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Lezioni di Topografia
Parte III - Strumenti e metodi di misura
A. Manzino
getto
Dipartimento di Georisorse e Territorio
Politecnico di Torino, dicembre 2000
otto editore
DISPENSE DI TOPOGRAFIA
A. MANZINO
i
Gli errori che influenzano le letture zenitali ......................................... 20
I compensatori: il compensatore automatico del cerchio verticale, i com-
pensatori dei cerchi azimutali ............................................................... 21
9.8 TEODOLITI ELETTRONICI, LE STAZIONI TOTALI E LE STAZIONI
INTEGRATE ........................................................................................... 23
Princìpî di misura dei teodoliti elettronici............................................ 23
La lettura assoluta.................................................................................. 24
I principi di funzionamento del metodo di lettura incrementale ........ 26
I metodi adottati dalle principali case costruttrici ................................ 27
ii
11. LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA...........................63
11.1 I DISTANZIOMETRI (EDM/EODM)................................................... 63
La misura delle distanze con i distanziometri ad onde........................ 63
I distanziometri elettro ottici EODM .................................................. 64
Il metodo della misura della fase........................................................... 64
Precisione degli EDM........................................................................... 66
Misura delle ambiguità n con due frequenze vicine negli EODM..... 67
Misura dell’ambiguità n col metodo delle decadi ................................ 68
Misura dell’ambiguità con due frequenze prossime e la terza maggiore.... 69
L’onda portante e l’onda modulante.................................................... 69
Operazioni sulle onde ricevute e trasmesse........................................... 70
Precisione degli EODM ....................................................................... 71
Il Mekometro Kern ME5000 .............................................................. 72
Il metodo della misura ad impulsi........................................................ 72
11.2 I PRISMI ................................................................................................. 75
L’influenza della rifrazione atmosferica negli EDM............................. 76
iii
PARTE III – STRUMENTI E
METODI DI MISURA
B
z(A)
n
1
Si definisce distanza zenitale del punto A, l'angolo Z(A ) appartenente al piano ver-
ticale passante per O ed A definito dalla verticale n e dal vettore OA.
Dicesi distanza reale OA la lunghezza del segmento di retta che congiunge due
punti O ed A, mentre dicesi distanza topografica o distanza, la lunghezza dell'arco
di geodetica sulla superficie di riferimento che unisce i due punti.
Dicesi infine dislivello ∆ OA la differenza di quota tra il punto A ed il punto O (disli-
velli e quote ove non specificato sono da intendersi ortometrici).
2
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
A strumento rettificato questi assi devono essere a due a due perpendicolari fra loro;
l'intersezione ideale di questi assi definisce il cosiddetto centro strumentale.
Come detto, l'ipotesi di base è poter rendere verticale l'asse primario, ciò si realizza
attraverso due strumenti: la livella sferica e la livella torica raggiungendo il risultato
con media approssimazione con la prima ed affinando di molto il risultato con la
seconda. La livella torica è solidale all'alidada.
li la
0
V
-3 -2 -1 1 2 3
A B
3
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
Sulla fiala è tracciata una graduazione divisa in genere ogni due mm. La tangente
alla superficie torica nel punto di mezzo della graduazione è detta tangente centrale.
Condizione di rettifica della livella è che quando la retta AB (in fig. 9.3 idealizza
una direzione del piano di appoggio) è orizzontale, la lettura alla tangente centrale
sia uguale a zero. Tale lettura è ottenuta facendo la media delle letture ai due peli
liberi del liquido ( li e la ) .
È detta sensibilità della livella, l'angolo di cui la si deve ruotare sulla sua linea
d'appoggio affinché la bolla si sposti di 1 mm. Tale sensibilità, nei teodoliti di
buona precisione, è attorno ai 10". Se la condizione di rettifica non è verificata è
possibile imporla ruotando opportunamente la vite di rettifica V.
Si osservi la figura 9.4a: se la direzione di appoggio della livella è inclinata di un
angolo ν , rispetto all'orizzontale, è possibile che la lettura alla bolla sia ugualmente
zero solo nel caso che l'errore di srettifica sia dello stesso valore e di segno contrario.
Ruotando la livella attorno all'asse r, che prima era verticale e formante un angolo -
ν con la direzione AB, il pelo libero del liquido ruota di un angolo di grandezza (ν
+ν ) e pari alla lettura l (fig. 9.4b).
tg centrale
l=0 l=0
/
r
v
v A B
A B
v
C D
C D
Per rettificare la livella è sufficiente a questo punto agire sulla vite di rettifica sino a
compiere la lettura l ⁄ 2 .
2
razze di base
1
A B
4
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
Per rendere verticale l'asse primario occorre dunque eseguire queste operazioni:
1. si esegue la lettura zero sulla livella torica (si centra); quando questa è paral-
lela a due razze di base (posizione 1 in fig. 9.5) con l'uso delle viti A e B;
2. si verifica la condizione di rettifica ruotando di π l'alidada: la livella assume
la posizione 2 della figura 9.5; se necessario si rettifica;
3. Si porta la livella in direzione perpendicolare alle razze già utilizzate (posi-
zione 3) e si centra ancora la bolla con la vite C.
Queste operazioni si eseguono iterativamente in genere due o tre volte sino a rag-
giungere un centramento della bolla soddisfacente in tutte le direzioni. Durante il
primo passo si agisce di solito su entrambe le viti A e B con rotazioni di uguale
misura e contrarie in segno. Se è necessaria una rettifica si agisce per i motivi già
indicati per metà sulla vite di rettifica e per metà ruotando le viti A e B, infine, per
il terzo passo, si agisce sulla vite C, o sulle A e B se la vite C fosse già a fondo corsa,
ma, in questo caso in una stessa direzione di rotazione.
5
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
sottostante base - che era stata resa orizzontale - col semplice giro di una vite late-
rale o lo scorrimento di una levetta di base. Negli strumenti Leica-Wild, ad esem-
pio, il teodolite, sollevandosi dalla base, evidenzia tre piccoli denti tronco conici di
metallo disposti nella parte sottostante a triangolo equilatero che si innestano con
le rispettive sedi di alloggio che rimangono sul basamento. Al posto del teodolite si
può allora collocare un prisma od una mira, predisposte con gli stessi attacchi. I fori
tronco conici consentono un centramento forzato coassiale a quello dello stru-
mento appena tolto, con precisione sub-millimetrica.
Il cannocchiale astronomico
Il più semplice schema di cannocchiale è quello astronomico di Keplero (o a lun-
ghezza variabile), composto da due lenti chiamate obbiettiva ed oculare. L'oggetto è
posto ad una distanza dalla lente obbiettiva molto più grande della distanza focale
f 1 della lente stessa. L'immagine che si forma dopo la prima lente è reale, capovolta
e rimpicciolita e viene raccolta su un piano materializzato da un vetrino ove vi è
inciso un sottile reticolo. La seconda lente oculare ha il compito di ingrandire la
prima immagine e, funzionando da microscopio semplice rispetto alla prima
immagine, deve essere posta ad una distanza dal reticolo inferiore alla focale f 2 della
lente stessa.
6
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
L'asse individuato dal centro ottico (punto nodale) della lente obbiettiva e dal cen-
tro del reticolo prende il nome di asse di collimazione. Tra i molti tipi di reticolo, i
più usati sono quelli a croce semplice o a croce con bracci simmetrici (fig. 9.6).
L'ingrandimento angolare di un cannocchiale è il rapporto tra la dimensione angolare
di un oggetto osservato attraverso il cannocchiale e di quella di come appare osser-
vandolo ad occhio nudo. Indicando con I questo rapporto, si può dimostrare che,
in condizioni telescopiche, cioè quando il reticolo e l'oculare sono adattati ad osser-
vare oggetti a distanza infinita vale:
I = f1 ⁄ f2 9.1
Il cannocchiale anallattico
I moderni cannocchiali differiscono da quello Kepleriano non solo per un'ottica
più perfezionata, che riduce di molto le aberrazioni e le distorsioni attraverso l'uso
di sistemi di lenti o di accoppiamenti acromatici, ma anche perché sono di lun-
ghezza costante, permettendo la perfetta ermeticità alla polvere e all'umidità, oltre
che una migliore precisione meccanica che migliora la stabilità dell'asse di collima-
zione. La lunghezza costante si ottiene inserendo all'interno una lente divergente
mobile che serve per l'adattamento alla distanza, che è quell'operazione per cui si
porta l'immagine prodotta dalle lenti obbiettive sul piano del reticolo. Lo sposta-
mento della lente divergente è comandato da una vite esterna laterale che comanda
una ghiera coassiale al cannocchiale.
L'adattamento alla vista consiste invece nel porre la seconda immagine (virtuale)
prodotta dalla lente oculare, ad una distanza, dal nostro occhio, pari a quella della
visione distinta, e dovrebbe essere fatto preliminarmente. Siccome l’immagine deve
essere a fuoco sul piano del reticolo, è sufficiente ruotare una ghiera che trasla l'ocu-
lare sino a che si vede distintamente il reticolo.
In generale si dice parallasse l'angolo sotto cui si osserva un oggetto. Nel caso
dell'osservazione col cannocchiale dotato di reticoli a croce con bracci simmetrici
paralleli al tratto orizzontale, si intende come angolo parallattico l'angolo sotteso
dalle due rette ideali formate dai raggi luminosi che partono dall'estremità del reti-
colo e divergono sino a situarsi su una porzione dell'oggetto. Il punto di conver-
genza dei predetti raggi doveva collocarsi esternamente al cannocchiale nel caso di
lunghezza variabile, mentre si può collocare in un punto, variabile in posizione, ma
sempre molto prossimo al centro dello strumento, nel caso di cannocchiale a lun-
ghezza costante. In questo caso il cannocchiale è detto centralmente anallattico.
Caratteristiche di un cannocchiale
– L'ingrandimento si può misurare anche come rapporto tra due lunghezze.
Si definisce così l'ingrandimento lineare E come rapporto tra le dimensioni
dell'oggetto e quelle della sua immagine vista col cannocchiale. Si può facil-
mente dimostrare che:
E = 1⁄I 9.2
7
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
Le mire
Come accennato, i punti da collimare possono essere particolari fisici del terreno
che ben si prestino ad una individuazione univoca in senso planimetrico, se il pro-
blema è la sola individuazione planimetrica, o anche altimetrico, se occorre misu-
rare anche le quote dei punti collimati.
Si utilizzano a ciò segnali appositamente costruiti dalle principali case strumentali,
diversi a seconda della distanza per la quale sono stati progettati. In casi particolari
la collimazione può avvenire anche verso segnali provvisori quali centrini di carta o
metallici, mire luminose o colorate, paline ecc. La dimensione del segnale, funzione
della distanza, deve essere accuratamente scelta: segnali o mire troppo piccole sono
poco visibili, ma se troppo grandi potrebbero permettere una non univoca collima-
zione. Per questo motivo, per le corte distanze si preferisce collimare verso segnali
sottili fatti a «V» od a cerchi concentrici. La dimensione del segnale è così adattabile
alla distanza, come lo è l'apertura delle braccia della «V». Sappiamo poi soprattutto
che il potere separatore dell'occhio umano, con questo artificio, ne risulta speri-
mentalmente amplificato di un fattore 4 o 5. Alcune di queste mire sono retroillu-
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
ove α è il potere separatore dell'occhio umano in radianti pari circa a π /100 (2 gon) ed
I il numero degli ingrandimenti angolari del cannocchiale. (Il potere risolutivo è
una misura lineare, il potere separatore è una misura angolare).
Per le grandi distanze i problemi di luminosità sono solitamente più influenti di
quelli relativi alla dimensione, anche se è evidente che un segnale grande riflette più
luce ed è quindi più visibile di un segnale piccolo. In alcuni casi, piuttosto che
aumentare le dimensioni del segnale, si preferisce creare una sorgente di luce pic-
cola ma molto intensa, e ben orientata verso chi deve osservarla. L'elioscopio è uno
strumento da tempo utilizzato, allo scopo di segnalare i punti trigonometrici per
renderli visibili a lunghe distanze. È formato da uno specchietto mobile che viene
disposto in modo da riflettere verso l'osservatore i raggi solari. Quando lo specchio
è ben diretto, esso appare come una stellina brillante, visibile a decine di km di
distanza. Di notte il sistema utilizzato è invece quello dell'arco voltaico o delle lam-
pade ad acetilene che creano sorgenti puntiformi molto luminose. Queste tecniche
di misura oggi possono sembrare superate con l’avvento del GPS che non richiede
intervisibilità. Per il tracciamento di gallerie o altre opere coperte, il riporto di un
azimut è ancora un’operazione che può avvenire con questi mezzi.
9
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
10
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
30 13
29 14
28 15
27 26 17 16
25 24 23 22 20 19 18
21
20
15 0
10 5
Il nonio così descritto non è più utilizzato, ma se ne è parlato in quanto negli stru-
menti elettronici viene spesso utilizzato un meccanismo di stima della parte frazio-
naria della graduazione principale che è simile: incisa su un cristallo trasparente vi è
una scala graduata in parti di larghezza leggermente minore o superiore a quella
della suddivisione principale. Il passaggio della luce attraverso il cerchio graduato e
questa seconda scala, prossima al cerchio, genera delle figure di diffrazione che
variano a seconda della posizione di entrambe le divisioni, del cerchio e della scala
del nonio. Queste figure, opportunamente rilevate, vengono digitalizzate elettro-
nicamente e consentono di apprezzare le parti frazionarie con accuratezza anche
di 1/100 della graduazione principale.
Il microscopio a stima è un metodo semplice di lettura dei cerchi: per realizzarlo
basta interporre un reticolo all'interno del cannocchiale di osservazione dei cerchi.
La lettura viene fatta in corrispondenza del reticolo leggendo le parti intere di
angolo che precedono il filo del reticolo e stimando, solitamente come percentuale
che viene tradotta mentalmente in termini di frazioni di angolo, la porzione residua
compresa tra un tratto della graduazione principale.
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
V V
86 85 86 85
0 10 20 30 40 50 60
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
356
0 10 20 30 40 50 60
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
60 50 40 30 20 10 0
397
3
H H
Fig. 9.11 – Microscopio a scala. Lettura H = 397.47.
Questi sistemi sfruttano in genere una lastra piano parallela di adeguato spessore,
interposta sul cammino luminoso di osservazione dei cerchi; una rotazione sensibile
di essa può corrispondere ad uno spostamento micrometrico dell'asse di collima-
zione che ispeziona il goniometro. La rotazione i della lastra piano-parallela a cui
corrisponde un piccolissimo spostamento d, si può così stimare meglio di quanto si
possa fare per d . Infatti essa è legata linearmente a d oltre che allo spessore della
lastra s ed al coefficiente di rifrazione relativo n del cristallo dalla relazione:
d = si ------------
n–1
n
Nello schema in figura 9.12, ad esempio, il reticolo è costituito da due tratti paral-
leli fissi che normalmente cadono in una posizione intermedia interna ad un tratto
di graduazione principale. Una lastra piano-parallela interposta sul cammino ottico
e comandabile con una vite esterna può portare a bisecare i due fili con un tratto
esatto della graduazione principale. La rotazione corrispondente a questo sposta-
mento può leggersi su un tamburo la cui graduazione è visualizzata all'interno del
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
10 15
V
75 76 77
H
203 204 205
Lettura: V = 76°12’40’’
Alcune case costruttrici adottano il sistema della coincidenza delle immagini che
sfrutta la proprietà dell'occhio umano di aumentare il potere separatore di circa
quattro volte quando l'occhio debba stimare la coincidenza esatta di due tratti o la
bisezione di un tratto all'interno di altri due (si veda la fig. 9.13) e che permette
anche l'osservazione diametrale opposta dei cerchi.
203 204 205 206 207 203 204 205 206 207
24 25 26 27 23 24 25 26 27
5 10 10 15
Vengono portate nel campo del cannocchiale di osservazione angolare due imma-
gini corrispondenti a due zone diametralmente opposte del cerchio, l'una in una
parte sottostante l'altra che gli è sopra e capovolta. Sul percorso di ognuna delle due
immagini è inserita una lastra piano-parallela che un semplice meccanismo ad
ingranaggi regola in modo che la rotazione di una sia uguale e di verso opposto a
quella dell'altra.
Normalmente le due scale che sono accostate specularmente non combaciano. Se
ad esempio su quella che si legge diritta vediamo la tacca di un angolo intero su
quella superiore capovolta l'angolo che si dovrebbe leggere (cioè il precedente più
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
l'angolo piatto) non è perfettamente a coincidenza, ciò in quanto è raro fare una
lettura esatta all'angolo intero: la distanza fra queste due tacche rappresenta infatti il
doppio della parte frazionaria della lettura da stimare che, sommata alla parte intera,
costituisce la lettura angolare corretta.
Per misurare (e non stimare ad occhio) questa parte possiamo deviare il percorso
ottico di entrambe le semi - immagini (secondo quantità misurabili) sino portarle a
coincidenza, attraverso la rotazione di una vite che comanda la rotazione contem-
poranea di due lastre piano-parallele. Il risultato è che ad un apparente spostamento
orizzontale in un senso dell'immagine inferiore corrisponde un eguale spostamento
in senso opposto di quella superiore capovolta. Lo spostamento che realizza la coin-
cidenza, corrispondente a metà del tratto ancora da stimare, va sommato alla let-
tura intera della più piccola suddivisione principale che si legge direttamente sul
cerchio anche senza l'aiuto di un indice di lettura. Questo indice potrebbe infatti
anche essere omesso, perché è evidente quale incisione della graduazione diritta
coincida con quella superiore su un angolo più grande di π . Anche qui, come nel
caso precedente, la rotazione delle lamine piano-parallele è trasformata in un valore
angolare letto su una seconda scala micrometrica visualizzata accanto alla scala
principale.
Altre case costruttrici, anziché utilizzare questo metodo, inseriscono sul percorso
ottico, che proviene dagli opposti lembi del cerchio, delle coppie di cunei ottici
emisimmetrici traslabili in altezza. Lo spostamento lineare tra le facce prospicienti
questi cunei si traduce in uno spostamento angolare uguale e contrario tra le por-
zioni di cerchio visualizzate diritta e capovolta.
La sensibilità nella misura angolare può spingersi anche ad una frazione di secondo
centesimale (s < 0.1 mgon cioè 1cc).
–4
La precisione conseguente, nel caso ad esempio in cui s = 10 gon sarebbe di
1 ⁄ 4 ⋅ 10 = 2.5 ⋅ 10 . Questa sensibilità è rarissimamente raggiunta con i
–7 –8
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
L'errore εi ha valore e segno contrario nel caso si effettui la misura angolare nella
posizione di cerchio coniugata, cioè capovolgendo il cannocchiale: in tal modo si avrà
l'obiettivo dalla parte dell'osservatore, si ricollimerà il punto ruotando l'alidada di
un angolo piatto attorno ad a1 per riportare l'oculare verso l'osservatore ed in dire-
zione del punto.
Durante questa operazione il cerchio verticale ha assunto una posizione simmetrica
rispetto all'osservatore per cui le corrispondenti letture ai cerchi si dicono anche
con cerchio verticale a destra (CD) e con cerchio verticale a sinistra (CS) e sono di
seguito indicate con Ls ed Ld.
Ora la lettura fatta al cerchio azimutale differirà di π ma l'influenza dell'errore εi
sarà di segno opposto a quella fatta sulla precedente porzione di cerchio. In tal
modo la lettura corretta, fatta ad uno dei due cerchi si ottiene da:
Ls + Ld ± π
L = -------------------------
- 9.5
2
L'errore di collimazione εc è dovuto alla non ortogonalità tra gli assi a2 ed a3. Detto c
l'angolo che manca o che eccede l'angolo retto tra a2 ed a3, si può dimostrare che
l'influenza εc sulla lettura azimutale vale:
c
ε c = ---------- 9.6
sin z
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
e che ha segno uguale e contrario sulle letture fatte ai lembi coniugati del cerchio.
Anche in questo caso la lettura angolare corretta si potrà fare con la 9.5.
z
a1
A v B
c B
A α β α'
C a=z
v z b
γ
R=1 C
O
cosα
sinα ' ---------- = ν cotgz – cos ( π –α ' )
sinα
cosα
sinα ' ---------- – cosα ' = ν cotg z
sinα
sinα ' sinα – cosα ' sinα = ν sinα cotg z
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
(α ' – α ) = ε ν
9.8
ε ν = ν sinα cotg z
L'influenza di tale errore non si può eliminare perché non si conosce a priori la
direzione spaziale di a1 e quindi l'angolo α . Tale errore è quindi sistematico ma rifa-
cendo la messa in stazione, ritoccando le viti calanti, si può supporre che l'errore
residuo di verticalità sia cambiato in modulo e verso, per cui influenza in modo dif-
ferente le misure azimutali che, mediate con le precedenti, appaiono soggette ad un
errore di tipo accidentale.
L'errore di eccentricità dell'alidada è dovuto al fatto che l'asse a1 non passa per il cen-
tro del goniometro azimutale e normalmente viene automaticamente eliminato con
l'uso di strumenti che sfruttano il sistema di lettura coniugato.
Indicata con ε l'eccentricità di tale asse, ipotizzata per semplicità nella direzione
dello zero del goniometro, l'angolo vero di rotazione dell'asse di collimazione α ’
differisce da quello misurato di:
α' = α –ε
Quando si effettua la misura angolare capovolgendo il cannocchiale e ruotandolo
di un angolo piatto, la lettura LS sarà:
L S = π + (α ' – ε )
LS = π + LD – ε – ε
LS + LD – π
LS – LD – 2 π = –2 ε ; cioè ε = ---------------------------
2
La lettura corretta α ' sarà allora:
LS + LD – π LS + LD – π
α ' = L D – ε = L D – --------------------------- = ---------------------------
2 2
che, come si vede, è ancora la 9.5.
Riassumendo, si può vedere che la semi somma delle letture coniugate al cerchio
orizzontale elimina l'influenza degli errori di inclinazione, collimazione ed eccentri-
cità dell'alidada. Rimane non eliminato l'errore di verticalità che si cerca di rendere
accidentale come già spiegato.
Gli errori residui di rettifica sono quegli errori che rimangono anche dopo che lo
strumento è stato controllato e rettificato poiché la sensibilità della livella dell'ali-
dada o del goniometro, ovvero la nostra accuratezza nella rettifica è tale da non eli-
minare completamente la presenza di questi errori.
Le misure degli angoli azimutali possono essere influenzate allora dalla presenza di
errori residui di verticalità, di collimazione, di inclinazione, di eccentricità dell'ali-
dada e del cannocchiale. Si è visto sopra però che, a parte l'errore di verticalità che
non è eliminabile, per gli altri errori la lettura corretta è data dalla 9.5, che esprime
una regola dovuta a Bessel:
In un goniometro a cannocchiale capovolgibile è possibile eliminare nelle misure
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
L an – L i ( + k π )
α = -------------------------------- 9.9
n
ove k è il numero degli angoli giri contenuti in nα . La prima e l'ultima lettura
devono effettuarsi ad entrambi i lembi diametrali del cerchio o, come si dice, col
cerchio zenitale a destra (CD ) e col cerchio zenitale a sinistra (C S ).
Come si vede sono sufficienti quattro letture e 2n puntamenti.
I teodoliti reiteratori dispongono invece di una vite (normalmente protetta da una
capsula) che serve solo per far scorrere a frizione il goniometro sopra il basamento,
ruotandolo attorno all'asse principale. Appariranno quindi, sotto il cannocchialetto
di osservazione dei cerchi, porzioni differenti del cerchio. Una volta deciso il
numero di reiterazioni n, dette anche strati, occorre fare per ogni punto collimato
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
1
m m
∆ = ---- ∑ β j – ∑ α j
m
1 1
Nella formula, β sono le letture angolari del secondo strato ed α le letture del
primo strato verso i punti j, comuni ad entrambi gli strati. Il confronto dei valori
angolari dei due strati, dal secondo del quale si è tolta la costante ∆, può dare
l'idea se la precisione attesa è paragonabile agli scarti e se si è in presenza di errori
grossolani.
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STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
Sblocchiamo ora la rotazione del cannocchiale e del cerchio attorno all'asse secon-
dario e ricollimiamo il punto. Cerchio e cannocchiale devono ruotare (questa volta
in senso antiorario) di una volta l'angolo z per arrivare verso la verticale e di
un'altra volta l'angolo z per ricollimare il punto; devono ruotare cioè di 2z.
Indicando con D la nuova lettura al cerchio verticale questa sarà quindi:
D = S – 2z , da cui si può ricavare che:
S–D
z = ------------- 9.10
2
Questa relazione, sostituita nella prima, fornisce anche il valore dell’errore d’indice
che è:
S+D
η = -------------
2
verticale
verticale
a1 a1
a)
z b)
v v
z-v
S D' 2v
S
D
30
90
L'angolo z che si ottiene dalla differenza delle due letture zenitali S - D, sarà infatti
in tal caso simmetrico non più rispetto allo zenit, ma rispetto all'asse a1 per cui:
S – D = 2(z – ν)
20
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
I compensatori:
il compensatore automatico del cerchio verticale, i compensatori dei cerchi azimutali
Gli automatismi brevettati dalle case costruttrici che riescono ad eliminare
l'influenza dell'errore residuo di verticalità sono molti e anche assai ingegnosi. Si
basano tutti sul principio di rendere le letture al cerchio zenitale fatte in posizione
C S ed in posizione C D , simmetriche rispetto ad una direzione fissa ed indipen-
dente dall'inclinazione dello strumento. Queste direzioni sono ottenibili mediante
la superficie libera di un liquido che si configura orizzontale o la direzione seguita
da un pendolo in quiete, cioè la verticale.
I compensatori, detti in questo caso anche indici automatici, possono anche distin-
guersi in indici a compensazione meccanica ed a compensazione ottica.
a) b) a1
v
z
30
30
90
90
21
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
r r
120
α 120
α
0 0
11 11
70 70
0
0
80
80
10
10
90
90
D
C
B
A
Nei compensatori ottici si sfrutta sovente il principio del cuneo ottico. Un reci-
piente chiuso, contenente del liquido, all'inclinazione dell'asse principale dell'ali-
dada si atteggia a cuneo ottico, con una superficie orizzontale indipendente da ν . Il
cuneo ottico ad angolo variabile devia l'asse di lettura di un angolo β proporzionale
a ν . La deviazione, dopo un cammino lungo s vale β s e deve corrispondere a quella
22
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
che si farebbe con un indice solidale all'alidada, cioè β s=r ν (fig. 9.18).
Ma β è anche funzione di ν , per cui si può ricavare la relazione esistente tra r ed s
che permette di fare in modo che l'immagine dell'indice si formi sempre sullo
stesso punto O della graduazione.
In questi strumenti la lettura, dà già il valore corretto dell'angolo zenitale, perché
tale valore è anche esente dall'errore d'indice e l'errore di verticalità su queste let-
ture è eliminato in modo automatico.
at
V
verticale
70
80
100
90
L2
L1
23
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
La lettura assoluta
Supponiamo ora di distendere su di un tratto rettilineo l'intera circonferenza sulla
quale è incisa una particolare graduazione. Definiamo su un'origine il valore zero e
sulla fine dell'incisione che corrisponde alla fine del segmento stabiliamo la lettura
(sviluppo della circonferenza) c = 2π r. Cerchiamo di capire con quali mezzi, come è
possibile, in modo digitale, leggere i cerchi.
Poniamo di dividere questo tratto lungo c in due parti. Una parte sia annerita in
modo da renderla opaca alla luce e l'altra metà sia trasparente. Così si è operata una
prima suddivisione per due del cerchio. Lo spessore di queste righe opache sia
dell'ordine di qualche decimo di mm, così che in pochi mm se ne possano dise-
gnare ad esempio 16 o 32.
24
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
25
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
26
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
27
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
dove n è una costante intera che si ricava dal conteggio del numero di chiaroscuri
osservati dal sensore LS o da LR.
S(t)
R t
marker
ϕ0 ϕ0 = T0
R R(t)
S
t
S
∆ϕ = ∆T
ϕ T
ϕ = n ϕ 0 + ∆T T = nT 0 + ∆T
Nel caso in esame ϕ 0= 2π /1024, essendo ϕ 0 la più piccola parte di graduazione del
cerchio. Esiste dunque una misura approssimata n ϕ 0 ed una misura fine ∆ϕ . Per
eliminare l'errore di eccentricità, sia i sensori LS che i sensori LR sono in realtà cop-
pie di sensori diametralmente opposti. Un unico processore presiede alla media
delle numerosissime misure che danno poi luogo alla lettura azimutale e zenitale.
La misura ed il calcolo avviene per entrambi i cerchi in meno di un secondo.
È anche possibile predisporre lo strumento per la lettura continua che può avvenire
a cadenza di 0.1 s o di 0.15 s, diminuisce però in questo modo la precisione di let-
tura (il cerchio esegue una rotazione parziale).
Per il cerchio azimutale LS è posto nella posizione convenzionale dello zero della
graduazione, per il cerchio zenitale LS è in direzione dello zenit mentre LR è nella
direzione del cannocchiale. Il sistema di lettura, dunque, è un sistema assoluto.
Per correggere le letture zenitali dall'errore di verticalità, il percorso della luce infra-
rossa dei sensori zenitali viene preventivamente deviato da un compensatore a liquido
siliconico. Quando viene impartito l'ordine di misura, un motore ruota il cerchio
azimutale o zenitale ad una velocità rigorosamente costante entro limiti di tolle-
ranza sempre controllati. Il conteggio del numero intero n di suddivisioni tra i sensori
LS e LR è semplice in quanto fra le graduazioni esiste una marca di riferimento,
durante tutto il giro del cerchio un contatore conta il numero di graduazioni dopo
il passaggio del riferimento da LR sino al comparire dello stesso in LS.
La misura fine della parte ∆ϕ avviene dopo aver convertito il segnale completo (di
338 ms di durata) in forma digitale. Il segnale viene analizzato attraverso un conta-
28
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
0.68 mgon
σ = ± ------------------------- = ± 0.2mgon
12
Dobbiamo considerare ancora che le misure di fase conteggiate sono ben 1024 e,
nel valutare la misura, si tiene conto di tutti questi conteggi; per questo la preci-
sione teorica limite aumenta di un fattore 2 ⁄ 1024 . La radice di due al nume-
ratore è dovuta al fatto che la lettura angolare è ottenuta per differenza delle fasi
provenienti dai segnali R e S. In tal modo si ottiene per σ il valore limite minimo:
σ 1 = ± ( 0.2mgon ⁄ 23 ) ≅ ± 0.01mgon
1 Che sono divenute lo standard per valutare le precisioni di teodoliti tradizionali ed elettronici.
29
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
(N – f ) ⋅ 400
l = ------------------------------
128
Nell'esempio di figura 9.21 la lettura intera sarà N =0=128; la lettura fine è
f ' = 55 cioè il marker è visibile sul 55-esimo fotodiodo su 100 utili. Ne segue:
f = f ' ⁄ 100 = 0.55
30
STRUMENTI PER LA MISURA ANGOLARE: IL TEODOLITE
naria del settore con una approssimazione superiore al pixel2, cioè con scarto quadra-
tico medio σ di circa ±0.15 pixel. Per ogni lettura si avrà quindi:
0.15 ⁄ ( 100 ⋅ 400 )
σ = ± ------------------------------------------- gon = ± 4.7mgon
128
Ogni 3 ms avviene una lettura. La misura si ricava dalla media di 133 letture corri-
spondenti ad un intervallo di misura di 400 ms; il valore teorico di σ si riduce
quindi a:
4.7
σ min ± ------------- = ± 0.4 mgon
133
La casa fornisce per il T1600 uno sqm standard (a norme DIN 18723) di ± 0.5
mgon, mentre la risoluzione arriva a 0.1 mgon. Lo strumento è dotato di un com-
pensatore a pendolo per l'indice zenitale.
Citiamo ancora brevemente alcuni sistemi di lettura.
Nel sistema assoluto statico TOPCON i cerchi, sia l'orizzontale che il verticale, di
71 mm di diametro, sono in realtà formati dall'accoppiamento di due dischi di cri-
stallo flint di 4 mm di spessore concentrici e rispettivamente solidali alla parte fissa
ed alla parte rotante (nel caso del cerchio orizzontale all’alidada ed al basamento). I
cerchi suddivisi in 1 gon il primo ed in 2 gon il secondo sono osservati proiettando
con un led le tracce di entrambi su un fotodiodo CCD che funge da lettore micro-
metrico in maniera simile a quanto descritto per lo strumento T1600. Le letture in
realtà sono doppie in quanto diametrali. Lo sqm di lettura dei cerchi (a norme
DIN 18723) è per lo strumento GTS6 o GTS6A di ± 0.6 mgon e la misura avviene
in 0.3 s. Questi strumenti sono dotati di doppio compensatore.
Lo strumento SOKKIA SET 2C è di caratteristiche e precisioni simili.
Anche gli strumenti AGA sfruttano due cerchi concentrici fissi, solidali alla parte
fissa ed alla parte ruotante.
Il sistema di lettura è incrementale. Il principio di lettura micrometrica è induttivo
essendo le suddivisioni dei cerchi conduttrici e percorse da corrente. È possibile
misurare la differenza di potenziale ∆ V fra i due cerchi, massima nel caso di ricoprimento
e minima a metà graduazione. Per la misura angolare si contano il numero di lun-
ghezze d'onda intere e si interpola la porzione di lunghezza d'onda per mezzo di
convertitori A/D analogici digitali. In questo modo, pur raggiungendo uno sqm (a
norme DIN 18723) di ± 0.6 mgon, comune ad altri strumenti, si tiene in realtà
conto di tutta la suddivisione del cerchio, di modo che queste letture sono teorica-
mente esenti dall'errore di suddivisione. Anche questi strumenti sono dotati di doppio
compensatore.
Infine citiamo il sistema dinamico incrementale della NIKON che, sullo strumento
DTMA6, utilizza un sistema che è simile al sistema dinamico Leica-Wild. In que-
sto caso la ditta fornisce uno sqm di lettura di ± 0.2 mgon.
31
10. LIVELLAZIONI
10.1 PREMESSA
Il rilievo del territorio o dell'oggetto in senso lato, richiede una sua conoscenza non
solo planimetrica ma anche altimetrica. In cartografia l’altimetria può essere rap-
presentata per punti discreti o per curve di livello, mentre in un rilievo cartografico
numerico, specie se ottenuto per vie fotogrammetriche dirette, ogni oggetto rile-
vato è già naturalmente formato da una serie di tre coordinate.
Determinare la quota di più punti è fondamentale nella costruzione di qualunque
opera antropica e di ingegneria ed è ovvio che per questi scopi occorre fare riferi-
mento al campo reale della gravità, e quindi al geoide, e non a superfici teoriche
note solo matematicamente come l'ellissoide.
In termini non rigorosi possiamo definire il geoide come quella particolare superfi-
cie equipotenziale che passa per il livello medio del mare in quiete: è evidente che il
punto di quota zero deve così essere determinato in corrispondenza del mare.
L'operazione si esegue anche con l'aiuto di opportuni strumenti detti mareografi in
grado di calcolare e rappresentare graficamente l'andamento altimetrico del mare,
depurato dal moto ondoso e mediato dai suoi moti periodici.
Riprendiamo allora alcuni necessari concetti di Geodesia.
Si definisce quota ortometrica di un punto la distanza del punto dal geoide, misurata
lungo la linea di forza passante per il punto stesso.
Si definisce dislivello (ortometrico) tra due punti la differenza di quota ortometrica
tra i due punti: ∆AB =Q B - Q A .
Come si vede il dislivello è positivo o negativo a seconda che la quota del secondo
punto sia maggiore o minore di quella del primo.
Per livellazione si intende l'operazione di misura di un dislivello fra due punti.
Le livellazioni si effettuano con strumenti che sfruttano princìpî legati a come si
dispongono le superfici liquide in quiete od a pendolismi.
32
LIVELLAZIONI
33
LIVELLAZIONI
cannocchiale
t
traversa
vite di elevazione
basamento
Z
Fig. 10.1 – Schema del livello a cannocchiale con vite di elevazione.
34
LIVELLAZIONI
O
lB
B
lA
QA QB
Geoide
35
LIVELLAZIONI
La distanza fra ogni battuta di livellazione dipende dalla precisione che si vuole
ottenere, per livellazioni tecniche non supera i 200 m, mentre per livellazioni di
precisione o di alta precisione non supera mai i 40 m. Il punto A viene denominato
spesso «punto indietro» ed il punto B «punto avanti».
Per determinare il dislivello tra punti C e D non direttamente visibili o distanti,
occorre eseguire una serie di battute lungo un percorso detto linea di livellazione.
Il dislivello esistente allora fra i punti C e D sarà dato da:
a=D a=D a=D
∆ CD = ∑ ∆ ia = ∑ li – ∑ la 10.2
i=C i=C i=C
d ε
y
d
x
Geoide
R R
ω ω
R R
x = ----------- – R = R ----------- – 1
R 1
cosω cosω
L'errore di rifrazione (fig. 10.3b) è dovuto al fatto che la radiazione luminosa non
attraversa il vuoto ma si propaga in un fluido rifrangente quale l'atmosfera che ha
un coefficiente di rifrazione variabile e decrescente dai livelli più prossimi al suolo
ai livelli più alti in quota. Volendo discretizzare l'atmosfera in una serie di sfere con-
centriche di costante coefficiente di rifrazione, ma decrescente con la quota, si vede
dalla figura che il raggio luminoso che parte secondo una direzione tangente al
geoide in un punto (cioè orizzontale) viene deviato via via verso la terra. Si è trovato
sperimentalmente che l'angolo di deviazione ε è proporzionale, attraverso una
costante k, all'angolo al centro che sottende un arco pari alla distanza d , cioè:
ω d2
ε = k ---; y = ε d = k ------
2 2R
I valori più comuni per k sono (0.1 ≤ k ≤ 0.2).
Questo errore ha segno contrario a quello di curvatura terrestre per cui l'errore
complessivo di curvatura e di rifrazione terrestre sarà:
d2
x – y = ( 1 – k ) ------
2R
Nello schema di misura della livellazione dal mezzo (fig. 10.4), l'errore di rifrazione,
di curvatura terrestre e quello residuo di rettifica, nel caso in cui le distanze sta-
zione-stadia siano uguali si annullano nel calcolo del dislivello.
O
δA δB
lA lB
B
QA QB
Geoide
δA = δB
Con queste ipotesi, considerato che l'errore dovuto alla curvatura del geoide nei
punti A e B di figura 10.4 è lo stesso in segno e valore, valgono ancora le formule
10.1 e 10.2.
37
LIVELLAZIONI
O
lB
hA B
∆ AB
QA QB
Piano topografico
È chiaro tuttavia che questi errori sistematici in questo caso si scaricano completa-
mente e senza controllo sulla determinazione del dislivello.
38
LIVELLAZIONI
a.
δ'A δ'B
l 'B
l'A B
∆ AB
A S1
b.
δ"A
δ"B
l "B
l"A
S2 B ∆ AB
39
LIVELLAZIONI
150
20 30
10
148 40
100
50
90 60
146
80 70
144
Lettura: 1,4724 m
a) b)
Fig. 10.7 – Il reticolo del livello ed il sistema di lettura a coincidenza della livella torica.
dove v " è la sensibilità della livella, che negli strumenti di alta precisione è com-
presa tra i 10" ed i 25" per 2 mm.
Le stadie da utilizzare per livellazioni di precisione sono quelle a nastro di invar (che
tra poco descriveremo) e vanno poste su punti altimetricamente univoci e sicuri
quali pilastrini con chiodi a testa semisferica o tripodi con chiodi in acciaio a testa
semisferica, se fosse solo sufficiente stazionare provvisoriamente.
L'operazione di centramento della bolla o di assestamento dell'autolivello di preci-
sione richiede molta pazienza, le condizioni atmosferiche, per un improvviso com-
parire del sole tra le nuvole ad esempio, possono causare variazioni termiche nel
treppiede tali da portare fuori coincidenza la livella torica. Per questo motivo, in
dotazione a questi strumenti si trova alcune volte anche un ombrellone da sole.
40
LIVELLAZIONI
10.4 LE STADIE
Per livellazioni tecniche o da cantiere, si utilizzano delle stadie in legno, aste centi-
metrate generalmente della lunghezza di due o tre metri (fig. 10.8). Nel caso di
livellazioni di precisione le stadie sono formate da una custodia in legno o di allu-
minio, contenente un nastro di acciaio invar centimetrato o mezzo centimetrato. In
entrambi i casi le graduazioni sono numerate ad ogni decimetro. Le stadie dispon-
gono di una livella sferica che ne rende possibile la resa verticale, ciò è anche assicu-
rato dall'operatore che regge questi attrezzi nelle livellazioni tecniche con due
paline, o, nelle livellazioni utilizzanti stadie a nastro invar, con l'aiuto di due aste
allungabili, che dalla sommità della stadia si ancorano saldamente al terreno.
13
12
11
Fig. 10.8 – Porzione di stadia in legno centimetrata.
41
LIVELLAZIONI
ω l
Una seconda causa che condiziona l'errore di lettura σ L della stadia è il metodo di
interpolazione della lettura. A parte i metodi di lettura elettronica, l'interpolazione
di lettura può essere a stima o micrometrica.
Nel primo caso si utilizzano stadie in legno e, se la distanza tra strumento e stadia
non supera i 40-50 m, possiamo ritenere che lo sqm di lettura sia σ L= ± 0.1 cm, un
decimo dell'intervallo di graduazione della stadia.
Nel caso di utilizzo di micrometro a lamina piano parallela lo sqm di lettura è, per
questa distanza, di 1/10 dell'errore precedente, cioè σ L= ± 0.1 mm, ma può essere
ulteriormente ridotto avvicinando la stadia allo strumento: sperimentalmente si è
visto che σ L, per distanze comprese fra i 5 ed i 50 m cresce con la radice quadrata
della distanza.
Queste ultime stadie sono dotate di due graduazioni (fig. 10.10), sfalsate fra loro
della metà dell'intervallo di graduazione, ad esempio di 0.5 cm e numerate in altro
modo. Eseguendo la doppia lettura alle due graduazioni, si evitano errori grossolani
di lettura e si mediano quelli accidentali. Queste stadie vengono utilizzate abbinate
a strumenti dotati di un reticolo a cuneo, come quello illustrato in figura 10.11, ed
un micrometro a lamina piano parallela, che permette di spostare l'immagine del
reticolo sino alla collimazione eseguita come si vede nella stessa figura.
42
LIVELLAZIONI
1
31
La lastra piana, di spessore opportuno, è stata studiata per fare sì che all'escursione
massima, la deviazione che può subire l'immagine per una rotazione del tamburo T
sia di ± 0.5 cm nel caso di stadie centimetrate e di ± 0.25 cm nel caso di stadie
mezzo centimetrate.
LAMINA MICROMETRICA
TAMBURO GRADUATO
Il tamburo è generalmente diviso in 100 parti, per cui le letture corrispondenti alle
massime deviazioni sono di ± 50 (decimi di mm). L'operatore legge direttamente
una di queste parti e si stima una frazione corrispondente ad un centesimo di mm.
Le graduazioni sono tali che a lamina verticale la lettura è 50 decimi di mm, sicché
per eseguire la lettura è sufficiente sommare sempre la lettura micrometrica alla let-
tura al centimetro fatta dopo il centramento del reticolo e della livella torica.
Il più delle volte il tamburo del micrometro è una piccola corona di cristallo gra-
duato che, illuminata esternamente, è osservata con un microscopio, nel percorso
di questo vi è un reticolo, l'oculare è collocato per comodità a fianco dell'oculare
del cannocchiale.
Le livellazioni di precisione avvengono utilizzando questi accessori, nonché le
modalità in parte accennate.
43
LIVELLAZIONI
10.5 AUTOLIVELLI
Gli autolivelli realizzano automaticamente l'orizzontalità dell'asse di collimazione
attraverso un meccanismo ottico meccanico chiamato compensatore. Gli schemi
costruttivi adottati sono i più disparati e vengono chiamati ottici o meccanici a
seconda che il reticolo sia solidale al cannocchiale oppure mobile all'interno dello
strumento. È ovvio che il compensatore è dotato di componenti sia ottiche che
meccaniche.
Il principio che schematicamente è il più semplice è quello adottato nell'autolivello
GK1-A della Kern, che utilizza uno specchio (S in fig. 10.13) incernierato al corpo
del cannocchiale che rimane sempre verticale, e che è posto a metà della lunghezza
focale del sistema obiettivo.
L'immagine viene deviata di un angolo uguale e contrario all'inclinazione dell'asse
meccanico del cannocchiale, e, messa a fuoco sul reticolo R , viene da qui portata
opportunamente all'oculare.
Il cannocchiale è a lunghezza costante, così che è presente nel percorso ottico una
lente divergente (non visibile nel disegno) che serve a mettere a fuoco l'immagine,
cioè a portarla sul piano del reticolo.
Ogni meccanismo compensatore deve essere estremamente sensibile per essere
altrettanto preciso: ne deriva che le oscillazioni del sistema compensatore potreb-
bero durare anche parecchi secondi; per ovviare a ciò, questi sistemi sono dotati
44
LIVELLAZIONI
Reticolo
R
oculare
45
LIVELLAZIONI
Anche qui, come nei teodoliti elettronici occorre chiarire che di digitale ed elettron-
ico vi è solo la lettura alla stadia, rimanendo lo strumento, dal punto di vista mec-
canico e ottico, un buon autolivello.
Il principio di lettura della stadia è simile al principio di lettura di una sequenza di
codici a barre, perciò le stadie abbinate allo strumento sono stadie sulle quali è
incisa una particolare sequenza codificata. Per quanto premesso lo strumento può
anche essere usato abbinato anche a tradizionali stadie graduate.
1 Obiettivo
5 4 2 3 Lente anallattica
6 4 Spia di controllo compensatore
3 1
9 7 5 Acquisitore digitale
8
6 Oculare
7 Sistema compensatore
8 Divisore di immagine
46
LIVELLAZIONI
47
LIVELLAZIONI
dove:
d e h sono la distanza e la lettura alla stadia;
P è il segnale di riferimento;
Q è il segnale misurato;
r è la funzione di correlazione da massimizzare;
N è la lunghezza con la quale si è discretizzato il segnale binario (256).
Per cercare il valore massimo di r (.) (vedi fig. 10.15) considerando di usare un
numero discreto di valori di (d , h) compatibile con le precisioni richieste, occor-
rerebbe in teoria eseguire questi prodotti circa 50.000 volte con tempi di attesa
inaccettabili.
Si ovvia a ciò con una correlazione fatta a due livelli, grossa e fine. Già la distanza
approssimata derivata dall'encoder interno riduce dell' 80% l'area di ricerca; le ope-
razioni si riducono drasticamente limitando la dinamica del segnale da 8 bit ad 1
bit. Il prodotto dei segnali P e Q si esegue con una velocissima operazione binaria
xnor1 che consiste nel porre ad 1 il risultato del prodotto per P i = Q i :
Pi = Q i ⇒ 1
10.7
r (d̃, h̃ ) = r (i, j ) = Q ( j ) xnor P ( i, j )
Il segnale di riferimento P nella 10.6 è ovviamente scalato e traslato in funzione di d
e di h.
Ricavati i valori stimati di d ed h, la correlazione fine utilizza tutti gli 8 bit del seg-
nale ma solo all'interno di una limitata area di ricerca.
Siccome l'ampiezza massima e minima del segnale ricevuto e quella del segnale di
riferimento sono diverse a seconda della luminosità, la funzione di correlazione
viene normalizzata all'interno dell'intervallo [0-1]. Ciò permette anche di capire se
si è raggiunta statisticamente una buona correlazione.
Il calcolo considera la possibilità di possibili oscuramenti di parte della stadia a
causa di ostacoli che possono essere tollerati senza problemi per circa il 20%
dell'immagine.
Il livello NA3002 differisce in pratica dal livello NA2002 per la densità di ricerca
nell’area fine che è maggiore di circa il 40%.
48
LIVELLAZIONI
49
LIVELLAZIONI
50
LIVELLAZIONI
R = ρ RN
con ρ ed R N valori medi dei due raggi di curvatura.
Le deviazioni della verticale saranno allora:
(ξ , η ) = 0
Ipotizziamo che le quote dei punti A e B (fig. 10.15) siano le distanze di A e B a
questa sfera.
Poniamo infine che i punti A e B tra i quali si deve calcolare il dislivello apparten-
gano alla rete trigonometrica (da cui il nome del metodo) e quindi la distanza d sia
nota o ricavabile.
Per il momento evitiamo di considerare, o pensiamo di poter trascurare, la rifra-
zione atmosferica.
51
LIVELLAZIONI
ϕ BA
B
ϕ AB
β
A α
QB
d
QA
Geoide //
sfera locale
Se fosse possibile misurare sia φ AB che φ BA, dal teorema di Nepero applicato al
triangolo AOB si ricaverebbe:
1
tg --- ( π – ϕ BA + π – ϕAB ) (R + Q B ) + ( R + Q A )
2
------------------------------------------------------------ = --------------------------------------------------
-
1 (R + Q B ) – ( R + Q A )
tg --- ( – π + ϕ BA + π – ϕ AB )
2
ϕ AB + ϕ BA
(Q B – Q A ) tg π – ----------------------
1
- = tg --- ( – ϕ AB + ϕBA ) ( 2R + Q B + Q A )
2 2
dal triangolo OAB si ha poi che ϕAB + ϕBA = π + δ , per cui, sostituendo:
–1
Q B + Q A
∆Q = tg --- ( – ϕ AB + ϕBA ) 2 R + --------------------
1 1
- tg π – --- ( π + δ )
2 2 2
QA + QB
ponendo Q M = --------------------
-:
2
1 δ
∆Q = tg --- (ϕ BA – ϕ AB ) tg --- 2 ( R + Q M)
2 2
52
LIVELLAZIONI
δ d
trascurando quindi il termine cubico si può approssimare tg --- ≅ ------
2 2R
Q M 1
∆Q = d 1 + -------- tg --- (ϕ – ϕ AB ) 10.8
R 2 BA
In questa formula appare evidente che non occorre conoscere Q M con eccessiva
precisione. Infatti se Q B fosse noto approssimativamente con ± 10 m, il termine
(Q M /R ) sarebbe già preciso con σ = ± 10 ⁄ 6 ⋅ 10 .
–6
Anche se Q M fosse meno precisa si potrebbe, dalla formula 10.8, ricavare il disli-
vello ∆Q con 2 iterazioni.
Il dislivello così calcolato è inteso da centro a centro dello strumento. Se si cerca il
dislivello tra i due punti a terra, occorre sommare l'altezza di uno strumento e
togliere quella dell'altro, o quella della mira che eventualmente può essere collocata
sull'altro punto.
Q M 1
∆ AB = d 1 + -------- tg --- (ϕ – ϕ AB ) + h A – h B 10.9
R 2 BA
In realtà spesso i punti sono talmente distanti da non riuscire ad intravedere nem-
meno il treppiede, e la collimazione è fatta su particolari più grandi e ben visibili,
come guglie di montagne, parapetti di finestroni o gronde. Se la livellazione è fatta
da un estremo e sull'altro non vi è segnale o strumento è ovvio che hB=0.
ϕ BA = ( π + δ – ϕ AB ) e si ottiene:
Q M 1
∆Q = d 1 + -------- tg --- ( π + δ – ϕ A – ϕ A )
R 2
Q M δ
∆Q = d 1 + --------
- tg ϕ – ---
R A 2
Q M
- ctg ϕ A – ------
∆Q = d 1 + --------
d
10.10
R 2R
2 La conoscenza di δ si ha anche da ϕ e ϕ ma con un errore più alto, pari a quello degli ecclimetri,
A B
cioè di circa σ ≅ ± 5 cc .
53
LIVELLAZIONI
con:
δ d
εA = K --- = K ------
2 2R
Q M
∆Q = d 1 + --------
- ctg ϕ AB – ------------- d
1–K
R 2R
54
LIVELLAZIONI
Q M
∆Q ≅ d 1 + --------
1–K 1
ctgϕ AB + ------------- d 2 -----------------
- 10.11
R 2R sin ϕ AB
2
Z BA
ϕBA
εΒ B
Z AB
ϕAB εΑ
A d
55
LIVELLAZIONI
σ ∆Q = d ctgϕ pd ⊕ -------------
- σϕ ⊕ ------ σ K
d d 2
sin ϕ 2 2R
Nella formula precedente è stata indicata con ⊕ la somma vettoriale delle tre
componenti indipendenti.
Ad esempio per pd = 10 , σ K = ± 0.01 , σϕ = ± 1 mgon , si può ricavare la
–5
tabella 10.2 che fornisce l'errore quadratico medio del dislivello ottenuto con la
livellazione trigonometrica.
Si nota che per distanze inferiori a 10 km σ ∆ cresce linearmente secondo:
σ ∆ = ± 1.2 cm ⋅ d ( km ) ; oltre il limite di 10 km è preponderante σ Κ e la funzione
non è più lineare.
56
LIVELLAZIONI
d2
------ σ K 0.02 cm 0.08 cm 2.0 cm 8.0 cm 32.0 cm
2R
somma vettoriale ________ ________ ________ ________ ________
σ∆ = ± 0.5 cm 1.0 cm 5.4 cm 12.9 cm 37.9 cm
S ϕ
B
S COS ϕ
ϕ
∆ AB
h h
dt
57
LIVELLAZIONI
σ ϕ = ± 0.5 mgon ( ± 5 cc );
si riportano nelle due tabelle seguenti i valori dei singoli errori (sqm) relativi rispet-
tivamente ad angoli zenitali ϕ = 90 gon e ϕ = 80 gon.
dt
ϕ =90 gon -σ
----------- 0.1 cm 0.4 cm 0.8 cm 0.3 cm 1.6 cm 3.2 cm
sin2ϕ ϕ
dt
ϕ =80 gon -σ
----------- 0.1 cm 0.4 cm 0.9 cm 0.4 cm 1.7 cm 3.5 cm
sin2ϕ ϕ
58
LIVELLAZIONI
P2
Z l
P1 δ
D E
h1
∆h
A C
Sfera loc.
h1
B
R
δ
59
LIVELLAZIONI
δ
ε = K --2-
lp ≅ l per ε piccoli ( K = 0.14 ) ε < 8mgon
60
LIVELLAZIONI
P2
Z l
P1 δ
D E
h1
∆h
A C
Sfera loc.
h1
B
R
δ
O
Fig. 10.19 – Inserimento di una distanza in cartografia in presenza di rifrazione.
61
LIVELLAZIONI
l 2 = ( R + Q 1 ) 2 + ( R + Q 1 + ∆Q ) 2 – 2 ( R + Q 1 ) 2 cos δ – 2 ( R + Q 1 ) ∆Q cos δ
l 2 = 2 ( R + Q 1 ) 2 + ∆Q 2 + 2 ∆Q ( R + Q 1 ) – 2 ( R + Q 1 ) ∆Q cos δ – 2 ( R + Q 1 ) 2 cos δ
l 2 = 2 ( R + Q 1 ) 2 ⋅ ( 1 – cos δ ) + [ ∆Q 2 + 2 ∆Q ( R + Q 1 ) – 2 ∆Q ( R + Q 1 ) cos δ ]
e approssimando (1– cosδ ) a l 2 ⁄ 2R :
l2
l 2 = ( R + Q ) 2 ----02- + ∆Q 2 + 2 ∆Q ( R + Q 1 ) ( 1 – cosδ )
R
( R + Q 1 ) 2 l 02 l 02
l2 - + ∆Q + ∆Q ( R + Q 1 ) 2-
= ------------------------------ 2 -----
R2 R
l2 ( R + Q 1 ) 2 ∆Q 2 ∆Q ( R + Q 1 )
-----2 = -----------------------
- + ----------
- + -----------------------------
-
l0 R2 l 02 R2
l2 R/ 2 2R/ Q 1 Q 12 ∆Q 2 ∆Q ( R + Q 1 )
-----2 = --------2- + ----------------
- + ------2- + ----------
- + -----------------------------
-
l0 R/ R2⁄ R l 02 R2
l2 2Q Q 2 ∆Q 2 ∆Q ( R + Q 1 )
-----2 = 1 + ---------1- + ------21- + ----------
- + -----------------------------
-
l0 R R l 02 R2
Ci rendiamo conto che al secondo membro i termini dopo il numero uno sono
abbastanza piccoli. Vogliamo ricavare l ⁄ l0 , cioè la radice del secondo membro.
Sviluppiamo in serie binomiale:
l Q Q 2 ∆Q 2 ∆Q ( R + Q 1 )
---- ≅ 1 + ------1- + --------1-2 + ----------2- + -----------------------------
-
l0 R 2R 2 l0 2R 2
l0
l Q
R
∆Q 2 ∆Q ∆QQ 1 Q 12
2 l0 2R 2R 2
---- ≅ 1 + ------1- + ----------2- + -------- + --------------
- + --------2-
2R
10.16
62
11. LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
63
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
∆t
64
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
Fig. 11.2 – Principio della misura della distanza con gli EDM.
La distanza AB sarà:
AB = d 1 + D 0 + d 2 11.1
cioè:
2π
∆ϕ = ω ∆t = ------ c ∆t 11.4
λ
e:
λ
∆ s = c ∆t = ∆ϕ ------- 11.5
2π
La 11.5 mette in luce le due quantità misurabili: ∆ t nel caso degli EDM ad impulsi,
∆ϕ nel caso degli EDM a misura di fase; da entrambe si ricava ∆ s.
Seguiamo per ora questo secondo cammino: essendo ∆ s il doppio del percorso D0 a
meno di un certo numero di lunghezze d’onda si ha:
∆ϕ
2D 0 = n λ + -------- λ 11.6
2π
cioè:
λ λ ∆ϕ
AB = D = n --- + --- -------- + d 1 + d 2
2 2 2π
65
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
λ λ ∆ϕ
AB = D = n --- + --- -------- + d 1 + d 2 11.7a
2 2 2π
λ
AB = D = n --- + L + d 1 + d 2 11.7b
2
Il numero intero n si chiama ambiguità.
I problemi pratici di misura consistono allora nel ricavare ∆ϕ con precisione e nel
determinare n con affidabilità.
Le frequenze, quindi le lunghezze d’onda generate, hanno stabilità (precisione) di
2 ÷ 5 ⋅ 10 , cioè di qualche ppm (parte per milione ovvero mm/km).
–6
1 λ λ
σ L = ± σ∆ϕ ------ ---- = k ---- 11.8a
2π 2 2
λ
σ L = ± ( 3 ÷ 5 ) ⋅ 10 –4 ---- 11.8b
2
Supponendo nelle 11.7 privi di errore i termini n λ ⁄ 2 , d1 e d2 si ha che σ D = σ L
cioè volendo spingere σ D ai valori su esposti, cioè σ D = 5 ⋅ 10 D :
–6
λ
5 ⋅ 10 --- = 5 ⋅ 10 D
–4 –6
2
2D
λ = ---------
100
e per distanze D di 1 km risulta λ ≅ 20 m .
66
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
67
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
2 2
σ n = ± ---------------- σ L 11.15
λ 1 – λ2
68
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
La misura dello sfasamento nei moderni strumenti avviene con l’accuratezza ripor-
tata nella 11.8b.
Nel Distomat DI 1001, ad esempio, che usa il metodo delle decadi, con λ1=
4000 m si coprono distanze limite di 2000 m con affidabilità migliore di 1 m e,
con λ2 = 40 m, si ottiene la risoluzione sub centimetrica desiderata.
Questa corrente può essere variata alla frequenza corrispondente alle lunghezze
d’onda metriche e decametriche necessarie alla misura delle distanze, ottenendo
69
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
B.F. 6 k Hz
TRIGGER
λ0 = λ / 2500
TX
Generatore
C. I.
RX Impulsi
MISCELATORE λ= λ 0 / 2500
70
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
entrano in un circuito trigger che li trasforma in segnali ad onda quadra della stessa
frequenza e dello stesso sfasamento.
Il segnale emesso attiva un generatore di impulsi ed il segnale ricevuto lo disattiva.
Il generatore emette impulsi ad alta frequenza, in genere a quella fondamentale, che
nell'esempio ha lunghezza d’onda λ = λ 0 / 2500.
Il risultato è una serie di treni d’onda di ampiezza proporzionale allo sfasamento. Il
conteggio degli impulsi contenuti in essi viene effettuato da un circuito contatore
che permette così, in pochi secondi, di ricavare media e sqm di alcune migliaia di
misure di sfasamento.
Il metodo b. di misura consiste nel rendere digitale il segnale BF sia dell’onda
emessa che dell’onda ricevuta. Su ciascuna onda avvengono 16 campionamenti
digitali trasformando i segnali che indichiamo come xi e yi in 16 valori numerici per
ogni periodo j=1,…,16.
TX RX
x1 ... x16
A/D 16 campioni
y1 ... y16
c = ∑ xi y ( i + k ) 11.18
σd = ±( c0 + c1 D )
σ d = ± ( 1mm + 1 ⋅ 10 D )
–6
71
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
che corrisponde alla precisione limite dei distanziometri EODM cioè attorno a
–6
10 D in quanto, senza particolari accorgimenti per il controllo della rifrazione, la
–6
stabilità in frequenza del segnale ricevuto è attorno a 10 . Nel Mekometro KERN
–7
ME5000 tale stabilità arriva a 10 grazie ad un circuito risuonatore a microonde
nel quale è contenuto un campione d’aria che riproduce le stesse condizioni esterne
di misura.
72
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
δ ( ∆t )
--------------- = 10 –5 ⇒ δ ( ∆t ) = 10 –5 ∆t 11.21
∆t
Per una distanza minima di misura di 3 m, il segnale ritorna dopo ∆t ≅ 3 ⋅ 2 ⋅ 1 ⁄ 3 ⋅ 10 ;
–8
–5 –6
In realtà, accettando che tale precisione ( 10 o 10 ) sia disponibile per
distanze superiori a questa minima distanza, la sensibilità diminuisce. Dalla 11.20
infatti si ricava:
2 –5
δ ( ∆t ) = --- ⋅ 10 δ (D) 11.22
v
Accettando le costanti del distanziometro (tipiche ad esempio del Wild Di 3000
(DIOR)):
δ ( D ) = ± ( 3 mm + 1 ppm ) 11.23
per D = 10 km si ha δ D = ±13 mm e:
1 –8
δ ( ∆ t) = ± 0.013 ⋅ 2 ⋅ --- ⋅ 10 s = ± 80 ps = ± 8 ⋅ 10 –11 s
3
mentre per D = 3 m si ha δ D = ± 3 mm e:
1 –8
δ ( ∆ t) = ± 0.003 ⋅ 2 ⋅ --- ⋅ 10 s = ± 20 ps = ± 2 ⋅ 10 –11 s
3
Nel distanziometro esiste un oscillatore molto stabile di tolleranza più limitata
τ = ± 3 ⋅ 10 –8 s a frequenza f ≅ 14.985 MHz pari a λ = 20 m, ma è possibile in
un breve intervallo di tempo valutare intervalli di tempo con precisione superiore a
10 –8 , grazie ad un metodo di interpolazione che si descriverà in breve.
Un diodo Ga As viene attraversato per un tempo ristrettissimo: 12 ns, da una forte
corrente di 20 - 30 A ed emette un fascio di luce laser. La corrente è costante e sta-
bilizzata in questo brevissimo intervallo.
Dopo un certo intervallo di tempo ∆ t al ricevitore arriva il segnale di ritorno: que-
sto intervallo di tempo consente di avere un valore approssimato della distanza con
sqm pari a:
τc m 9
σ ∆ t = ----- = ± 3 ⋅ 10 –8 s ⋅ 3 ⋅ 10 –8 ---- ≅ ± --- m = 4.5m
2 s 2
Per distanze superiori l’orologio di riferimento determina in modo esatto solo in
numero di lunghezze d’onda contenute nell’intervallo di tempo ∆ t tra il segnale
emesso e quello ricevuto. Rimane allora il problema della misura «fine» della
distanza.
Supponiamo che l’oscillatore di riferimento disponga di un’onda di frequenza f0.
Chiamando con T il periodo della frequenza fondamentale f, l'intervallo ∆ t tra
l’onda impulsiva emessa e quella ricevuta sarà:
73
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
∆t = nT + t a – t b 11.24
TX
OSCILLATORE DI
RIFERIMENTO
ta λ = 20 m tb
Rx
T' ( 3 T )
∆t
74
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
I vantaggi di questi strumenti sono una maggior portata a parità di potenza (si pos-
sono raggiungere 6 km con un prisma), in genere una maggior precisione e la pos-
sibilità per piccole distanze di essere usati senza prismi. Sino a 200-250 m è
sufficiente di solito l’energia di ritorno della superficie colpita anche se lo s.q.m. in
questi casi decresce a 5±10 mm. Sono molte le applicazioni che possono beneficiare
dell’assenza del prisma, anche se grande attenzione va posta nella comprensione di
quale particolare dell’oggetto collimato si misura nel segnale di ritorno. La misura
risulta più rapida del metodo della fase e la distanza limite ad esempio nel DI 3000
è di 75 km, anche se la portata massima è di 14 km. Essendo in genere la seconda
costante di precisione più piccola che nei distanziometri a misura di fase si può dire
che gli EODM ad impulsi sono più precisi per lunghe distanze.
11.2 I PRISMI
La superficie riflettente dell’onda elettromagnetica è costituita da uno o più prismi;
nel caso di strumenti ad impulsi si possono usare anche speciali catarifrangenti o
segnali riflettenti od infine nulla se non la superficie stessa dell’oggetto.
Il motivo dell’uso dei prismi è semplice: ridirigere la maggior parte del segnale
verso l’EDM e ciò avverrebbe solo in piccola parte utilizzando specchi o altri mezzi.
Il principio di funzionamento del prisma permette infatti di ridirigere un fascio di
luce parallelamente alla direzione di incidenza. Il prisma più semplice si ottiene
tagliando uno spigolo di un cubo di cristallo con un piano di taglio normale alla
diagonale del cubo. Il numero di prismi necessario ad assicurare una buona risposta
dipende dal tipo di distanziometro e dalla distanza da misurare.
Se il fascio emesso dallo strumento ha una piccola divergenza (ad esempio 40 mgon
che corrispondono ad 80 cm ad 1 km) stabilito che l’energia si disperde con il qua-
drato della distanza; il numero di prismi necessari N vale:
logn N = α + β D + 2 logn ( D ) 11.25
75
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
sostegno del prisma o ad una imperfetta conoscenza del ritardo dei circuiti interni.
Entrambe le costanti si determinano con precisione attraverso la misura di una serie
di basi di taratura che consentono in primo luogo di eliminare eventuali sistemati-
smi di scala nella misura della distanza. Senza entrare nel merito dell’operazione,
che prevede la misura di basi di varia lunghezza poste tutte lungo un allineamento,
consideriamo solo due basi: D 1 e D 2, e vediamo come con semplici considerazioni
se ne determina la somma (d1+d2 ).
D1 D2
A d
2 α d1 d1 β d2 C
d1 γ d2
Fig. 11.8 – Metodo per la valutazione delle costanti del prisma e del distanziometro.
76
LA MISURA DIRETTA DELLA DISTANZA
lp
B
ε l
A
In realtà durante il tragitto (l p o l che sia) l’onda subisce un ritardo che dipende
dalla velocità di gruppo, cioè dalla frequenza di modulazione, secondo la legge:
c
λ = ------- 11.26
nf
dove c è la velocità della luce nel vuoto, n è l’indice di rifrazione di gruppo e f è la
frequenza di modulazione.
L’indice di rifrazione dipende in genere:
– dalla composizione atmosferica (che si ipotizza costante per modesti dislivelli)
– dalla temperatura: ∆ t =1° C fa variare di 1 ppm
– dalla pressione: ∆ p =3.4 mb fanno variare di 1 ppm
– dall’umidità relativa: ∆ e= 26.6 mbar di pressione del vapore acqueo fanno
variare la distanza negli EODM di 1 ppm mentre è circa 100 volte supe-
riore la sua influenza negli MDM.
Non potendo conoscere questi valori lungo tutto l’arco s si usano spesso valori medi
lungo AB od i valori misurati nella stazione A per correggere la distanza visualiz-
zata, che fa riferimento a temperature, pressioni, umidità standard.
Allo scopo, si possono utilizzare apposite tabelle fornite a corredo dei distanziome-
tri oppure ad esempio la formula di Barrel e Sears per gli EODM:
n–1 273.16 p 11.27 ⋅ 10 –6
-------------- = ------------------------ ------------------- – ------------------------------ e 11.27
n0 – 1 273.16 + t 1013.25 273.16 + t
77
12. METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
78
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
nate di alcuni punti, anche pochi, note in un sistema di riferimento globale, conti-
nentale o nazionale. Questi pochi punti serviranno a trasformare l’insieme
numerosissimo dei punti che descrivono il rilievo da un sistema di coordinate locali
ad un sistema più generale. Ciò è possibile di solito con la misura o la conoscenza
delle coordinate di questi punti in entrambi i sistemi.
I punti di cui si conoscono le coordinate in un sistema globale, continentale o
nazionale, vengono detti vertici o capisaldi di inquadramento. L’operazione di
misura che permette di conoscere nella zona del rilievo le coordinate di alcuni punti
in entrambi i sistemi si chiama inquadramento (od inquadramento della rete).
79
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Ciò permise di misurare con più facilità e più precisione anche distanze moto lun-
ghe, irrigidire la rete nazionale e collegare con maggior precisione la rete nazionale a
quella Europea per poter giungere ad un unico sistema di riferimento. Lo schema
di misura a triangoli nei quali si misurano con precisione tutti gli angoli, detto di
80
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
81
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Allo stesso modo l’IGM costituì su tutto il territorio nazionale una rete altime-
trica allo scopo di dotare il territorio, con densità uniforme, di una serie di capo-
saldi altimetrici attraverso operazioni di livellazione geometrica di precisione. La
rete di maggior precisione seguì le principali arterie di comunicazione ed è visi-
bile in figura 12.3.
Agli inizi anni ‘90, con il diffondersi delle tecniche di rilievo GPS, l’IGM istituì
una nuova rete nazionale, con densità media di un punto ogni 20 km, collegata e
nota in un sistema di riferimento europeo (ETRF89) e definita IGM95.
82
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
83
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Per dare maggiore rigidità intrinseca a tutto il rilievo e nello stesso tempo per
ridurre i costi ed i tempi di misura, si costruisce attorno alla zona del rilievo una
rete di maglia molto grande (che ricopre tutto il territorio) misurata con strumenti
di alta precisione e con metodi che consentono di raggiungerla, ma prima ancora di
progettarla e di controllarla.
Essendo questa la rete di maggiore precisione, sono questi i vertici che si utilizzano
di solito per le operazioni di inquadramento: di tutti od alcuni, si determinano cioè
le coordinate nei due o più sistemi di riferimento.
All’interno della maglia primaria si determinano con misure e collegamenti a
distanze inferiori, una serie di vertici di densità più fitta, definiti vertici (o rete) di
infittimento.
Vista la minor distanza di questi punti fra di loro, lo scarto quadratico medio delle
coordinate di questi vertici è simile, non molto superiore a quello dei vertici della
maglia primaria, che potremo, per analogia, chiamare ora anche col termine di rete
di inquadramento.
Lo scopo della maglia secondaria è l’utilità di disporre sul campo, vertici di coordi-
nate note con precisione a distanza non eccessiva da raggiungere: a distanza tale ad
esempio che in mezza giornata di misura si possa aprire e chiudere una poligonale
di precisione su tali vertici.
Il moderno rilievo GPS ha tuttavia rivoluzionato questa concezione legata all’uso di
soli teodoliti e distanziometri.
La distanza e la posizione dei vertici, specie dei più numerosi vertici di infittimento,
non è legata alla intervisibilità, ma semmai alla visibilità ed alla buona ricezione
della costellazione satellitare.
La rete di maggior dimensione è di solito misurata con osservazioni GPS, quella di
infittimento lo è ancora per lo meno in parte; si lascia alle misure tradizionali il
completamento della rete di infittimento e il rilievo di dettaglio.
Costituite le due reti, le procedure di rilievo si dividono a seconda dei due casi:
1. occorre eseguire un rilievo fotogrammetrico del territorio;
2. occorre eseguire un rilievo topografico tradizionale del territorio.
Sovente, specie per il rilievo a grande o grandissima scala dei centri storici (in scala
1:500 ad esempio), sono richieste entrambe le operazioni: il rilievo fotogramme-
trico ed il rilievo topografico limitato ai soli cassoni degli isolati.
Prendiamo in esame le prime due ipotesi: nel primo caso il rilievo che segue la fase
di infittimento consiste nella determinazione delle coordinate dei punti di appog-
gio dei singoli modelli, o del blocco, per una successiva triangolazione aerea. Spesso
gli stessi vertici di infittimento sono «fotografici», cioè collimabili, visibili in
almeno due fotogrammi del volo fotogrammetrico.
Nel secondo caso, nel caso cioè del rilievo completo a terra, occorre invece determi-
nare le coordinate di ogni punto che descrive, discretizza l’oggetto del rilievo. Per
fare ciò anche oggi, il metodo più veloce è misurare le coordinate cilindriche (dire-
zione azimutale, distanza zenitale e distanza inclinata) attraverso una stazione
totale. Questa operazione si chiama celerimensura.
84
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
La prima richiesta per poter compiere queste misure celerimetriche è la visibilità del
punto da rilevare dalla stazione di misura che non può essere sempre un vertice
della rete di infittimento. Occorre che fra questi vertici si costruisca allora una
ancora più fitta rete di dettaglio il cui schema, per la minor precisione richiesta, è
quasi sempre quello della poligonale controllata.
Dai vertici di queste poligonali si misurano infine per coordinate cilindriche tutti i
punti del rilievo: quest’ultima operazione speditiva (per questo detta celerimensura)
per il numero di punti da rilevare costituisce una mole notevole di lavoro.
La strumentazione GPS
Per la migliore conoscenza del metodo si rimanda al preciso capitolo, qui si parlerà
della strumentazione ai soli fini della comprensione degli schemi di rilievo.
Il posizionamento GPS di precisione è di tipo differenziale, ciò significa per i nostri
scopi che occorre disporre di almeno due ricevitori che contemporaneamente
acquisiscano misure.
Ciò che ogni ricevitore misura sono «pseudodistanze» ottenute per differenza e/o
combinazioni di codice o di fase di onde che idealmente vanno dal centro elettro-
magnetico dell’antenna del generico satellite ricevuto (centro di fase) e quello
85
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
dell’antenna del ricevitore. I centri di fase sono noti con precisione rispetto alla mec-
canica dell’antenna e ciò consente di sostituire con cognizione di causa l’antenna con
un prisma o un teodolite sulla stessa basetta avvitata su un comune treppiede.
Ciò che i programmi di elaborazione trattano per il posizionamento di precisione
sono tutte le doppie differenze di fase indipendenti che sono costruibili. In alterna-
tiva, se i dati di un ricevitore fisso su un punto vengono trasmessi ad un secondo
ricevitore, quest’ultimo può elaborare in tempo reale i propri dati e quelli trasmessi
e ricavare, quasi istantaneamente, le tre componenti del vettore che unisce i due
ricevitori e quindi anche le coordinate del secondo ricevitore, posto che il primo
abbia coordinate note.
Normalmente, specie per misure GPS di precisione, il trattamento dei dati viene
tuttavia eseguito dopo lo scarico dei dati di tutti gli strumenti in ufficio. I pro-
grammi commerciali forniscono come risultato di questo trattamento le compo-
nenti dei vettori (baseline) misurati in modo indipendente tra coppie di stazioni
GPS. Queste componenti sono riferite al sistema globale cartesiano geocentrico
WGS84 in quanto in questo sistema sono note le coordinate dei satelliti.
Se non si collega la rete locale GPS ad una rete di inquadramento (a stazioni per-
manenti o a vertici della rete IGM95), da questi vettori si ottengono coordinate
WGS84 a meno di errori di ±10÷20m dovuti ad una serie di sistematismi che con-
corrono all’imprecisione del posizionamento assoluto di codice.
2 3
1 4
Fig. 12.7 – I vettori di base (baselines) devono essere connessi ad almeno un vertice di inquadramento.
È perciò prassi sempre più comune inquadrare il rilievo locale nella rete nazionale
od internazionale.
I programmi scientifici forniscono direttamente le tre coordinate di ogni vertice
della rete e la relativa matrice di varianza covarianza. Se ad esempio su quattro ver-
tici quattro ricevitori acquisiscono dati (fig. 12.7) i programmi scientifici trattano
assieme i dati delle quattro sessioni di misura (programmi multisessione) mentre i
programmi commerciali trattano per tre volte i dati di una coppia di sessioni indi-
pendenti (programmi a singola base), nell’esempio i dati di 1 e 2, i dati di 2 e 3 ed i
dati di 3 e 4.
86
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
87
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
stesso vertice; una seconda regola, fissa la ridondanza relativa della rete: rapporto tra
numero di misure e numero di coordinate incognite, una terza infine lega la qualità
del progetto a valori minimi ed omogenei delle ridondanze locali di ogni misura
che si intende compiere.
5
2
3
A
6
1 4
Fig. 12.8
La figura 12.8 mostra uno schema di rete di inquadramento molto rigida, simile ad
uno schema classico ed utilizzabile anche per le più precise reti di controllo.
Questa rete deve, in ogni caso:
– essere collegata (od avere vertici appartenenti) alla rete nazionale IGM95
od alla rete di stazioni permanenti GPS;
– contenere al proprio interno tutto il territorio da rilevare.
Lo schema di rilievo GPS di infittimento più utilizzato è quello che fa riferimento al
rilievo rapido statico «con controllo a terra». Si utilizzano (anche per questioni di
produttività) almeno tre ricevitori GPS dei quali due sono posti sui vertici di
inquadramento più prossimi ad un terzo (A in fig. 12.8) che riceve per pochi
minuti (ad intervalli di campionamento di 5s) nei punti della rete di infittimento. Le
coordinate di A sono determinate con ridondanza tre (ridondanza uno per ogni
coordinata) grazie alla misura vettoriale dei tre lati del triangolo (3 , 4 , A ).
Anche se è spesso più produttivo l’uso di una stazione totale per le operazioni di
celerimensura, per particolari scopi si utilizzano a questo fine anche misure GPS. Le
tecniche usate in tal caso sono quelle rapido statiche, stop and go o cinematiche
con un solo ricevitore base ed il secondo che si muove sui punti di misura. L’unico
inconveniente nell’utilizzo del GPS è la scarsa visibilità dei satelliti in alcuni punti
di misura o l’assenza di visibilità in altri: ciò significa necessariamente il ritorno sul
punto da rilevare con strumenti tradizionali. In zone aperte ai satelliti, la produtti-
vità del rilievo GPS cinematico o «stop and go» rispetto a quello tradizionale è oggi
paragonabile e in alcuni casi superiore.
Lo svantaggio della non visibilità non è completamente assente anche con l’utilizzo
congiunto delle costellazioni GLONAS e GPS; il vantaggio rispetto al rilievo tradizio-
nale può essere quello di sincronizzare alle misure, particolari strumenti ausiliari
come batimetri, ecoscandagli, misuratori di profili laser ecc.
88
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Abbiamo detto che una rete o una misura GPS è sempre di tipo tridimensionale (a
rigore dovremmo dire quadrimensionale, essendo importante anche la variabile
tempo) e, siccome il passo successivo al rilievo è la rappresentazione, dovremo tro-
vare un sistema e una superficie di riferimento comoda per questo scopo.
Siamo abituati a descrivere l’aspetto planimetrico del terreno attraverso una rappre-
sentazione che è la trasformazione cartografica dei punti rilevati proiettati sull’ellis-
soide di riferimento.
A questo scopo si tende oggi a costruire la nuova cartografia facendo uso della rap-
presentazione di Gauss (secondo le convenzioni UTM) con l’utilizzo dei parametri
dell’ellissoide WGS84.
Le coordinate geocentriche di una rete GPS inquadrata in questo sistema sono
dunque trasformabili in coordinate ellissoidiche (ϕ , λ , h ) e successivamente in
coordinate cartografiche (N, E) per quanto concerne la planimetria. Altimetrica-
mente ciò che serve per scopi di progetto è una quota ortometrica H: occorre cono-
scere se un canale o una conduttura può percorrere (con o senza sollevamenti o
pompe a pressione) un certo percorso, occorre conoscere il lavoro compiuto da un
treno su una ferrovia o da un camion su un’autostrada ecc. Per questi scopi è neces-
sario trasformare le altezze ellissoidiche attraverso la nota relazione:
H = h–N
Occorre allora conoscere l’ondulazione del geoide N in tutti i punti del rilievo.
Nell’ambito di «relatività» più o meno ampia del rilievo e, stabilito che su alcuni
punti della rete (capisaldi) si disponga di entrambe le quote H e h (ciò avviene per
molti vertici della rete IGM95), ciò che importa è la precisione relativa con cui si
possono misurare i vari dislivelli:
∆H = ∆h – ∆N
Ritorneremo su questo argomento quando parleremo di reti altimetriche, tuttavia è
chiaro che se ∆ h o se la variazione di ondulazione del geoide ∆ N sono note con
bassa precisione anche ∆ H risulta poco precisa.
È chiaro anche che tale precisione va valutata in relazione agli scopi del rilievo: una
cartografia tecnica, un progetto di un acquedotto, di una strada ecc. Per questi
motivi quando precisione altimetrica e precisione planimetrica non sono raggiungi-
bili solo con misure GPS si preferisce allora scindere il problema altimetrico da
quello planimetrico, come già si faceva tradizionalmente per altri motivi. È chiaro
tuttavia che questa dicotomia va ogni giorno sempre più restringendosi, coinvol-
gendo cioè applicazioni più ristrette e con esigenze di precisione specifica: per scopi
cartografici è sempre più esteso l’utilizzo del GPS e della conoscenza del geoide
anche per la rappresentazione altimetrica.
In caso contrario le misure GPS sono utilizzate solo per la costruzione del rilievo
planimetrico ricavando l’altimetria per mezzo della misura di reti di livellazione
geometrica.
89
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
n n'
Campo: W=Wp
P
Ellissoide locale
Geoide: W=W0
Fig. 12.9
90
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Gli schemi di rilievo con strumenti tradizionali utilizzati per reti di inquadramento
prevedono il collegamento dei vertici con schemi a triangolo o a quadrilatero. In
questi schemi si misurano sia direzioni angolari che distanze. (fig. 12.10).
Durante il progetto della rete è opportuno prevedere la misura di ogni possibile
quantità topografica rilevabile; la fase di simulazione ai minimi quadrati servirà a
verificare se è possibile raggiungere la precisione richiesta o se tale precisione (nor-
malmente il più uniforme possibile su tutti i vertici della rete) è raggiungibile anche
con uno sforzo inferiore. Togliendo fra le misure progettate quelle con minor
ridondanza locale, o quelle che per motivi logistici non sono facilmente eseguibili,
si verificano di volta in volta questi obiettivi.
Altimetricamente lo schema di collegamento e di calcolo è quello della livellazione
trigonometrica, che deve tener in debita attenzione l’influenza della rifrazione.
91
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
2
P
1 3
γ
α
β
α D
C γ
A
β E
E
2
92
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
7
6
1 5
3
2 4
In figura 12.13 si mostra il caso in cui da tre vertici di una poligonale chiusa si col-
lima un punto P con misure angolari e/o distanze. Il punto può essere ad esempio
un particolare di un edificio, di una torre, di un traliccio di coordinate non note ma
la misura congiunta da più vertici della rete rende questa più rigida.
1 L’acciaio normale ha un coefficiente di dilatazione di 10-5 °C, l’acciaio invar, costituito da una
lega di 63% di nichel e 36% di ferro, ha coefficiente di 10-6 ed esistono leghe speciali con
coefficienti ancora minori. Ciò significa che un errore nella valutazione delle temperature del
nastro di 1° si traduce in un errore di misura di una parte per milione per acciai invar.
93
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Gli allineamenti
Non è immediato comprendere che il porre un punto in allineamento con altri due
costituisce un’operazione di misura.
A
Fig. 12.14 – La posizione di C lungo AB è una operazione di misura.
Non si scrive sul libretto di campagna nessuna misura ed alcune volte non si usa
almeno uno strumento per posizionare il punto C (fig. 12.14) lungo la visuale che il
nostro occhio osserva traguardando A e B.
Eppure il punto C, posizionato in questo modo, ha coordinate che devono apparte-
nere alla retta passante per A e B.
Certo la precisione di queste misure va valutata in funzione dello sqm con cui C è
posizionato lungo AB. Se su A e B si usano due paline rese verticali con filo a
piombo e poste al massimo a poche centinaia di metri fra loro, si riuscirà ad alline-
are una terza palina C con sqm dell’ordine di pochi cm nelle migliori condizioni e
per brevi distanze (80-100m).
94
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Fig. 12.15 – Esempio d i rete celerimetrica di allineamenti. I punti A, B, C sono di coordinate note.
95
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
1
4,3
17
10
,00
5,
3 72 4
75
218,19
,00
75
a 0 o
0,0 0, 1
0,00 00 ,6
31 123,42
4
0,0 m
,9
33
0
39
4
7,
,9
13
72
0
0,0
11
b
6,
10
10
9,
29
90
c
203,
0,00
0
59.4
d
00
0,00
08
0,
153,
0,
52
219,
0
00
75,0
7
71,2
g
0,00
h
22
4
,48
2
Fig. 12.16 – Rete di allineamenti. Esempio tratto «in bella» da misure reali.
Fig. 12.17 – Rilievo per allineamenti puri: stralcio da abbozzi di rilievo catastali.
96
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
B
H' H
G
G'
F'
F
E'
E
D'
D
C
A
Fig. 12.18 – Rilievo con squadri.
97
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
O'
A B
5°
13
98
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Al minimo, la rete dovrebbe essere collegata a due capisaldi di quote note. Ciò
significa tuttavia affidabilità molto scarsa delle quote. In caso di errori dovuti ad
esempio alla non corretta identificazione dei capisaldi, non vi sarebbe alcuna possi-
bilità di controllo della quota dell’uno o dell’altro. Ciò fa sì che i capisaldi di inqua-
dramento altimetrico siano per lo meno tre. Comunque tali capisaldi devono essere
ben distribuiti nel territorio da rilevare.
Nel caso di reti di livellazione geometrica le linee di livellazione devono essere
misurate di andata e ritorno; il peso da dare in compensazione è inversamente pro-
porzionale alla lunghezza della linea. Per dislivelli trigonometrici si cerca di non
superare le misure dirette con battute superiori a 8-10km. A parte i problemi di
visibilità, anche per tali distanze, per distanze superiori, a causa della rifrazione, si
deve spezzare la misura in più battute. Sino ad una decina di km il peso da asse-
gnare alla misura è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
99
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
100
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
grafiche, che ipotizziamo di precisione media 10-5 non hanno modo di modificare
od interagire se non in piccolissima parte con le misure GPS. Viceversa saranno le
misure tradizionali ad essere maggiormente corrette e compensate per adattarsi al
meglio alle misure GPS.
Ha senso pratico prevedere la costruzione di reti «miste» (GPS e tradizionali) nel
caso ad esempio di reti utilizzate per il tracciamento di gallerie o di opere in cui non
è sempre possibile utilizzare le misure satellitari, o semplicemente per costruire una
rete di infittimento necessaria in zone non stazionabili con GPS (urbanizzato
denso, metropolitane ecc.).
101
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
In primo luogo occorre riportare le distanze alla carta di Gauss, passando attraverso
la superficie ellissoidica o alla sfera locale per distanze minori di 80-100 km. Ciò
vuol dire conoscere, almeno grossomodo, le quote dei punti di misura, ed operare
in uno dei tre modi di riduzione già visti al capitolo 10.
Per reti più estese di 80 km, se le basi sono invece minori di questa dimensione, è
sufficiente ridurre ciascuna base con parametri dipendenti dalla posizione media
approssimata dei due punti coinvolti. (Ciò può avvenire ad esempio volendo sfrut-
tare solo in planimetria basi GPS). In tal caso, anche per le distanze, occorre verifi-
care che sia trascurabile la correzione lineare alla corda.
Per misure angolari, siccome è nota la proprietà di conformità della carta di Gauss,
è sufficiente correggere tutte le misure per passare dai valori misurati sulla tangente
alla trasformata della geodetica ai valori misurati sulla corda. Senza correggere gli
angoli, avendo a disposizione la direzione approssimata del Nord rispetto allo zero
strumentale, si può correggere ogni lettura angolare della somma della convergenza
delle trasformate dei meridiani γ e dell’angolo alla corda ε . Dopo queste riduzioni,
è possibile compensare la rete planimetrica sulla carta di Gauss. Teoricamente
potrebbe essere compensata la rete anche di un’intera nazione; in pratica, mano a
mano che estendiamo la zona, è più difficile sostenere che ivi il campo anomalo sia
costante. La conoscenza della deviazione della verticale in alcuni punti della rete,
come pure la misura di azimut astronomici e quella dell’ondulazione del geoide, è
necessaria per ridurre la propagazione di questi errori, nel caso in cui veramente il
territorio oggetto del rilievo abbia estensione di centinaia di km.
102
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
103
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
104
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
legge, uno o tre parametri che corrispondono ai gradi di libertà di un corpo su una
retta o di un corpo su un piano.
Ci aspettiamo, nel caso di una rete tridimensionale, considerata come un corpo
rigido nello spazio a scala fissata, di dover vincolare sei parametri di datum, fissando
cioè arbitrariamente, ad esempio, le coordinate di due punti. Così è in effetti per
una rete topografica classica, nel caso si considerino incogniti i valori medi nella
rete delle componenti della deviazione della verticale. In caso contrario occorre
riconoscere che è già stata implicitamente fatta un’ipotesi che blocca due di questi
parametri: l’ipotesi di ritenere noto (invariante per campo piano e noto con legge
sferica per campo sferico) il versore n dell’asse zenitale del teodolite. In questo caso,
un modo comune di procedere è fissare le coordinate tridimensionali di un punto
della rete nonché una direzione azimutale, cioè la direzione degli angoli misurabili
nel piano normale ad n.
Nel caso di reti GPS si fa implicitamente l’ipotesi che il sistema di riferimento non
ruoti, durante la misura di tutte le basi della rete. Ciò è ragionevole anche con
grande precisione, se la rete viene misurata in un breve lasso di tempo (una setti-
mana ad esempio). In tal caso il sistema di riferimento può essere fissato con soli tre
parametri traslativi: le coordinate di un punto, ad esempio, od ancora tre funzioni
che coinvolgano le coordinate di tutti i punti della rete. In questo caso si ipotizza
implicitamente che non vi siano parametri di rotazione né di scala incogniti tra
base e base o tra sessioni di misura dell’unica rete.
Un ultimo cenno va fatto considerando i casi in cui il sistema di riferimento non è
fissato correttamente, o meglio, le misure hanno scarso significato rispetto a (un
sottoinsieme di solito di) parametri che occorre determinare. Questi casi sono
spesso difficili da riconoscere, se non grazie ad un indicatore detto «numero di con-
dizione» della matrice normale, troppo basso.
In una rete tridimensionale si potrebbero inserire ad esempio fra le incognite di
ogni stazione di misura le componenti ( ξ ,η ) della deviazione della verticale
dovute al campo anomalo, o/e la somma di queste e dell’errore di verticalità. Se la
rete non è sufficientemente densa ed estesa, ciò che si può ricavare teoricamente
risulta numericamente assai mal stimabile. È più conveniente «spostare» questi
valori dal gruppo dei parametri incogniti all’insieme dei parametri assunti come
datum o legarli ad una legge comune in tutto il rilievo.
105
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
Le equazioni che esprimono queste misure (dette equazioni generatrici), non sono
lineari nelle incognite: coordinate dei punti (di stazione ed osservati). Scriviamole
una ad una e vediamo come si linearizzano per poter calcolare la matrice disegno:
∂f
A =
∂x
Distanza dij
Pj
dij
Pi
Fig. 12.20 – Equazioni generatrici delle distanze in planimetria.
d ij = ( xj – xi ) 2 + ( yj – yi ) 2 12.2
o, nella forma:
( x j – x i ) 2 + ( y j – y i ) 2 – d ij = 0 12.3
∂f xj – xi ∂f yj – yi
= – ------------- ; = – ------------
- 12.4
∂ xi d ij 0 ∂ yi d ij 0
∂f xj – xi ∂f yj – yi
= – ------------- ; = – ------------
- 12.5
∂ xj d ij 0 ∂ yj d ij 0
106
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
l = d ij – ( ( x j – x i ) 2 + ( y j – y i ) 2 )0 12.6
Azimut ϑ ij
Nord
(Y )
Pj
ϑij
Pi
∂f yj – yi ∂f xj – xi
= – ------------
- ; = ------------
- 12.8
∂ xi d ij2 0 ∂ yi d ij2 0
∂f yj – yi ∂f xj – xi
= ------------
- ; = – ------------
- 12.9
∂ xj d ij2 0 ∂ yj d ij2 0
107
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
ϑ= α+2 π α >0
α< 0 ϑ= α
IV I
III II
α> 0 α< 0
ϑ = α+ π ϑ= α- π
Fig. 12.22 – Costante additiva all’equazione generatrice dell’azimut nei vari quadranti.
Si può obiettare che l’equazione 12.7 vale solo nel primo quadrante. Ciò è vero, ed il
termine noto 12.10 va corretto di π nel II e III quadrante e di 2π nel IV quadrante2.
Le derivate tuttavia non cambiano, dunque le 12.8 e 12.9 sono sempre corrette.
tij
Y
o
δi
Pj
tij
0ij
Pi
X
Fig. 12.23
108
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
∂f yj – yi ∂f xj – xi
= – ------------
- ; = ------------
- 12.12
∂ xi d ij2 0 ∂ yi d ij2 0
∂f
= –1 12.13
∂ δj
∂f yj – yi ∂f xj – xi
= ------------
- ; = – ------------
- 12.14
∂ xj d ij2 0 ∂ yj d ij2 0
Y Pi
Pk
αijk
Pj
Fig. 12.24
109
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
α ijk = t jk – t ji 12.17
∂f yi – yj ∂f xi – xj
= – ------------
- ; = ------------
- 12.19
∂ xi d ij2 0 ∂ yi d ij2 0
∂f yi – yj yk – yj ∂f xk – xj xi – xj
= ------------
- – ------------- ; = -------------
- – ------------- 12.20
∂ xj d ij2 0 d kj2 0 ∂ yj d kj2 0 d ij2 0
∂f yk – yj ∂f xk – xj
= ------------
- ; = – -------------
- 12.21
∂ xk d kj2 0 ∂ yk d kj2 0
Il termine noto, calcolato anch’esso nei valori approssimati, vale:
xk – xj xi – xj
l = α ijk – atn -------------- + atn ------------- 12.22
yk – yj 0 yi – yj 0
110
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
∂h ( yC – yI ) k ( xA – xI ) ∂h ( xC – xI ) k ( yA – yI )
= – -------------------- – ----------------------
- = -------------------- – ----------------------
-
∂ xA d d3 ∂ yA d d3
∂h ( yC – yA ) k ( xA – xI ) ∂h ( xA – xC ) k ( yA – yI )
= --------------------- + ----------------------
- = ---------------------- + ----------------------
- 12.26
∂ xI d d3 ∂ xI d d3
∂h ( yA – yI ) ∂h ( xA – xI )
= -------------------- = – --------------------
∂ xC d ∂ yC d
111
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
∂s ( xC – xI ) w ( xA – xI ) ∂s ( yC – yI ) w ( yA – yI )
= -------------------- – -----------------------
- = ------------------- – -----------------------
-
∂ xA d d3 ∂ yA d d3
∂h 2x I – x A – x C w ( x A – x I ) ∂s 2y I – y A – y C w ( y A – y I )
= ----------------------------- + -----------------------
- = ---------------------------- + -----------------------
- 12.28
∂ xI d d 3 ∂ xI d d3
∂h ( xA – xI ) ∂h ( yA – yI )
= -------------------- = – --------------------
∂ xC d ∂ yC d
1 δ
Y
t 13 t 12
112
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
atn x--------------
3 – x1
- + π – t 13 – δ = ν 1
y3 – y1
x2 – x1
atn --------------
- + π – t 12 – δ = ν 2
y2 – y1
113
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
( x 3 – x 1 ) 2 + ( y 3 – y 1 ) 2 – d 13 = ν 3
( x 2 – x 1 ) 2 + ( y 2 – y 1 ) 2 – d 12 = ν 4
Si noti che essendo le direzioni verso 2 e 3 nel secondo e terzo quadrante si è som-
mato ad entrambe le equazioni il valore π .
Per calcolare i termini noti ci manca un valore approssimato della correzione δ .
Essendo il cerchio azimutale orientato a zero sul punto 2, la correzione è il valore
dell’angolo di direzione (12), che è possibile misurare graficamente. Si ha δ =170
gon (=2.670354 rad).
I termini noti l1, l2, l3 ed l4 valgono:
∂ f1 y3 – y1 ∂ f1 x3 – x1 ∂ f1
a 11 = = – ----------------
-; a21 = = – -----------------
-; a 13 = = –1
∂ x1 d 132 ∂ y1 d 132 ∂δ
Sostituendo i valori si ottiene:
600.3 – 249.9
a 11 = ---------------------2 a21 = ---------------------2 a 13 = – 1
650.238 650.238
Per la seconda riga (e misura) si ha:
∂ f2 y2 – y1 460.0 ∂f x2 – x1 240.6
a 21 = = – ----------------
-= ---------------------; a22 = 2 = – -----------------
-= ---------------------; a 23 = – 1
∂ x1 d 122
519.123 2 ∂ y1 d 122
519.123 2
Per la terza misura:
∂f 3 x 3 – x 1 249.9 ∂f y 3 – y 1 600.3
a 31 = - = ------------------- ; a 32 = 3 = – --------------
= – -------------- = ------------------- ; a 33 = 0
∂ x1 2
d 13 650.238 ∂ y1 d 132 650.238
114
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
∂ f4 x2 – x1 – 240.6 ∂f y2 – y1 460.0
a 41 = - = ------------------- ; a24 = 4 = – ----------------
= – ----------------- - = ------------------- ; a 43 = 0
∂ x1 d 122 519.123 ∂ y1 d 122 519.123
In definitiva:
1.41979 ⋅ 10 –3 – 0.59105 ⋅ 10 –3 –1
A = 1.70694 ⋅ 10 0.89280 ⋅ 10
–3 –3 –1
0.38432 0.92320 0
– 0.46347 0.88611 0
Occorre ora pesare ciascuna equazione in proporzione inversa alla varianza di ogni
misura. Ricordando le (4), e assumendo σ 02 = 1 :
1
p j = -----2- ;
σj
7 ⋅ 10 –4
σ 3 = σ 4 = ( 0.01m ) 2
2 2 2 2
σ 1 = σ 2 = ------------------- ;
63.6620
e si ottiene così:
p 1 = p 2 = 8.27 ⋅ 10 9 ; p 3 = p 4 = 1 ⋅ 10 4 m 2
Calcoliamo ora la matrice normale N, espressa dalla: N = A T PA
2.7581 ⋅ 10 5
b = A T Pl = 2.3676 ⋅ 10 4
– 1.7673 ⋅ 10 8
ed infine, la soluzione è:
δ x̂ 1 – 0.0807m
δ x̂ = δŷ = N –1 b = – 0.0113m
1
δ(δ ) – 0.01083rad
115
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
– 4.5108 ⋅ 10 –6 rad
νˆ = A δ x̂ – l = 4.5108 ⋅ 10
–6 rad
– 0.0046 m
– 0.0015 m
∑ pjν̂j 2
ν̂ T Pν̂
σˆ02 = -------------------
j=1
- = -------------- = 0.5677
m–n m–n
(il valore è adimensionale).
Si noti che σˆ02 < σ 02 fissato a priori =1.
Ora ricaviamo la matrice di varianza covarianza delle coordinate:
C x̂x̂ = σˆ 02 N –1;
e, in definitiva:
σ x = ± 0.0121m; σ y = ± 0.0048m; σ δ = ± 12.52m
ricavando così:
σ ν1 = σ ν2 = ± 2.86 ⋅ 10 –4 gon
116
METODI DI RILEVAMENTO E SCHEMI DI MISURA
σ ν3 = ± 4.56mm; σ ν4 = ± 1.48mm
Si noti che gli sqm angolari sono migliori (più piccoli) degli sqm delle misure ango-
lari ipotizzate a priori di 7 ⋅ 10 –4 gon ed anche che gli sqm degli scarti delle due
distanze sono diversi fra loro e più piccoli degli sqm a priori delle distanze, ipotiz-
zati di ±10mm.
Infine ricaviamo la matrice di ridondanza, definita dalla:
1
R = ------ P ⋅ C ν̂ν̂
σ2
ˆ
0
od anche dalla:
R = I – PAN –1A T 12.30
ed infine:
r 11 = r 22 = 0.2965; r 33 = 0.367; r 44 = 0.040
Si verifica che r 11 + r 22 + r 33 + r 44 = 1 , che è la ridondanza globale r (r =1 in questo
esempio). Questi valori indicano il contributo di ogni misura alla rigidità comples-
siva della rete.
Come si nota dalla forma 12.30 questi valori possono essere calcolati senza bisogno
delle misure l.
Nel nostro caso possiamo affermare che la quarta misura ha pochissima influenza
sulla rigidità della rete. Ciò era progettabile in anticipo, prima di eseguire le misure.
In questo caso, d’altra parte, non possiamo permetterci il lusso di progettare reti
con ridondanza nulla e quindi senza controllo interno alcuno. In altre circostanze,
da un progetto preliminare di una rete, se una misura risulta avere bassa ridondanza
locale, si decide di solito di non eseguirla.
Qui di seguito è riportato il listato dell’uscita di un programma automatico di cal-
colo e progettazione di reti, denominato CALGE (del Politecnico di Milano), ese-
guito con i dati di questa piccola rete di esempio.
117
Tabulato di uscita di CALGE
UNITÀ DI MISURA:
MISURE ANGOLARI in gon
MISURE LINEARI in m
CORREZIONI E PARAMETRI ANGOLARI gon
CORREZIONI E COORDINATE LINEARI m
LATI 4 VERTICI 3
LATI RIGIDI 0 VERTICI FISSI 2