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2014

2 0 LI N E S X 12 MESI

IL CALENDARIO

20LINES X 12 MESI 2014 IL CALENDARIO dei 20 Liners

12 Racconti a piene mani di:


Absynt Veleno Alessandra Wish Alessandro Civiero Black Soul(Morwen) Carmen Losco Savino Claudia Cavallaro Debbi Beehive Elena Capobianco Emiemi Fra Setti Francesca German Francesca Gi Francesco Giammona Francesco Sacc Furio Detti Gianni Beria Giovanna S. Livio Barbato Luigi Mandelli Marcello Rodi Marina Mia Marisa Cappelletti Mimma Iannone Miriana Kuntz Nadia Finotto Paola Iai Radha Jones Rainalda Torresini Rea Silvia Roberto D'Argento Tristano, angelo nero

Presentazione Non so se un Calendario caratterizzato da racconti brevi piuttosto che dalle foto di prosperose fanciulle o automobili del GP possa rappresentare una novit, ma posso dire che celebrare il fenomeno che appassiona molti lettori e, oggi, altrettanti scrittori, merita il nostro piccolo sforzo nel presentare questopera. Per noi, come per tanti altri che, spero, arricchiranno le prossime edizioni di questa iniziativa, rappresenta un modo per celebrare un fenomeno letterario abbastanza nuovo: la scrittura creativa a pi mani. Strano modo di raccontare, che spesso ha ispirato gli appassionati di questarte ma mai come nel sistema di intrecci, creato dagli ideatori di 20Lines. Il continuo confrontarsi, conoscersi, limare , per c hi lo segue con un minimo dattenzione, in costante evoluzione: come piantine che si affacciano in un prato sterminato, si vedono spuntare nuovi talenti o antiche coscienze sopite. Ai virgulti pi tenaci di questa stupenda biodiversit non permesso chi udersi nella propria prosopopea, (spesso ritornando, sterili e delusi, sui propri passi); il confronto continuo, il rapporto dialettico costante, li migliora, li affina, li rende pi capaci di esprimersi e di completarsi in un percorso individuale e comune che, alla fine, migliora tutti. Personalmente lesperienza 20Lines mi ricorda il mare con il suo incessante mutare: come le onde, il continuo rimestare di parole, mostrando di volta in volta, risultati diversi, nuovi, sorprendenti ci attrae e ci affascina, diventando un paesaggio virtuale di cui non puoi pi fare a meno. Voglio ringraziare Pietro, Alessandro e tutto lo staff del Sito; voglio ringraziare tutti gli amici che ho conosciuto e salutare tutti quelli con cui far conoscenza in questo incerto 2014 che ci sta per ospitare; voglio ringraziare, con un abbraccio speciale, tutti coloro che con passione e fiducia hanno partecipato a questa iniziativa per renderla possibile, concreta. Infine ma non per ultimo: voglio fare un milione di Auguri, per tutto e a tutti, con un occhio particolare e incantato agli artisti, lettori e scrittori: - Care Amiche e cari Amici, vi rendete conto di quanto siamo fortunati? Noi abbiamo un mondo in pi e le chiavi per aprirlo, godercelo e condividerlo: si chiama Fantasia, e nessun governo, per quanto becero, grossolano e perverso, potr mai prenderne possesso. Noi conserveremo sempre e... immacolato il pennacchio. Buon anno a voi e alle persone che vi stanno a cuore. Giovanna S.

Anno 2014

20 Lines x 12 mesi

Una Virtus (Lunione fa la forza)

Quando gennaio era a colori


di Radha Jones con Marisa Cappelletti Francesca German

Guardo il bottone rosso che si appena staccato dal polsino della mia camicia. Ondeggia inquieto sul pavimento. Per un attimo ho limpressione che il tempo sia fermo e che tutto il mio mondo sia dentro quel bottone; e resto interdetta anchio, con una mano a mezzaria, il polsino ancora tra le dita dellaltra. Ma che importa, del r esto? Quella di oggi solo una delle tante giornate dinverno uguali a tutte le altre.

Continuo a sognare di essere salvata. La sensazione che provo quella di un martello che colpisce ritmicamente il mio petto, che ha ormai sfondato la barriera della cassa toracica ed gi arrivato al cuore, e va, e va, e insiste, ed tutto un battere e levare. Lo sento, ormai scandisce il ritmo della mia esistenza, e a volte, mentre lavoro e osservo alienata lo schermo del mio pc, ho quasi limpressione di vederlo in background, come riflesso in un vetro. Eppure non sempre stato cos. Ci sono stati mesi di gennaio decisamente pi felici, in cui mi vedevo bella e mi sentivo forte, audace, irresistibilmente fortunata, al centro di una congiuntura cosmica perfetta, una specie di big bang personale. La mia vita ha avuto inizio a gennaio. Un gennaio canonico: pieno di neve, allegro e freddissimo. Le strade anche in questa grande citt erano impraticabili e cos mamma raggiunse l'ospedale a bordo di un'ambulanza dei Vigili del Fuoco. Inizio colorato di rosso e scoppiettante, si potrebbe pensare. Certo. Ma la nonna, per venirmi a vedere - prima nipotina di una lunga serie appena fuori casa scivol sulla neve ghiacciata e si ruppe una gamba. Fine dei fuochi d'artificio. La mia infanzia stata molto povera materialmente: si dormiva a casa dei nonni paterni, si mangiava da quelli materni, non era miseria nera, ma ci si avvicinava parecchio. Per gli affetti coloravano tutto quello che mi stava intorno: genitori, nonni, l'amichetto Filippo cresciuto con me, i vicini di casa pi premurosi di tanti zii, tutti mi davano calore, protezione e amore, praticamente una vita in rosa. E a ogni compleanno erano giochi fabbricati da pap, vestiti per l'unica bambola cuciti con stracci variopinti da mamma, confetti e caramelline di tutti i colori. La felicit. Poi all'improvviso ed inaspettata piombata su di me l'adolescenza con tutte le sue contraddizioni, i primi sconvolgimenti, le mie prime zone grigie. Fui iscritta da mio padre al liceo scientifico senza possibilit di oppormi. Odiavo i numeri, detestavo la fisica, non capivo la chimica. Le sole materie che studiavo volentieri erano la letteratura e le lingue: per i miei, la prima era un inutile trastullo, le seconde un frivolo esotism o. Raddrizzeremo limpresa di famiglia, ripeteva pap. Tua sorella penser ai conti, e tu, se Dio vuole, diventerai ingegnere. Ogni volta che mi ripeteva quelle parole, pensavo che sarebbe stato pi felice di avere dei figli maschi, generalmente pi inclini alledilizia e a frequentare cantieri. Se mia sorella, alla fine, ha esaudito il desiderio paterno, io non sono riuscita a seguire il sentiero gi disegnato per me: il liceo lho finito a fatica, ma con buoni risultati; mi sono iscritta alluniversit, ho studiato lingue, mi sono laureata nei tempi, ho iniziato a lavorare quasi immediatamente. Sono uninsegnante, al momento. Consulente linguistico, mi chiamano, ma in

parole povere insegno, e questo quanto. Giro per la regione e tengo corsi di inglese per il personale delle pi svariate aziende: artigiani, assicuratori, operai, centralinisti, informatici. E durante questo peregrinare che ho incontrato Elodie, che di mestiere fa limpiegato commerciale. Elodie di Strasburgo, ma vive in Italia da sette anni. Ci arrivata per un corso di aggiornamento, ha conosciuto Marco ed tornata in Francia solo per prendere la sua roba e organizzare il trasloco a casa sua. E' il tipo di donna di che mi farebbe impazzire se fossi un uomo: piccolina ma proporzionata, longilinea, bellissime mani e labbra disegnate, un seno prosperoso ma non invadente. Elegante, mai fuori posto, Elodie. Una bella casa, una vita serena e un marito che mi ha spezzato il cuore. Il suo uomo, appunto, e il mio grande amore. O almeno cos credevo. Elodie aveva organizzato una piccola cena per farmi conoscere il marito e mostrarmi con orgoglio la sua casa arredata a nuovo. O viceversa, non saprei. La cena non era certo per gourmands, anche se lei aveva messo tutto l'impegno di cuoca principiante in una pasta appena passabile e la raffinatezza ed eleganza innate per apparecchiare una splendida tavola verde e argento. E gli occhi di Marco, azzurri e fintamente pieni di adulta innocenza avevano fatto la loro parte, non lasciandomi mai sola. E che parte, per i miei ormoni momentaneamente dormienti! C'era tutto in quello sguardo: tutto quello che avrei voluto avere in quei momenti e per tanto tempo ancora. Era il marito di un'amica, uno scontato e banalissimo colpo di fulmine per il primo gi impegnato di passaggio, il solito clandestino romanzetto rosa! Ma io ci ho creduto da subito, ho creduto di poter avere una storia troppo bella anche se totalmente inutile. Era l'inizio di un nuovo anno ed anche io volevo la mia parte di rosso, di passione. In fondo era gennaio. Gli uomini sposati sono sempre stati off limits, per me. Non sono una santa e neppure una suora, ma la mia personalissima etica mi ha sempre impedito di circuire uomini con la fede al dito. Allo stesso modo, non ho mai ceduto ad avances che provenissero da chi aveva una moglie da cui tornare alla sera: troppo complicato, troppo scorretto, troppo doloroso. Con Marco stato lo stesso, all'inizio. Mi limitavo a guardarlo, a fantasticarci un po', ma la cosa finiva l. Tra l'altro, qualche settimana dopo la cena avevo iniziato a frequentare un tipo conosciuto nella sala d'attesa del veterinario luogo insolito per approcciare qualcuno, lo so - , e per quanto sapessi gi che non sarebbe stato l'uomo della mia vita non mi dispiaceva passare qualche serata con lui. Giorgio, si chiamava. Carino, gentile, sportivo, galante, amante di natura e animali, avido lettore come me. Credo siano state tutte le cose che avevamo in comune a far s che il rapporto virasse inevitabilmente verso

l'amicizia, spegnendo la passione fremente dei primi appuntamenti. Elodie trovava Giorgio assolutamente adatto a me e mi incitava a uscirci, a costruire qualcosa con lui. Mi faceva un sacco di domande su quel che facevamo, sui nostri argomenti di conversazione, sui suoi atteggiamenti, sui suoi gusti. Una sera, durante un aperitivo, arrivata persino a chiedermi come fosse a letto: domanda che mi ha colto assolutamente impreparata, considerato che non avevamo praticamente mai parlato di sesso. A volte avevo l'impressione che piacesse pi a lei che a me; era come se traesse una evidente soddisfazione a sentire anche solo parlare di lui. Che dire, avrei scambiato volentieri il mio uomo con il suo. Sono una di quelle donne a cui piace pi amare che essere amate, mi sono raccontata questa balla per tutto il tempo in cui ho guardato e non ho toccato Marco. Ho imparato ad ascoltare il mio cuore, capendo quanto fosse costantemente diviso tra l'irrefrenabile voglia di lasciar esplodere le emozioni di un amore che vuol nascere a tutti i costi, e il peso di un dolore sempre presente che sta li per dirti che non importa quel che il tuo cuore vuole, sbagliato, tutto sbagliato. Ho provato ad evitare i suoi sussulti, ho provato ad evitare i suoi occhi azzurri, ad evitare quella casa, ma pi la mia ragione mi teneva lontana e pi mi ritrovavo li ad accontentarmi di un sorriso. Non star qui a raccontare come e quanto io abbia distrutto la realt di Elodie, non una bella storia e continua a ferirmi anche solo il pensiero, ma sono qui per dire la mia, la mia sull'amore. Inutile ribadire che non scegli di chi innamorarti, perch suona pi come una giustificazione che non come una verit; quello che puoi scegliere, per, chi ascoltare. Io ho ascoltato il mio cuore, ne ho pagato il prezzo. Non ho un uomo al mio fianco, ho perso la mia amica, ho provato dolore e l'ho causato senza neanche trovare il mio lieto fine, ma sceglierei i miei sentimenti ancora e ancora, perch mi fanno quella che sono, mi fanno sentire viva, e quando ti senti cos, sai che prima o poi il tuo cuore batter di nuovo. Per ora, gli unici colori che riesco a vedere sono il bianco di questo polsino e il rosso del bottone ancora in terra, rosso come il sangue. Lo lascio l. Dovrei uscire e dare inizio a questa giornata, un senso ai miei ricordi, un seguito alla mia vita.

Febbraio cuore di neve


di Elena Capobianco con Rainalda Torresini

Aveva smesso da tempo di usare il cuore: l Estate prima se lo era strappato dal petto e lo aveva chiuso in una scatola del tempo. Nellattesa che il ricordo del dolore scomparisse la sotterr, senza rendersi conto che cos facendo aveva lasciato la sua vita alla merc delle intemperie. QuellAmore, stroncato sul nascere, con le sue promesse di felicit, aveva rotto qualcosa in lui: aveva smesso di sperare, aveva smesso di sognare.

Poi era arrivato linverno, con il suo carico di freddo che, poco alla volta, si era fatto strada nella terra, intaccando il prezioso contenitore. Allora minuscoli cristalli si erano infiltrati nel pericardio, gelando quel povero cuore, consumandolo lentamente e senza far rumore. Marco era cambiato: cinico, egoista, insensibile. La maschera di se stesso. I giorni passavano e la sua corazza sispessiva. Il mondo gli era sempre pi estraneo. E venne febbraio in fondo erano solo altri ventotto maledetti giorni, uguali a quelli che si era lasciato alle spalle, uguali a quelli che gli si paravano davanti. Non poteva sapere che la neve avrebbe cambiato ogni cosa. I fiocchi presero a danzare nel cielo senza preavviso, miracolo inaspettato: poesia scesa dal cielo, a sanare le sue ferite con un bacio. Si posavano lievi sulla terra, carezzandola con mano di ghiaccio. Nel loro volteggiare i rumori si spegnevano, i colori si diradavano. In breve il bianco riverber di luce tutto intorno. Il tempo sembrava essersi fermato, i battiti del cuore di Marco anche. Prese un respiro e si port la mano al petto. Il dolore era sparito: la neve lo aveva lavato via. Avrebbe dovuto sentir freddo, invece la vita annunciava il suo ritorno. E fu come un lampo: allimprovviso si ritrov sveglio, fuori da quel lungo sonno che lo aveva intorbidito. Come un albero senza radici prese a trascinarsi tra i carruggi, le gambe tremule ed il respiro affannato. Si ferm davanti ad una vetrina: la sua immagine si rifletteva, ma lui non riusciva a riconoscersi. Si era smarrito, la sua identit confusa nella nebb ia dellinverno, sepolta sotto una fredda coperta di neve. Che fine aveva fatto Marco? E le conquiste sudate nel tempo, con fatica la sua autostima, la sua indipendenza, il suo spirito libero, i suoi sogni dove li aveva lasciati? Tutto perso, dimenticato, fuggito. Di certo nessun frammento di s sarebbe riemerso dal buio in cui era sprofondato, e comunque n on sarebbe bastata un po di colla per mettere insieme i cocci. Doveva scrollarsi di dosso la brina di nulla con cui si era nascosto alla vita. Abbass lo sguardo e vide le sue impronte nella neve. Lidea illumin i suoi pensieri e sorrise: dalle radici, da l che si riparte. Corse a casa e in fretta e furia butt dei vestiti nel suo borsone. Poi via, tutto dun fiato, contro il vento pungente che gli sferzava addosso, sino alla stazione della sua Genova.

Destinazione Monterosso, nella sola casa in cui riusciva a sentirsi leggero, anche quando i pensieri erano pesanti come macigni. Non aveva avvisato, ma sapeva che sua nonna lo avrebbe accolto a braccia aperte. Meno di due ore di treno li separavano, eppure erano mesi che non tornava l, dove Elisa aveva assassinato il suo cuore con un fendente affilato. Un coltello a lama corta, di una sola sillaba: no. Il treno fischi, mentre la porta della carrozza si richiudeva alle sue spalle e le ruote veloci stridevano lungo i binari. Lodore del mare lo invest; gli sembrava quasi di sentirlo, mentre infrangeva le sue onde con furia contro gli scogli, e nel suo squarciarsi lo chiamava a s: "Marco?!? Che ci fai qui?". Per un attimo pens che il vento si prendesse gioco di lui. Scosse la testa e non si volt: i fantasmi del suo passato voleva seppellirli. Afferr il borsone e a passo veloce si diresse verso casa di sua nonna. Elisa rest ferma, inchiodata alla panchina della stazione. Il suo cuore aveva avuto un sussulto e, colta di sorpresa, non ebbe la forza di corrergli dietro. Dopo avergli spezzato il cuore avrebbe dovuto avere la decenza di non bussare alla porta del suo presente, ma ad Elisa importava solo di s. Sorrise: doveva essere tornato per lei. Il mare era bello anche dinverno, pens Marco. Il paese gli sembrava una dea sorta dal mare: sdraiata sul bagnasciuga, aveva lasciato che i suoi fianchi venissero coltivati a vigna e ulivi. Il sole la baciava e lei arrossiva e cambiava colore. Piccole case variopinte erano state edificate sul suo ventre; la roccia si era incrostata sui suoi seni, per poi precipitare nel mare e divenire un tuttuno con le onde. Il vecchio faro abbandonato, come un innamorato fedele, rimirava tanta bellezza. Laria di Monterosso sapeva di antico e di festa. Marco si arrampic tra quelle stradine, sino ad una casina rossa, scolorita dalla salsedine. Esit un istante, poi buss. Nonna Delia sillumin tutta, non appena lo vide. Lo abbracci, con gli occhi lucidi, e lo spinse dentro. Non gli chiese nulla, ma Marco le raccont ogni cosa: le sue paure, i suoi dubbi, la sua infelicit. Le parole uscivano da sole, persino quelle che non aveva avuto il coraggio di pensare, e quando ebbe finito di vomitarle cal il silenzio. La nonna apr la credenza e con calma prese delle candel e. Oggi la Candelora. Oggi si festeggia la luce. Questa una notte incantata: oggi celebriamo la magia del rinnovamento.

Sai Marco, linverno il tempo dellattesa: la terra usa questo periodo per riposarsi, per riprendere le forze. Perch ci vuole molta forza per ricominciare, per trasformarsi, per cambiare E forse quest inverno sar la tua rinascita a venire alla luce. Presto tutte le candele furono accese e le fiammelle vennero deposte sui davanzali, tremuli bagliori affacciati alle finestre de llimbrunire. Un rituale antico, che affondava le sue radici nel mondo contadino, quello in cui la nonna era cresciuta. E quando ebbero finito, Marco si abbandon ad un pianto liberatore prima e al sonno poi. La mattina dopo, al risveglio, Marco era solo. La nonna era uscita presto, a fare la spesa. Ci volle qualche minuto perch si svegliasse davvero, poi si prepar ed usc. Il richiamo del mare era troppo forte. La spiaggia era deserta: solo lui, il vento ed le onde a farsi compagnia. I suoi occhi scuri scrutavano lorizzonte, quando il pallone gli arriv addosso, allimprovviso. Perse lequilibrio e atterr sulla sabbia. Una ragazza dai lunghi capelli castani gli corse accanto. Aveva le gote arrossate e occhi illuminati da mille pagliuzze dorate. Erano occhi di miele. Oddio, scusa! Lei allung la mano e lo aiut a rialzarsi Io sono Giulia e la palla di Stella, mia sorella un vero maschiaccio! Giulia sorrise e Marco non pot fare a meno di notare le deliziose fossette che si formavano agli angoli della sua bocca, quando sorrideva. Non fa niente, tranquilla! Non mi sono mica fatto male! E comunque io sono Marco. Piacere! Tese la mano. Giulia la strinse e lo guard dritto negli occhi. Marco avvert una fitta allo stomaco: sentiva di poterle leggere dentro. Riusciva a sentire il profumo della sua anima. Era come se si fossero gi incontrati, in unaltra vita magari. Quel pensiero lo fece sentire come un perfetto imbecille e abbass per un secondo lo sguardo. Poi si accorse che Giulia era arrossita, come se avesse pensato la stessa cosa. Marco sorrise e si sent vivo, allimprovviso. Per farmi perdonare posso offrirti un caff?, chiese lei. Certo! Accetto volentieri!. Le parole erano uscite da sole, senza pensarci. Il caff dur molto a lungo. Parlarono per ore, risero del loro incontro, si raccontarono le loro vite, come se si conoscessero da sempre. Poi il cellulare di Marco squill: la nonna si era preoccupata, non vedendolo rientrare. Posso rivederti domani?, chiese lui. Ci vediamo qui alle otto, per la colazione, disse lei, e scapp via. Mentre tornava a casa Marco pens che dovesse essere stato un miracolo della Candelora.

La neve che gli aveva congelato cuore e anima lentamente si stava sciogliendo: era pronto a rinascere, era pronto a tornare a vivere. Il suo cuore aveva ripreso a pulsare. Ancora non lo sapeva, ma voleva tornare ad amare. Avvis i genitori che si sarebbe fermato dalla nonna per preparare la prossima sessione di esami: i suoi erano in settimana bianca e la madre colse di buon grado la notizia. La nonna lo aveva detto: il tempo come un fiocco di neve, che scompare mentre cerchiamo di decidere cosa farne. E lui aveva deciso: voleva conoscere quella ragazza, voleva che entrasse nella sua vita per rinnovarla, come solo lAmore pu fare. Ormai si vedevano praticamente tutti i giorni e passavano quasi tutta la giornata insieme. Ogni ora trascorsa con lei era un nuovo battito per il cuore di Marco. Finch una sera il passato buss alla sua porta: era quella Elisa. Non appena lei si present Giulia arross e si volatilizz con una scusa. Marco cerc di trattenerla, ma inutilmente. Quando si volt, Elisa si era seduta e gli sorrideva. Lui invece era furioso e sbott: Ma chi ti credi di essere? Come ti permetti di presentarti qui? Mi hai spezzato il cuore, ricordi? Avrei fatto qualsiasi cosa per te Ti ho chiesto solo di amarmi e tu hai risposto di no. Non sei che un ricordo ingiallito per me e non ti rivoglio nella mia vita! Usc di corsa dal locale, mentre Elisa restava incollata alla sedia: nessuno laveva mai trattata cos. Marco si catapult in spiaggia: lei era l, dove si erano incontrati la prima volta. La luna le illuminava il viso. Giulia, per fortuna ti ho trovata, lafferr e labbracci stretta stretta. Profumava di rugiada del mattino. Non farlo mai pi. Non scappare via da me . Lei alz il viso e una lacrima si spense sulla curva del sorriso. Si sollev sulle punte e lo baci. Le sue labbra erano dolci e calde, la sua pelle delicata come un petalo di rosa. Fu un bacio lunghissimo: il tempo esatto che occorre al profumo di unanima per entrarti sotto la pelle. Nel cielo si accese uno scoppio di luci, quelle dei fuochi per i carri del carnevale. Io non voglio pi essere la maschera di me stesso. Avevo il cuore congelato, ma ora non lo pi. E tornato a battere, prese la mano di Giulia e se la port sul petto. La neve lha solo protetto e ora, come un fiore, desidera affacciarsi alla Primavera. Lo senti Marco? Il vento cambiato e porta con s il profumo delle mimose che stanno fiorendo. Lui la strinse a s, mentre il cielo stellato si rifletteva nelle onde del mare.

Il tempo di Febbraio volgeva al termine e mentre i coriandoli del Carnevale coloravano le strade, anche lultimo cristallo di nev e si stacc dal cuore di Marco. Linverno si schiudeva alla primavera e ad un nuovo, giovane Amore.

Hliopolis, la primavera da dimenticare


di Francesco Giammona

Marzo, mese in cui la primavera ha inizio, doveva dare il via al nostro nuovo rapporto. Erano questi i propositi di quell'anno: io e mia moglie avevamo deciso la nostra vacanza in quel luogo incantato, conosciuto per caso anni prima, che doveva diventare il palco e lo scenario del nuovo "patto" che avrebbe suggellato la continuazione della nostra storia.

Il mese di marzo era stato da entrambi subito condiviso, un mese inusuale per noi, in quanto da sempre siamo stati vacanzieri "agostani", ma quella scelta, gi, era l'emblema del nostro desiderio di cambiare, di sfuggire dalle abitudini e consuetudini che, inesorabilmente, stavano dissolvendo il nostro matrimonio sino a renderlo quel fragile contenitore vuoto, che pigramente spingevamo avanti. Erano poche le cose che avevamo messo dentro il nostro unico bagaglio: l, dove andavamo, non serviva molto se non "spirito, mente e voglia di natura". Era un'isola naturista da sempre, dove stare nudi era la regola. Un paradiso fatto di essenzialit, in cui la natura con i suoi profumi ti accarezza e avvolge con un'intensit inusuale. L'isola situata di fronte alle coste della Provenza e gran parte del suo territorio di propriet del Ministero della Difesa e utilizzato appunto come base militare, totalmente inaccessibile e dove si dice si realizzino esperimenti di ogni tipo. La restante parte dell'isola, invece, era stata affidata in concessione a due medici francesi, Madame Bert e Monsieur Palotte, che proprio l avevano deciso di fondare e costruire quel piccolo villaggio che dal porto s'inerpicava aspramente lungo il sentiero che conduceva sul punto pi alto dell'isola, ove sorgeva ledificio, residenza e laboratorio dei fondatori. Hliopolis era il nome di quel magico luogo. Il giorno in cui io e mia moglie .... ma forse meglio presentarci: sono Mirko, 50enne, brizzolato, giornalista free-lance e lei Lara, un'affascinante 45enne, mora, psicologa, insomma una strizza cervelli "gustosa". Non abbiamo figli! Arrivammo al molo di partenza per l'isola, era nuvoloso e fino all'ultimo non sapevamo se il battello che ci doveva condurre a Hliopolis avrebbe potuto fare la sua corsa. Ma ecco finalmente che, il capitano ordina allequipaggio di liberare gli ormeggi, solo allora Lara distese il suo viso preoccupato e regalandomi in silenzio un fantastico sorriso mi disse: Buona vacanza, amore. Poggi il suo capo sulle mie spalle e vidi i suoi occhi pian piano chiudersi: era bellissima. Staccato il mio sguardo da lei, passai quell'ora di traversata avvolto nei miei pensieri, ma felice di poter staccare la spina per dedicarmi al mio benessere e ai miei sentimenti per Lara. L'ondeggiare del battello non interruppe il torpore in cui lei era avvolta e neanche il fragore della sirena, che il capitano fece risuonare all'arrivo nella piccola baia, servirono a risvegliarla dal suo oblio. In lontananza invece gi si riusciva a scorgere la piccola sagoma di Pascal, addetto agli approdi dell'isola, che dentro il suo impermeabile giallo dichiarava al mondo "qui, piove".

Fu l che io dissi a Lara: Dai su amore, sveglia siamo arrivati... benvenuta tra noi umani, e lei pian piano riaccese il suo sguardo sull'approdo. Pascal fu il nostro primo contatto fisico con l'isola, le sue mani rugose accolsero saldamente dapprima quelle di lei, per aiutarla al salto dalla passerella del nostro piccolo battello ondeggiante e poi le mie che, con riconoscenza, si strinsero subito in un abbraccio. Il buon Pascal, il nostro amico di vecchia data che aveva consentito il nostro accesso alla "comunit" di Hliopolis! Iniziava a piovere a scrosci! Pascal prese l'unico bagaglio al nostro seguito e con passo spedito inforc il sentiero che portava alla casa che ci avrebbe ospitato, farfugliando qualcosa dincomprensibile, ma io sono certo che le sue fossero "petites maldictions franaises". Lara era zuppa e stizzita, il suo unico strumento di riparo era il mio giubbotto, l'ombrello lo avevo dimenticato in auto. Il suo vestito aderiva saldamente al corpo ove il mio sguardo, malgrado la situazione non facile, si soffermava, per scandirne le forme, producendo in me una profonda eccitazione. Finalmente arrivammo a destinazione e Pascal frettolosamente apri l'uscio per consentirci di entrare per ripararci. Quella era la casa che noi avevamo l'onore di abitare; s, perch sull'isola non vi erano strutture alberghiere edificate o edificabili, non vi erano mezzi di locomozione, ma solo sentieri sterrati e concentrici disegnati nella lussureggiante natura e intrisi di odori ed essenze inebrianti. Pascal prese dalla credenza una bottiglia di uno speciale liquore per brindare al nostro arrivo, ma poi dovette congedarsi subito per una chiamata ricevuta sul suo walkie talkie: gli chiedevano di tornare urgentemente al porto. Alla chiusura dell'uscio, Lara lasci scivolare il vestito bagnato per terra e silenziosamente si diresse verso la doccia, io la seguii, mentre il mio sguardo accarezzava il suo corpo, per unirmi a lei in un caldo intreccio di sensi. La casa che ci ospitava era di Marie, madre di Pascal, morta alcuni anni prima davanti ai nostri occhi, dopo una rovinosa caduta da un dirupo dell'isola. Quel giorno, nulla potemmo fare se non il mio tentativo di cercare soccorsi mentre Lara prov inutilmente a rianimarla. Quando tornai con i soccorsi, Marie era morta fra le braccia di Lara. Quella nostra prima notte sull'isola trascorse tra saette, tuoni e tante coccole, ma poi ci addormentammo stanchi. Il mio sonno fu un incubo, un continuo susseguirsi dimmagini ravvicinate, di volti e sguardi pungenti, alcuni erano volti noti, altri no. La mia Lara, Pascal, Mme Bert, Marie e M. Palotte che insieme, danzando, mi giravano intorno; ero al centro del loro cerchio, in terra, completamente nudo e immobile, incapace di ogni reazione. Improvvisamente il cerchio si apr e comparve Lei, una giovane donna sconosciuta, che con i suoi veli bianchi mi colpiva, i suoi

occhi acuminati e profondi mi ferivano, il suo corpo era sinuoso e sul suo bianco seno un tatuaggio a forma di S. Quel mattino mi risvegliai solo nel letto, madido di sudore e in posizione fetale. Faci fatica a slegare le articolazioni e a rimettermi in piedi. Lara non era in casa! Dal terrazzo, i colori, il mare e i profumi dalla vegetazione selvaggia esplodevano violentemente nei miei occhi e completarono il mio risveglio. Un raggio di sole illuminava la bottiglia che la sera prima era stata posta al centro del tavolo in cucina, e che era semivuota. I miei ricordi facevano fatica ad affiorare, ricordo solo quello strano sogno e la danzatrice con la esse tatuata sul seno. Improvvisamente, si apr luscio e una radiosa Lara con i l suo piccolo pareo color crema apparve e avanz verso di me stringendomi in un abbraccio che subito riscald il mio corpo. Si era svegliata molto presto e mi disse che erano stati vani i suoi tentativi di buttarmi gi dal letto, per cui aveva deciso di lasciarmi dormire e andare su, in cima all'isola, per salutare Mme Bert e M. Palotte. La casa dove loro vivevano era sul punto pi alto dellisola e da l lo spettacolo era davvero mozzafiato, un luogo da dove potevi osservare lo scandire del tempo e veder scorrere intorno a te i cicli della vita, quasi che l fosse stato posto il perno di quel meraviglioso ingranaggio! Lara, arrivata al cancello aveva suonato pi volte, ma nessuno aveva risposto, quando stava per andarsene si sent chiamare e, in lontananza, vide arrivare una giovane donna che con un incedere elegante le venne incontro. Non ti ricordi di me, le disse, sono Alexia, la nipote di Mme Bertie. Lara trasecolata le aveva risposto: Mai avrei potuto immaginare che quello scricciolo incontrato qui, alcuni anni fa, potesse trasformarsi cos. Era bellissima, un corpo statuario con una pelle chiara e vellutata e con quel tatuaggio che disegnava una S sul suo seno. Lara ne fu subito colpita. Entrarono in casa e Alexia le si avvicin dicendole che lei era l per accudire la zia. Mme Bert e M. Palotte, alcuni mesi fa, vennero ritrovati per terra, in uno stato catatonico dal quale non uscivano, e che impediva loro qualsiasi funzione motoria e di linguaggio. Lara, entrando nel salone posto in fondo alla casa, riconobbe subito le figure dei due, entrambi sedevano su sedie a rotelle poste vicino luna all'altra e con lo sguardo fisso nel vuoto. Lara prov a farsi riconoscere, ma Alexia linvit a desistere perch era del tutto inutile. Le raccont inoltre che nessuno conosce le circostanze dellaccaduto,

ma si pensa che sia il risultato di qualche intruglio medico, ingerito da entrambi, frutto dei loro studi e sperimentazioni. M. Palotte sosteneva che dalle piante poteva ricavarsi tutto ci di cui luom o poteva aver bisogno; quell'epilogo smentiva il fondamento di quelle convinzioni. Lara rimase colpita da quei fatti e promise ad Alexia che in serata sarebbe tornata da lei, insieme a me. Quando mi raccont la storia era visibilmente angosciata, e non nascondo il mio turbamento nel sentire quei fatti soprattutto nella parte in cui Lara descriveva Alexia, quella era la donna del mio sogno! A lei non ne avevo ancora parlato. Andammo al mare e l restammo sino al tramonto senza dirci nulla! Rientrammo a casa solo per una doccia, io mi feci pure un bicchierino di liquore, dopodich decidemmo di andare a trovare Alexia, entrambi eravamo d'accordo su quella visita ma, forse, con motivazioni diverse! Lara era bellissima come sempre, il suo pareo era diventato un foulard ed io guardandola avevo la conferma di quel mio giudizio. Facevo un po fatica a starle dietro e ci non credo fosse dovuto alla visione del suo corpo o ai contrasti di luce offerti dalle sue forme, piuttosto adducevo la mia difficolt alla giornata trascorsa al mare. Arrivammo dinanzi al cancello, ed io ero veramente affaticato. Lara suon e dopo poco vidi arrivare Lei, incredibilmente bella, era la donna del mio sogno, ne ero certo, la conferma non fu solo il tatuaggio che aveva impresso sul seno, ma il suo profumo i contorni delle sue labbra: so che sembra assurdo ma io rivivevo l'essenza del mio sogno. Lara si avvicin a lei per darle un bacio, io provai a fare altrettanto e biascicando a mala pena il mio nome, inesorabilmente caddi a terra, a peso morto! S, era successo, ero steso a terra e non riuscivo n a parlare n a muovermi, loro erano l attorno a me che si affannavano per riportarmi a uno stato di coscienza... volevo fargli sapere che c'ero e le sentivo, ma non potevo: avevo perso il controllo delle mie funzioni. Lara era l che si disperava ed io avrei voluto dirle calmati sono vivo... ma non potevo! Fu quello l'inizio della mia fine, e da allora la mia "vita" divenne un inferno!

Sar una quercia a primavera


di Miriana Kuntz con Alessandra Wish Desiderio Marina Mia Mimma Iannone Marisa Cappelletti Debbi Beehive Carmen Losco Savino
Da quando sono nata sogno di nascere ad aprile, perch una reietta come me non potrebbe che nascondersi e rifarsi tutto a nuovo.

Mi chiamo Iris e sono un adolescente scapestrata, cos che mi definisce mio padre. A scuola vado piuttosto male e di sculacciate da mia madre ne ho ricevute parecchie. Da quando ho sei anni non appena trovavo il momento buono mi piaceva scappare, scappare dalla mia famiglia, dalla scuola, dagli amici che non capivano chi fossi veramente, amavo isolarmi da tutto il mondo, e forse scappavo anche da me stessa, me stessa che in uno specchio aveva un'altra faccia, un nuovo nome, degli abiti meno sfarzosi. Ero un quadrato che tutti provavano ad inserire in un rotondo, una rondella poco importante lasciata in un angolo, il libro che tutti avevano smesso di leggere perch incomprensibile. La verit era una sola, in primavera rinascevo perch mi sembrava di farlo per davvero, perdevo ogni dettaglio di quegli anni, correvo nei prati che dapprima sostavano umidi, ormai diventati un tripudio di colori. In primavera rinasce ogni cosa, ogni stelo spezzato ritorna forte e serrato, ogni bocciolo una cappa di colore. Imparai i nomi di ogni fiore nuovo negli anni, i miei unici amici tranne la vecchia quercia e Lei: ricordo la begonia, la malvarosa, la cappuccina, il trifoglio, la magnolia, e poi le mie rose, quelle che non strappavo per paura di fargli del male. In primavera tornavo ad essere ci che sognavo da una vita, lalbero di ciliegi sognava di essere una quercia. A volte lo dico sottovoce, quando nessuno mi ascolta, quando anche i fiori dormono, l'erba sembra ritirarsi sotto i miei piedi nudi, quando gli uccelli nascosti terminano il loro concerto, quando anche me stessa si aggrappa a una quiescenza inumana: vorrei essere un uomo, ma per davvero. Anche oggi sono scappata via, l'incontro romantico con il mio spirito non posso saltarlo mai. Salire a grandi passi la collina ai margini della citt mi mette dentro una grande frenesia. Ho le farfalle allo stomaco. Sorrido e respiro piano questa primavera che mi riempie i polmoni. Mi rigenero. I lacci delle Converse penzolano dalle mie mani e mi solleticano le ginocchia, mentre i piedi si godono il soffice tappeto offerto da Sorella Erba. Saluto le margherite, accarezzo le camelie, bacio dolcemente i soffioni. Mi siedo in mezzo a loro e in un discorso silenzioso gli racconto la mia vita. Qualche volta ho anche pianto, lo ammetto, ma alla prima lacrima scivolata sul pendio delle guancia, il vento d'aprile l'ha raccolta portandola via con s. Nessuno aveva mai accarezzato cos dolcemente il mio viso. Mai avevo ricevuto una tale consolazione. Chiudo gli occhi e mi godo quella compagnia. Chiss che la mia preghiera non venga ascoltata e che la bella Natura non esaudisca il mio desiderio inconfessabile.

Sono qui, in questo tripudio di colori e forme e quasi mi dimentico chi sono e di cosa sono fatta. " questa la zona. Io dico che c' spazio a sufficienza. un progetto fantastico, non dobbiamo fare altro che attendere l'approvazione del Comune. Roba di poco, nel giro di un mese possiamo anche iniziare a costruire." Apro gli occhi e mi manca il fiato. Intorno a me tutto trema. C' paura nell'aria. Sento fremere la malvarosa e il ritirarsi delle formiche. Mi alzo di scatto e mi ritrovo faccia a faccia con la voce che ha interrotto il mio flusso vitale. Stento a crederci, proprio mio padre che ammazzer la mia quercia, lui non pu capire, non ha mai capito. Avvolta nel buio della mia stanza ho aperto gli occhi e ho sentito il bisogno di te. Le ultime ore del pomeriggio precedente eravamo state l sulla collina. Avevamo passeggiato sotto il cielo di primavera respirando il profumo dei fiori di campo. Io camminavo scalza e tu mi seguivi. Abbiamo riso tanto, chiacchierato, e ricordato di quando ancora bambine correvamo per i campi e tra gli alberi giocavamo a nascondino. Quando ti sorpresi dietro la quercia secolare ti abbracciai forte, cos forte da toglierti il respiro e ti dissi: "Ti ho trovata!" Strette strette, io respirai il tuo fiato e tu, senza esitare mi baciasti sulla guancia. "Non ci lasceremo mai" a bassa voce ti sussurrai all'orecchio. E oggi ci siamo ritrovate qui, un libro da leggere insieme e tanti pensieri da ascoltare. Il sole filtrava dai rami disegnando sul tuo viso la forma di una luna. Un leggero venticello fece cadere una ciocca dei tuoi capelli sul viso mentre leggevi una poesia di Alda Merini. La mia mano si allung verso te e presi quel ciuffetto tra le dita per riportarlo dietro l'orecchio. Tu smettesti di leggere. I tuoi occhi nei miei. "Ci sono betulle che di notte levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni" Ho sempre saputo di voler essere un uomo, e del resto tu sei a conoscenza di tanti episodi della mia vita che lo dimostrano. Ma c' una cosa che non sai, una cosa che non ti ho mai detto. Fa parte della mia infanzia, e di uno di quei giorni che non ti spieghi, perch un senso non c' quando cerchi le parole che non troverai. Avevo cinque anni, e mi trovavo nella mia cameretta, mentre aspettavo mia cugina, che sarebbe venuta a giocare con due amichette. Non le conoscevo, ma con Serena mi trovavo bene, ed ero certa che anche loro sarebbero state di mio gradimento. Il mio carattere solare mi portava a non

essere particolarmente problematica nelle relazioni con altre bambine, pur nelle mie contraddizioni. Quando Serena arriv, avevo in mano un trenino. Mi piaceva imitare il suono che fa quando sfreccia nel vento per raggiungere mete lontane, forse perch la mia voglia di andare e non tornare era cos insita in me che sfuggirle non sarebbe stato possibile. Non per molto. Una delle due bambine si avvicin al mio trenino e lo scaravent a terra. Io mi rivoltai contro e la spinsi con veemenza. Non giochi con la Barbie, perch sei un maschio! disse prontamente. Quella frase risuon nella mia mente per tutto il giorno, turbando i miei pensieri nel profondo. L per l non piansi, ma mi limitai ad urlare: NON E' VERO! Di notte, invece, bagnai il cuscino di troppe lacrime, perch non mi sentii accettata dal suo odio. Il giorno dopo mi resi conto che ero io quella che non si accettava. E fu allora che decisi di affrontare la paura di me stessa, per rinascere come un fiore a primavera. Poi sono cresciuta, ma sono rimasta un fragile ciliegio con quei fiori che si sfaldano ad ogni soffio di vento. Ma una piccola parte di me sta imparando ad accettare quello che vorrei essere e che gli altri chiamano la mia diversit. Ma diversa da chi? Da quegli uomini che stanno al mondo senza capire la vera essenza della vita, la bellezza di ogni singolo minuto che ci dato di avere, la pienezza della natura, i colori della libert? E allora s, sono ben contenta di essere diversa dalla mediocrit di chi sta qui senza nemmeno rendersi conto di essere vivo! E continuo a rinascere, ad ogni aprile. E come in primavera i piccoli pulcini ancora implumi gridano alla madre la loro disperata fame, cos io grido alle nuvole che corrono senza tempo sopra di me il mio grande bisogno di amore. Di un amore assoluto, che mi protegga dal vento e dal sole, che mi aiuti a diventare un tronco dritto e forte. Forse una quercia. S, ho bisogno di sentirmi quercia, o un albero pi forte ancora. Uno di quelli che sfondano la putrida lastra di asfalto che scivola sotto le ruote delle auto. Uno di quelli che protendono le loro braccia robuste fino al cielo, a volerlo sfiorare con le dita. Chiss se una volta lass mi sentirei pi leggera? Forse questo peso che porto sulle spalle si schiuderebbe come un bozzolo e muterebbe in un paio di ali dai colori della primavera. Vorrei essere un di quegli alberi che ogni autunno pavimentano le strade di aranci, marroni, gialli, verdi e rossi. Vorrei sentire la pelle raggrinzirsi sotto la morsa del freddo, ma con la certezza di una Nuova Vita.

Vorrei vedere i primi raggi di sole che sciolgono il mio bianco torpore. Vorrei avvertire il crescere lento delle foglie verdi, e poi dei fragili boccioli. E la meraviglia, quando questi si saranno schiusi rivelando un meraviglioso fiore. Insomma, vorrei morire dentro, e poi rinascere. Non ho mai visto una quercia arrendersi alle urla del vento, n piegarsi agli sputi sprezzanti della pioggia. Ecco, questo voglio imparare da Lei, che mi ha sorretta con il suo tronco possente fin da quando ero bambina. A Lei, alla quale lascio un pezzetto di cuore, tra il terriccio ai suoi piedi. A nulla servito implorare: la butteranno gi. Ormai deciso. Dio solo sa quanto ho pianto, quanto ho pregato mio padre che facesse qualcosa. Ma oggi, basta piangere. Sto assistendo al Tuo funerale, Quercia Mia, mano nella mano con l'unico altro essere vivente che io abbia mai veramente amato. Mi stringe a s, con le sue belle unghie smaltate di fucsia, e so che andr avanti. Ce la far, te lo prometto. Assieme a lei, diventer una Quercia. Sembra incredibile, ma solo quando respiro l'aria fresca d'aprile riesco a mettermi in pace col mondo intero e con quella parte di me, si insomma... la parte di me che crede di ricevuto da Dio il corpo sbagliato. Come sia potuto succedere, non lo so. Forse era distratto mentre abbinava le anime ai corpi, forse c' stato qualche errore in fase di produzione ed eccomi qui, non so bene se giudicarmi scherzo della natura o totale fallimento. E se fossi io ad aver capito male? Se non riuscissi semplicemente a fare chiarezza dentro di me? Eppure io la amavo, ne ero certa , la amavo e non solo, io la desideravo. Volevo le sue labbra, volevo stringerle i fianchi in una morsa senza via di fuga, volevo fondermi con lei, riempirla non so nemmeno io di cosa, ma dio, quanto la volevo! Come un uomo vuole una donna, come naturale che sia. Non voglio passare il resto della vita a nascondermi, a domandarmi cosa ci possa essere che non va in me, mentre la mia parte di felicit vaga in giro per il mondo senza riuscire a trovarmi. Lei era l e aspettava solo che io esplodessi d'amore e consapevolezza. Ma quanto pu essere facile rinnegare se stessi in nome di un atavico senso di paura? Questa la mia vita, (perdo!), i miei respiri, i miei anni che volano via pi veloci delle rondini con i primi freddi! Adesso ho capito cosa devo fare: - Amore mio, verr a prenderti e ti porter lontano, te lo giuro, io sar per te, quercia in primavera, lalbero di ciliegio finalmente pu essere unaltra cosa.

Non solo papaveri a maggio


di Rainalda Torresini con Elena Capobianco Nadia Finotto

Finalmente era arrivato maggio, il mese che Laura preferiva. Inforcava per la prima volta la bici che aveva ricevuto in regalo a Natale, l'ultimo modello di mountain-bike con cambio a sei marce.

Era fanatica della corsa, come diceva lei, in realt si limitava a lunghe passeggiate in campagna armata di fotocamera digitale. Le piaceva immortalare le prime fioriture di papaveri nei campi di grano. Le ricordavano l'adolescenza, quando col suo ragazzo correva in mezzo alle spighe, inseguita dal contadino che li voleva picchiare. Voleva andarci da sola in bici, non desiderava avere nessuno accanto, perch, mentre correva, le piaceva fantasticare, come una ragazzina, cantare e recitare poesie. In verit Laura desiderava essere libera. Era il suo moto perenne la libert, quella che spesso sentiva mancarle nelle giornate di lavoro a scuola, con il preside che la riprendeva per il ritardo. Nemmeno a casa trovava pace, la convivenza col marito esigente e con i figli troppo occupati a disubbidire, stava diventando un macigno sempre pi difficile da sopportare. Ma quando montava in bici e sentiva il primo alito di vento sul viso, tutto il malessere si cancellava e trionfava la felicit. Percorrendo la strada statale si ferm di colpo. Ecco la foto ideale da fare. Estrasse la macchina fotografica e attravers il ponticello sul fossato, fiancheggiato dalle calle in fiore. Al di l, uno spettacolo da immortalare all'istante. Era una giornata ventosa con le nuvole che si rincorrevano come bambini, in un gioco spronato dal vento primaverile. Bisognava fissare la nuvola, proprio l , sopra il campo di papaveri. Una distesa di spighe in primo piano, con diverse gradazioni di verde, con il rosso che spiccava come il sangue di un guerriero in mezzo al campo di battaglia. Sullo sfondo la nuvola bianca disegnava un lungo pupazzo dormiente nel cielo blu. Clicc diverse volte sull'otturatore, in tutte le posizioni e alla fine tir un sospiro di sollievo. Soddisfatta del momento magico immortalato si sent libera di dedicarsi alla corsa sportiva. Si inoltr per la stradina in mezzo ai campi e lasci che l'aria fresca della primavera le riempisse i polmoni. Il sole era tiepido, il profumo della terra, bagnata la sera prima da una pioggia leggera, le solleticava il naso. Per un attimo chiuse gli occhi e sorrise: era felice e si sentiva libera. Ma dur poco. La ruota della sua bici urt qualcosa e, senza rendersene conto, venne catapultata a terra. L'impatto venne attutito dall'erba, mentre la poca ghiaia presente le aveva procurato qualche sbucciatura qui e l. Apr gli occhi: era atterrata nel campo di papaveri, che con il loro rosso vermiglio salutavano le macchine che, a pochi metri, sfrecciavano veloci sulla superstrada

l vicina. Si sent stupida. Come una ragazzina, era caduta! Che idiota! E mentre si tirava su, cercando di ripulirsi, si guard intorno. Imprec, arrabbiata pi per i pantaloni strappati ,che per la sbucciatura delle ginocchia. Guard a terra, distratta, e rimase a bocca aperta: aveva travolto una persona! Corse vicino alla sua bici: la ruota ancora girava. Un corpo di donna, con lunghi capelli scuri era riverso tra i fiori e non si muoveva. Per un attimo fu tentata di scappare...ma poi prese coraggio e prese a scuoterla. "Signora...mi scusi...non volevo...si fatta male?" Silenzio. Le mosse con cautela il capo, temendo che avesse subito un trauma cadendo e... solo allora si accorse del rosso. Non erano petali di papaveri, ma sangue. La donna aveva un foro di proiettile al centro della fronte. A Laura manc il fiato. Arretr bruscamente, inciamp e cadde. Poi, presa dal panico, url. Ma nessuno poteva sentirla. Con mani tremule afferr il cellulare dalla tasca e compose un numero: 112. "Carabinieri? Io....io...ho trovato un cadavere...". Era uscita per sentirsi viva ed era inciampata nella morte. Mentre stava telefonando guard pi attentamente la donna martoriata, stesa a terra e coperta di fango. Aveva un tatuaggio sul polso sinistro. Il cuore di Laura cominci a battere a mille. Ricordava l'amica che aveva voluto farselo per il suo amore: una farfalla con ali azzurre e un occhio nero al centro. "Paola? No, non pu essere lei!" url disperata. L'amica che non vedeva da mesi era l stesa come una foglia d'autunno, nascosta dal rosso dei fiori, col volto intriso di sangue. Non l'aveva riconosciuta subito, ma ora voleva fare qualcosa, pulire la ferita, comporre quel corpo seminudo, prima che altri la vedessero. Non era dignitoso per una donna mostrarsi cos. I pantaloni stracciati, gettati da un lato e il sesso scoperto, vittima di un sopruso. Nello stomaco di Laura la colazione galleggiava fino a costringerla a vomitare. Voleva stendersi a terra per come si sentiva. Non era giusto finire straziata tra i fiori di maggio! Laura si era iscritta a un gruppo di volontarie, per aiutare le donne vittime di stupro. Ma con Paola il violentatore non si era limitato a quello. "Perch lo avr fatto?" url al cielo, mentre la sirena della polizia squarciava il silenzio della campagna. I ricordi si incrociavano nella sua mente. Ripensava all'ultima volta che aveva parlato con lei. Paola le aveva confidato di una relazione che le aveva sconvolto l'anima e il corpo. Le aveva parlato di quell'uomo, conosciuto per caso, che le era

entrato dentro, e che le era diventato essenziale come l'aria per respirare. Non un'aria tiepida e sottile, ma un vento di bora freddo e sconvolgente allo stesso tempo. Le aveva confidato che la sua vita era cambiata, che non riusciva pi a mangiare e che aveva sensi di colpa di continuo, per il suo uomo, col quale conviveva da dieci anni. Non lo avrebbe mai lasciato, non ne aveva il coraggio, ma il diavolo era entrato in lei. "Signora..." la chiam l'agente, seguito dal Commissario Biondi. Nella mente di Laura scorrevano le immagini dell'ultimo incontro con Paola. Era un'amicizia personale , si erano conosciute in palestra e si erano subito trovate in sintonia. Con lei aveva avuto un buon rapporto confidenziale, ma quasi mai avevano nominato figli e marito. Era andata a casa sua a prendere un tea insieme. Quel pomeriggio la nuova amica le aveva confidato di un nuovo rapporto con la persona che aveva conosciuto due mesi prima, un cliente dello studio di avvocato, presso il quale lavorava da due anni. Non era stato un amore travolgente, ma l'assidua frequenza e l'attesa prolungata in anticamera, li aveva scoperti nel profondo. Avevano iniziato a frequentarsi lontano dalla citt. Lui non le aveva nascosto di essere sposato e di non avere nessuna intenzione di lasciare la moglie e i figli, anche se ormai erano indipendenti. Lei aveva accettato la situazione. L'unico segreto che non le aveva rivelato era il suo cognome, nello studio si era presentato a nome di altre persone. La descrizione fisica che ne aveva fatto Paola avevano turbato Laura, ma non era riuscita a capirne il motivo. L'amica era felice, e triste per questo amore senza futuro e aveva deciso di cambiare citt, di allontanarsi da un sogno irrealizzabile. "Signora, ferita?" la richiam l'agente: Ha bisogno di un'ambulanza? Laura si riscosse dai ricordi, e cerc di non mostrarsi al corrente della storia e finse di non conoscere la donna. Pens che era opportuno non farsi coinvolgere in una storia della quale conosceva, suo malgrado, alcuni aspetti importanti. Perch tornata? Forse si incontrata col suo amante o semplicemente rimasta vittima di un killer. No, uno stupratore non le avrebbe sparato. rifletteva tra s. Signora, ha bisogno di aiuto? chiese nuovamente il Commissario. Se vuole, l'agente l'accompagna a casa, pu lasciare qui la bicicletta, gliela riportiamo noi. Dovr sottoporla ancora a delle domande per capire meglio come ha ritrovato il cadavere e perch le ha coperto il corpo con la sua felpa. Ho avuto piet di lei. disse a mezza voce Laura. ... una donna violata, e mi sembrava giusto darle dignit.

"Per ora pu andare. Sicuramente faremo l'autopsia e scopriremo altre cose sull'identit della vittima,visto che non ha documenti con s." Quel giorno era domenica e come tutte le domeniche Claudio, il marito di Laura sapeva delle sue scorribande in campagna. La sera del sabato era uscito con gli amici. Una volta tanto, le aveva detto. Era rientrato molto tardi, verso le tre, e Laura sentendolo rientrare, non gli aveva chiesto il motivo. Era uscita presto al mattino e lui dormiva ancora. Si era svestito in fretta Claudio, la sera prima, lasciando le scarpe vicino alla scarpiera in ingresso. Laura avrebbe voluto sistemarle, ma si era accorta che erano sporche di fango, e aveva lasciato perdere. Non aveva pensato al motivo di quel fango. Non le piaceva fare illazioni sulle uscite del marito. Erano abituati cos: ognuno era libero di uscire senza rendere conto all'altro. Rientrando, in compagnia dell'agente, ancora sconvolta dall'accaduto, si accorse che nella sua mente le tessere del puzzle delle sue ipotesi, si sistemavano come in un quadro. Supposizioni che le procuravano una certa agitazione, anche nel comportamento. Claudio e i ragazzi dormivano ancora. Nel ballatoio dell'ingresso, aveva notato una scena diversa da quando era uscita, ma non riusciva a mettere a fuoco cosa ci fosse di cambiato. Cosa gli avrebbe detto? Sarebbe stata in grado di parlare serenamente di quello che le era accaduto? Voleva chiarire con lui, il suo sospettato numero uno, prima di essere interrogata dal Commissario Biondi. Decise di agire con prudenza: era meglio aspettare e stare zitta. Leggo troppi gialli, pens, e sto costruendo castelli senza fondamenta. Il dubbio, come un trapano, le stava rodendo lo stomaco e tolto l'appetito. Decise di indagare senza destare sospetti, ma la ricerca delle prove si alternava con una realt che non voleva affrontare. Una telefonata dopo tre giorni la colse di sorpresa. Il Commissario Biondi doveva farle delle comunicazioni importanti: la vittima di nome Paola Bianco era incinta di tre mesi. Ecco il motivo del suo ritorno. Probabilmente aveva voluto dirlo al suo amante e lui aveva voluto eliminare il problema alla radice concluse subito Laura. Il Commissario per le disse anche un'altra cosa: non c'era stata violenza sessuale per cui i vestiti strappati e il lasciarla mezza nuda era stato un becero tentativo di depistaggio, visto che l'autopsia avrebbe rivelato subito la verit. Laura non aveva ancora voluto chiedere nulla al marito, ma la sua mente lavorava alla velocit della luce. In quei tre giorni aveva gi messo insieme talmente tanti indizi che portavano tutti a lui.

Aveva raggiunto un rancore nei suoi confronti che superava ogni limite sopportabile, oltre al fatto che odiava anche il solo guardarlo in faccia. Lui pareva non accorgersene per niente, assorto com'era nei suoi pensieri e taciturno molto pi del solito, cosa che dava a Laura una ulteriore odiosa conferma. Ad un certo punto decise che era abbastanza e gli si par davanti sbarrandogli la strada e, con tono sprezzante, gli grid: "Eri tu l'amante di Paola vero? E quando tornata per dirti che era incinta non hai trovato di meglio che togliertela dai piedi vero? Fai schifo! Non me ne importa un accidente se avevi un'amante ma ora io volo dal Commissario Biondi e spero che ti mettano in galera e buttino la chiave, grandissimo bastardo!" Lui con lo sguardo a terra e contorcendosi le mani rispose. "S, ero io il suo amante, ma la cosa tremenda che non sono io ad averla uccisa. Ci siamo incontrati sabato sera dove l'hai trovata tu, in quel campo di papaveri. Era il posto dove ci incontravamo segretamente, e lei mi ha detto del bambino. Sono rimasto sconvolto e le ho urlato di sparire dalla mia vita. Poi ho sentito un rumore e mi sono accorto che Sandro, nostro figlio, mi aveva seguito e aveva sentito tutto. Lui scappato via e non sono pi riuscito a trovarlo. Quando ho lasciato Paola, era ancora viva. Dalla stampa ho saputo dell'omicidio e ho interrogato nostro figlio. Ha confessato solo a me quello che successo. Lui tornato indietro, ha parlato con Paola e le ha intimato di andarsene, di non distruggere la nostra famiglia e quando lei gli ha detto che avrebbe fatto valere i suoi diritti e non avrebbe lasciato perdere, lui ha perso la testa e con la pistola da tiro, che aveva con s, l'ha uccisa simulando lo stupro. Mi ha detto che era disperato e che l'ha fatto per salvare te e l'unit della nostra famiglia. Domenica, maggio. I papaveri fioriscono di nuovo vicino alla superstrada. Laura non torner pi in bici a guardare lo spettacolo di maggio. Il rosso di quei fiori, da molto tempo, le appare anche d'Inverno, come una striscia di sangue ch dipinge di rosso il campo coperto di neve.

Il solstizio del male


di Giovanna S. con Marcello Rodi
1700 a. C., Piana dei Morti: un piccolo villaggio senza nome nei pressi della Cattedrale, il calendario degli antichi Dei, nella piana di Stonehenge. E' notte fonda. Krud, il sacerdote, vers ancora birra ai sette anziani che avevano accettato di seguirlo, in quella notte senza stelle. Stavolta per, il furbo Sciamano aveva messo nella birra un succo scuro, tratto da certi licheni che crescono ai bordi delle Grotte Proibite. Quando gli "Anziani" cominciarono a ridacchiare e a ruotare gli occhi, come se seguissero un volo d'uccelli, Krud fece segno alle tre prostitute di intervenire, e il consiglio segreto si trasform in orgia.

Gli uomini mangiavano frutta secca e bevevano, intanto si accoppiavano fino allo stremo delle forze con le puttane che il sacerdote aveva comprato da una trib del nord. All'alba, quando a stento il gruppo di uomini fu in grado di ripartire per il villaggio, Krud li ferm e intim loro la scelta. Stanchi e strafottenti, storditi dalla droga, pur di tornare alle capanne fecero ci che lui desiderava. Scelsero tutti un sassolino nero, invece che bianco, e lo lasciarono cadere in una tazza votiva, creata apposta con un cranio umano. Poi si allontanarono e Krud verific. Lui e il suo assistente contarono insieme otto sassi neri di ossidiana. Il sacerdote gongolava senza darlo a vedere: il destino di Jak, il cacciatore, era segnato! La sua vendetta si sarebbe compiuta. Entro tre giorni, la notte del Litha, Jak avrebbe incontrato il proprio destino; un destino nuovo per lui, diverso finalmente! Niente pi allori: solo sangue e dolore! Krud rise tra s: grazie all'eclissi predetta da poco e alla complicit dei vecchi "saggi" corrotti, aveva convinto gli uomini della trib che il sacrificio era necessario per placare gli Dei. Il loro mondo era minacciato! Solo la mano di un eroe grande come Jak avrebbe potuto donare il sangue innocente agli Dei. Poi, Krud si accost alle tre donne, che si erano addormentate, e spacc loro il cranio, con una mazza. Non rividero mai pi l'alba. Nella piccola capanna l'aria era intrisa dell'odore di cibo avanzato e di sudore, ma non disturbava il naso di Jak n turbava il sonno di Shi e della figlia, Schy. Jak osserv le stelle dal buco sul soffitto, l'alba era prossima: il momento migliore! Scivol dal pagliericcio dove dormivano abbracciati; un ultimo, amorevole sguardo alle ragazze, poi usc nell'ultima bruma del mattino. Unora dopo era appostato, invisibile, su un punto riparato, dove il fiume disegnava un'ansa: li l'acqua era trasparente. Arm con la selce una lunga canna e aspett. Aveva negli occhi l'immagine dei suoi amori addormentati. La piccola Schy aveva i suoi stessi occhi e, come lui, era viva solo grazie alla sua forza: si sarebbe volentieri battuto il petto per lorgoglio, ma rimase in silenzio. Lui era stato trovato nella foresta di Ston, quandera solo un bambino: debole, provato, allattato da un'orsa. I cacciatori spaventati uccisero l'animale e Mhol, il costruttore di armi, lo prese e lo port al villaggio.

Se fosse stato per Krud, lo Sciamano, lo avrebbero ucciso immediatamente: odiava qualsiasi cosa nuova. Per fortuna i saggi videro nella sua sopravvivenza un segno divino e l'orsa era un animale sacro. Il vecchio Mhol lo prese con se, non aveva avuto figli dalla moglie Khaal. Cos ebbe salva la vita e, una volta adulto, si rivel una benedizione per la trib. Erano un gruppetto di piccoli uomini, quasi nani, mentre Jak proveniva da una razza lontana. Divenne cos alto, astuto e forte, da essere considerato un semidio: i suoi incredibili occhi azzurri incutevano un timore reverenziale. Ora che aveva potuto sposare Shi, ed aveva una bambina meravigliosa con gli occhi color del ghiaccio, Jak era un punto di riferimento per tutti nel villaggio. Cacciatore e combattente senza pari. Un rumore lo distolse dai suoi pensieri: lontano, un gruppo di anziani barcollanti tornava verso casa. Jak sorrise: "Vecchi ubriaconi..." pens, nell'alba che appena schiariva. Mezzogiorno. Capi e anziani, riuniti allinterno del cerchio di megaliti. Il monumento, costruito dagli Dei, era la Cattedrale della trib da tempo immemorabile. Con il sole, le pietre enormi gettavano ombre nette sull'erba umida e ubertosa. Da troppo tempo ci siamo scordati dei nostri Dei! Adesso loro sono stanchi del nostro disinteresse! - recitava Krud, in piedi su una pietra alta, presso l'Ara sacrificale - L'estate scorsa hanno fatto tremare la terra, lo ricordate? E solo per un pelo il villaggio non stato spazzato via. Adesso: un altro segno! Come avevo previsto. Il giorno divenuto notte, e solo grazie agli scongiuri e alle mie preghiere il sole tornato a risplendere!. Gli uomini assentirono e si mossero a disagio. Ci sono volte in cui una calma piatta fa paura allo stesso modo di un cataclisma: come contenesse il presagio di una futura catastrofe. E' giunta l'ora di dimostrare la nostra sottomissione, il nostro rispetto! E' giunta l'ora del sacrificio supremo!: lo sciamano fiss negli occhi uno ad uno i presenti, poi con gesto teatrale fece comparire, da sotto il mantello di pelle di lupo, il cranio a coppa, rivelando gli otto sassi neri levigati. Il gruppo arretr di un passo, involontariamente. Le pietre sacre riflettevano, cupe, la luce solare. Non temete - li incalz Krud - sar io stesso a preparare la cerimonia! Il sacrificio, per, dovr essere celebrato da Jak. E' lui l'eletto, lo sapete tutti! Lui il segnato dagli Dei!. I presenti rabbrividirono: le tremende intenzioni di Krud erano note agli anziani. I capi delle famiglie sapevano ma nessuno parlava apertamente. Il vecchio, da attore consumato, lasci che i suoi occhi si velassero di pianto:

Lo so, terribile. Non oso parlarne... ma necessario! Solo il sacrificio del fiore pi raro potr convincere gli Dei della nostra sottomissione. Forse, ci risparmieranno! Non temete, sapr approntare tutto, anche se con la morte nel cuore. La sera era fresca ma intorno al fuoco si stava bene. Tutti si erano rimpinzati con la carne dei grossi pesci catturati da Jak. Lo Sciamano, quella sera, era stato fin troppo cordiale: il cacciatore non si fidava. Krud lo convinse a sorbire un nettare speciale tratto dalle bacche di ginepro. Jak bevve avidamente, la pozione era deliziosa. Ora, drogato, assisteva con la mente ovattata ai preparativi di una cerimonia che non conosceva. Solo i maschi partecipavano al rito. Quattro tozzi indigeni, salmodiando, portarono Jak come in trionfo. Arrivarono spediti alla piana della Cattedrale col favore della luna. Alcuni fal ravvivavano l'ocra, tingendo di sangue i megaliti che si stagliavano sul cielo cobalto. L'assistente di Krud copr lo jerofante con una pelle d'orso, e il vecchio inizi una complessa danza rituale. Altri, intorno, eccitati e ubriachi, si dimenavano come ossessi, mentre i musici percuotevano attrezzi, fatti di pelle, ossa e legni sacri. Un solo, cupo ritmo palpitava all'unisono e riecheggiava nell'ampia valle. A Jak la testa girava sempre di pi, ma non poteva svenire. A un gesto di Krud venne portato, di peso, all'altare sacrificale. Krud arm la sua mano con una lama nera, ricavata da una pietra del Cielo. Intorno era una ridda di luci, scintille, urla e tamburi. Tutto vorticava in modo indistinto. Krud gridava qualcosa sulla necessit di un sacrificio, sul volere degli dei... sul destino! Sopra la pietra sacrificale una figura sottile: possibile fosse un essere umano? In testa un cappuccio col disegno di un coniglio. Uccidi! Uccidi! urlavano intorno gli anziani. Jak era sconcertato, non capiva pi niente mentre suoni e grida lo incalzavano. Krud gli strillava nella mente rendendolo pazzo. La mano di Jak scese implacabile: la pietra affilata affond nella carne tenera. Poco sangue caldo e scuro disset, ancora una volta, quel luogo di dolore. *** Le urla strazianti di Jak, alla sera del giorno dopo, erano ridotte a un rantolo sordo. Il dolore si rinnovava appena abbassava la testa e rivedeva il corpo senza vita di Schy. Nel petto, infisso come una lapide, lo stesso grosso pugnale con cui il padre, ignaro, le avevano dato la morte. Immota, trasfigurata, la bambina sembrava

un cencio bianco e aveva perso tutta la sua bellezza. Solo gli occhi, azzurro chiaro, specchiavano immobili il cielo. Lasciamolo legato - disse Krud maligno - il dolore lo rende cattivo! Lasciamolo un paio di giorni senza cibo, finch non diventa debole, poi lo faremo ragionare!. Lo sciamano si fingeva addolorato, ma in cuor suo godeva del compimento della sua vendetta. Lontana, nascosta da un masso, la bella Shi assisteva impotente. Se si fosse avvicinata alla zona sacra, l'avrebbero lapidata per sacrilegio. Krud la guard bramoso e si lecc i baffi ma fece finta di non averla notata. La voleva pi che mai ma se ne sarebbe appropriato con calma. Era tutto pianificato. Tra una paio di giorni "qualcuno" avrebbe rifocillato il povero Jak affamatissimo, con del cibo avvelenato e anche lui avrebbe lasciato questa valle di lacrime. Lassistente si assicur che i legacci fosse ro ancora saldi, poi si allontan da Jak che scartava furioso, stando attento a evitarne lo sguardo. Venne la notte. Shi, si era addormentata per terra, impotente. Le stelle brillavano sulla piana. Il cielo era buio, la luna era gi tramontata. Misteriosamente, solo gli occhi di Schy, brillavano di una luce fredda. Allora, le stelle si fermarono e nel buio si stagli una figura pi oscura della notte: Vuoi davvero vendetta con tutta l'anima, Jak? - disse Faken, con la voce che sibilava come il vento dalle porte dei sepolcri - Allora facciamo un patto - rise maligno - tu mi dai l'anima, adesso, e io ti do questa... e, sciogliendo i legami, gli pose in mano una strana lancia di metallo bruno. 1700 a. C. - Equinozio destate. Una volta libero, folle dal dolore Jak riusc a stento, a sotterrare la bambina l, dove la malvagit di Krud aveva preso il posto del volere degli Dei. Il grande cacciatore era senza forze, come un otre vuoto. Vag tra i boschi per giorni, senza scopo, incapace di ogni sentimento. Quando si riprese, inizi a sperimentare i magici poteri dell'asta di Faken; l'aveva pagata cara! In cambio dellarma degli Dei aveva ceduto l'anima, un prezzo onesto, visto che lui si sentiva morto dentro. La lancia degli Dei aveva il potere di renderlo invisibile. Riprese vigore pensando solo alla vendetta. Infine, torn al villaggio senza farsi vedere. Da quel giorno, uno a uno, a intervalli regolari, i corpi dei cospiratori vennero trovati decapitati tra le capanne. Le loro teste invece ricomparivano, infisse su un lungo palo, presso il tempio megalitico di Stonehenge.

A ogni esecuzione, Krud era sempre pi sgomento e la sua paura non si placava neppure tra le braccia della bella Shi. Quellanno e il successivo furono scanditi dalla scomparsa, metodica e misteriosa, dei cospiratori. Giugno era quasi passato e undici teschi circondavano la Cattedrale. Krud era talmente terrorizzato, nonostante fosse circondato da guardie armate e pagate profumatamente. Venne anche la sua ora: lo ritrovarono fatto a pezzi, davanti alla sua capanna: la sua testa non si trov mai, nemmeno tra i macabri trofei infissi come un macabro calendario intorno alla Cattedrale. Jak aveva deciso di portarlo via con se nel suo eterno peregrinare. Quando venne la sua ora non venne accettato nel paradiso ma nemmeno il Faken lo lasci entrare allinferno, visto che la sua anima laveva gi presa. Ancora oggi, la notte del Solstizio, non sono pochi quelli che giurano di aver incontrato per strada un tipo strano, coperto di stracci: porta una lanterna legata ad una pertica. E tonda, liscia, e da due buchi, che sembravano orbite vuote, scaturisce la luce di una fiamma. Pare un teschio, ma tutti preferiscono pensare che altro non sia che una vecchia lanterna. Jak, da allora, vaga ancora per il mondo. Quando arriva linverno, nelle notti pi fredde, la piccola Schy dagli occhi di cielo gli scalda il cuore, mentre il teschio del vecchio Krud gli illumina la via, traballante e orrendo, appeso alla lancia degli Dei.

Lultima alba di luglio


di Marcello Rodi con Fra Setti Mimma Iannone Furio Detti Luigi Mandelli

Mi chiamo Yukio Toshimura, sono un pilota della Flotta Imperiale Giapponese, e so gi che questa che sto vedendo attraverso il cupolino del mio Mitsubishi Zero l'ultima alba di Luglio e della mia vita.

Appartengo a una delle Unit d'Attacco Speciale Tokkoutai Shinu, per l'esattezza all'Unit Yama-zakura: il nome significa Fiori di Ciliegio Selvatico di Montagna. Un nome aulico che nasconde la tragica verit del nostro destino, quello di essere piloti Kamikaze. Quando il comandante della Prima Forza Aerea, il vice ammiraglio Takijiro Onishi sugger: "Non penso che ci sia un'altra maniera di eseguire l'operazione che mettere una bomba da 250 kg su uno Zero e farlo sbattere contro una portaerei per metterla fuori combattimento per una settimana", magari scherzava. Purtroppo in guerra, e con la nostra cultura, c' poco spazio per il senso dell'umorismo. E di certo nessuno di noi si permetterebbe mai di rifiutare una missione disonorando l'Imperatore e le nostre famiglie, che sarebbero costrette a vivere ai margini della societ per questo. E cos eccomi qui, a bordo di un piccolo aereo che pesa quasi meno della bomba che trasporta, e che lo rallenta tanto da essere facile preda dei Corsair americani prima ancora che riesca anche a vedere il suo bersaglio finale. Ci sono due ore di volo da qui ad Okinawa: quelle che presumo saranno le ultime due ore della mia vita, mentre volando verso sud guardo il sole sorgere alla mia sinistra, quel sole che il simbolo della mia patria e dell'Imperatore, quel sole per cui combatto e a cui sto donando la mia vita. Due ore in cui potr accarezzare ancora i miei ricordi per l'ultima volta. Due ore per dire addio a tutto. Vorrei mangiare ancora i kake udon che prepara mama-san. Il sapore agrodolce della salsa di soia mi invade il palato e confonde quello della paura. Qui solo, la cloche stretta tra le mani sudate, posso avere paura. Nessuno sapr , quando raggiunger il bersaglio render onore alla mia famiglia. I suoi kake udon, caldi, immersi in un brodo profumato e speziato, sono sempre stati il mio piatto preferito. Mi sembra che la mia spalla sia sfiorata dalle mani piccole di mama-san: le sue carezze veloci, sottili, negate anche a s stessa. Io sono il figlio maggiore, il mio ruolo le ha imposto di essere dura con me, ma quel calore ritmico e leggero mi ha fatto sempre sentire che lei mi ama. Sapr trattenere le lacrime, abbasser il mento e stringer gli occhi per un attimo, poi preparer una grande corona di fiori bianchi e l'appender alla porta, perch tutti sappiano del lutto che li ha colpiti.

E la piccola Fusae? la mia dolce sorellina con il sorriso triste. Abbiamo giocato tanto, quando eravamo piccoli e pap-san non era a casa. Lei non nata per essere una brava moglie. Quanto ha sofferto per dimenticare la sua voglia di essere come me. Ora le hanno trovato un marito, onorevole uomo e con un'ottima attivit. Mi spiace Fusae-chan: non potr vigilare sulla tua vita come ti avevo promesso. Sarai bellissima il giorno delle tue nozze. Non sarai felice, ma noi non siamo nati per essere felici, altrimenti io non sarei qui e non mi starei avvicinando alla mia morte. Noi siamo nati per onorare il nostro paese e la nostra famiglia. Ricordalo, sorellina. Ricordami. Quasi posso vederla, la mia famiglia, nella nostra piccola casa di legno nella Valle di Urakami, alle porte di Nagasaki. Bella la mia citt, con le sue piccole case, il suo porto, i cantieri navali e la grande fabbrica di armi Mitsubishi, dove lavora quasi tutta la popolazione. Posso quasi sentire la sirena del cambio turno, e l'odore del mare. E il mare mi fa tornare in mente Shoko, l'amore della mia vita, la mia migliore amica e confidente. Non c' nulla di me che lei non sappia. Non c' nulla di lei che io non sappia. L'unica a conoscere la mia angoscia, i miei timori: meno di una settimana fa Truman e gli altri capi di Stato Alleati a Potsdam hanno stabilito i termini per la resa del nostro Impero, e questo ha fatto s che il nostro Stato Maggiore decidesse questa offensiva su Okinawa e sulle portaerei dei gaijin invasori. Giro la testa e vedo i miei cinque compagni nei loro Zero. Cinque fratelli, cinque fantasmi, tutti con le loro paure, e i loro rimpianti. Come si pu non avere rimpianti quando sei costretto a tornare dagli avi a meno di 25 anni, senza aver conosciuto nulla della vita, nemmeno l'amore? Se non fosse per voi, miei cari, per te mama-san, per Fusae, per Shoko, sarei fuggito lontano, sulle montagne, nei boschi. Ma ho la responsabilit del vostro onore, della vostra vita. La cosa che pi mi d conforto sapere che morir per il Sol Levante, e la mia morte vi conceder una lunga e felice vita nella nostra Nagasaki, con il nostro Impero che dominer un mondo in pace. Il 1945 sar l'anno della nostra vittoria, e della vostra nuova vita. Se cos non fosse, saremmo morti invano.

Se cos non fosse, gli di maledirebbero i nostri regnanti: Cadono i fiori di ciliegio sugli specchi dacqua della risaia: stelle, al chiarore di una notte senza luna. Sono i versi che ho trovato scritti sulla lapide di un uomo che non c' pi. Si racconta fosse un samurai, e avesse dato la sua vita per l'onore. I versi di Yosa Buson, poeta e pittore giapponese vissuto nel 1700, mi hanno colpito, e nonostante siano ormai passati dieci giorni da quando li ho letti, risuonano ancora nella mia mente, come presagio del mio destino. E' cos che mi sento: un fiore di ciliegio, di quelli che fioriscono in Primavera, nella ricorrenza dell'Hanami, e nel cuore di un Sol Levante che gi mi manca, pi di quanto mi mancher la mia stessa vita, quando andr incontro alla morte. Bellezza effimera quella del sakura, caduco come il passaggio che ognuno di noi deve attraversare per sentirsi davvero libero. Fiorisce solo per pochi giorni, per abbandonare chi lo guarda ad un'estasi infinita di energia, e per riempire di riso la prosperit che ne nascer. Rimane il ramo, di quel fiore che va via. E il coraggio, di quell'uomo che lascia la propria vita nella battaglia per l'onore. Toccare i cinque petali del mio fiore essere insieme terra, acqua, fuoco, aria e vuoto. Ed vita che non morir. Non c' pi tempo. Il rombo del mio aereo il solo tuono che cavalca queste nubi cos luminose. Amaterasu illumina l'orlo della foschia traslucida, adesso il cielo un kimono appena lavato che ha attraversato la notte della sua tessitura. Raiden il lampo-tuono, il nome di un'altra squadra, a cui penso, compagni, mentre inclino la cloche e regolo la manopola del gas. Il mio obiettivo appena una sbavatura d'ombra sul mare. Non c' tempo. Ho nel cuore una foresta verde, una mano che mi accompagna, mio padre? La voce del bamb, diecimila tamburi di legno... forse una festa? O il sangue che mi sale alla testa, alle tempie, per l'eccessiva e repentina discesa? Devo scegliere in fretta: o inclinarmi all'ultimo momento per piantarmi alla base del

ponte di comando della portaerei, o viaggiare a pelo d'acqua per colpire lo scafo a met, spezzarlo come un serpente, in due. Il bamb si apre al vento fresco della brezza. Io salgo una montagna. Un sogno? Forse udr tra poco la tromba della sveglia in caserma, alla base. Sono gi a casa, invece, in tempo per l'Obon: sto riposando, stroncato dal servizio e piegato dalla prospettiva di una breve licenza. Vedr le candele correre sull'acqua, le loro luci arancioni, il ritmo degli zoccoli dei danzatori, adesso solo l'odore di polvere e insetti del tatami che mi avvolge. Il cigolio del legno, la canfora, ancora i tamburi, il rullio degli zoccoli sul palco. Le risa, il canto. Io salgo, sono quasi piegato in due sul sentiero, lungo un viottolo di altari, di Jizo-sama, ho del fango fra le dita dei piedi, piccoli grani di terra, colore dell'incenso. Ho bruciato ogni dolore davanti ai miei avi. Adesso sono come acciaio lavato. I miei giorni sono vessilli in fuga dietro una collina: quota 150 metri, a 18 km dall'obiettivo, una portaerei, otto unit di scorta. Ecco i Corsair, arrivano come un branco di veltri che hanno annusato la preda. L'unica speranza quella di fare quota per poter manovrare liberamente. Rompiamo la formazione: come i petali del fiore di ciliegio di cui portiamo il nome, ci sparpagliamo nel vento. Il 14 cilindri della Nakajima nella fusoliera ruggisce come un animale ferito, mentre tento di dominarlo con la cloche. L'abitacolo tutta una vibrazione, e l'accelerazione di gravit mi scuote ad ogni virata: in un angolo della mia mente compare l'immagine del giorno passato al parco giochi con Shoko; che giorno bellissimo, il giorno del nostro primo bacio d'amore. Poi picchio verso l'acqua con l'aereo gaijin alle calcagna che mi mitraglia, il riflesso del sole sulle crespe mi fa tornare alle nostre giornate sulla spiaggia, ai nostri progetti, all'amore che non potremo mai vivere... Viro ancora, mi avvito, cabro e picchio senza sosta, mentre la visione periferica mi fa intuire che alcuni dei miei compagni non ce l'hanno fatta. Ora i Corsair sono due, e sparano senza tregua su di me. Sono a meno di cinque chilometri dalla portaerei, faccio quota e poi inizio a picchiare con un angolo di 45, diventando un bersaglio facile. Il cupolino esplode all'ennesima raffica, i frammenti mi accecano: non ha pi importanza, mi render le cose pi facili non poter vedere l'impatto finale.

Tengo salda la cloche, come tengo saldi voi nel mio cuore, miei cari. L'ultima scintilla di vita mi d la consapevolezza che tra dieci giorni vi abbraccer di nuovo.

Ombre nere nel sole dagosto


di Tristano... langelo nero con Absynt Poison Roberto DArgento Black Soul (Morwen) Claudia Cavallaro

Fra pochi giorni Ferragosto, la citt deserta, le vacanze fatte a luglio sembrano un lontano ricordo e, questo agosto, indicato come il pi torrido degli ultimi sessant'anni non fa altro che gettarla nello sconforto pi totale.

Carlotta odiava il caldo, l'estate in generale, infatti la sua vacanza l'aveva passata in Islanda, lei amava il tepore del fuoco e imbacuccarsi nelle sue sciarpone sotto la sua cuffia col pon pon per questo il sole cocente fisso dalla mattina alla sera le provocava ansia, inquietudine, vertigini... in quel deserto urbano che sembrava muoversi al rallentatore e che la costringeva a vivere come in un incubo quotidiano. Il volantinaggio era l'unico straccio di lavoro che era riuscita a trovarsi, di tutti quei curriculum distribuiti era rimasto solo un "forse la chiameremo a Settembre: vedremo!" , speranza a cui non attaccarsi troppo. Alle 14.00 di quel venerd Carlotta, finita la giornata lavorativa, si incammin verso casa, il week end era alle porte e il suo ragazzo le aveva promesso qualcosa di speciale "Non mi portare in giro di pomeriggio per carit, la sera dove vuoi" aveva precisato lei "Ah ah non ti preoccupare, lo so vampirella!!" Ettore la prendeva in giro sovente per questa repulsione, a lui piacevano il sole, il mare e tutte le sfaccettature dell'Estate ma, per amore, si accontentava di qualche pomeriggio nella piscina comunale. La ragazza che camminava assorta nei suoi pensieri, aveva l'impressione che la luce del sole la stesse perforando, una forte tachicardia la costrinse ad aggrapparsi ad una panchina, frug nella borsa, Lexotan, qualche respiro profondo come le consigliava sempre Elena e riprese il cammino, dopo qualche passo ebbe la sensazione di svenire ma... Si sent sorreggere, due ombre nere la tenevano sottobraccio "Non ti preoccupare, tutto normale!" E si ritrov seduta su quella panchina sola. Si guard attorno, stranita. Il paesaggio era cambiato. Di fronte a lei si affacciava un mare cristallino e una luna piena ne rischiarava le onde. Chiuse gli occhi e sospir. Non era possibile. Sicuramente si era addormentata a causa del Lexotan ed ora sognava quello che per lei era il perfetto paradiso. - Non come pensi - la voce la obblig a sollevare le palpebre di scatto. Davanti a lei, una figura completamente nera, fatta di oscura essenza. Un insieme di nebbia nubi dense. Eppure, Carlotta non si spavent. Non ne cap il motivo, ma sapeva di essere finalmente a casa. - Quindi, non un sogno. La spiaggia, la luna- Osserva bene -, continu la presenza. In lontananza, la donna vide un gruppo di persone che ridevano e chiacchieravano di fronte ad un fal acceso. Parlavano di stelle, della notte di San Lorenzo, dei desideri che si realizzavano. Poteva sentire i loro sciocchi pensieri e ridere di loro. - Li odi vero? - Carlotta annu e si lecc le labbra. Aveva fame fame dei loro desideri. Lo sentiva nel profondo. Avrebbe voluto divorarli per diventare forte, sempre pi forte e sopportare quella calura estiva dellaltra realt. Quella che la costringeva a fare volantinaggio. Quella dove aveva trovato Ettore. I tasselli

sembravano incastrati alla perfezione. Qualcosa stava apparendo nel buio della memoria. - Ti chiedi perch ora ricordi? Vengo da te ogni anno per portarti qui, in modo che tu possa diventare sempre pi forte. Finch non dimenticherai pi chi sei e cosa dovrai fare.- disse lombra. La ragazza si alz di scatto e istintivamente tolse i sandali, gustando la sensazione della sabbia sotto i piedi. - Chi sono io?- domand distratta dallingordigia che si faceva sempre pi insistente. - Sai gi, chi sei ma, c' qualcosa che ancora ti blocca. Devi agire, andare in mezzo a loro e cos capirai tutto quanto. Carlotta si incammin, lentamente, verso il fuoco. La sabbia sotto ai suoi piedi era diventata fredda. Tutto intorno a lei stava diventando misteriosamente gelido. La gente non si rendeva conto del freddo intorno perch il fal si estendeva sempre pi. Si allargava e si avvicinava minaccioso a tutti loro. Qualcuno cerc di indietreggiare ma una forza misteriosa teneva ognuno al proprio posto. Carlotta sorrideva umettandosi le labbra con la lingua. Carlotta godeva, certa che presto il fuoco, avrebbe divorato le carni nude di quei disgraziati che perdevano il loro tempo a sognare, a desiderare. - Ah ah ah! - cominci a ridere sguaiata - L'avevate mai sognato questo?Url gesticolando teatralmente come fosse su un palcoscenico, su una giostra che girava solo per lei e, come lei voleva. - Volevate il caldo? Volevate il sole? Eccolo! Vi scioglier, dissolver i vostri pensieri. Vi uccider tutti! Ah ah ah. Morite, bastardi! Il fuoco ormai era a pochi passi da ogni persona che formava il grande anello tutt'intorno. il fuoco era pronto per incenerire tutti quanti. - S. S. Voglio vedere il pi grande barbecue mai visto prima. Voglio sentire l'odore delle ossa bruciate. Vi voglio tutti morti. Voglio vedere la cenere mischiata alla sabbia e voglio che il vento disperda tutto. Ora! Alz le braccia al cielo e il cielo a modo suo le rispose. Tuon e incredibili lampi riportarono la luce che era stata spazzata via dalle ombre malefiche. Inizi a piovere a dirotto e il fuoco divent sempre pi fumo e la gente rideva, rideva... - Che cazzo succede! Nooo! Perch? Dove ho sbagliato? Sent una mano sulla spalla, era Ettore. - Non hai capito. Mi spiace. Non sei ancora pronta. Cadde a terra priva di sensi. Il fuoco era ormai spento e la gente muoveva verso di lei. Si era svegliata sotto la calura insistente di agosto, la gente che muoveva verso di lei, non era altro che quella accorsa dopo averla vista svenire sulla panchina.

Ettore continuava ad urlare il suo nome in preda al panico perch Carlotta faticava a riprendere i sensi. Le barche all'orizzonte si muovevano lente verso chiss dove, i bimbi continuavano a spalettare sabbia ovunque al grido di Peppa Pig, la famosa maiala parlante. Carlotta era sicura di non aver sognato, guard Ettore con fare interrogativo e poco dopo venne portata da una ambulanza al vicino ospedale. La notte arriv presto, e lei, con attaccata una flebo con acqua e sali minerali, si riprese. Apr gli occhi, attorno a lei, le ombre avevano fatto capannello osservandola e discutendo tra di loro. Carlotta inizi a tremare, si volt verso la finestra e vide la bella luna d'agosto, tingersi di rosso, la sua fame di carne umana cresceva e i suoi denti bramavano ardentemente un po' di cibo demoniaco. Aveva anche sete, voleva del sangue fresco, le ombre la aiutarono di nuovo ad alzarsi e la fecero arrivare al bagno. Si guard allo specchio. Quella che vedeva riflessa non era assolutamente la ragazza fotosensibile dipendente dal Lexotan, ma un agglomerato di squame nere dalla forma indefinita, occhi rossi e dai denti aguzzi. Era un mostro. Uno della peggiore specie, non un vampiro delicato ed etereo, ma un demone dell'oltretomba reietto. Le ombre sorrisero di un sorriso infido. Regina! La chiamarono. Lei rispose con un rutto. Carlotta dapprima si spavent e abbass gli occhi, poi si riguard. Una lacrima solc quel viso da mostro che aveva soppiantato i suoi dolci lineamenti ma lo sconforto dur poco, un nuovo stato d'animo la pervase. Le sue fibre, una volta mortali, si caricarono di rabbia, di aggressivit e di fame. Una cieca e sorda fame che faceva tremare il suo corpo. Le ombre, intanto, le erano accanto ed iniziarono ad accarezzarla. - Regina, devi nutrirti, sei troppo debole! Carlotta annu ma dentro di lei era in atto un terremoto di emozioni: una parte umana residua che veniva via via soffocata da emozioni demoniache. La ragazza aveva sete di sangue, fame di carne umana ma allo stesso tempo queste voglie le facevano ribrezzo, cercava di calmarle tra gli scossoni del suo corpo debole. Ma qualcosa che andava oltre alla sua volont la spingeva a soffermarsi sull'odore umano, che permeava quell'ospedale; era cos invitante, cos pulsante e speziato da far impazzire Carlotta. La porta della sua stanza si apr. La ragazza si affacci e rimase ad osservare quella preda con il camice bianco avvicinarsi al suo letto, per poi girarsi in direzione del bagno. La vide e stava per urlare ma Carlotta fu pi veloce: gli copr la bocca con la mano, mordendogli il collo finch non esal l'ultimo

respiro. Lo gett a terra e si fiond su di esso, inizi a squarciare quella carne cos allettante e gustosa. Ettore era andato a fare due passi e a prendere un caff; non riusciva a lasciare sola Carlotta, era in pensiero per lei. Vide la porta della sua stanza aperta ed affrett il passo, preoccupato. La scena che gli si present davanti, gli fece cadere il bicchierino a terra... e forse qualcos'altro. "Hai raggiunto finalmente la tua trasformazione" le disse Ettore fermo sulla porta mentre la osservava gustarsi il lauto pasto a base di medico. Carlotta si volt di scatto e lo guard con aria di sfida: - Dimmi tutto, chi sono? Il ragazzo un le mani e inspir profondamente, le sembianze umane svanirono e si ritrov ben presto nella stessa condizione estetica di lei: - Siamo Altroc, razza dell'oscurit, abbiamo dovuto abbandonare il nostro pianeta per un innalzamento esagerato della sua temperatura stiamo cercando di adattarci al pianeta Terra per sopravvivere ma il sole ci rende deboli e per quelli pi sensibili, come te, necessario tornare alla forma originale e vivere la notte, divorando esseri umani senza farsi scoprire.La ragazza lo guardava con occhi increduli. - Quindi questa la mia forma originale? E ora che dovrei fare, sbranare tutti quelli che incontro? Egli scosse la testa: - Devi imparar a vivere intorno a quel fal che hai visto in spiaggia, quello un luogo sicuro per chi, come te, non in grado di vivere sulla terra, ora proveremo a ritornarci ma mi raccomando: loro non sono umani, non puoi nutrirti dei tuoi simili. - Vorrei tornare sulla Terra, vorrei riprovare a convivere sotto a quel sole cos infimo per me. Ettore la guard con aria contrariata ma lei incalz: - Ti pare che io possa vivere al riparo da tutto? Riportami alla vita terrena e restituiscimi le mie sembianze umane... Ti ho voluto bene, non puoi rifiutarmelo! Una cacca di piccione in piena testa la dest, su quella panchina aveva rischiato un'insolazione; accidenti, erano gi le 16.00 ma quanto tempo aveva passato a sonnecchiare pens mentre si asciugava la bocca ancora sporca di sangue.

Lultimo autunno a Dublino


di Emiemi con Nadia Finotto Francesca Gi Rea Silvia
Era passato un anno da che si erano trasferiti in Irlanda. Aurora insegnava danza classica in un importante scuola di Dublino e Marco era un esperto progettista di grandi edifici.

La loro era una vita agiata e soddisfacente, e sebbene in cinque anni nulla di compromettente fosse capitato, ora il loro rapporto sembrava stesse vacillando. Le loro romantiche passeggiate al tramonto, lungo il Liffey, erano sempre meno frequenti, e spesso qualche sera non si incrociavano nemmeno; tanto era preso lui con cene di lavoro o riunioni, che Aurora si sentiva sempre pi sola. La notte quando cercava di addormentarsi, pensava, ansimando, alla magia che esisteva un tempo tra loro, ai sogni in comune, alle promesse dette, ai progetti per il futuro, alle risate, alle emozioni vive del loro spensierato e felice amore, prima dei veloci cambiamenti della loro vita, in quell'autunno del 2013. Era una fresca sera di settembre, un tramonto dai colori ambrati e sfumati, riempiva il cielo di quella meravigliosa terra del nord, mentre un leggero vento accarezzava i loro visi, ed illuminava di una luce in penombra i loro occhi, sempre pi persi in lontani pensieri, malinconici di lei, indecifrabili di lui. Aurora era silenziosa, e sentiva Marco freddo e distante. Mancavano le loro frasi di sussurri, di dolce e soave suono; svaniva la magia del loro legame, non vivevano pi le loro atmosfere dai contorcimenti di sensazioni forti di passioni, un tempo sentivano le loro spiritualit intrecciarsi come richiami di epoche antiche, come essenze fluttuanti senza paure. Ora tra loro scendevano ombre di incomprensioni e di distacco. Aurora si ferma di fronte a lui, lo guarda negli occhi, gli sfiora la guancia con la sua mano fredda e piangendo gli dice: - TI sto perdendo! Il suono delicato e tremante della sua voce, trapelava note di paura e disperazione, che a stento tratteneva per non risultare agli occhi di Marco tragicamente paranoica, ma lui sapeva che sarebbe esplosa, e ci che le stava nascondendo, avrebbe potuto compromettere tutto tra loro. Non voleva farla soffrire, e allo stesso modo non aveva il coraggio di dirle la verit. Lei fece il primo passo, sapendo che i suoi sospetti avrebbero portato verit laceranti per il suo cuore. Questo era il suo primo tentativo per riportarlo, con il cuore e con la mente, a lei, come sempre era stato. Quella sera si limit ad esprimere le sue paure, e a proporre una pausa di tutti i loro impegni quotidiani: - Facciamo una vacanza io e te soli, avevo pensato di andare a Firenze. Ti ricordi? Dove ci siamo conosciuti. E' un po che non viviamo momenti per noi, sei sempre cos impegnato col lavoro, e mi manchi, che sto male. Lui era quasi a disagio a quelle parole, e in fretta respinse la proposta con una giustificazione scontata, ma funzionale, perch sapeva che lei non poteva dire niente riguardo il suo lavoro: lavoro, e sempre lavoro! Si sfum cos la conversazione: negli occhi di Aurora si rifletteva il rosso del tramonto, che stava spegnendosi dentro il Liffey. Senza pi dire niente, fecero

rientro a casa, cenarono, andarono a dormire, tutto riempito da un pesante e tagliente silenzio. La mattina Aurora trov un biglietto, sopra il cuscino di lui, con queste parole scritte: Amore, ieri mi sono dimenticato di dirti che oggi avevo un incontro di lavoro fuori citt, torno tardi anche stasera, non aspettarmi!. No, non poteva essere, ancora peggio. Dopo le parole della sera prima. Pianse senza freno per alcuni minuti, e decise di fare qualcosa di pi concreto, non poteva lasciare morire il loro rapporto in questo assurdo modo. Pens e ripens ai pochi minuti di durata della loro conversazione e mentalmente risent le sue parole e le parole di lui. Come in un film fece scorrere avanti ed indietro le scene in modo da cogliere ogni particolare che le fosse sfuggito ed in cuor suo sperando di avere avuto una sensazione sbagliata, ma purtroppo non fu cos. Il disagio che aveva visto nell'atteggiamento di lui le faceva chiaramente pensare che sicuramente lui le nascondeva qualcosa. Lo stesso rifiuto di fare un viaggio insieme adducendo come causa il lavoro poteva avere un solo significato: suo marito aveva un'altra donna. Fu presa dalla disperazione perch non era facile riconquistare una persona quando questa ormai era persa e il modo di comportarsi di Marco dava ben poche speranze. Aurora si chiese se avesse dovuto cercare di scoprire chi era l'altra, ma qualsiasi cosa avesse scoperto non le sarebbe piaciuto, quindi meglio non sapere chi era. Forse il tentativo migliore per cercare di riprendersi Marco era giocare all'attacco. Non sarebbe stato facile, ma avrebbe dovuto cercare di eliminare dai suoi comportamenti ogni paranoia, ogni segno di tristezza, ogni lamentela per il lavoro di lui e per il fatto che si vedevano sempre meno. Parallelamente avrebbe cercato di cambiare un po', magari la pettinatura o il colore dei capelli, di vestirsi in modo un po' pi ricercato, di badare un po' di pi al suo aspetto anche a casa. Aveva deciso: s, avrebbe giocato all'attacco: o la va o la spacca! Prenot per l'indomani una visita dal parrucchiere. I suoi capelli, lunghi e scuri, decisamente un po' spenti, divennero pi corti e sfumati ed il suo colore si schiar in un bel color nocciola con dei contrasti un po' pi chiari che le davano molta pi luce al viso e mettevano in risalto i suoi begli occhi verdi. Quella giornata era interamente dedicata ad una serie di preparativi, la mattina lasci alla sua socia l'incarico di seguire le lezioni alla scuola di ballo per tutto il giorno, mentre nel pomeriggio, di ritorno col suo nuovo look, prepar la casa. Fuori era calata la sera. Le luci soffuse preannunciavano la serata romantica che aveva organizzato. Accese candele profumate alla cannella, prepar una tavola imbandita di stuzzichini e vino rosso, e lasci andare in sottofondo delicata musica celtica, si

vest in maniera provocante e aspett il momento del suo arrivo. Erano le 20.00 e non arrivava. Il suo cellulare era spento. Aurora stava in ansia, ma doveva stare calma ed avere pazienza. Poi le 21.45. Sent il rumore di chiavi girare nella serratura, era emozionata e impaurita allo stesso momento. Lo accolse abbracciandolo e baciandolo, senza rimproverarlo del ritardo, mentre lui la respinse di forza, barcollando e urlando. Sbalordita senti il suo alito che puzzava di alcool, lui non si era nemmeno accorto del suo nuovo taglio di capelli, non disse niente della casa, del profumo delle candele, del cibo, niente di niente, solo sbraitava, puzzava e non si reggeva in piedi. Non riusc pi a resistere e fu colta dalla rabbia, sfogando la sua disperazione, facendo mille domande, accusandolo di tradimento. Marco le diede una spinta e lei cadde a terra, si rialz piangendo, picchi coi pugni sul suo petto, ci furono parole pesanti, offese e pianti. Marco prese a voltarsi, a dirigersi verso l'ingresso, uscendo e sbattendo la porta. Aurora rimase sola piangendo alcune ore, poi stremata si accasci e si addorment sul soffice tappeto bianco del salotto vestita della sua vestaglia di raso nero, con la musica ancora in sottofondo, mentre le candele si spensero lasciando un intenso odore di cera ancora bollente. Il vento soffiava forte quel pomeriggio strappando via le ultime foglie dagli alberi, l'Inverno era ormai alle porte; Aurora si strinse nel palt mentre procedeva a testa bassa lungo O Connel Street decisa a scoprire cosa o chi aveva creato quella frattura tra loro. Quando finalmente arriv di fronte la Diocesi erano quasi le sei, si nascose dietro l'angolo in attesa che Marco uscisse, sperava di non sbagliarsi, sperava che almeno la storia dei prestigiosi lavori per conto della Diocesi non fosse una menzogna; i minuti scorrevano veloci e, quando stava per rinunciare e tornarsene nella loro casa ormai vuota, lo vide sbucare da dietro le colonne in compagnia di una bellissima donna, visibilmente irritato. Si avvicin a loro per cercare di capire quale fosse il motivo dell'animata discussione e quello che ascolt nei minuti successivi fu di gran lunga pi orribile di ogni scenario ipotizzato nelle numerose notti insonni. - Cloe, adesso basta: sono stanco di tutto ci, sono mesi che lavoro duro ogni giorno per mandare avanti i piani dell'arcivescovo, quelli edilizi e gli altri vizietti. - Marco cosa vuoi, si rifatta viva la tua coscienza per caso? - Cloe non me ne importa nulla di quei bambini, una cosa che mi fa schifo, ma non sono figli miei e se anche non fossi io a portarli alle feste della Curia, lo farebbe qualcun'altro, voglio i miei soldi e la firma sul contratto. Aurora aveva sentito abbastanza, quell'uomo orribile non poteva essere il

ragazzo di cui si era innamorata, con cui avevo condiviso i suoi sogni. Si allontan velocemente e prese il primo taxi. - Signorina si sente bene? Dove la porto? - Si, benissimo, mi porti al commissariato, grazie. Aurora arriv al commissariato di corsa e agitata, ma si blocc di fronte all'entrata. Ma che sto facendo? pensava. E' veramente quello che voglio fare, rovinare la vita all'uomo che amo?... Ma smettila, qui non questione di amore le rispose la sua voce interiore m a di un uomo che ha tradito la sua donna con le menzogne, ha calpestato la propria dignit umana e squallidamente si fatto coinvolgere in un traffico losco. Come puoi perdonarlo? Come puoi tacere e farti complice di un uomo debole che si fatto corrompere in qualcosa di inaccettabile. Non puoi continuare la tua vita, con il rimorso di non avere fatto la cosa giusta. Vivresti per sempre con i sensi di colpa e lasceresti a piede libero colui che per i soldi ha rovinato il vostro rapporto e la vita di entrambi, oltr e che quella di altre persone. Si convinse, lei era sempre stata una donna onesta e doveva fare la cosa giusta. Marco fu seguito e smascherato, e con lui tutte le persone coinvolte. Le conseguenze furono drammatiche, disastrose. Aurora cambi molte cose della sua vita, trascorse mesi critici, and in analisi per depressione, fece un percorso impegnativo per ritrovare se stessa, si trasfer in periferia, con la sua amica e socia della scuola di ballo, elimin tutti gli oggetti e i vecchi ricordi. L'autunno successivo, ripercorse molte sere, il tragitto delle loro passeggiate. E in una sera di settembre riprov le stesse sensazioni di fronte al tramonto che rifletteva sul Liffey, una luce dorata, che la fece sospirare. Suo malgrado aveva tanto amato Marco. Ma era ormai una storia chiusa . Non volle pi pensare al passato e sapeva che ora il futuro era nuovo e molto atteso. Con lo sguardo e con la mente disse addio a Marco e a quel vecchio amore. Un leggero vento soffiava tra i suoi capelli. Ora si sentiva libera.

Doveva essere una castagnata


di Gianii Beria con Giovanna S. Nadia Finotto

Siamo partiti presto, nonostante la giornata non fosse bella, anche se ottobre ne regala tante di memorabili, con temperature ancora gradevoli, luce tersa e colori stupendi. Avevamo programmato il 18, un Venerd, per evitare la ressa domenicale, anche perch sarebbe stata l'ultima per trovare castagne. Quel giorno, invece, era buio e nuvoloso, e faceva freddo.

Luisa e Franco erano arrivati in ritardo come al solito e Sara era gi nervosa. "Ma dobbiamo proprio andare?" continuava a chiedere. E io a risponderle che avevo visto il meteo e che sarebbe schiarito. Avevo progettato di andare sopra Stresa, a Levo. Ero gi stato in quei boschi, anni prima, e mi ricordavo sacchetti pieni di castagne. Poi saremmo scesi al lago per una cioccolata calda. - Qui non schiarisce proprio - continuava a ripetere Sara, guardando fuori dal finestrino. Gli altri due, seduti dietro, si erano stretti in un unico corpo ed era stato come se non ci fossero per tutto il viaggio. Quando siamo arrivati su a Levo, il cielo era color piombo e tirava vento. - Che bella giornata! - aveva detto Sara appena scesa dall'auto. Luisa e Franco avevano riso e Franco aveva poi detto che se ne sarebbe stato volentieri a letto, guardando Luisa. Il paese sembrava deserto, nonostante la giornata feriale. - Ma non ci abita nessuno, qui? - aveva commentato Luisa. - La maggior parte sono seconde case, - ho detto io, facendo strada verso il bosco che iniziava sulla destra, in fondo ad una stradina dissestata. - Ma ci sono anche i lupi? - aveva chiesto Franco, ridendo. C'era un silenzio intenso tra quegli alberi fitti e il vento era quasi del tutto calato. Ad un certo punto Sara si era voltata e aveva chiesto dove fossero finiti Luisa e Franco. - Si saranno imboscati - le ho risposto, guardandomi attorno. Lei ha urlato che erano i soliti stronzi. Allora le ho preso la mano e gliel'ho stretta piano. - Dai Sara - ho detto - Lo sai che possono stare insieme poco e ogni occasione buona per coccolarsi un po'. - Ma se non hanno fatto altro in macchina. - ha urlato lei, per farsi sentire anche da loro. - Lasciamoli in pace ancora un pochino, intanto raccogliamo le castagne, ce n' una marea, guarda. Ce n'erano davvero tante per terra e anche grosse, come se a nessuno fosse venuto in mente di venire l a raccoglierle, tanto meno quelli che hanno casa in paese. - Mi sembra davvero strano che ce ne siano cos tante.- ha esclamato anche Sara. - Ti ricordi che Enrico ci ha detto che non stata una buona annata? E che quelle che ha trovato erano poche e piccole. Comunque, abbiamo iniziato a riempire i sacchetti come dei forsennati. - Non ve ne diamo nemmeno una, a voi due- aveva urlato ad un certo punto Sara.

- E dai, fai la brava! - le ho detto io - ce n' da fare indigestione. - E non vi diamo nemmeno il panino da mangiare.Io l'ho guardata e le ho dato un bacio. Dopo un'oretta, avevamo riempito tre sacchetti. - Ora basta - ho sospirato; la schiena mi faceva anche un po' male - Andiamo a vedere se hanno finito - ho aggiunto, ammiccando a Sara. Lai mi ha dato uno spintone, senza dire niente. - Ma, dai, poveri! - ho replicato - Lasciamoli godere un po'. Ritornammo indietro, verso il paese, ogni tanto chiamandoli, ogni tanto urlando loro qualche stupidata. E' stato dietro un cespuglio che abbiamo visto prima una strisciata sul terreno umido, come di qualcosa trascinato, e poi il corpo di Franco, imbrattato di sangue. Ho iniziato ad arretrare, incapace di gridare, nonostante avessi la bocca spalancata. Qualcosa di duro si piant nella mia schiena. - Che ci fate qui? Non avete letto i cartelli? - disse un uomo dietro di me, aveva la voce pacata e monotona, non mostrava eccitazione n premura. Vestiva come uno della forestale ma i simboli sul berretto non mi erano familiari. Sembrava tranquillo ma stringeva una doppietta con il cane sollevato, e la puntava verso noi due. Non riuscivo a pensare lucidamente; mille domande si accalcavano nella testa. Aveva visto Franco? Era responsabile dell'accaduto? Da quanto tempo era l? Strinsi la mano di Sara: era gelida. Anche lei era sotto shock. Indietreggiando di qualche passo quello grid: - Jim, altri intrusi qui! Che facciamo? Riuscii a distogliere lo sguardo dalle canne minacciose dell'arma. Dietro la mia auto, adesso, ce n'era un'altra: una grossa Jeep nera, senza segni di identificazione. Sulla parte posteriore, due antenne flessibili, spropositate. Aveva la guida a destra: lo sportello si apr e ne usc quel tale, Jim, evidentemente un americano. Vestiva classico, in nero, cravatta sottile, occhiali neri, impenetrabili. Un abbigliamento del tutto inadatto nel folto di un castagneto di montagna; se non fossi stato tanto sconvolto gli avrei riso in faccia. Il senso di irreale e il terrore aumentarono, quando vidi, dietro la Jeep, Luisa imbavagliata e, probabilmente legata: mi fissava con gli occhi che imploravano. - Restate immobili! Jim non un ragazzo paziente come me! - disse il tizio, laconico. Col fucile mi spinse verso Silvia, e ci ammanett l'uno all'altra. Allora si dedic al corpo senza vita, voltandolo. Il povero Franco aveva un foro enorme al posto dell'addome; qualcosa lo aveva eviscerato, mancavano persino i genitali.

L'uomo, freddamente, spost un brandello di camicia, si vedeva l'osso bacino. Mi accasciai, tirando Sara a terra con me. - Cazzo! Con questo fanno sei- disse all'altro. Distolsi lo sguardo dai poveri resti di Franco. Non avevo pi la forza di respirare, n di pensare, n di muovere un solo muscolo. Ero completamente annientato da ci che avevo davanti agli occhi: non riuscivo a credere a ci che ci stava accadendo. Sara stava singhiozzando, si appoggiava a me terrorizzata. Sentivo anche Luisa piangere e non riuscivo a capacitarmi della situazione. Che cosa avremmo dovuto leggere? Io non avevo notato nessun cartello. Cercai di farmi forza e lo chiesi al tipo che ci aveva ammanettati. - Ci sono una caterva di cartelli di pericolo! Indicano che la zona pericolosa e avvertono di non inoltrarsi nel bosco. Abbiamo gi evacuato la gente del paese. Anche l i cartelli indicano di tenersi alla larga. Non avete visto nulla? - rispose sempre con tono pacato, ma duro. - Forse perch non siamo passati dalla statale, ma siamo arrivati dalle stradine laterali. Conosco bene questi posti, sono di Stresa. Mi dispiace, ma non ho visto niente... che succede? Perch ci avete ammanettati, perch avete imbavagliato la mia amica? - E lei cos'avrebbe fatto trovando quattro individui che si aggirano nel bosco, quando la zona off limits ed tutta la settimana che i giornali non fanno altro che parlare del... problema? Dellanimale... o casa diavolo , che si aggira nei dintorni. Questa cosa ha gi ucciso cinque persone, sei con il suo amico, dilaniandole e mutilandole, ognuno in maniera diversa: come si divertisse a sezionare la gente. - fu la risposta sarcastica e raccapricciante di quelluomo. - Adesso verrete con noi e dovrete spiegarci un po' di cose, dovrete convincermi di essere arrivati da stradine laterali... e che siete del tutto estranei a questa sporca faccenda. Subito dopo, ci hanno condotti in un casolare, proprio adiacente al sentiero che porta in cima al Mottarone. Eravamo ancora ammanettati, per avevano tolto il bavaglio che Luisa aveva sulla bocca. Non ha potuto raccontarci quello che era accaduto, perch il tizio col fucile era salito dietro, con noi, ed era rimasto voltato sul sedile, per tenerci sotto controllo. Nemmeno loro avevano parlato durante il percorso. Una volta arrivati, due persone sono uscite dal casolare, indossavano quella stessa, strana, divisa. - Altri seccatori? - chiese uno dei due aiutandoci a scendere dall'auto. Ci fecero mettere contro il muro. Quello che si chiamava Jim scese dall'auto e venne verso di noi. Rimase un po' a guardarci senza dire niente.

- Cari i miei, mi spiace per il vostro amico, ma come vi gi stato detto, non dovevate venire qui - inizi a dire, facendomi subito cenno di tacere, appena cercai di aprire bocca. - Stiamo cercando di capire cosa sta succedendo da queste parti; non posso dire altro, e nemmeno posso permettervi di andare in giro a spiattellare ci che avete visto. Resterete, diciamo, nostri ospiti, finch non arriveremo a capo della situazione. Fece cenno ai due che erano appena usciti dal casolare e loro, spintonandoci, ci fecero entrare nel casale. Le ragazze erano terrorizzate, avvilite. - Cerchiamo di mantenere la calma dissi per cercare di rincuorarle - Non possono tenerci qui a lungo... Un colpo al fianco mi fece sbuffare per il dolore. - State tranquilli e non vi succeder niente - disse uno dei due, strattonandomi verso una stanza. Sara e Luisa vennero portate da un'altra parte. La stanza era buia e senza finestre, sembrava pi un grosso ripostiglio, ma era completamente vuoto, se non per una branda. Dovevo assolutamente andare in bagno e avevo fame. Non mi avevano tolto le manette e questo mi faceva sperare che presto sarebbe venuto qualcuno a farlo. Del resto non c'era necessit che mi tenessero rinchiuso con le manette, nel buio... Di questa storia, mi rimasto lorrore per la morte di Franco. Per il resto ho dimenticato tutto. Con Luisa non ci siamo pi visti, e con Sara non va troppo bene. Ci hanno liberato il 31 ottobre. La notte di Halloween. E pensare che volevamo vestirci da mostri. Mi aveva convinto Sara a partecipare alla festa che avrebbe organizzato un suo collega. Avevamo trovato dove acquistare i costumi. Di quei giorni ricordo solo il rollio di elicotteri e la voglia tremenda di uscire da quel buco dove mi avevano rinchiuso. La striscia di luce sotto la porta che mi faceva indovinare dovera il letto, il water e il piccolo lavandino. Il bagliore improvviso, le urla, gli spari del giorno in cui sono venuti a liberarci. Lospedale. Ogni volta che penso di aver passato quattordici giorni in quella stanza, mi viene la nausea. Ho perso pi di dodici chili, ho paura del buio. Luisa e Sara sono state violentate. Non so ancora spiegarmi perch ci abbiano lasciato vivere, invece di ucciderci o darci in pasto a quella cosa. La polizia non ci ha detto niente. Io e Sara parliamo ogni giorno con lo psicologo, ma non serve a molto. Lei dice invece che questi incontri le sono molto utili per capire chi , chi siamo, io e lei. Io so solo che si sta allontanando da me, e non ho la forza di trattenerla, di confessarle ci che sento per lei.

Che cosa mi ha fatto questa spaventosa esperienza. A volte vorrei aprire la finestra e urlare. Fare uscire la rabbia che ho dentro. Forse questo: non essere ancora capace di farlo. Perch ho paura ad aprirla, la finestra. In casa ho sempre la luce accesa. Quando cala la sera, sento il cuore iniziare a battere pi forte, il respiro diventare affannoso. Sara tornata a vivere dai suoi. Ci sentiamo al telefono, ci vediamo dallo psicologo, solo perch lui a volerlo. Appena ci hanno dimesso dallospedale cera suo padre ad aspettarla. Se l portata via senza nemmeno salutarmi, quasi come se tutto fosse successo per colpa mia.

Luna nuova
di Livio Barbato con Alessandro Civiero Paola Iai Francesco Sacc

Luci ondeggianti sullacqua danno nella notte il benvenuto alla luna, splendente pi che mai, che illumina linizio dell estate di San Martino. Il freddo pungente le dava un aspetto di grandezza fuori dal normale.

Il vento spazzava via le poche foglie rimaste e sulla panchina in fondo al molo due ragazzi infreddoliti si stringevano e la luna nei loro occhi gelava i loro sguardi. Lungo il viale Kennedy pochi alberi quasi tutti spogli e nessuno, solo la loro ombra a far compagnia a quei ragazzi in quella giornata, vissuta come tutti gli altri giorni, tutti uguali. Tra i loro pensieri cerano tanti ricordi e tanti desideri, per chiusi in quel cassetto ad aspettare il giorno che desse la svolta alla loro vita. Nei loro animi potevi leggere una vita fatta di stenti e di sacrifici, scappati dalle loro famiglie alla ricerca di qualcosa che non riuscivano neanche a spiegarsi, ma nel cuore il loro amore per la vita, li portava con s, verso posti lontani. Un pensiero li accomunava in quellistante, che quella luna nuova aprisse uno spiraglio al buio di quei giorni, al loro futuro. Il loro pensiero era scandito dal tempo, volevano solo essere liberi di vivere, di cercare il senso della propria esistenza e intanto lentamente si lasciavano trascinare dal vento, in quella notte che sembrava non finisse mai. Il bagliore della luna li cullava e n le loro parole, n tutto l'amore del mondo che li circondava, bastava a scaldarli, mentre loro chiedevano alla luna ancora compagnia, prima che il mondo li trovasse e li costringesse a tornare sui loro passi. Qualcuno o qualcosa aveva messo la musica. Era simile a una tarantella o ad un moderno salterello di violini zigzagati con impeto, di tamburelli ridondanti e rimbalzanti sul bitume della strada e il muretto dellargine. Flauti fischiettanti, che fluttuavano assieme allaria fresca dellinverno alle porte. Tutto richiamava alla vita, nonostante il vento gelido, e gli occhi ancora lucidi, perch quando qualcuno di loro non ce la faceva, non poteva resistere e tornava alla solita vita comoda, alla noiosa routine di unabitazione, un lavoro e una storia ordinaria, cera sempre da rattristarsi. Ma si doveva continuare, con una nuova musica, un nuovo ritornello, unaltra stagione, come ci fosse un cielo di marzo, di luna nuova. Allora girava la ruota e il turbine dei ricordi volteggiava nellaria, come un valzer daddio che si respirava nellaria, lungo viale Kennedy. Livio non era tornato e gi, al bar del lungo Po, da qualche giorno non si parlava daltro. Si guardavano addirittura i giornali, cosa che non succedeva

quasi mai, tra gli amici di viale Kennedy; anche la coppietta vista alcune sere prima alla calata dellimbarcadero, aveva causato non pochi sospetti in quel Novembre dallaria tersa e di un freddo che risultava quasi amico. Poi, di comerano andate realmente le cose , non ne sapeva niente nessuno. Ci voleva qualche bicchierino, per capirci un po. Restava il fatto che quel cercare continuo, quel logorio della vita per trovare una ragione, spingeva anche oltre al lecito, aiutati tra laltro dalla benedizione della luna che si specchiava nel fiume. Bisognava chiedere a Livio che fine avesse fatto. Erano giorni freddi, ostili, a volte piovosi e a volte soleggiati, ma l'inverno con il suo solstizio era alle porte e la luna portava nuovi sconvolgimenti. Erano giorni di preparativi, lungo il fiume, quei pochi che lentamente passeggiavano infreddoliti sentivano nell'aria pungente odori di castagne e di torrone, zucchero filato, caramelle e apparivano le prime bancarelle tra gli argini, sotto luci accecanti e suoni di ogni genere. Tra la gente si mormorava quasi a nascondere una verit che pochi potevano sapere. Il lento calpestio dell'erba scroccante sotto i piedi creava una strana atmosfera. Come si fa a realizzare i propri desideri se non fuggi da tutto e da tutti? E la luna era l, ad aspettare, immobile, lucente a dar come un segno. Guardarono in alto, e nello stesso istante gli occhi di tutti cercavano in essa la speranza che quella luce aprisse un varco nei cuori e desse ad ognuno nuovo spirito per vivere. Un silenzio raggel l'aria in fondo a viale Kennedy, apparve unombra lontana, misteriosa, densa di immaginazione. Alcuni di loro andarono e trovarono un vecchio infreddolito che guardava la luna e farneticava parole incomprensibili. Allora con tenerezza gli chiesero se voleva andare con loro a scaldarsi, a bere qualcosa di caldo almeno. E pian piano ritornarono indietro, entrarono in un posto caldo, gli fecero bere una cioccolata e il vecchio cominci a parlare piano e incant tutti con una poesia. "Vi prego, non andate a dormire, restate con me a sentire questo soffio d'aria, lieve e serena, che ci avvolge piano. Dolce, spensierata, luminosa, o tu luna misteriosa, accompagnaci in questa notte calda a t rovare un po di calma, fa che questa notte tutti ci stringiamo e ci addormentiamo, e al nostro risveglio ricoperti dalla tua rugiada ci ritroviamo!

Sommessamente quell'uomo anziano e provato inizi a modulare una melodia. Una voce dal tono profondo contrastava la sua figura fragile. E tutti iniziarono a ricordare. Chi sovrani affetti, chi fugaci amori. La vita buttata alle spalle, quella che per una o mille ragioni aveva deluso e ferito ogni partecipante di quel cenacolo viandante. Il freddo era il nemico, ma quella voce scaldava il cuore. Dolori e rimpianti ognuno si cullava nella sua dolce malinconia. Visi immaginati, risate mai lasciate. Ad ognuno la prova pi difficile, il ricordo. Camilla aveva gli occhi colore del t verde, li chiuse, vide Livio. L'aveva lasciata con il suo solito sorriso scanzonato, dicendole "A dopo", un bacio fugace e le sue spalle allontanarsi. Lei era l per lui, lui che non poteva presentare ai suoi rigidi familiari. Era fuggita attratta da una vita che le sembrava vicina a quella di un'eroina di altri tempi. Voleva vivere alla sua maniera, perdersi in lui, vestirsi di lui. Chiuse gli occhi aspettandolo. Gli amici del bar del lungo Po, mescolati come tessere di un domino nella scatola dei biscotti sopra il vecchio televisore a valvole, aspettavano con Camilla. Si chiedevano se sarebbe arrivato l inverno, mentre il livello del fiume cresceva sui Murazzi, quasi a rasentare limbarcadero, dove si formava sempre quella patina verde nerastra, scivolosa come bava di lumaca. Intanto la luna camminava in cielo,mostrando le sue pose, illuminando pallidamente serate che ogni svago rendeva comunque sempre vuote, senza Livio. Era come seguire la nenia di quel vecchio vate, che poi se era tornato sui suoi passi, con gli occhi vispi e non pi timorosi. Come aveva detto lui, nessuno era andato a dormire, soprattutto Camilla e i suoi occhi dambra. Uninsolita magia di cielo terso, aria gelida, foglie morte, sciacquio persiste nte e lampioni dalla luce stanca, accolsero la luna luova nei primi giorni di Dicembre, e lungo viale Kennedy non sincontrava nessuno, a parte le serrande abbassate dei negozi, i portoni chiusi e un cane randagio che mendicava un po dattenzioni. Un caff a tarda notte, Dino non lavrebbe negato a nessuno, soprattutto in Inverno, e quello ormai cera, salutato anche dalla luna che aveva nascosto il suo viso. Camilla era seduta al tavolino di fronte la vetrata, con le palpebre abbassate, il berretto di lana con fiocco ben calcato in testa,

immaginando gli occhi di Livio, che avevano il sapore di arabica e zucchero di canna. Come se lui fosse in unAfrica lontana e leggendaria. Fu cos che la porta si apr, con una folata di aria polare, offrendo sulla soglia del locale il volto attonito di Livio stesso. Avvolto in un cappotto di lana, scopr il capo giusto in tempo per fare un cenno a Dino prima di vederlo scomparire dietro il bancone. Si volt in direzione di Camilla, abbozz un sorriso, assorto nei suoi pensieri e si sedette davanti alla tazzina di decaffeinato che lei aveva gi ordinato, e che avrebbe ordinato ogni sera della sua vita se solo lui glielo avesse chiesto. Livio la guard silenzioso, la mente ancora all'incontro che lo aveva portato a dirigersi verso il bar del Lungo Po ma con un piglio diverso. Chiuse gli occhi per un attimo che sembr interminabile e ripens al vecchio che lo aveva fermato a pochi metri da l e poi era scomparso in una coltre di umidit e mistero bianco. Le sue parole lo avevano accompagnato come una cantilena, di quelle che non vuoi sentire, perch non puoi dimenticare o far finta che non ti riconduca a una realt che preferivi fosse diversa. Una volta riaperti gli occhi sembrava un'altra persona. Le fece segno di sedersi accanto a lui, le strinse le mani fra le sue e le port sul suo viso per farsi riscaldare il naso gelato, com'era solito fare. Poi si gir verso il vetro e ci avvicin la bocca per appannarlo. Prima che Camilla potesse chiedergli per quale motivo lo avesse fatto, la strinse a s per farle osservare ci che vedeva lui e in corrispondenza del cerchio che Livio aveva disegnato osserv la luce fioca della luna spezzata in cielo e le disse sottovoce: - Ti prego, non andare a dormire, resta con me a scoprire, se senza il favore della luna, il nostro amore avr comunque fortuna.

Let he is known
di Francesca Gi con Giovanna S. Tristano...langelo nero Black Soul (Morwen) Paola Iai Roberto DArgento
Aprii gli occhi lentamente, il fuoco crepitante nel caminetto danzava veloce emanando un piacevole calore; sarei rimasta volentieri sul divano, ma la mia schiena non era poi cosi d'accordo; feci un respiro profondo e mi alzai in piedi, presi il libro e il bicchiere di whisky sul tavolo e salii le scale che conducevano al piano superiore.

Lilith acciambellata vicino alla finestra mi fissava con i suoi occhioni gialli, si stiracchi e, mentre mi avvicinavo, si mise in piedi sulle zampe srotolando la schiena pronta a ricevere la sua dose di coccole. Fuori dalla finestra le fioche luci della citt erano le sole a illuminare quella notte scura come la pece, mentre la neve continuava a scendere, fitta e silenziosa, vestendo di bianco ogni centimetro della valle. Cercai di ignorare le luci dell'enorme albero di Natale che svettava tra i tetti delle case, ma con scarsi risultati, e in ogni caso non sarebbe bastato a cancellare dalla mia memoria che quella era la notte di Natale. E pensare che una volta dicembre era il mio mese preferito, il mio compleanno, il Natale, i regali i giochi e molto altro, certo lo amavo ancora, ma di un amore diverso, pi maturo avrebbe detto lui, pi opportunistico pensavo io; Natale uguale giorni di ferie, uguale stacco il cellulare , uguale io, un buon libro, i mie film e nessuno che rompe i maroni. Persa nei miei pensieri fui riportata violentemente alla realt da un colpo al piano di sotto, dapprima pensai fosse il vento che faceva sbattere le finestre, ma un secondo colpo, pi deciso, fece dissolvere ogni dubbio. Chi diavolo andava in giro la notte di Natale? Chi aveva rinunciato al cenone luculliano in compagnia dell'allegra famiglia? Chi non aveva n la cena, n qualcuno con cui condividere quella notte? Ma soprattutto, chi diavolo era che bussava alla porta? Il bambino era terrorizzato, intirizzito e tremava sulla soglia. Mi guardava dal basso, piccolo soldo di cacio, con gli occhioni che chiedevano tutto mentre la bocca non diceva niente. Ero sorpresa, certo, ma avrei potuto capire, accettare, essere pi pronta: invece restai immobile, impietrita dal suo vestito. Vestito? No che non lo era! Era cos assurdo che non riuscivo ad accettare l'inattesa presenza: non perch un bambino sconosciuto mi si presentava sulla porta a tarda sera; non perch (pur non avendolo mai visto) avesse, negli occhioni scuri, una luce leggermente familiare, no! Il bambino era nudo, peggio: il bambino era "vestito" con una busta di plastica bianca, come quelle della spesa, solo un poco pi spessa. La sua testolina, coi capelli color tabacco, bagnati dalla neve fresca, spuntava da uno strappo largo, insieme a una delle piccole spalle da angioletto. I piedini erano nudi e arrossati dal gelo e io, dopo quel lungo attimo di smarrimento totale, cominciai a darmi dellidiota, testa vuota! Mi ripresi dallo shock e senza perdere nemmeno pi un secondo, incurante di qualsiasi possibile conseguenza, pronta ad affrontare qualunque trappola da zingari, lo afferrai con entrambe le braccia e lo tirai in casa, al caldo, alla vita.

Corsi all'impazzata per le scale e recuperai un plaid scozzese, tutto di lana morbida; presi una tovaglia di spugna dal bagno e tornai da lui. Lo trovai dove lo avevo lasciato: seduto, sparuto, sperduto sulla grande poltrona. Sembrava un piccolo principe che ha appena perso il suo regno. Per prima cosa, strappai via quella busta orrenda: non la potevo vedere! Quella schifosa busta bagnata mi feriva il cuore come un pugnale acuminato, senza piet. Dopo lo strinsi teneramente nel plaid e cercai di asciugargli i capelli. Ma niente... nonostante i miei sforzi, lui era sempre bagnato. Lo guardavo, mentre cercavo di far qualcosa di utile e di ragionevolmente giusto per confortarlo ma niente, era l, intirizzito, spaesato, in bilico fra un pianto a dirotto e la voglia di scappare via... che sfortuna poverino, aveva bussato proprio alla porta sbagliata, alla porta dell'unica donna con l'istinto materno di un formichiere, ammesso che non ne abbia. Provai ad aggiungere un'altra coperta e a massaggiargli i piedi, lo sentii tremare ancora di pi, il suo volto impaurito, i suoi occhi che si stavano riempiendo di lacrime... Scoppiai a piangere prima io: - Miseriaccia! Perch sono una frana? Scusami piccolo...- sbottai e istintivamente lo presi, mi sedetti a terra davanti al fuoco e lo abbracciai, lo tenni stretto fra le braccia, non sapevo se parlasse la mia stessa lingua o meno, ma non riuscivo a fare altro che stringerlo forte a me e sussurrargli: - Stai tranquillo, qui sei al sicuro. Con mio stupore smise pian piano di tremare e anche i suoi piccoli muscoli sembravano rilassarsi un pochino e non so ancora perch, forse il crepitio del fuoco, forse quell'abbraccio accompagnato da un leggero dondolio, forse per un mio bisogno... mi misi a canticchiare, a voce bassa, solo pe r lui Tu scendi dalle stelle. Era passata un'eternit dall'ultima volta che mi era capitato di cantare una canzone di Natale e quella non era nemmeno la mia preferita, comunque il bimbo si rilass completamente e... una risatina? Mi voltai per vedere cosa avesse provocato questa sua reazione: Lilith stava arrabattandosi con un gomitolo di lana: guardarlo ridere mi riemp il cuore. - Ti presento la mia micetta: si chiama Lilith; Lilith, ti presento un mio amichetto si chiama...- lui mi guardava con aria interrogativa. - Ok ti chiamer Dodo, come l'orsacchiotto che avevo da bambina. L'esserino asciugandosi cominciava a rivelare il suo vagabondaggio: era ora di un bagno caldo, riempii la vasca, gli tolsi le coperte, gli slip... - Ma sei una bambina!!

Una bambina, e aveva bisogno di un bagno caldo e rilassante. Presi una pallina di quelle che si sciolgono in acqua e formano mille bollicine, scelsi quella dal nome "Christmas wish" e la lasciai trasformarsi in una schiuma bianca e profumatissima: vaniglia mista a fresco caprifoglio. Vi immersi Dodo e la lascia giocare mentre le massaggiavo i piedini. Il gelo aveva formato i primi segni di sicuro assideramento, povera piccola. Ora il dilemma pi grande: dove diavolo prendere dei vestiti adatti? Mi venne in mente Aurora, la vicina di casa, quella col cane pechinese che avrei volentieri impiccato allo steccato, visto che veniva sempre a fare i suoi bisogni nel mio giardino, ma Aurora aveva una bimba pi o meno alta come la mia ... La mia!? Stavo forse pensando di tenermi quella creaturina in barba alle leggi ? Beh, mi piaceva tanto, e dopo averle asciugato i capelli color miele e averla arrotolata in pi plaid, la mia intera collezione invernale, andai a bussare alla porta accanto e mi apr un giovanotto a petto nudo e jeans strappati, dai capelli brizzolati, un sorriso disarmante ... Ma non era il marito di Aurora... Rimasi a bocca aperta come uno stoccafisso svedese e lui, col suo accento straniero mi chiese se avessi bisogno di aiuto. Aurora comparve poco dopo, rossa in viso, spettinata, e mi disse Che suo cugino era appena arrivato dalla Scozia, certo, suo cugino, come no, risi e chiesi un vestito per la mia di cugina... che si era appena sporcata con la torta al cioccolato. Merda!!! La torta!!! Ce l'avevo in forno da pi di due ore!! Presi il vestitino di lana e le calze lunghe per Dodo, tornai in casa e... Aprii la porta con la paura di non trovarla pi l. Che strano, il mio libro, il mio plaid, i miei film, tutto perdeva senso. Avevo nelle narici l'odore di un piccolo essere fatato e l'ansia di coccolarlo e consolarlo. Era l, la trovai accucciata vicino al camino. Mi guard con occhi sgranati ed intimiditi. - Verr qui da te Babbo Natale? La domanda mi fece ricordare l'uomo bonario e barbuto e magico che mi aveva accompagnato da bambina, poi era fuggito via cos, in poche ore dove ricordo solo il Natale che mi fece crescere, crudelmente e senza aspettare un mio si. Basta una frase a cambiare il verso, un episodio a decidere che finisce un'epoca. La guardai e delicatamente le chiesi se fosse giusto pensare che magari la sua casa Babbo Natale sapeva fosse un'altra, di dirmi qual'era per poter andare a prendere il dono. - La mia casa ha un tettuccio che si apre, la mia mamma l ma non si sveglia, ha sonno, tanto. Se ti porto magari tu sei grande, la scuoterai di pi! Vuoi? In un attimo capii. Avvolsi Dodo nella coperta, mi infilai il primo giaccone che trovai. Corsi fuori in ciabatte di pelo rosa. "Indicami la strada!". La bimba mi

fece un cenno, indicandomi una macchina dall'incerta carrozzeria. Corsi e corsi. Ora sei qui. Ti guardo giocare con un cavalluccio bellissimo. La notte di Natale. Domani arriver anche la tua mamma. E sar un bellissimo giorno diviso tra tre piccole donne felici. Paola stava meglio, ora. Il latte caldo le aveva fatto vomitare l'anima. Si era addormentata ma di un sonno agitato. La fissavo mentre sua figlia giocava con Lilith. Era rinata, lei, ma ora avevo un problema: quella madre. L'avevo trascinata a forza in casa e ripulita in qualche modo. Il suo alito era stato sufficiente a comprendere ogni cosa. Forse, oltre a bere si drogava? Forse era una poco di buono ma dovevo fare qualcosa. Non potevo permettere che rovinasse quella creatura. Ma come avrei potuto fare? "Chi sei tu? Babbo Natale?" Sorrisi a quella domanda che, mi rivolse con aria sfrontata, mentre si risollevava dal divano per mettersi seduta. - Beh, c' l'hai la lingua? - Si certo... Potrei esserlo, il tuo Babbo Natale, se vuoi. - Vuoi aiutarmi? - S. Voglio fare qualcosa per te. E per la tua bambina.- Allora dammi dei soldi e c' ne andiamo. - No. No. Non ti dar soldi. Ti dar cibo e un posto dove stare. Ci conosceremo meglio stando insieme e troveremo un modo, qualcosa per... un lavoro, se non ce l'hai.- Mi fissava incredula. Era fatta di ghiaccio ma qualcosa lo stava sciogliendo. Si gir a guardare sua figlia che giocava col gatto. Fiss l'albero di natale poi la porta di casa. - Vivi da sola? C'hai un marito, dei figli? - S vivo da sola. - E l'albero, per chi l'hai fatto? - Per me. Per te, se vuoi. Il suo sorriso sprezzante non mi piaceva. Ci avrei messo parecchio a restituire a quella donna un po' di fiducia per la vita ma dovevo farlo e... non per lei. Si alz, si avvicin alla bimba e dopo una carezza le diede un bacio. Appoggi le labbra sulla sua testolina per un tempo infinito. Poi, lentamente si risollev, mi pass davanti e and verso la porta. L'apr. Mi sorrise e si asciug una lacrima. - Si chiama Giulia. il 25 dicembre compie quattro anni. Se ne and. Sola col suo peso.

Fine

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