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Francesco dovati
nel suo Giubileo ^Universitario con animo riconoscente e fcevoto

Novembre 190S

INDICE

PREFAZIONE Parte I.

pag. XI

LA SPECULAZIONE D E L LINGUAGGIO NELLA FILOSOFIA GRECA

CAPITOLO I La filosofia del linguaggio presocratica e platonica . . . . pag. 3

S O M M A R I O : La filosofia del linguaggio in Pitagora, negli Eleatici, in Democrito ed in Eraclito. Le ricerche sulla parola nel periodo sofistico e loro significato. Il C r a t i l o di Platone in rapporto al suo valore storico e filosofico. La tesi fo.damentale del C r a t i l o ed argomenti diretti ed indiretti in appoggio ed a confutazione di essa. Critica di tali argomenti.

CAPITOLO II La filosofia dei linguaggio nella speculazione dopo Platone pag. 30


S O M M A R I O : La speculazione del linguaggio nelle scuole socratiche minori ed in Aristotele. Punto di contrasto in proposito tra Platone ed Aristotele. L a dottrina del linguaggio degli Stoici con riguardo speciale alla teoria del X s x ~ v . Le nuove vedute sull'origine del linguaggio e degli elementi naturali della parola in Epicuro. La filosofia del linguaggio negli Scettici, gli Eclettici, i commentatori di Aristotele, Filone ed i Neoplatonici.

Parte

/ / / LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO NELLA PATRISTICA

CAPITOLO III La filosofia del linguaggio nella pag. 67 Patristica

Vili

INDICE

S O M M A R I O : Motivi generali e particolari per cui una vera filosofia de 1 linguaggio non si svolta nella Patristica. La questione storica della lingua primitiva quale fu posta dai Padri. L ' opinione della priorit della lingua ebraica ed argomenti p r e contro la medesima. L a questione dell' origine divina ed umana del linguaggio. Soluzione platonica- stoica del problema sulla natura della parola. Come fu spiegato 1' intervento divino nella produzione del discorso umano. Contesa tra Eunomio e Gregorio di Nissa.

CAPITOLO

IV La filosofia del linguaggio in rapporto alla psicologia patristica pag. 95

S O M M A R I O : La questione del linguaggio ne' suoi rapporti psicologici. 1 1 linguaggio dell' uomo e la manifestazione dei sentimenti nei bruti. Elementi fisiologici nella produzione dei suoni. Elementi psicologici del linguaggio e loro rapporto colle facolt dell' anima. 1 1 sermo i n t e r i o r secondo la Patristica. Rapporti tra linguaggio interno ed esterno, e rapporti tra pensiero e parola. La questione del linguaggio ne' suoi rapporti morali.

Parte

I I I . LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO NELLA SCOLASTICA

CAPITOLO V La filosofia del linguaggio ed i suoi rapporti colla logica in pag. 121 genere e colla questione degli universali in ispecie

S O M M A R I O : Carattere specifico di differenza tra Patristica e Scolastica in riguardo al nostro argomento. Il posto della logica in rapporto ai programmi di studio nelle scuole medievali, ed alla conoscenza delle opere di Aristotele. Rapporti di dipendenza tra logica e filosofia del linguaggio nella Patristica. Le speculazioni in proposito di Fortunaziano, Marciano Capella, Giovanni Damasceno, Boezio, A l cuino, Isidoro, Scoto Erigena. La questione degli universali e suo rapporti colla logica in genere e col problema del linguaggio in ispecie. La speculazione pi elevata di S. Anselmo, Abelardo, Giovanni di Salisbury, Gilberto della Porretta, Adelardo di Barth, Ugo di S. Vittore, S. Tommaso, Pietro Ispano.

INDICE

IX

CAPITOLO VI La filosofia del linguaggio in rapporto alla psicologia ed alla metafisica scolastica . . pag. 183

SOMMARIO : Il problema delle origini del linguaggio nelP uomo in rapporto alla scienza di Adamo. Rapporti tra pensiero e parola nella Scolastica in relazione alla teoria gnoseologica di S. Tommaso e dell' Occam. Le speculazioni del linguaggio in Alberto Magno, Pietro Lombardo, S. Bonaventura, S. Tommaso, Dante Alighieri, Duns Scoto, Occam, e Ruggero Bacone.

CONCLUSIONE

pag. 245

PREFAZIONE

// presente l a v o r o f u presentato e p r e m i a t o al Concorso b a n d i t o nelV a n n o 1906 per V a n n o 1907 d a l l a Societ reale d i Scienze Morali e Politiche d i N a p o l i . E r a l a t e r z a v o l t a che i l tema : L a filosofia del linguaggio nella Patristica e nella Scolastica , v e n i v a proposto d a l l a s u d d e t t a societ, l a quale ben due v o l t e aveva d o v u t o d i c h i a r a r e che nessuna delle m e m o r i e presentate m e r i t a v a p r e m i o . R i p r o p o s t o per V a n n o 1907 con a l t r i due t e m i , questa n o s t r a mem o r i a , che, a n o n i m a , era a l l o r a contrassegnata dal m o t t o del P e t r a r c a : Pulcra movent oculos, sed prosunt apta fruenti, f u d i c h i a r a t a m e r i t e v o l e del p r e m i o , i l quale per n e l l a sua entit m a t e r i a l e f u per met a t t r i b u i t o ad a l t r a m e m o r i a , i n c u i era t r a t t a t o un a l t r o dei t r e t e m i a concorso. L a commissione e s a m i n a t r i c e era f o r m a t a da F r a n cesco D ' O v i d i o , F i l i p p o M a s c i , ed I g i n i o P e t r o n e r e l a t o r e , i l quale, dopo aver esposto i m o t i v i per c u i n o n potevano premiarsi g l i altri lavori presentati sul medesimo tema da n o i t r a t t a t o , i n m e r i t o al n o s t r o cos si esprime *) ;

1) Reale Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, R e l a z i o n e d e l S o c i o I g i n i o P e t r o n e sui concorsi a p r e m i d e l 1 9 0 6 , Napoli 1908, pag. 19 e sgg.

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PREFAZIONE

Pi fausto giudizio la commissione pu esprimere della terza memoria anonima sulla filosofia del linguaggio. segnata colle parole P u l c r a m o v e n t oculos, sed p r o s i m i apta f r u e n t i , ed un manoscritto che numera 164 pagine di formato grande, in caratteri fitti e cos poco chiari, da sembrar quasi una spensierata sfida alla pazienza dei lettori. Per fortuna V affanno dell' averlo letto compensato nelP insieme dalla bont del contenuto. Comincia dal trattar di proposito della speculazione ellenica sul linguaggio, esorbitando dal tema cui poteva convenire solo un breve e lucido riassunto delle speculazioni classiche, il quale fissasse bene il punto di partenza del lavorio medievale. M a tratta molto bene il soggetto che non era tenuto a trattare, specie delle dottrine di Platone nel C r a t i l o , e, sebbene i lavori del Bonghi e del Gussani gli abbiano dato un aiuto efficacissimo ad orientarsi, mostra una larga conoscenza di opere straniere. La disamina che fa di poi della filosofia del linguaggio nella Patristica e nella Scolastica attesta larghissima informazione, acume sufficiente nelP interpretare e neh' argomentare soda dottrina. V autore ha visto direttamente il carattere storico espositivo del tema ed ha serbato fede in complesso a l l ' assunto. Nei due capitoli che consacra alla Patristica tratta del problema storico delle origini, come fu posto e dibattuto dai Padri, e discorre della psicologia patristica e tratta del sermo i n t e r n o e dei rapporti fra linguaggio interno ed esterno e tra pen-

PREFAZIONE

XIII

siero e parola. E V esposizione ed il discorso ben fatto, ed raccolto e connesso secondo 1' ordine della materia e secondo la successione del tempo. Nei due ampi capitoli che seguono e che formano una buona mezza parte del volume, V autore tesse l'esposizione e la disamina della filosofia del linguaggio nella Scolastica, chiarendo assai bene il perch ed il come i destini della filosofia riguardante le parole sieno, nella tradizione della scuola, intrecciati e saldati con quelli della logica e della dialettica, e vedendo da vicino la connessione di quella filosofia col problema degli universali. Indugia quindi nell' analisi dei rapporti fra pensiero e parola specie in riferimento alla teoria gnoseologica di S. Tommaso, e dell' Occam, ed espone il processo delle speculazioni sul linguaggio in A l berto Magno, Pietro Lombardo, S. Bonaventura S. Tommaso, Duns Scoto, Occam e Ruggero Bacone. In tre pagine finali accoglie in forma schematica brevi, ma plausibili conclusioni generali suggeritegli dal dibattito del tema.... I n t e r c a l a t e ed a g g i u n t e n e l l a r e l a z i o n e si t r o v a v a n o a l c u n i a p p u n t i , dei q u a l i si t e n u t o calcolo prezioso per rendere questo n o s t r o l a v o r o pi degno e c o m p l e t o . Sopra t u t t o si c o l m a t a l a l a c u n a , cos g i u s t a m e n t e n o t a t a n e l l a p r i m a redazione, per n o n aver n o i f a t t o cenno d e l l a d o t t r i n a d i D a n t e s u l l i n g u a g g i o , d o t t r i n a , come ha s c r i t t o i l D ' O v i d i o , n o n da semplice poeta n a f f i d a t a solo al d i v i n o poema.

XIV

PREFAZIONE

A b b i a m o perci cercato d i m e t t e r e i n evidenza quale sia i l pensiero f o n d a m e n t a l e s v o l t o d a l l ' A l i g h i e r i i n alc u n e delle sue opere m i n o r i , e specialmente nel De vulgari eloquio, a p p r o f i t t a n d o per t a l e i n t e n t o d e l l a l u c i d a e perspicace m e m o r i a s c r i t t a i n p r o p o s i t o dal D' Ovidio stesso. I n q u a n t o poi a l l ' aver dato s v i l u p p o forse pi d i q u e l l o che si sarebbe aspettato alla speculazione del l i n g u a g g i o , quale si i n t e s s u t a n e l l a f i l o s o f i a ell e n i c a , siamo ancora del parere che ci era necess a r i o , essendosi a p p u n t o d e t e r m i n a t o i n q u e l l a ed i l p r o b l e m a delle o r i g i n i e d e l l a n a t u r a del l i n g u a g g i o e q u e l l e sue s o l u z i o n i , i n t o r n o a c u i n o n poco si a f f a t i c a t a l a r i f l e s s i o n e dei P a d r i e delle scuole. Per ci tenendo s o t V occhio g l i u l t i m i l a v o r i del L e r s c h , d e l l o S t e i n t h a t , del S u s e m i h t , del B o n g h i , del G i u s s a n i del P r a n t l , del C h a i g n e t , d e l l o Z e l l e r e d i a l t r i abbiamo a n z i i n questo r i f a c i m e n t o del n o s t r o a l l a r gato d i u n po' q u a n t o gi era c o n t e n u t o n e l l a mem o r i a m a n o s c r i t t a , cercando anche per q u e l l a p a r t e , come per t u t t o i l resto, ove ci siamo s t u d i a t i da un l a t o d i rendere pi r a c c o l t o e preciso i l discorso, e d a l l ' a l t r o d i m e t t e r l o m a g g i o r m e n t e i n r a f f r o n t o con le s p e c u l a z i o n i u l t e r i o r i , d i r a g g i u n g e r e quel termine ideale di perfezione, a cui, per parere stesso della C o m m i s s i o n e , che ci ha g i u d i c a t o , la memoria nostra per i suoi notevoli pregi di tanto gi era vicina. I n t a n t o a p p r o f i t t i a m o d i questa occasione per r i n g r a z i a r e u n ' a l t r a v o l t a ancora g l i illustri della C o m m i s s i o n e , che con t a n t a benevolenza ci h a n n o giy

PREFAZIONE

XV

d i c a t o , ben l i e t i d i c h i a r a n d o c i se anche per essa si sar d i un po' c h i a r i t o n e l l e sue r a g i o n i s t o r i c h e quel p r o b l e m a del l i n g u a g g i o che O r i g e n e f i n da suoi t e m p i g i u d i c a v a p r o f o n d o ed i m p e n e t r a b i l e , e che i l D u - B o i s - R e y m o n d or sono pochi anni chiamava uno dei sette e n i g m i del genere umano.
1

DOTT.

PAOLO

ROTTA

Professore

d i F i l o s o f i a nei R R . L i c e i

PARTE I.
L a speculazione del linguaggio r\ella filosofia greca

C A P I T O L O I.

La filosofia del linguaggio presocratica e platonica


S O M M A R I O : La filosofia del linguaggio in Pitagora, negli Eleatici, in Democrito ed in Eraclito. Le ricerche sulla parola nel periodo sofistico e loro significato. 11 Cratilo di Platone in rapporto al suo valore storico e filosofico. La tesi fondamentale del Cratilo ed argomenti diretti ed indiretti in appoggio ed a confutazione di essa. Critica di tali argomenti.

La questione dell' origine e della natura del linguaggio ben presto s'impose alla speculazione greca, certo pi presto di quello che non creda il Croce che la vorrebbe discussa per la prima volta in Grecia dai Sofisti. certo che nell' antico ilozoismo ionico, come in genere in quasi tutta la filosofia presocratica, una discussione d' ordine cos psicologica, quale poteva essere quella riguardante il linguaggio, difficilmente avrebbe per s potuto trovar luogo : quei filosofi infatti, preoccupati principalmente dal desiderio di conoscere quale fosse l'origine, la causa, il principio e l'ultima realt delle cose, che cosa cio rimanesse sempre immu-

1) B . C R O C E , E s t e t i c a come s c i e n z a d e l l ' espressione e linguistica g e n e r a l e . Parte 11, Storia, Milano-Palermo-Napoli, 1904, pag. 173.

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tabile ed identico a se stesso nelle infinite vicende di nascimenti e di morti, non avrebbero trovato modo di connettere alla loro speculazione, cos piena della fiducia che la realt fosse cos come essa si presentava allo sguardo, alcunch che toccasse tanto davvicino le condizioni soggettive del sapere, come poteva appunto essere la questione del linguaggio, ed iniziasse cos quella critica della conoscenza, che occup e preoccup poi tanto il pensiero ellenico dai Sofisti e da Socrate in poi. Il periodo per psicologico - dialettico, affermatosi colla Sofistica come reazione spontanea delle forze della subbiettivit contro F abuso delle forze dell' oggettivit, non sorse ad un tratto, e come da una parte verso F avvenire noi vediamo che di tale profondo mutamento i Sofisti non hanno ancora coscienza scientifica, dall' altra verso il passato noi sappiamo che indizii di ricerche psicologiche, fatte ancora senza uno scopo diretto, ma subordinate a speculazioni d ' ordine cosmologico e cosmogonico, si sono intrecciate e nel cosmologismo pitagorico, e nelF ontologismo eleatico, e nel dinamismo eracliteo, e nel mecanismo democriteo ; naturale quindi che accenni a speculazioni sull' origine e sulla natura del linguaggio gi nei sistemi presocratici teste citati, oltre che nelle vaghe espressioni dei primi poeti si possano per quanto faticosamente ed in modo ancora incerto rintracciare.

1) Cfr. C r a t i l o , 391 D. E , 392 A, B e segg.

PRIMA DI P L A T O N E

Pitagora, che per la storia della filosofia ha grandissima importanza per aver egli preconizzato il principio platonico di stabilire P essenza delle cose in qualche cosa di pensato, sicch al suo s i stema i numeri stanno come al sistema platonico le idee, davanti al fatto meraviglioso del linguaggio gi deve aver provato quel senso profondo di meraviglia che per se stesso impulso a soddisfare la curiosit ed a creare la scienza. Pare che egli inclinasse all'opinione, sostenuta pei, come vedremo da Cratilo nel dialogo platonico, che da lui prende il nome, che i vocaboli hanno un significato naturale e necessario ), e che credesse opera singola di uomini sapientissimi P imposizione dei nomi alle cose ) , per quanto non mancano dati per credere
2 3

1) Si tratta di quella meraviglia, di cui parla per es. con tanto entusiasmo Galileo nel dialogo dei massimi sistemi, in cui si dice che il linguaggio il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane (Cfr. A . D E M A R C H I , O r i g i n i e v i c e n d e d e l l ' a l f a b e t o , Milano 1908, pag. 4). 2) Si detto p a r e , che le notizie riferentisi alle spiegazioni date da Pitagora sul linguaggio si trovano nel neoplatonico Proclo, il quale, come dice il Bonghi, ha avuto cura di accompagnarle con spiegazioni, che sentono di un pitagorismo molto posteriore al filosofo di Samo (Cfr. R. B O N G H I , D i a l o g h i d i P l a t o n e , Voi. V . Il Cratilo, Roma 1885, Proemio, cap. V . pag. 13G). anzi in base a ci che contrariamente a quanto afferma il Rothenbtiecher (A. R O T H E N B U E C H E R , D a s S y s t e m der P y t l i a g o r e e r n a c h den A n g a b e n des A r i s i . Berlin 18G7, 11. pag. 592) lo Zeller ( E . Z E L L E R , D i e p h i l o s o p h i e der G r i e c h e n 1, 450) nega che gli inizi delle ricerche linguistiche si debbano riferire a Pitagora. Anche 1' asserzione di Simplicio ( C a t e g . Schol. i n A r i s t . 4 3 , b. 30) secondo cui i Pitagorici avrebbero fatto nascere i nomi c p o ' . e non ftasi, non riconoscendo per ogni cosa che un solo nome indicato dalla sua natura dallo Zeller dichiarata di nessun valore e da attribuirsi alle categorie falsamente attribuite ad Archita ( E . Z E L L E R , op. cit. 1, 450, nota 2).
3) Cfr. C I C E R O N E , Tusecnl. 1, 25, 62, E L I A N O , Var. hist. IV 17.

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

che fra i Pitagorici stessi si pensasse che inventrice dei vocaboli un' attivit spirituale diffusa in tutti, cio la oyfj concepita come un ricettacolo d'immagini e quindi di vocaboli, che sono appunto immagini, in contrapposto al voc, concepito come ricettacolo di tipi e di cose ) .
4

Evidenti allusioni a speculazioni degli Eleatici sulla genesi del linguaggio si trovano nel test citato dialogo di Platone ), mentre pi precise notizie abbiamo in proposito intorno al pensiero di Democrito, che, contro la probabile sentenza di Pitagora, e come vedremo anche di Eraclito, sosteneva essere il linguaggio invenzione artificiale dell ' uomo ) , invenzione, per non gi arbitraria e causale ) , ma sibbene s razionale e necessaria ) che la natura stessa ha costruito gli organi pi atti a quello ).
2 3 4 5 G

1) Cfr.

B O N G H I , op. cit., cit.

cit. pag. pag.

pag. 134. 146,

137. G . B . Z O P P I , La filosofia della

2) B O N G H I , op. 3) B O N G H I op.

cfr.

g r a m m a t i c a , Verona 1891, pag. 32 4) Democrito cos si esprimeva


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r c X a a v x o Tcpcpaaiv lir c, Mullach. pag. 167, e 383.) 5) pyjjia


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m o r . 17, ediz.

cco le precise parole di Democrito ( F r a g . ;J,X7]V YiyvsTai, X X Tiavca su X i y o u


(Cfr. B O N G H I , op. cit. pag. 358 359).

p h y s . 4 1 ) ; Oov TS y,c b n ' v d y -

6) Cfr. E . Z E L L E R , op. cit. I. 807. Ha senza dubbio ragione lo Zeller di notare la contraddizione tra il disprezzo mostrato da Democrito per qualsiasi concetto teleologico, e tale corrisponden za da lui con tanta compiacenza notata tra organi e funzioni. Tale contraddizione per non ci pu far dubitare dei testi, da cui il teleologismo democriteo ci si rivela.

PRIMA DI P L A T O N E

Negli scolii al C r a t i l o , attribuiti a Proclo, si riportano i quattro argomenti su cui Democrito a vrebbe appoggiata la tesi di cui si discorso ; essi sarebbero : cose diverse si denominano cogli stessi vocaboli ; pi vocaboli si adattano a significare una stessa ed unica cosa : i vocaboli si mutano ; non tutti i vocaboli danno luogo agli stessi derivati. Il B o n ghi per con quel suo solito acume, che fa di lui uno dei pi esaurenti interpreti e dilucidatori del pensiero ellenico, che abbia relazione coi dialoghi di Platone, dimostra che tali argomenti non possono essere stati veramente di Democrito ; certo per che questi si occupato dell' origine del s i gnificato dei vocaboli, ed ha ad esso assegnata una ragione non oggettiva espressa nella natura, come pur P indirizzo del suo mecanismo potrebbe far supporre, ma sibbene soggettiva, posta nelP arbitrio dell' uomo, tale sua tesi appoggiando sopra alcune osservazioni concernenti le relazioni rispettive dei vocaboli, considerati nel loro uso, se non cos esplicite come quelle indicate dallo scoliaste e da noi poco sopra ricordate, certo per non troppo da esse diverse. Non meno importanti devono essere state le speculazioni di Eraclito sull' argomento, di cui si d i scorre. noto come il tenebroso pensatore di Efeso abbia forse per il primo in modo esplicito saputo innestare al problema cosmogonico, che, come si detto, era allora il fondamento per ogni scuola, oltre che P antropologico ed il morale, anche il problema gnoseologico, che egli risolveva nel senso

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

che bisogna prescindere dai dati dei sensi, i quali ci danno le sole apparenze : ci che importa la conoscenza razionale dell' universale, cio dell' armonia dei contrasti, la Sbuj od il %oiv<s per usare le parole stesse di Eraclito. In rapporto ed in effetto di tale soluzione come poteva Eraclito risolvere la questione della natura del linguaggio ? E v i dentemente egli non poteva che affermare che i nomi in fondo mostrano la natura delle cose da essi significata ) , e che unico studio, che sui vocaboli si pu fare, si di scrutare questa natura, che appunto la cognizione razionale nascosta sotto le parvenze diverse dei suoni : questi adunque entrerebbero nella grande corrente del tutto, mentre il loro significato profondo la realt di carattere razionale, in cui verrebbero ad identificarsi i contrarii come nella ragione suprema dell' essere *).
1

Pur troppo, dati gli scarsissimi frammenti del Sacro poema di Eraclito, da lui stesso, secondo la leggenda, deposto nel tempio di Diana quasi allo scopo che le proprie opinioni non venissero diffuse, noi per nulla sappiamo per quale processo dialettico Eraclito abbia cercato di dimostrare quanto sopra : se dovessimo riferire a lui tutto quanto il suo se-

1) Anche Io Zeller quantunque non creda, contrariamente all' opinione del Lassalle, che si debba riferire ad Eraclito la dottrina, secondo cui il nome delle cose ci rivela le loro origini, riconosce per che essa s' accorda perfettamente colle altre dottrine del grande filosofo di Efeso (cfr. E . Z E L L E R , op. cit. I. 659). 2) Cfr. in proposito L A S S A L L E , D i e P h i l o s o p h i e H e r a k l e i t o s des D u n k e l n , Berlin 1858, II. part. pag. 412.

PRIMA DI P L A T O N E

guace Cratilo nel dialogo platonico espone per r i battere F opposta sentenza di Ermogene, dovremmo conchiudere che gi Eraclito era abbastanza penetrato nel!' analisi dei vocaboli per dimostrare anche con essa i punti fondamentali delle proprie dottrine ; anche qui per dobbiamo convenire col Bonghi ) che ben difficile, se non impossibile, discernere quanto di ci si debba attribuire al maestro e quanto allo scolaro ; comunque sulP appoggio di alcuni frammenti del poema della natura di Eraclito, e soprattutto in base ad un passo dell' interessantissimo commento di Ploclo al P a r m e n i d e platonico, in cui si afferma che come della scuola eleatica era proprio P insegnare mediante concetti, e della pitagorica il condurre alla cognizione degli enti mediante nozioni matematiche, cos era di Eraclito la via mediante i nomi ) , si pu conchiudere che la ricerca della realt mediante l'analisi etimologica delle parole gi da Eraclito stesso era stata iniziata e condotta a buon punto. Naturalmente nel sistema eracliteo,
4 2

1) Cf. B O N G H I op. cit. pag. 140. Lo Zeller (op. cit. I. 659, note 2 e 3) ci pare troppo radicale nel negare qualsiasi rapporto tra le dottrine sul linguaggio quali appaiono formulate da Cratilo nell' omonimo dialogo di Platone, e quali a lui sono riferite oltre che da Proclo nel passo citato pi avanti, anche da Ammonio ( D e I n t e r p r . 24 b ; 30 b), ed Eraclito stesso. Sar difficile distinguere quanto si deve al maestro e quanto agli scolari suoi, in ci conveniamo col Bonghi,, ma negare a priori qualsiasi rapporto ci pare eccessivo, perch nella deficienza di testi precisi non lecito anteporre le negazioni nostre alle affermazioni degli antichi. perci che oltre che-col Bonghi noi andiamo d' accordo in proposito anche collo Schuster (P. S C H U S T E R , H e r a k l i t v o n Ephesus, Leipzig 1873, pag. 318 esgg). 2) P R O C L I , C o m m . a dParm. Ediz. Stallbaum, pag. 479.

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LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

come Cratilo stesso riconosce nel rispondere alle incalzanti domande di Socrate *), non era esclusa P idea di un qualcheduno, che ai vocaboli abbia dato origine, di una specie cio di legislatore, il quale per, date la concezione panteistica del dinamismo fenomenista eracliteo, per cui il fuoco i l dio stesso mutantesi ovunque in grazia di un' energia intrinseca a lui stesso, energia che anche intelligenza, non poteva essere altro che P essere umano, nelP anima del quale appunto tale fuoco divino si conserva nella sua forma pi pura. La questione della natura e delle forme del linguaggio divenne per cos dire d' attualit, quando essa della sfera serena delle speculazione astratta discese nelP ordine dell' utilit pratica per opera dei Sofisti. noto quale sia stato il significato del movimento sofistico, e come in esso e per esso dal relativismo logico, che suonava la pi grande sfiducia nella soluzione del problema della conoscenza di s stesso, impostosi allora con tutta la sua importanza, si sia ben tosto arrivati al relativismo morale, che tanto bene s'accordava colle condizioni di quei tempi, nei quali in Atene, divenuto il cervello della Grecia, ribollivano sfrenatamente le ambizioni di raggiungere in qualunque modo i primi posti, sicch si vide tosto la critica pratica infrangere i sacri legami delle tradizione, e tutte o quasi le abitudini di pensiero sciogliersi per lasciar posto al libero

1) Cfr. C r a t i l o 431. D.

PRIMA DI P L A T O N E

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esame. La convenienza di studiare le parole ed il linguaggio allora s'impose come uno dei mezzi per raggiungere lo scopo pratico dell' esistenza : di ci abbiamo testimonianze concordi in Senofonte in Isocrate ) ed in Platone ), il primo dei quali anzi dichiara che tale studio era fatto tutto a scapito delle vera ricerca degna di filosofi. In ordine al pensiero, quale fu V indirizzo seguito dai Sofisti nelle loro speculazione sul linguaggio ? Anche qui per rispondere noi dobbiamo soprattutto interrogare Platone. Le due sentenze gi considerate di Pitagora e di Eraclito da una parte, e di Democrito dall' altra ormai tenevano il campo, e come in fondo intorno ad esse tutte la discussione di Socrate nel C r a t i l o platonico, cos intorno ad esse deve essersi svolta V investigazione dei Sofisti, in senso realistico, come vedremo, quella, in senso nominalistico questa. Gorgia poteva ben meravigliarsi come mai mediante suoni si potessero significare colori e cose non udibili ) , e molto probabilmente Ippia d ' Elide, e non lui soltanto, approfondire lo studio delle due teoriche delle lettere e dei ritmi, quali saranno poi svolte anche nel C r a t i l o di Platone, e di cui Aristofane prender occasione per aggiungere un altro dileggio al Socrate, quale dipinto nelle
2 :: 4

1) S E N O F O N T E , De 2) I S O C R A T E , De

venatione,

13. 48.

permutatione,

der

3) P L A T O N E E u t h y d , 305 A . Cfr. in proposito : P R A N T L , G e s c h i c h t c L o g i k , Leipzig 1855, Voi. 1, pag. 11. 4) Gorgia in D e X e n o p h . M e i . e t G o r g . (in Arist. ed. Didot) cap. 56
C R O C E , op. cit. pag. 173.

Cfr. : B.

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LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Nubi. Protagora e Prodico si trovavano ancora alle prese col problema se il linguaggio fosse per natura o per convenzione. Di Prodico Socrate nel C r a t i l o ricorda due scritture, in cui si discorreva del perch e del come del significato dei vocaboli ) , ed in parecchi passi di Platone ) viene sottilmente derisa V arte di Prodico di distinguere quelli non gi secondo il concetto di una somiglianza reale tra il suono e la cosa espressa, sicch ogni vocabolo sia appropriato ad esprimere un solo oggetto e non altro che quello, ma sebbene, secondo una felicissima induzione del B o n g h i ) pienamente conforme a i r indirizzo generale della Sofistica tutta quanta, in relazione al semplice uso delle singole parole, sicch lecito conchiudere che Prodico traesse appunto dell' uso il motivo e la ragione in genere del significato dei vocaboli. Protagora invece, a proposito della questione del linguaggio, segu ed approfond l'indirizzo stesso di Eraclito, del quale in fondo si pu ritenere un seguace non solo in rapporto a l l ' argomento, di cui stiamo trattando, ma anche in genere per tutta quella sua concezione relativistica-scettica, che derivazione legittima della risposta data al problema gnoseologico da Eraclito stesso ) . V etimologizzare,
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0 A R I S T O F A N E , N u b i , verso 638. 2) C r a t i l o , 384 B . 3) P r o t a g . , 337 A . 340 C , 358 A . , M e n o n . 75 E . , C h a r o n . 163 D. E u t h i d . 277 E . 4) B O N G H I , - o p . cit. pag. 151. 5) Platone stesso ( T e e t e t o , 152} che parla di rapporti tra Eraclito e

PRIMA DI P L A T O N E

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per esempio, era comune nella speculazione protagorea e tale operazione, fatta anche per ottenere i l retto uso delle parole in essa si faceva in rapporto a quella dottrina che Platone attribuisce appunto a Protagora nel dialogo, che da lui prende il nome e che si pu formulare cos : V intelletto umano crea i vocaboli secondo l'impressione che riceve dalle cose, secondo cio V opinione che se ne forma, per il che essi sono diversi ) . evidente che con tale dottrina male si accordava il concetto fondamentale di Protagora : essere ognuna cosa ci che a ciascuno pare, questo concetto benissimo si sarebbe accordato coir antica opinione di Democrito, sostenuta nel C r a t i l o da Ermogene, che ciascuna cosa abbia quel nome qualsiasi che le si mette. C o l i ' antica opinione di Eraclito invece, condivisa pienamente da Protagora e da lui applicata anche in certe sue dottrine grammaticali sui generi dei nomi e sulle varie specie di d i s c o r s i ) , si veniva in fondo ad ammettere che ad ogni cosa cor2 3

Protagora, e senza dubbio tali rapporti sono molto pi verosimili di quelli che da Epicuro ( D I O G E N E L . IX, 53 ; X , 8) si credeva fossero intercorsi tra Protagora e Democrito (Cfr. F . U E B E R W E G S , G r u n d r i s s der G e s c h i c h t e der P h i l o s o p h i e , Siebente Aufgabe, Berlin 1886, voi. I. pag. 95-96.
1) Cfr. PLATONE, Phadr. 267. C

2) P r o t a g o r a , 332 A. 3) Cfr. A R I S T O T E L E , R h e t . Ili, 5; P o e t . 21 ; E l e n c ,


STOFANE, Nubi 666, 851, 1251; QUINTILIANO, Inst.

Sophist.
III. 4: (Cfr.

I; ARIBON-

GHI V , op. cit. 152, -e 359). Diogene Laerzio, per es., (IX. 53) dice che Protagora per il primo distinse il discorso in quattro forme e modi e cio : s^toXr], spomrjaic;, Tixpiatc;, vxoXirj.

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risponda un' essenza sua propria sempre costante e coerente a se stessa, s da rispecchiarsi sempre ed egualmente nel vocabolo che F esprime. Platone nel C r a t i l o *) tale contraddizione ha notato, senza per insistervi, o perch a lui bastava mettere un' altra volta in iscacco il famoso Sofista, o perch anche egli nel C r a t i l o stesso in contraddizioni caduto, senza potersi da esse liberare in modo esauriente. V eco di tante discussioni sulla natura del linguaggio sino a noi arrivato per opera di Platone, che di esse, come dice il Croce, ci ha lasciato il monumento eterno nel C r a t i l o , miracolo di luce e di tenebre, come chiamato dal B o n g h i ) , il quale di esso ha tentato di spiegare il significato profondo, dopo d' aver fedelmente riassunte le spiegazioni, che del medesimo hanno, tentato i diversi chiosatori ed interpreti nel corso dei tempi.
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Fra F ondeggiare delle diverse soluzioni che sulF origine e sulla natura dei nomi si avvicendano nel C r a t i l o platonico, ci che risulta in modo evidente la connessione della questione, di cui vi si discute, con un' altra ben pi larga e di ordine pregiudiziale e cio la questione gnoseologica della conoscenza, da Platone discussa, come noto, anche nel Teeteto, in cui appunto si tenta di dimostrare che la cognizione non sta n nella sensazione, n nelF

1) C r a t i l o , 385 E ; 386 D.
2) B O N G H I , op. cit. pag. 31.

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CRATILO DI P L A T O N E

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opinione, n nelP opinione giusta, n nelP opinione giusta e provata, e si lascia indirettamente intendere che la vera cognizione sta nella visione delle idee. E perci che di tutte le interpretazioni date del C r a t i l o la pi probabile pare a noi quella del Giussani *), il quale, allargando quanto in proposito il Susemihl ) e lo Steinthal ) gi avevano intuito, viene a dichiarare che il problema posto da Platone nel C r a t i l o questo : Quale il valore del linguaggio rispetto alla cognizione ? e ci per confutare quanto i Sofisti, e Cratilo, probabilmente perch seguace di Eraclito, affermavano ) che i nomi sono non solo il migliore, ma il solo mezzo, che conduca alla conoscenza delle cose, giacch al contrario di ci sta il pensiero nucleo di tutto il dialogo : la cognizione viene dalle idee e non dalle parole ; in altri termine il realismo socratico in contrapposto al nominalismo sofistico ). Le due tesi, ormai tradizionali, come abbiamo visto, nel pensiero ellenico presocratico, vengono nel C r a t i l o nuovamente esposte, Cratilo, da buon eracliteo, vi vuol sostenere che il linguaggio cet
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0 C GIUSSANI, L a q u e s t i o n e d e l l i n g u a g g i o secondo P l a t o n e e secondo E p i c u r o , (Memorie del R Istituto Lombardo di Scienze e di Lettere, Voi. X X , fascicolo II pag. 105 e sgg.). 2) M . S U S E M I H L , E n t w i c k e l u n g der p l a t o n i s c h c n P h i l o s o p h i e , Leipzig 1860, II. voi. pag. 144 e sgg. 3) H . S T E I N T H A L , G e s c h i c h t e der S p r a c h w i s s e n s c h a f t , Berlino 1890, pag. 76 e sgg. 4) C r a t i l o , 436 A. 5) Cfr. in proposito O . W I L L M A N N , G e s c h i c h t e des I d e a l i s m s , Braunsweig 1894, voi. I pag. 347 e sgg.

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non gi nel senso che <paei sia F origine del medesimo, ma bens nel senso che il nome deve corrispondere in se stesso alla pace della cosa nominata, altrimenti esso non solo non sarebbe nome giusto, ma un non nome affatto; Ermogene invece, in questo seguace piuttosto di Democrito, sostiene che i nomi sono affatto arbitrarli senza alcun bisogno di una relazione qualsiasi tra essi e la cosa nominata, nulla importando se anche vi opposizione tra un senso inerente per s al vocabolo e la natura del nominato. evidente che ambedue le tesi concordavano in questo che non pregiudicavano per nulla la questione delP origine prima del linguaggio, questione che vedremo direttamente affrontata da Epicuro, o per lo meno presupponevano entrambe in linea pregiudiziale che gli uomini stessi avevano posto i nomi alle cose, cio il linguaggio era per tutti ftosi, ma questo mettimento di parole per alcuni era stato fatto seguendo la natura (<poet), per altri invece per un semplice accordo ( c o v A - r ^ ) . vero che nel C r a t i l o e' anche un accenno a l l ' ipotesi d i vina del linguaggio ) , ma tale ipotesi, per quanto accennata anche da Socrate, posta avanti da
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1) C r a t i l o , 438 ; Cfr.. D E U T S C H L E , D i e p l a t o n i s c h e SprachphiloS o p h i e , Marburg 1852, pag. 48. In merito a tale opinione dell' origine divina del linguaggio, vale la pena che noi ricordiamo anche 1' opinione espressa da Protagora nel dialogo omonimo di Platone (322 A), secondo la quale l'uomo avrebbe prima avuto cognizione degli Dei, e poi avrebbe imparato ad usare il linguaggio.

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Cratilo stesso nella discussione come un vago sospetto, su cui Socrate crede inutile insistere e non vi insiste di fatto, anche perch non quello il problema che interessa direttamente Platone, il quale in tutto il dialogo mostra non gi di negare il problema primo dell' origine del linguaggio, ma sibbene di averlo sorpassato, per convergere tutte le risorse della sua dialettica a liberare il problema gnoseologico di un altro ostacolo, forse pi pericoloso di altri discussi nel Teeteio, che alla soluzione di esso si opponeva, quello cio che derivava dalla presunta naturalezza dei nomi, analizzando i quali si sarebbe, secondo alcuni, arrivati a conoscere V intima natura delle cose da essi significati. Quale la conclusione a cui arriva Socrate nella lunga discussione sostenuta per la maggior parte del dialogo ) con Ermogene e poi col vero suo avversario Cratilo ? Anche qui, come in altri dialoghi di Platone, la conclusione, se pur v' , di carattere piuttosto negativo. Dapprima Socrate d i scute la teoria di Ermogene e sulla base di moltissime etimologie contesta a lui diritto di ammettere che i vocaboli siano una pura ed arbitraria invenzione dei primi uomini, e giustamente a nostro credere, perch se fosse vero che i pi sapienti degli uomini, i dialettici, come sono da Socrate stesso chiamati ), avessero creati i vocaboli, come era ipol 2

0 Di 44 capi, di cui risulta il C r a t i l o ben 37 sono impiegati nella discussione con Ermogene. 2) C r a t i l o 390 C

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tesi pregiudiziale di Ermogene e di Socrate, un fatto che tale creazione essi avrebbero fatto dietro certi criteri, e con alcune norme risultanti loro dall ' impressione fatta sulla mente loro dalle cose da nominarsi ; ci adunque Socrate tenta coir etimologie di spiegare ad Ermogene, e lo fa tanto pi volontieri in quanto che ammettendo come ragione del vocabolo il fatto psicologico dell' impressione comune fatta dalle cose da nominarsi sulla mente degli uomini, veniva a battere un' altra volta in breccia il relativismo di Protagora, che ammetteva ogni cosa avere un o a i a pienamente soggettiva, mancando di ogni base oggettiva, il che era negato dall' impressione uguale fatta dalle cose per tutti, impressione che presupponeva un elemento oggettivo sempre uguale e coerente a s stesso, mentre d'altra parte sfatava anche 1' opinione di E u tidemo, secondo cui ogni cosa pu in ogni momento parere ed essere ad ognuno in ogni modo Senonch salva cos la controtesi di Socrate in raffronto alla tesi di Ermogene, non resta per salvo per nulla il modo che Socrate adopera per dimostrare quella : nella prima parte infatti delle sue etimologie egli non fa altro che scindere i vocaboli nei loro presunti componenti, nel che fare egli sposta il problema, facendolo, per cos dire, indietreggiare, senza punto risolverlo ; vero che pi avanti egli parla anche degli elementi primi,

1) C r a t i l o 368 B-E.

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le lettere, i singoli suoni, e le sillabe collo scopo esplicitamente affermato di dare ad ognuno di tali elementi un valore specifico -), ma evidentemente nel far ci Socrate tentava spiegare o b s c u r u m per obs c u r i u s , e non riesce a far sprigionare alcun sprazzo di luce ad illuminare le incognite formidabili del problema, che egli aveva preso a discutere, incognite che egli intu, ma che non pot risolvere anche per le condizioni stesse della scienza d' allora. Si disputato se tutto il lavoro etimologico, quale si mostra nel C r a t i l o , non fosse in fondo in fondo che un continuo gioco di ironia ) ; alcuni passi del C r a t i l o stesso conforterebbero una tale opinione, specialmente quelli in cui Socrate col sorriso sulle labbra dice ad Ermogene che in quel giorno egli veramente si sentiva in vena di etimologizzare, perch invasato di sapienza divina, infusagli quella mattina da Eutifrone ) , e gli altri numerosi in cui egli e di fianco, e di fronte, ed alle spalle colpisce con sottilissima ironia i seguaci di Eraclito a proposito specialmente della loro teoria del perpetuo divenire del tutto ) ; riflettendo per bene ci dobbiamo convincere che se V ironia so:3 4 5

0 C r a t i l o 426 C-427 D. 2) T r a 1' altro Socrate sostiene che 1' / dalla lingua adoperato ad indicare ci che sottile, orbene un tale riflesso sull' esilit del suono i rimase poi comune nella grammatica medioevale (Cfr. F R . D ' O V I D I O , D a n t e e l a f i l o s o f i a d e l l i n g u a g g i o , in Studi sulla D. C , Milano - Patermo 1901, pag. 502).
3) Cfr. C. GIUSSANI, op. cit. pag. ili

4) C r a l i l o 396 D. 5) Notiamo che la famosa formola eraclitea Tvxa p s si legge appunto nel C r a t i l o (412 A), come anche nel T e e t e t o (181 A).

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cratica rivolta forse contro F abuso nelP etimologizzare, non lo affatto contro P uso tanto pi che u n tale lavorio d i ricerche Socrate sparge qua e l osservazioni seriissime e profondissime in istretto rapporto col problema nucleo di tutto il dialogo, proposto pi avanti da Cratilo stesso sotto la forinola : i nomi si danno per ragione d'insegnamento, perch essi rispecchiano veramente la natura della cosa nominata ) . Se badiamo bene infatti tutta' la prima parte del dialogo colP occhio rivolto alla seconda, vediamo che tra le due vi un legame pi stretto di quello che a prima vista non paia, appunto perch nella seconda non sono che messe in luce da una parte le conseguenze e dall' altra i principii di tutto quanto a mo' di esemplificazioni si andato nella prima svolgendo. Socrate nel rispondere al semplicismo di Ermogene, che i vocaboli calcolava come, mere invenzioni artificiali ondeggianti a caso nel mare delle conoscenze umane, dimostra tutto i l lavorio riflesso, che sotto le parole s' asconde : essi sono i termini che fissano e legano ed irrigidiscono tutte le note costituenti i concetti, esse non nel loro suono materiale, ma sibbene nelle loro esigenze formali sono P esponente necessario del pensiero umano, quello pu essere qualsiasi, come qualunque pu essere il
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1) noto che anche oggi si ammette che il processo delle ricerche linguistiche riposa in gran parte sulo studio delle etimologie e sulla storia individuale delle parole e dei loro elementi (Cfr. W . D. WH1TN E Y . L a v i e du l a n g a g e , Paris 1875, pag. 257). 2) C r a l i l o 425 E .

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colore di una medicina, non essendo il colore parte dell' essenza di un farmaco, una volta per fissato, il suono strumento necessario nell'espressione del concetto, non gi per quello che esso , ma sibbene per quello che esso esprime nelP accordo o per lo meno nelP abitudine di tutti *), tanto vero, aggiunge ripetutamente Socrate, che il quello che del nome pu variare e trasformarsi s da perdere il primitivo valore significativo : ci ben poco importa, purch, rimanendo P accordo nelP intendere date cose significate da date parole, tali parole adempiano sempre il loro ufficio tra gli u o m i n i ) .
2

Come si vede, tale ordine di considerazioni se sono importanti per noi non risolvono per nulla la questione proposta da Ermogene, mentre sono implicitamente negazione della tesi di Cratilo ; per r i spondere a quello, Socrate avrebbe dovuto, come dice benissimo il Giussani fare quello che ha fatto poscia Aristotele, distinguere cio il doppio aspetto sotto cui si deve considerare P essere della parola, il suo essere come prodotto storico ed il suo essere come prodotto di pensiero ; ci non avendo fatto, per tutto la prima parte del dialogo Socrate continua a confondere P esser suo come prodotto storico, predicando di questo ci che in realt non si doveva che predicare di quello.
T

1) I passi del C r a t i l o , da cui soprattutto crediamo si p u dedurre quanto sopra, sono : 386 E , 390 A, 393 D, 394 A, B ; 411 D. 2) Anche qui le parole di Socrate sono esplicate, cfr. C r a t i l o , 435 B-D.
3) G I U S S A N I , op. cit. pag. ili.

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perci che Ermogene non ha una risposta definitiva sulla propria tesi, appunto perch se ad una conclusione definitiva e sintetica Socrate avesse voluto venire, avrebbe nella medesima visto vaneggiare quella contraddizione stessa c h ' e g l i aveva qua e i a sparso per tutta la discussione pur tra le risorse pi attraenti del suo spirito e la suggestione pi penetrante de' suoi sorrisi. Egli che, come gi si detto, la vera questione non era gi quella esposta da Ermogene, ma sebbene quella sostenuta da Cratilo, che Socrate ha sempre di mira anche quando s'indugia a r i spondere al primo. Nella discussione infatti sostenuta con Ermogene il protagonista in fondo non fa altro che prepararsi la strada su cui poter camminare pi spedito, quando pi tardi direttamente si trover di fronte i! vero avversario ; dimostrando il tesoro di pensiero che sotto e dietro le parole si appiatta, egli solo in apparenza piglia di fronte la tesi di Ermogene, dalla portata della quale esorbitava il problema della produzione logica dei concetti, il passaggio cio dalle immagini singole alla formazione del concetto astratto ed universale, bastando solo ad essa una risposta negativa o positiva sulla somiglianza tra cosa e persona, cos leggermente negata da Ermogene ; tutto ci invece aveva rapporto strettissimo colla tesi di Cratilo, ed perci che Socrate insiste nelP etimologizzare, cercando di ridurre dapprima i nomi propri e particolari a nozioni comuni e pi generali, e queste poi a nozioni pi generali ancora su su fino a quei concetti universali, che

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Aristotele avrebbe chiamato categorie, e che Socrate, sempre coli' occhio rivolto ad Eraclito e per esso a Cratilo, riassume tutto ironicamente nel concetto di moto. Come si vede adunque tutto un lavorio sulla sostanza delle parole e non sulla forma della medesima che fa Socrate, il quale, pur ammettendo anche una certa giustezza nel suono delle parole, gi ammessa del resto anche da Protagora il che era perfettamente logico, giacch, come gi si detto, dovendosi e volendosi in qualche modo spiegare F origine dei vocaboli, era naturale F ammettere che nella scelta di essi avesse pur presieduto un criterio qualsiasi, quando sopra questa giustezza vuol ragionare, opponendosi con ci direttamente a l l ' opinione di Ermogene, usa di due argomenti teorici che proprio non hanno alcun valore. Uno che come le cose hanno un' essenza loro oggettiva indipendente dalla nostra cooperazione, e per le o perazioni che si fanno sulle cose, per es. il bruciare ed il tagliare, sono determinate da codesta loro natura, cosi F opinione dei nominare ~), a proposito dei quale argomento, come osserva giustamente il G i u s s a n i i l caso d' opporre : paragone non ragione, giacch col dare un nome ad una cosa non si fa proprio nessuna operazione sulle cose. Anche F altro argomento non meno debole ; Socrate dice infatti : ogni proposizione vera o

0 C r a t i l o , 391 C . 3) C r a t i l o , 386 E e sgg.


3) G I U S S A N I , op. cit. pag. 109.

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falsa, dunque per esser vera bisogna che ogni sua parte sia vera, quindi una certa giustezza ci deve essere nei nomi, che sono appunto le parti della proposizione al che gi benissimo ha obbiettato Aristotele col dire che solo un giudizio pu esser vero o falso, mentre un nome da solo non n vero, n falso, esso quello che , ed solo colP aggiunta dell' idea dell' essere o non essere che pu derivare la verit o la falsit del rapporto stabilito tra due o pi nomi. Siamo adunque qui in presenza di un vero sofisma, il quale per prova un' altra volta come a Socrate importava soprattutto trascinare la discussione sul valore non materiale, ma bens formale dei vocaboli, in quanto sono termini espressivi di concetti, e tutto ci per esser pi pronto ad opporsi alla tesi di Cratilo sul valore materiale dei vocaboli in quanto esclusivi e lementi didattici sulla natura delle cose da essi e spressa. Il ragionamento usato da Platone per combattere tale tesi cos si pu ridurre in forma schemalica. I nomi sono espressioni di concetti, quindi essi sotto di s nascondono la vera natura delle cose, la quale appunto si trova riassunta n suoi caratteri essenziali e generici nel concetto ; tale rapporto intimo e necessario per tra nome e concetto non gi da riferirsi al nome come composto di quei dati suoni, ma sibbene al suo carattere formale

1) C r a t i l o , 385 B, C

NEL CRATILO DI P L A T O N E

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di essere quel nome diverso da altri ; falsa quindi, o per lo meno enormemente eccessiva la tesi di coloro che, come Cratilo e gli Eraclitei in genere, dall' analisi del nome vorrebbero arrivare alla natura della cosa : perch essi partono da ci che nella maggioranza dei casi puramente accidentale e relativo per arrivare a ci che eminentemente generale ed assoluto ; per giungere a questo ci vuol ben altro criterio estraneo e superiore al linguaggio, criterio che Socrate nel C r a t i l o non espone, ma che tosto ci fa pensare alia teoria platonica delle idee. Esposto cos il ragionamento opposto a Cratilo, si capisce subito quanto valore per esso abbia la discussione fatta precedentemente sui moltissimi nomi, colla quale Platone ha voluto mostrare entro quante limitazioni vada inteso il principio che i v o caboli sono 'fcjsi a quante cause d' errore vada soggetta la formazione cssi delle parole, a quanti svisamenti vadano soggette le originarie formazioni 'fas'. ed a quante incertezze quindi vada incontro Findagine della nozione o valore predicativo originariamente contenuto nei vocaboli. Ora se ci , e si noti che a tale risultato S o crate giunto pur partendo dall'idea di opporsi alla sentenza di Ermogene, che negava appunto qualsiasi rapporto naturale tra cosa e vocabolo, e se anche coli' analisi degli elementi primi delle parole, che pur dovrebbero rispecchiare in s maggiormente la natura delle cose, gi Socrate era venuto a vedere tutta F incertezza, anzi tutta la falsit di accettare gli elementi od i vocaboli primi quali strumenti

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di cognizione ) , in che modo si poteva sostenere, come faceva Cratilo, che i nomi solo ci insegnano, perch essi soli sono non gi il migliore, ma 1' unico mezzo di arrivare alla cognizione degli oggetti ? ) A tali argomenti d'indole, diremo cos, pratica Platone ne aggiunge ben altri d'indole piuttosto teorica, che senza dubbio rappresentano la parte pi seria e pi profonda di tutto il dialogo, appunto perch confutazione solenne di quella tesi, che, una volta ammessa, avrebbe suonato opposizione fortissima alla teoria nucleo di tutto il sistema gnoseologico di Platone. Anzi tutto Socrate combatte il concetto di Cratilo, su cui evidentemente la sua tesi si fonda, della costante e piena ed essenziale giustezza dei nomi, in apparenza riducendo i nomi a ritratti, in realt riducendoli, mediante il confronto coi r i tratti, quasi a simboli dotati di una minima ed insignificante virt espressiva ) . Inoltre egli oppone a Cratilo quest' altro argomento : chi mise i nomi, li mise secondo il concetto che s' era fatto lui delle cose, ma se questo concetto era sbagliato ? evidente che noi corriamo gran rischio di esser tutti ingannati, cercando gli oggetti dietro le scorte dei n o m i ) , Cratilo allora, che credeva tutto il linguaggio formato sul concetto eracliteo del moto esseni 2 3 4

1) Cfr. C r a t i l o 424 C ; si veda in proposito la sottile ironia di Socrate nelle parole : L e cose i n v e s t e d i s u o n i v o c a l i , che b e l l a f i g u r a ! (425 D). 2) Sulla portata cos esclusiva della tesi di Cratilo cfr. C r a t i l o 436 A . 3) C r a t i l o , 432 E, 435 C. Cfr. GIUSSANI, op. cit., pag. 121. 4) C r a t i l o . 439 B.

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ziale delle cose, ed al quale tale credenza pareva confermata da tutta la precedente indagine etimologica, risponde che il pericolo d'inganno nei primi nomenclatori appare manifestamente escluso da quella coerenza del linguaggio con un unico concetto fondamentale *) ; ma Socrate gli mostra in primo luogo che quella coerenza non gioverebbe, perch potrebbe esser tutto sbagliato coerentemente ad un principio sbagliato, poi gli fa vedere che la coerenza non esiste, e che alcuni nomi sono fondati non gi sull' idea di moto, ma piuttosto di stare ), d' altra parte se c' bisogno dei nomi per conoscere le cose, con che nomi le avranno conosciute quelli che primamente crearono i nomi per le cose ? ) . Cratilo se la sbriga dicendo che chi ha imposto i nomi sar stato un essere sovrumano, ed allora devono essi esser tutti giusti per forza ; ma Socrate di rimando : aliora la divinit si sarebbe contraddetta, perch c' contraddizione nei nomi, supponendo gli uni un concetto delle cose, gli altri un concetto opposto, per il che o gli uni o gli altri non sono giusti. Cratilo
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1) C r a t i l o , 436 C. 2) C r a t i l o , 436 D-437 D. Per decidere la questione tra i nomi che accennano moto e gli altri che accennano stare, Socrate ironicamente propone il criterio della maggioranza, e cio dice: vediamo se quelli che indicano moto sono i pi, se si, quello sar il vero. Naturalmente Cratilo rifiuta di accettare un tale criterio ( C r a t i l o 437. D). Notiamo che questo forse il primo caso in filosofia in cui si propone un tale criterio della maggioranza, criterio che, come noto, lo Stuart-Mill ha poi sostenuto, come qualche cosa di legittimo, nel campo morale per la stima, che si deve fare per certe azioni, le quali saranno buone se saranno come tali stimate ed attuate dalla maggioranza degli uomini. 3) C r a t i l o , 438 C.

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allora col solito ritornello risponde : quelli che sembrano i nomi falsi non sono nomi. Quali ?, incalza Socrate, gli uni o gli altri, quelli che indicano moto o quiete ? Non sapendo Cratilo che dire, Socrate si affretta a venire alla conclusione di tutto quanto il dialogo ; dunque, egli dice, poich c' guerra fra i nomi, per decidere fra essi e quindi anche per decidere sulla natura degli enti, necessario un ben altro criterio che non sia il nome stesso, criterio superiore, discutere sul quale per cosa ben maggiore che da te e da me, per ora c' da contentarsi per lo meno di questo che gli enti non gi dai nomi, ma molto da essi stessi si devono e ricercare ed apprendere *). questo un velato accenno alla teoria delle idee ? Gi abbiamo risposto in modo affermativo, neh' opinione che ben poco significato avrebbe il C r a t i l o di Platone, se non avesse alcun rapporto col problema gnoseologico, risolto da Platone appunto colla teoria delle idee in genere, e colla dottrina della reminiscenza in ispecie, n pi n meno di quello che sarebbe del Teeteto se tale rapporto non esistesse anche in lui e per lui. E cos, date le due note tesi tradizionali sulla natura del linguaggio e sposte da Ermogene e da Cratilo, Socrate non ha accettato n l'-una, n 1' altra, egli ha combattuto la prima per poter meglio far giustizia della seconda ; il problema a poco a poco sotto V assillo della sua

1) C r a t i l o , 439. B .

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dialettica si spostato ed ingrandito, da psicologico esso si fatto metafisico. Ermogene e Cratilo da Socrate dopo la disputa di quel giorno se ne saranno dipartiti non troppo soddisfatti : anche noi dopo la lettura del C r a t i l o , pur ammirando P arte squisita dell' autore, non ci sentiamo per nulla persuasi della soluzione negativa data al problema, sembrandoci piuttosto che si sarebbe dovuto cominciare l dove il dialogo invece finisce ; per riflettendoci pi bene, tosto ci accorgiamo che F agnosticismo di Socrate era forse il meglio che ci si poteva in proposito offrire, perch qualunque soluzione poteva infatti esser impedimento ad arrivare l donde solo ha potuto o potr derivare a noi di tale problema una soluzione adeguata.

C A P I T O L O II

La filosofia del linguaggio nella speculazione greca dopo Platone


S O M M A R I O : La speculazione del linguaggio nelle scuole socratiche minori ed in Aristotele. Punto di contrasto in proposito tra Platone ed Aristotele. La dottrina del linguaggio degli Stoici con riguardo speciale alla teoria dei S X T V . Le nuove vedute sull'origine del linguaggio e degli elementi naturali della parola in Epicuro. La filosofia del linguaggio negli Scettici, gli Eclettici, i commentori di Aristotele, Filone ed i Neoplatonici.

L ' i n d i r i z z o cos alto e diremo quasi generoso seguito da Platone nella discussione sulla natura dei nomi, la ricerca sui quali entr cos per lui definitivamente nel campo sereno della filosofia, dove, come avremo occasione di vedere in seguito, essa rimase poi a lungo sempre con dignit e decoro, era senza dubbio frutto diretto dell' insegnamento di Socrate, il grande paladino appunto della personalit pedagogica della parola, per usare un' espressione del Prantl ). Che ci sia, lo si pu anche dedurre da quanto sulla natura dei vocaboli si disput nelle altre scuole, germinate dall' inesau1

1) P R A N T L , G e s c h i c h t e

der L o g i k , Leipzig 1855, Voi. 1, pag. 29.

IL

LINGUAGGIO NEI SOCRATICI MINORI

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ribile tronco socratico come altrettanti rami minori di fianco al ramo principale della scuola di Platone. Considerassimo per i Cinici Antistene e tosto, come ci dice Aristotele *), vedremmo ben chiara la distinzione tra conoscenza per concetto ed astrazione mentale, e ben riconosciuta V incompatibilit di questa ad esprimere la complessit di qnella ; considerassimo invece per i Megarici Diodoro, e tosto vedremmo che da lui si accentua quel sistema noto nella storia della filosofia colla denominazione di Nominalismo, che gi accennato nei Sofisti, gi gi attraverso gli Stoici ebbe poi tanta importanza anche nello svolgimento della filosofia cristiana medievale ) . Ammetteva tra V altro Diodoro che gi nella parola come tale sta in modo pienamente definito il momento significativo del concetto, tanto che impossibile che vi sia parola ambigua ed incerta, e quando nella parola e nel sentire pare che non ci sia accordo, egli perch si tratta di espressione oscura, non gi per ambigua, a m b i g u i e n i m v e r b i n a t u r a i l l a esse d e b u i t , u t q u i i d d i c e r e t , d u o vel p l u r a d i c e r e t , nemo a u t e m d u o vel p l u r a d i c i t , q u i se sensit u n u m dicere ).
2

per soprattutto in Aristotele che noi troviamo ancor magnificamente affermata la nobilt che alla questione dei nomi gi Socrate e dopo di lui P l a -

1) A R I S T O T E L E , Metaph.

V . 29, V i l i . 3 ; Cfr. anche D I O G E N E L A E R Z I O . cit. pg. 36, 37

VI,

3. 2) Cfr. P R A N T L op. 12. 3) G E L L I O , XI,

32

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGCIO

tone avevano accordata, e come quegli per ci che riguarda la logica ha pienamente compresa e svolta e sistematizzata la grande intuizione socratica del concetto in contrapposto all' antico particolarismo sofistico ), cosi per ci che riguarda i vocaboli, egli appronfond maggiormente la loro vera natura, quale solo era stata appena adombrata da Platone nelP ultima parte del C r a t i l o , stabilendo appunto quella differenza a .loro riguardo tra contenuto storico, ed il loro essere come instrumento di comunicazione, di pensiero che fu poscia feconda di tanti risultati indiscutibili.
L

La dottrina aristotelica sulla natura del linguaggio si pu cos riassumere : sono suoni vocali tutti quelli in cui la voce o sola od accompagnata strumento ~) ; sono quelli simboli o note, per usare la parola di Cicerone ), delle affezioni, ^aOr^aia, dell' animo, come i caratteri sono note dei suoni vocali ; ora le affezioni dell' animo sono in tutti le medesime, come medesimi sono gli atti, rapatala, che ad essi corrispondono : diversi invece sono per i diversi uomini i suoni vocali che li ^possono esprimere, come diversi sono i caratteri : quelli adunque, cio gli atti, sono vere immagini delle affezioni ed hanno,
3

1) Cfr.

P R A N T L , op

cit.

Voi.

1 pag.

95,

2) A R I S T O T E L E , D e I n t e r p r e t a t i o n e 2. 16 e sgg. Avremo occasione pi avanti di conoscere l'importanza di questo passo dello Stagirita in rapporto alla Patristica ed alla Scolastica. 3) C I C E R O N E , T o p . 8. 35, dove si legge : I t a q u e hoc i d e m A r i s t o t e l e s OUJJL[3OXOV a p p e l l a i , quod l a t i n e est n o t a .

IN

ARISTOTELE

33

per dir cos, carattere al tutto oggettivo, questi invece, cio i suoni, non ne sono che i segni puramente arbitrari e soggettivi ) . Da ci derivava per Aristotele F altra dottrina importantissima, gi anche questa accennata da P l a tone, che dell' uso e dell' abitudine fa parecchie volte accenno, senza per dare alla loro portata una base sicura di stima; se le parole sono segni arbitrarli, evidente, diceva Aristotele, che il loro valore, come strumento di pensiero, non sar frutto che di un accordo di quelli che le usano : ) ; nessuno vocabolo in altri termini ha significazione per natura ) ; ci certo per Aristotele, il quale per non ha voluto spiegarci poi perch essi sieno quel che sono, se cio essi sieno s o s i o fl-ost, per natura o per P opera di alcuni uomini, come pure era
1 2 3

1) Giustamente il Bonghi (op. cit. pag. 178) mette a confronto con tali dottrine aristoteliche le contrarie dottrine accennate da Platone, che i vocaboli furono trovati non per imitare gli altri suoni, ma per imitare il concetto delle cose che indicano ( C r a t i l o 423 B.), e che il nominare un atto come ogni altro atto (386 D . e sgg.) ; ci pare per che a confortare la propria tesi che Aristotele abbia veramente conosciuto il C r a t i l o , il Bonghi avrebbe potuto ricordare quella parte di questo in cui si parla degli atti, con cui 1' uomo p u manifestare le sue affezioni ( C r a t i l o 422 E-423 B.), che molto probabilmente lo spunto primo della dottrina aristotelica dei Tipayfiaxa |jxjjnrjjj,axa in contrapposto ai vocaboli semplicemente cnr]|it,a. 2) Vale la pena che anche qui noi richiamiamo le parole stesse di Aristotele : sax-. X^oc, aTtas fiv ovjjiavx'.xs o$x auvfrVjX'yjv. ( D e I n t e r p . SpYayov Ss, IV. 4). dice : tf'Jasi xwv X V waTtsp sEpyjxa'. x a x 3) Aristotele vojixow oSsv

nel passo citato del D e I n t e r p r e t . san.

34

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

ammesso da Platone ; il contenuto storico dei singoli vocaboli, pur essendo distinto dal loro essere come strumento di pensiero, non curato dalla Stagirita che nega perci.alcun valore alla decomposizione del vocabolo per la ricerca del suo s i gnificato ) , come nega, e giustamente, come gi si detto a proposito dell' opposta dottrina accennata da Platone, che vi possano essere nomi veri o falsi. Sbarazzato cos il campo di tutti gli impacci che derivavano dalle considerazioni riguardanti le parole in quanto suoni, Aristotele in un passo famoso del D e a n i m a ) stabilisce la differenza tra la parola dell' uomo, ed i suoni emessi dagli altri animali, differenza che sta appunto nel significato impresso a quella della immaginazione (saviaoia). Tanto quella per come questi hanno comuni certe condizioni fisiche, tra cui la pi importante la presenza dell' aria, e certe condizioni fisiologiche, sulle quali ritorna spesso Aristotele, segnando in proposito alcuni insegnamenti, che poi restarono come punti fissi della scienza ulteriore ) . La parte per pi importante delle dottrine di
l 2 3

1) Cfr.

BONGHI

op.

cit.

pag.

180,

e GIUSSANI op.

cit.

110.

Notiamo

per che tale affermazione di Aristotele, la quale pure ebbe fortuna nell' et di mezzo, fu in certo qual modo infirmata dello Stagirita stesso laddove egli ha formato parole nuove per dare colle etimologie ragione di un dato concetto, pensiamo per es. al 5ixacxyjg ed al gtyatos Sxi S'^a saxi ( E t h . N i c , V . 4. 9).
2) A R I S T O T E L E , De anima II, 8.

3) A R I S T O T E L E , D e h i s t . a n i m . II, 17 ; D e p a r t . a n i m . II, 17 e sgg. ; D e p h y s i o g n o m , 2 ; P r o b l e m . X X X I I I , 4.

IN

ARISTOTELE

35

Aristotele riguarda le parole in quanto instrumenti del processo intellettuale. Memore della d i m i n u t i o c a p i t i s inflitta al vocabolo da Antistene, e contrario all' ottimismo manifestato in proposito da Platone Aristotele confessa che il linguaggio purtroppo un espediente difettoso ed incerto per la ragione dell' uomo ) ; oh se si potesse, dice lo Stagirita, nel ragionare presentarci gli uni e gli altri le cose stesse, senza passare attraverso i simboli di essi : le parole ) ! Ci per impossibile, le parole adunque sono da stimarsi come utile a l l ' acquisto della scienza ), anzi esse stesse devono essere oggetto di studio, da qui, per esempio, la distinzione primamente affermata da Aristotele tra voci con senso (scovai orj[j.avTi7tat) e voci prive di senso (cptovai a a r xai ), tra nome e verbo, tra 'vo^a cio e pr ^a ).
2 3 4 r b 6

Quello che vale soprattutto per per Aristotele 1' agitarsi del pensiero, la formulazione cio del giudizio come rapporto negativo e positivo di concetti e 1' attuazione del ragionamento come rapporto
1) C r a t i l o 384 B .
2) A R I S T O T E L E , El. Sopliist. 164 A. B.

3) Anche questo un riflesso che dur poi, come vedremo, poi per tutta 1 * et di mezzo fino al Cusano (Cfr. N I C O L C U S A N O , D e d o c t a i g n o r a n t i a , Lib. 1, cap. II). 4) A R I S T O T E L E , D e sensu e t s e n s i b i l i , cap. I. Notiamo che la nec e s s i t del linguaggio per ' uomo fu poi sostenuta, come vedremo, anche dalla Scolastica, la quale per p o t corroborare 1' argomento aristotelico con un altro, la non necessit della parola negli angeli ; su tale questione si p u leggere quanto ha scritto Dante, anche in ci fedele interprete degli insegnamenti delle scuole, { D e v u l g a r i e l o q u i o I, 3). 5) Cfr. G . B . Z O P P I op. cit. pag. 84 : con senso sono p. es. i nomi ; senza senso sono le particelle e 1' articolo.
6) Cfr. B O N G H I op. cit. pag. 179.

36

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tra giudizii, da qui F insistenza di lui ad approfondire la differenza tra dialettica, retorica ed apodittica, tutte e tre unite nel fatto puramente estrinseco del linguaggio, ma divise profondamente per F uso, F attrito, e la relazione dei concetti e dei giudizii, di cui ogni discorso risulta ed ogni verit discorsiva emana, tanto che mentre la prima non ci pu dare che verosimiglianza e F incertezza dell' indistinto, e la seconda non per Aristotele, come dice il Boutroux *), che F applicazione della dialettica ai fini della politica, cio a certi fini pratici, la terza ci d invece la verit e la certezza universale e necessaria della scienza ) . Anche in Platone si possono trovare tracce di tutto ci, ma solo A r i stotele, come vero creatore dell' analitica dello spirito, ha saputo di tali cognizioni fare un sistema completo e sicuro, in cui i vocaboli entrano come elementi secondarii in rapporto ai diversi suoni, di cui risultano, e come elementi essenziali in quanto espressioni abitudinarie e concordate di tutte quelle operazioni fondamentali dello spirito, per cui F uomo acquista la scienza e garantisce a se stesso di essere arrivato al possesso della medesima. E cos con Aristotele e per Aristotele le sorti del linguaggio, considerato come materia di discus2

1) B O U T R O U X , tudes

d'hstoire

de p h i l o s o p h i e , Paris 1901, pag. 184*

2) Su queste differenze stabilite da Aristotele tra dialettica ed apo. dottica e sui rapporti delle medesime colla retorica, la quale colle altre due ha pure comune il linguaggio (STuaxVjjiYj r c a a a
JJLSTC

Xyoo

s-

cx, dice Aristotele in A n a l . p o s t . II, 19), cfr. P R A N T L , op. cit. pag. 76 e sgg.

NELLE DOTTRINE STOICHE

37

sione filosofica, furono sempre pi unite alla sorte della logica, per quanto non manchino anche in lui, come ben nota il C r o c e ) , alcuni passi, in cui lo Stagirita pare accenni ad isolare la funzione linguistica della funzione propriamente logica, ed a porla insieme colla funzione poetica ed estetica ; essi sono quello ) , in cui F autore dichiara che oltre le proposizioni enunciative che dicono il vero ed il falso logico, ve ne sono altre che non dicono n il vero n il falso, come le espressioni delle aspirazioni e dei desiderii ( S / K J ) , e F altro ) , in cui Aristotele critica un certo Busone, il ^uale aveva affermato che una cosa turpe resta turpe con qualunque parola la si designi, ribattendo che le cose turpi si possono esprimere e con parole che le mettono sott' occhio in tutta la loro crudezza, o con parole che le velano.
1 2 3

Dopo Aristotele la filosofia del linguaggio ebbe ancora nella tradizione filosofica ellenica cultori insigni, tra cui principalissimi gli Stoici ed Epicuro, pi ligi quelli all' indirizzo logico formale cos rigidamente affermato da Aristotele, tanto da riuscire i veri concettualisti dell' antichit, pi libero e geniale questo nelle sue intuizioni profonde. Riattaccarono infatti gli Stoici il linguaggio alla mente (Savoia), e diedero origine a quella com-

1) C R O C E op.

cit.

pag.

174. cap. 2. IV. ili.

2) A R I S T O T E L E De 3) A R I S T O T E L E Rhet.

Interpret.

38

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

plessa ed ancora oscura teoria del XS^TV, col quale ben difficile credere che essi volessero distinguere la rappresentazione linguistica dal concetto astratto, come pare accenni il Croce e prima del Croce lo Steinthal Partivano gli Stoici da un nominalismo tanto assoluto quanto in contrapposto al realismo di Platone. Zenone nega infatti risolutamente che le idee possano esistere in se stesse e per se stesse, esse sono v T u a p x t o L , cio senza realt, senza obbiettivit, noi per possiamo acquistare le nozioni di qualit accidentali, di cui queste idee sono suscettibili, e per conseguenza dar loro dei predicati, rcpoorjYopias ) .
2

Da tale premessa e dalla teoria sensistica gnoseologica per cui si affermava'dagli Stoici la sensazione essere il principio di ogni conoscenza, dalla sensazione nascere il ricordo, dai ricordi multipli F esperienza, dai ragionamenti sulF esperienza e dalla combinazione finalmente dei concetti la scienza, rampolla la teoria del Xewuv. D i fronte alla trattazione delle forme delle parole come tali, cio come semplici suoni, la quale formava una delle parti della dialettica, ponevano gli Stoici la dottrina del o r ^ a i vjxsvov, che entrava nel dominio della logica, dei rapporti cio tra le parole e le cose ( z a TupY^axa), che gli Stoici credevano veri rapporti di natura, dati i quali ne derivava per essi la concezione di qualche cosa

chen

0 H . S T E I N T H A L , G e s c h i c h t e der S p r a c h w i s s e n s c h a f t bei d e a G r i e und Rmern, Berlin 1890-1 Voi. I, pag. 289-90, 293, 296,
2) S T O B E O , Ecl. 1, 12.

NELLE DOTTRINE

STOICHE

39

di intermedio tra il pensiero e le cose, in cui le esigenze di entrambi venissero come ad associarsi e diventare elementi di conoscenza ) , mediante appunto il carattere della dicibilit. In altri termini X s t erano per gli Stoici le cose espresse o suscettibili di essere espresse, di essere cio trasportate nel mondo esterno per quel sistema di segni, che si chiama appunto linguaggio ; tali Xs7.i non erano le rappresentazioni o le immagini delle cose, come si potrebbe credere a prima vista, perch le immagini sono lo spirito stesso in questo od in queir altro stato ; essi sono ancor meno le cose oggettive che il linguaggio cercherebbe di elevare all' essere cio di ipostasiare in qualche modo, perch le cose esistono per se stesse e dalla sfera del loro essere non possano uscire ; no, XS%TV, come gi si disse, era un qualche di intermedio tra soggetto, ed oggetto, incorporeo per, vuoto di ogni contenuto come il tempo e lo spazio ) ; mentre la voce ed il suono della voce e 1' oggetto sono dei corpi, i Xs*/.r non hanno esistenza che per la rappresentazione della ragione, e rappresentazione della ragione tale per cui 1' o g getto presentato presente alla ragione stessa, suscettibile di essere accettato, e di prendere una forma razionale in base appunto all' oggettivazione
l 2

0 Ammonio ( A d A r i s t . D e i n t e r p r e t . f. 15 b.) chiama appunto il X s x x v degli stoici piaov tra voVj.aaxa e u p y i i a x a (Cfr. C. P R A N T L , op. cit. pag. 416).
2) S E X T . E M P . Adv. Mathematicos, Vili. II (Cfr. C P R A N T L . op. cit.

pag. 416).

40

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

delle nostre idee generali, sotto V assillo delle quali gli oggetti si trasformano, assumendo anche il modo della loro espressione, che, come gi si detto, qualche cosa di eminentemente-naturale ). Il processo adunque conoscitivo risultava per gli Stoici composto, come ben dice il Chaignet ), di questi diversi elementi : 1' oggetto, il soggetto, il pensiero, che non altro che uno stato dello spirito in quanto tende a prendere come sua materia quel dato oggetto ), il X s x t v , cio la trasformazione completa dell' oggetto in entit razionale dicibile, la parola finalmente che il segno che il XSKTV esprime. Il Prantl mette in relazione il XSTCTV degli stoici col X 0 7 0 ? B [ x t y y / o Q , cio innato, di Platone e di A ristotele, e veramente esso quella concezione richiama, per quanto sopra di essa non si pu dire che si sovrapponga del tutto, giacch il X 0 7 0 ? I ^ o / o c dei due filosofi citati, come vedremo a suo tempo il sermo i n t e r i o r degli Scolastici, riguarda piuttosto il rapporto tra pensiero e parola, il lato cio interno del linguaggio rivolto alle psiche, mentre la teoria del Xswuv degli- Stoici concerne piuttosto una vera facolt speciale dell' uomo, in cui s' appunta il meccanismo della parola, come qualche cosa di natu1 2 3

1) Tale interpretazione del X s x x v degli Stoici non un fondo molto diversa da quella in proposito data dallo Zeller (cfr. E . Z E L L E R , op. cit. IV pag. 78, pag. 86 della terza edizione Lipsia 1880). 2) A . E D . C H A I G N E T , H i s t o i r e de l a P s y c h o l o g i e des G r e c s , Paris 1890 Voi. II pag. 140. 3) Sulla differenza tra pensiero e X s x x v negli Stoici cfr. P L U T A R C O , P l a c i t p h i l o s o p h . IV. 11.

NELLE D O T T R I N E STOICHE

41

rale : in altri termini paragonando il linguaggio ad una superfice curva, il Xfog su/Jjir/os ne rappresenta la parte concava interna, ed il linguaggio espressivo la parte convessa esterna, mentre il Xsxxv di quella curva sarebbe come la generatrice. Alla teoria dei X s x i gli Stoici connettevano le loro dottrine logiche e le loro dottrine grammaticali, il che era perfettamente naturale, perch dato che le idee ed i l linguaggio non sono che le due facce del medesimo fenomeno psicologico, il che ammettevano anche gli Stoici, ne derivava per essi la conseguenza che i X s x t d erano per le parole ci che il giudizio interno ( X070? vO-L^sxo?) era per la proposizione che la formula ( X070C rcpocfopiy.?). Noi non insisteremo troppo su tali rapporti, solo ricordando la distinzione fra i XsTvu completi e che bastano a s stessi (atoxsXfj), e gli altri a cui manchi qualche cosa (XXircYj), fra quelli si ponevano le proposizioni categoriche (iw;j.aia), le interrogazioni, le questioni *) e secondo Filone anche le imprecazioni ed i giuramenti ), fra i secondi invece si mettevano i predicati (xarr^opT^aTa ), da distinguersi in accidentali od indiretti, ed in essenziali 0 diretti. Come si vede, qui siamo arrivati in piena grammatica, contrariamente a quanto era avvenuto in Aristotele, che dalla grammatica invece molto probabilmente era partito per arrivare alla teoria delle categorie l o 2

Cfr. su ci SEX. EMP., P y r r h .

H y p . , I, 14.

65. e A. E D . CHAI-

GNET, op. cit. Voi. 11. pag. 107. 2) PHILONIS, D e A g r i c u l t . , 161.

42

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

giche. Notiamo per che in fondo la teoria dei Xsxr arkoisX-jj pu sotto un certo aspetto ricongiungersi anche alla dottrina delle TupoXr^sic, o nozioni primitive ammesse dagli Stoici, come qualche cosa di innato, essendo ormai indubitabile che essi erano, in rapporto appunto allarcpoXKJ'J>si<;,innatisti, contrariamente a quanto affermavano lo Zeller, e lo Stein, che pretesero di fare dei seguaci di Zenone non solo dei materialisti, ma anche degli empiristi senza riserve ) . U n ' ultima osservazione a proposito della filosofia del linguaggio quale si svolto tra gli Stoici riguarda 1' origine che ai vocaboli essi attribuivano. Di essa gi abbiamo fatto menzione, ricordando come tre cose e linguaggio si ammetteva dai seguaci di Zenone un vero rapporto di natura, aggiungiamo ora che esso era interpretato come un rapporto di imitazione. Il Bonghi a tale proposito afferma ) che con tale dottrina gli stoici si allontanavano da quanto Platone nel C r a t i l o ' ) affermava sul l'impossibilit di una relazione tra suoni che le cose possono dare ed i suoni con cui le parole sono
i 2

0 Cfr. su ci A . ED. C H A I G N E T , op. cit., pag. 128 e sgg. Notiamo che anche perci che riguarda il criterio della certezza gli Stoici ricorrevano alla loro teoria dei Xsxxct, giacch pur ritenendo come puramente soggettivo tale criterio, concepito come la forza di convinzione (xaxaXyjTmvtv) inerente ad una rappresentazione, il potere cio che possiede una conoscenza di provocare la nostra adesione invincibile, attribuivano per, contraddicendosi in modo strano, tale forza non gi alla senzazione. ma ai Xsvcxa
2) B O N G H I , op. cit. pag. 181.

3) C r a t i l o , 423. C.

NELLE DOTTRINE STOICHE

43

composti. Ci vero, dobbiamo per aggiungere che nel C r a t i l o stesso si pu trovare il primo spunto della dottrina stoica per una certa somiglianza originaria della parola coli' oggetto da essa espresso. Non aveva forse detto Socrate che, per esempio, Tra cagione della sua mobilit serve benissimo per esprimere il moto, che il suono / invece opportuno per rendere tutto ci che e fine e sottile, che le sibilanti rappresentano benissimo il concetto di tutto ci che fa fiato e cos via ) ? Ora non si ammetteva implicitamente con ci una somiglianza tra suono e cosa, pressoch simile a quanto era poi affermato oagli Stoici ) ? Del resto abbiamo in proposito un passo di S. Agostino ) sulia dottrina stoica dell' imitazione che non ci lascia nessun dubbio
l 2 3

1) C r a t i l o , 426 C-427 D . 2) Cfr. A . GIESSWEIN, D i e H a u p t r o b l e m e der S p r a c h w i s s e n s c h a f t , Freiburg 1893, pag. 168. 3) Ecco il passo di S. Agostino ( D e D i a l e c t i c a 6). S t o i c i a u i u m a n t n u l l u m esse v e r b ' u m , cuius n o n certa ratio explicari possit. E t quia hoc m o d o suggerere f a c i l e f u i t , si diceres hoc i n f i n i t u m esse quibus v e r b i s a l t e r i u s v e r b i o r i g i n a t i i n t e r p r e t a r i s , e o r u m rursus a te origin e m q u a e r e n d a m esse, donec p e r v e n i a t u r co, u t res c u m sono verbi aliqua similitudine concinnat, ut cum dicimus, aeris tintinnitum, equorum hinnitum, oviam balatum, tubarum clangorem, stridorem catenar u m ; p e r s p i c i s e n i m haec v e r b a i t a s o n a r e , u t i p s a e res, q u a e h i s v e r b i s s i g n i f i c a n t u r . Sed q u i a s u n t res, q u a e n o n s o n a n t , i n h i s s i m i l i t u d i n e m t a c t u s v a l e r e , ut si l e n i t e r v e l aspere sensum t a n g u n t , I c n i t a s v e l asper i t a s l i t e r a r u m u t t a n g i t a u d i t u m sic eis n o m i n a p e p e r i t : u t i p s u m lene, c u m d i c i m u s l e n i t e r s o n a t , q u i s i t e m e t asperitatem n o n e t i p s o n o m i n e a s p e r a m i u d i c c t ? lene est a u r i b u s , c u m d i c i m u s voluptas, a s p e r u r n , c u m d i c i m u s crux. I t a res i p s a e a f f i c i u n t , u t v e r b a s e n t i u n t u r . . . H a e c q u a s i c u n a b i i l a v e r b o r u m esse c r e d i d e r u n t , u b i sensus rer u m c u m s o n o r u m sensu c o n c o r d a r e n t .

44

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

sulla portata di questa ) e sulla somiglianza sua con quanto gi era stato sostenuto da Platone ).
4 2

Per trovare per una dottrina sull' origine del linguaggio ben pi precisa, che nei nostri tempi ebbe un' influenza ben maggiore di tutte quante le altre formulate dall' antica speculazione ellenica, dobbiamo venire ad Epicuro. Il Bonghi ammirando 1' altezza del concetto platonico sul linguaggio, in cui egli vede il predominio di un elemento intellettuale, in quanto vi si afferma un' intima relazione del vocabolo e dei suoni articolati colle affezioni dell' animo e coi concetti della mente, giudica meno nobili le posteriori teorie stoica ed epicurea, perch in esse quella relazione sciolta e cos 1' elemento intellettuale sopraffatto dal suo elemento naturale ) . Abbiamo gi visto come ci non sia perfettamente vero per ci che riguarda la dottrina stoica, consideriamo ora la dottrina epicurea e tosto ci convinceremo, come gi ha dimostrato il Giussani ) che non lo nemmeno per essa.
3 4

1) Dubbi invece ci sarebbero ancora se noi in proposito non avessimo che il passo di Diogene Laerzio (VII 83), in cui di tale imitazione si trova pure un accenno. 2) Da quanto sopra si detto ci pare di poter dedurre che non ripercussione di dottrina platonica si'deve vedere nelle parole di Giovanni Salisburiense citate dal D' Ovidio (op. cit. pag. 436), come appunto questi vorrebbe : I p s a quoque n o m i n u m i m p o s t i l o a l i a r u m q u e d i c t i o n u m , etsi a r b i t r i o h u m a n o processer, n a t u r a e quodamuoo o b n o x i a est, q u a m pr m o d u l o p r o b a b i l i t e r imtatur ; in tali parole noi piuttosto sentiamo 1' eco della dottrina stoica dell' imitazione, la quale nell' et di mezzo doveva essere conosciuta se non altro per il tramite di S. Agostino, autore tanto letto in tale et. 3) BONCHl, op. cit. pag. 182.
4) C GIUSSANI, op. cit. pag. 129.

NEL SISTEMA EPICUREO

45

Anzitutto Platone

dobbiamo dire che il problema che

ed Epicuro risolvono non lo stesso. Per

Platone, come si visto, era un naturale sottinteso che il linguaggio fosse tesasi, tutta la questione era di vedere se la d-vu; dei vocaboli fosse asi o aovfhjwfl, se cio nel porre i vocaboli i legislatori avessero rifranta la natura delle cose da nominarsi, o li avessero invece posti per un accordo tra gli uomini stessi ; abbiamo poi visto come per Platone tale questione tradizionale nella filosofia abbia ben ellenica servito come occasione a trattarne un' altra pi importante per lui, quella cio che si rife-

riva alla conoscenza della natura delle cose mediante il linguaggio. Ora ad Epicuro tutto ci non interessa che in linea diremo cos subordinata : la questione vera, fondamentale per lui quella che si riferiva veramente all' origine del linguaggio, era cio quella di vedere se tale origine si fosse iniziata per natura, come un fatto fisiologico un' operazione pensata a e non piuttosto dagli come e voluta uomini, e

risposta a tale questione, risposta che noi tro-

viamo recisamente formulata nella lettera di Epicuro ad Eudoto, che 1' embrione del linguaggio stata cpcsei ; ossia i primi suoni espressivi furono emessi per fisiologica necessit, tale embrione per gli uomini all' intento di farsi un utile strumento di comunicazione hanno sviluppato a vero linguaggio ponendo (osasi) dei nomi alle cose, ma nel porre questi nomi essi non hanno proceduto ad arbitrio,

46

L A FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

ma ragionando (Xoviqup) e dietro certe analogie ) . inutile che noi cerchiamo qui di indagare quanto anche in rapporto all' origine della lingua sia stato divinatore Epicuro, e come in fondo in fondo egli non si discosti molto nella seconda parte della sua teoria da Platone ; pi interessante sar invece per noi vedere sopra quali appoggi di principii e di esperienze una tale teoria poteva, secondo la mente di Epicuro, posarsi.
1

Anzitutto spiegava egli i suoni della voce l i marla in relazione alla sua dottrina fondamentale degli atomi ), tali suoni cio sono in rapporto a reali emissioni di atomi, chiamati da Lucrezio p r i m o r d i o , et p r i n c i p i a vocam , i quali emanano dai tessuti degli organi aventi diretta comunicazione coli' aria esteriore ). Quello 1' elemento naturale del linguaggio, a cui ben tosto se ne aggiunge un altro, che L u crezio ancora chiama u t i l i t a s ) , il quale posto di fianco al primo, come impulso alla sua attuazione, spiega abbastanza bene per Epicuro ed i suoi i l sorgere prima del linguaggio e poi l'intervento della ragione nello sviluppo di quello.
2 3 4

Come si spiega V utilit di cui fa cenno Lucrezio ? Essa si spiega come un vero bisogno psico-

0 C . GIUSSANI, cfr. Voi. anche

op.

cit. op.

pag. 120. Sopra il linguaggio in Epicuro cit. Ili, 416, e A . E D . C H A I G N E T , op. cit. IV, 535.

E. ZELLER,

II pag. 363 e sgg. 2) L U C R E Z I O , De rerum natura 3) D I O G E N E L A E R Z I O , X . 53. 4) L U C R E Z I O , op. cit. V , 1026.

NEL

SISTEMA

EPICUREO

47

logico integrato dalle suaccennate condizioni fisiologiche . G l i uomini, in altri termini, subiscono affezioni (rc}?)) e ricevono impressioni mentali (<eavzo\mza) e queste per naturale necessit fanno loro emettere dell' aria, la quale esce dalla bocca in d i versi suoni foggiata da quelle affezioni e rappresentazioni mentali. Il linguaggio perci una vera funzione naturale, pressapoco come lo il volare per 1' uccello, 1' usare delle corna per il toro. Tutto ci per non basta, perch due obiezioni formidabili potevano sorgere, e sono sorte difatto, in contrasto alla spiegazione data e cio : Se con essa si spiega come i suoni si sono originati, per nulla per si capisce come a tali nomi si sia dato un senso speciale s da poter diventare essi ben tosto segni delle cose ; d' altra parte se V emissione dei suoni qualche cosa di naturale, come si spiega la diversit dei linguaggi presso i diversi popoli ? Alla prima obiezione si rispondeva da Epicuro col dire che le cose hanno esse stesse una voce ), il che vuol dire secondo V interpretazione del Chaignet ) che la presenza delle cose e la loro azione sull' uomo strappa, per cos dire, dal di lui apparato vocale dei suoni naturalmente legati alle rappresentazioni anteriori o simultanee di quelle cose ).
1 2 :>

1) D I O G E N E L A E R Z I O , X . 2) A . ED. C H A I G N E T , op.

31. cit. pag. 349.

3) E evidente che questa dottrina di Epicuro si riconnette al suo modo di risolvere il problema della conoscenza mediante le emanazioni atomiche, tracce delle quali noi possiamo trovare, oltrech in Democrito.

48

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Deriva da ci la conseguenza che ogni parola contiene in s un significato che gli intimamente per natura associato e che evidente per se stesso a t u t t i ) . Nessuna meraviglia adunque che E p i curo, come ci dice Cicerone ), tanto insistesse sulla considerazione dei significati delle parole ; ammettendosi infatti che 1' imposizione d' un nome ad una cosa suppone la conoscenza immediata della medesima, conoscenza che, come si disse, offerta dalla natura stessa, implicitamente si veniva a dire che le parole in fondo sono i segni di nozioni generali ) : la conoscenza adunque possibile anche coli' analisi di esse, senza cio le risorse della logica, concepita come arte di ragionare, appunto perch condizione logicamente anteriore al linguaggio un' idea prima prodotta per le cose e concepita per un riguardo diretto, senza la quale V uomo si troverebbe perduto in una moltitudine infinita di impressioni e di sensazioni individuali, istantanee ed isolate, e parlando non potrebbe pronunciare che suoni vuoti di senso ) .
1 2 3 4

anche in Empedocle ed Anassagora. D ' altra parte in certo qual senso anche Aristotele aveva opinato che non si p u pensare senza immagini (Cfr. A . ED. C H A I G N E T , op. cit. V o i . II pag. 373), orbene Epicuro a tale opinione diede un fondamento pi esplicito, per conchiudere che non vi p u essere pensiero non rivestito d'immagine, e che una rappresentazione vi tanto per gli intellegibili, come per i sensibili (Cfr. P L U T A R C O , Plact. P h i l . IV, 8. 9). 1) Cfr. D I O G E N E L A E R Z I O , X 33, dove si dice: Ttavx ouv v j i a x t x Tip&xoc, uTCOxexayuivov v a p y g
L A E R Z I O , X . 35. L A E R Z I O , X . 31 (Cfr. anche A . E D . C H A I G N E T , op. cit.

axi.

2) C I C E R O N E , D e F i n i b i l i ir. 2.
3) D I O O E N E 4) DIOGENE

pag. 350).

NEL

SISTEMA EPICUREO

49

Come si vede Epicuro viene per una via ben diversa e molto meno arbitraria ad ammettere la tesi sostenuta da Cratilo, ed oppugnata da Platone nel dialogo che da quello prende nome, che cio le parole sono il migliore anzi V unico modo che noi abbiamo per arrivare alla conoscenza della natura delle cose Alla seconda obiezione riguardante la diversit di linguaggio per i popoli diversi, Epicuro rispondeva che tale diversit era in funzione delle 'diversit fisiologiche che distinguono nazione da nazione, per cui diversi erano le affezioni, diverse le rapprentazioni e quindi diversi anche i suoni. Ogni lingua, in altri termini, il prodotto diverso di razza, di clima e di luogo, nel senso che questi tre fattori colle loro esigenze peculiari hanno determinato esigenze fisiologiche e psicologiche diverse, sicch anche il linguaggio naturale delle cose per adattarsi ad esse diversamente risuona in paesi dove dissi-

0 Notiamo che ad una conseguenza p r e s s o c h simile arrivato anche Giambattista Vico nella sua S c i e n z a n u o v a ; seguace anche egli dell' origine naturale del linguaggio, come poco dopo in modo pi esplicito lo furono ed il Dugald Stewart (cfr. D U G A L D S T E W A R T , lrncnts de l a P h i l o s o p h i e de l ' e s p r i t h u m a i n Paris i845, Voi. HI, Sect. 1 pag. 2 e sgg.) ed il Cesarotti ( M E L C H I O R R E C E S A R O T T I , S a g g i o s u l l a f i l o s o f i a d e l l e l i n g u e . Padova 1802, part. pag. 3 e sgg. ), egli nega che le parole possono significare a d l i b i t u m , come era appunto l'insegnamento di Aristotele, ed in genere, come vedremo, di tutta la filosofia medievale, per sostenere che le parole debbono avere significato naturalmente (Cfr. G I A M B A T I S T A V I C O , P r i n c i p i o d i s c i e n z a n o v a , Milano 1831, Voi. I, lib. 11, corollari, pag. 276). Non forse inutile ricordare qui tutta l'importanza della speculazione sul linguaggio di Cartesio ( P r i n c i p e de P h i l o s o p h . Part. 1, . 74), del Reid ( R e c h e r c l i e r sur l ' E s p r i t h u m a i n , cap. IV. sect. Il), e delle Libniz, chiamato appunto il Copernico della linguistica (Cfr. D '
O V I D I O , op. cit. pag. 506).

50

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

mili sono quelle *). Esistevano adunque diversit primitive nelP emissione dei suoni, gi fin quando tale emissione era semplicemente spontanea, come spontaneo ancora negli animali ), in seguito poi gli uomini raccolti sempre pi in gruppi sociali ed accortisi sempre pi del grande vantaggio di quella scambievole comunicazione di sentimenti e pensieri, per rendere queste manifestazioni pi chiare e precise, ed insieme pi brevi e fisse, posero di comune accordo i nomi alle cose, ogni nazione i suoi. evidente qui, come dice il Giussani ), l'errore di prospettiva storica, per cui troppo presto dalle condizioni prime si sarebbe venuto alla civilt, comunque importante anche quest' ultimo tratto dalla dottrina epicurea perch con esso si ammette direttamente P intervento della ragione, che, dopo aver esaminato le invenzioni e le scoperte spontanee della natura,
2 3

0 Questa obiezione della diversit del linguaggio per i popoli diversi ritorner anche pi tardi ad affacciarsi nella speculazione; Dante la r i solver in confronto alla variet delle classi sociali ed alla diversit delle professioni ( D A N T E , D e v u l g a r i e l o q u i o , Lib 1. cap. VII), pi tardi il Vico verr in proposito alla medesima conclusione di Epicuro, affermando anch' egli che le lingue sono frutti diversi dell' ambiente, clima od abitudini dei popoli diversi ( P r i n c i p i i d i s c i e n z a n u o v a , ediz. cit. Lib. II, pag. 277).
2) L U C R E Z I O , op. cit. V. 1061 1070

3) C GIUSSANI, op. cit. pag. 133. Epicuro avrebbe potuto mitigare un po' questo suo errore di prospettiva storica, se, come momento intermedio tra il linguaggio dei primi uomini selvaggi, della condizione dei quali tanto bene parla Lucrezio, (Lib. V , 922-1008) ed il linguaggio delle nazioni civili avesse posto le condizioni, in cui secondo Erodoto si trovavano, per ci che riguarda la favella, gli Etiopi, i quali pi che parlare stridevano (Cfr. E R O D O T O , IV, 183. Cfr. anche PLINIO,
VII. 2, e P O M P O N I O M E L A , I. 8).

NEL

SISTEMA EPICUREO

51

pu correggerle, completarle, sistematizzarle, elevarle cio all' altezza di una scienza metodica e di un' arte riflessa. Aggiunge finalmente Epicuro che anche cose non viste da quelli, che pur le avevano viste, e rano importate nella cognizione e nella lingua dei loro connazionali, perch essi le manifestavano con de' suoni, che dapprima erano istintivamente emessi per il naturale effetto delle ricevute impressioni, e poscia probabilmente ripetute per F impulso deHa volont. Anche in tal caso tali parole erano capite e per la generale e nota analogia tra suoni e cose espresse, e perch scelte col ragionamento dietro appunto questo generale analogia stessa. Tale in breve la dottrina di Epicuro sulF origine, sulla natura e sullo svolgimento del linguaggio, dottrina senza dubbio importante non solo perch forse la sola completa che la Grecia antica ci abbia dato, ma anche perch in armonico sincretismo si trovano in esse fuse insieme e le tradizionali speculazioni dell' ellenismo antico sulla questione se la posizione delle parole sia ^ C S L O G O V ^ T J V - T J J . e le teoria di Platone sul linguaggio e sui suoi rapporti col problema logico e col problema gnoseologico. La dottrina di Epicuro fu, come in generale avvenne per tutti gli insegnamenti della sua scuola poco compresa dai posteri: gi di essa Lucrezio diede troppo importanza al fattore naturale per lasciare un po' neh' ombra il fattore razionale ). Ci si accentu
1

1) Cfr. A . E D . C H A I G N E T , op.

cit.

pag.

34S.

52

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tra gli antichi e neh' epicureo seriore Diogene di Enoanda ), ed in Proclo ''), che tale fattore di ragione riguardante la- IMaic dei vocaboli dimenticarano affatto, come avvenne poi generalmente neh' et di mezzo. ,
A

Con Epicuro ben si pu dire finito il periodo costruttivo dell' antica filosofia ellenica ; le di lui dottrine, come quelle degli Stoici, si protesero in avanti attirando a s coli' andamento quasi di una fede religiosa gli spiriti pi grandi ; fuori di esse lo scetticismo e 1' eclettismo incrostarono il pensiero, tarpando a questo le aii per librarsi in alto nelle pi serene sfere della speculazione riflessa. Era naturale che nel period di diffidenza, che s'inizi cos in Grecia in contrapposto al periodo di confidenza, che aveva dato gli ultimi splendori nelle due scuole citate, si dovesse anzi tutto intaccare la fiducia nella facolt conoscitiva dell' uomo, per ritornare cos a quel relativismo logico dei Sofisti, donde Socrate e Platone ed Aristotele e Zenone ed Epicuro avevano cercato, per quanta in modo diverso, di allontanare gli spiriti. Date le strette relazioni tra il problema gnoseologico ed il linguaggio, delle tendenze scettiche, in-

1) Cfr. R h e i n i s c h e s M u s e u m , Ecco le parole di Proclo:

1892, pag. 440. ydp 'Eirfxoopog sXsysv Sxi cpoa'.xw; oyi xivo-

2) PROCLI, S c h o l i a i n C r a t y l u m , ediz. Boissouade, Lipsia 1820 pag. 6 s7C'.axYj;ivwg xovxsg xai o x o i sfrsvxo x v j a a x a , X X axsva^ovxsg.

jievoi, d) ot pVjaaovxsg Ttai uxopovxsc; xat |i'jxo')|ivoi x a i uXax-

53 generatesi nella trattazione di quello, risentirono le speculazioni riguardanti la natura di questo e cos noi vediamo, per esempio, gli scettici domandarsi : Se le cose non si possono conoscere, a che servono i segni con cui noi le fissiamo, le affermiamo e le comunichiamo ? ). Come ai vede siamo qui ancora in presenza dell' antico scetticismo del vecchio Gorgia, che per opporsi alle dottrine eleatiche sosteneva appunto che 1' essere non esiste, che anche se esistesse non sarebbe conoscibile, giacche dovrebbe essere una cosa sola col pensiero, nel quale caso sarebbe impossibile P errore ; anche se fosse conoscibile, esso non sarebbe insegnabile, giacch lo si dovrebbe insegnare con segni, i quali potrebbero avere valore diverso da uomo ad uomo ; per evitare ci bisognerebbe conoscere prima con qual segno si vuol intendere P essere, il che suppone gi ci che si deve fare. Un argomento per lo scetticismo, cos apertamente professato da Pirrone, e poi da Enosidemo e da Sesto Empirico, era la diversa soluzione data del problema dei segni dal pensiero contemporaneo di Epicuro e degli Stoici "-'). Epicuro concepiva il segno e quindi la parola come qualche cosa di e minentemente sensibile, gli Stoici invece, come si visto, ponendone P essenza nel Xszxv, specie intel1

0 Cfr : a . e d . CHAIGNET, op. cit. pag. 512, 513. 2) Ricordiamo che gi per Io scetticismo sofistico orano stato argomento le diverse soluzioni date del problema cosmologico e cosmogonico dal pensiero precedente degli Ionici, Eleatici, Pitagorici e Alecanisti.

54

LA

FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

ligibile intermedia tra V oggetto ed il soggetto, la concepivano come qualche cosa di intelligibile. Quale di quelle due teorie cos inconciliabili e contrarie contiene la verit ? ) . Per accettare V insegnamento di Epicuro, bisognerebbe prima in linea pregiudiziale, dice Sesto Empirico ), dimostrare che i sensi sono infallibili ; ci senza dubbio ammesso da Epicuro, ma negato in modo assoluto da Democrito, dice ancora Sesto Empirico, e prima di lui, aggiungiamo noi; da Eraclito. Ammettiamo pure che i sensi non ci ingannino, resta sempre insoluta la domanda : per quale ragione noi adotteremo per questo e per quel segno, e quindi per questa o per quella parola, questo o quel significato e non un altro ? ) .
! 2 3

Riguardo poi alla dottrina stoica, gli scettici avevano buon gioco nel dire che proprio non ci sono argomenti sufficienti per decidere se i Xs-//cd veramente esistono ; d' altra parte per poter arrivare a saperlo bisogna pur ancora usare di prove, che in fondo si appoggiano ancora sulP interpretazione di segni : siamo adunque in un circolo vizioso, di cui gli Stoici hanno avuto il torto di non accorgersi ). Quale adunque la conclusione ? L a conclusione si che anche rispetto alla questione dei segni e quindi del linguaggio bisogna essere agnostici, sospendere
4

1) 2) 3) 4)

Cir. S E X T . E M P , M a t h . V i l i . 177. S E X T . E M P , M a t h . V i l i , 293. S E X T . E M P , M a t h . V i l i 201. S E X T . E M P , Afat. V i l i . 261.

NFLLO

SCETTICISMO

E NELL'ECLETTISMO

55

cio il nostro giudizio, non potendo noi in modo alcuno formularne uno qualsiasi ) . Anche nello scetticismo della media e della nuova Academia di Arcesilao e di Cameade non meno fortemente si attacc qualsiasi soluzione positiva del problema gnoseologico e per ci stesso qualsiasi speculazione sul linguaggio, che con quello avesse relazione alcuna. Poteva pur Cameade, come dice Cicerone ) , rinnovare 1' antica distinzione di Eraclito tra una conoscenza perfetta ed assoluta ed una conoscenza inferiore e relativa, ma soggiungendo che questa solo concessa all' uomo, che perci si deve solo accontentare della probabilit, non gi della certezza, svisava il concetto di Eraclito, che la prima delle due conoscenze credeva per lo meno possibile al sapiente e senza dubbio dava origine a dottrine, a cui, secondo Cicerone stesso ) , non mai avrebbe dovuto esser rivolta la giovent.
J 2 3

Vero si che Filone di Larissa, rifacendosi pi direttamente, come dice Cicerone ), all' insegnamento platonico, appena dopo Cameade tenta di salvare qualche punto fisso nella conoscenza, ma ormai F indirizzo scettico eclettico aveva gi pervaso ogni fremito di pensiero : gli Stoici andavano rabberciando le loro dottrine con materiali presi qua e l cam4

'Avayy.Y, -/al

Tjiiag

noy7

|isvs:v, dice in proposito Sesto

Empirico ( M a t h , 2) CICERONE, 3) CICERONE, 4) CICERONE,

Vili 259). A c a d . P r . 2. 30 e 31. D e r e p u b l i c a III. 1G. A c a d . P o s t . I, 4 e 111, 18.

56

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

biandone solo i nomi *), altri, insofferenti forse del presente, si diedero allo studio delle fonti, dei monumenti originali del passato, specialmente di Platone e di Aristotele, donde la frase di Seneca : Q u a e p h i l o s o p h i a fiiit, p h i l o l o g i a est facta ) ; i Peripatetici eclettici, forse meglio che i Platonici, tennero un po' alto il vessillo della speculazione specialmente per ci che riguarda il problema appunto gnoseologico e la questioni logiche ) . Sulla questione, per esempio, delle dieci categorie aristoteli.che, dagli Stoici, com' noto, ridotte a cinque ), si accese forte disputa tra Alessandro Afrodisiaco, di cui purtroppo sono andati perduti i commentarii al D e Interpretatone di Aristotele ), del quale per Andronico di Rodi, capo della scuola esegetico-eclettico-peripatetica negava 1' autenticit ), Eustazio, Ermino, Aspasio ed altri peripatetici eclettici e pi tardi Porfirio, credendo alcuni che le categorie riguardano solamente le parole (irspi s o m v ) , mentre altri, Porfirio per esempio, sostenevano che esse riguardavano vere nozioni prime dello spirito. Si tratta qui del primo sviluppo della famosa contesa tra Nominalisti e Realisti, a proposito della quale vale la pena di ricordare come gi Ermino giudi2 3 4 5 6

1) Tale 1' accusa che Pisone, il quale personifica i Peripatetici nel D e F i n i b u s di Cicerone, fa appunto agli Stoici ( D e F i n . V . 25). 2) Cfr. A . E D . C H A I G N E T , op. cit. Voi. Ili, Paris 1890, pag. 85.
3) A . 4) Cfr. E D . C H A I O N H T , op. C. P R A N T L , op. cit. cit. cit. pag. 1, pag. 1, pag. 222. 426 e sgg. C21. 547. cit. Voi. Voi. Voi. I, pag.

5) C. P R A N T L , op. 6) C. P R A N T L , op.

NEI

COMMENTI

AD

ARISTOTELE

57

cava che le categorie hanno rapporto alle cose, giacche le parole non sono, mai vuote, e sono sempre dette intorno alle cose' ).--. . -Ci che per maggiormente. interessa il nostro argomento l'interpretazione che Ermino stesso dava di quel passo al principio del D e I n t e r p r e t a t i o n e di Aristotele, in cui si dice che i fenomeni psichici, che sono espressi dal linguaggio, sono identici presso tutti : ecco il passo ) : sazi <JV oov z. sv q ) rpcovg
1 2

~wv

sv

1 * 5

^ X T i wa9-r^d'uojv

ob\t^oXa.

. ror

rcoi

TraO-v^aia r?jc 1>/^?. evidente, secondo Ammonio ) , quale sia il senso distali-parole : Aristotele cio stabilisce da una parte che le lettere e le parole non essendo identiche presso tutti gli uomini sono frutto, come simboli delle affezioni umane, di una convenzione ( f r s i e ) , mentre le idee e le cose essendo identiche per tutti sono 1' opera della natura a i s ) . Ermino pare contesti anche tale uguaglianza degli stati di coscienza in tutti gli uomini, giacch ponendo nel testo greco al posto dell' ossitono r a o t il perispomeno x o r a viene a dire che le parole sono bens note dell' affezioni dell' animo, le quali, se si trovano in tutti, non sono in tutti iden3

0 Notiamo che tale opinione di Ermino, che si legge negli scol/j anonimi di Aristotele, contradetta da quanto Porfirio dice che Ermino pensava intorno alla questione appunto delle categorie, le quali non sarebbero gi i generi primi e pi universali degli esseri naturali e le differenze prime e fondamentali dei termini, ma piuttosto le attribuzioni verbali proprie a ciascun genere eli esseri reali (Cfr. A . E D .
C H A I G N E T , op. cit. pag. Sen. 222). Interp. Arist.. 1G. 101, 2. b. 1-12 (Cfr. A . E D . CHAIGNET, op. 2) A R I S T O T E L E , De 3) A M M O N I O ,

cit. pag. 223).

5S

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tiene, perch identico il solo fatto del trovarsi di esse in ognuno *). Del gi citato Alessandro Afrodisiaco pur importante per noi oltre che la distinzione deh linguaggio interno (VOOJJLSVOV), che solo apparentemente richiama il XSXTV degli Stoici e che piuttosto un'altra anticipazione del sermo i n t e r i o r degli Scolastici, del linguaggio espresso ( s v / f ( o v o p v o v ) , e del linguaggio scritto (Ypacp^evov), di cui il terzo simbolo del secondo, come questo del primo ), anche la dottrina sulla parola, dottrina che gi nei tempi antichi A m monio svisava, dicendo negli scolii ad Aristotele ) che Alessandro sosteneva essere P origine del linguaggio esclusivamente naturale *e spontanea.
2 3

evidente che tale opinione era troppo contraria agli insegnamenti in proposito di Aristotele, perch potesse essere professata da chi nei tempi antichi fu dello Stagirita l'interprete pi fedele, tanto da essere chiamato un secondo Aristotele ; ed infatti leggendo il D e A n i m a dell' Afrodisiaco vediamo che egli la pensava ben diversamente da quanto asserisce Ammonio : la parola come suono, egli dice, una specie di rumore prodotto dall'animale in quanto animale, cio il suono prodotto in seguito ad una rappresentazione qualunque o di una eccitazione qualsiasi, giacch tutto ci che P animale fa in quanto animale il risultato di una rappresentazione ( ^ a v r a s i a ) o di

1) Cfr. Z E L L E R , op. cit. Tomo IV. pag. 700.


2) P R A N T L , op cit pag. 548.

3) A M M O N I O , S e t i . A r i s t 103 b 23.

NEI

C O M M E N T I AD A R I S T O T E L E

59

un'eccitazione interna istintiva (pp].) La natura adunque ci ha fatto capaci di stabilire le parole, d'imporre nomi alle cose, ma il rapporto tra i vocaboli e le cose non gi opera della natura, ma bens il risultato di una convenzione. Il linguaggio non gi innato ci che innato la facolt speciale che lo crea ) . Se i risultati fossero il risultato della natura, tutti gli uomini avrebbero lo stesso linguaggio, e 1' ordine, con cui per formare le parole i suoni elementari si succedono e si raggruppano, sarebbe dappertutto identico ~). Ora i fatti provano che cos non , e che la differenza nelP ordine del raggruppamento dei suoni elementari e delle sillabe costituisce una delle differenze profonde, se non la sola, delle lingue ).
l :!

Poco prima ed attorno ad Alessandro di Afrodisia ben poco noi abbiamo che meriti di essere r i cordato a proposito del nostro argomento ; quando noi infatti ricordassimo 1' opinione di Apuleio sull' o r a t i o p r o m i n c i a b i l i s , che forse pi del Xswuoc stoico richiama il ^o-xavrr/.c dei commentatori aristotelici ) , le dieci categorie, corrispondenti alle dieci parti del discorso, escogitate dal neopitagorico Nicomaco di Geraso ), le sottili distinzioni di ca4 r>

1) Come si vede, abbiamo qui un'anticipazione non solo di quanto la Scolastica ha pensato intorno ali' origine appunto del linguaggio, ma di quanto pi tardi ancora Cartesio ed il Leibniz diranno della facolt conoscitiva dello spirito umano in genere. 2) Abbiamo gi visto che questa era un' obiezione fatta anche agli Epicurei.
3) Cfr. A. E D . C H A I G N E T , op. cit. Voi I, pag. cit. pag. 580. 255. 4) P R A N T L , op.

5) Per ottenere queste 10 parti del discorso Nicomaco ed i Pitagorici vi facevano entrare il nome appellativo (Tcpocnrjyopia) e la particella espletiva (Tiap Tc^pcnua, Cfr. C H A I G N E T , op.cit. pag. 305.

60

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

rattere tutt' affatto estrinseco fatte da Boeto tra vocaboli tautonomi ed eteronomi, di cui i primi erano suddivisi in omonimi e sinonimi, ed i secondi in eteronomi in senso stretto, ed in polionimi e paronimi ), e quando noi aggiungessimo quanto poco originali si sieno in genere mostrati i Romani anche a proposito della filosofia del linguaggio, noi avremo detto tutto quanto ci pu interessare. vero che Cicerone come gi prima Varrone ), e Quintiliano dopo ), in parecchi luoghi parla della dialettica e de' suoi uffici ), vero che egli, come anche Quintiliano ), riconosce tutta 1' importanza dell' etimologizzare per la definizione perch ex v i n o m i n i s a r g a m e n t u m e l i c i t u r ) , ma una vera dottrina sul linguaggio noi possiamo ben dire che il genio romano non ha saputo darci in modo alcuno, mentre la coscienza religiosa popolare, come al solito, interpret anche il fatto del linguaggio come opera degli Dei e specialmente di Mercurio ) .
f 2 y 4 5 6 7

Dalle scuole eclettiche, di cui abbiamo teste fatto parola, passiamo ora a far rapido accenno a quanto

1) P R A N T L , op.

cit.

pag. XII.

547. 2.

2) Cfr. su Varrone ISIDORO, O r i g i n e s , II. 23.


3) Q U I N T I L I A N O , Inst.

4) Cfr. C I C E R O N E , B r u t u s 417 ; Acad 38 ; D e F i n i b u s I, 7, 22.


5) Q U I N T I L I A N O , Inst. G) CICERONE, 517. C f r . - S . A G O S T I N O , De Civit Dei, Top. Vili, 35; e Acad.

li 58 ; T o p . II 6 ; D e O r a t . II,

I, 6, 26 ; V , 10. 58. II. VII, 18, 56. Cfr. PRANTL, cit. op. IV-

pag.
7)

14, e Z E L L E R . op.

67. Tutte le favole intessute nell' antichit classica per spiegare 1' origine del linguaggio si trovano lucidamente riassunte dal Vico (Vico, Scienza n o v a , ed. cit. pag. 261 e 293 e sgg.).

IN FILONE

61

in relazione al nostro argomento hanno pensato e Filone ed il Neoplatonismo. D i Filone inutile che noi richiamiamo la soluzione mistico - razionalistica data da lui al problema gnoseologico, solo ricordiamo come il medesimo ammettesse nelF anima due parti, F una irrazionale, e muta ( 7 . X 0 7 0 V ) , F altra invece razionale e dotata di voce ( ^ ( D V T J S V ) , anche quella per concorre alla formazione del linguaggio nella sua parte fisiolgica, in quanto questa funzione della vita : il vero principio per della parola data dallo spirito, perch il linguaggio non gi solo un suono, ma sibbene un suono a cui si connette un pensiero che si vuol comunicare agli aitri, e che talvolta esce incoscientemente come nelle esclamazioni ). In virt di tal privilegio F uomo impone lui stesso i nomi alle cose, il che fa nel medesimo i stante in cui le concepisce nella loro natura, nella loro essenza e nelle loro propriet. Perci la concezione delle cose si confonde per cos dire, o per lo meno intimamente legata alla parola, e quindi, conclude Filone, rinnovando un pensiero degli Stoici e di Epicuro, a cui per egli giunto per vie ben diverse, il linguaggio esprime esattissimamente le cose e le loro propriet specifiche ).
L 2

0 Abbiamo gi visto che anche Aristotele dava importanza speciale alle esclamazioni, le op. cit. pag. 289). Filone sono da lui svolte nell' opera
t

quali

dal Vico furono poi considerate come una

delle manifestazioni prime del linguaggio umano (GIAMBATTISTA VICO, 2) Le dottrine suesposte di

sua : D e m u n d i o p i f i c i o ; la conclusione riportata suona cosi in Filone : s j i ^ a t v o a a x g Ttv O^OXS'.IISVOJV '.zr ~y.c, a a s/JH^va-. TS y.a
(

voYj&yjvai, Cfr. A. E D . C H A I G N E T Voi. ili. op. cit. pag. 467.

62

L A FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

Per ci che riguarda il Neoplatonismo, diciamo subito che grandissima fu l'importanza che ebbe specialmente Porfirio in tutta 1' et di mezzo, dovuta in gran parte alla traduzione che della sua : 107 .707-/, U ~c ' A p i a i o T s X o o c VwarT^'ofviac. detta anche, rapi TUSVTS 'fovwv ), fece Boezio : d' altra parte noto che la famosa lotta cos lungamente contesa, come vedremo pi avanti, nel M . E . fra Nominalisti, Realisti e Concettualisti storicamente prese origine diretta da un passo appunto di tale opera, in cui Porfirio si era accontentato di porre i termini del problema, senza per nulla indugiarsi e risolverlo. Orbene anche a proposito della questione del linguaggio il grande scolaro di. Plotino esercit poscia una grande influenza, prima di tutto perch per opera sua si rinsald definitivamente il contatto gi stabilito da Aristotele e dagli Stoici tra filosofia del linguaggio e le disquisizioni logiche, avendo egli considerato lo studio dell' O r g a n o n di Aristotele come un' introduzione necessaria alla filosofia di Platone, in secondo luogo perch avendo egli nella questione sopra i rapporti del linguaggio scritto ed orale col pensiero dato un grande peso alla percezione interna gi preformata dei concetti, s da stabilire, come dice Boezio ~), tre specie di discorsi od orazioni, u n a
1

1) Le cinque voci, di cui parla Porfirio, e che ebbero poi tanto seguito nella storia della logica (e per convincersene basterebbe pensare alla grande importanza che ad esse d Marciano Cappella nella sua Artes l i b e r a l e s ) sono: genus, f o r m a , d i f f e r e n t a , a c c i d e n s , p r o p r i u m (cfr. C . P R A N T L , op. cit. Voi, I pag, 674.).
2) B O E Z I O , De Jnterpret li, 12.

NEL

NEOPLATONISMO

63

quae l i t t e r i s c o n t i n e t u r , secunda quae v e r b i s ac n o m i n i b u s personal, tertia q u a m mentis evolvit intell e c t u s , diede luogo in modo diretto a quella concezione della l u x interior di cui parla S. Agostino, la quale a poco a poco si trasform nel sermo i n t e r i o r di alcuni Padri e degli Scolastici. Dopo. Porfirio ed i suoi seguaci pi nulla abbiamo nella filosofia antica ellenica, che valga la pena di essere ricordato : la logica s ' a n d man mano impaludando nel puro campo formale, e se ancora si continu degli ultimi commentatori di Aristotele a discutere intorno alle distinzioni di opoc 'saic, OVOJJ.7.. (yyjjxa. ), lo si fece in modo che nessuna scintilla di pensiero rigeneratore e costruttore brillasse e si tramutasse alla sua volta in impulso per speculazioni ulteriori. Solo Giamblico continu a sostenere F origine naturale ed il significato necessario dei vocaboli, mostrandosi anche in ci seguace di Platone e di Filone, e contro Aristotele, la di cui teoria sulla significazione ad p l a c i t u m delle parole era stata in tempi a Giamblico pi v i cini ripresa e sostenuta da Galeno ) .
2 2

Ormai il Cristianesimo e come religione e come fatto sociale aveva gettato nella sfera del pensiero riflesso nuovi fermenti di speculazioni e di vita. Tolto di mezzo ormai il tentativo di Filone di congiunzione del pensiero ellenico col Gir

1) P R A N T L . op.

cit.

Voi.

I. pag.

651.

2) Cfr. in proposito G I A M B A T T I S T A VICO, P r i n c i p i i d i s c i e n z a ed. cit. pag. 259 e 276.

nova

64

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

daismo, e pi tardi lo sforzo del Gnosticismo a che tale congiunzione si facesse col Cristianesimo, il pensiero cristiano a poco a poco si eresse libero e fiero per contendere le posizioni occupate ancora da Scettici, Eclettici, Neopitagorici e Neoplatonici ; in ci esso riusc a qual prezzo e con quel vantaggio di contenuto lo vedremo, sempre a p r ' del nostro argomento, pi avanti.

PAIATE II
La filosofia del linguaggio

ideila P a t r i s t i c a

C A P I T O L O III.

La filosofia del linguaggio nella Patristica in rapporto al problema storico delle origini
SOMMARIO: Motivi generali e particolari per cui una vera filosofia del linguaggio non si svolta nella Patristica. La questione storica della lingua primitiva quale fu posta dai Padri. L'opinione della priorit della lingua ebraica ed argomenti pr e contro la medesima. La questione dell' origine divina ed umana del linguaggio. Soluzione platonica - stoica del problema sulla natura della parola. Come fu spiegato 1' intervento divino nella produzione del di scorso umano. Contesa tra Eunomio e Gregorio di Nissa.

Ben profonde sono le distinzioni tra Patristica e Scolastica, come profonda la differenza tra la tattica di chi sta per conquistare un paese nemico, e quella di chi cerca di. organizzare secondo ogni ordine civile e politico le conquiste fatte. L a Patristica infatti, ben diversamente dalla Scolastica, di cui avremo occasione di parlare pi avanti, ha anzitutto, come ben dimostra il Wulf un carattere frammentario, appunto perch i suoi atteggiamenti sono determinati dalle diverse contingenze di tempo di luogo, di minaccia, di offesa e di difesa, in cui essa si trovava. Mostrare quale sia il dogma, difen-

1) M . D E W U L F , H i s t o i r e Lonvain 1905, pag. 93.

de

l a P h i l o s o p h i e m e d i e v a l e , 2. ediz

68

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

derlo da ogni attacco dell' eresia, o da ogni compromesso col Giudaismo e col Paganesimo, conservare in mezzo a divergenze pericolose 1' unit di disciplina nel governo della Chiesa, ecco gli scopi di quei primi scrittori del Cristianesimo, i quali perci la filosofia posero senz' altro al servizio del dogma, non solo in relazione al primato della dogmatica sul pensiero riflesso, dovuto al pri mato della rivelazione sulla ragione, ma anche per lo scopo di trarre da quella unicamente i soccorsi e gli appoggi per la migliore spiegazione ed accettazione di questo. evidente che cos essendo le cose non ci poteva essere unit nello svolgimento di tutta la Patristica ; manca infatti della medesima una sintesi filosofica, come invece pi tardi si ebbe e potente una sintesi filosofica scolastica ; si posero, vero, allora alcuni principii, che diventarono tosto e si perpetuarono poscia come il centro di ogni palpito di speculazione cristiana, le differenze nella quale furono in rapporto appunto alla lontananza maggiore o minore da quel centro ; ci furono inoltre argomenti che quasi da tutti in quei primi secoli di fervore e di lotta furono trattati con abbastanza coerenza ed uniformit di deduzioni, ma anche tale coerenza, oltre che dai rapporti inevitabili che esistono ed esisteranno sempre tra un certo numero di questioni religiose ed alcune esigenze della filosofia, era determinata da una non minore coerenza nelP attacco e nelP offesa da parte dei nemici ed interni ed esterni della nova religione di Cristo.

NELLA

PATRISTICA IN GENERE

69

per questo che la scelta degli argomenti tanto negli apologisti quanto nelle prime scuole cristiane di Occidente ed Oriente il pi delle volte indipendente dagli autori, i quali li trovavano, per cos dire, belli e preparati dalle movenze dei nemici, che per un elementare principio di tattica non si potevano lasciar senza risposta. E le risposte venivano infatti, pronte, rigide, veementi e contro il Paganesimo, che, agonizzando nella sua configurazione ideale tentava negli aneliti dell' agonia gli ultimi sforzi per non morire del tutto, e contro il Gnosticismo, che, come protesta della religione, della scienza e della filosofia del mondo pagano contro 1' universalit della fede e della morale, contro 1' uguaglianza dei doveri e dei diritti per tutti gli uomini promulgati dal Cristo e da suoi seguaci, tent appunto di strozzare il Cristianesimo nella sua povera culla, e contro tutte le altre-eresie, che in ogni parte del mondo cercavano rompere queli' unit di disciplina e di pensiero, da cui solo poteva derivare il trionfo completo. E si noti contrasto delle cose : il fermento primo di s aspra per quanto naturale opposizione al C r i stianesimo stava in gran parte nella tradizione del pensiero filosofico antico, specialmente platonico e neoplatonico ; orbene anche la Patristica, che si svolse appunto in un tale periodo di civilizzazione cos imbevuto di idee greche, all' influenza di queste non pot sfuggire, pur tentando essa co' suoi rappresentanti migliori e specialmente cogli spiriti magni della scuola catechistica di Alessandria Clemente ed Origene e poscia con S. Agostino di indirizzare

70

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tanto tesoro di sapienza antica verso i nuovi destini indicati da Cristo, e da quanti il suo pensiero avevano per i primi interpretato e spiegato. Potevan ben e Lattanzio ) e Tertulliano ~) colla rigidit e 1' esclusivit del loro pensiero opporsi a tutto ci, e maledire quasi 1' antica filosofia greca ; questa pigliava non di meno la sua vendetta allegra, perch di essa era ormai impregnata V aria tutta che si respirava, di essa ormai parlava qualsiasi palpito di vita, avendo essa ormai segnato quelle traiettorie, che qualsiasi speculazione riflessa per esser e rimaner tale doveva per forza seguire.
l

Or cos stando le cose, come si presenta a noi la Patristica in rapporto alla questione che ci r i guarda, e cio in rapporto alla filosofia del linguaggio ? Per rispondere a tale domanda dobbiamo anzitutto considerare il fatto che essa era per nulla di natura tale da richiamare a s le menti dei primi scrittori pensatori cristiani, perch nessuna insidia vi si annidava,* che il Paganesimo potesse offrire a propria difesa contro il Cristianesimo, e nessun pericolo a cui questo si dovesse opporre. Gi lo si detto, la Patristica nel suo svolgimento non fu in gran parte, e specialmente nei primissimi secoli, che un ininterrotto gioco di controtattica contro gli assalti dei propri nemici, siccome questi dall' argo-

1) LATTANZIO, D i v i n a e i n s t i t u t i o n e s , Libro III, cap. 21, 22 (MlGNE, P a t . L a t . VI pag. 417). 2) Tertulliano, per esempio, chiamava Platone : o m n i u m h a e r e t i c o rum condimentarium 729). (Cfr. T E R T U L L I A N O , De anima cap. 23 ( M I G N E Pat.

P a t . II, pag.

NELLA PATRISTICA IN GENERE

7 1

mento del linguaggio ben poco vantaggio alla propria causa potevano trarre, di esso non usarono, e su esso perci la Patristica ben poco ebbe a che pensare e decidere. D'altra parte badiamo bene: in fondo infondo neh' economia del sapere antico le ricerche riguardanti il linguaggio non erano speculazioni, diremo cos, d prima necessit, ma sebbene speculazioni quasi di lusso. Solo con Platone esse assunsero un' importanza maggiore di quello che per s potevano avere, perch fatte allo scopo evidente di rendere pi lucida e tersa la soluzione del problema gnoseologico ; dopo di lui, dopo gli accenni troppo fugaci di Aristotele ed accanto alle tendenze troppo astratte degli Stoici, esse ebbero una sviluppo originale con Epicuro, ed i suoi, ma Epicuro ed i suoi furono come i grandi scomunicati dell' Ellenismo, e la congiura del silenzio, che tanto presto travolse, per esempio, Lucrezio, dur anche pi tardi nei secoli. Dopo Epicuro la questione del linguaggio troppo supinamente un il proprio destino con quello della logica e della grammatica. Ora evidente che non di logica o di grammatica potevano discutere quei primi scrittori cristiani, che la propria fede, condivisa con tutto 1' entusiasmo e con tutto il candore compatibile coli' anima umana, vedevano offesa in nome di speculazioni ben pi profonde e feconde ! per questo che mentre la Patristica ha trattato, per esempio, dei demoni, del X070C. del rsn\m. per non parlare che di argomenti speciali, appunto perch la diversa interpretazione

12

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

data sopra tali questioni dai filosofi non cristiani passati e contemporanei potevano in modo immediato essere d' ostacolo all' ortodossia, ed impulso all' eresia, non ha trattato se non incidentalmente del linguaggio, appunto, perch nessuno effetto d'ordine pratico sarebbe da una tale discussione derivato. In base ai tali motivi finora ricordati ben possiamo dire che per gli scrittori di quei primi secoli di nuovo fervore religioso e sociale, dato che tanto sottile era il filo della tradizione classica sui problemi linguistici, il linguaggio doveva in un certo senso apparire un' altra volta cos stretto e compenetrato alle cose ed ai concetti da non poterlo considerare astrattamente come un mero segno estrinseco, del quale vi fosse da dire chi I' avesse inventato e come altri P apprendesse. Il D'Ovidio pensa che tale fossero le condizioni, in cui si trovava chi in modo cos frammentario ed incerto del linguaggio ha parlato al principio del Genesi orbene qualche cosa di simile si pu pensare anche per gli apologisti ed i primi Padri, i quali pure sempre si trovavano nelle condizioni di dover tendere a qualche cosa di ben pi concreto di quel che fossero per se stesse le parole. Si aggiunga poi che in relazione alle domande pi facili ed elementari che la ricerca sul linguaggio poteva far sorgere, specialmente per ci che riguarda la sua origine, gi le Sante Scritture rispondevano in
l) D. O V I D I O , op. cit. pag. 490.

NELLA

PATRISTICA IN GENERE

73

modo che, per quanto magro ed incerto in se stesso metteva per in evidenza alcuni principii su cui l'accordo non manc tosto a formarsi. Consideriamo per esempio ci che si legge al principio del Genesi Dio avrebbe egli stesso imposto il nome alla luce (ym) ed alle tenebre (laylh). Ci noi possiamo benissimo spiegare pensando, come dice il Minocchi ) che secondo la filosofia ingenua del linguaggio presso gli antichi popoli ") solevasi pensare e dire che il nome di una data cosa fosse non un' espressione relativa e soggettiva, come diremo noi, ma bens una designazione della sua propria essenza: ognuno perci degli antichi popoli era propenso ad affermare che la sola sua lingua fosse P essenziale e precisa designazione delle cose e che invece le lingue d' altri popoli fossero altrettante designazioni del vero linguaggio, come per balbuzie. Il concetto di lingua barbara e di popolo barbaro, (alla lettera balbuziente), si riscontra infatti non meno tra i Greci ed i Latini che fra i Babilonesi e gli Ebrei ). E perci che lo scrittore sacro si adatta all' esigenze popolari della scienza contemporanea, dicendo che Iddio stesso pose quei
a 4

1) G e n e s i , 1, 5. 2) S. M I N O C C H I , G e n e s i , cap. 1 ( S t u d i R e l i g i o s i , Gennaio - Febbraio 1907 pag. 8). 3) Osserviamo che ci non avveniva solo nel pensiero dei popoli, 1' o rigine divina del linguaggio abbiamo visto accennata anche nel C r a t i l o di Platone, in cui si afferma pure la naturalezza dei vocaboli, nel senso che essi esprimono la natura delle cose, come sostennero poscia anche ed Epicuro, e gli Stoici, e Filone. 4) Cfr. S a l m o CX1V. 1.

74

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

nomi, di cui si parlato. Evidentemente queste considerazioni, che potremmo in modo analogo r i petere anche per l'imposizione dei nomi fatti da Adamo, e per la confusione delle lingue avvenuta dopo la torre di Babele, non erano fatte dai primi scrittori cristiani, a tutt' altre cure rivolti, i quali perci accettavano fedelmente e senza discutere o discutendo in modo tutt' affatto superficiale ed incidentalmente quanto la Scrittura diceva in proposito. Anche pi tardi, nei secoli cio della Scolastica, come vedremo, il racconto biblico coi suoi tre punti fondamentali : V esplicita affermazione cio che la molteplicit degli idiomi fosse stato un castigo di Dio, e gli impliciti sottintesi che il parlare fosse una facolt primaria ed immediata dell' uomo e che la favella prima fosse stata 1' ebraica ) , fu sempre il punto di partenza per la speculazione d' ordine linguistica, il che avvenne anche per Dante, che pur fu cos ardito e geniale nelle sue dottrine sulla lingua.
l

Tali sono i principali motivi, per cui noi possiamo affermare non esservi stata una vera filosofia del linguaggio, nel vero ed esteso senso della parola, in tutto lo svolgimento della Patristica ; spunti per qua e l di essa non mancarono, rapidi accenni a speculazioni, che, approfondite, avrebbero a quella per la strada maestra condotto, non sono rari, il che cercheremo appunto di dimostrare, per quanto ci sar possibile, in questa parte del nostro lavoro.
0 Cfr. in proposito FR. OVIDIO, op. cit. pag. 492.

IN C L E M E N T E ALESSANDRINO

75

Il primo accenno alla questione del linguaggio in scrittori cristiani possiamo trovare in Clemente Alessandrino, che nato al principio del III secolo d. C . e successo a Panteno nella direzione della gloriosissima scuola di Alessandria, centro allora della scienza cosmopolita, ne' suoi otto libri degli Sromati espose la dottrina di Cristo in relazione al pensiero filosofico antico e contemporaneo pagano, verso il quale pur tanta deferenza egli, come in genere tutti della sua scuola, nutriva. Comincia egli in un passo di quelli a stabilire il numero delle lingue a 72 contrariamente a quanto altri storici, appoggiandosi su un passo del Genesi *), affermavano portandolo a 75 ) . Parla egli poi dei dialetti della Grecia, 1' attico, P ionico, il dorico, P eolico, ed un quinto comune a tutti, accenna all' opinione di alcuni Greci, tra cui ricorda Platone, del quale pi avanti cita espressamemte il C r a t i l o , che anche gli Dei avessero un loro dialetto speciale, deducendo ci dai responsi da quelli dati nei sogni e negli oracoli ) ; tocca del bisogno d' or dine biologico che spinge gli animali a manifestare con segni gli stati loro interni, s da poter essi avere aiuto da quelli della medesima specie ; rifacendosi poi inrine in modo evidente a quanto Cicerone afferma in uno dei primi capi del libro primo delle T u 2

1) Cfr. G e n e s i , XLV1. 27. 2) CLEMENTE, ALES., S t r o m a t u m , I, 21 (MIGNE, P. G. V i l i pag. 878 e sgg.). 3) Quest' opinione del linguaggio degli Dei ritorna anche nel Vico nella sua triplice divisione del linguaggio in lingua degli Dei, degli eroi, o degli uomini, divisione che corrisponde alla sua tripartizione della storia in genere. (Cfr. V i c o , op. cit. pag. 267 e sgg.).

76

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

sculane che gli uomini primitivi, perch pi vicini in ordine alla divinit, da questa furono maggiormente illuminati su alcune verit fondamentali, espone Clemente 1' opinione, convalidata anche questa volta da quanto Platone dice nel C r a t i l o , a proposito dei nomi izbp e KVS? ), che i dialetti barbari sono Ysvixai, e che in essi i nomi sono posti veramente da natura (zoei). Tali sono in breve gli accenni al linguaggio fatti da Clemente Alessandrino, accenni che meritano da parte nostra che v i indugiamo sopra alquanto, perch essi ci daranno modo di esporre nel modo pi sistematico possibile ci che per se stesso nessun ordine avrebbe.
1

Anzitutto a proposito di quanto afferma Clemente in relazione alle 72 lingue, diciamo che esso rappresenta uno dei punti comuni della Patristica, per quanto diverso fosse il motivo, per cui quel numero era giustificato. Alcuni, appoggiandosi su parecchi luoghi delle Scritture, lo traevano dalle 72 genti in cui era diviso il mondo, a cui sarebbero stati dati come protettori altrettanti a n g e l i ) , altri lo traevano dal numero dei figli di Giacobbe, che entrarono in Egitto ). S. Epifanio invece lo derivava dal numero di quelli che tentarono di costruire la torre di Babilonia ), S. Isidoro lo metteva in rela2 :3 4

1) C r a t i l o 410 A . B . 2) Le stirpi erano appunto 72, 32 discendenti da


Sem, 25 da Iaphet (Cfr. S. E P I P H A N I I , Adv. Haer Lib

Cam,

15

da

1, 3. ( M I G N E , P.

G . XL1, pag. 674). 3) Cfr. D e u t o r o n o m i o XXXII. 8.


4) S. E P I P H A N I I op. cit. Lib, I, 1-4 in M I G N E , P . G . XLI pag. 186.

NEI RIGUARDI

BIBLICI

77

zione al numero dei seniori, super quos c e c i d i t s p i r i t u s D e i ) : alcuni finalmente lo ponevano in rapporto alle 72 generazioni che, secondo S. Luca, sarebbero intercorse tra Adamo e Cristo ) . Comunque sia di ci, il fatto si che il racconto biblico della torre babilonica fu nella Patristica accettato e tramandato cos com' ; S. Agostino lo amplific con particolari angelologici ), altri particolari vi aggiunse pi tardi S. Prospero d' Aquitania ) , Teodoreto di Ciro lo pose a fondamento delle sue teorie sull' origine delle lingue ), S. Giovanni Crisostomo lo accett per 'proclamare formalmente la monogenesi del linguaggio di cui del resto nessuno allora non ha mai dubitato : mentre d' altra parte esso si tramut in argomento per la glorificazione dell' opera di Cristo. S. Massimo ) , per esempio, mette in rapporto la divisione delle lingue col ricongiungimento di tutte le genti fatto per mezzo della parola divina di Cristo, e col miracolo di cui si parla negli Atti degli A p o toli ) della discesa dello Spirito Santo, per cui gli Apostoli coeperunt loqui aliis linguis p r o u t Spiril
2 3 4 5 7 8

1) Cfr S . C L E M E N T E , S t r o m a t u m , Lib. I cap. XXI, nota ( M I G N E P . G . VIII pag. 879). 2) S. I R E N E O , A d v c r s u s H a e r e s e s , Lib. Ili, cap. 23.
3) S. A G O S T I N O , De Civit. LI, Dei, pag. XVI. 699. 5.

4) S PROSPERI
cap. 14 (in

A Q U I T A N I , D e v o c a t i o n e o m n i u m g e n t i u m , Lib. II
L.

M I G N E , P.

5) THEODORETI, Q u a e s t . i n G e n e s i m (in M I G N E P . G . L X X X pag. 166). 6) S . GIOVANNI, C R I S O S T O M O , D o e m o n e s n o n g u b e r n a r c m u n d u m , H o m i l . , I. cap. 2 (in M I G N E , P a t r o l o g i a G r a e c a , XLIX pag. 256). 7) S. MAXIMI TAUR., S e r m o , 4 (in MiGNE, P . L . 1LVIII pag. 636, 8) A t t i A p o s t . II, 2-4.

78

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

t u s dabat e l o q u i i l l i s . Anche S. Cirillo Alessandrino ) insiste sopra una tale relazione, per la quale cos anche il fatto della diversit delle lingue assumeva un carattere religioso a maggior gloria dell' opera redentrice ed unificatrice di Cristo e de' suoi discepoli *). Col racconto biblico della confusione delle lingue, conseguenza della superbia degli uomini, andava per i Padri congiunta la questione della lingua primitiva. Quale cio dei linguaggi umani era stato il primo ad esser parlato dagli uomini ? o per meglio dire, quale era stato il linguaggio di Adamo ? Sulla credenza alla monogenesi delle lingue, non c' era dubbio ), tutto stava a vedere quale fra tutte le lingue si poteva dire 1' originaria, e la risposta era facile ; la lingua matrice era l'ebraica, cio quella delle Sante Scritture, ci dichiarato esplicitamente da S. Gerolamo ), da S. Giovanni Crisostomo ), ed anche
l 3 4 5

S. CIRYLLI A L E X A N D ,
G . LXXI pag. 378).

Comni.

i n Ioelem

prophet,

1. X X X V (in

M I G N E P.

2) Notiamo che i Padri, per meglio giustificare una tale relazione fra la dispersione delle lingue ed il potere miracoloso degli apostoli di parlare qualunque lingua, potevano far appello a parecchi passi delle scritture che di ci contenevano accenni (Cfr. Isaia, XXV1I1, II ; Amos, V i l i . 11, 12; Ezechiele 111, 26; Psal. CXVI1. 27; S. Paolo I Cor XIV, 22, 27, 31). 3) Per ci che riguarda tale argomento anche noi col D' Ovidio (op. cit. pag. 505) crediamo che Dante stesso abbia pensato che l'azione diversificante che ha sulla lingua il suo diffondersi nello spazio non venne in campo che dopo la confusione babelica.
4) S. GEROLAMO, Comm. in Sopii, cap. Ili (in in M I G N E P. Genesim L. XXV. P.

pag. 1384).
5) S. G. G I O V A N N I C R I S O S T O M O , Homilia XXX (MIGNE

LUI. pag.

287).

LA LINGUA PRIMITIVA

79

da S. Agostino ), per quanto il giudizio di questo non sia dato in forma decisiva. A tale opinione per se ne opposero nella tradizione patristica altre, quella, per esempio, di Teodoreto che sosteneva esser prima la siriaca ; Gregorio di Nissa, appoggiandosi su quanto si dice in un passo dei Salmi ), credeva che gli Ebrei abbiano cominciato a parlar V ebraico solo dopo V esodo dall' E g i t t o ) , finalmente altri credevano che la lingua principe fosse 1' aramaica ) . Efremo di Siria aveva dunque ragione fin da' suoi tempi di dire che solo di alcuni Padri era V opinione che la lingua matrice sia stata l'ebraica ) .
l 2 3 4 5

Il curioso si che le diverse risposte date al problema della U r s p r a c h e si appoggiavano tutte su ragioni etimologiche. Se per alcuni la lingua ebraica fu la prima, essa per non si chiamava originariamente, cos non essendoci bisogno, S. Agostino che parla ) , di un nome speciale, esistendo alle origini una lingua soia ; fatta la d i visione delle lingue, essa assunse quel suo nome da Eber, al tempo del quale si attu appunto il grande delitto della torre di Babele ; dopo di lui la lingua ebrea si tramand come qualchecosa di
6

1) S. A G O S T I N O , De 2) XLV, S.

civitate

Dei, Contro

XVI.

11. I, 12. ( M I G N E , P . G.

GREGORIO NISSENO, 997). LXXX, 6. Siriae,

Eunomium,

pag.

3) Salmi, 5) S. XVI, 11.

4) Cfr. G U R I E L , E l e m e n t o l i n g u a e c h a l d a i c a e , Roma 1850, pag. I e sgg.


E P H R E M I , App. I, 134.

G) S. A G O S T I N O , D e c i v i t a t e

D e i , X V l l l , 39; cfr. anche

Deciv.Dei

80

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

sacro, tanto vero, dice ancora S. Agostino, che Mose dovette nominare alcuni che spiegassero al popolo tutto ci che alla lingua ebraica apparteneva. Ora tutto ci negato da Teodoreto Siriaco, che, pieno P animo delle nobili tradizioni della sua patria, in cui fin dal tempo di Alessandro Magno era penetrato il soffio della speculazione greca, e da cui uscirono pi tardi le scintille prime, che illuminarono il sorgere della civilt araba ), dice invece che i nomi delle Sante Scritture, come quelle di Adamo, Cam, etc. sono di origine prettameute siriaca, perch siriaca era la lingua prima dei primi uomini : ed allora come si spiega P origine della lingua ebraica ? Cosi : essa non una lingua naturale, ma sibbene d o c t r i n a et a r t e c o m p a r a t a , non 'pcjr/^, ma o{ov.y.rf cio Dio don P uso di essa a Mose, che la ridusse come a lingua sacra per il codice delle leggi ; per questo che Mose, il grande legislatore, dovette istituire quelli che la sapessero spiegare, ed a questo che si riferiscono le parole del salmista : t i n g i t a n i q u a m n o n n o v e r a i , a u d i v i t . Ed il nome di ebraica ? Anch' esso di origine siriaca, giacch non deriva gi da Eber, ma sibbene dal fatto che Abramo u scendo dalla regione dei Caldei per andare in Palestina attravers il fiume Eufrate, ora ebra in lingua siriaca vuol dire appunto colui che passa il fiume, di qui il nome di ebraico ).
l

1) Cfr. CARRA D E V A U X , A v i c e n n e , Paris 1990, pag. 49.


2) Cfr. T E O D O R E T I , Qnaest in Gen. LX1 ( M I G N E , P. G. L X X X , pag.

166 e sgg.). Notiamo che l'interpretazione data da Teodoreto del nome

LA LINGUA PRIMITIVA

81

evidente che causa prima di tali divergenze ed anche spiegazione di tali soluzioni cos sempliciste del problema delle origini si deve rintracciare nel fatto che gli argomenti, su cui esse si appoggiavano, non potevano provar nulla, giacch i nomi, neir etimologie dei quali si cercavano, ed al principio del secolo XVII il Pererio ancora tale appoggio cercava gli appoggi per questa o queir ipotesi, trovano il valore storico non tanto nel suono con cui sono espressi, quanto nel significato che hanno ; quello infatti senza dubbio qualche cosa di posteriore rispetto a questo, che certamente qualchecosa di originario, come sarebbe del nome greco di P i e t r o , rispetto all' aramaico Kph, cosi che sarebbe ingenuo parlar del Greco, come lingua originale, perch nella traduzione greca nella Santa Scrittura vi quel nome ) .
2

Del resto a proposito di quanto sopra, ricordiamo che la Patristica si mostr informata a cri-

bramo perfettamente diversa da quella di S. Pietro Crisologo ( S e r m o CLIV in M I G N E , P. G . LII, pag. 608). L'etimologizzare era del resto uso comune nella Patristica, come lo era stato nella filosofia greca. E timologie strane, n pi n meno di quello che erano state quelle di Platone nel C r a t i l o , di Varrone e di Cicerone, si trovano, per esempio, in S. Agostino ( I o v i s da J e h o v a , M e r c u r i u s da m e d i u s currens, Pros e r p i n a da p r o s e r p e n d o etc. cfr. D e C i v . D e i VII. 14, VII. 20 etc), nello pseudo S. Ambrogio nei commenti all' epistola di S. Paolo (MiGNE, P. L . XVII, pag. 49), nel gi citato Pietro Crisologo (MiGNE, P. L . L l l pag. 608 e sgg.) etc. 1) B . P E R E R I I , C o m m e n t . i n G e n e s i m , Venetiis 1607, Tomo 1, Lib. pag. 203. 2) Cfr. F . D E L I T Z S C H , T h e H e b r e w L a n g u a g e v i e w e d i n t h e l i g h t o f A s s y r i a n R e s e a r c h , London 1883, pag. 58. IV,

82

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

teri ben pi serii di quello che lo furono scrittori posteriori ad essa, di S. Filastro, per esempio, il quale espose 1' opinione che, anche prima della confusione delle lingue, gli uomini parlavano parecchi linguaggi, coir abilit per di capirli tutti, perch erat o m n i b u s l i n g u a et i d e m sermo, n o n q u i d e m eor u m d e m v o c a b u l o r u m u s u s , sed eadem h o m i n u m l o q u e n t i u m et a u d i e n t i u m i n t e l l i g e n t i a ). D ' altra parte il Vico, parla di Giovanni ed Olao Magno che credevano lingua matrice la Gotica, e di Giovanni G o ropio Beccano, che tale vanto concedeva alla favella cimbrica ) ; il Giesswein ci ricorda Andrea Kempe, il quale pieno di seriet opinava che Dio neir Eden aveva parlato Svedese, Adamo il Danese, ed il serpente il Francese ) , ed il De Rosny ) rammenta il Nae che credeva come lingua matrice quella della P o l i nesia, il Webb la Chinese, e F Horwarth la Magiara, stranezze queste che ricordano quelle consimili degli - antichi Egiziani, contro cui inveisce S. Agostino ), e quelle dei Greci, contro i quali sta F invettiva di Taziano ).
1 2 3 4 5 6

Per quanto la Patristica abbia nel modo che abbiamo visto risolto il problema della Ursprache,

1) S . PHILASTRI, D e h a e r e s i b u s , Amburgo 1721, cap. 106, pag. 102. Cfr. anche C A L M E T , D e l i n g u a p r i m i t i v a e t l i n g u a r u m c o n f u s i o n e m d i s s e r t a n o , in M I G N E , C u r s u s S c r i p t . S a c r a e , V . 833.
2) G I A M B A T T I S T A V I C O , op. cit. pag. 258.

3) GIESSWEIN, D i e H a u p t p r o b l e m e der S p r a c h w i s s e n s c h a f t , Freiburg in Breisgau, 1892, pag. 214. Cfr. anche D ' OVIDIO, op. cit., pag. 507. 4) LEON D E R O S N Y , D e V o r i g i n e du l a n g a g e , Paris 1879, pag. 22. 5) S. AGOSTINO, D e C i v i t D e i , X V I I I , 39. 40. 6) TATIANI, O r a t i o a d v . G r a e c o s . Cap. I, in MiGNE P. G . VII, pag. 806.

E L ' ORIGINE D E L DISCORSO U M A N O

83

o lingua matrice, chiaro che restava pur sempre aperto V altra questione pur d' ordine storico : donde mai sia derivato a l l ' uomo la possibilit del parlare, se cio il linguaggio opera naturale dell' uomo, o se piuttosto esso un dono della natura divina. Era in altri termini dal lato formale il medesimo problema, che aveva tormentato anche l'anima ellenica ; diciamo dal lato formale, perch, sotto 1' aspetto della contenenza, di un elemento nuovo la Patristica si sentiva in obbligo di tener conto, dell' elemento cio scritturale. Prima di tutto i Padri, specialmente greci, si trovavano di fronte a quanto in proposito la speculazione greca gi aveva escogitato. Origene infatti, dopo aver colle parole : paftc % a l zpf/irjTos r.sr sascoc v&'jxuov, anticipato in certo qual modo quanto molti secoli dopo dir il Du-BoisReymond, essere cio la questione del linguaggio uno dei sette enigmi del genere umano, viene a d i scorrere della teoria aristotelica che i nomi sono imposti ex insttuto (a^p^). di quella degli Stoici che i nomi invece sieno per natura, p t i m i s v o c i b u s res psas, q u i b u s s u n t n o m i n a , i m i t a n t i b u s , e, degli Epicurei, secondo cui i nomi sono per natura nel senso che p r i m i homines quasdam voces de rebus i p s i s temere e j e c t a r u n t ) . Come si vede anche in O rigene si attu quella parzialit nel giudicare delle teorie di Epicuro, tentando anch' egli di far passare
A

1)

ORIGENE,

Adv.

Celsum

Lib.

1,

cap.

24.

( M I G N E P.

G. Voi.

II

pag.

242).

84

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

1' antico filosofo come un semplice sostenitore dell' origine naturale del linguaggio, e dimenticando cosi tutta la seconda parte della dottrina di lui, gi da noi considerata, parzialit che gi abbiamo visto in Diogene d' Enoanda ed in Proclo. A voler esser giusti, dovremmo anzi dire che anche la prima parte della teorica epicurea sulP origine naturale del linguaggio, determinata dal bisogno d' ordine fisiologico e psicologico, si trova nella Patristica molto meglio riprodotta in Eusebio-di Cesarea ), laddove riportando ed allargando un passo di Diodoro di Sicilia ) e forse avendo sott' occhio anche un altro passo analogo di Vitruvio ), oltre che i gi citati di Lucrezio, viene efficacemente a descrivere lo stato fermo degli uomini primitivi con queste parole : c u m q u e vocem itti c o n f u s e m i p r i m u m et ab o m n i sig n i f i c a t i o n e v a c u a m effunderent, singulis paulatim v o c i b u s a r t i c u l a t a p r o f e r e n d i s , s i g n i s q u e r e r u m quae o c c u r r e b a n t I n t e r sese c o n s t i t u t i s , n o t a m e o r u m s i b i o m n i u m e x p l i c a t i o n e m i n t e r p r e t a t i o n e m fecisse. Jam vero quod coetus e i u s m o d i t o t i passim orbe conflar e n t u r s i n g u l i q u e voces p r o u t c u i q u e temere ac f o r t u i t o v i s u m erat c o m p o n e r e n t , n o n eandem ideino loquendi rationem cum universis communem fuisse. A t q u e h u n c formae linguarum multiplices, primaeque i l l a e h o m i n u m societates o m n i u m parentes et c a p i t a gentium extiterunt.
1 2 3

1) E U S E B I I C A E S , Praep.

Evang.

Lib

I, cap.

VII. (MIGNE P . G . X X I

pag. 54). 2) D I O D . S i c , B i b l i o t . , h i s t . I, 8.
3) V I T R U V I O , De Architect., II, 1.

L ' ORIGINE D E L DISCORSO U M A N O

85

Del Cratilo platonico gi abbiamo visto accenno nell' opera di Clemente Alessandrino, di esso qualche secolo dopo parl ancora S. Teodoreto vescovo di Ciro, che di quello riporta ed approva alcune etimologie ), d' altra parte gi si ricordato ) come nella grammatica medievale sia rimasto il concetto dell' esilit dell' /, concetto che eminentemente platonico, come si visto a suo lungo parlando appunto del C r a t i l o , trov nell' et di mezzo la sua espressione pi efficace in Isidoro di S i v i g l i a ) ; possiamo dire per che un' esposizione chiara della teoria platoni&i del linguaggio nella Patristica non fu fatta, anche per la difficolt enorme di trovare un filo conduttore in mezzo alle apparenti e reali contraddizioni di quel dialogo di Platone. Chiara invece appare in Origene 1' opinione di Celso, sul linguaggio solo che quegli, forse per ragione di polemica, pone questo tra gli aborriti E p i curei, ) mentre in realt Celso fu uno di quei platonici eclettici o pitagorici che portarono in avanti gli insegnameati dell' Academia per un giro di tempo ben maggiore di quello che non abbia creduto Seneca ) . Celso adunque, secondo Origene, credeva, ed in questo si mostrava piuttosto aristotelico che platonico, n i l r e f e r r e I u p i t e r dicas art
1 2 3 4 5

1)

pag.

863

2) 3) 4) 5)

THEODORETI EPIS., G r a c c . ajfect. Cap. III. (MIGNE P. e 875). Cfr. del nostro lavoro. Cap. I. pag. 19. ISIDORO, O r i g . , I, 4. 17. Cfr. A. ED. CHAIGNET, op. cit. Tomo III, Paris 1890, SENECA, Nat. q u a e s t . , VII. 32.

G . LXXXIII,

pag. 191.

86

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Diespter a n A d o n a e u s , a n Sabaot, an Animus, an Pappaeus, appunto perch poco importa il suono dei vocaboli, solo interesssando il significato dei ' medesimi Alla presenza di tali dottrine degli antichi sull' o rigine e sulla natura del linguaggio come si comportata la Patristica ? e caso mai che cosa ha essa alle medesime contrapposto ? Possiamo anzitutto affermare che in genere la Patristica fu contraria all' arbitrio ammesso nell' uomo da Aristotele per la posizione dei nomi, venendo in proposito ad opinione ben d i versa da quanto in merito a tale questione ammetteva, come vedremo la Scolastica. La Patristica, in altri termini, fu piuttosto per la spiegazione platonico-stoica che non per quella dello Stagirita, per cui invece, e le ragioni le vedremo pi avanti, si dichiar in genere la Scolastica. -) Le parole di Origine in proposito sono recise ; E t n u n c i d e m r e p e t i m u s n o m i n u m n a t u r a m n o n esse ad h o m i n u m p l a c i t u m , u t v i s u m est Aristoteli. Tale predilezione della Patristica per 1' indirizzo platonico, che i nomi corrispondono veramente alla natura delle cose, si comprende benissimo, oltre per il rifiorire del Neoplatonismo in quel giro di tempo anche per il fatto che tale indirizzo meglio si accordava con un punto comune di tutta la Patristica stessa che cio anche il linguaggio, come tutto il resto,
1) O R I G E N E , C o n t r a C e l s u m , Lib. V . 2) Avremo occasione a suo tempo di discorrere dell' opinione di Dante in proposito, il quale in un passo della Vita nova (cap. XIII) mostra di accettare la dottrina : n o m i n u m s u n t c o n s e q u e n t i a rerum.

E L ' I N T E R V E N T O DIVINO NELL'ORIGINI

87

viene da D i o . Gi in proposito Origene, rispondendo a Celso, e con lui agli altri epicurei, parla di un o c c u l t a quaedam t h e o l o g i a quae universittis o p i f i c i c o n g r u a t , qua p r o p t e r n o m i n a s u n t efficacia ; questa per una concessione alle antiche superstizioni del Paganesimo, perch quella t h e o l o g i a , di cui parla il grande scolaro di Clemente di Alessandria, riguarda non solo le sacre parole della religione nuova, ma sibbene anche quelle di altre religioni, che usate secondo le superstizioni antiche producevano, per il fatto appunto di essere quel che erano, cose mirabili. Pi esplicito, o per meglio dire, pi cristiano Eusebio di Cesarea, che a commento di quelle parole che, poco sopra citate, erano state tolte, come si disse, da Diodoro in Sicilia, lamenta appunto che in luogo di Dio si sia voluto in esse parlare di una f o r t u i t a quaedam ac sponte oblato huius universi disposino, .il che egli ripete anche pi avanti nell' opera sua D e p r a e p a r a t i o n e E v a n g e l i i ) . Contemporaneamente S. Basilio 1' origine divina del linguaggio chiaramente afferma ) e dopo lui S. Gerolamo "), S. Agostino ) , S. Giovanni Crisostomo ), e molti altri, i quali interpretando in modo letterale il racl
2 4 5

1) E U S E B I O C A E S A R , De

prepar.

Evang.,

Lib.

II,

3.

2) S. BASILIO, H o m i l i a III i n D e u t . X V . 9 ( M I G N E P. G . XXXI, pag. 198 3) S. G E R O L A M O , C o m m . i n l e r e m i a m , Lib. IV, cap. X X ( M I G N E P. G . X X V pag. 839).
4) S. A G O S T I N O , De civitate Dei, VII 25.

5) S. GIOVANNI
Hom., I cap.

CRISOSTOMO,

Doemones
24G).

non gubernare

mundum

2. ( M I G N E P.

G . XLIX pag.

88

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

conto biblico dell' imposizione dei nomi da parte di Adamo a tutte le specie di animali, hanno veduto in ci P opera evidente di Dio ). Vero, si che i l gi citato S. Basilio in un suo discorso ) chiama il linguaggio m u n a s n a t u r a l e , la quale espressione si pu benissimo spiegare pensando non solo alle parole sulla naturalit del linguaggio che S. Basilio gi poteva leggere in S. Clemente in rapporto appunto alle teorie degli antichi filosofi in proposito, ma probabilmente anche a quanto nei tempi antichi aveva narrato Erodoto, accogliendo nelle sue storie ) P episodio del re egiziano Psammetico, i l quale volendo sapere quale fosse l a prima parola, che naturalmente poteva uscire dalla bocca di un bambino, per poter decidere quale fosse la nazione matrice, seppe che un bambino, mandato in una solitudine con una nutrice muta, pronunci per'prima la parola Bxxoc, che in linguaggio frigio vuol * dir pane ). Abbiamo detto che molto probabil.mente la conoscenza di questo aneddoto pu aver determinato il grande Basilio, eruditissimo luminare della Cappadocia, a credere naturale il dono del linguaggio, e tale probabilit la deduciamo per analogia del fatto che P aneddoto suggestivo di Ero1 2 3 4

1) Cfr. B . PERERIO, op. cit. Tomo I, Lib. V, pag. 202. 2) S. BASILIO, Sermo I I D e D o c t r i n a e t a d m o n i t i o n e (MIGNE P. G. XXX11 pag. 1134). 3) ERODOTO. H i s t o r i a e II, 2. Di casi p r e s s o c h simili avvenuti in tempi moderni discorre a lungo lo Steinthal (STEINTHAL, U r s p r u n g der S p r a c h e , Berlino 1 8 8 8 pag. 277-281). 4) Sul valore di tale e consimili esperimentf cfr. D'OVIDIO, op. cit. pag, 4 9 1 e sgg.

L'IPOTESI

TRADIZIONALISTICA

89

doto ci tramandato anche da Tertulliano il quale pure, volendo poi spiegare 1'origine del linguaggio, fa derivare questo, secondo il suo grande principio : m a g i s t r a n a t u r a , a n i m a d i s c i p u l a , dalla natura stessa *) Comunque per sia di ci, non si deve credere che le espressioni e di Basilio e di Tertulliano sieno in contraddizione all' opinione comune dell' intervento divino nell' origine del linguaggio, Tertulliano stesso ci toglie qualsiasi dubbio su ci, quando nel passo stesso citato chiama Dio m a g i s t e r i p s i u s n a t u r a e ; se questa adunque ha operato immediatamente nella formazione del discorso umano, in modo mediato 1' origine di questo si deve per sempre attribuire a Dio. Ora tutta la questione sta a vedere come i P a dri potevano o sapevano spiegare tale intervento di Dio nella produzione della favella dell' uomo. 11 Renan ha affermato che l'ipotesi tradizionalistica, per cui il linguaggio sarebbe stato infuso da D i o , sicch 1' uomo da questo avrebbe insieme ricevuto e riceverebbe ed essenza e parola, tradizionale nella teologia cristiana ) ; orbene, per ci che riguarda il periodo patristico, dobbiamo assolutamente negare che ci sia, che anzi durante un tale periodo abbiamo argomenti per dire come una tale ipotesi sia anzi stata solennemente oppugnata.
3

Gi S. Agostino afferma che l'imposizione dei

1)

TERTULLIANO,

Ad De

nationes, testimonio

Lib.

1 cap.

8 ( M I G N E P. cap. V

L, Voi P.

I,

pag. 284.
2) T E R T U L L I A N O , animae, (MIGNE L . I,

pag. 689). 3) R E N A N , O r i g i n e du L a n g a g e ,

Paris 1858, pag. 8.

90

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

nomi opera della ragione umana, e lo afferma in modo esplicito, ecco infatti le sue parole *) : I l l u d quod in nobis est r a t i o n a l e , i d est qaod r a t i o n e u t i t u r et r a t i o n a b i l i a vel f a c i t vel s e q u i t u r , q u i a n a t u r a l i quodam v i n c u l o i n e o r u m societate astringebatur, c u m q u i b u s UH erat r a t i o ipsa c o m m u n i s , nec n o m i n i homo f i r m i s s i m e s o c i a r i posset, nisi colloquerentur atque i t a s i b i mentes suas c o g i t a t i o n e s q u e quasi refund e r e n t , v i d i t esse i m p o n e n d o rebus v o c a b u l a , i d est s i g n i f i c a n t e s quosdam sonos : u t q u o n i a m s e n t i r e a n i mos saos n o n p o t e r a n t , ad eos s i b i copulandos sensu quasi interprete uterentur.
t

Nel grave dibattito per avvenuto nel IV secolo tra Gregorio di Nissa ed Eunomio si rileva meglio F opposizione a qualsiasi tendenza tradizionalistica in proposito. Eunomio ebbe, com' noto, una grande importanza nella storia del pensiero religioso cristiano, perch egli fu grande fautore dell' omoioousia cio delle sola somiglianza tra il Figlio ed il Padre, contro la dottrina dell' omoousia, cio parit di natura tra quello e questo, sostenuta con tanto calore dai Padri dell' ortodossia. Per ci che riguarda il nostro argomento noi possiamo dire essere stato Eunomio un seguace quasi fedele di Filone F ebreo, dal misticismo del quale molto probabile abbia direttamente attinto le proprie opinioni sul linguaggio, data F influenza storicamente provata di Filone sullo svolgimento del pensiero ulteriore, e special0 S. A G O S T I N O , De ord. Il cap. 12.

NELLE

DOTTRINE

DI

EUNOMIO

91

mente sul misticismo neoplatonico nel secolo IV, l ' e t appunto di Eunomio, pienamente in f i o r e / D ' altra parte egli pu essere considerato come un lontano antecessore della teoria tradizionalistica, che affermatasi gi in alcuni teologi dopo il Rinascimento *), trov la sua pi completa espressione nel De-Bonald del quale sono le parole : // est ncessaire que V homme pense sa parole a v a n t de p a r l e r sa pense ), appunto perch il a f a l l i i que le crat e u r donnt a V homme et V i n s t r u m e n t de l a parole et l a manire de V employer et de s'en s e r v i r ) .
2 3

Opinione pressoch simile era fin dal secolo IV manifestata da Eunomio, il quale pure era favorevole ad una soluzione ultra naturale del problema delle origini del linguaggio : i nomi, egli diceva, sono come I' essenza delle cose, quindi dipendono anch' essi direttamente da Dio ) . L a tesi contraria di S. Gregorio era cos da lui stessa riassunta : Nos asserimus n o m i n a ad res declarandas et s i g n i f i candar h u m a n a s o l l e r t i a i n v e n t a esse ), a cui perfettamente corrispondono quest' altre : i n v e n t i o verb o r u m s i n g u l o r u m ad r e r u m s i g n i f i c a n o n e m a nobis
4 5

0 Cfr. STEINTHAL, U r s p r u n g der S p r a c h e , Berlin 1888, 4 Aufl. pag. 45. 2) D E BONALD, Lgislatiom p r i m i t i v e , Paris 1803, parte I, pag. 54. 3) DE BONALD, G r a m m a i r e g e n e r a l e , Paris 1799, parte II, pag. 117. 4) GREGORIO NISSENO, C o n t r a E a n o t n i u m , Lib. XII. (MIGNE P. G . X L V , pag. 906). 5) GREGORIO NISSENO, C o n t r a E u n o m i u m , Lib. XII. (MIGNE P. G . X L V , Pag. 963) 6) GREGORIO NISSENO, C o n t r a E u n o m i u m , Lib. XII. (MIGNE P. G . X L V , pag. 990)

92

LA

FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

ipsis excogitata est ). G l i argomenti portati in campo dal santo per ribattere la tesi dell' avversario a vantaggio della propria, sono di due ordini, e cio naturali e teologici ; i naturali sono tratti dalla costituzione dell' uomo : in fondo la spiegazione ultrarazionale di Eunomio che il linguaggio sia stato infuso da Dio nell' uomo, spinta a suoi estremi limiti, portava alla conseguenza che i nomi potevano essere preesistenti a l l ' uomo *), ora il santo aveva buon gioco nel rispondere che per la pronunzia delle parole ci vogliono organi e che perci : p r o p r i u m est corporeae n a t u r a e per verba c o r d i s et a n i m i sensus e n u n t i a r e ? ) , tanto vero soggiunger pi tardi Teodoreto ), che in cielo non esister pi linguaggio, come concepito ed attuato da noi. Gli argomenti d ' ordine teologico erano escogitati in contrapposizione a quanto affermava Eunomio sul discorso attribuito dalle Scritture a Dio : se questi ha parlato, concludeva egli, vuol dire che la parola qualche cosa che appartiene a D i o , e di cui questi p u disporre a vantaggio di altre creature ), al che S. Gregorio risponde che le parole di D i o non sono che d i v i n a e v o l i m t a t i s i n d i c a t i o nes, a l i t e r atque a l i t e r r a t i o n e e o r u m q u i g r a t i a e f i &
3 4

1) G R E G O R I O N I S S E N O , XLV, XLV, pag. 966). 2) G R E G O R I O , N I S S E N O , pag 979). 3) T H E O D O R E T I , Interp. LXXXII, pag. 335). 4) XLV.

Contra Contra Epist.I

Eunomium, Eunomium, ad Corinth. Eunomium,

L i b . XII. ( M I G N E P . G . Lib. XII. ( M I G N E P . G . cap. XIV. ( M I G N E , P . G . Lib. XII. ( M I G N E , P . G .

G R E G O R I O N I S S E N O , Contra pag. 998).

LA

CONTESA

FRA

EUNOMIO

GREGORIO

93

i i n t p a r t i c i p e s , s a n c t o r u m p u r o et r a t i o n e s t e n e n t i p r i n c i p a t u m i n t e l l e c t u i illucescentes. Se adunque Mose ha parlato del linguaggio di Dio, lo ha fatto non in rapporto a reali discorsi di lui, che in modo ben diverso avr manifestato i suoi divini voleri, ma sibbene p r o p t e r p u e r i l e m i m b e c i l l i t a t e m e o r u m q u i ad D e i c o g n i t i o n e m a d d u c e b a n t u r . D ' altra parte dove mai Mose dice che Dio diede il codice completo del linguaggio umano *) ? Si deve dunque ritenere, concludeva il santo scrittore, che Dio non infuse gi il linguaggio beli' e fatto in noi, ma sibbene fece 1' uomo come capace di ogni scienza cos capace anche di discorso ) .
2

Parr a prima vista che questa soluzione data al problema delle origini del linguaggio da Gregorio di Nissa sia in opposizione a quanto si affermava poc' anzi sull' interpretazione piuttosto platonica che aristotelica data dalla Patristica in genere della natura dei vocaboli, ora ci non in realt, giacche se pur vero che Gregorio ammetteva il linguaggio come opera ed invenzione logicae humanae facult a t i s ) , nel che egli sembrerebbe un seguace della spiegazione di Aristotele sul linguaggio posto ad p l a c i t u m h o m i n i s , aggiunge per tosto queste parole : res a u t e m s e c u n d u m n a t u r a m et v i m c u i q u e i n d i t a m
3

1) G R E G O R I O N I S S E N O ,

Contra Contra Contra

Eunomium, Eunomium, Eunomium,

cap. cap. cap.

XII ( M I G N E P . XII ( M I G N E P . XII ( M I G N E P .

G. G. G.

X L V pag. 1002).
2) G R E G O R I O XLV 3) XLV NISSENO,

pag. pag.

990). 994).

GREGORIO NISSENO,

94

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

s i g n i f i c a t i v e voce a l i q u a n o m i n a n t u r , eolle quali parole evidente che anche Gregorio di Nissa, nel dare ragione della parola, segue l'indirizzo di Platone, seguito poi in eerto qual modo dagli Stoici ed anche da Epicuro, che le parole sono veramente per natura, perch vi un nesso reale tra suono, con cui esse si esprimono, e la cosa, che da esse vien nominata.

CAPITOLO

IV.

La

filosofia del linguaggio in rapporto alla psicologia patristica.

S O M M A R I O : La questione del linguaggio ne' suoi rapporti psicologici. 1 1 linguaggio dell'uomo e la manifestazione dei sentimenti nei bruti. Elementi fisiologici nella produzione dei suoni. Elementi psicologici del linguaggio e loro rapporto colle facolt dell' anima. 11 sermo i n t e r i o r secondo la Patristica. Rapporti tra linguaggio interno ed esterno, e rapporti tra pensiero e parola. La questione del linguaggio ne' suoi rapporti morali.

Quanto nel capitolo precedente si detto tutto quanto la Patristica ha saputo o potuto escogitare intorno alla questione del linguaggio considerata nel suo aspetto storico ; vediamo ora che cosa essa ha saputo o potuto dire intorno al medesimo argomento considerato ne' suoi riguardi psicologici, cio nei suoi rapporti col pensiero : siamo qui in un campo che pi direttamente tocca la cos detta filosofia del linguaggio, riguardando questa sopra tutto le relazioni del linguaggio col problema in genere della conoscenza. Abbiamo visto a suo luogo come il C r a t i l o di Platone si debba interpretare come una preparazione alle teorie delle idee ; essendosi, infatti in esso mostrato che dalle parole non si pu cono-

96

LA FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

scere la natura delle cose, vi si veniva esplicitamente ad accennare ad un altro criterio "di conoscenza, alla teoria cio delle idee. evidente che, cos interpretato, il C r a t i l o risolveva una questione che rimaneva pregiudiziale anche per quegli scrittori della Patristica, che ammettevano la teoria delle idee e con essa 1' altra teoria della reminiscenza come spiegazione delle origini delle idee stesse, e della conoscenza che noi possiamo avere di esse. Intendiamo soprattutto parlare di S. Agostino, il quale, come noto, dapprima si era appunto risolutamente pronunciato in favore della reminiscenza platonica vero che pi tardi egli ritratt tale sua ideologia ) , il che fece per respingere la teoria platonica della preesistenza delle anime, restando per sempre persuaso dell' innatismo delle idee, spiegando questo o per P intervento successivo di D i o , a misura che la nostra intelligenza si svolge, o per un' azione unica del medesimo, che al momento dell' unione dell ' anima col nostro corpo avrebbe deposto in quella un tesoro latente di sapere Sotto un tale punto di vista, cio direttamente dal problema fondamentale dell' origine delle idee, ben avrebbe potuto la questione del linguaggio, considerata sempre ne' suoi riflessi psicologici, essere attaccata nel suo punto sostanziale, invece cos non fu : la Patristica infatti per essere coerente
2

1) S. AGOSTINO, D e q u a n t i t a t e a n i m a e , 20. Cfr. D e T r i n i t a t e , XII, 15. 2) S. AGOSTINO, R e t r a c t . , 1, 8. 3) Cfr. F . M A R T I N , S a i n t A u g u s t i n , (Les g r a n d s p h i l o s o p h e s ) , Paris 1901, pag. 5.

ED I SEGNI NEGLI ANIMALI

97

alle ragioni della sua esistenza, di cui gi si d i scorso un po' addietro, anche la questione del linguaggio affront in modo accidentale e saltuario, man mano la foga della discussione e soprattutto 1' entusiasmo della fede offriva il destro. Anche qui 1' impulso primo a trovare quel filo, che possa unire le frammentarie speculazioni dei Padri sull'argomento che c'interessa, ci offerto, come gi per la parte storica di esso, da S. Clemente di Alessandria. Egli infatti nel passo gi c i tato in altro luogo parla di S'.ay.toi Xvwv Ccpv, del che fa accenno in un passo, riportato da Origene *), anche Celso, il quale al sistema di segni, ricordati da S. Clemente, in uso tra gli elefanti, scorpioni ed alcuni pesci aggiunge i colloqui degli uccelli. Una manifestazione adunque di ci che si attua dentro possibile anche negli animali, solo nell' uomo per essa, associandosi alla riflessione pu assurgere all' importanza di discorso, cosicch la differenza tra questo e quella la stessa che S. Agostino con molta precisione dimostra esistere tra il modo di conoscenza degli uni ed il modo di conoscenza degli altri. ). Ci chiaramente affermato" da S. Basilio, il quale mette benissimo in confronto 1' elemento, diremo cos, fisiologico del linguaggio col di lui elemento psicologico. Quello non asso . Ultamente necessario al linguaggio, tanto vero
2

1) O R I G E N E ,

2) Cfr. S. AGOSTINO, De civitate

Contra

Celsum,

IV.

( M I G N E , P . G. XI,

pag.

222).

D e i , XI, 27.

98

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

che si constaremus a n i m a n u d a s t a t i m certe cogitat i o n u m ope i n t e r nos c o n g r e d e r e m u r , ) colle quali parole sono in rapporto quelle altre di Origene, con cui si afferma, come gi aveva fatto Aristotele, che si possono talvolta proferire suoni senza che abbiano significato alcuno, mentre anche possibile discorrere i n t r a nos ipsos, senza pronunziare parola alcuna ), il passo gi citato di Teodoreto, in cui si sostiene che in paradiso i linguaggi si renderanno perfettamente inutili, e le parole di S. Agostino, in cui si spiega il modo col quale possa parlare Iddio non gi per corpus et i n t e r p o s i t o c o r p o r a l i u m l o c o r u m i n t e r v a l l o , sed ipsa v e n t a t e , si q u i s idoneus s i t ad a u d i e n d u m mente non corporea. Finch per si su questa terra, dove 1' uomo rimane sempre un composto di anima e di c o r p o ) , anche 1' elemento fisiologico ha la sua importanza, che la Patristica riconobbe con Nemesio, per e sempio, il quale nel suo trattato di Psicologia D e n a t u r a h o m i n i s , parla appunto degli i n s t r u m e n t a v o cis, fra cui egli cita et m u s c u l i q u i i n t u s s u n t in m e d i i s l a t e r i b u s et t h o r a x , et p u l m o , et aspera art e r i a , et l a r y n x , et h o r u m m a x i m a quod cartagilon o s u m est, et n e r v i r e c u r r e n t e s , et l i n g u l a , et os, et
1
2 4

1) S. BASILIO, H o m i l i a i n D e u t . X V , 9. ( M I G N E , P . G . XXXI, pag. 198). Opinione p r e s s o c h di simile gi abbiamo visto in Aristotele, e vedremo pi tardi nella Scolastica.
2) ORIGENE, Comment. in civitate Ioannem, Dei, XI, l, 2. 26 (MIGNE, P. G. XIV,

pag.

170).
3) S. A G O S T I N O , De

4) Cfr. S. A G O S T I N O , D e c i v i t a t e D e i , X l l l , 24.

NEI

RIGUARDI FISIOLOGICI

99

omnes m u s e a l i q u i has partes m o v e n t *), con Gregorio Nisseno, che in un commentario all' Ecclesiaste descrive il lavoro fisiologico che senza fatica, in effetto dell' abitudine, compie la lingua per pronunciare le parole ) , con Lattanzio ) che nel D e o p i f i c i o D e i mette in evidenza gli atteggiamenti degli organi vocali, con S. Ambrogio ) che nelP H e x a e m e r o n , loda in modo nobilissimo la precisione degli organi diversi del petto e della bocca nella formulazione dei suoni diversi, con S. A g o stino ), e con altri, i quali tutti s'indugiano nella descrizione anche degli elementi fisiologici del linguaggio per spremere nel loro inalterabile e fecondo ottimismo un argomento di lode per 1' opera magnifica del Creatore Anzi questa colorazione religisa che distingue profondamente 1' ottimismo dei citati autori della Patristica dal teleogismo delle fonti, donde essi attinsero quei rilievi di ordine fisiologico, fonti che noi possiamo facilmente rintracciare nel Timeo di Platone, dove questi, insegna esser la voce una certa pulsazione dell' aria
2 :$ 4 5

0 NEMESH, D e n a t u r a h o m i n i s , cap. 14. (MIGNE, P. G . X L , pag. 6C7). 2) GREGORIO, NISSENO, I n E c c l e s . H o m . I. (MIGNE, P. G . XLIV, pag. 630). 3) FIRM. LATTANZIO, D e o p i f i c i o D e i , cap. 15. (MlGNE, P. L . VII, pag. 620. 4) S. AMBROGIO H e x a e m e r o n , lib. VI, cap. 9. (MIGNE, P. L . XIV, pag. 269. 5) S. AGOSTINO, C o n f e s s i o n i , I, V i l i . 6) Bisognerebbe leggere in proposito per convincersene quanto hanno scritto Lattanzio e S. Ambrogio nei passi citati 7) Questo elemento fisico dell' aria indicato da Platone, e fissato

100

LA FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

arrivante al cervello ed al sangue per mezzo delle orecchie, nel D e Generatone a n i m a l i u m , nel Depart i b u s animalium e nelia H i s i o r i a animalium, di Aristotele in Plutarco ~), in Gellio ), in Galeno ) , il quale forse ebbe influenza anche per la differenza stabilita tra voce sYYpjx'iaroc; o 5tXs%TO, propria degli uomini, e la voce ?j:{[A\vymzq, che l'uomo ha comune con tutti gli animali aventi polmone : ambedue tali specie di voce si attuano, come gi insegnava Aristotele, mediante la respirazione, ed altri strumenti, tra cui prima la lingua che Galeno chiama KopuraTov opvavov, espressione queste che richiama il p r e t o s i s s i m u m vocis o r g a n i m i di S. Ambrogio ), le narici, le labbra e i denti, mentre della respirazione sono istrumenti la gola ed i polmoni.
3 4 5

Era naturale per che pur riconoscendo l'importanza del fattore fisiologico nella produzione dei suoni diversi, si volgesse maggiormente l'attenzione al fattore psicologico del linguaggio, cercando di inquadrar questo nell' economia generale delle fa-

poscia in modo definitivo da Aristotele, nei passi di cui si parler pi sotto, rest sempre come alcunch di indiscutibile e nella Patristica, e nella Scolastica. 1) Abbiamo gi avuto occasione di ricordare i passi di Aristotele dove si trovano i di lui rilievi fisiologici sul linguaggio (cfr. del nostro lavoro cap. Il, pag. 3 4 ) ; aggiungiamo qui 1' altro passo del D e G e n e r a t i o n e a n i m a l i u m , (V, 7) non meno importante degli altri. 2) PLUTARCO, D e P l a c i t i s p h i l o s . IV, 2, 19. 3) GELLIO, V. 15. 4) Cfr. FlRM. LATTANZIO, D e o p i f . D e i . cap. X V , nota. (MIGNE, P. L. VII, pag. 62 e sgg.). 5) S. AMBROGIO, H e x a e m e r o n , VI. 9 67 (MIGNE, P. L. XIV pag. 270)

NEI

RIGUARDI

PSICOLOGICI

101

colta umane. Gi abbiamo visto che la Patristica, a proposito della manifestazione dei segni negli animali, faceva distinzione tra questi e V uomo per la presenza in questo della riflessione : ci chiaramente indicato da S. Giovanni Crisostomo, il quale propostasi la domanda : Q u a re d i s t i n g u i t u r a b r u t i s homo ? risponde : n o n nos separai qnod pascmai a u t v i v i m u s , sed sermo, ob quem animai dicitur XOY'.KV, hoc est sermonis particeps ) .
i

Gi in S. Gregorio Nazianzeno troviamo ben distinte le diverse facolt umane ; opera della mens (vo?) o o c u l u s i n t e r n u s n o n c i r c w n s c r i p t u s il pensiero, e 1' espressione delle cose ; la ragione non altro che s p s o v a TCV VO? toTcco^Tow, cio i n v e s t i gano m e n t i s c o n c e p t u u m , q u a m proferes per vocis org a n a , i sensi ricevono invece le impressioni dall' esterno, mentre la memoria non che il conservarsi delle impressioni della mente ). 1 1 santo poi continua a parlar della volont, ma questo a noi poco importa, come del resto poco interesse avrebbe per il nostro argomento quanto di lui abbiamo ricordato, se in esso non ci fosse queir accenno alla r e r u m expressio, come la c o g i t a t i o prodotto immediato della mente, accenno che ci pu far nascere il sospetto che anche in S. Gregorio, come gi nello Stagirita, si possa trovare un altro tentativo di iso2

0 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, H o m i l i a , pag.


2) 122). 25

I V (MIGNE, P . G . L V I , lib.
I, XXXIV,

verso

S. GREGORIO NAZIANZENO, T h e o ! . C a r m i n u m , e sgg. (MIGNE, P . G . X X X V I I I , pag. 947).

102

LA

FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

lare la funzione linguistica dalla funzione logica propriamente detta, e di porla insieme alla funzione poetica ed estetica. Ben pi completo che non S. Gregorio di Nazianzo, poeta piuttosto che filosofo e teologo, , per ci che riguarda questioni psicologiche, Nemesio col trattato, gi da noi ricordato, D e N a t u r a h o m i n i s , che, opera eminentemente di vulgarizzazione, tanto credito ebbe per tutta P et di mezzo, come il primo manuale completo e sistematico di antropologia. A noi non tocca mettere in luce il sincretismo di quelP opera tra le idee psicologiche dell' antichit e le esigenze del dogma, n dimostrare come Nemesio si mostri neoplatonico per ci che riguarda le dottrine sulla natura dell' anima e sulP unione di questa col corpo, stoico per ci che riguarda il sistema delle passioni, epicureo per la dottrina del piacere, aristotelico per quella della volont, seguace di Galeno per tutto ci che riguarda le sue vedute d' ordine fisiologico ') ; a noi basta ricordare come Nemesio divida in due parti il suo trattato in relazione appunto ai due regni che si accordano nella psiche umana, la p h a n t a s i a cio e la c o g i t a t i o , quella la forza dell' animo in quanto priva di ragion, mentre la c o g i t a t i o e P uso della r a t i o , la quale trova il suo fondamento nella memoria. appunto parlando della ragione che Nemesio scrive :

1) Su tutto ci cfr. V. DOMANSKI, D i e P s y c h o l o g i e des N e m e s i u s ( i n B e i t r a g e z u r G e s c h i c h t e der P h i l . des Mttelalters, 1900, III, 1).

NEI

RIGUARDI PSICOLOGICI

103

E s t r a t i o a n i m i c o g i t a t i o , quae f i t i n par*e animae quae r a t i o c i n a t u r sine u l t a c l o c u t i o n e , m u t e saepe ei i a m tacentes t o t a n i r a t i o n e i n c u m a n i m i s n o s t r i s perc u r r i m u s et in s o m n i i s d i s p u t a m u s , et per hanc m a x i m e ( n o n e n i m aeque per o r a t i o n e m ) r a t t o r t e praed i t i esse omnes d i c i m u r , n a m et q u i s a r d i n a t i s u n t et q u i casa a u t morbo a l i a n o vocem a m i s e r u n t , n i hilominus ratione utuntur ). Orationis autem m u n u s in voce et in sermone p e r s p i c i t u r ) . Come si vede gi da questo passo Nemesio si mostra eccessivamente semplicista nel trattare la questine del linguaggio, giacch, tenendosi egli solo alla superficie evita di scrutare al profondo il problema fondamentale ; per lui infatti il linguaggio c' in quanto viene pronunciato, ora non affatto vero, perch il pronunciare o no le parole, con cui noi fissiamo i rapporti stabiliti coi nostri giudizii, cosa del tutto accidentale : il nucleo della questione sta in ben altro, e cio nel vedere se in noi possibile il pensiero senza la parola, se in noi cio possibile non dico la formazione, ma per lo meno il perdurare del concetto senza un termine, che lo fissi, lo irrigidisca, per cos dire, entro di noi a nostro vantaggio ed a vantaggio di tutti. questa una questione che sfuggita completamente alla considerazione di Nemesio ed in genere a quella di tutta la Patristica, mentre
1 2

0 Questo dei sordomuti uno di quegli argomenti, a cui quasi tutti gli autori della Patristica e pi tardi della Scolastica hanno fatto appello. (Cfr. A . GIESSWEIN, op. cit. pag. 1G1). 2) NEMESII, D e n a t u r a n o m i n i m i , cap. XIII. ( M I G N E , P. G . X L , P ag. CG2).

104

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

essa ha di tanto affaticato le menti dei pensatori dei tempi a noi pi vicini. Nemmeno S. Agostino, che fino alle radici del problema gnoseologico ha pur tentato di arrivare riducendo per via deduttiva il criterio supremo della certezza nei fatti di conoscenza alla sua teodicea, e precisamente alla dottrina della * r a t i o n e s seminales, mantenute poi in certo qual senso anche da S. Tommaso non ha visto la questione del nesso tra pensiero e parola, e nel trattare delle tre attivit, con cui 1' anima si manifesta, e cio la memoria, l'intelligenza, e la volont, delle quali a questa molto prima che non Duns Scoto nella Scolastica, ed il Wundt tra i moderni, egli dava la preponderanza, nessun addentellato diretto egli ha posto per cui esser trascinato a rivolgere in modo formale la luce del suo ingegno anche al problema del legame tra i palpiti della ragione e le loro manifestazioni nelle parole, per decidere ex professo se quelli possono stare senza di queste, se in altri termini queste sono alcunch di accidentale o di essenziale rispetto a quelli. Tutto ci per non esclude che qualche cosa in proposito non si possa trovare anche in S. A g o stino, e precisamente in quel passo di lui, da cui, secondo V interpretazione di S. Bonaventura, veniamo a sapere che per il vescovo di Ippona cogit a t i o n i h i l a l i u d est q u a m v e r b i f o r m a t t o colla
y

1) Sulla r a t i o n e s s e m i n a l e s ammessa da S. Tommaso nell' intelletto umano cfr. Q u a e s t i o n e s d i s p u t a t a e , D e v e r i t a t e , quaest. XI, D e m a g i s t r o , art. 1.

ED

IL S E R M O I N T E R I O R

105

conclusione evidente che c o g i t a t i o n i h i l a l i u d est q u a r t i i n t e r i o r l o c u t i o ) . In un altro passo del D e Trinitate, citato da S. Tommaso ), si trova la seguente espressione che pienamente concorda con quanto sopra : V e r b u m n i h i l a l i u d est q u a m c o g i t a tio f o r m a t a . Son questi trasparenti accenni alla teoria del sermo i n t e r i o r , corrispondente pressapoco al lavoro discorsivo che F intelletto nostro compie per passare da una verit generale a verit particolari attraverso a tutti i rapporti di convenienza che si possono stabilire tra quella e queste. S. Agostino, sempre al passo del X V libro del De Trinitate, citato da S. Tommaso, aggiunge che v e r b u m quod f o r i s sonat s i g n u m est v e r b i quod i n t u s l a t e i , c u i magis verbi c o m p e t i t n o m e n , n a m i l l u d quod p r o f e r t u r t r a n s i e n s , alias c a r n i s ore v o x v e r b i est v e r b u m , q u i a et i p s u m d i c i t u r p r o p t e r i l l u d a quo u t f o r i s apparet assump t u m est. Mettendo in relazione tutto ci coVi quanto sappiamo dell' innatismo agostiniano in rapporto ai principii generali, e pensando a quella l u x i n t e r i o r , di sapore evidentemente neoplatonico ), che S. Agostino ammetteva dentro di noi come rifrazione della potenza di D i o , che cos concorre alla conoscenza intellettuale ), possiamo conchiudere che il
! 2 3 4

1) Cfr. S. B O N A V E N T U R A , S e n t e n t . Lib. II, Art. III. quaest. 1. 2) S. T O M M A S O , D e v e n t a t e , in Q u a e s t . d i s p . quaest., IV, art. 1.


3) Cfr. P R A N T L , op. cit, Voi. I pag. 63G.

4) Son parecchi i passi di S. Agostino che alla l u x i n t e r i o r si possono riferire, cfr. S o t i l . I. 1, 8 ; D e T r i n i t a t e , XII, 1 5 ; D e M a g i s t r o , passini.

106

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

santo d'Ippona ammetteva come inseparabile la parola dal pensiero nel processo discorsivo della mente nostra, mentre forse cos non credeva che fosse per le cognizioni d' ordine eminentemente intuitivo. Era questo un argomento importante, che la Scolastica poi assunse per decidere la questione se in Dio ci possa essere linguaggio, argomento che oltre che in S. Agostino quella poteva rintracciare anche in S. Giovanni Damasceno, del quale appunto S. T o m maso nel luogo citato riporta questo ragionamento in merito alla questione di cui sopra : i n Deo n o n potest p o n i nec m o t u s nec c o g i t a t i o quae d i s c u r s u quodam p e r f l c i t u r , ergo v i d e t u r et v e r b u m n u l l o p r o prie dicatur in divinis. Poteva sorgere la questione della diversit dei nomi presso i popoli diversi in apparente contrasto coli' indissolubilit tra pensiero e parola, ma ad essa gi aveva fin da' suoi tempi risposto Tertulliano con quelle sue significantissime parole : o m n i b u s g e n t i bus u n a a n i m a v a r i a v o x , u n u s s p i r i t u s v a r i u s son u s , p r o p r i o c u i q u e g e n t i l o q u e l a , sed loquelae mat e r i a c o m m u n i s ) , appunto perch, come dice altrove Tertulliano con una di quelle frasi incisive, che caratterizzano il suo stile, sermonis corpus est s p i r i t u s , tanto vero che p r i o r est a n i m u s q u a m l i t e r a , come p r i o r est sermo q u a m l i b e r , p r i o r sensus q u a m s t y l u s , et p r i o r homo ipse q u a m p h i l o s o p h u s et poeta ).
i 2

1) T E R T U L L I A N O , L. I

De

Testimonio Praxeam,

animae, cap.

cap.

VI

(in

MIGNE

pag.

691. V I I . ( M I G N E P . L . II, pag. 187).

2) T E R T U L L I A N O , Adv.

ED

IL S E R M O I N T E R I O R

107

il che viene perfettamente a spiegare 1' altro passo del forte scrittore africano : q u o d c i i m q u e c o g i t a v e r i s , sermo est : in te e n i m secundus quodammodo est sermo per qaem l o q u e r i s c o g i t a n d o , et per quem cogitas loquendo ) , con cui oltre che mettere gi in evidenza la concezione del sermo i n t e r i o r si riconoscono anche gli intimi rapporti tra pensiero e parola. Anche S. Gerolamo parla in una sua epistola di t a c i t i a n i m i c o g i t a t i o , e d i a r c a n u s eius sermo ), mentre nel commentario al profeta Geremia parla di conceptus a n i m o sermo d i v i n u s , nec ore p r o l a t a s q u i ardet i n pectore ).
l 2 3

in modo per pi evidente del sermo interior parla S. Massimo confessore, uno dei primi ammiratori ed imitatori della filosofia neaplatonica della Pseudo Dionigi. Divide egli, come gi gli altri, di cui si parlato, il linguaggio in quanto semplice manifestazione degli affetti concitati dell'animo da porsi, sotto una tal forma, alle pari coi cinque sensi, di cui formata la parte dell' animo priva di ragione, dal sermo interior o che rappresenta la s t i m m a h o m i n i s p e r f e c t i o , anzi il commercio dell' uomo collo spirito divino ). Del X070C svSitts'cos parla il medesimo autore in uno de' suoi opuscoli,
4

1) T E R T U L L I A N O , Adv. 2) S. 3) S. L. X X I V 4) S. XC, pag. G E R O L A M O , Epistola GEROLAMO, pag. 1400). 837). MAXIMI Comm.

Praxeam, in

cap. Iercmiam ex

V . ( M I G N E P . L . II, pag. L . XXII pag. Lib. vatic. I V cap. cap.

183). 808). P. G.

XCVIII (MIGNE P.

10. ( M I G N E

C O N F E S S O R I S , Alia

19 ( M I G N E P .

108

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

dando per a tale espressione un significato pi largo di quelli che non le abbiano dato gli Stoici, egli lo concepisce infatti come un vero sermo cordis et a n i m i , cio un m o t u s a n i m i p l e n i s s i m u s , q u i f i t ea p a r i e quae r a t i o c i n a t u r , n u l l a p r o l a t i o n e ac vocis sono expressus, ex quo sermo, q u i ore p r o f e r t u r p r o d i t ), mentre gli Stoici colla denominazione di Xfoc svSittsros volevano significare a preferenza il vero ed esclusivo giudizio logico. In un altro opuscolo pi esplicitamente ancora il medesimo autore mette in relazione il sermo in mente r e p o s i t u s , q u i est a n i m i sermo i n ipsa r a t i o n i s f a c u i t a l e emergens absque u l t a p r o n u n c i a t i o n e , che si trova in tutti, anche nei muti, coli' altro q u i ore p r o f e r t u r , il quale alcunch di puramente accidentale rispetto al primo assolutamente essenziale ) .
x 2

La dottrina per del sermo i n t e r i o r solo col gi citato S. Giovanni Damasceno assume la sua formula completa, formola che si trova in quella parte della di lui opera principale D e fide o r t h o d o x a , che come un piccolo ed esauriente trattato di psicologia. in essa infatti che 1' autore divide, si noti bene, la parte ragionevole dell' uomo in due cio nel discorso interno (X^oc svoidO-sio?) e nel discorso esterno 0 prolatizio (jrpo'f opiz?,) per quello noi siamo esseri X 0 7 M 0 1 . per questo XaXvjuy.oi ) ,
3

1) S. M A X I M I C O N F E S S O R I S , OpilSCUta 2) S. 278). G I O V A N N I D A M A S C E N O , De pag. 935). fide MAXIMI CONFESSORIS, OpilSCllla,

8 (MlGNE P . G . X C I pag. 153

22).

(MIGNE P. G . X C I cap. X X I (MIGNE

pag.
P.

3) S .

orthodoxa.

G. XCIV,

ED

IL S E R M O I N T E R I O R

109

cio forniti della facolt di parlare. Anche qui le denominazioni sono stoiche, ina il loro significato per pi largo, perch riguarda non solo la produzione o P espressione del giudizio logico, ma sibbene P attuazione e la manifestazione di qualsiasi moto conoscitivo dell' animo. Anche per ci che riguarda il sermo interior, facile il rintracciarne le fonti nella speculazione greca : abbiamo gi sopra citato il X070C vv.vteToc degli Stoici : baster che noi accanto ad esso r i cordiamo il X070S l \ v ^ y / o - di Platone e di Aristotele e soprattutto la triplice distinzione di cui parla nella sua Isagoge Porfirio, tanto noto e studiato per tutti quanti i secoli dell' era cristiana, e cio, per usare le parole stesse del di lui traduttore e commentatore Boezio, P o r a t i o , quae l i i t e r i s c o n t i n e t u r , secunda quae verbis ac n o m i n i b u s personat, tertia quam mentis evolvit intellectus ) .
A

Dopo aver stabilito nel modo indicato la nozione del sermo i n t e r i o r in contrapposto al prelatizio, la Patristica passa a studiare le relazioni fra P uno e P altro, ed ecco che in proposito S. Cirillo, per esempio, riconosce la velocit nella cognizione interna discorsiva dell' intelligenza e la lentezza i n vece del discorso esterno-), mentre d'altra parte S. Basilio osserva che talvolta la lingua in certe con-

1) Cfr. C PRANTL, op. cit. VOI. 1 pag, C3G. 2) R . CYRILLI, HIEROS. C a t e c h e s i s V I 2 (MIGNE P . G. X X X V I pag. 539). forse questo un' eco di queir insufficienza della parola rispetto al pensiero, di cui gi parlava Aristotele, e che fu notata anche dalla Scolastica giii g i , come si visto, fino al Cusano.

110

LA FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

dizioni tumultuarie dell' animo precorre il palpito della riflessione ), sicch mentre talvolta quello come un t e l u m p a c a t i s s i m u m , altrevolte un t e l u m semper c u r r e n s "*), per il medesimo S. Basilio poi i discorsi sono vere immagini dell' animo ) , mentre per Teodoro Mopsnesteno non ne sarebbero che un' ombra ). Sono questi, come si vede, accenni alla questione del nesso tra pensiero e parola, a proposito della quale vale la pena che noi riportiamo i giudizii di Tertulliano, e di S. Agostino, perch abbastanza espliciti e precisi. 1 1 primo infatti ), apertamente dichiara che impossibile pensare senza associare alle diverse rappresentazioni del pensiero anche le parole con cui noi le sappiamo e le possiamo esprimere ; ecco le sue parole : V i d e c a n i t a c i t u s secum ipse congrederis r a t i o n e hoc i p s u m agi i n t r a t e , o c c u r r e n t e ea Ubi c u m sermone ad omnem c o g i t a t u s m o t a m , et ad omnem sensus t u i p u l s u m . Q u o d c i i m q u e c o g i t a v e r i s sermo est; quodc u m q u e senseris r a t i o est. L o q u a r i s ilud in a n i m o nccesse est, et dam l o q u e r i s , c o n l o c n t i o n e m p a t c r i s sermonem, i n quo i n e s t et haec ipsa r a t i o , qua c u m eo c o g i t a n s l o q u a r i s per quem loquens cogitas. I t a secundus quodammodo in te est sermo, per quem l o q u e r i s c o g i t a n d o et pei quem cogitas loquendo.
1 3 4 5

1) S. BASILIO, H o m i l i a i n P s a l m u m pag.
2) 374). S. B A S I L I O , Moralia, cap.

XXVIII

( M I G N E P . G . XXIX,
1307). 267) (MIGNE 183).

34 ( M I G N E P . G . XXXVII pag. in Osem, cap. VII

3) C. B A S I L I O , Epistolae,

Classe I Litt. IX ( M I G N E P . G . X X X I I pag.

4) T H E O D O R I M O P S N E S T E N I , Comment.

P . G . L X V I , pag. 165).
5) T E R T U L L I A N O , Adv. Praxeam, cap. V ( M I G N E P . L . Il pag.

NEL

SUO S V O L G I M E N T O PSICOLOGICO

111

S. Agostino in uno splendido passo delle sue Confessioni ) affronta un problema diverso da quello accennato da Tertulliano : questi sostiene infatti che il pensiero dentro di noi non possibile senza l'associazione delle parole alle diverse rappresentazioni di quello, S. Agostino invece dimostra come le cose stesse si apprendono coi loro nomi, quali si pronuciano da chi ci circonda, tanto che a poco a poco questi si associano indissolubilmente colla conoscenza di quelle dentro di noi. Il santo d' Ippona parla di se stesso e dopo aver efficacemente detto che le prime manifestazioni dell' animo si e sprimono quasi istintivamente c u m g e m i t i b u s , et v o c i bus et v a r i i s m e m b r o r u m m o i i b u s , aggiunge : prensabam memoria, c u m ipsi appellabant rem aliquam, et c u m s e c u n d u m eam vocem coi pus ad a l i q u i d m o v e b a n t , videbam et tenebam hoc ab eis v o c a r i r e m Ulani quod sonabant, c u m eam v e l l e n t ostendere. D ' altra parte i sentimenti altrui si possono interpretare anche dalle espressioni spontanee dei medesimi, quali possono essere le diverse contrazioni del volto, et n u t u s o c u l o r u m et c o e t e r o r u m q u e m e m b r o r u m actus ; a ci si aggiungono i diversi suoni delle voci indicanti le diverse affezioni e cos a poco a poco il materiale delle espressioni si va arricchendo et i t a verba in v a r i i s s e n t e n t i i s locis s u i s p o s i t a et crebro audita, quorum rerum signa essent, p a u l a t i m c o l l i g e b a m , measque j a m voluntates, e d o m i t o in eis s i g n i s ore haec e n u n c i a b a m .
l

1) S. A G O S T I N O , C o n f e s s i o n i Lib. I capo V i l i .

112

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Da tale acquisto per della conoscenza delle cose associate in tal modo ai loro nomi non deriva affatto per S. Agostino la^ conseguenza che essa basta, no, perch veramente nos n o n d i s c i m u s verbis f o r i s s o n a n t i b u s , come egli stesso dichiara in un passo interessantissimo del D e M a g i s t r o * ) , sed docente i n t u s v e n t a t e . Pare che in tale sua opera anche S. Agostino abbia voluto portare altri argomenti alla dimostrazione di quanto Socrate aveva sostenuto nei C r a t i l o , non poter le parole essere 1' unico ed esclusivo mezzo per arrivare alla conoscenza della natura delle cose : tesi questa che noi gi abbiamo detto esser pregiudiziale anche per S. Agostino data la soluzione sua del problema gnoseologico. 11 pensiero in proposito di S. Agostino esplicito : la cognizione delle parole possibile solo dopo la cognizione delle cose : rebus cognitis verborum quoque c o g n i t i o p e r f i c i t u r , v e r b i s vero a u d i t i s nec verba d i s c u n t u r . Nella storia psicologica del proprio spirito egli aveva trovato, come si visto, argomenti d' ordine pratico a conforto di tale sua opinione, nel D e M a g i s t r o invece egli scruta la questione del lato filosofico, per togliere, come gi aveva fatto Platone in relazione alla teoria gnoseologica delle idee, un altro degli ostacoli che fosse opposizione alla sua idea fondamentale di carattere quasi ontologico dell' i n t e r n a et d i r e c t a i l l u m i n a n o , da parte di

1) S. AGOSTINO, D e M a g i s i r o , XI. 36. Avremo ancor occasione di parlare pi avanti del D e M a g i s t r o , di S. Agostino in proposito della questione D e M a g i s t r o di S. Tommaso

NEI

SUOI RIGUARDI PSICOLOGICI

113

Dio nella produzione dell' umana conoscenza. Ecco le parole del santo in proposito : N o n e n i m ea verba quae n o v i m u s d i s c i m u s , a u t quae n o n n o v i m u s d i dicisse nos possumus confiteri, nisi e o r u m significat i o n e percepta, quae n o n a u d i t i o n e v o c u m e m i s s a r u r n , sed r e r u m s i g n i f i c a t a r u m c o g n i t i o n e c o n t i n g i t , per il che, conclude il santo, quando sono pronunciate delle parole o noi 'sappiamo che cosa esse significano, o non lo sappiamo : se lo sappiamo si tratta piuttosto di un ricordare che non di un imparare, se poi non lo sappiamo, allora non si tratta nemmeno di un ricordare, ma solo di un impulso a scoprire che cosa mai quella parola udita voglia significare. Come si vede, trattando pressapoco del medesimo argomento, S. Agostino viene ad una conclusione ben pi positiva che non Platone, il quale si accontentato di abbattere sotto i colpi e della dialettica ed anche dell' ironia la tesi di Cratilo, senza per conchiudere con una dichiarazione precisa del valore che si deve concedere alle parole come strumento di conoscenza ; in S. Agostino invece tale dichiarazione noi troviamo chiara e precisa. Un argomento che ha relazione con quanto sopra quello che riguarda l'innominabilit da parte dell' uomo di ci che, considerato in rapporto alla sua sostanza e non gi in rapporto a suoi possibili accidenti, soverchia la potenzialit della sua intelligenza : intendiamo qui parlare della innominabilit per s u b s t a n t i a m di D i o , sul quale argomento, se

114

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

tanto ha poi insistito, come vedremo la Scolasstica, abbiamo larghissimi accenni anche nella Patristica, la quale pure, come per esempio noi troviamo esplicitamente dichiarato in S. Dionigi Areopagita *) ed in S. Isidoro Pelusiota ), concorde nel sostenere tale innominabilit. E d a proposito del concetto di Dio ricordiamo qui quanto Tertulliano ha scritto intorno a ci che egli chiama il linguaggio di lui. noto che uno degli ostacoli ad ammettere il monoteismo era per la coscienza religiosa pagana la solitudine in cui si sarebbe trovato il Dio unico ; orbene Tertulliano oppone che il Dio unico non mai affatto solo, perch egli essere per eccellenza razionale, come tale quindi va continuamente r i volgendo dentro di s tutto quanto si trova nell' infinita onniscenza sua ; tale continuo rivolgimento il suo linguaggio, linguaggio che si attuato e si attua sempre in lui, anche quando il prodotto di esso .egli non ha ancora manifestato fuori di s ), pressapoco come si attua anche nella nostra mente un vero linguaggio, anche quando noi siamo soli, o non intendiamo affatto di esprimerci a parole.
2 3

Altre considerazioni d'ordine psicologico sul linguaggio noi possiamo trovare qua e l nella P a tristica. Teodoreto, per esempio, in un passo de' suoi commenti alle S. Scritture mette sufficentemente in evidenza il meccanismo delle espressioni dei senti1) S. 2) D I O N I G I A R E O P A G I T A , De Epist., Praxeam, divinis lib, cap. nominibus, IV, epist. cap. 211. V. G. 184).

ISIDORO P E L U S I O T A ,

(MIGNE P.

LXXV1II, pag. 1306).


3) T E R T U L L I A N O , Adv. V . ( M I G N E P . L . Il, pag.

NEI

SUOI RIGUARDI PSICOLOGICI

115

menti umani, tra cui appunto si devono annoverare le diverse modulazioni del linguaggio ) . Degli effetti delle emozioni e delle passioni sul linguaggio s da potere od accelerarlo o sospenderlo, parla S. Giovanni Damasceno ) . Sull' efficacia del discorso come mezzo di comunicazione anzi come condizione importantissima di vita sociale ha efficaci accenni i l gi citato S. Basilio, che riconosce tutta V utilit dell' uso della parola u t a l t e r a l t e r i c o r d i s Consilia a p e r i a m u s , eaque unusquisque propter naturae societ a t e m c o m m u n i c e m u s c u m p r o x i m i s ex a b d i t i s c o r d i s recessibus v e l u t ex c e l l i s quibasdam penariis depromentes ) , alle quali parole fanno eco altre non meno efficaci di S. Ambrogio e nel commentario ai S a l m i ) , in cui riconosce che il nome est quo p r o p r i e u n u s q u i s q u e signifcatur quod ei n o n s i t comm u n e c u m coeteris e nell' Hexaemeron ), dove con forma poetica a proposito sempre dell' efficacia del discorso cos si parla : l i n g u a vero p l e c t r u m l o q u e n t i s ) est, v o x quoque aeris quodam r e m i g i o veh i t u r et per i n a n e p o r t a t u r eademque v i s quae aerem
1 2 3 4

1) T E O D O R E T O , pag. 284^.

Comment.

i n Michaeam,cap.
orthodoxa,

I.(MIGNE, P . G . L X X X I ,
cap. X V I . ( M I G N E

2) S. G I O V A N N I D A M A S C E N O , De Fide

P. G . XCIV, pag. 910). 3) S. BASILIO, pag. 193). 4) S. A M B R O G I O ,


5)

H o m i l i a ad D e u t . ,

X V . 9. ( M I G N E P. G . X X X I .

I n P s a l m u m XL1II. ( M I G N E P. L . XIV, pag. 1100).


lib. VI, cap. 9. ( M I G N E P. L . X I V ,

S. A M B R O G I O , Hexaemeron,

pag. 269). 6) Notiamo che questa metafora del plettro ricompare, dopo S . Ambrogio, anche nell' Hexaemeron di Giorgio Pisida. (Cfr. GEORGI P l SIDAE, Hexaemeron verso 651 in MIGNE P. G . X I V , pag. 1485).

116

LA

FILOSOFIA

D E L LINGUAGGIO

v e r b e r a t , m i n e commovet, mine demulcet audientium affectum, iratum mitigai, fractum erigit, solatur dolentem. Anche sull' origine non del linguaggio in genere, ma dei singoli nomi la Patristica ha manifestato qualche opinione, cos, per esempio, S. Giovanni Crisostomo riconosce che tante volte certi nomi sono dati non per un motivo intrinseco, ma per una casaulit puramente accidentale *), il che confermato ripetutamente anche da Teodoreto, laddove dice : N o m e n r e i t o t i a p a r t e saepe tribuitur ) , mentre di solito, come dice Isidoro di Pelusio ) , 1' imposizione del nome ad ogni cosa si fa ab eo quod p r a e c i p u a m v i m i n ea habet, il che conferma un' altra volta V opinione che realmente, secondo la Patristica, tra nome e cosa corra un rapporto intrinseco di convenienza. Dalle considerazioni fatte dalla Patristica sull' efficacia della parola era facile per essa il passaggio a considerar questa ne' suoi riguardi morali, sui quali infatti quella, memore di quanto in proposito ripetutamente si legge nelle Sante Scritture, insistette a lungo. Sermo sine a c t u atque officio suo n i h i l est, leggiamo nel D e G u b e r n a t i o n e D e i di Salviano, prete di Marsiglia del V secolo ) : tutto
2
3 4

GIOVANNI

CRISOSTOMO,

In

Genesim,

sermo

7.

(MIGNE

P, G .

L 1 V , pag. 614). 2) T H E O D O R E T I , Epist. 3) S. LXXV1I1, 4) ISIDORI pag. 1187). MASSILIENSIS, De Gubernatione Dei, lib. II. cap. I. 33. ( M I G N E P . G . L X X X U I , pag.-1347). lib. I V , lett. 114. ( M I G N E P . G . P E L U S I O T A E , Epist.,

SALVIANI

( M I G N E P . L . L X X , pag. 70).

NEI

SUOI RIGUARDI MORALI

117

stava a vedere quale poteva essere tale officium ed ecco che fin da' suoi tempi di esso parla S. Clemente Alessandrino, proibendo i vanos sermones, le c o n t e n t i o n e s loquaces, e simili ) . S. Basilio raccomanda di riflettere molto prima di parlare j , altrove esplicitamente dichiara : u n u m v i t a e i n d i c i u m esse sermonem ), mentre in una delle sue generose omelie benissimo raffronta il linguaggio dell' uomo saggio e sincero con chi mostra animo dubbioso e mendace : sermo q u i d e m v e r u s et a sana mente p r o f i c i s c e n s , dice egli in proposito, s i m p l e x est et u n i u s eiusdem r a t i o n i s eadem de i i s d e m semper affirmans ; v a r i u s vero et a r t i f i c i o s u s , c u m m u l t u m i m p t e x u s s i t et p r a e p a r a t u s , sexcentas formas assumit, seque ad g r a t i a m c o l l o q u e n t i u m c o n c i l i a n d a m t r a s f o r mans v e r s u t i a s a n i m o v e r s a t a ) . S. Ambrogio nel suo D e fficiis , imitazione cristiana dell'antico De fficiis d Cicerone, spesse volte parla della misura e della giustizia che s deve conservare in ogni occasione nell' uso della parola, perch questa corrisponda adeguatamente al suo scopo ) . S. Giustino pone invece in guardia contro le lusinghe di linguaggio di certi dottori, che coli'incanto della parola vor1 2 3 5

1) S.

C L E M E N T E , Constitutiones

apostolicae,

lib.

II,

cap.

X.

(MIGNE

P. G . I, pag. 587). 2) S. BASILIO, E p i s t o l a e , Classe III, E p i s t . 332. (MlGNE P. G . XXXII. pag. 1703). 3) S. BASILIO, H o m i l i a i n P s a l . , X L V U I . M I G N E P. G. XXIX, pag. 435). 4) S. BASILIO, H o m i l i a P. G. XXXI, pag, 399). 5) Cfr., per
<MIGNE P.

i n p r i n c i p i u m P r o v e r b i o r u m 7 (MIGNE AMBROGIO, D e fficiis, lib. I, cap. X.

esempio, S.
pag. 37).

L. XVI,

118

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

rebbero trascinare all' errore ), e cos via via potremmo continuare ancora a riportar altre sentenze d'indole morale dei Padri, se non credessimo sufficenti quelle finora ricordate. Con esse noi crediamo d' aver reso nel modo pi preciso che ci stato possibile quale veramente sia stata la speculazione della Patristica intorno alla questione del linguaggio ne' suoi riguardi storici psicologici, e morali. Quanto valore essa abbia in s, lo si vedr meglio dal confronto colle speculazioni analoghe della Scolastica.
x

1) S. G I U S T I N O , Dialogus,

36.

(A^IGNE P . G . V I , pag.

306).

PMTE

III.

La filosofia del linguaggio nella Scolastica

CAPITOLO

V.

La filosofia del linguaggio e i suoi rapporti colla logica in genere e colla questione degli universali in ispecie
S O M M A R I O : Carattere specifico di differenza tra Patristica e Scolastica in riguardo al nostro argomento. Il posto della logica in rapporto ai programmi di studio nelle scuole medievali, ed alla conoscenza delle opere di Aristotele. Rapporti di dipendenza tra logica e filosofia del linguaggio nella Patristica. Le speculazioni in proposito di Fortunaziano, Marciano Capella, Giovanni Damasceno, Boezio, A l enino, Isidoro, Scoto Erigena. La questione degli universali e suoi rapporti colla logica in genere e col problema del linguaggio in ispecie. La speculazione pi elevata di S. Anselmo, Abelardo, Giovanni di Salisbury, Gilberto della Porretta, Adelardo di Barth, Ugo di S. Vittore. S. Tommaso, Pietro Ispano.

Molto discussa fu la questione delle origini della Scolastica, la quale ancora in oggi, nel concetto di molti e forse dei pi, interpretata come una mescolanza di teologia e di filosofia, quasi che nelP et di mezzo una distinzione ben profonda non fosse stata fatta tra quella e questa. Non tocca certo a noi porre i termini riguardanti la questione delle origini ed esporre gli argomenti per dimostrare tutto V errore storico di quella confusione di cui si parlato, tanto pi che per il nostro argomento abbiamo un carattere specifico per cui possiamo distinguere ben nettamente nella

122

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

speculazione cristiana il periodo patristico dal periodo scolastico. Parlando -della speculazione ellenica sul linguaggio abbiamo visto come essa abbia finito per saldare insieme i destini della filosofia riguardante la parola coi destini della logica : durante il periodo patristico tale congiungimento non perdur non gi perch rotto coscientemente da un nuovo indirizzo di speculazione sull' argomento che ci interessa, ma perch sciolto dalle ragioni stesse di esistenza di un pensiero religioso cristiano in raffronto alla sopravvivenza e perci alle minacce ed alle insidie di una tradizione di pensiero pagano. Man mano per questo and dileguando e nella sua contenenza positiva, e nella sua influenza sullo svolgersi dell' eresia, anche la Patristica and perdendo la sua ragione di essere e di manifestarsi sotto quelle forme che per necessit di cose aveva assunto fin dal principio, e quando dopo le tristezze dei primi secoli dell' et media, in cui in un tenebroso silenzio parve affogare il pensiero riflesso, nel secolo IX risorsero i liberi studi col sorgere delle scuole nella loro triplice forma : monacali, episcopali e palatine, allora una delle prime scienze a ristabilirsi fu appuuto la logica, anche perch questa, specialmente per opera di Boezio e di Cassiodoro era stata una delle ultime a naufragare nell' oblio ; e la logica cos risorgendo trasse con s anche quella parte della filosofia che la tradizione aveva con lei associato, e cio la cosi detta filosofia del linguaggio, e la trasse sotto quella forma

E LA SCOLASTICA IN G E N E R E

123

eh' essa aveva quando colla logica appunto era momentaneamente svanita. S'intende che tale decadimento e tale risurrezione non vanno intesi come qualche cosa di categorico e di assoluto. Se da una parte infatti nella Patristica addentellati tra logica e filosofia del linguaggio si possono rintracciare, dall' altra anche dopo 1' avvento della Scolastica discussioni d' ordine prevalentemente psicologico intorno al discorso si sono susseguite, come pure si sono attuati rapporti tra la questione del linguaggio e la teologia. Quello che certo si che in tutto lo svolgersi della Scolastica, cio, per dirla col W u l f d i quella sintesi di pensieri, in cui tutte le questioni che la filosofia pu proporsi sono trattate, e dove tutte le risposte sono armonizzate s da allacciarsi e da sostenersi 1' un 1' altra, trionf a proposito dell' argomento che c' interessa piuttosto 1' indirizzo aristotelico, che non V indirizzo platonico, del quale abbiamo riscontrato invece la prevalenza per tutto quanto il periodo patristico. noto che di Aristotele nella prima parte del M . E . non si conosceva che il D e I n t e r p r e t a t i o n e nelle traduzioni di Marco Vittorino e di Boezio, del quale pure fu pi tardi conosciuta anche la traduzione delle C a t e g o r i e . Nella prima met del XII secolo si venne a conoscere in Occidente il primo libro dei P r i m i a n a l a t i c i , la T o p i c a , ed i R a g i o n a m e n t i s o f i s t i c i , e cio tutto V O r g a n o n ad eccezione
0 M . D E W U L F , op. cit. pag. 127.

124

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

dei Secondi analitici- e del secondo libro dei Primi analitici, i quali furono noti solo nella 2 met di quel medesimo secolo ). G l i Scolastici adunque dei primi tempi non videro e non considerarono in Aristotele che un logico ed un logico oscuro' ), tanto che dall' Organon suo poterono nascere, come dice il Fiorentino ) , le dispute famose del Realismo e del Nominalismo, e l'insegnamento di Abelardo. Aggiungiamo a ci che la biblioteca filosofica degli Scolastici conteneva per la massima parte libri di logica e di dialettica, tra cui importanti l ' I s a goge ed il trattato delle cinque voci di Porfirio, che quelli credevano un semplice seguace di A r i stotele, non potendo, per mancanza di fonti, supporlo infeudato ad una specie di panteismo, i Commenti di Boezio alle C a t e g o r i e ed al D e I n t e r p r e t a t i o n e . dello Stagirita, ed r suoi trattati originali sulle diverse parti della logica, i commenti eclettici .di Calcidio al T i m e o , che potevano col loro andamento metafisico correggere un po' 1' influenza e sclusiva ed esagerata della dialettica e della logica aristotelica, le opere dialettico-retoriche di Cicerone, quelle logiche dello pseudo S. Agostino, le artes l i a i 2 3

1) Cfr. in proposito : C L E R V A L , Les coles de C h a r t r e s a u m o y e n Mem. de soc. archol. Eure et Loir, 1895) pag. 244. 2) Boezio chiama Aristotele t u r b a t o r v e r b o r u m , mentre un autore sconosciuto del secoio X parla di labirinto aristotelico, cfr. V . B A U M G A R T N E R , D i e p h i l o s o p h i e des A l a n u s de I n s u l i s . Munster 1896, pag, 10 e sgg. 3) F R A N C . F I O R E N T I N O , S a g g i o s t o r i c o s u l l a f i l o s o f i a g r e c a , Firenze 1864 pag. 364. ge

E GLI STUDI D E L MEDIO EVO

125

berales di Marciano Capella, il trattato dei nomi divini dello pseudo S. Dionigi e tosto capiremo come la logica, specialmente come era stata concepita e fissata da Aristotele, dovesse veramente informare i l risorgere della filosofia in genere e qualsiasi questione riguardante il linguaggio in i specie. Nei programmi di studio, cio nella classificazione delle cos dette arti liberali, volgarizzata da Boezio, Cassiodoro, Marciano Capella ed Alcuino, la logica ebbe a poco a poco il sopravvento sotto il nome di dialettica a svantaggio delle altre due parti del trivio : la grammatica e la rettorica. vero che al trivio ed al quadrivio si aggiunse poi, come qualche cosa di pi, la filosofia e come fastigio supremo la teologia, essendo assurda 1' o pinione del Ferrre ) e del Marietan ) , che vorrebbero far rientrare la filosofia nel trivio. La logica per rimase come una specie di propedeutica dello spirito, utile e necessaria per qualsiasi cammino questi avesse voluto intraprendere e come introduzione alla logica rimase lo studio della grammatica, alla sua volta creduta r a t i o et o r i g o o m m i u m a r t i u m l i b e r a t a m i , come chiamata da Ilde2 3

0 Su tale argomento della biblioteca


W U L F , op. cit. pag 149-157.

filosofica

medievale

cfr. :

2) F E R R R E , D e l a d i v i s i o n de scpt a r t s l i b e r a u x (Ann. de Phil. Chrtien., Iuin 1900) 3) M A R I T A N , P r o b f c m e de l a c l a s s i f i c a t i o n des sciences d'Aristote a S. T h o m a s , Paris 1901. L'opinione contraria invece sostenuta dal Willmann ( O T T O W I L M A N N , D i d a k t i k a l s B i l d u n g s l e h r e , Brunswik 1903, Tom. I, pag. 267 e sgg).

126

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

rico di Montecassimo, scolaro di Paolo Diacono ; anzi nello studio di essa tanto si esager, specialmente degli Italiani, i quali, come dice Radulfo G l a ber *), lasciarono ogni sorta di studio fuorch la grammatica, che Gregorio Magno credette suo preciso dovere di o p p o r v i s i ) . Date adunque tali precise disposizioni di fatto, evidente perch la filosofia del linguaggio per quel poco che valse e si attu nel medio evo, o per meglio dire nella prima parte del medio evo, si ritrov legata un' altra volta alla logica ed alla dialettica, il che simbolicamente gi indicato nella figurazione poetica di Marciano Capella, che rappresenta appunto le sette arti liberali sotto la forma di vergini donzelle al seguito di Filologia, fidanzata di Apollo, la grammatica vi invece descritta come una figlia di Memfi, portando su un piatto degli istrumenti per sciogliere la lingua ai bambini, mentre la dialettica vi rappresentata come una donna dal viso emaciato tenente in una mano un serpente.
2

Abbiamo poco sopra affermato che gi nel periodo patristico si possono rintracciare momenti di congiunzione tra filosofia del linguaggio e la logica. La questione gi accennata della innominabilit di Dio di ci sarebbe una prova, perch in fondo considerata bene tale questione, che, accennata gi

1) R O D O L F O G L A B E R , Historiarum,

Lib.

II.

cap.

12.

2) Cfr. G A S P A R Y , S t o r i a d e l l a l e t i , i t a l i a n a , V o u m e I cap. 1.

E D

I SUOI LEGAMI

COLLA

LOGICA

127

nelle Sante Scritture in un passo della Sapienza *) nella Patristica oltre che dai gi citati autori venne discussa da S. Anastasio Sinaita ) , da S. A g o stino ) e da S. Febadio ) , entrava direttamente nel campo della logica, riguardando essa appunto F imposssibilit di applicare un termine a ci che soverchia le potenzialit dell' intelletto umano, a quello ci che indefinibile, cio irreducibile a termine maggiore in estensione e perci minore in comprensione, perch categoria non solo d' ordine logico, ma anche categoria d' ordine morale. Ci per non basta ; il Prantl ci ricorda infatti in proposito F estratto dell' O r g a n o n fatto da Gregorio di Nazianzo ad uso delle scuole ), i libri di logica che S. Gregorio stesso ) dice di aver tentato di scrivere nella sua giovent, e soprattutto la D i a l e c t i c a di Fortunaziano, la quale contiene qualche passo di non dubbio interesse per il nostro argomento, quello, per esempio, in cui in certo qual modo si ristaura la vecchia teoria stoica del XexTs. Dopo aver infatti Fortunaziano ) definito la parola dicendo : V e r b u m est u n i u s c u i u s q u e r e i s i g n u m , quod ab a u d i e n t e possit i n t e l l i g i a l o q u e n t e p r o l a t u m , et
2 3 4 5 6 7

1) S a p i e n t i a , XIV, 21.
2) S. A N A S T A S I O S I N A I T A , Viae dux, Lib. cap. V cap. cap. II ( M I G N E P . G . L X X X I X 5. 42).

pag. 54).
3) S. A G O S T I N O , De 4) S. F E B A D I O , De Trinitate divinitate, I. G. Dialectica, Basilea 1542. cap. 5, 568. filii VI ( M I G N E P . L . XI pag.

5) P R A N T L , op. cit.Voi. I pag. G57.


6) S. A G O S T I N O , Retract. 7) cfr. C. C. PRANTL, op. cit. pag. CONSULTI FORTUNATIANI,

128

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

l o q u i est a r t i c u l a t a voce s i g n u r n dare, aggiunge : orane v e r b u m sonat, sed quod sonat n i h i l ad dialect i c a m , et t a m e n c u m de his d i s p u t a t u r praeter dialect i c a m n o n est; q u i d q u i d a u t e m ex verbo non auris sed a n i m u s s e n t i t , ex ipso a n i m o t e n e t u r i n c l u s i m i , d i c i b i l e v o c a t u r , c u m vero v e r b u m p r o c e d i t n o n p r o p t e r se, sed p r o p t e r a l i u d a l i q u o d s i g n i f i c a n d u m , d i c t i o v o c a t u r ; res a u t e m i p s a , quae i a m v e r b u m n o n est neque v e r b i i n mente c o n c e p t i o , n i h i l a l i u d q u a m res v o c a t u r p r o p r i o i a m n o m i n e : haec ergo q u a t t u o r d i s t i n c i e t e n e a n t u r : v e r b u m , d i c i b i l e , d i c t i o , res. Come si vede il d i c i b i l e di Fortunaziano, concepito appunto come i d quod ipso a n i m o t e n e t u r i n c l u s u m , un evidente derivazione del X S X T S degli antichi Stoici come stoico, per quanto gi volto nel C r a t i l o platonico, F opinione del medesimo autore che ogni parola possa esser ricondotta per via etimologica al suo vero significato, essendovi una certa similitudine tra cosa significata ed il suono con cui quella espressa similitudine che poteva essere estesa fino al contrasto ( I n c u s a n o n l u c e n d o ) . perci che Fortunaziano cerca di stabilire il vero concetto di verb u m che fa derivare da verbero, cio da v e r u m b u m . che sta per b o m b u m suono ) , derivazione questa che ha avuto fortuna nel medio evo, tanf vero che la troviamo ancora in S. Tommaso, che cos si esprime in proposito : U n u m q u o d q u e n o m e n i l l u d praecipue sig n i f i c a i a quo i m p o n i t u r , sed hoc n o m e n v e r b u m i m p o l

i)

F O R T U N A Z I A N O , op.

cit.

cap.

6. (cfr.

P R A N T L , op.

cit.

pag.

669)

ED

I SUOI LEGAMI C O L L A LOGICA

129

n i t u r a v c r b e r a t i o n e aeris vel a b o a t u , quasi verbum non sit aliud quam verum boans Questo passo di S. Tommaso appare tosto come una concessione fatta a l l ' indirizzo platonico dell' etimologizzare secondo il rapporto di natura tra cosa e suono, e quindi sembra esso in contrasto alla tendenza aristotelica, la quale negando un tale rapporto veniva a negare uno degli effetti primi dell' etimologizzare : ci difatti, e se ne capisce il perch. S. Tommaso deve aver ricevuto queir etimologia bella e che fatta dalla tradizione stessa dell' insegnamento medievale ; siccome per essa trovava le sue origini in autori vissuti in pieno rifiorimento platonico, come appunto Fortunaziano, fiorito nel V secolo, cos era naturale che di tale indirizzo platonico ne risentisse ; di ci prova anche quel verb e r a t i o aeris di cui parla S. Tommaso stesso, verb e r a t i o che trova le sue fonti, come gi si detto, in filosofi antichi, tra cui Platone stesso nel T i m e o , per quanto non manchi anche in Aristotele. Non si tratta adunque di uno strappo volontario a l l ' indirizzo in fiore nell' et di mezzo, ma d' una concessione volontaria imposta come un luogo comune nella tradizione scolastica ) .
2

Ritornando ora al nostro argomento, possiamo dire che 1' autore, che, pur appartenendo ancora al
1) S. T O M M A S O , Q u a e s t i o n e s d i s p u t a t a e . D e v e n t a t e Quaest. IV. D e v e r b o , art. I. 2) Notiamo che anche nella filosofia del Rinascimento si continu 1' e timologizzare per scoprire la ragione dei termini ; curiosa fra le etimologie di quei tempi quella del Bohme, il mistico calzolaio-filosofo di Grlitz che faceva derivare q u a l i t a s dal tedesco Q u e l l e (fonte). Cfr. H . H O E F F D I N G , L a s t o r i a d e l l a f i l o s o f i a m o d e r n a , Tomo 1900, voi. I, pag. 70.

130

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

periodo patristico, ha saputo trattar del linguaggio in rapporto alla logica sistematizzando le proprie investigazioni sopra uno schema definito e preciso, fu S. Giovanni Damasceno. Il Willmann *), come noto, fa appunto cominciare la Scolastica alla prima met del secolo VIII colla TUYjYTj Yviasw? di S. Giovanni di Damasco basandosi sul fatto che le parti di tale opera sono precedute da %s Xaia <piXooo'f i*, o prolegomeni filosofici, s da riuscir essa come il primo saggio di quelle sistematizzazioni teologiche che si successero pi tardi col nome di S e n t e n z i a r i i , anche sulla sostanza dei quali la i z r ^ q YVCOSOS del Damasceno ebbe influenza, come dimostra il W u l f ) a proposito del pi celebre dei sentenziari, quello di Pietro Lombardo.
2

La citata opinione del Willmann a noi pare accettabile, perch precisamente in queir opera che il grande scrittore di Damasco, in contrasto ai frammentarii accenni di tutta la Patristica sulla questione del linguaggio, ha saputo, stando sul terreno della logica, costruire una teoria chiara e definita. Vale la pena che noi ne riportiamo qui i passi che pi interessano il nostro argomento ). Comincia l'autore a distinguere i suoni che hanno un significato da quelli che un significato non hanno e continua : v o x quae n i h i l s i g n i f i c a i a u t
3

1) O . W I L L M A N N . G e s c h i c h t e des I d e a l i s m u s , Brunswich 1896, Tomo li. pag. 342.


2) W U L F , op. cit., pag. 214. scientiae, cap. V. (MIGNE, P . G . 3) S . G I O V A N N I D A M A S C E N O , Fons

XCIV, pag. 539 e sgg.).

NELLA

LOGICA

PRESCOLASTICA

131

a r t f c u l a t a est, (e sarebbe quella che si pu scrivere, per es. ay.tv&a'f os). a u t a r t i c u l a t a n o n est (quella che non si pu scrivere, per es. quella che si ingenera dall' incontro di due sassi) ; di entrambe le categorie n u l l a philosophiae c u r a est. V o x a u t e m s i g n i f l c a n s a u t n o n a r t i c u l a t a est (quello che non si pu scrivere, per es. un latrato di un cane), a u t a r t i c u l a t a est (il linguaggio umano). S i g n i f i c a t i v e a r t i c u l a t a vel est u n i v e r s a l i ^ ( h o m o ) a u t p a r t i c u l a r i s ( P e t r u s ) ; sed ne p a r t i c u l a r i s q u i d e m vocis r a t i o n e m habet p h i l o s o p h i a , sed s i g n i f i c a n t i s , et a r t i c u l a t a e , et u n i v e r s a l i s . Come si vede qui siamo in pieno campo della logica, in quanto che col F ultima distinzione siamo arrivati alla concezione del vocabolo come termine del concetto. E di logica risente anche quanto vien dopo, in cui lo scrittore divide il termine significativo articolato ed universale in s o s t a n z i a l e , ed a d i e c t i z i o , quello est q u i essentiam, hoc est n a t u r a m r e r u m dec l o r a i , a d i e c t i t i u s est q u i a c c i d e n t i a i n d i c a i ; il santo poi continua ancora, sempre su terreno logico, a parlar di genere, di specie e di differenza, il che non pi interessa il nostro argomento ' ) .
1) Ecco in un quadro le divisioni logiche del Damasceno a proposito dei suoni :

Significative Voci \ Non significative Non articolate

Articolate

132

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

certo che tali distinzioni e divisioni di S. Giovanni di Damasco esercitarono non piccola influenza sullo sviluppo della Scolastica, egli infatti fu fra gli scrittori bizantini uno dei primi ad essere conosciuto per la traduzione, che della sua opera principale rcyjvT] Y V C O S W S fece ben presto Burgondio da Pisa. Influenza non piccola esercit nell' et di mezzo anche Marciano Capella, di cui gi abbiamo avuto occasione di parlare poc' anzi : pu darsi che tale influenza, come appare al Wulf sia stata per nulla meritata, essa per non si pu in modo alcuno negare, essendo stato, come si visto, tale autore uno dei pi alla mano nella biblioteca filosofica dell' et di mezzo specialmente per ci che riguarda P opera sua sulle artes liberales , in cui a proposito della dialettica egli discorre a lungo delle sei parti della medesima, quali gi erano state fissate nella tradizione, s che esse, per esempio, gi si trovano in S. Agostino ~) : esse sono : de l o q u e n d o , de eloquendo, de p r o l o q u e n d o , de p r o l o q u i o r a m s u m m a , de i u d i c a n d o , ed ultima quae dicenda rhetoribus commodata est. La fusione della logica colla speculazione sul linguaggio in Marciano Capella appare pi che mai evidente, quando si veda quali oggetti eglr sottopone a ciascuna di tali parti della dialettica. Nella prima, per esempio, de loquendo egli si domandava q u i d s i t genus, q u i d f o r m a , q u i d dijferentia, q u i d

1) W U L F , op.

cit. cit.,

pag. Voi.

155. I, pag. 672.

2) P R A N T L , op.

NELLA

LOGICA

PRESCOLASTICA

133

accidens, q u i d d e f i n i t i o , q u i d t o t u m , q u i d p a r s , tutte questioni d'ordine logico, insieme per ad esse ecco le domande, q u i d s i t u n i v o c u m , q u i d p l u r i v o c u m e specialmente quae rebus verba sua s i n t , quae a l i e n a et q u o t modis a l i e n a s i n t , colle quali ultime domande si affronta il problema dei rapporti tra cose e nomi, secondo la tradizionale traiettoria della filosofia greca intercorsa da Pitagora gi gi fino agli Stoici, che ancora in quel giro di tempo, secondo la parola esplicita di S. Gerolamo erano creduti come gli inventori della logica. Nella seconda parte poi Marciano Capella discende alla grammatica, il che pure era gi avvenuto nella speculazione stoica, ed ecco le domande : q u i d sid n o m e n , q u i d v e r b u m , quae s u b i e c t i v a pars senieniiae s i t , quae d e c l a r a t i v a e cos via, mentre nella terza si ritorna ancora alla logica colle questioni : quae s i n t d i f f e r e n t i a e p r o l o q u i o r u m in q u a n t i t a t e , in q u a l i t a t e , q u i d s i t u n i v e r s a l e , q u i d p a r t i c u l a r e , e cos via anche nelle altre parti un intrecciarsi continuo di grammatica, di logica, di speculazione sul linguaggio, quale appunto gi si era verificato al tempo della decadenza del pensiero ellenico, e si verific poi nelle origini e nello svolgimento della Scolastica. L ' autore per che pi di ogni altro ebbe influenza in tutta T et di mezzo, fissando in modo decisivo il trionfo di Aristotele nelle ricerche d' or-

1) S t o i c i ,
num, Lib.

l o g i c a r t i s i b i v i n d i c a n t , dice S. Gerolamo ( C o n t r a R u f i in MIGNE P. L . X X I I I , pag. 412).

I, 311

134

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

dine logico, e quindi anche nelle speculazioni su queir argomento di cui stiamo trattando, fu Boezio ) . Vale quindi la pena che noi ci fermiamo alquanto sopra di lui, che da tutti gli autori del M . E . fu conosciuto, studiato, sunteggiato, discusso, confutato e difeso. importanti in modo speciale per noi sono i di lui commenti, a noi arrivati sotto due forme di redazione, del De i n t e r p r e t a t i o n e di Aristotele, a proposito del quale se Cassiodoro pot dire che quando Aristotele lo scriveva c a l a m u m in mente tingebat ) , noi potremo aggiungere che tutti i trattatisti medievali, quando i loro trattati di logica e di dialettica s'accingevano a scrivere, la loro penna tingevano appunto nei commenti che di quel1' opera dello Stagirita aveva fatto Boezio.
1 2

Il processo conoscitivo-dialettico anzitutto cosi riassunto da Boezio : Res ab i n t e l l e c t u c o n c i p i t n r , v o x vero conceptiones a n i m i i n t e l l e c t u s q u e ) sig n i f i c a t a i p s i vero i n t e l l e c t u s et c o n c i p i u n t subiectas res et s i g n i f i c a n t u r a v o c i b u s , c u m i g i i u r t r i a s u n t haec. . , q u a r t u m quoque q u i d d a m et quo voces i p sae v a i e a n t d e s i g n a r i , i d aatem s u n t l i t t e r a e s c r i p t a e n a m q u e l i t t e r a e ipsas s i g n i f i c a n t voces : quae quattuor ista sunt, u t litterae quidem significeni voces,
3

1) Cfr. in proposito U E B E R W E G S , G r u n d r i s s etc. Voi. I, pag. 332 e sgg.


2) P R A N T L , op. cit., voi, I, pag. 723.

3) evidente che qui la parola i n t e l l e c t u s presa in senso diverso della prima volta, mentre allora essa rappresentava una facolt attiva dello spirito, qui invece considerato come un prodotto dello spirito, nel qual senso tale parola rimase anche dopo nella Scolastica.

NELLE

OPERE

DI

BOEZIO

135

voces vero i n t e l l e c t u s , i n t e l l e c t u s a u t e m res c o n c i p i a n t ) . Per, aggiunge Boezio, non qui tutto, giacche come tu puoi trovare suoni che non hanno senso, puoi anche trovare suoni a cui nulla corrisponda nella realt, cio i n t e l l e c t u s sine u l t a re s i b i s u b i e c t a , il che Boezio, anticipando quanto poi pi diffusamente e pi sottilmente dir in proposito Duns Scoto, spiega col fatto che /' a n i m u s h o m i n i s n o n s o l u m per s e n s i b i l i a res i n c o r p o r a l e s i n t e l l i g e n d i est a r i i f e x , sed e t i a m f i n g e n d i s i b i atque mentiendi.
1

Stabilito cos i l rapporto tra pensiero e parola, Boezio affronta 1' altra questione gi tanto controversa nella filosofia greca, sulla posizione del nome, ed anche qui commentando la famosa definizione di Aristotele : n o m e n est v o x s i g n i f i c a t i v a s e c u n d u m p l a c i t u m sine t e m p o r e , c u i u s n u l l a pars s i g n i f i c a t i v a est sep a r a t a , egli si mostra strenuo sostenitore della perfetta indipendenza di natura tra nome e cosa ; ecco infatti le sue parole, quali si leggono nella sua introduzione A d Categoricos S y l l o g i s m o s -) : s e c u n d u m p l a c i t u m veto a d i u n c t u m est in d e f i n i t i o n e , q u o n i a m n u l l u m n o m e n n a t u r a s i g n i f i c a i , sed s e c u n d u m p l a c i t u m p o n e n tis constituentisque v o l u n t a t e . I l l u d enim unaquaeque res d i c i t quod ei p l a c u i t q u i p r i m u s r e i n o m e n i m p r e s sa. A l i a e s u n t e n i m voces n a t u r a l i t e r s i g n i f i c a n t e s , u t c a n u m l a t r a t u s i r a s c a n u m s i g n i f i c a t , et a l i a eius quaedam v o x blandimento gemitus etiam dolorum,

1) ANITII M A N L I I S E V E R I N I B O E T H I I , De interpretatione, Basilea 1570, pag. 296. 2) A . M . S . B O E T H I I , op. cit. pag. 559.

in

Opera,

136

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

sed n o n s u n t n o m i n a , quod n o n d e s i g n a n t s e c u n d u m p l a c i t u m , sed s e c u n d u m n a i u r a m , alle quali parole fanno riscontro quest' altre pi esplicite ancora che si leggono nel commento al D e i n t e r p r e t a t i o n e ) : A r i s t o t e l e s d i c i t p l a c i t u m quod n u l l u m n o m e n n a t u r a l i t e r c o n s t i t u t u m est, neque unquam sicut subiecta res a n a t u r a est, i t a quoque a n a t u r a veniente vocab u l o n u n c u p a t u r ; sed h o m i n u m genus, quod et r a t i o n e et o r a t i o n e v i g e r e t , n o m i n a p o s u i t , eaque q u i b u s l i b u i t litteris syllabisque coniungens singulis subiectarum r e r u m s u b s t a n t i i s d e d i t , ed a modo di conclusione Boezio aggiunge a favore della sua tesi queir argomento appunto, che tanto aveva affaticato Epicuro, ed a cui questi aveva dato una soluzione per quei tempi ardita : H o c a u t e m i l i o p r o b a t u r , dice Boezio, quod si n a t u r a essent n o m i n a , eadem apud omnes gentes essent, u t sensus quoniam naturaliter sunt, i i d e m apud omnes s u n t . D ' altra parte si domanda ancora l'autore: non forse vero che noi alla stessa substantia diamo nomi diversi, sicch, per esempio, usiamo dei termini g l a d i u s , ensis, mucro, per esprimere la stessa cosa ? Ora ci sarebbe possibile, se veramente i nomi fossero per natura ? evidente come quest' ultimo argomento sia piuttosto specioso che forte, giacch se non altro sarebbe r i torcibile, perch si potrebbe dire : se i nomi sono dati dall' arbitrio dell' uomo, perch questi per e sprimere la stessa cosa ha inventato nomi diversi ?
l

A . M . S.

B O E T H I I . De

interpretatione,

ed.

cit.

pag.

308.

N E L L E OPERE DI BOEZIO

137

Lo spunto poi dell' altra argomentazione a cui gi fin da' suoi tempi aveva, come si visto, r i sposto Epicuro, si trovava in Aristotele stesso e precisamente in quel famosissimo passo del D e I n t e r p r e t a t i o n e che, integrato da un altro non meno famoso del De Anima, tante discussioni e commenti ebbe nell' antichit e nel medio evo. Noi lo riportiamo qui nella traduzione stessa di Boezio, perch appunto sotto una tal veste che esso fu maggiormente conosciuto *) : Q u a e s u n t ' i n voce s u n t notae p a s s i o n u m quae s u n t i n a n i m a , et quae s c r i b u n t u r s u n t ntae e o r u m quae s u n t i n voce, atque u t l i t t e r a e n o n s u n t apud omnes eaedem, ita nen voces s u n t apud omnes, eaedem s u n t e t i a m res q u o r u m hae passiones sunt simulacro. Un altro punto di Aristotele Boezio ha pur creduto di largamente commentare, per quanto a' suoi tempi, in cui nessuno ormai sosteneva ancora 1' antica opinione di Platone concernente la naturale giustezza dei nomi, esso avesse perduto della sua importanza ; intendiamo parlare di quel passo, in cui lo Stagirita sosteneva che la verit o la falsit non sta tanto nei nomi quanto nella composizione di essi, cio nel giudizio, al quale proposito cos Boezio si esprime ) : omne n o m e n i u n c t u m c u m verbo e n u n c i a t i o n e m r e d d i t et s u s c i p i t m e n d a c i i v e r i t a t i s q u e n a t u r a m , ed altrove : n o n homo vero n o n est n o m e n a t q u i n o n est c o n s t i t u t u m n o m e n quo oporteat id
2

1) B O E T H I I , De i n t e r p . ediz. cit. pag.


2) B O E T H I I , ed. cit. pag. 560.

297.

138

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

a p p e l l a r e : q u i a nec est o r a t i o nec n e g a t i o , sed est n o m e n infinitum, q u i a s i m i l i t e r in q u o v i s i n e s t t a m ente, q u a m n o n ente, tantoch, per esempio, egli aggiunge, h i r c o c e r v u s s i g n i f i c a t q u i d e m a l i q u i d n o n d u m t a m e n v e r u m q u i d p i a m a u t f a l s u m , n i s i esse a u t n o n esse a d i i c i a t u r vel s i m p l i c i t e r , vel s e c u n d u m t e m p u s : dato ci, cos Boezio integra la vecchia definizione di nome data da Aristotele : N o m e n est v o x s i g n i f i c a t i v a , s e c u n d u m p l a c i t u m , sine tempore c u i u s n u l l a pars c o n i u n c t a faciens enunciationem a u t falsitatis a u t veritatis. Boezio si diffonde a commentare di tale definizione la parte che riguarda il nessun senso che hanno le diverse parte dei nomi, sieno esse sillabe, sieno esse veri vocaboli, come succede nelle parole composte, tutto ci per gi si trovava chiaramente indicato da Aristotele ; pi interessante invece la spiegazione di queir inciso sine tempore. Aristotele aveva fatto, come gi abbiamo detto a suo luogo, distinzione tra o v o ^ a e pfyxa, cio tra nome e verbo e Boezio, sulle di lui orme, sostiene appunto in parecchi luoghi ) che due sole sono le parti del discorso, il nome ed il verbo, giacch ceterae n o n partes, sed o r a t i o n i s s u p p l e m e n t o s u n t . La differenza specifica tra questo e quello sta appunto in ci che il primo cio il nome espressivo sine t e m p o r e , il secondo invece esprime c u m t e m p o r e , la definizione infatti di verbo da lui
4

1) Cfr. B O E T H I I , D e S y l l .
pag. 310 (Cfr. P R A N T L , Voi.

C a t . , ediz. cit. pag. 583 ; D e i n t e r p r .


693).

I. pag.

N E L L E OPERE DI BOEZIO

139

cos formulata sempre sulle traccie dello Stagirita : v e r b u m est v o x s i g n i f i c a t i v a s e c u n d u m p l a c i t u m c u m t e m p o r e , c u i u s n u l l a pars s i g n i f i c a t i v a est separata, aliq u i d f i n i t u m designans et praesens ; in altri termini, spieghiamo noi, il nome della categoria di tempo non toccato, giacche ci che esso esprime vero tanto al di qua come al di l di tale categoria, potendo esso trovar luogo e nel campo infinito della possibilit, come in quello della realt e della necessit ; il nome cio rappresenta come una condizione statica possibile o reale, o necessaria, sempre in relazione al lavoro logico pi o meno perfetto, di cui esso il termine ; il verbo rappresenta invece un' attuazione qualsiasi dinamica o di un' azione o di una passione, per ci esso deve per forza concepirsi come alcunch che s ' i n i z i i e quindi come alcunch che si consumi, quello adunque che il verbo esprime f i e r i sine t e m p o r i s n o t a t i o n e n o n potest, conchiude Boezio, mettendo cos in evidenza anche uno dei motivi fondamentali, per cui alle due classi e di nomi e d verbi tutte le altre parti del discorso si possono filosoficamente ridurre. Da tutto quanto abbiamo finora esposto ben si vede quanto sia vero ci che stato affermato : essersi gi nel periodo patristico del pensiero cristiano formata una tradizione sui rapporti tra logica e filosofia del linguaggio, per quel tanto che questa allora poteva valere, cosicch quando la Patristica cadde, ed a poco a poco i nuovi orientamenti della vita civile e politica ingenerarono quelle cond-

140

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

zioni da cui usc poi la Scolastica, questa pot tosto attuare i suoi caratteri specifici, attaccandosi a quel filone di pensiero filosofico aristotelico, che gi aveva saputo tanto bene prodursi nei secoliprecedenti intorno a l l ' O r g a n o n dello Stagirita. E s i noti condizione speciale in cose: dal secolo V i l i al XII secolo, cio nel periodo delle origini e delle prime manifestazioni della Scolastica, tutto fu ancora incoerente ed incerto. La Metafisica, come ben dimostra V Espenberger, vi ancora frammentaria ed ondeggiante bizzarramente tra idee aristoteliche e platoniche : la dottrina seducente delle idee, madre del Realismo ad oltranza, tosto si trova di fronte alle contrarie teorie aristoteliche di sostanza, di natura, di persona : i concetti fondamentali del Peripatetismo di materia e di forma, chiave di volta* di tutta la sintesi scolastica-tomistica posteriore, vi sono ancora mal compresi, la materia, per esempio, il chaos per Alcuino, V atomo materiale per G i o vanni di Conches, una massa qualitativamente costituita e dotata di moto dinamico per le scuole di Chartres e se qualcuno, come dice il W u l f ) , riconosce in essa il carattere di indeterminato assoluto e di passivit che vi riconosceva Aristotele, per incapace di approfondire'tale nozione : la forma poi non gi considerata come il principio sostanziale
2

1) M . E S P E N B E R G E R , D i e P h i l o s o p h i e des P e t r u s L o m b a r d u s , Miinster 1901, pag. 36. Cfr. anche D O M E T D E V O R G E S , S. A n s e l m e , Paris 1901 pag. 149 e sgg.
2) Cfr. WULF, op. cit. pag. 139.

AL

SORGERE

DELLA

SCOLASTICA

141

dell' essere, ma piuttosto come una somma di propriet ; in altri termini in quel periodo si agitano le formule antiche, ma chi pi chi meno, tutti si mostrano incapaci di interpretarle secondo lo spirito loro. Qualche cosa di simile avviene per le dottrine cosmologiche, a proposito delle quali si o scilla tra due tesi inconciliabili : quella della vita autonoma della natura, trasvestimento inaspettato dell' antica teoria platonica dell' anima del mondo e della concezione del f a t u m stoico, e V altra tesi della individualit di ogni essere naturale contenuto nell' universo, sostenuta da Abelardo e da Giovanni di Salisbury. Cos in psicologia nel campo della quale vero che -fino al secolo XII regn indisturbato S. Agostino, e quindi per mezzo suo un indirizzo platonico, non per questo per mancarono e dubbi ed incertezze ed errori : creazionismo e traducianismo, per esempio, come gi nello spirito di A g o stino, vi si alternano e vi si confondono, si vuol salvare 1' indipendenza dell' anima e si arriva d' altra parte a riguardarla come una propriet della materia ; cos in morale dove tutto si riduce ad una descrizione delle virt particolari ricalcandosi malamente ci che gi avevan fatto gli Stoici, cos in teodicea, e cos in genere per qualsiasi altro palpito di pensiero. La parte invece del pensiero riflesso che non fu toccata n da incertezza n da dubbio, e che si tramand sotto una forma gi rigidamente composta a sistema fu appunto la dialettica, dove Aristotele regn senza rivali, e regn secondo verit e

142

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

giustizia, perch conosciuto nel suo vero essere, o per meglio dire nelle genuine opere sue. L a tradizione intessutasi gi nel periodo patristico tale regno prepar con tutte le arti del buon ordine e della coerenza ; S. Agostino ) stesso col tessere nel D e c i v i t a t e - D e i V elogio dello Stagirita lo proclam degno della corona, che poi a questo fu data e conservata, tanto pi che 1' elogio del santo d'Ippona si congiunge all' elogio che egli fa della dialettica per la spiegazione stessa delle Scritture, e cos la dialettica aristotelica fu il solo punto fisso e sicuro fino al secolo XII circa, in mezzo a l l ' ondeggiare di tutto il resto nel campo infinito del pensiero riflesso.
d

Vale la pena che noi di questo regno passiamo tosto a considerare alcuni momenti, quelli che ci interessano, lasciandone nell' ombra tutte quelle deviazioni o, per meglio dire, tutti quegli eccessi di potere, a cui esso ha pur dato luogo, fra i quali il pi grave fu senza dubbio quello messo in luce dal Baumgartner -), per cui essendosi abusivamente trasportata la teoria del giudizio dal dominio logico al dominio metafisico si dato luogo ad una falsa interpretazione della teoria ilemorfica, che fu poi motivi di tante incertezze ed errori.

1) Aristotele in tutto citato tre volte dal vescovo d'lppona, che nel D e c i v i t a t e D e i , (Vili. 12) lo chiama: v i r e x c e l l e n t i s i n g e n i i . 2) V . B A U M G A R T N E R , D i e P h i l o s o p h i e des A l a n u s de I n s u l i s (Bei}rage zur Geschichte der Phil. d. Mittelalters II, 4). Munster 1896, pag. 57 e sgg.

AL

SORGERE D E L L A S C O L A S T I C A

143

Intanto vediamo che in Alenino ), il grande interprete ed esecutore delle riforme pedagogiche escogitate dal genio di Carlo Magno in quella fresca primavera di rinascenza attuatasi nella sua corte, nella sua opera D e d i a l e c t i c a e nella sua G r a m m a t i c a nulla si trova che non si possa gi rintracciare nelle opere di Boezio, di Cassiodoro, ed anche di Isidoro di Siviglia, il quale per quanto cos poco nei suoi 20 libri delle O r i g i n i od E t i m o l o g i e , ragioni intorno a questioni di logica, di dialettica, e di linguistica, pure abbastanza chiaramente dimostra tutto F indirizzo tradizionale aristotelico da lui seguito anche per tali questioni. Le differenze, per esempio, nella dialettica tra Platone ed Aristotele sono da lui ben notate, come trasparente la sua preferenza per quest' ultimo ).
4 2

Riportiamo di S. Isidoro questo passo solo, che pressapoco si trova riprodotto poi anche in A l c u i no ) : N o m e n d i c t u m quasi n o t a m e n quod nobis vocabulo res notas efficiat, nisi enim n o m e n scieris, c o g n i t i o r e r u m p e r i t , concetto questo che troviamo oltre che in Alcuino, come si detto, anche in Fredegiso, scolaro di Alcuino, laddove dice : omne n o men finctum a l i q u i d s i g n i f i c a t , u t homo, lapis, l i g n u m : haec e n i m u b i d i e t a f u e r u n t s i m u l res quas significant intelligimus ) . Parrebbe a prima vista di trovarci qui davanti
4

Cfr.

WULF,

op.

cit., lib. cit.,

pag. Voi.

144. li, 22. pag. 17. Il, Leipzig. 1861,

2) I S I D O R O , Origini, 3) Cfr. P R A N T L , op.

I, 1 ; I, 7;

144

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

ad una derivazione platonica ) a base di rapporto di natura tra nome e cosa nominata, ma ci non ; il fatto che, detto un nome, noi veniamo a conoscere la cosa che con esso viene significato, s' accorda infatti benissimo anche colla teoria fondamentale di Aristotele che nessun rapporto di natura vi tra quello o questa, trattandosi solo di un rapporto stabile o per convenzione o per abitudine, tanto pi che Fredegiso ha quel finctum, il quale lascia nessun dubbio in proposito ; per Platone infatti e per i suoi seguaci, gli Stoici, Filone, Eunomio, i nomi non si possono in alcun modo chiamare fincta , cio foggiati od inventati dall' uomo, giacch essi sarebbero posti dai pi abili, dai pi periti, da quelli cio, che avendo meglio studiate le singole cose ne hanno visto meglio la natura, e per ci da questa, come da un elemento oggettivo, spillato, per cos dire, il nome.
l

Una deviazione invece, per quanto fugace, dall' indirizzo peripatetico preponderante, come si detto, in quei tempi nel campo della logica, troviamo in Scoto Erigena. Non qui il luogo di mostrare tutta la grande influenza che F Erigena ha esercitato sullo svolgimento del pensiero filosofico medievale ulteriore. Egli che per il primo in pieno secolo IX colla sua opera principale D e d i v i s i o n e n a t u r a e ha saputo elaborare una sintesi completa di filosofia, fu

1) Ricordiamo a questo proposito l'insegnameuto, evidentemente d' origine platonica, di S. Isidoro sull' esilit dell' /, di cui gi si parlato. (Cfr. del nostro lavoro, cap. Ili, pag. 85).

NEL

PENSIERO DI S C O T O ERIGENA

145

senza dubbio il padre di tutto quel fermento razionalistico-mistico, che gemmazione del Neoplatonismo antico si and fissando secondo le due traiettorie del Panteismo e dell' Emanatismo. A noi basti qui ricordare come 1' Erigena, il quale la propria speculazione cominci ad esercitare commentando le opere del pseudo Dionigi, di cui papa Paolo I aveva inviato un esemplare a Pipino di Francia, da esse ritrasse tutto F andamento largo e maestoso del suo filosofeggiare, diventando e rimanendo poi sempre un neoplatonico convinto, per quanto le sue dottrine cercasse mai sempre di conciliare coi dogmi della Chiesa, e coi dettami delle Scritture, non dubitando per di tormentar queste sotto le audacie di interpretazioni allegoriche per addattarle alle proprie dottrine, come, per esempio, egli ha fatto a proposito della creazione del mondo, che, secondo il suo concetto, doveva invece essere stato ed essere ancora una creazione fatta da Dio di se stesso nelF universo tutto. evidente che con tali liberi ed arditi intendimenti mal si potevano conciliare le strettoie a cui la tradizione aveva ridotta la logica e la dialettica di Aristotele : F interpretazione che della natura della parola aveva dato Platone molto meglio s' accordava coi fondamenti di tutta la sua speculazione, ed infatti ad essa egli ader, ed sua, per esempio, la sentenza : ci che noi conosciamo nelle parole necessario che noi conosciamo anche nelle cose da esse significate': quod de n o m i n i b u s cognoscimus necessarium est u t in his rebus quae ab eis s i g n i f l -

146

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

c a n t u r cognoscamus ), in cui evidente F affermazione di un rapporto di natura tra nome e cosa significata ; dall' Erigena, per esempio, conservata la derivazione areopagitica di frs? da 0-to, io corro, fatta collo scopo di mostrare che veramente la divinit corre nelle viscere del mondo, sicch questo non che una vasta ondulazione del divenire d i vino. Anche laddove ~) f Erigena fa F elogio della grammatica e della retorica, descritte v a l u t i quaedam m e m b r a d i a l e c t i c a e , tiene alta F estimazione filosofica s dell' una come dell' altra, in quanto le concepisce sempre in relazione ad r e r u m n a t u r a r t i , sicch trattando di esse gli argomenti devono appunto esser tratti ex r e r u m n a t u r a . Le stesse definizioni che 1' Erigena d della grammatica e della retorica ) e della dialettica ) , i rapporti tra nomi e cose indicati anche dalle seguenti sue parole ) : n o m i n a opposita e regione sibi alia n o m i n a respiciunt, necessario e t i a m res quae p r o p r i e eis signifcantur, oppositas sibi contrarietales obtinere intelliguntur, i raffronti tra i cos detti n o m i n a l u c i s colle species r e r u m v i s i b i l e s ed i n t e l l i g i b i l e s ed i n o m i n a tenebrar u m colle cause omnem sensum et i n t e l l e c t u m super a n t e s ) , tutti insomma gli accenni ad una speculazione qualsiasi sul linguaggio rivelano nell' E r i J 3 4 5 6

1) S C O T O E R I G E N A , De 2) S C O T O E R I G E N A , 3) S C O T O E R I G E N A , 4) S C O T O E R I G E N A , 5) S C O T O E R I G E N A , 6) S C O T O E R I G E N A ,

divisione

naturae,

I, V, V, l, ili,

14. 4. 4. 14. 29.

I, 7 .

LA

Q U E S T I O N E DEGLI

UNIVERSALI

147

gena un largo senso d'interpretazione platonica a proposito della natura dei nomi e dei loro rapporti alle cose. L ' Erigena ebbe, come noto, una grandissima importanza nella storia della filosofia per il fatto d' aver egli, partendo dal suo concetto fondamentale dell' identificazione dei gradi dell' astrazione coi gradi dell' intelligenza ), rimessa, per cos dire, all' ordine del giorno quella questione degli universali, che se idealmente risale a Platone ed ad Aristotele, storicamente si inizia da un passo dell' Isagoge di Porfirio. Anche qui dobbiamo intenderci ; vi furono degli autori quali 1' Haureau ed il Taine che tutta la Scolastica vorrebbero ridurre ad una disputa continua ed ininterrotta intorno agli universali, ora ci non vero, per quanto la lotta sia stata combattuta strenuamente da una parte e dall' altra da realisti, concettualisti e nominalisti, i quali talvolta offrivano di s uno spettacolo, che pot strappare sorrisi ad uomini relativamente spregiudicati come Giovanni di Salisbury ). Noi non possiamo certo seguire tutte le movenze assunte in relazione a tempi ed a luoghi d i versi da tale contesa, dovendoci solo accontentare di mettere in evidenza le relazioni necessarie che il problema degli universali doveva avere ed ha avuto di fatto colla speculazione sui nomi.
L 2

0 Cfr. in proposito U E B E R W E G S , G r u n d r i s s etc,


2) GIOVANNI DI S A L I S B U R Y , Policraticus, lib.

Voi. II pag.
cap. 12.

139.

VII,

(IOAN-

NIS SARESBERIENSIS, O p e r a , Lugduni Batavorum, 1595, pag,

385).

148

LA FILOSOFIA D E L L I N G U A G G I O

Anzitutto notiamo il fatto che la questione, di cui stiamo parlando, nata appunto sul terreno della logica, da cui a poco a poco arrivata a quello psicologico, per invadere finalmente quello metafisico, dove solo poteva avere una soluzione adeguata ; ricordiamo i precedenti storici : Porfirio si era domandato : i generi e le specie esistono nella natura, o non sussistono che in pure costruzioni dello spirito ? Dato che essi sieno delle cose, sono esse corporee od incorporee ? Esistono essi fuori degli esseri sensibili o sono realizzati in esse ) ? evidente che la domanda fondamentale la prima r i guardante appunto 1' obbiettivit dei generi e delle specie, che in fondo non sono che gli oggetti dei nostri concetti , produzione questi della nostra facolt astrattiva, i di cui risultati noi fissiamo appunto coi termini del nostro linguaggio. Se noi infatti non avessimo questi, noi saremmo sempre daccapo, ed inutile sarebbe tutto il lavoro logico dello spirito nostro, come sarebbe inutile, per usare alcune note similitudini dell' Hamilton, quello di chi volesse scavare una galleria nella sabbia senza sostenere con sostegni la parte di scavo gi composta, o di chi volesse penetrare in un paese avversario da conquistare, senza assicurarsi alle spalle le conquiste gi fatte con opportune fortezze.
L

0 Ecco le parole di Porfirio : M o x de generibus e t speciebus illud q u i d e m sive subsistant, sive i n n u d i s i n t e l l e c t i b u s p o s i t a sint, sive s u b s i s t e n t i a c o r p o r a l i a s i n t a n i n c o r p o r a l i a , et u t r u m s e p a r a t a a sensibil i b u s a n insensibilbus p o s i t a e t c i r c a haec c o n s i s t e n t i a , dicere recu s a b o . (Cfr. B O E T H I I , O p e r a , Basilea 1579., pag. 53).

LA

Q U E S T I O N E DEGLI

UNIVERSALI

149

Boezio ne' suoi commentarii all' Isagoge di Porfirio non seppe dare alle domande del filosofo neoplatonico che risposte poco coerenti e poco precise, e cos la questione si trascin rimanendo sempre sott<5 la forma : gli oggetti dei nostri concetti esistono nella natura ( s a b s i s t e n t i a ) , o si riducono a delle pure astrazioni ( n u d a i n t e l l e c t a ) ? Sono si o no delle cose ) ? Quante e quali furono la risposte ? Il Mercier, a tale riguardo nella sua C r i t e r i o l o g i a generale ) dice che esse furone quattro : abbiamo prima i l Realismo esagerato, copia di queir antico di Platone, secondo il quale vi armonia tra concetto e realt oggettiva, la quale quindi esiste nello stesso stato di universalit che riveste la realt pensata : a l l ' e stremo opposto vi il Nominalismo, il quale al contrario del Realismo ad oltranza, il quale s o g n il mondo reale secondo gli attributi del mondo pensato, modell il pensiero sulle cose esteriori, negando perci 1' esistenza dei concetti universali, e rifiutando all' intelletto il potere di dar ad essi origine. In mezzo a tali due estremi sta : 1 il Concettualismo, che ammette 1' esistenza ed il valore ideale dei concetti universali, non il valore loro reale ; i concetti hanno per termini mentali oggetti uni versai [(oggettivit i d e a l e ) , ma noi non sappiamo se essi hanno un fondamento al di fuori di noi, e se nella natura gli individui posseggono distributivamente (oggettivit reale,
{

1) Cfr. LOEWE, K a m p f z w i s c h e n R e a l i s t n u s a n d Nominalismus i n M i t t e l a l t e r , Prag 1876. pag. 30. 2) D . M E R C I E R , C r i t e r i o l o g i e g e n e r a l e , Louvain, 1900, pag. 300 et sgg.

150

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

l'essenza che noi concepiamo come realizzate in ciascuno d' essi ; II il Realismo moderato, aristotelico, o tomista, che ammette il valore ideale, ed il valore reale del concetto : le cose, usiamo ancora le parole del Mercier, sono particolari, ma noi abbiamo il potere di rappresentarcele astrattamente ; ora il tipo astratto, quando l'intelligenza lo scorge per riflessione e lo mette in rapporto coi soggetti particolari in cui esso realizzabile, attribuibile a ciascuno d'essi ed a tutti : quest' applicabilit del tipo a stratto agli individui la sua universalit.
0

Tali sono le quattro risposte alle domande formulate da Porfirio in un trattato di Logica, come appunto l ' I s a g o g e . Il W u l f ) dice che il Realismo assoluto contro il buon senso, ed vero, esso per aveva avuto uno splendido campione in P l a tone ; d' altra parte ricordiamo che 1' esemplarismo agostiniano nella sua forma primitiva gi gi fino alla species i n t e l l i g i b i l e s da S. Bonaventura e da S. Tommaso ammesse negli angeli, ) alla r a t i o n e s seminales ammesse da S. Tommaso stesso era una grande concessione fatta all' antica teoria idealogica di Platone : ben pi strana a noi appare invece la r i sposta nominalistica, e non solo a noi, ma anche ad altri, i quali messisi a giudicare di essa sul terreno storico hanno potuto convincersi che in realt non mai esistita nell' et di mezzo una scuola di filosofia, la quale si sia formata e raggruppata in] 2

1) W U L F ,

op.

cit.

pag.

162.

2) Cfr. in proposito : P . R O T T A , L a c o s c i e n z a r e l i g i o s a A n g e l o l o g i a , Torino 1908, pag. 74.

medievale,

LA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI

151

torno ad una tesi cos inetta, quale poteva esser quella, secondo cui V universale non che una r i sonanza dell' aria, il soffio materiale della voce, f l a t u s vocis ) . Comunque per sia di ci resta un fatto che tutta la contesa degli universali si iniziata e per non poco si svolta su terreno grammaticale logico e non avrebbe potuto esser diverso : tutta la questione infatti stava nel decidere quale doveva essere il contenuto per i singoli nomi, concepiti con simboli necessari dei singoli concetti. Considerata anzi sotto questo punto di vista, noi possiamo dire che taie lotta rappresenta lo svolgimento di uno dei capitoli pi interessanti di qualsiasi filosofia del l n guaggio. noto che si discusso a lungo se prima tra gli uomini abbiano avuto corso i nomi comuni o non piuttosto i nomi proprii ; Adamo Smith nella sua T e o r i a dei s e n t i m e n t i m o r a l i ) ha sostenuto che prima ci devono essere stati nomi proprii, cio nomi individuali, il Leibniz invece pensava il contrario, pr a x i o m a t e habens, sono le sue stesse parole, o m n i a n o m i n a quae vocamus propria aliquando appellativa fuisse, alioquin ratione nulla costarent. ) Questa opinione fu validamente^ difesa in tempi a
1
; 2

:$

0 C i r : GROEBER, G r u n d r i s s d. r o m a n . P h i l o l . , II, pag. 559, n. 1, dove si riporta in proposito l'opinione del Windelband. 2) Cfr. D U G A L D - S T E W A R T , lcments de l a P h i l o s o p h i e de V E s p r i , h u m a i n , Paris 1845, voi. Ili, pag. 21. 3) L'opinione del Leibniz riportata pure dal Dugald - Stewart (loc. cit).

152

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

noi pi vicini dal M a x Mller ') dal Rosmini ) , dal Darmesteter ) dallo Z o p p i ) , 1' opinione dello Smith fu recentemente difesa, per quanto in parte modificata, dal Fonsegrive ). Una tale questione non fu per nulla direttamente posta in tempi antichi, per quanto, secondo il Giussani ) 1' opinione che ogni nome in origine sia stato un predicato, e quindi ogni nome proprio sia stato comune, il presupposto necessario di tutta la discussione quale si svolta nel C r a t i l o di Platone. NelP et di mezzo se tale questione non fu posta sotto il suo aspetto storico fu per, per cos dire, coinvolta nel problema pi largo e generale degli universali. Prima di decidere cio se prima ci furono i nomi generali, i nomi cio che possono corrispondere ad una serie estesa di cose, che per la loro eguaglianza logica in ordine a comprensione ed estensione possono essere comprese in un solo concetto, e quindi essere espresse con un termine solo, o se non piuttosto prima ci furono i nomi particolari, nomi cio che possono corrispondere ad un individuo solo, era necessario risolvere la questione pregiudiziale : il genere e la specie esistono poi come qualche cosa di reale fuori di noi, o esi2 3 4 5 6

1) M A Y M U E L L E R , The science o f T h o u g h t , London 1887, pag. 432. 2) C f r . G . MORANDO, Corso d i F i l o s o f i a , voi. I, Milano 1898, pag. 225, sgg. 3) H . D A R M E S T E T E R , L a v i e des m o t s , Paris 1887, pag. 41. 4) Z O P P I , op. cit., pag. 166, 167. 5) G . F O N S E G R I V E , lements de Philosophie, voi. I, Paris 1890

pag.

243. 6) C. GIUSSANI, op. cit., pag. HO.

E LA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI

153

stono solo come qualche cosa allo stato ideale dentro di noi o non esistono affatto, o sono semplicemente flatus vocis ? Per il Nominalismo, per esempio, non avrebbe potuto aver valore che la tesi difesa poi dallo Smith, giacche come si sarebbe potuto parlare di nomi comuni, quando si negava per fino 1' esistenza dei .concetti universali ? evidentemente quelli non sarebbero stati in tal caso che etichette sopra dei recipienti vuoti. Per il Realismo invece le cose sarebbero andate ben diversamente, e le modalit stesse della speculazione di Platone ne sono una prova. La tesi, sostenuta poi dal Leibniz, ha detto, come si visto, il Giussani, il presupposto del C r a t i l o platonico, noi possiamo aggiungere che essa il presupposto di qualsiasi soluzione realistica, ed anche solo concettualistica della questione degli universali. Una volta infatti che si ammetta il concetto, e lo si ammetta come produzione della facolt astraente dello spirito nostro in rapporto a reali caratteri di somiglianza tra le diverse serie delle cose, una volta che tale concetto lo si creda applicabile non d i ciamo ai tipi delle cose relativamente esistenti, come avrebbe potuto dare un Realismo qualunque ad oltranza, ma lo si creda applicabile agli individui stessi in quanto in questo lo spirito riscontra quel tanto di comprensione con cui per astrazione ha plasmato il loro tipo ideale, quando tutto questo si ammetta secondo i dati di un semplice Realismo moderato, allora, e solo allora, la parola avr tutta la sua importanza e tutto il suo valore, allora e solo allora essa sar etichetta di quei recipienti di

154

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

cui tutti conosceranno il contenuto, allora e solo allora il linguaggio sar veramente il complesso di quelle tessere che son utili e necessarie per il commercio degli animi. In caso contrario la parola non sar pi termine fisso di un lavoro comune coerente ed omogeneo, ma sebbene semplice descrizione fugace che colla cosa, a cui sar momentaneamente applicata, dovr scomparire nel caos dell' indistinto infinito, sicch tutti allora ci troveremmo nel caso del Sofista greco, il quale ebbe la bizzarria di porre ad un suo schiavo un nome nuovo chiamandolo n e p p u r e , e se ne vantava credendo cos di aver dimostrato che ogni parola potesse diventare significativa ad arbitrio, senza capire, nota il celebre linguista M a x Muller, che con quel n e p p u r e poteva benissimo chiamare un dato individuo, ma che mai quel nome avrebbe potuto istituire il nome comune schiavo , perch questo era gi ormai tradizional termine di un dato concetto, sicch facendo quella sostituzione nessuno pi V avrebbe inteso, perch si sarebbe tagliato il ponte, su cui era possibile la comunicazione tra gli uomini di quella bricciola di sapere raccolta amorosamente nel seno di quel dato concetto. Queste sono le ragioni di ordine logico per cui noi crediamo conglobata nella questione degli universali anche un grande problema di filosofia del linguaggio, nel che andiamo d' accordo col Croce il quale pure crede che in quella disputa secolare
l) B. C R O C E , op. cit., pag. 178.

LA QUESTIONE DEGLI UNIVERSALI

155

non si pot non toccare in qualche modo la relazione tra il verbo e la carne, tra il pensiero e la parola. Certo si che ben diverso sarebbe stato lo svolgimento di tutta la contesa, che, nata su terreno logico, sopra di questo rimase per tanto tempo, se oltre che F O r g a n o n dello Stagirita si fossero presto conosciute anche quelle altre sue o pere, in cui egli, integrando la metafisica di Eraclito con quella di Parmenide, scioglie la questione dei rapporti tra individuale ed universale in quel modo che fu uno dei punti specifici e caratteristici di tutto quanto il Peripatetismo. Ed ora da tali considerazioni d'indole generale veniamo a vedere un po' pi da vicino qualcuno di questi autori che si sono gettati nella disputa, e ci allo scopo di avere la contropprova di tutto quanto abbiamo poco sempre affermato. Gi si discorso di Fridigiso, uno dei primi campioni del Realismo, a cui tosto s' aggiunsero, per non citare che i principali, Remigio d' Auxerre, Gerberto, Fulberto, fondatore della scuola di Chartres, Oddone di Tournai, scrittori tutti di logica e di dialettica : trattarono essi qualche volta anche di metafisica, ma in modo frammentario, rivolgendo tutto.l'acume della loro speculazione a quelle questioni di logica, in cui, trattandosi dei concetti e dei giudizii, tosto si ingenerava F addentellato per discutere intorno a l l ' oggettivit di quelli, che essi, come realisti, ammettevano assicurando cos non solo il contenuto ideale, ma anche reale della parola in quanto manifestazione di concetti.

156

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

E cos accadde anche nell' altro campo, cio in quello degli antirealisti, i quali, badiamo bene, quando del dilemma di Porfirio si attaccarono alla seconda parte dicendo che gli universali non sono gi delle cose realizzate allo stato universale nella natura, ma solo pure costruzioni dello spirito ( n u d a i n t e l l e d a ) , cio astrazioni verbali, non vollero gi prendere posizione in quel Nominalismo di cui si parlato prima, il quale molto probabilmente stato pi una finzione posteriore fatta quasi per una ragione di contrasto al Realismo ad oltranza, che un reale sistema di una determinata scuola. L ' Antirealismo ebbe piuttosto un carattere negativo, cio esso fu negazione dell' esistenza di una realt universale, solo pi tardi esso affront direttamente il vero problema, che era al di sopra del dilemma di Porfirio, a cui troppo ligia si tenne la speculazione degli universali nei primi secoli, cio il modo con cui si potevano conciliare in motivi pi larghi e profondi la sostanzialit degli- esseri individuali, i soli esistenti, e l'esistenza in noi di concetti universali. Per i primi secoli, in altri termini, gli antirealisti si accontentarono di ammettere i concetti anche universali, concetti eh' essi chiamano n o m i di cui riconobbero tutta l'importanza in quante espressioni rigide delle astrazioni umane ; ed strano che giudicando le cose e risolvendo la questione, che tanto allora affaticava le menti da un tal punto di vista, non avessero sentito anche il bisogno di approfondire anche la natura di tali nomi, le loro origini, il loro significato, di fare cio anche un po' di filosofia del

LA Q U E S T I O N E DEGLI UNIVERSALI

157

linguaggio, dato appunto che col linguaggio si potevano fissare quei termini, a cui corrispondeva, come contenuto, il solo esistente nella grande economa del tutto ! Invece questo non avvenne ; anche in antirealisti come Rabano Mauro ed Heiric d'Auxerre, scrittori anche questi soprattutto di logica e di dialettica secondo il solito indirizzo di Aristotele, P o r firio e Boezio, nessuna traccia noi troviamo di un pensiero nuovo intorno al linguaggio. In Heiric troviamo, vero, un passo in cui ben si distinguono i tre elementi, q u i b u s o m n i s c o l l o c u t i o d i s p u t a t i o q u e p e r f i c i t u r , e cio : res, i n t e l l e c t u s , et voces : res s u n t quas a n i m i r a t i o n e p e r c i p i m u s , i n t e l l e c t u s vero quo ipsas res a d d i s c i m u s , voces q u i b u s quod i n t e l l e c t u c a p i m u s s i g n i f i c a m u s . Come si vede siamo qui ancora alle medesime distinzioni gi stabilite da Boezio. P o i Heiric aggiunge : Praeter haec a u t e m t r i a est a l i u d quoddam quod s i g n i f i c a t voces, hoc est litterae, h a r u m enim scriptio vocum significano est. Rem c o n c i p i t i n t e l l e c t u s , i n t e l l e c t u m voces designant, voces autem litterae significant. Rursus h o r u m quatt u o r d u o s u n t n a t u r a l i a , i d est et res et i n t e l l e c t u s , d u o s e c u n d u m p o s i t i o n e m h o m i n u n , hoc est voces et l i t terae il quale ultimo rilievo richiama evidentemente tutto quanto Boezio" aveva ripetutamente scritto a suffragio della teoria aristotelica della pos i i i o n o m i n u m s e c u n d u m h o m i n i s p l a c i t u m . Eppur'e doveva essere cos spontaneo il problema dell' ori-

1) P R A N T L , op.

cit.,

voi.

II,

pag.

41.

158

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

gine e della natura dei nomi stessi per chi come Heiric d' Auxerre credeva che con essi si esprimevano i concetti universali, gli unici esistenti nel campo dell' universalit ! eppure date le res e l ' i n t e l l e c t u s , come cose naturali, doveva essere cos spontanea l'investigazione intorno a l l ' essenziale u nit del linguaggio siccome segno degli umani concetti, intorno alle istintive espressioni dei bruti ed intorno ai rapporti di quello colle cose stesse e colla verit ! Ed invece tutto ci non fu sentito n da Rabano Mauro, n da Heiric d' Auxerre, n da Roscellino, il quale pure, secondo di contemporaneo suo Ottone di Frisinga : p r i m u s n o s t r i s t e m p o r i b u s sententiam vocum instituit ' ) . noto che Roscellino pass sempre come il rappresentante genuino del pi puro e perci del pi netto Nominalismo, ora, secondo le felici induzioni del Wulf, anche tale luogo comune delle solite storie della filosofia si deve credere n pi n meno che una leggenda, giacch il fatto si c h e ' e g l i ha lasciato troppo poco dell'opera sua, " perch noi possiamo questo poco interpretare nel modo voluto ed imposto dalla tradizione. D i lui infatti abbiamo solo una lettera indirizzata ad Abelardo e poi parecchi passi che a lui si riferiscono nelle opere di S. Anselmo, Abelardo, Giovanni di Salisbury, i quali tutti affermavano che per Roscellino i generi e le specie non sono che voces . Come si deve interpretare quel voces ? Forse nel
1) W U L F , op. cit., pag. 171.

NEL

PENSIERO DI S. A N S E L M O

159

senso voluto da un Nominalismo puro,, per cui le voces non possono gi esser termine del concetto, e cio di un pensato universale ? Il Wulf non crede che si deve interpretare cos il s e n t e n t i a v o c u m , di cui parla Ottone di Frisinga, noi crediamo che egli abbia perfettamente ragione appoggiandoci anche sopra quanto troviamo in S. Anselmo *), in cui si dice che per negare F esistenza del colore a l l ' infuori degli oggetti Roscellino diceva che il colore sta agli oggetti come la saggezza sta a l l ' anima, in cui se vero che si tende ad affermare la realt dell' individuale c' per anche manifesta la necessit mentale di un substrato, a cui far aderire nelF intelletto ci che appunto individuale. In pi spirabil aer per ci che riguarda il nostro argomento veniamo con S. Anselmo. Fu questo un pensatore davvero insigne nella collana degli scrittori cristiani dell' et di mezzo, e se la sua fama per i pi si trova specialmente attaccata alla formula credo u t i n i e l l i g a m ) , che in linea storica da S. Anselmo fu applicata esclusivamente a questioni teologiche, mentre pur concetto di lui che anche la ragione una sorgente indipendente e propria di sapere, d' onde il suo grande rispetto per la dialettica ) , in realta egli, seguace del luminoso pensiero di S. Agostino ) , fu il primo che
2 3 4

1) S . A N S E L M O , D e F i d e
2) S. A N S E L M O , Proslogium, 3) Cfr.

T r i n i t a t i s , II.
cap. I. cit., pag. 135.

D O M E T D E V O R G E S , op.

4) Lo dice S . Anselmo stesso nella prefazione al M o n o l o g i u m : N i h i l p o t i l i i n v e n i r e me d i d i c i s s e quod n o n c a t h o l i c o r u m p a t r u m e t m a x i m e b e a t i S. A u g u s t i n i s c r i p t i s c o h a e r e a t .

160

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

seppe sul terreno dell' ortodossia scolastica dar corpo alla prima sintesi filosofica, che fosse reazione sapiente alla sintesi antiscolastica ed in non piccola parte eterodossa di Scoto Erigena. S. Anselmo per ci che riguarda la questione degli universali si decise per il Realismo, un Realismo pieno e completo che talvolta nel M o n o l o g i o si manifesta con forinole tali da far sospettare quasi un Panteismo. Partendo da un tale punto di vista S. Anselmo ha visto il nesso che si poteva filosoficamente stabilire tra la questione degli universali e la filosofia delle parole, anzitutto egli nel M o n o l o g i o pressapoco conformamente a quanto dir pi tardi Alberto Magno, fautore, come creatrice della parola dell'imaginazione, che per gli Scolastici poca differenza ha della memoria, stabilisce per quella cme origine la memoria ; in secondo luogo egli ha visto molto bene la questione del linguaggio sotto il suo aspetto psicologico ; la mente, egli dice, trae da se stessa 1' imagine di ci che pensa, imagine che naturalmente fatta a propria somiglianza, e che solo idealmente noi possiamo disgiungere dalla mente, che l'ha concepita ; tale imagine la parola della mente, e Y agitarsi ed il susseguirsi di tali parole ci che costituisce il linguaggio mentale ; su tale concetto S. A n selmo insiste molto a lungo : per esempio, egli dice, quando si pensa alcunch extra mentem, la parola mentale della cosa pensata non nasce gi dalla cosa stessa, ma sibbene dall' imagine della cosa, che gi nella memoria di chi in quel dato momento pensa, o che per il tramite dei sensi si trae allora

NEL

PENSIERO DI

S.

ANSELMO

161

dalla cosa reale fuori di noi ). Per il che, dice a l trove il santo, r e m i m a m t r i p l i c i t e r l o q u i possumus : 1) s e n s i b i l i t e r , usando di segni sensibili, 2) i n s e n s i b i l i t e r rivolgendo tra di noi tali segni, 3) nec s e n s i b i l i t e r , nec i n s e n s i b i l i t e r , rivolgendo tra di noi non gi i segni, ma le cose stesse, o per meglio dire le immagini delle cose quali la memoria ha in s, o quali i sensi ci vanno continuamente offrendo. D i queste tre specie di linguaggio, naturale soltanto la terza, inquantoch i suoi elementi sono uguali per tutti : tali parole naturali sono molto pi vere che non le altre non necessarie con cui noi ci esprimiamo, perch molto pi simili alle cose, di cui tentano di esser copia precisa ) . Come si vede qui siamo alla presenza di una profonda dottrina d' ordine psicologico per ci che riguarda la facolt del parlare nell' uomo : che cosa infatti essa ? non altro se non un' espressione estrinseca di ci che naturalmente avviene, in noi, in cui c' un vero linguaggio espressivo per immagini, cio per parole che sono vere immagini delle cose formate nel nostro pensiero.
2

In base a ci S. Anselmo affronta anche la questione gi discussa da Platone nel C r a t i l o sull' efficacia della parola, quale pronunciata, nel produrre la cognizione ; S. Anselmo nega, come gi Platone, una tale efficacia perch la cognizione pu nascer solo in noi dal linguaggio naturale

1) S. 2) S.

ANSELMO,

Monotogium,

cap. cap.

63. 10.

A N S E L M O , Monologium,

162

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

interno, non gi da quello artificiale esterno, nessun rapporto esiste infatti tra le parole del nostro discorso colle cose, mentre le parole mentali da una parte colle cose hanno un rapporto di natura, e dall' altra sono omogenee alla nostra stessa facolt conoscitiva, e non ci pu essere cosa pensata da noi senza che abbia il suo corrispondente motto verbale, tantoch conclude S. Anselmo : T o t s u n t verba i n mente c o g i t a n t i s , q u o t s u n t res cogitatae E forse superfluo far osservare quanto bene una tale teoria psicologica di S. Anselmo s'accordi colla soluzione realistica da lui data del problema degli universali : sulla questione poi dell' efficacia della parola come mezzo di conoscenza il santo ritorna nel dialogo D e V e n t a t e ) , dove troviamo un passo di una certa importanza : II maestro in esso ha parlato della i c c t i t u d o e n u n c i a t i o n i s , ma il discepolo sente tosto una difficolt nascergli nella mente, quella difficolt cio che pi tardi, come vedremo, vedr e risolver anche Duns Scoto, e cio egli cos domanda al maestro suo : Video quod d i c i s , sed doce me q u i d respondere p o s s i m , si q u i s d i c a t q u i a e t i a m c u m o r a t i o s i g n i f i c a i esse quod n o n est, s i g n i f i c a i quod debet, p a r i t e r n a m q u e accepit s i g n i f i c a t e esse et quod est et quod n o n est, n a m si n o n accepisset s i g n i f i c a r e e t i a m quod n o n est, n o n i d s i g n i f i c a r e t , quare e t i a m c u m s i g n i f i c a i esse quod n o n
2

) S.

A N S E L M O , Monologium,

cap.

63.

2) S. A N S E L M O , D i a l . de v e n t a t e , cap. 2.

NEL

PENSIERO DI S.

ANSELMO

163

est, s i g n i f i c a t quod debet, ac si quod debet significando recto et v e r a est, s i c u t o s t e n d i s t i , v e r a est o r a t i o e t i a m c u m e n a n t i a t quod n o n est. A l che il maestro risponde : V e r a q u i d e m n o n solet d i c i c u m s i g n i f i c a t esse quod n o n est; v e r i t a t e m t a m e n et r e c t i i u d i n e m habet, q u i a f a c i t quod debet. Sed c u m s i g n i f i c a t quod est, d u p l i c i t e r f a c i t quod debet, q u o n i a m sig n i f i c a t et quod accepit s i g n i f i c a r e , et ad quod facta est, sed s e c u n d u m nane r e c t i t u d i n e m et v e r i t a t e m , qua s i g n i f i c a i esse quod est, u s t i recta est et v e r a d i c i t u r e n u n c i a t i o , n o n s e c u n d u m i l l a m , qua s i g n i f i c a t esse e t i a m quod n o n est. A l i a est i g i t u r r e c t i t u d o et v e r i t a s en u n c i a t i o n i s , q u i a s i g n i f i c a t ad quod significandum facta est, a l i a vero q u i a s i g n i f i c a t quod accepit sig n i f i c a r e , q u i p p e i s t a i m m u t a b i l i s est i p s i r a t i o n i , i l l a vero m u t a b i l i s . Come si vede, qui ancora, come gi si detto, 1' antica questione della giustezza dei nomi trattata da Platone, e da S. Anselmo lumeggiata sotto un aspetto nuovo cio sotto il suo aspetto logico ; c' era, come noto, la soluzione data da Aristotele, secondo cui la giustezza data dall' aggiunzione del verbo essere, riguardando verit e falsit non gi la parola, ma sibbene il giudizio. S. Anselmo invece riconosce una giustezza ne' nomi in questo senso : i nomi hanno comunque un significato, corrispondono essi quindi sempre ad una realt, perch corrispondono sempre ad un concetto, che , per quanto re.iit ideale, pur sempre qualche cosa di positivo. Pu darsi che a questa realt ideale corrisponda si o no una realt oggettiva fuori di noi,

164

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

e S. Anselmo nel suo Realismo ad oltranza era largo nelP ammettere una tale oggettivit ; quando una tale corrispondenza esiste tra concetto ed oggettivit, allora la parola pu veramente dirsi e retta e vera in doppio senso, prima di tutto perch significa ci che deve, in secondo luogo perch esprime ci che : quando invece tale corrispondenza non c' , la parola rimane pur sempre vera, perch serve sempre ad esprimere un concetto, negativo nelP ordine della realt. Tutto ci in modo molto incerto era stato veduto anche da Scoto Erigena ) , ma quanto pi chiaro ed esauriente la spiegazione in proposito di S.- Anselmo !
4

Anche il dialogo D e G r a m m a t i c o di S. Anselmo si svolge tutto intorno ad una questione di logica, perch in fondo non altro che una ricerca sottile intorno a comprensione ed estensione dei due concetti di uomo e di grammatico per metterne in evidenza le reciproche relazioni : osservazioni qua e l di una certa importanza non mancano anche in tale dialogo, che solo nei primi paragrafi a noi si presenta con carattere discretamente sofistico : pi avanti invece, per esempio ) , S. Anselmo viene a dichiarare che il nome esprime molto meno delle cose, il che dal lato logico perfettamente vero, perch il nome termine del concetto, ed esprime solo P essenziale, mentre le cose, essendo singole, oltre che quei caratteri essenziali, per cui esse sono quel
2

1) S C O T O E R I G E N A , De 2) S. A N S E L M O , De

div.

naturae, cap.

III.

5.

Grammatico,

XII.

NEL

PENSIERO DI S.

ANSELMO

165

che sono, hanno anche quelle parvenze specifiche, per cui sono diverse dalle altre della medesima specie ) . Altrove il nostro autore, ripigliando una distinzione gi fatta, come si visto, da S. G i o vanni di Damasco, divide e nomi e verbi in sostanziali, ed accidentali ), ed approfondisce tale distinzione *s da giungere a trattare delle categorie aristoteliche, a proposito delle quali s c r i v e ) : Sed q u o n i a m voces n o n s i g n i f i c a n t n i s i res, dicendo quid s i t quod voces s i g n i f i c e n t necesse est dicere quid s i n t . res. Come si vede abbiamo qui il riflesso di quella fiducia nella realt oggettiva che caratterizza il decalogo categorico di Aristotele in raffronto, per esempio, al tetralogo delle categorie Kantiane, espressioni delle forme a priori della mente nostra. A proposito finalmente della divisione fatta, come si visto, da Aristotele di nomi e verbi, basata, come poi in lungo e in largo ha spiegato Boezio, sul significare alcuna cosa sine tempore o cum t e m p o r e , S. Anselmo osserva che h o d i e r n u m a r i gor di termini dovrebbe appunto essere un verbo, appunto perch s i g n i f i c a t a l i q u i d c u m tempore ).
! 2 3

L ' andamento largo introdotto da S. Anselmo anche a proposito delle speculazioni sul linguaggio, fu tosto seguito da altri spiriti luminosi di quel

0 Ci confermato da S. Anselmo stesso, laddove dice che tutte le accidentalit sono della cosa e non del nome. Cfr. S. A N S E L M O , D e
Grammatico, 2) S. 3) S. 4) S. cap. ANSELMO, ANSELMO, XVII. Grammatico, cap. cap. cap. XV XVII. xm. A N S E L M O , De

166

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

giro di anni : notiamo prima fra essi Giovanni di Salisbury, che assurgendo dai secchi ed aridi studii della Grammatica, a cui molti si erano allora ridotti accontentandosi di analizzare pedestremente la grammatica di Prisciano ) , arriva ad una concezione larga e quasi umanistica del trivio e del quadrivio, da lui chiamati come le sette voci che conducono P anima nel santuario della scienza. Il di lui trattato M e t a l o g i c u s tutta una carica a fondo contro tali esseri chiusi ad ogni soffio geniale in riguardo agli studii della dialettica : egli restituisce alla logica il suo impero, ma vuole che non sia semplicemente un vano formalismo sterile ed esangue ~), essa necessaria perch la scienza formativa per eccellenza, appunto perch offre il miglior insegnamento al pensare ed al parlare, senza di cui ogni filosofia impossibile
1

Per ci che riguarda le sue dottrine logiche, egli si riferisce, e lo dichiara lui stesso, ad Aristotele ed a Porfirio ) in riguardo per al nostro argomento ha qualche osservazione di una certa importanza : dal lato filosofico Giovanni di Salisbury fu un realista moderato aristotelico : P analisi della conoscenza astratta ad un tale Realismo lo ha condotto ) ; ora partendo da un tal punto di vista egli ha capito tutta P efficacia del nome rispetto alle cose ;
4 5

1) Cfr. 2) Cfr. 3) 4) 5) Cfr. Cfr. Cfr.

G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , De G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y ,

septem

septenis, li, il, II, il. 9, 20.

cap. 10.

2.

G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , Metalogicus,

i l ; IV, 20,

17:

etc.

NEL

C O N C E T T U A L I S M O DI

ABELARDO

167

queste sono singole ed individue, ma il nome tale che pu invece convenire anche agli universali ( r e i n o m e n l a t i u s patet u t possit universalibus convenire '), 1' universalit per del nome possibile e sicura quando sia frutto di analisi di particolari, sia cio 1 * espressione dell' astrazione fatta dalla mente sulle parvenze singole delle singole cose, senza di cui anche 1' universalit non sarebbe possibile, e quindi non sarebbe possibile il concetto e col concetto il nome : ora la dialettica tende appunto a rendere manifesta la forza del discorso e delle parole, cio a mostrare il loro grado di universalit in rapporto alla singolarit delle cose realmente esistenti fuori di noi ) .
2

Opposto in certo qual senso a tale modo di concepire 1' universalit dei nomi quello indicato da Abelardo, secondo cui r universalit non sta gi nelle cose e nelle parole, ma sebbene nel discorso, il quale solo universale (sermo solus e s t p r a e d i c a b i l i s ) , quantunque cio i discorsi sieno composti di parole, pure non queste ma quelli si possono ritenere universali ).
3

Questa soluzione di Abelardo merita senza dubbio di essere approfondita, cio di essere messa in relazione ai fondamenti primi di quel sistema, che, da lui iniziato, ebbe nella storia del pensiero il nome di c o n c e t t u a l i s m o , bagliore primo di qualsiasi forma di criticismo ulteriore.
1) Cfr. 2) Cfr. G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , Metalogicus, G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , II, III, 20. 2.

3) Tutto ci si trova in un passo del Reinusat citato dal P R A N T L , op. cit., pag. 175).

168

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Per capir meglio ci che vogliamo spiegare riportiamo anche quest' altro passo di Abelardo : Neque e n i m s u b s t a n t i a specierum d i v e r s a est ab ess e n t i a i n d i v i d u o r u m , nec res i t a s i c u t v o c a b u l a d i versas esse c o n t i n g i t ), parole queste che confermano quanto abbiamo pi indietro affermato a proposito appunto di -concettualismo. Si affermato allora che secondo i concettualisti, ed Abelardo fu il pi illuminato di essi, esiste il valore ideale dei concetti universali, non esiste per, o per lo meno non si sa se esista il loro valore reale, cio se nella natura gli individui posseggano distributivamente 1' essenza che noi concepiamo come realizzata in ciascuno di essi. Le parole quindi, in quanto sono appunto denominazioni delle cose, non possono essere dotate di universalit, perch appunto sono 1' espressione psicologica di ci che non sappiamo se abbia in s tale universalit, quelle quindi non possono valere pi di quello di cui sono simbolo. Le parole per sono anche espressioni di concetto e come tali possono essere universali, ci vero, a patto per che esse s'intendano solo come qualche cosa di ideale, cio non si riferiscano alle cose, ma consumino la loro potenzialit entro di noi, nel nostro intelletto, in altri termini nei nostri giudizii, e quindi nel nostro discorso.
4

cos, a nostro credere, che si devono intendere le suesposte opinioni di Abelardo, ed cos che un' altra volta resta comprovato quanto l'inter1) Cfr. M . DE WULF, op. cit. pag. 204.

ED

I NUOVI

FERMENTI DI PENSIERO

169

pretazione filosofica del valore delle parole abbia seguito passo passo nell' et di mezzo le diverse soluzioni del problema degli universali. L ' altezza a cui la logica era stata portata per opera dei citati autori a cui potremmo aggiungere Gilberto della Porretta, integratore di Aristotele colla sua opera L i b e r sex p r i n c i p i o r u m e Thierry di Chartres, altro illuminato campione contro i Cornificiani, che nella storia della filosofia passarono nei secoli X I , e XII come i retrogradi della logica, perch verbalisti e sofisti, n u g i l o q u i ventlatores, come li chiama Giovanni di Salisbury, che li boll nel suo P o l y c r a t i c u s , dando loro il nome da un Cornificio ), che di quelli fu uno dei poco nobili rappresentanti, tale altezza, diciamo, non venne mai meno, specialmente quando in Occidente si venne a conoscenza delia speculazione bizantina orientale, e di quella degli Arabi, i quali con Avicenna e con A verro tanto impulso avevano dato alla logica, liberamente commentando Aristotele, s da portar quella nella sfera della speculazione viva, non lasciandola impaludare nella morta gora di un puro formalismo senza moto e senza risorsa !
2

Ormai intanto la questione degli universali a veva perduto il suo agreste sapore di novit : il Realismo ad oltranza ingenuamente inconseguente della prima met del secolo XII, per cui si attribu un' entit universale ai nostri concetti specifici e generici, senza per sottoscrivere a l l ' unit panteistica
1) G I O V A N N I DI S A L I S B U R Y , Polycraticus, VII, 12.

170

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

delle cose, che pur ne era una conseguenza logica, rappresent per breve tempo una delle tendenze preponderanti nella Scolastica, propriamente detta, la quale si trov cos sospinta fra le dottrine di Guglielmo di Champeaux, secondo cui 1' essenza u niversale unica ed identica in tutti i subordinati, in ciascuno dei quali quella contenuta secondo la totalit del suo essere, non essendo V individualit che una modificazione accidentale della sostanza specifica, e la specie un accidente dell' essenza generica e Vindifferentismo di Adelardo di Barth, secondo cui ogni esistenza individuale, ma'in ogni individuo si riscontrano insieme delle determinazioni che gli appartengono in proprio e costituiscono la sua qualit differenziale ( d i f f e r e n s ) e delle realt specifiche e generiche, che si ritrovano non differenti ( i n d i f f e r e n s ) negli altri individui subordinati al medesimo titolo di genere e di specie ; adunque il medesimo essere, che secondo il diverso punto di vista con cui lo si considera, chiamato individuo, specie e genere. tale dottrina, come si vede, un tentativo di conciliazione tra Platone ed Aristotele, alla quale Adelardo aveva potuto arrivare, partendo dalla considerazione appunto del come possono venir presi i nomi : ecco le parole di Adelardo : si res consideres, eidem essentiae et generis et speciei et i n d i v i d u i n o m i n a i m p o s i t a s u n t , sed respectu diverso );
2

vres

1) Tale dottrina fu combattuta da Abelardo. Cfr. VlCT. COUSIN, O e u indites de A b e l a r d , Paris 1839, pag. 513, 514. 2) H . WlLLNER, D a s A d e l a r d voti B a r t h T r a k t a t : D e eodem et dierso, Munster 1903, p^S- I L

E I NUOVI FERMENTI DI PENSIERO

171

dal che appare che siccome il medesimo nome pu esser preso in diversi significati, cio come nome di individuo, di specie, e di genere, e siccome sotto tale diverso aspetto, esso si pu applicare alle cose, queste sotto un certo punto di vista possono adunque essere nel medesimo momento ed individui, e specie, e genere, secondo appunto la dottrina poco sopra esposta. A sollevare il pensiero in sfera pi alta e pi feconda venne in Occidente nella seconda met del secolo XII e nella prima del XIII, la conoscenza di quasi tutte le opere di Aristotele, e dei commenti che di esse gi avevano fatto i pensatori arabi ) . Fu quello un fermento nuovo, che gettato in mezzo alla contesa di elementi diversi produsse ben tosto indirizzi nuovi non solo in ordine al pensiero filosofico, ma anche e forse pi in ordine al pensiero teologico.
l

Gi fin dal secolo IX alcune controversie avevano ingenerato nuovo impulso alla speculazione teologica in riguardo a suoi addentellati colla filosofia e specialmente colla questione degli universali : ricordiamo la questione sulla predestinazione e la l i bert sollevata dal monaco Gottschalc, combattuto a proposito del determinismo teologico da Rabano Mauro, e da Hinemaro di Rheims, quella della transsubstanziazione sollevata da Berengario di Tours, combattuto da Lanfranco di Pavia, quella finalmente

l) F . F I O R E N T I N O , op.

cit.,

pag.

318.

172

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

sulla Trinit sollevata da Roscellino, combattuta da S. Anselmo e da Abelardo insieme. Aggiungiamo a ci V indirizzo mistico di S. Bernardo e dei Vittorini, 1' atomismo di Guglielmo di Conches, il panteismo di Bernardo di Tours e di Almorico di Bena, il materialismo dei Catari e vedremo quanti elementi si erano gi in Occidente elaborati nel campo del pensiero riflesso, e quanta efficacia adunque avrebbe potuto esercitare sopra di esso il nuovo impulso aristotelico alla determinazione di nuovi indirizzi e di nuove traiettorie. Non per questo la logica e la dialettica vennero meno nella stima e nello studio di quei tempi : essa, secondo la concezione araba, divenne come V i n s t r u m e n t u m preliminare di ogni filosofia, costituendo di questa la prima parte, preceduta solo dalla s c i e n t i a l i t t e r a l i s o g r a m m a t i c a e dalle scientiae c i v i l e s : poetica e rectorica Ugo di S. Vittore pot intorno alle origini di quella discutere attribuendo il merito a Platone di avere istituito per il primo l o g i cam r a t i o n a l e m ~). Commenti* intorno al D e I n t e r pretatione di Aristotele si continuarono a scrivere, ad imitazione di quello che gi avevano fatto Boezio e di poi gli arabi ) ; ed in uno di essi, anonimo del secolo X I , di cui parla il Prantl ) , si trova
:; 4

0 Tale, per esempio, il compito attribuito alla logica da Domenico Gundissalinus, uno dei pi influenti precursori del Tomismo, e dei pi rimarchevoli traduttori di Aristotele, (Cfr. M . D E W U L F , op. cit., pag. 287).
2) P R A N T L , op. 3) P R A N T L , op. 4) P R A N T L , op. cit., cit., cit., Voi. Voi. Voi. II, II, II, pag. pag. pag. ili. 300. 204.

NEL D E I N T E R P R E T A T I O N E DI S. T O M M A S O

173

questa frase che per noi ha una certa importanza ; D u p l e x est s i g n i f i c a n o v o c u m , u n a q u i d e m de rebus, a l t e r a vero de i n t e l l e c t i b u s , la quale distinzione viene precisamente a mettere un' altra volta in luce il punto stesso fondamentale di tutta la questione degli universali, giacch il nucleo appunto della discussione stava appunto nello stabilire i l rapporto tra i due termini : res ed i n t e l l e c t u s , ai quali si poteva estendere il medesimo nome. Parafrasi del D e i n terpretatione scrisse Alberto Magno, ed un commento del medesimo S. Tommaso d' Aquino, anche per i l quale ) la logica continua ad essere la r a t i o n a l i s s c i e n t i a per antonomasia, come gi lo era Alberto Magno che la definisce s c i e n t i a sermocin a i is ) . S. Tommaso, pieno di foga ancor giovanile, del commento al D e I n t e r p r e t a t i o n e approfitta per trattare questioni ben superiori a quelli che aveva in tal libro trattato Aristotele, ed infatti non ostante il rabuffo solenne di Alberto Magno, che nella sua parafrasi al medesimo scritto aristotelico deplorava che di esso si approfittasse per discutere problemi es t r a n e i p u r e si discute di libero arbitrio ), dell ' influenza degli altri sulla condotta umana ), della Provvidenza ) e cos via. Ci non di meno qualche
l

fi

0 S. T O M M A S O , P o s t . A n a l y t . lib. I. cap. 2.
2) P R A N T L , op. cit., voi. Ili, pag. 9 1 . 3) A L B E R T O M A G N O , De interpretatione, 4) S . T O M M A S O , De interpretatione, 5) S . T O M M A S O , 6) S . T O M M A S O , lib. I, tract. V , cap. 7. lib. 1, cap. IX. lib. 1, cap. IX, sect. 14. lib. 1, cap. XI, sect. 15.

174

LA

FILOSOFIA D E L L I N G U A G G I O

cosa anche in tale commento noi troviamo che ci p u interessare ben davvicino : anzitutto S. Tommaso approfondisce la divisione tradizionale iniziata da A ristotele tra nome e verbo, dicendo che essa legittima per il fatto che con nomi e verbi si possono fare discorsi, il che impossibile colle pretese altre parti del discorso per quanto, considerando bene, anche i verbi si possono logicamente ridurre a nomi, q u i a i p s u m agere et p a t i est quaedam res ~). S. Tommaso parla ancora di quelli che sostennero e forse sostenevano tuttora P antica tesi accennata nel C r a t i l o , quod n o m i n a n a t u r a l i t e r s i g n i f i c a n t quasi n o m i n a s i n t n a t u r a l e s s i m i l i t u d i n e s r e r u m ) , il che P Aquinate naturalmente nega in modo assoluto )>
3 4

1) S. T O M M A S O , D e i n t e r p r e t a t i o n e , lib. I, cap. II, sect. I.


2) S. T O M M A S O , 3) S. T O M M A S O , lib. l , sect. V . lib. 1 , sect. IV.

4) Come si vede anche S. Tommaso, come la Scolastica in genere fu in massima favorevole alla dottrina Aristotelica d e W i m p o s i t i o n o m i n u m a d p l a c i t u m ; in contraddizione per a tale insegnamento sta 1' o pinione espressa da Dante colle parole n o m i n a s u n t c o n s e q u e n t i a r e r u m , ( V i t a n o v a , XIII). Il D' Ovidio a proposito di essa dice che nessuno ha saputo dire donde Dante, che pur la riferisce come opinione altrui, l'abbia presa; anche noi, per quante ricerche abbiamo fatto in proposito, non ci fu dato di scoprirne la fonte a meno che non si tratti di un ricordo impreciso del passo ultimamente citato di S. Tommaso, n cui un' opinione pressoch simile e citata per ragione di polemica. I\ D'Ovidio, (op. cit., pag. 486), cita un passo di Giovanni Salisburiense g i da noi ricordato altrove ( C a p . II, pag. 44), in cui c' espresso alcunch che col pensiero di Dante ha relazione non dubbia : dobbiamo dire per che ben altro si pu ricordare in proposito anzitutto, come si visto a suo luogo, se la Scolastica parteggi per la dottrina aristotelica, la Patristica fu piuttosto favorevole all' insegnamento contrario di Platone, secondo cui, per usare una frase efficace del Vico, il linguaggio trova il suo fondamento nella natura delle cose che esprime, sicch esso non altro se non un parlare delle cose. (Vico, op. cit. pag. 266) ; in secondo luogo alle negazioni esplicite di Boezio e degli altri gi fino a S.
1

NEL

DE I N T E R P R E T A T I O N E *

DI S. T O M M A S O

175

per quanto riconosca il valore oggettivo del significato dei nomi e dei verbi, perch quelli esprimono s u b s t a n t i a m ed i verbi significano a c t i o n e m vel passionem semper procedentem a re ) . Ribadisce egli un'altra volta la distinzione fra suono ( v o x ) naturale e nome imposto ex i n s t i t u t i o n e h u m a n a ~) e spiega come per le passiones (zy.d-r^j.za), di cui parla Aristotele, si devono intendere le conceptiones i n t e l l e c t u s , anzi aggiunge in proposito che Andronico di Rodi negava 1' autenticit dei D e i n t e p r e t a t i o n e per il fatto appunto che Aristotele chiama passiones ci che [invece c o n c e p t i o , od i n t e l l e c t u s , e cio il nostro concetto ) .
l
3

Per trovare per il trattato di logica che meglio riassuma le idee di quei tempi, perci che riguarda
Tommaso, Dante poteva forse conoscere le inclinazioni gi da noi considerate a suo luogo e di Scoto Erigena ed anche d! S. Anselmo ad ammettere un certo rapporto di convenienza necessaria tra le cose ed i loro nomi ; in fondo anche la r a t i o i n n o t e s c e n d i ammessa, come vedremo, da S. Bonaventura come terzo elemento nei nomi accanto alla voce, ed al significato, e tutto 1' indirizzo della speculazione del mistico di Bagnorea poteva essere impulso a spingere Dante ad accettare quella sentenza del n o m i n a s u n t c o n s e q u e n t i a r e r u m , a proposito della quale se noi non conosciamo la fonte, possiamo per conoscere abbastanza da quanto sopra si detto, i motivi della sua accettazione da parte di Dante. Del resto anche qui l'Alighieri non stato coerente a s stesso, come lo vedremo pi avanti anche per ci che riguarda 1' origine divina del linguaggio; in un passo infatti del D e V u l g a r i E l o q u i o , (lib. I, cap. 3), egli parla di s i g n i f i c a n o a d p l a c i t u m delle parole. Possiamo adunque concludere che se da una parte vero quanto dice il D' Ovidio (op. cit., pag. 493) che in Dante si assomma tutto quel che di pi e di meglio diede la speculazione linguistica medievale, dall' altra pur vero che in lui si trovano anche quelle discontinuit che in tale speculazione 1' et di mezzo ha segnato 1) S. T O M M A S O , D e i n t e r p r e t a t i o n e , lib. I, sect. I V . 2) S. T O M M A S O . lib. I, sect. V . 3) S. T O M M A S O , lib. I, sect. i l .

176

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

non solo la logica, ma anche il nostro argomento, dobbiamo arrivare alla S a m m i i l a e logicales di Pietro Ispano, cio di colui che, diventato poi G i o vanni XXI, ordin nei 1277 all' arcivescovo di Parigi di procedere ad uu' inchiesta sulle dottrine insegnate nelle scuole di quella citt, inchiesta da cui risult la condanna di ben 219 popolazioni, in cui, oltre che r Averroismo furono anche condannati alcuni degli insegnamenti del Tomismo, di quel sistema cio che meglio di ogni altro aveva saputo interpretare e ricreare l'antico Peripatetismo secondo l'esigenze della pi severa ortodossia. Nella S u m m i i l a e , diventato poscia il testo pi diffuso di logica, noi troviamo sistematicamente e sposto tutto ci, che, secondo i programmi dell' Universit di Parigi, si divideva in l o g i c a v e t u s , contenente le dottrine svolte dai libri logici di Porfirio, e di Boezio, l o g i c a n o v a , contenente le dottrine della Topica, degli Elenchi, degli Analitici di Aristotele, a cui si aggiunsero poi alcuni ulteriori svolgimenti che furono chiamati l o g i c a n o v i s s i m a *). Per ci che riguarda il nostro argomento Pietro Ispano si riferisce del tutto agli insegnamenti dello Stagirita : inizia egli infatti 1' opera sua dalla definizione di dialettica, di cui interpreta a suo modo il nome dicendo : D i c i t u r a u t e m d i a l e c t i c a a d i a , quod est d u o , et logos, quod est sermo et r a t i o , quasi d u o r u m sermo vel r a t i o , s c i l i c e t o p p o n e n t i s et
1) F R . U E B E R W E G S , G r u n d r i s s der G e s c h i c h t e der P h i l o s o p h i e , voi. 11, pag. 190, 301.

NELLE

S U M M U L A E DI

PIETRO

ISPANO

177

r e s p o n d e n t i s in d i s p u t a t i o n e poi continua : sed q u i a d i s p u t a t i o n o n potest haberi nisi mediante sermone, nec sermo n i s i m e d i a n t e voce, nec v o x n i s m e d i a n t e sono, ( o m n i s e n i m v o x est sermo) ideo a sono t a m q u a m a c o m m u n i o r i i n c h o a n d u m est. Data la definizione di suono, egli viene ad assumere questo come genere di cui una specie sarebbe la v o x , che definisce alla sua volta : sonus ab ore a n i m a l i s p r o l a t u s n a t u r a l i h u s i n s t r u m e n t i s f o r m a t u s . Coerentemente a quanto gi si sapeva, passato come un luogo comune nella tradizione patristica e scolastica come una derivazione degli antichi insegnamenti fisiologici di Aristotele e di Gallieno, Pietro Ispano parla appunto di tali strumenti della voce e, noti in tutto il resto del M . E . furono questi suoi distici, in cui di essi si parla : I n s f r u m e n t o novem sunt : guttur, lingua, palatimi, Q u a t t u o r et dentes, et d u o l a b i a s i m u l , oppure : I n s t r u m e n t a decem sunt: guttur, lingua, palatum, Q u a t t u o r et dentes, pariter duo labia p u l m o ) .
2

Delle voci alcune sono significative ed altre no, significativa est i l i o quae auditui nostro aliquid repraesentat, u t homo, equus, vel g e m i t u s i n f i r m o r u m q u i s i g n i f i c a t d o l o r e m , v o x n o n s i g n i f i c a t i v a est i l l a quae a u d i t u i n o s t r o n i h i l r e p r a e s e n t a n t u t b i t , ba, b o p ) ,
0 P E T R I HISPANI, S u m m u l a e logicales cum Vensorii Parisiensis e x p o s i t i o n e m , Venetiis 1622, Tract. 1, pag. 7. 2) Cfr. P R A N T L , op. cit., voi. I H , Leipzig 1867, pag. 41.
3) P E T R I H I S P A N I , op. cit., pag. 12.

178

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Ci detto, viene P autore a quest' altra distinzione ben pi importante per il nostro argomento : V o c u m s i g n i f i c a t i v a r u m a l i a s i g n i f i c a t n a t u r a l i t e r , a l i a ad p i a c i t u m : v o x s i g n i f i c a t i v a n a t u r a l i t e r est i l l a quae apud omnes homines i d e m repraesentat, u tlatratus canum et g e m i i u s i n f i r m o r u m , v o x s i g n i f i c a t i v a ad p l a c i t u m est i l l a quae ad v o l u n t a t e m p r i m i i n s t i t u e n t i s a l i q u i d repraesentat, u t homo, equus etc. Come si vede siamo qui ancora alla presenza dell' antica dottrina di Aristotele, del vocabolo s i gnificativo ad p l a c i t u m p r i m i i n s t i t u e n t i s , come pure gi acquisito alla tradizione era quanto possiamo leggere pi avanti : il nostro autore parla della d i visione delle voci significative, e dice : v o c u m sig n i f i c a t i v a r u m ad p l a c i t u m a l i a complexa u t ratio, a l i a i n c o m p l e x a , u t n o m e n et v e r b u m , il che vuol dire che alcuni suoni sono composti e sarebbero tra i significativi gli umani discorsi, altri invece sono semplici e sarebbero i nomi ed i verbi, non ammettendo Pietro Ispano altre parti semplici originarie essenziali del discorso all' infuori delle due indicate, n pi n meno di quello che gi abbiamo visto fatto da Aristotele, Boezio, S. Tommaso ed altri ; di Boezio anzi il nostro autore ripete quasi alla lettera gli insegnamenti in proposito colle parole: e t s c i e n d u m est quod d i a l e c t i c u s s o l u m p o n i t duas partes o r a t i o n i s s c i l i c e t n o m e n et v e r b u m , alias a u t e m omnes a p p e l l a i s y n c a t e g o r e m a t i v a s , idest c o n s i g n i f i c a t i v a s ) . Anche le definizioni di nome e di verbo sono le tradizionali tramandateci da A l

1) P E T R I

HISPANI, op.

cit.,

pag.

19.

LA

PRECISIONE

DEI

TERMINI

179

ristotele, colla differenza specifica tra quello e questo del c u m tempore et sine t e m p o r e , gi da noi spiegata a suo luogo parlando appunto di Boezio ; dopo di che Pietro Ispano entra direttamente nel campo della logica, nel quale proprio inutile che noi lo seguiamo. In quel frattempo intanto si era acuito il desiderio della pi grande precisione possibile nelP uso dei termini da usarsi s in filosofia che in teologia. Gi nella logica bizantina massima era stata la cura della cos detta propriet dei termini ) ; in Occidente di una tale precisione gi aveva parlato Boezio nel suo trattato D e d u a b i i s a n i m i s e S. Anselmo verso la fine del suo Monologami ; S. Bonaventura di essa esprime tutta l'importanza a proposito della teologia *), Lambert d'Auxerre di essa ragiona, richiamandola al suo fondamento, cio alla precisione del concetto, di cui la parola espressione con queste parole : sed q u i a s i g n i f i c a n o , est s i c u t p e r f e c t i o t e r m i n i , et p r o p r i e t a t e s t e r m i n i super signif i c a t o n e f u n d a n t u r , ideo i n p i i n c i p i o , et ad e v i d e n t i a m s e q u e n t i u m est quod s i t t e r m i n i s i g n i f i c a n o , al che risponde : s i g n i f i c a t o est i n t e l l e c t u s r e i ad quem v o x i m p o n i t u r ) , cio, come si diceva prima, i l concetto delle cose a cui quel dato suono imposto, concetto che ben diverso da una s u p p o s i t i o , perch mentre i l concetto e quindi il suo termine
A a

1) P R A N T L , op. cit., voi. Ili, pag. 82. 2) S . B O N A V E N T U R A , Sentent., lib. 1 , Dist. XX11I ; art. 1, II. 3) P R A N T L , op. cit., voi. Ili, pag. 31.

180

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

s o l u m e x t e n d i t u r ad r e m , ad q u a m s i g n i f i c a n d a m i m p o n i t u r , s u p p o s t i l o n o n s o l u m e x t e n d i t u r ad r e m quae per t e r m i n u m s i g n i f i c a t u r , sed potest extendi ad s u p p o s i t a c o n t e n t a sub i l l e r e , alle quali parole fanno riscontro quest' altre di Roberto Capitone : adspecium g r a m m a t i c a recte i n f o r m a t , sed recte i n f o r m a t u m quale s i t sola l o g i c a sine e r r o r e diiudicat ), e quest' altre di Alberto Magno, sempre cos preciso nell' uso dei termini filosofici : n o n o m n i s o r a t i o est e n u n c i a t i o , sed i l l a sola in qua i n d i c a t i v e est a l i q u i d s i g n i f i c a t a m * ) . Dopo tutto quanto si detto finora, ci pare di aver sufficientemente dimostrato il nesso continuo e preciso che durante tutta l ' e t di mezzo ha sempre legato la logica e la dialettica colla speculazione in genere sul linguaggio. Non fu davvero questa trattata in modo troppo profondo o per lo meno troppo originale da tutti gli autori che finora siamo andati citando ; ci non ostante per anche nella sua piccolezza e nella sua inferiorit rispetto a tutte le altre parti della filosofia trattata nel M . E . essa sent in s tutte le alternative per cui passato tutto il pensiero riflesso nella sua totalit ; la questione degli universali, lo abbiamo affermato parecchie volte ed ora crediamo di averlo dimostrato abbastanza, nelle sue diverse parvenze tocc, oltre che il resto, anche quella piccola fonte, donde scatur un po' di succo per P argomento che ci interessa, appunto perch
l

1) P R A N T L , op. 2) P R A N T L , op.

cit., cit.,

voi. voi.

Ili, Ili,

pag. pag.

86. 103.

181 doveva per forza toccare quel disegno pi largo, in cui queir argomento si trovava per la forza dei tempi e delle cose diremo quasi inquadrato Fu eredit del pensiero stesso filosofico greco F unione della logica colla linguistica, e tale eredit fu religiosamente conservata nelF et di mezzo, in cui se non in modo molto fuggevole, stando a quanto abbiamo riscontrato finora, fu intuito qualche rapporto tra linguaggio ed estetica, od espressione in genere dei moti dell' animo. Ora dopo aver provato tutto ci, tempo che abbandoniamo tutta la secchezza e tutta F aridit di tali rapporti tra logica e linguistica, ed assorgendo in aere pi alto e generoso vediamo che cosa i pi grandi intelletti della Scolastica : Pietro Lom-

0 A proposito del Concettualismo abbiamo gi osservato che esso si pu ritenere la forma prima del Criticismo : ora possiamo aggiungere che come anche nel Concettualismo vi fu unione tra la questione degli universali e quella riguardante il valore del linguaggio, cos anche nel Criticismo tale unione si ebbe. Non tocca ora a noi parlare di questo, solo ci sia lecito dire che in fondo in fondo il grande sforzo del pensiero kantiano tendeva appunto a risolvere in altro modo la questione degli universali, nel senso di stabilire l ' u n i v e r s a l i t nelle forme a priori della facolt stessa conoscitiva, in contrasto alla particolarit dell'esperienza. Ci si maggiormente manifestato nel pensiero dello Schleiermacher (Cfr. H . H O E F F D I N G , S t o r i a d e l l a f i l o s o f i a m o d e r n a , Tomo 1900, V o i . 1 1 pag. 191), il quale perci anche al linguaggio rivolse la sua attenzione (Cfr. H . H O E F F D I N G , op. cit., pag. 194), come gi 1' Hamann (Cfr. H .
HOEFFDING, op. cit., Voi. Il, pag. 106) e 1' Herder (H. HOEFFDING, op.

cit., pag. 108). Anche il Romanes ( G . I. R O M A N E S , M e r i t a i e v o l u t i o n i n m a n , London 1888, pag. 54) tocca la relazione tra concetto ed idee generali ed i nomi con la ben nota sua dichiarazione : I nomi sono le nostre idee astratte, e la formazione di queste altro non che la formazione dei nomi.

182

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

bardo, Alberto Magno, S. Bonaventura, S. Tommaso, Dante Alighieri, Duns Scoto e l'Occam abbiano saputo pensare intorno alla questione dei nomi e del linguaggio anche in rapporto alla psicologia ed alla teologia.

C A P I T O L O VI.

La filosofia del linguaggio in rapporto alla psicologia ed alla metafisica scolastica


SOMMARIO : Il problema delle origini del linguaggio nell' uomo in rapporto alla scienza di Adamo. Rapporti tra pensiero e parola nella Scolastica in relazione alla teoria gnoseologica di S. Tommaso e dell' Occam. Le speculazioni del linguaggio in Alberto Magno, Pietro Lombardo, S. Bonaventura, S. Tommaso, Dante Alighieri, Duns Scoto, Occam, e Ruggero Bacone.

Cominciamo anzitutto dalla questione storica delle origini del linguaggio umano : gi abbiamo visto corn' essa sia stata largamente discussa ed anche diversamente risolta nella Patristica, la quale da una parte molto pi semplicista che non la Scolastica, dall' altra molto meno di questa legata ad una tradizione gi cristiana di pensiero, fu molto pi libera nell' interpretare i dati delle Sante Scritture. V i stato per una disputa di grande importanza in essa a proposito del nostro argomento, quello cio tra Eunomio e Gregorio Nisseno, della quale gi si discusso a suo luogo. Ora si tratta di vedere come la Scolastica si sia comportata in rapporto ai dati della Scrittura riguardanti V imposizione dei nomi fatti da Adamo

184

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

a tutte le specie di esseri a lui, per volere di D i o , condotte. Questi nomi, Adamo li ha ricevuti direttamente da Dio, o sono stati essi frutto dell' elaborazione sua ? Fu questa una questione che nella Scolastica propriamente detta non troviamo sollevata e discussa in modo formale : s'impose essa infatti molto tardi nel X V I e nel XVII secolo, tantoch noi vediamo, per esempio, il Pererio da una parte sostenere 1 ' infusione del linguaggio dell' uomo da parte di Dio, mentre dall' altra il T o stato dichiarare che i nomi imposti da Adamo si devono credere frutto dell' elaborazione sua *). Pot nel XII secolo Ugo di Vittore discutere quando tale imposizione sia avvenuta, ma ex professo la questione dell' origine dei nomi imposti nemmeno toccata ) ; pu darsi che ci sia avvenuto perch presupposto evidente per tutti i pensatori della Scolastica era una delle due ipotesi o chetali nomi sieno stati infusi da Dio, o che Adamo stesso li abbia elaborati. Si tratta adunque di decidere quale delle due sia stata se non di fatto, per lo meno teoricamenle la preferita. A nostro avviso preferita deve essere stata la seconda delle due, quella cio per cui si veniva ad
2

O B . PERERII, C o m m e n t a r , i n G e n e s i m , Venetiis 1607, Tomo I, pag. 202. Questa opinione ultra tradizionalistica di alcuni teologi del secolo XVI, e XVII, si pu forse spiegare come reazione alle nuove tendenze intessutesi nella filosofia del Rinascimento in poi, nella quale rest sempre fissa 1' opinione di Telesio che Dio non interviene nei singoli punti della natura, avendo egli dotato a b o r i g i n e ogni essere della sua natura e del suo modo d' agire (Cfr. H . H O E F F D I N G , op. cit. Voi. I pag. 89).
2) PERERII, op. cit., pag. 203.

E \J ORIGINE DI ESSO IN A D A M O

185

ammettere lice i nomi imposti da Adamo alle d i verse specie ed, in tesi generale, tutto il complesso delle parole del primo e dei primi uomini, sia stato frutto dell' elaborazione loro mentale, e ci crediamo non solo rifacendoci alla soluzione data in proposito da Gregorio di Nissa, ma in base ad argomenti offertici dalla Scolastica stessa. Si detto poi anzi che la Scolastica non si propose in modo formale il problema speciale delle origini dei nomi; rifacendosi per essa al racconto biblico riguardante Adamo, trasse da esso argomento per una questione molto pi larga e di carattere ben pi filosofico, quella cio della scienza del nostro primo parente. Appena creato Adamo, ebbe si o no egli la scienza di tutte le cose ? L a risposta della Scolastica in genere fu affermativa, Ugo di S. Vittore ), Pietro Lombardo ) , S. Bonaventura ) , e specialmente S. Tommaso ), per non citare altri, vanno tutti d' accordo nelP ammettere che Adamo fu creato perfetto, e quindi anche in possesso di scienza completa. Un passo della M e t a f i s i c a di Aristotele ) , dove si dice che segno di perfezione est posse alios docere una tale spiegazione pienamente confortava, ed ecco perci che Adamo fu creduto nell' atto stesso della creazione dotato non solo, per usare le formule
1 2 s 4 5

.J

1) U G O DI S. V I T T O R E , D e s a c r a m e n t i s , lib. I, parte 6, cap. 2) 3) 4) ^5)

12.

P I E T R O L O M B A R D O , Sentent. lib, 2,'Dist. 23. S. B O N A V E N T U R A , Sentent. lib. 2, Dist 23, art. II, quaest.I, 2 . S. T O M M A S O , S t i m m a , parte I, quaest 94. A R I S T O T E L E , M e t a p h y s . , I , 2.

186

LA FILOSOFIA

D E L LINGUAGGIO

stesse della Scolastica, delle species intelligibiles o m n i u m u n i v e r s a l i u m etspecierum naturalium scibilium, ma anche dei p h a n t a s m a t a p r o p r i e oc d i s t i n c t e repraesentantia individua cuiuslibet speciei. Tutta la questione sta ora a vedere se si poteva concepire dalla Scolastica che tali concetti universali, e tali fantasmi particolari potessero sussistere nella mente dell' uomo indipendentemente dalla parola con cui si possono fissare ed esprimere ; in altri termini tutto sta a vedere come nella Scolastica si risolveva la questione dei rapporti tra pensiero e parola. Per risolvere un tale problema richiamiamo quanto si detto finora rispetto alla teoria del n o m e n pos i t u m ad h o m i n i s p l a c i t u m . Abbiamo visto che ci fu costantemente ammesso da tutti gli scrittori della Scolastica, ed alle opinioni di molti di essi, gi r i portate, ben altre volte ne possiamo aggiungere non meno esplicite. S. Tommaso, per esempio, nel gi citato commento al D e i n t e r p r e t a t i o n e di Aristotele cos si spiega in proposito, pienamente accordandosi con Alberto Magno ) : o r a t i o s i g n i f i c a t ad p l a c i t u m , idest s e c u n d u m i n s t i t u t i o n e m humanae rationis et v o l u n t a t i s s i c u t o m n i a a r t i f i c i a l i a , quae c a u s a n t i ! r ex h u m a n a v o l u n t a t e et r o t t o n e - ) . Sono note in proposito i versi di Dante : Opera naturale eh' uom favella : Ma cos o cos, natura lascia Poi fare a voi, secondo che v ' abbella ) , .
L
3

1)

ALBERTO

MAGNO,

De

Anima,

lib. pag.

Il, Tract. Ili, cap. 22. ( A L -

BERTI M A G N I ,

Opera,

Lugduni 1651,

95).

2) S. T O M M A S O , D e I n t e r p r e t a t i o n e , Sect. II, 3) D A N T E , Paradiso XXVI 130-33

187 alle quali parole oltre che il citato passo di S. T o m maso ed altri consimili '), possono servir di commento ed un passo del D e v u l g a t i eloquio in cui si parla appunto del v e r b u m ad p l a c i t u m e la frase tradizionale in uso nella scuola : s i g n i f i c a r e concept u s suos est n o m i n i n a t u r a l e , d e t e r m i n a r e autem s i g n a est ad p l a c i t u m ). Tale opinione ebbe fortuna anche dopo S. Tommaso ed all' infuori della tradizione tomistica : di volontaria imposizione infatti parla e 1' Occam ) e Duns Scoto ) e Pietro D ' A i l ly ) ed altri ancora. Ora evidente che gi da una tale soluzione sull' origine dei singoli vocaboli derivava la conseguenza logica eh' essi non sono legati affatto ai concetti, che esprimono od ai fantasmi di cui sono segni. M a ci non tutto, perch la vera questione con essa se veniva spostata non veniva per ancora risolta. S i poteva infatti domandare : sta bene che questo o quel nome sia frutto dell' imposizione dei primo che 1' ha trovato per esprimere quel dato concetto o per essere segno di una data cosa : tutto ora sta a vedere se il concetto pu stare non dico senza la sua parola, ma senza una parola od un segno in genere : in altri termini dal lato materiale si pu concedere, e quasi tutti lo ammettevano, che
:! 4 5 6

1) S. T O M M A S O , D e i n t e r p r e t a t i o n e , Sect. I, Sect. V I . 2) D A N T E , D e v u l v a r i e l o q u i o , lib. I, cap. 3.


3) Cfr. G I E S S W E I N , op. cit., pag. 157,

4) O C C A M S u m m a
5) D U N S S C O T O ,

t h e o l . , I, 1 f, 2 b.
De interpretatione, Sentent. quaest. I, 10. I, quaest. V I , art. 1.

6) P I E T R O A L L I A C O ,

188

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

i singoli nomi sieno frutti dell'attivit umana, ma dal lato formale pu darsi che non sia possi bile un atto umano conoscitivo senza il suo simbolo. Se cos fosse, evidente che essendo state infuse in Adamo tutte le cognizioni possibili di una scienza perfetta, dovevano essere anche infusi in lui anche i segni, senza di cui i singoli atti della cognizione non possono stare. in fondo la questione dei rapporti tra pensiero e parola che i filosofi posteriori si sono proposti sotto la formola : sono i concetti possibili senza la parola ? L ' Hobbes gi a suoi tempi aveva risposto colla nota formula : H o m o a n i m a i r a t i o n a l e , q u i a o r a t i o n a l e , e dopo di lui lo Schelling, F Hegel, lo Schleiermacher, il Renan ed altri furono del parere che ogni pensiero parola, costituendo F uno e F altro insieme qualche cosa di indistinto e di inscindibile. C o l Geiger e col Noir. ) si arrivati all' estremo di una tale opinione, essi infatti hanno potuto pensare che il linguaggio ha creata la ra f gione, prima del linguaggio F uomo era irragionevole, al qual concetto ha aderito in certo qual senso anche il Max Mller ~), non ostante alcune riserve.
1

Ora su una tale questione come Scolastica ? Essa ha cominciato a < guaggio mentale, composto, come dei segni delle cose dentro di noi,

si decisa la dividere il linsi gi visto, dal linguaggio

1) Cfr. 2)

A . G I E S S W E I N , op. cit.,

cit., pag.

pag. 63

159. e pag. 58.

M A X M U L L E R , op.

189 esterno composto di parole, simboli non naturali di quei segni ; ha poi ammesso, come vedremo meglio pi avanti, un rapporto necessario di coesistenza tra F atto del conoscere ed il primo, ma ha negato che un tale rapporto esista tra quello ed il secondo. Da ci derivava la conseguenza che possibile possedere alcuni concetti prima ancora di aver trovato le parole o, per meglio dire, i segni, con cui esprimerli in qualche modo, mentre sarebbe impossibile il viceversa, giacch anche per gli scolastici valeva la forinola di cui parla il Regnaud ) : N i h i l i n d i c t u , quod n o n f u e r i t p r i u s in i n t e l l e c t u .
4

A credere ci gi Aristotele in certo qual senso, secondo il Trendelenburg ~), offriva motivi con quella sua distinzione in concetti anomini, cio di concetti che non avevano trovato ancora un nome : e sempio di tali concetti anomini ci d Aristotele stesso quando nelP Etica a Nicomaco ) , dopo aver ragionato dell' ambizioso (zIXTLJJ.OC) e dell' ignavo {;5'XZI\SJC\ conchiude col dire che virtuoso chi sta fra quei due estremi, virtuoso a cui non si pu per dare un nome, perch si tratta appunto di un concetto vwvjjj.oc. E pi avanti Aristotele stesso dice generalizzando : v w v j i o ' ) OWJC r?;c jisory;3

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to? spvjjxTj?

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av.fa ) 4

1) P. R E G N A U D , pag. 239.

Origine
Conimeli,

et Pliilosopliie d aLangage,
zu Arist., De an. Il,

Paris 1888

2) T R E N D E L E N B U R G ,

7, 9 in G E R B E R ,

D i e S p r a c h e u n d d a s E r k e n n e n , Berlin 1885, pag. 204. 3) A R I S T O T E L E , E t t i , a d N i c o m . , II, cap. 7, 8. 4) A R I S T O T E L E , E t t i , a d N i c o m . , Ili, 7, 7 ; IV 4, 4.

190 Secondo adunque Aristotele noi possiamo avere concetti senza aver trovato il termine con cui e sprimerli. S. Tommaso ha specificato meglio la questione quando nell' opuscolo D e d i f f e r e n t i a d i v i n i v e r b i et fiumani, ha scritto: I l l u d i n t r i n s e c u m cmimae n o s t r a e quod s i g n i f i c a t u r voce e x t e r i o r e c u m verbo nostro verbum vocatur. U t r u m autem prius conveniat n o m e n v e r b i r e i e x t e r i o r i voce p r o t a t a e vel i p s i c o n c e p t u i a n i m a e i n t e r i o r i n i h i l r e f e r t ad praesens. Plan u m t a m e n est quod i l l u d quod s i g n i f i c a t u r i u t e r i u s in a n i m a existens, p r i u s est q u a m i p s u m v e r b u m voce p r o l a t u m , u t p o t e causa eius existens A l qual passo dell' Aquinate mettiamo tosto in confronto quest' altro dell' Occam ) Q u a n d o a l i q u i s p r o f e r t p r o p o s i t i o n e m vocalem, prius f o r m a t interius p r o p o s i t i o n e m i m a m m e n t a l e m , quae n u l l i u s i d i o m a t i s est, in t a n t u m quod m u l t i f o r m a n t f r e q u e n t e r i n t e r i u s p r o p o s i t i o n e s a l i q u a s , quas t a m e n p r o p t e r def e c t u m d i o m a t i s e x p r i m e r e n e s c i u n t . Partes talium p r o p o s i t i o n u m m e n t a l i u m v o c a n t u r conceptus, intent i o n e s , s i m i l i t u d i n e s , i n t e l l e c t u s ; ed altrove il medesimo Occam scrive ) : solus i n t e l l e c t u s potest facere p r o p o s i t i o n e m praeter p r o l a t a m et s c r i p t u m et a l i a huiusmodi.
2

: 1

1) S. T O M M A S O , Opuscolo III. Cfr. K L E U T G E N , Philosophie

der

Vor-

zeit, loga cede cap.

Innsbruck 1878, pag. 75. Ricordiamo in proposilo la dottrina anadei Whitney. anche secondo il quale la concezione delle idee preil segno ( W . D. W H I T N E Y , L a v i e du L a n g a g e , Paris 1875, V i l i , pag. 117).
Summa tot. log., lib. I, pap. 12.

2) O C C A M ,

3) O C C A M , Sent.

lib. I, Dist. II, quaest. 3.

E LA GNOSEOLOGIA SCOLASTICA

191

Ora domandiamoci : come si possono interpretare tali passi ? Evidentemente in rapporto alla dottrina gnoseologica della Scolastica, e cio alla dottrina delle spectes o s i m i l i t u d i n e s expressae, quale si trova in S. Tommaso, ed a quelle dei segni quale nell' Occam. Richiamiamo brevemente 1' una e 1' altra si trova per poter meglio chiarire le cose. Secondo adunque S. Tommaso ed anche il maestro suo Alberto Magno, S. Bonaventura, Enrico di Gand e Duns Scoto, le facolt sensibili sono potenze passive, cio non operanti se non dietro un impulso. Tale impulso dato dalla sollecitazione dell' oggetto esterno, alla quale la facolt passiva reagisce, e questa reazione produce la cognizione, species s e n s i b i l i s impressa et expressa, cio rappresentazione impressa dal di fuori ed offerta dal di dentro, che sono appunto i termini usati per indicare i due stadi dei fenomeno percettivo che si compie tutto dentro di noi. Una volta che tale fenomeno sia svanito dal campo della coscienza, la sensazione vi lascia una traccia, un' immagine ( p h a n t a s m a ) , che rivive nelP immaginazione, concorrendo a produrre il pensiero in assenza dell' oggetto reale esterno. Oltre la sensitiva per, vi anche la conoscenza intellettuale, che si attua specialmente mediante P astrazione, la vera chiave di volta di tutta P ideologia scolastica, cio spogliando i caratteri individuanti, di cui sono affette le cose sensibili. L a realt sensibile agisce sull' intelletto per mezzo del fantasma, questo per non esercita che una causalit instrumentale e congiunta a l l ' efficienza di una

192

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

facolt immateriale : V intelletto agente. Grazie a questo concorso di una forza superiore, V immagine sensibile ed in ultima analisi 1' oggetto esterno provoca la messa in opera dell 'intelletto^ passivo (species i n t e l l i g i b i l i s expressa), messa in opera che si attua per V attivit immanente, in cui si compie la rappresentazione cognitiva propriamente detta (species intelligibiles expressa). evidente che con tali fondamenti perfettamente comprensibile 1' opinione di S. Tommaso poco sopra riportata che 1' uomo pu possedere il pensiero prima di avere la parola esterna con cui esprimerlo, appunto perch quello prima, mentre 1' espressione non viene che dopo, e viene non come intrinseca per natura a quello, perch si potrebbe benissimo secondo gli scolastici pensare per mezzo delle pure species intellettuali, come si pu, per usare le parole dello Steinthal contemplare un triangolo rettangolo e, senza parlare, anzi senza sapere ancora come e sprimere quella forma, costruire i quadrati sui tre lati e convincersi della verit del teorema di Pitagora. Basta da una parte che V uomo abbia il fantasma delle singole cose, sia esso concepito come un qualche cosa di eminentemente psichico, come pensava S. Tommaso, o come una vera miniatura delle cose esterne, un' immagine minuscola che si riproduca attraverso il mezzo, intermedio tra V oggetto e 1' organo, un sostituto cio della realt, che alla fine entri in contatto coli' organo sensibile, e den1) Cfr. G I E S S W E I N , op. cit., pag. 160.

LA GNOSEOLOGIA SCOLASTICA

193

tro ricevuto ( i n t i i s s u s c e p t u m ) provochi la conoscenza, come invece volevano altri predecessori e contemporanei di S. Tommaso stesso ; e dall' altra parte basta che 1' uomo abbia V intelletto agente che sappia trasformare quel fantasma sub specie universalit a t i s . Si tratter sempre di un' immagine, di un segno mentale dell' oggetto esterno, esso sar necessario, ma non sar necessario quel segno convenzionale con cui di solito quel nostro concetto noi esprimiamo fuori di noi : Adamo ebbe gli uni e le altre, fantasmi cio e species i n t e l l i g i b i l e s , coi quali elementi si sar svolto in lui quella l o c u t i o i n t e r n a di cui la Scolastica tanto ha trattato come gi abbiamo visto in S. Anselmo ; non era per necessario ch'egli avesse anche i termini per esprimerli, se poi li espresse perch Dio diede a lui non gi il linguaggio bello e che fatto, ma sibbene la facolt di poterlo creare a vantaggio suo ed a vantaggio dei comuni rapporti fra lui e gli altri. ') A d una tale conseguenza si arriva anche mettendo in raffronto il passo citato dell' Occam colla sua teoria gnoseologica dei segni. Ogni rappresentazione cognitiva, diceva 1' Occam un segno, sig n u m , che come tale tiene il posto dell' oggetto significato. Questo segno, chiamato anche termine naturale in opposto ai segni artificiali ( s e c u n d u m i n s t i t u t i o n e m v o l u n t a r i a m ) , del linguaggio e della scrittura. Tali segni naturali delle cose, cio in altri ter1) A questa conclusione arriva anche il K L E U T O E N , P l i i l . der V o r z e i t , Innsbruck 1878, pag. 77. 2) O C C A M , S u m m a t o t i u s l o g i e a e , lib. I, cap. 1.

194

LA

FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

mini le specie della conoscenza sono tre: s e n s i b i l i , i n t e l l e t t u a l i i n t u i t i v e , ed a s t r a t t i v e , e cio P Occam nel dualismo scolastico tra sensi ed intelligenza ha voluto intercalare una conoscenza intermedia, il concetto intuitivo, che d P esistenza o la non esistenza concreta degli esseri singolari e serve di base alle verit contingenti s da riuscire il presupposto necessario della conoscenza stessa astrattiva ( n o t i t i a a b s t r a c t i v a p r a e s u p p o n i t i n t u i i i v a m ) . Come si vede, con una tale specie di conoscenza P Occam toglieva anche il pericolo di cadere nel soggettivismo, giacch con essa si garantiva P esistenza di qualche cosa di oggettivo in rapporto ai segni impressi in noi in effetto appunto degli atti di conoscenza. Meglio per che con tale terza forma di conoscenza, P Occam eliminava il pericolo del soggettivismo colla sua dottrina riguardante il rapporto positivo tra segno e cosa significata, egli cio ammetteva che ogni conoscenza intuitiva, sensibile od intellettuale ci d la cosa reale, tale quale esiste fuori di noi ) : i segni in altri termini sono copia fedele delle cose significate, concezione anche questa importantissima, perch vuol stabilire P Estetica sopra la base psicologica dell' intuizione. Tale dottrina della conoscenza, quale fu svolta
2 s

1) O C C A M , Q u o d l i b e t a , V quaest. 5. * 2) questa cognizione intuitiva dell' Occam importante per i riferimenti eh' essa p u avere colla concezione di unlestfi.tjca in quanto scienza dell'espressione : essa quindi merita di essere posta vicino alle concezioni analoghe di Abelardo, citate dal Croce (op. cit., pag. 179). 3) O C C A M , Q u o d l i b e t a , V I , quaest. G ; V , quaest. 5; 1, quaest. 14 etc.

LA

GNOSEOLOGIA

SCOLASTICA

195

dall' Occam, pienamente giustifica, a nostro credere, F opinione di lui poco indietro riportata sulla p r o p o s i t i o i n t e r n a quae n u l l i u s i d i o m a t i s est, che pu anche non tradursi in proposizione esterna p r o p t e r defectum i d i o m a t i s , come gi aveva in certo qual modo pensato Aristotele. Anche p e r i ' Occam adunque era pienamente concepibile F idea di un Adamo perfettamente in possesso di fantasmi e di concetti o di intuizioni senza ancora la parola, con cui e sprimere gli uni gli altri e quest' ultime, i quali elementi tutti se vero che in lui si saranno fissati sotto la forma reale di segni, non era per necessario che avessero anche segni esterni con cui essere espressi. Con tutto ci ci pare quindi di avere a sufficenza dimostrato che delle due ipotesi poco indietro ricordate concernenti F origine del linguaggio, era dagli scolastici presupposta od implicitamente ammessa, quella di carattere dinamico, secondo cui Adamo stesso avrebbe escogitato il sistema di segni, con cui esprimere tutto quanto da Dio gli era stato infuso in ordine a conoscenza, il che non era poco, a quanto ci dice S. Tommaso, che della scienza di Adamo ha trattato oltre che nei passi gi citati anche in un paragrafo speciale del De ventate ). Anzi analizzando tale paragrafo noi ci troviamo argomenti a favore di tutto quanto finora si detto. Abbiamo gi osservato che nessuno accenno diretto n in lui, n in altro autore troviamo sulla infusione o sulla non infusione
1

0 S. T O M M A S O , Q u a e s t . i t i s p u t a t a e , D e v e n t a t e , quaest. XV11I.

lUb

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

del linguaggio nel primo parente, per ad un certo punto P Angelico si domanda : N u m A d a m in s t a t u i n n o c e n t i a e f i d e m de Deo h a b u i t , e risponde che Adamo in s t a t u i n n o c e n t i a e a Deo f i d e m est edoctus per l o c u t i o n e m i n t e r i o r e m , cio per i n s p i r a t i o n e m i n t e r n a m , la quale appunto una quaedam locutio ad s i m i l i t u d i n e m e s t e r i o r i s l o c u t i o n i s . Ora se da una parte evidente che tale l o c u t i o i n t e r i o r era possibile in Adamo, perch egli era gi dotato di fantasmi e di concetti, dall' altra probabile che quello era il solo mezzo compatibile col suo modo di essere, che una l o c u t i o e x t e r n a non sarebbe stata attuabile che con chi non ne fosse stato gi in possesso. Si aggiunga a ci quanto Avicenna, riportato da S. T o m maso, aveva detto in riguardo alla cognizione in A d a mo di tutte le cose, cognizione che il filosofo arabo, contrariamente a S. Agostino ), negava in base a questo argomento : Sensus sunt animae humanae necessarii, ut per eos s c i e n t i a m perfectam rerum capiat ; si i g i t u r a n i m a Adae scientiam o m n i u m rerum habuit ex sua c o n d i t i o n e f r u s t r a s i b i sensus collati fuissent, quod esse n o n potest, c u m i n operibus Dei n i h i l s i t f r u s t r a . vero che S. Tommaso, il quale in Adamo la cognizione di tutte le cose ammetteva, risponde che A d a m h a b u i t sensus n o n u t per scient i a m a c q u i r e r e t , sed u t perfectam n a t u r a m haberet et per sensus ea quae sciebat e x p e r i r e t u r , resta per sempre il fatto che nell' economia stessa della potenza d i vina era molto pi concepibile la distribuzione gratuita
l

l) S. A G O S T I N O , D e C i v i t . D e i , X I V ,

passim.

NEL

PENSIERO DI D A N T E

/
*

197

di solo ci che era necessario, e non di ci che tale non fosse nello stretto senso della parola. Ora le cognizioni erano necessarie per la perfezione di Adamo, mentre non lo era affatto il linguaggio, potendo, secondo gli scolastici, quello stare senza di questo. Vero si che alla conclusione a cui siamo teste arrivati pare contrasti quanto in proposito ha scritto Dante in un passo del suo D e V u l g a r i E l o q u i o ) . Dice egli infatti : D i c i m u s c e r t a m f o r m a m l o c u t i o n i s a Deo c u m a n i m o p r i m a ) concreatam fuisse : dico a u t e m f o r m a m et q u a n t u m ad r e r u m v o c a b u l a , et q u a n t u m ad v o c a b u l o r u m c o n s t r u c t i o n e m et q u a n t u m ad c o n s t r u c t i o n i s p r o l a t i o n e m . Secondo Dante adunque Dio avrebbe creato lui stesso il linguaggio, non solo per ci che riguarda il materiale linguistico, ma anche per ci che riguarda il nesso logico tra parola e parola. la tesi, in altri termini, del vecchio Eunomio che qui risorge allargandosi, ed un' anticipazione di quanto altri teologi, come gi si detto, hanno in proposito pensato pi tardi. Dobbiamo per dire che confrontando il passo citato dell' Alighieri con altri, si pu venire alla conclusione che quella sua opinione sia per lo meno eccessiva, per non dire illogica. Dante infatti poco prima, stabilendo una differenza tra 1' elemento sensuale (sensibile) e 1' elemento r a t i o n a l e del linguaggio ) viene a dire che quello il suono in quanto
[ 2
:i

1) D A N T E A L I G H I E R I , De

vulgari

eloquio,

lib.

I,

2) Leggiamo p r i m a e non p r i m a m seguendo il testo pubblicato dal Rajna.


3) DANTE, op. cit., lib. I, cap. Ili

198

LA FILOSOFIA DEL L I N G U A G G I O

tale, mentre questo riguarda il significato di tale suono, significato che ad p l a c i t u m . Ora a noi pare che questo spunto di dottrina aristotelico - tomista sul significato ad p l a c i t u m dei nomi per nulla s' accordi coli' origine divina del linguaggio, quale ammessa da Dante, il quale meglio avrebbe potuto mettere in relazione tale origine coli' altra sua teoria del n o m i n a s u n t consequentia r e r u m di cui parla nella V i t a N o v a ), teoria eh' perfettamente in contraddizione con quelle ad p l a c i t u m , appunto come in contraddizione in proposito era stato l'insegnamento di Platone a quello di Aristotele. D ' a l tra parte 1' Alighieri prima di esporre quelle sue o pinioni, di cui si discute, paila della necessit del linguaggio per 1' uomo, e del motivo per cui Dio ha voluto eh' egli di favella fosse dotato anche nella solitudine del Paradiso terrestre. Ora tale necessit riguarda solo il linguaggio nel suo valore formale e si estende essa quindi a qualunque linguaggio, anche a quello escogitato pi tardi dall' intelligenza stessa dell' uomo sollecitata diversamente dalle condizioni diverse di tempo e di spazio ; la necessit per ci che F uomo parli non implica per nulla la conseguenza che il linguaggio deve avere origine divina, bastando solo ammettere per ispiegarlo che Dio abbia dato all' uomo la facolt di creare il linguaggio, come appunto era F insegnamento di Gregorio di Nis0 D A N T E , V i t a n o v a , cap. 13. Notiamo in proposito che anche Cratilo nel dialogo platonico, come si visto, pensa all' origine divina del linguaggio, anche perch egli era veramente persuaso del rapporto intimo e necessario tra nomi e cose.

NEL

PENSIECO DI

DANTE

199

sa, e di S. Tommaso. In quanto poi al motivo che a vrebbe spinto Dio a dotar di favella 1' uomo anche nel Paradiso terrestre, esso depone piuttosto a favore della tesi generale della Scolastica, che non di quella di Dante. Dio infatti avrebbe concesso il linguaggio u t in e x p l i c a t i o n e t a n t a e d o t i s g l o r i a r e t u r ipse q u i g r a t i s d o t a v e r a t ) , ora ci pare che ben pi meritoria sarebbe stata la gratitudine dell' uomo, e pi glorificata la benevolenza di D i o , se quegli per s stesso si fosse sforzato di trovar la parola del ringraziamento verso di questo, il quale cos a vrebbe avuto 1' omaggio non della roba sua, ma di un qualche cosa costruito dall' uomo in base ad un proprio favore. D ' altra parte si noti anche questo : il motivo escogitato da Dante non certo di 'valore essenziale e necessario, nel senso che Dio avrebbe potuto fare anche senza di tale glorificazione da parte della sua creatura : esso per ci a vrebbe potuto anche mancare, e allora mancando esso che fu .la causa, sarebbe mancato anche il suo effetto, che secondo Dante, e appunto il linguaggio in quanto sistema di segni esprimibili : questo perci non come tale alcunch di necessario, ragione questa che, come si visto poco sopra, permetteva appunto alla Scolastica di pensare una dottrina tutt' affatto contraria a quella dell' Alighieri o per lo meno a quella esposta da lui nel D e V u l g a r i E l o q u i o , giacche come noto nel X X V I canto dei
l

0 DANTE, D e v u l g a r i e l o q u i o , lib. I, cap. V.

200

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Paradiso egli col verso messo in bocca ad Adamo: E P idioma eh' usai e eh' io fei si dichiara invece convinto dell' origine umana del linguaggio ) , la quale poi confermata pi solennemente ancora nella terzina gi citata : Opera naturale eh' uom favella, Ma cos e cos, natura lascia Poi fare a v o i , secondo che v' appella. Sopra questo argomento dell' infusione del linguaggio in Adamo, abbiamo voluto insistere tanto, prima di tutto perch esso coinvolge una questione d' ordine generale : quella cio dell' origine divina ed umana del medesimo, in secondo luogo perch con esso abbiamo aperta la via per capir meglio quanto andremo dicendo.
l

Intanto possiamo dire che nemmeno per la Scolastica, come gi lo abbiamo visto non vero per la Patristica, quanto affermava il Renan essere P ipotesi tradizionalistica dell' origine divina del linguaggio P ipotesi' dei teologi per eccellenza.
1) 1 1 D'Ovidio (op. cit., pag. 499) vorrebbe scemare in certo qualmodo la conFrddizione tra la dottrina del D e V u l g a r i e l o q u i o , e quella del canto XXVI del Paradiso, ma a noi pare che, per quanta buona volont ci voglia mettere, tale contraddizione esista, essendo troppo esplicite per se stesse le parole considerate dal D e v u l g a r i e l o q u i o ; vero che in questo c' la frase i d i o m a quod p r i m i l o q u e n t i s l a b i a f a b r i c a . r u n t , (I, 6), frase che pare s' accordi col verso del P a r a d i s o citato, ci per non tglie la. contraddizione, ma solo la sposta nel senso di collocarla invece che tra un passo del D e v u l g a r i e l o q u i o , ed un verso del P a r a d i s o , tra due passi di quello. Del resto il verso di Dante citato, non esprime per nulla un concetto pi ardito, come pare voglia credere il D' Ovidio, ma sibbene un docile ritorno a ci che era, come si visto, l'insegnamento implicito della Scolastica tutta : caso mai ardito era il concetto contrario, perch concetto di un eretico, e precisamente di Eunomio.

ED

IL

V E R B U M INTERI US

ED

E X T ERI US

201

Vediamo ora che cosa valesse per gli scolastici la divisione di linguaggiojnterno e di linguaggio esterno. Abbiamo poco sopra avuto bisogno di richiamare brevemente la dottrina gnoseologica di S. Tommaso, ora aggiungiamo che poi nella scuola ci che F Angelico chiama species intellegibilis i m pressa, fu chiamata semplicemente species, mentre la species i n t e l l i g i b i l i s expressa fu detta di preferenza v e r b u m . Quest' ultima denominazione ci mette appunto sulla strada per capire il sermo i n t e r i o r degli scolastici. S. Tommaso nel passo citato riferentesi a l l ' inspirazione fatta da Dio in Adamo, per cui in questo si ingenerata la fede, dice : D e u s i n t e r i u s i n s p i r a n d o n o n exhibet essentiam suam ad videndum sed a l i q u i d suae essentiae s i g n u m , i d est s p i r i t u a l e m s i m i l i t u d i n e m suae s a p i e n t i a e , con.quel passo mettiamo in relazione tutto quanto il medesimo autore scrive a proposito della questione : n u m i n d i v i n i s p r o p r i e v e r b u m d i c a t u r ) , questione che cos risolta : V e r b u m c o r d i s , quod est i d quod a c t u c o n s i d e r a t u r , c u m s i t o m n i n o i m m a t e r i a t e et ab o m n i defechi r e m o t u m p r o p r i e in Deo est, v e r b u m vero v o c i s , seti quod vocis imaginem habet, n o n n i s i ex t r a n s l a t i o n e de Deo d i c i t u r . Come si vede qui F autore distingue tre specie di v e r b a : v e r b u m c o r d i s , v e r b u m i n t e r i u s , quod habet imaginem v o c i s , et v e r b u m e x t e r i u s . Quale il criterio di tale divisione ? Ecco come si esprime in proposito S. Tommaso: S i c u t i n a r t e f i c e t r i a consideramus^et
1

1) S. T O M M A S O , Q u a e s t d i s p . D e v e n t a t e , Quaest. I V . art.

202

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

f i n e m a r t i f i c i i , et exemplar i p s i u s , et i p s u m a r t i f l c i w n i a m p r o d u c t u m , i t a e t i a m in l o q u e n t e t r i p l e x v e r b u m i n v e n i t u r s c i l i c e t i d quod per i n t e l l e c t u m c o n c i p i t u r ad quod s i g n i f i c a n d u m v e r b u m e x t e r i u s p r o f e r t u r , et hoc est v e r b u m c o r d i s sine voce p r o l a t u m , i t e m exemp l a r e x t e r i o r i s v e r b i , et hoc d i c i t u r v e r b u m i n t e r i u s quod habet i m a g i n e m v o c i s , et v e r b u m e x t e r i u s exp r e s s u m , quod d i c i t u r v e r b u m vocis : et s i c u t in a r t e f i ce praecedit i n t e n t i o f i n i s , et deinde sequitur excogit a t i o formae a r t i f i c i a l i s et u l t i m o a r t i f i c i a t u m in esse p r o d u c i t u r , i t a v e r b u m c o r d i s in l o q u e n t e est p r i u s verbo quod habet i m a g i n e m v o c i s , et p o s t r e m u m est verbum vocis. Evidentemente la seconda e la terza specie possono in fondo essere conglobate in una sola, perch poco importa che la parola sia o non sia espressa, r importante che ci sia, ed in entrambe le specie la materia appunto quel dato nome. Restano allora di fronte i l v e r b u m c o r d i s , che possiamo chiamare col termine comune nella scolastica di v e r b u m i n t e r i u s , ed il v e r b u m e x t e r i u s , poco importa se questo sia o non sia pronunciato. Quale la loro differenza in ordine a conoscenza ? S. Tommaso colla solita precisionerisponde che il secondo s i g n i f i c a t i d quod i n t e l l e c t u m est, n o n i p s u m i n t e l l i g e r e , mentre il v e r b u m i n t e r i u s est i p s u m i n t e r i u s i n t e l l e c t u m : quello nel suo significato un prodotto, questo invece un fattore efficiente ; ci ammesso, evidente come S. Tommaso abbia potuto credere che il v e r b u m c o r d i s si possa in modo proprio dire che esista in D i o , appunto perch esso

ED

IL

VERBUM

INTERIUS

203

un fattore completamente r e m o t u m a m a t e r i a l i t a t e , d' altra parte si capisce anche come verba nella scuola sieno state chiamate le species i n t e l l i g i b i l e s expressae. S. Tommaso stato, in tale sua concezione, fedele a tutto quanto la Patristica gi aveva e scogitato in riguardo appunto al sermo interior, solo che egli ha approfondito meglio le ragioni della natura di quello in contrapposto al sermo exterior. Per ad ammettere in Dio un tale v e r b u m c era questa obbiezione di una certa importanza : S. T o m maso ha identificato il v e r b u m i n t e r i u s coir intelletto in quanto attuato nei singoli atti conoscitivi intellettuali, ora tutto ci nell' uomo non si attua se non per un lavoro discorsivo, anzi appunto tale lavorio di movimento e di riflessione che si pu chiamare colla denominazione di cui si parla ; ma in Dio non si pu porre n un tal moto, n una tale riflessione, come si pu quindi parlare di v e r b u m i n t e r i u s in senso proprio in lui ? A l che S. Tommaso risponde : vero che riferito a noi il v e r b u m i n t e r i u s si integra c u m a l i q u o d i s c u r s u quem v i d e t u r c o g i t a t i o i m p o r t a r e , ma in s e per s basterebbe anche solo che q u a l i t e r c u m q u e a l i q u i d a c t u intelligtur, ora Dio conosce appunto sempre alcunch per quanto in modo diverso da noi, quindi anche a lui si pu riferire la nozione di v e r b u m c o r d i s , senza che questo importi la necessit di ammettere anche in lui il dscursus i n c o g i t a n d o che si avvera in noi.
y

Del

resto prima di S. Tommaso, Pietro L o m -

204

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

bardo ) e prima ancora di lui S. Agostino ) avevano chiamato la mente dell' uomo i m a g o D e i . V e ramente una tale denominazione aveva nel concetto s dell' uno che dell' altro una portata piuttosto teologica che filosofica, credendo essi di trovare nelle tre facolt della mente umana : memoria, intelligenza e volont, un' immagine della Trinit, ci non toglie per che il rapporto stabilito tra Dio e la mente dell' uomo possa avere anche un significato filosofico, tanto vero che S. Tommaso ci ha ammesso coli' uguagliare appunto il v e r b u m c o r d i s dell' uomo col v e r b u m c o r d i s di D i o . Ci che importa a noi di far notare ora si come V Aquinate ammetta tale v e r b u m i n t e r i u s anche per la cognizione di carattere eminentemente intuitivo di D i o , e lo ammetta in relazione all' idea di segno, che tale v e r b u m c o r d i s lascia laddove si rivolge, come appunto abbiamo visto essere ammesso da S. Tommaso in riguardo alla conoscenza infusa in Adamo. Non forse questo un accenno evidentissimo alla concezione di un rapporto tra intuizione ed espressione quale stato messo in evidenza dal Croce ) ? vero che tutto ci confinato in alto, nell' intelletto di D i o , ci non toglie per che l ' e s i stenza di un tale rapporto tra intuizione ed espressione gi nella Scolastica sia stato affermato non solo come possibile, ina anche come un' attualit per quanto in un ordine di cose soprannaturale e metafisico.
A 2 3

1) P I E T R O L O M B A R D O , Sentent. 2) B . C R O C E , op. cit. pag. 10.

lib.

I, dest. IV,

p.

II.

2) S. A G O S T I N O . D e T r i n i t a t e , lib. XIV passim.

NEL

PENSIERO DI A L B E R T O M A G N O

205

Quest' ultimo rilievo ci porta ad approfondire un po' meglio le relazioni tra il v e r b u m i n t e r i u s e /' e x t e r i u s degli scolastici, cio ad investigare uno degli argomenti pi reconditi e meno soggetti a sistematizzazione della loro psicologia. Gi Alberto Magno ha in proposito accenni di non piccola importanza. Dopo di aver egli nel suo De a n i m a trattato della differenza tra suono in genere e voce in ispecie dell'elemento fisico (aria) del linguaggio, e dell' elemento fisiologico, lingua, polmone, trachea detta da Alberto Magno canna d u r a od a r t e r i a v o c a t i v a quae d u r i s a n u l i s c o m p o n i t u r ) , e dopo d' a ver spiegato il perch ed il come della respirazione viene a discorrere dell' elemento psichico del linguaggio stesso. Ecco le sue parole in proposito : V o x est percussio r e s p i r a t i o aeris ad a r t e r i a m vocat i v a m ab a n i m a per i m a g i n a t i o n e m a l i q u a m eam f o r m a n t e m , quae est in p a r t i b u s i l l i s quae ad r e s p i r a t i o n e m c o n g r u a t . V elemento adunque psichico preponderante nel linguaggio l'immaginazione, ) ci da Alberto Magno ripetuto anche pi avanti con queste parole : o p o r t e t in voce et a n i m a t i m i esse verberans et quod c u m i m a g i n e s i g n i f i c a n d o a l i q u i d per vocem verberet et f i g u r e t : v o x e n i m est sonus a l i q u i d s i g n i f i c a n s , et v o x n o n est s i m p t i c i t e r respix 2

1) A L B E R T O M A G N O ,

De

Anima,

Tractactus 111, cap.

22. (In

ALBERT

M A G N I , O p e r a , Lugduni 1651, voi. Ili, pag. 94 e sgg). 2) Ricordiamo in proposito ' importanza ammessa per la facolt immaginativa dallo stesso Kant, per il quale essa era una specie di attivit intermedia fra l'intuizione e l'intelletto (Cfr. H . H O E F F I N D G , op. cit., Voi. 2 pag. 48).

206

LA

FILOSOFIA

D E L LINGUAGGIO

r a t i aeris, s i c u t est t u s s i s et c u m d u o s u n t in a n i m a affectus s c i l i c e t d o l o r i s vel g a u d i i , et conceptus cordis de rebus, n o n est v o x s i g n i f i c a n s affectum, sed p o t i u s c o n c e p t u m , conceptus enim cordis interpretativ u s sonus v o x est ; et ideo v o x n o n est n i s i habentis i n t e l l e c t u m c o n c i p i e n t e m i n t e n t i o n e s r e r u m et ideo ad e x p r i m e n d u m c o n c e p t u m f o r m a t voces. Come si vede, si parla in tali passi di immagini, di interpretazioni, di formazioni, e cio il processo psichico per la produzione delle voci cos indicato da A l berto Magno : Prima si ha il sentimento di piacere e di dolore, e si noti profondit di pensiero in quel sommo, il quale gi aveva definito, n pi n meno di quello che si potrebbe fare nella psicologia moderna, il piacere come sensus c o n v e n i e n t i s , ed il dolore come sensus d i s c o n v e n i e n t i s in rapporto a l l ' equilibrio generale delP esistenza ), tanto e vero che essi magis p r o f u n d a n t u r i n n a t u r a , q u a m in a n i m a ' ) ; dal.piacere e dal dolore nasce desiderio od avversione"), per cui si desta in noi la cognizione dell' elemento rappresentativo che ha destato e piacere e dolore, e quindi desiderio od avversione ; tale cognizione in noi tosto tradotta nel campo dell' immaginazione, che, dopo averla per dir cos distesa e diffusa nella sfera generale dei concetti, s da aggregarla come un' unit nuova alla somma gi esperimentata dei consimili, P interpreta e P esprime colla parola, la quale non esprime gi il sentimento, ma sibbene
4

0 ALBERTO MAGNO, 2) A L B E R T O M A G N O ,

De Anima, De Anima,

lib. II, tract. I, cap. X . lib. II, tract. Ili, cap. X X U .

3) A L B E R T O

M A G N O , D e A n i m a , lib. 11, tract. II, cap, XXVII.

NEL

PENSIERO

DI

ALBERTO

MAGNO

207

il concetto relativo. L a parola quindi una vera produzione nostra, un frutto di quella parte dell'intelletto che Alberto Magno ha chiamato i m a g i n a t i o , mentre di S. Anselmo, come gi si visto, era chiamata m e m o r i a , laddove il concetto frutto della parte speculativa razionale dell' intelletto, cio delle di lui operazioni fondamentali del comporre e del dividere '), sulle quali ha insistito poi tanto S. B o naventura per spiegare il passaggio per quella dall' astratto al concreto, e per questa dal concreto a l l ' astratto ) .
2

L'immaginativa adunque secondo Alberto Magno, cio quella facolt i n quae s u n t formae acceptae per sensum, crea la parola, o per lo meno la suscita quando sia del caso : ma l'immaginazione c' anche negli animali, come va allora che in essi non c' il linguaggio? A l che il nostro autore risponde tosto direttamente cos : L i c e i e n i m b r u t a habent imaginat i o n e m , t a m e n n a n m o v e n t u r ab i p s i s i m a g i n a t i s sec u n d u m r a t i o n e m i m a g i t a t o r u m , sed a n a t u r a , et ideo o m n i a s i m i l i t e r o p e r a n t u r , per il che, soggiunge egli, i m a g i n a t i v a in b r u t i s n o n r e g i t n a t u r a m , nec a g i t eam ad opera secundum diversa imaginata, sicut facit homo, sed p o t i u s r e g i t u r a n a t u r a et a g i t u r ad opera ab i p s o , et ideo f i t quod l i c e i apud se habeant imag i n a t a , t a m e n ad e s p r i m e n d u m i l l a n o n f o r m a n t voces. Veramente questa risposta non ci pare esauriente,
0 ta qui lisi, e 2) A L B E R T O M A G N O , D e A n i m a , lib. Ili, tract. II, cap. XVI. Si tratdi quelle due operazioni che meglio oggi si chiamerebbero anasintesi. S. B O N A V E N T U R A , S e n t e n t . . lib. I, dist. V i l i , Dist. 11.

208

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

perch il dire che Y uomo crea la parola, perch mosso dal prodotto della sua immaginazione secund u m ratonern i m a g i n a t o r u m , mentre l'animale non la pu creare, perch spinto solo dall' istinto, dire poco, giacch equivale a mettere due punti di origine diversa senza mostrare la traiettoria che le due linee dipartentisi da quelli seguono per raggiungere una data meta. Fortunatamente abbiamo per altri passi anche d'altre opere oltre che il D e a n i m a , i quali meglio possono illuminarci in proposito. Anzitutto A l berto Magno toglie di mezzo Y opinione di coloro che vorrebbero far correre un vero rapporto di natura tra concetto e parola : tale opinione, accennata anche e ribattuta, come si visto, da S. Tommaso nel D e i n t e r p r e t a t i o n e cos da Alberto Magno formulata : a l i q u i d i x e r u n t quod conceptum, q u i ex p a r t e i n t e l l e c t u s discenda i n imaginationem et o r g a n u m i l l i u s quod est in a n t e r i o r i p a r t e cap i t e , ad q u a m p e r v e n e r i t r e s p i r a t u s aer in quo v o x f i g u r a t u r , et i b i generat vis imaginativa intentionem r e i in voce ) . Veramente non si pu dire che questa sia 1 ' antica opinione discussa nel C r a t i l o platonico, perch l si discorreva di un rapporto di somiglianza tra cosa significata e suono, stabilita dall' abilit sapiente di chi ha posto per prima quella data parola, sicch analizzando questa si poteva arrivare alla vera conoscenza di quella : qui invece si tratta di un rapporto diremo quasi
i

1) A L B E R T O M A G N O , D e a n i m a , lib. 1 1 Trat. Ili, cap. XXII.

NEL

PENSIERO DI A L B E R T O M A G N O

209

d' ordine fisiologico : la parola in altri termini consi- . sterebbe di due elementi : il significato ed anche il s i gnificativo, nel senso che essa sarebbe la risposta non arbitraria, ma spontanea e necessaria dell'organismo alla presenza di un concetto, il quale si esprimerebbe in quel dato modo, in cui ci sia V i n t e n t i o r e i cio il riflesso spontaneo della cosa stessa significata. Noi non sappiamo a quale od a quali autori in modo speciale abbia voluto riferirsi Alberto Magno con tali sue parole ; probabilmente egli ha di mira quell'indirizzo da cui poco tempo dopo Dante trasse quella sua opinione dei nomi consequentia r e r u m , di cui gi abbiamo discorso altrove '), e che storicamente, pi che nel C r a t i l o e negli Stoici, ha la sua prima espressione nella dottrina in proposito di E picuro, spogliata per di tutta la seconda parte, quella cio che riguardava V intervento della ragione umana nella ftais dei vocaboli stessi. Gli argomenti che Alberto Magno adopera per confutare una tale dottrina sono questi : anzitutto assurdo i l credere che nella parola ci possano essere due elementi : il significato ed il significante, in secondo luogo se le parole avessero veramente in s l'elemento naturale, quale sarebbe appunto l ' i n t e n t i o r e i , in qualunque parola esso ci sarebbe,
0 Cfr. cap. V , pag. 174, nota 4 e cap. VI, pag. 198. Nella filosofia posteriore la dottrina, di cui fa giustizia Alberto Magno, prima di rin- ^ novarsi nel Tradizionalismo del De-Bonald, p u benissimo giudicarsi ^ come legittima conseguenza dell' Occasionalismo del Geulincx e del M a lebranche, le dottrine dei quali sarebbero riuscite in precisa opposizione a quelle realmente svolte dall' Hobbes nel suo trattato D e C o r p o r e , in cui si sostiene che il linguaggio si deve tutto ad una denominazione volontaria. (Cfr. H. HOEFFDING, op. cit., voi. I, pag. 26G).

210

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

ed essendoci nella parola per la medesima ragione si ingenererebbe anche nell'ascoltante, ed allora chi parla sarebbe capito in qualunque linguaggio parlasse, il che evidentemente falso, perch v o x est sonus f o r m a t i v u s i n s i g n u m , quod ad p l a c i t u m s i g n i f i c a t , et ideo de re f a c i t n o t i t i a m s i c u t s i g n u m , et ideo n o n p e r c i p i t i l l a m vocem q u i nescit i n s t i t u t i o n e m s i g n i . Alberto Magno avrebbe potuto anche aggiungere che se veramente la parola fosse quel prodotto naturale di cui parlava 1' opinione di quelli, che egli combatte, ben difficilmente si sarebbero potuto salvare i motivi di differenza tra il linguaggio dell' uomo e la manifestazione dei sentimenti nei bruti : vero che in quelli vi il concetto, ed in questi no, ma questo non sarebbe stato sufficiente a spiegare la diversit di manifestazione tra uomo e bruto, che essa era nel disegno dell' autore ben pi profonda che la semplice diversit tra sensazione e concetto. Anche la soluzione adunque di tale obbiezione fatta da Alberto Magno non versava troppa luce sui motivi di diversit tra uomini e bruti per ci che riguarda 1' argomento nostro. Ragioni ben pi efficaci troviamo in proposito nel D e a n i m a n t i b u s dello stesso Alberto Magno in cui la questiome direttamente risolta. Anche qui si comincia a mettere in risalto la differenza tra voce, suono ed il sermo, dicendosi : v o x est sonus c u m i m a g i n a t i o n e ab ore a n i m a l i s ad a l i quem effectum d e m o s t r a n d u m p r o l a t u s , sonus a u t e m
1) A L B E R T O M A G N O , De animantibus, lib. V , tract. II, cap. 11, (ed.

cit., voi. VI, pag. 170 e sgg.).

NEL

PENSIERO DI A L B E R T O M A G N O

211

est genus vocis q u o d l i b e t v i d e l i c e t a sonante procedens, quod a u d i t u i i n f e r i passionem ; sermo autem est t e r t i u m d i v e r s i t a t e m habens ad u t r u m q u e i s t o r u m , est e n i m sermo v o x a r t i c u l a t a et l i t e r a t a c o n c e p t u m m e n t i s humanae d e n u n t i a n s . L a distinzione qui triplice, giacche va intesa nel senso che suono qualunque rumore provenga da un corpo qualsiasi, e produca sentimento in chi lo senta ; voce invece il suono che provenga da ci che 1' autore chiama epiglottide di un animale, mentre il sermo in genere F espressione dell' essere ragionevole. Cos chiarite le cose, vediamo di penetrare nel motivo di differenza psichica tra voce e sermo, e fortunatamente a questo riguardo Alberto Magno usa di un mezzo efficacissimo, e cio usa dell' esempio di un essere che parla come F uomo, non essendo ragionevole come F uomo stesso, cio dell' esempio di ci eh' egli chiama p i g m e u s ) . Che cosa sia in realt questo pigmeo, e F altro suo fratello minore il maritovinorio dallo stesso autore citato, noi non sappiamo, e poco anche ci i n teressa saperlo, basta a noi conoscere quale motivo ideale di differenza Alberto Magno riconosca tra essi e F uomo. Il pigmeo q u a n t u m ad a n i m a l i s v i r t u t e s post h o m i n e m v i d e t u r p e r f e c t i u s esse a n i m a l , dice A . M . , esso infatti pi perfettamente di ogni altro essere, ad eccezione dell' uomo s'intende, sa paragonare le sue percezioni sensibili, e meglio sa interpretare i segni dell' udito, sicch pare sia
1

ALBERTO

MAGNO,

De

animantibus,

lib.

X X I , tract. I, cap.

IH,

(ed. cit., voi. V I , pag. 560 e sgg.).

212

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

dotato di ragione, sed r a t i o n e caret. E d infatti che cosa la ragione, quando la si consideri in rapporto al linguaggio ? R a t i o , risponde il nostro autore, est v i s a n i m a e discucendo per experta et mem o r i a accepta, per h a b i t u d i n e m localem aut syllogis t i c a m u n i v e r s a l e e l i c i e n s , et ex i l l a p r i n c i p i a a r t i u m et s c i e n t i a r u m et s i m i l e s h a b i i u d i n e s conferens. Ora tali operazioni della ragione si trovano attuate nel pigmeo ? N o , perch tutto ci eh' egli riceve per mezzo dell' udito, lo riceve per nulla disgiunto a sensibil i u m i n t e n t i o n i b u s , et p r o u t s u n t s e n s i b i l i u m i n t e r i o nes memotiae commendat, et hoc modo c o n f e r t , et c o l l a t a s i g n i f i c a t per l o c a t i o n e m . Per il che quantunque, il pigmeo parli, tuttavia non d i s p u t a t , non ragiona cio de u n i v e r s a l i b u s rebus, perch le sue voci si dirigono sempre a ci che per sua natura particolare ; in altri termini, dice il nostro autore, l o c u t i o sua c a u s a t u r ex u m b r a r i s u l t a n t e i n occasu r a t i o n i s . Quest' espressione, se poetica in s, non ha minor valore filosofico di qualsiasi altra, giacch Alberto Magno la spiega cos, insistendo ancora e dilucidando tutto quanto gi aveva detto : R a t i o d u o habet, q u o r u m u n u m est ex r e f l e x i o n e sua ad sensum et m e m o r i a m (da intendersi questa nel tradizionale uso scolastico, che g i ' a b b i a m o visto parlando di S. Anselmo), et i b i est perceptio experimenti ; s e c u n d u m a u t e m est quod habet secundum quod e x a l t a t u r versus i n t e l l e c t u m s i m p l i c e m ; et sic est e l i c i t i v a u n i v e r s a l i s , quod est p r i n c i p i u m a r t i s et s c i e n t i a e . Il pigmeo delle due non ha che la prima prerogativa, e perci non ha che l'ombra della ragione

NEL

PENSIERO DI A L B E R T O M A G N O

213

perch la vera luce della medesima sta tutta nella seconda, ed ombra perch aderente alla pura materialit delle cose sensibili, ed alle derivazioni di tale materialit [ a p p e n d i c i i s materia), cos che non mai il pigmeo sa elevarsi alla q u i d d i t a s delle cose ed a l l ' esercizio del ragionamento, pressapoco come colui che per un accidente qualsiasi abbia perduto T uso della ragione. Chiarite cos le cose, evidente che noi comprendiamo molto di pi i motivi di differenza tra le voci dei bruti ed il linguaggio degli animali, appunto perch veniamo a sapere molto meglio come si disponga il linguaggio in quegli esseri (veri o fittizii poca importa) in cui e' somiglianza coli' uomo in tutto, tranne in quella parte della ragione che abbiamo visto essere dal nostro autore chiamata e l i c i t i v a u n i v e r s a l i s . Quello che a noi importa di far qui rilevare che secondo Alberto Magno non gi il fatto del linguaggio specifico a l l ' uomo, ma il modo con cui esso si pu attuare : la creazione/?^/ i m a g i n a t i o n e m *) delle parole o dei segni, con cui sia possibile esprimere le diverse fluttuazioni interne, esiste, secondo lui, anche in altri esseri irragionevoli, nel pigmeo, per esempio; ci che solo dell' uomo il far aderire tali segni a concetti universali, sicch possali derivare

1) Ricordiamo in proposito quel passo del D e a n i m a di Aristotele II, 8), gi citato a suo luogo (cap. II. pag. 34), in cui lo Stagiritia parlando della differenza tra le parole dell' uomo e i suoni emessi dagli altri bruti la fa consistere nel significato impresso dall' immaginazione \ c p a v T a a a ) , n pi n meno di quello che faccia Alberto Magno.

214

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

da ci e il vero linguaggio ed il vero ragionamento ) . Abbiamo visto che Alberto Magno per chiarire le sue idee in rapport al linguaggio disceso di un gradino nella scala dell' animalit, fermandosi sull' esempio del pigmeo. S. Bonaventura invece e S. Tommaso per raggiungere il medesimo scopo sono saliti di un gradino, e dalla considerazione dell' uomo sono passati a quella dell' angelo.
1

noto quale importanza abbia avuto la concezione e lo studio dell' angelo nella teologia della Scolastica : dato il concetto fondamentale di materia e di forma, era data anche la necessit di studiare negli angeli la pura essenza formale in contrapposto a tutto il resto del creato, in cui vi appunto F unione dell' una e dell' altra, cio di materia e di forma ). Anche per ci che riguarda il linguaggio e S. Bonaventura e S. Tommaso videro tutto F interesse di un riferimento alla natura angelica, e cos anche noi
2

0 Sulla questione discussa da Alberto Magno vedi quale sia il pensiero della psicologia moderna nel L E R O Y ( G E O R G E S L E R O Y , L e t t r e s sur les a n i m c H i x , Paris 1862, pag. 2 1 ) e nel Romanes ( G . I. ROMANES op. cit., pag. 53); cfr anche F R . SALIS S E E W I S , L e a z i o n i e g l i i s t i n t i d e g l i a n i m a l i Prato 1896, pag. 217 e sgg. 2) Veramente S. Bonaventura ammetteva negli angeli una distinzione tra forma e materia, per vi concepiva una materia non come quella di cui composto 1' uomo, perch non risultante ex p a r t i b u s q u a n t i t a t i v i s e t heterogeneis (S. B O N A V E N T U R A , Seni. lib. 11, dist. II. Pars. I. art. I e dist. V i l i , art. I, quaest. I). Ci ammetteva S. Bonaventura per salvaguardare il principio d'inviduazione anche negli angeli. Su tutto ci vedi quanto si detto nell' altra opera nostra. L a coscienz a r e l i g i o s a m e d i e v a l e - A n g e l o l o g i a - Torino 1908, cap. Ili, pag. 27 e sgg. Sulla differenza tra la dottrina della materia, e della forma in Aristotele e l'interpretazione data di essa nella Scolastica, cfr. H . H O E F F DING, op. cit., Voi. I, pag. 7 e sgg.

NEL

PENSIERO DI S. BONAVENTURA

215

possiamo molto meglio conoscere quale sia stato il pensiero di tali filosofi in rapporto al nostro argomento. Cominciando dal mistico pensatore di ^ g n p r e a , possiamo anzitutto dire che accenni frequenti per quanti sempre frammentari relativi al nostro argomento troviamo nell' opera sua filosoficamente pi importante, il commento cio alle sentenze di Pietro Lombardo. Cos, per esempio, a proposito del nome di Dio egli dichiara che i nomi si possono studiare sotto due aspetti e cio uno oggettivo in q u a n t u m ad i d c.ui i m p o n i t u r , e P altro soggettivo in q u a n t u m a quo i m p o n i t u r ~) ; vero si che tale duplice aspetto S. Bonaventura riferisce in modo speciale al nome di D i o , a proposito del quale gi Pietro Lombardo aveva cercato di interpretarne il senso per trovare in esso la sostanza di ci che egli , ci non di meno questo cercar di studiare P essenza sia pure di D i o basandosi sullo studio dei nomi (e questi nomi sarebbero P ego s u m q u i s u m della Bibbia, oooia. s u b s t a n t i a , persona e simili) ha un certo sapore platonico, che ben s'addice del resto all'indirizzo speculativo - mistico - agostiniano di S. Bonaventura. Tale inclinazione verso i l Platonismo nello studio dei nomi appare ben pi evidente nella trattazione
1) S. B O N A V E N T U R A , I n S e n t e n t i a r u m l i b r o s (Venetiis 1580) lib. I, dist. II. 2) P I E T R O L O M B A R D O , S e n t e n t i a e , lib. I dist. 2. Prima di Pietro Lombardo ci aveva fatto S. Ambrogio nel I libro D e T r i n i t a t e , S. Gio vanni Damasceno (De f i d e o r t / w d o x a , 1,12), il quale fra le altre etimologie porta quello di &=c, da frco, che gi abbiamo visto in Dionigi Areopagita, ed in Scoto Erigena; cfr. anche S. A G O S T I N O , D e T r i n i t a t e V . 16-

>

216

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

del problema : a n D e u s n o m i n a b i l i s s i t L a risposta naturalmente negativa, conformemente a quanto gi avevano pensato, e V abbiamo visto a suo luogo, parecchi Padri. S. Bonaventura per non s' accontenta dell'autorit dei Padri, e trova argomenti di ragione per confortare la sua opinione, e tali argomenti sono per noi di non piccola importanza. Prima di tutto il santo dice : N o m e n p r o p o r t i o nem et s i m i l i t u d i n e m a l i q u a m habet ad n o m i n a t u m , u t v o x ad s i g n i f i c a t u m , ma Dio infinito, la voce invece finita, dunque non vi n vi pu essere proporzione tra quello e questa, dunque non ci pu essere nec expressio nec n o m i n a t o D e i per vocem. In secondo luogo : omne n o m e n i m p o n i t u r a f o r m a a l i q u a , ma in Dio non si pu porre nessuna forma, dunque egli innominabile, d' altra parte omne n o m e n sig n i f i c a t s u b s t a n t i a m c u m q u a l i t a t e , ma in Dio est mera s u b s t a n t i a sine q u a l i t a t e , per ci egli non pu essere giustificato da un nome. Non tocca ora a noi considerare il valore di tali argomenti di S. Bonaventura in rapporto all' essenza di Dio ; fermando piuttosto brevemente la nostra attenzione sulla portata di essi per quel che valgono in s e per s, troviamo che con tali argomenti S. Bonaventura vien ad ammettere un vero rapporto di proporzione e di somiglianza tra nome e cosa nominata : ecco un problema che Alberto Magno aveva risolto, come si visto, in senso negativo, tenendosi ben saldo alla tradizionale opil) S. B O N A V E N T U R A , lib. I, dist. XXII, art. I, quaest. I.

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PENSIERO DI

S.

BONAVENTURA

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nione della p o s i t i o n o m i n i s ad p l a c i t u m , mentre S. Tommaso insiste ed a lungo solo sulla somiglianza tra la cosa ed il concetto, che di essa forma l ' i n telletto nostro il che noi abbiamo gi visto in merito al v e r b u m c o r d i s da lui ammesso in Dio, a proposito del quale vale la pena che noi ricordiamo come nella S u m ma c o n t r a gentes egli apertamente dichiari che i n t e l l e c t u s a u t e m d i v i n u s n u l l a a l i a specie i n t e l l i g i t q u a m essent i a , sed essentia sua est s i m i l i t u d o o m n i u m r e r u m , dal che deriva che v e r b u m i p s i u s est s i m i l i t u d o n o n s o l u m s u i i n t e l l e c t i sed e t i a m o m n i u m q u o r u m est d i v i n a essent i a s i m i l i t u d o ). Perci invece che riguarda il rapporto tra concetto e nome esterno anche S. Tommaso r i gido sostenitore della dottrina di Aristotele.
2

S. Bonaventura invece pare sia del parere che suono e cosa hanno tra loro una proporzione, anzi una somiglianza, la quale v i dovr essere tra il nome e la forma per cui esso s' impone. Che molto probabilmente tale sia V opinione di S. Bonaventura lo possiamo dedurre, oltre che da quanto gi si riportato di lui, da quest' altro passo ) : egli, riassumendo i suoi concetti, dichiara che nel nome ci sono tre e lementi e cio la voce, il significato ed un terzo e lemento : la r a t i o i n n o t e s c e n d i . Mettiamo ora a confronto questa triplice inclusione di elementi nel nome coli' esclusione assoluta nel nome di qualsiasi elemento significativo od i n t e n t i o r e i fatta da A l berto Magno, e poi si veda se non abbiamo ragione
3

1) S. T O M M A S O , S t i m m a c o n t r a gentes, I, 53. 2) S. T O M M A S O , op. cit., loco citato. 3) S. B O N A V E N T U R A , Seni. lib. 1, Dist. X X I I , quaest. 2.

218

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

per sospettare che nella concezione del santo di Bagnorea vi probabile il riflesso non diciamo dell ' opinione di Platone in proposito, ma per lo meno dell' indirizzo suo nel risolvere V ardua questione dei rapporti tra nome e cosa nominata. Tralasciando altre distinzioni poste da S. B o naventura sulla relativit dei nomi, relativit che pu essere intrinseca (come nel nome i n c a m a t u s ) , ed e strinseca (come nel nome s i m i l i s ) ) , sulla loro posizione ex tempore et per accidens ), distinzioni queste che riguardano piuttosto la cosa significata che non il rapporto fra nome e cosa, veniamo a vedere quale sia stato il pensiero del nostro autore sulla questione : a n l o c u t i o a n g e l i i d e m s i t quod eius c o g n i t i o ) ; la soluzione che egli d di tale problema da lui cosi formulata : N o n i d e m est angelis locutio quod cogitatio ; n a mlocutio supra verbum addii respect u m ad a l t e r u m , s c i l i c e t p r o t e n d e n d o speciem intelligib i l e m ad a l t e r u m ; come si vede il rapporto stabilito tra c o g i t a t i o e l o c u t i o non d' uguaglianza, ma sibbene di differenza, che questa quella pi 1' estrinsecazione mediante segno di ci che nel pensiero solamente intrinseco. Anche qui a noi poco importano gli argomenti d' ordine metafisico riferentisi direttamente agli angeli, solo interessandoci quella che riguardano i rapporti in genere tra pensiero e parola. Anzitutto S. Bonaventura mette in evidenza il concetto di l o c u t i o
L
2

0 S . B O N A V E N T U R A , Sent. 2) S. B O N A V E N T U R A , Sent. 3) S. B O N A V E N T U R A , Sent.

lib. I, Dist. XXII, quaest. 4. lib. 1, Dist. X X X , quaest. I. lib. II, Dist. X , art. 3, quaest. I.

NEL

PENSIERO DI S. B O N A V E N T U R A

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s p i r i t u a l i s , non potendo affatto discorrere di altra specie di linguaggio negli angeli. Tale l o c u t i o s p i r i t u a l i s non in fondo che il v e r b u m c o r d i s di S. Tommaso, quindi qualche cosa in pi che non la c o g i t a t i o f o r m a t a di S. Agostino, che oltre ad essa vi la m a n i f e s t a n o . Ci esplicitamente detta da S. Bonaventura colle parole : l o c u t i o n o n est a l i u d q u a m conceptus m a n i f e s t a n o , e pi avanti : l o q u i n o n est a l i u d q u a m v e r b u m g i g n e r e sive f o r m a t t o : sed c o g i t a t i o n i h i l a l i u d q u a m v e r b i f o r m a t t o , vel v e r b i conceptio : ergo c o g i t a t i o est n i h i l a l i u d est q u a m i n t e r i o r l o c u t i o . Come si vede in queste parole di S. Bonaventura vi implicito il concetto che i l fatto stesso del pensare mentre si attua si traduce gi nell' intelletto in qualche cosa che pu essere o g gettivato in un simbolo od in un segno : c o g i t a t i o egli dice infatti, e con lui molti altri, come si visto, i n t e r i o r l o c u t i o , ora una l o c u t i o non concepibile se non in rapporto ad un sistema di azioni interne, che si susseguono, si accavallano, si alternano pressapoco come nel linguaggio esterno si susseguono, si accavallano e si alternano i vocaboli, segni estrinseci dei concetti intrinseci : tanto vero che S. Bonaventura ha prima detto : c o g i t a t i o n i h i l a l i u d est q u a m v e r b i f o r m a t t o o v e r b i c o n c e p t i o . Forse qui il santo si riferisce allo stato solito della mente nostra, per cui noi non possiamo mentalmente dividere il concetto dalla parola ; forse per anche implicito nel suo pensiero la considerazione che anche quando la parola non esiste per un dato concetto, questo stesso tende per sempre ad og-

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LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

gettivarsi in qualche cosa che non sar un suono pronunciabile, ma sar sempre un' immagine, un simbolo, che entrando poi nella serie degli altri segni mentali degli altri concetti, sar anch' esso un numero di quella gran somma, che appunto l ' i u t e r i o r l o c u t i o : quello che certo si il nesso profondo tra pensiero e parola da S. Bonaventura r i petutamente affermato, tanto che pi avanti leggiamo ancora queste sue parole : dicere in se i d e m f i t quod c o g i t a r e vel c o g i t a n d o i n t e l l i g e r e . Per discendere pi profondamente nel pensiero del nostro autore possiamo forse dire che se la c o g i t a t i o come la materia, su cui si attua il magistero della nostra ragione, la l o c u t i o invece. la forma sotto cui si trova esternamente limitata la materia dalla ragione nostra elaborata, forma che visibile dal nostro occhio interno, perch fissata o fissantesi sotto un simbolo afferrabile. L o c u t i o quae differ a c o g i t a t o n e a d d i t a l i q u o d s i g n u m e x p r i m e n s , dice S. Bonaventura, non riferendosi solo al linguaggio umano, ma sibbene anche al linguaggio angelico, in cui escluso qualsiasi elemento materiale ; sopra la natura di un tale s i g n u m molto sottilmente insiste il santo scrittore, e vale la pena di seguire il suo ragionamento, perch in fondo si tratta di modalit che si avverano anche nella parte spirituale del linguaggio umano. Un tal segno, spiega S. Bonaventura, est a u t species, a u t res ; si species ergo p a r i r a t i o n e i n d i g e t a l i o s i g n o , et s i m i l i t e r q u a e r e r e t u r de i l i o a l i o t e r t i o , nec e r i t i b i s t a t u s s i c u t nec i n p r i m o . Si a u t e m est

NEL

PENSIERO DI S. B O N A V E N T U R A

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res a u t i n t e l l i g i b i l i s a u t s e n s t b i l i s , s e n s i b i l i s n o n q u i a q u i d q u i d est in angelo est s p i r i t u a l e ; si i n t e l l i g i b i l i s , quaere quare magis illam apprehendit angelus, c u i s i t sermo, q u a m i p s a m speciem quae est i n i n t e l l e c t u angelico et i t e r u m i l l a res, quae est i n u n o a n gelo, n o n potest f i e r i i n v e n t a t e i n a l i o angelo ; ergo o p o r t e t quod f i a t s e c u n d u m s i m i l i t u d i n e m , et t u n c p a r i r a t i o n e species existens i nintellectu unius a n g e l i potest generare s u i s i m i l e m i n a l i o , a u t si n o n , q u a e r i t u r quare non. NelP uomo invece il segno sensibile, pur r i manendo sempre fisso che anche nelP uomo, per discendere un grado dall' angelo, ed anche in D i o , per salire invece di un gradino, l o c u t i o n o n est al i u d q u a m c o g i t a t i o ; P uomo infatti quando parla con un altro non solo pensa, ma il suo pensiero interpreta e spiega all'altro formando una voce sensibile, la quale appunto come il mezzo di comunicazione tra uomo ed uomo, il che si spiega col fatto che nelP animo altro P atto della conversione sopra s stesso, ed altro P atto della conversione a qualche cosa d' altro : nel pensare si tratta di atti della prima specie, il linguaggio invece atto della seconda specie. Cos adunque si aggiunge al pensiero il discorso mediante segni sensibili; finch P anima infatti col corpo, non pu ricevere impressioni che mediante la forza dei sensi. Come si crea tale segno sensibile? Qui S. B o naventura s'accorda con Aristotele e con Alberto Magno nell' ammettere P intervento dell' immaginazione ( m e d i a n t e v i a i m a g i n a r i a ) nella creazione dei

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LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

segni, approffitta anche qui dell' occasione per r i chiamare la sua idea di un rapporto tra nome e cosa, giacch trova in quello una s i m i l i t u d o i n t e l l i g i b i l i s o s i g n a t u m i n t e l l i g i b i l e che per i l l u d s i g n u m as c e n d i t m e d i a n t i b u s s e n s i t i v i s ad i n t e l l e c t u m a l t e r i u s . E cos conclude il nostro autore, conveniens est u t s i c u t homo c o m p o s i t u s est ex a n i m a et corpore, eius l o c u t i o a l i q u i d habeat s p i r i t u a l e (cio il linguaggio interno, la c o g i t a t i o f o r m a t a ed il suo riflesso nel segno esterno) et a l i q u i d c o r p o r a l e (e cio il segno come suono). Tale quanto d'interessante abbiamo trovato in S. Bonaventura in relazione al nostro argomento, vediamo ora di mettere a confronto colla speculazione del santo di Bagnorea quella parallela di S. Tommaso. Gi abbiamo avuto occasione in questo stesso capitolo di ricordare parecchie delle opinioni dell' Aquinate, ricordiamo ora prima di tutto questa osservazione di lui che richiama quanto gi abbiamo riscontrato in S. Bonaventura : V e r b u m a l i c u i u s d i c e n t i s v i d e t u r esse s i m i l i t u d o r e i d i c t a e i n d i c e n t e * ) , in cui pare ci sia l'indirizzo di un rapporto tra parola e cosa significata, per quanto ci sia quel v i d e t u r che lascia la cosa in sospeso ; forse in quel passo di S. Tommaso c' come un' anticipazione del concetto espresso da S. Agostino, e da quello riportato poco dopo sul verbo interno a cui, secondo il vebo 1) S. T O M M A S O , art. I. Q u a e s t . d i s p u t . D e v e n t a t e , quaest. IV, D e ver-

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PENSIERO

DI S. T O M M A S O

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scovo di Ippona meglio conviene il nome di verbo, contrariamente e quanto in proposito pensa S. T o m maso, come si capisce dalle parole : verbo quod est i n voce mogis c o n v e n t i r a t i o v e r b i ; certo si che fugace e solitario queir accenno ad una s i m i l i t u d o tra il v e r b u m e la res d i e t a , sicch per nulla esso ha dato luogo ad uno svolgimento ordinato e coerente, quale abbiamo visto in S. Bonaventura. Pi avanti nella medesima quaestio troviamo questa constatazione di fatto, che il v e r b u m e x t e r i u s c u m s i t sensibile est magis n o t u m nobis q u a m i n t e r i u s , il che se si capisce quando si pensi che per S. Tommaso, come gi si visto, // v e r b u m exter i u s est i d quod est i n t e l l e c t u m , n o n i p s u m i n t e l l i g e r e , mentre i l , verbo i n t e r i u s est i p s u m i n t e l l e c t u m , d'altra parte pare in evidente contrasto con quanto dice subito dopo F Aquinate, richiamando la ben nota dottrina di Aristotele, e di quasi tutta la Scolastica, cio che il v e r b u m est s i g n i f i c a t i v u m ad p l a c i t u m . Come infatti si pu dire sia pi noto ci che arbitrario, mentre necessario in certo qual modo il concetto, sostanza appunto del linguaggio interno ? questa un' obbiezione gi cos formulata dal commentatore delle S u m m u l a e logicales di Pietro Ispano ) : I l l u d quod ad p l a c i t u m est v a r i a b i l e i n i n f i n i t u m , v a r i e t u r ergo si v o x s i g n i f i c e t ad p l a c i t u m , sua s i g n i f i c a n o e r t i v a r i a b i l i s i n i n f i n i t u m , et sic n u l l a e r t i certa c o g n i t i o de s i g n i f i c a t i o n e vocis sig n i f i c a t i v a e , al che il medesimo risponde : I l l u d
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1) P E T R I H I S P A N I , Simmulae

logicales,

ed.

cit.,

pag.

15.

224

LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

quod f i t ad p l a c i t u m c u i u s l i b e t i n d i f f e r e n t e r v a r i a t u r , n o n t a m e n quod d e t e r m i n a t e f i t ad p l a c i t u m u n i u s , s i c u t et v o x s i g n i f i c a t i v a , quae s i g n i f i c a t s o l u m ad placitum p r i m i instituentis. Comunque per sia di ci, resta un fatto che S. Tommaso esclude affatto alcun rapporto di natura tra nome e cosa significata, i l verbo esterno esprime il concetto, cio il verbo interno, appunto perch, come si legge in un passo della S u m m a c o n t r a gentes, s u n t o m n i a n o m i n a i m p o s i t a ad des i g n a n d u m speciem r e i creatae ) , talvolta poi un nome solo pu significare parecchi concetti per una certa loro ragione di affinit ), ma tutto ci arbitrariamente tanto che, come avrebbe detto'Aristotele, poco importa sia questo o quello il nome con cui quel dato o quei dati concetti si esprimono ; l'importante che poscia esso od essi si esprimano sempre con quel nome, il quale cos a lungo andare, si fonde insieme al concetto per formare praticamente una cosa sola, mentre razionalmente sono due cose ben distinte ed indipendenti. Che tale veramente sia in fondo il pensiero di S. Tommaso lo si pu anche rilevare dallo studio con cui egli investiga la parola in raffronto alla precisione del concetto che essa esprime. V i sono due modi di conoscere, egli dice, uno per perfect a m comprehensionem, e 1' altro per s i m p t i c e m cog n i t i o n e m , cos il dicibile e quindi il detto sar di
l
2

1) S . T O M M A S O , S t i m m a c o n t r a gentes, 2) S . T O M M A S O , S u m m a c o n t r a gentes,

I, 30. IV, 42.

NEL

PENSIERO DI S. T O M M A S O

225

due specie : uno per perfectam expressionem, l'altro per s i m p l i c e m n a r r a t i o n e m : noi parleremo di D i o , per esempio, per s i m p l i c e m n a r r a t i o n e m ; egli invece, s i b i s o l i i n t e l l i g i b i l i s , sar s i b i s o l i e f f a b i l i s et n o m i n a b i l i s n o n a l i o n o m i n e q u a m ipse s i t nec a l i o verbo q u a m ipse s i t . Come si vede in tale distinzione dell' Aquinate escluso qualsiasi studio della parola in s e per s : il valore di quella, qualunque sia il suo suono, perfettamente arbitrario, dipende dalla precisione o meno del concetto che esprime ; ci ancora pi evidente in quanto leggiamo pi avanti sempre nella medesima quaestio , quando cio S. Tommaso nega che ci sia altro rapporto tra cosa e nome all'infuori di quello che risulta dalla totalit o meno del concetto che in esso si riflette, come in una forma che non gli certo essenziale ; vi , in altri termini, una proportio tra cosa e nome dipendente appunto dal grado di espressione della parola, riferentesi al grado di cognizione del relativo concetto. Ci che si conosce nel nome lo si riconosce per m o d u m q u i e t i s , dice P Aquinate, quasi volesse dire che in esso si scorge come il deposito estrinseco ed irrigidito di ci che vivo e vibrante nel concetto. Come si vede, non si poteva meglio mettersi in contrasto, per quanto piuttosto apparente che reale, coli' antico intendimento di Eraclito, con tanto fine ironia messo in evidenza da Socrate nel C r a t i l o di voler cio anche nei nomi, " in quanto nomi, trovare un riflesso del moto perpetuo delle cose ! Un' altra questione delle D i s p u t a t a e merita
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LINGUAGGIO

da noi di essere accennata, quella che porta il titolo: De Magistro ) , questione proposta in questa formula : N a m homo docere a l i u m possit et d i c i m a g i s t e r vel D e u s s o l u s . la trattazione di tale problema rivolta in modo speciale contro S. Agostino il quale, come noto, nel D e M a g i s t r o rappresenta appunto Dio come il maestro interiore dell'animo. Era- questo un problema, che rasentando i confini di un ontologismo pericoloso, alla mente di S. Agostino doveva apparire circondato da un' urgenza d'ordine pratico, dato lo scetticismo in cui gli ultimi eredi dei sofisti avevano, come si visto a suo luogo, affogato il pensiero anche in effetto a l l ' arbitrario e non sicuro uso delle parole. Aristotele in proposito gi si era espresso molto esplicitamente con queste parole : Per accidens magnum a d f e r t a d i u m e n t u m sermo ad a c q u i r e n d a m s a p i e n t i a m p r u d e n t i a m q u e ~).
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Anche S. Tommaso risolve la questione in senso positivo dicendo : C u m n o n s u n t i n a n i m a ipsae scientiae concreatae, d i c i potest u n u s homo al i u m docere, et i l l i u s esse m a g i s t e r , causando i n ipso scientiam lumine naturalis rationis illius, qui addicit exponendo UH per s i g n a d i s c u r s u m quem f a c i t . Vero si che pi avanti 1' Aquinate dichiara che c o g n i t i o r e r u m i n nobis efficitur n o n per c o g n i t i o n e m s i g n o r u m , sed per c o g n i t i o n e m a l i q u a r u m r e r u m magis c e r t a r u m , s i c u t p r i n c i p i o r u m , Come si vede, questo
1) S. T O M M A S O , , Q u a e s t . d i s p u t . D e v e n t a t e , quaest. V I , art. I. A R I S T O T E L E , D e sensu e t s e n s i b i l i , cap. I.

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NEL

PENSIERO

DI

S.

TOMMASO

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un ritorno dell'antica tesi s lungamente discussa nel C r a t i l o , che le parole per s non sono mezzo, anzi il mezzo migliore per giungere alla nozione dell'essenza delle cose ; Platone conchiudeva il suo dialogo con un accenno fugace ed incerto alla dottrina delle idee, S. Tommaso invece ben pi csplicito in merito, parlando egli ampiamente della r a t i o n e s seminales q u o r u m c o g n i t i o est nobis natur a l i t e r i n s i t a quasi s i n t semina quaedam o m n i u m sequentium cognitorum. In tale concezione di S. Tommaso evidente l'influenza di S. Agostino il quale pure ammetteva le r a t i o n e s seminales ) , eco vivo dei X0701 Gjcspfxart7.0 ammessi dagli Stoici, e forse anche riflesso indiretto delle idee platoniche, il che si pu sospettare dalle parole stesse di S. Tommaso : Formae intell i g i b i l e s , ex q u i b u s s a p i e n t i a c o n s i s t a , et s u n t r e r u m s i m i l i t u d i n e s , et s u n t formae perficientes intellectum.
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Ed ora veniamo brevemente a vedere come si sia svolto il pensiero di S. Tommaso in rapporto alla questione del linguaggio negli angeli. Veramente il problema in proposito affrontato dall' A quinate diverso da quello discusso da S. Bonaventura : questo ha ricercato infatti se la cognizione degli angeli i d e m s i t q u a m l o c u t i o , presupponendo gi che la l o c u t i o negli angeli esista ; S. Tommaso invece affronta direttamente la questione dell' esistenza del linguaggio negli angeli stessi : ecco infatti come egli formula un tale pro1) S. AGOSTINO, D e genesi a d l u t e r a n i , VII, 28.

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FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

blema : N u m u n u s angelis a l t e r i l o q u a t u r ) e la sua risposta affermativa : d i c i t u r angelus unus alteri loq u i , m a n i f e s t a n d o ei i n t e r i o r e m m e n t i s c o n c e p t u m ) . Come al solito anche qui S. Tommaso pone prima tutti gli argomenti contrarii alla sua tesi per ribatterli dopo ad uno ad uno, e cos provare la verit della soluzione proposta : di tali argomenti consideriamone due che hanno interesse con quanto stiamo trattando. Anzitutto si poteva obbiettare : I n o m n i l o c u t i o n e o p o r t e t esse a l i q u i d , quod excitet a u d i e n t e m ad a t t e n d e n d u m v e r b i s l o q u e n t i s , quod ap u d nos est ipso v o x l o q u e n t i s , hoc a u t e m n o n potest p o n i i n angelo ergo nec l o c u t i o , al che S. Tommaso risponde che s i l e n t i u m p r i v a t l o c u t i o n e m vocalem qual i s est i n n o b i s , n o n s p i r i t u a l e m , q u a l i s est i n angel i s , giacch se i segni in noi sono sensibili, perch la nostra cognizione, che discorsiva, nasce dalle cose sensibili, un segno pu essere qualunque carattere, per cui una cosa si possa conoscere : anche una forma intelligibile pu adunque essere un segno di ci che per essa si conosce, cio pu essere una species in c u i u s a c t i o n e i n t e l l e c t u s f i t i n ord i n e ad a l i u m , come appunto avviene negli angeli. Altra obbiezione quella che S. Tommaso trova in Avicenna sotto questa forma : in nobis causa
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1) S. T O M M A S O , Q u a e s t d i s p a i . f ) e v e n t a t e quaest. I X , art. I V . 2) Notiamo che tale specie di comunicazione tra angelo ed angelo direttamente per conceptus era ammesso anche in Dante ( D e v u l g a r i e l o q u i o I, 2), il quale anzi nel passo citato ricorda tutte e due le specie di conoscenza e quindi di comunicazione della cognizione ammesse dalla Scolastica negli angeli, la vespertina e la mattutina (Cfr. in proposito ? . R O T T A , L a c o s c i e n z a r e l i g i o s a m e d i e v a l e - A n g e l o l o g i a , Torino 1908, pag. 74).

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PENSIERO DI S. T O M M A S O

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l o c u t i o n i s est m u l t i t u d o d e s i d e r i o r u m , q u a m c o n s t a i ex m u l t i s defectibus p r o v e n i r e , q u i a desiderami est r e i n o n habitae, ora negli angeli non e' difetto di nulla, dunque non e' desiderio, e quindi non v' linguaggio ; al che S. Tommaso risponde : d i c e n d u m m u l t i t u d o d e s i d e r i o r u m pr t a n t o d i c i t u r esse causa l o c u t i o n i s , q u i a ex m u l t i t u d i n e d e s i d e r i o r u m s e q u i t u r multitudo conceptuum, q u i non possimi nisi signis v a l d e v a r i i s e x p r i m i : ora i concetti esistono anche negli angeli, ed anzi la moltitudine di essi n u l l o a l i o desiderio r e q u i r i t desiderio comunicandi atteri quod ipse mente c o n c i p i t , quod desiderium i n angetis i m p e r f e c t i o n e m n o n p o n i t , ) nella quale risposta di S. Tommaso notiamo l'accenno ai vincoli, ormai tradizionali al tempo di lui, tra la questione del linguaggio e la logica : esistono desiderii, dice 1' A q u i nate, ma questi non si possono tradurre in segni se non quando si sieno mutati in concetti ), il che in certo qual modo gi era stato affermato e dimostrato, come si visto, anche da Alberto Magno.
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Gli altri argomenti discussi riguardano piuttosto il lato metafisico, che il lato psicologico della questione ; come conclusione possiamo dire che anche qui S. Tommaso insiste nel dimostrare che il segno esterno, la parola, non un elemento essen1) Ricordiamo che anche il Leibniz nella sua Teodicea ammetteva che negli angeli, come nei beati, dovessero manifestarsi desiderii da integrare e resistenze d' ordine intellettuale da vincere, e ci per render possibile l'esercizio d e l l ' a t t i v i t loro, in cui sta appunto la loro perfezione. (Cfr. H . H O E F F D I N G , op, cit., voi. I, pag. 355).

1) Ci detto anche nella S u m m a c o n t r a gentes, cuius intcllectualis conceptio dicitur verbum.

(IV 1-) : r e i a l i -

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LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

ziale nel linguaggio : si i n t e l l e c t u s noster possetf e r r i in i n t e l l i g i b i l i a i m m e d i a t e , anche in noi la l o c u t i o non sarebbe per segni esterni, dice S. T o m maso, ripetendo implicitamente l'antico desiderio e splicitamente formulato, come si visto, da Aristotele colle parole : oh! se si potesse nel ragionare presentarci le cose,senza passare attraverso ai simboli di esse ! Un altro punto messo un' altra volta in rilievo da S. Tommaso , per dir cos, 1'espressibilit inerente e quasi essenziale dei concetti tanto negli uomini quanto negli angeli ; anche in questi, come in D i o , la cognizione non discorsiva, ma sebbene intuitiva eppure anche in essi implicito ci che S. Tommaso chiama o r d i n a t o c o g i t a t i o n i s ad a l t e r u m , la quale in noi non che V i n t e n t i o reisimlis colla tendenza ad espandersi anche fuori di noi ) : ogni palpito di pensiero tale anche perch in certo qual modo esprimibile tanto alla coscienza nostra quanto agli altri : se V uomo non lo sa tante volte esprimere all' esterno, perch incapace di formulare o trovare il segno con cui esprimerlo : per la sua coscienza per 1' espressibilit, cio l'assunzionedi una forma rappresentabile, si attua sempre, pi
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1) 1 1 problema della conoscenza negli angeli fu uno dei temi prediletti dalla teologia cristiana ; S. A G O S T I N O ( D e G e n . I V , 24), S. B O N A V E N T U R A , ( S e n t . lib. II, dist. I V , art I V , quaest. I e II) e S. T O M M A S O , ( S u m m a T h e o l . I, L X I I , art. 8) l'ammettono con un carattere intuitivo per quanto sotto due forme, la vespertina e la mattutina. Sarebbe interessante un confronto tra la distinzione di cognizione discorsiva ed intuitiva ammessa dagli Scolastici per ci che riguarda gli uomini, gli angeli e Dio, e la distinzione parallela fatta in proposito dallo Spinoza. Probabilmente s tratta anche qui di un punto di contatto che spiega meglio nelle sue origini storiche il panteismo dello Spinoza stesso. 2) Cfr. S. T O M M A S O , S u m m a c o n t r a gentes, I, 53.

NEL PENSIERO DI D A N T E

o meno confusamente poco importa ; negli angeli in cui non vi pu essere incapacit di sorta, anche perch non esiste impaccio alcuno di materia, 1' espfessibilit ossia la tendenza a diffondersi dei concetti dall' uno all' altro si attua sempre ed attuandosi d appunto luogo a quello eh' il linguaggio loro, e che sarebbe anche il linguaggio dell' uomo, se anche egli fosse una pura forma, senza materia alcuna. Prima di passare a Duns Scoto, ricordiamo ora brevemente il pensiero di Dante in relazione al nostro argomento. Abbiamo gi avuto occasione di considerare alcuni punti delle dottrine in proposito dell' Alighieri, il quaie pi che tutto ha considerato il problema del linguaggio sotto il suo aspetto storico, introducendo per nella soluzione di tale problema essenzialmente storico alcuni elementi d' ordine filosofico, che formano appunto la genialit e la novit della sua dottrina. Intendiamo alludere alla gran legge della indefinita divariazione delle lingue nello spazio e nel tempo, dalla quale Dante fu per via logica condotto a detronizzare 1' ebraico stesso da lingua originale, s da credere, come egli stesso fa dire ad Adamo nel XXV del Paradiso, che nel1' epoca della confusione babelica gi parecchie degenerazioni della lingua primitiva si erano attuate, degenerazioni che quasi pi nulla avevano lasciato d'intatto nel linguaggio di Adamo, sia che da Dio esso gli sia stato infuso, sia che dal primo uomo esso sia stato trovato. in altri termini una concezione essenzialmente dinamica di un divenire continuo

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LA FILOSOFIA D E L L I N G U A G G I O

da Dante surrogata, prima assai che dal Vinci e dal Leibniz, a quella d'ordine catastrofico ammessa allora dai pi in base al fatto indiscutibile della confusione babelica. Anche Dante ammetteva tale fatto, ma i motivi che determinarono il grande effetto della molteplicit della lingua da lui posto in un fenomeno d'ordine perfettamente naturale, e cio nelle condizioni diverse delle diverse specie di lavoratori che alla gran fabbrica delle torre attesero *). Le lingue cosi nate seguitarono poi, secondo Dante, s per la loro diffusione nello spazio e s pel volger del tempo a scindersi e suddividersi ciascuna indefinitivamente in un numero ognor crescente di dialetti ognor pi degeneri, dando cos luogo alla sterminata variet delle favelle umane. L a qual variet appunto f un giorno sentire il bisogno d ' i n ventare una lingua convenzionale e regolare, non soggetta all' arbitrio individuale, non imitabile, a datta a trasmettere i pensieri anche ai lontani ed agli avvenire. Tale l'ebbero i Greci ed altri, ma non tutti i popoli, e tal fu la G r a m m a t i c a , ossia il latino. Questo il modo con cui Dante concilia i due elementi, il naturale e 1' artificiale del linguaggio : in fondo l'antica questione della vaic e della oovih^Y] elaboratasi nella antica filosofia ellenica, e risolta dal nostro poeta-filosofo in modo ben pi profondo di quello che non avesser fatto ed
1) Cfr. D A N T E , D e V u l g a r i e l o q u i o I, 7 ; sull' origine psicologica di tale spiegazione dantesca vedi quanto ha scritto il D ' Ovidio, (op. cit., pag. 494), il quale ha ben ragione di credere che ad un fiorentino di quej tempi la trovata di affidare alle A r t i la confusione delle lingue d o v balenare assai naturalmente e parer felicissima.

NEL

PENSIERO DI D A N T E

233

Isidoro di Siviglia, e Brunetto Latini per salvare la dignit del Greco e del Latino accanto alla priorit dell' Ebraico ') ; sono i diritti della natura salvaguardati in rapporto alle esigenze della civilt, ed insieine armonicamente fusi a spiegazione di quella legge del divenire continuo delle lingue, che, fissata da Dante, per quanto gi prima di lui vista dalla filosofia greca, da sola, come ben dice il D ' O v i d i o ) , basterebbe ad assicurargli il vanto di essere stato uno dei veri precursori della.linguistica.
2

Ed ora dopo aver fatto accenno alla soluzione del problema storico sull' origine del linguaggio quale stata formulata da Dante ritorniamo a veder quali altre speculazioni la Scolastica abbia saputo attuare intorno al linguaggio in quanto espressione di pensiero, cominciando da Duns Scoto. Non tocca a noi designar qui tutta F importanza del formalismo peripatetico agostiniano di Duns Scoto in relazione al suo contrasto col pensiero tomistico, contrasto riguardante in filosofia la soluzione specialmente dal principio d'individuazione e del problema gnoseologico. )
3

Fortunatamente abbiamo di Duns Scoto un' o pera speciale riguardante il nostro argomento, e cio quella dal titolo D e modis s i g n i f i c a n d i , a cui molto probabilmente fu aggiunto dopo dagli editori l'altro ti1) Cfr. in proposito: D ' O V I D I O , op. cit. pag.493.
2) D ' O V I D I O , op cit., pag. 507.

3) Su ci cfr. F R . F I O R E N T I N O , P i e t r o P o m p o n a z z i , Firenze 1868 pag. 137 e sgg. e del medesimo autore: B e r n a r d i n o T e l e s i o , Firenze 1872, Voi. I, pag, 187.

234

LA

FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

tolo di G r a m m a t i c a speculativa ). Da essa soprattutto potremo ricavare quali sieno state le idee di Duns Scoto in rapporto al linguaggio, quantunque la sottigliezza eccessiva, e la lingua poco chiara rendano penosa la lettura di quel libro, il che del resto avviene di tutti gli altri del medesimo autore. In essa anzitutto Duns Scoto sostiene che due sono i modi nel significare, uno attivo, 1' altro passivo : il primo quello per cui la voce significa la propriet delle cose ; il passivo invece quello per cui la propriet delle cose viene significata per mezzo della voce ; in altri termini, spiegheremo noi, nelle significazioni fatte dall' uomo vi un elemento soggettivo che si diparte da noi e va alle cose, ed un elemento oggettivo che parte dalle cose e viene a noi : il primo elemento si termina nel segno, il secondo invece nella cognizione, quello perci materia di studio anche nella Grammatica, questo invece materia di studio esclusivo dalla filosofia ) salvo per per quella parte che vi anche in esso di formale.
1
2

evidente che i due elementi s'integrano, non per nel senso che mancando 1' uno debba mancare anche l'altro, perch continua lo S c o t o , p r i v a tiones et figmenta sub n u l l i s p r o p r i e t a t i b u s c a d i m i , c u m n o n s i n t e n t i a , et t a m e n voces s i g n i f i c a t i v a e p r i v a i i o ' n u m et f i g m e n t o r u m modos s i g n i f i c a n d i a c t i v o s habent, u t coecitas, c h i m a e r a , et s i m i l i a . Come si spiega ci ? Si spiega col fatto che non proprio sempre neces1) JOANNIS D U N S S C O T I , D e m o d i s s i g n i f i c a n d i s i v e G r a m a t i c a c u l a t i v a in O p e r a o m n i a , Lugduni 1639, Voi. I, pag. 45 e sgg.
2) D U N S S C O T O , op, cit., cap. III.

spe-

NEL

PENSIERO DI DUNS S C O T O

235

sario che il modus s i g n i f i c a n d i a c t i v u s tragga la sua ragione d' essere da una propriet speciale di quella cosa, di cui significazione, che talvolta lo si pu trarre da propriet di altra cosa che alla prima non ripugni ; cosi, per esempio, noi non possiamo percepire le sostanze separate, eppure noi le chiamiamo, imponendo ad esso nomi che derivano evidentemente da alcune propriet sensibili, appunto perch esse per s non possono essere per noi elementi passivi, su cui proiettare 1' attivit nostra s i gnificante. Delle cose finte da noi poi troviamo la ragione della significazione dalle parti con cui noi le abbiamo composte. In tesi generale si pu dire che noi attivamente possiamo nominare anche enti che non sieno positivi e x t r a a n i m a m , perch essi sono sempre positivi in a n i m a , e quindi sono enti s e c u n d u m a n i m a m ; la ragione quindi della loro significazione sta precisamente nella ragione del loro essere. Certo si , dice io Scoto che i m o d i s i g n i f i c a n d i a d i v i i m m e d i a t e a modis inielligendi passivi sumuntur. Per capir ci ricordiamo che lo Scoto divide anche un modus i n t e l l i g e n d i a c t i v u s da un modo i n t e l l i g e n d i p a s s i v u s , il primo riguarda la facolt dell ' intelletto di concepire le propriet e quindi di e sprimerle, il secondo invece la propriet stessa in quanto appresa dall' intelletto : ora che il secondo debba essere la fonte per I' attuazione del primo evidente, quando si pensi che le ragion} dell' essere non possono in modo alcuno diventare materiali di elaborazione nostra se non quando esse
\) D U N S S C O T O , op. cit., cap. i, pag. 46.

236

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

siene state da noi apprese. Dal che deriva che se il m o d u s s i g n i f i c a n d i passivo ed il m o d u s i n t e l l i g e n d i passivo sono materialmente la stessa cosa, dal lato formale non lo sono affatto, che quello riguarda la propriet delle cose a b s o l u t e , cio oggettivamente considerate, questo invece riguarda tale propriet in quanto gi stato appresa dall'intelletto, cio soggettivamente considerata : materialmente quindi riguardano la medesima propriet, dal lato formale invece presentano caratteri diversi ) . Il modo invece essendi et m o d u s i n t e l l i g e n d i a c t i v u s et m o d u s s i g n i f i c a n d i a c t i v u s differiscono fra loro e dal lato formale e dal lato materiale, ed infatti il modo essendi riguarda la propriet delle cose in s, cio sotto la v ragione stessa'dell'esistenza, il modo i n t e l l i g e n d i a c t i v u s riguarda l'impressione e V elaborazione di quella propriet nel!' intelletto, il modo s i g n i f i c a n d i a c t i v u s o c o n s i g n i f i c a n d i (quando si tratti non pi . di un nome, ma di una d i c t i o ) rappresenta la riduzione dT^quella propriet sotto la ragione di voce. Abbiamo adunque tre gradi : l a r a t i o r e i e x t r a a n i m a m , ratio intellectus, ratio vocis. y Lo Scoto continua ancora a mostrare che il m o dus i n t e l l i g e n d i a c t i v u s ed il m o d u s i n t e l l i g e n d i passiv u s , come pure il m o d u s s i g n i f i c a n d i a c t i v u s ed il m o d u s p a s s i v u s differiscono fra loro dal lato materiale e convengono invece tra di loro dal lato formale, il che si pu dimostrare con ragionamento analogo ai gi fatti. Dati tali precedenti chiaro quale sia la ragione della voce significativa per Duns Scoto: essa come
{

NEL

PENSIERO DI DUNS S C O T O

237

causa efficiente remota avr la propriet o le propriet delle cose da essa significate, mentre nell' intelletto avr la sua causa efficiente prossima ) ; d'altra parte sar pure evidente la differenza che il medesimo autore fa tra voce e segno : voce il suono considerato come tale, cio la materia, mentre segno il suono in quanto manifestazione dell' elaborazione dell' intelletto attivo, cio la forma : i ^grammatici studiano evidentemente le voci solo incidentalmente come suoni, ma essenzialmente in quanto esse sono i pi abili segni per significare le cose )
l 2

Dopo tutto ci Duns Scoto, sempre con quella sottigliezza, che fa di lui uno dei pi astrusi e difficili filosofi, viene a distinguere i modi attivi del significare in essenziali ed accidentali. L a ragione di tale divisione, come in quella parallela fatta da G i o vanni Damasceno e poi da altri, come si visto, di carattere evidentemente logico ; e cio essenziale M modo per cui quel dato termine, considerato come segno o quella parte di discorso, considerato come consegno, esprime semplicemente 1' essere o secondo il genere, o secondo la specie, I' accidentale quello che non esprime semplicemente da solo 1' essere o secondo il genere o secondo la specie, ma ha bisogno dell'integrazione di qualche altro elemento : tale modo accidentale quindi ben diverso dalla ^ nozione, comune nella scolastica, del nome esprimente s u b s t a n t i a m c u m q u a l i t a i c . Il
0

modo attivo essenziale


cit.. cit., cap. cap. IV. vi.

poi suddiviso in

D U N S S C O T O , op.

2) D U N S S C O T O , op.

238

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

g e n e r a l i s s i m o , quando 1' essenza della parola si rife risce a tutto ci di cui essa termine, in specialissimo quando si riferisce solo ad una parte di ci di cui essa termine ; vi poi il modo s i g n i f i c a n d i essenziale s u b a l t e r n o , che come intermedio tra quello e questo; il modo accidentale si suddivide anch' esso in assoluto e r i s p e t t i v o ; assoluto quando V espressione costruita in modo da non aver alcun rapporto con altro, invece rispettivo quando la costruzione tale da aver alcuni rapporti di dipendenza 'anche con altro. Tali sono i fondamenti su cui Duns Scoto poggia poi 1' analisi di tutte le parti grammaticali, cominciando dal nome, a proposito del quale ) egli approfondisce la fondamentale distinzione aristotelica di nome e verbo, mettendo questi in relazione alla distinzione tra modus e n t i s , e modus esse, e definendo il primo : modus habitus etpermanentis rei inhaerens ex hoc quod habet essentiam, mentre il modus esse est modus f l u x u s et successionis r e i inhaerens ex hoc quod habet fieri, col primo sta il nome ed in subordine ii pronome, mentre col secondo sta il verbo, ed in subordine il participio. Giunti a questo punto inutile che noi seguiamo nelle sue ulteriori elucubrazioni il nostro autore, riguardando esse la grammatica in ispecie, piuttosto che il linguaggio in genere: ci che a noi maggiormente interessa di far rilevare come in rapporto con tutto quanto sopra stia la tendenza dimostrata da
A

ji Duns Scoto nel libro delle sentenze ( O p u s


1) D U N S S C O T O , op. cit., cap. Vili.

oxoniense)

NEL

PENSIERO DI DUNS S C O T O

239

di garantire all' intelletto la percezione immediata della realta individuale. Duns Scoto infatti, come dice il Wulf ') ammette oltre la conoscenza astratta ed universale delle cose, frutto del sapere d i s t i n t o , una conoscenza intuitiva, che ci rappresenta confusamente 1' essere concreto e singolare (species s p e c i a l i s s i m a ) ) . Questo concetto del singolare sorge al primo contatto dell'intelligenza col di fuori e si forma parallelamente alla conoscenza sensibile dell' oggetto. Ora evidente che quando nella sua G r a m m a t i c a s p e c u l a t i v a DunsScoto, come gi si visto, parla del modus intell i g e n d i p a s s i v u s , si riferisce appunto alla species s p e c i a l i s s i m a , che nel concetto dello Scoto diversa dalle percezioni sensibili. Queste infatti per se stesse non bastano ad attuare in noi il modus i n t e l l i g e n d i attivo, bisogna che anch' esse, individuali come sono, sieno trasformate in concetto: l'individuale per non pu in linea immediata che dare l'individuale, ^olo arrivandosi all'universale per via mediata, a proposito della quale Duns Scoto, ribatte aspramente le teorie dell' illuminazione o l u x , i n t e r i o r , che accennata da S. Agostino, era stata svolta eccessivamente da Enrico di Gand ) .
2 3

1) W U L F , op.

cit.,

pag.

404.

2) Notiamo il contrasto tra Duns Scoto e Spinoza ; se per quello la coscienza intuitiva ci d l'essere concreto e singolare, per questo invece essa ci d 1' essere in genere, cio la nozione della sostanza fondamentale, substrato di tutti gli attributi di cui per noi non ne possiamo conoscere die due : materia e spirito, e di tutti i modi. 3) Cfr. D U N S SCOTO, S e n t e n t . 11, Dist. Ili, quaest. 4.

240

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

Il modo s i g n i f i c a n d i passivo adunque pi essere il correlativo immediato dell' attivo per mezzo del modo i n t e l l i g e n d i attivo anche nel caso si tratti di realt individuale. Di tutto ci abbiamo la conferma in alcuni passi delle otto questioni, che Duns Scoto scrisse sui due libri De i n t e r p r e t a t i o n e di Aristotele. La questione prima di essa : A n n o m n s i g n i f i c e t r e m a n passionem ), e si riferisce alle ben note parole di A r i stotele ) : S u n t ergo ea quae s u n t in voce e a r u m quae s u n t i n a n i m a passio n u m notae, et ea quae s c r i b u n t u r e a r u m quae s u n t i n voce. Duns Scoto sostiene la sentenza di Aristotele dando per, n pi n meno di quella che abbiamo visto fatto da S. Tommaso nel commento del D e I n t e r p r e t a t i o n e stesso ed in , altri passi ), all'espressione passiones a n i m a e il signi\ ficato di conceptiones i n t e l l e c t u s : anche Duns Scoto ammette che il nome significhi non la cosa, ma il concetto della medesima ). Le cognizioni nostre possono essere di tre specie e cio abbiamo le vere species i n t e l l i g i b i l e s come actus p r i m u s in sua p r o p r i a n a t u r a , poi le species i n t e l l i g i b i l e s come il prodotto delle prime e deir apprensione delle qualit delle cose, poi le cogni zioni particolari delle cose sub c o n d l c i o n i b u s i n d i v i d u a n t i b u s Ora queste non possono essere espresse
A 2 3 4

0 D U N S S C O T O , De i n t e r p r e t a t i o n e , ediz. cit., voi. I, pag. 212 e sgg. 2) A R I S T O T E L E , De i n t e r p r e t . , lib. I, cap. 1. 3) Cfr. S . T O M M A S O , S u m m a , part. I, quaest. 13, art. I. e quaest. 8, D e p o t e n t i a , art. 1. 4) Res n o n s i g u i f i c a t u r u t e x i s t i t , sed u t i n t e l l i g i t u r , ( D U N S S C O T O , D e i n t e r p r e t . , quaest. Ili, . 3, ed cit., pag. 189).

NEL

PENRIERO DI DUNS S C O T O

241

come sono, o per lo meno come a noi risultano nelle percezioni sensibili che ne possiamo avere, bisogna che anch' esse, per cos dire, si trasformino in una species del secondo ordine, resteranno sempre indistinte, perch avranno ragione sempre d' una realt individuale, come tali per potranno essere nominate. perci che Duns Scoto rifiuta assolutamente la teoria platonica che i l nome significhi la cosa come esiste, no, esso esprime la cosa anche singola in rapporto sempre al concetto sia pure indistinto che noi ce ne facciamo ; donde la formola dello Scoto n o m i n a sani s i m i l i a i n t e l l e c t u i , il che per non esclude anche una certa somiglianza colla cosa, perch pi avanti ) sostiene i l nostro autore che in fondo vi pu essere somiglianza tra cosa e passio, giacch la passio oltre che un accidens quiddam i n subiecto pu anche considerarsi come s i g n u m r e i i n m e n t e , ed allora poich la parola segno della species, e questa segno della cosa mediatamente, quella pu considerarsi anche s i g n u m delle cose.
4

Duns Scoto procede poi a dimostrare, ci che del resto sosteneva g i Aristotele e dopo di lui altri di cui abbiamo parlato, che il segno e quindi la parola non pu essere n vera n falsa per s, ritorna poi egli a l l ' i m p o s i t i o ad p l a c i t u m ) e cos si spiega: d i c u n t quod voces fiunt notae per i m p o s i t i o n e m ; i m p o s i t i o vocis c u m f i t ad p l a c i t u m potest esse i p s i s i m i l i t u d i n i e x s i s t e n t i i n a n i m a , s e c u n d u m quod sim i l i t u d o est s i g n u m r e i , s i c u t potest imponi rei, u t
2

1) D U N S S C O T O , De interpret., 2) D U N S S C O T O , De interpret.,

quaest. I, 8. quaest. I, 8.

242

LA FILOSOFIA

DEL

LINGUAGGIO

i n t e l l i g i t u r et sic r a t i o c o n c l u d a , quod n o m e n potest s i g n i f i c a r e r e m u t i n t e l l i g i t u r . Su ci ritorna anche nella questione IV ) , in cui combatte la tesi di coloro che sostenevano essere il nome qualche cosa di naturale e come tale significare naturalmente, a cui contrappone quest' altra che le cose ed i concetti sono s i g n a n a t u r a l i t e r , quod est e n i m a n a t u r a est i d e m apud omnes, ma i nomi non vengono da natura, dunque non sono naturali, perci gli uomini sono aeque scientes, ma non aeque loquentes.
l

Tale quanto in Duns Scoto, se pur bene abbiamo saputo interpretare il di lui pensiero, si riferisce alla filosofia del linguaggio: certo che quella concezione delle species specialissimae, integrata dal modo i n t e l l i g e n d i passivo, e dal modo s i g n i f i c a n d i a t t i v o , ha avuto, come riconosce anche il Croce ) , una grande influenza sullo svolgersi del pensiero ulteriore per ci che riguarda 1' Estetica : possiamo dire per che anche di tale concezione nella storia della Scolastica si sono avuti dei precedenti, e precisamente in Guglielmo d' Alvernia ed in Matteo d' Acquasparta.
2

Anche quegli infatti, contrariamente ad Aristotele, ammetteva che tra le forme intelligibili l'intelligenza conosce anzitutto le sostanze individuali ), mentre Matteo d' Acquasparta, dichiarando insufficiente la teoria tomistica secondo cui i n t e l l e c t u s
3

1) D U N S S C O T O , D e i n t e r p r e t e , quaest. I V , , 1 (pag. 190ediz. cit.).


2) B . C R O C E , op. cit., pag. 179.

^3) M . B A U M G A R T N E R , D i e E r k e n n i s l e h r e e , * M u n s t e r 1 893, pag. 48 e sgg.

der W i l h e l m v o n

Auver

NEL PENSIERO D E L L ' O C C A M

E DI B A C O N E

243

sngulare cognoscit per q u a n d a m r e f l e x i o n e m , ammette invece che noi conosciamo le cose individuali intuitivamente per delle species singolari proprie ) . Dopo Duns Scoto due altri autori meritano un breve accenno da noi : 1' Occam e Ruggero Bacone. Gi abbiamo discorso della teoria gnoseologica di quello, la quale diede luogo a quel terminismo concettualista, che fu P ultima risposta importante alla questione degli universali, come pure abbiamo d i scorso della cos detta teoria dei segni, e del passo in cui si definisce la natura del v e r b u m m e n t a l e ; aggiungiamo ora che l'Occam cos definisce le voci : d i c i m u s voces esse s i g n a s u b o r d i n a t a conceptibus vel i n t e n t i o n i b u s a n i m a e , n o n q u i a p r o p r i e accipiendo hoc v o c a b u l u m s i g n u m ipsae voces significent ipsos conceptus p r i m o et p r o p r i e , sed q u i a voces i m p o n u n t u r ad s i g n i f i c a n d o i l l a eadem, quae per conceptus m e n t i s s i g n i f i c a n t u r , tanto vero, aggiunge, che se un dato concetto mutasse il suo contenuto, o, per usare la parola stessa dell' Occam, il suo significato, anche la sua espressione senza una nuova instituzione muterebbe il significato suo : d'altra parte appunto perch si tratta di un'instituzione volontaria i nomi possono cambiare il significato loro, mentre cos non pu succedere per il concetto ) .
i 2

Ruggero Bacone finalmente merita un accenno per aver col suo concetto, richiamante la l u x i n t e r i o r
1) M A T H A E U T S A B A Q U A S P A R T A , Q u a e s t . d i s p u t a t a e , Tonio I, q u a e s t . de f i d e e t de c o g n i t i o n e , ed. Quaracchi 1903, pag. 307. 2) O C C A M , S u m m a t o t i u s l o g i c a e , lib. I,cap. II. Ci ripetuto anche nel proemio del commento al D e i n t e r p r e t a i . , Cfr. P R A N T L , op. cit. voi. Ili, pag. 339.

244

LA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

agostiniana, dell' incapacit radicata nell' uomo di raggiungere il vero, e della necessit per ci di una rivelazione divina, offerto argomento allo sviluppo posteriore di quel tradizionalismo, che culmin, come gi si detto nel De Bonald; tra questo per e Bacone sta questa differenza che mentre per il De Bonald la rivelazione primitiva, ed il linguaggio trasmette i suoi dati, per Bacone invece la rivelazione divina speciale, e varia da uomo ad uomo ) .
1

Dopo i citati autori ben si pu dire finito il periodo glorioso e fecondo della Scolastica, la de cadenza della quale fu senza dubbio accelerata dal terminismo dell' Occam da una parte, e dallo ScotiSirio dall' altra. Un fremito di vita nuova si va, contemporaneamente ai citati maestri e poscia svolgendo nel pensiero, come nelle coscienze, ed un grande rinnovamento vi si va lentamente preparando. L ' umanit civile sembra abbia allora sofferto tutte le ansie e tutti i dolori di una nuova creazione : il periodo infatti u m a n o della storia nostra si iniziato poco dopo, periodo nello studio e nel giudizio del quale non tocca ora a noi di entrare.

1) W U L F , op.

cit.

pag.

426.

CONCLUSIONE

Vale certo la pena che a conclusione del nostro lavoro si espongano qui in forma sintetico - schematica i risultati positivi, a cui crediamo di esser giunti colla nostra analisi particolareggiata : 1) Anzi tutto certo che nella Patristica e nella Scolastica, come del resto nella speculazione ellenica, non si sono viste tutte le parti della filosofia del linguaggio. 2) Le parole nella Patristica e nella Scolastica furono a torto giudicate sempre come qualche cosa di fisso e di rigido, uscite belle e fatte dalla testa di un primo i n s t i t u t o r e di esse, dimenticandosi affatto la lenta elaborazione collettiva di cui esse sono prodotto sempre evolventesi ) .
1

3) Si specialmente nella Patristica tentato di risolvere sopra una base monogenetica il problema
0 questo appunto il carattere di differenza tra la filosofia del linguaggio quale si svolta nel M . E . e quella iniziatasi dal Rinascimento. Nei tentativi fatti dal Nizolio, e da Pietro Ramo per abbattere la dialettica Aristotelica, essi si mantennero ancora ligi ad una specie di concezione statica del linguaggio, il primo che intravide il carattere dinamico di esso determinato dal suo continuo evolversi in effetto alla diversit di tempi, di luoghi, di condizioni storiche, fu Leonardo da

246

L A FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO

delle origini storiche del linguaggio, ma lo si fatto in forma esegetica, a spiegazione cio dei dati di fatto contenuti nella Bibbia, il che d'altronde era inevitabile essendo impossibile il pretendere che il problema delle origini fosse studiato, come studiato oggi nel suo duplice assunto per rispondere alle domande I) quali parti costitutive delle lingue reali sieno da ritenersi per originarie ; li) da quali espressioni prelinguistiche sia nata la lingua stessa ) .
1

4) falsa, per lo meno per ci che riguarda e Patristica e Scolastica, F opinione del Renan che la tesi tradizionalistica dell' origini del linguaggio sia stata la preferita dai teologi, dovendosi piuttosto
Vinci (Cfr. GIOVANNI P I U M A T I , N o t e v i a d a n e s u l l a l i n g u a , in raccolta Vi nciana fascicolo IV, 1907-903, pag. 68), che determin cos quell' indirizzo seguito poi con tanta larghezza e con tanto frutto da alcuni dei nostri cinquecentisti (cfr. F R . F I O R E N T I N O , B e r n a r d i n o T e l e s i o , Firenze
1872, voi. I, pag. 143) e dal Leibniz (cfr. K. HOEFFDING, op. cit.,

Voi. I, pag. 328), anche per tale argomento avversario dell' Hobbes, il quale, come gi si detto, fu partigiano di una concezione del linguaggio, in cui troppa parte era concessa da un lato al ragionamento cosciente e dall'altro all'arbitrio. Abbiamo gi avuto occasione di dire come l'indirizzo dinamico del Vinci e del Leibniz sia stato poi seguito dal nostro Vico e dal Dugald - Stewart. inutile aggiungere che esso quello seguito oggi nella psicologia moderna specialmente per opera del Wundt, <,ia per c i che riguarda la formazione del linguaggio nel suo triplice aspetto fisiologico, psichico e sociale, sia per ci che riguarda le facolt mitopeiche dell' uomo in genere, cio le creazioni mitiche, dette nel loro complesso dal Renan il secondo linguaggio. Si anzi tanto approfondita una tale concezione dinamica, che il Du-Bois in quel suo libro suggestivo : L ' education de s o i - m m e , or non molto ha parlato persino della necessit di un inventario delle parole, per vedere quali servano ancora e fino a che misura, e quali no. (P. DUBOIS, V e d u c a t i o n de soi-mme, Paris 1908, pag. 22).
1) Cfr. W . WUNDT, Vlkerpsychologie, II, 584,

CONCLUSIONE

247

credere che tesi pregiudiziale per questi sia stata quella per cui Dio avrebbe dato ali* uomo col resto anche la facolt di parlare, ma che le parole sono frutti dell' elaborazione umana. 5) L'influenza da una parte di Platone ed in subordine degli Stoici ed in certo qual senso di Epicuro, e dall' altra quello di Aristotele a proposito della questione del linguaggio si perpetuato anche nella filosofia cristiana, prevalendo la prima nella Patristica, e la seconda nella Scolastica. 6) Fino a S. Tommaso si visto di quando in quando rinascere la questione nucleo del C r a t i l o platonico se le parole sieno il migliore anzi F u nico mezzo per conoscere la natura delle cose, questione dagli Scolastici risolta in senso negativo come gi un tempo da Platone. 7) L a Scolastica ha approfondito la differenza tra nome e concetto, linguaggio esterno ed interno, arrivando perci con sottile analisi psicologica al problema fondamentale della espressibilit dei concetti. 8) Che tesoro di conoscenza, come dice lo Stuart M i l l , e come in parte riconosce anche di Manzoni nel suo dialogo D e l l ' i n v e n z i o n e si possa trovare nell'etimologie non fu mai negato n dalla P a tristica n dalla Scolastica, pur essendo quasi tutti, e specialmente gli Scolastici, persuasi della teoria aristotelica della p o s i t i o n o m i n i s ad p l a c i t u m . 9) A c c a m i anche diffusi e nella Patristica e

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LA FILOSOFIA D E L

LINGUAGGIO

pi nella Scolastica, come gi in Aristotele, si possono rintracciare sui rapporti tra funzione del nominare riguardante cognizioni d* ordine intuitivo, e funzione estetico - espressiva in genere, per. quanto specialmente nella Scolastica il destino della filosofia del linguaggio sia prevalentemente stato unito al destino della logica, come gi era avvenuto da A ristotele in poi nella filosofia greca. Come conclusione sintetica poi si pu dire che la formula generale della Scolastica perci che r i guarda la filosofia del linguaggio questa che leggiamo in S. Bonaventura *) : N o n s e r m o n i res, sed r e i sermo est s u b i e c t u s .

Dal lato storico poi aggiungiamo che le nostre ricerche sulla filosofia del linguaggio nella Patristica e nella Scolastica ci hanno un' altra volta persuasi della sentenza di Jules Simon : Il Medio Evo ben pi profondo di quello che non sembri a prima vista ) .
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1) S . B O N A V E N T U R A , S e n t e n t . , lib. I, Dist. XXII, quaest. I. 2) J. SIMON, Ablard e t l a P h i l o s o p h i e a u douzime siede (Revue des deux Mondes, 1846, 1 Genti., pag. 64).

EFJRflTfl - CORRIGE
riga 15, invece che causale leggi casuale. riga 18. invece che t-sast leggi frosi. riga 33 e 34, invece di Rechercher si legga Recherches, ed invece di delle L i b n i z si legga del L e i b n i z . 63, riga 13, invece di 'VOJJ/X si legga 'vou/z. * 64, riga 7, invece di a pr' si legga a prcposito. 100, riga 7, invece di a7pau.ji.a0':?. si legga 7p(i[i.aTos e piuttosto di p r e t o s i s s i m u m si legga p r e t i o s i s s i m u m . 128, riga 15, invece di come sfo/co, per q u a n t o gi v o l t o si legga come s/o/ca per q u a n t o gi s v o l t a . 174, riga 27 invece di e c i t a t a si legga si r i p o r t a e pi sotto invece di i n p r o p o s i t o a n z i t u t t o si legga in p r o p o s i t o ; a n z i t u t t o . 191 riga 7 invece di /' u n a e V a l t r a si t r o v a per poter si legga /' u n a e V a l t r a per poter. 245, riga 5 e 6, dopo le parole n e l l a P a t r i s t i c a e n e l l a Scolastica si aggiunga fuorch in D a n t e . Per gli altri errori od omissioni, che si possono trovare nel testo 0 nelle note, 1' Autore si rimette all' indulgenza ed a l l ' intelligenza dei lettori. Pag. 6, 16, 49,

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