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COMPENDIO DI CRIMINOLOGIA
(Gianluigi Ponti)
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA CRIMINOLOGIA
1.1 PREMESSA
La criminologia, contrariamente a quanto si creda, non riservata solo agli addetti
ai lavori: essa offre anche , in una prospettiva umanistica, molteplici spunti per
ampliare le conoscenze e favorire una migliore conoscenza della persona umana.
Fornire conoscenze maggiormente approfondite, che non ricalchino solo il comune
buon senso o gli stereotipi e i luoghi comuni sul crimine lo scopo specifico di
questa disciplina.
1.2 LE SCIENZE CRIMINALI
Le discipline che hanno come loro interesse i fenomeni delittuosi si denominano
scienze criminali e ad esse appartengono, oltre alla criminologia:
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una scienza multidisciplinare nel senso che una scienza che per il
proprio autonomo sviluppo richiede competenze molteplici: essa si occupa
quindi dei fenomeni delittuosi secondo molteplici prospettive e competenze.
Afferiscono alla criminologia conoscenze fornita da pi discipline quali la
sociologia, la psicologia, la psichiatria, la psicologia sociale, ecc. mentre
esclusivo compito della criminologia il coagulare in s i loro apporti per
quanto pu essere utilizzato per lo studio del crimine. Il criminologo lo
studioso che deve saper integrare in una visione sintetica dati, conoscenze,
approcci e metodi provenienti da campi diversi del sapere.
Posto ci, vediamo ora quali siano le particolari prerogative di dottrina scientifica
della criminologia.
Di certo la criminologia stata da molti ricompresa fra le scienze empiriche, nel
senso che sarebbe fondata solo sullosservazione della realt criminosa e non sulla
speculazione astratta o su presupposti teorici o su giudizi di valore, e nel senso che i
suoi dati dovrebbero avere carattere oggettivo. Pertanto, le interpretazioni che essa
fornisce del suo campo di indagine, le valutazioni cui perviene e gli sviluppi
teoretici che propone dovrebbero essere unicamente il frutto della osservazione
della realt. Ci per accade solo per talune delle teorie criminologiche poich altre
sono invece fortemente influenzate dallatteggiamento soggettivo dello studioso. Il
carattere avalutativo e neutrale della criminologia intesa come scienza sempre e solo
empirica, a lungo sostenuto nel passato oggi assai ridimensionata. Le teorie
criminologiche non vengono pi considerate come oggettive certezze anche se
rimane pur sempre alla criminologia il requisito di scienza anche emprica, ma solo
relativamente a talune delle sue acquisizioni. Un altro aspetto del suo essere scienza
empirica si manifesta con la sua qualificazione come scienza descrittiva dei
fenomeni criminosi: per questo ad essa competa la descrizione fattuale, la
classificazione e la differenziazione tassonomica dei delitti e dei loro autori, Nel
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giudizi di fatto
Criminologia
Aspetto ideologico/critico
giudizi di valore
non dogmaticit, perch proprio delle teorie scientifiche il poter essere demolite e
sostituite da nuove che dimostrano cos la fallacia di quelle che le hanno precedute.
Non vi cio una verit assoluta, valida per sempre, ma piuttosto un succedersi di
verit, sempre provvisorie, in attesa di essere superate, modificate o smentite da
altre interpretazioni teoriche della realt in cui viviamo.
Infine si contesta lavalutativit della ricerca scientifica, affermando che i dati non
parlano da soli ma vengono letti alla luce della teoria: addirittura si sostiene che
sar la teoria a permetterci di vedere certi date e ad accecarci rispetto ad altri. Il che,
poi, tanto pi vero per quelle scienze meno immediatamente a contatto col dato
naturale, e che rivolgono invece la loro attenzione alluomo nel suo agire sociale o
individuale: dunque, tutte le scienze nelle quali lo scienziato nello stesso tempo
osservatore di eventi e attore partecipe di quel contesto sociale, obbligatoriamente
contengono delle scelte di valore e riflettono gli orientamenti generali della cultura
del proprio momento. Quindi, anche la criminologia non pu essere solo scienza
empirica e conoscitiva (il che comunque non salvaguarderebbe lassoluta neutralit)
ma include in s necessariamente anche aspetti di scienza etico-normativa poich le
sue acquisizioni, oltre che basarsi su giudizi di fatti, contengono anche giudizi di
valore.
1.7 VERITA E TEORIE CRIMINOLOGICHE
E opportuno chiarire unaltra delle peculiarit delle teorie del comportamento
umano, rappresentato dal carattere relativo delle verit da esse enunciate.
Relativamente al carattere di verit sulle cause proposte dalle varie teorie, da
premettere che nel corso del tempo ne sono state identificate moltissime il che
farebbe sospettare che le cause indicate da ciascuna di esse non siano veri fattori
causali. Molti approcci teorici, sia sociologici che psicologici, si propongono come
teorie unicasuali, nel senso che hanno polarizzato il loro interesse su di un unico
fattore, ritenuto il pi rilevante o addirittura esclusivo. Altre teorie tentano invece di
conciliare molteplici fattori che intervengono nella causazione per offrire cos una
prospettiva interpretativa pi ampia: queste si denominano teorie multicausali.
Nello studio del comportamento umano, da intendersi il significato di causa in
termini molto relativi: lenorme numero dei fattori concorrenti, unitamente
allestrema variet individuale nel rispondere e reagire anche a identiche
condizioni, devono render cauti sul significato della causalit nel comportamento
umano. Nessun fattore pu mai da solo completamente spiegare un fatto, e
reciprocamente lo stesso comportamento pu essere inquadrato e spiegato secondo
varie teorie causali: questa semplicemente la conseguenza del fatto che i vari
ricercatori rivolgono il loro interesse maggiormente sulluno piuttosto che sullaltro
degli innumerevoli fattori che concorrono nel comportamento sociale delluomo.
Intendere la condotta in termini polarizzanti sulla causalit espone al rischio di
considerarla secondo la prospettiva del determinismo: ci vuol dire che col dar
valore di causa come antecedente che da solo spiega lagire, si finisce col
prospettare uninterpretazione meccanicistica che non lascia pi spazio a quella che
la variabile fondamentale del comportamento umano e cio la libert di scelta.
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E poi ormai risaputo che nelle scienze umane la libert di autodeterminarsi non ha
carattere dogmaticamente assoluto ma sentita come una responsabilit che pu
essere spesso attenuata e ne parliamo pertanto come di una libert morale
condizionata. Ben sappiamo che gli spazi della libert umana sono molte volte
compromessi, anche in maniera rilevante, da handicap sociali, o da appartenenze a
particolari sottoculture o dallo stigma o da fattori psicologici e biologici. Ma al pari,
il nostro momento culturale rivaluta la residua possibilit di scelta delluomo dai
vari condizionamenti, riafferma la sua responsabilit e quindi anche la possibilit di
formulare giudizi in termini di merito o di demerito.
Sul terreno teorico risulta poi sterile ogni affermazione generalizzante o di priorit
fra le varie cause (o fattori) evidenziate dalle varie teorie: La complessit dei
fenomeni della psiche umana, e conseguentemente della condotta, impedisce di
stabilire delle gerarchie di importanza tra tali fattori: solo utilizzando i vari approcci
in una visione integrata e non esclusiva verr favorita la migliore comprensione dei
fenomeni. Ci che dovr evitarsi, dunque, sar il dogmatizzare una sola teoria.
Va chiarito comunque che il concetto di teoria unicausale non equivale a quello di
teoria deterministica, ben potendosi formulare teorie unicausali che non considerino
il fattore da esse eletto a condizione principale anche come escludente lintervento
della scelta personale; viceversa, possono darsi teorie multifattoriali ma
deterministiche in quanto asseriscono che il concorrere di un certo numero di fattori
comporta necessariamente lesito criminoso. Ma sar comunque ben difficile che
una singola teoria possa soddisfacentemente chiarire, sotto il profilo causale, o
anche solo esplicativo, ogni tipo di condotta criminosa.
Tornando alla questione delle verit delle teorie criminologiche, c da ricordare che
il carattere distintivo della bont di una teoria non il suo essere pi o meno vera.
Ogni costruzioni teorica che miri ad identificare la causa o le cause del
comportamento criminale incontra un primo insuperabile ostacolo nella estrema
variabilit dei crimini che sono straordinariamente diversi fra loro. Questa
considerazione consente di affermare che non ci sar nessuna teoria in grado di
identificare una o pi cause efficienti per ogni tipo di crimine, e che pertanto
nessuna teoria sar pi vera di altre.
Una seconda considerazione deriva dal fatto che le cause identificate (o comunque i
fattori ritenuti dalle varie teorie pi importanti) oltre ad essere numerosissime sono
spesso inconciliabili tra loro.
Bene, oggi siamo consapevoli che il metodo scientifica, in modo particolare quello
che si utilizza nelle scienze delluomo, non in grado n lo presume, di fornire
verit incontrovertibili: siamo consapevoli di non poter esprimere certezze sulla
personal umana.
Mentre la verit un concetto assoluto, le teorie hanno una validit solo relativa e
provvisoria. Una teoria dovr essere valutata piuttosto in funzione del suo valore
euristico: cio della capacit di stimolare altre ricerche e a favorire il sorgere di
nuove conoscenze. Una teoria perci vera (quindi non in senso trascendente e
assoluto) solo se utile (cio se si presta a essere utilmente impiegata per
ulteriormente facilitare la comprensione di un fenomeno, per accrescere le
conoscenze e per pi efficacemente intervenire su di esso).
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Non si deve dunque cercare la teoria pi vera, posto che nessuna lo in assoluto: il
criminologo si avvarr piuttosto dei contributi derivanti da vari approcci teoretici,
cos da poter fruire di un pi ampio ventaglio conoscitivo. In questo senso
giocheranno infine un ruolo importante anche le affinit e gli orientamenti di
ciascun studioso in quanto sappiamo che non possibile prescindere completamente
dai giudizi di valore, che necessariamente sono informati allideologia e alle
inclinazioni culturali di ciascuno.
1.8 IL CONCETTO DI CAUSA IN CRIMINOLOGIA.
Gli uomini hanno costantemente costruito spiegazioni causali alla ricerca di dottrine
capaci di offrire una spiegazione al perch viviamo, e al perch delluniverso di cui
siamo parte: non deve dunque sorprendere se anche la criminologia si sia posto il
problema di identificare le cause della condotta delittuosa.
Abitualmente si designa coma causa di un fatto lantecedente necessario e
sufficiente al suo accadimento.
Nel cercare la causa, non possiamo rifarci solo alle condizioni necessaria in quanto
esse sono molteplici e una siffatta esasperata e paradossale visione condizionistica
del tutto sterile. Ci che si indica come causa deve essere non solamente necessario
ma costituire anche una condizione sufficiente: si deve cio, fra gli infiniti
antecedenti necessari, identificare solo quello che in definitiva ha provocato
leffetto. Chiamiamo pertanto causa, fra tanti fattori pur necessari, solo quella
condizione che pi direttamente intervenuta nel fenomeno esaminato, trascurando
gli altri, e senza la quale leffetto non si sarebbe verificato. Cerchiamo, cio, la
conditio sine qua non. Fra i tanti antecedenti, quello la causa efficiente.
Se poi, in unaltra prospettiva ci si propone non semplicemente un fenomeno ma
anche di intervenire per modificarlo, chiaro che necessario trascegliere dal
complesso degli antecedenti talune condizioni che si reputano pi importanti perch
sono quelle sulle quali possiamo intervenire per modificare leffetto. Di fronte a tale
esistenza di una causalit pragmatica si trova anche il criminologo, chiamato ad
indagare e comprendere, ma possibilmente anche a contrastare il comportamento
delittuoso.
Questo comune concetto di causalit, che chiameremo casualit lineare (dalla causa
A deriva leffetto B, che esprimiamo graficamente con la formula A ----- B stato a
lungo il paradigma dominante dellet del Positivismo quando, nel secolo XIX,
vigeva una visione meccanicistica ed una fiducia assoluta nella capacit esplicativa
della scienza secondo la quale i fenomeni naturali (e con essi anche il
comportamento umano) derivavano, in una visione deterministica, da fattori noti
che producevano necessariamente certi effetti, in armonia con leggi di natura che
erano certezze non discutibili.
Ma se per molti fenomeni naturali pi semplici la causalit lineare ha ancora pieno
valore, questo principio di causalit non ha oggi pi credito per quanto attiene ai
fenomeni di cui si occupano le scienze delluomo. La prospettiva della causalit,
relativamente al comportamento umano cambiata radicalmente: essa intesa
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Fra gli innumerevoli comportamenti il diritto ne indica infatti alcuni come proibiti,
prevedendo sanzioni per chi viola la proibizione: solo che lindicazione di ci che
proibito cambia nel tempo e nei luoghi.
Oltre che mutevoli, le definizioni del diritto positivo sono necessariamente rigide e
schematiche. Per molti studiosi il delitto si sostanzia in una condotta che lede o
mette in pericolo un bene di rilievo per la collettivit, nel senso che la sua lesione o
messa in pericolo costituisce danno sociale: essa cio risulta intollerabile per la
societ stessa e non altrimenti evitabile se non utilizzando sanzioni criminali.
Fin dal secolo scorso, allepoca della Scuola Positiva, stato rivalutato il vecchi
concetto di delitto naturale contrapposto a quello di delitto come fatto
storicamente e socialmente contingente che mira a identificare i delitti secondo un
criterio e unetica universali, non subordinate al variare delle norme legali. Secondo
questa prospettiva giusnaturalistica, esisterebbe una sorta di sistema legale non
scritto cio un insieme di valori che le leggi costantemente tutelano in ogni
momento storico e che rispecchierebbero i contenuti etici fondamentali, immutabili
e trascendenti, di una supposta natura delluomo: essi si affiancherebbero al
diritto positivo dei singoli stati e delle singole epoche, essendo indipendenti o
addirittura superiori ad esso ed di essi che la criminologia dovrebbe soprattutto
occuparsi.
Lantropologia e letnologia informano invece che nessuna delle condotte proibite
dalle norme si mantenuta immutata nel corso dei secoli. Tutti i valori etici, tra cui
anche quelli che parrebbero pi radicati, non sono dunque frutto di principi innati o
del patrimonio biologico o di principi immanenti e immutabili ma della evoluzione
sociale e culturale.
Il delitto non pertanto fatto naturale bens fatto sociale identificato da una
definizione convenzionale, necessariamente mutevole con il mutare delle societ e,
pertanto, lidea del delitto naturale risulta inaccettabile per chi affronta il problema
in una prospettiva antropologico-culturale.
Nel tentativo di definire il delitto secondo criteri di validit generale, svincolata
dalle norme contingenti e mutevoli de diritto positivo, si anche tentato di utilizzare
il principio della antisocialit o della pericolosit sociale. Sulla pericolosit si
incentrava la politica criminale propugnata della Scuola Positiva del diritto ed era
intesa come una specie di innata tendenza a compiere delitti non necessariamente
connessa con leffettualit di comportamenti legalmente proibiti e che sugli
individui socialmente pericolosi si and incentrando linteresse dei criminologi di
quellepoca. Ma lantisocialit e la pericolosit sono per condizioni ben difficili da
oggettivare da arte delle scienze delluomo ed in definitiva un mero giudizio di
valore espresso nei confronti di taluni individui in ragione non solo di talune loro
caratteristiche somatiche e psicologiche ma in pratica molto spesso semplicemente
del loro status. Rientrerebbero pertanto tra questi esseri antisociali anche coloro che
pur non avendo commesso reati ne vengono reputati potenzialmente capaci: si
ammette cos lesistenza di una criminalit potenziale o induttiva svincolando il
concetto di delinquente dal quello di delitto consumato o tentato. C anche da dire
che nel diritto penale moderno, il criterio della generica antisocialit ha assunto un
significato diverso in quanto beni giuridici meritevoli di tutela penale sono oltre i
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penale, nello stesso tempo, quale scienza autonomia, essa non si trova nei confronti
del diritto in una posizione subordinata, ma esamina e analizza criticamente, e in
piena indipendenza, la legge medesima, le sue modalit di applicazione e gli effetti
che produce.
1.10 - Il delitto quale convenzione sociale mutevole col succedersi delle culture:
la sua relativit storica
I delitti non sono qualificati come tali come espressione di valori eterni e
trascendenti: la loro identificazione da intendersi come una convenzione sociale,
e, come tale, mutevole col succedersi delle culture.
La relativit del concetto di delitto deriva innanzitutto dal fatto che la norma penale
espressione dei valori prevalenti e degli interessi particolarmente tutelati in una
determinata societ.
In larghi archi di tempo, si pu osservare che sono stati puniti come reati
comportamenti che successivamente non sono stati pi ritenuti tali (stregoneria,
eresia, maleficio, ecc.) e, per converso, atti oggi severamente puniti, in altre epoche
furono puniti con maggior mitezza se non addirittura non penalizzati.
La relativit del concetto di diritto si osserva anche per il fatto che nella stessa
epoca, concezioni assolutamente difformi sono presenti in diversi paesi, pur
appartenenti ad analoghe strutture culturali e, ancora, di pi, in aree culturali fra
loro maggiormente differenti, possono osservarsi, in uno stesso momento storico,
assai diverse qualificazioni i delitti o unassai dissimile percezione di gravit.
Per comprendere il carattere relativistico del delitto, occorre ricordare che tutta la
vita umana ordinata da norme (legali o di costume) che vengono apprese e che
differiscono, con limitato margine di discrezionalit individuale, come ci si debba
comportare e viceversa come non sia lecito agire nelle varie circostanze.
Lapprendimento di tali norme un fatto squisitamente culturale ed favorito da un
insieme di strumenti di controllo sociale che agiscono su ogni attore sociale affinch
si conformi ai precetti del suo gruppo. Linsieme delle regole di comportamento fa
s che tutte le azioni dalle pi semplici a quelle apparentemente innate, a quelle
pi complesse siano previste nel modo e nel tempo in cui debbono essere eseguite
lasciando uno spazio di libert e di scelta al singolo individuo che sempre limitato.
La maggior parte di queste norme non codificata ed talmente connaturata ai
costumi e alla cultura da passare del tutto inosservata, o dal farla ritenere non tanto
la conseguenza dello sviluppo della cultura realizzatosi nel millenario succedersi di
diverse societ quanto addirittura naturale, cio legata alla stesa struttura
biologica delluomo.
La dinamicit delle regole tipica dellevolversi delle varie culture e le leggi si
modificano e si succedono in un divenire continuo, per adeguarsi costantemente
allevoluzione della societ. Alcune regole durano pi a lungo e sono ritenute
immutabile e perci intrinseche alla natura delluomo; altre si modificano pi
rapidamente e perci vengono apprezzate pi agevolmente come mutevoli regole
sociali.
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Si sono inoltre sempre poste distinzioni fra le varie norme, alcune delle quali
vengono ritenute di minor conto ed altre valutata come pi importanti: sono quelle
che tutelano principi e beni che sono ritenuti primari e la cui osservanza garantita
dal controllo esercitato dalla legge penale. Questo vuol dire che viene effettuata una
selezione fra principi, beni, interessi, diritti, secondo una precisa gerarchia di valori.
Qualche volta queste infrazioni possono anche essere lesive di valori morali, la cui
osservanza per lasciata alla discrezione dei singoli e non tutelata con punizioni
legali, bens mediante il controllo esercitato in modo informale dai gruppi sociali
(riprovazione, derisione, emarginazione, censura, ecc.). A protezione di principi e
beni ritenuti essenziali esistono invece (nelle societ simili alla nostra) norme
scritte, tradotte in codici e leggi, che ufficialmente ne proibiscono linosservanza,
prevedendo, per ciascuna trasgressione, la corrispondente pena.
Le leggi penali sono pertanto da intendersi come uno dei numerosi sistemi di
controllo sociale mirati a inibire quei comportamenti ritenuti pi gravi, perch
minacciano quellinsieme di beni, materiali e no, che una data societ ritiene
maggiormente preziosi e che protegge in modo privilegiato, mediante appunto
lintimidazione e lirrogazione della pena.
Di volta in volta, la societ distingue per convenzione ci che lecito da ci che
non lo e, pertanto, anche la definizione di reato mutevole e convenzionale, cio
non assoluta, ma frutto di scelta, di decisione o accordo in funzione di una a sua
volta mutevole gerarchia di valori.
Il carattere relativistico delle definizioni legali di delitto non autorizza peraltro
alcune soggettivismo, per il quale, essendo la legge una convenzione, sarebbe a
ciascuno lecito decidere, secondo un proprio codice personale, se accettare e
rispettare la norma legale, ovvero rifiutarla e non osservarla. Principio irrinunciabile
di ogni societ losservanza della legge esistente, che mantiene la sua imperativit
anche constatandone il valore contingente e on trascendente. Semmai, le leggi
vanno modificate quando non sono pi socialmente percepite come adeguate ai
valori della cultura.
1.11- Strumenti di controllo
Ogni societ retta da regole di comportamento, parte non codificate, parte tradotte
in norme legali (fra le quali quelle penali) al fine di assicurare coesione fra i suoi
membri e stabilit sociale: senza regole, infatti, qualsiasi contesto, dl pi arcaico al
pi evoluto, non pu esistere. Questi obiettivi sono assicurati dalla esistenza di
sistemi di controllo che hanno appunto lo scopo di assicurare la coesione e la
salvaguardia di ogni dato contesto sociale.
Il termine controllo sociale va spogliato dl pensiero che si tratti di qualcosa di
opprimente e va inteso, invece, in modo neutrale, avendo la consapevolezza che
nessun sistema sociale pu esistere senza losservanza di regole e questo per il
benessere di tutti.
Isaiah Berli, uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo europeo, scriveva,
giustamente, che la libert larea entro cui una persona pu agire senza esser
ostacolata dagli altri ma per fruire di questo bene fondamentale necessario che la
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libert dei singoli sia garantita appunto dai sistemi di controllo che, senza per ci
essere necessariamente oppressivi, ne assicurano la salvaguardia.
Per comprendere lutilit di queste strutture di salvaguardia, prendiamo in
considerazione il concetto di agenzie di riduzione dellansiet. Tali agenzie
svolgono una fondamentale funzione di stabilit sociale e sono rappresentate da
tutte quelle struttura pi o meno istituzionalizzate o informali alle quali gli attori
sociali aderiscono per vari motivi e in vario modo (comunit, associazioni, partiti,
movimenti, organizzazioni sportive, ecc) che forniscono contestualmente
costellazioni di valori (ideologie, fede religiosa, fede politica, ideali, mete collettive,
etica sociale, regole di vita): il loro venire meno si riflette in aumento di ansia
sociale. Tali agenzie sono vissute come pregnanti: tanto pi il singolo individuo pu
riferirsi ad esse e tanto meno deviante sar la sua condotta.
Queste agenzie costituiscono uno dei tanti mezzi di cui la societ dispone per
assicurare nei suoi membri la massima osservanza delle regole che caratterizzano la
sua cultura e quindi anche per contenere la criminalit. Ogni tipo di societ
impiegher tutti gli strumenti idonei a evitare le tendenze devianti dai suoi valori
fondamentali: questi sono appunto gli strumenti di controllo sociale.
Fra gli strumenti di controllo sociale distinguiamo:
1) quelli istituzionalizzati o di controllo formale - che sono cio organizzati
e regolamentati da specifici organismi. Controllo formale il controllo
esercitato dagli organi pubblici in base a norme giuridiche che ne prevedono
esplicitamente le competenze e le procedure. I controllo formale quello
esercitato dalle forze di polizia, dalle sanzioni detentive e pecuniarie, dalle
misure di sicurezza, ecc. Sono tutti strumenti che, regolamentati in precise
istituzioni, mirano a garantire il rispetto delle norme.
2) Quelli di controllo informale istituzionalizzato sono organismi fondamenti
che, pur avendo diversi fini istituzionali, rappresentano anche
importantissime fondi di informazione normativa e canali di comunicazione
dei valori fondamentali, e che quindi fungono anche da agenzie di controllo
del comportamento. Il controllo informale rappresentato dallazione di
strutture riconosciute dal diritto per finalit diverse dalla lotta alla
criminalit (ad esempio, la famiglia, la scuola, la chiesa, il sindacato) o
anche indifferenti al diritto (es: le comunit abitative e le associazioni
spontanee) che, intenzionalmente o meno, concorrono a determinare
ladattamento degli individui agli schemi delle societ in cui vivono o anche
a correggere situazioni , comportamenti e abitudini di vita che fanno temere
unesposizione al rischio di divenire delinquenti o una inclinazione in tal
senso (servizi sociali, presidi psichiatrici, i centri per alcolizzati e
tossicomani, ecc.).
3) Quelli di controllo informale non istituzionalizzato (o di gruppo) Si tratta
di un sistema di controllo che non si esercita mediante le istituzioni ma da
persona a persona nel contesto stesso dei vari gruppi sociali Il vicinato, le
persone che si frequentano, gli amici e i colleghi, lambiente di studio e di
lavoro). Ciascun individuo infatti costantemente sottoposto al giudizio di
coloro con i quali vive a contatto e, attraverso una fitta rete di messaggi,
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presupposto di una visione del mondo, che anche filosofica ed etica. Cos come,
reciprocamente, la criminologia non pu prescindere anche dai dati
dellosservazione empirica dei singoli individui, dellambiente e della realt sociale.
Da qui, limportanza di conoscere metodi e fondi dei dati empirici di cui pur sempre
la nostra disciplina si avvale.
Gli strumenti statistici a disposizione del criminologo sono:
Le statistiche di massa - servono per esaminare lestensione dei fenomeni e le
caratteristiche pi generali dei fatti criminosi (frequenza, diffusione, distribuzione e
fluttuazioni nel tempo e nei luoghi) e sono effettuate su grandi numeri o sulla
totalit dei soggetti delluniverso considerato. Queste ricerche non consentono,
per, lidentificazione dei fattori sociali che concorrono alla genesi del fenomeno
osservato e levidenziazione delle condizioni microsociali o individuali rilevanti, in
quanto privilegiano i fattori macrosociali di pi generale influenzamento;
Losservazione individuale tipica della criminologia clinica, consente invece di
evidenziare circostanze particolari che la statistica non pu considerare
(caratteristiche psicologiche o psicopatologiche del reo, aspetti del suo ambiente
particolare, riverberi su di esso della reazione sociale, la sua carriera criminale,
relazioni interpersonali, ecc.). Risulta per impossibile enucleare con questo mezzo
di indagine i fattori di pi generico influenzamento presenti nellambiente sociale.
Questo tipo di investigazione pu estendersi a pi soggetti aventi una comune
caratteristica delittuoso, cos che dalla moltiplicazione dei singoli casi osservati se
ne possono ricavare profili psicologici e identikit maggiormente significativi sulla
tipologia di particolari delinquenti: ricerche di questo tipo consentono di accertare,
ad esempio, le caratteristiche comuni di ladri o truffatori professionali, serial killer,
ecc.
Le ricerche su gruppi campione con questo tipo di ricerche, lindagine viene
sempre centrata su singoli individui ma estendendo lindagine su un numero pi
elevato di soggetti e utilizzando certe regole di rilevazione, se ne possono ricavare
conclusioni dotate di validit generale, cos come avviene con le statistiche sui
grandi numeri. La ricerca eseguita su un numero relativamente ristretto di soggetti
che diventa per rappresentativa (un campione, appunto) dellintera popolazione.
Le indagini sul campo Quando si vogliono studiare le caratteristiche criminali di
certi ambienti o gruppi, gli orientamenti particolari di certe sottoculture, le
interazioni che esistono fra i loro appartenenti, pu essere utile che il ricercatore si
inserisca materialmente per un periodo di tempo.
Le ricerche settoriali sono condotte, senza che il ricercatore si inserisca
personalmente nel campo indagato, su altri ambienti particolarmente significativi
(carcere, istituti per misure di sicurezza, ambienti dei tossicomani, ecc.) per
indagare su dati e situazioni non altrimenti conoscibili.
Interviste a testimoni privilegiati - Si eseguono inchieste su persone che, per la loro
veste professionale (assistenti sociali, psicologi, psichiatri, insegnanti, ecc.) hanno
conoscenze vissute ed esperienze professionali particolarmente preziose.
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Tutti questi tipi di indagine vengono eseguite con la tecnica delle interviste dirette e
con questionari, cos da poter valutare le percezioni e le opinioni nei confronti di
vari problemi attinenti alla criminalit.
Quando si vogliono analizzare gli effetti di taluni trattamenti risocializzativi, le
conseguenze di certi interventi o la validit di talune innovazioni penali, si
utilizzano le ricerche operative, che consistono nel controllare i loro effetti
comparando una campione di soggetti che ne hanno beneficiato con altri che non ne
hanno fruito. In tal senso, queste possono essere definite ricerche sperimentali.
Ci sono poi le indagini anamnestiche che esaminano i risultati a distanza di tempo
di taluni interventi per valutarne lefficacia.
Sono da ricordare anche gli studi predittivi, utilizzati per trovare indicatori che
consentono di prevedere il futuro comportamento sulla scorta di certi parametri e le
ricerche storiche, che offrono unampia gamma di studi, per esempio sulla
fenomenologia criminosa, sulle pene e sui sistemi carcerari di epoche passate.
1.14 Il numero oscuro
Una importante limitazione di ogni indagine effettuata in ambito criminologico
legata al fatto che i dati utilizzati, qual che sia la metodologia impiegata, sono
relativi ai reati denunciati dalla polizia o dai privati alla magistratura, ai
procedimenti penali istruiti, alle sentenze di condanna, alle popolazioni delle carceri
e, comunque, ai dati relativi ai criminali o crimini identificati: emergono cio da
fonti che sarebbe erroneo ritenere rappresentativo dellintera criminalit poich
esprime solo la quantit e qualit di quei delitti che si sono individuati. Invece, in
effetti, il numero dei delitti che vengono quotidianamente consumati in genere
superiore a quello che emerge alla superficie: cos, la visione della realt criminosa
risulta gravemente deformata ove essa fosse riferita solo ai dati ufficiali senza
prendere in considerazione anche quelli relativi alla criminalit sconosciuta. A ci
fanno riferimento sostanzialmente gli studi sul numero oscuro (dark number).
Le ragioni che rendono conto del divario fra criminalit nota reale sono tante:
alcune attengono ai fatti delittuosi, altre al tipo di autori, altre ancora a particolari
situazioni che riguardano le vittime.
Lindice di occultamento (cio il rapporto reati noti e reati commessi) varia in
modo considerevole per le differenti specie di delitti: il numero degli omicidi
volontari commessi molto vicino a quello noto; le truffe, invece, quelle note sono
notevolmente inferiori a quelle attuate dato che non tutte le vittime denunciano il
reato subito.
Al numero oscuro relativo al mancato accertamento dei reati, si aggiunge poi a
dilatare ancora di pi la zona dombra il problema della non identificazione
dellautore dei reati pur accertati.
Il numero oscuro non dunque da riferirsi solo ai fatti delittuosi che rimangono del
tutto ignorati e che non mettono nemmeno in moto le strutture deputate alla loro
repressione e punizione, ma ricomprende anche quei delitti ufficialmente noti e dei
quali non si scoperto lautore.
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CAPITOLO 2
LO SVILUPPO DEL PENSIERO CRIMINOLOGICO
2.0 Ideologie e criminologia
La criminologia nasce come scienza solamente nel 1800 quando, per la prima volta,
viene affrontato in modo empirico e sistematico lo studio dei fenomeni delittuosi,
che in precedenza, venivano considerati secondo una prospettiva essenzialmente
morale e solo secondariamente giuridica.
E interessante perci rendersi conto in quale modo i delitti e i loro autori siano stati
percepiti nel tempo, e secondo quali intenti si mirato a combattere , prevenire e
punire la criminalit.
In questa prospettiva storica, comunque da sottolineare il fatto che riandando fino
ai tempi pi remoti della nostra evoluzione culturale, si constata che da sempre la
norma (sia essa legale o morale) rappresenta il fondamentale parametro regolatore
della condotta degli uomini: il definire quindi taluni comportamento come
autorizzati ed altri proibiti dunque una esclusiva caratteristica delluomo,
dalla quale deriva anche laltra sua specifica prerogativa di potere e di voler cio
scegliere le condotte proibite anzich quelle lecite e perci di potere e di volere
compiere anche delitti.
La netta differenziazione fra illecito morale e illecito giuridico avverr solo in tempi
a noi vicini e sar frutto del pensiero illuministico. In precedenza, in ogni delitto era
implicito anche un contenuto di infrazione morale e i due concetti, di fatto,
coincidevano.
Questo approccio storico pu essere affrontato secondo una triplice prospettiva:
1) una prospettiva esplicativa (perch si delinque?)
2) una prospettiva finalistica (a qual fine punire?)
3) una prospettiva operativa (come punire?).
Vediamole in particolare.
1) prospettiva esplicativa secondo questa prospettiva, oggi si risponde alla
domanda perch si delinque?; per lunghi secoli, invece, questa domanda era
perch si pecca?. Le risposte in proposito sono state molte: per ribellione al
comandamento divino, per acquiescenza alle lusinghe del demonio, cio, in altri
termini, al mai risolto conflitto tra Bene e Male. Un simile approccio pone subito
la questione mai risolta della predeterminazione, ovvero della libert di peccare:
questo dibattito ancora oggi aperto tra le correnti di pensiero deterministiche,
che ritengono luomo totalmente condizionato nellazione da forze a lui esterne
(cultura, societ, pressioni ambientali di ogni tipo, fattori psicologici, ecc.) e
quelle che ritengono invece luomo comunque libero, cio dotato della capacit
di scegliere il male (i comportamenti proibiti dalle norme) ovvero il bene (i
comportamenti autorizzati). Solo in tempi a noi pi vicini, con il rafforzarsi
dellautorit dello stato, si sono andati lentamente differenziando il delitto
inteso come infrazione ai divieti terreni dal peccato quale inosservanza della
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morale (cio dei precetti divini) anche se etica e delitto si sono pur sempre, ed
anche oggi, in parte sovrapposti.
2) Prospettiva operativa se ci chiediamo, invece, come punire, ben notala
predilezione, nei tempi passati, per la pena capitale quale sanzione elettiva,
applicata per infrazioni ai nostri occhi anche di ben modesta gravit anche se le
pene corporali, le fustigazioni, la lapidazione, i tormenti, le mutilazioni, ed altre
atrocit non erano disdegnate. Solo ai nostri giorni la pena fondamentale
diventata la perdita della libert mediante la carcerazione che, comunque, una
sofferenza irrogata come pena sia pure con sempre maggior limitazione della
sofferenza del corpo. La pena capitale oggi prevista in un numero ancora
considerevole di Paesi anche se lONU ne ha raccomandato la proscrizione.
3) Prospettiva finalistica se vogliamo invece mettere in evidenza la domanda
qual lo scopo della pena? dobbiamo fare alcune considerazioni. E da
sottolineare innanzitutto come, in ogni tempo, non si mai rinunciato al
principio sanzionatorio non solo come strumento di controllo sociale ma anche
al fine di appagare in ognuno il sentimento e il bisogno di giustizia. Pena (dal
latino poena, sofferenza) significa, appunto, infliggere sofferenza per fa pagare il
male commesso e la questione, oggi, non tanto quella di non infliggere
sofferenze quanto di contenerne qualit e quantit. Nel passato la pena era
rozzamente commisurata secondo la legge del taglione, intesa quale mezzo per
compensare loffesa subita con linfliggere al colpevole la stessa sofferenza
causata alla vittima. Inoltre, finalit della pena fu quella della vendetta, con
linfliggere un male al colpevole direttamente da chi ha subito il torto in
compenso del male subito. Per secoli (dal mondo greco fino ancora nel IV, V
secolo d.C. per il diritto germanico), infatti, la vendetta non fu solo la
motivazione principale della pena ma un preciso diritto della vittima o dei suoi
familiari. Le origini del diritto penale si possono far risalire allora proprio nel
momento in cui lo stato limita e regolamenta la vendetta, ponendo delle norme
legali per stabilire come e in quali casi essa poteva essere legittimamente
esercitata. Solo pi tardi, lautorit dello stato ha avocato esclusivamente a s
lamministrazione della giustizia togliendola alla disponibilit del privato. La
moderna finalit retributiva era, allepoca illuministica, ancora da venire mentre
la finalit intimidativa fu sempre insita nella pena ed essa costituiva nel passato
anche lunica modalit di prevenzione che veniva per lo pi attuata con la
pubblicit della punizione da eseguirsi sulle pubbliche piazze dinanzi a tutto il
popolo. La segretezza del giudizio, quale vigeva un tempo, stata sostituita dalla
attuale pubblicit del processo e, per contro, divenuta nascosta nel chiuso del
carcere lesecuzione della pena. La funzione pedagogica e di emenda morale,
caratteristica del 1800, e la funzione risocializzativa/riabilitativa del 900, non
erano
presenti nella cultura preilluministica ma pu intravedersene una
anticipazione nei teologi della Scolastica per i quali la pena aveva un carattere
medicinale per il reo, che espiava la sua colpa davanti a Dio, guarendo cos dal
male. Analogamente accadeva allepoca dellInquisizione (la riconciliazione, in
virt della quale linquisitore operava affinch il reo condannato morisse
chiedendo perdono per il peccato commesso e perdonando chi lo giustiziava)
quando si voleva ottenere il pentimento e il ravvedimento delleretico al quale si
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29
nel corso del XIX secolo, era da porsi linizio di una nuova prosperit che
fungeva da stimolo alle aspirazioni e alla instabilit sociale: infatti, prima
dellavvento della societ moderna, gli individui non solo avevano ben poche
possibilit di cambiare il proprio status ma non subivano neanche la frustrazione
derivante dal fatto di non poter conseguire determinate mete, ora divenute
possibili anche se difficili per la maggior parte di essi. La delinquenza era per
Tarde il prezzo da pagare al maggior benessere sociale.
2.5 Determinismo sociale (la societ come causa del delitto)
I primi studi statistici sul crimine misero in crisi quel concetto di libero arbitrio
del reo che aveva caratterizzato lideologia liberale dal momento che era ora
possibile statisticamente prevedere il numero e i tipi di delitti che sarebbero stati
consumati nella societ.
Questo nuovo approccio faceva comunque intendere che il comportamento
criminoso non era pi esclusivamente riconducibile alla sola volont del singolo,
ma che su di lui agivano anche fattori legati alla societ: esistendo cio certe
circostanze nella societ, il delitto doveva inevitabilmente realizzarsi.
Secondo gli studiosi che seguivano questo orientamento, nella societ erano
insite delle cause per le quali le azioni dei delinquenti venivano ad essere
necessariamente e fatalmente condizionate in senso delittuoso. Pertanto, se pur
potevano esservi delle variabili individuali, il fenomeno delittuoso nel suo
complesso, quale fatto sociale, era ritenuto la diretta conseguenza di fattori legati
allambiente, che trascendevano dallindividuo e che erano necessariamente
provocati dalle caratteristiche della societ.
Nasce cos, con il primo approccio sociologico della criminologia, la visione
deterministica della condotta criminosa, col viraggio dalla percezione liberale
del delitto verso una percezione positivistica, caratteristica del IXI secolo.
Il Positivismo rappresentava infatti lideologia fondamentale della scienza,
secondo la quale tutti i fenomeni naturali rispondevano ad una universale
determinazione causale degli eventi della quale la scienza era in grado di
identificare le leggi: il Posivitismo inform di se tutta la cultura del secolo,
affermando lesistenza di leggi universali valide per ogni campo del sapere.
Nella prospettiva sociologica, la visione deterministica del crimine consisteva
nel convincimento che solo, o prevalentemente, nel contesto della societ
dovevano ritrovarsi i fattori determinanti la condotta criminale e ci comportava
in definitiva lassenza di responsabilit morale dellindividuo, governato
comera da leggi e fattori che prescindevano dalla sua volont.
Andava cos prendendo corpo un determinismo sociale che doveva trovare il
suo equivalente contrapposto nel determinismo biologico di marca lombrosiana.
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la maggior parte della criminalit comune. Secondo queste teorie, in ogni grande
agglomerato urbano possono identificarsi zone con particolari caratteristiche
ambientali (da qui il nome di teoria ecologica) nelle quali gli abitanti che hanno
avuto a che fare con la legge si trovano in concentrazione molto pi elevata che in
altre. Sono queste le zone in cui si concentra unalta percentuale di persone
bisognose di sovvenzioni assistenziali, dove c sovraffollamento nelle abitazioni,
inadeguatezza di pubblici servizi e dove finisce per risiedere la parte pi indigente
della popolazione. Condizioni socio-economiche particolarmente disagiate sono una
regola per gli abitanti di queste aree, che presentano anche elevata disoccupazione o
svolgono attivit squalificate e precarie. Questi quartieri rappresentano poi un
significativo polo di attrazione per coloro che cercano un ambiente pi permissivo e
pi adeguato al proprio status di delinquenti abituai ed anche pi protettivo perch
non mette ulteriormente ai margini coloro che gi sono degli emarginati. La
popolazione di tali aree pu risiedervi solo transitoriamente oppure in modo stabile
ma lavvicendamento degli abitanti non influisce sul tasso di criminalit rilevato che
rimane costantemente elevato: ci sta ad indicare il significato criminogenetico dei
fattori dovuti alle particolari caratteristiche dellambiente sociale.
Per la teoria ecologica, pertanto, lambiente di vita il fattore pi importante nella
genesi della criminalit, almeno nelle modalit pi squalificate e povere di
delinquenza comune, anche se ovvia limportanza di altri fattori, posto che non
tutti coloro che risiedono nelle aree criminali divengono delinquenti, e viceversa
molti delinquenti di buon livello economico risiedono anche in quartieri urbani
normali.
Questa anche una teoria a medio raggio nel senso che non rende certamente
conto di fenomeni pi generale: si presta a render conto solamente della
delinquenza comune pi povera, della manovalanza delinquenziale.
31. teorie della disorganizzazione sociale
Possono riunirsi in questa comune dizione di teorie della disorganizzazione
sociale molteplici studi sociologici che hanno posto laccento sulle profonde
trasformazioni che la sempre maggiore industrializzazione ha indotto nella struttura
della societ nella prima met del nostro secolo.
Il nucleo originario di questa teoria era costituito dalla polarizzazione dellinteresse
sul mutamento e sullinstabilit provocati dalla industrializzazione e da tutti i
fenomeni ad essa collegati (urbanizzazione, crisi della vecchia struttura patriarcale,
crisi della famiglia) fattori questi che hanno determinato la rottura di molteplici
equilibri sui quali si fondavano i precedenti valori normativi e letica sociale.
Il termine disorganizzazione non si riferisce quindi alla disfunzionalit dei
pubblici servizi, al cattivo funzionamento delle varie istituzioni pubbliche ma a
qualcosa di pi profondo che viene a togliere alla societ la capacit di fornire
valori stabili, punti di certezza, capacit di regolare e controllare la condotta dei
singoli.
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La conformit alle norme sociali del proprio momento non garantita solo dai
valori ideologici e dal timore delle sanzioni ma anche dagli interessi costituiti, cio
dai vantaggi legittimi che il rispetto delle norme comporta.
Pertanto, riassumendo, possiamo dire che nella genesi del comportamento conforme
possono distinguersi:
il momento dellapprendimento delle norme che si realizza tramite i
processi di socializzazione e attraverso i continui contatti fra persone e
gruppi;
la fase del mantenimento e del rinforzo dellapprendimento normativo
che attuata dai vari strumenti di controllo sociale, dalla minaccia di
sanzioni, dallideologia, dagli interessi costituiti.
La devianza la condizione opposta alla conformit. Si tratta di un concetto molto
pi ampio rispetto a quello di delinquenza dato che ricomprende sia le condotte che
violano le norme penale (cio i delitti) sia quelle contrarie alle semplici regole
sociali generalmente accettate. Vi per devianza solo quando la violazione
frutto di una precisa scelta e non accidentale e solo quando lo violazione
avviene nei confronti di una norma verso la quale lattore orientato (cio che
non ha perso per lui di significativit).Non dunque deviante chi viola la norma
per mero caso o quando infrange una regola disattesa da tutti.
Ogni comportamento deviante presuppone pertanto nellattore sociale un
atteggiamento di ambivalenza nei confronti della norma: ci significa che il
deviante deve da un lato conoscere la persistente imperativit di quella norma ma
daltro canto egli non ne accetta lautorit normativa.
Pertanto, possiamo concludere affermando che nella prospettiva della sociologia
struttural-funzionalista, la devianza non ogni condotta che violi alcune delle
innumerevoli regole che una data cultura contiene ma solo il mancato rispetto di
quelle norme che conservano ancora credibilit e che vengono ritenute pi
importanti.
34 lanomia come causa di devianza
Allo struttural-funzionalismo va riconosciuto il merito di aver inteso fornire una
teoria sulle cause della devianza avvalendosi del concetto di anomia.
Ogni societ pone dei limiti, con le norme legali o culturali, al soddisfacimento
delle aspirazioni degli individui, stabilendo quali siano i mezzi che possono essere
legittimamente impiegati per soddisfarle. Quando una societ strutturata in modo
stabile e armonico, i limiti e le norme sono percepiti e accettati come giusti: un
mutamento di rilievo nella compagine sociale, mette per in crisi taluni valori
normativi e comporta un minor rispetto di essi. Pertanto, quando le norme perdono
di credibilit, la condotta di molti individui sar pi facilmente orientata in
dispregio di esse e questa perdita di credibilit delle norme configura appunto lo
stato di anomia di un certo contesto sociale.
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psicologico del perch alcuni individui siano pi sensibili e altri meno alle influenze
anomiche.
Merton ha anche individuato le diverse modalit di reagire alla condizione anomica
(peraltro, Merton on considera la devianza come conseguenza delle differenti
caratteristiche psicologiche o di anomalie delle personalit ma come frutto di fattori
insiti nella stessa struttura sociale. Dunque, abbiamo:
1) un comportamento di conformit che risulta tanto pi agevole e tanto meno
ansiogeno e frustrante quanto maggiori sono le opportunit di successo
offerte dal proprio status.
2) Un comportamento deviante che, a seconda di come viene risolta lantinomia
fra le mete poste dalla cultura e i mezzi impiegato per conseguirle, pu
essere cos manifestato:
a. Innovazione che si realizza quando lattore sociale orientato verso
i fini proposti dalla cultura, mira a raggiungerli ma per ottenerli non si
pone problemi circa il carattere eventualmente illegittimo dei mezzi
impiegati. Costoro diventano delinquenti trovandosi a essere
osservanti dei fini ma non dei mezzi per conseguirli.
b. Ritualismo questo tipo di devianza sui generis, si realizza quando
permane il rispetto per le norme e vi invece rifiuto di ricorrere ai
mezzi illegittimi anche se ci comporta la rinunzia a perseguire le
mete del successo sociale. Esiste in questo modo devianza solo
perch vengono mortificate le aspirazioni, ci si accontenta di ci che
si ha.
c. Rinunzia la devianza che si realizza quando vengono persi di
vista sia i fini che i mezzi, cio quando si rinunzia a raggiungere i fine
dellascesa economica o del successo ma nello stesso tempo non vi
rispetto delle norme istituzionali. E questa la devianza di chi cessa di
combattere, dei vagabondi, dei drogati, dei derelitti: si tratta di
persone che in varia modalit infrangono le regole legali ma nelle
quali il mancato rispetto delle norme non serve a migliorare il proprio
status.
d. Ribellione la devianza caratterizzata dalla sostituzione delle mete
culturali con mete diverse, da un rifiuto globale della societ e,
pertanto, anche delle regole circa luso dei mezzi illegittimi. Il ribelle,
lanarchico, il contestatore assumono un sistema di valori del tutto
alieno e contrapposto a quello della cultura dominante e si
propongono di conseguire un sistema sociale e culturale alternativo.
35. Teoria delle associazioni differenziali
Negli anni 30, Sutherland elabora una nuova teoria sociologia che
prese il nome di teoria delle associazioni differenziali.
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ambiente in cui lattore gioca un ruolo per lo pi passivo, senza che gli siano
possibili, in apparenza, altre alternative.
Un indiscutibile merito di Sutherland (condiviso con la teoria dellanomia di
Merton) comunque quello di avere infranto lequazione secondo la quale la
delinquenza sarebbe sempre e solo strettamente collegata allindigenza e alle
condizioni sociali favorevoli.
36. Sutherland e la criminalit dei colletti bianchi
Sutherland va ricordato non solo per la teoria delle associazioni differenziali ma
anche, e soprattutto, perch per la prima volta ha indirizzato i suoi studi verso un
settore di delinquenza che era stato fino ad allora trascurato cio quello dei reati che
vengono compiuti dai dirigenti delle imprese industriali, finanziarie, commerciali e
dai professionisti.
Egli infatti aveva notato che in certi ambienti professionistici ed imprenditoriali
prevalevano le definizioni favorevoli alla violazione della legge; ovviamente le
infrazioni che vengono commesse in tali ambienti sono ben diverse da quelle delle
sottoculture dei delinquenti comuni, ma pur sempre si tratta di reati (evasioni fiscali,
frodi nei bilanci, illeciti del commercio, bancarotta fraudolenta, furto di brevetti
ecc.). Queste sue osservazioni sono state pubblicate nel 1940 nella sua prima opra
dedicata ai delitti commessi da individui dal ruolo prestigioso White Collar Crime
e, nonostante il tempo trascorso, conservano la loro importanza storica in quanto
aprirono la strada alla questione del numero oscuro e, pi tardi, allepoca della
criminologia critica di sinistra che doveva affermarsi un ventennio dopo divenendo
punto di partenza fondamentale per i filoni criminologici incentrati sulla tematica
dei conflitti di classe.
Caratteristiche della delinquenza dei wcc sono date dal fatto che:
o questa delinquenza si realizza negli stessi ambienti ove si producono beni e
servizi ed strettamente connessa ai processi stessi di produzione di tali
servizi e beni;
o non si tratta di delinquenza parassitaria come quella comune nel senso che si
procurano ricchezza con i reati ma senza produrre alcun legittimo beneficio;
o il suo costo sociale rilevante perch questi reati compenetrano moltissimi
settori delle operativit produttive;
o lindice di occultamento di questi reati molto elevato essendo essi
facilmente mascherabili e per loro natura di difficile identificazione;
o gli autori di questi delitto godono di un elevato tasso di impunit in quanto
rivestono posizioni influenti e spesso godono di connivenze con aree del
potere politico e giudiziario;
o minore la reazione sociale di censura nei loro confronti e ci traspare
dalluso di aggettivi quali disonesto piuttosto che criminale. Ci
significa che il colletto bianco non viene associato allo stereotipo del
delinquente da parte della collettivit e tale inoltre egli non si reputa. Lo
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Tali contenuti ideologici propri dei paesi occidentali verranno a riflettersi anche
sulla percezione della criminalit e si tradurranno in un nuovo programma di
politica penale che va ricollegato a un fondamentale principio sociale gi da qualche
anno introdotto nel mondo occidentale, cio lideologia del Welfare State
(introdotta da Roosevelt nel 1932 come risposta alla grande crisi economica di
quegli anni e poi fatto proprio, in Europa, dal riformismo socialdemocratico).
Secondo questo principio, lo stato non pu disinteressarsi delle difficolt dei meno
abbienti, che in precedenza non coinvolgevano la collettivit e che venivano
affrontate solo con le istituzioni umanitarie e di mutua assistenza. Lo stato, in
questa ottica, dove farsi carico di assicurare a tutti i cittadini i beni materiali
fondamentali e garanzie di sicurezza e benessere. Fra le garanzie che lo stato deve
offrire vi anche quella di fornire a chi ha compiuto reati gli strumenti per essere
risocializzato cos da poter nuovamente fruire di un normale assetto sociale. La
rieducazione socializzativa da realizzare attraverso gli strumenti risocializzativi
della criminologia clinica - costituisce dunque un nuovo diritto del cittadino e un
nuovo impegno dello stato.
In questo clima culturale, politico e giuridico, deve essere ricordata lopera di
Filippo Gramatica, che tent di riproporre i principi della Scuola Positiva e che
trov espressione compiuta nei Principi di difesa sociale, pubblicato nel 1961. Per
lautore, la difesa sociale si concreta in una sostituzione del diritto repressivo con
un sistema penale non punitivo di reazione contro lantisocialit. Tale sistema
avrebbe dovuto escludere ogni riferimento al principio di punizione e conferire allo
stato il solo dovere di recuperare lindividuo allo societ, negandogli quello di
punire. Sarebbe caduta, seguendo questi principi, ogni distinzione fra pena e misura
di difesa sociale (misura di sicurezza) posto che la giustizia non avrebbe avuto se
non lo scopo della risocializzazione del delinquente.
Contro questa dottrina estremistica e utopistica, reagirono i propugnatori di
posizioni pur sempre riformative del diritto penale ma di ispirazione moderata e
realistica, che raccoglieranno i maggiori consensi in seno alla Societ Internazionale
di Difesa Sociale. Lopera che meglio interpreta queste esigenze e che d il nome
allintera corrente di pensiero Nuova Difesa Sociale, di Marc Ancel, pubblicata
nel 1954. Tra i pi interessanti asserti di questo movimento vi senzaltro il rifiuto
del determinismo degli indirizzi sia antropologici che sociologici. Coloro che
hanno aderito a questa corrente di pensiero rivalutano la nozione di libero arbitrio,
in cui peraltro il riconoscimento della libert e responsabilit dellindividuo deve
tener conto della concreta realt umana e sociale in cui egli si trova a vivere e
quindi degli eventuali condizionamento economici e ambientali a cui ciascuno
esposto. La Nuova Difesa Sociale parla di doveri delluomo verso i suoi simili e di
risocializzazione come presa di coscienza di una morale sociale vincolante. La
politica penale, pertanto, impone allo Stato precisi doveri tra cui lobbligo di
reintegrare lindividuo che ha commesso il reato in una comunit sociale che non
sia oppressiva cui corrisponde il diritto alla socializzazione da parte dei cittadini.
Non si tratta quindi di sopprimere (come era stato per i positivisti) il diritto penale
come sistema o di abbandonare lapprezzamento giuridico-penale del delinquente, e
nemmeno di sopprimere la sanzione penale retributivo sostituendola con la misura
di difesa sociale quale strumento preminente della giustizia penale. La Nuova
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Teorie
multifattoriali
(individuo/ambiente)
dellintegrazione
psico-ambientale
In questo clima culturale, in quegli anni, taluni filoni della criminologia si sono
intessuti di esplicite connotazioni ideologiche e politiche di sinistra e si sono
andata qualificando come criminologia del conflitto in opposizione ad una
criminologia del consenso. Per la criminologia del consenso, centrale la
percezione della societ come struttura non certo ottimale, con gravi disfunzioni
di organizzazione, disparit di accesso ai beni, carente di giustizia sociale, ma
comunque migliorabile con le riforme e dove la delinquenza ritenuta favorita
da certi handicap sociali e individuali che per nulla tolgono alla responsabilit
dei singoli autori di delitti (responsabilit su cui viene in definitiva a far leva
ogni intervento risocializzativo, obiettivo fondamentale della politica criminale).
Per i filoni pi estremistici della criminologia del conflitto, invece, la
delinquenza non eliminabile senza la radicale trasformazione della struttura
economico-sociale e senza la pi o meno apertamente auspicata soluzione
rivoluzionaria che avrebbe condotto alla eliminazione dei conflitti di classe e
delle ingiustizie e che avrebbe risolto anche la questione criminale.
Gli approcci meno ideologizzati e pi cauti, furono quelli che negli USA si sono
rivolti allo studio delle sottoculture delinquenziali e delle bande giovanili che
vedono nelle discriminazioni sociali, nelle difficolt economiche e nella
riduzione delle opportunit di successo la ragione prima della attrattiva
esercitata sui giovani delle classi disagiate da parte delle sottoculture criminose.
I filoni pi radicali e massimalisti si sono sviluppati invece in Inghilterra
prendendo corpo nella teoria delletichettamento fino a giungere alla
criminologia critica che vedr la stessa criminalit quale fatto politico ed
addirittura rivoluzionario.
42 - Teorie della sottocultura giovanile
Quando parliamo di cultura, in un senso ristretto, intendiamo indicare modelli
astratti di valori morali e di norme riguardanti il comportamento, che
vengono appresi direttamente o indirettamente nellinterazione sociale, in
quanto sono parte dellorientamento comune della maggior parte delle
persone. La cultura, ed in particolare le norme che, in criminologia, della cultura
sono laspetto pi importante, si riflettono nel comportamento dei singoli attori
sociale, anche se in esso intervengono pure fattori individuali, non culturalmente
determinati: carattere, personalit, istinti, intelligenza, valori etici e sociali.
Strettamente associato al concetto di cultura quello di gruppo. Infatti, anche
nellambito di una cultura pi ampia, esistono nella societ tante culture, per
certi aspetti differenziate, quanti sono i gruppi che in essa agiscono,
intendendosi per gruppi le associazioni di individui caratterizzati da una comune
cooperazione e dal senso di appartenenza al gruppo.
Il gruppo di distingue da una massa differenziata per alcune caratteristiche:
-
nel gruppo si sviluppa un complesso di usi, costumi e regole che creano una
tradizione (spirito di gruppo).
Queste teorie, anche se ci aiutano a capire meglio come arrivano alla delinquenza i
giovani provenienti da gruppi economicamente svantaggiati, hanno dei limiti dovuti
al fatto che:
-
hanno una visione massimalista dei gruppi sociale e sono sostenute da una
ispirazione marxista troppo radicalizzata sul conflitto di classe;
57
43 Teorie delletichettamento
La visione di una societ travagliata dalla continua conflittualit tra classe detentrice
del potere e le classi lavoratrici viene ulteriormente radicalizzata negli anni 60 dai
teorici del nuovo filone criminologico del labelling approach che recuperano la
prospettiva dellinterazionismo simbolico di Gorge Mead (1934).
Gli aspetti caratterizzanti della teoria delletichettamento (Becker, Lemert,
Kitsuse) sono incentrati sui seguenti punti:
1. visione rigida e dicotomica delle classi sociali percepite come classe dei
proletari sfruttati e classe dei padroni sfruttatori;
2. non univoca accettazione delle norme legali in quanto ritenute funzionali ai
detentori del potere e quindi con condivise da quella parte dei consociati da
essi vessati;
3. valorizzazione del concetto di reazione sociale quale risposta che la cultura
dei ricchi mette in atto nei confronti delle condotte devianti mediante la
stigmatizzazione, lemarginazione e le sanzioni penali;
4. percezione della devianza e della criminalit non quali comportamenti
riprovevoli o colpevoli ma quale mero frutto di un etichettamento negativo
esercitato dal potere nei confronti delle sole condotte antigiuridiche
commesse dalle classe subalterne.
I teorici del labelling approach, affermano che il deviante non tale perch
commette certe azioni, ma perch la societ qualifica come deviante chi compie
quelle azioni: con la reazione sociale consistente nel conferire la qualifica di
deviante, la devianza viene in un certo senso creata dalla nostra stessa societ.
Il punto focale del nuovo approccio spostato pertanto dallatto del singolo,
comera nelle precedenti teorie, alle reazioni della societ nei confronti dellatto
stesso.
-
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61
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di tutte le altre influenze. E dunque evidente che taluni cambiamenti della variabile
U (ad es.: aumento del reddito disponibile, aumento delleducazione rispetto alla
legge) potrebbero ridurre gli incentivi ad entrare in attivit illegali.
Secondo Becker
i costi del delitto possono distinguersi in:
costi diretti - connessi alla organizzazione o alla esecuzione del reato;
costi indiretti collegati al rischio dellessere individuati e condannati (tale
distinzione si rende necessaria perch lindividuazione e la condanna
rappresentano momenti diversi affidati ad istituzioni diverse che potrebbero
avere, di conseguenza, diverso grado di efficienza);
mentre i benefici connessi alla commissione del reato - posto che in alcuni casi
possono essere valutati, dal punto di vista economico, immediatamente mentre
in altri no sono di difficile valutazione e sono legati anche al tipo di reato
commesso. Ad esempio, gli atti di vandalismo, apportano scarso beneficio dal
punto di vista economico ma un intenso senso di piacere e di soddisfazione.
Nella scelta se compiere o meno un delitto, abbiamo visto che operano altre
variabili ambientali, quali i profitti provenienti da attivit illegali e la presenza di
valori etici provenienti dalla famiglia e dalla scuola. Cos, un soggetto con un lavoro
stabile ed una buona condizione familiare e sociale considerer la violazione di
questi principi etici un costo elevatissimo da sostenere nella commissione di reati:
intervengono dunque nella criminogenesi anche fattori legati alla variabilit
psicologica e ambientale propria dei singoli individui.
Recentemente Becker ha affermato che per raggiungere buoni risultati nella lotta
contro i crimini, occorre una combinazione di tutte queste misure: leggi severe e
certe ma anche tutte quelle misure sociali come il miglioramento della qualit
delleducazione e puntare sui valori della famiglia.
La critica che pu essere portata a questo approccio che si tratta di un punto di
vista teorico troppo astratto per essere applicato a tutte le condotte delittuose: esso
non pu trovare applicazione per i delitti dimpeto o connessi a disturbi psichici.
Daltro canto un settore dove pi brillantemente sono stati applicati questi principi
quello delle attivit corruttive e concessive dei colletti bianchi dal momento che
coloro che compiono reati di questo tipo non possono non aver fatto una valutazione
pi o meno attenta delle conseguenze del proprio agire delittuoso e la scelta di
metterlo in atto dovuta alla convinzione o al calcolo probabilistico che i benefici
che se ne potranno trarre supereranno i costi.
Lapproccio economico-razionale fornisce dunque una nuova e realistica chiave di
lettura di moltissimi delitti: sia in primo luogo dei delitti compiuti per lucro ma
anche di condotte criminali violente sulle cose o sulle persone per le quali lutile
perseguito non economico ma semmai psicologico quale soddisfacimento di
pulsioni e desideri.
La visione che viene fornita da questa teoria quella di una persona umana
responsabile che, prescindendo dalle motivazioni profonde come dai determinismi
sociali, consapevole di quel che compie e delle scelte che effettua sia nellambito
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69
CAPITOLO 3
PSICOLOGIA E CRIMINALITA
50 La criminologia incentrata sullindividuo
Le teorie sociologiche rendono conto delle molteplici ragioni legate allambiente, ai
rapporti fra gruppi e alle loro reazioni che favoriscono le scelte criminose di molti
individui ma esse non possono spiegare la variabilit del comportamento
individuale dinanzi ad analoghi fattori socio-ambientali che si osserva di fatto nei
singoli casi: variabilit che da ricondurre alle diverse caratteristiche psicologiche e
biologiche di ogni individuo. E pertanto necessario utilizzare un approccio
integrato che miri a evidenziare quali sono i fattori che rendono ogni persona una
entit unica e irripetibile, cos che differiscono per ogni soggetto anche le risposte ai
fattori criminogenetici insiti nella societ, fattori che rappresentano altrettante
componenti di vulnerabilit individuale nei confronti delle scelte criminose.
Si intendono per componenti di vulnerabilit individuale tutti quei fattori, diversi
da persona a persona, psicologici o biologici, che rendono ragione della resistenza
o della maggior fragilit o dellelettiva propensione di taluni a comportarsi - a
parit di condizioni macro-sociali e micro-sociali - in modo conforme alle norme,
ovvero allopposto criminoso dinanzi ai condizionamenti provenienti dallambiente
sociale.
Lo studio delle componenti di vulnerabilit pu essere condotto:
1. attraverso lo studio delle teorie psicologiche della personalit che mettono
in evidenza i complessi meccanismi che possono spiegare la variabilit
individuale delle risposte comportamentali e identificare aspetti della
personalit che possono esporre al rischio di devianza;
2. in una prospettiva biologica per identificare i fattori che rendono ogni
essere vivente diverso dagli altri come conseguenza della differente struttura
del patrimonio genetico e, si conseguenza, tutti i problemi legati
allereditariet, alla rilevanza di fattori neuro-fisiologici nei confronti della
organizzazione psichica e del comportamento istintuale, diverso dal
comportamento appreso;
3. in una prospettiva clinica con lesame di fattori psicopatologici, nel quadro
delle correlazioni fra disturbi mentali e condotta criminosa.
Nel considerare le correlazioni fra individuo e ambiente,va sottolineato che esiste in
ogni tipo di comportamento umano una loro costante integrazione. Laspetto pi
caratteristico di questa correlazione rappresentato dal rapporto inversamente
proporzionale fra le componenti di vulnerabilit individuale e i fattori ambientali:
quanto pi criminogenetici sono questi ultimi, tanto meno rilevanti sono le
componenti psicologiche o biologiche legate allindividuo; e, viceversa, quanto pi
marcate sono le componenti della personalit che rendono lindividuo pi incline
alla condotta criminosa o deviante, tanto meno significativi risultano le carenze, le
sollecitazioni e , in generale, i fattori criminogeni legati alla societ.
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Naturalmente, dobbiamo sempre tenere presente che questa distinzione tra fattori
sociali e fattori individuali risponde solo a ragioni di comodit espositiva perch
nella realt il comportamento frutto di una costante integrazione di condizioni
individuali e ambientali.
51 Personalit, temperamento, carattere
Per comportamento (o condotta) si intende il complesso coerente di atteggiamenti
che ogni individuo assume in funzione dei suoi obiettivi e degli stimoli che gli
provengono dallambiente: poich tali atteggiamenti altro non sono che, in gran
parte, espressione della psiche, ne risulta in pratica la possibilit di identificare lo
studio della psicologia con quello del comportamento.
Lattivit psichica costituita da tre fondamentali funzioni: la sfera conoscitiva, la
sfera affettiva e quella volitiva.
1. La sfera cognitiva Sono proprie di questa sfera:
a. La conoscenza linsieme delle funzioni che consento allindividuo
di essere informato sulla realt, di parteciparvi, di accumulare
esperienze, di acquisire nozioni;
b. Il pensiero lorganizzazione di processi mentali di carattere
simbolico che si concretizza nelle idee.
c. Lintelligenza linsieme delle capacit acquisite, che riutilizzano
oltre che a livello logico-razionale o speculativo, anche per agire nella
vita relazionale; lintelligenza pu essere dunque attitudine ad
affrontare e risolvere situazioni concrete (intelligenza pratica), ovvero
attitudine a impostare e risolvere problemi generali e astratti
(intelligenza teorica).
2. La sfera affettiva - quella fondamentale coloritura positiva o negativa,
piacevole o spiacevole che eventi e pensieri suscitano in noi; laffettivit
anche responsabile di quegli stati danimo che si sperimentano
soggettivamente e che possono essere spontanei ovvero conseguenti a stimoli
esterni. Nella sfera affettiva si distinguono:
a. Lumore inteso come il variare dellemotivit nelle varie sfumature
che vanno dalla tristezza alla gioia;
b. I sentimenti che sono espressioni pi elaborate della vita affettiva
che sorgono nel rapporto con persone e situazioni non tanto sulla
scorte di elementi razionali quanto piuttosto per la risposta interiore
che ciascuno vive nei confronti di tali persone e situazioni;
c. Le emozioni sono sentimenti che si manifestano con una intensit
particolarmente acuta (ira, furore, esaltazione e rabbia) e che si
estrinsecano anche in fenomeni fisiologici (rossore, batticuore,
pallore, tremore).
3. La sfera volitiva riguarda le azioni (e le omissioni) che vengono compiute
per determinati fini. Alla base del volere sussistono sia motivi consapevoli
71
definita dalla
un individuo
tratta di una
nellinterazione
scambi e influenzamenti cos che essa non pu considerarsi come data una volta
per tutte, immodificabile ed obbligata.
Quando parliamo invece di temperamento, ci ricolleghiamo alla base innata,
ancorata alla struttura biologica, delle disposizioni e tendenze peculiari di ogni
individuo nelloperare nel mondo e nel reagire allambiente: cos parliamo di
temperamento mite o violento, subordinato o dominatore, ecc.
I genetisti da qualche tempo stanno scoprendo lesistenza di certi geni che sembrano
collegati al comportamento: a dimostrazione della sempre maggiore influenza che si
tende oggi ad attribuire alla base biologica nei confronti della condotta. In tale
prospettiva, il temperamento da ritenersi come poco modificabile perch legato al
patrimonio genetico acquisito al momento del concepimento.
Peraltro, le infinite circostanze dellesistenza incidono sul temperamento, facendo
assumere al soggetto modalit di pensare, di atteggiarsi e di agire pi o meno
diverse da quelle innate: ci intendiamo per carattere.
In sintesi, il concetto di temperamento contiene connotazioni di potenzialit che si
traducono in attualit di modi di pensare e di interagire, cio in carattere, per
effetto delle mutevoli esperienze e vicende che la vita pone a ciascuno. Ad esempio,
un individuo dotato di temperamento aggressivo diverr di carattere aggressivo,
cio si comporter in modo effettivamente aggressivo tanto pi facilmente quanto
maggiori saranno state le circostanze della sua esistenza che avranno favorito lagire
violento.
Il carattere rappresenta pertanto la risultante della interazione fra temperamento
e ambiente: il carattere non quindi una componente statica della personalit
quanto piuttosto una componente dinamica che si modifica col tempo e con quelle
rivende di vita che ne plasmano gli aspetti.
52. La psicoanalisi
Fra le teorie della personalit, la psicoanalisi pu considerarsi la prima ad essersi
posta lobiettivo di fornire un sistematico paradigma interpretativo della struttura
psicologica e dei meccanismi psicodinamici agenti nella persona umana. E,
sebbene i diretti contributi della psicoanalisi nel fornire una sua specifica teoria
criminologia sono stati assai modesti, ben pi rilevante stato il suo apporto
nellaprire nuove vie per comprendere in generale la condotta umana e, quindi,
anche quella delittuosa
La psicoanalisi venuta a far parte del patrimonio culturale italiano molto pi tardi
che negli altri paesi perch (come anche la sociologia) fu osteggiata dal regime
fascista.
Da quando Sigmund Freud (1856-1939) pose le basi della sua dottrina sono molto
cambiati sia gli uomini sia il mondo e, di conseguenza, molte delle sue asserzioni
appaiono incompatibili con le pi recenti acquisizioni scientifiche. Del resto, che la
73
psicoanalisi fosse una vera scienza stato da sempre contestato perch le sue
asserzioni sfuggono alla possibilit della verifica sperimentale e perch non le
applicabile il principio di falsificalbilt di Karl Popper.
Due contributi della psicoanalisi sono rimasti comunque fondamentali
indipendentemente dal far proprie tutte le implicazioni che la teoria comporta; il
concetto di inconscio e quello di visione dinamica della psiche. Infatti, mentre in
precedenza la personalit era praticamente identificata con larea della coscienza,
intesa come consapevolezza, la lezione psicoanalitica ha indicato come i pensieri, le
scelte e i bisogni coscienti delluomo siano collegati con forze psichiche profonde,
prima sconosciute: linconscio, appunto. Di conseguenza, una psicologia che si
limiti ad analizzare solamente ci di cui si consapevoli sar per la psicoanalisi del
tutto incapace di comprendere i motivi veri e primari del comportamento umano.
Secondo Freud, si possono identificare nella personalit tre istanze fondamentali:
lES, lIo e il Super-Io, da intendersi come tre livelli o momenti dellattivit
psichica e sebbene ognuna di queste componenti si a dotata di funzioni, propriet e
dinamismi propri, la loro interazione cos intima da rendere difficile scinderne i
singoli effetti e valutarne separatamente le conseguenze sul comportamento umano.
-
dellEs e del Super-io, lIo stesso vive una situazione di pericolo che porta
allangoscia.
Langoscia o ansia soggettivamente vissuta come disagio, sofferenza, timore,
pertanto lespressione di una non realizzata soluzione delle conflittualit fra
le istanze interiori, ovvero fra lindividuo e lambiente.
Freud distinse tre tipi di angoscia:
1. lansia reale che il timore di un pericolo insito nella realt
oggettiva;
2. lansia sociale cio il timore della riprovazione degli altri per aver
commesso qualcosa di contrario alle norme che regolano la
convivenza;
3. lansia nevrotica espressione del timore della severit del Super-io
quando gli istinti, sfuggendo al controllo, costringono la persona a
pensare, sentire, fare qualcosa (ma anche pensare o provare un
sentimento) per cui verr riprovata appunto dal Super-io,
ingenerandosi cos il senso di colpa. Questo tipo di ansia la pi
temibile perch la mancata armonizzazione fra pulsioni e coscienza,
fra richieste dellistinto ed esigenze morali pone lindividuo in uno
stato di grave pericolo per il suo equilibrio interiore.
Normalmente lIo in grado di risolvere i contrasti fra le opposte istanze in
modo armonico utilizzando meccanismi razionali ma quando questi non
sono sufficienti, lIo ha a disposizione altri particolari meccanismi psichici
che gli consentono di trovare ugualmente lequilibrio: questi sono i
meccanismi di difesa dellIo mediante i quali ci si difende dal pericolo della
nevrosi e della psicosi posto che questi stati morbosi si realizzano quando i
meccanismi di difesa falliscono.
I meccanismi di difesa sono molteplici:
1. la rimozione consiste nel respingere dalla coscienza nellinconscio qui
contenuti che provocano un allarme eccessivo. Tutte le pulsioni istintuali che
non possono essere accettate dal Super-io vengono rifiutate ma se esse non
trovano compensazione cagionano nellinconscio una tensione da cui pu
derivare una condizione di squilibrio;
2. la dislocazione consiste nel fatto che una pulsione istintuale rivolta verso
un obiettivo e che sia respinta (dalla morale pubblica, dalleducazione o da
controcariche interne della coscienza) pu essere deviata su altri oggetti o
altre mete. Daltro canto un oggetto sostitutivo non sempre riesce a ridurre
completamente la tensione originata dalla pulsione istintuale non soddisfatta
per cui si pu accumulare un continua carico di tensione tanto pi elevato
quanto pi il Super-io rigido, cio inflessibile e rigoroso nel rifiutare certi
impulsi o quanto pi la societ pone norme costrittive al soddisfacimento
istintuale. Da ci deriva linsoddisfazione e lirrequietezza.
76
77
53 Psicoanalisi e criminalit
La teoria psicoanalitica della personalit offre la possibilit di interpretare talune
modalit della condotta criminale. Si tratta dellutilizza della chiave di lettura della
psicoanalisi anche per la identificazione di alcuni meccanismi della criminogenesi.
La visione dellIo come istanza consapevole delluomo continuamente in bilico tra
le spinte dellistinto e le controspinte del Super-Io ha accreditato una lettura
sostanzialmente deterministica della teoria psicoanalitica della personalit. LIo cio
non sarebbe altro che il passivo esecutore di istanze a lui estranee e nei confronti
delle quali, quindi, possiede ben poca autonomia: luomo pertanto non avrebbe
alcuno spazio di libert rispetto alle proprie pulsioni istintuali e alla severit del
Super-Io quasi fossero altro da s. Quindi la libert di scelta e la responsabilit
scompaiono nel momento in cui lindividuo agisce solo spinto da forze che non pu
controllare. Questa visione tanto rigida stata per oggi superata da molti
psicoanalisti che considerano lIo come dotato di maggior autonomia, non pi
necessariamente succube dei desideri dellEs e dei conflitti fra le diverse istanze ma
con possibilit di scelta perch provvisto di proprie energie.
Il pi organico contributo psicoanalitico in ambito criminologico quello di
Alexander e Staub (1929).
Secondo questi autori la condotta criminosa leffetto di molteplici modalit dello
svincolo dal controllo del Super-io. Essi identificano diverse condizioni nelle quali
il controllo dellistanza superiore si riduce fino ad abolirsi completamente, secondo
il seguente schema:
1. la normalit (o integrazione sociale) rappresentata dal pieno controllo
del Super-io sul mondo pulsionale-istintuale: in tali condizioni vi piena
conformit di condotta e rispetto delle regole;
2. la delinquenza fantasmatica nella quale il controllo delle pulsionalit
antisociale ancora pienamente efficiente sul comportamento tant vero che
lindividuo non delinque; esistono tuttavia istinti antisociali pi pressanti che
il soggetto riesce comunque ad arginare mediante il processo della
dislocazione dellantisocialit sul piano della semplice fantasia (ammirazione
per i personaggi devianti dei film);
3. la delinquenza colposa (condotta motivata da imprudenza, negligenza,
imperizia) pu essere interpretata col meccanismo della dislocazione delle
pulsioni aggressive: laggressivit che il Super-io non consente che si realizzi
come tale, cio come violenza volontaria, verrebbe estrinsecata attraverso
una condotta imprudente o negligente che provoca ugualmente danno alla
persona osteggiato o alle sue cose;
4. la delinquenza nevrotica nella quale la condotta criminale rappresenta un
sintomo di una situazione conflittuale profonda. Il Super-io non ha
completamenti rinunziato al controllo dellantisocialit e questi si realizza
unicamente per lesistenza di profondi contrasti interiori che trovano una
possibilit di soluzione nella condotta deviante. Questultima dunque non
leffetto di un progetto razionale e consapevole o di un ideale dellIo di tipo
criminale ma una sorta di ripiego per eliminare la tensione delle conflittualit
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caratterizza ogni persona in base a una serie di diritti e di doveri che regolano
i suoi rapporti di interazione con persone di altro status.
In tutte le societ esiste un certo numero di status, tanto pi elevato quanto
pi la societ complessa tanto da formare un vero e proprio sistema nel
quale ciascuno occupa contemporaneamente pi posizioni. Taluni di questi
status sono ascritti in funzione di ci che una persona (per let, per il
sesso, per la razza) mentre altri sono acquisiti in base a ci che uno pu fare
e divenire a partire dalla posizione sociale.
Ci che in criminologia importante il fatto che in ogni tipo di societ ogni
status legato a norme che ne regolano i rapporti con gli altri, e ad
aspettative circa losservanza dei compiti spettanti a chi occupa quello status:
questo quello che si intende per ruolo. Questo concetto si riferisce dunque
alle attese che esistono nella societ nei confronti di chi occupa una
determinata posizione ma in questo concetto insita la consapevolezza
nutrita da chi occupa quel ruolo su ci che gli altri si attendono da lui: ci si
riflette sullidentit personale, per cui ciascuno finisce per avere un
sentimento di s coerente e conforme al proprio ruolo. Se esiste un ruolo
prescritto (allo studente prescritto di apprendere, allinsegnante di fornire
nozioni e cultura, ecc.) esistono anche un ruolo soggettivo (la professione
pur sempre una decisione personale cos come quella di fare il delinquente) e
un ruolo svolto (divenire un insegnante impegnato o uno studente svogliato)
che sono liberamente scelti dai soggetti anche se condizioni ambientali e
varie circostanze possono favorire luno piuttosto che laltro.
Significativo, in senso criminogenetico, loccupare un ruolo negativo. Una
serie di status squalificati (per ceto, posizione economica, regione di nascita,
razza, immigrazione, ecc.) facilitano lassunzione di ruoli altrettanto
squalificati che favoriscono la scelta comportamentale delinquenziale.
Erving Goffman (1961) ha particolarmente sottolineato linfluenza sul
sentimento di identit e sulla stabilizzazione in ruoli negativi dellessere
inseriti negli istituti correzionali, nelle carceri, nei manicomi, negli istituti
rieducativi e in tutte quelle istituzioni che egli chiam istituzioni totali
perch coinvolgono globalmente lindividuo, deformandone la personalit e
limitandone le prospettive. Allindividuo inserito nellistituzione totale
veniva prospettata come pi reale e pi probabile lidentificazione in truoli
squalificati; egli era sentito come ridotto ad una condizione di passivit che
gli frustrava laspirazione ad assumere o riassumere ruoli socialmente
accettabili, che gli sarebbero apparsi irraggiungibili con i propri mezzi;
avrebbe finito pertanto con laccogliere, quale propria identit, quei modelli
negativi che listituzione gli proponeva e gli suggeriva, andando cos a
occupare stabilmente ruoli altrettanto negativi. Le istituzioni totali ed i ruoli
negativi che in esse pi facilmente si assumono svolgerebbero dunque una
parte di rilievo nellaggravare le difficolt di reinserimento e nel favorire la
cronicizzazione in carriere criminali persistenti. Queste considerazioni hanno
fortemente influenzato importanti scelte di politica sociale come labolizione
dei manicomi, la tendenza a non rinchiudere i giovani delinquenti in istituti
correzionali, la tendenza a far sempre minore ricorso al carcere.
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1) il concetto di devianza originariamente, nella sociologia strutturalfunzionalista, questo termine aveva il significato di comportamento
anomalo sotto il profilo statistico e raggruppava tutte quelle condotte che
si discostavano dalle regole e costumi sociali condivisi dalla maggior
parte delle persone .Ai tempi della sociologia di sinistra, i devianti hanno
assunto un significato sempre pi esteso fino ad essere identificati con
coloro che erano considerati vittime della societ a causa delle
discriminazioni e dei pregiudizi che le classi egemoni avrebbero
esercitato nei confronti dei diversi. E poich ei confronti dei devianti
viene abitualmente esercitata lemarginazione e perch pure i delinquenti
vengono emarginati si fin per includere fra i devianti anche i criminali.
Alla fine si giunse ad identificare la criminalit con la devianza. In questo
concetto sono stati racchiusi quindi comportamenti tra loro radicalmente
diversi ed per questo che opportuno fare una fondamentale distinzione
fra i diversi comportamenti che sono stati denominati come devianti. Vi
sono comportamenti che non risvegliano sentimenti di riprovazione o
richiesta di sanzioni ma che possono essere indifferenti, ovvero anche
provocare reazioni sociali di solidariet e offerta di aiuto: in tali termini
queste condotte non provocano giudizi morali negativi, di tali condotte
non viene fatta ai loro autori attribuzione di colpa e non vengono
censurate (atteggiamenti dei vagabondi, di chi esercita la prostituzione,
gli omosessuali, ecc). Pi correttamente si debbono considerare devianti
quei comportamenti che suscitano invece reazioni di intensa
disapprovazione e censura con richiesta di sanzione: questi
comportamenti sono attribuiti a titolo di colpa ai loro autori perch non
sono legati allo status in cui una persona si trova per nascita e comunque
non volontariamente ma sono frutto di scelta (tossicomani, terroristi, tutti
i tipi di delinquenti). La intensa disapprovazione e la richiesta di sanzione
risultano pertanto i parametri fondamentali per identificare le condotte
che meritano la qualificazione di devianza. In ultima analisi, la
qualificazione di devianza esprime un giudizio di valore, una valutazione
morale negativa, in funzione dei principi etici di comune accettazione. La
devianza un concetto sociologico e non giuridico.
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realt fenomenica, espressione della intenzionalit del soggetto del suo agire nel
mondo. Cos, latto criminoso, secondo questa prospettiva, viene assunto come
rivelatore di un modo di essere che, seppure si ponga violentemente di traverso nei
riguardi degli aspetti etici e normativi del vivere in societ, rappresenta pur tuttavia
anchesso una estrema possibilit espressiva dellumano.
La teoria del campo di Lewin ha derivato i propri assunti dal concetto di campo di
forze elettromagnetiche tratto dalla fisica: ogni elemento allinterno si un sistema,
detto campo, influenza tutti gli altri elementi e ne viene a sua volta influenzato. In
psicologia ci significa che lindividuo costantemente influenzato dallambiente, e
non pu quindi essere studiato isolatamente da esso, posizione del resto condivisa
da tutta la psicologia sociale. Balloni (1984) ha esteso alla criminologia i concetti
espressi da Lewin considerando campo la persona, lambiente a lui pi vicino
(cio il suo spazio di vita) e lambiente nel senso pi ampio. La combinazione di
questi elementi pu formularsi come una legge fisica in cui il comportamento, in
questo caso criminoso, in funzione della persona e dellambiente.
La teoria dei sistemi, invece di considerare un fatto o una condotta come effetto
necessario di una causa data (causalit lineare) cerca piuttosto di analizzare le
reciproche influenze tra i fenomeni: relativamente al comportamento umano,
analizza il processo attraverso il quale, in un rapporto interpersonale, la condotta di
un soggetto influenza quella degli altri, cio la loro risposta, e come di nuovo questa
risposta ha effetto sul comportamento del primo agente (causalit circolare).
Questo modello mutuato dalla cibernetica che sostituisce allo schema delle
scienze classiche della causalit lineare (da A a B) un altro schema in cui per un
fenomeno detto di retroazione o feedback, ognuna delle parti di un sistema influisce
sullaltra (da A a B e da B ad A): essendo ogni parte contemporaneamente causa ed
effetto, la distinzione medesima fra questi due termini perde di significato. Centrale
i questa prospettiva il concetto di sistema che comprende oltre agli attori o agli
oggetti di un fenomeno osservato anche le relazioni tra di essi, costituendo quindi
una complessit organizzata diversa dalla mera somma delle sue parti.
Relativamente alla criminologia, lo schema interpretativo della teoria dei sistemi
stato applicato soprattutto nello studio dei rapporti tra reo e vittima, ritenendosi che
talora latto aggressivo pu essere considerato come il risultato di una serie di
comunicazioni, risposte ed effetti di feedback in cui appunto non sempre possibile
sceverare con chiarezza tra laggressore, la vittima ignara ovvero quella
provocatrice e a sua volta aggressiva.
Una serie di studi sulla comunicazione (Haley, 1963) derivano direttamente dalla
teoria dei sistemi. Il presupposto da cui essi partono che esiste anche una
comunicazione di messaggi non verbali, quella appunto attuata coi genti, con la
mimica, con la postura, insomma, con latteggiamento. Inoltre, anche la
comunicazione fatto con le parole pu assumere un significato contrario al suo
significato letterale. Inoltre, anche la comunicazione fatta con le parole pu
assumere un significato contrario al suo significato letterale, poich il tono della
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CAPITOLO 4
BIOLOGIA E CRIMINALITA
61 Lapproccio naturalistico
Come approccio naturalistico, si considera un campo di indagine che pur senza
ritenere le condotte criminose come unicamente riconducibili a cause organiche,
riserva particolare attenzione a certi fattori quali gli istinti, lereditariet e le
predisposizioni allaggressivit, che rientrano nellabito dellindagine delle scienze
biologiche e mediche.
Questo filone della criminologia visto frequentemente in antitesi a quello
sociologico e psicologico ma va ricordato che da evitarsi la visione dicotomica
corpo-mente e che lo studio della condotta criminosa deve condursi nella
prospettiva pi ampia possibile, mirando a integrare le conoscenze da qualsiasi
settore dello scibile esse provengano.
Lapproccio naturalistico pu essere dunque limitativo solo se inteso come unica
fonte di conoscenza con la pretesa di considerare luomo come struttura
esclusivamente biologica avulsa dal suo ambiente sociale.
Lo studio del crimine secondo lapproccio naturalistico, pu essere affrontato
secondo diverse prospettive, quindi, possiamo distinguere:
a. teorie della predisposizione per predisposizione si intende
laumentata suscettibilit di un individuo ad ammalarsi. Il trasferire
questo termine alla criminologia pu comportare il rischio di
considerare la delinquenza come una sorta di malattia mentre, invece,
bisogna ben guardarsi dal cadere nellerrore di associare malattia e
criminalit. Possono inoltre ricondursi alla predisposizione biologica
solamente alcune caratteristiche psichiche o certe strutture di
personalit che possono facilitare talune condotte delittuose ma senza
che esista alcun diretto rapporto fra tali aspetti psichici e la
criminalit. Gli approcci relativi alle predisposizioni biologiche
consentono semplicemente di evidenziare taluni elementi facilitanti le
scelte delinquenziali: questa agevolazione connessa alla esistenza di
alcune condizioni psichiche a rischio biologicamente determinate
nel senso che esse sono collocate nel novero dei fattori di
vulnerabilit individuale.
b. Teorie degli istinti secondo le quali il comportamento
delinquenziale (certi tipi di delinquenza particolarmente violenta)
deriverebbero dal prevalere di pulsioni istintuali aggressive o
predatorie. Queste teorie, cadute in discredito, sono state riportate
allattenzione grazie alle pi recenti scoperte delle neuroscienze che
hanno fornito nuove angolature per indagare e comprendere le
relazioni fra struttura biologica, psiche e comportamento.
c. Sociobiologia un filone recentemente riproposto che mira a
identificare anche nel comportamento sociale unorigine ereditaria
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In biologia si sono a lungo contrapposti due antitetici orientamenti per quel che
riguarda le determinanti del comportamento, sia degli animali sia delluomo: quello
che privilegia listinto (secondo il quale il comportamento leffetto delle
predisposizioni congenite) e quello che d maggiore rilievo allambiente (secondo il
quale il comportamento la conseguenza delle condizioni e degli stimoli
ambientali). Vediamoli:
1) orientamento istintivistico secondo questo vecchio orientamento per
istinto si intende una serie di spinte ad agire in modo sempre uguale e in
prefisse direzioni per conseguire certi fini senza che lanimale avesse
alcuna consapevolezza dello scopo ultimo cui il suo agire mirava; si
riteneva che gli istinti fossero esclusivamente trasmessi per via ereditaria e
che fossero in numero relativamente scarso. Essi erano concepiti inoltre
come una potenzialit innata, come una forza che spinge allazione senza la
necessit di alcun apporto proveniente dallambiente o meglio lambiente
forniva solo dei segnali che scatenavano lazione istintuale. Questa
concezione andata successivamente temperandosi con gli studi di Karl
Lorenz e degli altri etologi i quali hanno scoperto che gli istinti vanno intesi
come semplici schemi operativi generali: tendenze innati che devono essere
integrate con lapprendimento, lesperienza, linsegnamento da parte dei
genitori, cio con fattori che provengono dallambiente. La scuola
delletologia facente capo a Lorenz, partendo dallosservazione degli
animali, ha fondato il suo contenuto teorico sul principio secondo cui
qualsiasi essere vivente e il suo ambiente naturale non sono concepibili
separatamente ma si influenzano e si realizzano continuamente in un
reciproco rapporto di stimoli e risposte. Lorganismo animale strutturato in
modo da raccogliere segnali dallambiente e le risposte a taluni stimoli sono,
ma solo in parte, congenitamente determinate. Per questo motivo, Lorenz
preferisce chiamare gli istinti schemi di azione. Il principi mutuati
dalletologia naturalmente valgono anche per luomo con la differenza per
che nelluomo, meno condizionato degli animali dai fattori della natura,
lambiente da intendersi come ambiente sociale e come tale molto pi
complesso e mutevole di quello che non sia per gli animali.
2) Lorientamento ambientalistico secondo questo orientamento non pu
distinguersi nella condotta ci che determinato congenitamente da ci che
viene appreso dallambiente. La dotazione genetica si manifesterebbe nella
diversa capacit dellanimale di recepire (cio apprendere) i messaggi
provenienti dallambiente che sarebbe, in definitiva, il principale fattore
inducente le varie modalit di condotta. Il comportamento sarebbe solo
genericamente ricollegabile ai geni ereditari mentre la differenziazione
individuale delle condotte viene ritenuto sostanzialmente attribuibile alle
varie circostanze ambientali che gli individui incontrano. Enorme importanza
ha quindi lapprendimento correlato alle mutevoli stimolazioni e alle
occasioni fornite dallambiente.
3) Orientamento correlazionistico da un po di tempo, in biologia, si tenda
superare lantinomia fra istinto e ambiente per giungere a una visione che
miri invece a sottolineare sempre pi la stretta interdipendenza dei due
98
caccia,
accoppiamento,
nutrizione,
102
fuga quando sono in gioco gli interessi biologici vitali, aggressivit pertanto
non necessariamente nociva e che non minaccia ma anzi favorisce la
sopravvivenza della specie;
2. laggressivit maligna o distruttiva propria delluomo che non
istintuale ma dipende dalla struttura sociale, appresa attraverso i rapporti
interpersonali e da questi sostenuta, venendo a far parte della cultura delle
diverse societ. Non rivolta alla conservazione degli interessi biologici
vitali ma frutto della pi evoluta e complessa organizzazione sociale tipica
delluomo.
I comportamenti fondamentali che negli anomali sono trasmessi per via naturale,
nelluomo sono invece trasmessi mediante forme sociali di apprendimento: non
sono pertanto istintivi ma culturali e fra ci che la cultura trasmette vi anche la
valorizzazione dellaggressivit.
Laggressivit quindi diventata valore culturale essendosi dimostrata
vantaggiosa per soddisfare la sua volont di potenza; daltra parte, proprio la
cultura rappresenta nelluomo e nella societ umana lo strumento fondamentale
di regolazione del comportamento, essendosi globalmente sostituita ai
meccanismi biologicamente determinati.
La societ umana poggia fondamentalmente sulla violenza, che lo strumento di
regolazione di tutti i rapporti di potere e la sua intera storia si sviluppata sulla
lotta.E anche i valori culturali, pur positivi (relativi al successo, alla forza, al
coraggio, al sacrificio di s per il trionfo della propria causa, al patriottismo)
sono legati allaggressivit per quanto sublimata e quindi non da intendersi solo
in accezione negativa, che ha permeato cos fin dalle pi profonde radici la
cultura delluomo.
Da millenni luomo vive in un clima di valori e di ideali che lo spingono a
essere violento, coerentemente con la propria cultura anche se spesso non si ha
consapevolezza delle sottostanti pulsionalit violente, perch appunto sono state
sublimate, mascherate e razionalizzate quali condotte positive dalle ideologie,
dalla morale, dai costumi.
I contenuti della cultura hanno per anche sempre tentato di contenere la
violenza con le leggi, con le regole morali, con gli ideali, con le religioni. Ci ha
creato una situazione contraddittoria e ambivalente che rende conto della minore
efficacia di questi strumenti di contenimento e regolamentazione
dellaggressivit rispetto a quelli esistenti nel mondo animale. I messaggi
culturali non violenti e i sistemi di controllo della violenza sono poi dotati di
ambivalenza perch nello stesso momento per certi ambiti di comportamento
sollecitano la violenza, mentre per altri suggeriscono la non-violenza. I molti
strumenti normativi e i valori anti-aggrssivi che sono stati via via proposti nel
corso della storia si sono spesso dimostrati troppo deboli proprio per la
contraddittoriet e lambivalenza insita alla loro radice: bastano situazioni
particolari di fragilit delle istituzioni o di crisi per vedere riaffiorare la
distruttivit insita negli uomini. Di conseguenza, se illusorio pensare che la
violenza cessi di essere uno dei fondamentali strumenti nel regolare i rapporti di
potere tra gli uomini anche vero che essa pu essere contenuta solo mediante
104
una sempre maggiore efficacia degli unici mezzi disponibili, cio quelli delle
norme e dei valori della cultura perch se dalla cultura la violenza deriva, ancora
e solo nella cultura pu trovarsi lo strumento per contrastarla.
70 Struttura biologica e libert.
Se dai geni dipendono talune qualit psichiche come oggi alcuni studiosi
prospettano, se le sempre maggiori conoscenze sul funzionamento cerebrale
sembrano indicare la presenza di circuiti innati nei quali luomo
biologicamente costretto, dove va a finire la sua libert?
Il patrimonio delle informazioni trasmesse dal DNA di ciascun essere vivente
identico per quanto attiene alle qualit fondamentali comuni a tutti gli
appartenenti a una stessa specie ma si diversifica per aspetti secondari dalluno
allaltro soggetto. Ci rende conto della variabilit genetica individuale dal
momento che ciascuno pur nellambito dello schema generale tipico della sua
specie diverso ed irripetibile per altri aspetti. Tali variabili comprendono oltre
a qualit fisiche anche aspetti psichici cos che venendo al problema
dellaggressivit possono darsi individui con maggior aggressivit
biologicamente determinata e altri con una carica pulsionale aggressiva meno
intensa.
Sempre nellambito delle sole condotte aggressive, esse non possono in ogni
caso essere spiegate solo in base alle differenze del patrimonio dei geni ma
devono essere viste anche in rapporto al tipo di esperienze, di ambiente e di
sollecitazioni che il singolo individuo ha incontrato nel corso della sua vita.
In definitiva, gli uomini possono comportarsi in modo variabilmente aggressivo
sia perch in assoluto diversa la loro dotazione biologica sia perch a cagione
delle variabili caratteristiche dellambiente sociale nel quale sono vissuti,
diverse sono state le sollecitazioni o le inibizioni ad agire in modo aggressivo
sia perch in ogni individuo diverso il grado di recettivit nei confronti delle
sollecitazioni alla violenza che gli provengono dalla cultura e dalla societ.
La sempre pi raffinata conoscenza del funzionamento del cervello, da cui
dipende lattivit mentale, non contraddice affatto lassunto della libert e quindi
della responsabilit: anzi, proprio i dati acquisiti sul funzionamento cerebrale ci
portano a una migliore comprensione dellindividuo in quanto agente
responsabile, e in tal modo ci chiariscono i problemi di corpo/mente e di
responsabilit/determinismo.
Quanto oggi si sa sul funzionamento del cervello consente di verificare che il
singolo individuo pur sempre in grado di scegliere e di orientare gli infiniti
programmi e circuiti che sono insiti nella sua organizzazione cerebrale. La sua
struttura innata costituisce semplicemente lo strumento per organizzare il
pensiero, senza che il tipo dei processi iscritti nella struttura cerebrale lo
obblighi a certi piuttosto che ad altri pensieri. Cos, la libert non negata e
rimane pur sempre lo spazio per nuovi pensieri e nuovi progetti anche se tale
spazio non illimitato perch circoscritto dalla struttura biologica del cervello.
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Non esistono in tutti gli animali superiori e in modo particolare per luomo,
moduli comportamentali fissi e perci meccanicisticamente vincolanti la
condotta: la moderna scienza biologica ha pertanto accantonato il determinismo
fatale, e da essa derivano addirittura indicazioni su come la scelta e la nondeterminazione del comportamento siano peculiarmente umani in funzione della
plasticit del cervello.
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