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Geografia politica

Di

A. Painter, A. Jeffrey
Cittadinanza ed elezioni
Il concetto moderno di cittadinanza si sviluppa parallelamente alla creazione dello Stato. Secondo
Marshall (1950), il concetto moderno di cittadinanza composto da tre aspetti, ognuno dei quali
implica forme differenti di diritti: civili, politici e sociali. Storicamente, lo sviluppo di queste diverse
forme di diritti segue levoluzione dello Stato inglese, dalla forma liberale, passando per quella
liberaldemocratica, fino ad arrivare al welfare state socialdemocratico. Tuttavia, sarebbe un errore
dare per scontato che la nascita dello Stato moderno implichi lattribuzione ai residenti sul suo
territorio dei pieni diritti di cittadinanza in maniera uniforme.

La dimensione dei diritti civili connessa alla dottrina liberale della protezione della libert
individuale. Per il liberalismo, lo Stato dovrebbe avere poteri abbastanza limitati da non
restringere in alcun modo le libert individuali, ma abbastanza efficaci da garantire queste libert
e proteggerle da altre minacce.

La dimensione dei diritti politici, riguarda il diritto di prendere parte al governo della societ, sia
direttamente, che indirettamente (elezione dei rappresentati).

La dimensione dei diritti sociali implica il riconoscimento, da parte dello Stato, del diritto dei
cittadini ad un certo livello di benessere economico e sociale (istituzione di vari servizi allinterno
del welfare state).

importante considerare questi aspetti della cittadinanza come oggetto di conflitti e di strategie
politiche e sociali e chiarirne gli obiettivi. Lestensione della cittadinanza nelle varie fasi non stata
garantita dallo Stato senza unesplicita pressione per lampliamento dei diritti espressa dai diversi
gruppi sociali, e senza che si verificassero degli scontri per ottenerlo; del resto, una volta istituite
determinate forme di cittadinanza, queste potevano essere utilizzate come risorse con le quali
lottare per ottenerne altre. Inoltre, c un discorso sulla cittadinanza, che viene utilizzato e
prodotto dai partecipanti alle battaglie politiche. Lo Stato cerca di definire in modo discorsi chi
un cittadino e chi non lo , insistendo sul fatto che, per chi lo , la cittadinanza universale. Per
contrasto, chi si batte per questi diritti usa lo stesso discorso sulla cittadinanza, lamentando per il
fatto che, in realt, alcuni gruppi vengono esclusi dai suoi benefici. Sia il significato, che le pratiche
della cittadinanza sono mutevoli e discutibili.

Gli spazi della cittadinanza

I geografi sono stati i pi attivi nel tentativo di contestualizzare le diverse concezioni della
cittadinanza, con lo scopo di concentrarsi sui meccanismi attraverso i quali alcuni individui
vengono esclusi dallottenere o dallesercitare la propria cittadinanza. Il loro lavoro ha messo in
evidenza il fatto che, il concetto di cittadinanza implica un continuo processo di separazione tra
cittadini e non cittadini. Per concettualizzare questidea, si pu parlare di limiti formali e limiti
informali alla cittadinanza. I limiti formali si riferiscono allestensione legale della cittadinanza,
secondo quanto viene definito in una costituzione. Nello stesso tempo, per, ci sono pratiche e
meccanismi informali, che servono ad escludere determinati individui o gruppi dallesercizio dei
propri diritti di cittadini. Analogamente, possiamo distinguere tra cittadinanza de jure (secondo la
legge) e cittadinanza de facto (in pratica). Questa condizione evidenzia il fatto che, anche se un
individuo viene riconosciuto come cittadino secondo dei parametri legali, ci possono essere delle
barriere sociali, che impediscono a questa persona di prendere parte attivamente alla vita civile;
tuttavia, pu avvenire anche lopposto. Queste definizioni non sono fisse nel tempo o nello spazio,
ma rappresentano strumenti attraverso i quali le rivendicazioni di cittadinanza dei singoli soggetti
possono venire interpretate in casi specifici.

Lassegnazione di una cittadinanza di de jure o de facto non politicamente neutrale. Lesclusione


di alcuni individui dallesercizio dei propri diritti e delle proprie responsabilit come cittadini viene
determinata da caratteristiche come il genere, la classe sociale, le origini etniche, il credo religioso,
let, la disabilit, la sessualit ed il luogo di nascita. Analizzare il significato di tratti identitari cos
connotati e mutevoli ha richiesto un paziente sforzo intellettuale. In prima linea in questo tipo di
studi, le autrici femministe hanno criticato lesclusione delle donne dalla cittadinanza, sia de facto,
che de jure. Questi studi hanno quindi suggerito che il cittadino viene definito in quanto maschio.
Al posto di questa concezione, le studiose femministe hanno dato voce a teorizzazioni pi
connotate e parziali delle dinamiche tra cittadinanza e genere. Di qui si evidenziata la natura
patriarcale della societ capitalista occidentale, una struttura che discrimina le donne attraverso
lesclusione dalle posizioni di potere, la disuguaglianza dei salari e lo scarso interessi verso le
tematiche femminili nella definizione delle politiche. Tuttavia, tra le studiose femministe c poco
accordo su come provare a cambiare questo dato di fatto.

A partite dagli anni Ottanta, un certo numero di geografe femministe si sono spostate
dallinteresse specifico per le relazioni di genere, verso una considerazione pi ampia delle
esclusioni sociali di quanti deviano dalla visione teorica dominante di cittadinanza. Lesempio
dellesclusione delle persone sorde evidenzia la complessit delle geografie della cittadinanza. Da
un lato, lesclusione de facto dei non udenti dalla cittadinanza britannica, sulla base del fatto che
le loro carenze uditive impediscono limpegno nei dibattiti pubblici. Dallaltro, la loro cultura
linguistica condivisa (BSL) contribuisce a creare nuovi spazi di cittadinanza, che operano sua su
scala locale, che globale. Questo riporta alle osservazioni di Isin, secondo il quale latto di
esclusione non una semplice negazione, ma potrebbe diventare costitutivo di nuove forme di
cittadinanza, che agiscono in spazi pubblici alternativi.

Pu essere vero, per, anche il contrario. Ovvero che degli individui, o dei gruppi, svolgano un
ruolo attivo nella vita politica e civile, senza che ad essi vengano riconosciuti i benefici legali e le
protezioni dovute alla cittadinanza. I lavoratori immigrati vengono spesso citati come esempio
fondamentale di questo tipo di esclusione, nel momento in cui il loro lavoro rappresenta un
elemento di grande valore per il funzionamento efficiente dello Stato, senza che ad essi vengano
estesi i pieni diritti di cittadinanza. Ci sono due aspetti fondamentali da affrontare. Il primo che i
mezzi di comunicazione e la politica parlano spesso di queste esclusioni in termini economici,
descrivendo le restrizioni nei confronti dei migranti come necessarie a difendere gli interessi
economici dello Stato. Gli studi geografici politici e culturali hanno per sottolineato come queste
esclusioni siano in realt strettamente connesse alla difesa della mitica omogeneit culturale di
ciascuno Stato; sono i confini dello Stato ad operare come strumenti che definiscono lesclusione,
chi nato allinterno dei confini di un territorio, viene garantita la cittadinanza de jure, mentre chi
proviene da fuori spesso soggetto ad unesclusione dai diritti di cittadinanza. Il secondo aspetto,
che la cittadinanza degli immigrati genera tensioni nella nostra visione della cittadinanza come
inclusione, o esclusione, da un certo Stato. I lavoratori migranti spesso mantengono legami sociali
e politici con i propri paesi dorigine, creando istituzioni politiche che travalicano i confini degli
stati. Non si sta suggerendo che i legami transazionali rappresentino unalternativa adeguata
allestensione dei diritti dei lavoratori migranti in un paese ospite, ma che le migrazioni creano
nuove reti spaziali di responsabilit e appartenenza, che vanno al di l del binomia Stato
cittadino.

Cittadinanza insorgente

Unazione radicale di cittadinanza la cittadinanza insorgente. Si tratta di una forma di


cittadinanza che agisce con unopposizione violenta allautorit costituita e che cerca di ostacolare
lazione dello Stato. Questo no vuole significare che gli obiettivi di queste forme di azione politica
siano necessariamente in contrapposizione a quelli sanciti dalla costituzione di ogni singolo Stato,
ma piuttosto che essi nascono da uno scetticismo radicale nei confronti della capacit dello Stato
di assolvere questi doveri. La cittadinanza insorgente, quindi si fonda sullazione diretta, come
mezzo per reclamare i diritti di cittadinanza, in un contesto in cui la distinzione tra legalit e
illegalit viene sospesa e sostituita da discorsi di diritti umani e giustizia sociale. Bisogna per fare
molta attenzione nel giudicare gli spazi e le posizioni di chi partecipa alle cittadinanze insorgenti. I
mezzi di comunicazione principali descrivono spesso questi movimenti come indicativi di unazione
civile non autentica, in contrasto con quella autentica che si sviluppa attraverso i canali formali
della politica. La realt empirica, per, non sostiene una distinzione cos rigida. Gli attivisti cercano
di utilizzare i canali formali per dare voce alle proprie preoccupazioni, ma questi sono stati
percepiti come inefficaci. Per capire la relazione tra la cittadinanza insorgente e la massa, bisogna
rivedere le nostre concezioni di trasformazione politica. In particolare, necessario guardare al di
l dellidea di riforme fondata sullo Stato o dei modelli tradizionali di democrazia liberale.

Chatterton si occupa di come si possano creare visioni del cambiamento politico condivise tra i
gruppi di protesta e gli individui coinvolti direttamente dalle loro azioni. Lui evidenzia la perdita di
fiducia nei confronti dei canali formali e la conseguente necessit di inventare nuovi spazi per la
partecipazione politica informale. Alla base delle conclusioni di Chatterton emerge lansia dovuta
al fatto che la posizione dei manifestanti e quella della gente comune appaiono in rigida
contrapposizione. Chatterton suggerisce che il dualismo tra attivisti e non attivisti pu essere
superato, mettendo in evidenza la natura ibrida e negoziata socialmente delle due posizioni;
questo processo si concentra su nuove scale nuovi luoghi dellazione politica. Egli sottolinea il
fertile terreno comune che si pu sviluppare per mezzo della micro politica della vita quotidiana
e delle relazioni sociali. Questa visione del cambiamento democratico evidentemente diversa
dalle concezioni convenzionali della governance democratica pluralistica, per le quali i
cambiamenti di direzione delle politiche dello Stato avvengono per mezzo della competizione tra
partiti che si contendono il voto popolare. In questo caso, Chatterton si rif alla concezione di
democrazia pi radicale, definita pluralismo antagonista, basata su un invocato concetto di
societ civile globale, azione collettiva e messa in discussione dello Stato e del potere corporativo.

Questa discussione sulla cittadinanza emergente scompiglia per due motivi la nostra concezione
di cittadinanza come relazione tra un individuo e lo Stato. In primo luogo, si auspica lo sviluppo di
una concezione di etica collettiva che non si fonda su una riforma dello Stato. Secondo, le lotte
contro questioni globali richiedono nuove forme di solidariet, che si estendono al di l dei confini
dello Stato.

Governance

La governance indica una tipologia di governo fluida ed inclusiva, che tiene conto delle istante
provenienti dal basso e che mobilit contemporaneamente diversi attori. Essi possono essere
pubblici, si parla di governance multi livello, per indicare la presenza di istituzioni di diversa scala
territoriale nella gestione di alcuni settori, oppure privati, in accordo con il principio di
sussidiariet e la promozione di approcci dal basso e di partenariato pubblico privato nella
definizione e nellapplicazione delle politiche pubbliche. Rhodes individua sei modi diversi di
intendere la governanrce:

- Minimal state: una ridefinizione della presenza dello Stato nellerogazione di servizi e nella
vita dei cittadini;
- Corporate governance: in generale, il sistema che gestisce e controlla le istituzioni,
pubbliche e private;
- New public management: un modo nuovo di concepire il settore pubblico, avvicinandolo
alle regole del mercato e del settore privato;
- Good governance: come buon sistema di governo, secondo parametri indicati dalle grandi
organizzazioni internazionali;
- Sistema socio cibernetico: un sistema socio politico, il risultato dellintervento integrato
di tutti gli attori che partecipano al sistema stesso;
- Rete auto organizzata di istituzioni e di soggetti pubblici e privati che, a diversi livelli,
prendono parte al governo di un territorio e di una societ.

I cinque principi che stanno alla base della buona governance sono : apertura, partecipazione,
responsabilit, efficacia, coerenza.

La cittadinanza cosmopolita

La cittadinanza viene spesso definita come appartenenza ad una comunit politica e lo Stato
considerato da sempre la forma principale di comunit politica. Questa concezione ora messa in
discussione.
Il criticismo si concentra su un problema che viene percepito come centrale nella governance
internazionale contemporanea. Mentre la cittadinanza ha una scala statale, molti dei temi politici
pi rilevanti oggi trascendono i confini nazionali. Si pensa che la democrazia stia fallendo a causa
del suo essere fondata sullo Stato. Definita deficit democratico, questa critica si basa sul
fallimento del sistema degli stati nel permettere ai cittadini di essere attivi politicamente su scala
internazionale.

La cittadinanza transazionale si pu analizzare mettendo in evidenza due concetti, attraverso i


quali si potrebbe agire per ridurre il deficit democratico: una societ civile globale ed una
democrazia cosmopolita. Entrambi i concetti si fondano su pratiche politiche ed istituzioni gi
esistenti, al fine di indagare meccanismi alternativi di partecipazione nella sfera internazionale.

Il concetto di societ civile indica dei raggruppamenti sociali che non agiscono n allinterno dello
Stato (processo formale di governo), n del mercato (per il profitto). Ma il concetto di societ civile
soggetto a numerose contestazioni. Da un punto di vista storico, la definizione nata dal
vocabolario dei filosofi politici, quando si sono occupati di come le persone possano soddisfare
bisogni individuali raggiungendo, nello stesso tempo, obiettivi comuni. Il rinnovato interesse
politico ed accademico per la societ civile negli anni Novanta, pu essere ricondotto alla caduta
del comunismo nellEuropa centrale e orientale, nel 1989. La capacit di gruppi pro - democrazia,
nel definire le istituzioni degli stati dellEuropa centrale e orientale, stata dipinta come una
vittoria della societ civile. La crescita dellinteresse nei confronti del concetto di societ civile ha
portato anche ad un profondo ripensamento della sua stessa definizione. Alcuni autori hanno
cominciato ad analizzare cosa significhi parlare di societ civile in un epoca di interconnessioni
crescenti e flussi transazionali, con i relativi dubbi sulla supremazia dello Stato.

Definito per primi da autori come Kaldor e Keane, il concetto di societ civile globale si focalizza
sullistituzione e la difesa di norme e diritti comuni a tutta lumanit. Lidea di societ civile, quindi,
concentra lattenzione sulla comparsa di una coscienza globale comune, in unepoca di presunta
globalizzazione. I miglioramenti nella tecnologia e nei trasporti hanno permesso ad organizzazioni
e movimenti molto distanti di unirsi, su tematiche comuni (proteste ambientaliste, movimenti
pacifisti). Nel giudicare in modo critico lazione della societ civile globale, bisogna riportare nella
nostra analisi la geografia, individuando tre aree di analisi spaziale.

Primo, le azioni dei movimenti di protesta globale sono dirette verso le politiche di determinati
Stati (movimento per la liberazione del Tibet). Secondo, le azioni di resistenza sono disomogenee
nello spazio: chi possiede tempo sufficiente e risorse tecnologiche si trova nella posizione migliore
per essere coinvolto e stabilire le priorit. I movimenti globali sono radicati in determinate
geografie che spesso rispecchiano le geografie del potere (gli uffici di Amnesty International sono
localizzati in prossimit dei centri di potere).

In contrasto con la nozione di societ civile globale, i teorici della cittadinanza cosmopolitica
ricercano un modello pi formale di partecipazione politica, strutturato intorno al concetto di
cittadinanza globale. I teorici della democrazia cosmopolitica sostengono che laumento del
numero degli stati democratici nel mondo abbia poca importanza per la democratizzazione
dellordine mondiale. Limportanza crescente, alla scala globale, delle preoccupazione per
lambiente, leconomia e i diritti umani, ha portato a richiede che si dia voce alla cittadinanza
globale, nella definizione delle pratiche delle organizzazioni internazionali. Tuttavia, ci sono motivi
sia logici che geografici per i quali un ordine democratico globale sarebbe molto difficile da
istituire. In termini logistici, la prospettiva di una singola istituzione, che abbia la capacit di
organizzare delle elezioni globali, solleva molti dubbi. In termini geografici, lidea di istituire un
governo liberaldemocratico che agisca al di sopra del livello dello Stato, richiederebbe il consenso
del sistema di stati esistente. Lordine internazionale attuale costituito in favore degli stati pi
potenti. Non si pu creare dal nulla un ordine politico cosmopolita, c bisogno di lavorare al
sistema attuale, fondato su un potere distribuito in modo diseguale, e di superarlo. Possiamo,
tuttavia, osservare alcuni esempi di democrazia cosmopolita. Ad esempio, lUe pensata come un
forma di organizzazione politica democratica, al di sopra del livello degli stati nazionali.
Leuropeizzazione progressiva ha portato nuove forme democratiche, con alcuni aspetti della
sovranit statale ceduti al livello di governo europeo, mentre lo Stato rimane il luogo centrale del
potere politico. Questo ha portato i geografi politici ad evidenziare la nascita, in Europa, di una
cittadinanza multilivello, con i cittadini sottoposti a diversi livelli di autorit politica
contemporaneamente.

Geografie elettorali
La geografia elettorale una sottodisciplina della geografia politica, che analizza la pratica e
lorganizzazione delle competizioni elettorali. In genere, tutte le elezioni prevedono un voto
popolare, nel quale una parte della cittadinanza esprime la propria preferenza riguardo alla
rappresentazione politica (governance democratica pluralista).

Le elezioni politiche in uno Stato offrono agli studiosi la possibilit di osservare e tracciare gli
orientamenti politici di una certa popolazione. Il fatto ancora pi importante che il sistema di
voto di solito costruito su unit territoriali, la cui distribuzione e struttura pu giocare un ruolo
significativo nei risultati delle elezioni.

Ecco alcune ricerche che si occupano degli aspetti spaziali delle elezioni. Per il geografo francese
Siegfried, la geografia fisica, economica e culturale dei distretti vista come unimportante cornice
strutturale, in grado di definire le priorit politiche degli elettori. Gli sono state mosse alcune
critiche, innanzitutto i critici dubitano che lo spettro degli orientamenti politici si possa ridurre al
semplice dualismo tra destra e sinistra. Spesso gli individui possono avere punti di vista
apparentemente contraddittori su diversi temi politici e il modello di Siegfried non prende in
considerazione questipotesi. La seconda critica riguarda il fatto che le sue conclusioni sembrano
sostenere un determinismo ambientale, ovvero il fatto che sia lambiente di vita a condizionare le
attitudini politiche.

Dopo le ricerche di Siegfried, la geografia politica del XX secolo ha seguito lo stesso percorso di
tutta la geografia, che possiamo suddividere in due tendenze. Nella prima, c stato un passaggio
dalla ricerca di grandi spiegazioni generali delle tendenze di voto verso un approccio pi empirico
e basato sulla ricerca sul campo, che cercava di misurare il comportamento degli elettori. I
geografici della seconda tendenza hanno invece spostato la propria attenzione sullanalisi delle
geografie della rappresentanza, analizzando il modo in cui lorganizzazione spaziale delle elezioni
pu servire a influenzarne i risultati.

Il comportamento degli elettori

Un primo tentativo di teorizzare in termini quantitativi le tendenze di voto venne fatta con
leffetto vicinato una cornice esplicativa del comportamento degli elettori. I critici dellapproccio
positivista della geografia elettorale ritengono che ad essa manchi un collegamento con la teoria
sociale e, di conseguenza, sia incapace di contribuire alla comprensione delle dinamiche politiche
spaziali delle elezioni (contro lempirismo rampante).

Negli ultimi anni gli studi sul comportamento di voto hanno diversificato i propri fondamenti
teorici, utilizzando una gamma variegata di metodologie qualitative. Essi hanno contribuito a
migliorare la comprensione dellinterazione tra le dinamiche spaziali ed i comportamenti di voto,
collegando, in modo pi sottile, i concetti di territorio e human agency. Molta attenzione stata
per esempio posta sul territorio, visto come costruito socialmente, concentrandosi quindi sul ruolo
svolto dagli attori (human agents) nel continuo processo di produzione di territorio. Il lavoro del
geografo politico Agnew ha avuto unimportante influenza nello sviluppo di concetti teorici pi
sofisticati, relativi ai comportamenti di voto. Agnew sostiene che il contesto sia importante
soprattutto nel momento in cui il territorio, a diverse scale geografiche, viene utilizzato come
strategia retorica, da parte dei partiti, come culla per i processi di influenza dei comportamenti e
come elemento della geografia politica delle scelte elettorali. Questanalisi sui comportamenti di
voto quindi servita ad arricchire la nostra capacit di comprendere la specificit storica dei
modelli di voto, mettendo in relazione le variazioni nel sostegno ai partiti con le trasformazioni
economiche e sociali che avvengono a diverse scale geografiche. Alcune critiche a questo
approccio possono essere fatte in relazione al fatto che esso rispecchia un residuo attaccamento ai
dati dei modelli statistici, necessariamente discontinui, ma non riesce ad essere coerente con
linsieme degli studi socio culturali, che hanno messo in luce linterrelazione e la costruzione
sociale di etichette identitarie. Linterpretazione degli specifici contesti storici pu contribuire ad
animare le interrelazioni tra le diverse posizioni riguardo a questargomento, ma per capire i loro
effetti politici pi in dettaglio, necessario un approccio maggiormente qualitativo nei confronti
degli attori coinvolti. In questo caso, la geografia politica pu avviare un rapporto produttivo con
lantropologia politica. Lapproccio etnografico permette di sottolineare limportanza delle
testimonianze, individuali e collettive, nel far emergere i molteplici fattori economici, sociali e
culturali che determinano lappartenenza politica.

Geografie della rappresentanza

Gli aspetti spaziali delle elezioni hanno rappresentato un interesse di primaria importanza per i
geografi. Ogni sistema elettorali uninominale del mondo divide il proprio elettorato in collegi
definiti su base territoriale. I collegi vengono costituiti nel tempo e continuamente soggetti a
revisioni. Esattamente come la scelta del sistema elettorale pu favorire certi partiti rispetto ad
altri, cos anche il disegno dei collegi elettorali pu influenzare il risultato delle elezioni. Il disegno
dei confini dei collegi elettorali rappresenta quindi un tema di grande interesse per la geografia
elettorale. Le potenzialit in questo processo nellinfluenzare lesito delle elezioni, vengono ben
descritte dagli esempi del malapportioning (suddivisione del territorio in collegi non equa) e del
gerrymandering. Il primo si riferisce ad una disuguaglianza nella rappresentanza, dovuta alle
differenze nelle dimensioni dei collegi, ed di particolare importanza quando i partiti dominanti
sono due (Usa). Johnston sostiene che il malapportionment si pu verificare per mezzo di volont
intenzionale, se un partito controlla il processo di suddivisione in collegi, creando collegi pi grandi
dove il partito oppositore forte, oppure di un malapportionment strisciante, quando i
cambiamenti, intervenuti nel corso del tempo, nella suddivisione in distretti fanno s che ci siano
collegi pi piccoli, dove un partito pi forte. Il gerrymandering si riferisce invece alla pratica di
ridefinire lestensione, o la popolazione di un collegio, con il proposito di ottenere un vantaggio
elettorale. Questo espediente prende il nome da un Governatore americano del XIX secolo, Gerry,
che stabil la ridefinizione dei confini delle contee per ottenere un maggiore sostegno elettorale.
Tuttavia, anche se il gerrymandering diventato un tema centrale per i geografici elettorali,
dobbiamo suggerire cautela. Allinterno della geografia politica c una chiara tendenza a ridurre le
attitudini di voto alla preferenze espresse nel giorno delle elezioni. Anche se questi sono dati che
possono venire registrati, non possiamo mai assumere che lespressione del voto sia
rappresentativa della visione politica, sottile e spesso contraddittoria, degli individui. Viene
utilizzato il termine fluidit partigiana per richiamare lattenzione sulla natura mutevole della
fedelt degli elettori, sia nel tempo, sia in presenza di una ridefinizione dei confini dei collegi
elettorali. Questi processi, infatti, possono a loro volta alterare le preferenze degli elettori, per il
fatto che questi possono perdere fiducia nei confronti dei partiti al potere, proprio a causa dei loro
tentativi di manipolare le geografie elettorali. Le preferenze politiche individuali non sono fisse e
immutabili, ma piuttosto espressione di un processo fluido di identificazione, che si forma per
mezzo di molteplici fattori sociali e geografici.

La geografia elettorale in Italia

Per tutta la Prima Repubblica, appare evidente la presenza di due aree pi o meno omogenee dal
punto di vista delle preferenze politiche, dominate dai due partiti principali dellepoca: il Nordest
bianco, caratterizzato da una netta maggioranza della Dc, ed il Centro rosso, roccaforte del Pci.

Si tratta delle zone caratterizzate da un fitto tessuto di piccole medie imprese e da una rete di
piccole citt che fungono da cardini dello sviluppo economico territoriale, nelle quali svolgono un
ruolo fondamentale le realt associative che fanno riferimento alla Chiesa, nel primo caso, ed al
movimento operaio ed alla sinistra, nel secondo. Il resto dItalia vede invece una tendenza
elettorale molto pi variegata, legata alle contingenze temporali e alle specificit di ciascun
territorio.

In seguito allo scandalo di Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica, la geografia politica
italiana si trova di fronte alla conquista da parte della Lega Nord delle province nelle quali un
tempo dominava la Dc e alla nascita di Fi, movimento politico dalla struttura aziendale, legato ai
mezzi di comunicazione nazionali e con legami apparentemente molto meno stretti con il
territorio. Fi trova una propria zona azzurra, paragonata ad un arcipelago, costituito da isole di
concentrazione del voto (Campania, Sicilia e alcune province del Nordovest).

Negli ultimi anni la geografia elettorale italiana si trovata a fronteggiare alcune evoluzioni
politiche inedite. La prima la nascita di due partiti a vocazione maggioritaria (Pd e Pdl), che
appaiono sempre meno legati al contesto territoriale, anche se sembrano ricalcare la geografia
elettorale dei propri predecessori. La seconda la progressiva avanzata del fronte leghista nelle ex
regioni rosse, con particolare evidenza nelle province pi settentrionali dellEmilia Romagna e
della Toscana. A questo si possono aggiungere le concentrazioni geografiche delle presenze di
alcuni partiti minori, legate pi alla presenza di leader locali, che a specifiche caratteristiche
territoriali.

Conclusione

Si imparato ad analizzare gli spazi della cittadinanza, della democrazia e delle elezioni e mostrare
il ruolo delle teorie socio culturali nellaiutarci a comprendere meglio questi concetti. stato
fatto ripercorrendo la natura delle teorie sulla cittadinanza e gli aspetti spaziali delle elezioni. Il
percorso ha dimostrato che impossibile pensare alla pratica politica al di fuori del contesto
sociale e culturale. La politica viene vissuta e, di conseguenza, esiste nello spazio.
La politica e la citt
Politiche urbane

Il tipo di citt che si sviluppato nellEuropa medievale influenza maggiormente la nostra


immagine di come dovrebbe essere una citt. Nel Medioevo la citt svolgeva un ruolo di centro
amministrativo, politico ed economico per il suo retroterra rurale. I prodotti agricoli confluivano
verso i mercati cittadini dalle campagne circostanti, dove veniva prodotto pi cibo di quanto ne
servisse per nutrire le famiglie di contadini, generando un surplus che poteva venire utilizzato per
sostenere la popolazione urbana non agricola. La nascita delle citt, quindi, il prodotto di un
cambiamento nella geografia della produzione e del consumo.

Oggi quasi tutte le citt sono collegate, dal punto di vista economico, non al territorio che le
circonda, ma a reti pi ampie di commerci, investimenti e flussi di lavoratori, che si estendono su
spazi molto vasti, allinterno e allesterno dei confini nazionali. Le citt fanno parte di unarticolata
gerarchia, politica e amministrativa, con gli stati nazionali che esercitano una forte influenza, sia
sulle politiche della citt, che sigli aspetti pi minimi della vita urbana. Piuttosto che presentarsi
come un sistema compatto, con una comunit integrata ed organica, come nel Medioevo, oggi le
citt sono enormi, tentacolari, sempre pi frammentate (sia dal punto di vista spaziale, che da
quello sociale) diffuse sul territorio e variegate, tanto dal punto di vista sociale, che culturale
(urbanesimo diffuso). Nei paesi industrializzati, la distinzione fra urbano e rurale sembra essere
sempre pi confusa e arbitraria. Tutto ci rende decisamente complicato definire le politiche
urbane. Di conseguenza, non bisogna considerare come politiche urbane tutte quelle che hanno
luogo in citt. Le politiche urbane sono riferite alle politiche che riguardano tematiche urbane e
bisogna distinguerle da quello che il governo della citt.

Un metodo per avvicinarsi alla ricerca di una definizione potrebbe essere quello di considerare le
relazioni tra le funzioni urbane e la forma della citt. Il geografo Harvey cerca di fissare delle basi
concettuali rigorose per definire la specificit delle politiche urbane. Lui stabilisce che
lurbanizzazione dovrebbe venire vista come un processo, non come un oggetto, e, come tale,
necessariamente non ha limiti spaziali fissi, anche se si manifesta spesso allinterno di un
determinato territorio. Il punto di partenza della sua analisi il mercato del lavoro urbano,
definito in termini di estensione dei movimenti giornalieri dei pendolari. La diffusione dei mezzi di
trasporto motorizzati ha fatto s che oggi sia possibile raggiungere quotidianamente il luogo di
lavoro da unarea che si estende ben al di l del centro cittadino. Harvey sostiene che i datori di
lavoro debbano adattarsi alla disponibilit di forza lavoro allinterno dei limiti di ogni regione
urbana. Nel lungo periodo questi limiti non sono insormontabili grazie, ad esempio, lo
spostamento della produzione in un altro Stato. A breve termine, per, gli imprenditori devono
lavorare con la forza lavoro che hanno a portata di mano, la cui qualit diventa quindi
determinante. Formare i dipendenti costa, e quindi, nel breve periodo, linsieme delle qualifiche e
capacit della forza lavoro urbana rappresenta una limitazione. I lavoratori altamente qualificati
possono avere il potere di richiedere salari pi alti, mentre i sindacati possono riuscire ad
aumentare le paghe di quelli meno qualificati, attraverso lazione collettiva. Il risultato, secondo
Harvey, un complesso insieme di lotte ed alleanze tra gli imprenditori, elite urbane, i lavoratori e
le loro famiglie. Inoltre, la gran parte dei guadagni dei lavoratori viene spesa a livello locale.
Ciascun mercato del lavoro urbano, quindi, sostiene una specifica serie di pratiche di consumo,
che vengono determinate dalla distribuzione dei guadagni tra i diversi gruppi sociali.

I limiti geografici, soprattutto alla scala urbana, influenzano sia il lavoro, che il capitale, con due
risultati. Il primo quello che Harvey definisce la tendenza alla coerenza strutturata delle regioni
urbane, che riflette il modello dellinsieme di guadagni e consumi, rafforzato dalle infrastrutture
fisiche e sociali della citt (fisiche: buoni trasporti pubblici; sociali: buoni asili dinfanzia). Il secondo
risultato lo sviluppo di coalizioni di interessi sociali ed economici, che nascono dai conflitti e dai
compromessi sui salati, le pratiche di consumo, la salvaguardia dei vantaggi competitivi e lofferta
di infrastrutture fisiche e sociali. Nel modello della pure competizione non ci sarebbe la necessit
di alleanze politiche ma, nel mondo reale, influenzato dalle condizioni geografiche, le politiche
urbane sono inevitabili.

Questi processi non implicano il fatto che la citt sia un attore politico unico: le classi sociali e le
altre alleanze mutano in continuazione e linsieme di limiti ed opportunit esistenti possono
generare pressioni contrastanti. Leffetto principale, per, la creazione di una regione urbana
come spazio allinterno del quale possano emergere delle politiche urbane relativamente
autonome. Da un lato, questo significa che le citt sviluppano le proprie tradizioni politiche
distintive ed interessi politici localizzati. Daltra parte, per, il contenuto delle politiche della citt
non pu essere derivato direttamente da logiche economiche, ci sono aspetti che sono al di fuori
della logica dellaccumulazione.

Alcuni geografi politici, compreso Harvey, continuano il discorso, cercando di capire come le
differenze nelle pratiche politiche urbane siano collegate ai processi di accumulazione del capitale.
Altri, cercano invece di approfondire la portata e gli obiettivi di quelle politiche urbane
relativamente autonome dalle dinamiche economiche.

Urbanizzazione contemporanea

Le agglomerazioni come San Paolo, Tokyo, Citt del Messico, assomigliano alle regioni urbane
funzionali descritte da Harvey e rappresentano anche una prova del passaggio dalle citt come
luoghi ben distinti ad una pi generale urbanizzazione.

Lammontare della popolazione non il solo parametro di misura dellimportanza delle singole
aree urbane. Taylor attribuisce pi importanza alle funzioni delle citt e ai collegamenti tra esse.
Secondo lui, le citt sono state plasmate nel tempo dai cambiamenti nel loro ruolo nel contesto
internazionale. In questo tipo di approccio, i processi di globalizzazione sono fondamentali in ogni
tentativo di comprendere le citt e le loro politiche. Nello specifico, lapproccio di Taylor tiene
conto della capacit globale delle citt, definita dai servizi offerti al suo interno, in particolare
quelli del settore economico e finanziario. La graduatoria rispecchia la concentrazione di imprese
che offrono questi servizi in ciascuna delle citt considerate. Questapproccio utile a mettere il
luce le funzioni e il ruolo globale delle citt. importante riconoscere per che, anche se le mega
citt esercitano una grande influenza economica, politica e culturale ed inglobano ingenti flussi di
denaro, persone, beni e informazioni, la maggior parte degli abitanti delle citt vive in realt
urbane pi piccole e ordinarie. Nel mondo sono circa cinquanta le citt che superano i cinque
milioni di abitanti e ospitano complessivamente cinquecento milioni di persone, cio solo il 15 %
della popolazione mondiale. Considerando solo le mega citt simboliche rischiamo di perdere di
vista gran parte della realt. inoltre evidente che non esiste un unico modello di crescita e
sviluppo urbano. Realt urbane compatte affrontano sfide diverse da quelle di una metropoli
diffusa.

La geografa Robinson sostiene che si dovrebbe dedicare pi attenzione alle citt ordinarie e
allordinariet della vita urbana e che anzi sarebbe utile considerare tutte le citt come se fossero
ordinarie. Le politiche urbane riguardano i conflitti e le controversie di tutti i giorni, tanto quanto
lindirizzo della crescita economica della citt. E le politiche che sostengono questultima spesso
sono a loro volta ordinarie, poich hanno effetto sulle nostre attivit quotidiane e riguardano le
attivit pi banali della vita urbana, tanto quanto azioni di livello pi elevato.

Le infrastrutture urbane

Una crescente consapevolezza dellimportanza delle strutture materiali, che costituiscono


lossatura di una citt, ha portato lo studio delle infrastrutture urbane a distaccarsi dalle
diramazioni meno note della geografia dei trasporti o della pianificazione urbana, per ritagliarsi un
posto di rilievo nellambito della geografia urbana. Questevoluzione ha molte ragioni. Da un certo
punto di vista, la repentina crescita urbana di molte citt ha caricato di un peso sempre maggiore
le reti materiali dalle quali dipende la loro vita quotidiana. In secondo luogo, queste reti sono
sempre pi interdipendenti. Le infrastrutture sono importanti dal punto di vista tecnico (lo si nota
durante i grandi blackout), ma sono anche strettamente correlate alle pratiche sociali e politiche.
Nellambito degli studi urbani e geografici, c una lunga tradizione di lavori che si occupano delle
politiche della fornitura dei servizi collettivi. Negli anni Settanta e Ottanta, il noto sociologo urbano
Castells ha affermato che i conflitti politici sul consumo collettivo costituiscono il vero nucleo
centrale delle politiche urbane (Mumbai: chi vive nei quartieri informali, slums, ha come principale
difficolt quella dellaccesso a risorse fondamentali come lacqua, i servizi igienici, lelettricit, le
scuole). Oggi i concetti di partnership e partecipazione (della comunit) sono diventati una sorta di
mantra, quando ci si riferisce a nuove forme di realizzazione di servizi ed infrastrutture locali, in
tutto il mondo. Questo discorso evidenzia alcune caratteristiche fondamentali delle politiche
urbane contemporanee. In primo luogo, si mette particolarmente in risalto il ruolo dello Stato
come facilitatore, piuttosto che come fornitore di servizi e attrezzature pubbliche (appaltare a
societ esterne la fornitura di molti servizi urbani). Secondo, lesigenza di organizzare partnership
tra enti pubblici, organizzazioni non governative ed il settore privato stata una caratteristica
dominante della realizzazione di nuove forme di governance urbana in molte realt. Terzo, anche
linteresse per la partecipazione della comunit diventato una caratteristica tipica dei tentativi di
riforma delle modalit di offerta dei servizi, in molte citt del mondo. La partecipazione della
comunit viene anche evocata come componente essenziale in molti altri settori, tra i quali la
pianificazione, la sicurezza, listruzione, la protezione dellambiente e le politiche abitative. Infine,
la ricerca su Mumbai attira lattenzione sui conflitti nellaccesso alla citt e alle sue risorse,
ponendo il problema del valore dei poveri allinterno della citt.

Gentrification

Inizialmente il termine gentrification veniva utilizzato prevalentemente nel settore immobiliare,


riferendosi allacquisto di case da parte della classe media in zone della citt che fino a poco
tempo prima erano occupate da quartieri operai o da aree industriali.

In molte citt europee e nordamericane, verso la met del XX secolo, si assistito a massicci
processi di sub urbanizzazione, grazie allaumento della diffusione di automobili che rendevano
possibile per molti trasferirsi fuori dal centro citt. Lo stile di vita suburbano sembr diventare
lalternativa migliore alle citt, sporche e sovraffollate. Questo processo rese le abitazioni del
centro citt relativamente pi economiche e accessibili per i gruppi sociali pi poveri, creando
delle nette divisioni sociali tra le aree urbane interne, pi povere, e i quartieri suburbani
benestanti. A partire dagli anni Sessanta, per, cominci a delinearsi una controtendenza. Anche
se la sub urbanizzazione continuava, i quartieri centrali, iniziarono a vedere il ritorno delle classi
medie, dando il via a quel processo che prese poi il nome di gentrification. Questo fenomeno si
presentava solitamente in due modi: in alcuni casi, erano gli agenti immobiliari ad acquistare
abitazioni o magazzini nelle aree pi povere della citt o in zone industriali, ristrutturandoli e
rivendendoli a prezzi molto pi alti; altre volte, invece, erano delle singole persone a comprare
delle propriet, che ristrutturavano per andarci a vivere, generando la swear equit
(partecipazione del sudore), ovvero laumento del valore di una propriet dovuto al sudore della
fronte del suo stesso proprietario. In entrambi i casi, il valore di mercato delle propriet
aumentava, trasformando di conseguenza la composizione sociale di questi quartieri. Nelle case in
affitto, gli inquilini pi poveri venivano costretti a trasferirsi, per mezzo dellaumento degli affitti o
di sfratti. I proprietari meno facoltosi approfittavano della nuova domanda di abitazioni della
classe media, vendendo le proprie case. Quando lofferta di appartamenti ed edifici da
ristrutturare cominci a scarseggiare, gli immobiliaristi cominciarono a costruirne di nuovi.

Smith, un geografo, sottolinea come la gentrification sia guidata principalmente da logiche


economiche. Essa avr luogo solo quanto i guadagni conseguenti allo sfruttamento delle
differenze di rendita saranno superiori ai costi necessari per rinnovare le abitazioni. Altri autori
hanno proposto visioni differenti, suggerendo che la forza motrice della gentrification vada
rintracciata nel cambiamento dei gusti e delle aspirazioni dei consumatori.

Si discusso i modo acceso nellambito della geografia, riguardo ai diversi modi di considerare la
gentrification, sia dal lato dellofferta (economia urbana, immobiliaristi, mercato fondiario), che
dal lato della domanda (correnti culturali, gusti e preferenze dei consumatori). Di recente, molti
ricercatori hanno riconosciuto limportanza di entrambi questi elementi, quello che chiaro,
comunque, che la gentrification ha delle profonde ripercussioni sulle politiche urbane.

Dal punto di vista degli urbanisti, degli amministratori cittadini, la gentrification viene solitamente
vista molto positivamente, come rinascimento urbano. Spesso, per aggiungere lustro a questi
cambiamenti del paesaggio urbano, vengono chiamati architetti di grido. In alcuni casi, a fornire
loccasione per ripianificare in solo colpo vaste porzioni di citt, sono i mega eventi. La
gentrification parrebbe quindi generare un processo virtuoso di investimenti, miglioramenti
dellambiente costruito, arrivo di nuovi residenti, aumento della qualit di vita media e una
prospettiva diffusa che, si spera, possa incoraggiare nuovi ulteriori investimenti. Ora che il
fenomeno si consolidato gli effetti della gentrification hanno coinvolto molti aspetti della vita
cittadina, oltre che il mercato immobiliare. In ogni caso, la gentrification non un fenomeno
esclusivamente positivo: per permettere alla nuova classe media di spostarsi allinterno della citt,
i gruppi sociali pi poveri ne vengono espulsi (sfratti, demolizioni).

Secondo Smith, la gentrification e gli spostamenti di abitanti non possono essere considerati
separatamente da una serie di conflitti per gli spazi urbani, come il controllo intensivo dei
comportamenti pubblici, le azioni di allontanamento nei confronti degli homeless e le
discriminazioni nei confronti degli immigrati per quanto riguarda lofferta dei servizi pubblici.
Questa commistione di cambiamenti sociali, trasformazioni economiche e regolazione pubblica ha
generato secondo la prospettiva di Smith, la citt revanscista. Secondo Smith, la gentrification
sarebbe proprio una vendetta della classe media, potente e in crescita, che si riprenderebbe la
citt che era stata occupata dai lavoratori, dai poveri e dai gruppi marginali.

Quello dellappartenenza di classe non lunico fattore di divisione sociale che si collega alla
gentrification. Anche il genere importante e, in molti casi, la razza.

Il fenomeno della gentrification ci permette di far emergere molti aspetti chiave delle politiche
urbane contemporanee. Dimostra che le politiche urbane non sono solo quelle che si determinano
allinterno delle istituzioni formali dellamministrazione cittadina. La gentrification ci rivela anche il
passaggio da un approccio pubblico ad uno privato e orientato al mercato nei confronti dello
sviluppo urbano. I fautori di questo cambiamento mettono laccento sulla grande quantit di
capitale che ora viene investito in zone prima fatiscenti e ritengono che i benefici potranno
diffondersi ad altri quartieri svantaggiati. I critici puntano invece il dito contro le crescenti
disuguaglianze che derivano dalleccessiva fiducia nei confronti delle soluzioni del mercato e
sostengono che ci siano ben poche prove della reale diffusione di effetti positivi in altri quartieri.
Tutti sono daccordo sul fatto che la gentrification sembra destinata a continuare, aumentando la
propria portata e la propria estensione territoriale.

Public cities e city publics

necessaria qualche riflessione sullidea di pubblico e sulla sua relazione con gli spazi urbani. Molti
hanno associato i cambiamenti collegati alla gentrification con uno spostamento dal pubblico al
privato. Gli spazi pubblici continuano ad esistere, ma sono sottoposti a regolamentazioni sempre
pi stringenti. Il significato di pubblico e privato viene dato per scontato, ma in realt sono pi
complessi. Il pubblico viene fatto corrispondere a qualcosa di aperto a tutti, oppure di propriet
pubblica, mentre il privato viene associato a restrizioni nellaccesso o alla gestione di un individuo
o di unimpresa.
Il geografo Iveson ha analizzato in dettaglio questa problematica, a partire da unimportante
distinzione tra approcci topografici e procedurali agli spazi pubblici. La definizione pi comune
di spazio pubblico urbano topografica: si riferisce a determinati luoghi della citt che sono aperti
a tutte le componenti della popolazione urbana; tutti gli spazi pubblici collocabili su una mappa.
Questo approccio presenta per due problemi. Il primo che molte delle tesi in favore di un
migliore accesso agli spazi pubblici vengono formulata in termini di perdita e rivendicazione.
Laccesso agli spazi pubblici sempre stato limitato e fonte di conflitti, spesso tra diverse
componenti della stessa popolazione urbana. Il secondo problema dellapproccio topografico
che si tende a far coincidere il pubblico con lo stare in uno spazio pubblico. Iveson sintetizza
queste problematiche suggerendo che lapproccio topografico combini insieme tre diversi aspetti
del pubblico: il contesto dellazione (spazio pubblico), il tipo di azione (orientamento pubblico) e
un attore collettivo (il pubblico, la popolazione). Di qui lidea che non esista una distinzione netta e
rigida tra pubblico e privato. Una persona pu svolgere delle attivit pubbliche in uno spazio
privato. Al contrario, in uno spazio pubblico, ci si pu occupare di questioni private.

Laltro approccio, quello procedurale, definisce come spazio pubblico qualunque luogo nel quale si
realizzino alcune azioni di orientamento o di tipo pubblico. Con questespressione si possono
intendere, per esempio, la comunicazione con un pubblico, attraverso testi scritti, discorsi,
immagini o rappresentazioni (tenere un discorso in tv, rappresentazione teatrale in piazza). In
questo caso siamo di fronte ad un paradosso: unazione pubblica diventa tale solo perch si sta
effettuando in pubblico. Il problema dellapproccio procedurale, per, che minimizza
limportanza degli aspetti materiali degli spazi pubblici. Iveson sottolinea come qualunque spazio
pu diventare pubblico, senza difficolt e senza differenze, semplicemente perch viene usato a
questo scopo. Il suo lavoro dimostra invece come diverse tipologie di luoghi materiali possono
diventare pubbliche in vario modo, a seconda dei gruppi di persone da cui vengono utilizzate e del
modo in cui viene messo in atto.

Le politiche urbane si occupano prevalentemente di cosa pubblico e di cui sono i fornitori,


nellambito di visioni contrastanti. Iveson ritiene che non ci sia una relazione diretta tra attivit e
tipologie specifiche di spazzi pubblici urbani. Esiste una relazione dinamica tra le azioni associate al
pubblico e i diversi tipi di luoghi e spazi della citt. La citt, secondo Iveson, non un palcoscenico,
sul quale si reciti lessere pubblico. Piuttosto, la citt pubblica deve essere prodotta attraverso
elaborazioni politiche, che cercano di creare ci che pubblico.

Politiche dellidentit e movimenti sociali


Si sempre guardato con molto interesse alle nozioni di identit condivisa o identit collettiva, per
quanto riguarda lappartenenza a gruppi definiti in base a caratteristiche sociali o culturali, come il
genere, la razza, letnia, la religione o la provenienza. Lidentit complessiva di un individuo pu
venir vista come il risultato del suo genere della sua classe, delle sue origini etniche e di altri
elementi identitari, diversi da persona a persona.

Possiamo parlare di politiche dellidentit, quando la diversit identitaria di un gruppo fonte di


conflitti o diventa loggetto intorno al quale ruotano azioni finalizzate a portare ad un
cambiamento sociale (disabili che si organizzano intorno ad unidentit comune). Le politiche
dellidentit costituiscono unimportante base per molti movimenti sociali.

I movimenti sociali sono uno degli strumenti pi importanti che le persone hanno per riuscire a
scrivere la propria storia e ci che interessa come fare la storia dipenda da delle geografie e
le determini.

I movimenti sociali

Con la definizione movimenti sociali ci si riferisce a gruppi di persone che perseguono obiettivi
condivisi, richiedendo un cambiamento sociale o politico . ovviamente diversa la portata del
cambiamento al quale ambiscono e le parti della societ che ritengono interessate. Un movimento
rivoluzionario pu ricercare il completo rovesciamento dellordine sociale esistente. I movimenti
sociali sono anche dopposizione o contenziosi, ossia si oppongono ad uno o pi elementi
dellordine politico e sociale esistente. Questo significa che sono in conflitto con altri gruppi o
istituzioni della societ, che vorrebbero invece preservare lo status quo. Alcuni movimenti sociali si
occupano di ununica tematica. Concentrandosi su un unico asse di conflitto allinterno della
societ. Per questo motivo, i partiti politici vengono distinti dai movimenti sociali, poich cercano
di ottenere un vasto consenso su temi molto diversi tra loro. Ad ogni modo non c una
separazione netta tra i due concetti: i movimenti possono diventare partiti e i partiti possono
appoggiare alcuni specifici gruppi dinteresse.

Lazione politica implica sempre la messa in campo di strategie e questo vero per i movimenti
sociali, quando cercano di ottenere il cambiamento che vorrebbero nella societ. Secondo il
sociologo Giddens, ogni aspetto della vita sociale necessita di un monitoraggio riflessivo
dellazione: chi appartiene ad un movimento sociale vuole portare determinati cambiamenti nella
societ nel suo insieme questo implica tentativi espliciti di direzionare le attivit del movimento,
alla luce dei suoi successi e dei suoi fallimenti passati.

Secondo Nicholls, i movimenti sociali posseggono altre due caratteristiche. Primo, sono reti di
individui ed organizzazioni, piuttosto che singole istituzioni. Significa che le loro geografie possono
essere pi diffuse di quelle delle organizzazioni formali, che agiscono in contesti territoriali fissi.
Secondo, i movimenti sociali utilizzano strumenti non convenzionali (proteste, boicottaggi,
manifestazioni) al posto della tradizionale politica elettorale. La realt dei movimenti sociali
supera, quindi, la distinzione tra politica formale delle istituzioni ufficiali e quella informale della
vita di tutti i giorni, trasferendo alcuni temi dallarena informale allagenda politica formale.
Questo processo determina anche una partecipazione diretta, attiva, della gente comune alla vita
politica.

Molti studiosi ritengono che i cambiamenti sociali siano il risultato di battaglie allinterno della
societ. Occupandoci dei movimenti sociali, possiamo capire pi in concreto come sono avvenute
queste battaglie e come hanno influenzato la geografia.

Dagli anni Settanta, i geografi che studiavano i movimenti sociali hanno dedicato molta attenzione
al concetto di movimenti sociali urbani, sviluppato da Castells, il quale sostiene che la citt pu
venire identificata con larena nella quale avviene la riproduzione sociale della forza lavoro. Con lo
sviluppo del capitalismo, gli strumenti della riproduzione sociale (abitazioni, servizio sanitario)
sono stati sempre pi spesso forniti dallo Stato e la citt diventata il luogo di battaglie e conflitti
per questi servizi, con le amministrazioni cittadine che diventano il bersaglio delle lotte dei
movimenti sociali urbani per ottenerne un loro miglioramento. Nei suoi lavori pi recenti, Castells
allarga loggetto del proprio interesse, ai numerosi nuovi movimenti sociali (new social
movements). Questa definizione si riferisce a qui movimenti che hanno assunto una particolare
importanza negli anni Sessanta e Settanta (femminismo, ambientalismo, diritti civili), che hanno
preso piede in risposta al crollo delle comunit tradizionali conseguente allo sviluppo delle grandi
citt, alla rapida diffusione del progresso tecnologico ed alle sue crescenti minacce sugli equilibri
ambientali e militari e allincapacit degli stati di risolvere le contraddizioni tra la crescita
economica ed i suoi effetti sociali, culturali ed ambientali.

Approcci oggettivi e soggettivi ai movimenti sociali

Esistono due diversi approcci allinterpretazione dei movimento sociali: quelli che mettono
laccento sulle condizioni oggettive che portano alla loro nascita e quelli che si concentrano
invece sulle esperienze soggettive, che spingono le persone a prendere parte ai movimenti.
Spesso sono le disuguaglianze oggettive a portare alla mobilitazione sociale.

Entrambe queste prospettive hanno degli aspetti condivisibili. Chiaramente probabile che le
condizioni economiche e sociali nelle quali si sviluppano ed agiscono i movimenti influenzino in
modo determinate le loro strategie ed il loro successo. Allo stesso modo, la politica dei movimenti
sociali deve essere vista anche come il risultato delle visioni, delle emozioni e delle percezioni delle
persone che ne fanno parte. Presi separatamente, per, entrambi questi approcci hanno dei limiti.
Se si enfatizzano le condizioni oggettive, diventa difficile spiegare perch i movimenti sociali
nascano in alcune situazioni e non in altre con condizioni oggettive apparentemente simili. Al
contrario, difficile rendere conto dello sviluppo di movimenti dalle caratteristiche analoghe in
circostanza molto diverse tra loro. Attribuire maggiore importanza allesperienza soggettiva
sembra offrire, ad un primo sguardo, la soluzione a questo enigma. Forse, circostanze simili
generano risultati diversi perch sono diverse le persone che partecipano agli eventi, cos come le
loro idee e le loro percezioni, che portano a leggere in modo diverso le situazioni.
Questinterpretazione, per, non spiega come queste idee e queste percezioni si siano formate
inizialmente e poich probabile che queste siano fortemente influenzate dalle circostanze nelle
quali si sviluppano, eccoci al punto di partenza. Pu essere utile, dunque, combinar gli spunti di
entrambi gli approcci: certamente le circostanze economiche e sociali sono importanti, ma se da
un lato influenzano lo sviluppo della coscienza civile, dallaltro essere vengono anche interpretate,
con risultati diversi da questa stessa coincidenza.

Qui, ci si concentra su come e perch determinati sentimenti umani, come lappartenenza ad un


gruppo, vengono messi in campo in una mobilitazione politica e come i contesti nei quali
nascono questi movimenti sociali vengono utilizzati da questi per lo sviluppo di strategie politiche.
Politiche dellidentit e differenze sociali

Molti movimenti sociali sono strettamente associati alle identit individuali di chi ne fa parte ed
alla politicizzazione di queste identit. Il femminismo implica la politicizzazione delle identit delle
donne in quanto donne. In casi come questi, il legame tra il movimento e le identit personali
molto importante. Altre realt (movimento ambientalista), al contrario, cercano di fare appello ad
un sentimento condiviso di appartenenza al genere umano ed ambiscono ad essere universali. La
tensione tra universalismo, da un lato, e lenfasi sulle differenze didentit, dallaltro, viene
discussa in dettaglio negli studi della politologa Young, la quale descrive due approcci contrastanti,
con i quali vengono affrontati i problemi delle disuguaglianze e delloppressione sociale. Questi
due paradigmi di liberazione in competizione sono lideale dellassimilazione e lideale della
libert. Secondo lideale dellassimilazione, la liberazione dalloppressione verr raggiunta quando
le differenze sociali cesseranno di avere unimportanza politica. Lideale assimilazione agisce per
una societ nella quale tutte le differenze tra i gruppi sociali smettono di avere qualsiasi tipo di
importanza. La Young sostiene il fatto che lideale dellassimilazione sia stato molto importante in
politica, sottolineando, il pari valore morale di tutte le persone e quindi il diritto di ognuno di
partecipare e di non essere escluso da tutte le istituzioni e le posizioni di potere. Tuttavia, la Young
preferisce lalternativa dellideale della diversit, sottolineando che, anche se la posizione
assimilazioni sta ha il suo fascino, rimane unutopia e che, nella situazione attuale, i gruppi sociali
considerano gli aspetti distintivi delle proprie identit come una forza. Lideale della diversit
predica il rispetto delle differenze, piuttosto che il loro annullamento, insistendo anche sul fatto
che le differenze tra alcune componenti della societ debbano portare a trattamenti differenziati.

Secondo Young, limportanza dellenfasi sulle differenze sociali nasce sia dalla continua
oppressione di alcuni gruppi su altri, sia dalla forza politica e culturale che proviene dalle identit
di gruppo. La diversit diventa quindi un aspetto positivo della societ e non deve essere la base di
discriminazioni sistematiche. Altri autori sostengono che accordare eccessiva importanza alle
differenze sociali rischi invece di portare allessenzialismo, ovvero a concepire le differenze di
identit come caratteristiche intrinseche e permanenti della societ. Lessenzialismo potrebbe
costringere ad una scomoda scelta tra loppressione permanente e la separazione.

Young sostiene che dare importanza alle differenze non significa adottare una nozione essenziali
sta di identit, definendo la differenza in termini di relazioni tra gruppi, piuttosto che di
caratteristiche essenziali di questi. La formazione di gruppi non un processo rigido ed oggettivo,
nel quale gli individui possono venire assegnati ad un gruppo sulla base di identit fisse e
permanenti, ma, al contrario, i movimenti sociali basati sulle identit collettive sono porosi e non
esclusivi. La concezione che lei propone delle differenze e dellidentit conferma che lidentit di
ciascuno di noi proviene da diverse fonti. Ciascun individuo al centro di una rete di potenziali
identit multiple. Per solo alcune identit costituiscono la base dei movimenti politici, e questo
perch le diverse identit sono politicizzate in modo diverso, in diversi periodi e in diversi luoghi.
Spazi e scale dei movimenti sociali in Italia

Anche in Italia, a partire dagli anni Sessanta, i movimenti sociali hanno assunto un ruolo
fondamentale nel processo democratico. Questi movimenti hanno riunito le persone in base a
obiettivi comuni che, tuttavia, molto spesso non sono stati, e non sono, perseguibili su una stessa
scala geografica. stato nel rapporto con lo spazio geografico che i dibattiti locali hanno assunto
importanza nazionale e dibattiti internazionali sono stati portati sulla scala nazionale. In sostanza,
lo spazio stato veicolo di transcalarit attraverso cui i movimenti sociali si sono solidificati,
talvolta arrivando al punto di trasformarsi in partiti politici (Lega Nord e Movimento 5 Stelle,
inizialmente erano movimenti).

I centri sociali, strettamente legati al territorio, sono stati, pi volte simbolo di un passaggio di
scala dal locale al nazionale e allinternazionale. Sulla scala locale hanno coinvolto movimenti
urbani (riqualificazione delle periferie), su quella nazionale hanno portato avanti campagne
politiche comuni (come quella contro il nucleare), su quella internazionale hanno rappresentato il
modo in cui alcuni movimenti si sono radicati al territorio (quello pacifista). In definitiva i centri
sociali si configurano come organizzatori locali che collegano movimenti locali e tessono reti
globali, permettendo cos connessioni tra pi scale.

Identit socio culturali: discorsi e risorse

possibile capire perch solo alcune identit socio culturali vengano politicizzate considerando
le relazioni tra i discorsi e le risorse. Levoluzione di un gruppo sociale in un movimento necessita
della costruzione discorsiva degli elementi che differenziano quel gruppo dagli altri, elevandoli ad
oggetto di rilevanza politica. La capacit di un movimento sociale di capitalizzare questa
politicizzazione dipende per anche dalla combinazione di risorse che in grado di mettere in
campo. Le costruzioni discorsive che si realizzano in un movimento sociale possono svilupparsi in
diversi modi. Spesso un evento simbolico a far partire la scintilla che incendia un movimento.
Dopo uno slancio iniziale, un movimento deve venire sostenuto attraverso unulteriore evoluzione
discorsiva. I movimenti sviluppano delle narrazioni riguardo alla propria storia, ai propri grandi
pensatori, ad attivisti particolarmente importanti, a sconfitte tragiche e vittorie gloriose.
Solitamente il movimento viene rappresentato come una lotta contro loppressione o la
discriminazione. Oltre le idee e le storie, per il successo o il fallimento di un movimento sono
determinanti le risorse alle quali esso pu attingere per promuovere le proprie idee. La teoria della
mobilitazione delle risorse punta a spiegare il successo dei movimenti sociali in termini di
disponibilit di risorse. Esistono diverse tipologie di risorse: materiali (denaro) e simboliche
(capacit organizzativa, storie). La teoria della mobilitazione delle risorse si fonda sulla teoria della
scelta razionale, secondo la quale le persone agiscono sulla base di calcoli razionali relativi ai costi,
ai benefici e alle probabili conseguenze di tutti i propri comportamenti possibili. I critici
riabbattono che il comportamento umano, in realt, pu essere spesso impulsivo, abitudinario o
influenzato dalle emozioni e che in ogni caso noi siamo in possesso di informazioni troppo scarse
per calcolare con precisione in anticipo tutti i costi e i benefici di unazione, quindi le nostre azioni
possono essere non intenzionali o impreviste. Quindi probabile che laccesso a risorse materiali e
simboliche sia fondamentale per spiegare il successo o il fallimento dei movimenti sociali, anche se
il loro utilizzo potrebbe non essere stato pianificato razionalmente in anticipo. Tarrow sostiene che
anche le opportunit politiche sono determinanti per la crescita o il declino di un movimento
(movimenti che agiscono in ambiente politico favorevole cresceranno pi facilmente).

Le geografie dei movimenti sociali


Spazi, luoghi e scale dei movimenti sociali

Ogni movimento sociale ha una propria geografia. Ciascuno di essi agisce ad una determinata scala
geografica o ad una combinazione di scale, ed probabile che abbia pi o meno forza oppure
maggiore successo in alcuni luoghi piuttosto che in altri. I movimenti sociali sono inoltre strutturati
su base geografica, in almeno tre modi. In primo luogo, ogni movimento sociale si sviluppa in uno
specifico contesto geografico, che fornisce le risorse e le opportunit del suo sviluppo. Il contesto
non necessariamente ristretto e molte risorse ed opportunit possono essere disponibili in
unarea vasta, ma nessuna del tutto ubiquitaria (distribuzione delle possibilit di accesso alla
pubblicit disuguale ed alcuni movimenti sociali vi avranno pi facilmente accesso). Secondo, i
movimenti sociali hanno delle caratteristiche molto diverse nelle varie regioni del mondo. Infine,
le recenti ricerche condotte in geografia hanno cominciato ad analizzare come i movimenti sociali
utilizzino la geografia per raggiungere i propri obiettivi. Questo pu implicare sforzi espliciti di
aumentare la propria scala dazione, di mettersi in rete con attivisti di altri territori o di radicare la
propria attivit in un contesto locale, concentrandosi su temi specifici del luogo.

La scala

La scala spaziale un termine usato in riferimento allo spazio ed alla sua estensione. In geografia
ci si riferisce ad essa, intesa come livello geografico di analisi di un fenomeno o della sua
rappresentazione. Levy distingue tra scala cartografica e scala geografica. La scale cartografica
definisce il rapporto tra la realt e la sua rappresentazione sulla carta. A seconda del livello di
dettaglio con il quale si vuole rappresentare o studiare un fenomeno territoriale si utilizzer una
carta a grande scala, che descrive un territorio fin nei pi piccoli dettagli, oppure una carta a scala
pi piccola, che permette di visualizzare porzioni maggiori di territorio. La scala geografica riguarda
invece le soglie spaziali di ogni azione, individuale o collettiva, dalla scala minima, quella
dellindividuo e dei suoi immediati dintorni, fino alla scala globale.

Sheppard e MacMaster individuano cinque tipi diversi di scala: cartografica, osservazionale


(lestensione spaziale dellarea di studio di un determinato fenomeno), di misura (risoluzione, la
dimensione delle pi piccole parti distinguibili di un oggetto), operazionale (lestensione
dellambito spaziale entro cui un soggetto o un processo agiscono), prodotta (scala costruita
nellazione sociale, come taglia, livello gerarchico o in relazione con le altre scale.

Uno degli apporti principali della geografia nello studio della realt lutilizzo di un approccio
multi scalare e transcalare. Il primo termine si riferisce ad uno sguardo analitico che tenga conto
contemporaneamente delle diverse scale alle quali avviene un fenomeno, mentre il secondo pone
laccento in particolare sulla relazione tra le diverse scale di riferimento.
Le geografie dei movimenti sociali: classe, identit e sindacalismo

I sindacati sono dei movimenti del lavoro, organizzazioni collettive di lavoratori che operano
insieme per far valere i propri interessi. La loro funzione principale quella di negoziare con gli
imprenditori, per quanto riguarda gli stipendi e le condizioni di lavoro. In Occidente, i sindacati
moderni stanno diventando come altre associazioni e societ, che offrono dei servizi in cambio di
uniscrizione, anche se le loro origini vanno cercate nei movimenti sociali creati dagli stessi
lavoratori.

I movimento sindacali si fondano su identit costruite a partire dal lavoro e dalla classe sociale.
Come tutte le altre, anche le identit di classe emergono dalla relazione tra le diverse classi sociali
e sono, in parte, il prodotto di costruzioni discorsive. Molti lavoratori dipendenti sentono
fortemente la propria identit professionale. Affinch ci sia partecipazione ai movimenti sindacali
deve esistere almeno un minimo di sentimento didentit professionale che pu essere legata ad
unidentit di classe gi presente, oppure, la stessa identit di classe a svilupparsi in seguito alla
partecipazione alle attivit sindacali. In entrambi i casi, ci che sta alla base dei movimenti dei
lavoratori anche prodotto da una costruzione discorsiva (discorsi retorici, propri eroi, proprie
vittorie e sconfitte).

Spazi, luoghi e movimenti sociali

La nascita dei movimenti sindacali parte del cambiamento nella produzione industriale e della
formazione delle economie capitalistiche avvenuto nel XVIII secolo, in relazione al nuovo carattere
assunto dagli stati, che hanno cercato di controllare lo sviluppo dei sindacati limitando la loro
azione alle questioni economiche, senza permettere loro di sfidare lordine politico. Gli stati hanno
spesso cercato un compromesso con i sindacati, che ha portato, alla nascita del welfare state.

Il sindacalismo ha una geografia complessa, che diventata un interessante argomenti di ricerca


per i geografi, allinterno del campo della geografia del lavoro. Oggi siamo abituati a parlare dei
movimenti sindacali in termini nazionali. Nelle fasi iniziali, per, i sindacati si occupavano di
questioni molto pi locali. Nel UK le unioni artigianali agivano spesso solo in determinate citt,
dove veniva praticato un certo tipo di artigianato. Il XX secolo ha visto la nascita in molti paesi di
grandi sindacati generali, che rappresentavano i lavoratori non solo provenienti da diversi rami e
professioni, ma anche da diversi settori. Si verificato anche un grande aumento delle dimensioni
del settore pubblico di molti paesi e della percentuale di forza lavoro al suo interno appartenente
ad un sindacato. Entrambe queste tendenze hanno contribuito allistituzione dei grandi sindacati
nazionali. Sono evidenti, del resto, anche i tentativi di segno opposto di molti governi ed
imprenditori, che puntano ad introdurre una maggiore flessibilit nel mercato del lavoro,
incoraggiando o costringendo i sindacati e i lavoratori a negoziare le condizioni dellimpiego a
livello di azienda, stabilimento, gruppo di lavoro o a livello individuale, anzich su scala nazionale o
di settore.

Una ricerca di Painter sui sindacati nel settore pubblico britannico ha evidenziato come le risposte
dei sindacati alla minaccia della privatizzazione siano state molto diverse nelle varie parti del
paese; e non dipendenti, solamente, dalle differenze socio economiche delle regioni. Queste
differenze sono in parte il risultato di modelli di privatizzazione diversificati, ma sono anche state
fortemente influenzate dalla locale disponibilit di risorse, tra le quali il tempo messo a
disposizione dagli attivisti dei sindacati e dei loro funzionari, le risorse finanziarie, le infrastrutture
organizzative, le tradizioni di attivismo sindacale e la cultura del lavoro locale.

Questi risultati confermano la tesi esposta da Herod, ovvero che i movimenti sociali di lavoratori
sono coinvolti attivamente nella produzione dei paesaggi del capitalismo, ma con modalit
geografiche disomogenee.

Le geografie del femminismo e dei movimenti femminili: il femminismo in geografia

A partire dagli anni Sessanta c stato un forte aumento delle attivit a sostegno dei diritti delle
donne, contro il continuare delle discriminazioni e delle disuguaglianze di genere.

I geografi hanno portato un importante contributo alle idee ed alle pratiche femministe.
Inizialmente, la preoccupazione era quella di rende visibili le donne nella ricerca. La geografia,
infatti si era preoccupata soprattutto della spazialit e dei luoghi degli uomini, ignorando la
diversit sistematica delle esperienze geografiche dellaltra met dellumanit.

La geografia ha anche indagato come le relazioni spaziali, le caratteristiche dei luoghi ed i paesaggi
geografici esprimano, e nello stesso tempo costituiscano, disuguaglianze di genere. Questo
significa che queste disuguaglianze tra uomini e donne si manifestano nella geografia del mondo
(simboli dominanti dei paesaggi), ma sono anche a loro volta influenzate dalle geografia.

Un filone della geografia femminista considera anche come le stesse conoscenze geografiche
abbiano delle connotazioni di genere. Il pensiero geografico si fonda su una visione tipicamente
maschile di cosa significhi conoscere il mondo per un geografo.

Se si sono fatte molte ricerche sulle geografie di genere e sulle connotazioni di genere della
geografia, molta meno attenzione stata dedicata alle geografie del femminismo e dei movimenti
femminili. Questo si verificato per ragioni comprensibili. Molte geografe femministe, infatti, si
sono preoccupate di partecipare ai movimenti delle donne, piuttosto che scrivere di essi. Uno
studio della geografia dei movimenti sociali, deve senza dubbio includere i movimenti femminili,
che hanno rappresentato uno dei movimenti sociali pi influenti del XX secolo.

Geografia, differenze e politiche femministe

Anche i movimenti femministi si sono sviluppati in modo disomogeneo.

Un ambito di studio della geografia riguarda le differenze del ruolo e delle esperienze delle donne
nei diversi sistemi sociali e culturali del mondo, in particolare per quanto riguarda la famiglia, la
cura dei figli, il rapporto tra le donne ed il mondo del lavoro e la visione del genere femminile da
parte delle tradizioni religiose. Queste diversit hanno portato alla variet dei percorsi di sviluppo
dei movimenti femminili nel mondo.
Le differenze nellesperienza delle donne nelle diverse societ sono state indagate a fondo
soprattutto negli anni Ottanta e Novanta. Ad esempio, le femministe nere sostenevano che il
pensiero femminista fino ad allora non aveva dato abbastanza peso alle diversit dellessere
donna nelle differenti comunit etniche, religiose e culturali. Questa presa di coscienza delle
differenze tra donne ha sollevato diversi interrogativi. La politologa Fraser ha collegato questi
cambiamenti nellattivismo politico femminista a mutamenti pi generali e di scala maggiore. Essa
individua tre fasi dello sviluppo del femminismo, a partire dagli anni Settanta. La prima quella dei
nuovi movimenti sociali, che determina una critica radicale della ridefinizione delle strutture
della socialdemocrazia dopo la Seconda Guerra mondiale. La seconda fase si focalizza soprattutto
sulle politiche identitarie, mentre la terza fase, quella attuale, coinvolge forme di politica
transazionali. A ciascuna di queste fasi, corrisponde una geografia specifica: la prima fase
comprende i movimenti nordamericani e dellEuropa Occidentale; la seconda fase ha trovato
espressione negli Usa; e la terza fase si sviluppata negli spazi politici transazionali associati
allEuropa. Secondo Fraser il passaggio da una fase allaltra non deve essere visto solo come il
frutto di cambiamenti interni al femminismo, ma come leffetto di trasformazioni politiche ed
economiche pi ampie. In particolare, il passaggio alla terza fase, riflette, da un lato, le nuove
possibilit di alleanze transazionali dovute allintegrazione degli stati europei, dallaltro il clima
ostile che le femministe hanno dovuto affrontare negli Usa dopo l11 settembre. Lanalisi di Fraser
sembra sottovalutare, per, limportanza dei contributi al movimento femminista provenienti da
altre aree, sottolineando comunque, limportanza del rapporto tra le caratteristiche di un
movimento sociale ed il suo contesto. Questo contesto pu anche essere considerato alla scala
locale, tanto che le attivit dei movimenti femministi si manifestano con delle notevoli differenze,
anche allinterno dello stesso Stato. Quindi lattivismo femminile pu anche essere associato a
contesti locali molto specifici (movimento femminista che ha grande risonanza solo in certe parti
di uno Stato facilitato dalla specifica composizione politica che si ha in quel luogo).

Uno degli effetti politici pi importanti dei movimenti femminili stato quello di estendere la
concezione della politica, fino ad includere la sfera del persona e del privato, considerata
tradizionalmente femminile, a differenza di quella pubblica, vista come maschile.Tutto ci
comincia a rivelarci qualcosa delle complesse geografie dei movimenti femminili: i cambiamenti
storici nel loro baricentro geografico, il loro sviluppo disuguale allinterno dello stesso sistema
politico nazionale, la loro trasgressione delle norme sociali associate a determinati luoghi ed il
rimescolamento che hanno effettuato della tradizionale divisione tra sfera pubblica e privata.

Trasformazione da movimenti sociali alla politica DIY (Do It Self)

Ci sono partiti politici, gruppi di pressione e molte associazioni di volontariato e non governative
che sono nate come parte di un movimento sociale.

Per chi interessato a promuovere un cambiamento politico, questo passaggio ha i suoi pro e i
suoi contro. Per chi vuole lavorare allinterno del sistema politico dominante, istituire delle
organizzazioni formali pu portare ad una maggiore legittimazione ed aumentare laccesso alle
risorse e ai processi decisionali. Altri potrebbero invece temere che questo accesso abbia un costo,
mettendo a repentaglio le reali finalit, gli obiettivi e i principi del movimento. Gli stati
liberaldemocratici spesso sono abili nel soddisfare alcune richieste dei movimenti di protesta,
ottenendo in cambio la loro disponibilit ad agire allinterno del sistema esistente.

Da quanto i movimenti sociali sono maturati o si sono fossilizzati, sono nate nuove forme di
mobilitazione politica, ai margini della politica formale o, a volte, completamente al di fuori del
sistema (eco guerrieri, organizzatori di disobbedienza civile).

Le geografie dei movimenti militanti dicono molto delle loro tattiche politiche (Esercito dei Clown).
Le organizzazioni politiche pi formali tendono ad agire allinterno di territori ben definiti e con le
loro rappresentanze territoriali che operano allinterno di una struttura gerarchica. Le
organizzazioni di attivisti di base, invece, spesso agiscono nellambito di reti orizzontali e cercano
esplicitamente un collegamento tra il locale ed il globale. Di conseguenza, la definizione
movimenti antiglobalizzazione impropria, dal momento che, di fatto, molti movimenti di base
per la giustizia cercano di diffondere una forma alternativa di globalizzazione. Questo ha anche
delle implicazioni sul modo in cui vengono viste le geografie del potere. Il geografo Allen ha scritto
molto riguardo alla localizzazione del potere, affermando che diversi tipi di potere portano diverse
geografie. Un potere come lautorit, ad esempio, pu essere esercitato con maggiore incisivit da
vicino, mentre uno pi debole, come la seduzione, agisce meglio da lontano (potere seduttivo
della pubblicit). Questi diversi tipi di potere e le loro diverse geografie sono soggetti a diverse
forme di resistenza. Secondo Allen, una delle forme di resistenza allautorit pi efficaci proprio
il riso (i Clown ci hanno visto giusto).
Nazionalismo e regionalismo
Il nazionalismo una delle forze politiche pi potenti ed ambigue del mondo contemporaneo. Il
duplice volto del nazionalismo collegato ai suoi elementi allo stesso tempo emancipatori e
repressivi. Se da un lato, infatti, esso ha rappresentato il riferimento ideologico delle battaglie di
liberazione dalloppressione coloniale, dallaltro stato causa di episodi di odio estremo, culminati
perfino in genocidi.

Oltre a queste differenze politiche, ci sono anche delle importanti variazioni geografiche nei
movimenti e nei conflitti nazionalisti.

Nazioni e identit nazionale

Una delle prime definizioni di identit nazionale del filosofo Renan: una nazione unanima, un
principio spirituale, costituita veramente da due sole cose, una appartenente al passato e una al
presente. La prima un ricco patrimonio di memorie condivise, mentre laltra il consenso
presente, il desiderio di vivere insieme, la volont di continuare ad attribuire valore ad uneredit
comune. Le nazioni sono quindi raggruppamenti creati su base culturale, pratiche culturali
condivise dai membri di una comunit umana. Nonostante ci sia un generale accordo sui principi di
base di questa definizione, c stato un grande dibattito tra gli studiosi riguardo alle origini
storiche e geografiche delle nazioni. Queste discussioni hanno portato ad un numero infinito di
classificazioni dellidentit nazionale, ognuna delle quali mette in risalto diversi aspetti politici,
culturali, demografici e sociali dellidentit nazionale. Bisogna capire quando sono nate le prime
nazioni per orientarsi in queste innumerevoli categorizzazioni dellidentit nazionale.

La prospettiva primordiali sta

Alcuni studiosi hanno affermato che le nazioni sono intrinseche alle stessa natura delluomo:
essere uomini significa anche appartenere ad una nazione. Si fa spesso riferimento a questa tesi
con il termine di primordialismo, in quanto sostiene che le nazioni siano esistite fin dal principio
dellumanit. In questa visione, lidentit nazionale viene spesso rappresentata come un tratto
biologico, un modo dessere determinato dalla genetica. In questa visione lidentit nazionale non
una costruzione teorica, ma un fenomeno reale e tangibile che divide la popolazione umana in
gruppi.

Questa prospettiva stata rifiutata da quasi tutti gli studiosi. Uno dei principali limiti di questa
prospettiva quello di non riuscire a spiegare le marcate differenze che si possono riscontrare nel
sentimento nazionale e nellattivismo nazionalista (se il nazionalismo biologico come mai
qualcuno lo sente di pi e qualcun altro di meno?). Per sostituire le teorie primordialiste, alcuni
studiosi hanno individuato le radici dellorigine del nazionalismo nella nascita dello Stato moderno.
Anzich considerare le nazioni come una parte inevitabile dellesistenza umana, lidentit
nazionale viene dunque vista come una conseguenza di specifici percorsi di sviluppo sociale,
culturale ed economico. Questo non significa che il nazionalismo debba essere considerato
semplicemente un fenomeno moderno. Allinterno di questa posizione, possiamo individuare due
prospettive concettuali: etno simbolismo e modernista.
La prospettiva etno simbolista

Lapproccio etno simbolista trattato nei lavori del sociologo Smith, secondo il quale la maggior
parte delle nazioni, comprese quelle di origine pi antica, sono state fondate su legami e
sentimenti etnici e su tradizioni popolari, che hanno fornito le risorse culturali per la successiva
formazione della nazione. Lutilizzo del termine etnico implica un riferimento a legami di sangue
ed origini genetiche comuni. Queste connotazioni sono molto importanti per gli aspetti discorsivi
dellidentit nazionale ed importante mettere bene in evidenza come questa possa essere
considerata il frutto di costruzioni discorsive. Proponendo un approccio etno simbolista, Smith
non rifiuta completamente lidea che alcuni aspetti dellidentit nazionale esistano da prima della
nascita dello Stato moderno, anche se non accetta che ci si possa riferire con il termine di nazione.
Piuttosto, egli sostiene che le identit nazionali si siano sviluppate a partire da identit etniche, in
seguito a determinati cambiamenti sociali, economici e politici. In particolare suggerisce che,
affinch un gruppo etnico possa diventare una nazione, deve essere presente una connessione
forte, materiale ed immediata tra questo gruppo ed il suo territorio. Inoltre, mentre un gruppo
etnico pu esibire alcuni indicatori culturali comuni, una nazione deve possedere una vera e
propria cultura condivisa. Ecco, secondo Smith, gli indicatori culturali comuni di etnia:

- Un nome proprio collettivo;


- Una mitologia legata alle origini comuni;
- Una memoria storica condivisa;
- Uno o pi elementi culturali comuni che le differenzino dalle altre;
- Lassociazione con una madrepatria ben determinata;
- Un senso di solidariet tra la popolazione.

Nel suo lavoro Smith riporta molti esempi di etnie del passato che oggi sono diventate nazioni, o
che sarebbero legittimate a farlo. Il sociologo inglese fa spesso riferimento ad un passato mitico,
sulla quale sono fondate ed alla quale attingono le identit nazionali contemporanee. Passato
mitologico che, in alcuni, casi un artificio culturale sul quale si possono basare le moderne
aspirazioni allindipendenza nazionale (nazione finlandese). Anche se lontane dagli approcci
modernisti, alcuni geografi politici hanno trovato le idee di Smith adatte a spiegare le
rivendicazioni di indipendenza nazionale contemporanee. Smith, a questo proposito, utilizza una
metafora economica, parlando di un fondo di miti, simboli e valori culturali al quale attingono le
identit nazionali.

Lapproccio etno simbolista abbastanza flessibile e pu venire applicato a diversi esempi empirici
di identit nazionali. Il ricorso ad unet delloro della nazione un aspetto praticamente
onnipresente delle rivendicazioni di autonomia nazionale.

La concezione etno simbolista del nazionalismo chiaramente differente dalle concezioni


primordialiste. Letno simbolismo mette in discussione la pretesa che lidentit nazionale sia una
parte intrinseca dellesistenza umana. Piuttosto, come suggerisce Smith, il nazionalismo un
fenomeno moderno e le nazioni sono nate nellera moderna con i loro peculiari modi di
dominazione, produzione e comunicazione. Il punto focale della nostra analisi sono le strategie e
le tecniche attraverso le quali le nazioni creano collegamenti con gruppi di persone, costruzioni
culturali ed eventi pre moderni. Secondo Smith, difficile pensare che una nazione moderna
possa mantenere una propria identit specifica senza tali mitologie, simbolismi e culture. Il
sociologo inglese, inoltre, vuole concentrare lattenzione sulla costruzione discorsiva dellidentit
nazionale, in base alla quale determinati concetti e idee conducono il potere politico a modificare
le percezioni, le attitudini e lidentificazione collettiva (importante per chi si occupa delle
geografie immaginarie delle patrie).

La prospettiva modernista

I modernisti ritengono che le nazioni non esistessero prima della nascita degli stati moderni. La
prospettiva modernista vede la nascita delle nazioni come successiva allaffermazione della
sovranit statale. Questa posizione identifica le nazioni come il prodotto di una specifica epoca
dello sviluppo storico dellumanit, associata alla modernit. La relazione tra identit nazionale e
modernit fa emergere la dimensione spaziale e le scale alle quali viene prodotta lidentit
nazionale.

Secondo Gellner, sarebbe necessario studiare le nazioni a partire dalle condizioni nelle quali si
sono sviluppate, ovvero il loro contesto sociale ed economico. Per lui, la differenziazione
fondamentale da prendere in considerazione quella tra societ agrarie e societ industriali.
Allinterno delle prime, la maggior parte della popolazione apparteneva a gruppi culturali
localizzati, mentre le elites dominanti agivano ad un livello superiore, estraneo a queste affiliazioni
locali. Organizzazioni localizzate di questo tipo, strutturate su due diversi livelli, operavano contro
la formazione di unentit nazionale coerente. Al contrario, Gellner vede nellaffermazione della
societ industriale linizio della diffusione di occupazione e norme tecniche che hanno
incrementato il senso di identit nazionale. Questa tesi mette in discussione limportanza che gli
approcci etno simbolisti attribuivano alle formazioni alla costruzioni pre moderne. Gellner
individua nello sviluppo dellistruzione di massa un momento fondamentale della creazione delle
identit nazionali nellera industriale. Il linguaggio di un sistema educativo produce una comunit
umana uniforme: la nazione. Sviluppando un particolare linguaggio nazionale, gli individui
diventano inclini a lavorare e costruirsi una vita allinterno di un determinato contesto nazionale,
poich il passaggio in unaltra area linguistica non semplice. Lapproccio modernista di Gellner
indirizza la nostra attenzione sulla nascita delle nazioni a partire da necessit pratiche facendo
riferimento alla necessit della societ industriale di uneducazione di massa della popolazione. A
dare sostegno alle tesi di Gellner ci pensa Hobsbawm, affermando che lidentit nazionale una
forma di falsa coscienza, che serve a mascherare le vere relazioni sociali: quelle di classe.

Unautorevole applicazione delle idee moderniste si pu trovare nel saggio di Anderson, il quale
utilizza una prospettiva modernista per sostenere che le nazioni siano comunit immaginate,
poich gli appartenenti ad una nazione non conosceranno mai la maggior parte dei propri
connazionali; eppure nelle menti di ognuno ben presente lidea della loro unit. Non viene
utilizzato il termine immagine per affermare che le nazioni esistano solo sul piano puramente
immaginario e che non portino degli effetti anche sul piano concreto. Anderson critica lidea che le
nazioni siano una costruzione fondata su reali comunit umane e suggerisce che le comunit
umane (al di fuori della famiglia) non dovrebbero venire distinte in base allo loro falsit o
genuinit, ma piuttosto allo stile in cui sono immaginate. Il politologo britannico concentra
lattenzione su pratiche culturali ripetute, necessarie per produrre e riprodurre limportanza delle
identit nazionali: dal momento che le nazioni non pre esistevano alla loro identificazione,
necessario ri - immaginarle continuamente e la nascita dei mezzi di comunicazione a stampa ha
avuto uninfluenza determinate nel comunicare le identit nazionali collettive. Anderson pone la
sua attenzione suoi luoghi e gli spazi nei quali e attraverso i quali viene celebrata e rappresentata
lidentit nazionale (musei, mappe, censimenti).

Riprendendo questi temi Billing esplora i meccanismi attraverso i quali la nazione viene
comunicata alla cittadinanza, in un processo che definisce flagging. Attraverso le attivit
quotidiane, la nazione viene costellata di simboli (flags) e linguaggi (pagare con banconote su cui
stampata la faccia di un rappresentate della nazione). Billing interessato ad identificare le
complesse abitudini di pensiero che rendono naturale il nostro nazionalismo, trascurandolo,
mentre si proietta solo sugli altri la visione del nazionalismo come unentit irrazionale (movimenti
separatisti violenti).

Nellarticolare diverse spiegazioni per la nascita delle nazioni, le prospettive moderniste spostano
la nostra attenzione sulla connessione casuale tra laffermazione della sovranit statale e lidentit
nazionale. Questa posizione implica chiaramente che le nazioni non esistono di per s, ma
vengono create ed necessario indagare le dinamiche politiche coinvolte in questo processo di
produzione.

Associando le nazioni alla modernit,per, questo approccio lascia spazio alla prospettiva di
unepoca nella quale le nazioni potrebbero non rappresentare pi un elemento importante
dellidentit individuale, data la crisi delle unit territoriali statali (anche della cultura unica
nazionale) ed al riconoscimento delle differenze culturali locali e regionali (post modernisti). In
merito a queste tesi, relative al riconoscimento delle identit e delle collettivit sub - nazionali,
utile sottolineare soprattutto due elementi. In primo luogo, questo approccio non dovrebbe
essere considerato un netto punto di rottura con la visione del mondo degli autori modernisti. Le
prospettive utilizzate da questi ultimi si basavano sulla creazione e la rappresentazione di
specifiche identit e questo interesse per la produzione della nazione ha il proprio punto di
partenza nellidea che nessuna identit completa, indiscutibile e omogenea. Featherstone ha
invece masso in evidenza un altro aspetto fondamentale, ovvero che le identit sono sottoposte
ad un costante processo di ripensamento e riproduzione, attraverso le azioni dei singoli individui e
delle istituzioni. Ogni tentativo di studiare questi processi dimostrerebbe che lidentit nazionale
diversa nel tempo e nello spazio e dovrebbe venire collegata al contesto specifico del suo oggetto
di studio. In secondo luogo, la prospettiva postmoderna mette in luce la natura plurale
dellidentit, cio il fatto che gli individui possiedono delle identit locali che si affiancano o
sostituiscono quelle nazionali. Questo aspetto fondamentale: le identit territoriali sono fluide e
contestabili. Losservazione della pluralit di identit evidenzia inoltre che lidentit nazionale
solo una delle molte possibili identit sociali che ciascuno di noi possiede.
In conclusione, lidentit nazionale si fonda sulla formazione di un gruppo sociale (la nazione), che
si differenzia da altri gruppi sociali (le altre nazioni) e dalle fonti di altri tipi di identit.

Il nazionalismo come movimento sociale

La visione pi comune considera, come obiettivo del nazionalismo, quello di ottenere lautonomia
politica della nazione, attraverso listituzione di una comunit politica (Stato), il cui territorio
coincida con quello della nazione stessa. A partire da questa affermazione si individuano due
categorie distinte di nazionalismo: quello etnico e quello civico. Il nazionalismo civico quello che
fa riferimento a pratiche di costruzione della nazione messe in atto dallo Stato, rimandando a
forme di patriottismo o cittadinanza che celebrano lesistenza di uno Stato. Al contrario, il
nazionali etnico, in quanto movimento sociale, determina il passaggio dalla convinzione
dellesistenza di un determinato gruppo, nazionale ed etnico, ad una vera attivit politica, esercita
in relazione ad esso. Questo pu condurre alla nascita di movimenti separatisti, laddove una
minoranza interna ad uno Stato ambisca allindipendenza. Il nazionalismo etnico si definisce
irredentista quando la stessa nazione suddivisa in minoranze etniche interne a stati confinanti, le
quali cercano di universi per ottenere uno Stato autonomo (Baschi divisi tra Spagna e Francia).

necessario usare questo schematismo con cautela per due motivi. Innanzitutto perch la
distinzione tra nazionalismo civico ed etnico viene spesso rappresentata dai mezzi di
comunicazione e dallopinione pubblica come associata alla divisione tra Nord e Sud del mondo,
identificando il patriottismo ed il senso della cittadinanza (civico) con i paesi pi ricchi e unidentit
politica primordiale (etnico) con i paesi in via di sviluppo. In secondo luogo, i movimenti nazionali
attivi al di fuori dello Stato vengono considerati etnici, mentre quelli supportati dalla burocrazie
statali vengono legittimati e definiti civici. Queste definizioni servono come indicatori del potere
relativo dei diversi movimenti nazionalisti.

In questa sede si considerano tutti i movimenti nazionalisti come costruiti socialmente, con il fine
di raggiungere determinati obiettivi politici. Il nazionalismo necessita di discorsi che facciano
riferimento allantichit, a reti familiari ed appartenenze culturali di lungo corso. Infatti,
Hobsbawm e Ranger sostengono che le nazioni vengono costruite attraverso tradizioni intentare:
pratiche governate da regole accettate apertamente o tatticamente, di natura rituale o simbolica,
che mirano ad inculcare determinati valori e norme di comportamento attraverso la loro
ripetizione, che automaticamente implica una continuit con il passato.

Molto autori hanno posto laccento sulle condizioni sociali ed economiche che possono favorire lo
sviluppo di movimenti nazionalisti, soggetti a consistenti variazioni su base geografica nel proprio
sviluppo, nella propria portata e nel proprio successo. I geografi hanno cercato spesso di spiegare
queste variazioni facendo riferimento alla diffusione disomogenea di certi processi sociali ed
economici. In molti casi, il nazionalismo di sviluppa in regioni che rimangono periferiche rispetto
alla crescita economica, lontane dalle fonti del potere statale. Anche se alcune precondizioni sono
importanti, tuttavia, non esiste una regola universale che dica quali problematiche, economiche,
sociali o politiche generino delle reazioni nazionaliste, n esistono tendenze osservabili che
consentono di stabilire se il nazionalismo si sviluppi pi facilmente in aree ricche o povere. Ad
esempio, le rivendicazioni dindipendenza avanzate dalla Croazia e della Slovenia sono state in
parte la conseguenza delle disparit economiche tra le sei repubbliche jugoslave. Questo esempio,
mette in evidenza tre importanti fattori dellaffermazione dei movimenti politici nazionalisti.
Primo, il contesto economico pu giocare un ruolo molto importante nel far nascere i movimenti
nazionalisti, comunque da situare nel loro contesto storico. Secondo, i programmi politici dei
partiti nazionalisti croati e sloveni non venivano costruiti a partire da valutazioni oggettive della
situazione economica, ma sfruttavano i fattori economici come evidenze tangibili della
dominazione culturale serba. Terzo, la soluzione proposta dai nazionalisti era la creazione di due
stati sovrani indipendenti; essi sostenevano che lidentit nazionale ed il territorio politico
dovessero essere fatti coincidere, con la creazione di stati nazione costituiti su base etnica.

Quindi, si pu dire che, diverse circostante possono alimentare la miccia del nazionalismo, ma
impossibile prevedere sulla base di quali specifiche circostanze questo accadr. Probabilmente
pi corretto pensare al nazionalismo come ad una strategia politica, focalizzandosi quindi
sullambito politico. Una volta definito il nazionalismo come un progetto politico, che viene
portato avanti da alcuni individui e gruppi sociali interni alla nazione, sulla base delle risorse che
questi sono in grado di utilizzare, si possono iniziare a spiegare la sua nascita e le sue geografie.

Uno dei possibili percorsi di ragionamento mette laccento sul ruolo che le elites etniche svolgono
in questo processo. Le elites etniche sono spesso ben istruite, dotate di capacit retorica e
possiedono una certa familiarit con le fonti dellidentit culturale, a partire dalle quali vengono
costruite discorsivamente la collettivit etnica e la nazione. Esse hanno uno specifico interesse nel
cercare lindipendenza della nazione, poich probabile che saranno i loro membri a costituire il
nuovo apparato dello Stato ed a beneficiare pi di altri delle nuove fonti di crescita economica.

Il regionalismo

Esistono un insieme sempre pi consistente di lavori, in geografia politica che si occupano della
formazione dellidentit e dei processi politici ad una scala diversa di analisi: quella regionale. Non
bisogna pensare alle regioni semplicemente in termini spaziali, ma considerarle come
configurazioni territoriali costituite in relazione al potere di governo ed alla formazione di identit
esistenti a livello statale.

Le regioni sembrano poter rappresentare ununit territoriale flessibile, da utilizzare per analizzare
i cambiamenti politici, sociali ed economici, qualora lo Stato si dimostrasse non pi adatto per
questo scopo. Alcuni studiosi hanno visto in questo nuovo ruolo delle regioni una naturale
reazione al venir meno del senso di analisi su scala statale, in un epoca in cui i flussi globali di
capitale generano marcate differenze regionali ed accentuano limportanza dei processi di scala
sub statale. Secondo leconomista Omhae una soluzione a questinadeguatezza dello Stato nel
rappresentare le dinamiche del mondo moderno, potrebbe essere quella di prendere in
considerazione, al suo posto, le regioni. Il concetto di regione abbastanza duttile da consentire
territorializzazioni multiple, costruite in base a criteri economici, politici o culturali. Omhae
individua tra i principali aspetti positivi del ragionare su base regionale il fatto che i confini della
regione non sono stabiliti in modo definitivo dagli interessi politici, ma vengono tracciati dai
mercati globali di beni e servizi.

Le regioni possono, per, essere anche pensate in termini culturali, per esempio attraverso la
delimitazione della diffusione territoriale di un certo gruppo linguistico (regioni linguistiche sub
statali: Vallonia e Fiandre in Belgio). Le regioni non sono solo delle collettivit economiche e
culturali che si sono costituite naturalmente, ma in molti paesi esse sono anche dei territori
definiti politicamente, attraverso i quali il governo esercita il proprio potere. Spesso queste
suddivisioni evidenti dei territori statali vengono scelte come punto di partenza per molti studi, ma
necessario adottare una grande cautela nel considerarle come divisioni dello Stato naturali e
fondate su elementi pre esistenti (organizzazioni del territorio decise dal basso o dallaltro?).

La variet di approcci nello studio delle regioni porta ad un altrettanto differenziato panorama di
prospettive allinterno della geografia regionale. Dal punto di vista della geografia politica,
necessario indagare come le regioni vengono prodotte, in seguito a quali mobilitazioni, quali sono
le suddivisioni territoriali predominanti e perch lo sono. Questo porta ad essere particolarmente
attenti al ruolo del potere nel definire specifiche configurazioni regionali. Per rendere chiaro
questo processo, il geografo Paasi ha identificato tre modi di concepire le regioni, prevalenti
nellambito delle discipline geografiche: prospettive pre scientifiche; prospettive disciplinari;
prospettive critiche.

Lapproccio pre scientifico vede pragmaticamente le regioni come ununit territoriale data,
necessaria per raccogliere e rappresentare i dati statistici, ma alla quale non viene attribuito
nessun ulteriore ruolo concettuale. Questa prospettiva diffusa negli studi regionali empirici
realizzati in supporto alle politiche, nei quali le realt delle diverse regioni vengono messe a
confronto per cercare di ridurre le disuguaglianze regionali.

Le prospettive disciplinari considerano le regioni come loggetto o il risultato di un processo di


ricerca, piuttosto che come fenomeni naturali o pre esistenti. Questo approccio vede inoltre le
regioni come il risultato di dibattiti accademici e di relazioni di potere/conoscenza, quando queste
vengono determinate in seguito a degli studi, grazie alla capacit di alcune discipline di far
emergere le dinamiche geografiche e territoriali. Viene quindi suggerito che la ricerca a creare le
regioni, che diventano suddivisioni riconoscibili di uno Stato. Attraverso questi processi vengono
immaginati nuovi territori, che hanno il potere di modificare la realt politica (testi scolastici
modificano limmaginario geografico di una popolazione parlando di connessioni naturali tra
identit e territori).

Il regionalismo critico sostiene che le regioni siano delle costruzioni sociali. Come evidenzia Paasi,
le regioni, i loro confini, i loro simboli e le loro istituzioni non sono il risultato di processi evolutivi
autonomi, ma lespressione di una continua lotta relativa ai significati che vengono attribuiti al
territorio, alla rappresentativit, alla democrazie e al welfare. Lattenzione nei confronti delle lotte
ci porta a considerare la complessit di rappresentazioni, istituzioni e idee che sostengono
determinate configurazioni regionali a discapito di altre. La prospettiva critica del regionalismo ci
spinge a considerare i processi e le posizioni che sostengono la riproduzione di quelli definibili
come territori immaginati(Anderson, comunit immaginate). Le classificazioni regionali, ovvero
la definizione di cosa siano le regioni e la regionalizzazione, sono orientate alla produzione di
effetti sociali e sono intrise di potere. Beck sostiene (analizzando le differenze nella formazione
dellidentit e nei comportamenti politici nella regione basca spagnola ed in quella francese) che la
formazione dellidentit regionale il prodotto della relazione tra le regioni e lo Stato.

Riguardo alla discussione generale sulle regioni il lavoro di Beck illustra alcuni punti molto
importanti. Primo: bisogna studiare le regioni allinterno del loro contesto geografico e storico.
Questo vuole essere un tentativo di sottolineare la natura dinamica, mutevole ed incompleta della
formazione delle regioni e delle identit. Secondo: bisogna essere molto cauti nel mettere a
confronto le pratiche politiche dei diversi contesti regionali, il ragionamento necessita di essere
inquadrato nei termini del contesto degli stati e delle relazioni tra regioni e stato. Terzo: il caso
studio del Paese Basco mette in evidenza la persistenza temporale dellimportanza della
costruzione discorsiva delle geografie regionali. La rappresentazione delle tradizioni e la creazione
di specifiche costruzioni culturali ha fatto s che la regione basca sia un territorio politico
individuabile, nonostante questa sia in contraddizione con i confini statali esistenti.

Bisogna considerare le regioni come sistemi sociali parziali, collegati da un punto di vista
funzionale agli altri livelli territoriali, piuttosto che come societ globali, che racchiudono in s
tutte le relazioni sociali, alle quali aspirano tradizionalmente gli stati nazionali.

Conclusione

Bisogna usare le tesi degli autori modernisti, studiando le nazioni come prodotto degli stati
moderni e in particolare delle nuove forme di tecnologia e produzione della conoscenza, associate
allaffermazione del capitalismo nel XIX secolo. Si utilizzata la stessa prospettiva critica per
analizzare il concetto di nazionalismo. I movimenti nazionalisti sono stati creati per raggiungere
determinati scopi politici: anche se i nazionalisti sottolineano la natura autentica ed arcaica delle
loro battaglie, nostro compito contestualizzare ogni movimento allinterno della propria realt
politica. Infine, si esaminato le nuove geografie del regionalismo, cercando di descrivere la
produzione di geografie regionali a diverse scale territoriali. Per ultimo, vorremmo suggerire una
prospettiva che studi le regioni considerandole luoghi vissuti ed esplori la loro produzione di
territori regionali e delle identit ad essi collegate.

Imperialismo e postcolonialismo
Lesportazione del sistema statuale europeo, attraverso il colonialismo e la successiva
decolonizzazione, non pu essere consegnata alla storia, come un fatto del passato. Ancora oggi si
possono vedere gli effetti di pratiche coloniali ingiuste, messe in atto secoli fa. Oltretutto il
colonialismo stato un processo segnato da relazioni squilibrate di potere tra colonizzatori e
colonizzati. La colonizzazione non agisce semplicemente attraverso lo sfruttamento materiale,
come il rifiuto di concedere diritti territoriali o lappropriazione delle risorse naturali. Sono
fondamentali anche pratiche di rappresentazione messe in atto dai colonizzatori, attraverso le
quali le loro idee e le loro pratiche vengono accettare e legittimate. La capacit di produrre
conoscenza era strettamente collegata alla capacit di colonizzare territori: i colonizzatori europei
sfruttavano il prestigio delle nuove discipline scientifiche emergenti, come la geografia, per
attribuire legittimit alla loro avventure coloniali.

Ci si occuper dello stretto legame tra la produzione di conoscenza geografica e le pratiche


dellimperialismo e del colonialismo.

Lespansione dellEuropa: lincontro con gli altri popoli

chiaro che la superiorit geopolitica europea non era un fatto assoluto. Dovunque siano andati,
gli Europei hanno incontrato altri popoli, che spesso vivevano in societ complesse, con alti livelli
di tecnologia, di organizzazione politica di sviluppo culturale. Quindi, il fatto che questi altri popoli
non siano riusciti a governare e dominare il resto del mondo non deriva da una loro presunta
condizione primitiva o da strutture sociali degradate, ma riflette piuttosto combinazioni molto
diverse di circostanze storiche, politiche e culturali, di priorit economiche e di valori.

Anche se non si pu capire il mondo moderno al di fuori del contesto dellimperialismo


occidentale, soprattutto per quanto riguarda le relazioni tra i paesi industrializzati e ricchi del Nord
e quelli poveri del Sud del mondo, sarebbe un errore pensare che il controllo europeo sia stato
diffuso ovunque, in modo totale o omogeneo. Alcune parti del mondo sono scampate del tutto al
dominio formale dei paesi europei, mentre altre, che formalmente facevano parte di un impero
coloniale, non sono mai state davvero sottomesse. In primo luogo, cera il problema logistico di
governare porzioni di territorio e popolazioni che erano pi grandi degli stati europei e spesso
molto distanti. Quindi, il dominio imperiale si affermato tramite compromessi tra le strategie e le
istituzioni dei dominatori e quelle dei dominati, anche se si trattato di compromessi iniqui e
ingiusti. In secondo luogo, c sempre stata resistenza allimperialismo. Dovunque siano andati, i
colonizzatori europei hanno sperimentato la resistenza dei popoli ai loro tentativi di governarli.

Le cause dellespansione

Nessuno studio sullimperialismo pu ignorare il ruolo del commercio. Il capitalismo mercantile


rappresentava il modo di organizzazione economica prevalente nelle citt europee del Medioevo e
si basa sul principio di comprare a basso costo e rivendere ad un prezzo pi alto. Molti beni erano
prodotti direttamente sul territorio europeo, utilizzando materie prime locali. Con la crescita delle
citt medievali, ed il conseguente sviluppo di un mercato di beni di lusso, si registr per la
crescita della domanda di materie prime e beni che non potevano essere prodotti localmente o dei
quali lofferta era troppo scarsa. Gli europei sapevano gi da secoli, nel 1400, che in Asia era
possibile rifornirsi di molti beni di lusso ma, i percorsi via terra erano insicuri e chi li percorreva era
soggetto a possibili ritardi, perdite di materiale ed allautorit di chi governava quei territori da
attraversare.

Grazie alle esplorazioni marittime del XV secolo, i mercanti dellEuropa Occidentale potevano
commerciare con i territori asiatici, senza i rischi dei difficoltosi percorsi via terra che
attraversavano il Medio Oriente.
Lespansione oltremare dei paesi europei ebbe anche motivazioni religiose. Le prime esplorazioni,
condotte da Spagna e Portogallo, furono infatti motivate in parte anche dalle presunte minacce
nei confronti del Cristianesimo cattolico, che provenivano dallIslam e dalla Riforma protestante.
Nel XVII secolo, furono i Protestantesimo a cercare la salvezza oltreoceano, con linsediamento dei
Puritani sulle coste orientai del Nord America.

La Penisola iberica si espande oltre oceano

Le nuove rotte commerciali marittime verso lOriente erano inizialmente controllate dal
Portogallo, i cui esploratori fondarono numerose stazioni commerciali lungo le coste dellAfrica,
dellAsia meridionale e dellEstremo Oriente. Limportanza che essi attribuivano al commercio fece
s che il loro impero fosse costituito da piccoli possedimenti, mentre non venivano messi in pratica
tentavi di estensioni di territorio dellentroterra alle spalle delle stazioni commerciali. Quando i
tempi furono maturi, i primi imperi europei di una certa estensione furono quelli istituiti nel
Nuovo Mondo da Spagna e Portogallo. Lespansione dei due paesi della penisola iberica port
grande ricchezza alle due monarchie, proveniente soprattutto dai metalli preziosi.

Lascesa dellImpero britannico

Solo pochi decenni dopo la sua affermazione, il dominio della Spagna e del Portogallo si trov a
fronteggiare una seria minaccia. Fin dalla seconda met del XVI secolo, infatti, ebbero inizio le
esplorazioni del continente nordamericano da parte di Francia e Gran Bretagna e, sulla costa
atlantica, vennero fondato varie colonie britanniche, francesi e olandesi. I rapporti tra lEuropa e
lOriente, nel corso del XVII secolo, furono prevalentemente commerciali.

Il processo di costruzione dellimpero, inoltre, fu lungo e lento e, per completarlo, fu necessario


pi di un secolo di conflitti militari, economici e culturali con le popolazioni e le istituzioni locali.
Con il passare del tempo, limportanza attribuita al commercio lasci gradualmente il posto alla
necessit di stabilire un governo politico militare, delegando attivit commerciali ai privati.
Questo processo culmin nella Rivoluzione Indiana del 1857, con il trasferimento del potere dalla
Compagnia delle Indie alla Corona.

Il tramonto dellespansione imperialista era ancora molto al di l da venire: lAfrica rappresentava


infatti un collegamento vitale e sanguinoso, nel commercio triangolare che portava gli africani ad
essere venduti come schiavi in Sud America, per lavorare nelle piantagioni e le materie prime di
queste venivano poi importate in Europa e trasformate in beni finiti, da riesportare a loro volta
nelle colonie. Lungo le coste di tutta lAfrica, gli europei fondarono piccole citt e porti
commerciali, mentre, allinizio del XVIII secolo, il resto del continente era ancora del tutto
inesplorato. Fu nei trentacinque anni che intercorsero tra il 1880 ed il primo conflitto mondiale,
che tutto il continente africano, comprese la sua popolazione e le sue risorse, venne spartito tra le
grandi potenze europee.
Infine, nel 1801, il continente australiano venne circumnavigato, scoprendo cos che si trattava di
unisola e dopo la scoperta delle miniere doro divenne la destinazione di immigrazione,
trasformandosi in uno dei principali esportatori di prodotti agricoli.

Guerra dindipendenza americana

La guerra dindipendenza american (1775 1783), seguita dalla formazione degli Usa, stato
certamente uno degli avvenimenti cruciali che hanno segnato la nascita del mondo
contemporaneo. In questo periodo vi fu infatti la prima origine dellimpetuoso sviluppo che
doveva fare di questa nuova nazione la potenza dominante del globo; ma soprattutto il primo
riferimento agli ideali di libert e uguaglianza contenuti nella Dichiarazione di Indipendenza; tale
documento rappresent un modello per tutti qui cittadini europei di ampie vedute che
desideravano liberarsi dal gioco dei sovrani dantico regime.

Le radici imperialiste della geografia: il ruolo dellimperialismo nella conoscenza geografica

Nel processo di espansione imperialista e di colonizzazione dei territori doltremare un ruolo di


vitale importanza stato svolto dalla conoscenza. Se da un lato lespansione delle potenze
europee ha prodotto nuovi saperi, dallaltro era a sua volta dipendente da quelle stesse
conoscenze, perch lo sviluppo dei possedimenti doltreoceano richiedeva specifiche informazioni
e capacit in molti campi diversi. Lo sviluppo dellimperialismo stato determinato anche dal
modo con cui si guardava agli altri popoli ed ai loro territori: per rendere accettabili i
comportamenti crudeli del colonialismo, era necessario che gli europei si sentissero superori
rispetto a tutti gli altri. La crudelt del colonialismo si fondava, quindi, su una serie di convinzioni,
rappresentazioni e discorsi relativi ai diritti degli europei nei confronti del resto del mondo.

La geografia moderna stata un prodotto dellimperialismo. In primo luogo, perch la conoscenza


delle caratteristiche della superficie terrestre, dei suoi continenti e dei suoi oceani, delle sue
piante dei suoi animali, dei suoi popoli e dei loro modi di vita ha vissuto un enorme incremento in
seguito allespansione degli stati europei, diventando il principale argomento di studio della nuova
geografia. Secondo, perch questa disciplina aveva tra i suoi argomenti privilegiati di studio molte
delle conoscenze pratiche e teoriche che furono messe in atto durante le esplorazioni e la
costruzione dei nuovi insediamenti (cartografia, pianificazione territoriale). Terzo, la geografia
utilizzava modalit specifiche di conoscenza del mondo che resero possibile e nello stesso tempo
legittimarono la pratica dellimperialismo.

La questione del clima

Mettere in relazione il clima con levoluzione delluomo rappresenta uno dei primi tentativi di
sviluppare un sistema teorico, nellambito della geografia umana, relativamente alla superficie
terrestre. Secondo questo sistema di pensiero, le caratteristiche climatiche dellambiente
potevano determinare la storia e la geografia dello sviluppo umano e delle differenze socio
culturali (determinismo ambientale). Allepoca era comune ritenere che il clima e la morfologia di
un territorio potessero influenzare in maniera uniforme tutta la popolazione che ci viveva e questo
condusse i geografi a discutere delle caratteristiche razziali dei diversi popoli.
Livingston ritiene molto importante soffermarsi sul rapporto tra le interpretazioni che i geografi
davano del clima e delle zone climatiche e i discorsi sullinferiorit e la superiorit razziale, che
svolgevano un ruolo importante nei progetti imperialisti. Secondo Livingstone, gli studi che i
geografi svolgevano sul clima erano molto distanti da quella validit scientifica che pretendevano
gli venisse attribuita, essendo al contrario molto legati ai giudizi morali, religiosi e politici allora
diffusi. Veniva attribuita una grande importanza allimpatto delle variazioni climatiche sulluomo,
ritenendo che esso condizionasse anche i modi di vita e lapparenza biologica delle persone. Quella
che Livingstone chiama leconomia morale del clima e che metteva in relazione le variazioni
climatiche con la presunta suddivisione della specie umana in diverse razze.

Oggi, gli scienziati sociali sono molto pi scettici riguardo al concetto di razza come distinzione
biologica, sostenendo che non esistono assolutamente fondamenti biologici soddisfacenti per
dividere le persone in base alla loro razza e che senza dubbio non ci sono delle differenze nel
potenziale fisico, mentale ed emozionale degli appartenenti a queste presunte razze. Per molti
decenni, comunque, si utilizzata una suddivisione del genere umano in gruppi separati,
differenziati su base biologica. In questo contesto, lo studio dei climi era importante, poich era
diffusa la convinzione che le differenze razziali fossero legate alla variet climatica, sia perch la
causa delle prime era da ricercarsi nelle stesse differenze climatiche, sia perch le razze erano
distribuite da Dio ciascuna nella zona climatica ad essa pi appropriata.

Non possibile ridurre facilmente queste tesi al frutto barbaro e razzista di una scienza immatura
e non ancora sviluppata, se si considera limportanza che essere ebbero in tutto il mondo. Non
solo il discorso delleconomia morale dei climi forn la giustificazione ed il fondamento teorico a
quelle che divennero pratiche consuete nellimperialismo del XIX secolo (schiavit), ma esso ha
anche esercitato uninfluenza sorprendentemente duratura sulla geografia come disciplina
accademica.

Mappare e dominare

La geografia come disciplina era coinvolta nei progetti imperialisti anche per finalit
estremamente pratiche. Controllare e governare terra e popolazioni lontane richiedeva un alto
grado di conoscenza, sia dei territori che dei popoli e, nelle strategie dei paesi europei nei propri
imperi doltreoceano svolsero un ruolo fondamentale la cartografia e la raccolta di dati. Le carte
rendevano questi territori sconosciuti pi comprensibili, secondo il modo di pensare europeo, e
consentivano di imporre lordine e la razionalit occidentali a paesaggi umani creati da visioni del
mondo molto differenti.

Il colonialismo europeo cercava di prendere possesso dei nuovi territori, attribuendo alle loro parti
nomi e definizioni, che potevano essere familiari, quando si utilizzavano termini della propria
lingua, oppure volutamente esotiche, quando si preferiva il linguaggio delle popolazioni locai. In
entrambi i casi, lazione di denominare i luoghi, di disegnare delle carte geografiche e di
conseguenza di rappresentare linguisticamente il nuovo territorio, era unaltra strategia,
attraverso la quale le nuove terre potevano essere conosciute e possedute.
I geografi contemporanei si sono concentrati prevalentemente sullimperialismo come modo di
considerare il mondo, di costruire identit di se stessi e degli altri e di cercare di controllare non
solo il destino economico e politico di altri popoli e territori, ma anche la loro evoluzione culturale.

necessario considerare lo sviluppo dellimperialismo esaminando le sue pratiche spaziali.

La teoria del sistema mondo

Fornire delle interpretazione e delle spiegazioni dellespansione su vasta scale dellEuropa nel
resto del mondo complicato ed stato al centro di un acceso dibattito accademico. Una delle
possibili cornici esplicative quella dellanalisi del sistema mondo, che stata sviluppata nel corso
di molti anni da Wallerstein.

Secondo Wallerstein, che condivide linteresse di Braudel per i cambiamenti di lungo periodo nelle
relazioni sociali ed economiche, le tre forme di scambio individuate da Polanyi (reciprocit di
lignaggio, redistributiva tributaria, scambio di mercato) corrispondono a tre tipologie differenti
di sistemi sociali, i soli tre sistemi socio economici che sono esistiti nella storia: i mini sistemi, nei
quali gli scambi sono reciproci; gli imperi mondiali, dove lo scambio redistributivo; leconomia
mondo capitalista, nella quale il mercato a dominare. I mini sistemi sono stati finora i pi
numerosi, anche se nel mondo contemporaneo sono del tutto scomparsi (Indiani dAmerica).
Wallerstein identifica anche numerosi imperi mondiali, nei quali era presente una vasta base di
produttori agricoli, che fornivano sia i prodotti per la sopravvivenza alla popolazione, sia i beni di
lusso per un piccolo gruppo elitario (impero romano, sistema feudale). Secondo la sua analisi tutti i
mini sistemi e gli imperi mondiali sono stati eliminati o assorbiti dalleconomia mondo
capitalista. Dal XVI secolo in poi, il mondo stato gradualmente dominato delleconomia mondo
capitalista europea che diventata per davvero globale solo nel 900.

Possiamo identificare nel pensiero di Wallerstein due importanti idee, che distinguono lapproccio
del sistema mondo dalle concezioni tradizionali dei cambiamenti economici globali. La prima
lidea di una societ unica: tradizionalmente le scienze sociali consideravano il mondo diviso in
tante societ. Lintegrazione delle attivit economiche nel sistema mondo comporterebbe infatti
che oggi esista una sola societ globale. Questintuizione collegata alla seconda, lerrore dello
sviluppismo: lo sviluppo stato tradizionalmente visto come un percorso lungo il quale le diverse
societ passavano da bassi livelli di attivit economica a sistemi pi ricchi e complessi. Per, dal
momento che oggi esiste una sola economia, di scala mondiale, le sue singole parti non possono
percorrere automaticamente la scala dello sviluppo: le attivit economiche che hanno luogo in
ciascun paese del mondo sono strettamente connesse a quelle che accadono in tutti gli altri. La
capacit di alcuni stati di produrre grandi redditi e di sostenere alti livelli di standard di vita
dipende dallesistenza di altri paesi, le cui economie rimango sottosviluppate a causa delle
dinamiche delleconomia mondo, per sostenere la ricchezza della minoranza pi ricca della
popolazione mondiale.

Lapproccio di Wallerstein offre anche una cornice di pensiero pi ampia, allinterno della quale
possibile comprendere lespansione degli stati europei. evidente il parallelismo con limportanza
che abbiamo attribuito al processo storico di nascita e sviluppo degli imperi doltremare. La teoria
del sistema mondo ha trovato ne mondo accademico ferventi sostenitori e accesi critici,
portando una grande contributo nellambito della geografia politica. Lattenzione che queste
teoria pone sulla struttura spaziale delleconomia mondo, che secondo Wallerstein si divide in un
centro, una semi periferia ed una periferia, molto vicina allapproccio geografico.

Le critiche alla teoria del sistema mondo

Giddens suggerisce che lapproccio del sistema mondo abbia soprattutto due difetti principali.
Innanzitutto, sostiene, sarebbe caratterizzato da una sorta di riduzionismo economico, non nel
senso che prende in considerazione solo i processi economici, ma che, anche quando affronta
questioni culturali e politiche, tende a spiegarle in termini economici. Nella visione di Giddens, le
dinamiche delleconomia mondo sono fondamentali per spiegare i cambiamenti globali, ma
questi sono anche un prodotto dello sviluppo di un sistema internazionale di stati, che non pu
venire preso in considerazione solo dal punto di vista economico. Questo implica anche che si
debba riconsiderare lidea di societ unica: potr pur esistere ununica economia mondo
capitalistica, ma le varie societ continuano ad avere una grande importanza. In sostanza, lidea di
societ unica ha senso quando la societ viene considerata come un sistema di integrazione
economica, mentre non funziona altrettanto bene quando si tiene conto delle relazioni politiche o
culturali.

La seconda falla che Giddens riscontra nelle idee di Wallerstein riguarda gli elementi funzionalisti
presenti al loro interno. Con funzionalismo Giddens intende la tendenza a spiegare qualcosa a
partire dai suoi effetti (tipico delle scienze biologiche). Lui ritrova il pensiero funzionalista nellidea
di regioni semi periferiche, la cui esistenza viene spiegata facendo riferimento alle necessit del
sistema mondo. Pu anche essere vero che lesistenza di una fascia di stati semi periferici,
intermedia tra i paesi ricchi e la periferia povera, pu contribuire a stabilizzare leconomia
mondo, ma questa funzione stabilizzatrice non sufficiente a spiegare la nascita iniziale di questa
semiperiferia, n il fatto che essa continui ad esistere.

Le strategie di dominazione coloniale

Nello studiare lespansione imperialista necessario considerare sia le strategie dei colonizzatori,
che quelle dei colonizzati, in un determinato contesto. Questo significa anche che lintegrazione
dei territori extra europei nelleconomia mondo decisamente meno completa e
onnicomprensiva di quanto suggerirebbero gli scritti di Wallerstein. Il nostro approccio evita di
farci cadere nel riduzionismo economico, sottolineando il fatto che le strategie politiche, e le
risorse dalle quali dipende il potere politico, non sono solo economiche, ma anche culturali,
militari, patriarcali, razziste. In altre parole, limperialismo era pi legato alle strategie di
dominazione culturale del resto del mondo che a quelle di sfruttamento e controllo economico.

La dimensione culturale e quella economica


Generalmente lannessione di nuovi territori e lapplicazione del potere imperiale nelle colonie
europee doltreoceano venivano condotte con mezzi e strategie di tipo militare, molto diverse
dalle varie potenze imperiali.

Secondo Fieldhouse evidente che lEuropa abbia ottenuto numerosi profitti economici nelle
prime fasi dellespansione imperialista ma, successivamente (nel XIX secolo e allinizio del XX
secolo) le colonie doltreoceano non sarebbero pi state soggette allo sfruttamento economico da
parte delle potenze imperialiste. vero che quello che sostiene Fieldhouse quando afferma che le
colonie stabilite in Asia e in Africa tropicale nelle ultime fasi dellimperialismo non nacquero con
lintenzione di ottenere dei profitti economici. Le singole colonie potevano essere considerate
fonti di guadagno, ma nessun impero ha avuto una funzione ben precisa, n economica, n di altro
tipo. Gli imperi hanno solo rappresentato una fase particolare delle relazioni, sempre mutevoli, tra
lEuropa ed il resto del mondo e sarebbe fuorviante ricercare delle analogie con il sistema
capitalistico.

Nonostante le sue perplessit riguardo allo sfruttamento messo in atto dallimperialismo


dellultimo periodo, Fieldhouse identifica sei modalit con le quali questo pu portare dei vantaggi
economici, esprimendo le diverse strategie economiche ad essi sottese.

- Saccheggio delle ricchezze presenti in un territorio occupato.


- Trasferimento in madrepatria dei profitti prodotti nelle colonie.
- Trasferimento di denaro verso le potenze imperiali.
- Imposizione di regole inique negli scambi commerciali con le colonie.
- Sfruttamento delle risorse naturali, senza unadeguata compensazione.
- Tassi di ritorno degli investimenti pi alti nelle colonie che in patria.

Secondo Fieldhouse, le prove dellesistenza o meno di questo tipo di relazioni economiche sono
ambigue. chiaro che nella prima fase dellimperialismo, tra il XVI secolo ed il XVIII secolo, gli
aspetti economici abbiano ricoperto un ruolo molto pi importante di quanto avvenuto nel
periodo successivo (XIX e XX secolo), ma anche laddove siano stati evidenti i profitti provenienti
dalle colonie, difficile dire se questi abbiano avuto luogo grazie ai governi imperialisti, oppure
nonostante la loro presenza. Parlando di strategie politiche, invece evidente come gli imperi
doltreoceano siano stati sostenuti in patria da esponenti del mondo politico e industriale, che
prevedevano di ricavarne possibili ritorni economici. Limperialismo formale raggiunse comunque
il proprio apice allinizio del XX secolo quando il mantenimento delle complesse strutture di
governo, amministrazioni e forze di sicurezza coloniali in Africa e in Asia gi si stava trasformando
in un vortice che risucchiava le finanze delle potenze europee. Questo significa che lulteriore
espansione del XX secolo era mossa da strategie diverse da quelle puramente legate al profitto
economico.

La dimensione culturale e discorsiva


Le strategie discorsive sono importanti perch incarnano alcune visioni del ruolo e della natura
degli europei e dei popoli che sono stati colonizzati, che hanno rappresentato le precondizioni
necessarie per lo sfruttamento militare ed economico.

Le strategie discorsive dellimperialismo dipendevano infatti dalla costruzione del resto del
mondo non solo come inferiore allOccidente, ma come intrinsecamente diverso dal punto di
vista qualitativo, ad esempio dipingendolo come esotico, in contrapposizione allEuropa. Questo
spesso implicava un esotismo di stampo erotico, con lOriente che viene spesso rappresentato
come degenerato sessualmente o come lo scenario di possibili incontri erotici eccitanti ed esotici.
In queste pratiche retoriche, gli uomini occidentali vengono presentati come lincarnazione della
virilit e del vigore. Per contrasto, il mondo al di fuori dellEuropa veniva spesso rappresentato con
sembianze femminili. Per lOccidente, orgoglioso della propria razionalit maschile, illuminista,
questo simbolismo non solo serviva a rappresentare il Nuovo Mondo come inferiore, socialmente
e culturalmente, ma anche per enfatizzare lesotismo, la fertilit e lignoto dei quali erano pieni i
racconti che si facevano in Europa del mondo coloniale.

Attraverso questi elementi discorsivi delle strategie imperialiste, venivano giustificate e legittimate
le stesse pratiche imperialiste, venivano giustificate e legittimate le stesse pratiche imperialiste, sia
nei confronti dei colonizzatori, che degli stessi popoli colonizzati. Queste strategie non furono
comunque univoche e limperialismo trov ovunque una strenua resistenza

Le strategie anti coloniali e la fine degli imperi formali

Limperialismo occidentale stato quindi il prodotto di diverse strategie, alcune militari, alcune
economiche, alcune altre discorsive ed stato contrastato e sfidato da un altrettanto vario
assortimento di strategie e tattiche messe in atto dai popoli colonizzati. Queste azioni erano
condotte da gruppi ed individui che occupavano, per definizione, posizioni subordinate nella
gerarchia sociale e che non sempre avevano la necessit o la volont di documentare le proprie
attivit, per cui la nostra conoscenza delle forme di opposizione al governo coloniale meno
approfondita, rispetto a quella delle strategie imperialiste.

La maggior parte dei materiali a disposizione, quindi, racconta la storia dal punto di vista del
potere coloniale e, anche quanto questi riguardano i processi e le pratiche della resistenza anti
colonialista, gli episodi che vengono riportati sono inevitabilmente quelli che hanno preoccupato
maggiormente gli occupanti europei, per esempio per un livello di violenza elevato. Pur non
sottovalutando limportanza delle rivolte armate dato che sono state spesso determinanti nel
porre fine al potere coloniale, il fatto che esse siano cos presenti nei libri di storia oscura altri
eventi quotidiani e ordinari, che spesso rappresentavano potenti forme di resistenza al potere
imperialista.

La Francia perse la maggior parte dei propri possedimento doltremare in seguito a delle guerre
che ebbero luogo negli anni Cinquanta e Sessanta. Le colonie portoghesi furono invece quelle dalla
vita pi lunga in Africa, difese con forza dal governo di Lisbona, che dovette comunque
abbandonare lAfrica intorno alla met degli anni Settanta. Con il termine del predominio della
minoranza bianca in Sudafrica, nei primi anni Novanta, si sanc la fine di cinque secoli di
dominazione bianca in Africa. Secondo Fieldhouse lelemento pi interessante della storia degli
imperi coloniali moderni la rapidit con la quale si dissolsero. Nel 1939 raggiungevano la loro
massima estensione, mentre solo nel 1981 avevano cessato di esistere.

Il post colonialismo

La fine del controllo politico formale solo una parte del quadro pi complesso: alcuni autori
hanno messo in evidenza lesistenza di un colonialismo informale, nel quale i vantaggi economici
continuano ad essere diretti verso le ex potenze coloniali, anche in assenza di un controllo diretto
del territorio.

Si consideri lo sviluppo del postcolonialismo, come posizione politica ed intellettuale.

Una delle differenze maggiori nel tentativo di identificare le strategie anti colonialiste che
queste tendono a far rientrare forzatamente le storie e le geografie dei popoli colonizzati nella
storia raccontata dal punto di vista occidentale. Il filosofo Chatterjee sostiene che in una
situazione di dominio imperialista, perfino le pratiche discorsive di resistenza ed il dissenso
nazionalista assumono quella stessa visione occidentale del mondo che cercano di ripudiare.

Il post colonialismo e la geografia

Uno degli aspetti centrali del postcolonialismo una difficile e complessa relazione tra i modi
dessere, di pensare, di agire e di parlare occidentali e quelli dei popoli delle ex colonie europee.
Gli autori che si occupano del postcolonialismo ritengono che la decolonizzazione formale non
corrisponda ad una completa decolonizzazione effettiva: limperialismo era molto di pi del
formale controllo politico e militare ed il predominio europeo su gran parte del mondo era anche
un predominio di modi di pensare e concepire quello stesso mondo. Alla fine delloccupazione
formale non ha fatto immediatamente seguito il ritiro delle categorie colonialiste, delle tecnologie
e delle procedure di dominazione, n lEuropa ha cessato di essere il soggetto principale al quale
fanno riferimento molte storie e geografie postcoloniali.

Crush suggerisce che, nei tentativi contemporanei di scrivere la geografia da un punto di vista
postcoloniale, possono essere individuati quattro elementi principali: lammissione della
complicit della geografia nel dominio coloniale sui territori; la descrizione delle caratteristiche
della rappresentazione geografica nei discorsi coloniali; la separazione delle geografie locali dalle
teorie dominanti e dai loro sistemi di rappresentazione totalizzanti; la riappropriazione dei territori
occupati, e lattribuzione a questi nuovi significati da parte delle popolazioni locali, che
rappresentavano gli strati pi bassi della societ coloniale.

La volont di esaminare la complicit della geografia nel dominio coloniale sui territori significa
che i geografi dovrebbero prendere in considerazione in modo critico le modalit con le quali la
conoscenza e le competenze della geografia sono state sfruttate per radicare il colonialismo e
limperialismo. Mostrare la rappresentazione geografica nei discorsi coloniali porta alla
dimostrazione di come le pratiche discorsive colonialiste abbiano implicato lutilizzo di un certo
modo di vedere la geografia e di specifiche rappresentazioni di luoghi e regioni. I binomi coloniali,
come noi e loro , o civilt e barbarie, non sono specchi del mondo, ma atti performativi, che
modificano il mondo attraverso una serie di rappresentazioni. La separazione delle geografie locali
dalle teorie dominanti e dai loro sistemi di rappresentazione totalizzanti, la proposta di mettere
in discussione il modo in cui la stessa geografia ha subito le conseguenze del colonialismo. I
geografi di tutto il mondo utilizzano prospettive, teorie interpretative occidentali, mentre,
secondo i principi del postcolonialismo, la conoscenza geografica che si sviluppa in contesti locali
differenti non dovrebbe basarsi sul presupposto che gli approcci occidentali siano gli unici, o i
migliori modi di descrivere e comprendere il mondo. La quarta componente della geografia
postcoloniale la riappropriazione dei territori occupati, e lattribuzione a questi di nuovi
significati da parte delle popolazioni locali, che rappresentavano gli strati pi bassi della societ
coloniale, ovvero il tentativo di scrivere una nuova geografia, che attribuisca la giusta importanza
allesperienza di chi ha subito il colonialismo e ai luoghi nei quali queste persone vivono o
lavorano.

Conclusione

Si cercato di identificare le importanti eredit e le continuit attuali delle relazioni, delle


conoscenze e delle pratiche di governo coloniali. Sottolineando in particolare due elementi, che
emergono dai recenti studi sul colonialismo. Primo, il colonialismo non solo una forma di
dominazione territoriale. La colonizzazione implicava, oltre che una dominazione attraverso gli
apparati statali degli imperi, anche una dominazione delle forme di produzione della conoscenza:
la geografia stata scritta dal punto di vista dei colonizzatori, non dei colonizzati. Gli autori del
postcolonialismo hanno cercato di mettere in luce i meccanismi, le regole e i taciti presupposti che
hanno avuto la funzione di riprodurre queste forme di dominazione coloniale fin ad oggi. La sfida
nei confronti delle forme di produzione della conoscenza occidentali la decolonizzazione della
mente. Il secondo lascito del passato coloniale, strettamente legato al primo, la continuit delle
pratiche imperialiste di potenti attori statali, fino ai giorni nostri.

Geopolitica e antigeopolitica
Le idee rappresentano le precondizioni dellazione politica e spesso sono i cittadini a stabilire se si
tratta di buone o cattive idee. Bisogna per essere cauti di fronte a questi giudizi, apparentemente
universali, sulla qualit delle idee: non esistono punti di vista neutrali, con i quali giudicare, n
criteri naturali che stabiliscano cosa rende unidea buona o cattiva. necessario tenere in grande
conto le disparit nel potere di produrre idee. Le idee provengono da persone ed istituzioni
diverse, rispondono ai loro interessi ed la posizione che questi occupano nelle gerarchie di
potere, la loro persuasivit, la loro capacit di convincere gli altri e la loro vicinanza al sentire
comune a far s che alcune idee abbiano successo e possano cambiare il mondo, mentre altre
siano destinate ad essere dimenticate.

Nellultimo secolo il termine geopolitica stato utilizzato spesso per indicare quelle idee che
riguardano la suddivisione della superficie terrestre e le relazioni tra le sue singole parti. Anche se
in alcuni casi la geopolitica enfatizza soprattutto i risvolti pratici di queste relazioni, come
linvasione di un paese, queste azioni possono essere spiegate ed interpretate solo attraverso
delle idee geopolitiche. Tutti sono costantemente a contatto con la geopolitica: con varie
terminologie (terzo mondo) si da un ordine al mondo, attribuendo ad esso un significato,
attraverso unopera di denominazione e comunicazione. Considerando lo Stato come unit
territoriale principale dello spazio politico, questo processo di categorizzazione e creazione di un
ordine ha spesso determinato limportanza della competizione tra stati e della dimensione
geografica del potere.

Le idee geopolitiche implicano lutilizzo di numerose metafore riguardanti lo spazio. compito


degli studiosi di Geografia Politica analizzare il processo di produzione di queste idee e il modo in
cui queste rispecchiano le strutture di potere dominanti. Nel rifiutare di dare per scontate le
etichette della geopolitica si utilizza lapproccio della geopolitica critica (Agnew, OTuathail e
Dalby). La geopolitica critica, vede la geopolitica come una pratica discorsiva attraverso la quale
politici ed intellettuali attribuiscono una dimensione spaziale alle relazioni politiche internazionali,
presentandole come un mondo caratterizzato da determinate tipologie di luoghi, persone ed
eventi. Analizzando a fondo i discorsi della geopolitica, gli appartenenti a questa corrente si sono
soffermati molto sulle rappresentazioni, esaminando criticamente le pratiche e le immagini
attraverso le quali singoli individui o gruppi veicolano le proprie visioni del mondo.

Anche la geopolitica possiede una propria storia ed una propria geografia che strettamente
intrecciata al contesto politico nel quale si sviluppata.

Le radici tradizionali

Il termine geopolitica ha fatto il proprio ingresso nel lessico accademico nel 1899, grazie allo
scienziato politico svedese Kjellen, secondo il quale i due termini, geografia e politica, nella parola
geopolitica, poteva essere utile per indicare le radici geografiche dello Stato e, in particolare, la
sua dotazione di vantaggi e risorse naturali, ovvero la sua geografia fisica, che nel pensiero di
Kjellen rispecchiava la sua forza potenziale. Le sue idee attingevano dal lavoro del geografo
politico tedesco Ratzel che aveva applicato le teorie evoluzionistiche di Lamarck e Darwin al
comportamento degli stati (Lamarck sottolineava linfluenza diretta dellambiente naturale nel
determinare il processo evolutivo). Ratzel descrive lo Stato come un organismo vivente, che lotta
con gli altri per crescere e svilupparsi. Nel fare ci, il geografo tedesco si sofferma sulla necessit
per ogni Stato di avere un proprio spazio vitale, sostenendo che gli stati pi forti dovrebbero
espandersi nei territori di altri stati, le cui popolazioni non sfruttano con la dovuta efficienza le
risorse presenti.

Tre aspetti fondamentali di questa fase iniziale della geopolitica. Primo, i primi studiosi di
geopolitica erano interessati soprattutto alle minacce ed alle opportunit che uno Stato si trovava
ad affrontare, attribuendo quindi ad esso unimportanza fondamentale, come unit territoriale
primaria della politica, alla fine del XIX secolo. Questattenzione per le minacce e le opportunit
degli stati possono essere viste come una specifica reazione alle preoccupazioni delle potenze
occidentali di fronte al venir meno della possibilit di espandere il proprio territorio, attraverso
loccupazione di nuove colonie. Secondo, importante il collegamento che la geopolitica individua
tra lambiente naturale ed il potenziale politico: le possibilit future di uno Stato sono
strettamente connesse alle sue risorse, al suo clima ed allo spazio che ha a disposizione per
espandersi. Questo rapporto tra clima e sviluppo umano stato sviluppato a fondo nelle opere dei
deterministi ambientali, i quali sostenevano che il clima ed i fattori ambientali siano elementi
determinanti per la storia e la geografia delluomo. Terzo, bisogna soffermarsi sullambizione dei
testi geopolitici di proporre spiegazioni e conclusioni su scala globale, nonostante si occupassero
prevalentemente della natura degli stati. Queste prime opere dichiarano di distaccarsi da visioni
particolari e soggettive, con lambizione di sviluppare una vera e propria scienza delle relazioni
internazionali. Questo rispecchia due aspetti, tra loro legati, del periodo storico in cui si sono
sviluppati i primi concetti della geopolitica. Innanzitutto, si trattava di un momento di grande
espansione della geografia nelle universit e della sua istituzionalizzazione come disciplina
accademica. In secondo luogo, gli ultimi anni del XIX secolo rappresentarono il culmine della
modernit, intesa come unepoca che celebrava il trionfo dellintelletto umano sul caos della
natura. Le teorie moderniste si incentravano sulluniversalit e sulla sintesi, sulla capacit dello
scienziato sociale di osservare la porzione pi ampia possibile della realt con il proprio sguardo
esperto e di trarne delle conclusioni. stata probabilmente questa autostima tecnologica ed
epistemologica a permettere alla geopolitica di affermarsi come campo autonomo di produzione
della conoscenza.

Sir Halford Mackinder

sir Halford Mackinder ha svolto un ruolo chiave nel processo di istituzionalizzazione della geografia
nel UK ed stato una figura fondamentale nella storia della geopolitica. Le sue pubblicazioni
riguardano prevalentemente lanalisi geografica delle opportunit e delle minacce che la Gran
Bretagna si trovava ad affrontare dopo la fine della scoperta e della conquista di territori
oltreoceano. Mackinder vedeva nelle conoscenze geografiche uno strumento determinante per il
mantenimento del ruolo dominante del UK nel mondo in questo nuovo contesto storico.

Nella sua teoria dellHeartland, Mackinder, sosteneva che il mondo pu essere diviso in tre regioni,
in base alle differenze di forza potenziale tra i territori: unarea centrale (pivot area o area perno,
successivamente heartland), una mezzaluna interna ed una mezzaluna esterna, o insulare.
Identific il centro geografico con il continente eurasiatico, un territorio inaccessibile alla
potenza navale del UK e che, quindi, rappresentava una minaccia per il suo dominio. Il potenziale
dellheartland andava individuato nelle sue risorse e Mackinder avvertiva che, quando si fosse
estesa la rete ferroviaria, questa regione avrebbe potuto esercitare un potere militare ed
economico senza pari. Questa previsione lanciava un serio allarme alle potenze statali ed imperiali
del XX secolo.

necessario contestualizzare il pensiero di Mackinder. Egli era un acceso sostenitore del potere
imperiale britannico e le sue idee vanno di conseguenza viste come tentativi di semplificare la
complessit della competizione tra stati, evidenziando quella che riteneva essere la minaccia
principale: unalleanza strategica tra Germania e Russia. Le su etesi quindi prendevano
direttamente spunto dal concreto pericolo di unespansione della Germania (si parla di prima del
1914) e di un aumento del potere russo, minacce contro le quali propose la creazione di una serie
di stati cuscinetto tra la Germania e la Russia. Le sue tesi sullHeartland riflettono molti aspetti
della geopolitica di Kjellen, fondate come sono sullinteresse per la competizione fra stati, le
potenzialit ambientali di ciascuno di essi ed il desiderio di creare una grande narrazione del
potenziale umano in base ai fattori geografici. Il lavoro di Mackinder ha avuto grande importanza
per la geografia come disciplina, grazie alla convinzione di offrire modelli di relazioni tra stati che
possano avere validit su scala globale.

Karl Haushofer

Lopera dello studioso tedesco Haushofer prese spunto dalle idee di Mackinder, con lobiettivo di
creare un insieme omogeneo di contributi, a cui diede il nome di Geopolitik.

Il trattato di Versailles aveva ridotto notevolmente il territorio tedesco e Haushofer fece proprie le
idee di Ratzel , per spiegare la necessit della Germania di ottenere un maggiore spazio vitale,
giustificando cos lespansione tedesca nei territori degli stati pi piccoli che la circondavano. La
Geopolitik di Haushofer racchiude quindi al proprio interno le teorie ratzeliane dello Sato come
organismo vivente e le idee di Mackinder relative alle strategie territoriali degli stati.

La Geopolitik di Haushofer sarebbe rimasta uno sconosciuto sforzo accademico se non fosse stato
per due aspetti. Il primo che ha contribuito a diffondere nellimmaginario collettivo tedesco
lidea delle perdite territoriali da parte della Germania, che veniva rappresentato come un
organismo ferito, stimolando i sentimenti nazionali popolari. Il secondo che Hess, futuro vice di
Hitler, fu un allievo di Haushofer. Grazie a questo collegamento le idee di Haushofer entrarono a
far parte della strategia nazista. Questa connessione tra le geopolitica e lespansionismo tedesco
ha generato svariate interpretazioni isteriche e paranoiche dellinfluenza di Haushofer sulla
politica estera della Germania nazista. necessario fare attenzione a non sopravvalutare il ruolo di
Haushofer nellorigine dei violenti crimini messi in atto dal regime nazista, n possibile associare
con superficialit la Geopolitik alla pericolosa combinazione di antisemitismo e di idee di purezza
della razza che il partito nazista utilizzava come pretesto per azioni violente nei confronti di alcune
categorie di persone. Quello che si pu analizzare con serenit leffetto che il coinvolgimento
della geografia nelle violenze della filosofia nazista ha avuto sulla disciplina dopo la Seconda
Guerra Mondiale: lallontanamento da teorizzazioni normative, sostituite da approcci pi razionali
e scientifici.

Isaiah Bowman

altrettanto importante, comunque, essere cauti nel tracciare queste separazioni nette tra
approcci normativi e approcci scientifico razionali. A questo proposito, ci pu essere di grande
aiuto il lavoro di Isaiah Bowman, una figura chiave nel processo di istituzionalizzazione delle
geografia negli Usa, nella prima parte del XX secolo.

Bowman studi geomorfologia e le sue prime indagini sul capo, in Sud America, riguardarono la
mappatura dellerosione fluviale. Grazie a queste esperienze Bowman si interess allo sviluppo
umano ed in particolare al ruolo delle relazioni economiche con gli Usa nel determinare lo sviluppo
degli stati sudamericani. Contrariamente ai suo comportamenti, Bowman prese le distanze dal
determinismo ambientale, per avvicinarsi ad un approccio pi empirico e verificabile. Influenzato
da Ratzel, Bowman sosteneva limportanza di uno spazio vitale economico per gli Usa, riferendosi
alla necessit di superare le forme precedenti di colonialismo, fondate su unespansione
territoriale, e di concentrarsi piuttosto sullo sviluppo di relazioni economiche favorevoli agli
interessi americani. Bowman spingeva per la creazione di stati forti nellEuropa centrale ed
orientale, alle negoziazioni di Versailles. Era infatti preoccupato che la nascita di piccoli stati, con
poco spazio per espandersi, avrebbe incrementato rivalit di stampo imperialista. Il geografo
americano raccont la propria esperienza a Versailles, che descrive linizio dellera
dellinternazionalismo americano, sviluppando la strategia diplomatica e geografica che Wilson
aveva introdotto nelle negoziazioni, e offrendo uno sguardo generale sulla natura della geografia
politica, economica e sociale del mondo.

A causa dellassociazioni di questa prospettiva con lespansioni della Germania nazista, Bowman
evit accuratamente di usare il termine geopolitica per definire i propri lavori e descrisse i propri
contributi opponendoli apertamente a ricerche simili condotte in Germania.

Per Bowman, la geopolitica contiene al suo interno un principio auto distruttivo: quello secondo
cui, quando gli interessi internazionali sono in conflitto, solo la forza pu determinare la loro
soluzione. Egli costruisce una rigida contrapposizione tra la propria geografia scientifica, fondata
su studi empirici, ed u pi generale umanesimo, con riferimento alla natura imperialista, militarista
e ricca di pregiudizi della Geopolitik tedesca. Ad unanalisi pi approfondita, per, questa
contrapposizione cos netta presenta alcune crepe: gli studi e lattivit diplomatica di Bowman
erano indissolubilmente legati agli interessi degli Usa, nonostante la dichiarata pretesa di
apportare un contributo universale, grazie alla presunta scientificit dellapproccio utilizzato.

Bowman dichiarava loggettivit della propria visione del mondo, criticando la parzialit di quelle
proposte dagli altri. Tuttavia, proprio come quello degli altri, anche il suo punto di vista forniva una
lettura della realt parziale e schierata, influenzata dagli interessi individuali e collettivi del
contesto in cui era situato.

Quanto detto sui tre autori cita fin ora pu essere riassunto in tra punti fondamentali.
Innanzitutto, sia Mackinder che Haushofer e Bowman, svilupparono le tesi di Ratzel, in particolare
per quanto riguarda la sua concezione biologica delle pratiche dello Stato, visto come organismo
costretto a prendere parte alla lotta per la sopravvivenza, in forza delle proprie caratteristiche
ambientali e fisiche. In secondo luogo, queste prime teorie geopolitiche cercavano di offrire
spiegazioni razionali al comportamento degli stati ed ognuna di essa accusava le altre di essere
parziali o poco scientifiche, proponendo il proprio approccio come oggettivo e razionale. Terzo, si
sottolinea il legame tra geopolitica e gli interessi degli stati. Il legame tra quegli studi accademici
ed il contesto storico politico nel quale sono nati tanto stretto da rende difficile prenderli in
considerazione separatamente. difficile comprendere la distanza tra gli studiosi e gli stati, per i
legami istituzionali e personali che essi avevano con coloro che erano al potere.

La geopolitica critica
I limiti dei lavori dei primi esponenti della geopolitica sono tanto evidenti da rende comprensibile
un rifiuto di questo modo di osservare la realt e la conseguente scelta di altri approcci
intellettuali. Questa stata la reazione dei geografi politici dopo la Seconda Guerra Mondiale,
quando i presunti legami tra le idee della geopolitica e lespansionismo tedesco portarono ad un
allontanamento della teorizzazione di prospettive politiche, sostituite da un numero crescente di
lavori quantitativi e tecnici. La geopolitica aveva sostituito la geografia politica nel cuore delle
politiche imperiali e questo, anche se permise di ottenere pi facilmente finanziamenti e
riconoscimenti, port ad una messa in discussione della natura indipendente della stessa geografia
politica e determin unassociazione tra le geografia e le pratica militariste e anti democratiche
che si erano viste in quei decenni.

A partire dagli anni Ottanta si assistito ad un rinnovato interesse nei confronti della geopolitica,
anche se da una prospettiva decisamente diversa da quella dei primi teorici di questa sotto
disciplina. Questo nuovo approccio ha preso il nome di geopolitica critica, poich rifiutava e
metteva in discussione le tesi tradizione, che si rifacevano ai fondatori della geopolitica,
riportando la questione del potere allinterno dello studio dei testi geopolitici. La geopolitica non
era un esercizio naturale, ma piuttosto il rifletto del potere dei geopolitici di descrivere e
suddividere il mondo in un certo modo.

Alla base della geopolitica critica c il rifiuto della geografia come semplice atto descrittivo di un
mondo esterno, che esiste indipendentemente dallattivit del ricercatore. Al contrario, gli
esponenti di questa corrente credono che la geografia non si una descrizione del mondo, ma una
scrittura del mondo. Questo approccio prende spunto dal filosofo francese Foucault, il quale
riteneva che potere e conoscenza siano indissolubilmente collegati, sostenendo che nessuna
relazione di potere esiste senza la creazione di un campo di conoscenza corrispondente, n ci pu
essere conoscenza che non presupponga e costituisca allo stesso tempo relazioni di potere. Si pu
quindi affermare che la prospettiva critica affronta la geopolitica come se fosse un discorso, una
serie di rappresentazioni che svolgono la funzione di organizzare la conoscenza e dare forma alle
azioni. Da questo punto di vista, non si pu quindi considerare le idee della geopolitica come
rappresentazioni neutrali del mondo, ma piuttosto come pratiche discorsive legate a strutture di
potere e privilegi esistenti.

OTuathail mette in evidenza un aspetto ironico della geopolitica, ovvero il fatto che essa per
affermarsi abbia eliminato la geografia e la politica. A questo fine, egli si concentra in particolare
su de elementi della geopolitica stessa. Primo la geopolitica implica la sistematica cancellazione
della geografia: nelle teoria geopolitiche i luoghi non sono evocati attraverso le loro storie e
geografie eterogenee, ma vengo etichettati e categorizzati allinterno di un mondo omogeneo
fatto di oggetti, attributi e modelli; interi continenti vengono ridefiniti solo in base alle proprie
relazioni con i centri di potere, anzich sulla base dei conflitti, delle contestazioni e della visione
del mondo dei loro abitanti. La geopolitica semplifica la superficie terrestre, riorganizzandola in
modo essenziale in poche aree, identit e prospettive differenti. Questo processo di
classificazione, in base alle forme di conoscenza occidentali, eleva il geopolitico ad unico individuo
in possesso dellautorit per descrivere la complessit di un mondo diviso e pericoloso. Il secondo
fattore la depoliticizzazione dei processi politici che la geopolitica mette in atto, presentando la
conflittualit tra gli stati come un processo naturale, inevitabile ed eterno; questo evidente
nellutilizzo del linguaggio neo lamarckiano e della descrizione dei conflitti non come il risultato
di processi economici e sociali complessi, ma come una conseguenza naturale, inevitabile,
dellambiente fisico degli stati. In questo modo, la geopolitica sottrae la facolt di scelta e la
volontariet delle azioni al conflitto sociale e preferisce fare affidamento su grandi narrazioni
retoriche relative alla lotta degli stati per la sopravvivenza.

La geopolitica critica ci fornisce una serie di strumenti utili per analizzare alcune pratiche della
geopolitica tradizionale, mettendo in luce come queste dunque abbiano cancellato la geografia e
siano servite a depoliticizzare i conflitti. Per fare ci, gli autori di questa corrente hanno guardato
oltre i contributi dei fondatori della geopolitica classica, ricercando diversi ambiti di produzione
della geopolitica ed individuandone tre: la geopolitica formale; la geopolitica pratica; la geopolitica
popolare.

La geopolitica formale

Questa definizione si riferisce a quelle teorie che finora sono state descritte come appartenenti
alla geopolitica classica, ovvero quelle prodotte da autori che definivano se stessi geopolitici. La
geografa politica Mamadouh attribuisce ad esempi di geopolitica formale recenti la definizione di
geopolitica classica, distinta da quella classica poich si distacca dalla visione dello Stato come
organismo vivente in movimento, dal momento che i suoi confini oggi sono molto pi rigidi.
Nonostante questa differenza, lapproccio neoclassico continua a utilizzare termini come
interesse nazionale, come se lo Stato fosse un individuo, facendo corrispondere a questa visione
proposte conseguenti di strategia politica.

La geopolitica pratica

Appartengono a questa categoria quelle idee geopolitiche utilizzate dai politici per lattivit di
governo e per la politica estera. Possiamo ritrovarne degli esempi ovunque, nei discorsi dei leader
politici, nelle dichiarazioni ufficiali dei governi, nelle interviste ai capi di partito. La messa in pratica
della geopolitica, comunque, non sempre cos evidente o categorica e la forza della geopolitica
pratica risiede proprio nella sua ordinariet. Le idee geopolitiche sono spesso cos semplici da
essere invisibili, ma il loro ripetuto utilizzo nella pratica politica serve a rendere naturali certe
categorizzazioni del mondo (binomio noi/loro, sviluppo/sottosviluppato). Queste frasi possono
sembrare innocue, ma in realt traducono specifiche prospettive politiche e legittimano
importanti decisioni di politica estera.

La geopolitica popolare

Con questa definizione ci si riferisce alla comunicazione delle idee della geopolitica per mezzo
della cultura popolare dello Stato: cinema, libri, riviste. Attraverso questi mezzi, la geopolitica
cessa di essere riservata alle elites politiche o intellettuali, e vien riformulata e trasmessa ad un
pubblico pi ampio, attraverso la pratica quotidiana. Per sottolineare limportanza della
geopolitica popolare, molti autori si sono ispirati agli scritti di Gramsci e, in particolare, al suo
concetto di egemonia. Secondo Gramsci legemonia rappresenta il fondamento di un governo
forte ed indica la sua capacit di governare la popolazione grazie al consenso, senza ricorrere alla
coercizione. La geografa Sharp ha descritto il ruolo della cultura popolare nella produzione del
consenso: legemonia non si costruisce solo per mezzo delle ideologie politiche, ma anche, in
modo pi immediato, attraverso la scrittura di un copione dettagliato delle semplici attivit
quotidiane di ciascuno. Il concetto di egemonia espresso da Gramsci attribuisce un ruolo di grande
importanza alla cultura popolare, per la comprensione del funzionamento della societ, grazie
allapparente banalit e alla scarsa conflittualit di queste produzioni culturali.

Esattamente come le grandi teorie ed i discorsi politici, anche gli strumenti della cultura popolare
possono contribuire a costruire le idee dellopinione pubblica sulla geografia della politica
mondiale.

Esempi pratici di geopolitica critica

Fin ora si sono utilizzati gli strumenti della geopolitica critica per attirare lattenzione sul ruolo
della geopolitica nellannullare le differenze geografiche e depoliticizzare i conflitti e sullinfluenza
che questo ha avuto nella definizione delle politiche. Per, bisogna sottolineare che non si deve
dare per scontato che i discorsi geopolitici causino determinate reazioni nella politica sul piano
concreto. Piuttosto, la geopolitica influenza il dibattito politico, in modo da far s che alcune
politiche sembrino sensate e realizzabili, mentre altre vengono marginalizzate, dipingendole come
irrealizzabili e poco plausibili.

La geopolitica della guerra fredda

Il termine guerra fredda viene utilizzato per indicare il lungo periodo di contrapposizione
diplomatica tra gli Usa e lUrss durato dal 1947 al 1991. Limmagine dello scontro tra lideologia
democratica, votata al libero mercato, degli Usa e lautoritarismo comunista sovietico diventata
lo sfondo di gran parte delle politiche globali della seconda met del ventesimo secolo. Non
dobbiamo per pensare che lonnipresenza della guerra fredda nei discorsi corrispondesse alla sua
diffusione reale o allinevitabilit di questa situazione. Molti dei conflitti che hanno avuto luogo nel
mondo in quel periodo sono stati interpretati alla luce di questa astratta e semplicistica
contrapposizione.

Il geografo Agnew ha identificato tre concetti geopolitici, che hanno svolto un ruolo fondamentale
nella retorica americana della guerra fredda: il contenimento, leffetto domino e la stabilit
egemonica. La dottrina del contenimento si sviluppa a partire dal rischio che linfluenza dellUrss,
entit dalle evidenti mire espansionistiche, potesse infettare gli stati contigui con lideologia
comunista. LUrss era descritta come seduttrice e potenziale stupratrice, i cui istinti repressi
potevano esplodere in qualsiasi punto dei propri confini, se non si fosse esercitata una costante
pressione di contenimento. Il secondo concetto geopolitico individuato da Agnew, strettamente
collegato al primo, la teoria delleffetto domino, secondo la quale ogni minaccia allordine
mondiale, rappresentata dallaffermazione in uno Stato di un governo comunista, avrebbe potuto
diffondersi ad uno Stato vicino, e cos, uno dopo laltro come le tessere del domino, tutti gli stati di
una determinata area sarebbero potuti cadere sotto linfluenza (questo serv a giustificare
lintervento Usa in Vietnam). Il terzo concetto, lidea che gli Usa fossero i portatori di
unegemonia buona. Si descriveva il buon funzionamento del sistema economico e politico globale
come necessariamente dipendente dal predominio degli Usa.

La dissoluzione della Jugoslavia

La dissoluzione della Jugoslavia gener aspri conflitti politici, soprattutto nella repubblica di Bosnia
ed Erzegovina, caratterizzata da una popolazione eterogenea, composta da una mescolanza di
Bosniaci musulmani, Croati e Serbi. Gli appartenenti ai primi due gruppi temevano ora di trovarsi
in una condizione di inferiorit, in una Jugoslavia a maggioranza serba e, di conseguenza la Bosnia
Erzegovina rivendic la propria indipendenza. Questo mise in agitazione la minoranza serba in
Bosnia, che cerc di istituire un territorio autonomo serbo in Bosnia, innescando violenti conflitti
che durarono quasi quattro anni.

Gli autori delle correnti critiche hanno studiato il modo in cui la guerra in Bosnia, stata
interpretata e rappresentata nei discorsi e nei resoconti delle elites politiche occidentali,
dimostrando come alcune posizioni politiche siano state giustificate da questa geopolitica pratica,
mentre altre furono screditate. La visione dominante, tra i leader politici occidentali, era quella per
cui il conflitto in Bosnia era la conseguenza di antichi odi etnici; il fatto che questa spiegazione a
noi possa sembrare quasi plausibile per giustificare quelle violenze dimostra il potere della
geopolitica nel rendere naturali alcuni espedienti retorici interpretativi. I geopolitici critici
sostengono la necessit di approfondire i presupposti teorici alla base di questa spiegazione del
conflitto e le sue implicazioni per quanto riguarda latteggiamento politico internazionale nei
confronti della guerra in Bosnia. La retorica degli antichi odi etnici depoliticizza il conflitto e
annulla le sue specificit geografiche.

Primo, attribuendo la causa della guerra agli antichi odi etnici, sembra che si suggerisca che la
violenza intrinseca nella popolazione bosniaca e che si manifesta per ragioni irrazionali e
inspiegabili. Anzich far emergere la natura dei programmi politici nazionalisti, fatti di slogan
opportunistici fondati su concrete preoccupazioni economiche e sociali della popolazione
bosniaca, questa visione sembra assecondare il messaggio di questi slogan: una democrazia
pluralista impossibile in Bosnia, a causa della presenza di identit politiche antagoniste
incompatibili. Questa rappresentazione sembra assumere che siano tutti i cittadini bosniaci ad
essere nello stesso tempo vittime e carnefici. Ispirato a questimmagine, lintervento
internazionale in Bosnia stato attuato pi in termini di soccorso umanitario, che di assistenza
militare degli obiettivi politici di ciascun gruppo.

Il secondo elemento che si vuole mettere in risalto il fatto che lidea degli antichi odi etnici ha
contribuito alla cancellazione dei luoghi della Bosnia. La ricca storia sociale del paese stata
ridotta alla rappresentazione di un torbido passato di continui conflitti e aggressioni. Molti autori
hanno evidenziato la creazione di una dicotomia noi/altri allinterno di queste narrazioni
geopolitiche, con la contrapposizione tra unEuropa razionale e pacifica ed una Bosnia irrazionale e
perversa (rappresentazione definita come balcanismo). Svariati studi hanno considerato
criticamente questa dicotomia, esaminando le rappresentazioni dei Balcani nelle geografie
immaginarie di viaggiato, scrittori, studiosi e politici dellEuropa occidentale. Certi immaginari
letterari vengono spesso ritenuti irrilevanti dalla politica concreta degli affari internazionali, ma si
vuole considerare invece come possano essere importanti, in due modi. In primo luogo, essi
riflettono la geopolitica popolare, in quanto rappresentazioni culturali che ottengono il consenso
del pubblico grazie a specifiche geografie ed identit inventate. Quando queste idee vengono
arruolate al servizio della politica estera, troviamo pi facile accettarle come vere. In secondo
luogo, ci sono dei collegamenti diretti tra la geopolitica pratica e quella popolare (si dice che
Clinton sia stato influenzato da un libro di Kaplan, che offre una lettura balcanista della storia della
Jugoslavia, nella definizione delle sue politiche nei confronti dei Balcani).

Lantigeopolitica

La ricerca nel campo della geopolitica critica ha esaminato a fondo limportanza delle relazioni di
potere allinterno delle quali viene prodotta la conoscenza geopolitica, sottolineando in particolare
come laffermazione di una certa visione territoriale della realt non sia tanto legata alla veridicit,
quanto piuttosto al potere economico, politico o culturale delle idee del suo autore. Questa
prospettiva, che ha portato lattenzione sulla natura spaziale delle idee geopolitiche, rimane per
comunque concentrata sulle pratiche e le tesi delle elites statali. Negli ultimi anni ha fatto invece
la propria apparizione una nuova corrente, che prende spunto dalle teorie femministe per
costruire lantigeopolitica.

La prospettiva antigeopolitica mette in luce numero omissioni, presenti sia nella geopolitica
classica, che in quella critica. La prima lassenza di resistenza alle traduzioni concrete della
geopolitica. Secondo questi studiosi, la geopolitica critica offre una chiara decostruzione del
discorso politico dominante, ma in essa raramente presente la sensazione che esistano delle
alternative. Il secondo limite della geopolitica che essa stata unattivit esclusivamente
maschile, che ha annullato il ruolo delle donne, sia nella produzione delle proprie tesi, sia nelle
pratiche di resistenza.

La resistenza

I recenti studi nel campo dellantigeopolitica si concentrano sulle pratiche di quegli individui e
quelle istituzioni che hanno cercato di resistere alle narrazioni geopolitiche egemoniche create
allinterno degli apparati statali. Il geografo Routledge ha suggerito che il termine antigeopolitica
faccia riferimento ad una forza culturale e politica ambigua, che appartiene alla societ civile. Il
riferimento alla societ civile evidenzia il fatto che la conoscenza dellantigeopolitica viene
prodotta da realt esterne allo Stato ed agli interessi corporativi. Si tratta di visioni alternative
della storia, che sfidano lo status quo e che vengono poste in due modi. In primo luogo,
lantigeopolitica sfida il potere geopolitico materiale degli stati o delle organizzazioni globali,
resistendo al modello dominante di produzione capitalista. Inoltre, lantigeopolitica resiste alle
rappresentazioni geopolitiche imposte dalle elites, create e riprodotte per servire i loro interessi.
Lantigeopolitica pu dunque essere vista come un campo alternativo di produzione della
conoscenza, che unisce una grande variet di gruppi che combattono contro le idee geopolitiche
dominanti dello Stato.

Il conflitto in Bosnia veniva dipinto dai leader occidentali come la conseguenza di antichi odi etnici,
descrivendo la Bosnia lontana, al di fuori delle preoccupazione e della morale delle popolazioni
occidentali. Grazie agli articoli, che parlavano della cruda realt in cui erano immersi quei luoghi,
provenienti dal campo della giornalista OKane si potuto squarciare il velo nella quale era stata
avvolta la Bosnia, portando il conflitto bosniaco di fronte alla responsabilit morale di chi legge.
importante sottolineare come queste corrispondenze, provenienti direttamente dai luoghi dei
quali si parla, mettano in luce limportanza della ricerca etnografica nel campo della geopolitica,
un lavoro che prende seriamente in considerazione versioni legate ai luoghi delle narrazioni
territoriali dominanti.

Una geopolitica di genere

Recentemente, alcune geografe politiche femministe hanno provato, in due modi, ad analizzare la
geopolitica dal punto di vista delle sue connotazioni di genere. In primo luogo stata messa in luce
la grave assenza delle donne tra le figure di spicco, sia della geopolitica classica, che di quella
critica. La pretesa di oggettivit della geopolitica ha mascherato anche la sua ineguale
connotazione di genere, intrinseca ai suoi concetti e alle sue teorie. In secondo luogo, gli approcci
femministi hanno offerto visioni geopolitiche alternative, che andavano ben al di l delle
tradizionali preoccupazioni per la sicurezza degli stati.

Sia nella geopolitica classica, che in quella critica, evidente la quasi totale assenza di donne. Per
quanto riguarda la tradizione classica pu essere facilmente spiegato tenendo conto della natura
patriarcale della produzione di conoscenza geografica degli imperi della fine del XIX secolo. Ma
basta uno sguardo ai testi della geopolitica formale e pratica degli ultimi dieci anni, ancora
dominata dagli uomini, per capire che non possibile considerare le disuguaglianze di genere solo
come un fenomeno del secolo scorso. Lattenzione della geopolitica per le politiche formali delle
relazioni internazionali ha quindi escluso le arene informali delle partecipazione politica, nelle
quali le donne svolgono invece un ruolo attivo e fondamentale (migranti lavoratrici). Secondo le
autrici femministe, i geopolitici critici dovrebbero essere pi attenti alla natura parziale della loro
stessa produzione di conoscenza, che avviene allinterno di un ambiente accademico occidentale,
a predominanza maschile.

I contributi femministi non si limitano ad unosservazione critica delle discriminazioni di genere,


ma offrono anche visioni geopolitiche alternative, a partire dalla messa in discussione dei luoghi in
cui nasce la geopolitica, rovesciando lidea diffusa che questa si svolga solo allinterno delle
istituzioni formali, legate alla politica estera degli stati. Nello specifico, le geografe politiche
femministe hanno spostato lattenzione sulla natura geopolitica della vita di tutti i giorni,
evidenziando il ruolo di pratiche e identit localizzate nel sostenere o contestare i discorsi
geografici. Le prospettive femministe offrono quindi una visione alternativa della vita politica, che
rifiuta le logiche scalari della retorica dominante, offrendo al loro posto una serie di racconti
esplicitamente parziali, che rendono evidente la molteplicit di scale e di luoghi della produzione
della conoscenza geopolitica.

Conclusione

La geopolitica si occupa di visioni del mondo. Come tutte le idee, per, queste visioni del mondo
sono condizionate dalla propria origine, sono descrizioni parziali, che descrivono il mondo in un
modo utile a chi le esprime. La geopolitica critica, una prospettiva nata negli anni Ottanta, ha
cercato di utilizzare diverse teorie sociali e culturali per esaminare e descrivere le relazioni tra
potere e conoscenza, dalle quali deriva la produzione di idee geopolitiche. Alcuni studi recenti,
per, soprattutto quelli legati alla tradizione teorica del pensiero femminista, hanno criticato la
geopolitica critica in due modi: primo, ci si chiesto se gli stessi autori della geopolitica critica si
siano sufficientemente interrogati sulla propria posizione privilegiata e sui propri pregiudizi;
secondo, alcune recenti riflessioni metodologiche hanno notato come spesso i geopolitici critici si
siano concentrati soprattutto su testi e discorsi, tralasciando la realt concreta. A partire da queste
domande, in corso un lavoro di correzione e ripensamento in questo campo, grazie anche
allutilizzo, da parte dei geografi politici, delle metodologie etnografiche, utili a comprendere la
riproduzione e la contestazione quotidiana dei concetti della geopolitica.

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