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QUADERNI DI STUDI ITALIANI E ROMENI

~
CAIETE DE STUDII ITALIENE ŞI ROMÂNE

7, 2016

a cura di
~
volum îngrijit de

Roberto Merlo, Elena Pîrvu

Edizioni dell’Orso
Alessandria
© 2017
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Si ringrazia il prof. Renato Gendre per la collaborazione alla realizzazione del
volume.

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,
compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perse-
guibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

ISBN 978-88-6274-778-3
Comitato scientifico
~
Comitet ştiinţific

Marco Cugno†, Università degli Studi di Torino (Lingua e Letteratura


romena); Mario Enrietti, Università degli Studi di Torino (Filologia
slava); Renato Gendre, Università degli Studi di Torino (Filologia ger-
manica); Piercarlo Grimaldi Università degli Studi di Scienze Gastro-
nomiche (Antropologia culturale); Sabina Ispas, Academia Româna –
Institutul de Etnografie şi Folclor “C. Brăiloiu” (Etnografia); Irina
Mavrodin†, Universitatea din Craiova (Lingua e Letteratura francese);
Anna Paola Mossetto, Università degli Studi di Torino (Letterature fran-
cofone); Nicu Panea, Universitatea din Craiova (Antropologia culturale);
Marius Sala, Academia Româna – Institutul de Lingvistică “Iorgu Iordan
- Alexandru Rosetti” (Linguistica); Sergio Zoppi, Università degli Studi
di Torino (Letteratura francese)

Redazione
~
Redacţie

Prof. Gabriel Coşoveanu Dott.ssa Lavinia Similaru


Universitatea din Craiova Universitatea din Craiova
Facultatea de Litere Facultatea de Litere
Departamentul de Limba şi literatura Departamentul de Limbi romanice
română şi clasice
Str. Al. I. Cuza 13 - 200585 Craiova Str. Al. I. Cuza 13 - 200585 Craiova
(Romania) (Romania)
e-mail: g_cosoveanu@yahoo.com e-mail: lavinia_similaru@yahoo.es

Prof. Roberto Merlo Dott.ssa Harieta Topoliceanu


Università degli Studi di Torino Università degli Studi di Torino
Dipartimento di Lingue e Letterature Dipartimento di Lingue e Letterature
straniere e Culture moderne straniere e Culture moderne
Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino
(Italia) (Italia)
e-mail: roberto.merlo@unito.it e-mail: harieta.topoliceanu@unito.it

Prof.ssa Elena Pîrvu Prof.ssa Cristina Trinchero


Universitatea din Craiova Università degli Studi di Torino
Facultatea de Litere Dipartimento di Lingue e Letterature
Departamentul de Limbi romanice straniere e Culture moderne
şi clasice Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino
Str. Al. I. Cuza 13 - 200585 Craiova (Italia)
(Romania) e-mail: cristina.trinchero@unito.it
e-mail: elena_pirvu@outlook.com
Roberto Merlo

IL CORPO DELLA MEDUSA:


INCURSIONE NELL’IMMAGINARIO
POETICO DI M. BLECHER

Abstract: THE JELLYFISH’S BODY: AN EXPLORATION OF M. BLECHER’S


POETIC IMAGINARY. This paper is an introduction to the poetic work of the
Romanian writer Max Blecher (1909-1938) — best known for his novels Întâmplări
în irealitatea imediată (Adventures in Immediate Irreality, 1936), Inimi cicatrizate
(Scarred Hearts, 1937) and Vizuina luminată (The Lit-Up Burrow, 1971;
posthumous) — almost entirely collected in the plaquette Corp Transparent
(Transparent Body, 1934). In the light of contemporary testimonies and the author’s
own correspondence, the first part of the essay presents the genesis of CT in the
broader context of Blecher’s work and discusses the writer’s relationship with poetry
in general, and with his own poetic creation specifically, identifying in CT — as
unripe a fruit as it is — a first stage of sedimentation of the poetics that
characterizes Blecher’s subsequent novels. The paper, also, argues that the
publication of CT is a conscious act of literary and human legitimation in response
to the marginal status imposed on its author by the disabling disease that
immobilized him in bed for almost a third of his short life. The second part of the
paper touches on, in the context of literary modernism, some crucial elements of
Blecher’s poetics (the self’s loss of solidity and its diffusion in the brownian flow of
things), which are present in nuce in his poetry, and discusses them from the
perspective of what one might call the “osmotic subject” expressed in the images
of the jellyfish and its transparent body.

La retina dell’uomo fenditura è attaccata


alla retina delle cose.
Si vedono insieme, contemporaneamente,
l’uno e l’altro,
gli uni e gli altri,
gli altri e quegli altri,
quegli altri e quegli altri.
Non si sa chi veda chi.

Non c’è posto per i segni,


per le direzioni.
Tutto è unito a tutto.

Nichita Stănescu, L’uomo-fenditura1

1
„Retina omului-fantă e lipită/ de retina lucrurilor./ Se văd împreună, deodată,/ unul
Quaderni di Studi Italiani e Romeni 7, 2017, pp. 37-83
38 R. MERLO

1. Introduzione – M. Blecher e la poesia. “Un libretto quanto un


coriandolo”2, “un libricino esile e del colore del cielo sereno d’estate.
Grande quanto un palmo e spesso quanto due foglie”3, “una minuscola e
azzurrina plaquette di versi”4, un “gioiello”5: queste le suggestive
caratterizzazioni dell’agilissima raccolta di 15 poesie intitolata Corp
transparent [Corpo trasparente] (d’ora in poi CT) con cui nel 1934, a poco
meno di quattro anni dalla precoce e dolorosa dipartita, esordiva in volume
l’allora non ancora venticinquenne Max Blecher (Botoşani, 8 settembre
1909-Roman, 31 maggio 1938), uno degli autori modernisti6 (e secondo
alcune interpetazioni «prepostmodernisti»7) che più hanno affascinato la
critica e gli scrittori romeni dell’ultimo ventennio8.
Queste e poco più, in realtà, poiché alla sua uscita l’esile e tutto sommato
– rispetto all’inedito delle successive prose – «mansueta» raccolta poetica
non destò altro interesse che quello di un pugno di amici e conoscenti, che
si premurarono di segnalarne brevemente l’uscita nella stampa periodica9.

pe celălalt,/ unii pe ceilalți,/ alții pe ceilalți,/ ceilalți pe ceilalți./ Nu se știe cine îl vede
pe cine.// Nu e loc pentru semne,/ pentru direcții./ Totul e lipit de tot!” (Omul-fantă);
trad. it. di F. Del FAbbro e A. Tondini, da STĂNESCU 1999, p. 142-143.
2
M. Blecher: “Corp transparent”, in «Vremea», VIII, 347 (22 iulie), 1934, p. 4;
LASCU 2000, p. 217; si tratta di una recensione anonima ma da attribuire
verosimilmente all’amico Geo Bogza (BRĂVESCU 2011, p. 21). Per ragioni di spazio,
in quanto segue cito direttamente in traduzione italiana la critica, la corrispondenza di
Blecher e le poesie di CT (perché raccolte in originale e traduzione in appendice),
mentre dei suoi romanzi do anche l’originale romeno. Ove non diversamente indicato,
le traduzioni sono mie.
3
Saşa Pană, Cu inima lângă M. Blecher, in «Adam», IX, 124-126 [14-15] (15
septembrie-1 octombrie), 1938, p. 6; LASCU 2000, pp. 337-339: p. 339.
4
G[eo] B[ogza], Cartea lui M. Blecher, in «Vremea», IX, 424 (9 februarie), 1936,
p. 2; LASCU 2000, p. 222.
5
S. Pană, Cu inima, cit.; LASCU 2000, p. 339.
6
Tra i tratti che collocano Blecher nell’ambito del modernismo I. SIMUŢ (1999,
p. 4) ha citato: “esistenzialismo, autenticità, assurdo, ludicità, derisione, voluttà del
inutile, del banale, dell’insignificate, il gusto per l’informe e l’artificiale, la desolazione
sconfinata, l’acutezza sensistiva, la dispersione esistenziale”.
7
Tra gli elementi postmoderni individuati dalla critica possiamo citare “la
fascinazione per il kitsch, l’artificio e soprattuto per i simulacri” e l’idea di un Dio
“arlecchinesco e parodico” (CĂRTĂRESCU 2011, pp. 294-299).
8
Una ricca e puntuale disamina critica della ricezione dell’opera di Blecher dagli
esordi fino alla contemporaneità è BRĂVESCU 2011.
9
Oltre a quella in «Vremea» già ricordata, abbiamo una segnalazione anonima in
«13», I, 5 (iulie), 1934, p. 10, un trafiletto di I. Mihăescu in «Meridian», I, 3 (luglio),
IL CORPO DELLA MEDUSA 39

A suo tempo praticamente inosservata dalla critica e a breve accantonata


dall’autore stesso, accaparrato dai più coinvolgenti progetti in prosa,
l’esperienza poetica di CT ha catturato poco l’immaginazione sia del
pubblico sia della critica10. E in parte, naturalmente, a ragion veduta. Da un
lato, da un punto di vista quantitativo la ridotta consistenza complessiva
dell’opera poetica (costituita da CT, che conta ca. 1.300 parole, e poco
altro11) appare di assai poco momento accanto alla mole ben più imponente
della produzione narrativa (composta da tre romanzi Întâmplări în
irealitatea imediată [Accadimenti nell’irrealtà immediata], 193712, Inimi
cicatrizate [Cuori cicatrizzati], 1937 e Vizuina luminată [La tana
illuminata], 1971, postumo, per un totale di ca. 116.000 parole, più qualche
prosa breve). Dall’altro lato, e più significativo ancora, da un punto di vista
qualitativo l’eclettismo della lirica di Blecher e il suo carattere
complessivamente «di maniera» appaiono tanto meno attraenti quanto più
coerente e singolare si rivela invece essere la sua creazione romanzesca.
Nell’articolato benché non vastissimo disegno della costellazione letteraria
blecheriana, l’isolato astro poetico si colloca dunque in una posizione
alquanto marginale, e la sua luminosità è ampiamente surclassata dalla
magnitudine delle sfolgoranti galassie romanzesche.

1934, p. 31 e due recensioni leggermente più corpose firmate da dall’amico d’infanzia


S.[andu] Hay [Haimovici] in «Adam», VI, 72 (1 iulie), 1934, pp. 12-13 e da M.C. in
«Frize», I, 6-7 (august-septembrie), 1934, pp. 10-11 (ora raccolte in LASCU 2000, pp.
215-220). LASCU (ibid.) indica come autore dell’ultima Mihail Cantonieru, mentre
MIRONESCU (2011, p. 117) fa il nome di Mihail Chirnoagă.
10
CT è stato ristampato per la prima volta in BLECHER 1971, insieme ad altri
scritti, e in modo autonomo soltanto con BLECHER 2014.
11
Oltre a quelli di CT, i testi poetici originali di Blecher (prose poetiche comprese)
si contano poco più che sulle dita di una mano: la prosa poetica di debutto in francese
L’inextricable position (in «Le Surréalisme au Service de la Révolution», II, 6, 1933,
p. 25), la poesia Paris [Parigi] (in «Vremea», VII, 368, 25 decembrie 1934, p. 19) e la
poesia in prosa [Pentru o clipă] [[Per un istante]] – tutti ristampati per la prima volta
dopo la pubblicazione originale, insieme alla versione francese di Passeggiata marina
(Promenade marine, in «Feuillets inutiles», 19, 15 febbraio 1936), nelle sezione Paris
și alte poeme [Parigi e alte poesie] dell’edizione Vizuina luminată curata da Sașa Pană
(BLECHER 1971, pp. 147-174) –, cui si aggiungono Moment diurn [Momento diurno]
e Fugă [Fuga] (BLECHER 2014, pp. 39-41; qui anche una variante in versi della prima
strofa del Poema grottesco di CT, intitolata Poem [Poesia]). L’intera opera poetica di
Blecher è ora raccolta nella sezione Poezii [Poesie] della ricchissima e puntuale
edizione curata da D. Mironescu (BLECHER 2017, pp. 525-550).
12
Trad. it. di B. Mazzoni in BLECHER 2012, da cui si cita la versione italiana.
40 R. MERLO

Nondimeno, la maggior parte delle letture critiche di più ampio respiro,


in particolare da R. ŢEPOSU (1996) in poi, hanno giustamente preso in
considerazione – insieme all’altrettanto ridotta produzione di prosa breve e
a quella poco più consistente di saggistica13 – anche la limitata esperienza
poetica blecheriana, integrandola e collocandola nel contesto della
creazione complessiva dell’autore14. Tali letture, che in modo naturale
muovono in gran parte dall’interpretazione dell’assai più rilevante
produzione narrativa, hanno messo in luce i legami che CT intrattiene con
le opere in prosa, a partire dai coevi bozzetti di brevissimo respiro fino ai
successivi romanzi, vedendo in esso in primo luogo una sorta di
«eserciziario» poetico di ispirazione più o meno surrealista15, una tappa di
ricerca formale e contenutistica che, fruttificata in itinere nella smilza
raccolta di «prove di trasmissione» letteraria di CT, approderà ultimamente
alla rinuncia all’espressione «intensiva» della poesia (e del microracconto)
in favore di quella «estensiva» della prosa romanzesca.
Ciononostante, questo modesto e ancora acerbo frutto poetico reca in sé
i semi della medesima particolarissima sensibilità ovvero della medesima
poetica (qui e oltre intendo il termine come Weltanschauung più che come
ideologia delle produzione letteraria) i quali, germinando già in quello
stesso torno di tempo nel terreno della prosa, sarebbero presto giunti a piena
maturazione nelle pagine di Întâmplări în irealitatea imediată (d’ora in poi
ÎII), e riserva per questo ancora alcune interessanti possibilità di lettura.
L’esperienza poetica di M. Blecher, o meglio, il fatto che Blecher abbia
scritto poesie, si colloca nel solco di un percorso evolutivo, in primo luogo
generalmente umano e poi specificamente autoriale, tutto sommato affatto
comune.

13
Per una illuminante e perspicace lettura della prosa breve (ivi compresa
l’aforistica) e soprattutto della saggistica blecheriana v. MIRONESCU 2011, pp. 83-
90, 97-99 e 121-125, rispettivamente 148-160.
14
Accenni più o meno ampi e approfonditi a CT sono presenti nella maggior parte
degli studi dedicati a Blecher: letture più estese hanno dato R. ŢEPOSU (1996, pp. 43-
52) e G. GLODEANU (2005, pp. 95-104), mentre dedicato esclusivamente alla
produzione poetica è MIRONESCU 2007, ricco di idee e spunti di interpretazione. Un
inizio di disamina recente da parte di un giovane poeta è POJOGA 2016.
15
Ad es. collocano CT in discendenza surrealista R. ȚEPOSU (1996, pp. 43-52),
che parla di un “surrealismo mansueto”, e GLODEANU (2005, pp. 95-104). Più cauto
MIRONESCU (2007, p. 136), che considera realmente “surrealisti” in pratica solo
L’inextricable position (v. n. 11) e i poemi in prosa di CT.
IL CORPO DELLA MEDUSA 41

1.1. Velleità adolescienziali. Maria Ghiolu – la Marie dedicataria di CT,


v. oltre – descrive l’infanzia del giovane Max come quella di un
Wunderkind16, un fanciullino serio, di una sensibilità quasi esacerbata,
precocemente immerso in continue letture e predisposto al gioco dell’imma-
ginazione17. Si tratta certo di una testimonianza tardiva, semiromanzata e
per più versi passibile di una certa dose di «mitizzazione»18, ma di questo
ritratto almeno una cosa possiamo verosimilmente assumere per certa: la
precoce e onnivora passione per la lettura, in francese e in romeno, del
giovane Max, che ritroviamo in numerosi passaggi più o meno
autobiografici dei romanzi blecheriani. Nato in una posata e modesta
famiglia ebraica di fabbricanti e commercianti di ceramiche e vetreria della
provincia moldava, senza particolari tradizioni né aspirazioni culturali al di
là di quelle assai moderate della media borghesia provinciale del tempo, la
passione per la lettura di cui Max (vezzeggiato Màniu o Minù) pare abbia
dato precocemente prova gli dovettero conferire, in relazione al contesto,
una certa aura di «eccezionalità», confermata e accresciuta dagli ottimi
risultati scolastici. La sorella Dora presenta “Maniu” come un giovane
brillante e di bell’aspetto che primeggia senza fatica nello studio, per la
gioia dei genitori adoranti: “Papà e mamma adoravano Maniu, che era un
ragazzo bello, intelligente e socievole, nonché uno studente eccellente. È
sempre stato il primo della classe e ha superato l’esame di maturità in modo
brillante”19.
In questo contesto non è peregrino ipotizzare che “forse proprio
quell’eccezionalità di sé che il bambino Max scopriva in veste di lettore,
ovvero di partecipante a un ‘atto culturale’, sarà stato uno dei fattori
determinati del suo precoce orientamento verso lo scrivere letteratura,

16
MIRONESCU 2011, p. 31 e sgg.
17
GHIOLU 1970, p. 152.
18
Si colloca infatti nel clima di riscoperta e rinnovato interesse per Blecher e la sua
opera, inaugurato nel 1966 dal critico O. Crohmălniceanu sulle pagine di
«Contemporanul» e culminato nella sua prima fase con BLECHER 1970, la prima
edizione postbellica dei suoi scritti (v. BRĂVESCU 2011, p. 90 e sgg.)
19
WECHSLER-BLECHER 1998, p. 8. Abbiamo a che fare anche in questo caso
con una testimonianza assai tarda e largamente passibile di deformazione soggettiva e
di «mitizzazione»; se non nel disegno complessivo, almeno nei dettagli, come mostra
ad es. il fatto che l’affermazione che Blecher scrivesse la cronaca cinematografica di
un giornale locale non ha trovato alcun riscontro nelle minuziose ricerche effettuate dal
più recente e rigoroso biografo dell’autore, D. Mironescu, che lo definisce un caso di
“falsa memoria” (MIRONESCU 2011, p. 46).
42 R. MERLO

dapprima come esercizio di vanità, poi sempre più autonoma dal punto di
vista estetico”20. La già citata Dora fissa a 12 anni l’età in cui Maniu
comincia a scrivere poesie e saggi, ricordando le frequenti visite al
professore di romeno, con il quaderno sotto braccio, in cerca di consiglio e
confronto21. Analoga immagine di Blecher poeta tra i banchi di scuola
ritroviamo nel ricordo dell’amico d’infanzia S. Hay (Sandu Haimovici)
occasionato dall’uscita di CT, dove il giovane autore appena pubblicato è
rivisto come un adolescente “pallido, dorato, con gli occhi azzurri, studente
di liceo e poeta, sempre alla ricerca, fin da allora, dall’infanzia, della novità.
Faceva le caricature dei professori, maneggiava un Kodak Baby Box,
andava in giro in bicicletta ‘senza mani’ e, a 16 anni, era direttore di un
rivista ciclostilata. Quanti non ha meravigliato lui, nella sua infanzia”22. In
fondo, l’immagine del giovane Blecher che affiora dalle testimonianze
disponibili è quella di un adolescente come tanti, magari più brillante, forse
più predisposto alla malinconia, ma animato dal medesimo desiderio di
essere e fare, di esprimersi e di imporsi, di delimitarsi e di definirsi,
incanalato nello sport, nella socialità e – come non di rado accade, o
accadeva – nella scrittura.
Se da un lato i primi esercizi letterari di Blecher dovettero essere
piuttosto convenzionali, essendo destinati agli occhi di un professore di
liceo, Alexandru Epure, ricordato come severo ed esigente23 e dai gusti
“classicizzanti”24, dall’altro lato il giovane poeta dovette presto scoprire il
gusto della provocazione e della sfida che caratterizzava la letteratura
modernista del tempo, in particolare nelle sue incarnazioni avanguardiste.
In cerca di affermazione come ogni adolescente e inclinato verso
l’espressione letteraria, lo “studente poeta” curioso e assetato di novità
dovettere ritrovare affinità d’intenti nella programmatica volontà di épater
le bourgeois ostentata dai decadenti e portata all’estremo dalle avanguardie
storiche25. Possiamo cautamente dare credito a M. Ghiolu quando evoca il

20
MIRONESCU 2011, p. 33.
21
WECHSLER-BLECHER 1998, p. 8.
22
S. Hay, rec. cit., in LASCU 2000, p. 216.
23
WECHSLER-BLECHER 1998, p. 8.
24
MIRONESCU 2011, p. 53, n. 7.
25
Moderati sentimenti di insofferenza e antipatia per la “vile ideologia borghese”
Blecher esprime ancora qua e là nella sua corrispondenza, in particolare con l’amico
Geo Bogza, notorio anticonformista e corrosivo critico dello spirito “borghese”: v. ad
es. le lettere del 5.IV.1935 (POP 2009, da cui la citazione precedente), 31.X.1934
IL CORPO DELLA MEDUSA 43

contraddittorio misto di orgoglio e di perplessità generato dall’attività


poetica del giovane rampollo nella famiglia non educata alla scuola della
nuova sensibilità eppure catturata dall’idea di annoverare tra i propri
membri un promettente «intellettuale», una mescolanza di entusiasmo ed
esitazione ben espresso della parole che l’autrice mette in bocca alla nonna
di Minù: “E che poesie faceva! È anche vero però che non le capiva
nessuno…”26
Le fonti concorrono a formare il ritratto molto stereotipato, e proprio
per questo molto probabilmente vicino al vero27, del brillante adolescente
borghese di provincia con ambizioni di affermazione letteraria, che si
considera poeta (non disdegnando peraltro di crogiolarsi nel ruolo, ad
esempio, sedendo in veranda d’estate a contemplare i nasturzi in cerca
d’ispirazione28) e coltiva relazioni con l’intellighezia locale (come il già
ricordato professore di liceo Al. Epure, o il provocatorio pubblicista Henri
Soreanu29), sognando di vedere il proprio nome stampato. In prima battuta,
questo sogno si realizzerà con la pubblicazione di una rivistina liceale
ciclostilata, “nobile tentazione velleitaria – nota con sottile empatia D.
Mironescu – di tutti i poeti di 15 anni”30. Ma sarà soltanto nel crogiolo della
malattia, attraverso l’esperienza della sofferenza e dell’emarginazione, che
le vaghe ambizioni adolescenziali si tramuteranno in reale impegno
letterario.

1.2. Infermità e «radicalizzazione» estetica. Quello che nel 1927, dopo


la maturità, lascia la sonnacchiosa provincia moldava per studiare medicina
in Francia, a Rouen31, è in fondo un giovane come tanti, lettore onnivoro e

(LASCU 2000, p. 38), 24.XI.1934 (ivi, p. 43, in cui lo scrittore dichiara: “A ogni inutile
ornamento della ‘vita borghese’ che depenno dai miei bisogni, a ogni rinuncia ai
‘bisogni indotti’ della mia stupida e imbecille educazione borghese (intendo
ornamentale e morale) mi sento più forte e più sicuro”), 7.VII.1935 (ivi, p. 75),
27.IX.1935 (ivi, p. 84, dove, afflitto dalla necessità di continuo sostegno finanziario da
parte dei pur devoti e amorevolissimi genitori, Blecher afferma: “Tutte queste cose io
le considero quisquilie terribili e stupidi borghesismi, però non così le considerano
quanti mi circondano”), 23.XI.1936 (ivi, p. 127) e 27.I.1937 (ivi, p. 137).
26
GHIOLU 1970, p. 152.
27
MIRONESCU 2011, p. 43.
28
WECHSLER-BLECHER 1998, p. 8.
29
MIRONESCU 2011, p. 21.
30
Ivi, p. 42.
31
Questo il parere di D. Mironescu (ivi, p. 56), basato sull’accenno di S. Hay
(LASCU 2000, p. 217), rispetto alla Parigi mezionata da altri studiosi.
44 R. MERLO

accanito ma non per questo fuori dal comune, con una sensibilità e un gusto
ancora in formazione e con un’esperienza di vita ancora assai limitata. Il
cammino di maturazione umana e letteraria annunciato dell’inizio
dell’esperienza francese e dal contatto diretto con la modernità occidentale,
sperimentato da così tanti intellettuali romeni prima e dopo Blecher,
conoscerà nel caso del giovane aspirante scrittore di Roman una svolta
inattesa e drammatica, che lo condurrà in una direzione diversa da quella
di tutti i suoi predecessori e successori: la diagnosi nel 1928 come morbo
di Pott, o spondilite tubercolare, dei dolori alla schiena che lo tormentavano,
secondo la sorella Dora, dall’età di 16 anni, a seguito a uno sfortunato
quanto banale incidente durante una partita di calcio32. Violentemente
contorto a nemmeno vent’anni dall’accertamento di una malattia che in
capo a un decennio di atroci e continui dolori l’avrebbe portato alla morte,
il breve cammino umano di M. Blecher si snoderà da allora in poi, per più
di metà della sua durata, nell’universo parallelo e marginale dei malati, tra
stanze d’ospedale e di sanatori e camere di degenza casalinga, immerso in
una sofferenza continua, distruttrice e disumanizzante eppure affrontata con
grande dignità e stupefacente discrezione33.
La frenesia del corpo e il fervore della mente, le luci colorate e la musica
dei caffè, le animate conversazioni alla moda su temi di politica e cultura,
il piacere del cibo e delle bevande, insomma, l’apertura di orizzonti
inesplorati e tutte le infinite possibilità di scoperta di nuovi mondi promesse
al giovane Blecher dal passaggio dalla sonnolenta provincia moldava al
clima irrequieto e spensierato di Parigi – il breve passaggio nella quale
produrrà comunque nella memoria e nelle opere dello scrittore intense

32
WECHSLER-BLECHER 1998, p. 9.
33
Dell’esperienza dantesca del sanatorio rende testimonianza la dimensione
autobiografica di varie prose, in particolare IC e Vizuina luminată (d’ora in poi, VL),
mentre intense testimonianze del calvario attraversato negli ultimi anni romeni da
Blecher, immobilizzato a letto dalla malattia per gran parte della sua vita adulta,
troviamo non tanto nelle sue confessioni dirette – ad es. nelle lettere agli amati Geo ed
Elly Bogza, in cui nei regolari e frequenti ragguagli che dà intorno alla propria
condizione fisica e psicologica Blecher non indugia mai più dello stretto necessario,
nei limiti di un ammirevole decoro personale e di un linguaggio oggettivante (v. LASCU
2000, passim) – quanto piuttosto in quelle indirette di amici e conoscenti, come Mihail
Sebastian, che nel suo Diario (ad es. al 30 settembre e 30 dicembre 1936 o al 1 e 25
marzo 1937) descrive con toccante sensibilità la condizione di inimmaginabile
sofferenza, solitudine e desolazione in cui viveva Blecher e la sua quotidiana “intimità
con la morte” (v. SEBASTIAN 1996, pp. 86, 102-103, 114, 120).
IL CORPO DELLA MEDUSA 45

riverberazioni34 – saranno rimpiazzate dall’immobilità del gesso e


dell’annebbiamento del dolore o degli anestetici, dall’asetticità dei sanatori
e dalle discussioni meste o febbrili su medicamenti e terapie, da rigidi
regimi alimentari e, sopra ogni cosa, dall’isolamento e della reclusione del
malato nella propria personale «irrealtà», fisica e psicologica, di sofferenza.
È in questa esperienza traumatica e radicale che l’indeterminato
desiderio di scrivere e di affermarsi come scrittore dello “studente poeta”
troverà realmente il fuoco e la consistenza35 che ne hanno fatto uno degli
autori più significativi del Novecento romeno. Se infatti è difficile non
concordare con N. Balotă quando – in discreta polemica con la tendenza
più o meno accentuata alle interpretazioni “biografizzanti” – afferma che
“[s]e l’uomo Blecher è nato sotto il segno della sofferenza, […] la sua
creazione non è una continuazione o una semplice espressione della
sofferenza vissuta, essa essendo anzi possibile a dispetto di questa. Lo
scrittore Blecher è nato nonostante la sofferenza, non sotto il suo impero”36,
è altrettando difficile negare l’impatto profondissimo che la terribile
infermità dell’uomo dovette avere anche sull’evoluzione dello scrittore. Al
di là della separazione puramente retorica tra «uomo» e «scrittore», è
indubbiamente l’installazione irreversibile e di lunga durata nella
condizione di malato a produrre la brutale «dislocazione ontologica» dalla
cui singolarissima prospettiva Blecher coglie e scrive l’«irrealtà». In questo
senso, creativamente parlando egli non è né «ribelle» né «servo» della
sofferenza, bensì suo «compagno» e «collaboratore»: Blecher non crea
“sotto l’impero” né “a dispetto” della sofferenza, bensì – e la corrusca
sobrietà con cui sa condurre tale fragilissimo compromesso è uno dei pregi
più evidenti della scrittura blecheriana – con e attraverso la sofferenza.
La produzione poetica di Blecher di cui abbiamo conoscenza si colloca
verosimilmente nella prima parte della seconda, tragica, fase della sua vita,
inaugurata dal diagnostico del morbo di Pott e continuata con gli anni di
stanza in sanatorio, da una “città dei dannati” all’altra, in cerca di un allevio
che si rileverà inattingibile. La malattia porta Blecher inizialmente nella
rinomata stazione balneare di Berck, sulle rive della Manica, nell’estremo
nord della Francia, sede di vari centri di cura in particolare per la tubercolosi

34
Si vedano in particolare la poesia Paris (BLECHER 2017, pp. 544-546; anche in
BLECHER 1971, pp. 169-170) e alcune pagine, in parte affini a questa, di VL
(BLECHER 2009, pp. 93-96).
35
MIRONESCU 2011, p. 84.
36
BALOTĂ 1974, p. 154.
46 R. MERLO

e popolata da così tanti malati immobilizzati in barella da essere descritta


nella prosa breve Berck, orașul damnaților [Berck, città dei dannati]37 (da
cui si svilupperà il romanzo incompiuto VL) come una “città orizzontale”38.
È in questo contesto che prendono forma i bozzetti Herrant e Don Jazz – i
quali recano in calce la dicitura “BERCK PLAGE” e “BERCK PLAGE./
August 1929” rispettivamente39 – che Blecher invia alla rivista di T. Arghezi
«Bilete de papagal» nell’agosto del ’29 e che vedranno la luce della stampa
nel giugno ’3040, prose di un modernismo aggressivo e apocalittico, ma non
ancora surrealiste41.
Sarà l’assunzione dolorosa e scioccante della prospettiva «ortogonale»
dei degenti, unitamente alla conoscenza e alla frequentazione del polemico
scrittore francese Pierre Minet (1909-1979), futuro dedicatario di Cammino,
anch’egli in cura a Berck in quel periodo, a produre una prima
«radicalizzazione» delle opzioni estetiche del giovane aspirante letterato42
e l’avvicinamento al surrealismo, da cui nasce il breve poema in prosa
L’inextricable position, inviato a Breton dopo il trasferimento a Leysin,
nelle Alpi bernesi, in un qualche momento del 193143.
Nella primavera del 1933 Blecher lascia la Svizzera e torna in patria,
installandosi nel sanatorio marittimo di Techirghiol-Eforie (all’epoca
Carmen Sylva), dove fa due importanti conoscenze femminili: la già citata
Maria Ghiolu (1902-1975), la Marie cui è dedicato CT, alla quale si legherà
di una durevole amitié amoureuse44, e la pittrice naïf Lucia Demetriade-
Bălăcescu (1895-1979), con cui intesserà un intenso e galante scambio
letterario e artistico45. In questo torno di tempo pubblica i bozzetti Buțu e

37
In «Vremea», VII, 358, (7 octombrie), 1934, in BLECHER 1999, pp. 352-357.
38
Ivi, p. 353.
39
Ivi, pp. 341 e 342-343.
40
Su «Bilete de papagal», nr. 469 (10 august), nr. 470 (17 august), nr. 471 (24
august), 1930, Blecher pubblicherà inoltre gli aforismi Limite [Limiti], anch’essi recanti
l’indicazione “BERCK PLAGE” (ivi, p. 344).
41
MIRONESCU 2011, p. 90.
42
Ivi, pp. 77-78.
43
Ivi, p. 90.
44
Dell’immutato affetto per Marie – verosimilmente rinfocolato dalla visita che la
Ghiolu gli fece a fine febbraio insieme a Mihail Sebastian, che ne parla nel suo Diario
(SEBASTIAN 1996, p. 114) – Blecher scriverà a G. Bogza ancora durante la dolorosa
degenza bucarestina di fine marzo 1937: “Quando ho conosciuto Marie le ho scritto
tutto il mio amore ed esso è rimasto intatto fino a oggi” (LASCU 2000, pp. 136-137).
45
V. le lettere inviatele da Blecher in LASCU 2000, pp. 148-190; secondo D.
MIRONESCU (2011, pp. 107-108) l’amicizia con L. Demetriade-Bălăcescu e – tramite
IL CORPO DELLA MEDUSA 47

Jenică46. I primi di maggio del 193447 vedono il trasferimento di Blecher


nella cittadina carpatica di Braşov, dove soggiornerà brevemente in attesa
del ritorno48, avvenuto nell’ottobre dello stesso anno49, alla natia Roman,
dove il giovane si installerà dapprima in casa di sorella e cognato e poi,
dalla primavera del 193550, nella casa di via Costache Morţun da cui – a
parte una breve puntata a Bucarest nel marzo del ’37 per un intervento
chirurgico – in sostanza non si sarebbe più mosso fino alla morte,
nell’autunno del 1938.

1.3. Coronamento e superamento dell’esperienza poetica. La stanza


a Brașov nell’estate del ’34 segna la convergenza di due significativi
cambiamenti nella vita e nella carriera di Blecher: da un lato, il definitivo
insediamento in una degenza casalinga, verosilmente determinato dalla
scarsa efficacia dei vari soggiorni terapeutici e dalla conseguente
rassegnazione all’impossibiltà di un reale risanamento; dall’altro, il distacco
dalla poesia e il passaggio alla prosa51. Di fatto, anticipata dalla pubblica-
zione di Il cavallo e Passeggiata marina sulla bucarestina «Adam» (VI, 71,

essa – il contatto con la pittura naïf saranno determinanti nella definizione dello stile e
della prospettiva prosastica di Blecher, in particolare per quanto riguarda l’aspetto
ludico e relativista.
46
In «Adevărul literar și artistic», XII, seria a II-a, nr. 661 (6 august 1933),
(BLECHER 1999, pp. 345-347)
47
V. il biglietto inviato a S. Pană il 3 maggio durante una sosta di 12 ore a Bucarest
(BLECHER 1971, p. 316).
48
Durante il soggiorno a Brașov Blecher collabora alla locale «Frize» con la prosa
breve Ix-mix-fix (I, 6-7, august-spetembrie 1934) e gli aforsmi Insinuări [Insinuazioni]
(I, 8, octombrie 1934) (BLECHER 1999, pp. 348-349 e 350-351).
49
MIRONESCU 2011, p. 129.
50
Ivi, p. 90.
51
È difficile non voler vedere in tale passaggio, almeno in parte, il prodotto
dell’incontro con Geo Bogza, con cui Blecher era in contatto epistolare dall’anno
precedente, e dei quattro mesi trascorsi tra il giugno e l’ottobre del ’34 (MIRONESCU
2011, p. 125) insieme all’incendiario autore di Jurnal de sex [Diario di sesso], 1929 e
Poemul invectivă [Il poema invettiva], 1933, così come del suo incoraggiamento e del
suo sostegno. È infatti a Bogza che Blecher esprimerà in più occasioni una commossa
e profonda riconoscenza per l’interessamento dimostrato verso i suoi destini tanto umani
quanto, e soprattutto, letterari, come nella citazione che segue: “So che non ami simili
ringraziamenti ma senza di te avrei continuato a vegetare nel più deplorevole e oscuro
anonimato, rimpinzato di sogni assurdi e dadaismi superati. A te devo prima di tutto la
mia organizzazione e poi le possibilità di pubblicare” (Roman, 22.VI.1935; LASCU
2000, p. 72).
48 R. MERLO

15 mai 1934, p. 4) diretta da Isac Ludo, l’uscita di CT a fine giugno 193452


segna ad un tempo il debutto editoriale di Blecher e il suo canto del cigno
come poeta, coronamento e superamento delle velleità adolescenziali.
In una lettera a Sașa Pană di poco successiva all’uscita della plaquette
Blecher illustra brevemente attività e progetti futuri:
Cerco di definirmi in Esercizi nell’irrealtà immediata. Le manderò alcune pagine
e se le leggerà con grande indulgenza forse vi troverà anche delle qualità. Lavoro
come in una miniera senza fondo, con il capo avvelenato dalla febbre e tormentato
che non mi esce come vorrei il manoscritto.
Di tanto in tanto scrivo una poesia per il volumetto L’erba dei sogni che voglio
pubblicare in autunno. E ora una preghiera: le ho mandato da Carmen Sylva alcune
pagine di un poema Si fa notte53; erano l’unica copia e le sarei davvero grato se me
le restituisse per modificarle e integrarle nel poema, che sarà battuto a macchina
nei prossimi giorni. Gliene invierò un esemplare. Hay ha fatto per questo poema
alcuni disegni e lo pubblicherò probabilmente insieme a lui.
Ecco cosa farò quest’estate: Esercizi; L’erba dei sogni e il poema54.

Il tono della lettera lascia intendere piuttosto chiaramente che la modalità


d’espressione poetica, concretizzata in una vagheggiata nuova plaquette e
nel lavoro di rifinitura di un “lungo poema”, coinvolge lo scrittore ormai in
mondo assai meno intenso – “di tanto in tanto scrivo una poesia” – di quanto
faccia l’impegno nella prosa, presentato invece come «definitorio» e
«tormentoso». Se accanto al crescente interesse per le possibilità espressive
della prosa sembra perdurare ancora la pratica del testo poetico, è però un
dato di fatto che né la nuova plaquette né il poema in corso di scrittura
vedranno mai luce della stampa55, verosimilmente fagocitati dall’elabora-

52
V. BRĂVESCU 2011, p. 20 e MIRONESCU 2011, p. 117. Alcune informazioni
in più sulla pubblicazione del volume troviamo in una lettera del 5 giugno 1972 (quindi
assai tardiva) di Sandu Darie (Haymovici) a Sașa Pană, in cui, in una “Nota: Per gli
archivi dei poeti”, Hay dichiara che “Corpo trasparente è uscito su carta azzurra. È
stato stampato da Feller, il tipografo di Adam Ludo. La tipografia si trovava in un cortile
più o meno davanti alla Marmorosch-Blank” (DAVIDESCU 2016). “Adam Ludo” è
una svista in cui paiono fondersi il nome della rivista «Adam» – che infatti usciva sulla
stessa carta azzurro-acqua usata anche per CT – e il cognome del suo direttore, Isac
Ludo. “Marmorosch-Blank” è invece l’importante banca Marmorosch, Blank & Co,
con sede appunto a Bucarest.
53
Come risulta dalla lettera allo stesso Pană da Carmen Sylva del 16 marzo 1934:
“le invio allegato l’inizio di un lungo poema intitolato Si fa notte e due disegni, tra cui
un autoritratto” (BLECHER 1999, p. 395).
54
Brașov, 7 iulie 1934; BLECHER 1999, p. 397.
55
L’ipotesi che il titolo L’erba dei sogni (Iarba viselor o visurilor) possa essere il
IL CORPO DELLA MEDUSA 49

zione, sempre più urgente e più personale e quindi sempre più accaparrante,
degli Esercizi56. Tant’è vero che, in una breve lettera posteriore di appena
una settimana a quella sopra citata, Blecher ribadisce allo stesso Pană
l’intensità del coinvolgimento nella scrittura del romanzo, confessandogli
ad un tempo il completo seppur malinconico distacco dall’esperienza umana
e letteraria di CT57: “Continuo a lavorare a Esercizi con acutissima
febbrilità. Credo che tra qualche settimana avrò pronti i primi capitoli. Il
libro si espande e si plasma come una creatura proteica: non ho ancora
scritto nulla con tale ‘passione’, Corpo trasparente è un inizio, non mi ci
riconosco più. Lo amo solo poiché in esso sta il mio cuore come una
coppa”58.
Eccezion fatta per la stesura di alcuni saggi – che nelle intenzioni
dell’autore avevano (anche) lo scopo di familiarizzare gli ambienti letterari
con il suo nome e quindi facilitare la ricezione del romanzo (v. oltre),
dall’autunno del ’34 la stesura di ÎII monopolizzerà completamente
l’impegno letterario di Blecher. L’unico altro testo poetico originale
pubblicato successivamente a CT pare essere Paris59, un testo per tematica

working title di CT, come si menziona nell’edizione citata (ivi, p. 397), è insostenibile
perché che già in data 5 giugno da Brașov Blecher informava Bogza dell’imminente
pubblicazione di un volume di poesie intitolato Corp transparent (LASCU 2000, p.
29); secondo D. MIRONESCU (2007, p. 135, n. 3) tale titolo si riferirebbe dunque a
un vagheggiato secondo volume di versi, la cui realizzazione dovette presto passare in
cavalleria e poi nel dimenticatoio rispetto ai progetti in prosa. Per quanto riguarda il
poema Se face noapte, Pană avrebbe succesivamente confermato di aver restituito
all’autore il manoscritto (v. BLECHER 1971, p. 314), la cui ricezione Blecher conferma
all’amico il 15 luglio (BLECHER 1999, p. 397), ma il testo è andato perduto (ringrazio
per la conferma il collega D. Mironescu, curatore della più recente, comprensiva e
autorevole edizione dell’opera blecheriana, BLECHER 2017).
56
Titolo in corso d’opera delle future ÎII, poi felicemente modificato dietro
suggerimento dell’amico Bogza (v. lettera del 17.IX.1935 in LASCU 2000, p. 83).
57
L’interpretazione di MIRONESCU (2007, p. 135) secondo cui la prima lettera
citata indicherebbe che Blecher continuava a puntare su un’espressione di matrice
«lirica» credo possa restare valida laddove, piuttosto che in direzione di una perdurante
convinzione nelle potenzialità della poesia, la si intenda come irrefutabile adesione alla
concezione della scrittura come scrittura di sé, espressione più intima e intensa dell’io.
A tale «liricità» in senso lato Blecher troverà a breve forma più eloquente non
attingendo ai codici della forma poetica, modernista o avanguardista che sia, bensì nella
creazione di un linguaggio narrativo proprio e altamente originale. Con ottima
intuizione definito da S. Pană “ampio e mirifico proso-poema” (S. Pană, Cu inima, cit.;
LASCU 2000, p. 339), ÎII ritiene infatti, nel linguaggio opulento, nell’immaginario
insolito e nell’esasperato soggettivismo prospettico, innegabili qualità «liriche».
58
Brașov, 15 iulie 1934; BLECHER 1999, p. 398.
59
V. n. 11. Il testo fa la sua comparsa nella corrispondenza con Bogza da Roman il
50 R. MERLO

e forma slegato dalle atmosfere tanto del volume di debutto quanto da quelle
di ÎII e la cui pubblicazione, credo, vada ascritta più alla medesima strategia
di «preparazione» del pubblico più che a una perdurante vocazione poetica
dell’autore. Ne è la prova il fatto che quando, a un anno dalla pubblicazione
di CT, Sașa Pană prospetterà a Blecher la pubblicazione di una nuova
raccolta di poesie60, il giovane scrittore, adducendo ragioni di salute e dando
prova di interesse prioritario per la stesura di Esercizi, declinerà
graziosamente la proposta61. Dopo CT, come testimonia egli stesso in varie
occasioni a G. Bogza o in alcune lettere all’amica L. Demetriade-
Bălăcescu62, Blecher concentra tutte le sue poche e preziose energie
nell’elaborazione dei romanzi, lasciando senza rimpianti alle spalle
quell’unico, esile volumetto, testimone di una modalità creativa ormai
superata ma anche dei primi fermenti di una poetica in divenire.

2. Le molteplici dimensioni del Corpo trasparente. La redazione dei


testi di CT e la preparazione della loro raccolta per la pubblicazione a fine
giugno del ’34 ricade nel periodo di «gestazione» 1930-1936 analizzato da
A. Brăvescu in un capitolo della sua monografia eloquentemente intitolato
Preparando il capolavoro [Pregătind capodopera]63. Benché a rigore
almeno alcune poesie di impianto più «tradizionale» (come la tardo-
simbolista Valzer antico o persino Amore falena) possano risalire a periodi
precedenti, la comunanza di temi e motivi e in parte di atmosfera con ÎII64,

17.X.1934 (LASCU 2000, p. 33), e vi ritorna alla ricezione delle bozze (Roman,
24.XI.1934; ivi, p. 44) e dopo la pubblicazione: “Ieri è arrivata «Vremea» a Roman e
sono entusiasta del modo in cui è uscita la poesia. È molto al di sopra delle mie
aspettative e ne ringrazio Geo mille volte” (Roman, 25.XII.1934; ivi, pp. 46-47). Dopo
Paris, i rapporti di Blecher con la poesia si limiteranno a una traduzione di Passeggiata
marina per il pubblico francese (v. n. 11) e alla ripresa in rivista di alcuni testi di CT
(Poem, Menajerie, Vals vechi, Mâinile tale, in «Adam», IX, 94, 15 ianuarie 1937, p.
8).
60
BLECHER 1971, p. 323.
61
V. lettera da Roman del 15.V.1935, in BLECHER 1999, p. 399.
62
V. LASCU 2000, pp. 183 e 186.
63
V. BRĂVESCU 2011, pp. 17-24.
64
Un ottimo esempio di anticipazione poetica di episodi poi altrimenti sviluppati
in prosa è Valzer antico, nel cui tema delle nozze macabre, trattato in maniera
simbolista, è possibile vedere un’anticipazione dell’episodio delle nozze di Edda in ÎII
(BLECHER 2012, p. 95 e sgg.; BLECHER 1999, p. 80 e sgg.), presentate
ambiguamente come una sorta di funerale (MIRONESCU 2007, p. 147), anch’esse
scandite da un “valzer antico e triste” (BLECHER 2012, p. 96) [“vals vechi și trist”]
(BLECHER 1999, p. 80).
IL CORPO DELLA MEDUSA 51

le frequenti note surrealiste e l’evidente fil rouge erotico-amoroso che


percorre la raccolta65 paiono raccomandare la collocazione della maggior
parte dei testi di CT negli anni di sanatorio in Francia, Svizzera e Romania,
che segnano per Blecher l’installazione nella condizione di malato, la sopra
citata «radicalizzazione» estetica marcata dall’avvicinamento al surrealismo
(tramite Pierre Minet e, almeno per un certo periodo, Sașa Pană) e l’incontro
con Maria Ghiolu, così come i primi contatti importanti con il mondo
letterario e le prime serie prove di scrittore.

2.1. Espressione e legittimazione. Potendo essere posteriori alla stesura


dei testi cui si riferiscono, le relativamente numerose dediche che
punteggiano la breve raccolta – da quella dell’intero volume a “Marie” a
quelle delle singole poesie a Sașa Pană (Il cavallo), Pierre Minet
(Cammino), Geo Bogza (Amore falena), René Wauquier (Poema grottesco)
e Isac Ludo (Passeggiata marina) – paiono utili, più che a datare la stesura
dei singoli testi, a tratteggiare il contesto creativo-affettivo in cui si colloca
la loro pubblicazione in volume. A parte Marie, i dedicatari sono tutti
letterati: Pană e Bogza, con cui Blecher entra in contatto epistolare dal ’33;
Minet, conosciuto a Berck; Wauquier, incontrato a Leysin; I. Ludo, redattore
di «Adam» (e forse mediatore della pubblicazione di CT, che esce presso
la stessa tipografia della rivista, v. n. 52). Da un lato, senz’altro, tali dediche
costituiscono un omaggio ad autori ammirati e importanti per la formazione
del giovane poeta, addirittura “relazioni e influenze riconosciute da
Blecher”66 (in questo senso sarebbe illustrativa la dedica della surrealista Il
cavallo all’alfiere del surrealismo Sașa Pană). Dall’altro lato, esse
costruiscono anche un ideale «pedigree», con nomi di rilievo nazionale e
internazionale (questi ultimi, è vero, minore), destinato a consolidare il
prestigio di quello che nelle intenzioni dell’autore doveva essere anche una
sorta di «biglietto da visita» per il mondo letterario.
In ragione delle condizioni di salute impossibilitato a ogni spostamento
fisico e stabilito lontano dai grandi centri culturali, l’unica possibilità di
partecipazione alla vita letteraria, l’unico possibile surrogato della presenza
nell’esuberante circuito culturale delle serate, delle conferenze, dei dibattiti,
delle mostre, delle redazioni delle riviste, erano per il giovane autore i propri

65
BRĂVESCU (2011, p. 22-23) definisce CT addirittura “un indiretto poema
d’amore, un’ulteriore esperienza esistenziale negata all’uomo Blecher e dirottata in
letteratura. È il compimento ad un tempo di un amore impossibile (Maria Ghiolu era
sposata) e di un sogno”.
66
POJOGA 2016, p. 25.
52 R. MERLO

testi. La suprema libertà concessa a quella mente prigioniera di un corpo in


un letto era trasformarsi in parole e diventare un nome su un libro. La
pubblicazione, accanto alla corrispondenza e alle rare visite, costituivano
per Blecher l’unica via di fuga dalla desolante solitudine in cui si trovava
suo malgrado rinchiuso, come ben esprimono le righe inviate a Bogza in
occasione della pubblicazione di Paris: “Questa è per me una gioia
straordinaria, la mia unica gioia accanto, ovviamente, alle vostre visite”67.
Testimoni del particolare investimento emotivo di Blecher nella propria
ipostasi di scrittore sono anche le sollecite cure per l’aspetto editoriale e la
diffusione dei propri scritti così come le ricorrenti premure per la
circolazione del proprio nome negli ambienti letterari. Ad esempio in alcune
lettere a Bogza del novembre-dicembre 193568 lo scrittore si dimostra assai
preoccupato della qualità della carta su cui sarà pubblicato ÎII, e in una
missiva del 5 giugno 1934 raccomanda alla benevolenza dell’amico
l’annuncio sulle pagine di «Vremea» della prossima uscita della plaquette69,
mentre il 4 marzo 1935 gli esprime chiaramente la volontà di preparare
l’uscita del primo romanzo (allora previsto per l’autunno) facendo circolare
il suo nome come autore di saggi: “Nel frattempo ho intenzione di scrivere
ancora qualche articolo o reportage, in modo che fino all’autunno il lettore
si imbatta nel mio nome ancora quattro o cinque volte”70. In altre occasioni,
analogamente, confessa all’amico Bogza il desiderio di avere un testo in
una pubblicazione corposa che gli possa fare da «biglietto da visita»
all’estero: “Il mio intento è di pubblicare un bozzetto o un saggio in una
rivista che si presenti voluminosa, come «Azi», mi pare di averti già detto
perché, è per mandarne un esemplare a qualcuno all’estero”71.
Nel decisivo torno di tempo dell’installazione di Blecher nell’isolamento
umano e intellettuale di una degenza domestica provinciale che si annuncia
di lunga durata, la pubblicazione di CT assume i connotati di una
realizzazione fondamentale a più livelli: espressione di sé, indubbiamente,
primo frutto compiuto della “nobile tentazione velleitaria” dell’adolescente
poeta di cui si è detto in precedenza, ma anche – e in questa direzione vanno
pure le osservazioni di D. Mironescu secondo il quale, al di là delle scarse
attenzioni ricevute della critica, la pubblicazione di CT ha costituito un
fondamentale momento di legittimazione degli ulteriori progetti letterari di

67
Roman, 25.XII.1934; LASCU 2000, p. 47.
68
Ivi, pp. 93-94.
69
Ivi, p. 29.
70
Ivi, p. 58.
71
Roman, 10.III.1935; ivi, p. 60; similmente, in data 19.X.1935, ivi, p. 88.
IL CORPO DELLA MEDUSA 53

Blecher, “il quale potrà firmare saggi e articoli, alcuni ambiziosi e


importanti, in qualità di ‘poeta’”72 – consapevole atto di legittimazione delle
proprie ambizioni letterarie; nonché, in senso più ampio e nello stesso
tempo più intimo e viscerale, «vicario» della propria presenza nel mondo
(non solo letterario) al di là delle mura innalzate dalla malattia73. In un certo
senso, la ricerca di una conferma «professionale» della qualifica di scrittore
rappresenta per Blecher un rifiuto della «professionalizzazione» della
condizione di malato, profondamente aborrita: “tu sai che io detesto essere
‘malato professionista’”74, confessava a pochi mesi dalla scomparsa
all’amato Bogza; e altrove: “trovo disgustoso mettere su carta e sfoggiare
la disgrazia come una sorta di ‘vetrina da martire’”75.
Dal punto della maturità dell’espressione, tuttavia, il processo di
«definizione» che giungerà a compimento in ÎII e nei romanzi successivi
dà in CT frutti ancora acerbi, che non soddisfano appieno i gusti della
critica. Benché l’accoglienza riservata alla plaquette di debutto di Blecher
sia stata complessivamente favorevole, già tra gli sparuti commentatori
della prima ora – perlopiù amici e conoscenti dell’autore – ci fu chi ne
rimproverò bonariamente il carattere ancora ibrido e ineguale. Ad esempio,
con un linguaggio tanto immaginoso quanto vago, nella sua segnalazione
nell’anticonformista «Meridian» di Craiova I. Mihăescu loda la generosità
con cui l’autore “dilapida” i denari del suo talento ma critica implicitamente
il valore disuguale dei testi raccolti, rimproverandogli una certa “assenza
di lungimiranza che vorremmo vedere corretta”76. Assai più puntuale e per
molti versi indovinata l’analisi dell’M.C. di «Frize», il quale, pur
considerando l’autore ancora “certamente perfettibile”77 e collocando il suo
volumetto d’esordio tra i libri da tenere cari “non tanto per ciò che realizza,
quanto piuttosto per ciò che promette attraverso i fermenti generatori di
luce che contiene”78, ne giudica positivamente l’ampiezza della palette
estetica (“la sua tastiera sale tutte le scale liriche e sfrutta con bei risultati
tanto la corrente tradizionalista quanto l’estremo opposto”79) e le

72
MIRONESCU 2011, p. 117.
73
Analogo desiderio di presenza mediata dall’artefatto manifesta del resto anche
l’intento di inviare ai Bogza figurine di terracotta (Roman, 14.X.1934; ivi, p. 31) e
oggetti di porcellana di propria creazione (Roman, 29.I.1935; ivi, pp. 53-54).
74
10.V.1938; POP 2009.
75
Roman, 14.I.1935; LASCU 2000, p. 51.
76
Ivi, p. 216.
77
Ivi, p. 218.
78
Ivi, p. 220.
79
Ivi, p. 218.
54 R. MERLO

“molteplici risonanze”80, dall’Eminescu di Valzer antico al Voronca di Sulla


riva.
E indubbiamente, come rilevato dai primi commentatori e ribadito dalla
critica successiva, CT è una raccolta dai numerosi e variati «echi»81, non
solo letterari82. Tuttavia, come ha ben notato D. Mironescu, uno dei lettori
più attenti e documentati (anche) della poesia blecheriana, l’eclettismo
formale ovvero l’assenza di un programma estetico coerente non esclude
una unità di fondo dei testi. Nella misura in cui CT ha rappresentato per
Blecher un passo naturale e necessario di quel cammino di «definizione»
che si volgerà successivamente verso i territori del romanzo,
al di là della somma eteroclita di formule poetiche illustrate nelle pagine del libro
(imagismo ‘unista’ [dal nome della rivista «unu»; n.m. – RM], poema in prosa
surrealista, postromanticismo macabro, elegia ‘modernista’) occorre identificare la
coerenza semantica che l’autore vi ha incifrato in modo cosciente.
Nella plaquette CT, Blecher è appena un poeta principiante, il quale non sa ancora
bene in quale delle tradizioni esistenti e attive in quel momento inquadrarsi. […] Il
rapido avvicendarsi delle formule poetiche è un segno di insicurezza di sé, ma nello

80
Ibid.
81
In epoca più vicina a noi, il critico che più ha insistito sulle analogie tra la poesia
blecheriana e quella di altri autori è G. Glodeanu, il quale, nel quadro di un rimando
generico al surrealismo (come di rito, è menzionato Breton; GLODEANU 2005, p. 95),
tra i romeni ha invocato i nomi di I. Barbu e T. Arghezi per la “corporalità della parola”
(ibid.) e quello di G. Bacovia per l’“universo chiuso” e l’associazione “amore-morte”
(ivi, p. 98, 100), ha rimandato a Urmuz e Grigore Cugler per le “associazioni lessicali
insolite” (ivi, p. 100) e ha richiamato nuovamente Bacovia, insieme a Mateiu Caragiale,
per “l’atmosfera crepuscolare” (ivi, p. 102). Dal canto suo, MIRONESCU (2007, pp.
139-140) ha rilevato che la poesia di Blecher “tradisce un’influenza mista, proveniente
dagli imagisti Voronca, Pană, Roll, ma anche da modernisti ‘pacati’ come Demostene
Botez o persino da Eminescu”. Alla lista certo potenzialmente assai ampia delle possibili
“risonanze” (influenze) o «consonanze» (analogie) si potrebbero aggiungere anche, per
la visione della natura e dello spazio rurale di Pastorală [Pastorale], l’espressionismo
autoctonista del L. Blaga del «villaggio apocalittico» e più ancora dell’Adrian Maniu
di Lângă pământ (Accanto alla terra, 1924) e del B. Fundoianu di Privelişti (Vedute,
1930; ed. it. a c. di G. Rotiroti e I. Carannante, note e traduzione dal romeno di I.
Carannante, Novi Ligure, Joker, 2014), o ancora, per la “chioma” quale metonimia
fondante del femminile in Poesia, nel solco della tradizione salmistica, il P. Celan di
Todesfuge (Tangoul morții [Il tango della morte], 1947).
82
Tra le consonanze pittoriche la critica ha menzionato Degas (MANOLESCU
2008), Picasso e Dalí (GLODEANU 2005, p. 96, 97) e, come già detto (v. n. 45), la
pittura naïf (MIRONESCU 2011, pp. 107-108).
IL CORPO DELLA MEDUSA 55

stesso tempo anche un ammonimento che non è a livello della sintassi poetica che
occorre ricercare il ‘messaggio’ che un autore tanto preoccupato dal proprio io deve
aver incifrato (anche) in questo primo libro83.

Certamente, nel complesso CT era e resta l’opera di uno scrittore ancora


alla ricerca della modulazione più consona alla propria voce, un’eterogenea
raccolta di esperimenti, di tentativi, che contiene vari testi di modesto
rilievo, “semplici esercizi formali e deliri dell’immaginazione”84, magari
dotati a sprazzi di un certo qual pregio estetico ma nell’insieme poco
rappresentativi della straordinaria singolarità di cui Blecher darà invece
prova nei romanzi. Nondimeno, diluite in questa «soluzione soprassatura»
si ritrovano alcune delle «impurità» caratteristiche, degli specifici
«corpuscoli» di sensibilità, intorno a cui, nel laboratorio della prosa, si
andavano cristallizando le strutture portanti di questa stessa singolarità. Di
là del fatto che le poesie di CT e le prime fasi dell’elaborazione di ÎII siano
effettivamente contemporanee o meno85, infatti, è innegabile che il volume
di poesie e i romanzi successivi presentino temi, immagini86 e atmosfere
comuni, che conferiscono a CT una sua speciale, benché ancora priva di
reale definizione e di sistema, unitarietà.

2.2. Esperienza e poetica. Invitato da Saşa Pană ad «arruolarsi» tra le


fila dei militanti surrealisti «ortodossi» di «unu»87, il giovane poeta oppone
all’illustre guru dell’avanguardia romena un discreto rifiuto, esponendo la
propria visione «eterodossa»:
Ecco ora cosa avrei da dire a propostito del mio avvicinamento a «unu».
L’irrealtà e l’illogicità della vita quotidiana non sono più per me da lungo tempo
vaghi problemi di speculazione intellettuale: io vivo questa irrealtà e i suoi

83
Ivi, p. 140.
84
Ivi, pp. 149-150.
85
La non sempre affidabile M. GHIOLU (1970) data la gestazione del romanzo a
partire dall’estate del ’33 a Techirghiol (ovvero dalla conoscenza con Blecher), ma la
prima traccia certa dell’elaborazione del romanzo la troviamo solo nel luglio del ’34,
dopo l’uscita di CT, nella lettera a Sașa Pană sopra citata (BLECHER 1971, p. 318; v.
anche MIRONESCU 2011, pp. 101-102).
86
Intendo qui “immagini” nel senso assai concreto della predilezione di Blecher
per una poetica “visually oriented” rilevata da G. GLĂVAN (2014, p. 12).
87
Verosimilmente in seguito all’uscita di CT, in cui gli era dedicata un poesia tra le
più «surrealiste»; la lettera di Pană è purtroppo andata perduta ( MIRONESCU 2014,
p. 136).
56 R. MERLO

avvenimenti fantastici. La prima libertà che mi sono concesso è stata quella


dell’irresponsabilità dei miei atti interiori l’uno nei confronti dell’altro, – ho cercato
di spezzare la barriera delle conseguenze e, – come un’onestà nei confronti di me
stesso ho tentato elevare al ragno di lucido e volontario valore qualsivoglia
tentazione dell’allucinante. Quanto però e come la surrealtà sviluppi in me i suoi
tentacoli, non so e non potrei sapere. So soltanto che giocherò fino all’ultima fiche.
Mi piace credere che d’ora in poi, in ogni tempo, un pugno di poeti, come veri
vampiri delle coscienze grasse e delle idee putrefatte, succhieranno il sangue della
quietudine e agiteranno bandiere e ombrelli nelle illusioni più care, più digestive e
morali dell’umanità.
L’ideale della scrittura sarebbe per me la trasposizione in letteratura dell’alta
tensione che si sviluppa dalla pittura di Salvador Dalí. Ecco cosa vorrei realizzare,
– quella demenza a freddo perfettamente leggibile ed essenziale. Che le esplosioni
si producessero tra le mura della stanza, e non lontano tra chimerici e astratti
continenti.
Che la visita degli spettri avvenisse normalmente attraverso la porta con un bussare
cortese e con un cortese strangolamento. Il surrealismo deve fare male come una
ferita profonda.
Alcune questioni mi separano tuttavia dall’ortodossia manifestamente pura, tutta la
difficoltà sarebbe quindi che «unu» tollerasse il mio atteggiamento così come è e
come non potrei modificarlo88.

Tra i dati che emergono da quella che è, in pratica, l’unica professione


di credo letterario esplicitamente fatta da Blecher spiccano in primo luogo
l’assunzione sui generis del surrealismo e il richiamo a Dalí. Sulla relazione
tra la scrittura blecheriana e la poetica surrealista si sono soffermati in modo
più o meno disteso praticamente tutti i critici che si sono occupati dell’opera
blecheriana, affermandola89, sfumandola90 o interpretandola in direzione
esistenzialista91, psicanalitica92 ecc. Non riprenderò qui i termini di una
questione tutto sommato laterale rispetto allo scopo del presente
contributo93. Come il lettore potrà giudicare facilmente da sé, una parte dei

88
BLECHER 1999, p. 397.
89
V. POPESCU 2000.
90
V. POP 2000 o GLĂVAN 2014 (che vede affinità con il surrealismo soprattutto
nella dimensione picaresca e nella geografia urbana dell’opera blecheriana).
91
V. ad es. BALOTĂ 1974, D. Pillat in BLECHER 1970 e PILLAT 2013,
NEGOIŢESCU 1997.
92
V. ad es. HORODINCĂ 1970 (che legge Blecher alla luce più di Freud che di
Breton) e soprattutto BOMHER 2001.
93
Benché non vada assolutizzata in quanto – al pari del caveat rivolto a Pană –
almeno in parte determinata da considerazioni non direttamente legate a questioni di
credo poetico (ovvero dalla rottura avvenuta tra Bogza e Pană), certamente interessante
IL CORPO DELLA MEDUSA 57

testi di CT – come Il cavallo e i poemi in prosa Poema e Poema grottesco


– possono facilmente e giustificatamente essere ricondotti al surrelismo94,
nel solco del precedente L’inextricable position95; altri – come Valzer
antico, Amore falena o Cammino e Serraglio – ricadono piuttosto
nell’ambito di un modernismo elegiaco genericamente inteso; in altri
ancora, espedienti surrealisti si mescolano a elementi di altra natura.
Benché una parte della critica l’abbia ritenuto un elemento di circostanza
più che di sostanza96, assai più intrigante del rimando generico al
surrealismo pare lo specifico richiamo al nome di Dalí. L’avvicinamento di
Blecher al surrealismo avviene nell’atmosfera di cambiamento portata dal
Secondo Manifesto (1930) e soprattutto dal metodo paranoico-critico di
Dalí, la cui teorizzata “sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei
materiali più deliranti, con l’intenzione di rendere tangibilmente creative
le […] idee più ossessivamente pericolose”97 mi pare descriva assai bene
l’essenza del registro analiticamente allucinatorio di ÎII98 e della rete di

per la questione della vicinanza di Blecher al surrealsimo è la tardiva ma perentoria


dichiarazione che lo scrittore fa a Bogza: “E poi non voglio essere un poeta surrealista,
così come non voglio essere un autore provinciale” (10.V.1938; POP 2009).
94
In discendenza surrealista collocherei anche i frequentissimi sintagmi
«sinestesici» a struttura “X di/del Y”: “parole di sangue”, “i monti del sonno”, “l’erba
dei sogni”, “seni di nuvola”, “orecchie d’etere”, “orecchini d’uccelli”, “comete di
tenebra”, “ghiaccioli di febbre”, “bracciali si sangue”, “collana di un sorriso”, “anello
di un istante”, “gonne di pizzo del latte crudo”, “mammelle della pioggia”, “pianeta
del sonno”, “grammofono d’acqua”, “cherubini della farina”, “mela del sole” ecc.
95
Questo il testo del poema: « Une large blessure s’enfonçait dans ma poitrine
jusqu’au cœur. C’était le même ulcère que jadis mais il avait changé de signification ;
moi-même j’étais lié à la chair par des douleurs et des laideurs nouvelles. Un cheval
participait à cette pensée ou plutôt l’œil d’un cheval portant en excroissance une
minuscule tête pareille à la grande mais plus pâle et visiblement plus souffrante (les
nègres ont souvent de ces poupées dans leurs bras). Pour le reste : j’étais nu jusqu’à la
ceinture, un mince pantalon en carton me couvrait rigidement les jambes si bien que la
rue entière (assistant à l’instant aussi irrémédiablement que le cheval) me prit pour un
religieux en quête d’un volume d’air tranquille pour déposer ses bagues » (BLECHER
2017, p. 543; anche in BLECHER 1971, p. 172).
96
“L’invocazione di Dalí della lettera del 7 luglio 1934 dipende più dall’attualità
delle letture del giovane poeta che da una predilezione fatale per l’autore del ‘Grande
Masturbatore’” (MIRONESCU 2007, p. 137).
97
DALÍ 1996, p. 165.
98
A tale proposito R. Ţeposu (În căutarea identităţii pierdute, in BLECHER 1999,
pp. 5-33: p. 12) ha parlato di “onirismo critico”; v. anche l’intervento su Blecher di D.
ŢEPENEAG (1997), capofila del movimento onirista romeno.
58 R. MERLO

parole tessuta – in CT certo ancora con insufficente tensione – allo scopo


di arginare la radicale crisi del soggetto che caratterizza la sensibilità
modernista. La relazione tra il «surrealismo», «bretoniano» o «daliniano»
che sia, e l’«esistenzialismo» blecheriano credo vada infatti vista in termini
non tanto «orizzontali», di influenza, quando piuttosto «verticali», di
procedenza da una sorgente comune. In tal senso, il punto di contatto
essenziale tra i due – al di là dell’assimilazione largamente strumentale di
linguaggi surrealisti-avanguardisti ben visibile in CT – va individuata in
una comune situazione di crisi ontologica e gnoseologica, “[nel]la
situazione di crisi della conoscenza, [nel]l’ineguaglianza del rapporto tra
oggetto-soggetto e [ne]l sentimento dell’impellenza di trovare un modo di
penetrare la superficie delle cose [che] costituiscono i dati fondamentali del
clima intellettuale del periodo delle avanguardie”99.
Nel comune terreno della crisi, tuttavia, l’«irrealtà» blecheriana
differisce dalla «surrealtà» in un aspetto fondamentale, che ne determina la
palese e assunta «eterodossia»: mentre i surrealisti si propongono di arrivare
a esprimere l’hazard objectif tramite una serie di tecniche sperimentali
specifiche (elemento che contraddistingue il surrealismo, ad esempio, dal
dadaismo e lo avvicina invece per certi versi al futurismo), di raggiungere
uno stato di «alterazione» psichica tale per cui si attinga lo stato superiore
della materia, del pensiero, dell’essere, Blecher vive la propria realtà
«alterata» come l’unica possibile. Laddove la «surrealtà» è provocazione o
eccitazione artificiale del reale, l’«irrealtà» di Blecher è accettazione di una
costitutiva e ineluttabile anormalità del proprio reale: l’una è suscitata
intenzionalmente dall’esterno, tramite l’artificio tecnico, l’altra si impone
spontaneamente dall’interno, attraverso il corpo esperito in una condizione
limite.
Infatti, lungi dall’essere “speculazione intellettuale”, apprensione
metafisica e men che meno inquietudine sociale, la crisi ontologica e
gnoseologica che alimenta la scrittura blecheriana è, per usare la parole
dello scrittore stesso, “una ferita profonda” che ha origine – inevitabilmente
– nell’esperienza della malattia:
La giustificazione di tale affinità [ontologica con il surrealismo; n.m. – RM] è,
ovviamente, la malattia, con i suoi innumerevoli servaggi, che minano ogni
compiacenza e abitudine del sano. L’esistenza quotidiana del malato si trasforma
in una serie di pratiche complicate, inverosimili, di rituali sfibranti […] La malattia
proietta Blecher nel cuore di una serie di fenomeni anarchici, destabilizzanti, dei

99
MIRONESCU 2007, p. 138.
IL CORPO DELLA MEDUSA 59

quali, invece di opporvisi, di negarne l’esistenza, di constatarne l’assurdità,


vittimizzandosi, egli cerca di esplorare il potenziale creativo, trattando tutto come
un’esperienza inedita100.

Si è già detto, ma lo ribadiamo: se da lato è certo limitativo trattare


l’opera di Blecher come una semplice cronaca delle sofferenze e dei deliri
di un malato, dall’altro lato pare altrettanto riduttivo trascurare l’impatto
determinante che un’esperienza estrema come quella vissuta da Blecher
deve aver avuto nella coagulazione della sua particolarissima poetica. Nel
caso di Blecher, come rilevava già N. Manolescu “[i]l luogo determina la
prospettiva”101. E non solo perché, come osserva il critico, l’analitica
dissezione blecheriana si ripiega sull’interiorità non dell’anima o dello
spirito, bensì del corpo, che qui intendiamo in senso fenomenologico come
il «corpo vissuto» che realizza la transizione unificatrice di natura
personalizzante tra il «corpo carnale» definito dalle sue strutture (anatomia)
e funzioni (fisiologia) e il «soggetto spirituale»102, ma anche perché a
determinare il ripiegamento che conferisce alla poetica blecheriana la sua
singolarità prospettica è il “luogo” della marginalità in cui lo scrittore è
stato relegato dall’infermità, dall’intimità incondivisibile del dolore e della
diversità.
In un certo senso, infatti, tale singolarità prospettica procede dal punto
di vista «ortogonale» rispetto a quello della persone «sane» in cui Blecher
si trova proiettato in seguito alla diagnosi del morbo di Pott, dalla
prospettiva “rovesciata di 90 gradi” dell’«orizzontalità» del degente
descritta in Berck – oraşul damnaţilor103. Prodotto dalla condizione limite
di durevole, dolente e irrimediabile infermità, il dislocamento forzato
dell’«angolazione» da cui Blecher esperisce il reale ne colloca la prospettiva
in quella zona non completamente fuori né completamente dentro gli
orizzonti della «normalità» che è propria del malato, del sofferente e, in un
senso più ampio, dell’«altro» e del «diverso». In virtù della propria
esperienza umana, egli «vive» stabilmente a cavallo di quella «dislocazione
ontologica» – per tornare alla questione della crisi – cui il surrealismo
mirava ad accedere attraverso tecniche elaborate allo scopo di squarciare il
«velo» che separa realtà e «surrealtà». E tale esperienza diventa poetica nel
momento in cui essa – nelle parole D. Mironescu – viene vissuta “alla

100
MIRONESCU 2007, pp. 136-137.
101
MANOLESCU 1983, p. 57; ora in BLECHER 2009, p. 154.
102
ENACHESCU 2007, p. 10.
103
BLECHER 1999, p. 354.
60 R. MERLO

ricerca di un risultato”104, ovvero quando, accettata l’inevitabilità della


propria condizione, Blecher se ne lascia completamente permeare per farsi
analista lucidissimo, benché allucinato, della propria condizione di
«membrana» omeostatica attraverso cui realtà e «irrealtà» travasano
continuamente l’una nell’altra colorandosi, contaminandosi, confondendosi,
e diventare regista di “quella demenza a freddo perfettamente leggibile ed
essenziale” che costituisce, in gran parte, il fascino della sua scrittura105.

2.3. Il soggetto «osmotico». Secondo G. Deleuze “[i]l primato


dell’identità, comunque essa sia concepita, definisce il mondo della
rappresentazione”, e “il pensiero moderno nasce dal fallimento della
rappresentazione come dalla perdita dell’identità, e dalla scoperta di tutte
le forze che agiscono sotto la rappresentazione dell’identico”106.
La “perdità dell’identità” e il “fallimento della rappresentazione” sono
i tratti più evidenti della profonda crisi del soggetto che percorre la cultura
occidentale tra fine Ottocento e primo Novecento e che il modernismo
esprime con particolare pregnanza.
La «narrativa culturale» generalmente condivisa vede la nascita del
soggetto «forte» della modernità occidentale (egocentrico, razionale e
unitario) nel pensiero umanista e rinascimentale, il suo consolidamento nel
razionalismo cartesiano e poi nell’idealismo tedesco, il suo trionfo nel
positivismo e la sua prima grave crisi a cavallo tra Otto e Novecento (a
partire dal pensiero di Schopenhauer e Kierkegaard e quindi con Nietzche
e Freud)107. Alcuni ritengono però che tale narrativa sia, almeno in parte,
“una proiezione retrospettiva della teoria contemporanea, una storia ad hoc
che illumina il successivo e contrastante dramma dalla caduta dal soggetto
dall’unità”108, e che “il sé della tradizione occidentale sia sempre stato in

104
MIRONESCU 2007, p. 138.
105
Se consideriamo che uno degli imperativi del surrealismo era spostare l’accento
dall’aspetto letterario a quello esistenziale (POP 2000, p. 336), l’«esistenzialismo
irrealista» di Blecher rappresenta forse uno dei migliori esempi di surrealismo portato
alle sue estreme conseguenze.
106
DELEUZE 1999, p. 1.
107
I termini della questione sono amplissimi, coinvolgendo questioni filosofiche
ma anche cambiamenti economici, politici, tecnologici, sociali ecc., ed esulano dagli
scopi del presente contributo: per un sunto critico della “versione autorizzata”, ovvero
“la modalità standard di narrare la storia del sé, quella che incarna e supporta valori
occidentali cardine”, si veda Roy Porter, Introduction, in PORTER 1996, pp. 1-14: pp.
1-7.
108
Jonathan Dallimore, Death and the Self, in PORTER 1996, pp. 249-261: p. 254.
IL CORPO DELLA MEDUSA 61

crisi, rinvigorito e spronato dalle medesime privazioni e divisioni interiori


che ne minacciano la disintegrazione”109. Che si propenda per l’una o per
l’altra visione, tuttavia, il fatto che una qualche forma di «crisi del soggetto»
sia uno dei tratti essenziali della tarda modernità e del modernismo letterario
che le appartiene resta innegabile (anche solo per l’enorme quantità di
attenzione che le sue varie manifestanzioni hanno ricevuto da parte delle
più diverse scienze umane, dalla critica letteraria alla psicologia e alla
psicanalisi, dalla filosofia alla sociologia).
Una formulazione di tale «crisi» assai pertinente alla visione blecheriana
la troviamo in un passaggio dell’Uomo senza qualità, 1930-1942, che R.
Musil comincia a dare alle stampe proprio negli anni del debutto di Blecher:
«È molto apprezzabile che un uomo, ai nostri tempi, aspiri ancora ad essere
completo».
«Macché, non è possibile», opinò Ulrich. «Prova a dare un’occhiata al giornale. È
assolutamente impenetrabile. Vi si parla di tante cose, che non basterebbe il cervello
di un Leibniz per capirle. Ma non ce ne accorgiamo nemmeno; siamo diventati
diversi. Non c’è più un uomo completo di fronte ad un mondo completo, ma un
qualche cosa di umano che si muove in un comune liquido nutritivo [s.m. – RM]»110.

L’intuizione dell’inafferrabile complessità del mondo e della


conseguente incompletezza costitutiva della conoscenza, la percezione della
permeabilità del sé da parte dell’altro da sé, la sensazione di immersione in
una matrice fluida e mobile che accomunano i personaggi di Blecher e
Musil costituiscono altrettanti segnali del vacillare della fiducia
nell’esistenza di un soggetto «forte», che segna a sua volta il crollo
dell’illusione della «totalità» che su di esso si fonda. Come ha rilevato
all’ombra di Nietzsche C. Magris, magistrale interprete di questa perdita di
senso, di centro e di verità, nel sentire modernista “[l]a vita non dimora più
nella totalità, in un Tutto organico e concluso”: per esso, “[l]a realtà, il
discorso e l’io stesso si risolvono in un’anarchia di atomi che sconvolge
ogni gerarchia”111. E con lo sfaldarsi dell’unità ordinata e ordinatrice del
«soggetto», il reale cessa di essere un «oggetto» delimitabile, conoscibile e
quindi dominabile, e l’io si ritrova diluito e dissolto nel fluire della vita
come inchiostro nell’acqua: “Il soggetto che si trova sperduto nel mondo e
non riesce a dipanare alcun filo ordinatore nel suo caos […] prende atto
che, a disperdersi e a disseminarsi nel fluire delle cose, è anzitutto lui stesso,

109
Ibid.
110
MUSIL 1996, p. 244.
111
MAGRIS 1984, p. 364.
62 R. MERLO

l’io individuale che si era fino a quel momento superbamente posto quale
centro della gerarchia e del significato della vita”112.
Centrale nella poetica blecheriana è questa nietzschiana abolizione delle
«gerarchie ontologiche» consolidate della modernità in virtù della
delegittimazione dei loro principi fondanti, che traduce il naufragio delle
certezze e il crollo del tradizionale regime di normalità innescati
dall’insediamento nella (ir)realtà «ortogonale» del malato e nella
marginalità del diverso. In un breve saggio concepito nel gennaio del ’35113,
discutendo dell’“essenza della poesia” Blecher fa quella che possiamo
considerare una dichiarazione indiretta di poetica:
Le verità con cui operiamo quotidianamente nell’esercizio delle nostre funzioni
mentali e che siamo constretti a considerare evidenti e definitive non sono, in fondo,
né evidenti né definitive. Dove comincia e dove finisce un’evidenza? E, in fondo,
che cos’è un’evidenza?
Ecco i dubbi di cui approfitta il poeta quando costruisce i suoi mondi immaginari
in cui sono possibili apparizioni di evidenze inedite114.

Sotto la lente della sensibilità esacerbata e iperreattiva di Blecher, il


mondo apparentemente «solido» delle “evidenze” rivela tutta la sua fragile
convenzionalità, sotto cui si lasciano indovinare, come attraverso lo
specchio di Clara in ÎII, frammenti di un diverso e «più reale» regime di
realtà: “Era uno specchio così vecchio che tutta l’argentatura qua e là era

112
MAGRIS 1978, pp. 249-250. Nelle lettere a Bogza questa sensazione di
dispersione, di incertezza e di fluida caoticità si delinea per contrasto rispetto al mondo
«solido» e «strutturato» che Blecher sente coagularsi in presenza (anche mediata)
dell’amico, che diventa, da un lato, catalizzatore di «solidità»: “Mi rendo conto ogni
giorno sempre di più quanto sia stato importante per me l’incontro con te. Tu sei
l’espressione del mondo solido [s.m. – RM], di base, granitico, e hai portato nelle mie
conoscenze una realtà che mi mancava. Anche per quanto riguarda la mia malattia e la
mia vita in generale, non solo dal punto di vista intellettuale” (Roman, 17.X.1934;
LASCU 2000, p. 34), oggetto di “qualcosa di più di un ringraziamento: una gratitudine
calda per il saldo pilastro [s.m. – RM] di appoggio che sei nella mia vita” (Roman,
31.X.1934; ivi, pp. 37-38); dall’altro, principio ordinatore di una vita altrimenti
“caotica” (Roman, 7.VII.1935; ivi, p. 75), come Blecher gli confessa dopo aver ricevuto
un pagamento dal direttore di «Vremea» C.A. Donescu: “A te devo prima di tutto la
mia organizzazione e poi le possibilità di pubblicare” (Roman, 22.VI.1935; ivi, p. 72),
o subito dopo l’uscita di IC: “[tu] mi hai tirato fuori dal marasma e messo sulla buona
strada” (Roman, 18.XII.1936; ivi, p. 128).
113
V. LASCU 2000, p. 52.
114
M. Blecher, Care este esenţa poeziei?, in «Vremea», VII, 378, 1935, p. 5;
BLECHER 1999, pp. 361-363: p. 363.
IL CORPO DELLA MEDUSA 63

saltata e attraverso le macchie trasparenti apparivano gli oggetti reali posti


sul restro della specchiera che si mescolavano con le immagini riflesse,
come in una fotografia con negativi sovrapposti”115. In questo stessa
direzione va la fascinazione per gli artefatti tecnologici che mettono in
evidenza il carattere oleografico della realtà, imitandola o riproducendola
come il grammofono, il panoptikum, la fotografia e la cinematografia o i
manichini e i clown, ovvero rivelandone aspetti altrimenti invisibili come
la radiografia e la lente d’ingradimento116. Quest’ultima in particolare, come
ha osservato Al. Goldiș, “è uno dei simboli principali della poetica
blecheriana nella misura in cui prefigura una nuova modalità di scrittura”117,
una poetica dell’irrealtà volta a svelare l’oltre e il dentro delle cose al di là
delle “evidenze”, così come in ÎII la “lente” svela la cifra segreta di un paio
di stampe della famiglia regale rinvenute tra le carabattole del nonno:
Questi quadri mi intrigarono per parecchio tempo. Mi sembrava che l’artista avesse
molto talento, considerato che i lineamenti erano molto sicuri e precisi, ma non
capivo perché li avesse fatti in un acquerello grigio, scolorito come se la carta fosse
stata tenuto troppo lungo in acqua.
Un giorno feci una scoperta stupefacente: ciò che avevo preso per colore sbiadito
altro non era che un mucchio di lettere minuscole, decifrabili soltanto con la lente.
Nell’intero disegno non c’era un solo tratto di matita o di pennello; era tutto un
continuo di parole che raccontavano la vita del re e della regina118.

115
BLECHER 2012, p. 28. „Era o oglindă atât de veche încât toată poleiala era
ștearsă pe alocuri și prin petele transparente apăreau obiectele reale din dosul oglinzii
amestecându-se cu imaginile reflectate, ca într-o fotografie cu clișee suprapuse”
(BLECHER 1999, p. 50).
116
Ringraziando Bogza per una lente d’ingrandimento inviatagli tramite un amico
comune, Blecher loda le virtù dell’oggetto con commovente incanto: “la lente supera
ogni mia aspettativa, è meravigliosa, è un oggetto raro, paurosamente piacevole da
maneggiare (in modo sensuale). Quando l’ho ricevuta avevo sul tavolo un libro di
incisioni e disegni antichi, olandesi e tedeschi, il cui pregio cresce infinitamente quando
li guardi con la lente (sai, quei disegni minuziosi con migliaia di dettagli)” (Roman,
21.XI.1935; LASCU 2000, p. 91).
117
GOLDIȘ 2012a.
118
BLECHER 2012, pp. 85-86. „Tablourile acestea mă intrigară mult timp. Mi se
părea că artistul avea mult talent, pentru că trăsăturile erau foarte sigure și fine, dar nu
înțelegeam pentru ce le lucrase într-o acuarelă cenușie, spălăcită, ca și cum hârtia ar fi
fost ținută mult timp în apă./ Într-o zi făcui o descoperire uimitoare: ceea ce luam eu
drept culoare ștearsă nu era altceva decât o îngrămădire de litere minuscule, descifrabile
numai cu lupa./ În tot desenul nu era o singură trăsătură de creion ori de pensulă; totul
era o alăturare de cuvinte în care se povestea istoria vieții regelui și a reginei”
(BLECHER 1999, p. 76).
64 R. MERLO

L’argentatura dello specchio, il solco del grammofono, la pellicola


cinematografica, la forma del manichino, il cerone del pagliaggio, la lastra
radiografica o il vetro della lente sono altrettante ipostasi della membrana
osmotica che separa realtà e irrealtà, elementi di una poetica meticolo-
samente costruita, non semplici motivi bensì – nelle parole nuovamente di
Al. Goldiş – “modelli paradigmatici di costruzione del testo blecheriano”119.
Nel primo capitolo del medesimo romanzo, così descrive il narratore il
ritorno alla normalità dopo una delle numerose crisi di «irrealtà» che lo
scuotono:
Una volta, durante una crisi, il sole disegnò sulla parete una piccola cascata di raggi,
come un irreale riflesso d’oro marezzato di onde luminose. Vedevo pure l’angolo
di una libreria con i grossi tomi rilegati in pelle, al di là del vetro anche questi
dettagli reali che percepivo dalla lontananza del deliquio avevano finito per
stordirmi e per prostrarmi come un’ultima inalazione di cloroformio.
Ciò che c’era di più comune e più noto in quegli oggetti mi perturbava oltremodo.
L’abitudine di vederli così tante volte aveva finito probabilmente con l’usurarne la
pellicola esteriore e perciò essi mi apparivano di tanto in tanto scorticati a sangue:
vivi, straordinariamente vivi.
Il momento supremo della crisi si consumava in un levitare al di fuori di qualsiasi
mondo, piacevole e doloroso allo stesso tempo. Se si udiva rumore di passi, la stanza
tornava rapidamente nel vecchio suo aspetto. Scattava allora tra le sue pareti un
calo immediato, una riduzione quasi impercettibile della sua esaltazione, pressoché
insignificante; ciò mi offriva il convincimento che la certezza nella quale vivevo
era separata mediante una membrana sottilissima dal mondo delle incertezze120.

Saltano all’occhio, in questo memorabile frammento, una serie di


elementi che concorrono a formare di l’immagine di «regimi di realtà» a

119
GOLDIȘ 2012a.
120
BLECHER 2012, pp. 19-20. „Odată în timpul unei crize, soarele trimise pe
perete o cascadă mică de raze, ca o apă ireală de aur marmorată cu unde luminoase.
Vedeam și colțul unei biblioteci cu tomurile groase legate în piele, dincolo de geam, și
amănuntele acestea reale pe care le percepeam din depărtarea leșinului isprăviră să mă
amețească și să mă doboare ca o ultimă inhalație de cloroform. Ceea ce era mai comun
și mai cunoscut în obiecte, aceea mă turbura mai mult./ Obișnuința de a le vedea de
atâtea ori isprăvise probabil prin a le uza pielița exterioară și astfel ele îmi apăreau din
când în când jupuite până la sânge: vii, nespus de vii./ Momentul suprem al crizei se
consuma într-o plutire în afară de orice lume, plăcută și dureroasă în același timp. Dacă
se auzea zgomot de pași, odaia intra repede în vechiul ei aspect. Se pornea atunci între
pereții ei o scădere pe loc, o diminuare extrem de mică a exaltării ei, aproape
imperceptibilă; asta îmi dădea convingerea că certitudinea în care trăiam era despărțită
de o pojghiță foarte subțire de lumea incertitudinilor” (BLECHER 1999, pp. 46-47).
IL CORPO DELLA MEDUSA 65

malapena separati da una “pellicola” logorata dall’abitubine alla normalità


o, meglio ancora, di mezzi fluidi in equilibrio osmotico attraverso una
“pojghiță”, termine tradotto da B. Mazzoni – in perfetta sintonia con il
registro blecheriano – come “membrana”. La diluizione del soggetto
blecheriano nel fluire del reale, il suo «stato di osmosi» con gli oggetti
«eccitati» da questa nuova modalità dell’attenzione, è perfettamente
illustrato in questo passaggio magistrale, quasi un’arte poetica: “Il loro
entusiamo di esistere in una nuova aura includeva anche me: potenti
aderenze mi legavano a essi, con anastomosi invisibili che mi rendevano
un oggetto della stanza simile agli altri, allo stesso modo in cui un organo
trapiantato nella carne viva, mediante fini scambi di sostanze, s’integra col
corpo sconosciuto”121.
Essenziale nella poetica blecheriana dell’irrealtà è la sensazione di
“plutire”, ovvero di «sospensione» in un fluido, sia esso liquido o aeriforme:
il termine indica infatti sia il ‘levitare’ (come nella traduzione italiana), il
‘librarsi’ o l’‘aleggiare’ in aria quanto il ‘galleggiare’ in acqua (ed è questa
una particolare ambivalenza che si risolve spesso in Blecher in un
«ispessimento» dell’elemento aereo). Un’allucinata traduzione in immagini
di questa sensazione di galleggiamento e di questa inversione di peso e
sostanza tra pieno e vuoto la incontriamo nel quarto capitolo di ÎII:
Qualche anno dopo, in un libro di anatomia vidi la foto di un calco in cera che
rappresentava l’interno dell’orecchio. I dotti, i seni e le fosse erano di materia solida,
dandone un’immagine in positivo. Questa foto m’impressionò oltremodo, quasi
fino al mancamento. In un istante mi resi conto che il mondo potrebbe esistere in
una realtà più vera, in una struttura positiva dei suoi vuoti, in modo che tutto ciò
che è cavo diventi pieno, così che gli attuali rilievi si trasformino in vuoti di forma
identica, senza alcun contenuto, come quei fossili delicati e strani che riproducono
in pietra le forme di qualche conchiglia o foglia che si sono macerate nel corso del
tempo, lasciando scolpite solamente le esili impronte dei loro contorni…
In un tale mondo le persone non sarebbero più state carnose escrescenze multicolori,
piene di organi complicati e putrescibili, bensì dei puri vuoti, fluttuanti, come delle
bolle d’aria nell’acqua, nella materia calda e molle dell’universo pieno. Era,
d’altronde, la sensazione intima e dolorosa che avvertivo spesso nell’adolescenza,
quando, nel corso dei vagabondaggi senza fine, mi trovavo a un tratto in mezzo a
solitudini terribili, come se gli uomini e le case attorno a me si fossero improv-

121
BLECHER 2012, p. 19. “Entuziasmul lor de a exista într-o nouă aureolă, mă
cuprindea și pe mine: aderențe puternice mă legau de ele, cu anastomoze invizibile ce
făceau din mine un obiect al odăii la fel cu celelalte, în același mod în care un organ
grefat pe carne vie, prin schimburi subtile de substanțe, se integrează trupului
necunoscut” (BLECHER 1999, p. 46).
66 R. MERLO

visamente rappresi nell’impasto compatto e uniforme di un’unica materia, nella


quale io esistevo soltanto come un semplice vuoto che si sposta di qua e di là senza
senso122.

2.4. La carne della medusa. Incarnato in questa straordinaria visione


della pienezza del reale convertita in diafane bolle che fluttuano in un
universo interamente costituito di materia fluida123, il “galleggiamento”
blecheriano tra regimi di realtà comunicanti, che – al pari della liquida
dissoluzione dell’Urlirch musiliano davanti al convulso e indistinto fluire
delle cose124, non più nominabili né dominabili dal linguaggio né unificabili
dalla sola ragione – traduce il sentimento tipicamente modernista di

122
BLECHER 2012, pp. 55-56. „Câţiva ani mai târziu văzui într-o carte de anatomie
fotografia unui mulaj de ceară a interiorului urechii. Toate canalurile, sinusurile şi
găurile erau din materie plină, formând imaginea lor pozitivă. Fotografia aceasta mă
impresiona peste măsură, aproape până la leşin, într-o clipă îmi dădui seama că lumea
ar putea exista într-o realitate mai adevărată, într-o structură pozitivă a cavernelor ei,
astfel încât tot ce este scobit să devie plin, iar actualele reliefuri să se prefacă în viduri
de formă identică, fără nici un conţinut, ca fosilele acelea delicate şi bizare care reproduc
în piatră urmele vreunei scoici sau frunze ce de-a lungul timpurilor s-au macerat lăsând
doar sculptate adânc amprentele fine ale conturului lor./ Într-o astfel de lume oamenii
n-ar mai fi fost nişte excrescenţe multicolore şi cărnoase, pline de organe complicate şi
putrescibile, ci nişte goluri pure, plutind, ca nişte bule de aer prin apă, prin materia
caldă şi moale a universului plin. Era de altfel senzaţia intimă şi dureroasă pe care o
resimţeam adesea în adolescenţă, când de-a lungul vagabondajelor fără sfârşit, mă
trezeam subit în mijlocul unor izolări teribile, ca şi cum oamenii şi casele în jurul meu
s-ar fi încleiat dintr-o dată în pasta compactă şi uniformă a unei unice materii, în care
eu existam doar ca un simplu vid ce se deplasează de ici-colo fără rost” (BLECHER
1999, p. 63).
123
Motivo che acquisice proporzioni cosmogoniche nell’inquietante visione di un
universo costituito interamente di fango che occupa gran parte del capitolo undicesimo
di ÎII (BLECHER 2012, pp. 121-131; BLECHER 1999, pp. 92-97).
124
O, prima ancora, la stupita resa di Lord Chandos nel seminale Ein Brief, 1902,
di H. von Hofmannsthal, che presenta alcune suggestive analogie con la prospettiva
blecheriana, ad es. nella rivelazione subìta e sopraffacente della proliferazione del reale
e del suo ineffabile: “Un innaffiatoio, un erpice abbandonato su un campo, un cane al
sole, un povero cimitero, uno storpio, una piccola casa di contadini, in tutto ciò mi si
può palesare la rivelazione. Ciascuna di queste cose, e mille altre consimili, su cui
l’occhio suole scivolare con naturale indifferenza, può improvvisamente, in un qualsiasi
momento che in alcun modo mi è possibile richiamare, assumere un colore nobile e
toccante, che nessuna parola mi pare atta a rendere” (HOFMANNSTHAL 1974, pp.
46-47).
IL CORPO DELLA MEDUSA 67

«dispersione» e «disseminazione» del soggetto “nel fluire delle cose” di cui


ha parlato Magris, trova un eloquente espressione nella metafora titolare
del volume poetico, che ritengo fondante della poetica blecheriana, del
corpo trasparente. Essa anticipa, unificandoli, due elementi centrali della
poetica blecheriana che emergeranno con maggiore chiarezza e sistematicità
nelle opere successive: da un lato il corpo, inteso come «corpo vissuto» (v.
supra); dall’altro lato, la trasparenza, intesa come quell’osmotico scambio
del corpo con l’ambiente che – si vedrà – assume le forme ora di un’eterea
levità, ora di un equoreo pesantore.
Che questa immagine rivestisse per Blecher un significato particolare al
di là dei confini angusti dell’esercizio poetico appare chiaro non solo dalla
testimonianza di Saşa Pană secondo cui lo scrittore avrebbe voluto farne il
titolo di un’ipotetica traduzione francese di ÎII125, ma anche dal suo
ritornare, nell’incarnazione iconica della carne della medusa, nel finale di
Inimi cicatrizate (d’ora in poi, IC) e in modo ancora più pregante in quello
della sua versione intermedia intitolata Berck, conservata nell’archivio del
Museo della Letteratura di Bucarest. Nella variante manoscritta il
protagonista del romanzo, Emanuel, in preda a una profonda malinconia
dopo la morte di Teddy (nella versione finale, Isa) e la separazione da altri
amici e conoscenti, esce a passeggio in calesse sulla spiaggia e si imbatte
in gruppo di bambini radunati intorno a una medusa spiaggiata:
Era una medusa ancora viva, abbandonata dal riflusso tra i resti. Era una massa
compatta di gelatina, rotonda e un po’ più grande di un piatto. Nella sua trasparenza
torbida non si notava alcun organo interno. Emanuel la prese in mano e la carne
molle, gelatinosa dell’animale si spanse e si riversò oltre le dita scivolandogli dai
palmi. Era impossibile afferrarla meglio per tenerla più stretta, le dita affondavano
nella materia viscosa, verdastra senza però penetrarvi complemente [s.m. – RM].
Esalava un fetore di pesce marcio e di alghe oceaniche. Era un odore quasi
cadaverico, penetrante e forte, aveva in sé qualcosa dell’odore che Emanuel aveva
sentito nella camera di Teddy. Gli balenò un’idea e diede al ragazzino quache soldo
in cambio dell’animale; questi accettò immediatamente. Emanuele mise il fagotto
di carne liquida accanto a sé sul sedile e diede di frusta ai cavalli. Ora sapeva cosa
doveva farne126.

125
S. Pană, Cu inima, cit. (LASCU 2000, p. 339).
126
„Era o meduză vie încă, lăsată de reflux între grinzi. Era o massă compactă de
gelatină, rotundă şi ceva mai mare ca o farfurie. În transparenţa ei tulbure nu se putea
remarca nici un organ interior. Emanuel o apucă cu mâinile şi carnea moale, cleioasă a
animalului se răspândi şi debordă peste degete alunecându-i din palme. Era imposibil
de a apuca mai bine pentru a o ţine mai strâns, degetele intrau în materia vâscoasă,
verzuie fără ca totuş s-o pătrundă complet. Exala din ea un miros puturos de peşte putred
68 R. MERLO

Nella versione definitiva Isa è ancora viva (benché in condizioni


critiche) ed Emanuel esce a passaggio con Solange:

Incontrarono un giorno sulla spiaggia un gruppetto di bambini che portavano


rumorosamente in corteo qualcosa che avevano trovato sulla sabbia. Era una medusa
morta, un enorme pezzo di carne gelatinosa e trasparente, dall’odore acro di pesce
e di iodio. Solange trasalì rabbrividendo. Emanuel prese l’animale in mano e il suo
peso appiccicoso aderiva stranamente alla pelle. La freddezza molle e umida gli
penetrò fin nel cervello, chiuse gli occhi, lievemente intorpidito.
– Sento la mia anima come questo pezzo di vita inerte e rivoltante, mormorò…
Berck ha di queste apparizione rivelatrici… Che odore di putredine esala!…
E a Emanuel tornò in mente l’ultima visita a Isa e l’odore di suppurazione che
saturava allora la stanza…
Restituì la medusa e decise di tornare al sanatorio. Quel cadavere oceanico l’aveva
impressionato fortemente, come una sorta di presentimento reale, materializzato
nella massa di carne umida e fredda127.

Come rendono persino eccessivamente chiaro le parole di Emanuel, a


un primo, superficiale livello il «corpo trasparente» della medusa è
immagine generica della transitorietà e della fragilità dell’uomo. A livello
più profondo, esso è espressione della condizione diluita, diffusa, del
soggetto «modernista». Costituita quasi interamente dello stesso elemento
in cui vive, l’acqua, la medusa si presta ottimamente a incarnare quel
sentimento soverchiante di osmosi tra soggetto e oggetto, di permeabilità

şi de alge oceanice. Era un miros aproape cadaveric, pătrunzător şi iute, avea în el ceva
din mirosul pe care Emanuel îl simţise în odaia Tedyei. Îi fulgeră deodată prin minte o
ideie şi dărui câţiva bani băiatului ca să-i dea animalul; acesta acceptă imediat. Emanuel
puse pachetul de carne lichidă lângă el pe scăunaş şi dete biciu cailor. Ştia el acum ce
avea de făcut cu el” (Manoscritto Berck, quaderno manoscritto n. 5, pp. 92-93, apud
MIRONESCU 2007, p. 151)].
127
„Întâlniră într-o zi pe plajă câțiva copii care duceau în convoi gălăgios ceva ce
găsiseră în nisip. Era o meduză moartă, o enormă bucată de carne gelatinoasă și
transparentă cu miros acru de pește și iod. Solange tresări înfiorată. Emanuel luă
animalul în mână și greutatea lui lipicioasă adera straniu de piele. Îl străbătu răceala
moale și umedă până în creieri, închise ochii, puțin înfrigurat./ — Îmi simt sufletul ca
bucata asta de viață inertă și dezgustătoare, murmură el… Berck are apariții de acestea
revelatoare… Ce miros de putreziciune exalează!…/ Și Emanuel își aminti de ultima
lui vizită la Isa și de mirosul de purulențe care îmbâcsea atunci odaia…/ Înapoie meduza
și hotărî să se întoarcă la sanatoriu. Îl impresionase extrem de puternic cadavrul acela
oceanic, ca un fel de presimțire reală, materializată într-o masă de carne umedă și rece”
(BLECHER 1999, pp. 226-227).
IL CORPO DELLA MEDUSA 69

da parte dell’ambiente, quella sensazione di “galleggiamento” in un fluido


e di sospensione dell’io “in un comune liquido nutritivo”, così come la
fragilità della separazione e quindi l’illusorità della distinzione tra sé e altro
da sé. La carne «sfuggente» della medusa è immagine della coscienza
porosa, permeabile, diffusa e (pirandellianamente) frammentata della tarda
modernità, che di fronte all’inedita e imprevedibile complessità del reale e
del sé abdica volente o nolente alle proprie illusorie egemonia e unitarità
per abbracciare invece una posizione più «fluida», ora ebbra partecipazione
al prodigio dell’istante ora inevitabile e malinconico assoggettamento alla
“tirannia degli oggetti”:

Invidiavo le persone intorno a me, impenetrabilmente chiuse nei loro segreti e


isolate dalla tirannia degli oggetti. Esse vivevano prigioniere sotto spolverini e
cappotti però nulla dal di fuori le poteva terrorizzare e sconfìggere, nulla penetrava
nelle loro meravigliose galere. Tra me e il mondo non esisteva alcuna separazione.
Tutto ciò che mi circondava m’invadeva dalla testa ai piedi, quasi che la mia pelle
fosse stata crivellata [s.m. – RM]. L’attenzione, molto sbadata del resto, con la
quale guardavo intorno a me non era un semplice atto di volontà. Il mondo
prolungava in me in modo naturale tutti i suoi tentacoli; ero attraversato dalle
migliaia di braccia dell’idra128,

o alla «prigionia della materia»:

La materia bruta – nelle sue masse profonde e pesanti fatte di terra, pietre, cielo o
acque – ovvero nelle sue forme meno intellligibili – fiori di carta, specchi, biglie di
vetro con le enigmatiche spirali al loro interno, o statue colorate – mi ha sempre
catturato, tenendomi chiuso in una sorta di carcarazione che si scontrava
dolorosamente contro le sue pareti e perpetuava in me la bizzara ventura, priva di
senso, di essere uomo129.

128
BLECHER 2012, p. 21. „Invidiam oamenii din jurul meu, închişi hermetic în
tainele lor şi izolaţi de tirania obiectelor. Ei trăiau prizonieri sub pardesiuri şi paltoane
dar nimic din afară nu-i putea teroriza şi învinge, nimic nu pătrundea în minunatele lor
închisori. Între mine şi lume nu exista nici o despărţire. Tot ce mă înconjura mă invada
din cap până în picioare, ca şi cum pielea mea ar fi fost ciuruită. Atenţia, foarte distrată
de altfel, cu care priveam în jurul meu nu era un simplu act de voinţă. Lumea îşi
prelungea în mine în mod natural toate tentaculele; eram străbătut de miile de braţe ale
hidrei” (BLECHER 1999, p. 47).
129
BLECHER 2012, p. 53. „Materia brută – în masele ei profunde și grele de țărână,
pietre, cer, sau ape – ori în formele ei cele mai neînțelese – florile de hârtie, oglinzile,
bilele de sticlă cu enigmaticile lor spirale interioare, ori statuile colorate – m-a ținut
întotdeauna închis într-un prizonierat ce se lovea dureros de pereții ei și perpetua în
mine, fără sens, bizara aventură de a fi om” (BLECHER 1999, p. 62).
70 R. MERLO

Nella dislocazione ontologica poeticizzata da Blecher, determinata


dall’esperienza della condizione liminale e marginale di infermo, per cui i
più semplici e di norma inconsapevoli movimenti e funzioni dell’organismo
umano diventano un calvario di dolore e di umiliazione e le più banali
interazioni sociali si tramutano in grottesca parodia, gli oggetti manifestano
un’esistenza autonoma da quella del soggetto nel malfunzionamento, nella
difformità e nell’errore130. L’artefatto quotidiano, di norma invisibilmente
immerso nelle pratiche di vita ordinarie, cessa nell’«irrealtà» blecheriana
di essere inavvertibile e collaborante “simbionte”131 per rivelarsi,
manifestando “il [suo] esistere nel resistere”132, inflessibile dittatore o
severo carceriere.
Questo sconvolgimento della gerarchia «tradizionale» del soggetto
rispetto all’artefatto (all’oggetto) presenta tutti i tratti del «perturbante»
freudiano (Das Unheimliche), ovvero di quell’inquietudine speciale che
deriva dall’alterazione di quanto ci è noto e familiare133 e che si può tradurre
con lo “spaesamento”134, e né è anzi, nella misura in cui è di fatto “estraneità
e ostilità del supremamente familiare”, ossia di quella facoltà dello sguardo
che non solo è ciò che vi è di più familiare al soggetto ma addirittura ciò
che costituisce la soggettività stessa del soggetto135, il massimo grado.
L’inquietudine dell’alieno che serpeggia sotto la pelle del familiare è
perfettamente espresso da Blecher in un verso di Valzer antico che vale
quanto un saggio di poetica: “Sento cose troppo normali intorno a me, ho
paura”. Tuttavia, laddove nelle prose successive tale esperienza si colloca
tendenzialmente nei territori del perturbante, in CT esso appare ancora
temperato da effusioni sentimentali, come in Materializzazioni, dove
l’autonomia degli oggetti dal soggetto (“Se avessi oggetti che nel cuore
hanno vita/ E pensieri nella seta e ricordi nel vetro”) più che “spaesamento”
è anelito all’autenticità dell’esperienza.
Di eccezionale interesse in tal senso è, a mio parere, Viața inexorabilă
[Vita inesorabile], uno dei due disegni inviati da Blecher a Sașa Pană nel
marzo del ’34 riprodotti nell’appedice iconografica di BLECHER 1971:

130
MAGLI 2005, p. 17.
131
V. LONGO 2003.
132
MAGLI 2005, p. 6.
133
FREUD 2006, p. 82.
134
BERTO 2002, p. 2.
135
TRINCIA 2000, p. 20.
IL CORPO DELLA MEDUSA 71

Questo corpo femminile grottesco, la cui forme incerte suggeriscono


una consistenza gelatinosa e qualcosa di pisciforme, come una allucinata
caricatura di sirena, con quel braccio tentacolare che striscia a terra per
raggiungere un cuore colorato, questo monstrum prigioniero tra terra e mare,
traduce con grande impatto visuale e particolare pregnanza quella singolare
sensibilità, quella perdita del sentimento dell’esistenza di struttura e solidità
del reale e di allentamento dei confini dell’identità che alimenta una poetica
del soggetto “spaesato” che sarei tentato di chiamare «medusoide».
Il «corpo trasparente» blecheriano è un corpo esposto, vulnerabile; come
la «medusa» che lo simboleggia, esso è il «corpo-non corpo», organismo
che prolunga in sé il proprio ambiente e in esso si estende, che incarna
(letteralmente) il «soggetto-non soggetto», coscienza in cui l’irrealtà insinua
i propri “tentacoli” e in essa si innesta. È “il corpo incantato” – “trupul
vrăjit”, come pertinentemente l’ha chiamato I. Pârvulescu con chiaro
riferimento a Thomas Mann136 – di un «sé-altro da sé» inafferrabile, dilatato

136
PÂRVULESCU 1999.
72 R. MERLO

e diffuso (“la carne molle, gelatinosa dell’animale si spanse e si riversò oltre


le dita scivolandogli dai palmi. Era impossibile afferrarla meglio per tenerla
più stretta, le dita affondavano nella materia viscosa, verdastra senza però
penetrarvi complemente”), le barriere che tradizionalmente lo delimitano
convertite in «membrane» “crivellate”, porose, osmotiche. L’esasperata
soggettività dell’io blecheriano è esplorazione di questa condizione, radicata
nell’esperienza perturbante dello smarrimento stesso dell’autonomia e della
solidità del soggetto.
In questo universo browniano la meccanica causa-effetto di un cosmo
razionalmente compartimentato e organizzato non trova più applicazione,
sostituita dalle dinamiche fluide e imprevedibili (ma non prive di senso!)
del «pensiero magico»:
Se, uscendo di casa e andando per strade differenti, ritornavo sempre sui miei stessi
passi, lo facevo per non descrivere con il mio percorso un cerchio nel quale rima-
nessero chiusi case e alberi. In questo senso il mio cammino somigliava a un filo e
se, una volta svolto, non l’avessi rimesso a posto, seguendo lo stesso percorso, gli
oggetti costretti nel nodo del cammino sarebbero rimasti irrimediabilmente e
profondamente legati a me per l’eternità. Se quando pioveva evitavo di toccare le
pietre presenti lungo i rivoli d’acqua, lo facevo per non aggiungere nulla all’azione
dell’acqua e per non interferire nell’esercizio dei suoi poteri elementari137.

Laddove nel suo “cammino” la voce narrante di ÎII traccerà un percorso


teso a evitare di rimandere impigliato nella trama segreta delle cose e dei
loro movimenti, quella poetica di Cammino lamentava invece l’incapacità
di distinguere il disegno del senso oltre la convenzionalità dell’ordine del
reale:
Un passo avanti l’altro le ombre dei miei passi muoiono
Come la traiettoria di una cometa d’oscurità
E l’asfalto alle mie spalle mi sopprime
Con tutto ciò che sono e tutto ciò che ho pensato

137
BLECHER 2012, p. 22. „Dacă plecam de-acasă și mergând pe drumuri diferite,
reveneam întotdeauna pe urma pașilor mei, asta o făceam pentru ca să nu descriu cu
mersul meu un cerc în care să rămâie închise case și copaci. În această privință umbletul
meu semăna cu un fir de ață și dacă, o dată desfășurat, nu l-aș fi strâns la loc pe același
drum, obiectele strânse în nodul umbletului ar fi rămas pe veci iremediabil și adânc
legate de mine. Dacă în timp de ploaie mă feream să ating pietrele din cursul șuvoaielor
de apă, asta o făceam pentru a nu adăuga nimic la acțiunea apei și pentru a nu interveni
în exercitarea puterilor ei elementare” (BLECHER 1999, p. 48).
IL CORPO DELLA MEDUSA 73

Come un prestidigitatore
Destinato a far sparire la mia vita.
C’è una fila composta di case
Su questa strada che eppure
Deve significare qualcosa

Ma entrambe si muovono in un universo di cifre e (blaghianamente) di


“rune”, di criptiche affinità e segrete relazioni celate appena sotto la fragile
e traslucida “pellicola” del banale e del quotidiano, dalle quali il «corpo
trasparente» del sé è marcato, percorso, innestato, perforato, fino a diventare
parte integrante del corpo tentacolare dell’“idra”.
Mentre nelle prose successiva la relazione del soggetto «osmotico» con
l’ambiente circostante si delinea più nettamente nella malinconica
accettazione dell’inevitabile “tirannia degli oggetti” e l’assalto aggressivo
e tentacolare dell’irrealtà assume i contorni dell’inarrestabile avanzata del
leviatano, nelle poesie della plaquette il «corpo trasparente» cela ancora in
sé, come ha notato anche M. Dinu, la ricerca di “uno stato di armonia e di
(re)integrazione attraverso l’eros”138. Come si è anticipato, in CT questa
metafora ha ancora una duplice valenza: da un lato, essa è immagine di
leggerezza e liberazione connesse all’elemento aereo; dall’altro, è
traduzione della soverchia viscosità dell’io travolto dal fluido delle cose.
Nella sua prima ipostasi, nel solco del filone amoroso che percorre il
volume, il «corpo trasparente» è diafana presenza femminile, annullamento
di peso e densità, una donna d’aria e vapore (la quale anticipa in parte quella
“poetica della fuga: dalla propria limitata, soffocante identità,
dall’ommipresente sovranità del mondo materiale, e finalmente dalla
prigione del corpo” di cui parla G. Glăvan139). Tale è la presenza evocata
dal cavallo aereo che “Si innalza dalla polvere distaccandosi dalla polvere”,
il quale è immagine del femminile: “Il cavallo è la donna d’acqua cammeo/
Dai seni di nubi” (Il cavallo)140, e soprattutto, con grande autenticità, in
Poesia:

138
DINU 2015, a proposito di BLECHER 2014.
139
GLĂVAN 2014, p. 7.
140
In CT il «cavallo» appare associato al femminile anche in Le tue mani; più in
generale, in Blecher questo animale rovescia l’archetipo dell’animale ctonio (v.
DURAND 2009, pp. 80-83 e sgg.) sposato ad es. da R. Țeposu (În căutarea, cit.;
BLECHER 1999, p. 33), conservando però spesso qualità di psicopompo: in IC, ad
esempio, dove traina il calesse con cui si muove Emanuel, il cavallo è il «nocchiero»
della sua immersione nel mondo infernale dei malati, ma anche il testimone della sua
uscita da esso e, in un certo senso, una marca dell’«alterità» del protagonista.
74 R. MERLO

Il tuo involucro
Come un uccello nel nido del cuore
In fiumi di sangue ti immergi
E voli attraverso le punte delle mie dita

Quando te ne vai
Il corpo ritrova la sua infinita pesantezza
E il paesaggio aperto beante
Significa la tua assenza

Con mani fonde come canestri


Mi tiri fuori dall’oceano del sonno
E la mia testa risuona come una conchiglia

Qui la presenza del femminile aereo appare interiorizzata, osmotica-


mente diffusa all’interno del soggetto come un respiro travasato nel sangue,
un frullare d’ali nel battito cardiaco che innalza, eleva, libera dal richiamo
ineluttabile della gravità e dalla pressione abissale del reale. Tale liberazione
appare iscritta nella virtualità del corpo stesso, il quale contiene in potenza
la propria levità – “Il corpo porta a spasso il nostro cielo” (Eternità) – ma
che solo attraverso il catalizzatore del femminile appare in grado di
manifestare tale qualità «aerea». Altrimenti, esso è il corpo greve
dell’affogato (Sulla riva), ostaggio dell’“infinita pesantezza” che l’oceano
dell’altro da sé estende tentacolarmente nel sé, schiacciandolo,
ottundendolo, soffocandolo. Perfetto pendant di Poesia è infatti Passeggiata
marina, in cui all’impalpabile pellucidità dell’etere risponde la ponderosa
trasparenza dell’abisso:
Il sangue del mare circola rosso nei coralli
Il cuore profondo del mare mi mugghia nelle orecchie
Sono sul fondo del cielo d’onde
Nelle segrete delle acque profonde
Nella luce uccisa del funereo vetro
Pesci piccoli come giocattoli di platino
Percorrono i miei capelli fluttuanti
Pesci grossi come branchi di cani
Suggono veloci le acque. Sono solo
Sollevo la mano e ne constato la liquida pesantezza

Anche qui, come in Poesia, compare la metafora del sistema


circolatorio, del fluido vitale del corpo che comunica osmoticamente con
il fluido esterno (la carne della medusa), là ravvivato dall’agile richiamo al
volo, qui stordito dal mugghio assordante delle profondità. Parimenti
centrale in entrambi i testi è l’idea di «peso», in Poesia temporaneamente
IL CORPO DELLA MEDUSA 75

attenuato dall’aerea presenza femminile, in Passeggiata marina aggravato


dalla liquida pressione degli abissi, che offre una pregnante espressione di
quel sentimento di inevitabile assorbimento dal e nel fluido denso delle cose
che, si è detto, si trova al cuore della poetica del Blecher più «maturo» dei
romanzi (identica ambivalenza incontriano in Le tue mani: “Le tue mani
nell’azzurro come due uccelli/ Dalle ali di seta/ Le tue mani sul mio capo/
Come due pietre su un’unica tomba…”).
E che la sensazione di perdità di sé del soggetto soverchiato dalla
“tirannia degli oggetti” trovi espressione privilegiata in simili visioni
abissali non stupisce laddove si consideri che la poetica blecheriana si
coagula in primo luogo intorno all’esperienza fondante del sanatorio
costiero di Berck, la cui cornice litoranea si converte in un vero e proprio
“paesaggio trascendentale”141. La duplicità stessa del «corpo trasparente»
è, in fondo, presente in nuce nell’ambivalenza dello scenario marino. Nella
sua dimensione orizzontale, in cui la vastità delle acque sposa l’altezza
vertiginosa del cielo regalando allo sguardo l’orizzonte dischiuso alla libertà
del possibile, esso è promessa di emancipazione dai servaggi della
terraferma (“C’è un inizio azzurro/ In questo paesaggio terrestre”; Eternità),
vagheggiamento di fuga e nostalgia di orizzonti lontani (donde le note di
“esotismo”142 e il motivo del «bastimento» o del «vascello» che incontriamo
in In luogo d’introduzione, Poema, Poema grottesco e Sulla riva). Nella
sua dimensione verticale, in cui negandosi alla vista si inabissa nelle gelide
e opprimenti profondità del baratro oceanico, ipostasi di quelle “masse
profonde e pesanti” della “materia bruta” di cui parla il narratore di ÎII (cfr.
supra), esso è invece minaccia di immobilità e costrizione, avvertimento di
naufragio, avvisaglia dell’abbraccio stritolante di una pressione abissale.
Un segnale del fatto che non si tratta che delle due faccie di una stessa
medaglia cogliamo nel Poema in prosa, dove la liquida trasparenza della
superficie si tramuta, attraverso un eloquente «cambio d’angolazione» che
anticipa il più radicale mutamento di prospettiva rispetto a CT che ha luogo
nei romanzi, nella pressione mortifera dell’abisso:
Il vestito del mare nella conchiglia dello zaffiro avanzi o scivoli vascello o acrobata,
tu fiume verticale col diadema della chioma azzurra cascata di felci o di grido ed
ecco un vetro si inclina, cambi le tue trasparenze e sei una donna morta un fantasma
col vestito del mare nella conchiglia dello zaffiro, la palma allunga il braccio e ti

141
MIRONESCU 2011, p. 119.
142
AILENEI 2003, p. 88.
76 R. MERLO

saluta, i bastimenti viaggiano il tuo cammino e le nubi verso il crepuscolo la tua


bellezza.

L’immagine delle liquidità abissali che pesano sull’affogato immobi-


lizzato sul fondale gelido e oscuro a osservare la vita che pullula più vicino
alla superficie rimanda all’abbraccio mortifero dell’infermità che paralizza
il corpo degente, inchiodato a letto o in barella e separato dalla vita «reale»
dallo «scafandro» fisiologico e sociale della malattia. In questa immobilità
patologica l’aria impercettibile all’essere umano sano, che vi si aggira
ignaro della propria straordinaria capacità di movimento, diventa per il
degente, su cui grava con l’ineluttabile pesantezza della pressione oceanica,
ostacolo invalicabile. Questo sentimento di costrizione e imprigionamento
si precisa ulteriormente nell’immagine dell’acquario, intrecciandosi alla
senzazione di artificiosità e convenzionalità del reale, mentre la
consapevolezza dello spettatore inerte si sviluppa nell’immagine della
vetrina, dove il ruolo dell’affogato è svolto dal manichino, altro simulacro
di vita. L’immaginario blecheriano si presenta dominato da un senso
oppressivo di vita «simulata», di esistenza priva di consistenza, segnata
dall’impossibilità di partecipare, relegati ai margini della vita, sul fondo
dell’oceano o dietro i confini invisibili eppure invalicabili dell’acquario o
della vetrina, spettatori di una vita a cui non è possibile prendere parte. Esso
si costruisce intorno allo “spaesamento” del soggetto per il quale gli aspetti
familiari della realtà – le “evidenze” – perdono consistenza e struttura,
dissolvendosi in una liquida caoticità. Sotto la placida e convenzionale
superficie del reale si spalanca l’abisso minaccioso dell’insensatezza, della
futilità (v. la già citata Cammino).
L’intima coscienza del vuoto metafisico celato dietro l’apparenza
concreta del reale genera un’acuta sensibilità alla dimensione dell’artificio,
del simulacro, per cui il mondo – tanto al di qua quanto al di là della
“membrana” della consapevolezza – appare come una smisurata vetrina,
un diorama sul cui fondale di cartapesta un esercito di manichini, bambole,
pagliacci e automi si muove in maniera meccanica, mimando la presenza
di vita, e l’essere umano stesso è percepito a ogni livello (fisico, psichico,
sociale) in tutta la sua fragile artificialità143. La metafora immediata è quella
del circo (Serraglio), dell’insensato dimenarsi di “pagliacci seri e folli”
(Amore falena), burattini in una tragicommedia che trovano scampo dallo

143
E a questa sensazione di «vuoto» della realtà risponde l’esperimento mentale
del mondo «pieno» in ÎII (cfr. supra).
IL CORPO DELLA MEDUSA 77

sconfortante ridicolo del vivere solo nel prendersi disperatamente sul serio.
È l’innaturale artificialità del simulacro, la sua anormale imitazione di una
presupposta normalità, che genera paura, come nel mondo decrepito e
putrescente di Valzer antico.
Ma in generale, come nel caso della “tirannia degli oggetti”, anche le
immagini dell’artificialità dell’umano che nei romanzi si collocano sul
meridiano del perturbante restano in CT nei territori meno insidiosi del
sentimentalismo malinconico. Un esempio è proprio Serraglio, in cui i toni
più gravi dei rimandi ai miti del Serpente dell’Eden (“Eccomi sono il tuo
serpente per tentarti/ Con la mela del sole per avvelenarti”) e di Prometeo
(“Eccomi sono l’aquila dell’occaso/ Con nel becco il mio cuore acceso
come un lampione”) sono smorzati dalla contestualizzazione nella
scenografia circense. Mentre in IC e VL il “clown” (“clovn”) e il
“pagliaccio” (“paiață”) sono maschere del tragico – da un lato, immagini
dell’incapacità del malato di controllare i propri movimenti (ad es.
Quintonce in IC), e quindi grottesca pantomima di umanità; dall’altro lato,
riflessi deformati di un’agognata e impossibile normalità, ovvero amara
parodia del convenzionale – in CT il “clown” (“Eccomi sono il tuo
rinoceronte in tunica da clown/ Che giocola con le clave per farti ridere” e
il “pagliaccio” (Amore falena) sono ancora dei «saltimbanchi» in
malinconico equilibrio tra comico e ridicolo.
Nella generale smentita delle “evidenze” su cui si fonda la poetica
blecheriana è coinvolta, naturalmente, anche la fiducia nelle capacità del
linguaggio. In una lettera di pochi mesi posteriore all’uscita di CT con cui
– in seguito alla lettura della poesia a lui dedicata144 – desidera esprime
all’amico Bogza tutta la gratitudine e il sincero affetto, Blecher lamenta
ludicamente l’impotenza delle “parole” a dire l’«altro» e l’«oltre»:
Mio caro Geo Bogza,
ti immaginerai certamente la mia emozione quando ho aperto «Frize» e ho letto la
tua poesia; non so se la tua immaginazione di può rendere la qualità esatta di questa
emozione e soprattutto il suo carattere segreto, quello che non entra nelle parole e
si compie da sé, un’unica volta, con una sorta di caldo rotolare del sangue accanto
al cuore e con un respiro che si purifica d’un tratto come se l’intero corpo si trovasse
un senso a lungo cercato, il senso della poesia che il mio corpo e i miei corgani
hanno trovato stamane era quello dell’amicizia. Esso permane intatto in me. Tutte
queste sono parole, noi dovremmo comunicare ciò che abbiamo da dirci con

144
G. Bogza, De vorba cu M. Blecher, in «Frize», I, 9 (1 noiembrie), 1934, p. 6, in
LASCU 2000, pp. 23-25.
78 R. MERLO

magnifici pezzi d’arrosto, o con nastri a buon mercato di quelli che comprano le
servette o con il film sonoro di un soldato che spacca la legna, con la fatica
dell’accetta che si alza, con il breve sussulto del legno, con i pantoloni kaki
leggermente sdruciti e i lacci delle brache che ballano sulla gamba nuda [s.m. –
RM]. Un simile soldato ho guardato oggi tutto il pomeriggio dalla mia loggia. E
sai bene che non te ne scrivo perché sia qualcosa di straordinario, ma proprio in
quanto non è straordinario affatto145.

Le Materializzazioni fantastiche del pensiero e del linguaggio che


incontriamo nell’omonima poesia o nell’arte poetica In luogo
d’introduzione che apre CT, in cui “parole” sono uccelli di sangue racchiusi
nel battito cardiaco, strani fiori che profumano il cervello, “Vetrine lunari
di angeli e spade/ Di lupi, di città, di navi, di chiome di donna”, misteriosi
segni di una scrittura inintelligibile, anticipa traducendolo poeticamente il
miraggio di una «lingua» fondata sulla corporeità sensibile dell’oggetto,
forma, gusto, colore, suono, movimento, vibrazione, tattilità, vagheggiata
nella lettera sopra citatata e poi in ÎII: “Le parole abituali non hanno valore
a certi livelli profondi dell’anima. Cerco di definire esattamente le mie crisi
e non trovo che immagini. La parola magica che le potrebbe esprimere
dovrebbe prendere in prestito qualcosa dalle essenze di altre sensibilità
viventi, distillandosi da esse come una fragranza nuova estratta da una
sapiente composizione di profumi”146.

3. Conclusioni. Eserciziario lirico, indiretto poema d’amore, vicario di


una presenza negata e legittimazione di ulteriori progetti letterari, CT
costituisce un momento singolare nel divenire della poetica blecheriana non
tanto – come già notava uno dei primi recensori – per ciò che realizza
quanto per ciò che promette (benché, a differenza di quanto immaginava il
recensore citato, le promesse dell’autore saranno mantenute non nel terreno
della poesia bensì in quello della prosa). L’opera poetica anticipa e completa
l’universo dei romanzi147, costituendo in tal senso un passo importante –
per riprendere la già citata caratterizzazione di A. Brăvescu – della
«preparazione del capolavoro». A dispetto della brevità e della marginalità

145
Roman, 27.X.1934; LASCU 2000, p. 36.
146
BLECHER 2012, p. 20. „Cuvintele obișnuite nu sunt valabile la anumite
adâncimi sufletești. Încerc să definesc exact crizele mele și nu găsesc decât imagini.
Cuvântul magic care ar putea să le exprime ar trebui să împrumute ceva din esențele
altor sensibilități din viață, distilându-se din ele ca un miros nou dintr-o savantă
compoziție de parfumuri” (BLECHER 1999, p. 47).
147
GLODEANU 2005, p. 95.
IL CORPO DELLA MEDUSA 79

rispetto all’opera «maggiore» di Blecher, infatti, CT è testimone


dell’evoluzione stilistica e di gusto di Blecher, dall’assimilazione/emula-
zione di modelli di prestigio verso una formula più personale, nonché – e
forse soprattutto – di una prima e incompleta cristallizzazione della
singolare poetica del soggetto «osmotico» o «medusoide» portata a
compimento in ÎII e nei seguenti romanzi. Incontriamo già in CT la presenza
ricorrente del corpo e dell’acqua, di immagini e sensazioni di un universo
di liquida pesantezza e della consustanzialità del sé con l’altro da sé,
meravigliosamente riunite nella metafora titolare del Corpo trasparente e
nella soggiacente immagine della «medusa» che, fatta d’acqua e in essa
immersa, incarna perfettamente l’oscillazione di Blecher – notata anche da
I. Pop148 – tra la sensazione di perfetta permeabilità con la realtà circostante
e quella di resistenza a un universo di densa materialità149.
Certamente, come ha osserva A. Brăvescu, la stella in continua ascesa
di Max Blecher non è certo quella dello sporadico e ineguale autore di
brevissime prose e saggi né del “poeta di un’unica plaquette”150, ma quella
del lussureggiante, singolare e sovversivo romanziere. Recepita già
all’epoca come perfettibile probatio pennae sulla falsariga di modelli
riconosciuti e riconoscibili (in particolare avanguardisti-surrealisti e
tardoromantici-simbolisti), immediatamente eclissata dall’inedito e dalla
scioccante intensità dei romanzi e poi giustamente (ri)letta ex post come
momento preliminare e preparatorio a questa, l’esigua opera poetica di M.
Blecher, “estremamente originale (senza essere un capolavoro),
sostanzialmente diversa dalla creazione dei grandi autori del periodo
interbellico”151, conserva però anche una propria autonoma dignità
letteraria.
Le poesie di Blecher meritano infatti di essere ricordate non solo – come
più volte osservato – perché costituiscono un primo, parziale resoconto
dell’esplorazione di territori di vissuto, di immaginario e di sensibilità che
Blecher espanderà nell’opera romanzesca o perché illustrano alcuni aspetti
costituivi della poetica da cui questi romanzi traggono forma e sostanza,
ma anche – semplicemente – perché sono, nel complesso, belle poesie, il
cui fascino risiede più nella «calligrafia» che nel «dettato» e la cui

148
POP 2000, pp. 393-395.
149
E a questa stessa “oscillazione” risponde anche la già menzionata visione di un
mondo completamente costituito da fango di ÎII e (cfr. supra, n. 123).
150
BRĂVESCU 2011, p. 24.
151
GLODEANU 2005, p. 104.
80 R. MERLO

singolarità non va ricercata nelle tinte forti di una «scrittura» prepoten-


temente innovativa bensì nelle sfumature di una «riscrittura» discreta, nel
ductus specificamente blecheriano della trascrizione di temi cruciali della
sensibilità modernista e nel timbro distintivo delle sottili e personali
«variazioni» – qua e là particolarmente felici – su partiture consacrate.
È con questo spirito che se ne offre la traduzione al lettore italiano152.

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BLECHER 2009: M. Blecher, Vizuina luminată. Jurnal de sanatoriu,

152
La traduzione italiana è stata condotta sul testo di CT stabilito da D. Mironescu
in BLECHER 2017, pp. 527-542, che emenda alcuni errori di stampa «storici» e
restituisce così il testo corretto dell’editio princeps (si segnalano in particolare gli
interventi minuti ma significativi in Poema grottesco e Valzer antico e il cambiamento
di titolo in Le tue mani, nelle edizioni precedenti intitolata Gând [Pensiero]). Colgo
qui l’occasione per ringraziare il curatore per l’amichevole sollecitudine nel mettermi
a disposizione la sezione poetica di questa edizione.
IL CORPO DELLA MEDUSA 81

postfaţă de Nicolae Manolescu, ediţie îngrijită de Florin Ioniţă, Art,


Bucureşti, 2009.
BLECHER 2017: M. Blecher, Opere: Întâmplări în irealitatea imediată,
Inimi cicatrizate, Vizuina luminată, Proză scurtă, Aforisme, Poezii,
Traduceri, Publicistică, Scrisori, Arhivă, Documentar, Mărturii,
ediție critică de Doris Mironescu, postfață de Eugen Simion, Editura
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