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Introduzione

C' un proverbio cinese che dice cos: Se ascolto dimentico, se vedo ricordo,
se faccio capisco.
Non sono sicuro che si tratti di un proverbio cinese e, magari,. non neppure
un proverbio. Per, una bella pensata: c' dentro tutto ci che sta fuori dalla
scuola dove, come si sa, si ascolta molto (e si dimentica), si vede poco (ma si
ricorda: l'interrogazione, i compitinclasse, l'esame) e si fa niente.
Per cui non si capisce.
Anche l'educazione artistica viene impartita - d'accordo, professore, non
sempre - con gli omogeneizzati, cio con una cultura precotta, premasticata,
predigerita, supervitaminizzata. Mai vissuta o, come dicono gli specialisti,
motivata.
Ho articolato questo libro su tre piani. Nel primo, sono esposti certi esercizi
che hanno lo scopo di farvi fare delle cose. bene che leggiate con calma questa
parte, interrompendo di tanto in tanto la lettura, per prendere fiato, ma
soprattutto per mettere in pratica i suggerimenti. Se volete capire, s'intende, e
anche se volete liberarvi subito dall'idea che i problemi dell'arte siano qualcosa
di molto difficile, riservati a poche persone particolarmente dotate e intelligenti.
Questa una voce messa in giro da chi ha interesse a tenere alti i prezzi.
Il secondo piano ospita i problemi riguardanti la percezione visiva (cio, gli
atti del vedere con gli occhi) e la semiologia dell'arte (cio, i significati
dell'arte). Anche questa sembra una cosa difficile da capire. E in vece no:
vedrete che facendo pittura capirete molte cose fondamentali, soprattutto
molti trucchi del mestiere che, in qualche modo, assomigliano ai congiuntivi
della lingua, quelli che impastocchiano il cervello di chi non ha mai imparato a
usarli. Conoscerete, insomma, gli elementi minimi che, articolandosi
variamente, formano i vari linguaggi dell'arte.
Nella terza parte, vi racconto cos' avvenuto, nel settore, da cent'anni a questa
parte, in Italia e soprattutto fuori. Resta inteso che le informazioni non sono - n
ho voluto che fossero - complete fino al dettaglio (per esempio, troverete pochi
nomi). C', per - credo - sufficiente materiale perch, da soli, troviate i modi
per completarle secondo le vostre esigenze culturali.
Come giusto che sia per chi - come voi - ha ancora denti buoni e non ama i
cibi precotti, premasticati, predigeriti, supervitaminizzati.

Capitolo 1
La pagina bianca
Molti di voi si saranno gi trovati di fronte a un foglio bianco, senza sapere
cosa fare. Non dovete preoccuparvene: pare che capiti ai pi grandi artisti. Qualcuno ha parlato persino di dramma della tela bianca, ma c'era dell'esagerazione.
lo so per certo che gli artisti hanno le antenne e un qualche segnale - prima o poi
- riescono a captarlo. A volte, arriva da chi sa dove, a volte da pi lontano
ancora, a volte li, a centimetri 36 dagli occhi, su un foglio bianco, oppure in
punta di matita, che mormora segnali lievi come carezze.
Credete che scherzi? Osservate con attenzione il vostro foglio bianco: in un
primo tempo, pu apparirvi inerte, piatto, vuoto, bianco. Provate allora a
blandirlo o anche a trattarlo con durezza, se necessario. Ha bisogno di essere
provocato, stuzzicato; dovete tirargli fuori il pelo, come si fa con i cani, per farli
giocare.
Si pu provare ad accarezzarlo con la matita, con leggerezza, dolcemente:
mostrer la grana, se non ha il pelo troppo liscio.
Altrimenti, si pu stropicciarlo prima, per arruffarglielo un po', e poi
accarezzarlo di nuovo, sempre con la matita.
Secondo me, a questo punto, nessun foglio tenter ancora di resistere: per
cominciare, non sar pi completamente bianco, e ci vuol dire che si disposto
per un dialogo. Difficile?
Non lasciatevi intimidire. Il dialogo pi semplice che potete stabilire con un
foglio bianco pu consistere anche nel provocarlo con qualche puntino. Non sar
difficile entrare nel discorso. Potrete constatare di persona che pochi puntini
saranno gi sufficienti a rompere la zona del silenzio. Molti puntini cominciano
a rendere sensibile il foglio, a farlo cantare. La loro organizzazione sar - di
per s - un dialogo aperto. Le possibilit sono innumerevoli. Potete organizzare i
puntini addensandoli fino a dar loro delle forme.
Avete mai osservato una fotografia sgranata, cio ingrandita fino a mettere in
rilievo i granelli microscopici che compongono lo strato sensibile del negativo?
Le immagini si formano proprio per l'addensamento e la rarefazione di piccoli
punti (fig. 1).
Verificate cosa succede utilizzando un secondo colore, oppure differenziando
il diametro dei puntini, oppure cosa succede se una forma ottenuta addensando
puntini rossi, ne invade un'altra ottenuta addensando puntini azzurri: fate questa
prova e poi andatevi a studiare gli Impressionisti (ma ve ne parler io stesso, pi
avanti). Vi sar utile per entrare nel merito del linguaggio pittorico e capirlo.
Ma non fermatevi ai puntini, mi raccomando. Potete sensibilizzare il vostro
foglio in altri mille modi.
A questo proposito, vorrei invitarvi a osservare la superficie delle cose che vi
circondano, con la stessa attenzione con la quale avete osservato il vostro foglio
bianco. Scoprirete che esse sono quasi sempre (forse sempre) caratterizzate da
una textura, cio da una trama o grana, diciamo da un loro disegno, non conosco
una parola adeguata in italiano.
Se possedete una lente contafili, di quelle a forte ingrandimento, potete
studiarle meglio e trarne qualche spunto. In questo momento, mi vengono in
mente le texture della pelle (avete mai osservato quella delle lucertole?), delle

foglie, delle ali di mosca, della corteccia dell'albero, degli intonaci, della buccia
d'arancia, e l'elenco potrebbe continuare.

Ma non vorrei essere frainteso. Imparare a osservare con attenzione serve a


cogliere i meccanismi che determinano le forme e non a copiarle diligentemente.
Il fine di riutilizzare i meccanismi stessi in modo adeguato.
Capirete facendo questa prova: appallottolate un foglio di carta, poi riapritelo,
senza distenderlo del tutto, ma lasciando che conservi qualche protuberanza:
versateci sopra, in modo che scorra lungo gli avvallamenti, un po' d'inchiostro di
china diluito con molta acqua, e lasciate asciugare. Nei punti dove il liquido
ristagna avrete una maggiore intensit di grigio, nei punti dove il liquido scorre
senza ristagnare, il grigio risulter piu leggero. Stendete con cura il foglio
asciutto e osservate il disegno ottenuto. un modo di intuire il determinarsi
della forma dei fiumi.
Ecco, noi possiamo servirci di questo meccanismo, non per dipingere in modo
verosimigliante un fiume, ma per trarne uno spunto per eseguire un disegno che
deve avere una sua propria vita, una sua logica, un suo modo di raccontare, cio
un suo linguaggio.

Capitolo 2
Una questione di disordine
Avete mai pensato a cosa sia il disordine? Di questo concetto si parla sempre,
qualche volta a sproposito, spesso con una certa ansiet. C' il disordine della
camera da letto, quello della scuola, della famiglia, dei giardini pubblici,
dell'alimentazione, dei quaderni.
E c' anche il disordine sociale. Per molte persone tutto disordinato, e cos
succede che, essendo scontente, esse stesse finiscono con l'avere una mente
disordinata e, magari, pensano che tutto possa rimettersi in ordine, permettendo
che qualcuno stabilisca per tutti ci che ordinato e ci che disordinato. Ci
sono state (ma forse ci sono ancora) persone importanti che consideravano
disordinati i ragazzi che andavano a scuola con i capelli lunghi. E cos, li
costringevano a ridurne la lunghezza alla media di millimetri 28 (capelli a
spazzola, detti anche all'Umberto) che , come tutti sanno, una lunghezza
perfettamente ordinata.
Vedete, purtroppo non si tratta di cose ridicole: il desiderio di ordine nasce dal
bisogno di sentirsi sicuri e bisogna ammettere che il mondo in cui viviamo non
un mondo molto sereno.
Non dovete pensare che sia stato preso dal desiderio di divagare. Non ci
crederete, eppure anche queste cose possiamo imparare a capirle per mezzo della
pittura.
Il monotipo una tecnica di stampa che d come risultato una sola copia e
consiste nello schiacciare un foglio su un piano dove stato spalmato del colore.
Ora, fate attenzione e vedrete quante cose pu insegnarci sul concetto di
disordine (e del suo contrario, s'intende).
La prima volta che eseguirete un monotipo probabile che, spalmato il colore
sul piano, prima di schiacciarvi il foglio, vi aspettiate che possa accadere di
tutto. Infatti, poich non avete ancora fatto esperienza, il caso che agisce per
voi. Vi trovate di fronte a una situazione che sfugge al vostro controllo, che non
risponde alle vostre sollecitazioni in maniera prevedibile.
Come si comporter il colore? Che effetti produrr? Possiamo considerarlo un
momento di disordine, perch la nostra mente non ha saputo organizzarsi per
riconoscere le costanti, che sono i fenomeni che si ripetono sempre allo stesso
modo.
Molte persone non amano trovarsi in situazioni di questo tipo, perch
preferiscono che tutto succeda sempre secondo gli stessi modi che esse hanno
imparato a conoscere, altrimenti non riescono a capire cosa succede e si
spaventano. Queste persone, poich non si sentono sicure, non sono di quelle
che vanno a guardare sotto il foglio: anzi, sono di quelle che non tentano
neppure l'esperimento. Fanno, invece, discorsi molto complicati sulla Vera Arte
ed esprimono giudizi molto severi su chi diverso.
Noi, che abbiamo un concetto di ordine, legato alla razionalit, solleviamo il
foglio e lo studiamo.
Poi ritentiamo la stessa prova, nelle stesse condizioni. E poi, proviamo
ancora, sempre con sguardo vigile, ma apportando delle varianti (per esempio,
cambiando il tipo di carta, oppure il colore, la sua densit ecc.). Fino a che non
saremo in grado di controllare il comportamento dei materiali: fino a che le
sorprese non avranno smesso di apparirci come risultato di disordine e

cominceremo a considerarle, invece, come salutari stimolazioni della fantasia e


della creativit; e fino a che non avremo capito che tutto ci non vale solo per la
pittura.
Inutile dire che potete schiacciare il vostro foglio anche su uno straccio intriso
di colore, oppure sulla carta stropicciata, che potete ritagliare delle mascherine
di carta, per definire i contorni, che non proibito agire piu volte su uno stesso
foglio con colori e forme diverse, insomma che potete (dovete, perbacco) andare
oltre le indicazioni che vi do io.
Dimenticavo: per molti ordine vuol dire mettere in fila le cose e anche le
persone. Essi non sono d'accordo con noi e, infatti, non rischiano mai di lavarsi i
denti col sapone da barba.

Capitolo 3
Il frottage
I francesi lo chiamano frottage e consiste nello strofinare su un foglio (o su
una tela) un pastello a cera, una matita o anche un pennello piuttosto secco, e chi
sa quante altre cose.
L'effetto che si produce la messa in evidenza della grana della superficie
trattata, oppure l'impronta di ci che si trova sotto la superficie stessa.
un gioco che abbiamo fatto tutti, da bambini, servendoci di una moneta.
Sembrer strano, eppure raramente chi ha fatto questo gioco lo ha ripetuto,
servendosi di altri oggetti. In effetti si possono ottenere impronte bellissime
adagiando un foglio su una tavola, su un vetro stampato, su una foglia, sulla
corteccia di un albero.
Ho conosciuto un bambino che ha ottenuto un frottage appoggiando il foglio
sui denti di un suo compagno. Ne ho visto altri frottare impronte di radiatori
d'auto, di mattonelle, di intonaci, di sacchi, di centrini da caff, di fondi
impagliati di sedie, di suole di scarpe, di macchine per scrivere (proprio cosi:
l'impronta dei tasti). Ai bambini non sfugge nulla, qualunque superficie ruvida o
in rilievo pu essere catturata e conservata su un foglio, anche l'impronta del
telefono. Forse, non sar perfettamente somigliante, ma non importa. A parte
che potrebbe essere tutto molto chiaro (pensa~: le tracce dei pneumatici sono
l'impronta dell'automobile).
importante considerare questo gioco come un pretesto per creare dei
segni e non solo per ottenere la rappresentazione di oggetti.
Anzi, da dire che questo aspetto (la possibilit, cio, di riconoscere gli
oggetti) passer gradualmente in secondo piano, man mano che il gioco si sar
spostato verso l'interesse pittorico.
Mi spiego meglio: in un primo tempo, sarete certamente attratti dalla facilit
con cui si possono ottenere immagini sufficientemente verosimiglianti. Sar il
momento in cui toccherete tutto (se la zia non permette, mandatela al cinema).
Sar come imparare a vedere con le mani. Contemporaneamente per avrete
sentito nascere un certo interesse per quelle parti dell'immagine che, pur non
rispondendo in tutti i punti con l'oggetto che le ha determinate, risultano attraenti
per il loro equilibrio.
quello il momento in cui vietato aver paura di intervenire ancora sul
frottage, magari con un pennarello. Per esempio, si possono colorare le parti
bianche dell'immagine, oppure contornare tutte le macchie dell'impronta piccole e grandi - con uno o piu colori.
Un esperimento da fare pu essere quello di invitare a giocare (alla pari,
s'intende) anche i nonni e la zia i quali potrebbero fare delle scoperte
interessanti. Per esempio che la fantasia non si spegne mai del tutto e che basta
sciogliere qualche laccio perch si liberi completamente.
Non ci credete? E allora provate a immaginare con loro cosa succede se si
rileva l'impronta di una tavola nodosa, prima con un colore e poi spostando di
qualche millimetro il foglio, con un altro; oppure rilevando due impronte diverse sullo stesso foglio servendosi di un solo colore; oppure di due colori;
oppure rilevando la stessa impronta su due fogli diversi e con due colori diversi,
tagliando poi nello stesso modo i due fogli e riattaccandoli alternando i pezzi di
uno con quelli dell'altro.

Troppo difficile?
Sentite: una buona abitudine da prendere quella di decidere sulla difficolt
delle cose dopo averle fatte

Capitolo 4
Il colore a tempera
Nel capitolo precedente, col frottage, abbiamo imparato una cosa importante:
che la materia, in quel caso i pastelli a cera e la carta, si comporta secondo
regole sue proprie.
Qualcuno, strofinando un pastello su carta ruvida, avr tentato invano di
colorare una superficie in modo piatto e uniforme. La grana, infatti, impedisce
al colore di coprire perfettamente il foglio, cos uno diventa nervoso, si fa venire
il mal di gomito sfregando come un forsennato, la carta si deforma, forse si
buca, fa un po' schifo e si getta via tutto.
Anche questa una regola: bisogna aver pazienza e, magari, servirsi di una
carta liscia.
C' poco da dire, tutti i materiali per dipingere (e non solo quelli) sono
permalosi, se usati in modo diverso. Ma non importa. molto divertente
scoprire le loro regole, ma non meno divertente farli diventare capricciosi.
In questo capitolo molesteremo il colore a tempera. Si potrebbe cominciare
come fanno tutti, spremendone un po' sulla tavolozza e intingendovi il pennello.
A questo punto, per, pu darsi che uno resti con pennello a mezz'aria, in cerca
di uno spazio sulla carta, tanto per cominciare. Un dramma: dove lo metto? Cosa
devo colorare? Forse, prima, bisogna fare un disegno con la matita. Riemerge la
paura di non sapere disegnare.
Bisogna mantenere la calma: qui nessuno vuol fare l'artista.
Vediamo, intanto, come si comporta il pennello. Cosa succede se appoggiamo
sul foglio, con delicatezza, la sua punta intrisa di colore? Possiamo riempire
tutto il foglio di puntini fitti fitti.
E se lo spettiniamo, schiacciandolo sul foglio con un certo vigore? Si pu
provare con due colori, oppure con tre. Con quattro bisogna essere bravi, ma si
pu tentare lo stesso.
un modo come un altro di usare il pennello, ma non il solo. Non vietato,
per esempio, farlo rotolare sul foglio col palmo della mano.
Assicuro che non si corrono grossi rischi, strizzandolo come si fa quando si
ripulisce lo spazzolino da denti (deve avere le setole dure).
Invece, qualche rischio lo si corre agitandolo decisamente come se fosse un
termometro. bene indossare un grembiule e fare questo lavoro il giorno dello
shampoo ai capelli.
Inutile dire che la carta risponde diversamente a seconda della grana.
Provare per credere.
Cosa succede a inumidirla prima o, addirittura, bagnarla? E se si bagna dopo?
Il risultato diverso, se si appende il foglio ad asciugare. Attenzione a
manovrare la carta quando bagnata: pu snervarsi o persino strapparsi.
Per studiare il comportamento del colore a tempera, provare a sgocciolarlo,
oppure versarne un bel po' (molto liquido) e soffiarci sopra, in modo che prenda
a spandersi sul foglio. Per avere un controllo maggiore, si pu soffiare attraverso
la cannuccia di una biro.
Dopo questo lavoro, qualcuno ha l'impressione di vedere, davanti agli occhi,
delle stelline. Vuol dire che ha soffiato troppo.

Se il colore molto liquido, pu essere spruzzato. Per farlo, bisogna correre in


soffitta e ricuperare la bottiglia con pompetta che la nonna usava per darsi la colonia.
Vanno bene anche le vecchie macchinette per il Flit (antico insetticida che
rispettava le mosche, ma anche gli uomini e gli uccelli del bosco).

Capitolo 5
Pollock
Com' andata con la tempera? O meglio, com' andata con la zia? Vi ha
chiesto di rendere conto dei pasticci, oppure anche lei ha macchiato la
tovaglia, mentre faceva colare il colore su un foglio?
Mi raccomando, non spaventatevi, se gli adulti, qualche volta, non capiscono i
nostri disegni. Aiutateli, invece, e fateli giocare con voi.
Prima di suggerirvi altri modi per disegnare, vorrei proporvi un esperimento
che riguarda ancora il comportamento della materia.
Usando la tempera liquida, avrete gi notato che le gocce, cadendo sul foglio,
esplodono in un certo modo. Ci sono una serie di leggi fisiche (la fluidit del
colore, la forza di gravit, l'attrito, ecc.) che determinano il loro comportamento.
Anche chi volesse dipingere queste macchie all'antica, cio servendosi di un
pennello per renderle molto verosimiglianti, dovrebbe, prima di tutto, imparare a
studiare queste leggi, come facevano, del resto, i pi grandi artisti del passato.
La pittura insegna a osservare, questo si sa. Ora, provate a fissare il
comportamento della sabbia, quando la lanciate su un foglio spalmato di colla,
oppure quello della segatura di legno (potete fare piu lanci, lasciando
asciugare ogni volta).
Cosa c'entra questo con la pittura? C'entra, c'entra. Qualche tempo fa, un
grande artista americano - si chiamava Pollock - eseguiva i suoi quadri
appendendo un barattolo di vernice bucato a un filo e lasciandolo ondeggiare
sopra una tela disposta orizzontalmente.
Ho visto molti adulti ridere per queste cose. E invece, non c' niente di
ridicolo.
Anzi, fatele anche voi. Per quanto riguarda l'uso della sabbia e della segatura, dimenticavo di dirvi che il foglio potete colorarlo prima o dopo e anche
prima e dopo, con i sistemi che gi conosciamo (colature, spruzzi, frottage,
ecc.). II risultato pu cambiare, se usate colla di pesce - che si scioglie con
l'acqua - invece di una colla vinilica (Vinavil) - che tiene, anche quando
tornate sul foglio con colore molto diluito.
E adesso, fate un po' d'attenzione. Finora vi ho suggerito alcuni modi di fare
pittura che possiamo definire passivi. Cosa vuol dire passivi? Vuol dire
che, studiando il comportamento della materia (come si comporta il colore molto
liquido,. cosa succede schiacciando un foglio su un vetro spalmato di colore
fresco, ecc.), a voi non restava che aspettare, e vedere cosa succedeva.
Intendiamoci, tutto questo molto importante, perch ci insegna - come
dicevo - a osservare meglio e, soprattutto, perch ci permette di capire bene la
pittura contemporanea che basata prevalentemente sulla ricerca.
Ora, per, dobbiamo imparare a prendere il toro per le corna. Dobbiamo
imparare, cio, prima di tutto, a controllare la situazione.
Mi spiego meglio. Sapere come esplode una goccia non basta. Bisogna
riuscire a farla esplodere secondo le finalit che ci proponiamo.
Fate questa prova: ritagliate un dischetto di carta nera e posatelo su un foglio
bianco. Osserverete che, a seconda di dove lo posate (al centro, in basso o in
alto), vi apparir bloccato, pesante o leggero.

Questo esperimento serve a farvi comprendere, per esempio, che sgocciolare


il colore divertente - d'accordo - ma bisogna riuscire a farlo sgocciolare dove
vogliamo, in modo che l'opera siamo noi ad eseguirla e non il caso.
Naturalmente, dobbiamo sentirci liberi di affidarne l'esecuzione solo al caso,
se ci piace.
Per chi, invece, avesse interesse a intervenire attivamente, suggerisco la
ripetizione degli esperimenti, per ottenere la ripetizione dei risultati, in modo da
sapere in anticipo cosa succede facendo una certa cosa, per farla dove e come
interessa.
Forse, sono stato un po' confuso e rischio di ripetermi. Voglio dire che, se uno
ripete tante volte un'azione, finisce col conoscere esattamente cosa succede
anche prima di compierla, cos da poterla controllare perfettamente e da
utilizzarla come crede. Insomma, necessario diventare abili nell'uso dei
materiali, in modo da passare da una fase passiva a una progettuale.

Capitolo 6
Un albero che cresce
Fare pittura - da almeno un secolo a questa parte - non piu (o solo)
rappresentare quella che si chiama realt oggettiva, cio dipingere le cose cos
come sono. Non piu cos, da quando la macchina fotografica ci ha dato
l'illusione di fornirci risposte piu esatte; ma, soprattutto, non piu cos - e questo
il motivo piu importante - da quando gli uomini abituati a pensare criticamente
si sono accorti che le descrizioni delle cose cos come sono risultano sempre,
per qualche verso, poco attendibili e, comunque, mai definitive.
Non per fare il difficile, ma avete mai pensato a cosa sia un albero? La
risposta sembra facile, mi sembra di vederlo l'ottimista che dice un momento
che te lo disegno.
E invece, neppure con l'aiuto della macchina fotografica possibile
rappresentarlo nella sua totalit alberesca. E neppure con l'aiuto del piu abile
pittore di alberi, s'intende.
Infatti, se voi fotografate un albero, magari con la migliore pellicola a colori,
riuscite ad ottenere solo una sua rappresentazione convenzionale (infatti, nella
fotografia apparir molto piu piccolo del reale), cio quella relativa al punto di
vista dal quale scattate la fotografia.
Chiunque, inoltre, capisce che si otterrebbero immagini diverse dello stesso
albero, fotografandolo da altri punti di vista. E si capisce anche che le immagini
risulterebbero diverse se - pur fotografando lo stesso albero dallo stesso punto di
vista - lo si facesse in tempi diversi.
Provate a immaginare a ritroso la storia di quell'albero, cio come poteva
apparire ieri, un mese prima, un anno prima. Lo vedrete rimpicciolire, cambiare
forma, fino a sparire dal paesaggio.
Ma sparito davvero? Scavate mentalmente il terreno nel punto in cui sorgeva, e ve lo ritroverete con la forma di seme e, se continuate a pensare - sempre
a ritroso - la sua storia, vedrete quell'albero-seme in un fiore e nella linfa e nei
sali della terra e nell'aria. Che ve ne pare?
Questi problemi furono affrontati, qualche decina d'anni fa, dai Cubisti e dai
Futuristi. Ve ne parler pi avanti. Intanto, chiedete al vostro insegnante che ve
ne parli lui e che vi mostri qualche illustrazione. Oppure rivolgetevi alla zia che
potr sempre regalarvi dei libri adatti.
Ora che abbiamo fatto questa riflessione, col rischio di fare andare in pallone
il cervello, vediamo di utilizzarla per eseguire un disegno.
Avrete capito che la pittura ci aiuta a conoscere la realt, non perch
impariamo a copiarla (troppo poco, vi pare?), ma perch diventa uno
strumento attraverso il quale misuriamo le nostre capacit critiche e la nostra
sensibilit, uno strumento che ci permette di porci in rapporto con la realt.
Cosa vuol dire? Vuol dire - tornando al nostro albero - che della sua realt
possiamo scegliere di studiare, per esempio, la struttura.
In altre parole, possiamo prendere in considerazione il fatto che esso si
sviluppa nello spazio, biforcando i suoi rami. Cos, se ci piace, possiamo
decidere di eseguire un disegno, servendoci dello schema (struttura) della
biforcazione.
Attenti, per: non ci stiamo proponendo di rappresentare l'albero. Stiamo,
invece, utilizzando una sua logica (dell'albero), per seguire un disegno che -

come sappiamo - risponde, a sua volta, a una sua logica (del disegno). Ci
significa che, se nella realt dell'albero questo smette di biforcarsi (crescere)
perch - poniamo -la linfa non pu giungere a un'altezza superiore, nella realt
del disegno noi smetteremo di biforcare i segni, quando saremo giunti ai bordi
del foglio (sempre che ci ci piaccia).
Ancora: se l'albero - nella sua realt - tende a crescere in altezza e in
larghezza, noi - nella realt del disegno - possiamo sviluppare la biforcazione
dei segni, seguendo delle curve di sviluppo anche verso la parte bassa del foglio
(sempre che ci ci piaccia).
Date uno sguardo al disegno. Vi aiuter a capire piu delle mie parole (fig. 2).

Fig. 2

Capitolo 7
Dipingere a spruzzo
Solitamente, la pittura a spruzzo si realizza per mezzo di un compressore
d'aria e di una pistola.
Per i meno informati da dire che la suddetta non ha niente in comune con le
pistole che si possono trovare nei luna park, salvo l'aria, che nei due casi compressa. Le pistole per spruzzare sono dei recipienti dove va messa la vernice che,
spinta dall'aria, viene espulsa attraverso un piccolo foro (ugello) che la riduce in
una nube di piccole gocce.
Quasi certamente, neppure la zia riuscir a convincere la mamma a lasciarvi
piazzare un compressore in salotto e neanche in cucina, penso.
Ma il problema non questo: infatti esistono vari tipi di aerografi (si possono
chiamare anche cos, spero) molto piccoli, non ingombranti. Il problema ,
invece, quello di trovare uno spazio adeguato dove lavorare, senza che la vernice
spruzzata finisca sul televisore, sui piatti, sulle coperte, sugli occhiali del nonno,
sul tappeto, sulle tende. Solitamente, di vernice spruzzata si trovano tracce
persino dentro le narici e questo fa intuire che si depositi anche nei polmoni.
Un problema dunque quello di poter lavorare all'aperto e muniti di maschera
di protezione.
Ma non finita coi problemi: c' anche quello dell'acquisto. La pistola per
spruzzare piu economica, di quelle elettriche, costa sempre un bel po' di soldi.
Credo proprio che dovremo indirizzare la nostra ricerca in altra direzione.
Qualche pagina fa, vi suggerivo la pompetta che usava la nonna per darsi il
profumo. Chiss se ce ne sono ancora in soffitta. In commercio, per, esistono
altri tipi di pompette che vengono usate per spruzzare liquidi sui fiori ed altro.
Sono di plastica e vanno bene di sicuro. Irrobustiranno i vostri deltoidi, bicipiti,
tricipiti, gran pettorali che sono i muscoli interessati nell'operazione.
Infine, esiste uno strumento semplicissimo che consiste in due tubi piccoli e
sottili, accostati tra loro a 90 gradi, uno dei quali immerso nel colore, mentre
l'altro si porta alla bocca. Per soffiarci dentro, s'intende.
Se non riuscirete a trovarlo nelle cartolerie, potrete costruirvelo da voi,
utilizzando due cannucce di penna a sfera, come in figura 3 (dovete chiudere i
forellini laterali).
Funziona cosi: voi soffiate con un certo vigore dentro il tubo A. L'aria,
spinta dai vostri polmoni, crea una depressione nel tubo B e cosi la vernice
sale verso il bordo. Appena si affaccia, fa giusto in tempo a dire bah! che si
ritrova lunga distesa sul foglio, ridotta in mille e piu piccolissime goccioline:
una festa!
Va diluita parecchio e questo significa che, prima di ottenere una buona
copertura, dovrete tornare piu volte sulla superficie da colorare, lasciando
asciugare ogni volta.
Esistono vernici che essiccano rapidamente (alla nitrocellulosa) ma voi non
usatele, perch sono tossiche; servitevi delle tempere.
Normalmente, si preferisce spruzzare le vernici, invece di darle col pennello,
perch, cos, si ottengono superfici piatte e uniformi. Noi, per, cercheremo di
sfruttare anche un'altra caratteristica dello spruzzo, lo sfumato.
Naturalmente, l'aerografo a bocca meno controllabile di quelli meccanici,
perch la spinta dell'aria non costante. Tuttavia, dopo alcune prove, sarete in

grado di capire molte cose, su come si ottiene una polverizzazione piu minuta,
su quanto si deve soffiare, su come inclinare le due cannucce, sulla diluizione
del colore.
Forse, capirete anche se avete predisposizione per suonare l'oboe.
Per spruzzare la vernice nei punti desiderati (e solo in quelli), si coprono le
parti che non vanno colorate, con delle sagome di carta. Le prime volte, forse,
perderete la pazienza, perch le sagome volano via, oppure si sollevano, facendo
passare la vernice di sotto.
Non affogate in un bicchiere d'acqua, sia pure colorata; le sagome possono
essere fissate in tanti modi, con qualche punta di colla, con spilli.
A parte il fatto che esiste in commercio dell'ottima carta autoadesiva per
carrozzieri.

Fig. 3

Capitolo 8
La fustella
Lo strumento che vi propongo di usare per gli esperimenti di cui vi parler si
chiama fustella.
Lo trovate presso i rivenditori di ferramenta, costa poco, consiste in un
piccolo cilindro affilato ai bordi ed sormontato da un manico su cui si batte col
martello. Serve normalmente per ricavare delle guarnizioni rotonde.
Noi lo utilizzeremo per ottenere tanti dischetti di plastica autoadesiva da
incollare su un supporto.
Inutile descrivere come si usa. Appena la vedrete capirete tutto.
Un avvertimento, per, bisogna che ve lo dia: non dimenticate di mettere sotto
il materiale da ritagliare una grossa rivista che serve perch non si danneggino i
bordi taglienti della fustella. Inoltre, prima di iniziare, vi consiglio di regalare
dei fiori alla signora del piano di sotto. Cos, non vi mander al diavolo, appena
comincerete a picchiare col martello.
Se siete ricchi sfondati e possedete piu di mille lire, potete acquistare pi
fustelle di diametro diverso.
Ma non spendete tutto il denaro: lasciatevene un po' per l'acquisto della
plastica autoadesiva che si compra presso le cartolerie.
Tanto per prendere confidenza, potete iniziare le prime prove incollando
liberamente i dischetti. Capirete molte cose circa l'articolazione dello spazio.
Ma, prima o poi, vi verr voglia di procedere con maggiore razionalit e
allora finirete col fare i primi tentativi di allineamento. Comincerete, cosi, a
tracciare, con una matita, delle linee orizzontali e verticali, che servono per
sistemare i dischetti secondo un ordine preciso scelto da voi.
Anche se molto divertente scoprire le tecniche da s, voglio suggerirvi un
modo che vi eviter di ripetere ogni volta questo lavoro. Tracciate su un foglio
robusto la struttura che vi interessa studiare e praticate dei fori, attraverso i quali
farete passare i dischetti, dopo aver adagiato il foglio stesso nella posizione
voluta, sopra un supporto. Questo foglio - che diventa una specie di matrice - vi
sar molto utile per controllare il comportamento dei dischetti quando deciderete
di giocare sulle sovrapposizioni.
Forse, non sono stato molto chiaro e, magari, finisce che - tra vedere e non
vedere - non vorrete rischiare di buttar via i soldi con l'acquisto delle fustelle. E
allora, aprite bene le orecchie, perch vi propongo un esercizio che vi permetter
di capire tutto.
Prendete un foglio da disegno piuttosto pesante e riempitelo completamente di
linee orizzontali e verticali distanti fra loro 20 millimetri, in modo da ottenere
tanti quadrati tutti uguali; adagiate il foglio su una rivista e, appoggiando una
fustella da 16 millimetri con il bordo tangente a due lati di ciascun quadrato,
praticate sul foglio tanti fori, quanti sono i quadrati. Otterrete cosi un foglio
sforacchiato in maniera molto regolare (matrice).
Cercate di essere molto accurati nel lavoro. Ora, adagiate questo foglio su un
supporto qualunque, che pu essere un altro foglio di carta, oppure di masonite,
bianco o colorato. Fissatelo con scotch, in modo che non si sposti e, dopo aver
ottenuto con la stessa fustella un numero sufficiente di dischetti, incollateli al
supporto sottostante, facendoli passare attraverso i fori praticati nella matrice.
Staccate la matrice e osservate cos' successo.

Pu darsi che qualcuno di voi resti soddisfatto di questo lavoro, gi a questo


punto, io consiglio di andare oltre.
Potete fare cosi: adagiate nuovamente la matrice sul supporto e fissatela in
una posizione qualunque (ma diversa dalla precedente) e, sempre attraverso i
fori, incollate un'altra serie di dischetti. Finito il lavoro, staccate nuovamente la
matrice e osservate. Questa volta, la sorpresa sar certamente maggiore.
I suggerimenti che seguono rileggeteli dopo aver realizzato l'esercizio che vi
ho appena descritto e - s'intende - dopo aver cercato di capire ci che avete
osservato.
Potete utilizzare una stessa struttura (cio il tracciato di linee orizzontali e
verticali), ottenendo due matrici, ma con fori di diametro diverso; potete variare
i rapporti della struttura precedente (per esempio, distanze di 25 millimetri)
utilizzando lo stesso diametro dei fori e combinandola con la prima.
Naturalmente, sono previste variazioni di colore, oltre che di diametro: per
esempio, potete provare ad eseguire l'esercizio descritto, su un foglio di plastica
autoadesiva e sovrapporre il secondo ordine di dischetti dello stesso colore.
Non importante saperlo, ma l'effetto che si produce sfalsando leggermente
due strutture sovrapposte di dischetti, come quelle descritte, si chiama effetto
moir. (Coraggio, diamoci un po' di arie!)

Capitolo 9
A proposito di regole
Vorrei ricordarvi ancora che molto importante diventare padroni delle
tecniche e, perci, vi invito a ripetere piu volte gli esperimenti che gi conoscete.
Le sorprese non mancano mai.
Un'altra cosa vorrei dirvi: io cerco di fornirvi alcuni spunti, ma voi non dovete
limitarvi a fare solo ci che vi suggerisco. Liberate tutta la vostra fantasia e non
permettete che si incateni per sempre alle regole.
Cercher di spiegare con un esempio ci che intendo. Per parlare con voi
attraverso queste pagine io so che verranno rispettate una serie di regole: per
esempio il compositore curer che tutte le parole scritte restino separate da uno
spazio. una regola che rispettate anche voi, quando scrivete sul quaderno.
Ora, fate bene attenzione e continuate a leggere, se riuscite:

stato uno scherzo, non voletemene. Avete notato come appaiono le parole,
stampate senza spazi di separazione? Sicuramente siete riusciti tutti a leggerle,
sia pure con una certa fatica; non questo che volevo mettere in evidenza.
L 'osservazione interessante che si pu fare , invece, questa: se utilizziamo in
modo inconsueto i segni (per esempio, le lettere dell'alfabeto, appunto),
possiamo notare che essi si organizzano in modo diverso. In questo caso
perdono (almeno in parte) la funzione di segni che servono per comunicare un
messaggio scritto, per acquistarne una che piu visiva, diciamolo pure, pi
pittorica. Picasso, tanto tempo fa, esegu un'opera, utilizzando in modo
inconsueto il sellino di una bicicletta; Duchamp espose in una mostra la tazza
del wc, scandalizzando gli spettatori pi permalosi.
Queste cose avvenivano prima che i vostri genitori nascessero, eppure sono
sicuro che molte persone griderebbero allo scandalo ancor oggi. Infatti, la
fantasia una merce rara e anche l'abitudine a vedere il mondo in modo diverso
non molto diffusa.
Comunque, mi raccomando: non demolite il bagno, per vedere come sta se lo
spostate in salotto, tra i vasi dei fiori.
Una cosa che, invece, potete fare quella di verificare cosa succede, se anche
voi - senza i caratteri da stampa, s'intende - scrivete qualcosa (per esempio, il
vostro nome e cognome), ripetendola tante volte fino a riempire un foglio e
senza staccare le parole.
Ricordate: state eseguendo un disegno, quindi non lasciatevi condizionare
dalle regole della scrittura, che impongono di lasciare uno spazio anche tra una
riga e l'altra, e anche di andare a capo suddividendo le parole in sillabe.
Se decidete di scrivere (pardon, disegnare) in stampatello, non dimenticate di
attaccare fra loro tutte le lettere, senza spazi, come se fossero le case di una strada senza traverse.
Come sempre, sono prevedibili molte variazioni a questo progetto: potete
usare, per esempio, due o piu colori; potete scrivere una riga al diritto e una al

rovescio (senza spazi, mi raccomando, oppure anche con gli spazi, perch no?);
e naturalmente, potete ripetere il disegno, usando anche il nome della zia.
Un'idea: per Capodanno, inviatele questi auguri:
BUONANNOCARAZIASOGIANDAREINBICICLETTA. Chi sa che non ve
la regali.

Capitolo 10
Uno scritto disegnato
Vorrei proporvi un progetto elaborato qualche anno fa da un bambino di
quinta elementare, Osvaldo, di Assemini, ormai giovanotto con fidanzata. Chi sa
se ha saputo far crescere la sua immaginazione, oppure se, anche lui, ha finito
col metterla dentro una bottiglia, come capita spesso, per motivi misteriosi,
quando si diventa adulti. Quando Osvaldo esegui l'opera di cui vi parler aveva
dodici anni. Ripeteva la quinta per la terza volta, perch non conosceva i confini
del Venezuela e neppure la storia dei martiri di Belfiore. Personalmente ho
scoperto che ignorava anche i verbi riflessivi (per, quando parlava li usava) e
persino il numero fisso dell'esagono e chi sa quante altre cose importanti.
Vediamo dunque il progetto. Anche questo gioco consiste nell'intervenire su
una parola scritta, fino a farla diventare un disegno.
Intendiamoci, anche le parole scritte, a guardar bene, sono dei disegni. Solo
che - solitamente - non riusciamo a considerarle sotto questo aspetto, perch ci
siamo abituati a coglierne la caratteristica principale che quella di
rappresentare con segni grafici (cio scritti) i segni fonici (cio parlati).
A tutti noi, per esempio, gli scritti cinesi sembrano dei disegni e, quasi
certamente, ai cinesi paiono disegni i nostri scritti. una questione di abitudine.
Cosa dobbiamo fare per trasformare uno scritto che sappiamo leggere in un
disegno?
evidente che la prima cosa che facciamo quella di leggerlo. Infatti, in noi,
i meccanismi psicologici della lettura sono diventati tanto stabili che scattano da
soli. Allora, bisogna fare qualcosa per non mettere in moto questi meccanismi.
Ed ecco come procede Osvaldo: inizia scrivendo il proprio nome con un
pastello a cera (fig. 4); segna poi i contorni della scritta che, gi a questo punto,
appare come un disegno (fig. 5).
Evidentemente, per, a Osvaldo non basta: il suo nome si legge ancora con
troppa chiarezza.
Cosi, pensa bene di sovrapporre al disegno ottenuto un foglio pulito e,
controluce su un vetro della finestra, lo ripete molte volte in modo regolare (fig.
6). Infine, cancella tutti i segni che si sovrappongono e - con puntini - interviene
dentro gli spazi che appartengono alla scritta (fig. 7).
Ve lo giuro: piu facile a farsi che a dirsi. Come mai, ora, non si riesce pi a
leggere il nome di Osvaldo?
Su questi problemi si sono scritti molti libri e una risposta definitiva non
ancora giunta. Non aspettatevela neppure da me.
Per, si possono avanzare delle ipotesi. Una pu essere questa: secondo una
Scuola di psicologia germanica - la Psicologia della Forma - la percezione delle
immagini sarebbe regolata da una serie di leggi fondamentali chiamate leggi
della pregnanza.
Non spaventatevi per le parole difficili, i concetti sono molto semplici.
Una di queste leggi la legge dell'abitudine, che riguarda anche i meccanismi
della lettura. Non c' bisogno di spiegarla. Si capisce subito che questa legge
regolata dall'esperienza che ci abitua, appunto, a percepire con facilit le forme
che vediamo con pi frequenza (per esempio, il cacciatore distingue molto bene le forme degli uccelli, perch ne ha visto tanti e cosi il pescatore, per quanto
riguarda le forme dei pesci).

Ma come ci comportiamo, di fronte alle forme su cui non abbiamo fatto


esperienza? Tanto per intenderci, cosa capita, quando guardiamo la scrittura
cinese (che non conosciamo)?

In questo caso, interverrebbero altre leggi.


Ve ne dico una che non c'entra col disegno in questione, ma pu risultarvi
utile come strumento di analisi di altri disegni.
Si chiama la legge del destino comune.
Fate questa prova e capirete di cosa si tratta: disegnate su un foglio un
quadrato e, sopra il quadrato, un cerchio e, ancora sopra, un triangolo, senza
badare molto a come li sovrapponete.
Otterrete un intreccio di linee che dovrebbe confondervi un po' le idee.
Eppure, non vi sar difficile distinguere nettamente le tre figure, per quanto
risultino mischiate.
Perch? Gli psicologi della Psicologia della Forma sostengono che ci
avviene in quanto il nostro apparato percettivo (occhio-cervello) sarebbe
organizzato in modo da separare automaticamente le forme pi semplici da un
intreccio confuso di segni (nel nostro caso, il quadrato, il cerchio e il triangolo).
A voi le lettere dell'alfabeto sembrano forme molto semplici.
Provate a capovolgere la pagina che state leggendo e vedrete quanto risulter
pi difficile continuare la lettura. Ci significa che esse vi appaiono semplici
solo perch vi sono molto familiari, per averle viste (lette) chi sa quante volte,
solitamente al diritto.

Cosa successo nel disegno di Osvaldo? successo che una delle leggi della
pregnanza (quella dell'esperienza) non ci aiuta pi (come col libro rovesciato). I
segni dell'alfabeto, infatti, si sono sovrapposti e mischiati, perdendo la loro
fisionomia.
Ora, andate a mettere la testa sotto il rubinetto, prima che il cervello si fonda.

Capitolo 11
Mele e patate
Questa ve la dico in un orecchio. La zia non deve sentirci, altrimenti
l'esperimento non riesce.
Prendete una mela e una patata, sbucciatele e tagliatele a fette (fatelo di
nascosto). Poi, chiamate la zia, la bendate, le chiudete il naso con una pinza per
biancheria, e le infilate in bocca ora una fettina di mela, ora una di patata. Le zie
sono sempre gentili e non sar necessario legarle a una sedia.
Tranquilli: non si tratta di un gioco pericoloso, ma di un esperimento
divertente.
Infatti, se chiederete alla zia cosa ha mangiato, vi risponder d'aver mangiato
solo mele, oppure solo patate.
Pu capitare che risponda d'aver mangiato mele e patate e allora quella non
una zia, ma un, laboratorio per analisi chimiche.
Questo esperimento ci permette di fare una considerazione molto importante:
per non fare confusione nella conoscenza delle cose, bisogna cercare di
impadronirsi del maggior numero possibile di strumenti di conoscenza.
Anche i nostri sensi sono strumenti di conoscenza e, bench non ce ne
rendiamo conto, il pi delle volte (o forse, sempre), li utilizziamo collegandoli
fra loro.
Persino un'operazione molto semplice, come quella di mangiare una mela,
mette assieme non solo l'uso del senso specializzato (in questo caso, il gusto),
ma anche gli altri.
Per questo motivo, affinch il nostro esperimento riesca, necessario che la
zia sia messa in condizione di non utilizzare il senso del tatto (e noi la leghiamo,
se non sta ferma), quello della vista (e noi la bendiamo) e quello dell'olfatto
(pinza per biancheria).
Se non avete una zia a portata di mano, oppure se la zia non collabora, potete
utilizzare la patata in questo modo (la mela, invece, mangiatela perch fa bene):
tagliatela in due parti e, con la punta del coltello (o con altro strumento
adeguato) incidete dei segni - in rilievo e in negativo - sulla superficie piatta
di ciascuna met.
Insomma, costruitevi due o pi timbri di patata. Disponete sul tavolo da
lavoro alcuni straccetti intrisi di colore un po' liquido e un foglio di carta.
Siete pronti? Ora si pu dire che avete davanti gli strumenti. Ma come usarli?
Prima di tutto, credo sia necessario - come al solito - fare diverse prove, per
imparare a conoscerli. Perci, controllo della fluidit del colore, della pressione
da esercitare col timbro, del tipo di carta, ecc.
Vi stancherete presto di timbrare senza fantasia, come capita a tutti gli
impiegati delle Poste. Tuttavia ci sar un momento in cui vi domanderete cosa
fare di meno meccanico servendovi del vostro timbro.
quello il momento in cui potreste apprestarvi a formulare un progetto.
Cosa vuol dire? Vuol dire che vi siete posti nella condizione di fare delle scelte e
di organizzarle secondo un processo logico.
In altre parole, vuol dire che, per esempio, potete decidere di ripetere (si pu
dire anche iterare) il segno ottenuto col timbro. Questa la prima fase del
progetto.

Ma come iterare (si pu dire anche ripetere) il nostro segno? Un'idea pu


essere quella di allinearlo per file parallele ed equidistanti. A questo punto,
siamo giunti alla fase conclusiva del progetto.
Perch ho parlato di scelte? Ho parlato di scelte, perch, in realt, l'iterazione
del segno secondo file parallele ed equidistanti non costituisce la sola maniera
per utilizzare il nostro strumento vegetale.
Infatti, supposto che si voglia adottare l'iterazione come progetto di massima,
questa pu anche risultare casuale (un timbro qua, un altro l, come capita),
oppure, pu seguire altre strutture (per esempio, si pu ripetere il segno,
seguendo l'andamento di una spirale oppure l'andamento di una serie di cerchi
concentrici, e cosi via).
A parte, s'intende, tutte quelle variazioni che discendono dall'uso del colore,
della sovrapposizione del segno, del suo rovesciamento, della combinazione di
piu segni ecc.
Pensate quante prove - diverse fra loro - potete ottenere, apportando lievi
variazioni a un progetto iniziale!
Ho riletto il capitolo e sono d'accordo con voi: non bisogna mai legare la zia.

Capitolo 12
I parolatori
Chi sa quante volte vi avranno chiesto di spiegare a parole i disegni che avete
imparato a fare. Sono in molti, infatti, a credere che tutto si possa capire solo se
spiegato bene con la parola.
E invece, non proprio cos .
La parola uno degli strumenti - il pi usato - di cui gli uomini si servono per
comunicare. Ma non il solo: ce ne sono altri, come la musica, per esempio, e la
pittura, ma anche i gesti e i segnali stradali e quelli che facevano gli indiani, col
fumo.
Persino il silenzio, a volte, comunica dei messaggi. E ciascuno di questi
strumenti funziona in modo autonomo, cio senza che - necessariamente - debba
esserci l'aiuto degli altri. Voglio dire che uno capisce la musica, la danza, la
pittura non certo perch gliela spiegano a parole. Se fosse cos, non
esisterebbero n musicisti, n ballerini, n pittori, ma solo parolatori.
Provate a chiedere a chi pretende che voi parliate i disegni, di parlare lui la
musica, oppure di parlare lui la danza. tanto assurdo che non si riesce neppure
a dirlo correttamente: infatti i disegni, la musica e la danza non si parlano.
Dice: ma allora, come si fa a capire? Come al solito, vi propongo un disegno
come esempio di linguaggio pittorico. semplicissimo, ma richiede una
esecuzione molto accurata.
Dividete un foglio con una serie di linee parallele ed equidistanti e coloratele
nel modo che vi dir. Servitevi della tempera che darete a corpo (cio senza
diluirla con l'acqua o diluendola pochissimo), in modo da ottenere superfici
piatte, omogenee, possibilmente senza tracce di pennello. Munitevi di due
tubetti di colore, uno dei quali deve essere il bianco, di un pennello morbido e
di uno scodellino, dentro cui spremerete un po' di colore, mettendo da parte per
il momento il bianco.
Mischiate con cura il colore e datelo fra le prime due linee parallele, in alto,
facendo bene attenzione a non sbordare oltre le linee stesse.
Mi raccomando, siate calmi. Se vi trema la mano fatevi una zuppa di biscotti
con la camomilla della zia.
Ora dovete colorare la banda che sta immediatamente sotto, ma il colore deve
essere leggermente schiarito. Si fa cos: si apre il tubetto del bianco, lo si
spreme appena appena, finch il colore non si affaccia, e se ne prende un
pochino con la punta del pennello. Mischiatela con molta cura a tutto il colore
rimasto dentro lo scodellino.
Anche qui, molta attenzione: la linea di contatto con la banda colorata
precedentemente deve essere perfetta, niente sbavature o tremarelle, altra
camomilla se il caso.
Per la terza banda, stesso procedimento: tubetto di bianco - punta di pennello
- mischiare accuratamente. Cos per la quarta e per tutte le altre.
Risultato: avrete una serie di fasce colorate di uno stesso colore che
schiarisce gradatamente.
Banale? Fate attenzione e capirete cosa si intende per linguaggio pittorico.
Voi lo sapete benissimo perch lo avete fatto: ciascuna fascia colorata con
colore piatto e uniforme. Eppure, ogni fascia appare pi scura in alto e pi
chiara in basso, come se si trattasse di strisce non piatte ma curve. L'effetto

tanto forte che, per dimostrare che le fasce sono state colorate in modo piatto,
bisogna guardarle una alla volta, coprendo le altre.
Come mai? Non lo so.
Per, so che in questo modo che i colori parlano. Ecco, per capire il loro
linguaggio, bisogna studiarli seriamente, vedendo come si comportano. Per lo
stesso motivo, dovremo vedere - e non parlare - la danza, udire - e non parlare la musica.
Ora, visto che siete inzuppati di camomilla, potete attaccar briga con i
parolatori.

Capitolo 13
I droodles
Molti artisti hanno a cuore che gli spettatori comprendano bene ci che i loro
quadri rappresentano.
Giusto. per questo motivo che, quando dipingono un nudosdraiato,
attaccano alla cornice una targhetta dove c' scritto Nudo sdraiato, oppure
Barche, se hanno dipinto barche, Bambina con fiore, per un quadro di
bambinaconfiore. A volte, invece, dipingono un uomo seduto e scrivono
Disoccupato.
Certo che il titolo aiuta molto a mettere in moto i meccanismi della
comprensione, non solo quando dobbiamo fare i conti con la conoscenza dei
fatti che ci vengono raccontati nell'opera, ma anche quando i conti
dobbiamo farli col linguaggio che, spesso, viene usato al limite delle sue
possibilit di comunicazione. Come quando ascoltiamo una canzone con una
radiolina che ha le pile scariche e si sente malissimo: ci basta percepire poche
note ogni tanto, per completare il resto, con la fantasia e con la conoscenza che
gi abbiamo della canzone.
ci che avviene con i droodles che sono dei disegni molto semplici, ma
illeggibili senza la presenza di un titolo che orienti la comprensione. I segni
che li compongono, infatti, acquistano un senso solo quando vengono riempiti di
significato dall'uso di un codice conosciuto da tutti. Il che, tradotto in soldoni,
vuol dire che un cerchio segno acquista un significato quando viene
codificato, per esempio, come ruota, cio quando si convenuto che
rappresenti ruota, insomma, quando a tutti quelli che lo guardano non torna
difficile leggerlo come ruota.
Attenti, per: si pu convenire che lo stesso cerchio sia il codice di luna,
oppure di torta, di moneta, di buco, di palla, di bottone e chi sa di
quante altre cose. A farla breve, i segni di questo tipo sono da considerare
equivoci, sono, cio, capaci di acquistare piu significati.
Quand' che viene meno questa equivocit? Questa equivocit viene meno (o
si riduce notevolmente), quando a quei segni ne aggiungiamo altri, in modo da
restringere le molte possibilit di lettura a una sola.
Forse, vi sta prendendo il sonno, traduco ancora in soldoni: se, al centro del
cerchio in questione, disegniamo due puntini, possibile che la configurazione
ottenuta possa ancora codificarsi come palla o altro. Ma, se ci pensate un
momento, sicuramente piu accettabile come bottone (fig. 8).

Fig. 8

I droodles sono composti da una serie di segni che, presi separati, risultano
equivoci, mentre, messi assieme in certo modo, finiscono col risultare univoci,
cio con un solo significato.
La cosa che, per, li caratterizza la necessit di un titolo. solo il titolo,
infatti, che carica di significati i segni, anzi che li forza verso un solo significato.
Come potete vedere da quelli in figura, si tratta di giochi grafici divertenti e
antichi (se ne attribuiscono alcuni ad Annibale Caracci che nacque nel 1560 e
mori nel 1609). Potete inventarne anche voi, naturalmente. Magari disegnando
sulla sabbia, insieme agli amici.
Dimenticavo: droodles, in inglese, pare significhi baloccamento disegnato.
D'accordo, d'accordo: l'avevamo capito tutti.

Capitolo 14
il carico semantico dei materiali
Tenetevi forte, perch, questa volta, si va sul difficile.
Non c' bisogno che curviate la schiena: il carico di cui vi parler semantico
e riguarda i materiali di cui si servono gli artisti, per eseguire le loro opere.
Siate ottimisti, neppure la zia riuscirebbe a capire ci che ho detto: buttato li,
senza preavviso, il carico semantico dei materiali appare davvero pesante. Ma
basta intendersi e il discorso si far leggero leggero.
Occhio: quando si dice che i materiali di cui si servono gli artisti sono carichi
semanticamente, significa che essi sono carichi di significato, cio ci
comunicano delle cose, gi per il solo fatto di essere stati usati, qualunque
cosa si sia voluto dipingere o scolpire.
Badate: per il solo fatto di essere stati usati, qualunque cosa si sia voluto
dipingere o scolpire.
Cerchiamo di capirci: non so se qualcuno vi abbia mai detto cosa sono le
vernici nitroacriliche: sono le vernici che, solitamente, si usano per colorare le
automobili; non si danno col pennello, perch hanno una essiccazione
rapidissima e un'esigenza, diciamo cosi, linguistica delle automobili che
esse siano colorate in modo uniforme, lucido e brillante; si usano col
compressore, oppure immergendovi il pezzo.
Ora, fate questa prova: togliete il freno alla macchina della zia, fate in modo
che finisca contro un muro, portatela dal carrozziere perch raddrizzi le
ammaccature, poi affidatela a un pittore da cavalletto affinch la rivernici, con i
suoi colorini a olio, spremuti dal tubetto, pregandolo di rifarla com'era prima.
Potete giurarlo: tutti noteranno nella nuova macchina della zia qualcosa di
strano.
Questo, perch la pittura a olio ha un carico semantico diverso dalla vernice
nitroacrilica. La prima significa paesaggi, nature morte, ritratti, insomma quadri a olio; la seconda significa industria, meccanizzazione, catena di
montaggio e, se volete, cassa integrazione e unit sindacale.
Inutile sottolineare che tutti i carichi semantici sono fatti convenzionali, frutto
della storia: in effetti, proprio l'uso dell'olio in pittura, in senso naturalistico,
che lo carica di significati naturalistici, anche quando lo si usasse per verniciare
l'automobile della zia.
Naturalmente, il discorso vale anche per le vernici nitroacriliche, quando
vengono usate per la realizzazione di opere d'arte: anch'esse si porteranno dietro
un carico semantico che riferito alla loro storia. Per una questione di
coerenza linguistica, verranno usate su oggetti che, come i prodotti industriali, si
caratterizzino per l'esecuzione accurata, la pulizia e la semplicit della forma.
Quindi, niente pennelli, niente tele, niente che contrasti con il loro
comportamento; ma compressori ad aria, superfici lisce, forme adeguate, materiali ai quali possano ancorarsi, carte abrasive e tutti i marchingegni del
caso.

Capitolo 15
Le lenti aniseiconiche
Sapevate che si impara a vedere come si impara a camminare? E sapevate che
ci che vediamo non quello che , ma quello che ci aspettiamo che sia?
Questa volta voglio proprio sbalordirvi, ma ho bisogno che mi prestiate tutta
la vostra attenzione.
Quanto vi dir, apparentemente ha poco a che vedere con la pittura. Ma non
cos: si tratta di un discorso sulla percezione visiva, ed molto importante
rendersi conto dei meccanismi che la determinano, proprio per imparare a
leggere correttamente tutto ci che si propone a noi come messaggio visivo.
L'esperimento di cui vi parlr stato condotto da studiosi che fanno capo a
una scuola americana di psicologia (la psicologia transazionale) e si esegue
servendosi delle lenti aniseiconiche.
Per favore, non chiudete il libro, vi spiegher tutto. Le lenti aniseiconiche
sono lenti deformanti e ci vuol dire che, se ci guardate attraverso, le cose vi
appaiono deformate, appunto. Come capita quando guardate la vostra immagine
riflessa dagli specchi curvi dei lunapark.
Come tutte le lenti, anche quelle aniseiconiche possono essere pi o meno
forti. Per chi non lo sapesse, dir che la forza delle lenti si misura in
diottrie: tanto maggiore il numero di diottrie, quanto pi elevata la capacit
della lente di deviare i raggi della luce.
Nel caso delle lenti aniseiconiche, dunque, pi alte le diottrie, maggiore la
capacit deformante.
Ora, prendete un po' di fiato e cercate di ricordare come si chiamano le lenti
deformanti. Non importante, ma voi parlatene lo stesso a tavola, dandovi delle
arie, e controllate se alla zia cadono la mascelle, per la meraviglia.
Ora fate attenzione: da prove eseguite con numerose persone, risulta che quasi
tutte, inforcando occhiali deformanti (aniseiconici) da tre-quattro diottrie,
perdono il senso dell'equilibrio, tanto sconvolto appare il mondo circostante: il
pavimento sembra inclinarsi, il soffitto appare pendente, le pareti curve.
Ricordate che bastano tre-quattro diottrie. L'esperimento procede in questo
modo: un soggetto posto a sedere di fronte a uno specchio, in un ambiente con
le pareti nere, illuminato da una luce, in modo che veda se stesso riflesso dallo
specchio, e nient'altro intorno.
In queste condizioni, gli si chiede di descrivere ci che vede. Il soggetto,
com' naturale, descriver la propria immagine.
Subito dopo, gli si sistemano gli occhiali senza lenti, e si ripete l'invito:
descriver ancora la propria immagine, sostenendo di non avvertire differenze
(per forza!)
Si monteranno su questi occhiali, ma senza toglierli, delle lenti aniseiconiche
di 0,25 diottrie (cio un quarto di diottria, che poca cosa) e il nostro uomo
dichiarer ancora di non avvertire differenze.
Si continua in questo modo, sempre senza togliere gli occhiali, aggiungendo
ogni volta una lente da 0,25, fino a che il poveretto non comincer a notare che
qualcosa non va, cio che la propria immagine appare, in qualche modo,
stravolta.
Pi su vi avevo invitato a ricordare che bastano tre-quattro diottrie per perdere
il senso dell'equilibrio. Non ci crederete, eppure, procedendo in questo modo,

l'immagine appare deformata (naso grande, collo storto, piedi enormi, ecc.) solo
dopo che le lenti aggiunte raggiungono 5-6 diottrie. Alcune persone, per vedere
la propria immagine deformata, hanno bisogno di 8 e piu diottrie. E badate che,
con queste lenti, dovrebbero vedersi mostruosi.
La ragione pi attendibile di questa indulgenza nei confronti della nostra
immagine che i segnali che i nostri occhi ricevono (i raggi di luce riflessi dallo
specchio) vengono letti dal cervello, secondo condizionamenti dovuti
all'esperienza.
Naturalmente, c' da credere che anche nei confronti di tutto il resto che ci sta
intorno il nostro cervello si comporti in maniera analoga.
Come vi dicevo all'inizio, noi vediamo le cose non come sono (e come
sono?), ma come ci aspettiamo che siano. In altre parole, evidente che ci
aspettiamo che siano come abbiamo imparato a conoscerle e che, in definitiva,
solo cos possiamo vederle.
Questo spiegherebbe molti fatti: per esempio, com' che uno si vede un
gigante, se mette gli stivaletti coi tacchi alti, ma anche com' che, di fronte a
opere d'arte contemporanea, molti arricciano il naso: s'aspettano di vedere ci
che non c'. Un paesaggio, per esempio, qualcosa, comunque, che risponda alle
loro aspettative.
Che fare? In questo caso, bisognerebbe togliersi gli occhiali aniseiconici del
pregiudizio e cercare di inforcare quelli della cultura. Che saranno deformanti
anche quelli, ma almeno si sa che sono fatti per essere sostituiti.
E non fidatevi di chi dice di non portare occhiali,.

Capitolo 16
Ciechi risanati in et adulta
Nel capitolo precedente vi ho detto che impariamo a vedere, come impariamo
a camminare.
Per la verit, non tutti la pensano cos e non bisogna credere che si tratti di
persone poco serie. Al contrario.
Per esempio, gli studiosi che si rifanno a una scuola di psicologia germanica,
la Psicologia della Forma, hanno prodotto un numero straordinario di prove
rigorosamente scientifiche che dimostrano il contrario, cio che la percezione
delle forme un fatto innato.
Inutile dire che altri studiosi con altrettanto rigore non sono per niente
d'accordo. Pazienza.
Qui vi parler di alcuni esperimenti che darebbero ragione a chi crede che alla
base di ogni tipo di apprendimento stia l'esperienza, compresa la percezione
visiva.
Prima di tutto, date uno sguardo alla figura 9, cosi vi rendete conto di come
sia fatto l'occhio umano. Si tratta di uno spaccato che mostra abbastanza
chiaramente come la luce, prima di giungere alla rtina (che la parte sensibile)
attraversi una serie di zone trasparenti: nell'ordine, la cornea, la camera
anteriore, il cristallino e l'umor vitreo.
Negli esperimenti in questione, la parte che ci interessa la cornea che, in
qualche modo, assomiglia al vetro dell'orologio. Esso serve a riparare il
quadrante e le frecce e, in quanto trasparente, ci permette di leggere l'ora. Se il
vetro fosse opaco, noi non potremmo leggerla, anche se le frecce continuano a
girare e a segnarla. Ecco, succede che, per qualche motivo, alcune persone
perdano la trasparenza della cornea e diventino cieche, anche se la parte
sensibile dell'occhio (la rtina) si conserva efficiente.
Una parte di queste persone sono diventate cieche per opacit della cornea,
sin dalla nascita, per hanno avuto la fortuna di subire, sia pure in et adulta, il
trapianto che le ha rese vedenti.
Cosa succede in loro appena acquistata la vista? difficile, per chi ha sempre
posseduto due occhi funzionanti, immaginare il mondo di un cieco. Non si tratta
solo del buio che lo accompagna sempre, non basta chiudere gli occhi per
capirlo. Bisogna rendersi conto che muoversi, toccare, sentire, parlare, insomma
stabilire un rapporto con quanto circonda chi non conosce la luce, non lo
stesso muoversi, toccare, sentire, parlare di chi vede.
Nel cieco, i sensi funzionanti acquistano un'acutezza e una sensibilit
eccezionali o, meglio, vengono usati al massimo delle loro possibilit. Pensate a
come deve coordinare i riferimenti (spigoli, marciapiedi, porte, ecc.) il cieco che
si muove per la citt da solo. Ci sono ciechi capaci di valutare il volume di una
stanza, dal rumore prodotto dalle voci di chi vi sta dentro.
Insomma, tutto un modo di stare nel mondo, inimmaginabile per la maggior
parte di noi.
Un cieco congenito, operato con successo in et adulta, stando a quanto hanno
provato gli psicologi della Scuola Transazionale, deve imparare a servirsi
della vista.
Solitamente, chi si trova in queste condizioni, appena operato non capace di
distinguere i lineamenti delle persone. Molti oggetti vengono riconosciuti solo

dopo che sono stati esplorati col tatto, anche se si tratta di oggetti molto
familiari. Le distanze tra oggetto e oggetto vengono valutate con larghi margini
di errore. Per esempio, molti pensano di poter scendere in strada dalla finestra,
anche quando si trovano al terzo piano, valutando la distanza che li separa dalla
strada in modo erroneo.
Molti di essi, acquistata la vista, attraversano drammatici periodi di
depressione psichica, un po' perch sentono di essere stati defraudati, dalla sorte,
di un bene cos prezioso col quale avrebbero potuto fare tante cose, ma
soprattutto, per la difficolt che incontrano ogni giorno, nel suo uso che, non
poche volte, contrasta con l'idea che essi si erano fatti delle cose.

Capitolo 17
Principio di costanza
Attenti al Principio di costanza. Non si tratta di un sano principio sostenuto
dalla zia Costanza, ma di un meccanismo molto interessante che controlla gran
parte delle nostre percezioni visive.
importante che tutti i miei amici che dipingono conoscano i problemi della
percezione. Possono farne a meno (e infatti non li conoscono) solo i Grandi
Maestri Della Pittura, quelli che fanno i discorsi definitivi intorno alla Vera
Arte.
Prima di tutto, bisogner ricordare una cosa che, certamente, sappiamo tutti: i
nostri occhi ricevono dei segnali luminosi dall'esterno e li spediscono, attraverso
il nervo ottico, al cervello che fa il resto.
proprio questo resto che ci interessa studiare. Fate queste prove: mettete la
vostra mano sinistra a circa 30 centimetri dai vostri occhi e la mano destra a
circa 60 centimetri (spero che la lunghezza delle braccia vi basti); controllate se
la prima vi appare piu grande, e di quanto.
Ancora: disponete sul pavimento, a un metro da voi, una pagina di giornale e
un'altra a tre metri. Controllate se la pagina piu lontana vi appare piu piccola, e
di quanto.
Non vorrei apparirvi pedante, ma gradirei che faceste le prove che vi ho
indicato, prima di continuare la lettura.
Fatto? Certamente, come capita a tutti, sia le mani che le pagine vi saranno
apparse di uguale dimensione (non le mani uguali alle pagine, beninteso). Tutt'al
pi, avrete notato differenze minime.
Bene, fate attenzione. Se avessimo la possibilit di vedere le immagini che si
formano sulla rtina (che si trova nel fondo dell'occhio) potremmo constatare
che quella della mano sinistra occupa una superficie doppia, rispetto
all'immagine della mano destra; e che, per quanto riguarda la pagina del
giornale, quella piu vicina copre una superficie quadrupla, rispetto all'immagine della pagina piu lontana.
Come mai il cervello, pur ricevendo questi segnali dall'occhio, continua a
vedere costanti (o quasi) le dimensioni degli oggetti?
Pare che il fenomeno sia da attribuire al fatto che la percezione visiva non si
organizza solo attraverso gli organi della vista, ma anche attraverso l'azione
combinata di molteplici esperienze.
Un po' confuso, vero? Scendo subito dalla cattedra. Se avete fratellini molto
piccoli (meno di un anno), osservateli quando cercano di prendere in mano qualche oggetto posto a poca distanza: annaspano a lungo, prima di raggiungerlo, un
po' perch non hanno ancora imparato a coordinare bene i movimenti del
braccio, ma soprattutto perch il loro cervello non ha ancora imparato a mettere
in relazione fra loro le distanze e le dimensioni dell'immagine degli oggetti, che
si forma sulla rtina.
Badate che questo tipo di apprendimento non riguarda solo i bambini, ma
anche gli adulti: per esempio, gli automobilisti quando imparano a valutare le
distanze dalle altre automobili; gli atleti che fanno salto in lungo, quando si
concentrano, per ridurre a immagine mentale l'immagine retinica del tratto di
rincorsa; tutti noi che, al cinema, di fronte al primissimo piano di un naso (che,
nello schermo, pu occupare molte decine di metri quadrati di superficie) non

pensiamo mai che si tratti del naso di un gigante; senza dire che, guardando la
televisione, siamo tutti d'accordo sul fatto che Cassius Clay un grosso
individuo, anche se, nello schermo, non ci appare mai pi alto di qualche decimetro.
Allora?
Allora niente. Il discorso lo riprenderemo pi avanti quando vi parler di certe
illusioni ottiche, dove la costanza percettiva, in qualche modo, c'entra.
Intanto, date uno sguardo alla figura 10, chiedete alla zia qual il segmento
pi lungo, dei due delimitati dalle frecce e scommettete. Prima di scommettere,
per, prendete le misure.
Mi spetta una tangente sulla vincita.

Fig. 10

Capitolo 18
Imparare a vedere
Com' andata la scommessa sulla freccia di Muller-Lyer? Avrete notato che,
con questa immagine, si va a colpo sicuro: nessuno s'accorge che i segmenti
limitati dalle frecce sono uguali.
Nessuno dei nostri conoscenti, si intende. Perch, se quest'estate, invece di
trascorrere le solite vacanze in California, decideremo di fare un salto in Africa,
e precisamente presso una delle trib Zul, ci accorgeremo subito che, con
queste popolazioni, non conveniente scommettere.
Pare, infatti, che gli Zul non subiscano gli inganni percettivi che vedete in
figura: per essi, i due segmenti della figura 10 sono uguali e i segmenti della
figura 11 sono paralleli e non curvi.
Questa un'altra prova di come la percezione sia fortemente condizionata
dall'esperienza.
Non basta, cio, avere due occhi, per vedere. Bisogna anche fare i conti col
cervello che impara, ogni giorno, a interpretare i segnali che gli provengono
dagli occhi.
E com' che impara? Impara, cercando di catalogare tutti i segnali che arrivano ed eliminando tutti quelli che disturbano. Si dispone in modo che tutti i
segnali passino attraverso una specie di filtro (che sono le esperienze precedenti)
e si organizzino secondo forme (Psicologia della Forma) gi conosciute.
Forse, non avete capito nulla, non spaventatevi, colpa mia.
Intanto, cercate di osservare la parete che vi sta di fronte, il soffitto, l'armadio
(se c'), il tavolo, anche le pareti laterali e, se volete, la porta, le finestre, i quadri, il tappeto, il pavimento, le mattonelle.
Insomma, guardatevi intorno: vi accorgerete d'avere a che fare con un numero
elevatissimo di immagini la cui struttura determinata dall'angolo retto. Che si
tratta, cio (almeno, per quanto riguarda ci che vi ho suggerito di guardare)
sempre di quadrati e di rettangoli. E voi, infatti, vedete forme rettangolari e
quadrate: ha forma di rettangolo o di quadrato la parete, il soffitto, il tavolo
(spero che il vostro non sia rotondo).
Ora, fate attenzione. Se fotografaste tutte queste cose, dal punto in cui vi
trovate, in modo da ottenere immagini simili a quelle che si formano nella
rtina, potreste constatare che nessuna immagine delle cose fotografate
formata da angoli retti. Cio, non riuscireste a trovare mai (pu capitare solo in
condizioni particolari che, per ora, non considereremo) un solo rettangolo, un
solo quadrato.
Potete verificare quanto dico, misurando col goniometro gli angoli che
concorrono a formare immagini del tipo che ho detto, in una qualunque
fotografia.
Ora torniamo agli Zul. Perch non conviene scommettere con loro? Perch,
vivendo nella foresta, in capanne rotonde, essi subiscono uno scarsissimo
condizionamento da parte di tutte le forme che si configurano per l'incontro di
linee orizzontali e verticali. In altre parole, quadrati e rettangoli solo raramente
fanno parte delle loro esperienze percettive.
In buona sostanza, perch a noi il segmento limitato dalle frecce che si
guardano con le punte appare pi lungo? Pare che ci dipenda dal fatto che il
nostro cervello interpreta questi segni, come se fossero la rappresentazione

schematica dell'angolo di una camera, e gli altri segni (il segmento limitato dalle
frecce che hanno le punte opposte) come la rappresentazione dello spigolo di
una casa. Questo, per, da solo, non spiega molto.
Per capire, bisogna rifarsi al Principio di costanza, di cui vi ho parlato nel
capitolo precedente. Come ricorderete, secondo questo principio, il cervello
tende a mantenere costanti le forme, le dimensioni, le distanze apparenti, il
colore. Nel caso della freccia di Muller-Lyer, il segno che rappresenta l'angolo
della casa viene avvicinato, mentre quello che rappresenta lo spigolo viene
allontanato.
Il meccanismo molto complesso e dovr parlarvene ancora.

Capitolo 19
Lellisse e la ruota
I bambini, quando devono disegnare una casa, fanno sempre le pareti a forma
di rettangolo e non si servono mai della prospettiva, a meno che non trovino in
casa una zia innamorata di Paolo Uccello, che insegna al Liceo artistico.
Ricordate il Principio di costanza? Secondo questo principio, il nostro
cervello tende a mantenere costante la forma (oltre che il colore e la dimensione)
dell'immagine degli oggetti che i nostri occhi gli spediscono attraverso il nervo
ottico.
Questo vuol dire che, quando siamo a tavola, noi i piatti li vediamo davvero
rotondi. La zia, amica di Paolo Uccello, ride sotto i baffi (pardon!), perch sa
che, visti in prospettiva, i piatti appaiono a forma di ellisse.
Ma i bambini non conoscono il suo amico e i piatti li vedono rotondi e, manco
a dirlo, il tavolo rettangolare, anche se, in prospettiva, appare a forma di trapezio.
Per caso, questa prospettiva non sar un imbroglio? Paolo Uccello (13971475) se la sognava di notte e, siccome era di quelli che parlano mentre
dormono, molto spesso, a letto, lo si sentiva mormorare, ah! la bella
prospettiva...
La moglie - che era di quelle che non guardano la televisione, e quindi aveva
difficolt a prendere sonno e, inoltre, possedeva poche informazioni, ma sicure lo riempiva di botte, pensando che prospettiva fosse il nome di una modella.
La prospettiva non un imbroglio, ma un modo di rappresentare la realt. Un
modo che bisogna apprendere, una convenzione.
Osservate le due figure: la figura 12 rappresenta una ellisse, la figura 13 una
bambina che spinge un cerchio.

Fig. 12 e 13

Provate a immaginare, se ci riuscite, la bambina che spinge un'ellisse.


Difficile, vero?
Credete che la difficolt a vedere una ellisse, anzich un cerchio, derivi dal
fatto che la prospettiva il modo per rappresentare la realt? Se fosse cos, i

bambini piccoli e i popoli primitivi leggerebbero con facilit queste immagini e,


invece, pare che essi trovino difficolt proprio a capire che razza di giocattolo
sia quell'attrezzo a forma di ellisse.
Non so cosa ne pensate voi, ma credo che la cosa possa essere spiegata in
questo modo: noi, nella vita di tutti i giorni, non incontriamo quasi mai un
cerchio, nella posizione giusta, tale che nella nostra rtina si formi l'immagine di
un cerchio perfetto; ne incontriamo, invece, moltissimi posti di scorcio., cos che
nella nostra rtina si formano immagini di ellissi. Il nostro cervello, per, in tutti
i casi, vede cerchi, per il Principio di costanza, per il quale, come si sa, la forma
viene conservata.
Con la prospettiva, la deformazione delle immagini viene spiegata in modo
scientifico. Nella nostra cultura, questo modo di rappresentare la realt tanto
accettato che il Principio di costanza scatta anche nelle immagini disegnate.
Nei bambini e negli uomini primitivi, invece, manca proprio l'abitudine a
leggere i disegni secondo le leggi della prospettiva. Ne consegue che i loro
disegni sono la rappresentazione di una realt mentale, dove un cerchio un
cerchio e un' ellisse un' ellisse.

Capitolo 20
La camera distorta
L'esperimento che vi descriver non di quelli che si possono rifare a casa,
neppure con i potenti mezzi messi a disposizione dalla zia.
Si tratta della camera distorta di Ames, che dimostra, ancora una volta, come
la percezione delle immagini sia in massima parte condizionata dalle esperienze
precedenti.
Ames, uno studioso americano di psicologia, ide e costru una stanza un po'
pi piccola del normale, dove la parete di fondo non - come avviene sempre perpendicolare al pavimento, ma sghemba, distorta, appunto.
La sua distorsione, naturalmente, non casuale, ma calcolata in modo che,
osservando la stanza attraverso un foro posto nella parete anteriore a quella
sghemba, con un occhio solo, tutti gli spigoli che uniscono fra loro le pareti
appaiono perpendicolari al pavimento.
Insomma, non si percepisce una stanza distorta, ma una stanza come le altre.
La cosa pu sembrare impossibile, ma non cosi: non dovete dimenticare che
la stanza osservabile solo attraverso un foro e che, quindi, non possibile spostare il punto d'osservazione, per scrutare meglio. Questo fatto, nell'esperimento
in questione, fondamentale.
Se voi aprite questo libro e lo inclinate, avete ugualmente la possibilit di
percepire come verticale lo spigolo che unisce le due pagine: basta che lo
osserviate con un solo occhio e dopo aver trovato la posizione giusta,
naturalmente.
Inutile dire che, nella camera di Ames, le pareti laterali, il soffitto e il
pavimento risultano a forma di trapezio e le dimensioni variano: per esempio, la
parete di sinistra piu lunga di quella che la fronteggia.
Dimenticavo di dirvi che la percezione di normalit, in questa camera,
viene accentuata dal fatto che, sulla parete posta di fronte all'osservatore e su
quella posta alla sua sinistra vengono disegnati dei trapezi che, visti dal punto di
osservazione prestabilito (il foro), appaiono come rettangoli e richiamano alla
mente l'idea di porte e di finestre.
Fin qui, niente di straordinario, credo. Per state a sentire: se dentro la stanza
si fanno entrare delle persone, lo spettatore ha la netta sensazione che si tratti di
giganti o di nani, a seconda che esse si dispongano vicino al foro sul lato destro,
oppure lontane, sul lato sinistro.
Vediamo di capire perch. L'immagine della persona posta a destra occupa,
nella rtina dello spettatore, una superficie molto maggiore di quella formata
dalla persona che sta a sinistra, perch si trova molto piu vicina all'osservatore.
Se queste persone si trovassero dentro una stanza normale, per il Principio di
costanza apparirebbero anch'esse di dimensioni normali, per quanto poste a diversa distanza.
Ma, nel nostro caso, esse si trovano dentro una stanza distorta, dove la parete
di sinistra piu lunga di quella di destra, anche se tutto ci non viene percepito
in quanto si costretti a guardare dal foro. Il cervello, poveraccio, si trova a
dover scegliere fra una stanza normale abitata da persone anormali, e una stanza
anormale abitata da persone normali, e finisce con l'accettare l'ipotesi che appare
pi probabile.

E ha ragione, perch di stanze cos, in giro, non ce ne sono, ma di persone


molto piccole o grandi, s.
In tal modo, deciso che la stanza abbia forme e dimensioni costanti, cio
simili alle forme e alle dimensioni di tutte le altre stanze viste prima, le persone che vi entrano assumeranno per forza una costanza che riguarda,
appunto, nani e giganti.
Complicato, ma divertente, vero? Ma non ancora finita; se, dentro questa
stanza, invece di due persone qualunque, ne entrano due alle quali si vuol bene,
per esempio la mamma e la zia, allora esse appaiono del tutto normali, mentre la
stanza appare un po' strana.
Inutile dire che, in questo caso, sono la mamma e la zia a conservare la
costanza della forma e delle dimensioni, a spese della stanza, s'intende.
Ah, la forza dell'amore!

Capitolo21
Un cane a letto
Parlando della percezione, abbiamo sempre sostenuto che le esperienze
precedenti la condizionano fortemente.
Molti studiosi americani non dicono neppure fortemente: sono convinti che
le esperienze passate la condizionino completamente. Essi sostengono che la
percezione il risultato di una scommessa.
Proprio cos: una scommessa che il cervello fa con se stesso, ogni volta che
riceve gli stimoli provenienti dagli occhi.
Esempio: un signore entra in camera da letto, nella penombra: i suoi occhi
ricevono certi stimoli che gli provengono dalle coperte rigonfie: sua moglie
dorme ancora; esce in punta di piedi e va a comprare il giornale; dal giornalaio
trova sua moglie che l'ha gi comprato. Il cervello ha perso la scommessa: nel
letto dormiva il cane.
Dice: per forza, non ci si vedeva bene. Gi: ma quand' che si pu dire di
vederci bene? Non basta certo che ci sia molta luce: per esempio, ci sono
cacciatori che vedono subito la selvaggina e altri che, pur avendo una vista
normale, non la vedono.
Pare che sia la ripetizione di situazioni identiche, a determinare una specie di
aspettazione inconscio. Prendiamo gli automobilisti: tutti coloro che hanno
beccato un cane con l'automobile dispongono di una capacit maggiore di
identificarlo, tra le tante cose alle quali devono badare, durante la guida,
proprio perch se l'aspettano.
Il signore di prima, invece, si aspetta che la moglie sia a letto e, quindi, vede
davvero la moglie a letto (i cani bisognerebbe lasciarli in cortile); il cacciatore
bravo ha imparato con l'esperienza (la ripetizione) a staccare certe sagome che
sembrano foglie, ma sono uccelli e, ogni volta che al suo cervello arrivano gli
stimoli relativi, si aprono le scommesse; l'automobilista non ha il tempo di
osservare tutti i caratteri che distinguono un cane dagli altri quadrupedi, eppure
vede in un attimo il cane; un automobilista-cacciatore, magari, vede in un attimo
anche di che razza .
Ecco, ditemi voi se vedere in questo modo non apprendere a vedere, cio
fare esperienza e utilizzarla durante gli atti percettivi.
Gli studiosi di cui vi dicevo parlano, oltre che di scommessa, anche di
transazione, cio di compromesso. Infatti, proprio di compromesso si tratta.
State a sentire: molti fatti sembrano ripetersi infinite volte in modo uguale,
tant' vero che, sovente, ci fanno precipitare nella noia pi grigia: vediamo sempre le stesse facce, sentiamo sempre gli stessi discorsi, facciamo sempre le stesse
cose.
In realt, si tratta di una nostra impressione, perch i fatti non si ripetono
mai alla stessa maniera. Anche quando andiamo a rivedere un film visto il
giorno prima, ci che accade in noi (e intorno a noi) non esattamente ci che ci
accaduto la prima volta, anche se il film lo stesso, anche se torniamo a
vederlo con le stesse persone.
Vediamo di capire cosa ci succede. Ci succede che, ogni volta che ci troviamo
di fronte a qualche fatto, la nostra mente cerca di farlo coincidere con uno dei
fatti gi vissuti precedentemente, dei quali conserva una certa immagine.

Bene, questo tipo di immagine - che, con parole vestite a festa, si chiama
assunzione - viene trasformato dal confronto con il fatto che stiamo vivendo,
cio - sempre con parole vestite a festa - subisce una transazione.
Perch si tratta di un compromesso? Si tratta di un compromesso, perch
l'interpretazione di un fatto sta a met strada fra l'immagine che avevamo di
quel fatto e il fatto come avviene nella realt. Santodo, forse non sono stato
chiaro.
Sentite: disegnate un quadrato, ma fate in modo che due lati risultino piu corti
del 4-8 per cento. Mostratelo alla zia e vedrete che anche lei, come ho fatto io, lo
chiamer impropriamente quadrato.
Mostratelo poi a un disegnatore tecnico e vedrete che lui s'accorger che c'
qualcosa che non va. Perch?
Perch la sua immagine mentale di quadrato (cio la sua assunzione) stata
utilizzata e corretta chi sa quante volte, per via del suo lavoro, mentre ogni volta
si riduceva il margine di errore tra il quadrato perfetto e l'immagine mentale del
quadrato, cio la sua assunzione.
Risultato: di compromesso in compromesso, il disegnatore tecnico si messo
in condizione di distinguere, meglio della zia, un quadrato perfetto da un
quadrato zoppicante.
Non molto, n poco: quanto.

Capitolo 22
Un disegno misterioso
Vorrei vedere chi, guardando la figura 14, non resta sconcertato almeno un
po'.
Per quanto ne so io, nessuno riesce a capire cosa rappresenti questo disegno.
Sembra fatto a posta per farci fare un discorso importante sui linguaggi, cio
sui modi (immagini, suoni, ecc.) di comunicare pensieri o concetti.
Tutti sanno che, per comprendere i linguaggi, necessario conoscere le
convenzioni che li regolano, cio essere d'accordo sui significati. Questo vale
anche per il linguaggio delle immagini, naturalmente, comprese le immagini
fotografiche.
Proprio cosi: anche le immagini fotografiche rispondono a delle convenzioni.
Per esempio, convenzionale che una fototessera rappresenti una persona,
anche se l'immagine molto piu piccola del reale; ed convenzionale la
prospettiva che, a molti, appare come un modo oggettivo per rappresentare la
realt.
Molti popoli - non solo primitivi ma anche di tradizioni culturali molto
raffinate - rappresentano la realt in modo diverso, non conoscono la prospettiva
e non se ne dolgono affatto.
Gli uomini, per comunicare tra loro, non possono fare a meno di rispettare le
convenzioni linguistiche che sono sempre un prodotto della storia.
Queste convenzioni si articolano all'interno di strutture che permettono di
generare figure che non necessariamente hanno una corrispondenza con la realt.
Per esempio, seguendo la struttura della nostra lingua, noi possiamo dire gli
uccelli che si tuffano dal frigorifero sbucciano i lampioni di Portorico, dove il
soggetto, i predicati e i complementi stanno al posto giusto, mentre il riferimento
alla realt risulta problematico, anche perch i lampioni non si sbucciano
neppure a Cagliari.

Fig. 14

Il nostro disegno ci permette di fare un discorso analogo.


Se lo osserviamo dal punto di vista della struttura, vediamo che tutto risulta al
posto giusto, i segni sono legati uno all'altro in maniera logica.
Se, per, cerchiamo il significato, vediamo che la parte bassa ci suggerisce
l'immagine convenzionale di tre tubi, quella alta l'immagine convenzionale dello
stipite di una porta, mentre le due immagini, fuse in un'unica configurazione, si
escludono a vicenda, producendo l'immagine di un oggetto impossibile,
inesistente e inesistibile.
Anche la frase di cui sopra produce in noi immagini separate: gli uccelli (che
si tuffano), il frigorifero, i lampioni (da sbucciare) e Portorico (anche se non ci
siamo mai stati). Ma tutta la frase, nel suo insieme, ci mette in crisi.
A questo punto, uno s'aspetta una bella spiegazione. Troppo facile, amici
miei, troppo facile. Tenetevi la curiosit e cercate di appagarla in qualche modo,
magari convincendo la zia a regalarvi dei libri adatti.
Se riuscite a capire qualcosa, informatemi

Capitolo 23
La copia dal vero di un leone
Fino all'Ottocento, dell'Africa si sapeva che li c'erano i leoni. Nessuno ne
conosceva il suo interno e, di leoni, gli europei dovevano averne visto ben pochi,
considerato che, nel nostro Continente, se li erano gi mangiati tutti chi sa da
quando.
Naturalmente, si sapeva per certo che i leoni esistevano, anche perch
qualcuno li aveva visti e descritti. Solo che nessuno, nella descrizione, era
capace di scendere a particolari, per cui i leoni venivano immaginati, all'incirca,
come i buoi, ma senza le corna e con i capelli lunghi.
I rinoceronti, invece, assomigliavano a carrarmati con corazze da guerriero
medievale, imbullonate fra loro, con trazione sulle quattro zampe.
Manco a dirlo, se la cosa si rendeva necessaria, i leoni venivano anche
disegnati, con la disinvoltura che tipica degli artisti di tutti i tempi.
Per sapere come si dovevano disegnare, tutti correvano a vedere come erano
stati disegnati prima, per cui - questo l'aspetto piu interessante - i disegni dei
leoni assomigliavano spesso ai leoni degli stemmi araldici, ai quali gli artisti si
riferivano piu frequentemente.

Fig. 15

Qualcuno, per, viaggiava e sapeva disegnare dal vero, copiando, cio,


l'oggetto (o l'animale) che gli stava di fronte.
E ora, non strabuzzate gli occhi: la bestia che vedete rappresentata nella
figura 15 proprio la copia dal vero di un leone, eseguita da Villard de
Honnecourt, architetto medievale. Forse, non ce n' bisogno, ma non sarebbe

male andare a vedere, in un libro sugli animali, come il leone viene reso dalla
fotografia. Le differenze sono davvero notevoli e c' da pensare che i casi siano
due: o che questo signore non sapesse disegnare oppure che non sapesse vedere.
Vi sembrer strano, ma l'ipotesi piu attendibile proprio la seconda, tenendo
presente, per, che nelle stesse condizioni si trovavano tutti i contemporanei di
Villard de Honnecourt. Voglio dire che tutti i contemporanei del Nostro, se
avessero saputo disegnare, avrebbero rappresentato un leone dal vero,
all'incirca, allo stesso modo.
La cosa non deve stupirvi piu di tanto: tutta la storia dell'arte altro non che
la ripetizione, l'innovazione e la contraddizione dei codici precedenti. Ci
significa, per dirla in altro modo, che gli artisti di una stessa civilt, durante i
secoli, si sono comportati come si comportano i bambini, quando imparano a
disegnare le loro casette; in un primo tempo, esse vengono rappresentate con
un rettangolo che il codice pi semplice di casetta; in seguito, questo
codice viene innovato con un trapezio che diventa il codice di tetto; man
mano che la cultura si arricchisce, altri segni vengono codificati, e abbiamo
cos le finestre, la porta, le tendine, la gronda e cos via.
Andatele a vedere: si assomigliano tutte, come si assomigliano fra loro le
migliaia di disegni e pitture e sculture, proprio perch l'utilizzazione (con
varianti) degli stessi codici che li rende somiglianti.
Tutto ci regolare anche, e soprattutto, per un'altra ragione semplicissima:
un'immagine creata con lo scopo di rappresentare la realt deve servirsi di codici convenzionali, cio conosciuti sia da chi li usa per comunicare, sia dai
destinatari della comunicazione, cio il pubblico.
Attenzione: molti pittori di triglie al cartoccio si sentono in regola, perch le
triglie le dipingono cosi bene, che sembra di toccarle.
Ricordate che gli artisti, per, non si limitano a ripetere i codici precedenti.
Gli artisti che contano usano tali e tante violenze, nei confronti dei codici precedenti, che la lettura delle loro opere risulta sempre molto problematica e
difficile.
Un'opera decodificata (capita) con troppa facilit puzza sempre. E non solo
di triglia, s'intende.

Capitolo 24
L'ascensore s' guastato
Fra noi, certe cose possiamo dircele: effettivamente, qualche volta, non
facile capire le opere degli artisti contemporanei.
La considerazione pi facile che viene in mente che le difficolt nascano
dalla mancanza di alcune informazioni necessarie. Ma, capita di non capire
anche quando le informazioni necessarie sono in nostro possesso.
Deve esserci qualche meccanismo - che cercheremo di vedere assieme - che,
probabilmente, scatta anche in altre situazioni.
Per intenderci, forse necessario, per il momento, non complicarci le idee e
lasciare da parte le opere d'arte, con le quali in un secondo tempo cercheremo di
fare i paralleli appropriati.
Allora, cacciamoci insieme in una strana avventura. Bussiamo alla porta di
casa, ma nessuno ci apre. Bussiamo ancora e da dietro la porta sentiamo dei
rumori, forse non avevano sentito. Bussiamo pi forte, ma niente. Ci viene in
mente un dubbio: vuoi vedere che, a casa, ci sono i ladri?
Via, di corsa, al bar di fronte, telefono, polizia che arriva in un momento,
circonda la casa, bussa e dice aprite, polizia!
La porta si apre e appare un signore che noi non conosciamo, che dice
desidera?
Noi diciamo lei chi ? , e quel signore risponde sono il ragionier Cabriolu
Cesare, e voi?
La polizia chiede i documenti e, da questi, si vede che il signore in questione
davvero il ragionier Cabriolu Cesare che non un ladro e che abita a casa sua.
La signora che abita di fronte esce sul pianerottolo, conferma, e ci guarda come
se ci vedesse per la prima volta, anzi, dice di non conoscere n la mamma n la
zia, n il cane (nostri ovvio).
Tutta la vicenda ci appare incomprensibile, perch la differenza tra ci che
noi ci aspettiamo che accada (che ci apra la porta uno di casa) e ci che
effettivamente accade cosi grande, da far saltare tutte le nostre aspettative.
Badate, ci che avviene anche durante la lettura di un quadro. Anch'esso,
infatti, pu lasciarci sconcertati allo stesso modo e, se si tratta di un'opera d'arte,
anche piu a lungo e di pi.
Fate attenzione alle analisi parallele. Se, dopo aver bussato alla porta, ci
apparisse qualcuno di casa, le nostre aspettative sarebbero rispettate. Cosi, come
capita, per esempio, quando ci aspettiamo che un quadro rappresenti
fedelmente un aspetto della realt.
In altre parole, in questi casi, riusciamo a capire. Riusciamo a capire
anche se, ad aprirci, un ladro, perch l'ipotesi un'eventualit prevedibile; e
cosi, per la pittura, se ci aspettiamo che la realt non sia rappresentata
fedelmente, ma interpretata.
Ma c' una differenza sostanziale, tra un'opera d'arte e la nostra avventura
immaginaria: la prima ci lascia in uno stato di perplessit: quando crediamo di
aver capito, interviene sempre qualche particolare che ci fa saltare le
aspettative e ci rigetta in alto mare.
La seconda finisce sempre col risolversi in qualche cosa di comprensibile.
A dirla in parole piu importanti, i segni delle opere d'arte sono naturalmente
equivoci, cio offrono numerosissime possibilit di interpretazione: i segni del-

la vita quotidiana (anche i rumori dietro la porta sono segni) risultano, invece,
univoci, cio si offrono come portatori di una sola interpretazione.
Salvo la nostra avventura, s'intende, che resta equivoca, finch non arriva un
operaio, per aggiustare l'ascensore che s' guastato: quando schiacci il 3, ti porta
al sesto piano, maledetti pianerottoli di case altissime, tutti uguali, dove ognuno
si fa i fatti suoi e non conosce neppure chi gli abita di fronte!

Capitolo 25
Il bianco degli eschimesi
Sapevate che gli eschimesi si servono di quattro parole diverse per indicare la
neve?
Sar bene precisare che queste quattro parole indicano quattro cose diverse,
cosi come, per noi, sono cose diverse la neve, il ghiaccio e il vapore, pur indicando solo stati diversi dell'acqua.
evidente che gli eschimesi - vivendo in un ambiente dove la neve di casa
(e dove la casa di neve) - hanno affinato tanto le loro capacit percettive, da
vedere, pensare e chiamare in quattro modi diversi la neve, che a noi,
probabilmente, apparirebbero indistinguibili.
Queste considerazioni valgono anche per il colore. Sapevate che gli antichi
romani non facevano gran differenza tra il verde e l'azzurro?
Proprio cosi, ma vediamo di non fare confusione e procediamo con ordine.
Prima di tutto, per chi ancora non lo sapesse, va detto che la differenza fra un.
colore e un altro data da una differenza di lunghezza d'onda.
Non spaventatevi, anche se non sapete nuotare. Si parla di onde, perch
s'immagina che la luce si propaghi, all'incirca, allo stesso modo in cui si
propagano le onde di uno stagno, quando vi gettiamo un sassolino. Per
lunghezza d'onda s'intende la misura tra la cresta di un'onda e quella dell'onda
successiva.
Le onde luminose che gli uomini sono capaci di percepire hanno una
lunghezza che va da 800 a 390 millimicron; un millimicron corrisponde a un
milionesimo di millimetro e non chiedetemi come fanno a misurarle.
Non spazientitevi per i numeri, pi avanti ve ne dar altri.
Intanto, ficcatevi bene in mente questa informazione: il colore varia col
variare della lunghezza d'onda.
Fate ancora un po' d'attenzione: il colore che noi chiamiamo rosso ha una
lunghezza d'onda che va da 800 a 650 millimicron; per ogni millimicron di
variazione, un rosso diverso, anzi, rossi diversi, per variazioni ancor pi
piccole, milionesimi di milionesimi di millimicron. Quanti rossi siete capaci
di distinguere, senza confonderli uno con l'altro?
Tenetevi ancora svegli. Se al rosso di lunghezza 650 accorciamo il pelo,
abbiamo 1'arancio (640-590 millimicron). Credete che esista qualcuno capace
di avvertire lo spostamento del rosso verso l'arancio, senza l'aiuto di
strumenti, a occhio?
Il verde ha una lunghezza d'onda compresa tra 540 e 490 millimicron, il blu
tra 480 e 460. Noi distinguiamo abbastanza bene i due colori; i romani indicavano indifferentemente con le parole glaucus e caerulus tutta la fascia che va da
540 a 460 millimicron, cio il nostro verde e il nostro blu.
Un signore vissuto nel Il secolo d. C., chiamato Aulo Gellio, associa la parola
rufus (rosso) al sangue, allo zafferano, ma anche all'oro. Inoltre, intende come
rosso sia fiavus che fulvus: il primo il colore del grano e dell'acqua del Tevere;
il secondo il colore della criniera del leone.
Ma, per Aulo Gellio, fulva anche l'aquila, il topazio, la sabbia, l'oro, e ritiene
di poter definire il fiavus come un misto di rosso, verde e bianco.
Cosa significa tutto ci? Che i romani avevano bisogno di occhiali?
Presumibilmente, non pi di quanto ne abbiamo bisogno noi.

Tutto ci significa, invece, che anche la percezione un fatto culturale,


cio legato strettamente alle esperienze che gli uomini fanno, all'interno dei loro
modi di vita.
Se gli eschimesi vedono, pensano e chiamano la neve in quattro modi diversi,
perch il loro ambiente, affinando in loro certe capacit percettive, li porta a
rendere pertinenti (cio, con caratteristiche ben precise e distinguibili) alcuni
dati (per esempio, il grado di durezza della neve) che, in altri ambienti,
risulterebbero irrilevanti.
Per le stesse ragioni dovute all'esperienza, un pittore avr piu possibilit di voi
di rendere pertinenti un numero maggiore di variazioni di rosso, cio di vedere, pensare e chiamare il rosso in molti modi diversi.

Capitolo 26
Un sistema di segni organizzato
Prima o poi, dovr decidermi a parlarvi dei vari linguaggi usati dagli artisti
pi significativi dei nostri tempi. Il fatto che non sono certo - nonostante sia
tornato piu volte sull'argomento - d'essere riuscito a chiarire proprio il concetto
di linguaggio.
Si parla spesso di linguaggio pittorico, linguaggio musicale, linguaggio dei
fiori, ecc. Ma cos' un linguaggio?
Non spaventatevi, mi guarder bene dal darvi definizioni complicate.
Il linguaggio un sistema di segni organizzato. I segni possono essere non
solo visivi, ma anche uiditivi, tattili, ecc., interessano, cio, i nostri sensi.
Perch trasmettano un messaggio, per, necessario organizzarli, cio
disporli nello spazio e nel tempo, secondo regole convenzionali, che gli uomini
si sono dati.
Batto a caso i tasti della mia macchina per scrivere:
WYNBIXATH.
Poich non ho rispettato alcuna regola, cio non li ho organizzati, questi segni
hanno prodotto una parola che, forse, qualche informazione riesce a darcela
ugualmente (per esempio, possiamo credere che si tratti di una parola straniera).
Certamente, per, non comunica un messaggio, comprensibile sia a me che a
voi.
Lo stesso problema si pone, se elenco, sempre casualmente, una serie di
parole.
Posso scrivere, per esempio, questo elenco: giradischi, cugino, un, ha, mio,
nuovo, bellissimo, quel, comprato. Perch il messaggio sia comprensibile, devo
organizzarlo secondo le regole della grammatica e ordinare le parole, per
esempio, cos: un mio cugino ha comprato quel bellissimo nuovo giradischi;
oppure, cos: quel mio bellissimo giradischi ha comprato un nuovo cugino.

Fig. 16

Forse, a questo punto, qualcuno di voi ha gi capito il disegno di sinistra


(fig. 16): si tratta di un elenco di segni, non organizzato secondo le regole di
qualche linguaggio.

Anche questo elenco, per, qualche informazione pu darcela ugualmente


(possiamo pensare che si tratti di un disegno astratto). Certamente, per, non
comunica un messaggio, comprensibile sia a me che a voi.
Proprio come avveniva con i segni della parola buttata a caso, qualche riga
piu sopra, e con l'elenco di parole dalle quali risulterebbe inequivocabilmente
che i giradischi - soprattutto se bellissimi - anzich suonare, vanno al mercato
dove si comprano nuovi cugini.
Il disegno di destra, invece, rappresenta un modo di organizzare i segni
elencati a sinistra. Un modo, dove sono state rispettate le regole che
governano il linguaggio del disegno infantile.
Naturalmente, seguendo le stesse regole, si possono organizzare - con gli
stessi segni - chi sa quanti altri disegni.
Anzi, facciamo una cosa: siccome tutto si capisce meglio manipolando i
materiali, cercate altre frasi, servendovi delle stesse parole dell'elenco di cui
sopra, e altri disegni, servendovi degli stessi segni.
Prima di chiudere il capitolo, vorrei dirvi che anche le opere dei piu grandi
artisti possono essere smontate allo stesso modo. Anzi, che il solo modo
corretto di leggerle, visto che proprio il linguaggio impiegato che le
differenzia fra loro, e non altro.

Capitolo 27
L'indice di rifrazione
Che Platone (428-348 a. C.) fosse un grande pensatore lo dimostra anche il
fatto che lo si sempre chiamato semplicemente Platone e non - poniamo - Platone Scognamillo, come capita a tutti noi che ci chiamano Tonino Casula,
Stanislao Pibiri, Eraclio Cuccuru, con nome e cognome.
un privilegio dei Grandi, quello di stabilire con chiunque rapporti
confidenziali. Non si dice mai Alighieri Dante, ma Dante. Ai Grandi ne basta
uno: Michelangelo, Cesare, Napoleone, Gigi (Riva).
Sentite questa: Platone non sapeva che, per vedere gli oggetti, era necessaria
la luce.
Proprio cosi: era convinto che la loro percezione non dipendesse dalla luce
che entra nei nostri occhi, ma dal fatto che gli occhi emettessero delle
particelle che, irradiandosi tutt'intorno, andassero a finire sugli oggetti stessi.
Lei, signor Cuccuru Eraclio, ha poco da sghignazzare. Platone, ancor oggi, da
solo, nutre il pensiero di milioni di uomini bianchi, lo sapeva, signor Cuccuru
Eraclio? Bene.
Il fatto che Platone non aveva l'abitudine a sperimentare, ed per questo
motivo che, della luce, si cominciato a parlare in termini attendibili solo nel
Seicento.
Isaac Newton (1642-1727) pensava che la luce fosse formata da una
successione di particelle, mentre Christiaan Huygens (1629-95) stava per un
sistema vibratorio, somigliante a una serie di sfere elastiche, a contatto fra loro,
capace di trasmettere gli impulsi attraverso l'etere che, per, non era del tipo
sequestro di persona.
Pensate che, sempre nel Seicento, un astronomo danese, il signor Roemer, era
riuscito persino a calcolarne la velocit, stimandola in 308 000 chilometri al secondo, contro i 300 000 stimati oggi. Anche lui si chiamava solo Roemer.
Ci avete mai pensato? Se, al tempo che la luce impiega per raggiungere i
nostri occhi, aggiungiamo il tempo che i messaggi nervosi utilizzano per
raggiungere i centri cerebrali, risulta che noi vediamo sempre ci che gi
passato: la luce del sole, quando arriva a noi, vecchia di otto minuti; quella
della nebulosa Andromeda ci arriva com'era un milione di anni prima che
l'uomo apparisse sulla terra.
La velocit di 300000 chilometri al secondo vale per la luce che viaggia nel
vuoto. Quando, invece, attraversa corpi trasparenti (aria, vetro, acqua, ecc.) la
sua velocit diminuisce, e meno male, altrimenti non so davvero come si
sarebbero potute inventare le lenti che sono basate proprio su questo principio.
Manco a dirlo, anche l'indice di rifrazione (cio, la propriet dei corpi
trasparenti di deviare la luce) fu studiato - sempre nel Seicento - da Snell e, poi,
da Cartesio (la famosa legge del seno che, per, non disciplina i principi del
cosiddetto senso comune del pudore). Fino agli inizi di questo secolo, la teoria
corpuscolare di Newton a molti sembr inaccettabile, mentre piu attendibile
sembrava quella ondulatoria. Oggi, si pensa che la luce sia formata da
pacchetti di energia, chiamati quanta, che sono il compromesso tra le caratteristiche dei corpuscoli e delle onde. Infatti, ognuno di questi pacchetti
conterrebbe delle onde, la cui quantit dovrebbe variare, col variare della loro

lunghezza. Come dire che, pi sono corte, e pi ce ne stanno. Forse, a questo


punto, rischiate di fondere, perci fatevi un giro, ma non spegnete la luce.
Fatelo davvero, magari intorno al tavolo: serve a rimettersi attenti.
Allora, riprendiamo dalla legge del seno. Essa fu enunciata da Cartesio e dice
una cosa che sembra complicata e difficile e, invece, riuscito a capirla persino
mio cugino Nestore che passa per il pirla della famiglia.
Nei libri di Fisica, viene espressa, piu o meno, in questo modo: Quando la
luce passa da un mezzo A in un mezzo B, il seno dell'angolo di incidenza sta al
seno dell' angolo di rifrazione in un rapporto costante.
Non chiudete il libro. Immaginate, invece, un raggio di luce che viaggia
nell'aria (mezzo A) e che, a un certo punto, incontra una lastra di vetro (mezzo
B). Cosa pensate che succeda? Ecco, dopo un doveroso scambio di cortesie, la
luce passa oltre. Si sa, il vetro trasparente.
Solo che, durante le formalit succede qualcosa: se il nostro raggio piomba
sulla lastra con un angolo di 90 gradi (angolo di incidenza), ne esce sparato
diritto, senza neppure voltarsi indietro.
Quando l'angolo di incidenza (cio, l'entrata) non di 90 gradi, succede che il
raggio si scansa un po' (cio, viene rifratto, deviato), ma esce dalla lastra con lo
stesso angolo col quale era entrato.
Insomma, il nostro raggio entra, cambia direzione e esce, correndo parallelo a
se stesso, sempre che le due superfici della lastra siano parallele tra loro.
Se, invece, per fargli uno scherzo, gli mettiamo davanti un prisma a base
triangolare, gliene succedono di tutti i colori: all'entrata bianco e, all'uscita,
risulta sconvolto, poverino, una specie di ventaglio colorato come l'arcobaleno.
Per farlo tornare in s, bianco che piu bianco non si pu, bisogna mettergli
davanti un altro prisma uguale al primo, ma orientato in senso opposto. Questa
una cosa scoperta da Newton e cio che la luce (solare) formata da sette colori:
rosso, aranciato, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.
Dovete sapere, per, che questa distinzione risulta un po' forzata, visto che
l'indaco non riesce a differenziarsi dal violetto e l'esistenza dell'aranciato risulta
dubbia. Ma che volete, Newton aveva il pallino dei numeri perfetti e il sette
doveva affascinarlo pi del numero cinque.
Un'altra cosa che dovete sapere che, oggi, convinzione generale che ogni
colorazione dello spettro corrisponde a una radiazione luminosa con differente
lunghezza d'onda.
Qualche capitolo fa vi dicevo che la lunghezza d'onda delle radiazioni
luminose dell'ordine dei millimicron (cio, milionesimi di millimetro) e vi
pregavo di non chiedermi come avessero fatto a misurarle.
Ora ve lo dico. Mi sono informato. Si disperdono le radiazioni di differente
lunghezza d'onda, non attraverso un prisma, ma attraverso un reticolo di
rifrazione, che formato da righe molto ravvicinate e che ha la capacit di
scomporre la luce, come il prisma.
Se inclinate un disco microsolco, in modo che la luce batta in maniera
adeguata, vedrete una serie di brillanti colori: lo stesso fenomeno.
Conoscendo la distanza delle righe e l'angolo formato dalla luce di un colore,
pare non sia difficile ricavarne la lunghezza d'onda, in maniera esatta.
lo ho provato, ma non ci sono riuscito. Mi hanno detto che le righe non si
fanno con la penna a sfera e, soprattutto, che le misure non si prendono col
metro dei sarti.

Capitolo 28
Contro l'Arte e gli Artisti
Non tutti amano gli artisti. Lo storico dell'arte Jean Gimpel ha scritto, qualche
anno fa, un libro Contro l'Arte e gli Artisti, dove, molto maliziosamente,
documenta una caratteristica comune, secondo lui, alla maggioranza degli artisti
pi illustri: l'amore sfrenato per il denaro e la conseguente tendenza al
servilismo, nei confronti del Potere. Non sempre cos, naturalmente. Ma,
qualche volta, forse, s.
(Anche oggi, anche oggi).
Per capire, ma anche per non provare un senso di scandalo, dovremmo cercare
di immaginare la vita quotidiana dei Potenti.
Presi come erano dagli intrighi, dalle guerre, dalla lotta feroce per conservare
i privilegi, non avevano certo molto tempo per esercitare l'intelligenza delle Arti.
Allora, cosa ti facevano? Si circondavano di Artisti, Letterati, Musicisti, di
tutte quelle persone che, pi delle altre, avevano l'aria d'aver capito che i Potenti,
spesso, altro non erano che ricchi prepotenti e volgari.
Se li portavano in casa - pagandoli, naturalmente - per due motivi principali:
primo, per avere a disposizione persone credibili che, per, fossero anche disposte a eternare, nella Poesia, nella Musica, nell'Arte, le loro imprese che, come
si sa, non erano sempre pulite e, tuttavia, con le sviolinate, potevano acquistare
persino un certo valore morale; secondo, perch lasciare scontente le persone
che pensano diversamente, in mezzo ad altre persone scontente, ma costrette a
tenere costantemente la testa abbassata, sempre risultato un rischio.
Per quanto riguarda il primo motivo, bisogna dire che sono stati veramente
pochi gli artisti che dipinsero i loro protettori cos com'erano.
Era molto frequente, invece, la tendenza ad abbellirli , con corazze e
paludamenti che riuscivano a renderli tutti importanti e a dare persino alle
imprese piu campagnole una certa atmosfera eroica che non guastava.
Naturalmente, da una parte, quasi sempre, c'era la rozzezza e, dall'altra, la
sensibilit. Era proprio qui che s'innestava e prendeva forma 1'impegno degli
Artisti i quali resistevano alle miserie dei loro datori di lavoro, con la sottile
capacit del loro genio di lisciargli il pelo al rovescio.
Per quanto riguarda il secondo motivo, riuscite a immaginarlo un popolo che
sia davvero libero di pensare? Un popolo cos nessuno riesce a governarlo, con
modi tradizionali, perch pretende di farlo da s, perch pretende di partecipare
a tutte le scelte, perch pretende di decidere sul proprio destino.
Per questo, si inventarono le diversit che mettessero tutto a posto: la
diversit dei baroni, dei preti, dei generali, dei giudici. E degli Artisti,
naturalmente.
La diversit di questi ultimi doveva caratterizzarsi come la massima
concentrazione non gi della razionalit (che spettava ad altri diversi), ma
dell'intuizione. Gli Artisti dovevano sentire, in modo particolare, l'ispirazione,
dovevano essere capaci di collegarsi in diretta con l'Assoluto.
Naturalmente, come avvenissero i collegamenti nessuno era tenuto a
spiegarlo. Anzi, il processo, di per s, era considerato inspiegabile, un po'
magico, proprio perch i Misteri Ultimi non avevano pi dimensione umana.
E ditemi se poco, in cambio di qualche complimento e di un conto in banca!

Per, un momento: collegamenti diretti con l'Assoluto, va bene; ma l'Assoluto


a chi si rivelava? A chi non sapeva rendere conto, appunto. E allora, vuol dire
che gli Artisti del tutto a posto non dovevano essere. (Infatti, si sa: sono un po'
matti).
Badate che, ancor oggi, per molti, questa una figura di Artista, che si tiene
ancora in piedi. Sono ancora in molti a considerare gli Artisti fuori dalla
mischia con la testa fra le nuvole.
Manco a dirlo, sono i Potenti di oggi e i pavidi. I Potenti perch conservano i
problemi di sempre: governano a vantaggio di pochi e i molti cominciano a seccarsi, e queste cose le hanno capite anche tanti Artisti che non vivono pi a corte
e, quando gli Artisti capiscono, riescono a farsi capire; i pavidi, perch hanno
paura di capire, anche quando avrebbero tutto da guadagnare.
Perch vi dico queste cose? Vi dico queste cose perch impariate a farvi degli
Artisti un'idea meno astratta.
Gli Artisti non sono i Nembo Kid della cultura. Sono, invece, uomini con
debolezze e paure e dubbi. Come noi, ma con una sensibilit speciale che
sono capaci di trasmetterci, se siamo disposti anche noi a sentirci liberi e aperti.
Se andate a visitare certe gallerie d'arte, v'accorgerete che, invece, degli
Artisti e dell' Arte si parla in modo molto diverso.
Ci sono persone che, per pigrizia o per interesse, cavalcano spesso questo
cavallo di battaglia: se l'arte Vera Arte, la capiscono tutti.
Badate: non dicono possono capirla tutti, il che sarebbe vero. Intendono
proprio dire che la prima caratteristica della Vera Arte quella dell'immediata
comprensione. Spero che non la pensiate cos anche voi.
Leggere dentro un'opera d'arte non mai un esercizio facile. Costa molta
attenzione, sensibilit e conoscenza, tutte conquiste faticose e impegnative.
Conquiste, e non doni della natura.
Ne abbiamo parlato altre volte: la pittura, come la scultura e la musica, un
linguaggio. Vi pare possibile che chiunque possa capirlo, senza averlo prima
appreso? Per di pi, nelle opere d'arte, questo linguaggio utilizzato in maniera
problematica, cio le regole (altre volte le abbiamo chiamate codici) vengono
intenzionalmente violate, per cui, se non si fatta un'esperienza adeguata in
questo campo, risulta davvero difficile muoversi dentro con disinvoltura.
lo credo che quella dell'arte comprensibile a tutti sia una voce messa in giro
da artisti facili e da mercanti esosi.
Del resto, oggi esistono cibi predigeriti, perch mai non dovrebbero esistere
anche i quadri con una bella pittura grassa, premasticata e supervitaminica?
Quand'ero ragazzo, tutte le pitture che presentavano qualche difficolt di
lettura venivano liquidate, con molto distacco e molto genericamente, come
delle picassate, eseguite, cio, alla maniera di Picasso. Le persone superficiali
ridevano di gusto, tornavano a casa rasserenate e andavano a dormire.
Riuscivano, con una semplice risata, a liberarsi del peso che comporta
l'impegno di muovere l'intelligenza, in operazioni che, certo, non erano facili e,
magari, potevano risultare persino pericolose alla salute del cervello.
Oggi conosco molte persone che fingono di capire Picasso, ma ridono sempre
allo stesso modo degli artisti di oggi. La Vera Arte - dicono - devono capirla
tutti. Il sospetto che la mancata comprensione possa dipendere da una mancanza
di informazione non sfiora nessuna di queste persone ridanciane e piene di
sonno.

Pensate: le cose importanti, in arte, sono quasi tutte accadute, per merito delle
cosiddette avanguardie storiche, pi di sessant'anni fa. Quando andrete per
gallerie, provate a chiedere notizie. Scoprirete che quelle cose accadevano fra
una risata e l'altra e quasi nessuno se n'era accorto.
Brutto affare, vero?

Capitolo 29
Gli Impressionisti
Tutto ci che nuovo o diverso ha sempre mandato in bestia i benpensanti.
Nel dicembre del 1903, i fratelli Wright riuscivano a sollevarsi dal suolo col
primo aeroplano. Non ci crederete, ma molti considerarono l'impresa
peccaminosa. Proprio cosi: Se Dio avesse voluto che l'uomo volasse, dicevano, - gli avrebbe fatto le ali.
Le brutte figure fatte da poveracci di questo tipo, nella stona delluomo, non
si contano. Purtroppo, sono i soli a non accorgersene, perch, quasi sempre,
muoiono prima d'aver capito.
Prendete gli Impressionisti *: oggi, tutti capiscono i loro quadri, tanto che rifatti da artigiani - se ne vendono persino nelle bancherelle, oltre che in certe
gallerie (si fa per dire) d'arte.
Eppure, non avete idea di quanti insulti abbiano dovuto sopportare, da parte di
autentici imbecilli, quando esponevano le loro opere.
Badate, sostenevano principi che oggi a noi appaiono giustissimi. Per
esempio, dicevano che la natura va dipinta come appare, non come dovrebbe
essere seguendo i canoni classici della pittura.
Come al solito, si trattava di codici, cio di convenzioni, che non erano pi
in grado di contenere modi diversi di vedere e, perci, andavano cambiati.
I vecchi codici, infatti, erano il risultato di secoli di pittura eseguita dentro
gli studi, dove dovete sapere che la luce non entra mai violentemente e, perci,
crea, nei modelli da copiare, ombre dolci e sfumate.
Allora, cosa succedeva? Succedeva che i pittori del passato, anche quando
dipingevano scene di vita all'aperto, trattavano le figure come se fossero dentro
lo studio, e non fuori, dando loro un senso di rotondit che derivava da un uso
raffinato del chiaroscuro.
Gli Impressionisti, che erano acuti osservatori della natura, avevano capito
che, in pieno sole, persone e cose venivano tagliate da ombre nette, che la luce
violenta appiattiva tutto e che, per ottenere la profondit, era necessario ricorrere
a un linguaggio pittorico diverso.
La luce diveniva un fattore essenziale e venne studiata con molta attenzione.
Si scopr, per esempio, che per renderla in tutta la sua luminosit era necessario
evitare di mischiare i colori nella tavolozza, per disporli direttamente sulla tela,
con pennellate sciolte e libere, puri come uscivano dal tubetto.
Non difficile immaginare cosa succedeva: il contorno delle immagini si
dissolveva dentro una festa di colori, diventava impreciso.
Figurarsi! Agli occhi dei benpensanti, questi quadri - quando andavano bene apparivano, al pi, abbozzati. Normalmente, si scompisciavano dal gran ridere e
ce ne misero, prima di capire che, per ricuperare l'immagine, bastava
allontanarsi un po' dal quadro!
Ma non dovete scandalizzarvi: come vi dicevo altre volte, la gente non
riusciva a vedere, perch era abituata ad aspettarsi, dai quadri, altre cose (per
esempio, lo sfumato del chiaroscuro).
Per noi, oggi, non difficile capire gli Impressionisti, perch il loro
linguaggio pittorico fa parte delle nostre acquisizioni, e il piacere che proviamo,
di fronte alle loro opere, ci viene proprio dal fatto che ci aspettiamo, per
esempio, che le ombre siano colorate, che il movimento venga reso dall'uso

appropriato di macchie di colore, che l'impiego simultaneo di un colore con un


altro ne accentui fortemente la luminosit, che anche i soggetti pi umili (e non
solo quelli importanti) possono essere trattati su un quadro, tutte cose capite
dagli Impressionisti.
Non c' nessun merito in questa nostra capacit di lettura. Ma, qual
l'atteggiamento che, generalmente, si assume, di fronte alle proposte (altrettanto
problematiche), avanzate dagli artisti contemporanei?
Amici miei, le cose non sono molto cambiate: ci sono persone che, come
pappagalli ammaestrati, parlano - oggi - di Vera Arte, avendo in mente proprio
gli Impressionisti (che non avrebbero esitato un minuto a prendere a sberleft, se
solo fossero vissuti un secolo fa) e, sotto sotto, rivolgono un pensierino grato a
Hitler che aveva l'abitudine di bruciare le opere dei massimi artisti del suo
tempo, perch li riteneva degenerati. Non so se mi spiego.
* Questo movimento interess, in Francia, dopo il 1860. i pittori Monet, Manet, Degas,
Renoir, Sisley, Pissarro. "

Capitolo 30
Czanne
Per capire l'arte contemporanea, indispensabile conoscere tre grandi
artisti che operarono alla fine del secolo scorso: Czanne, Gauguin e Van Gogh.
Toglietevi dalla testa di poterli conoscere a fondo, dalle cose che io vi dir:
sar bene mettere in moto la zia, perch vi regali i libri adatti e, magari, vi porti
a vedere le loro opere da vicino.
Comunque, non date retta a quegli scervellati che - per una questione di
pigrizia, ma anche per ignoranza - sostengono che quando l'arte Arte, la
capiscono tutti. La conoscenza non un dono della natura, ma una conquista
faticosa. Chiaro, giovanotti?
Brevissimo discorso di richiamo sugli Impressionisti. Questi signori, come gi
sapete, agli occhi dei benpensanti della fine dell'Ottocento, furono dei veri rompiscatole, perch riuscirono a mettere in crisi buona parte dei codici (o regole)
che governavano le opere del passato.
Le proposte che facevano, per, risultavano, per certi versi, confuse,
condizionate da aspetti tecnici, poco comunicative sul piano delle emozioni.
Tenete a mente queste tre considerazioni, perch su di esse che si fondano le
ricerche di Czanne, Gauguin e Van Gogh.
Se, in qualche modo (libri o riviste o musei), riuscirete a vedere le loro opere,
vi accorgerete subito che tutti e tre avevano appreso perfettamente la lezione degli Impressionisti; vi accorgerete anche che tutti e tre avevano tentato un salto
di qualit.

Fig. 17

Visto che ci siamo, vedremo come saltava Czanne (1839-1906).


Czanne, che era una persona molto riservata, si era letteralmente schifato
delle accoglienze che i critici avevano fatto agli Impressionisti e, siccome poteva

permetterselo, in quanto qualche soldo ce l'aveva, si ritir ad Aix-en-Provence, a


lavorare in tutta tranquillit, anche se tranquillo non era.
Diceva che era necessario faire du Poussin sur nature. Per capire, dovete
sapere che Poussin (1594- 1665) era un artista di quelli che utilizzavano con sorprendente maestria tutte le regole della pittura classica, tanto da conferire alle
sue opere un equilibrio e una misura eccezionali.
Ecco, per Czanne, faire du Poussin sur nature significava ritrovare
l'equilibrio, la semplicit e l'armonia del passato, ma rispettando la natura, come
facevano gli Impressionisti, e non rinunciandovi, come, invece, capitava ai
pittori del passato (ricordate? Questi ultimi, per esempio, si servivano dello
sfumato, anche quando dipingevano figure in pieno sole, dove le ombre non
sono dolci, ma nette e colorate). Czanne, diversamente dagli Impressionisti,
cerc di ottenere immagini ben definite. Chi avr la fortuna di vedere da vicino
le sue opere noter che, per raggiungere questo fine, le pennellate sono disposte
in modo da assecondare il disegno.
Inoltre, noter che, per quanto le sue composizioni siano nette e con colori
intensi, forti e piatti, riesce ugualmente a conservare una eccezionale profondit.
Un'altra cosa che bene rilevare, guardando le opere di questo artista, la sua
disinvoltura di fronte a certi problemi compostivi: per esempio, pur di
raggiungere l'equilibrio delle forme, non esitava a deformare le immagini.
Osservate la fruttiera del quadro riprodotto nella figura 17: il gambo non
centrato, ma non dovete pensare che non sapesse dipingerlo diversamente. Il
fatto che, riducendo alle giuste proporzioni il bordo della fruttiera sulla sinistra
sarebbe rimasto un vuoto.
Riflettete su ci: a noi pu sembrare una cosa da poco, perch siamo abituati a
ben altre deformazioni. Allora, invece, significava la conquista di una forma di
libert che richiedeva molto coraggio.
Inoltre, non bisogna dimenticare che proprio da questa concezione dello
spazio che, piu tardi, nascer il Cubismo, di cui vi parler. Prima, per, faremo
conoscenza con Gauguin e Van Gogh.

Capitolo 31
Gauguin
Anche Van Gogh e Gauguin, come Czanne, non erano di quelli che stavano
bene in mezzo alla gente. Tant' vero che se ne stavano per conto loro, a
lavorare moltissimo, lontani dalle gallerie e senza contatti con le bertucce
travestite da critici d'arte.
Come dire? non erano uomini di mondo, erano disperatamente soli. Van Gogh
mori suicida, che era ancora molto giovane: Gauguin (1848-1903) se n'and a
Tahiti che, allora, era un'isola felice, senza voli charter e senza bottiglie vuote di
coca-coca nelle spiagge.
La fuga di Gauguin non era il capriccio di un uomo annoiato, ma l'esigenza
di un artista che, stanco della perfezione tecnica dell'arte e della sua esteriorit,
nauseato della civilt europea, cercava, nella semplicit dei primitivi, la
semplicit della comunicazione.
Per questo motivo, dalle sue opere, cerc di eliminare gli espedienti scolastici
e semplific i contorni delle immagini, con larghe distese di colore dai toni violenti.
Forse, era la prima volta che un uomo bianco andava a vivere con i
selvaggi, per imparare da loro, e non per imporre la sua civilt; cosa che
non tutti, ancora, hanno imparato.
Ma non dovete credere che si trattasse di un uomo umile: al contrario, era
molto orgoglioso e notevolmente ambizioso. Lo lusingava molto il fatto che, in
Europa, lo chiamassero barbaro.
Le sue opere apparvero sconcertanti persino ai suoi amici, per la carica
selvaggia che contenevano. A noi, oggi, risulta difficile cogliere quella
perplessit, per il fatto che siamo stati abituati a ben altro.
Certo che, allora, gli stessi soggetti, la semplificazione massima che dava
alle sue immagini, la disinvoltura con cui - se necessario - ignorava beatamente i
canoni della pittura classica, dovevano apparire un vero affronto, agli occhi
degli accademici.
Non sentiva, come Van Gogh (ve ne parler), la missione dell'arte, ma, per
quanto ambizioso, non cedette mai alle lusinghe e prefer morire di stenti nella
sua isola.
Gauguin, con la sua ricerca della semplicit dei popoli primitivi, visse, forse
in modo inconsapevole, un criterio d'indagine sulle altre civilt, che metteva in
crisi l'eurocentrismo.
L'eurocentrismo era una specie di unit di misura che si adoperava per
valutare le civilt diverse da quella europea: tanto piu un popolo dimostrava
di avvicinarsi o assomigliare al modo di vita europeo, tanto pi era considerato
civile.
Oggi gli studiosi pi seri sanno che questo metro non pu risultare rigoroso, e
hanno preso a studiare le altre culture per quello che esse sono, nel loro ambiente storico e politico, senza, cio, considerare l'Europa al centro di tutti i valori.

Capitolo 32
Vietato l'ingresso agli italiani
In un negozio di Cagliari, che vende insegne stradali e affini, era esposto, fino
a qualche tempo fa, un cartello dove era scritto vietato l'ingresso agli svizzeri.
Il proprietario del negozio mi ha spiegato che in molti locali pubblici della
Svizzera si espongono cartelli con su scritto vietato l'ingresso agli italiani.
Dunque, lui non fa entrare gli svizzeri nel suo negozio.
La sua solo una protesta, s'intende, perch si sa che gli svizzeri vogliono
conservarsi sempre disinfettati e, per paura della salmonella, in Italia non ci
vengono neppure, perci improbabile che capitino in quel negozio.
Di gente prevenuta, in giro, ce n' parecchia. Io stesso ho appena finito di
ironizzare sulle fissazioni igieniche degli svizzeri.
ci che capita a molte persone, quando si trovano di fronte ai quadri di Van
Gogh (1853-90): siccome sanno che fu curato in una clinica per malattie
mentali, la prima cosa che dicono (o pensano) questa: Per, si vede che sono
quadri dipinti da un matto! E danno di gomito a chi li accompagna, come per
dire: io s che me ne intendo.
Bisogna fare attenzione a non trovarsi incastrati in meccanismi mentali cos
reazionari.
Cos' la pazzia? Oggi non c' persona sensata (si potr dire?) che si senta di
azzardare una qualche risposta convincente. opinione condivisa da molti,
comunque, che il pazzo sia un emarginato, un diverso, uno che non trova uno
spazio sociale, che crea tensioni e ansiet nei normali i quali, spesso, pensano
che sia uno che bisogna tenere lontano dalla vista di tutti.
Van Gogh era tutto questo, anche se, quando dipingeva, era sempre
perfettamente lucido, molto vicino ai normali. Anzi, no: molto lontano. S,
insomma, uno che cercava un'arte che fosse priva di cerebralismi, valida non
solo per i ricchi (che potevano studiare), ma anche per i poveri (che non
potevano); non era n matto, n normale. Era diverso, appunto.
Farete bene a studiare con attenzione Van Gogh. Dalle sue opere, potete
ricavare una carica umana che ben pochi prodotti dell'uomo sanno dare.
Qualche capitolo fa, vi dicevo che tutte le opere d'arte possono essere
smontate, cio che possono essere analizzate a livello di linguaggio, anzi, che
proprio il linguaggio, e non altro, a differenziarle tra loro.
Senza dimenticare di approfondire ulteriormente le informazioni che ricevete
da queste pagine, vediamo di smontare anche Van Gogh.
Avvicinatevi, dunque, a una sua opera (zia, aiuto): osserverete, prima di tutto,
che le pennellate non hanno solo la funzione di spezzettare il colore (ricordate
gli lmpressionisti? ), per farlo vibrare, ma anche di comunicare l'eccitazione
dell'autore. Il pennello non serve solo per dipingere, ma anche per disegnare.
Anche Czanne, come vi dicevo, disegnava col pennello, ma per trovare un
equilibrio formale: Van Gogh, per trasmetterci l'emozione del gesto. Il suo
pennello traccia come dei solchi, nel colore denso, cosi da fissare, sulla tela, i
suoi stati d'animo, come capita quando si scrive con rapidit.
Tutto ci, inciso in strati densi di colore, testimonia il calore e la passione che
egli metteva nel suo lavoro. Che era un modo di ascoltarsi attraverso il quadro
e anche di comunicare agli altri.
Dite: vi sembrano cose da pazzi?

Capitolo 33
Picasso
Picasso (1881-1973) ha molto sconcertato chi del parere che gli artisti
contemporanei, non sapendo dipingere, sono degli imbroglioni che cercano di
far passare per arte i loro orribili pasticci.
Ma questa cosa non possono proprio dirla per Picasso: infatti, tutti sanno che
lui sapeva dipingere, il maledetto, e bene.
Ma a noi non interessa (e non perch non sia interessante) il Picasso che
dipingeva arlecchini che sembrano arlecchini; a noi interessa il Picasso che dette
vita a quel movimento che fu chiamato Cubismo *.
Non difficile leggere i quadri dei Cubisti, come, del resto, non difficile
leggere tutti i quadri: noi sappiamo bene, ormai, che l'importante sapere
cosa dobbiamo aspettarci da loro. Qualcuno diceva che chi va per rane negli
stagni ha la probabilit di trovare rane, ma chi va negli stagni per cercare funghi
non li trova, perch non ce ne sono.
Allora, cosa dobbiamo aspettarci dalle opere dei Cubisti, sapendo che non si
va per funghi negli stagni?
Devo ricordarvi una cosa molto importante: gli artisti di tutti i tempi hanno
sempre dipinto ci che sapevano, non ci che vedevano; anzi, noi sappiamo
che vedevano ci che sapevano; noi, che siamo diventati esperti dei
meccanismi della percezione, non abbiamo dubbi che ci che vediamo
sempre fortemente condizionato da ci che sappiamo: basta ricordare le
esperienze di Ames, le lenti aniseiconiche, la percezione visiva dei ciechi
congeniti ricuperati alla vista, ecc.

Fig. 18

Gli Impressionisti avevano portato il loro modo di vedere su un piano


scientifico, ed erano riusciti a vedere la natura, in maniera piu completa e
piu vera; Czanne aveva studiato, ricuperandolo, l'equilibrio delle opere del
passato, senza rinunciare alle conquiste degli Impressionisti.
Cosa fecero i Cubisti? I Cubisti fecero decisamente il gran salto, prendendo a
interessarsi non pi del problema di come si vede la realt, ma come essa si
costruisce nella nostra mente. Che una cosa diversa.
Fate attenzione. Se noi fotografiamo un viso, otteniamo una immagine che,
per noi, rappresenta quel viso visto da fermi, da una sola posizione, illuminato
da una certa luce. .
Se, per, pensiamo a quel viso, esso, nella nostra mente, non ci appare come
nella fotografia: le parti che lo compongono (il naso, gli occhi, le orecchie, ecc.)
si dispongono, nel nostro spazio mentale, in modo diverso che nella
fotografia.
Noi sappiamo che quel viso presenta, ai nostri occhi, una parte di s, che
cambia, quando gli giriamo intorno; sappiamo, cio, che la fotografia ci d
un'immagine parziale, perch non ci d, contemporaneamente, anche l'immagine
coperta dal suo davanti, n l'immagine laterale, n il sopra, n il sotto..
Qual l'immagine vera di quel viso? Quella fotografica, parziale, oppure
quella mentale, costruita e comprendente una dimensione che la geometria
oculare non pu contenere?
Ecco, in soldoni, il problema dei Cubisti: affrontare lo spazio, fuori dagli
schemi riduttivi della prospettiva, la ricerca di una dimensione mai affrontata
prima, in termini pittorici.
L'opera riprodotta (fig. 18) l'ha capita anche mio cugino Amintore. Osservate
il viso: esso appare - contemporaneamente - di profilo e di fronte. solo un
aspetto, ma ce ne sono altri.
Resta inteso che il resto - magari con l'aiuto della zia - lo farete da voi,
disponendovi a leggere le opere dei Cubisti, secondo le indicazioni che vi ho
suggerito.

* Movimento che interess, dopo il 1906, oltre Picasso, Braque, Gris, Metzinger, Leger, Gleizes, ecc.

Capitolo 34
Gli Espressionisti
Nei capitoli precedenti abbiamo visto come un gruppo di ribelli fossero
riusciti a sconvolgere il mondo beato dei benpensanti: la cultura europea
appariva vecchia e decadente e molti artisti cercarono un ritorno alla semplicit
delle origini, studiando attentamente i prodotti culturali delle popolazioni
primitive.
Si comprese finalmente che questi non erano il risultato di civilt arretrate e
rozze, come si credeva (e molti credono ancora), considerando la civilt europea
la sola che tutti gli uomini dovessero, prima o poi, adottare, con le buone o con
le cattive.
Gli oggetti (maschere tribali, ecc.) che gli artisti piu inquieti presero a studiare
si allontanavano molto dai canoni dell'arte classica: agli occhi di un europeo,
essi apparivano poco somiglianti al vero e poco belli.
Recavano, per, una carica espressiva straordinaria, che derivava da una
incredibile semplicit di esecuzione e, soprattutto, dalla deformazione, che li
rendeva tanto diversi e tanto lontani dal nostro concetto di vero e di
bello.
Inutile dire che i benpensanti, in quanto stupidi, non riuscivano a liberarsi dai
modi di vedere ai quali erano stati abituati.
Del resto, capita ancor oggi.
Un gruppo di artisti, che furono chiamati Espressionisti * studiarono a fondo
la semplicit espressiva dei primitivi e, da loro, impararono a deformare le
immagini.
Per la verit, la deformazione delle immagini, in Europa, era un processo gi
conosciuto. Riguardava, per, la caricatura che la gente era disposta ad accettare, in quanto l'intendeva come fatto burlesco.
Caricare le immagini che rappresentavano problemi seri era, per, meno
accettabile. E bisogna dire che questi artisti ce la mettevano tutta, per irritare,
con le loro opere, i buoni borghesi.
Quello degli Espressionisti non era un modo di vedere la realt dal lato
comico. Al contrario, essi si ponevano, di fronte ai valori morali della societ
borghese, in posizione ferocemente critica. La polizia intervenne pi volte a
chiudere le loro mostre; in Germania i migliori di essi furono costretti a fuggire;
le loro opere venivano spesso bruciate in piazza, dai nazisti, perch considerate
degenerate.
Oggi, la prima cosa che un pittore impara - persino a scuola - quella di
deformare le immagini. Ma non dovete pensare che l'atteggiamento dei borghesi
benpensanti sia cambiato, anche se, per via del denaro, proprio loro si sono
impossessati di quelle opere degli Espressionisti che non sono finite nei musei.
Di fronte all'intelligenza, il loro atteggiamento tradisce sempre molta
irritazione, perch - si sa - l'intelligenza non si lascia imbottigliare, come il sugo
del pomodoro.
Uno dei motivi di massimo imbarazzo creato dagli Espressionisti era il loro
modo di procedere: sovente, lasciavano che l'esecuzione dell'opera avvenisse
automaticamente, senza, cio, esercitare su di essa un controllo vigile e
razionale, e permettendo, invece, che le immagini sepolte nell'inconscio (cio le
immagini dimenticate) riemergessero con tutta la loro carica di emozioni.

La preoccupazione di mantenersi aderenti al vero non esisteva pi, ormai,


per nessuno di loro. La loro mano correva sulla tela, libera e in comunicazione
diretta col mondo delle emozioni, l'immaginazione perdeva i freni e correva
libera, all'uomo venivano strappati spietatamente gli stracci dell'ipocrisia,
saltavano in aria tutti i criteri in uso per determinare le diversit degli uomini,
le immagini depositate nell'inconscio potevano essere evocate da tutti, per
mettere in funzione la fantasia e l'immaginazione.
Questo modo di guardare dentro metteva troppo allo scoperto il vuoto dei
valori su cui si basava (e si basa) la societ.
A dirla in breve, saltava tutta la facciata di perbenismo che copriva le classi
privilegiate, le quali erano convinte, da sempre, che i privilegi fossero dovuti
loro per una questione di sangue. Voi capite che mettere in dubbio tutto ci crea
un certo imbarazzo...

* L'Espressionismo fu un movimento che si svilupp, dopo il 1905, in Germania, a opera di


Nolde, Kirchner, MiiIIer, Marc, Kandinskij, ecc.

Capitolo 35
Paul Klee
Un tempo, gli artisti lavoravano quasi esclusivamente per commissione, come
i falegnami.
A loro si presentavano Signori con carrozza, che volevano il ritratto della loro
Signora, e preti che chiedevano quadri di santi, da appendere in chiesa.
Spesso, la commissione veniva accompagnata da una minuta descrizione del
soggetto. Si diceva, per esempio: Maestro, mi faccia un sansebastiano con
frecce, legato al palo. E il Maestro eseguiva diligentemente il lavoro, secondo le
aspettative del committente, che erano, poi, le aspettative di tantissimi altri
Signori con carrozza e Signora.
Qualche volta, si dava fiducia al Maestro, lo si lasciava fare. E cos, a
guadagnarci era la Cultura.
Nell'Ottocento, le richieste; soprattutto di ritratti della Signora, diminuirono
notevolmente, per via dell'invenzione della macchina fotografica, e fu anche per
questo motivo che gli interessi degli artisti si rivolsero principalmente, e in
modo esplicito, allo studio del linguaggio dell'arte.
Fu in questo periodo che gli artisti cominciarono ad essere considerati
diversi dai falegnami. Infatti, non dovendo pi rispondere di prodotti che
andassero in- contro alle esigenze della Signora, finirono col ficcare il naso in
modo sfrontato nelle cose della societ.
Abbiamo visto come fossero odiati gli Impressionisti, solo perch
proponevano modi di vedere che, in fondo, erano anche pi corretti dei
precedenti, e gli Espressionisti, per la carica di feroce critica che esercitavano
nei confronti della societ e dei suoi valori.
Questa libert dal committente permise loro gli esperimenti piu audaci. A noi
molte di queste avventure del pensiero possono sembrare verit scontate, tanto
che non riusciamo a capire come mai la gente non stesse sempre dalla parte
degli artisti.
Il fatto che tutto ci che nuovo e diverso spaventa sempre le persone pi
conservatrici, le mette in ansia perch viene meno il loro senso di sicurezza. Del
resto, ancora oggi, il mondo pieno di individui che vanno in bestia per le cose
che non si capiscono.
Eppure, non raro che le cose pi incomprensibili risultino, poi, le pi
capite. Sar capitato anche a voi di scarabocchiare su un foglio di carta,
mentre parla il Prof e di ottenere, in questo modo, dei bellissimi disegni.
Ebbene, ci capita anche a moltissimi artisti. Solo che questi prendono molto
sul serio il loro lavoro e lo caricano di una intenzionalit che, forse, la sola
cosa che manchi a voi.
Se riflettete un momento su questo modo di procedere, capirete facilmente
che si tratta di un semplice ribaltamento di impostazione e che non si tratta
proprio di una cosa da riderci sopra.
Mi spiego. La convinzione pi diffusa che, prima di dipingere un quadro,
uno si domandi cosa intenda dipingere; si pensa, cio, che un quadro vada
impostato, sempre, su un soggetto: penso a una mela, dipingo una mela.
In realt, non sempre i quadri si impostano in questo modo, anche quelli
cosiddetti figurativi. Uno dei pi grandi artisti dei nostri tempi, Paul Klee
(1879- 1940), faceva nascere le sue opere da segni che metteva casualmente

sulla tela, sui quali interveniva, aggiungendo o togliendo, finch non


raggiungeva un equilibrio perfetto, finch tutto non appariva a posto.
La sua pittura aveva un andamento onirico che, detto con parole piu dimesse,
significa che il pittore dipingeva come se sognasse.
Attenzione: non come se dipingesse un sogno gi fatto, ma come se
realizzasse il sogno, nell'atto stesso del dipingere.
In altre parole, erano gli stessi segni gi presenti nell'opera a suggerire nuovi
segni e tutti questi a suggerire la presenza o la cancellazione di altri ancora, e
cos via.
Badate, non si trattava di un atteggiamento rivoluzionario. Anche i pittori
delle caverne procedevano alla stessa maniera: le crepe della roccia e i suoi
colori suggerivano immagini di animali, che essi completavano aggiungendo o
togliendo segni, fino a catturarne la forma definitiva.

Capitolo 36
L'arte astratta
Forse, non tutti sapete che il primo quadro astratto fu dipinto nei primi anni
del nostro secolo.
Molte persone, che tengono i piedi nel passato e la testa nel sarcofago, sono
convinte che l'arte astratta sia cosa di oggi e, invece, fa parte di un movimento
culturale vecchio di piu di due terzi di secolo: molte di queste persone c'erano e
non se ne sono accorte. Pazienza.
Mi raccomando, voi tenetevi sempre svegli e attenti, curiosi e critici,
conservatevi sempre presenti e partecipi.
Fine della predica.
Dalle cose che vi ho raccontato finora avrete capito che la fine dell'Ottocento
e i primi decenni del Novecento rappresentano un periodo ricchissimo di
fermenti, in tutti i campi, da quello sociale a quello politico e culturale.
Nel campo dell'arte, tutti i codici espressivi precedenti furono messi in
crisi, e non poteva essere diversamente, visto che la crisi riguardava la societ
civile, nei suoi ordinamenti, nelle sue istituzioni, nei suoi valori morali.
Gli artisti sono sempre stati sensibili a questi problemi e hanno sempre
cercato di tradurli nelle loro opere, individuando i modi espressivi pi adeguati,
creando, cio, linguaggi nuovi o rinnovati, capaci di comunicarli.
Vediamo di capire il problema che sta dietro il linguaggio dell'arte astratta.
Prima di tutto, devo dirvi che il termine ha generato molte confusioni. L'equivoco pi diffuso nasce dalla convinzione che all' astratto si pervenga partendo
dalla realt oggettiva, come avviene, per esempio, nei bambini quando
imparano l'aritmetica: dopo aver contato molti fagioli, giungono all'astrazione
del numero, diventano, cio, capaci di utilizzare i numeri anche quando essi non
hanno fagioli da contare.
In realt, l'atteggiamento mentale dei pittori astratti molto vicino a quello di
chi conosce la matematica e la usa senza sentire il bisogno di dar corpo ai
numeri con riferimenti oggettivi. Cosa pensereste di uno che cerca di estrarre
la radice quadrata di un sacco di fagioli?
Solo mio cugino Amintore estrasse una radice da un Cristo che uno scultore
naturalista aveva ottenuto trasformando la radice di un albero. Mio cugino
Amintore per il disinquinamento, io sono per la prevenzione: le radici meglio
lasciarle come sono.
Per evitare equivoci, da pi parti si proposto di chiamare l'arte astratta nonoggettiva o non-figurativa o anche aniconica. La cosa non molto importante, basta intendersi, si capisce.
L'artista che dipinse il primo quadro astratto si chiamava Vasilij Kandinskij
(1866-1944). Al pari di altri artisti tedeschi, era un pittore mistico, cio portato
ad astrarsi dalla realt. Da ci, il suo rifiuto del progresso e della scienza e la sua
aspirazione a un'arte spirituale, capace di purificare il mondo.
Per Kandinskij, era fondamentale abbandonare, in pittura, ogni riferimento al
mondo oggettivo, per ritrovare, esclusivamente nei colori e nelle forme, ogni
riferimento con la spiritualit.
Avrete tutti sentito dire che il colore giallo deprime, che il rosso eccita,
ecc. Non sono sicuro che tutto ci sia vero. Comunque, Kandinskij teorizz a
lungo su queste cose e, forse, fu proprio lui a mettere in giro queste voci.

Il discorso degli astrattisti fu di un'importanza eccezionale, perch liber


definitivamente l'arte figurativa dalle pastoie della figura.
Per coglierne l'importanza, dovete pensare alla musica. Tutti voi amate la
musica che ci viene dall' America, eppure, non tutti conoscete l'inglese. Cosa
significa ci? Significa che vi siete impadroniti dei codici linguistici di questa
musica e che li comprendete, anche se non riuscite a spiegarli alla zia che,
invece, ama Modugno che piange dentro il telefono.
evidente che la musica non ha bisogno di rappresentare qualcosa di
oggettivo (imitare i suoni della natura, per esempio), per essere capita; nessuno,
cio, si chiede cosa rappresenti la Nona sinfonia di Beethoven.
Insomma, la musica un linguaggio astratto e rappresenta se stessa, come
una camicia rappresenta una camicia.
Ormai, ci siamo capiti: se, di fronte a un quadro astratto, qualcuno vi chiede
cosa rappresenti, voi fulminatelo con uno sguardo di commiserazione e chiedetegli chi crede di essere. Se vi risponde Napoleone, vuol dire che un
figurativo.

Capitolo 37
Piet Mondrian
Un altro pittore astrattista che farete bene a conoscere (s'intende, con l'aiuto
della zia che vi accompagner a New York, Parigi, Londra, per vederlo da
vicino) Piet Mondrian (1872-1944).
Ormai, avrete capito tutti che uno dei grossi problemi affrontati dai pittori
della cosiddetta avanguardia storica fu quello di svincolare l'arte figurativa
dalla schiavit dell'immagine.
. Molte persone superficiali, di fronte alle opere di questi artisti sono
profondamente convinte di essere spiritose, quando dicono che persino i loro
bambini sono capaci di farle.
Piet Mondrian era uno di questi artisti facili. Pensate: dipingeva con la
squadretta e non a mano libera, come fanno i giocolieri del pennello, si serviva
solo di linee rette (poche, per giunta) e di colori puri e piatti. Piu facile di cos...
Gi, ma anche la gomma da masticare facile, eppure l'hanno inventata
solo avant'ieri. Prima, per millenni e millenni, niente: ai bambini si diceva sputa
l'osso o guai a te, perch, prima della storica data, i ragazzi masticavano a lungo
ossi di capretto.
Che volete, i tempi cambiano, ma sputa l'osso si dice ancora e c' chi lo sputa
a scuola, nelle piazze, nelle strade; Marlon Brando * prima di morire, lo depone
sotto la ringhiera, noi ce lo ritroviamo sotto le scarpe, che fa fili lunghissimi e
appiccicosi, qualche volta nel fondo dei pantaloni, perch stato sputato nella
poltrona di un cinema. Ai miei tempi si conservava dietro l'orecchio, ma i capelli
si portavano all'Umberto.
Scherzo, ragazzi, scherzo. Tutto questo, con Piet Mondrian non c'entra davvero e non neppure una sottile manifestazione di irriverenza nei suoi confronti.
Mondrian uno dei piu grandi artisti del nostro secolo.
Alle persone superficiali di cui parlavo potr sembrare strano, eppure proprio
Mondrian uno degli artisti astratti, piu capiti. E non perch queste persone sappiano spiegarlo a parole (cosa, come sappiamo, poco importante), ma
perch, nei fatti, nelle cose, dimostrano di accettarlo.
Fateci caso: se la facciata di una costruzione moderna vi sembra molto
equilibrata, oppure vi sembra equilibrata la copertina astratta e geometrica di
un libro, un cartello pubblicitario, un mobile, e chi sa quante altre cose che
avete sempre davanti agli occhi, ci sono molte probabilit che Piet Mondrian,
poco o tanto, c'entri.
Al pari di tanti altri suoi colleghi (ricordate Klee e Kandinskij?) era uno
spiritualista e, di conseguenza, era profondamente convinto della necessit di
guardare oltre le apparenze della realt, per coglierne l'immutabilit.
Noi possiamo anche non essere d'accordo con quest'impostazione cosi rigida.
Ma non possiamo essere cos dissennati da respingere acriticamente - come
fanno le persone superficiali, appunto - i prodotti dell'intelligenza umana, solo
perch non concordano con i nostri modi di pensare.
Riflettete un momento, su questo problema: credete davvero che, per un
pittore, sia pi difficile dipingere una figura, piuttosto che trovare il posto
giusto a un quadrato nero su fondo bianco? Chi vuol dipingere una figura pu
imparare, riferendosi a mille altri artisti che l'hanno gi fatto prima, con
minori probabilit di sbagliare. Ma chi sceglie di muoversi in un campo

inesplorato si trova certamente in difficolt maggiori, proprio perch il controllo


risulta meno facile.
Ed esattamente ci che capitava a Mondrian, il quale era convinto che,
attraverso il rigore della linea retta e del colore puro, fosse possibile raggiungere
lo stesso equilibrio perfetto, fatto di pesi, di pieni e di vuoti, in perfetta armonia,
che si trova nelle migliori opere di architettura.
Meglio, era convinto che fosse possibile portarsi al di l delle apparenze del
reale, molto vicino all'Assoluto.
Il bello che, per quanto si muovesse senza un supporto rigorosamente
scientifico, riusciva a produrre delle opere dove difficilmente si riesce a trovare
qualcosa fuori posto.
Il colore chiuso entro spazi che ne determinano il peso con un equilibrio
stupefacente.
Forse, non si tratta di equilibri derivanti da un effettivo avvicinamento
all'Assoluto, forse piu ragionevole pensare a equilibri derivanti da abitudini
percettive proprie della nostra cultura.
Una cosa per certa: Mondrian ci d una prova di quali altezze possa
raggiungere l'intelligenza e la sensibilit di un artista autentico.
Troppo facile liquidarlo con battute spiritose, non vi pare?
* In un film che non vedrete mai, perch qualcuno ha deciso per tutti che andava bruciato,
come capit, con Hitler, agli Espressionisti: Ultimo tango a Parigi.

Capitolo 38
Dada
Se andate per gallerie, nel giorno di inaugurazione di una mostra, fate caso
alla muffa. Che non solo quella paccottiglia che, sovente, viene attaccata alle
pareti, ma anche quella dei rituali.
Le gallerie pi rumorose, all'esposizione delle opere accompagnano quella
delle pellicce, assieme ai salatini e alle pizzette; spesso, la serata viene allietata
da concerti della tromboneria locale.
Si dice che la storia sia maestra di vita, ma sembrerebbe che la provincia non
sappia proprio coglierne la lezione. Questa categoria di tifosi del pennello esisteva, due terzi di secolo fa, anche a Zurigo, Monaco, Berlino, Parigi, New York,
ed esiste ancora, beninteso. Al posto delle pizzette, c'erano i marrons glacs ma,
per il resto, tutto uguale.
Salvo la presenza di un gruppo di artisti, letterati, musicisti che, avendo mente
sveglia e lingua pronta, stabilivano col pubblico di cui sopra il solo rapporto
corretto possibile, che era quello dell'insulto e dell'irrisione.
A Zurigo, siamo nel 1916, si riunivano in un locale chiamato Cabaret
Voltaire, dove ne succedevano di tutti i colori, compresi gli interventi della
polizia.
Il nome del gruppo (Dada) nacque puntando a caso il dito su una pagina del
dizionario. Ma non dovete pensare che si trattasse di un'accozzaglia di burloni
che si divertivano a fare scherzi, tanto per scandalizzare i borghesi, tipo studenti
universitari di una volta, alla festa delle matricole. Le loro provocazioni, invece,
avevano un senso lucido di rifiuto della cultura ammuffita della vecchia Europa,
attraverso comportamenti che ne mettevano a nudo le contraddizioni.
Per prima cosa, rifiutavano proprio l'arte come sublimazione di valori
deteriorati, anzi, per loro, arte era solo la vita e le azioni.
Ecco perch alla Gioconda (che rappresentava un simbolo di questa cultura)
Duchamp (nel 1919) aggiunse due vistosi baffi. Ed ecco perch lo stesso Duchamp, che nacque nel 1887 e mori nel 1968, in occasione di una mostra in
America, espose un cesso che chiam Fontaine. Proprio cosi: un cesso, con due
esse, ma rovesciato.
Per capire la provocazione, pensate che, ancor oggi, per andare a fare pip, si
chiede dov' il bagno, quasi che dare ad intendere di volerla fare 1 sia ritenuto
meno disdicevole.
Inoltre, sempre a livello di provocazione, mettetevi nei panni di chi frequenta
le mostre per portarsi a casa un pezzo unico che gli altri non posseggano, e si
trova in vendita un wc. C' di che sentirsi irritati, non c' dubbio.
Ma, a noi interessa l'aspetto linguistico che, nel lavoro dei Dadaisti, non
irrilevante.
Lo spostamento di un oggetto dalla sua sede naturale non era solo un atto di
provocazione, ma rappresentava una specie di riutilizzazione dei significati, di
grande importanza.
Tutti coloro che si portano a casa le radici trovate in spiaggia, che appendono
in salotto lo scaldino della nonna o i campanacci delle mucche, in fondo, hanno
capito che basta cambiare l'ambiente intorno a questi oggetti, perch essi si
carichino di nuovi significati. Che come guardare alle cose, con occhi diversi,
senza lasciarsi catturare dalla rigidezza dei vecchi significati. Che vuole anche
dire pensare e agire in modo divergente. Dalla maniera bizzarra adottata per

darsi un nome, avrete capito che un elemento caratterizzante, nelle opere dei
Dadaisti, oltre lo spostamento degli oggetti, era il caso. Max Ernst, che
l'inventore del frottage, sosteneva che la parola arte andava cancellata e che
all'artista non restava che registrare processi slegati fra loro.
Lo stesso Max Ernst (r89r-r976), molto tempo dopo, quando questa rivolta
fu riproposta come neodadaismo, defin il primo Dada una bomba che, scoppiando, aveva sparpagliato tutto intorno innumerevoli schegge che, per quanto
non potessero essere recuperate per ricomporre la bomba, erano tuttavia servite a
far vivere agli artisti (e a quelli che li capivano, s'intende) la libert piena
dell'intelligenza e degli istinti, per raggiungere una pulizia morale e una capacit
di immaginazione che andavano ben oltre le convenzioni correnti.

Capitolo 39
Henry Moore
Sono certo che la gran parte di voi non si pone pi, di fronte alle opere
contemporanee, in atteggiamento di rifiuto, come capita a molti adulti che si
sono stancati di far funzionare la propria intelligenza e preferiscono utilizzarla di
fronte a problemi di facile soluzione.
Noi sappiamo che proprio la ricerca di una soluzione facile l'atteggiamento
meno adatto a cogliere il messaggio problematico dell'arte. Molte persone anche illustri in altri campi - preferiscono esse stesse pensare che gli artisti
debbano promuovere in prima persona operazioni culturali alla portata di tutti.
C' un grosso malinteso, nel fondo della questione. Giustamente, si ritiene che
tutti abbiano diritto ad accedere ai livelli pi sottili della comprensione dell' Arte; poich ci non avviene per motivi noti a tutti (la scuola che non insegna, la
mancanza di strutture culturali, ecc.), si finisce col far carico agli artisti della
soluzione di questo grosso problema.
Come dire che, poich non tutti - per gli stessi motivi - sono in grado di
estrarre una radice quadrata, Einstein avrebbe fatto bene a inventare una teoria
della relativit meno complicata, alla portata di tutti, appunto.
Henry Moore uno scultore vivente, nato nel 1898, apparentemente alla
portata di tutti. Infatti, scolpisce figure che sembrano proprio figure e
molti credono d'averlo letto, quando sono riusciti a decifrarle. Non cos, in
realt. Neppure per Michelangelo, s'intende.
Ricorderete certamente che molti artisti costruivano le loro immagini
assecondando i materiali che usavano sfruttando i suggerimenti che venivano da
macchie e segni preesistenti, oppure sistemati casualmente dallo stesso artista.
Michelangelo diceva che le sue statue erano prigioniere dentro il blocco di
marmo e lui non faceva altro che togliere ci che c'era in pi, fino a liberarle.
Per Henry Moore il discorso quasi lo stesso. Quasi, ho detto, ed per capire
questo quasi che dovr farvi un discorso complicato.
Vi prego di fare attenzione e di tenere duro. Noi distinguiamo le opere d'arte,
ma anche gli oggetti, le cose, insomma, per un insieme di tratti che li
caratterizzano, chiamati dai linguisti denotazioni. Tanto per intenderci, una
sedia denotata dalle gambe, dal fondo, ecc.
Se le denotazioni fossero i soli tratti caratterizzanti, tutti gli uomini
percepirebbero la realt alla stessa maniera. Invece, noi sappiamo che ogni uomo
ha il suo proprio mondo percettivo, anzi ci sono serie probabilit che non sia mai
esistito un uomo che abbia percepito la realt, alla stessa identica maniera di un
altro.
Allora, cos' che caratterizza la percezione individuale delle cose? Sono
altri tratti che, sempre dai linguisti, vengono chiamati connotazioni.
Vediamo la differenza tra denotazioni e connotazioni. Le denotazioni
indicano una somiglianza tra gli oggetti e i segni linguistici (parole, immagini,
ecc.) che li indicano. Io dico la parola sedia e penso all'oggetto sedia. La
somiglianza tra la parola e l'oggetto tale che, quando io dico la parola
sedia, anche voi pensate all'oggetto sedia. Questo, perch i tratti denotativi
(gambe, fondo, ecc.) sono comuni a me e voi.
Ma, quando dico sedia, molto probabile che voi non pensiate alla stessa
sedia alla quale penso io e, anche se ci avvenisse (mettiamo di pensare tutti alla

sedia della zia di Federico), certo che, nella nostra mente, essa si
configurerebbe in maniera molto personale.
Questo, per la presenza di tratti connotativi, appunto, che sono le differenze,
le sfumature con cui ciascuno di noi interpreta i tratti denotativi.
Che sudata, ragazzi! Forse Henry Moore ci aiuter a capire meglio. Egli, di
fronte alla pietra, si comporta quasi come Michelangelo; come lui, cio,
ascolta i suggerimenti che essa gli d.
Cos' che lo distingue? Lo distingue il fatto che l'opera finita, in lui, continua
a conservare i tratti denotativi del materiale usato, mentre in Michelangelo essi
si perdono a favore dei tratti denotativi della forma ottenuta.
Forse, non ancora chiaro, mi far aiutare da E. H. Gombrich. Quando Moore
vuole scolpire una donna - dice Gombrich - non fa una donna di pietra, ma una
pietra che suggerisca una donna.

Capitolo 40
Sintesi additiva e sintesi sottrattiva.
Avrete notato che i capitoli precedenti sui linguaggi dell'arte sono stati
dedicati tutti ad artisti e movimenti stranieri.
A qualcuno potrebbe venire il sospetto che, in Italia, non succedesse mai nulla
di interessante. E invece, no: anche in Italia succedevano delle cose, alcune di
scarsa rilevanza, altre somiglianti a quelle che succedevano all'estero e altre
ancora, molto importanti.
Ripartendo dall'Ottocento, mi propongo di raccontarvi gli avvenimenti italiani
piu significativi, fino alla seconda guerra mondiale, che interruppe dappertutto
ogni attivit di ricerca nel campo delle arti.
Spero che, allora, sarete tutti in grado di entrare agevolmente nei problemi
dell'arte contemporanea che quella che ci interessa di pi, visto che la si sta
facendo mentre respiriamo e noi non vogliamo fare le brutte figure di tanti
tromboni che hanno gli occhi nella nuca e sanno vedere solo all'indietro.
Come qualcuno di voi ricorder, nella seconda met dell'Ottocento, in
Francia, si svilupp il movimento degli Impressionisti. In Italia, c'erano i
Macchiaioli ai quali, ancora oggi, si riferiscono, linguisticamente parlando,
molti dei pi stimati virtuosi dell'olio di lino cotto, nostrani e di carnagione
pallida.
Tra Impressionisti e Macchiaioli esistevano profonde differenze di
linguaggio, dalle quali facile derivare anche le differenze culturali.
Entrambi i movimenti realizzavano una pittura verista. I primi, per,
avevano come riferimento una realt, diciamo cos, ottico-fisica; i secondi una
realt piu tattile.
E mi spiego. Prima di tutto, l'uso del colore: Impressionisti e Macchiaioli lo
frantumavano col pennello, ma lo usavano in maniera molto diversa.
Da una parte, quella che, in Fisica, si chiama sintesi additiva, dall'altra la
sintesi sottrattiva.
Non vorrei gettarvi nello sconforto: resistete, perch, fra poche righe, con una
prova capirete tutto.
La sintesi additiva la fusione di radiazioni diverse di colore; la sintesi
sottrattiva il miscuglio di colori diversi. Con la prima, si ottiene un colore pi
brillante, con la seconda un calo di luminosit.
Ecco la prova: occorrono due pennarelli, uno blu e uno giallo, con i quali
riempirete completamente un mezzo foglio, con puntini.
Attenzione: i puntini, all'incirca, devono essere per met blu e per met gialli
(non puntini mezzo gialli e mezzo blu, ma, per esempio, 2435678 puntini gialli e
2435678 puntini blu, puntino pi, puntino meno); curate che non restino spazi
bianchi e che i puntini gialli non si sovrappongano a quelli blu e viceversa.
Otterrete una texture che non sar n gialla n blu, ma verde, ve lo giuro, e
questa la sintesi additiva.
Per ottenere, invece, una sintesi sottrattiva, dovrete coprire uniformemente un
altro mezzo foglio, prima con un colore e poi con l'altro: anche in questo caso,
otterrete - lo rigiuro - un verde, ma meno luminoso. Vi consiglio prove analoghe
con altri colori.

Gli Impressionisti, dunque, per far brillare il colore, usavano colori puri, i
Macchiaioli lo schiarivano col bianco. E qui c' un'altra differenza: gli
Impressionisti non contornavano le immagini (disegno) perch - dicevano - in
natura non esistono contorni; i Macchiaioli, invece, si, anche se non sempre.
Per tornare al problema del verismo, la realt degli Impressionisti era pi
vera, in quanto veniva espressa col supporto della razionalit della Fisica, ma
appariva meno vera (ai benpensanti, s'intende), in quanto il linguaggio utilizzato
(sintesi additiva e altro) non era altrettanto convenzionalizzato, cio conosciuto
come i linguaggi precedenti (ricordate i pittori accademici che dipingevano con
lo sfumato anche le figure in pieno sole?)
A dirla in breve e per riassumere: l'abitudine a impastare i colori e a schiarirli
col bianco dava alle immagini dipinte una corposit maggiore di quelle dipinte dagli Impressionisti che, per, davano alle loro immagini una luminosit
maggiore di quelle dipinte dai Macchiaioli che, per, davano alle loro immagini
un realismo convenzionale maggiore di quelle dipinte dagli Impressionisti che,
per, davano alle loro immagini...
Santodiobenedetto.

Capitolo 41
Qualcosa sul dottor Freud
Ricorderete certamente come alcuni artisti dell'Ottocento e dei primi del
nostro secolo, nauseati dai valori morali della vecchia Europa, cercassero rifugio
nella cultura degli uomini primitivi, studiandone, con molta attenzione, i
prodotti artistici (idoli, maschere, ecc.). Furono in molti a guardarsi dentro,
cercando un ritorno alla semplicit e alla fanciullezza.
Ma ci - si sa - non cosa facile, come dimostrano, ancor oggi, le bruttissime
villette in stile rustico disseminate nelle nostre coste: non si diventa semplici
con le finzioni, a comando; pare che la semplicit non sia un abito che si indossa
il sabato e si toglie il luned.
I Dadaisti capirono che non ci si poteva salvare, rifugiandosi tra i primitivi. E
si ribellarono, come abbiamo visto, in maniera clamorosa.
Altri, in un secondo momento (e fra questi la gran parte proprio dei Dadaisti),
cercarono nella scienza una risposta e credettero di trovarla nella psicanalisi, che
fa dello studio dei sogni una delle ragioni della sua esistenza.
Dagli scritti di Freud - che , come si sa, il padre della psicanalisi - appresero
che, quando il controllo della ragione attenuato, prevale negli uomini uno stato
infantile, primitivo, appunto.
Erano convinti che la ragione potesse darci la scienza, mentre l'arte doveva
nascere dall'irrazionalit, da una presenza meno vigile della ragione, che era
considerata una condizione indispensabile per creare qualcosa che andasse oltre
la realt, come siamo abituati a percepirla nelle sue apparenze.
Era, quindi, necessario porsi in stati mentali che favorissero l'emergere
dell'inconscio, cio di quella parte della psiche che resta sepolta sotto la
coscienza.
Alcuni di questi artisti sperimentarono liberamente l'uso degli stupefacenti,
proprio per favorire, sia pure in modo artificiale, condizioni adatte di
disinibizione.
Per capire quanto vi dico, dovete sapere che, secondo Freud, la psiche umana
composta di una specie di magazzino (l'inconscio), dove tutte le esperienze
vengono ammucchiate alla rinfusa, e di un magazziniere (l'Io, la coscienza) che
cerca di mettere ordine, come pu, s'intende, in questo grande guazzabuglio; e si
tratta, quasi sempre, di un magazziniere molto severo, che mette tutta la merce
in arrivo in scatole che talvolta chiude a chiave e che non raro si rifiuti di
aprire: anzi, di molte scatole dimentica persino l'esistenza: persino capace di
inventarsi un sosia, ma pi malandrino, pur di scaricare su di lui la
responsabilit per la sparizione di certa merce.
Un tipo strano, insomma, nevrotico, ecco, e anche schizofrenico, ma forse
anche un po' simpatico.
Durante il sonno, per, quando questo magazziniere meno vigile, le sue
scatole si aprono da sole e molta merce si combina in maniera strana, dando
forma ai sogni, dove la realt appare deformata, come tutti sanno, specialmente i
poeti.
Con tante scuse alle persone colte che arricciano il naso (ma io so che vi
informerete meglio, sul dottor Freud).

Intanto, vediamo di studiare uno di questi artisti che aderirono in pieno al


Surrealismo: si tratta di Salvador Dal nato nel 1904, spagnolo, che riusc a
darci una misura molto precisa, attraverso i suoi quadri, di quel clima culturale.

Fig. 19

Osservando l'opera che pubblichiamo (fig. 19), la prima immagine che salta ai
vostri occhi , probabilmente, quella di un viso umano, il ritratto di Voltaire;
siccome siete osservatori acuti, vi accorgerete subito, per, che i suoi occhi sono
formati da due visi.
A questo punto, il ritratto di Voltaire sparisce dalla configurazione, per
lasciare il posto ad altre figure umane pi piccole. Come avviene in sogno, se ci
pensate un momento, dove un'immagine si trasforma in un'altra, proprio per la
combinazione, forse, di quelle scatole misteriose che si aprono da sole e versano
il loro contenuto, mischiandolo in modo imprevedibile, sul contenuto di altre
scatole.
Vi confesso che, personalmente, non so fino a che punto quest'opera possa
essere considerata la rappresentazione di un sogno. Voi capite che dipingere un
sogno a occhi aperti, cio con la coscienza vigile, risulta perlomeno
contraddittorio.
Ma, tant': Dal un signore che vive talmente il suo ruolo di paranoico che,
incontrando Freud, gli chiese cosa pensasse del suo stato. E Freud, che queste
cose le sapeva bene, lod molto le sue doti di simulatore.
Il che ridimensiona molto la figura pittoresca di Dal, anche se non toglie
nulla alla sua opera con la quale, in ogni caso, ci mostra la sua capacit di fare
proprio un clima culturale, come si addice ai veri artisti che vivono in pieno il
loro tempo.

Capitolo 42
Lucio Fontana
Lucio Fontana (1899-1968) uno di quegli artisti che fanno saltare i nervi ai
cultori della Vera Arte, anche quando questi sono profondi conoscitori del gruviera. Sapete, l'immaginazione merce rara, cos non a tutti viene in mente che
il gruviera sia anche fatto di tanti buchi col formaggio intorno.
Dite la verit, state pensando che sono un burlone. Bene, state a sentire.
Altre volte vi ho detto che gli artisti hanno sempre dipinto ci che sapevano,
cio che hanno sempre utilizzati i codici linguistici degli artisti precedenti, per
apportarvi modifiche o anche per violentarli. Ormai, sapete tutti che proprio il
modo di modificare o di violentare i vecchi codici che distingue gli artisti tra
loro.
Ora, dovete sapere che uno dei piu grossi problemi affrontati dagli artisti di
tutti i tempi quello dello spazio, che non solo la ricerca di uno spazio dove
appendere i quadri, cio la parete di un collezionista, ma anche e soprattutto la
ricerca di criteri capaci di regolare la disposizione delle forme sulla superficie da
dipingere.
Per dirvene una, la prospettiva un criterio adottato per lungo tempo, a partire
dal Rinascimento, per fingere, su uno spazio a due dimensioni, uno spazio a
tre dimensioni.
Ma la prospettiva del Rinascimento non altro che una convenzione, alla pari
di altri criteri adottati in altri periodi e in altri luoghi: per esempio, i cinesi risolvevano i problemi dello spazio tridimensionale con la sovrapposizione dei
piani; i bambini, molto spesso, usano un tipo di prospettiva psicologica, dove
le dimensioni delle figure non indicano la loro disposizione nello spazio (una
figura grande, piu vicina, una piccola, piu lontana), ma il valore affettivo che
essi danno al personaggio rappresentato (una figura grande piu importante
di una piccola).
E non da dire che abbiano ragione i pittori del Rinascimento, pi dei
bambini o dei cinesi: si tratta di vedere a cosa serva utilizzare un criterio,
piuttosto che un altro e, soprattutto, cosa significhi in termini culturali.
Vi dicevo che gli artisti utilizzano codici tradizionali, per rapportarvi
modifiche o per violentarli. Il concetto facile da capire, ma non lo per niente
all'atto pratico, quando cio si tratta di applicarlo. La tradizione copre le spalle
con le sue regole, d senso di sicurezza e non facile farle violenza. Tant' vero
che tutti i pittori che imparano a far quadri come hanno imparato a cercare le
parole nel vocabolario, vi si adagiano con tutta tranquillit e si fanno crescere la
barba, sicuri del successo che possono riscuotere tra gli uomini bianchi che
fanno il fine settimana in Costa Smeralda.
Un fatto curioso, che avrete notato anche voi, che dopo un certo tempo i
codici violentati o modificati smettono di fare paura: ricordate le dispute degli
Impressionisti sul colore? In fondo, si trattava di questioni ragionevoli, eppure
suscitavano l'ira dei benpensanti.
Cosa c'entra tutto ci con Lucio Fontana? C'entra, c'entra. Anche nei confronti
dello spazio gli artisti si sono sempre scannati con polemiche e ricerche: lo
spazio bidimensionale, tridimensionale, mentale, vitale, utile, siderale, culturale,
curvo, chiuso, aperto, euclideo, relativistico, infinito, limitato.

Nessuno, prima di Lucio Fontana, s'era accorto che c'era spazio anche dietro e
intorno al quadro, tutti lo cercavano davanti, sulla superficie del quadro, schiavi
della finzione pittorica tradizionale.
Allora, cosa ti fa il Nostro? Facile: per mettere in evidenza questo fatto, buca
le sue tele.
Capito, ora, il discorsino sul gruviera? Le tele monocrome di Fontana, bucate
o squarciate da tagli, suggeriscono modi di concepire lo spazio che non hanno
pi nulla da spartire con la monotonia della bidimensionalit e con
l'illusionistica tridimensionalit finta dal disegno e dal colore chiaroscurale.
Ci dicono che la pittura tradizionale, quella fatta a cavalletto con tavolozza e
pennelli, se non proprio finita, sta per cedere il posto a un concetto di Arte pi
vasto, che comprende dimensioni urbanistiche, architettoniche.
Ci sono persone che, di fronte a un quadro di Fontana, per darsi arie, dicono
che quelle cose le sanno fare anche loro. Queste persone, quando hanno
imparato a costruirsi una radio a galena, si convincono di essere come
Guglielmo Marconi. .

Capitolo 43
I Futuristi
Come si sa, di notte tutti i gatti sono neri, tutti i quadri sono astratti, tutte le
compagnie sono cattive (specialmente dopo la mezzanotte), tutti gli artisti sono
un po' matti, tutti gli italiani sono suonatori di mandolino. Di notte.
Ai miei tempi, tutti i quadri non figurativi, se non erano cubisti, erano futuristi
o viceversa. E, in effetti, per chi non sa guardare, anche in pieno giorno questi
movimenti si assomigliano molto, come il cinese e il giapponese che a chi non
conosce queste lingue sembrano arabo.
In una cosa, comunque, tutti gli artisti e i movimenti di cui vi ho parlato
finora si assomigliano davvero: nella loro posizione critica , nei confronti
delle idee, dei valori dei linguaggi correnti.
Vi dico questo, per mettervi in guardia contro chi cerca di allettarvi, nelle
mostre d'arte, con soluzioni facili. L'arte una forma di conoscenza che va
conquistata faticosamente, non un dono che si riceve alla nascita.
Vada s che uno dei pi importanti insegnamenti che ci vengono dagli artisti
il diritto a non essere d'accordo. Neppure con loro, se il caso. L'importante ,
per, conservare un livello di conoscenza adeguato, senza il quale non possiamo
considerarci interlocutori validi.
E veniamo ai Futuristi che nacquero ufficialmente il20 febbraio 1909, con
un loro manifesto.
L'invocazione dei Futuristi alla violenza, l'invito al cinismo e al disprezzo piu pesanti di quelli rivolti dagli stessi Dadaisti - fu una risposta, tutto sommato,
civile al decadimento dei valori della cultura europea, se confrontata alla
risposta che a quegli stessi valori dettero, qualche decennio pi tardi, i fascisti in
Spagna e i nazisti in Europa.
un movimento, quello dei Futuristi, che per bocca di alcuni suoi esponenti
non lascia dubbi circa la chiarezza della impostazione ideologica. Soffici, per
esempio, dei deboli diceva che sono il fastidio, la lebbra, tutte le sporcizie e le
malattie dell'umanit, e come tali bisogna combatterli e annientarli. E sentite
cosa scriveva Papini (che per non era un pittore): Tutto nulla nel mondo,
tranne il genio. Le nazioni vadano in isfacelo, crepino di dolore i popoli, se ci
necessario perch un uomo creatore viva e vinca.
Siamo nel 1913 e mancano solo nove anni alla marcia su Roma. Non so se
capite cosa vuol dire conservare il diritto a non essere d'accordo.
Ma il Futurismo non solo questo. Il Futurismo anche ricerca appassionata
di una dimensione umana che la tradizione non riusciva pi a dare, in una
societ ormai resa diversa dalla rivoluzione industriale e dai fermenti sociali
che ne erano scaturiti.
Il Futurismo, pi che la morte di una cultura ammuffita, la nascita di una
coscienza nuova. Cardini di questa trasformazione erano, per i Futuristi, la velocit, la macchina, una coerenza dinamica non solo nell'arte ma anche nella vita.
Anzi, tipica del Futurismo - specialmente di Boccioni - fu l'impossibilit di
separare il pensiero dall'azione.
Vi dicevo che Futurismo e Cubismo, se visti superficialmente, si assomigliano
dal punto di vista linguistico. In realt, esistono notevoli differenze, non solo di
impostazione poetica.

I Cubisti, come sapete, affrontarono il problema dello spazio, sviluppando


le immagini, facendo in modo che i piani si ribaltassero, che il dietro, cio,
diventasse avanti o viceversa (pensate a una scatola di cartone smontata. Pi o
meno), utilizzando il colore come elemento unificante.
I Futuristi, invece, affrontarono il problema del dinamismo, per cui le loro
immagini non sono sviluppate come nei Cubisti, ma frantumate nei contorni,
come se si muovessero nel tempo, risultano sovrapposte e compenetrate, a
indicare la continuit del movimento.
Nei Cubisti, la verit risulta statica, nei Futuristi, un vero oggetto di
creativit dinamica.
L'importanza di questo movimento fu enorme, anche in campo internazionale.
Molti aspetti linguistici, come la forma plastica e la scrittura automatica, furono
riutilizzati da Dadaisti, Surrealisti e Cubisti.

Capitolo 44
Giorgio De Chirico
Se non lo sapete, oltre al riciclaggio dei dollari, dell'acqua industriale, della
pip degli astronauti, esiste - da tempo - il riciclaggio delle opere d'arte.
Alcuni riciclano le proprie opere, rifacendo - con lievi varianti - sempre la
stessa triglia al cartoccio; altri riciclano le opere degli altri, ma firmando col proprio nome; altri ancora firmano col nome dell'artista riciclato (si chiamano
falsari e incontrano gran successo soprattutto tra i polli).
Uno che ricicla le sue proprie opere, senza apportare variazioni, Giorgio De
Chirico, nato nel 1888, una specie di falsario di se stesso, che risponde con
coerenza e con la stessa ironia presente nei quadri riciclati, alla domanda del
mercato.
La coerenza sta nel fatto che, giudicando se stesso il massimo pittore (pictor
optimus), le sue opere sarebbero tutte definitive, eterne, da rifare, cio, tali e
quali. L'ironia sta nell'aver capito che giusto far pagar caro il privilegio di
possedere una copia di quelle sue opere per le quali divenuto importante e
conosciuto in tutto il mondo.
De Chirico il padre della pittura metafisica che , prima di tutto, una
reazione alle idee moderniste agitate dai Futuristi, un ritorno al classicismo,
alla tradizione.
Ma, attenzione: non si tratta di un ritorno alla triglia al cartoccio. Tanto per
intenderci, De Chirico veramente un grande artista e l'ironia di queste righe
solo un modo per rendere meno seriosa l'indagine sul suo genio. (Santodio,
Maestro, qui tutti Le vogliamo bene!) De Chirico, dunque, un conservatore,
ma un conservatore intelligente, di quelli che si pongono sul versante della
reazione come figura di primissimo piano, perfettamente al corrente di cosa
bolle in pentola, uno che capisce e sceglie con competenza. Ecco perch, con lui,
la triglia al cartoccio (cio l'incompetenza e l'ignoranza) non c'entra per niente.

Vediamo di smontarlo.
De Chirico dispone, come in una scena, immagini di oggetti (manichini,
squadre, ecc.) che hanno la funzione di evocare la realt.

Ma, gli oggetti come tali sono essi stessi una rappresentazione (un manichino
rappresenta una figura umana), quindi costituiscono un primo impedimento a
cogliere la realt ultima, non permettono di vedere oltre, ma solo di presentire.
Inoltre, l'organizzazione degli oggetti, all'interno della composizione, sfugge a
ogni logica e costituisce un ulteriore impedimento.
Un'opera d'arte - scrive De Chirico - deve raccontare qualcosa che non
appare nella sua figura esterna. E ancora: Perch un'opera d'arte sia veramente
immortale deve uscire completamente dai confini dell'umano: l'intelligenza
media e la logica le nuocciono.
Tutto ci pensato molto lucidamente da De Chirico ed anche per questa
sua lucidit che egli si distacca dai Surrealisti i quali, come sapete, cercavano il
recupero della realt, attraverso la messa in subbuglio dell'inconscio.
Le esperienze linguistiche che caratterizzarono l'avanguardia storica, alla
disperata ricerca di dimensioni diverse, sono assenti nella pittura di De Chirico
che, invece, impiega con grande perizia modi classici, senza per questo
manifestare cadute espressive. Anzi: le sue architetture, per esempio, riescono
a produrre un senso angoscioso di inabitabilit, di vuoto spettrale.
La frantumazione della composizione, l'inserimento intricato di sfere, scatole,
squadre, ecc., pi che richiamare modi compositivi del Cubismo o del
Futurismo, ne sono la parodia, espressa con quel senso sottilissimo dell'ironia
che una delle componenti principali della sua arte.

Capitolo 45
la cosiddetta democrazia
Prima di presentarvi gli artisti venuti dopo la fine della seconda guerra
mondiale (che sono i protagonisti delle vicende culturali pi significative dei
nostri giorni), vorrei raccontarvi molto brevemente cosa avvenne, in Italia,
durante il ventennio fascista.
presto detto: non avvenne nulla di rilevante, a parte il fatto che il nostro
Paese fu avvolto nel buio pi nero e, non poche volte, riusc a coprirsi di
ridicolo.
Studiando il Futurismo, che fu un movimento eccezionalmente denso di
fermenti culturali, avrete rilevato come molte delle sue contraddizioni potevano
favorire (come favorirono) un'arte di regime, cio l'utilizzazione dei linguaggi a
fini propagandistici.
I Futuristi, prima del fascismo, cercarono obiettivamente di rompere il cerchio
di una cultura degradata e ammuffita, ma erano confusi: parlavano di internazionalismo, ma avevano nel cuore la grandezza del genio italiano; parlavano di
rivoluzione, ma avevano il cuore pieno di patriottismi di provincia; parlavano di
morte della cultura borghese, ma nel cuore avevano la macchina, cio l'industria.
Insomma, furono un movimento aperto sia a sinistra che a destra.
Da noi, col fascismo, sopravvisse nella componente pi reazionaria, in Russia,
invece, si caratterizz per uno spirito rivoluzionario di sinistra.
Nacquero dei raggruppamenti (Valori Plastici, No- vecento, Strapaese) che si
distinsero per una marcata avversione per tutto ci che era moderno.
Bisogna dire che tutto avvenne senza il ricorso alla repressione nei confronti
degli artisti che non si allinearono col regime. Essi furono lasciati abbastanza in
pace e poterono lavorare con una certa tranquillit.
Il fatto che le idee ristagnavano in fondo alla valle, nel senso che i contatti
con l'esterno, con ci che stava oltre i monti, erano stati completamente interrotti
e i pochi artisti non allineati riuscirono ad esprimere solo deboli dissensi di tipo
morale. Per essi, l'Europa con i suoi fermenti era solo un fantasma, un mito, non
una concretezza storica.
A quei tempi, nei libri di scuola, la democrazia veniva chiamata la cosiddetta
democrazia. Il massimo della realizzazione umana avveniva attraverso
l'esaltazione dell'individuo nei suoi aspetti pi brutali e ridicoli di forza fisica, di
virilit, di disprezzo dei deboli, nel culto lugubre della morte intesa come
sacrificio e catarsi. Una cosa grigia, avvilente, grottesca.
Se pensate che il massimo della genialit (col permesso dei tedeschi,
s'intende) era considerata quella italica, e se pensate che, fra gli italici, c'erano i
meglio e i peggio, e, fra i primi, c'era il meglio di tutti, cio Mussolini, era
regolare che uno scultore di regime, Ferruccio Vecchi, lo rappresentasse, in una
scultura, nel modo che ora vado a descrivere: su un piedistallo, un testone senza
collo del duce, truce e arrabbiato come sempre, col cranio spaccato come un
uovo di pasqua, da cui fuoriusciva - sorpresa! - ancora lui, il duce, nudo,
gemello di Nembo Kid, con tutti i suoi bei muscoli stereofonici, la spada levata
al cielo dove era fitto lo sguardo truce e arrabbiato come sempre. Titolo: Idea
dell'impero che balza dalla mente dell'uomo.

Voi capite, che, in questo clima, riuscire a conservare un ideale europeo,


riuscire, cio, a non lasciarsi sommergere dal provincialismo, dalla sottocultura,
dal cattivo gusto, insomma a non coprirsi di ridicolo, non era cosa da niente.
E, difatti, salvo i Sei di Torino (1929) il gruppo di Corrente (1938-43) e
pochi altri isolati, gli artisti confluirono in un raggruppamento chiamato Novecento, attraverso il quale il regime cerc di realizzare un'arte fascista, con
risultati del tipo descritto.
Gli spazi culturali, dunque, erano molto ridotti e la resistenza dei non
allineati col regime si limitava a un lavoro di ricerca formale.
Solo gli artisti di Corrente, tutti impegnati politicamente, si posero il
problema non tanto di ricuperare gli anni perduti, alla conquista di un
rinnovamento linguistico (erano tutti su posizioni impressioniste e
postimpressioniste), quanto di caricare di impegno la loro arte.
Essi, cio, non tenevano in gran conto le polemiche formali, ma preferivano
considerarsi persone capaci di calarsi nella realt, per coglierla nei suoi aspetti
politici.
Avevano capito che la fine del fascismo, in Italia, era ormai vicina (siamo
intorno agli anni quaranta) e si preparavano ad accelerarne il processo.
-

Capitolo 46
Gruppi del dopoguerra
I problemi che gli artisti italiani del dopoguerra si posero sono gli stessi
problemi che, ancor oggi, molti artisti e amatori di provincia si pongono.
Perch di provincia? Di provincia, perch gli artisti piu notevoli, in Italia,
hanno superato da tempo il periodo di rianimazione vissuto nell'immediato
dopoguerra, mentre si sa che la provincia assorbe con ritardo certi processi
culturali.
Ancor oggi, i quotidiani riportano interventi precolombiani di vecchi santoni
che teorizzano sull'antinomia astratto-figurativo, mentre accadono, nel mondo
della cultura, cose di cui, come al solito, si accorgeranno fra trent'anni. Pazienza.
Vi dicevo del periodo di rianimazione, vissuto, in Italia, nell'immediato
dopoguerra, dagli artisti migliori di allora. Ebbene, proprio di rianimazione si
trattava, perch, come sapete, il fascismo riusc a rendere asfittica la cultura
italiana e, finita la guerra, si pu dire che, per respirare un po' d'aria pura, venne
il fiatone a tutti, in una stupenda corsa al recupero del tempo perduto.
Com' logico, si formarono dei raggruppamenti (Forma, Fronte nuovo
delle Arti, ecc.) dove emersero ben presto posizioni eterogenee, a volte contrastanti, ma in una comune visione antifascista dei problemi della cultura. Si
trattava non solo di riguadagnare il tempo perduto, ma anche di dare forma alle
posizioni critiche che avevano caratterizzato Corrente.
L'Europa non era pi un fantasma, un mito di libert e di felicit. L'Europa era
diventata una realt storica: solo che a nessuno appariva libera e felice, come nei
sogni fatti durante il fascismo.
Tutta l'arte degli ultimi cinquanta-sessant'anni fu rivissuta criticamente, la
cultura europea non fu considerata solo come punto di riferimento, ma fu vista
soprattutto come problema.
Bisognava andare oltre certi punti fermi posti dagli artisti dell'avanguardia
storica. Le linee di tendenza pi rilevanti si attestarono su posizioni
espressioniste da una parte, e astratte dall'altra. La prima riuniva artisti che si
ponevano il problema di un realismo che non fosse inteso come naturalismo
ma, anzi, come il suo contrario.
Questi artisti, cio, non intendevano rappresentare la realt, non volevano
registrarne una sua visione verosimigliante, ma essere partecipi in prima persona
della vita del loro tempo. Essi rifiutavano di fare solo da testimoni e preferivano
intervenire attivamente, per incidere nella realt.
Questo loro impegno comportava, naturalmente, l'adozione di un
linguaggio adeguato che fu, come vi dicevo, quello espressionista che
permetteva, in modo efficace e immediato, di realizzare una comunicazione con
le masse popolari che erano le naturali protagoniste dei loro temi.
L'artista-guida, per molti di questi pittori, fu il Picasso di Guernica che
un grande quadro che rappresenta la cittadina spagnola bombardata, durante la
guerra civile, dai tedeschi, dipinto nel 1937.
L'altra linea di tendenza, cio quella astratta, comprendeva un nutrito gruppo
di artisti che cosi scrivevano, in un loro manifesto del 1947: Noi ci proclamiamo formalisti e marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo
non siano inconciliabili, specialmente oggi che gli elementi progressivi della
nostra societ debbono mantenere una posizione rivoluzionaria e
avanguardistica e non adagiarsi nell'equivoco di un realismo spento e

conformista che nelle sue pi recenti esperienze in pittura e scultura ha


dimostrato quale strada limitata e angusta esso sia.
Come vedete, si trattava di modi di partecipazione alla vita culturale diversi.
Ma erano diversi solo nell'impostazione poetica, mentre erano analoghi
nell'impegno e nel taglio politico. Tant' vero che artisti di diversa
impostazione confluirono in un raggruppamento chiamato Fronte nuovo delle
arti dove, naturalmente, i contrasti non arrivarono mai a conciliarsi e dove,
comunque, ci che li teneva uniti era lo spirito della Resistenza.
Se, ancora, non avete ridotto sul lastrico la zia, sfruttate senza scrupoli il
debole che ha per voi, succhiatele ogni risparmio, convincetela a vendere il
corredo da sposa, fate in modo che risparmi sul cibo e sul telefono, che rinunci
alle spese voluttuarie, che impegni l'orologio e fatevi regalare libri su Accardi,
Attardi, Consagra, Dorazio, Perilli, Turcato, Prampolini, Birolli, Cassinari,
Guttuso, Morlotti, Vedova, Santomaso.
Sono i protagonisti delle vicende che vi ho appena raccontato.

Capitolo 47
Georges Mathieu
Gli artisti di cui vi ho parlato finora avevano in comune un atteggiamento
quanto meno critico, nei confronti dell'arte del passato. Tuttavia, gli strumenti
linguistici di cui si servivano, in un modo o nell'altro conservavano un qualche
collegamento con l'arte classica: c'era il gusto della bella materia, il gusto dell'accostamento dei colori secondo criteri tradizionali, il gusto della
composizione.
Gli artisti piu significativi che vengono dopo la seconda guerra mondiale,
come vedremo, tagliano definitivamente i ponti col passato, anche se, talvolta,
permangono tenui legami con alcuni movimenti della cosiddetta avanguardia
storica.
Molti degli strumenti d'analisi che vi ho proposto finora risultano
insufficienti, se non inutili, per la comprensione degli artisti di oggi. Spero,
comunque, che, alla gran parte di voi siano serviti a superare (sempre che lo
aveste) quell'atteggiamento di non accettazione e di insicurezza che caratterizza
chi, stando fuori dai problemi dell'arte, finisce col viverli con mentalit
conservatrice.
Devo precisare che superare l'atteggiamento di non accettazione non significa
disporsi ad accettare tutto, purch sia moderno: significa, invece, superare le
prevenzioni, fare attenzione a ci che avviene, valutarne le cause, prenderne
atto, riservandosi, s'intende, il diritto a non essere d'accordo.
L'importante capire e, per capire, indispensabile appropriarsi di un
minimo di strumentazione critica.
L'artista di cui vorrei parlarvi si chiama Georges Mathieu ed un gestuale o,
se preferite, un segnico. nato nel 1921.
Tenetevi saldi, perch si va sul difficile. Le configurazioni che emergono
dalle opere di Mathieu rimandano ai gesti che egli ha compiuto, per eseguirle.
Questi gesti - che sono, per esempio, quello di spremere il colore direttamente
dal tubetto sulla tela - producono dei sgni che, evidentemente, non vogliono
rimandare a un progetto che precede l'opera.
Questi segni, per dirla con i linguisti, sono dei significanti che precedono il
significato. E qui, se ancora non avete mangiato il libro, scendo dalla cattedra,
cercando di non inciampare.
I linguisti distinguono tra significante e significato, il che - ridotto in
soldoni - vuol dire che bisogna fare attenzione a non confondere, come facile
che avvenga, un oggetto (significato), con la parola che lo indica
(significante). Nell'arte contemporanea, questa distinzione importantissima,
perch - diversamente dal passato - molto spesso all'interno dei meccanismi
linguistici che va cercato il messaggio artistico.
Nel caso di Mathieu, noi non dobbiamo cercare di organizzare mentalmente i
suoi segni, per scoprirvi delle immagini (significanti) di oggetti
(significati), ai quali l'artista pensava prima di eseguire l'opera.
Egli si dispone al suo lavoro, con la mente sgombra di queste finalit e cerca,
invece, di fissare, con segni rapidissimi e improvvisati, un suo comportamento
molto elementare.
Cosa sono, in realt, questi segni? Sono il risultato finale di un insieme di
gesti che si producono per la fusione armonica di pi componenti: pressione

delle dita sul tubetto del colore, posizione della tela, inclinazione del braccio,
pi - s'intende -la situazione psicologica del momento.
Come vedete, non si tratta di qualcosa di difficile e di incomprensibile, come
molti credono. Tutto diventa facile, quando si scoprono le chiavi di lettura
adeguate.

Capitolo 48
Gli Informali
Tutti hanno momenti di sconforto e di rinuncia. Anche gli artisti, anzi
soprattutto. Solo che, quando questi stati d'animo sono vissuti da loro, se ne
parla nei giornali e, a volte, nei libri, per dire che, per la societ, le cose non
vanno bene.
Non che tutto ci non possa essere avvertito anche dalle persone normali.
Ma che volete, quali giornali pubblicherebbero mai la notizia che i signori Pibiri
Eraclio e Cuccuru Efisio, sentendosi sconfortati, hanno deciso di rinunciare a
impegnarsi?
Gli artisti, invece, conservano ancora una certa credibilit e poi - bisogna
ammetterlo - sanno essere convincenti e sanno attirare l'attenzione.
Prendete gli Informali: sono nati in un periodo in cui la coscienza
dell'incapacit individuale di incidere nella realt era diventata tanto lucida
quanto rassegnata.
E non che non ci fossero i motivi: il mondo diviso in blocchi, determinato,
nelle scelte, da poche, pochissime persone, la cui potenza non ha mai avuto
eguali nella storia dell'umanit; la guerra nel Vietnam, molto lontana dalla sua
conclusione, che, ancora, non aveva dimostrato al mondo come solo i progetti di
molti individui uniti in una lotta comune possano risultare vincenti, mentre,
spesso, i progetti di individui isolati non riescono a muovere il mondo di un solo
millimetro.
Dunque, la decisione, da parte di questi artisti, di rinunciare ai progetti che, in
termini di pittura, significa rinunciare a qualunque collegamento con l'arte del
passato, che tenga conto della composizione, della forma, appunto, del colore
disposto secondo gli schemi conosciuti, insomma, di tutto quanto concorre a
mettere a punto le cose, secondo progetti precostituiti o anche elaborati durante
l'esecuzione dell'opera.
Voi direte: come si fa a produrre un'opera, senza tener conto, anzi rifiutando,
ogni tipo di grammatica?
Un atteggiamento di tipo informale dove, cio, la progettazione era assente,
era tipico di certi dadaisti, con la scrittura automatica. Molto pi chiaramente
l'abbiamo visto in Mathieu.
Gli Informali sostituirono al progetto il caso. Essi sapevano che il caso,
determinato da leggi sue proprie, non controllabili dall'uomo se non a posteriori,
aveva la capacit di ricuperare un certo ordine.
Uno di essi; Jackson Pollock (1912-56), affidava a barattoli di pittura bucati e
appesi a ondeggiare a un filo l'esecuzione delle sue opere. evidente che l'artista non era in grado (n ci teneva) di prevedere con esattezza il comportamento
dei barattoli; sapeva, per, che essi avrebbero ondeggiato diversamente, a
seconda della lunghezza del filo e sapeva che il colore si sarebbe disposto sulla
tela sottostante, a seconda della sua fluidit e dell'altezza del barattolo.
All'inizio di questo libro vi suggerivo degli esperimenti con la sabbia. Chi li
ha fatti avr notato che una manciata di sabbia, lanciata contro una tela cosparsa
di colla, si dispone in un certo modo che dipende dalla capacit della colla di
tenere i granelli, dalla violenza del lancio e chi sa da quanti altri fattori.
Sono modi passivi di porsi di fronte alla realt, che non riguardano,
ovviamente, solo gli artisti. Anzi, diciamo che gli artisti diventano emblematici

di tali modi di comportamento che esprimono con la forza dirompente che viene
loro dall'uso del mezzo artistico.
Quante persone non rinunciano a progettarsi una esistenza, convinte come
sono che, tanto, verranno determinate da eventi esterni a loro? Quante persone
non accettano passivamente una vita squallida, rassegnate ad accettare dal caso,
e solo dal caso, i mutamenti che verranno? Cosa sono le grandi lotterie
nazionali, se non la rinuncia a credere nella possibilit concreta di realizzarsi
con le proprie iniziative individuali, cio con la messa in opera di progetti?
Vi invito a riflettere su queste cose e vi ricordo che importante conservare il
diritto a non essere d'accordo.
Mi sembra superfluo rilevare come, una volta di pi, gli artisti - anche gli
Informali, con le loro rinunce - ci offrono sempre motivi di riflessione e di
studio, che non riguardano solo la loro pittura, ma anche la nostra esistenza.

Capitolo 49
La Pop-art
A New York lo smog uccide i fiori, eppure, nelle aiuole di questa citt essi
non mancano mai: li mettono di plastica, gi sbocciati e senza rispetto dei cicli
stagionali. L'America un paese dove le autostrade sono percorse da tubi che
trasportano cocacola (i cocacoladotti) e dove la televisione trasmette tutto, ma
tutto davvero.
un paese dove la pubblicit l'anima di ogni cosa e non solo del
commercio, dove si lanciano le astronavi, si mastica chewingum, si possono
cacciare i presidenti, si aggiungono le braccia alla Venere di Milo.
Un paese molto diverso dal nostro, tanto diverso che non facile, per noi che
distinguiamo ancora una bistecca alla brace da un disco microsolco,
comprendere a pieno tutto il valore dirompente della Pop-art.
L'America, pi di ogni altro paese, ha assorbito profondamente tutti i
condizionamenti che derivano dai mezzi di comunicazione di massa, dalla
pubblicit, dal consumismo, dalle tecnologie avanzate.
Li ha assorbiti, nel senso che li vive - ma non si sa se in piena consapevolezza
- articolando tutti i valori, attraverso modelli che coincidono perfettamente col
sistema socio-economico che la caratterizza: se a un americano fai un
complimento per la sua cravatta, prima ti ringrazia e poi ti dice quanto costa.
Per questi motivi, solo in un paese come l'America poteva nascere e
svilupparsi quella grande corrente artistica che si chiama Pop-art. Gli artisti che,
negli anni sessanta, le dettero vita si chiamano Raushenberg, Dine, Oldenburg,
Segal, Rosenquist, Lichtenstein e Warhol.
Quest'ultimo dipingeva moltissimi fotogrammi della stessa immagine (per
esempio, una bottiglia di cocacola), per mettere in evidenza proprio la mancanza
di significato dei gesti uguali e ripetuti; Rosenquist, su enormi tele, dipingeva le
cose pi banali e di uso comune (per esempio, un sandwich), al pari di Oldenburg che plasmava, col gesso colorato, cibi immangiabili; Lichtenstein
ingrandiva parti di fumetti; SegaI scolpiva col gesso immagini umane al
naturale, bloccandole negli atteggiamenti pi banali.
Come avrete capito, c', nel fondo, un certo atteggiamento dadaista (ricordate
Duchamp e gli oggetti spostati?) e, infatti, inizialmente, questo movimento fu
chiamato New-dada.
Ma l'aspetto piu caratterizzante di questo movimento il desiderio degli artisti
che vi fanno capo di recuperare una dimensione meno individuale e pi legata a
condizioni comuni all'uomo della strada.
Una condizione oggettiva, che riguarda tutti, l'ambiente urbano
disumanizzante, caratterizzato da infiniti segnali pubblicitari che invitano e
costringono a un consumo vertiginoso di beni di tutti i tipi. Manipolatori di
questa condizione sono i mezzi di comunicazione di massa che determinano, con
tecniche raffinate, gli orientamenti e le scelte.
Questi artisti, con le loro opere, oltre a un recupero estetico di oggetti che la
quotidianit aveva reso banali, tentavano proprio - attraverso l'uso di un
materiale linguistico non dotto ma volgare - un rivolgimento di significati, che
denunciasse l'assenza di carica umana, nei rapporti tra le persone. Una denuncia
che aveva lo scopo di mettere a nudo i meccanismi che determinano le scelte dei
valori, in una societ che basa il suo benessere materiale sul consumo forsennato
di tutto, anche dei beni culturali, anche dei sentimenti.

Un esempio di questo tipo di consumo: i reportage piu crudeli e violenti sulla


guerra in Indocina furono trasmessi proprio dalle emittenti americane, per intervallati da messaggi pubblicitari.
In tal modo, si produceva una riverberazione reciproca dei due tipi di
messaggio: la pubblicit appariva vera quanto il reportage e quest'ultimo
inverosimile quanto la pubblicit.
(A proposito di quei reportage, la nostra televisione non li ha mai trasmessi,
ma la pubblicit, s. Ce li far vedere, quando il tempo avr appiattito tutto, e in
modo che i bambini, nelle ricerche di scuola, scrivano che a sparare sui VietCong erano i tedeschi).

Capitolo 50
LOptical-art
Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. La storia dell'arte di questi ultimi
trent'anni costellata di movimenti e artisti che si contrappongono per
impostazione poetica. Un po' una questione di mercato che spinge a consumare
sempre pi anche prodotti artistici, un po' - s'intende - una questione culturale.
All'atteggiamento passivo degli Informali, ma anche alla posizione assunta
dalla Pop-art, si contrappone un movimento chiamato Op-art ( l'abbreviazione
di Optical-art).
Cos'era successo? Era successo ci che inevitabilmente doveva succedere, e
cio che a chi rinunciava a progettare (riguardatevi gli Informali) doveva opporsi chi, invece, individuava nel progetto il recupero della razionalit.
Tanto per capirci, vi ricordo che progettare un'opera significa pensarla
prima, cio immaginarne tutti i passaggi, aiutandovi - magari - con qualche
schizzo o qualche calcolo. Tutto ci - ovvio - comporta l'uso della razionalit.
Insomma, si riprese in mano la squadretta (ricordate? la usava anche
Mondrian), ma si cercava, nella progettazione, l'aiuto della scienza.
Devo subito dire che, quando gli artisti si affidano alla scienza, combinano
sempre dei pastrocchi, nel senso che gli scienziati manifestano solitamente una
rispettosa diffidenza circa la scientificit dei loro prodotti artistici. Ma
dev'esserci una buona stella che vigila sugli artisti, perch, nonostante i
pastrocchi e le sbandate, la cultura e l'immaginazione ne sono sempre venute
fuori arricchite, con vantaggio - si sa - anche degli scienziati.
Il problema degli Optical era quello di studiare i meccanismi della percezione,
all'incirca gli stessi che abbiamo visto nella seconda parte di questo libro.
Per far questo, per, avevano necessit di semplificare al massimo le forme da
utilizzare nelle loro opere.
Infatti, utilizzare forme semplici era indispensabile per evitare il rischio di
complicare la loro ricerca. Voi capite: quando in un quadro giocano troppe
cose (forme diverse, colori, ecc.) pi difficile rendersi conto, per esempio,
del perch di certi effetti.
Ecco perch la gran parte di questi artisti si servirono di forme-base
elementari, come dischetti, quadratini, righe, ecc., che ripetevano moltissime
volte nella stessa opera (iterazione), organizzandole secondo strutture molto
semplici e, spesso, inserendo - come elementi determinanti - il movimento e la
luce (in questi casi, si tratta pi propriamente di arte cinetica).
Dicevo che c' chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Anche fra gli Optical.
C'erano quelli che, per impostare la ricerca, si facevano aiutare dagli studi
condotti da una scuola di psicologia, e c'erano quelli che si riferivano agli studi
di un'altra scuola.
Non che ce ne fossero tantissime di queste scuole. Anzi, ce n'erano poche
(le piu importanti erano la scuola Gestaltica - detta anche della Psicologia della
Forma - e quella Transazionale). Solo che partivano da impostazioni diverse e, a
volte, contrastanti.
State tranquilli, cercher di farvi capire. Tutte queste scuole in comune
avevano il rigore del metodo scientifico. Vale a dire che tutte le loro ipotesi
venivano dimostrate con esperimenti controllabili e ripetibili, come avviene con
tutti gli esperimenti della Fisica.

Solo che - trattandosi di studiare il funzionamento del cervello, servendosi del


cervello, ed essendo sempre il cervello che imposta i problemi - facile capire
come sia difficile mettersi d'accordo gi prima di affrontare i problemi.
Chi sa se mi sono spiegato. Vi faccio una domanda: secondo voi la capacit di
staccare una figura dallo sfondo nasce con l'uomo, oppure la si apprende,
facendo esperienze? Per quanto ne so io, si pu rispondere tanto in un modo che
nell'altro: ci sono prove scientifiche che dimostrano la validit di entrambe le
ipotesi.
su impostazioni cos contrastanti che due scuole (quella Gestaltica e quella
Transazionale) si sono polemicamente contrapposte, con artisti che - impastrocchiandole - vi si sono affiancati.
Per i Gestaltici esiste una perfetta corrispondenza tra forme fisiche e forme
mentali. Detto piu in soldoni, vuol dire che alla forma di un piatto da cucina, ne
corrisponde una che gi catalogata nella nostra mente, che non , certamente,
la stessa forma del piatto, ma una forma-base capace di rappresentarla. Con una
parola difficile, questo concetto si chiama isomorfismo, diamoci un po' di arie.
I Gestaltici hanno definito con cinque leggi (le leggi sulla pregnanza, altre
arie) i meccanismi che regolano la percezione delle forme.
Ve ne parlavo da qualche parte, a proposito di una di queste leggi, la legge del
destino comune, dove vi invitavo a disegnare, sovrapponendoli, un cerchio, un
quadrato e un triangolo.

Capitolo 51
Gli Iperrealisti
possibile che l'immagine di un oggetto appaia piu vera dell'oggetto
stesso?
Gli Iperrealisti fanno quadri e sculture che ci dimostrano che ci possibile.
Molte persone, vedendo le loro opere, restano letteralmente sconvolte.
Vediamo di capire. Leggete adagio e fate molta attenzione.
Devo partire da lontano, invitandovi a verificare cosa succede se, dentro un
barattolo da 1 chilogrammo di vernice rossa, versiamo una goccia di vernice
bianca. La logica ci dice che otteniamo un rosso piu chiaro.
Per, se confrontiamo - a occhio - il colore ottenuto, con lo stesso colore dove
non sia stato aggiunto del bianco, ci sar impossibile notare differenze.
Allora, proviamo a versare due gocce, e poi tre, quattro e cos via, finch non
saltiamo la soglia, cio finch non riusciamo a vedere diversi i due colori.
Perch questo esperimento? Perch ci dimostra come il nostro cervello
selezioni un numero limitato di segnali, fra gli infiniti che colpiscono i nostri
organi di senso.
Riflettete su questo punto: esistono infinite gradazioni di rosso, eppure noi
riusciamo a coglierne solo un numero limitato. Come mai? evidente che
l'esperienza gioca un ruolo fondamentale ed evidente che i condizionamenti
dell'esperienza finiscono con l'essere pi o meno - simili per tutte le persone
che vivono in una medesima realt percettiva.
Per esempio, gli eschimesi - che vivono fra i ghiacci - sono capaci di
percepire differenze molto sottili fra bianco e bianco. Sappiamo che chiamano
questo colore in quattro modi diversi.
Una caratteristica peculiare della nostra civilt la straordinaria quantit di
immagini che ci circondano: manifesti, giornali, cinema, televisione, fotografie,
ecc.
Vediamo di capire in che modo tutto ci condiziona la nostra percezione,
esaminando le immagini a colori riprodotte sui giornali. Esse nascono da una
diapositiva i cui colori sono ottenuti dalla combinazione di tre colori principali.
Si sa che, dopo una breve esperienza, tutti i fotografi sono in grado di
distinguere una marca di pellicola da un'altra, e questo significa che la
formazione dei colori condizionata dalla scelta che ciascun fabbricante ha fatto
dei colori principali (per esempio, un certo tipo di rosso fra i tanti possibili).
Al momento della stampa, questa diapositiva viene selezionata, cio si
separano i colori principali, ottenendo tre clich diversi, uno per ciascun colore.
E cos, abbiamo da fare i conti con i colori della stampa, per cui l'immagine
finale (quella del giornale) si allontanata molto dall'immagine iniziale (quella
della realt).
Pensate a come vediamo un riflesso di luce sul parabrezza di una macchina e
a come lo vediamo rappresentato in un'immagine stampata: la luce viene finta
dal bianco della carta! C' una bella differenza, non vi pare? Eppure, a noi
sembra ugualmente molto realistica.
Ma, ci che crea turbamento e che sembra incredibile che questo modo di
vedere, cio l'accettazione di questo codice (bianco della carta, uguale luce) ci
condiziona a sua volta, quando osserviamo la realt vera. Una specie di
boomerang che ci colpisce di ritorno.

Chiedetelo alla zia: vero che, quando le fanno i complimenti sulla vostra
bellezza, tira fuori dalla borsetta la fotografia del vostro primo anno di scuola,
col fiocco rosa e la carta geografica dell'Italia in rilievo?
Scommetto che avete gi intuito la poetica degli Iperrealisti.
Non lasciatevi ingannare da chi li confonde con i cosiddetti pittori figurativi
che curano tutti i particolari delle immagini, ma si riferiscono ai codici del
passato (le ombre, la luce, la composizione, ecc.).
Gli Iperrealisti utilizzano con molta cura i codici che provengono dai mezzi
meccanici, come la fotografia, la stampa, ecc. Quindi, per esempio, il colore
quello dei rotocalchi, la composizione il taglio tipico delle fotografie e cos
via.
Noi vediamo le loro opere piu reali del reale, perch ci ripropongono le
immagini alle quali ci siamo abituati (che ci hanno condizionato), in quanto ne
siamo letteralmente sommersi.
Inoltre, per eseguirle, gli Iperrealisti spesso si servono di un proiettore per
diapositive e, nel riprodurre le immagini col pennello tengono conto solo di
quegli elementi percettivi che sono comuni a tutti, escludendo quelli che
determinano disturbo.
Cercher di farmi capire meglio. Se noi fotografiamo tutte le prove di colore
che vi ho suggerito all'inizio del capitolo, otteniamo delle diapositive che prima di tutto - non ci ridanno lo stesso rosso e poi, nel confronto fra una
diapositiva e l'altra, ci ritroviamo imbarazzati perch, per un certo numero di
esse, non siamo in grado di percepire differenze. Cos finisce che, per tutte le
diapositive che ci sembrano eguali, noi decidiamo di dipingerle con lo stesso
colore.
Insomma, nel dipingere un'immagine con l'aiuto del proiettore, si eliminano
tutte le sfumature impercettibili e in questo modo l'immagine ottenuta risulta pi
facile e, quindi, con una carica di persuasione maggiore.
Ora, andate con la zia alla Pinacoteca comunale e chiedete che vi mostrino
qualche opera iperrealista.
Vi diranno che non ce ne sono. Allora, andate dal Sindaco (che cura anche la
crescita culturale dei giovani) e chiedetegli un biglietto per andarle a vedere in
America.
Poi, speditemi una cartolina. Iperrealista, s'intende.

Capitolo 52
La Land-art
Che gli artisti ficchino il naso dappertutto, per disturbare la tranquillit della
brava gente, una delle prime cose che abbiamo appreso, durante la nostra corsa trafelata attraverso i movimenti artistici degli ultimi cent'anni.
Secondo me, non lo fanno per cattiveria. Anzi, da dire che, pi sono grandi
come artisti, e maggiore la loro carica umana, il loro amore per la vita, la loro
semplicit.
Allora, perch questa tendenza a mettere in crisi tutto e tutti? Il fatto che gli
artisti non sono mai persone banali, nel senso che si sentono sempre spinti da
una forte curiosit per tutto ci che contraddittorio, non codificato. Sono
persone che dubitano sempre di quanto viene dato come definitivo, soprattutto
sono persone capaci di far muovere i pensieri secondo percorsi insoliti.
Prendete la storia dell'ecologia. Sono secoli e secoli che le persone banali
ripetono, con un certo orgoglio, che l'uomo il dominatore della natura. Ora, voi
potete metterla come volete, ma dominare vuol dire farla da padroni, cio
esercitare pesantemente il potere, senza rispetto per il dominato. E infatti, tutti
sanno che la natura sta uscendo molto provata dal dominio dell'uomo, con i
fianchi a pezzi o - come si dice anche nei libri di scuola, ormai - degradata.
Gli artisti hanno ficcato il naso anche in questo problema e, naturalmente, non
lo hanno fatto dipingendo bellissimi paesaggi e bellissime melanzane. Lo hanno
fatto con interventi nella e sulla natura, e non certo con finalit ornamentali.
Un artista dal nome impegnativo, Christo, impacca interi promontori, spiagge,
vallate, chiese, mura antiche (avete capito bene: li avvolge con grandi fogli di
plastica e li lega. Fatelo anche voi: impaccate le ville stile mediterraneo delle
nostre coste); un altro artista, Heizer, effettua grossi spostamenti di terra con la
ruspa; un altro, Oppenheim, esegue grandissimi disegni su un fiume gelato.
Questi interventi (Land-art) vengono quasi sempre eseguiti su grandi spazi e
non mirano certo a esaltare l'uomo come dominatore della natura: tendono, invece, a promuovere una presa di coscienza nei confronti degli equilibri naturali che
l'uomo, fiero e orgoglioso del suo potere di dominatore impazzito, sta rischiando
di rompere in maniera definitiva e irreversibile.
Era naturale che questo problema venisse avvertito dagli artisti i quali sanno
benissimo che intervenire nelle vicende umane con modi inconsueti, cio fuori
dalle logiche correnti, fa scattare meccanismi razionali meno scontati e
prevedibili.
Fare una buca nel terreno e riempirla con terra proveniente da un altro luogo
pu sembrare una cosa senza senso, perch non risponde a nessun fine
utilitaristico. Ma proprio la mancanza di una logica comune che costringe a
riflettere e a recuperarne un'altra, di logica, magari meno utile a chi ha
interesse a conservare le cose come stanno.
Forse, non chiaro: un'operazione semplicissima come quella di riempire una
buca, con terra diversa, ci d una misura simbolica molto elementare di ci che
l'uomo pu fare per trasformare la natura. Ma nel momento in cui non ne
comprendiamo immediatamente le ragioni, la prima riflessione che facciamo
mira proprio a cercarle, queste ragioni.

E si finisce col capire che esse non riguardano gli spostamenti di terra come
tali, ma gli inquinamenti, la degradazione, le speculazioni e, s'intende,
l'intervento attivo da parte di tutti e non solo degli artisti.
Qualcuno, a questo punto, si domander se persone cosi possono essere
chiamate artisti. Ecco, non lasciatevi prendere da falsi problemi. Un tempo, la
Grammatica era considerata un'Arte importante, mentre la scultura no.
Il mondo ha camminato lo stesso e se, oggi, chiamate maestro il vostro
insegnante di Lettere, magari s'offende.

Capitolo 53
La Minimal art
Per uno come me che non conosce le lingue, l'understatement estetico un
fatto emozionante, che elettrizza. Si pu dire anche in italiano, s'intende, ma
sembra un'altra cosa, per meno complicata da capire, una cosa chiara e
semplice.
L'understatement estetico la riduzione al minimo e interessa una corrente
artistica chiamata Minimal art, che non per niente complicata, dove, appunto,
la ricerca decorativa viene ridotta al minimo.
Ma non dovete pensare che si tratti di quadretti piccoli come francobolli o di
sculture-soprammobile. Al contrario, molto spesso, sono proprio le grandi
dimensioni a dare alle opere della Minimal una certa forza d'impatto.
invece l'utilizzazione delle strutture primarie che riduce al minimo la
quantit di segni linguistici.
Non spaventatevi: cosa vuol dire strutture e cosa vuol dire primarie? Per
capire, fate attenzione a queste frasi: la zia mangia la mela e il bue tira
l'aratro. Sono due frasi di senso compiuto che, per, volendo, potremmo
stravolgere cosi: la zia mangia l'aratro, il bue tira la mela, la mela mangia
la zia e cosi via.
Queste ultime informazioni lasciano perplessa la zia e, forse, anche il bue (per
una mela, invece, mangiare la zia sempre un'esperienza stimolante).
Cosa possiamo ricavare da questo giochino? Possiamo constatare subito che
tutte queste frasi (e infinite altre) si articolano secondo una struttura comune primaria (cio ridotta all'osso) che quella di soggetto-predicato-complemento.
Chi sa quanto vi cresciuta la barba a furia di fare esercizi nel settore.
Ci sono, naturalmente, strutture piu complesse, dove molte frasi si articolano
fra loro, con incisi e derivate e marchingegni linguistici di ogni tipo, tutto pane
per i denti del vostro Prof di lettere.
Ora, fate uno sforzo di immaginazione e cercate di trasferire nelle arti visive
gli esempi sulla lingua che vi ho fatto. Torniamo, perci, alla Minima! art e
vediamo quali sono le strutture di cui gli artisti di questa corrente si servono.
Sono - l'avrete gi capito - le pi semplici, e riguardano non solo le forme (per
esempio, moduli elementari-geometrici), ma anche i materiali che, a loro volta,
sono semplici e schietti, a volte grezzi (acciaio, legno, alluminio, ferro,
plexiglas, ecc.).
Il messaggio estetico va ricercato nel contrappunto determinato dai moduli
geometrici utilizzati. Moduli molto semplici, come vi dicevo, che vengono
utilizzati isolati o ripetuti o moltiplicati, al fine di creare delle scansioni nello
spazio che li ospita.
Ma non si tratta solo di moduli, evidente. Un elemento importante, come vi
dicevo, costituito dalle dimensioni che permettano un intervento attivo da parte
dello spettatore, il quale, muovendosi di fronte, intorno, o anche dentro l'opera,
stabilisce con essa un rapporto determinante.
Per capire questo concetto di intervento attivo, pensate alla differenza di
rapporto che si stabilisce col treno, fra chi lo vede passare e chi vi viaggia
dentro, oppure, alla differenza che passa tra guardare la fotografia di un
monumento e girare attorno al monumento stesso.

Come avrete intuito, la poetica della Minima! molto lontana dalle


impostazioni che gli artisti del passato davano alle loro ricerche: si tratta di
un'arte che impegna il pensiero formalizzato, cio i concetti, ai quali si fa
direttamente riferimento nella progettazione, per poi esplicitarli materialmente e
riproporli all'uomo, in un contesto non pi mentale, ma fisico. Che come dire
dare forma materiale a un concetto astratto, per sentirne, nella sua materialit,
appunto, tutta la capacit di riproporsi come concetto.
Non molto chiaro. Spero, parlandovi dell'Arte concettuale, di risultarvi
meno oscuro.
Partiamo dalle cose: Paolini, in una mostra, present un certo numero di
dipinti tutti uguali, ma firmati con nomi diversi e recanti titoli diversi; Kosuth
espose tre sedie, una sega e un orologio, assieme alle loro immagini fotografiche
e con le definizioni scritte dei tre oggetti, tratte dal vocabolario; Kounellis port
in galLeria dei veri cavalli, vivi; Keith Arnatt si autoseppell entro una buca, di
fronte al pubblico; De Dominicis, in una Biennale, mise in mostra un
mongoloide; Manzoni allest una mostra di scatolette come quelle dei pelati, che
contenevano - stando alle indicazioni della fascetta - Merda d'Artista. Si tratta
- come vedete - di persone per le quali i quadri o le sculture non hanno pi
funzioni comunicative. Esse non espongono pi oggetti semiologici ma - se si
pu dire - direttamente i concetti. Con ci, avrete gi capito perch si chiamano
Concettuali.
All'interno di questa corrente, si fanno altre sottili distinzioni che noi lasciamo
agli specialisti. Solo come esempio, De Dominicis un comportamentista, Keith
Arnatt fa Body art, e poi ci sono quelli dell'arte povera, della Land art, della
Minimal, della heart art; della narrative art, ecc. Tutti concettuali, in un modo o
nell'altro. Nel senso che tutti hanno in comune il bisogno di mettere in moto i
processi mentali, speculativi, servendosi sia del proprio corpo, sia di oggetti
disparati e poveri, sia di metafore linguistiche.
Il primo grande concettuale fu Marcel Duchamp, di cui vi parlai a proposito
dei Dadaisti (ricordate? Espose un cesso). In lui, per, prevaleva un intento
estetico, nel senso che l'opera doveva essere fruita dai sensi, anche per coglierne
i rapporti formali; nei Concettuali, l'oggetto in s ha poco valore, ci che conta
il progetto e non la sua realizzazione; per i Concettuali sufficiente esporre il
concetto anche nella sua forma linguistica pi semplice.
Ne risulta un modo di percepire piu sottile, pi mentale, proprio perch i segni
impiegati finiscono col denotare se stessi, non rimandano, cio, ad altre situazioni concrete, ma alle speculazioni mentali che da esse scaturiscono.
presente, nella gran parte di questi artisti, un senso di irrisione, nei confronti
dell'opera finita e definitiva. Per essi l'aspetto esecutivo, manuale, la traduzione
materiale del progetto, appaiono un gioco troppo prevedibile perch valga la
pena giocarlo. Bastano poche indicazioni, pochi appunti, la messa in relazione di
pochi oggetti, di pochi gesti, di pochi segni progettuali, per mettere in moto le
correlazioni mentali, le catene associative, insomma, i concetti.
Mi rendo conto che tutto ci non di facile comprensione, per chi abituato a
una certa figura di artista e di prodotto artistico.
Chi ha seguito, fin qui, le vicende che hanno caratterizzato i movimenti
artistici degli ultimi cento anni si sar accorto che gran parte degli artisti parava
a fare terra bruciata del passato. Si sar accorto anche di come - almeno fino alla

seconda guerra mondiale - l'erba abbia sempre ripreso a crescere proprio


sull'humus del passato, con buona pace degli artisti che volevano seppellirlo.
Con la concettuale ci che resta ancora in piedi sono le gallerie d'arte che
ospitano gli accadimenti, mentre tutto il resto davvero saltato: prima di tutto,
l'opera da portarsi a casa destinata al salotto buono.
Il collezionista borghese animato da un forsennato bisogno di appropriarsi,
col denaro, dei simboli tangibili dell'intelligenza umana, messo alla pari di chi
non ha denaro e pu solo fare da spettatore di fronte a un'arte che si consuma
mentre si sta facendo.
E questo, come risultato, non poca cosa. Certo, difficile immaginare un
mondo fatto di persone che non abbiano bisogno di oggetti semiologici stabili
che servano da orientamento e da stimolo del pensiero.
E difatti, non pochi artisti concettuali, per venire incontro alle esigenze
feticistiche dei clienti che premono alla porta, mettono in vendita le fotografie
che documentano - mummificandole -le strutture dei loro concetti.
E questo, come risultato, invece, poca cosa.

Conclusione
Mi auguro che nessuno di voi, giunto alla fine di questo libro, prenda a darsi
delle arie con la zia, solo perch pensa d'aver imparato qualcosa di definitivo.
Giovanotti, parliamoci chiaro: le informazioni che vi ho dato sono cos vaghe e
rozze che credere di esaurire qui il discorso significa accontentarsi davvero di
poco.
Bisogna che vi ficchiate bene in mente questa cosa: se siete riusciti a capire
che necessario porsi in atteggiamento libero e aperto non solo di fronte agli
oggetti semiologici, ma anche nei confronti della vita in generale, avete gi
fatto un buon passo avanti. Ma, questo atteggiamento va nutrito continuamente
di esperienze nuove, va stimolato dalla curiosit per la gente, per ci che
succede intorno a noi, per ci che accaduto e che sta per accadere, va tenuto
vivo da una presenza personale nelle cose.
Altrimenti, amici miei, si torna indietro, si perde tutto, si invecchia, si va a
dormire nel sarcofago.
E allora, vi scodello l'ultima raccomandazione. Se volete approfondire
(dovete, perbacco!), andatevi a leggere i libri scritti da Maltese, Munari, Argan,
Ponente, Gombrich, Gregory, Dorfles, Eco, Arnheim e altri ancora che, in
questo momento, non mi vengono in mente, ai quali io stesso devo molto per la
messa a punto di questo mio lavoro.
Se qualcuno dei loro libri vi apparir difficile, non lasciatevi prendere dallo
sconforto: vuoI dire che impiegherete un po' pi di tempo per leggerli. Vi troverete, trattate organicamente, molte delle cose che vi ho detto io.
Non dimenticate di coinvolgere anche la zia.

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