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bestia trionfante
di Giordano Bruno
Epistola esplicatoria 2
Dialogo primo 22
Dialogo secondo 76
Dialogo terzo 138
EPISTOLA ESPLICATORIA
Cieco chi non vede il sole, stolto chi nol conosce, ingra-
to chi nol ringrazia; se tanto è il lume, tanto il bene, tanto il
beneficio: per cui risplende, per cui eccelle, per cui giova;
maestro de sensi, padre di sustanze, autor di vita. Or non
so qual mi sarei, eccellente Signore, se io non stimasse il
vostro ingegno, non onorasse gli vostri costumi, non cele-
brasse gli vostri meriti: con gli quali vi siete scuoperto a me
nel primo principio ch’io giunsi a l’isola Britannica, per
quanto v’ha conceduto a tempo; vi manifestate a molti,
per quanto l’occasione vi presenta; e remirate a tutti, per
quanto vi mostra la vostra natural inclinazione veramente
eroica. Lasciando dumque il pensier de i tutti a i tutti, et il
dover de molti a molti, non permetta il fato, che io per
quel tanto che spetta al mio particolare, come tal volta mi
son mostrato sensitivo verso le moleste et importune di-
scortesie d’alcuni: cossì avanti gli occhi de l’eternità vegna
a lasciar nota d’ingratitudine, voltando le spalli a la vostra
bella, fortunata e cortesissima patria, prima ch’al meno
con segno di riconoscenza non vi salutasse, gionto al gene-
rosissimo e gentilissimo spirito del signor Folco Grivello: il
quale, come con lacci di stretta e lunga amicizia (con cui
siete allevati, nodriti e cresciuti insieme) vi sta congionto,
cossì nelle molte e degne, esterne et interne perfezzioni
v’assomiglia; et al mio riguardo fu egli quel secondo che,
appresso gli vostri primi, gli secondi offici mi propose et
offerse: quali io arrei accettati, e lui certo arrebe effettuati,
se tra noi non avesse sparso il suo arsenito de vili, maligni
et ignobili interessati l’invidiosa Erinni.
Sì che (serbando a lui qualch’altra materia) ecco a voi
presento questo numero de dialogi, li quali certamente
DIALOGO PRIMO
interlocutori
orazione di giove
DIALOGO SECONDO
DIALOGO TERZO
del mio e tuo; e del più giusto, che fu più forte posses-
sore; e di quel più degno, che è stato più sollecito e
più industrioso e primiero occupatore di que’ doni e
membri de la terra, che la natura e per conseguenza
Dio indifferentemente donano a tutti. – Io forse sarò
men faurito che costei? Io che col mio dolce che esce
dalla bocca della voce de la natura ho insegnato di vi-
ver quieto, tranquillo e contento di questa vita pre-
sente e certa, e di prendere con grato affetto e mano il
dolce che la natura porge, e non come ingrati et irre-
conoscenti neghiamo ciò che essa ne dona e detta,
perché il medesimo ne dona e comanda Dio autor di
quella a cui medesimamente verremo ad essere ingra-
ti. Sarà dico più favorita costei che sì rubella e sorda a
gli consegli, e ritrosa e schiva contra gli doni naturali,
adatta li suoi pensieri e mani ad artificiose imprese e
machinazioni per quali è corrotto il mondo e perverti-
ta la legge de la nostra madre? Non udite come a que-
sti tempi, tardi accorgendosi il mondo di suoi mali
piange quel secolo nel quale col mio governo mante-
nevo gaio e contento il geno umano, e con alte voci e
lamenti abomina il secolo presente, in cui la Sollecitu-
dine et industriosa Fatica, conturbando, si dice mo-
derar il tutto, con il sprone dell’ambizioso Onore?
né portò peregrino
o guerra o merce a l’altrui lidi il pino:
ma sol perché quel vano
nome senza soggetto,
quel idolo d’error, idol d’inganno,
quel che dal volgo insano
onor poscia fu detto,
che di nostra natura il feo tiranno,
non meschiava il suo affanno
fra le liete dolcezze
de l’amoroso gregge;
né fu sua dura legge
nota a quell’alme in libertade avezze,
ma legge aurea e felice
che Natura scolpì: s’ei piace, ei lice.
che se
tuno: «Che farrete, o dèi, del mio favorito, del mio bel
mignone, di quell’Orione dico, che fa per spavento
(come dicono gli etimologisti) orinare il cielo?»; «Qua»
rispose Momo, «lasciate proponere a me, o dèi. Ne è
cascato (come è proverbio in Napoli) il maccarone
dentro il formaggio. Questo, perché sa far de maravi-
glie, e (come Nettuno sa) può caminar sopra l’onde del
mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi; e con
questo consequentemente potrà far molte altre belle
gentilezze: mandiamolo tra gli uomini; e facciamo che
gli done ad intendere tutto quello che ne pare e piace,
facendogli credere che il bianco è nero, che l’intelletto
umano, dove li par meglio vedere, è una cecità; e ciò
che secondo la raggione pare eccellente, buono et otti-
mo: è vile, sceleraro et estremamente malo; che la natu-
ra è una puttana bagassa, che la legge naturale è una ri-
baldaria; che la natura e divinità non possono
concorrere in uno medesimo buono fine, e che la giu-
stizia de l’una non è subordinata alla giustizia de l’altra,
ma son cose contrarie, come le tenebre e la luce; che la
divinità tutta è madre di Greci, et è come nemica ma-
trigna de l’altre generazioni: onde nessuno può esser
grato a’ dei altrimenti che grechizando, idest facendosi
Greco; perché il più gran scelerato e poltrone ch’abbia
la Grecia, per essere appartenente alla generazione de
gli dèi, è incomparabilmente megliore che il più giusto
e magnanimo ch’abbia possuto uscir da Roma in tem-
po che fu republica, e da qualsivoglia altra generazio-
ne, quantunque meglior in costumi, scienze, fortezza,
giudicio, bellezza, et autorità. Perché questi son doni
naturali, e spreggiati da gli dèi, e lasciati a quelli che
non son capaci de più grandi privilegii: cioè di que’ so-
pra naturali che dona la divinità, come questo di saltar
sopra l’acqui, di far ballare i granchi, di far fare caprio-
le a’ zoppi, far veder le talpe senza occhiali, et altre bel-
le galantarie innumerabili. Persuaderà con questo che
Si videbas feram,
tu currebas cum ea:
me, quae iam tecum eram,
spectes in Galilea;
fine
Figura 1
[Cfr. p. 161]
Figura 2
[Cfr. p. 162]
Figura 3
[Cfr. p. 162]
Figura 4
[Cfr. p. 162]