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Filologia italiana

Rivista annuale

 · 

estratto

PISA · ROMA
ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI
MMV
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Simone Albonico (Pavia) · Stefano Carrai (Siena)
Vittorio Formentin (Udine) · Paolo Trovato (Ferrara)

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Fabio Romanini (Bologna)

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Per la migliore riuscita delle pubblicazioni, si invitano gli autori ad attenersi, nel
predisporre i materiali da consegnare alla Redazione ed alla Casa editrice, alle norme
specificate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipografiche & redazionali,
Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2004 (ordini a: iepi@iepi.it).
Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabile
Online alla pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net.
Paolo Trovato
ARCHETIPO, STEMMA CODICUM E ALBERO REALE
Per Alfredo Stussi
Si riteneva di solito che gli umanisti (come già
gli antichi : cfr. Cicerone, ad Att. xvi 3,) indicasse-
ro con il termine di archetypum o codex archetypus
soltanto l’« esemplare ufficiale », riveduto dall’au-
tore e destinato ad essere poi divulgato median-
te copie. Un’indagine più vasta e approfondita,
compiuta dalla Rizzo (pp. 308-37), ha messo in
chiaro che accanto a quel significato forse preva-
lente, il termine ne ha in epoca umanistica molti
altri, tra cui anche quello, che poi prevarrà, di
manoscritto – anche posteriore di molti secoli
all’autore, anche salvatosi casualmente e privo
di qualsiasi « ufficialità » o normatività, anche sfi-
gurato da errori o lacune – dal quale tutti gli altri
sono derivati.
Timpanaro 98, p. 8 (= Idem 2004, p. 20).
Since the Renaissance, when scholars at work on
the text of Greek and Latin authors took it up,
the classical term ˙rxétupon has been used in so
many senses that no-one today can safely use it
without defining it.
Reeve 986, p. 93.

.

N el commentare alcuni passaggi del lavoro sugli stemmi bipartiti apparso nello
scorso numero di questa Rivista, un collega ci ha amabilmente rimproverati
per non aver insistito adeguatamente sul fatto che non solo il prevalente bi-
partitismo degli stemmi, ma anche la capitale e molto controversa nozione di archetipo
sembra guadagnare in comprensibilità da studi che partono ‘dal basso’ (cioè dalla deci-
mazione) come quelli di Weitzman 982 e 987 e Guidi, Trovato 2004. Faccio volentieri
ammenda, tentando di chiarire, innanzi tutto a me stesso, la complicata nozione. Preciso
subito che questa nota si differenzia dalle pagine, in qualche punto un po’ speciose, ma
(come al solito) molto rilevanti, dedicate da Reeve all’argomento perché non punta tan-
to a far interagire tra loro diverse definizioni di archetipo alla ricerca di una definizione
accettabile, quanto a spiegare, per dir così, i meccanismi di formazione dell’archetipo
lachmanniano-maasiano (ovvero logico-formale) a partire da ‘alberi reali’ (o meglio, da
modelli di tradizioni manoscritte complete) sottoposti a decimazioni elevate.

Reeve 986. Quanto a Brunhölzl 97, non si tratta tanto di un riesame della nozione d’archetipo,
quanto (mi servo di parole di Montanari 2003, p. 33) di una reazione alla dottrina ottocentesca che «voleva
l’archetipo “medievale” (se non addirittura rigorosamente collocato nella supposta strozzatura tradizio-
nale costituita dal passaggio alla scrittura minuscola)».
10 paolo trovato

2.
Come è notissimo, (codex) archetypus è espressione classica usata in non meno di 4 ac-
cezioni fondamentali dagli umanisti. A norma del fondamentale lavoro di Silvia Rizzo
sulla terminologia filologica dell’Umanesimo, archetypus può significare infatti :
a. Appunti, note di collazione, lettera.
b. Abbozzo o minuta.
c. Redazione definitiva o pressoché definitiva di un’opera, non ancora trascritta in or-
dine nel codice destinato alla divulgazione.
d. Esemplare dell’opera apprestato dall’autore per la divulgazione, esemplare ufficiale.
D’ora in avanti indico con archetipo  l’ultima, cioè la più diffusa e illustre di queste ac-
cezioni.
I grandi critici testuali del primo Ottocento – anche questo è ben noto – hanno in-
trodotto nel lessico filologico un diverso significato, solo in parte percepibile nell’uso di
alcuni umanisti (Merula, Poliziano, Erasmo), 2 cioè ‘copia non conservata guastata da
almeno un errore di tipo congiuntivo, alla quale risale tutta la tradizione’. L’archetipo
in questa seconda accezione (o archetipo2) è ricostruibile (con diversi gradi di precisione)
su basi logico-formali grazie soprattutto alla quantità degli errori congiuntivi comuni
ai suoi discendenti. 3 A questa accezione tecnica si richiamano in sostanza (non senza
deviazioni, anche sostanziali, o meritori tentativi di revisione) tutti i continuatori del
metodo genealogico che fino a non molto tempo fa si chiamava impropriamente lach-
manniano, da Maas a Pasquali, da Irigoin a Blecua a Reeve. 4
Ben inteso, il presupposto che « la tradizione di ogni autore risalisse sempre e in ogni
caso a un unico esemplare già sfigurato da errori e lacune » è sembrato « inverosimi-
le » (Pasquali). 5 E il valore tecnico di archetipo2, che designa un manoscritto individuato
« casualmente » (si intenda: argomentatamente, ma a posteriori) dai filologi alla fine del
processo di classificazione e « privo di qualsiasi ‘ufficialità’ o normatività » (Timpanaro), 6
ha reincorporato, a volte, il significato di archetipo, al punto che eminenti classicisti
hanno finito per ricondurre gli archetipi ‘logico-formali’ che popolano i nostri stemmi a

Mi avvalgo dell’insostituibile Rizzo 973 (984), pp. 308-7.
2
Rizzo 973 (984), pp. 34-6; Timpanaro 98, pp. 8-9 (= Idem 2004, pp. 20-2); Kenney 974 (995), pp. 4, 37.
3
Ricavo la definizione da Stussi 994, p. 28. Leggermente diverse, per attenermi solo a manuali recen-
ti, le definizioni di Blecua 983, p. 7 (« Con el término arquetipo se aludirà a un códice o impreso perdido,
X, o conservado, A, B, C, etc., que transmita errores comunes a todos los testimonios ») e di Bourgain,
Vieilliard 2002, p. 209 (« Ancêtre de la tradition d’un texte, dont dérivent tous les témoins subsistants.
Généralement disparu, l’archétype est supposé par un certain nombre d’alterations communes à tous
ses descendants »). A differenza di Stussi (e del suo maestro Contini), gli autori dei manuali appena citati
inclinano a ammettere, anche se in misura diversa, che l’archetipo possa essere un testimone conservato :
estensione cara a Reeve 986, anche se applicabile quasi esclusivamente nelle tradizioni più tarde, in cui
qualche volta il manoscritto all’origine della tradizione nota è conservato.
4
Oltre a Maas, a Reeve e ai manuali già citati : Pasquali 9522, pp. 5-2 ; Contini 977 (9923), pp. 20-2 ;
Irigoin 977 ; Montanari 2003, pp. 33-42. Un uso idiosincratico di archetipo (più o meno ‘il manoscritto
che si trova immediatamente al di sotto dell’originale, la prima copia in assoluto’) è implicito in Gorni
997, pp. 6-7: i cui rilievi sull’originale del Convivio non finiscono quindi di convincere. L’opportunità di
evitare l’espressione ‘metodo di Lachmann’ discende dall’esaustiva ricerca di Fiesoli 2000.
5
Pasquali 9522, p. 5.
6
Timpanaro 98, p. 8 (= Idem 2004, p. 20). Caratterizzano in modo simile l’archetipo2 anche Dain
9753, p. 22 (« fruit du hasard ») e Irigoin 977, p. 238 (« [...] offre un caractère accidentel ou aléatoire, qui
tient aux hasards de la transmission du texte », « pour un même auteur l’archétype d’une œuvre sera du
xiiie ou du xive siècle, alors que celui d’une autre remontera à la fin de l’antiquité »).
archetipo, stemma codicum e albero reale 11
remote iniziative ‘editoriali’, come, per gli autori greci, la ‘traduzione’, avvenuta prima
del 900 d.C., dalla maiuscola in minuscola (un caso limite è Dain 949, secondo il quale
« l’archétype [evidentemente, l’archetipo] est normalement une édition constituée en
forme, déposée dans une bibliothèque, parfois signée » ; e, di conseguenza, l’archetipo2 è
indicato con una neoformazione un po’ macchinosa : « le plus-proche-commun-ancêtre-
de-la-tradition »). 

3.
In pratica, anche studiosi espertissimi e raffinati come Pasquali e Timpanaro mostrano
– almeno in qualche caso – di non essersi completamente liberati del significato di ar-
chetipo, al punto di non intendere l’archetipo come un manoscritto individuato « casual-
mente » e a posteriori dai filologi, ma come una improvvisa e inspiegabile ‘strozzatura’
della tradizione antica o medioevale :
Il Lachmann fondava il suo metodo sul presupposto che la tradizione di ogni autore risalisse
sempre e in ogni caso a un unico esemplare già sfigurato di errori e lacune, quello che egli chia-
mava archetipo. Che sia per lo più così, nessuno dubita […]. A chi ben consideri deve sembrare
inverosimile che ogni volta di ciascun’opera tuttora superstite si fosse salvato nel Medioevo (oc-
cidentale e bizantino) un solo esemplare, mentre tutti gli altri erano andati a fondo con la caduta
della civiltà antica. 2
Tramandate recta via devono essere almeno parti considerevoli della Vulgata geronimiana. Anco-
ra l’ultimo editore, il Quentin, crede, per l’Octateuco, di poter mostrare che vi fu un archetipo.
Ma gli esempi da lui portati non provano il suo assunto. [In nota :] Come avvertirono presto i
recensori, specie Rand, Harvard theolog. Review, 7, 924, 256 sgg. il quale nota, p. 26, quanto poco
probabile sia che un testo diffusosi presto in filoni separati sino alla periferia del mondo civile
risalga a un unico archetipo giacente in Italia. 3
Il Courtney ha scritto alcuni anni fa [sc. nel 98]. un curioso saggio in cui postula un archetipo
del sec. iv per tutti i codici virgiliani a noi giunti [...]. Egli si mostra consapevole dell’inverosimi-
glianza che nell’antichità possa, a un certo punto essersi conservato un solo esemplare del testo
virgiliano.4
Fra l’altro, chi voglia postulare un archetipo antico [sc. anziché medioevale] deve piuttosto col-
locarlo nel sec. iii, epoca di grave depressione culturale e di distruzioni materiali [...] che nel iv,


Dain 949, pp. 96 e 09 (= Dain 9753, pp. 09 e 22) ; consente, almeno in linea di principio e tuttavia
soprendentemente, con Dain 949 il manuale di Avalle 9782, pp. 87-88 : « Per archetipo si intende il codice
cui risalgono tutti i manoscritti contenenti un’opera, che si interpone [...] fra tali manoscritti e l’originale
[…]. Da KLachmann in poi ci si serve del termine archetipo per indicare qualsiasi codice (ricostruito o
esistente) cui faccia capo tutta la tradizione manoscritta di un’opera. Tuttavia sarebbe preferibile riserva-
re questo termine, come suggerito da ADain, alle sole edizioni ufficiali antiche, eventualmente firmate
dal o dai revisori, depositate presso una biblioteca o quanto meno dotate di una particolare autorità ».
2
Pasquali 9522, p. 5. La citazione prosegue : « Si è osservato con ragione [sc. da Fränkel 929] che non
c’è nessun motivo d’immaginarsi questo procedimento così : se d’un testo sussistevano tuttora parecchi
esemplari, era naturale che, quando sorgeva il bisogno di mss. nuovi, se ne scegliesse e trascrivesse uno
(per lo più il più facile) ». Tuttavia Grassi 96, p. 5, pur condividendo la mancata distinzione tra arche-
tipo e archetipo2, ha obiettato : « Il procedimento illustrato da Fränkel e Pasquali sarebbe perfettamente
comprensibile se, alla fine dell’età antica o nel Medioevo, i testi classici si fossero conservati in un unico
centro di cultura (per es. in un unico monastero) [...]. Ma, specialmente nel mondo latino, i centri di
cultura furono sempre più d’uno, anche nei periodi più oscuri dell’alto Medioevo [...] », concludendo
ineccepibilmente che, « sebbene il fatto che la tradizione di ciascun autore (con poche eccezioni) risale
a un unico archetipo non possa esser messo in dubbio, la spiegazione di tale fatto dev’essere ancora
3 4
trovata ». Pasquali 9522, p. 20 e nota. Timpanaro 986, p. 8.
12 paolo trovato
epoca di rinascita culturale. Ma anche una tale ipotesi, che può essere formulata per Plauto, non
regge per un autore così diffuso come Virgilio. 
Osservazioni di questo genere (tanto più significative in quanto avanzate da dotti ben
consapevoli della differenza tra archetipo e archetipo2) 2 mostrano di confondere due am-
biti concettuali che la filologia postbédieriana ha imparato, a carissimo prezzo, a tenere
distinti : la critica del testo (con i suoi molto concreti anche se perfettibili stemmata codi-
cum) e la storia della tradizione (con i suoi inattingibili ‘alberi reali’). 3
Ammesso e non concesso che Quentin e Courtney abbiano ragione, l’individuazione
di un archetipo, mettiamo, del iv secolo non significa dunque che ‘nell’antichità’ (o nel
Medio Evo o nella prima età moderna...) si sia conservato un solo esemplare, ma che i
moderni filologi non riescono, sulla base dei testimoni a loro disposizione, a risalire più
in alto di un certo manoscritto di regola perduto, necessariamente più tardo dell’ori-
ginale e spesso databile con ragionevole approssimazione. Nel caso della Commedia di
Dante, per es., è difficile risalire molto più in alto del 330-33 (l’età della sottofamiglia
a) : le prime generazioni di manoscritti, copiate tra la morte di Dante nel 32 e il 330
(per forza di cose meno numerose di quelle prodotte in serie tra il 330 e il 360) sono
scomparse in blocco.
In altre parole, l’archetipo (non so se già in Madvig, sicuramente in Maas e nella tra-
dizione filologica successiva) è un punto dello stemma oltre il quale la tradizione super-
stite non consente di risalire e di norma non ha niente a che fare con le vicende remote
della tradizione, ma solo con l’insieme dei manoscritti oggi disponibili, individuati dal
filologo in fase di recensio. 4

4.
In realtà – non diversamente dal prevalente bipartitismo degli stemmi –, l’alta probabi-
lità di imbattersi in stemmi di opere classiche o medioevali che discendono da un ma-
noscritto perduto (l’archetypon di Lachmann) sembra spiegabile in modo soddisfacente
con gli effetti casuali, ma devastanti, di una elevata ‘decimazione’ dei manoscritti.
Nel 982 l’orientalista Michael Weitzman ha generato mediante un elaboratore elet-
tronico 5 modelli di alberi reali. Sostituendosi al caso, il programma informatico da lui
adottato faceva ‘nascere’ e ‘morire’ secondo parametri costanti i manoscritti modifican-
do nel tempo la forma e la consistenza della tradizione, come risulta dall’albero cui si
riferisce la Figura  : 5

Timpanaro 986, p. 8, nota 6. Qualche altro caso di sovrapposizione tra i 2 significati di archetipo
si ricava da Alberti 979 (per es., pp. 6 per Pindaro, 2-3 per Euripide, 33 e nota 44 per Demostene). Si
consideri anche quanto ipotizzato da West 973 (99), p. 9, sulla morfologia degli alberi genealogici dei
classici «man mano che ci avvicinassimo alla fine dell’evo antico».
2
Per Pasquali, basta citare l’importante recensione a Dain 949 (poi in Pasquali 9522, pp. 469-480 : 477) :
« Il Dain intende per archetipo qualcosa di sostanzialmente diverso dal Lachmann [...]. Il suo archetipo
[...] è dunque un manoscritto criticamente costituito, autorevole, normativo (o che pretende di esserlo) :
per es. l’edizione alessandrina di Omero » ; per Timpanaro, la citazione in epigrafe.
3
Una discussione recente della nozione di ‘albero reale’ (elaborata da Fourquet 946 e da Castellani
957) in Guidi, Trovato 2004, spec. pp. -4.
4
In generale e pur senza ricorrere alla nozione di albero reale, già Irigoin 977, pp. 238-239, ha suggeri-
to di superare questa confusione terminologica, impiegando per « l’archétype au sens de Dain » termini
« comme recension ou édition » e raccomandando comunque di « disposer de deux jeux de termes, con-
cernant l’un les grandes réalités de l’histoire des textes, l’autre les faites schématisés dans le stemma ».
(la distinzione è ribadita nel finale, p. 245, dove si denunciano « les dangers d’une terminologie unique
appliquée à deux séries de faits d’ordre différent »).
5
Weitzman 982, Fig. . Un’analisi dei suoi lavori in Guidi, Trovato 2004, pp. 4-7.
archetipo, stemma codicum e albero reale 13

Fig. . Con le parole di Weitzman 982, p. 59 : « Ω represents the lost original. All manuscripts alive
at the stated time are shown, without any ring, except that four codices descripti in the final popu-
lation (‘sons’ of 6 and 95, another ‘son’ of 95 and its own ‘son’) are omitted. Manuscripts fully
ringed are dead ; many other dead manuscripts are omitted. A dotted ring indicates a dying manu-
script ». Lo ‘stato’ finale della tradizione è stato corretto come indicato in Weitzman 987, p. 289.

Come si vede, nel 94 d.C. la tradizione in esame è costituita da due rami minuscoli,
uno costituito da 2 e l’altro da 0 e 3 (sono quindi scomparse le copie -9 e ). Nel 44
il ramo di sinistra è quasi completamente estinto (sopravvive solo 22), mentre nel ramo
14 paolo trovato
di destra 3 ha generato 5 discendenti. Alla fine del processo, grazie agli errori guida pre-
senti nei manoscritti supersiti, 6, 63, 69, ecc., un critico testuale ricostruirebbe il testo
del perduto 3, che risulterebbe quindi, per puro caso, l’ascendente comune dei super-
stiti ovvero l’archetipo. Se invece si ipotizzasse che tutti i testimoni del ramo di sinistra
si fossero estinti, l’archetipo sarebbe 32, più basso e dunque, in circostanze normali,
segnato da un maggior numero di errori ossia più facilmente individuabile (ma il testo
che si ricaverebbe da un simile stemma sarebbe certamente meno genuino).
A risultati non dissimili sono arrivati anche Guidi e chi scrive usando come modelli di
albero reale alcuni stemmi di tradizioni a stampa (come è noto, tendenzialmente com-
pleti) e sottoponendoli a diverse ipotesi di decimazione. Con percentuali di decimazio-
ne basse (tra il 0 e il 30%) consistenza e ramificazioni dell’albero reale variano in modo
poco significativo (ha buone chances di sopravvivere anche la copia n.  della tradizione,
tratta direttamente dall’originale), mentre con percentuali di decimazione alte (tra il
70% e il 90%) i rami meno folti e le copie più vicine all’originale (necessariamente meno
numerose di quelle dei piani bassi) scompaiono senza lasciare traccia.  Anche in questo
caso, le copie superstiti sarebbero riconducibili dai filologi a un ascendente comune, più
o meno lontano dalla prima generazione.
Appunto in questo senso è corretto sostenere che l’archetipo, « privo di qualsiasi ‘uf-
ficialità’ o normatività », sia un manoscritto individuato « casualmente » dai filologi nel
corso della classificazione dei testimoni.

5.
Le argomentazioni appena svolte riguardo all’archetipo sembrano utili anche per chia-
rire una questione più generale spesso evocata in manuali o studi filologici : quella del
valore storico dello stemma.
Come è noto, studiosi di grande caratura ritengono che lo stemma sia (anche) una
sorta di compendio o comunque un aiuto per ricostruire la storia della tradizione :
Lo stemma […] serve a guidare e giustificare le scelte dove nei diversi manoscritti si contrappon-
gano varianti adiafore, cioè lezioni diverse ma ugualmente ammissibili. Oltre a questa funzione
pratica lo stemma ha anche un significato storico : in quanto rappresenta, in forma semplificata,
le linee essenziali della vicenda storica attraverso cui il testo si è trasmesso. 2
S-i [sc. lo stemma codicum nel caso che si proceda dall’alto in basso anziché dal basso in alto] può
anche essere utilizzato come un ‘modello’ storico, insomma la formalizzazione grafica del pro-
cesso che ha presieduto alla diffusione e, alternativamente, alla dispersione del testo. Per tanto S-i
assume un doppio aspetto, rispettivamente di ‘premessa’ ad un ‘modello’ logico-formale […] e, su
di un altro piano, di un ‘modello’ storico’[…] finalizzato alla ricostruzione della fortuna o, come si
suol dire da un po’ di tempo a questa parte, della « ricezione » del testo […]. La variante storica […]
privilegia la loro diffusione [sc. dell’originale ecc.], dove quello che conta non è più l’originale o
l’archetipo, ma i diversi modi in cui l’originale e l’archetipo sono stati letti nel corso dei secoli. 3
In realtà, come osserva, per es., de Contenson :
Lo stemma, meta dello studio critico, non è in senso stretto l’albero genealogico integrale di tut-
ta la tradizione del testo. È uno schema che speriamo non sia infedele all’albero genealogico rea-
le, ma che non ne registra tutte le ramificazioni […]. Il carattere schematico dello stemma deriva
inoltre dal fatto che la mancanza di un rilevante numero di testimoni intermediari, scomparsi nel
corso del tempo, non permetterà mai di determinare con certezza assoluta se un manoscritto è
figlio d’un altro oppure suo nipote collaterale o figlio del figlio. 4
2

Guidi, Trovato 2004. Roncaglia 975, pp. 40-4.
3 4
Avalle 994 (2002), pp. 24-5. de Contenson 978 (984), p. 4.
archetipo, stemma codicum e albero reale 15
I lavori di Weitzman e Guidi, Trovato confermano osservazioni empiriche di vari stu-
diosi sul fatto che è difficile trovare codici prossimi all’originale e che lo stemma privile-
gia spesso i discendenti di vulgate costituitesi a notevole distanza dall’originale.  Inoltre
essi permettono di precisare che, nelle tradizioni manoscritte antiche o medioevali, le
ramificazioni primarie dello stemma non coincidono necessariamente con quelle del-
l’albero reale (o completo) :
Dato un qualsiasi albero reale (a 2, a 3 o eccezionalmente, anche a 5 o 6 rami), la possibilità di so-
pravvivenza di quella che abbiamo chiamato una famiglia reale [sc. una ramificazione primaria
dell’albero reale] sarà :
alta se si tratta di una famiglia affollata di testimoni […] ;
bassa se si tratta di una famiglia di pochi individui ;
bassissima, per non dire nulla, se si tratta di una famiglia ‘nucleare’, rappresentata da un solo
manufatto.
[…]. In qualche caso gli stemmi riproducono, ma alla lontana e nelle sue ramificazioni più robu-
ste, solamente il ramo più folto di alberi reali all’origine ben diversamente articolati. 2
In conclusione, lo stemma informa (nei casi meno complicati) anche sulle relazioni
storiche che intercorrono tra i testimoni conservati, ma, di regola, non fornisce nessuna
indicazione su quanto è perduto (l’originale, le copie più vicine all’originale, eventuali
interpositi tra un testimone e l’altro) e, di conseguenza, sulla distanza (genealogica, ma
anche storico-culturale) tra queste copie e la tradizione superstite.

6.
Il fatto di aver confinato l’archetipo2 (e, a cascata, i subarchetipi, ecc.) all’interno delle
operazioni della stemmatica, separandolo con decisione dalla storia della tradizione (e,
in particolare, dalle sue fasi più antiche), può servire, forse, anche a riconsiderare le di-
verse definizioni di archetipo discusse da Reeve. Secondo il quale alcune contraddizioni
legate alla polisemia di archetipo possono essere superate distinguendo diversi ambiti
di uso :
On the one hand [a] ‘the archetype of the work’, on the other [b] ‘the archetype of mss. XYZ’
Phrases of both kinds are in common use, and so a third that hovers somewhere between them
[c] : ‘the archetype of the extant tradition’. 3
Come riconosce lo stesso Reeve,
The archetype of a work, understood as the archetype of all witnesses whatsoever, may be
troublesome to specific and hardly worth talking about [...] Nevertheless, enough traditions are
free from the complication of partial witnesses for ‘the archetype of the work’ or simply ‘the
archetype’, understood as the archetype of the known direct witnesses, to be unambiguous. 4
Di fatto, quale che sia la frequenza d’uso di [a] e [b], entrambe le espressioni sembrano
metonimie, che estendono impropriamente all’intera tradizione di un’opera, o (che è
lo stesso) ai suoi manoscritti, caratteristiche valide solo per i manoscritti sopravvissuti.
E solo [c] appare pienamente accettabile.

Per es. : « I manoscritti in nostro possesso di solito sono distanti dagli autori numerose generazioni
[…]. Le prime generazioni di copie sono perdute del tutto o quasi del tutto, e sono rappresentate solo da
manoscritti più o meno lontani » (Paris 872 [2004], pp. 57-58) ;. « I codici hanno in genere una discendenza
tanto più esigua quanto più essi siano vicini all’originale ; […] la costituzione di una vulgata tende ad
eliminare i testimoni isolati, i quali sono spesso i più puri » (Segre 96 [998], p. 74).
2 3
Guidi, Trovato 2004, p. 33. Reeve 986, p. 99. Mie le letterine [a] [b] e [c].
4
Reeve 986, p. 99.
16 paolo trovato
Se è vero, come credo risulti da questa nota, che gli unici impieghi corretti del tec-
nicismo archetipo2 riguardano l’esito di operazioni proprie della stemmatica, è possibile
misurare la maggiore o minor correttezza, da questo punto di vista, delle diverse defini-
zioni di archetipo allineate da Reeve (che per parte sua propugna la somma di 7a e 7b),
nonché delle definizioni di Blecua, di Stussi e di Bourgain, Vieilliard :
. The manuscript at the top of the stemma.
2. The immediate source of the extant tradition.
3. The oldest accessible manuscript.
4. Die Vorlage, bei der erste Spaltung began (Maas).
5. The latest bearer of such readings as have survived from the original.
6. The oldest bearer of innovation common to the known witnesses.
7a. (archetype of specific witnesses) latest common ancestors.
7b. (archetype of a work, or without qualification) latest common ancestors of the known wit-
nesses, known witness when latest common ancestor of the rest.
8. un códice o impreso perdido, X, o conservado, A, B, C, que transmita errores comunes a todos
los testimonios (Blecua).
9. Copia non conservata guastata da almeno un errore di tipo congiuntivo, alla quale risale tutta
la tradizione (Stussi).
0. Ancêtre de la tradition d’un text, dont dérivent tous les témoins subsistants (Bourgain,
Vieilliard).
A mio giudizio, le definizioni 3, 5 e 7a sono inadeguate e inutilizzabili, mentre la  e la 4
sono state respinte da Reeve rispettivamente perché esistono stemmi che hanno, al ver-
tice, l’originale e perché ci sono stemmi monopartiti. Se sospendiamo il giudizio sulla
questione – direi non decisiva – dell’archetipo conservato,  le definizioni restanti, 2, 6,
7b, 8-0 paiono sostanzialmente, anche se variamente, accettabili, perché riferibili tutte
in modo non ambiguo allo stemma, anziché alla tradizione antica. Anche se può sem-
brare superfluo (occorrono entrambe all’interno di partizioni dal titolo inequivocabile :
« Constitutio stemmatis », « Articolazioni dello stemma »), sarebbe forse il caso di inte-
grare come segue le definizioni 8 e 9, che preferisco alle altre perché danno conto anche
delle condizioni logico-formali necessarie per dimostrare l’esistenza dell’archetipo :
8. un códice o impreso […] que transmita errores comunes a todos los testimonios [conserva-
dos].
9. Copia non conservata guastata da almeno un errore di tipo congiuntivo, alla quale risale tutta
la tradizione [superstite].

Orlandi 995, p. 8, nota 5 conviene con Reeve: «Altri potranno discutere l’uso del termine, e soste-
nere che, in tal caso, tuutti gli altri mss. andranno eliminati come descripti, e si dovrà parlare piuttosto di
trasmissione a codice unico. Questione non esclusivamente terminologica [...]». Definizioni come quella
di Montanari 2003, §§ 3.9.2 e 7.8, per cui l’archetipo conservato è un «codex unicus secondario» (come
segnalato già in Guidi, Trovato 2004, p. 7, nota 37), consentono d’altra parte di evitare ogni equivoco: un
vantaggio non trascurabile in qualsiasi campo di lavoro.
archetipo, stemma codicum e albero reale 17

Abbreviazioni bibliografiche
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SOMMARIO

Paolo Trovato, Archetipo, stemma codicum e albero reale 9


Vittorio Formentin, Un distico in volgare in un registro polesano del Duecento 9
Stefano Carrai, Per il testo della Vita nova. Sulle presunte lectiones singulares del
ramo k 39
Davide Cappi, Per una nuova edizione de L’intelligenza 49
Andrea Bocchi, L’edizione di un glossario latino-volgare ad attestazione plurima 05
Francesco Tissoni, Ragioni metriche del Quattrocento. La struttura dei Carmina del
Boiardo 37
Lida Maria Gonelli, Esercizi di bibliografia testuale sulla princeps dell’Amorosa
visione (1521) 47
Federico Della Corte, L’Aretino in tipografia. Preliminari all’edizione della Corti-
giana a stampa 6
Andrea Donnini, Ottave manoscritte del « Firenze » di Gabriello Chiabrera 99
Marianna Marrucci, Valentina Tinacci, L’edizione di uno scritto a testimonianza
plurima, cartacea e informatica : Un giorno o l’altro di Franco Fortini 25
Indici, a cura di Fabio Romanini
i. Indice dei nomi 225
ii. Indice dei manoscritti 235

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