13-14 cm.
1. RAPPORTI
L’a. ascellare penetra nella cavità ascellare a livello dell’apice mediale di questa,
decorrendo inferiormente alla clavicola e al m. succlavio ad essa strettamente connesso,
anterolateralmente alla I costa e alla più alta digitazione, eventualmente presente, del m.
dentato anteriore, e anterosuperiormente rispetto alla faccia ventrale della scapola, ricoperta
dal m. sottoscapolare.
Anteriormente all’a. ascellare decorrono il m. grande pettorale e il m. piccolo pettorale,
lateralmente costeggia il processo coracoideo e le inserzioni prossimali del m. bicipite
brachiale e del m. coracobrachiale; medialmente entra in contatto con il m. dentato anteriore,
discostandosi da questo nel proseguire la sua discesa; posteriormente, infine, entra in
contatto dapprima con il m. sottoscapolare, poi con i tendini del m. grande rotondo e infine,
grande dorsale, discendendo compresa nel solco scavato tra il tendine di quest’ultimo e il
tendine del m. coracobrachiale.
Importanti sono i rapporti che l’a. ascellare contrae con le altre strutture del fascio vasculo-
nervoso, del quale l’arteria fa parte. La v. ascellare, più voluminosa dell’arteria omonima,
decorre anteromedialmente all’a. ascellare, ricoprendola soprattutto nel primo tratto del suo
decorso. I nervi del plesso brachiale sono, nella prima porzione dell’a. ascellare ancora poco
distinti l’uno dall’altro e ancora raccolti in un fascio comune, che si pone
lateroposteriormente all’a. ascellare. Tuttavia, quando il plesso brachiale comincia a
dividersi nei suoi rami principali, si può osservare il rapporto che l’a. ascellare contrae con il
n. ulnare, che decorre medialmente all’arteria, tra questa e la v. ascellare, con il n. radiale,
che si pone posteriormente all’a. ascellare, e con il n. mediano, che decorre lateralmente
all’a. ascellare e riceve la sua radice mediale, che decorre anteriormente all’a. ascellare,
formando una biforcazione con le sue due radici, all’interno del quale compare l’a. ascellare.
- Vena Ascellare
La v. ascellare rappresenta insieme alla v. succlavia, con la quale sta in diretta continuazione, il
principale tronco venoso dell’arto superiore. Si costituisce a livello del margine inferiore del
tendine del m. grande pettorale, per la confluenza delle due vv. brachiali e, attraversato
trasversalmente dal basso in alto leggermente obliqua lateromedialmente, raggiunge il margine
superiore della prima costa, dove cambia nome e diventa v. succlavia, portandosi anteriormente
al m. scaleno anteriore.
È un ramo satellite dell’a. ascellare e risulta essere posta decisamente mediale rispetto a questa,
nel suo primo tratto per poi diventare sempre più anteroinferiore. Tra la v. e l’a. ascellare si
interpongono il n. ulnare e la radice mediale del n. mediano, almeno fino a quando questa non si
porta anteriormente all’a. ascellare per unirsi alla radice laterale come unico n. mediano.
Il suo calibro è di ca. 1 cm e contrae rapporti uguali all’a. omonima.
- Vena Brachiale
Le vv. brachiali, in numero di due, sono entrambe satelliti dell’a. brachiale, e si portano dalla
fossa cubitale fino al margine inferiore del tendine del m. grande pettorale, ove si uniscono per
formare la v. ascellare. Sono poste l’una medialmente e l’altra lateralmente rispetto all’a.
brachiale, e stabiliscono numerosi rami anastomotici trasversi tra loro, che si portano
anteriormente all’arteria, e stabiliscono così una rete che attornia l’a. brachiale nel suo decorso.
I rami collaterali sono gli stessi dell’a. brachiale e, inoltre, la v. brachiale mediale riceve, a
livello dello iato basilico, tra terzo medio e terzo superiore della fascia brachiale, la v. basilica.
- Vena Basilica
Viene definita v. basilica la vena epifasciale che origina sopra la porzione distale dell’ulna e sale
in corrispondenza del lato ulnare dell’avambraccio. A metà del braccio la v. basilica si porta
posterosuperiormente al di sotto della fascia brachiale, attraversando lo iato basilico, per
sboccare nella v. brachiale mediana. Risulta essere la più grossa tra le vv. superficiali e origina a
livello del dorso della mano dalla confluenza di numerose vv. dorsali superficiali della mano;
portandosi obliquamente verso il margine ulnare dell’avambraccio, lo raggiunge a livello del suo
terzo inferiore, facendosi da mediale ad anteriore, a livello della fossa cubitale. Dopo aver
ricevuto la v. mediana del gomito si porta nel braccio alloggiata nel solco bicipitale mediale,
percorrendolo fino al terzo medio. A questo livello perfora in profondità la fascia e si porta
attraverso lo iato basilico prossimalmente, ancora per un breve tratto, per poi drenare all’interno
della v. brachiale mediale. A livello del polso una importante arcata anastomotica unisce le vv.
ulnari all’arcata venosa palmare. Molti rami venosi anastomotici collegano trasversalmente la v.
basilica alla v. cefalica, soprattutto a livello del polso e dell’avambraccio.
- Vena Cefalica
È un vaso cospicuo, che si forma sempre a livello del dorso della mano, specialmente per il
contributo della I v. metacarpale dorsale, della v. cefalica del pollice e dei rami che salgono
dall’eminenza tenar. Si può considerare essere la prima e principale via emissaria della rete
venosa dorsale della mano.
Il tronco della v. cefalica percorre per un breve tratto la faccia posteriore dell’avambraccio e, a
livello del terzo inferiore di questo, si porta anteriormente contornando il margine radiale
dell’avambraccio, dirigendosi superolateralmente verso la fossa cubitale. A livello del gomito
emette una v. mediale del gomito che si porta superomedialmente verso la v. basilica. A livello
del braccio si colloca nel solco bicipitale laterale e successivamente nel solco compreso tra il m.
grande pettorale e il m. deltoideo. Perforando la fascia clavipettorale al di sotto della clavicola
approfonda per sboccare nella v. ascellare.
- Linfonodi Ascellari
I linfonodi dell’estremità superiore sono divisi in un gruppo ascellare, più numeroso, e in singoli
gruppi sparsi lungo l’arto superiore meno frequenti e più variabili sia in posizione che in
numero. I linfonodi non ascellari vengono divisi in un gruppo superficiale, molto presente a
livello della fossa cubitale, e in un gruppo profondo di linfonodi, che seguono il decorso dell’aa.
interossee, radiale, ulnare e brachiale.
I linfonodi ascellari sono contenuti nella cavità dell’ascella accolti nel tessuto lasso e adiposo
che la riempie. Formano delle catene comunicanti lungo le pareti della cavità ascellare che
confluiscono tutte verso l’apice del cavo ascellare. Possono essere divisi in un gruppo brachiale,
associato alla faccia mediale del fascio vasculo-nervoso, soprattutto in rapporto con v. ascellare;
in un gruppo di linfonodi toracici o pettorali, applicati sul m. dentato anteriore, ovvero sulla
parete mediale dell’ascella, e che seguono il decorso dell’a. toracica laterale, ramo dell’a.
ascellare; poi troviamo un gruppo di linfonodi scapolari, che seguono il decorso dei vasi
sottoscapolari e risultano contrarre intimi rapporti con la parete posteriore della loggia ascellare;
vi sono i linfonodi centrali, che comunicano ampiamente con i linfonodi scapolari, e si trovano a
livello della base della loggia ascellare; infine, troviamo a livello del margine superiore del m.
piccolo pettorale, un gruppo di linfonodi sottoclavicolari, compresi tra la faccia posteroinferiore
della v. ascellare e il ventre più craniale del m. dentato anteriore. I linfonodi sottoclavicolari
costituiscono l’ultima stazione della linfa prima che questa venga drenata a livello del tronco
succlavio, costituito dalla confluenza di numerosi vasi efferenti dei linfonodi ascellari.
La maggior parte dei nervi dell’arto superiore originano dal plesso brachiale, ovvero il principale plesso
nervoso destinato all’arto superiore, che inizia a livello della regione laterale del collo, inferiormente al
plesso cervicale e decorre posteriormente alla clavicola, dividendosi in una porzione sopraclavicolare e
in una sottoclavicolare.
Il plesso brachiale risulta essere formato dai rami ventrali dei nn. spinali C5-T1 e gran parte dei suoi
rami si formano a livello della prima porzione della regione ascellare, ovvero ancor prima che esso
abbia superato il margine inferiore della I costa. Le radici del plesso brachiale passano attraverso il
trigono degli scaleni, superoposteriormente rispetto all’a. succlavia, e qui ricevono rami comunicanti
grigi per la componente di innervazione simpatica. Nella parte inferiore del collo le radici del plesso
brachiale si uniscono a formare tre tronchi primari, ovvero il tronco superiore, formato da C5 e C6, il
tronco medio, formato da C7, e il tronco inferiore, formato da C8 e T1. Attraversando il canale
cervicoascellare, posteriormente alla clavicola, i tronchi primari si dividono ciascuno in un ramo
anteriore e in un ramo posteriore, che saranno destinati rispettivamente alle logge anteriore e
posteriore dell’arto superiore, ovvero muscoli flessori e muscoli estensori, come divisione anteriore e
divisione posteriore dei tronchi del plesso brachiale.
Le divisioni anteriori dei tronchi superiore e medio vanno a costituire il fascicolo laterale mentre la
divisione anteriore del tronco inferiore decorre da sola come fascicolo mediale. La divisione posteriore,
ovvero i tre rami posteriori dei tronchi del plesso brachiale, va a formare il fascicolo posteriore. I
fascicoli laterale e mediale decorrono, come dicono i loro nomi, lateralmente e medialmente rispetto alla
terza porzione dell’a. ascellare. Subito dopo essersi formato il fascicolo laterale si divide in un n.
muscolocutaneo, superoposteriore, e in una radice laterale del n. mediano, che si porta obliqua
lateroinferiormente. Il fascicolo posteriore dopo aver fornito un ramo detto n. ascellare incrocia sul di
dietro la radice laterale del n. mediano, e portatosi posteriormente all’a. ascellare, verso la loggia
posteriore del braccio, prende il nome di n. radiale. Il fascicolo mediale, si divide anch’esso in un ramo
inferomediale, il n. ulnare, e in un ramo superolaterale, ovvero la radice mediale del n. mediano, che si
unirà alla radice laterale formando il n. mediano, anteriormente all’a. ascellare, formando una
caratteristica biforcazione di unione, in cui decorre prima compresa e poi posteriore, l’a. ascellare.
I rami terminali del plesso brachiale sono 6 e originano tutti dalle diramazioni terminali dei fascicoli
laterale, posteriore e mediale del plesso brachiale. Il fascicolo laterale fornisce il n. muscolocutaneo e la
radice laterale del n. mediano, il fascicolo posteriore si porterà posteriormente fornendo il n. ascellare e
il n. radiale, e, il fascicolo mediale, darà origine alla radice mediale del n. mediano e al n. ulnare.
- Nervo Muscolocutaneo
Questo nervo lascia la cavità ascellare perforando la porzione superiore del m. coracobrachiale
e, portatosi anteriormente a questo a livello del collo dell’omero, discende compreso tra il m.
coracobrachiale e il m. bicipite brachiale. Il n. muscolocutaneo fornisce l’innervazione motoria,
a questo livello, per i mm. della loggia anteriore del braccio, ovvero il m. bicipite brachiale, sia
il capo lungo che il capo breve, il m. coracobrachiale e il m. brachiale.
A livello della piega del gomito o fossa cubitale si porta lateralmente al tendine d’inserzione
distale del m. coracobrachiale e, perforata la fascia antibrachiale, si porta in superficie come n.
cutaneo laterale dell’avambraccio, che decorre parallelo alla v. cefalica dell’avambraccio.
- Nervo Mediano
Anteriormente all’a. ascellare la radice laterale e la radice mediale del n. mediano, provenienti
dai fascicoli mediale e laterale del plesso brachiale, si uniscono a V per formare il n. mediano. Il
nervo decorre nel solco bicipitale mediale, procedendo dall’alto in basso obliquamente
lateromedialmente nei confronti dell’a. brachiale, con cui contrae stretti rapporti, incrociandola
sul davanti e sempre in contatto anche con le vv. brachiali.
A livello della fossa cubitale decorre compreso tra i due capi del m. pronatore rotondo, il capo
omerale e il capo ulnare, e si porta nello spazio tra il m. flessore superficiale delle dita e il m.
flessore profondo delle dita, fornendo a questo livello rami motori per i mm. flessori
dell’avambraccio, tutti di sua competenza, meno il m. flessore ulnare del carpo, di competenza
del n. ulnare. A livello della fossa cubitale fornisce anche l’importante ramo interosseo
anteriore dell’avambraccio, che va ad innervare i muscoli flessori laterali dell’avambraccio,
quale il m. pronatore quadrato, il m. flessore lungo del pollice e il m. flessore profondo delle
dita, nella sua porzione radiale.
Giunto nella porzione distale dell’avambraccio si porta superficialmente tra il tendine del m.
flessore radiale del carpo e il tendine del m. palmare lungo, per attraversare il canale del carpo e
fornire i suoi rami terminali, tra cui quelli sensitivi, destinati alla cute palmare della porzione
laterale della mano.
All’altezza del polso presenta costantemente un’anastomosi con il n. ulnare. Esso fornisce rami
per le articolazioni del gomito, per l’articolazione radioulnare distale, per articolazione
radiocarpica e per quella intercarpica.
- Nervo Radiale
Il n. radiale è il principale nervo del fascicolo posteriore del plesso brachiale, derivato
direttamente dalla divisione posteriore di questo, che provvede all’innervazione motoria dei mm.
estensori del braccio e dell’avambraccio, ovvero i mm. della loggia posteriore dell’arto
superiore. Il n. radiale decorre nella regione ascellare, anteriormente al tendine del m. grande
dorsale, a differenza del n. ascellare. Superato il tendine di questo muscolo inizia il suo decorso
a spirale dall’alto in basso sia anteroposteriore che mediolaterale, decorrendo lungo la faccia
posteriore dell’omero e discostandosi dal solco bicipitale mediale, in cui era compreso nel suo
tratto iniziale. Portatosi sulla faccia posterolaterale dell’omero decorre all’interno del solco
scavato nell’osso per accogliere il suo decorso e, nel terzo distale dell’omero, si riporta lungo la
faccia anterolaterale dell’osso, compreso tra il m. brachiale e il m. brachioradiale. Si porta
anteriormente all’articolazione del gomito, sorpassandola lungo la sua superficie flessoria e,
all’altezza dell’epifisi prossimale del radio si biforca in due rami terminali, ovvero un ramo
profondo e un ramo superficiale. Il ramo profondo si continua nel n. interosseo posteriore
dell’avambraccio, posteriormente alla membrana interossea, e raggiunge l’articolazione del
polso; questo fornisce prevalentemente rami muscolari per i mm. estensori dell’avambraccio. Il
ramo superficiale emette rami digitali dorsali per la mano, che forniscono l’innervazione
sensitiva di gran parte del dorso della mano, soprattutto la porzione radiale di questa.
Il n. radiale emette nel braccio il n. cutaneo posteriore del braccio e il n. cutaneo laterale
inferiore del braccio, oltre che, a livello del terzo medio, rami muscolari per il m. tricipite e per
il m. anconeo. Nell’avambraccio il n. radiale emette il n. cutaneo posteriore dell’avambraccio e
rami collaterali per i mm. estensori dell’avambraccio. Dopo, si divide nei suoi due rami
terminali, uno prevalentemente sensitivo e uno prevalentemente motore muscolare.