Sei sulla pagina 1di 101

APPUNTI

PER IL CORSO DI
ANALISI FUNZIONALE
(A. A. 2002-2003)
(ianni /. Tozzi
Indice
Capitolo 1. Alcuni complementi al testo di H. Brezis:
Analisi Funzionale.
1.0 Notazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.1 Separazione di insiemi convessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.2 Funzioni convesse; funzioni s.c.i.; funzione coniugata. . . . . . 4
1.2.1 Funzioni convesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.2 Funzioni s.c.i. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.3 Funzione coniugata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.2.4 Funzioni convesse s.c.i. e problemi di minimo . . . . . . . . . . . . . 15
1.3 Relazioni di ortogonalit`a. Operatori chiusi. Aggiunto . . . 19
1.3.1 Relazioni di ortogonalit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
1.3.2 Operatori chiusi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.3.3 Operatore aggiunto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.3.4 Operatori suriettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
Capitolo 2. Operatori monotoni.
2.1 Operatori monotoni lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2 Operatori monotoni multivoci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.3 Il sottodierenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.3.1 Richiami sui dierenziali di Frechet e di G ateau . . . . . . 36
2.3.2 Il sottodierenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
2.4 Operatori monotoni massimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.5 Condizioni per la suriettivit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
2.6 Operatori ciclicamente monotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
i
Capitolo 3. Problemi di evoluzione.
3.1 Funzioni a valori vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
3.1.1 Integrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
3.1.2 Continuit`a. Derivabilit`a puntuale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
3.1.3 Derivata generalizzata. Spazi di Sobolev
a valori vettoriali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
3.1.4 Variazione totale. Assoluta continuit`a. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
3.2 Il metodo di Lions . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.2.1 Terna hilbertiana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.2.2 Teorema di esistenza, unicit`a e regolarit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
3.2.3 Qualche complemento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
3.3 Il metodo di Hille-Yosida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
3.3.1 Il caso lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
3.3.2 Il caso non lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
ii
Capitolo 1
ALCUNI COMPLEMENTI
AL TESTO DI H. BREZIS:
ANALISI FUNZIONALE
Per la parte del corso svolta seguendo il testo di H. Brezis Analisi fun-
zionale. Teoria e applicazioni , Liguori Ed., 1986 (traduzione italiana di
Analyse Fonctionnelle - Theorie et applications, Masson Ed., 1983), che
nel seguito sar`a indicato con [Br], si rimanda al testo stesso (viene soltanto
fornito qualche complemento).
`
E presupposta la conoscenza degli argomenti
trattati in [Br], Paragra I.1, II.1-3, e Capitoli III, IV, V (per intero).
La prima parte di questi appunti `e quindi da intendere come una traccia,
senza pretesa di completezza, di argomenti svolti nelle lezioni ma non con-
tenuti nei Paragra citati; molte delle osservazioni sono tratte da appunti,
non pubblicati, di H. Brezis e G. Tronel.
1.0 Notazioni.
Le notazioni sono, per la maggior parte, quelle usate in [Br]; ne richiamiamo
tuttavia alcune, per comodit`a del lettore:
dati x X ed y Y ,
[
x; y
]
X Y indica la coppia ordinata di
elementi x ed y; P(X) `e la famiglia delle parti di X;
la funzione indicatrice I
A
: X R+ del sottoinsieme A di X
`e denita da:
I
A
(x) :=
_
0 se x A,
+ se x X A;
se X `e uno spazio topologico ed A X, con int A ed A si indicano,
rispettivamente, linterno e la chiusura di A;
se X `e uno spazio metrico, d(x, A) `e la distanza di x X dal sottoin-
sieme non vuoto A di X
_
d(x, A) := inf
aA
d(x, a)
_
; se x
0
X e R
+
, si
indica con (x
0
, ) la sfera aperta di centro x
0
e raggio ;
se X `e uno spazio di successioni reali, e
(n)
indica la successione dei
versori di X: e
(n)
:=
n
k

kN
, dove
n
n
= 1,
n
k
= 0 se k ,= n.
Pag. 2 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
E, F indicano spazi di Banach reali, con norma | |; E

`e il duale
di E, con norma | |

; , ) `e la dualit`a tra E

ed E; (se necessario,
si utilizzeranno le notazioni | |
E
, | |
E
,
E
, )
E
); E
s
, E
w
(risp.,
E

s
, E

w
, E

w
) indicano gli spazi E (E

) muniti delle topologie forte,


debole (forte, debole, debole

); la convergenza di x
n
ad x nella topologia
forte, debole, debole

sar`a spesso indicata, rispettivamente, con


x
n
x ; x
n
x ; x
n

x;
L(E; F) indica lo spazio degli operatori A lineari e continui da E in F, con
norma |A|
L(E;F)
:= sup|Ax|
F
[ |x|
E
= 1; si pone L(E) := L(E; E);
dato p 1, q `e lesponente coniugato di p (q := p/(p 1) se p > 1;
q := + se p = 1) (in [Br] `e usata la notazione p

anziche q);
H indica uno spazio di Hilbert reale, con prodotto scalare ( , ) e
norma [ [ ; di solito (non sempre: si ricordi lOsservazione 1 di [Br],
V.2) `e possibile (ed utile) identicare H al suo duale H

(mediante il teorema
di Riesz);
T() e T

() sono gli usuali spazi delle funzioni test e delle distri-


buzioni sullaperto R
N
.
1.1 Separazione di insiemi convessi.
Premettiamo la seguente denizione (si veda [Br], I.2):
Denizione 1.1 Dati un funzionale lineare f non identicamente nullo su E
ed un numero reale , si chiama iperpiano (ane, di equazione)
[
f =
]
linsieme f
1
() = x E [ f(x) = .
In dimensione nita (cio`e, quando E = R
n
), ogni funzionale lineare `e
continuo: infatti, poiche, x E, risulta x =

n
k=1
(x, e
(k)
) e
(k)
, si ha che
[f(x)[
n

k=1
[x[ [f(e
(k)
)[ = [x[
_
n

k=1
[f(e
(k)
)[
_
= c [x[ ,
e questo comporta che in dimensione nita ogni iperpiano `e chiuso.
La situazione `e completamente diversa nel caso di spazi a dimensione
innita: si dimostra (si veda [Br], Proposizione I.5) che
[
f =
]
`e chiuso
se e solo se f `e continuo; ma la continuit`a di f non `e pi` u conseguenza della
linearit`a, come mostra il seguente risultato:
Lemma 1.1 Se dimE = +, esiste un funzionale lineare non continuo f
denito su tutto E.
Dim.: deniamo la famiglia o di sottoinsiemi di E nel modo seguente:
A o gli elementi di A sono linearmente indipendenti. o, ordinato per
inclusione, `e evidentemente induttivo. Per il Lemma di Zorn, o ha almeno
un elemento massimale M := e

, che `e una base algebrica per E (cio`e,


ogni elemento x E si scrive, in modo unico, nella forma x =

0
x

1.1. SEPARAZIONE DI INSIEMI CONVESSI. Pag. 3


con
0
sottoinsieme nito di , ed x

R). Non `e limitativo supporre che


|e

| = 1 , e che (essendo dimE = +), N ; deniamo intanto:


f(e

) :=
_
se N,
0 se N,
ed estendiamo poi f, per linearit`a, a tutto E; `e chiaro che f verica le
condizioni richieste.
Denizione 1.2 Dati i due sottoinsiemi A, B di E, liperpiano
[
f =
]
separa A e B in senso largo se f(a) f(b) (oppure f(b) f(a))
a A, b B; li separa in senso stretto se > 0 : f(a) mentre
f(b) + (oppure, f(a) +, mentre f(b) ) a A, b B.
Ricordiamo le seguenti forme geometriche del teorema di Hahn-Banach
(cfr. [Br], Teorema I.6 e Teorema I.7):
Teorema 1.1 Siano A, B due sottoinsiemi non vuoti, disgiunti e convessi
di E; allora:
i) se uno dei due `e aperto, esiste un iperpiano chiuso che li separa in
senso largo;
ii) se uno dei due `e chiuso e laltro `e compatto, esiste un iperpiano chiuso
che li separa in senso stretto.
Osservazione 1.1 In dimensione innita, non `e detto che due convessi A, B
non vuoti e disgiunti possano essere separati, neppure in senso largo, da un
iperpiano chiuso. Ad esempio, sia E :=
p
(con 1 p < +), e si ponga
A :=
_
a = a
n
E

a
2n
=
a
2n1
2
n
n N
_
;
C :=
_
c = c
n
E

c
2n
= 0 n N
_
.
`
E evidente che A e C sono sottospazi chiusi di E, ed `e facile vericare che
A+C `e denso in E: se f = f
n
E

(=
q
) `e nulla su A+C, in particolare `e
nulla su C, ed `e immediato dedurne che f
2n1
= 0 n N. Ma f deve essere
nulla anche su A, quindi

+
n=1
f
2n
a
2n
= 0 a A; se per ogni ssato k N
si pone a
(k)
:= 2
k
e
(2k1)
+ e
(2k)
, ne viene che 0 = f, a
(k)
) = f
2k
k N,
cosicche f = 0.
Se E `e il vettore :=

+
n=1
e
(2n)
2
n
, si vede subito che , A+C. In eetti,
se esistessero a = a
n
A e c = c
n
C tali che = a + c, si avrebbe,
n N,
n
= a
n
+ c
n
; in particolare,
1
2
n
= a
2n
e 0 = 2
n
a
2n
+ c
2n1
=
1 + c
2n1
, cio`e c
2n1
= 1, assurdo perche, essendo c E, deve essere
lim
n+
c
2n1
= 0. Posto B := C (`e un convesso chiuso di E), risulta
A B = ; ma si controlla facilmente che i convessi (non vuoti, disgiunti,
chiusi e non compatti) A e B non possono essere separati in senso largo da
nessun iperpiano chiuso. In eetti, se 0 ,= f E

ed R sono tali che
f, a) f, b) (oppure f, a) f, b)) a A, b B, ne viene
facilmente che, poiche A e C sono sottospazi, f `e nulla sia su A sia su C,
quindi su A + C, dunque f = 0, contrariamente allipotesi.
Pag. 4 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
1.2 Funzioni convesse; funzioni s.c.i.;
funzione coniugata.
Premettiamo qualche richiamo sulle funzioni convesse e sulle funzioni semi-
continue inferiormente; in tutto questo Paragrafo, ci limitiamo al caso di
funzioni : E R +, con E spazio normato. Poniamo intanto la
seguente
Denizione 1.3 i) il dominio di `e linsieme
dom := x E [ (x) < + ;
se dom ,= , si dice propria;
ii) lepigraco di `e linsieme
epi :=
[
x;
]
E R [ (x) ;
iii) `e convessa se, x, y E e t
[
0, 1
]
, si ha
(tx + (1 t)y) t(x) + (1 t)(y) .
iv) `e semicontinua inferiormente (abbreviato in s.c.i.) se, x E
e x
n
E tale che x
n
x, risulta
(x) liminf
n
(x
n
) .
1.2.1 Funzioni convesse.
Dimostriamo intanto le seguenti propriet`a (soltanto enunciate in [Br], I.3):
1
Proposizione 1.1 i) se `e convessa, per ogni R linsieme
[

]
:=
x E [ (x) `e convesso in E (ne viene che anche dom `e convesso);
ii) `e convessa se e solo se epi `e un sottoinsieme convesso di E R;
iii) se
1
,
2
sono convesse, lo `e ogni loro combinazione lineare a coe-
cienti , non negativi;
iv) se

`e una famiglia di funzioni convesse, anche il loro invi-


luppo superiore , denito da
(x) := sup

(x) ,
`e una funzione convessa.
Dim.: i): evidente, perche se (x
1
) e (x
2
) , allora, t
[
0, 1
]
,
(tx
1
+ (1 t)x
2
) t(x
1
) + (1 t)(x
2
) t + (1 t) = . Non vale
limplicazione nellaltro senso: basta scegliere E := R e (x) :=
_
[x[ ;
ii): se `e convessa, dati
[
x
1
;
1]
,
[
x
2
;
2]
epi e t
[
0, 1
]
, poiche
(tx
1
+ (1 t)x
2
) t(x
1
) + (1 t)(x
2
) t
1
+ (1 t)
2
, ne viene
che epi `e convesso; viceversa, se epi `e convesso, dati x
1
, x
2
dom,
1
valide, con la stessa dimostrazione, in ogni spazio vettoriale reale E
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 5
poiche
[
x
1
; (x
1
)
]
e
[
x
2
; (x
2
)
]
appartengono ad epi , ne viene subito che
[
tx
1
+ (1 t)x
2
; t(x
1
) + (1 t)(x
2
)
]
epi , da cui la convessit`a di ;
iii): il controllo della convessit`a di
1
+
2
`e immediato;
iv): , x
1
, x
2
E , t
[
0, 1
]
risulta

(tx
1
+ (1 t)x
2
)
t

(x
1
) +(1 t)

(x
2
) t(x
1
) +(1 t)(x
2
) , da cui, passando allestremo
superiore per , (tx
1
+ (1 t)x
2
) t(x
1
) + (1 t)(x
2
).
Fissata la funzione convessa : E R+, valgono le seguenti pro-
priet`a (si vedano, ad esempio: I. Ekeland, R. Temam: Analyse convexe
et probl`emes variationnels, Dunod, Gauthier-Villars, 1974; A. D. Ioffe,
V. M. Tihomirov: Theory of Extremal Problems, Studies in Mathematics
and its Applications, volume 6, North-Holland, 1979):
Lemma 1.2 Se `e convessa e superiormente limitata in un intorno del
punto x
0
E, allora `e continua per x = x
0
.
Dim.: per ipotesi, > 0, R tali che x (x
0
, ) risulta (x) . Si
osservi intanto che, t
]
0, 1
[
, si ha (x
0
, t) (x
0
, ); quindi, v E
con |v| < t, si ha che x
0
, x
0
+v, x
0

v
t
(x
0
, ). Per la convessit`a di ,
(x
0
+v) =
_
(1 t)x
0
+ t
_
x
0
+
v
t
__
(1 t)(x
0
) +t
_
x
0
+
v
t
_
, da cui
(x
0
+v)(x
0
) t
_

_
x
0
+
v
t
_
(x
0
)
_
t((x
0
)). Inoltre, (x
0
) =

_
1
1 +t
(x
0
+ v) +
t
1 +t
_
x
0

v
t
__

1
1 +t
(x
0
+v)+
t
1 +t

_
x
0

v
t
_
, da
cui (x
0
) (x
0
+ v) t
_

_
x
0

v
t
_
(x
0
)
_
t( (x
0
)).
Fissato ad arbitrio > 0, scelto t
]
0, 1
[
in modo che t( (x
0
)) < , e
posto
0
:= t, si ha dunque che x (x
0
,
0
) risulta [(x) (x
0
)[ < ,
da cui la continuit`a di per x = x
0
.
Osservazione 1.2 Dalla dimostrazione segue che se `e convessa, e in un
intorno di x
0
E risulta (x) (x
0
), allora in tale intorno `e costante.
Proposizione 1.2 Se `e convessa e superiormente limitata in un aperto A
non vuoto di E, allora int(dom) `e non vuoto, e `e continua in int(dom).
2
Dim.: per ipotesi, R tale che v A risulti (v) ; dal momento
che A int(dom), ne viene intanto che int(dom) ,= , e resta solo da
mostrare la continuit`a di nel generico punto x
0
int(dom). Fissato
v
0
A, il Lemma 1.2 assicura la continuit`a di in v
0
; osservato che per
t > 0 sufcientemente piccolo si ha che w
0
:= [(x
0
tv
0
)/(1t)] int(dom)
(perche w
0
x
0
= t(x
0
v
0
)/(1 t), ed x
0
`e interno a dom), poniamo
y := f(x) := tx + (1 t)w
0
, da cui x = f
1
(y) = [y (1 t)w
0
]/t. Si
ha allora che f(v
0
) = x
0
, e che f(A) `e un intorno aperto di x
0
. Inoltre,
y f(A) risulta, per la convessit`a di ,
(y) t(f
1
(y)) + (1 t)(w
0
) t + (1 t)(w
0
);
2
Si pu`o mostrare che `e localmente lipschitziana in int(dom).
Pag. 6 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
posto

:= t + (1 t)(w
0
), si ha che (y)

nellintorno f(A) di x
0
,
quindi `e continua in x
0
, grazie al Lemma 1.2.
I risultati precedenti possono essere precisati e completati:
Teorema 1.2 Se : E R + `e convessa, le propriet`a seguenti si
equivalgono:
i) (x
0
E,
0
> 0,
0
R) : x (x
0
,
0
) si ha (x)
0
;
ii) x
0
E : `e continua per x = x
0
;
iii) int(dom) ,= , e `e continua in int(dom);
iv) int(epi ), = .
Dim.: le implicazioni i) ii) e i) iii) sono conseguenze, rispettivamente,
del Lemma 1.2 e della Proposizione 1.2; `e poi evidente che ii) i) e che
iii) ii); ne viene che le proposizioni i), ii), iii) sono equivalenti.
Per concludere la dimostrazione, verichiamo che i) e iv) si equivalgono.
i) iv): linsieme
[
x;
]
E R [ x (x
0
,
0
) e >
0
`e aperto,
non vuoto, e contenuto in epi ;
iv) i): se
[
x
0
;
]
int(epi ), allora (
0
> 0 e > 0) tali che se
|x x
0
| <
0
e [ [ < , allora
[
x;
]
epi , cio`e (x) < +, da
cui la i) (con
0
:= + ).
In dimensione nita, vale un risultato pi` u forte:
Proposizione 1.3 Se: dimE = n < +, `e convessa, ed int(dom) non
`e vuoto, allora `e continua in int(dom).
Dim.: ssato x
0
int(dom),
0
> 0 tale che (x
0
, 2
0
) int(dom),
cosicche x
i
:= x
0
+
0
e
(i)
int(dom) per i = 1, . . . , n. Linsieme
A :=
_
n

i=0

i
x
i


i
> 0 (i = 0, . . . , n) ,
n

i=0

i
= 1
_
=
_
x
0
+
0
n

i=1

i
e
(i)


i
> 0,
n

i=1

i
< 1
_
`e aperto (la verica `e immediata). Inoltre, `e superiormente limitata su A:
in eetti, posto M := max
0in
(x
i
), si ha, x A, (x) = (

n
i=0

i
x
i
)

n
i=0

i
(x
i
) M. La conclusione segue dal Teorema 1.2.
Osservazione 1.3 La Proposizione 1.3 implica, in particolare, che se
`e convessa e dimE < +, allora (int(dom) = ) (int(epi )= ).
Quando dimE = +, lultima biimplicazione scritta non `e pi` u vera: dal
Teorema 1.2 risulta che (int(dom) = ) = (int(epi )= ); ma non `e
detto che se int(epi )= allora int(dom) = , o, equivalentemente, che
si abbia (int(dom) ,= ) =(int(epi ) ,= ). Basta assumere come un
funzionale lineare non continuo denito su tutto E (si veda il Lemma 1.1):
se fosse int(epi ), = , dovrebbe essere continua x
0
dom = E (per il
Teorema 1.2), contrariamente allipotesi.
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 7
Osservazione 1.4 Se int(epi ) ,= , allora risulta:
int(dom) = x E [ R :
[
x;
]
int(epi ) ;
int(epi ) =
[
x;
]
E R [ x int(dom) e > (x) .
Le uguaglianze precedenti si giusticano facilmente, se si osserva che:
per il Teorema 1.2, si ha che int(dom) ,= , e `e continua in
int(dom); `e poi immediato controllare che se x int(dom) e > (x),
allora
[
x;
]
int(epi );
`e ovvia la verica che se
[
x;
]
`e interno ad epi , allora x `e interno a
dom e > (x).
1.2.2 Funzioni s.c.i..
Dimostriamo intanto, sempre nel caso in cui E sia uno spazio normato, le
seguenti propriet`a, enunciate in [Br], I.3 per un generico spazio topologico:
Proposizione 1.4 i) `e s.c.i. se e solo se epi `e chiuso in E R;
ii) `e s.c.i. se e solo se, R, linsieme
[

]
`e chiuso in E;
iii) se
1
,
2
sono s.c.i., lo `e ogni loro combinazione lineare a coecienti
, non negativi;
iv) se

`e una famiglia di funzioni s.c.i., anche il loro inviluppo


superiore `e s.c.i.;
v) se dom `e compatto e `e s.c.i., ammette minimo su E.
Dim.: i): se `e s.c.i. e
[
x
n
;
n]
epi `e tale che
[
x
n
;
n]

[
x;
]
,
si ha che x
n
x in E e
n
in R. Pertanto, (x) liminf
n
(x
n
)
liminf
n

n
= , dunque
[
x;
]
epi . Viceversa, se epi `e chiuso, ssato
ad arbitrio x E, sia x
n
E tale che x
n
x. Posto := liminf
n
(x
n
),
si pu`o estrarre da x
n
una sottosuccessione x
n
k
tale che lim
k
(x
n
k
) = .
Ma allora la successione
[
x
n
k
; (x
n
k
)
]
epi tende a
[
x;
]
in E R,
quindi
[
x;
]
epi , cio`e (x) = liminf
n
(x
n
);
ii): se `e s.c.i. ed x
n

[

]
`e tale che x
n
x, si ha, n N,
che (x
n
) , dunque (x) , cio`e x
[

]
. Viceversa, supponiamo
che
[

]
sia chiuso R; data una successione x
n
E convergente
ad x, se ne estragga una sottosuccessione x
n
k
tale che (x
n
k
) :=
liminf
n
(x
n
). Allora, > 0 k

: k > k

risulta (x
n
k
) < + ; poiche
x
n
k

[
+
]
, e x
n
k
x, si ha che x
[
+
]
, cio`e (x)
+ liminf
n
(x
n
), da cui, per larbitrariet`a di , (x) liminf
n
(x
n
);
iii): evidente, per le propriet`a del minimo limite;
iv): ssata x
n
E con x
n
x, si ha

(x) liminf
n

(x
n
)
liminf
n
(x
n
) , da cui (x) liminf
n
(x
n
);
v): sia x
n
dom una successione tale che (x
n
) := inf
xE
(x).
poiche dom `e compatto, `e possibile estrarre da x
n
una sottosuccessione
x
n
k
convergente ad un x dom. Ma allora (x) liminf
k
(x
n
k
) =
, il che conclude la dimostrazione.
Pag. 8 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Inne, diamo un risultato di continuit`a, allinterno del proprio dominio,
delle funzioni convesse, proprie, s.c.i., denite su uno spazio di Banach:
Proposizione 1.5 Se E `e uno spazio di Banach, e `e convessa, propria
e s.c.i., allora `e continua in int(dom).
Dim.: assumendo che int(dom) ,= (altrimenti, non c`e nulla da di-
mostrare), supponiamo dapprima che 0 int(dom), e ssiamo > (0).
Posto C :=
[

]
, si ha intanto che C `e un convesso chiuso (si vedano
le Proposizioni 1.1 e 1.4), e non vuoto (dato che 0 C). Inoltre, E =

nN
nC: in eetti, y E, dato che la restrizione di alla retta ty [ t R
`e continua nellorigine (Proposizione 1.3), scelto
]
0, (0)
[
si ha
che n : n > n risulta

_
y
n
_
(0)

< , quindi
_
y
n
_
< (0) + < ,
da cui
y
n
C, cio`e y nC. Per il Lemma di Baire ([Br], Lemma II.1),
ci`o implica che n
0
: int(n
0
C), = ; ne viene che anche int C ,= , e poiche
`e superiormente limitata in C, quindi in int C, la Proposizione 1.2 mostra
che `e continua in int(dom).
Il caso generale si riconduce immediatamente a quello ora trattato: se
x
0
int(dom), basta porre (x) := (x + x
0
), ed osservare che anche `e
convessa, propria, s.c.i., e 0 int(dom). Per quanto dimostrato pi` u sopra,
(x) `e continua in int(dom ), e ci`o implica evidentemente la continuit`a di
in int(dom ) = x
0
+int(dom ).
Osservazione 1.5 Nella Proposizione 1.5, lipotesi di completezza di E
non pu`o essere eliminata, come mostra lesempio seguente. Si ponga E :=
_
x = x
n

nN

n = n(x) : x
n
= 0 n > n
_
, con |x| := max
nN
[x
n
[ (`e
uno spazio normato, che per`o `e evidentemente non completo), e si denisca
: E R come segue: (x) :=

+
n=1
n[x
n
[.
`
E evidente che `e convessa.
Per dimostrare che `e anche s.c.i. nel generico punto x = x
n
E, sia
intanto N N tale che x
n
= 0 n > N, e, ssato > 0 arbitrario, si ponga

0
:=
2
N(N + 1)
. Se x
(k)

kN
, con x
(k)
= x
(k)
n

nN
, `e una successione in E
che converge ad x, k
0
: k > k
0
si ha |x
(k)
x| <
0
, quindi, n N, [x
n
[ <
[x
(k)
n
[ +
0
, da cui (x) =

N
n=1
n[x
n
[ <

N
n=1
(n[x
(k)
n
[ + n
0
) (x
(k)
) + ,
e, inne, (x) < + liminf
k
(x
(k)
), quindi (x) liminf
k
(x
(k)
).
Daltronde, non `e continua (ad esempio, nellorigine): se si sceglie
x
(k)
:=
e
(k)
k
, si ha che x
(k)
0, mentre (x
(k)
) = 1 e (0) = 0.
1.2.3 Funzione coniugata.
Poniamo la seguente denizione:
Denizione 1.4 i) se `e propria, la sua coniugata (o polare, o trasfor-
mata di Young-Fenchel)

: E

R + `e data, y E

,
da:

(y) := sup
xE
y, x) (x) = sup
xdom
y, x) (x) ;
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 9
ii) se

`e propria, si denisce biconiugata (o bipolare) di la funzione

: E R + data da

(x) := sup
yE

y, x)

(y) = sup
ydom

y, x)

(y) ;
`e facile vericare che risulta

(x) (x) x E.
Il ruolo della funzione coniugata nei problemi di minimo `e chiarito dalla
propriet`a (evidente) che

(0) = inf
xE
(x) = inf
xdom
(x).
Altre conseguenze immediate delle denizioni (valide y E

):
(
1
(x)
2
(x) x E) =(

1
(y)

2
(y));
posto (x) := (x), si ha

(y) =

(y));
> 0 , ()

(y) =

(y/);
( > 0, z E, R, y E

), posto
,z,,y
(x) := (x + z) + +y, x),
si ha che

,z,,y
(y) =

((y y)/) y y, z)/ .


Vale inoltre la propriet`a ([Br], Proposizione I.9):
Proposizione 1.6

`e sempre convessa e s.c.i.; se `e convessa, propria


e s.c.i., allora anche

`e propria.
3
`
E fondamentale il teorema di Fenchel-Moreau ([Br], Teorema I.10):
Teorema 1.3 Se `e convessa, propria e s.c.i., allora

= .
Si osservi anche il seguente corollario al risultato precedente:
Corollario 1.1 Se `e propria e tale che anche

`e propria, allora, x E,

(x) = max(x) [ convessa, s.c.i., e tale che (x) (x) x E.


In particolare, I

K
= I
C
, dove
4
C := conv K.
Dim.: immediata, perche se `e convessa, s.c.i., propria, e (x) (x) per
ogni x E, allora (x) =

(x)

(x); daltronde, se

`e propria, allora

`e convessa, s.c.i., propria e

(x) (x) x E.
Alcuni esempi con E = R.
1. Se (x) := x, si ha

(y) = I
{1}
(y). Dalle propriet`a enunciate
in precedenza, si deduce che, a, b R, posto
a,b
(x) := ax + b, risulta

a,b
(y) = I
{a}
(y) b (daltronde, semplice conseguenza della denizione). Si
veda anche il successivo Esempio 12.
`
E immediata poi la verica diretta
(superua, per il teorema di Fenchel-Moreau, ma utile come esercizio; ci`o
3
Non `e per` o necessario che sia convessa oppure s.c.i. perche

sia propria: ad
esempio, se `e una qualunque funzione propria ed inferiormente limitata, si `e visto pi` u
sopra che 0 dom

.
4
con conv K si indica il convessicato di K, cio`e lintersezione di tutti i convessi
contenenti K.
Pag. 10 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
vale per molti degli esempi seguenti) che

a,b
(x) = sup
yR
yx

a,b
(y) =
ax

a,b
(a) = ax + b =
a,b
(x).
2. Dati a, b R con a < b, sia
a,b
(x) := I
]
a,b
[
(x); allora

a,b
(y) =
_
ay se y 0,
by se y > 0.
La stessa espressione ha anche la coniugata di
a,b
(x) := I
[
a,b
]
(x). Si ha
quindi

a,b
(x) =

a,b
(x) = sup
yR
xy

a,b
(y) = I
[
a,b
]
(x) =
a,b
(x) (il
controllo `e immediato; ma `e comunque conseguenza del Teorema 1.3). Se,
in particolare, a = 1, b = 1, si ha quindi

1,1
(y) = [y[. Ne viene anche (per
il Teorema 1.3, e grazie alle propriet`a elementari richiamate pi` u sopra) che,
posto (x) := [x[, si ha

(y) = I
[
1,1
]
(y), e che inoltre, posto, per > 0 e
R,
,
(x) := [x[ + , risulta

,
(y) = I
[
,
]
(y) .
3. Sia
a
(x) := I
{a}
(x); in questo caso, risulta ovviamente che

a
(y) =
sup
xR
xy
a
(x) = ay; si confronti con lEsempio 1, con b = 0.
4. Poniamo, R,

(x) :=
_
1
2
x
2
se x ,= 0,
se x = 0.
Si vede facilmente che

(y) = max
_
1
2
y
2
;
_
,
da cui, se 0,

(y) =
1
2
y
2
. Se invece < 0 si ha (verica semplice;
daltronde, si ricordi il Corollario 1.1) che

(x) =
_
+[x[

2 se [x[

2 ,
1
2
x
2
se [x[ >

2 ;
perci`o, (

(x) =

(x)) ( = 0). Un esempio:


-2
0
2
0
*
-2
0
2
0
-2
0
2
0
*

.5
(x)

.5
(y)

.5
(x)
5. Fissato p > 0, `e facile vericare che, posto
p
(x) := [x[
p
/p, valgono
i seguenti risultati:
p > 1:

p
(y) = [y[
q
/q =
q
(y). In particolare,
p
`e formalmente autoconiu-
gata (cio`e, lespressione analitica di

p
coincide con quella di
p
) se e solo se
p = 2.
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 11
p = 1: questo caso rientra nellEsempio 2.
0 < p < 1: si verica subito che

p
(y) = I
{0}
(y), quindi

p
(x) = 0 x R,
(si rivedano lEsempio 3 ed il Corollario 1.1).
6. Fissato p > 0, sia

p
(x) :=
_
1
p
[x[
p
se [x[ 1,
+ se [x[ > 1.
poiche

p
(0) = 0 e

p
(y) =

p
(y), `e facile concludere che:
p > 1: allora

p
(y) =
_
1
q
[y[
q
se [y[ 1,
[y[
1
p
se [y[ > 1;
un esempio:
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

1.5
(x)

1.5
(y)
0 < p < 1: per y 0, la funzione x xy x
p
/p `e convessa nellintervallo
[
0, 1
]
, quindi assume il suo massimo o per x = 0 o per x = 1, da cui

p
(y) =
_
0 se [y[
1
p
,
[y[
1
p
se [y[ >
1
p
;
`e poi facile vericare (direttamente, oppure mediante il Corollario 1.1) che

p
(x) =
1
p
[x[ se [x[ 1, mentre

= + se [x[ > 1 . Un esempio:


-1
0
1
2
3
-2 0 2
-1
0
1
2
3
-2 0 2
-1
0
1
2
3
-2 0 2

.8
(x)

.8
(y)

.8
(x)
p = 1: si verica subito che

1
(y) =
_
0 se [y[ 1,
[y[ 1 se [y[ > 1.
Pag. 12 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
7. Fissato p > 0, sia

p
(x) :=
_
1
p
x
p
se x 0,
+ se x < 0.
`
E immediata la verica che:
p > 1: allora

p
(y) =
_
1
q
y
q
se y 0,
0 se y < 0;
p = 1: risulta

1
(y) = I
]
,1
]
(y) .
0 < p < 1: si ha

p
(y) = I
]
,0
]
(y) ;
di conseguenza, risulta (si confronti anche il Corollario 1.1)

p
(x) = I
[
0,+
[
(x) .
8. Fissato p > 0, sia

p
(x) :=
_

1
p
x
p
se x 0,
+ se x < 0;
Si controlla subito che:
p > 1: allora

p
(y) +;
0 < p < 1: si ha

p
(y) =
_
1
q
[y[
q
se y < 0,
+ se y 0;
un esempio:
-4
-2
0
2
4
0
-4
-2
0
2
4
0

.5
(x)

.5
(y)
p = 1: risulta

1
(y) = I
]
,1
]
(y) .
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 13
Alcuni esempi con E spazio normato.
Alcuni degli esempi precedenti (come gli Esempi 5, 6) possono essere
adattati al caso di una funzione denita su uno spazio normato, anche uti-
lizzando la seguente
Proposizione 1.7 Sia f : R R + una funzione convessa, propria,
s.c.i. e pari. Dato uno spazio normato E, si denisca : E R +
ponendo, x E, (x) := f(|x|); valgono i seguenti risultati:
i) `e convessa, propria, s.c.i.;
ii) y E

(y) = f

(|y|

) .
Dim.: i) poiche f `e convessa, propria e pari, domf `e un intervallo non
vuoto, simmetrico rispetto allorigine (eventualmente, ridotto a 0); quindi
0 domf e, di conseguenza, 0 dom, dunque `e propria.
`
E poi evidente
che `e s.c.i.: se x
n
x
0
in E, si ha |x
n
| |x
0
|, da cui, dato che f `e s.c.i.,
(x
0
) = f(|x
0
|) liminf
n
f(|x
n
|) = liminf
n
(x
n
).
5
Per dimostrare che `e convessa, si osservi che, x
1
, x
2
E e
[
0, 1
]
risulta, per il teorema di Fenchel-Moreau applicato ad f, ed utilizzando
la convessit`a e la simmetria di f ed f

:
(x
1
+ (1 )x
2
) = f(|x
1
+ (1 )x
2
|) = f

(|x
1
+ (1 )x
2
|) =
sup
R
|x
1
+ (1 x
2
)| f

() = sup
0
|x
1
+ (1 )x
2
| f

()
sup
0
|x
1
| + (1 )|x
2
| f

() (1 )f

()
sup
0
|x
1
| f

() + (1 ) sup
0
|x
2
| f

() =
f

(|x
1
|) + (1 ) f

(|x
2
|) = (x
1
) + (1 ) (x
2
) .
ii) Utilizzando ancora la simmetria di f, si ottiene, y E

(y) = sup
xE
y, x) f(|x|) = sup
t0
_
_
_
sup
xE
x=t
y, x) f(t)
_
_
_
=
sup
t0
|y|

t f(t) = sup
tR
|y|

t f(t) = f

(|y|

) .
Osservazione 1.6 La denizione di nella Proposizione 1.7 fa inter-
venire soltanto i valori che f assume per t 0, mentre f

() dipende anche
dai valori di f(t) per t < 0.
`
E quindi ovvio che la Proposizione 1.7 non
pu`o valere se non si richiede qualche relazione tra i valori assunti da f(t) per
t > 0 e quelli assunti per t < 0; a questo risponde appunto la richiesta che f
sia pari. Qualche esempio, in cui f `e convessa, propria, s.c.i., ma non pari :
i) se domf t < 0 (ad esempio, se f `e la funzione indicatrice
dellintervallo
[
a, b
]
, con a b < 0), non `e propria;
5
Si osservi che la dimostrazione della semicontinuit`a inferiore di non richiede che f
sia pari.
Pag. 14 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
ii) posto f(t) := (t 1)
2
, e ssato x E con |x| = 1, si ha che

_
1
2
x +
1
2
(x)
_
= (0) = 1, mentre
1
2
(x) +
1
2
(x) = (x) = f(1) = 0;
quindi, non `e convessa;
iii) posto f(t) := t, da cui (x) = |x|, si ha che `e convessa, propria e
continua, quindi s.c.i.. Tuttavia, si ottiene che, y E

,

(y) = sup
xE
(y, x) |x|) = sup
0
_
_
_
sup
xE
x=
(y, x) )
_
_
_
= sup
0
(|y|

1) ;
si ha quindi che

(y) = 0 0 |y|

1, mentre f

() = I
{1}
():
cosicche

(y) ,= f

(|y|

).
Dalla Proposizione 1.7 si ottengono, in particolare, i seguenti risultati:
9. Fissato p > 0, si ponga f
p
(t) := [t[
p
/p e
p
(x) := f
p
(|x|); allora:
p > 1: si ha

p
(y) = |y|
q

/q. Quindi,
p
`e formalmente autoconiugata se
e solo se p = 2 (ed autoconiugata se E `e uno spazio di Hilbert identicato
al suo duale).
p = 1: risulta

1
(y) = I
[1,1]
(|y|

) = I
(0,1)
(y) (si riveda lEsempio 2).
0 < p < 1: si ha

p
(y) = I
{0}
(y), quindi

p
(x) = 0 x E (si riveda
lEsempio 3).
10. Fissato p > 0, posto
f
p
(t) :=
_
1
p
[t[
p
se [t[ 1,
+ se [t[ > 1,
e
p
(x) := f
p
(|x|), ne viene che:
p > 1: allora

p
(y) =
_
1
q
|y|
q

se |y|

1,
|y|

1
p
se |y|

> 1;
0 < p < 1: in questo caso,

p
(y) =
_
0 se |y|


1
p
,
|y|

1
p
se |y|

>
1
p
;
inoltre,

p
(x) =
_
1
p
|x| se |x| 1,
+ se |x| > 1.
p = 1: si ha subito che

1
(y) =
_
0 se |y|

1,
|y|

1 se |y|

> 1.
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 15
11. Fissato p > 0, sia

f
p
(t) :=
_
1
p
[t[
p
se t ,= 0,
+ se t = 0,
e si ponga
p
(x) :=

f
p
(|x|).
In questo caso, non `e applicabile la Proposizione 1.7, dato che

f
p
non `e
convessa ne s.c.i..
`
E tuttavia immediato vericare che, se
p
`e come nellE-
sempio 9, risulta:

p
(y) = sup
xE\{0}
_
y, x)
1
p
|x|
p
_
= sup
xE
_
y, x)
1
p
|x|
p
_
=

p
(y) .
Un esempio rilevante, anche per il seguito:
12. Dato un sottoinsieme non vuoto K E, la coniugata I

K
della sua
funzione indicatrice `e detta funzione dappoggio di K, e verica eviden-
temente I

K
(y) = sup
xK
y, x); `e sempre propria (I

K
(0) = 0), ed inoltre `e
positivamente omogenea (e non negativa se 0 K). Per quanto riguarda I

K
,
si veda il Corollario 1.1; `e chiaro inoltre che I

K
(x) 0, x) I

K
(0) = 0, e,
daltra parte, se x K risulta y, x) I

K
(y) 0; ne viene, in denitiva, che
x E, x K =I

K
(x) = I
K
(x) = 0,
mentre limplicazione inversa `e falsa, come mostra gi`a lEsempio 2.
In particolare, ssato x
0
E, si ha evidentemente che I

{x
0
}
(y) = y, x
0
)
y E

; quindi, posto, per y


0
E

e R ssati,
y
0
,
(x) := y
0
, x) + ,
si deduce subito che

y
0
,
(y) = I
{y
0
}
(y) (si rivedano gli Esempi 1, 2, 3).
1.2.4 Funzioni convesse s.c.i. e problemi di minimo.
La Proposizione 1.4, v) fornisce un primo risultato relativo allesistenza del
minimo in E di una funzione s.c.i., ma nellipotesi (alquanto restrittiva)
che dom sia compatto. Ricordiamo ora un altro risultato ([Br], Corollario
III.20), che evidenzia limportanza fondamentale delle funzioni convesse s.c.i.
nei problemi di minimo su convessi di spazi riessivi:
Proposizione 1.8 Se sono soddisfatte le ipotesi seguenti:
i) E `e uno spazio di Banach riessivo;
ii) K ,= `e un convesso chiuso E;
iii) : K R + `e convessa, propria, s.c.i.;
iv) se K non `e limitato, `e coerciva su K, cioe tale che
lim
xK
x+
(x) = + ,
allora ammette minimo su K.
Pag. 16 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Osservazione 1.7 Le ipotesi della Proposizione 1.8 sono tutte essenziali.
I controesempi sono evidenti gi`a con E = R se: K non `e chiuso; oppure non
`e s.c.i.; oppure K non `e limitato e non `e coerciva. Se K = o dom = ,
non servono commenti. Restano da esaminare i casi in cui non vale una (ed
una sola) delle ipotesi: E riessivo; K convesso; convessa.
) E non riessivo: si ponga E :=C
0
(
[
0, 1
]
), K :=x E [ x(0) = 0 ,
_
1
0
x(t) dt = 0 (`e un sottospazio chiuso di E). Fissato un elemento x
0
in
E K con x
0
(0) = 0, deniamo (x) := |x x
0
|. Mostriamo intanto che
inf
xK
(x) = d(x
0
, K) =

_
1
0
x
0
(t) dt

. Infatti, da un lato si ha, x K, che

_
1
0
x
0
(t) dt

_
1
0
x
0
(t) x(t) dt

(x), da cui d(x


0
, K)

_
1
0
x
0
(t) dt

;
inoltre, posto, > 0, w

(t) := x
0
(t) (1 +)t

_
1
0
x
0
(t) dt, si ha evidente-
mente w

K, quindi d(x
0
, K) (w

) = (1 + )

_
1
0
x
0
(t) dt

, da cui,
per larbitrariet`a di , luguaglianza cercata. Mostriamo che lestremo in-
feriore non pu`o essere raggiunto. Infatti, se, per assurdo, z K tale che
|z x
0
| = d(x
0
, K), allora max
0t1
[z(t) x
0
(t)[ =

_
1
0
z(t) x
0
(t) dt

,
che `e possibile solo se z(t) x
0
(t) `e costante; ma poiche z(0) x
0
(0) = 0, ci`o
implica x
0
(t) = z(t), il che `e contrario allipotesi x
0
, K. Quindi, non esiste
un punto in K che abbia distanza minima da x
0
.
) K non convesso: si ponga E :=
2
, K := x
2
[ [x[ = 1, e si
indichi con : K R la restrizione a K della funzione (convessa e continua
su E) x [[x[[

:= sup
n
[x
n
[. Per ogni n N, sia e
(n)
ln-esimo versore
di
2
; posto x
(n)
:=
1

n
k=1
e
(k)
, si ha [x
(n)
[ = 1, quindi x
(n)
K, mentre
[[x
(n)
[[

=
1

n
. Pertanto, inf
xK
(x) = 0, e di conseguenza (x) non ha
minimo su K.
) non convessa: si ponga E := H
1
0
(0, 1), con |x|
2
E
:=
_
1
0
(x

(t))
2
dt,
K := (0, 1), e, x E,
(x) :=
_
1
0
_
x
2
(t) +

1 [x

(t)[

_
dt .
Si controlla facilmente che `e continua su E (nella topologia forte), non
convessa (se x(t) :=
1
2

t
1
2

, si ha | x| = 1,
_
1
2
x +
1
2
( x)
_
= (0) = 1,
mentre
1
2
( x) +
1
2
( x) = ( x) =
1
12
), ed inoltre strettamente positiva (se
x
0
E `e tale che (x
0
) = 0, deve essere x
0
(t) = 0 e [x

0
(t)[ = 1 q.o. in
]
0, 1
[
,
il che `e evidentemente impossibile). Daltra parte, denendo, n N, x
(n)
(t)
come il prolungamento per periodicit`a a tutto
[
0, 1
]
della funzione che vale
t su
_
0,
1
2n
_
e
1
n
t su
_
1
2n
,
1
n
_
, si ha che x
(n)
K (dato che
_
_
x
(n)
_
_
= 1);
ma (x
(n)
) 0, cosicche inf
xE
(x) = 0, e non ha minimo su K.
Osservazione 1.8 i) Problemi generalizzati di minimo per una funzione
(quasi) generica si possono formulare in termini della convessicata s.c.i. di
, cioe

, che, quando

`e propria, `e convessa, propria e s.c.i.; si rivedano


la Proposizione 1.6 ed il Corollario 1.1.
1.2. FUNZIONE: CONVESSA; S.C.I.; CONIUGATA. Pag. 17
ii) La Proposizione 1.8 risolve un problema di minimo vincolato per
(il vincolo essendo costituito dal convesso chiuso non vuoto K), in cui, in
particolare, rientra il problema di minimo libero: cercare il minimo di in
tutto E. In realt`a, anche il problema di minimo vincolato si pu`o scrivere
come un problema di minimo libero, relativo per`o alla somma di e della
funzione indicatrice I
K
di K. Rientra quindi nel problema (non semplice) di
studiare il minimo della somma di due funzioni (ad esempio convesse).
Un primo fondamentale risultato in questa direzione `e dato dal teorema
di dualit`a di Fenchel ([Br], Teorema I.11):
Proposizione 1.9 Siano , due funzioni convesse su E, ed esista un pun-
to x
0
dom dom in cui `e continua; allora
inf
xE
(x) + (x) = sup
yE

(y)

(y) = max
yE

(y)

(y).
Per completezza, diamo la dimostrazione di alcune propriet`a, in parte
utilizzate (ma solo enunciate) in [Br](Lemma I.4) nella prova della propo-
sizione precedente.
Proposizione 1.10 Sia K un convesso di E. Allora:
i) K `e convesso;
ii) int K `e convesso; se int K ,= , allora K = int K;
iii) se K `e aperto, allora K = int K.
Dim.: i) se x, y K, x
n
, y
n
K tali che x
n
x e y
n
y. Per ogni
t
[
0, 1
]
, si ha z
n
:= tx
n
+(1 t)y
n
K, e inoltre z
n
tende a tx +(1 t)y,
che quindi `e in K.
ii) Premettiamo la seguente osservazione:
se x K ed y int K, allora tx + (1 t)y int K t
[
0, 1
[
.
Infatti, per ipotesi > 0 : (y, ) K, quindi, t
[
0, 1
]
, si ha che
tx + (1 t)(y, ) = (tx + (1 t)y, (1 t)) K. Da cio`o risulta che: se
anche x int K, tx+(1 t)y int K, quindi int K `e convesso; se int K ,= ,
ssato y
0
int K si ha che, x K,
_
1
1
n
_
x +
1
n
y
0
int K, quindi
x int K; perci`o K int K, da cui, ovviamente, K = int K.
iii) Basta vericare che (x int K) (x K). Supponiamo, per
assurdo, che x
0
int K K; per il Teorema di Hahn-Banach (Teorema
1.1, ii)) y E

0, R : y, x
0
) y, x) per ogni x K, quindi
anche x K. Poiche x
0
int K, > 0 : (x
0
, ) = x
0
+ (0, 1) K;
per ogni z con [z[ < 1 si deve quindi avere
+ y, z) y, x
0
) + y, z) = y, x
0
+ z) ,
cioe y, z) 0 z (0, 1); ma questo implica y = 0, contrariamente
allipotesi che y E

0.
Pag. 18 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Osservazione 1.9 Nellenunciato della Proposizione 1.9, lipotesi su x
0
`e essenziale, come mostrano i seguenti esempi:
i) sia E := R; si ponga (x) := I
{0}
(x), e
(x) :=
_
+ se x < 0,

x se x 0 .
Si ha che

(y) = 0 y R (Esempio 1 del Paragrafo 1.2.3), e si calcola


subito che

(y) =
_

1
4y
se y < 0,
+ se y 0.
Poiche dom dom = 0, se ne deduce che inf
xR
(x) + (x) = 0;
inoltre, sup
yR

(y)

(y) = sup
yR
+

1
4y
= 0; per`o, lestremo
superiore ora scritto non `e mai raggiunto (non `e un massimo).
ii) sia E := R
2
, e si denisca
(x) :=
_

x
1
x
2
se x
1
0 ed x
2
0,
+ altrimenti;
(x) :=
_
0 se x
1
= 0,
+ altrimenti.
`
E immediato vericare che

(y) = I
{y
2
=0}
(y); inoltre, risulta

(y) =
_
0 se y
1
< 0, y
2
< 0 e 4y
1
y
2
1,
+ altrimenti.
Infatti, posto Q := dom , si osservi intanto che, poiche 0 Q, risulta

(y) 0 y R
2
. Inoltre, sia y R
2
tale che x =
[
x
1
; x
2]
Q con
y, x) +

x
1
x
2
> 0. Poiche x ,= 0 e, n N, n x Q, ne viene che

(y) n(y, x) +

x
1
x
2
) n N, da cui

(y) = +. Di conseguenza,

(y) =
_
0 se y, x) +

x
1
x
2
0 x Q,
+ altrimenti.
Poiche y, x) +

x
1
x
2
= y
1
_

x
1
_
2
+

x
2

x
1
+ y
2
x
2
= y
2
_

x
2
_
2
+

x
1

x
2
+y
1
x
1
, la condizione y, x) +

x
1
x
2
0 x Q `e soddisfatta se
e solo se risulta y
1
< 0, y
2
< 0, ed inoltre 4y
1
y
2
1.
Di conseguenza, in questo caso si ha
inf
xE
(x) + (x) = 0, mentre y E

(y) +

(y) = +
Osservazione 1.10 La Proposizione 1.9 ha particolare interesse se le-
stremo inferiore che in essa compare non `e un minimo. Nell Osservazione
1.7, ), (di cui riprendiamo ipotesi e notazioni), posto (x) := I
K
(x), si
`e visto che inf
xK
(x) = inf
xE
(x) + (x) =

_
1
0
x(t) dt

, ma che tale
estremo inferiore non `e assunto. Per la Proposizione 1.9, il problema
duale (che consiste nel massimizzare su E

il funzionale

(y)

(y))
ha invece soluzione, che ora determiniamo. Si controlla senza dicolt`a che,
y E

, si ha

(y) = y, x
0
) + I
(0,1)
(y). Inoltre (si veda il precedente
1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 19
Esempio 12),

(y) = sup
xK
y, x); poiche K `e un sottospazio, si ha che
6

(y) = I
K
(y). Dunque
max
yE

(y)

(y) = maxy, x
0
) [ y K

, |y|

1,
e, come sappiamo, tale massimo vale d(x
0
, K) =

_
1
0
x
0
(t) dt

. Quindi:
se
_
1
0
x
0
(t) dt > 0, la misura di Lebesgue su
]
0, 1
[
`e punto di massimo;
se invece
_
1
0
x
0
(t) dt < 0, un punto di massimo `e la misura di Lebesgue su
]
0, 1
[
, cambiata di segno.
1.3 Relazioni di ortogonalit`a.
Operatori chiusi. Aggiunto.
Premettiamo il seguente risultato ([Br], Teorema II.8 e Corollario II.9):
Proposizione 1.11 Siano G, L due sottospazi chiusi dello spazio di Ba-
nach E, tali che G+ L sia chiuso; allora c 0 tale che:
i) x G+ L, g G, l L : x = g + l, |g| c|x|, |l| c|x|;
ii) x E, d(x, G L) cd(x, G) + d(x, L).
Osservazione 1.11 La somma di due sottospazi chiusi pu`o non essere chiu-
sa, come risulta gi`a dallOsservazione 1.1, di cui conserviamo le notazioni :
i sottospazi l`a indicati con A e C sono chiusi, la loro somma `e densa in E,
ma non coincide con E (non contiene il vettore l`a indicato con ).
Diamo la seguente
Denizione 1.5 Se G `e un sottospazio chiuso di E, un supplementare
topologico L di G `e un sottospazio chiuso di E tale che G L = 0 e
G + L = E.
Valgono allora le seguenti propriet`a (cfr. [Br], II.4):
se L `e un supplementare topologico di G, ogni x E si scrive in modo
unico come x = g + l, con g G ed l L; le applicazioni x g ed x l
(proiettori su G e su L) sono operatori lineari e continui ;
G ammette sempre un supplementare topologico se dim G < +,
oppure se G `e chiuso ed ha codimensione nita;
se E non `e hilbertizzabile, esistono sottospazi chiusi di E che non
ammettono alcun supplementare topologico.
6
la denizione ([Br], II.5) di K

`e richiamata nel Paragrafo seguente.


Pag. 20 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
1.3.1 Relazioni di ortogonalit`a.
Nel caso hilbertiano, un supplementare topologico del sottospazio chiuso G `e
il sottospazio ortogonale a G; la denizione di ortogonalit`a pu`o essere estesa
al caso degli spazi di Banach, con le modiche dovute alla mancanza di un
prodotto scalare. Precisamente, si pone (cfr. [Br], II.5) la seguente
Denizione 1.6 Dati M E (risp., N E

),
i): gli ortogonali M

di M (N

di N) sono deniti, rispettivamente,


da:
M

:= y E

[ y, x) = 0 x M ( E

)
N

:= x E [ y, x) = 0 y N ( E) ;
ii):
[
M
]
(risp.,
[
N
]
) `e la variet`a lineare generata da M (risp.,
N), cioe lintersezione di tutte le variet`a lineari contenenti M (N); M
s
ed
M
w
indicano le chiusure di M in E
s
ed in E
w
; N
s
, N
w
ed N
w

indicano le
chiusure di N in E

s
, E

w
, E

w
; se M (N) `e convesso, si pone M := M
s
=
M
w
, N := N
s
= N
w
.
Valgono i seguenti risultati:
Proposizione 1.12 i): M

`e una variet`a lineare, chiusa in E

w
(quindi,
anche in E

w
ed, equivalentemente, in E

s
); N

`e una variet`a lineare, chiusa


in E
w
(equivalentemente, in E
s
);
ii): M

= M

=
[
M
]

_
= (
[
M
]
)

_
(chiusure in E
s
o in E
w
);
inoltre, (M

=
[
M
]
;
N

= N

=
[
N
]

_
= (
[
N
]
)

_
(chiusure in E

s
, o in E

w
, o in E

w
);
inoltre, (N

[
N
]
.
Dim.: i): `e evidente che M

ed N

sono variet`a lineari. Per vericare la


chiusura di M

in E

w
, mostriamo che E

`e aperto in E

w
. Infatti,
per ogni y
0
in E

M

deve esistere x
0
M tale che y
0
, x
0
) , = 0; allora
V :=
_
y E

[ [y y
0
, x
0
)[ <
1
2
[y
0
, x
0
)[
_
`e un intorno di y
0
in E

w
, ed `e
contenuto in E

M

, che quindi `e aperto. La verica della chiusura di N

`e immediata.
ii): Poiche M M
s
M
w
, si ha che M

_
M
s
_

_
M
w
_

. Mostria-
mo ora che M

(M
w
)

; supponiamo, per assurdo, che y


0
M

tale che
y
0
, (M
w
)

. Allora, y
0
, x) = 0 x M, mentre x
0
M
w
: y
0
, x
0
) , = 0.
Ne viene che V :=
_
x E [ [y
0
, x x
0
)[ <
1
2
[y
0
, x
0
)[
_
`e un intorno di x
0
in E
w
, ma non contiene punti di M, il che `e assurdo dato che x
0
M
w
.
Si ha quindi che M

= M

, e che
[
M
]

=
_
[
M
]
_

(chiusure in E
s
o
in E
w
); poiche `e ovvio che M

=
[
M
]

, si conclude che M

= M

=
[
M
]

=
_
[
M
]
_

(chiusure in E
s
o in E
w
). A partire dalle inclusioni
N N
s
N
w
N
w

, e dimostrando, con procedimento analogo, che


1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 21
N

_
N
w

, si conclude che N

= N

=
[
N
]

_
= (
[
N
]
)

_
(chiusure
in E

s
, in E

w
o in E

w
).
Inne, poiche M

=
[
M
]

ed N

=
[
N
]

, le relazioni (M

=
[
M
]
ed (N

[
N
]
sono contenute nella Proposizione II.12 di [Br].
Osservazione 1.12 Se E non `e riessivo, ed N E

, si pu`o mostrare
che (N

`e uguale alla chiusura di


[
N
]
in E

w
(che contiene strettamente
quella in E

s
, uguale a quella in E

w
). Un esempio: se E :=
1
, ed N := e
(n)
,
si ha che
[
N
]
= y

[ n
0
= n
0
(y) : n > n
0
, y
n
= 0, mentre
N

= x
1
[ e
(n)
, x) = x
n
= 0 n N = 0; quindi (N

,=
[
N
]
= c
0
.
Proposizione 1.13 Dato A E, con A ,= , si ha, y E

,
d(y, A

) = sup
_
y, x)

x
[
A
]
, |x| 1
_
.
Dim.: posto X:=
[
A
]
, da cui A

= X

, si ha che
d(y, A

) = d(y, X

) = inf
zX

|y z|

= inf
zE

|y z|

+ I
X
(z) =
inf
zE

_
sup
_
y z, x)

x E, |x| 1
_
+ supz, x) [ x X
_
=
inf
zE

_
sup
xE
_
z, x)
_
I
(0,1)
(x) y, x)
__
+ sup
xE
z, x) I
X
(x)
_
=
inf
zE

(z) +

(z) = sup
zE

(z)

(z) ,
dove si `e posto (x) := I
(0,1)
(x) y, x), (x) := I
X
(x). Per la Propo-
sizione 1.9, ne segue che
d(y, A

) = inf
xE
(x) + (x) = inf
xX;x1
y, x) = sup
x[A];x1
y, x) .
Si hanno inoltre le seguenti propriet`a ([Br], Proposizione II.13, Corol-
lario II.14, Teorema II.15):
Proposizione 1.14 Se G, L sono sottospazi chiusi dello spazio di Banach
E, allora:
i) G L = (G

+ L

; ii) G

= (G+ L)

;
iii) (G L)

+ L

; iv) (G

= G+ L.
Proposizione 1.15 Se G, L sono sottospazi chiusi dello spazio di Banach
E, sono equivalenti le propriet`a:
i) G+ L = G+ L; ii) G

+ L

= G

+ L

iii) G+ L = (G

; iv) G

+ L

= (G L)

.
Pag. 22 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
1.3.2 Operatori chiusi.
Richiamiamo alcune denizioni e propriet`a relative ad operatori lineari non
necessariamente limitati ([Br], II.6):
Denizione 1.7 Siano E, F due spazi di Banach. Un operatore lineare
di E in F `e unapplicazione lineare A : D(A) F, dove D(A) `e una variet`a
lineare contenuta in E, detta dominio di A. Si dice che A `e limitato se
c > 0 : x D(A) risulti |Ax| c|x|. Il nucleo N(A) (o ker A) `e
linsieme N(A) := x D(A) [ Ax = 0 ( E); l immagine (o range)
R(A) di A `e linsieme R(A) := Ax [ x D(A) ( F); il graco G(A)
di A `e linsieme G(A) :=
[
x; Ax
]
[ x D(A) ( E F) . Se G(A) `e
chiuso, loperatore A si dice chiuso.
Osservazione 1.13 La limitatezza di A su D(A) non implica, in generale,
che esista un prolungamento lineare e continuo

A di A denito su tutto
7
E.
Ad esempio, siano: E uno spazio di Banach (anche riessivo, purche non
hilbertizzabile), F una sua variet`a lineare e chiusa priva di supplementare
topologico
8
ed A lapplicazione identica di F (considerato come sottospazio di
E) in s`e. Se A ammettesse un prolungamento lineare e continuo

A : E F,
si avrebbe intanto che N := N(

A) sarebbe una variet`a lineare e chiusa di E.
Inoltre, x F N 0 =

Ax = Ax = x, cio`e F N = 0; inne, x E,

A(

Ax) = A(

Ax) =

Ax, quindi x =

Ax+(x

Ax) con

Ax F e x

Ax N:
cio`e E = F + N. Ma ci`o `e assurdo, perche allora N sarebbe supplementare
topologico di F in E.
Osservazione 1.14 Se D(A) = E, non si pu`o dedurre, in generale, che A
sia limitato, (o, equivalentemente, chiuso). In eetti, se dimE = +, ed f
`e un funzionale lineare non continuo su E (si ricordi il Lemma 1.1), ssato
y
0
F 0 basta denire A : E F come segue: Ax := y
0
f(x).
Osservazione 1.15 La chiusura o meno di un operatore lineare dipende
anche dalla scelta del suo dominio. Ad esempio, posto :=
]
1, 1
[
, sia
E := F := L
2
(), e sia A loperatore di derivazione. Se si sceglie D(A) :=
H
1
(), `e facile vedere che A `e chiuso: infatti, se u
n
H
1
() `e tale che
u
n
u e u

n
v in L
2
(), quindi in T

(), si ha anche u

n
u

in T

(), e
dunque, per lunicit`a del limite, u

= v L
2
() (in particolare, u H
1
()).
Se come dominio D(A) si sceglie invece, ad esempio, H
2
(), allora A non `e
chiuso. In eetti, la successione u
n
cos` denita:
u
n
(t) :=
_

_
0 se 1 t 0;
n
2
t
2
se 0 < t <
1
n
;
t
1
2n
se
1
n
t 1,
7
cio`e, un operatore lineare e continuo

A : E F tale che la sua restrizione a D(A)
coincida con A.
8
si vedano la Denizione 1.5 e le propriet`a enunciate subito dopo tale denizione.
1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 23
`e in H
2
(), e si verica senza dicolt`a che, posto
u(t) :=
_
0 se 1 t 0,
t se 0 < t 1,
risulta u
n
u e u

n
u

in L
2
(), mentre u , H
2
().
In generale, non `e detto che la chiusura del graco di un operatore lineare
sia a sua volta graco di un operatore. Si pone allora la seguente:
Denizione 1.8 Loperatore lineare A : E F di dominio D(A) si dice
prechiuso se esiste un operatore A, detto chiusura di A, tale che G(A) =
G(A) .
Si vede facilmente che condizione necessaria e suciente perche A sia
prechiuso `e che, per ogni successione x
n
, se risulta: x
n
D(A), x
n
0
ed y tale che Ax
n
y, allora ne viene che y = 0.
Posto E := L
p
(0, 1) (con p 1), ed F := R, sia A loperatore denito
su D(A) := C
0
(
[
0, 1
]
) come segue: Ax := x(1). Considerando la succes-
sione x
n
data da x
n
(t) := t
n
, da quanto precede si conclude che A non `e
prechiuso.
1.3.3 Operatore aggiunto.
Denizione 1.9 Dato un operatore lineare A : E F con dominio D(A)
denso in E, si pone
D(A

) := y F

[ c = c(y) : x D(A) [y, Ax)[ c|x| ,
e si denisce aggiunto di A loperatore lineare A

: F

E

di dominio
D(A

) che verica la relazione di reciprocit`a:


x D(A) , y D(A

) ,
E
A

y, x)
E
=
F
y, Ax)
F
.
Una propriet`a fondamentale di A

([Br], Proposizione II.16):


Proposizione 1.16 A

`e un operatore chiuso.
Osservazione 1.16 Il dominio di A

dipende in modo essenziale da quello


scelto per A. Ad esempio, posto :=
]
a, b
[
, siano E := F := L
2
(), ed
A
1
loperatore di derivazione con D(A
1
) := H
1
(); allora y D(A

1
) se e
solo se y

L
2
() : x H
1
()
_
b
a
y(t)x

(t) dt =
_
b
a
y

(t)x(t) dt. Lultima


uguaglianza, scritta x T(), implica intanto che y

`e la derivata di-
stribuzionale di y, quindi che y H
1
(). Ma allora, integrando per parti il
primo membro delluguaglianza, si arriva alla relazione, che deve valere per
ogni x H
1
(), y(b)x(b) y(a)x(a) = 0, il che `e possibile se e solo se
y(a) = y(b) = 0; in conclusione, si ha D(A

1
) = H
1
0
().
Se invece A
2
indica ancora loperatore di derivazione, ma con dominio
D(A
2
) := H
1
0
(), si controlla facilmente che D(A

2
) = H
1
().
Inne, se A
3
`e sempre loperatore di derivazione, questa volta con dominio
D(A
3
) := H
1

() := x H
1
() [ x(a) = x(b), si verica, in modo analogo,
che D(A

3
) = H
1

() = D(A
3
).
Pag. 24 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Se Y `e uno spazio vettoriale, data la coppia ordinata
[
a; b
]
Y Y ,
poniamo I(
[
a; b
]
) :=
[
a; b
]
, U(
[
a; b
]
) :=
[
b; a
]
, J(
[
a; b
]
) :=
[
b; a
]
.
Valgono evidentemente le relazioni U
2
= I; J
2
= I; UJ = JU (da cui
si deduce anche: JUJ = U, UJU = J, . . .). Se E, F sono spazi normati
ed X E F, risulta
9
J(X

) = J(X)

e U(X

) = U(X)

; inoltre, se
A : E F `e un operatore lineare invertibile (con dominio D(A) E), si ha
G(A
1
) = U(G(A)).
Ricordiamo che (cfr. [Br], II.6), dato A : E F con dominio D(A)
denso in E, risulta
J(G(A

)) = G(A)

, o, equivalentemente, G(A

) = (J(G(A)))

.
Osservazione 1.17 Si noti per`o che, se A : E F `e un operatore li-
neare generico, cioe senza alcuna altra ipotesi, la posizione G := (J(G(A)))

denisce s` una variet`a lineare e chiusa in F



E

, che per`o non `e detto sia il
graco di un operatore: lo `e se e solo se G non contiene alcuna coppia
[
0; e

]
con e

,= 0. Dato che
[
0; e

]
(J(G(A)))

, e) = 0 e D(A), ne
viene che G `e il graco di un operatore (laggiunto di A) se e solo se D(A) `e
denso in E.
Possiamo ora dimostrare il seguente risultato:
Proposizione 1.17 Dati due spazi di Banach E ed F ed un operatore
lineare A : E F che sia prechiuso e con dominio D(A) denso in E,
allora:
i) si ha (A)

= A

; inoltre, se F `e riessivo, allora D(A

) `e denso in F

;
ii) se anche E `e riessivo, allora
10
A

= A (quindi, A `e chiuso se e solo


se A = A

).
Dim.: i): la prima propriet`a `e immediata: essendo G(A) = G(A), risulta
J
_
G((A)

)
_
= G(A)

=
_
G(A)
_

= G(A)

= J(G(A

)),
cio`e (A)

= A

. Per la densit`a di D(A

), si veda [Br], Teorema III.21;


ii): si ha G(A

) = (J(G(A

)))

=
_
G(A)

= G(A) = G(A); ne viene


che A

= A.
Osservazione 1.18 Se D(A) `e denso ma A non `e prechiuso, oppure F non
`e riessivo, pu`o accadere che D(A

) non sia denso (nelle topologie forte o


debole
11
di F

), come mostrano gli esempi seguenti:
i): sia E := F := H := L
2
(0, 1) (identicato al suo duale), e, ssato x
0
in
H0, si consideri loperatore A da H in s`e di dominio D(A) := C
0
(
[
0, 1
]
)
9
si ponga ad esempio Y := E F E

F

.
10
identicando E ed F ai rispettivi biduali.
11
lo `e sempre nella topologia debole

.
1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 25
cos` denito: (Ax)(t) := x(1)x
0
(t). Si ha che D(A) `e denso in H, ma A non
`e prechiuso. Inoltre, y D(A

) y

L
2
(0, 1) : x D(A) risulta
x(1)
_
1
0
y(t)x
0
(t) dt =
_
1
0
y

(t)x(t) dt.
In particolare, se x(t) = t
n
si deve avere
_
1
0
y(t)x
0
(t) dt =
_
1
0
t
n
y

(t) dt n N ,
quindi x
0
(, = 0) `e ortogonale a D(A

), che pertanto non `e denso in H.


ii): siano E :=
2
, F :=
1
(usuali identicazioni per i duali), ed A lopera-
tore dato da Ax
n
:= nx
n
su D(A) := x
n

2
[ nx
n

1
.
`
E ovvio
che D(A) `e denso in
2
(contiene i vettori con componenti denitivamente
nulle). Inoltre, A `e chiuso: se x
(k)
D(A) `e tale che x
(k)
x in
2
e
Ax
(k)
y in
1
, si ha allora, per ogni n N ssato, lim
k
x
(k)
n
= x
n
, e
lim
k
(nx
(k)
n
) = y
n
, da cui y
n
= nx
n
; quindi x D(A) e Ax = y. Daltra
parte, `e immediato vericare che D(A

) = y
n

[ ny
n

2
; ne
viene, di conseguenza, che D(A

) c
0
, quindi D(A

) non `e denso in
1
.
Valgono anche le seguenti propriet`a:
Proposizione 1.18 Se E, F sono due spazi di Banach, ed A `e un opera-
tore lineare chiuso da E in F con dominio denso in E, si ha che:
i) N(A) = R(A

; N(A

) = R(A)

; N(A)

R(A

); N(A

= R(A);
ii) (R(A) = R(A)) (R(A

) = R(A

)) (R(A) = N(A

)
(R(A

) = N(A)

);
iii) se A `e iniettivo e R(A) `e denso in F, allora A

`e iniettivo, e (A
1
)

=
(A

)
1
;
iv) A `e suriettivo se e solo se N(A

) = 0 e R(A

) = R(A

);
v) A `e suriettivo se e solo se c > 0 : y D(A

) |y|
F
c|A

y|
E
.
Dim.: le propriet`a enunciate in i) sono conseguenze immediate della Propo-
sizione 1.14 (ponendo G := G(A), L := E 0; cfr. [Br], Corollario
II.17); con le stesse posizioni, dalla Proposizione 1.15 si ricava ii) (cfr.
[Br], Teorema II.18); per dimostrare iii), basta osservare che N(A

) = 0
(da i)), e che
J
_
G((A
1
)

)
_
= G(A
1
)

= (U(G(A)))

= U
_
G(A)

_
=
U (J(G(A

))) = J (U(G(A

))) = J (U(G(A

))) = J
_
G((A

)
1
)
_
;
inne, per iv) e v) si veda il Teorema II.19 di [Br].
Osservazione 1.19 Se E non `e riessivo, pu`o accadere che N(A)

,=
R(A

), anche se A `e continuo. Ad esempio, si ponga E :=


1
, F :=
2
,
Pag. 26 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
ed A : E F sia denito da Ax
n
:= x
n
/n. Poiche
12
|x|

|x|
1
, si ha
che |Ax|
2
c |x|
1
(con c = (

n
n
2
)
1/2
); quindi A

L(
2
;
1
), e (verica
immediata) A

y
n
= y
n
/n y
n

2
. Di conseguenza, N(A) = 0, da
cui N(A)

. Invece, se y

= y

n
R(A

) deve esistere y = y
n

2
tale che y

n
= (y
n
/n): ne viene che R(A

) c
0
, quindi R(A

) ,=

.
Ricordiamo inoltre che ([Br], Teorema II.21):
Proposizione 1.19 Se A : E F `e un operatore lineare chiuso con do-
minio D(A) denso, si ha:
(D(A) = E) (A ` e limitato) (D(A

) = F

) (A

` e limitato);
inoltre, in tal caso risulta
|A|
L(E;F)
= |A

|
L(F

;E

)
.
Nel caso di uno spazio di Hilbert H, identicato al suo duale, ci sono
altri notevoli tipi di operatori, di alcuni dei quali diamo almeno la denizione.
Denizione 1.10 Sia A un operatore lineare da H in H; A si dice
hermitiano se, x, y in D(A), risulta (Ay, x) = (y, Ax).
Se, inoltre, D(A) `e denso in H, A si dice
simmetrico se G(A) G(A

);
autoaggiunto se G(A

) = G(A).
Osservazione 1.20 Non `e detto che un operatore simmetrico (cioe, her-
mitiano e con dominio denso) sia anche autoaggiunto: ad esempio, posto
:=
]
a, b
[
, si deniscano H := L
2
(), ed A := d
2
/dt
2
con D(A) := H
2
0
()
(oppure D(A) := H
k
0
() con k > 2, oppure D(A) := T()...). Il controllo
che A `e simmetrico `e immediato. Tuttavia, A non `e autoaggiunto: infatti,
y D(A

) se e solo se y

L
2
() : x D(A) (y

, x) = (y, x

). In par-
ticolare, se x T() si ha y

, x) = y, x

) = y

, x), da cui y

= y

;
quindi, y e la sua derivata seconda (nel senso delle distribuzioni) sono in
L
2
(). Ci`o implica che anche y

L
2
() (anzi, `e assolutamente continua su
[
a, b
]
), quindi y H
2
(). (Basta osservare che, posto Y (t) :=
_
t
a
y

() d,
si ha intanto che Y `e assolutamente continua, con Y

(t) = y

(t) q.o. in
]
a, b
[
. Inoltre, T() risulta
y

Y,

) = y

+ Y

, ) = (y

+ Y

, ) = 0 ;
applicando il Lemma VIII.1 di [Br], si conclude che y

= Y +cost L
2
().)
Daltronde, `e immediato vericare che ogni y H
2
() soddisfa, per
ogni x D(A), (y

, x) = (y, x

); in conclusione, D(A

) = H
2
() con-
tiene strettamente D(A), quindi A

`e unestensione propria delloperatore


simmetrico A. Daltra parte, A

non `e simmetrico: x(t) = t e y(t) = t


2
sono
tali che x, y D(A

), ma (y, A

x) = 0 mentre (A

y, x) = b
2
a
2
.
Se, con le notazioni dellesempio precedente, si denisce A
1
:= d
2
/dt
2
,
ma con dominio D(A
1
) := H
2
()H
1
0
(), si controlla subito che non solo A
1
`e simmetrico, ma che D(A

1
) = D(A
1
) e A
1
= A

1
: cio`e, con questa denizione
del dominio, loperatore `e autoaggiunto.
12
|x|
p
(con 1 p +) indica la norma di x in
p
.
1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 27
Lestensione del risultato precedente al caso multidimensionale `e un po
pi` u delicata.
Dato un aperto arbitrario di R
N
, e posto H := L
2
(), indicheremo nel
seguito con A loperatore non limitato : H H, con dominio denito
da D(A) := H
2
() H
1
0
(); si ha subito che
A `e simmetrico.
Infatti risulta
13
(u, v) = u, v) = u, v) = (Au, v) u D(A), v T() ,
quindi (per limmersione continua e la densit`a di T() in H
1
0
())
(u, v) = (Au, v) u D(A), v H
1
0
() .
Scambiando tra loro u, v si ottiene
(v, u) = (u, v) = (Av, u) = (u, Av) v D(A), u H
1
0
() .
Ne viene che A `e simmetrico, poiche D(A) `e denso in H, e
(Au, v) = (u, v) = (u, Av) u, v D(A) ;
si noti che risulta, u D(A), (Au, u) = (u, Au) = [u[
2
0.
Resta da vericare se A `e anche autoaggiunto.
Consideriamo il problema di Dirichlet (con dato di Dirichlet nullo)
_
u u = f in ,
u = 0 su .
Una soluzione forte del problema `e una funzione u tale che
u D(A) = H
2
() H
1
0
(); u + Au = f
(non `e detto che una tale funzione esista); la soluzione debole, o variazionale,
del problema `e la funzione u tale che (cfr. [Br], IX.5)
u H
1
0
(); (u, v) + (u, v) = (f, v) v H
1
0
()
(esistenza ed unicit`a della soluzione variazionale sono fornite dal Teorema di
Riesz).
`
E evidente che una (eventuale) soluzione forte `e anche soluzione debole
(da cui lunicit`a della soluzione forte), e che la soluzione debole `e anche
soluzione forte se e solo se `e in H
2
(). Prima di concludere, premettiamo il
seguente risultato di natura generale:
Proposizione 1.20 Sia A un operatore simmetrico in H:
i) se R(I + A) = H, allora A = A

;
ii) se A = A

ed inoltre (Au, u) 0 u D(A), allora R(I + A) = H.


13
per semplicit`a di notazione, indichiamo con , ) il valore assunto da T

() su
T(), o da [T

()]
N
su [T()]
N
; (, ) indica anche il prodotto scalare in
[L
2
()]
N
.
Pag. 28 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Dim.. i): basta mostrare che D(A

) D(A). Sia infatti v D(A

); dato
che R(I +A) = H, esiste u D(A) tale che (I +A)u = (I +A)

v. Poiche A
`e simmetrico, v u D(A

), e (I + A)

(v u) = (I + A)

v (I + A)

u =
(I + A)

v (I + A)u = 0, quindi v u N(I + A)

. Per la Proposizione
1.18, i), si ha N(I + A)

= R(I + A)

= 0, quindi v = u D(A).
ii): risulta [(I + A)

u[ [u[ ((I + A)

u, u) = [u[
2
+ (Au, u) [u[
2
, da cui
[u[ [(I + A)

u[; per la Proposizione 1.18, v), che R(I + A) = H.


Dalla Proposizione 1.20 discende il seguente
Corollario 1.2 Loperatore con dominio H
2
()H
1
0
() `e autoaggiunto
in L
2
() se e solo se `e un aperto per il quale vale il seguente risultato di
regolarit`a:
14
f L
2
(), la soluzione debole del problema di Dirichlet (con dato di
Dirichlet nullo) relativa allequazione u u = f `e in H
2
() (quindi `e
soluzione forte del problema).
Osservazione 1.21 Anche nel caso di un aperto generico, la soluzione va-
riazionale si pu`o comunque caratterizzare tramite un operatore autoaggiunto
A
1
: si ponga infatti D(A
1
) := u H
1
0
() [ u L
2
(), e sia A
1
loperatore
di dominio D(A
1
). Si ha allora il seguente risultato:
Proposizione 1.21 Sia un aperto (qualsiasi) di R
N
. Loperatore A
1
`e
autoaggiunto; inoltre, f L
2
(), u `e la soluzione variazionale relativa ad
f se e solo se verica
u D(A
1
); u + A
1
u = f .
Dim.: la relazione che denisce la soluzione variazionale u, scritta per ogni
v T(), fornisce u u = f in T

(), quindi u = u f L
2
(), da cui
u D(A
1
) e u + A
1
u = f.
Reciprocamente, se u D(A
1
) e u + A
1
u = f, si ha, T(),
(f, ) = (u+A
1
u, ) = uu, ) = u, )+u, ) = (u, )+(u, ) .
Per la densit`a di T() in H
1
0
(), ne viene che u `e la soluzione variazionale.
Loperatore A
1
`e simmetrico (basta ripetere la dimostrazione della sim-
metria di A data in precedenza, sostituendo A
1
ad A); poiche dalla prima
parte della dimostrazione scende che R(I +A
1
) = H, la Proposizione 1.20
permette di concludere che A
1
`e autoaggiunto.
Osservazione 1.22 Nella Proposizione 1.20, ii), lipotesi (Au, u) 0
non pu`o essere omessa, neanche quando A `e limitato. Si ponga infatti H :=
L
2
(a, b), ed (Au)(t) := tu(t); A`e lineare e continuo (|A|
L(H)
= max[a[, [b[),
e R(I + A) = v L
2
(a, b) [ v(t)(1 + t)
1
L
2
(a, b). Se a 1 b, la
funzione t v(t) 1 non `e in R(I + A), che quindi non coincide con H.
14
si veda [Br], IX.6 e Complementi al Capitolo 9.
1.3. OPERATORI CHIUSI. AGGIUNTO. Pag. 29
1.3.4 Operatori suriettivi.
Dalla Proposizione 1.15 discende la seguente caratterizzazione delle im-
magini di A e di A

(cfr. [Br], Teorema II.18):


Proposizione 1.22 Sia A : E F un operatore chiuso con dominio denso
in E. Le sequenti propriet`a si equivalgono:
i) R(A) = R(A);
ii) R(A

) = R(A

);
iii) R(A) = N(A

;
iv) R(A

) = N(A)

.
`
E facile dedurne le seguenti propriet`a, che risultano utilissime nello studio
di problemi di esistenza per equazioni a derivate parziali ([Br], Teorema
II.19):
Proposizione 1.23 Sia A : E F un operatore chiuso con dominio denso
in E. Le sequenti propriet`a si equivalgono:
i) R(A) = F;
ii) N(A

) = 0 e R(A

) = R(A

);
iii) c > 0 : y D(A

), |y|
E
c |A

y|
F
.
Un risultato del tutto analogo vale per laggiunto A

([Br], Teorema
II.20):
Proposizione 1.24 Sia A : E F un operatore chiuso con dominio denso
in E. Le sequenti propriet`a si equivalgono:
i) R(A

) = E

;
ii) N(A) = 0 e R(A) = R(A);
iii) c > 0 : x D(A), |x|
E
c |Ax|
F
.
Osservazione 1.23 In [Br] (Capitolo II, Osservazione 22) si trova un
esempio molto semplice (loperatore A :
2

2
denito come segue: se
x = x
n

2
, (Ax)
n
:= x
n
/n) che mostra come, anche nel caso hilbertiano,
liniettivit`a di A

non implica la suriettivit`a di A. Ci`o chiarisce limportanza


dei risultati precedenti, nel caso di spazi a dimensione innita.
Per completezza, ricordiamo inne il Teorema II.21 di [Br]:
Proposizione 1.25 Sia A : E F un operatore chiuso con dominio denso
in E. Le sequenti propriet`a si equivalgono:
i) D(A) = E;
ii) D(A

) = F

;
iii) A L(E, F);
iv) A

L(F

, E

).
In queste condizioni, si ha inoltre che |A|
L(E,F)
= |A

|
L(F

,E

)
.
Pag. 30 CAPITOLO 1. ALCUNI COMPLEMENTI.
Capitolo 2
OPERATORI MONOTONI.
2.1 Operatori monotoni lineari in H.
Largomento `e trattato in [Br], Capitolo VII; ne richiamiamo le propriet`a
principali, fornendo alcuni complementi.
Siano H uno spazio di Hilbert ed A un operatore lineare (in generale,
non limitato) da H in s`e, con dominio D(A).
Denizione 2.1 i) A `e monotono se (Ax, x) 0 x D(A);
ii) A `e monotono massimale se `e monotono, ed R(I + A) = H.
Osservazione 2.1 Indichiamo con /

(H) linsieme degli operatori mono-


toni in H; `e evidente che la relazione A _ B
def
G(A) G(B) `e una
relazione dordine (parziale) in /

(H) (e che (/

(H), _) `e induttivo). Mo-


striamo, a chiarimento della terminologia adottata, che se A `e massimale
secondo la Denizione 2.1, allora `e un elemento massimale di (/

(H), _).
Infatti, sia B (/

(H), _) tale che A _ B; poiche R(I +A) = H, ne viene


che y D(B) x D(A) tale che x + Ax = x + Bx = y + By; allora
y x N(I + B) = 0, dunque y = x D(A), da cui B = A.
Valgono le seguenti propriet`a ([Br], Proposizione VII.1):
Proposizione 2.1 Se A `e monotono massimale, si ha che:
i) D(A) `e denso in H;
ii) A `e chiuso;
iii) > 0, lapplicazione I +A `e una biiezione di D(A) su H; inoltre,
|(I + A)
1
|
L(H)
1.
Deniamo ora due importanti famiglie di operatori associate alloperatore
monotono massimale A.
Denizione 2.2 Fissato loperatore monotono massimale A, > 0
i) il risolvente J

di A `e denito da J

:= (I + A)
1
;
ii) lapprossimante di Yosida A

di A `e denita da A

:=
I J

.
Pag. 32 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Le principali propriet`a di J

ed A

(con > 0) sono le seguenti (si veda


[Br], Proposizione VII.2):
Proposizione 2.2 i) x H, lim
0+
J

x = x; inoltre, x D(A),
lim
0+
A

x = Ax;
ii) x H, (A

x, x) 0, e [A

x[
[x[

;
iii) x H, A

x = A(J

x); x D(A), A

x = J

(Ax).
Inoltre, vale la seguente
Proposizione 2.3 Sia A un operatore lineare; le seguenti propriet`a si equi-
valgono:
i) A `e monotono massimale;
ii) A `e chiuso, di dominio D(A) denso in H, monotono e tale che anche
A

`e monotono;
iii) A `e chiuso, di dominio denso, e A

`e monotono massimale.
Dim.: i) ii): `e suciente mostrare che A

`e monotono (le altre propriet`a


sono contenute nella Proposizione 2.1). Per questo, basta osservare che,
detta A

lapprossimante di Yosida di A, risulta, y D(A

),
0 (y, A

y) = (y, AJ

y) = (A

y, J

y) (A

y, y) .
ii) iii): sappiamo (Proposizioni 1.16 e 1.17) che A

`e chiuso, con
dominio D(A

) denso in H. Mostriamo che R(I + A

) `e denso e chiuso
in H, quindi coincide con H. Poiche anche I + A `e chiuso e con dominio
denso, ed inoltre si ha N(I + A) = 0, ne viene intanto che R(I + A

) `e
denso, per la Proposizione 1.18, i). Inoltre, R(I + A

) `e chiuso: infatti,
se z
n
R(I + A

) `e tale che z
n
z H, allora y
n
D(A

) con
z
n
= y
n
+A

y
n
, e risulta, x D(A), (y
n
+A

y
n
, x) = (y
n
, x+Ax) (z, x).
Poiche [z
n
[
2
= [y
n
[
2
+ [A

y
n
[
2
+ 2(A

y
n
, y
n
) [y
n
[
2
, si pu`o estrarre da y
n

una sottosuccessione y
n
k
tale che y
n
k
y H. Quindi, x D(A), si
ha (y
n
k
, x + Ax) (y, x + Ax) = (z, x), cio`e (y, Ax) = (z y, x), e questo
implica che y D(A

) e A

y = z y, cio`e z R(I + A

).
iii) i): basta applicare i risultati precedenti (in particolare, i) iii))
ad A

, ricordando che (Proposizione 1.17, ii)) A

= A.
Si ha la seguente conseguenza (si confronti con il Corollario 1.2):
Corollario 2.1 Un operatore lineare monotono e simmetrico `e massimale
se e solo se `e autoaggiunto.
2.2. OPERATORI MONOTONI MULTIVOCI. Pag. 33
2.2 Operatori monotoni multivoci.
Vediamo ora alcune notevoli generalizzazioni delle denizioni e delle pro-
priet`a precedenti. Gli argomenti svolti in questo e nei successivi Paragra
sono tratti, in gran parte, da: H. Brezis: Operateurs Maximaux Mono-
tones et semi-groupes de contractions dans les espaces de Hilbert , North-
Holland, 1973; per alcune delle questioni trattate si possono inoltre vedere,
ad esempio: il testo di I. Ekeland, R. Temam citato nel Paragrafo 1.4;
J. P. Aubin, I. Ekeland: Applied Nonlinear Analysis, Wiley, 1984; i
testi delle conferenze di E. Asplund, M. G. Crandall, G. Minty,
R. T. Rockafeller in Theory and applications of monotone operators,
(A. Ghizzetti, Ed.), Oderisi, 1969.
Denizione 2.3 Siano E, F due spazi di Banach;
i) un operatore (multivoco) A da E in F `e unapplicazione di E in
P(F); se, in particolare, F = E

, si dir`a che E `e un operatore in E;
ii) dominio (o dominio eettivo) D(A), immagine (o range) R(A),
nucleo N(A) (o ker A) e graco G(A) di un operatore A sono, rispettiva-
mente:
D(A) := x E [ Ax ,= ; R(A) :=
_
xE
Ax ;
G(A) :=
[
x; y
]
[ x D(A) , y Ax ;
iii) A `e detto univoco se, x E, Ax contiene al pi` u un elemento.
Sar`a comodo identicare A con il suo graco, che indicheremo quindi con
la stessa lettera A (ci`o non comporta possibilit`a di equivoci).
Denizione 2.4 Se A, B sono operatori da E in F, e , R, allora:
i) A
1
:=
[
y; x
]
F E [
[
x; y
]
A =
[
y; x
]
F E [ y Ax
(ovviamente, D(A
1
) = R(A), R(A
1
) = D(A), e (A
1
)
1
= A);
ii) A + B :=
[
x; y
1
+ y
2]
[ y
1
Ax , y
2
Bx (`e sottinteso che
D(A+ B) = D(A) D(B));
iii) A _ B signica A B (cio`e, x E, Ax Bx).
1
Denizione 2.5 Un operatore A in E si dice monotono se
x
1
, x
2
D(A), y
1
Ax
1
, y
2
Ax
2
, y
1
y
2
, x
1
x
2
) 0 .
Osservazione 2.2 i) Se A `e monotono, `e immediato vericare che lo sono
anche i seguenti operatori: A
1
(da F in E) ; A ( 0) ; la chiusura di
A in E
s
E

w
, nonche la chiusura di A in E
w
E

s
.
ii) Se A, B sono monotoni, lo `e A+B (quindi anche A+B , 0).
iii) Se A `e lineare in uno spazio di Hilbert H identicato al suo duale,
la denizione di monotonia ora data coincide con quella del Paragrafo prece-
dente.
1
Con questa relazione dordine, linsieme degli operatori da E in F `e evidentemente
induttivo.
Pag. 34 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Esempi.
i) Sia f : R R unapplicazione non decrescente. Posto, x R,
A
f
x :=
[
f(x 0), f(x + 0)
]
R, si ha che A
f
`e un operatore monotono in
R (dimostrazione immediata). Inversamente, dato un operatore monotono
A in R, esiste unapplicazione non decrescente f : D(A) R (in generale,
non unica) tale che A A
f
(non necessariamente A = A
f
). Ad esempio, si
pu`o scegliere, x D(A), f(x) := infy [ y Ax.
ii) Loperatore P
K
di proiezione sul convesso chiuso K ,= dello spa-
zio di Hilbert H `e univoco e monotono: si veda [Br], Teorema V.2 per
lunivocit`a di P
K
, nonche per la caratterizzazione
x H :
_
(y = P
K
x) (k K , (y x, y k) 0)
_
.
Quindi, x
1
, x
2
H e k K si ha
(P
K
x
1
x
1
, P
K
x
1
k) 0 e (P
K
x
2
x
2
, P
K
x
2
k) 0 .
Scegliendo k := P
K
x
2
nella prima e k := P
K
x
1
nella seconda disequazione,
si ottiene (P
K
x
1
x
1
P
K
x
2
+ x
2
, P
K
x
1
P
K
x
2
) 0, da cui
0 [P
K
x
1
P
K
x
2
[
2
(P
K
x
1
P
K
x
2
, x
1
x
2
) .
iii) Sia J un operatore di contrazione in senso largo (o operatore
non espansivo) in H, cio`e tale che [Jx
1
Jx
2
[ [x
1
x
2
[ x
1
, x
2
D(J)
(`e ovvio che J `e univoco). Allora loperatore I J `e monotono: infatti,
x
1
, x
2
D(J),
(x
1
Jx
1
x
2
+ Jx
2
, x
1
x
2
) = [x
1
x
2
[
2
(Jx
1
Jx
2
, x
1
x
2
)
[x
1
x
2
[
2
[Jx
1
Jx
2
[.[x
1
x
2
[ 0 .
iv) Dato un aperto R
N
di classe C
1
, e ssato p > 1, sia E := W
1,p
0
()
(cosicche E

= W
1,q
()), e deniamo
Au :=
N

i=1

x
i
_

u
x
i

p2
u
x
i
_
(laplaciano non lineare, o p-laplaciano) . Si verica facilmente che
A `e unapplicazione (univoca; non lineare se p ,= 2) da E in E

: in eetti, se
u W
1,p
() si ha u/x
i
L
p
(), quindi

u
x
i

p2
u
x
i
L
q
()
_
perch`e
_

u
x
i

p1
_
q
dx =
_

u
x
i

p
dx
_
;
(inoltre, risulta evidentemente |Au|

|u|
p1
). Loperatore A cos` denito
`e monotono, poiche la funzione x [x[
p2
x `e non decrescente.
2.2. OPERATORI MONOTONI MULTIVOCI. Pag. 35
Unestensione.
Due spazi vettoriali (reali) X, X

si dicono in dualit`a se esiste unappli-
cazione
[
x; x

]
x

, x) di X X

in R, che sia bilineare (cio`e tale che
, R risulti:
y
1
+ y
2
, x) = y
1
, x) + y
2
, x) x X, y
1
, y
2
X

,
y, x
1
+ x
2
) = y, x
1
) + y, x
2
) x
1
, x
2
X, y X

),
e tale che:
i) x X 0 y X

: y, x) , = 0 ;
ii) y X

0 x X : y, x) , = 0 .
Denizione 2.6 i) Un operatore (multivoco) A (in X) `e unapplicazione
di X in P(X

);
ii) le denizioni di dominio D(A), immagine R(A) e graco G(A) di
un operatore A in X sono come nella Denizione 2.3, ii) (con E sostituito
da X);
iii) un operatore A in X si dice monotono se, x
1
, x
2
D(A) , y
1

Ax
1
, y
2
Ax
2
, risulta
y
1
y
2
, x
1
x
2
) 0 .
(La Denizione 2.5 `e un caso (molto! ) particolare della Denizione 2.6).
Unimportante caratterizzazione, nel caso degli spazi di Hilbert, `e for-
nita dalla
Proposizione 2.4 A `e monotono in H se e solo se
(x
1
, x
2
D(A), y
1
Ax
1
, y
2
Ax
2
, > 0), si ha
[x
1
x
2
[ [(x
1
x
2
) + (y
1
y
2
)[ .
Dim.: Si osservi che
[(x
1
x
2
) + (y
1
y
2
)[
2
= [x
1
x
2
[
2
+ 2(y
1
y
2
, x
1
x
2
) +
2
[y
1
y
2
[
2
.
Quindi,
A monotono = [(x
1
x
2
) + (y
1
y
2
)[
2
[x
1
x
2
[
2
,
da cui la disuguaglianza voluta. Reciprocamente, se vale la disuguaglianza
si ha, > 0,
2(y
1
y
2
, x
1
x
2
) +
2
[y
1
y
2
[
2
0 ;
dividendo per e facendo tendere a zero, si ricava la monotonia di A.
Ne deriva il seguente risultato di unicit`a e dipendenza continua: se A
`e monotono in H, allora, > 0 e z H, lequazione z x + Ax
(nellincognita x) ha al pi` u una soluzione; inoltre, se z
1
x
1
+ Ax
1
e
z
2
x
2
+ Ax
2
, allora [x
1
x
2
[ [z
1
z
2
[ .
Anche nel caso ora trattato si pu`o allora porre la
Pag. 36 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Denizione 2.7 Se A `e monotono in H e > 0, il risolvente J

di A `e
loperatore (univoco) J

:= (I + A)
1
, denito su D(J) := R(I + A).
Dalla proposizione precedente segue il seguente
Corollario 2.2 A `e monotono in H se e solo se, > 0, il suo risolvente
J

`e non espansivo.
Unaltra estensione.
Denizione 2.8 Unapplicazione A di E in P(E) `e detta operatore ac-
cretivo se
x
1
, x
2
D(A), y
1
Ax
1
, y
2
Ax
2
, > 0,
risulta |x
1
x
2
| |(x
1
x
2
) + (y
1
y
2
)| .
Grazie alla Proposizione 2.4, la Denizione 2.5, nel caso di uno spazio
di Hilbert H identicato al suo duale, `e un caso particolare di questa
denizione, dovuta a T. Kato. (Il corollario si adatta banalmente).
2.3 Il sottodierenziale.
2.3.1 Richiami sui dierenziali di Frechet e di G ateau.
Richiamiamo brevemente le denizioni (ed alcune propriet` a) del dierenziale
forte (o dierenziale di Frechet), e del dierenziale debole (o dierenziale
di G ateau) di unapplicazione tra spazi normati.
Dierenziale di Frechet.
Dati due spazi normati E, F, un aperto E ed unapplicazione
: F, si dice che `e dierenziabile secondo Frechet nel punto
x
0
se esiste un operatore lineare e continuo da E in F, indicato con

(x
0
) e detto derivata di Frechet di in x
0
, tale che:
(x
0
+ h) (x
0
)

(x
0
)h = o(h) per h 0 ;
(cio`e: > 0 > 0 tale che:
|h|
E
< =|(x
0
+ h) (x
0
)

(x
0
)h|
F
|h|
E
).
Alcune propriet`a (immediate):
i) se `e dierenziabile secondo Frechet in x
0
, allora `e continua in x
0
;
ii) la derivata di Frechet di in x
0
, se esiste, `e unica;
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 37
iii) la derivata di unapplicazione costante `e, x
0
, loperatore nullo; se
`e un operatore lineare e continuo da E in F, allora `e derivabile x
0
E,
e

(x
0
) = ;
iv) se e sono dierenziabili secondo Frechet in x
0
, lo `e anche
+ , , R, e risulta ( + )

(x
0
) =

(x
0
) +

(x
0
).
Inoltre, vale anche un teorema di tipo derivata di funzione composta.
Siano E
1
, E
2
, E
3
tre spazi normati,
1
un intorno di x
0
E
1
, unapplica-
zione (continua) di
1
in E
2
, y
0
:= (x
0
),
2
un intorno di y
0
contenente
(
1
), unapplicazione (continua) di
2
in E
3
. Allora, se `e dierenziabile
in x
0
e `e dierenziabile in y
0
, lapplicazione := `e dierenziabile in
x
0
, e

(x
0
) =

(y
0
)

(x
0
). In eetti, basta osservare che si ha
(x
0
+h) = (x
0
) +

(x
0
)h +o(h) ; (y
0
+k) = (y
0
) +

(y
0
)k +o(k)
per vericare che
(x
0
+ h) = ((x
0
) +

(x
0
)h + o(h)) = (y
0
+ (

(x
0
)h + o(h))) =
(y
0
) +

(y
0
)(

(x
0
)h + o(h)) +o(

(x
0
)h + o(h)) =
(x
0
) +

(y
0
)

(x
0
)h + o(h).
Dierenziale di G ateau.
La derivata D(x
0
, h) di G ateau di in x
0
, nella direzione h ,= 0,
`e invece denita come il limite in norma (se esiste) per t 0+ del rapporto
(x
0
+ th) (x
0
)
t
.
In altri termini, si richiede che
lim
t0+
_
_
_
_
(x
0
+ th) (x
0
)
t
D(x
0
, h)
_
_
_
_
F
= 0 .
Si noti che, in generale, D(x
0
, h) non `e necessariamente lineare in h. Tut-
tavia, valgono le seguenti propriet`a, di verica immediata (naturalmente,
nellipotesi che la derivata D(x
0
, h) esista):
i) la derivata di G ateau `e unica;
ii) D(x
0
, h) = D(x
0
, h) > 0;
iii) y F

, esiste
d
dt
y, (x
0
+ th))

t=0
, ed `e uguale a y, D(x
0
, h)),.
Se D(x
0
, h) `e lineare e continua in h, cosicche D(x
0
, h) = (x
0
)h
con (x
0
) L(E; F), si dice che `e dierenziabile secondo G ateau,
e (x
0
) si chiama dierenziale di G ateau di in x
0
.
`
E noto (si pensi al
Pag. 38 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
caso E = R
2
, F = R...) che la derivabilit`a debole non implica quella forte;
ma, anche in questo caso, vale il viceversa: se, in x
0
, `e dierenziabile
secondo Frechet, allora lo `e anche secondo G ateau, e

(x
0
) = (x
0
).
In eetti, poiche, per t 0,
(x
0
+ th) (x
0
) =

(x
0
)th + o(th) = t

(x
0
)h + o(th) ,
ne viene che
(x
0
+ th) (x
0
)
t

(x
0
)h =
o(th)
t
= o(1) (t 0) ,
qualunque sia h ,= 0 ssato.
2.3.2 Il sottodierenziale.
In tutto questo Sottoparagrafo, indicher`a unapplicazione propria denita
da E in R +.
Denizione 2.9 i) y E

si dice sottogradiente di nel punto x se
(z) (x) +y, z x) z E ;
ii) linsieme dei sottogradienti di nel punto x si indica con (x) (pu`o
essere vuoto);
iii) loperatore (multivoco) in E denito da : x (x) si chiama
sottodierenziale di .
`
E chiara la rilevanza della nozione di sottodierenziale nei problemi di
minimo, poiche
(x) = min
zE
(z) se e solo se 0 (x) .
Alcune conseguenze immediate della denizione:
Proposizione 2.5 i) Se (x
0
) = +, allora (x
0
) = ;
ii) (x) `e convesso, e chiuso nella topologia debole

di E

(quindi, anche
in quella debole ed in quella forte);
iii) se D() ,= , allora

`e propria, e x D() si ha che y (x)


se e solo se (

(y) < + e) (x) +

(y) = y, x) (da cui, ovviamente,

(x) = (x)). In generale, risulta

;
iv) se `e dierenziabile secondo G ateau in x
0
, con dierenziale (x
0
),
allora (x
0
) `e vuoto oppure ridotto a (x
0
).
Dim.: i) La disuguaglianza che denisce un sottogradiente in x
0
non pu`o
essere vericata da nessun y E

(si scelga z E tale che (z) < +).
ii) Si osservi che
(x) =

zE
y [ y, z x) (z) (x) ,
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 39
e che, per ogni z E, linsieme y [ y, z x) (z) (x) `e convesso e
chiuso in E

w
.
iii) Per ipotesi, esistono x E ed y E

tali che z E risulti (z)
(x) + y, z x), cio`e y, z) (z) y, x) (x); pertanto, passando
allestremo superiore al variare di z E, si ha

(y) y, x) (x) < +.


poiche, daltra parte, y, x)(x)

(y), ne viene che (x)+

(y) = y, x).
Inoltre risulta, z E,

(z) y, z)

(y) = y, z) y, x) + (x) =
(x) +y, z x) =

(x) +y, z x), quindi y

(x).
iv) Sia dierenziabile secondo G ateau nel punto x
0
, e sia y (x
0
).
Fissati ad arbitrio x E e t R, si ha dalla denizione (con z := x
0
+ tx),
(x
0
+ tx) (x
0
) + ty, x) .
Quindi, per t > 0 si ha
(x
0
+ tx) (x
0
)
t
y, x) ;
passando al limite per t 0+ ne viene che (x
0
), x) y, x). La
disuguaglianza deve valere anche con x sostituito ad x, il che fornisce
(x
0
), x) y, x). In denitiva, deve essere (x
0
), x) = y, x); per
larbitrariet`a di x, ne viene che y = (x
0
).
Un primo fondamentale collegamento con il Paragrafo precedente:
Proposizione 2.6 `e un operatore monotono.
Dim.: siano y
1
(x
1
) e y
2
(x
2
). Dalla Denizione 2.9 si ha allora,
in particolare,
(x
2
) (x
1
) +y
1
, x
2
x
1
) ,
(x
1
) (x
2
) +y
2
, x
1
x
2
) ,
da cui, sommando, y
1
y
2
, x
1
x
2
) 0.
Nel caso convesso valgono ulteriori propriet`a, tra cui le seguenti:
Proposizione 2.7 Sia : E R + una funzione convessa:
i) se `e continua in x
0
, allora (x
0
) ,= (quindi, se `e inoltre dieren-
ziabile secondo G ateau in x
0
, con dierenziale (x
0
), allora (x
0
) =
(x
0
)); inoltre, (x
0
) `e compatto in E

w
;
ii) se E `e riessivo (ed identicato al suo biduale), e `e s.c.i., si ha

(y) = x E [

(y) + (x) = y, x) ;
quindi, x

(y) y (x), o, in altri termini,

= ()
1
.
Pag. 40 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Dim.: i) > 0, il punto
[
x
0
; (x
0
) +
]
`e interno ad epi ; quindi, posto
A := int(epi ), si ha che A `e un convesso aperto, non vuoto, disgiunto da
[
x
0
; (x
0
)
]
. Per il teorema di Hahn-Banach, y E

, c, R tali che
[
y; c
]
,=
[
0; 0
]
e y, z) + c y, x
0
) + c(x
0
)
[
z;
]
A, quindi
anche
[
z;
]
A = epi (si ricordi la Proposizione 1.10). Se si sceglie
z := x
0
, si ha y, x
0
) +c y, x
0
) +c(x
0
) (x
0
), da cui c 0.
Ma non pu`o essere c = 0 (altrimenti sarebbe y, z) y, x
0
) z dom,
assurdo perche, essendo x
0
interno a dom, > 0 tale che (x
0
, )
dom, e ci`o implica, w E con |w| = 1, (ponendo ad esempio z =
x
0

1
2
w) che y, w) = 0, cio`e y = 0). Quindi, c > 0, e allora
_

y
c
, z
_
(z)
_

y
c
, x
0
_
(x
0
) z dom ,
cio`e, z dom o, equivalentemente, z E,
(z) (x
0
) +
_

y
c
, z x
0
_
,
cosicche

y
c
(x
0
) .
Per dimostrare la compattezza di (x
0
) in E

w
, `e suciente dimostrarne
la limitatezza.
2
Per questo, sia intanto > 0 tale che w E con |w|
risulti [(x
0
+ w) (x
0
)[ < 1, e sia y (x
0
). Si ha allora (x
0
+ w)
(x
0
) +y, w), da cui y, w) < 1, quindi

y,
w

<
1

, cio`e [[y[[

.
ii) Evidente, per la Proposizione 2.5, iii) e per il teorema di Fenchel-
Moreau.
Osservazione 2.3 Se (x
0
) `e ridotto ad un punto, non `e detto (anche nel
caso hilbertiano) che sia dierenziabile in x
0
. Ad esempio, posto
E :=
2
, K :=
_
x
n

2

[x
n
[
1
n
2
n
_
,
si ha che K `e un convesso chiuso di
2
contenente lorigine; detta la sua
funzione indicatrice (che quindi `e convessa, s.c.i. e propria), risulta
(y (0))
_
z
2
, (z) (y, z)
_
(z K, 0 = (y, z)) .
poiche n N si ha che
e
(n)
n
2
K, ne viene che y = 0, cio`e (0) = 0.
Daltra parte, posto h :=
_
1
n
_
, si ha
lim
t0
(th) (0)
t
= lim
t0
(th)
t
= +,
(dato che, t ,= 0, (th) = +).
2
Si ricordi il Teorema III.15 di [Br].
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 41
Esempi.
Riprendiamo gli esempi del Sottoparagrafo 1.2.3, di cui manteniamo la
numerazione e le notazioni; si far`a costante uso, anche senza richiamarla
esplicitamente, della Proposizione 2.5.
Alcuni esempi con E = R.
1.
a,b
(x) := ax + b.
`
E ovvio che
a,b
(x) = a x R, mentre

a,b
(y) =
_
R se y = a,
altrimenti.
2.
a,b
(x) := I
]a,b[
(x);
a,b
(x) := I
[a,b]
(x);
,
(x) := [x[ + .
`
E immediata la verica che:

a,b
(x) =
_
0 se a < x < b,
altrimenti;

a,b
(x) =
_

_
se x < a o x > b,
]
, 0
]
se x = a,
0 se a < x < b,
[
0, +
[
se x = b;
mentre risulta, R,
per < 0,
,
(x) = x R;
per = 0,
0,
(x) = 0 x R;
per > 0,
,
(x) =
_
_
_
se x < 0,
[
,
]
se x = 0,
se x > 0.
3.
a
(x) := I
{a}
(x).
Allora

a
(x) =
_
se x ,= a,
R se x = a,
(e

a
(y) = a y R).
4. Fissato R, si ponga

(x) :=
_
1
2
x
2
se x ,= 0,
se x = 0.
Si ha ovviamente che
per > 0,

(x) =
_
se x = 0,
x se x ,= 0.
Pag. 42 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Per < 0, si ha che y

(0)

(z) + yz z R, disequazione
vericata se e solo se y
[

2,

2
]
; per x ,= 0, per la Propo-
sizione 2.5, iv), y

(x) = y = x, quindi

(x) ,= se e solo se

(z) xz
1
2
x
2
z R. La disequazione `e soddisfatta se z ,= 0; per
z = 0, lo `e se e solo se [x[

2. In conclusione, se < 0 risulta

(x) =
_

_
x se [x[

2,
se x
[

2,

2
]
0,
[

2,

2
]
se x = 0.
Si osservi inoltre che (verica immediata)

(x) =
_

_
x se [x[

2,
_
2 sign x
_
se x
[

2,

2
]
0,
[

2,

2
]
se x = 0.
Inne, per = 0 si ha

0
(x) = x x R.
Alcuni esempi (nel primo dei quali, `e un qualunque numero > 0):
-5
0
5
-5 0 5
o
-5
0
5
-5 0 5
-5
0
5
-5 0 5

(x) ( > 0)
.5
(x)

.5
(x)
5.
p
(x) := [x[
p
/p (con p > 0).
`
E immediato vericare che: se
p > 1,
p
(x) = [x[
p1
sign x, x R; se 0 < p < 1,
p
(0) = 0, mentre
x ,= 0 si ha
p
(x) = . (Il caso p = 1 rientra nellEsempio 2).
6. Fissato p > 0, sia

p
(x) :=
_
1
p
[x[
p
se [x[ 1,
+ se [x[ > 1.
`
E evidente che, x con [x[ > 1, risulta
p
(x) = . Inoltre:
p > 1: per [x[ < 1, si ha
p
(x) = [x[
p1
sign x; per x = 1, `e facile
vericare (per la convessit`a di
p
, ed osservando che

p
(1 0) = 1)) che

p
(1) =
[
1, +
[
. Analogamente si vede che
p
(1) =
]
, 1
]
.
Alcuni esempi:
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 43
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

3
(x)
2
(x)
1.5
(x)
p = 1: per x = 0, y
1
(0) [z[ yz z
[
1, 1
]
, da cui deriva
subito che
1
(0) =
[
1, 1
]
. Si controlla immediatamente che
1
(1) =
]
, 1
]
e
1
(1) =
[
1, +
[
.
`
E poi ovvio che per x
]
1, 1
[
0
risulta
1
(x) = sign x.
0 < p < 1: `e immediato vericare che
p
(0) =
_

1
p
,
1
p
_
, mentre
p
(1) =
_
1
p
, +
_
e
1
(1) =
_
,
1
p
_
. Inne, quando x
]
1, 1
[
0 si ha
che
p
(x) = : infatti, se
p
() non fosse vuoto, per la Proposizione 2.5
dovrebbe coincidere con [x[
p1
sign x, mentre `e facile vedere che [x[
p1
sign x
non `e sottogradiente di
p
in x. Si controlla senza dicolt`a che, inoltre,

p
(x) =
p
(x) se x 1, 0, 1, mentre

p
=
_
1
p
sign x
_
se 0 < [x[ < 1.
Esempi:
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

1
(x)
.8
(x)

.8
(x)
7. Fissato p > 0, si ponga

p
(x) :=
_
1
p
x
p
se x 0,
+ se x < 0.
Per x < 0, `e ovvio che
p
(x) = . Inoltre:
p > 1: `e evidente che
p
(x) = x
p1
x > 0, e che
p
(0) =
]
, 0
]
.
Pag. 44 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Esempi:
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

3
(x)
2
(x)
1.5
(x)
`
E poi chiaro che, per p = 1,

1
(x) =
_
]
, 1
]
se x = 0,
1 se x > 0;
mentre, per 0 < p < 1,

p
(x) =
_
]
, 0
]
se x = 0,
se x > 0.
Esempi (il secondo vale p
]
0, 1
[
):
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

1
(x)
p
(x)
8. Fissato p > 0, sia

p
(x) :=
_

1
p
x
p
se x 0,
+ se x < 0.
Per x < 0, `e ovvio che
p
(x) = . Inoltre:
p > 1: `e evidente che
p
(x) = x R;
p = 1:

1
(x) =
_
]
, 1
]
se x = 0,
1 se x > 0.
0 < p < 1:
p
(x) = x
p1
x > 0, mentre
p
(0) = .
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 45
Esempi (il secondo vale p
]
0, 1
[
):
-2
-1
0
1
2
-2 0 2
-2
-1
0
1
2
-2 0 2

1
(x)
p
(x)
Alcuni esempi con E spazio normato.
In alcuni degli esempi che seguono, sar`a utile anche la
Proposizione 2.8 Sia f : R R + una funzione convessa, propria,
s.c.i. e pari, e sia E uno spazio normato. Posto, x E, (x) := f(|x|), si
ha che y (x) se e solo se valgono entrambe le propriet`a: |y|

f(|x|)
e y, x) = |y|

|x|; in altri termini, risulta


(x) = y E

[ (x) +

(y) = f(|x|) + f

(|y|

) = y, x) = |y|

|x| .
Dim.: Dalla Proposizione 2.5, iii) si ha che y (x) se e solo se (x) +

(y) = y, x); quindi, per denizione di e grazie alla Proposizione 1.7,


se e solo se f(|x|) + f

(|y|

) = y, x). Poiche per`o, per denizione di


f

, si ha f(|x|) + f

(|y|

) |y|

|x| x E, y E

, luguaglianza
f(|x|) + f

(|y|

) = y, x) `e vericata se e solo se y, x) = |y|

|x| =
f(|x|) + f

(|y|

).
9. Fissato p > 0, si ponga f
p
(t) := [t[
p
/p e
p
(x) := f
p
(|x|). Eviden-
temente,
p > 0 si ha che 0
p
(0) .
Inoltre:
p > 1: poiche y
p
(x) |y|

f
p
(|x|) = |x|
p1
, ne viene che

p
(x) =
_
y E

1
p
|x|
p
+
1
q
|y|
q

= |x|
p
= y, x) = |y|

|x|
_
;
in particolare, per p = 2 si ha quindi che
2
`e lapplicazione di dualit`a,
che manda x E nellinsieme
y E

[ y, x) = |x|
2
= |y|
2

.
Pag. 46 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Osservazione 2.4 Linsieme
2
(x) pu`o non essere ridotto ad un punto
(ed allora
2
(x) certamente non `e dierenziabile). Ad esempio, si scel-
gano E := L
1
(1, 1) ed x(t) :=
[
0,1
]
(t);
3
se f(t) `e una qualunque fun-
zione in L

(1, 1) con |f|

1, posto y(t) := x(t) + f(t)


[
1,0
]
(t) si ha
evidentemente che y
2
(x).
In uno spazio di Hilbert H (identicato al suo duale), la funzione

2
(x) :=
1
2
[x[
2
`e invece dierenziabile secondo Frechet x
0
H, con
dierenziale

2
(x
0
) = x
0
( H

= H): infatti,
1
2
[x
0
+ h[
2

1
2
[x
0
[
2
=
1
2
[x
0
[
2
+ (x
0
, h) +
1
2
[h[
2

1
2
[x
0
[
2
= (x
0
, h) +
1
2
[h[
2
= (x
0
, h) + o(h) .
Se ne deduce, dal teorema di derivazione delle funzioni composte, che per x
0

H 0 la funzione
p
`e dierenziabile secondo Frechet, con dierenziale

p
(x
0
) = x
0
[x
0
[
p2
, per ogni p > 0; questo, tra laltro, fornisce un esempio in
cui la condizione |y|

f(|x|) non implica che y (x). (Indicazioni per


il caso, molto pi` u complesso, degli spazi di Banach si trovano, ad esempio,
in [Br], Complementi al capitolo 3).
p = 1: `e evidente che
1
(0) =

(0, 1), mentre, per x ,= 0,

1
(x) =
_
y E

|x| + I
(0,1)
(y) = y, x) = |y|

|x|
_
;
se ne deduce immediatamente che
se x ,= 0,
1
(x) = y E

[ |y|

= 1 e y, x) = |x| .
Osservazione 2.5 Anche
1
(x) pu`o non essere ridotto ad un solo punto
(si veda lesempio nellOsservazione precedente). Invece, come si `e visto,
nel caso hilbertiano risulta, per x ,= 0,
1
(x) =
_
x
[x[
_
, risultato facile da
ottenere anche direttamente: basta osservare che se y
1
(x) allora

y
x
[x[

2
= [y[
2

2
[x[
(y, x) + 1 = 0 .
0 < p < 1: si controlla immediatamente che

p
(0) = 0, mentre, x ,= 0,
p
(x) = .
3
se A B, si indica con
A
la funzione caratteristica di A (in B), denita da

A
(x) :=
_
1 se x A,
0 se x B A.
2.3. IL SOTTODIFFERENZIALE. Pag. 47
10. Fissato p > 0, e posto
p
(x) := f
p
(|x|), dove
f
p
(t) :=
_
1
p
[t[
p
se [t[ 1,
+ se [t[ > 1,
per la Proposizione 2.5, i) si ha intanto che
p > 0, se |x| > 1 allora
p
(x) = .
p 1: per gli x tali che |x| < 1 valgono i risultati dellesercizio precedente
(la verica `e immediata).
0 < p < 1: si vede subito che
p
(0) =
_
y E

[ |y|


1
p
_
, mentre, per
0 < |x| < 1, si ha
p
(x) = .
Resta quindi da esaminare soltanto il caso |x| = 1. Si hanno i seguenti
risultati:
p 1: se y
p
(x), si ha che |y|

f
p
(1), quindi |y|

1; di conseguen-
za,

p
(y) = |y|

1
p
, ed `e immediato concludere che
se |x| = 1, allora
p
(x) = y E

[ |y|

= y, x) 1 .
Nel caso hilbertiano,
p
(x) = x [ 1.
0 < p < 1: si verica subito che
se |x| = 1, allora
p
(x) =
_
y E

|y|

= y, x)
1
p
_
.
Nel caso hilbertiano,
p
(x) =
_
x [
1
p
_
.
11. Fissato p > 0, e posto

p
(x) :=
_
1
p
|x|
p
se x ,= 0,
+ se x = 0,
`e ovvio che
p
(0) = , mentre per x ,= 0 valgono i risultati dellesempio 9.
visto pi` u sopra.
12. Se := I
K
, dove K `e un sottoinsieme non vuoto di E, ovviamente,
y (x) se e solo se
(z E, I
K
(z) I
K
(x) +y, z x)) (k K, 0 I
K
(x) +y, k x)) .
Si ritrova intanto (cfr. Proposizione 2.5, i)) che
se x , K, allora I
K
(x) = ;
mentre
se x K, allora I
K
(x) = y E

[ k K, y, k x) 0 .
I
K
(x) `e un cono convesso, chiuso nella topologia debole

, detto il cono
normale a K nel punto x. Si vede facilmente che
se x int K, allora I
K
(x) = 0
(perche (x, ) K per un opportuno > 0). Inoltre,
se K ` e un sottospazio di E, allora I
K
(x) =
_
se x , K,
K

se x K.
Pag. 48 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
2.4 Operatori monotoni massimali.
Indichiamo con (/
m
(E), _) linsieme degli operatori (multivoci ) monotoni
in E, munito della relazione dordine A _ B
def
A B, e poniamo la
seguente
Denizione 2.10 Un operatore monotono massimale in E `e un elemento
massimale di (/
m
(E), _).
Una formulazione equivalente (e, spesso, pi` u comoda) deriva dalla
Proposizione 2.9 Se A`e un operatore monotono in E, le condizioni seguen-
ti si equivalgono:
i) A `e massimale;
ii) se
[
x; y
]
E E

`e tale che
[
;
]
A risulta y , x ) 0,
allora
[
x; y
]
A.
Dim.: i) ii): sia
[
x; y
]
EE

tale che y , x) 0
[
;
]
A,
e poniamo B := A
[
x; y
]
; `e evidente che B `e monotono, e che A _ B;
per la massimalit`a di A, segue che
[
x, y
]
A.
ii) i): sia B un operatore monotono tale che A _ B; ssata ad arbitrio
[
x; y
]
B, risulta y , x ) 0
[
,
]
B, quindi, in particolare,

[
,
]
A. Ne viene che deve essere
[
x, y
]
A, cioe che A `e massimale.
Osservazione 2.6 Se A `e monotono massimale, allora:
i) x E , Ax `e convesso e w

chiuso: basta osservare che


Ax =

[
;
]
A
y [ y , x ) 0 ;
ii) anche A
1
e A ( > 0) sono monotoni massimali. Invece, se A e B
sono monotoni massimali, non `e detto che lo sia A+B (addirittura, D(A+B)
potrebbe essere vuoto).
iii) A `e chiuso in E E

w
(perche la chiusura di A in E E

w
contiene
A, ed `e un operatore monotono : si veda lOsservazione 2.2, i)).
Pi` u in generale, vale il seguente risultato:
Proposizione 2.10 Sia A monotono massimale; se
[
x
n
; y
n]
A `e tale che
x
n
x, y
n

y, e limsup
n
y
n
, x
n
) y, x), allora anche
[
x; y
]
A ;
inoltre, esiste il lim
n
y
n
, x
n
), ed `e uguale a y, x).
Dim.: y
n
, x
n
) 0
[
;
]
A, da cui y, x) limsup
n
y
n
, x
n
)
limsup
n
, x
n
)+y
n
, ) = , x)+y, ), cio`e y, x) 0, quindi
[
x; y
]
A. Allora yy
n
, xx
n
) 0, cio`e y
n
, x
n
) y, x
n
)+y
n
, x)y, x),
e, inne, liminf
n
y
n
, x
n
) y, x) limsup
n
y
n
, x
n
), da cui la tesi.
2.4. OPERATORI MONOTONI MASSIMALI. Pag. 49
Nel seguito degli appunti, ci limiteremo a studiare il caso particolare in cui
A `e un operatore in uno spazio di Hilbert H (identicato al suo duale).
Si ha allora la seguente caratterizzazione:
Proposizione 2.11 Le propriet`a seguenti si equivalgono:
i) > 0, il risolvente J

:= (I+A)
1
di A `e un operatore non espansivo
denito su tutto H;
ii) A `e monotono e R(I + A) = H;
iii) A `e monotono massimale.
Dim.: i) ii): si ricordi il Corollario 2.2;
ii) iii) : se B `e unestensione monotona di A, allora x D(B) e
y Bx devono esistere x

D(A) ed y

Ax

tali che x

+ y

= x + y. Ma
allora x

D(B) , y

Bx

, e, per la monotonia di B, 0 (y

y, x

x) =
[x

x[
2
= [y

y[
2
0 , da cui x = x

D(A) e y = y

Ax.
iii) i) : la dimostrazione `e piuttosto elaborata: si veda, ad esempio, il
testo di J. P. Aubin, I. Ekeland citato nel Sottoparagrafo 1.2.1.
Esempi di operatori monotoni massimali.
i) Un primo fondamentale esempio, che fornisce un collegamento con il
Sottoparagrafo 2.3.2, `e dato dalla seguente
Proposizione 2.12 Se : H R + `e convessa, propria e s.c.i.,
allora `e monotono massimale.
Dim.: sappiamo gi`a (Proposizione 2.6) che `e monotono. Grazie alla
Proposizione 2.11, `e suciente dimostrare che, per ogni ssato y
0
H,
x
0
H tale che y
0
x
0
+ (x
0
). Consideriamo allora lapplicazione
x (x) := (x) +
1
2
[x y
0
[
2
, che `e convessa, propria e s.c.i.. poiche
dom

,= , ssato z H tale che

(z) < + si ha, per denizione, che

(z) (z, x) (x) x H, cio`e (x) (z, x)

(z), e, in denitiva,
(x)
1
2
[x y
0
[
2
+ (z, x)

(z)
1
2
[x y
0
[
2
[z[[x[

(z), da cui si
deduce che lim
|x|+
(x) = +. Pertanto, (x) ammette minimo in un
punto x
0
H, e ci`o implica (si veda, qui di seguito, il Lemma 2.1) che
y
0
x
0
(x
0
).
Lemma 2.1 Siano: una funzione convessa, propria, s.c.i., denita da
H in R +; y
0
un elemento ssato in H; un numero > 0. Posto
(x) := (x) +
1
2
[x y
0
[
2
, si ha che
x
0
H ` e un punto di minimo per (x) se e solo se
y
0
x
0

(x
0
) .
Pag. 50 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Dim.: se
y
0
x
0

(x
0
), si ha (x) (x
0
) +
_
y
0
x
0

, x x
0
_
x H,
da cui (x) = (x) +
1
2
[xy
0
[
2
(x
0
) +
1

(y
0
x
0
, xx
0
) +
1
2
[xy
0
[
2
=
(x
0
)
1
2
[x
0
y
0
[
2
+
1

(y
0
x
0
, xx
0
) +
1
2
[xy
0
[
2
= (x
0
) +
[x x
0
[
2
2

(x
0
), quindi x
0
`e un punto di minimo.
Reciprocamente, se x
0
`e punto di minimo, x H e t
[
0, 1
]
, posto
x
t
:= (1 t)x
0
+ tx, si ha (x
0
) = (x
0
) +
1
2
[x
0
y
0
[
2
(x
t
) = (x
t
) +
1
2
[x
t
y
0
[
2
= ((1 t)x
0
+ tx) +
1
2
[(1 t)x
0
+ tx y
0
[
2
(1 t)(x
0
) +
t(x) +
1
2
[(1 t)x
0
+ tx y
0
[
2
.
Quindi, t(x
0
) (x)
1
2
_
[(1 t)x
0
+ tx y
0
[
2
[x
0
y
0
[
2
_
=
1
2
t
2
[x x
0
[
2
+ 2t(x
0
y
0
, x x
0
). Dividendo per t e facendo tendere
t a zero, si ha (x
0
) (x)
1

(x
0
y
0
, x x
0
), cio`e (x) (x
0
) +
_
y
0
x
0

, x x
0
_
, da cui
y
0
x
0

(x
0
).
ii) Per introdurre unaltra categoria di operatori monotoni massimali,
poniamo la seguente
Denizione 2.11 Un operatore A monotono univoco con D(A) = H si dice
emicontinuo se: x, y H, si ha che A(x + ty) tende debolmente ad Ax
quando t 0.
Vale il seguente risultato:
Proposizione 2.13 A emicontinuo =A massimale.
Dim.: sia
[
x; y
]
H H tale che H si abbia (A y, x) 0.
Allora, z H e t R, posto := x +tz si ha che (A(x +tz) y, tz) 0,
quindi (A(x+tz) y, z) = 0 e, passando al limite per t 0, (Axy, z) = 0,
da cui, per larbitrariet`a di z, Ax = y.
Fissato un operatore monotono massimale A in H, ed indicato con J

,
( > 0) il suo risolvente, si vericano facilmente le seguenti propriet`a:
Proposizione 2.14 i) , > 0 e x H,
J

x = J

x +
_
1

_
J

x
_
;
ii) D(A) `e convesso; inoltre, x H,
lim
0+
J

x = P
D(A)
(x)
_
P
D(A)
`e l operatore di proiezione sul convesso chiuso D(A)
_
.
2.4. OPERATORI MONOTONI MASSIMALI. Pag. 51
Dim.: i) Basta osservare che risulta y = J

x
_
y;
x y

_
A
_
y;

x +
_
1

_
J

x
_
I + A.
ii) Deniamo C := convD(A). Fissato x H, poniamo x

:= J

x,
cosicche
x x

Ax

, quindi,
[
;
]
A,
_
x x

, x

_
0 ,
da cui [x

[
2
(x, x

) + (x

, ) (, x

). Si deduce che x

`e
limitata per 0+. Scelta una successione
n
decrescente a zero tale che
x
n
x
0
( C), risulta allora che [x
0
[
2
(x, x
0
) + (x
0
, ) D(A),
quindi anche C. Ma allora, C, si ha (x x
0
, x
0
) 0,
il che signica x
0
= P
C
(x). Perci`o, x
0
`e indipendente dalla successione

n
scelta, quindi, per 0+, x

P
C
(x). Ma limsup
0+
[x

[
2

(x, x
0
) + (x
0
, ) D(A), dunque anche C. In particolare, (per
= x
0
), si ha limsup
0+
[x

[
2
[x
0
[
2
, e ci`o dimostra che la convergenza `e
nella topologia forte di H. Inne, x C si ha che x

x = P
C
(x), e di
conseguenza, poiche x

D(A), ne viene che C = D(A).


Denizione 2.12 i) x D(A), si pone A
0
x := P
Ax
(0); quindi, A
0
x `e il
vettore di norma minima tra quelli di Ax.
4
ii) > 0, lapprossimante di Yosida A

di A `e ancora denita da
A

:=
I J

.
Naturalmente, non tutte le propriet`a del caso lineare (si veda la Propo-
sizione 2.2) si estendono al caso degli operatori multivoci; per`o, ad esempio,
valgono i seguenti risultati:
Proposizione 2.15 i) Loperatore (monotono ed univoco) A

verica, x
H, la relazione A

x AJ

x; inoltre, A

`e lipschitziano (quindi monotono


massimale), con costante di Lipschitz
1

;
ii) , > 0, si ha (A

= A
+
;
iii) x D(A), risulta [A

x[ [A
0
x[; inoltre, x H lapplicazione
[A

x[ `e non decrescente per 0 (cio`e, [A


+
x[ [A

x[ > 0);
iv) per 0, A

x `e limitata se e solo se x D(A), ed in questo caso


A

x A
0
x.
Dim.: i) Per denizione di J

, si ha, x H, x J

x + AJ

x, quin-
di A

x =
x J

AJ

x. La monotonia di A

discende da quella di
A

(che `e lidentit`a meno una contrazione; si ricordi lEsempio iii) del


Paragrafo 2.2). Ancora, dalle disuguaglianze
[A

x
1
A

x
2
[ [x
1
x
2
[ (A

x
1
A

x
2
, x
1
x
2
) =
4
Per lOsservazione 2.6, i), in questo caso Ax `e chiuso.
Pag. 52 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
(A

x
1
A

x
2
, A

x
1
A

x
2
)+(A

x
1
A

x
2
, J

x
1
J

x
2
) [A

x
1
A

x
2
[
2
si deduce intanto che [A

x
1
A

x
2
[
1

[x
1
x
2
[; la massimalit`a di A

discende dalla Proposizione 2.13.


ii) Si ha:
[
x; y
]
A

x = x y x (I + A)(x y) =
xy+A(xy) y A(xy)
[
xy; y
]
A. Di conseguenza,
[
x; y
]
(A


[
x y y; y
]
A
[
x ( + )y; y
]
A
[
x; y
]
A
+
.
iii) Se x D(A), risulta (A
0
x A

x, x J

x) 0 (perche A
0
x Ax,
A

x AJ

x, ed A `e monotono), quindi 0 (A
0
x A

x, A

x), da cui
[A

x[ [A
0
x[. Fissati x H e > 0, sempre dalla monotonia di A e dal
punto i) risulta
0 (A

x A
+
x, J

x J
+
x) =
(A

x A
+
x, A

x + ( + )A
+
x) =
[A

x A
+
x[
2
+ (A

x A
+
x, A
+
x) =
[A

x A
+
x[
2
[A
+
x[
2
+ (A

x, A
+
x) .
Ne viene, in particolare, che
[A
+
x[
2
(A

x, A
+
x) [A

x[ [A

x[ ,
da cui il risultato.
iv) La disuguaglianza precedente implica inoltre che
[A
+
x A

x[
2
= [A
+
x[
2
2(A
+
x, A

x) +[A

x[
2
[A

x[
2
[A
+
x[
2
.
Se [A

x[ `e limitata `e convergente (perche monotona), dunque di Cauchy;


ma allora, per lultima disuguaglianza scritta, anche A

x `e di Cauchy;
detto y H il suo limite, poiche J

x = x A

x ne viene che J

x x.
Dato che A `e chiuso, che J

x D(A) e che A

x AJ

x, si conclude che
x D(A) e y Ax. poiche x D(A), si ha (punto iii)) [A

x[ [A
0
x[, e, di
conseguenza, [y[ [A
0
x[, il che comporta y = A
0
x.
Inne, se x D(A), A

x[ `e limitata, perche, come si `e visto, [A

x[ [A
0
x[;
ci`o conclude la dimostrazione.
2.5 Condizioni per la suriettivit`a.
Una condizione necessaria e suciente per la suriettivit`a di un operatore
monotono massimale, sostanzialmente del tipo maggiorazioni a priori (per
il caso lineare, si veda la Proposizione 1.18, v)), verr`a fornita pi` u avanti;
diamo ora alcune denizioni e risultati preliminari:
Denizione 2.13 Loperatore B su H si dice:
i) limitato in un intorno di x
0
H se esiste un intorno V di x
0
tale
che

xV
Bx sia limitato;
ii) limitato localmente se x
0
D(B) esiste un intorno di x
0
in cui
B `e limitato;
iii) limitato se limmagine tramite B di ogni limitato di H `e limitata.
2.5. CONDIZIONI PER LA SURIETTIVIT
`
A. Pag. 53
Proposizione 2.16 Se A `e monotono massimale ed A
1
`e limitato, allora
A `e suriettivo.
Dim.: sia y un elemento arbitrario di H: mostriamo che y R(A). Fissato
[
x
0
; y
0]
A, consideriamo, > 0, x
0
+
y

. poiche I +
A

`e suriettiva,
x

D(A) : x
0
+
y

+
1

Ax

, cio`e z

:= y + (x
0
x

) Ax

. Per la
monotonia di A, si ha intanto (y
0
z

, x
0
x

) 0, quindi (y
0
z

, z

y) 0,
da cui 0 (y
0
z

, z

y
0
+ y
0
y) = [y
0
z

[
2
+ (y
0
z

, y
0
y)
[y
0
z

[[y
0
y[ [y
0
z

[, e di conseguenza [z

[ [y
0
z

[ + [y
0
[
[y
0
y[ +[y
0
[ c. Dato che x

A
1
z

, ne viene che x

`e limitata, quindi
z

y; per la compattezza debole di H e la chiusura di A in H


w
H
s
, si
conclude facilmente che y R(A).
Corollario 2.3 Sia A monotono massimale. Se `e vericata una delle se-
guenti propriet`a, allora A
1
`e limitato, quindi A `e suriettivo:
i) D(A) `e limitato;
ii) lim
xD(A)
|x|+
[A
0
x[ = +;
iii) A `e coercivo, nel senso che:
x
0
H : lim
xD(A)
|x|+
(A
0
x, x x
0
)
[x[
= +.
Dim.: i) Ovvio, perche H
0
H si ha A
1
(H
0
) D(A), che `e limitato.
ii) Se A
1
non fosse limitato, esisterebbero c > 0 , x
n
e y
n
tali
che [x
n
[ c , y
n
A
1
x
n
(quindi y
n
D(A)), e [y
n
[ +. Ma allora
x
n
Ay
n
, quindi c [x
n
[ [A
0
y
n
[, e [A
0
y
n
[ non potrebbe tendere a +.
iii) Mostriamo che iii)=ii): in eetti, se ii) non `e vericata devono
esistere x
n
D(A) e c > 0 tali che [x
n
[ > n e [A
0
x
n
[ c. Ma allora,
x
0
H,
(A
0
x
n
, x
n
x
0
)
[x
n
[
c
[x
n
x
0
[
[x
n
[
c(1 +[x
0
[) ,
e quindi non pu`o valere la iii).
Alcuni altri risultati preliminari:
Lemma 2.2 Sia H
n
una successione crescente di sottoinsiemi di H, sia
H
0
la loro unione, e si ponga C
0
:= conv H
0
, C
n
:= conv H
n
. Se int C
0
,= ,
allora int C
0
=

n
int C
n
.
Dim.: si ricordi (Proposizione 1.10) che se C `e un convesso con interno
non vuoto, allora C = int C. Si osservi che, essendo H
n
crescente, si ha
C
0
=

n
C
n
, quindi int C
0
C
0


n
C
n
C
0
= int C
0
. Applicando il
Lemma di Baire ([Br], Lemma II.1) allaperto non vuoto int C
0
ed alla
successione (di chiusi nella topologia relativa di int C
0
) C
n
(int C
0
), si
vede che n tale che int C
n
,= . Ma allora si ha int C
n
,= n n, quindi,
per tali n, C
n
= int C
n
(poiche anche C
n
`e convesso, con interno non vuoto).
Pag. 54 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Dalle inclusioni scritte in precedenza si ha intanto: int C
0
C
0

n
C
n

int C
0
, per cui
int C
0
= C
0
=
_
n
C
n
=
_
n
int C
n
=
_
n
int C
n
;
lultima uguaglianza segue dalle inclusioni

n
int C
n


n
int C
n
, da cui

n
intC
n

n
intC
n

n
intC
n
. Daltronde,
se A `e aperto e convesso, allora A = int A.
Per dimostrarlo, basta vericare che (x
0
int A) = (x
0
A). Infatti, se
x
0
int A allora esiste > 0 tale che la sfera V di centro x
0
e raggio `e
contenuta in A, e certamente y V A. Ma allora anche 2x
0
y V ,
quindi il segmento x [ (1t)(2x
0
y) +ty , 0 < t 1 `e contenuto in A, da
cui, per t =
1
2
, x
0
A. Quindi, dalla relazione int C
0
=

n
int C
n
si deduce
int C
0
= int (int C
0
) = int
_
n
intC
n
_
=

n
int C
n
.
Proposizione 2.17 Sia B un operatore monotono massimale tale che
int (conv D(B)) ,= . Allora: int D(B) `e convesso; int D(B) = int D(B) ,= ,
e B `e limitato nellintorno di ogni punto interno a D(B).
Dim.: poniamo B
n
:=
[
x; y
]
B [ [x[ n e [y[ n. Evidentemente,
D(B) =

n
D(B
n
), quindi, per il lemma precedente, int (conv D(B))=

n
int (conv D(B
n
)) . Facciamo vedere che B `e limitato nellintorno di og-
ni punto x
0
int (conv D(B
n
)) . Sia > 0 tale che x[ [x x
0
[ <
conv D(B
n
); allora B `e limitato in x[ [x x
0
[ <

2
. In eetti, ssato
[
x; y
]
B con [x x
0
[ <

2
, si ha,
[
;
]
B
n
, ( y, x) 0,
e dunque (y, x) (, x) [[[ x[ 2n
2
. Quindi, risulta an-
che (y, x) 2n
2
convD(B
n
), in particolare per ogni tale che
[ x[ <

2
. Se y ,= 0, scegliendo = x +
y
[y[
con 0 < <

2
, si ha
[y[
2n
2

, da cui, per

2
, [y[
4n
2

. Daltronde, int(conv D(B))


D(B): infatti, poiche D(B) `e convesso (Proposizione 2.14, ii)), ne viene
int (conv D(B)) D(B). Fissato x
0
int (conv D(B)), sia x
n
una succes-
sione in D(B) tale che x
n
x
0
. poiche B
0
`e limitato nellintorno di x
0
, esiste
una sottosuccessione x
n
k
tale che B
0
x
n
k
converge debolmente ad y, e allora
(per la chiusura di B in H
s
H
w
), x
0
D(B). Da ci`o risulta che int D(B) =
int (conv D(B) ) `e convesso, e B `e limitato localmente su int D(B). Si ha
inne che, poiche intD(B) D(B) convD(B), da cui intD(B) D(B)
convD(B) = int(convD(B)) = intD(B)
_
quindi D(B) = intD(B)
_
, risulta
int D(B) = int (intD(B)) = intD(B) (perche intD(B) `e aperto e convesso),
dunque intD(B) = int (intD(B)).
Osservazione 2.7 La proposizione precedente implica che se B `e monotono
massimale, allora `e limitato su ogni compatto K int D(B). In particolare,
se H ha dimensione nita e B `e denito ovunque, allora se B `e monotono
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 55
massimale, `e limitato. In dimensione innita, ci`o non `e vero. Ad esempio,
sia H :=
2
, e si ponga (Bx)
n
:= [x
n
[
n1
x
n
.
`
E evidente che:
B `e (univoco e) monotono: immediato, perche la funzione (da R in
R) t [t[
n1
t `e crescente;
B `e denito dappertutto: se

+
n=1
x
2
n
< +, si ha lim
n+
x
n
= 0,
quindi x
2n
n
x
2
n
denitivamente, da cui [Bx[
2
=

+
n=1
x
2n
n
< +;
B `e monotono massimale: se
[
x; y
]

2

2
`e tale che
2
si
ha (y B, x ) 0, ssati k N e R, e posto = x e
(k)
,
risulta 0 (y B, e
(k)
) =
_
y
k
[x
k
[
k1
(x
k
)
_
. Se > 0, ne
viene y
k
[x
k
[
k1
(x
k
), da cui, per 0+, y
k
[x
k
[
k1
x
k
; se < 0,
risulta y
k
[x
k
[
k1
(x
k
), e, al limite per 0, y
k
[x
k
[
k1
x
k
, da
cui, in denitiva, y = Bx;
B `e limitato su (0, 1): se

+
n=1
x
2
n
1, si ha x
2
n
1 n, quindi
x
2n
n
x
2
n
, da cui [Bx[ [x[;
se > 1, B non `e limitato su (0, ): basta osservare che e
(n)

(0, ), mentre [B(e


(n)
)[ =
n
+.
Possiamo ora fornire la caratterizzazione della suriettivit`a di un operatore
monotono massimale:
Proposizione 2.18 Sia A un operatore monotono massimale. Allora
(A `e suriettivo) (A
1
`e limitato localmente).
Dim.: i) Limplicazione (A suriettivo) = (A
1
limitato localmente) `e
fornita dalla Proposizione 2.17, con B := A
1
.
ii) Facciamo ora vedere che (A
1
limitato localmente) = (A suriettivo):
per questo, mostriamo che R(A) `e aperto e chiuso.
R(A) `e chiuso. In eetti, sia y
0
R(A) = D(A
1
); allora y
n
in
D(A
1
) tale che y
n
y
0
. Posto x
n
:= (A
1
)
0
y
n
, dallipotesi di locale lim-
itatezza di A
1
(quindi di (A
1
)
0
) si ha che x
n
`e limitata, dunque am-
mette una sottosuccessione x
n
k
debolmente convergente a x
0
. Ma allora,
poiche y
n
k
y
0
e (A
1
)
0
y
n
k
= x
n
k
x
0
, le propriet`a di chiusura di (A
1
)
0
implicano che y
0
D(A
1
) = R(A).
R(A) `e aperto. Infatti, ssato
[
x
0
; y
0]
A, esiste > 0 tale che A
1
`e limitato nella sfera V := (y
0
, ); mostriamo che V R(A). Fissati
y V ed > 0, consideriamo x
0
+
y

; procedendo come nella dimostrazione


della Proposizione 2.16 (e con le stesse notazioni), si controlla che x

`e
limitata, quindi z

y, dunque y R(A), che, come abbiamo visto, coincide


con R(A).
2.6 Operatori ciclicamente monotoni.
Cominciamo con unosservazione: se `e una funzione convessa propria su
H, ssati ad arbitrio una sequenza ciclica x
0
, x
1
, ..., x
n
= x
0
D()
Pag. 56 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
ed n elementi y
1
, y
2
, ..., y
n
tali che y
i
(x
i
) (i = 1, ..., n), risulta per
denizione (x
i1
) (x
i
) +(y
i
, x
i1
x
i
) (i = 1, ..., n), quindi, sommando
le n disuguaglianze precedenti,

n
i=1
(y
i
, x
i1
x
i
) 0.
Poniamo allora la seguente
Denizione 2.14 A `e monotono ciclicamente se per ogni sequenza cicli-
ca x
0
, x
1
, ..., x
n
= x
0
D(A) e per ogni y
i
Ax
i
(i = 1, ..., n) si ha

n
i=1
(y
i
, x
i
x
i1
) 0.
La denizione precedente `e pi` u restrittiva della monotonia (che, daltra
parte, ne `e il caso particolare con n = 2): infatti, equivale a richiedere che
risulti (posto y
0
:= y
n
),
n

i=1
(y
i
, x
i
x
i1
) 0
n

i=1
(y
i1
, x
i
x
i1
) ;
in eetti, basta osservare che, posto x

i
:= x
ni
ed y

i
:= y
ni
, anche la
sequenza x

0
, x

1
, ..., x

n
`e ciclica, ed y

i
Ax

i
, cosicche risulta
0
n

i=1
(y

i
, x

i
x

i1
) =
n

i=1
(y
ni
, x
ni
x
ni+1
) ,
da cui, ponendo j := n i + 1,
0
n

j=1
(y
j1
, x
j1
x
j
) =
n

i=1
(y
i1
, x
i
x
i1
) .
Dalla semplice monotonia di A si ricava invece soltanto la disuguaglianza
n

i=1
(y
i
, x
i
x
i1
)
n

i=1
(y
i1
, x
i
x
i1
) ,
senza ulteriori precisazioni.
Lesempio iniziale `e di particolare rilevanza, come mostra il seguente
risultato:
Proposizione 2.19 Le propriet`a seguenti si equivalgono:
i) A `e monotono ciclicamente;
ii) esiste una funzione : H R+ convessa, propria e s.c.i. tale
che A .
Dim.: limplicazione ii) i) `e ovvia.
i) ii). Sia
[
x
0
; y
0]
A (se D(A) = non c`e nulla da dimostrare).
Per ogni x H, poniamo (x) :=
sup
_
(y
n
, x x
n
) +
n

i=1
(y
i1
, x
i
x
i1
)

[
x
i
; y
i]
A (i = 1, . . . , n)
_
.
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 57
Dato che `e lestremo superiore di una famiglia di funzioni ani continue,
`e chiaro che `e convessa e s.c.i.. Posto x
n+1
:= x
0
, si ha poi che (x
0
) =
sup

n+1
i=1
(y
i1
, x
i
x
i1
) 0, perche x
0
, x
1
, . . . , x
n
, x
n+1
= x
0
`e una
sequenza ciclica in D(A) (anzi, (x
0
) = 0: si scelgano n = 1 , x
1
= x
0
, y
1
=
y
0
), dunque `e propria.
Sia ora
[
x; y
]
A, e mostriamo che
[
x; y
]
(il che conclude la di-
mostrazione). Fissati ad arbitrio
[
x
1
; y
1]
, ...,
[
x
n
; y
n]
A, H, e con-
siderati i punti
[
x
1
; y
1]
, ...,
[
x
n
; y
n]
,
[
x
n+1
; y
n+1]
:=
[
x; y
]
, si ha, per denizio-
ne, () (y, x) +(y
n
, xx
n
) +... +(y
0
, x
1
x
0
) , cio`e () (y, x)
(y
n
, x x
n
) + ... + (y
0
, x
1
x
0
) , da cui, per larbitrariet`a dei punti
[
x
i
; y
i]
,
() (y, x) (x) , il che signica
[
x; y
]
.
Un ulteriore importante risultato `e il seguente:
Proposizione 2.20 Sia una funzione convessa, propria, s.c.i., e A := .
Anche lapprossimante di Yosida A

di A `e monotona ciclicamente.
Dim.: Infatti, se x
0
, x
1
, ..., x
n
`e ciclica, risulta

n
i=1
(A

x
i
, x
i
x
i1
) =
n

i=1
(A

x
i
, x
i
J

x
i
+ J

x
i
J

x
i1
+ J

x
i1
x
i1
) =

i=1
(A

x
i
, A

x
i
A

x
i1
) +
n

i=1
(A

x
i
, J

x
i
J

x
i1
)

i=1
(A

x
i
, A

x
i
A

x
i1
)
(perche A

x
i
(J

x
i
), e `e monotono ciclicamente). Posto z
i
= A

x
i
,
si ha che z
0
, z
1
, ..., z
n
`e ciclica, e quindi
n

i=1
(A

x
i
, A

x
i
A

x
i1
) =
n

i=1
(z
i
, z
i
z
i1
) =
n

i=1
[z
i
[
2

i=1
(z
i
, z
i1
) =
1
2
n

i=1
[z
i
[
2
+
1
2
n

i=1
[z
i1
[
2

i=1
(z
i
, z
i1
) =
1
2
n

i=1
[z
i
z
i1
[
2
0 ,
dunque, in denitiva,

n
i=1
(A

x
i
, x
i
x
i1
) 0.
`
E possibile precisare la funzione

tale che A

; vale infatti il
seguente risultato:
Proposizione 2.21 Siano una funzione convessa, propria, s.c.i., ed A :=
; allora
i) D(A) D() D() = D(A).
Inoltre, posto, x H e > 0,

(x) := min
yH
_
1
2
[y x[
2
+ (y)
_
, si
ha che:
Pag. 58 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
ii) x H,

(x) =

2
[A

x[
2
+ (J

x);
iii)

`e convessa, dierenziabile secondo Frechet, con dierenziale A

.
Inoltre, x H si ha che

(x) (x) quando 0.


Dim.: ii) Per il Lemma 2.1, il minimo della funzione y
1
2
[y x[
2
+(y)
`e assunto nel punto y
0
tale che
x y
0

(y
0
) = Ay
0
, ossia x y
0
+Ay
0
,
da cui y
0
= J

x. Pertanto,

(x) =
1
2
[x J

x[
2
+ (J

x) , e ne segue che

(x) =

2
[A

x[
2
+ (J

x).
iii) Fissati x, y H, risulta (J

y) (J

x) (A

x, J

y J

x) (perche
A

x AJ

x = (J

x)), da cui

(y)

(x) =

2
[A

y[
2
[A

x[
2
+
(J

y) (J

x)

2
[A

y[
2
[A

x[
2
+ (A

x, y A

y x + A

x) =

2
[A

y[
2
[A

x[
2
+ 2(A

x, A

x A

y) + (A

x, y x)). Di conseguenza,

(y)

(x) (A

x, y x)

2
[A

y A

x[
2
0. Scambiando tra loro
x ed y, si ottiene facilmente che risulta

(y)

(x) (A

x, y x)

2
[A

x A

y[
2
+ (A

y A

x, y x) (A

y A

x, y x)
1

[y x[
2
.
In conclusione, si ha [

(y)

(x) (A

x, y x)[
1

[y x[
2
, quindi

`e dierenziabile secondo Frechet, con dierenziale A

.Per vericare la
convessit`a di

, ssati x, y H si ponga f(t) :=

(tx +(1 t)y) (t R);


poiche f

(t) = (A

(tx + (1 t)y), x y), si controlla facilmente che f

`e
crescente, quindi f `e convessa. In particolare, si ha allora, t
[
0, 1
]
,
f(t) tf(1) + (1 t)f(0), cio`e

(tx + (1 t)y) t

(x) + (1 t)

(y).
Dalla denizione stessa, risulta poi che quando decresce

cresce, e che

(x) (x). Per la ii), si ha

(x) (J

x); se x D(A), ricordando che


allora J

x x per 0+ ed utilizzando la semicontinuit`a inferiore di ,


si ottiene
(x) liminf
0+
(J

x) liminf
0+

(x) limsup
0+

(x) (x) .
Se poi x , D(A), si ha [A

x[
2
= [A

x[[x J

x[ +
_
evidente, perche
[A

x[ + e [x J

x[ d
_
x, D(A)
__
, dunque

(x) + = (x). In
ogni caso, si ha quindi

(x) (x); ne viene altres` che D() D(A), da


cui segue facilmente la i).
Osservazione 2.8 Dal risultato precedente, si deduce che se
1
,
2
sono
funzioni convesse, proprie, s.c.i. tali che
1
=
2
, allora c R : x
H,
1
(x) =
2
(x) + c. Infatti, si ha che (
1
)

= (
2
)

, il che (per la
dierenziabilit`a di (
1
)

e (
2
)

) implica lesistenza di una costante c

tale
che (
1
)

(x) = (
2
)

(x) + c

x H. Ma allora c

= (
1
)

(x) (
2
)

(x)
tende a
1
(x)
2
(x) = c x D(
1
) = D(
2
), e di conseguenza,

1
(x) =
2
(x) + c.
In taluni casi, nel calcolo del risolvente e dellapprossimante di Yosida,
possono essere utili i risultati seguenti, di facile dimostrazione.
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 59
Lemma 2.3 Sia : H R+ una funzione convessa, propria, s.c.i.,

A il suo sottodifferenziale (le altre notazioni sono autoesplicative).


) Fissato c R, si ponga A
c
:= c

A; si ha
A
c
=
c
, dove
c
(x) := c (x); J
c

=

J
c
;
A
c

= c

A
c
= (
c

, dove
c

(x) := c
c
(x) .
) Fissato x
0
H, sia A
(x
0
)
x :=

A(x x
0
). Si ha allora che
A
(x
0
)
=
(x
0
)
, dove
(x
0
)
(x) := (x x
0
) ;
J
(x
0
)

x = x
0
+

J

(x x
0
);
A
(x
0
)

x =

A

(x x
0
) = (
(x
0
)

, dove
(x
0
)

(x) :=

(x x
0
) .
) Fissato y
0
H, sia A
[y
0
]
x := y
0
+

Ax; allora,
A
[y
0
]
=
[y
0
]
, dove
[y
0
]
(x) := (y
0
, x) + (x) ;
J
[y
0
]

x =

J

(x y
0
);
A
[y
0
]

x = y
0
+

A

(x y
0
) = (
[y
0
]

(x))

, dove

[y
0
]

(x) := (y
0
, x)

2
[y
0
[
2
+

(x y
0
) .
) In conclusione, dai risultati precedenti si ricava che, ssati x
0
, y
0
H
e c R, posto per semplicit`a A

x :=

A
c,(x
0
),[y
0
]
x = y
0
+ c

A(x x
0
) (ed
indicando in modo analogo le quantit`a riferite ad A

), si ha
A

, dove

(x) := (y
0
, x) + c (x x
0
) ;
J

x = x
0
+

J
c
(x x
0
y
0
);
A

x = y
0
+ c

A
c
(x x
0
y
0
) =
_

(x)
_

, dove

(x) := (y
0
, x)

2
[y
0
[
2
+ c
c
(x x
0
y
0
) .
Alcuni esempi con H = R.
Premettiamo la seguente osservazione. Se A `e monotono massimale in R,
per la Proposizione 2.14, ii), si ha che D(A) `e convesso, quindi a, b con
a b + tali che D(A) =
[
a, b
]
R. Ne viene facilmente che
int(conv D(A)) =
]
a, b
[
(se D(A) `e ridotto ad un punto, il risultato `e ovvio;
altrimenti, basta applicare la Proposizione 2.17). Si ha poi che:
lapplicazione x A
0
(x) (x D(A)) `e non decrescente; x
]
a, b
[
,
si ha Ax =
[
A
0
(x), A
0
(x+)
]
; se a D(A), allora Aa =
]
, A
0
(a+)
]
,
e se b D(A), allora Ab =
[
A
o
(b), +
[
;
Pag. 60 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
esiste una funzione (determinata a meno di una costante additiva
arbitraria) convessa, propria, s.c.i., tale che A = ; precisamente, ssato
x
0
D(A), risulta
(x) =
_
_
_
(x
0
) +
_
x
x
0
A
0
(s) ds se x
[
a, b
]
+ se x ,
[
a, b
]
,
dove (x
0
) `e un numero ssato ad arbitrio.
Dai risultati precedenti risulta che
ogni operatore monotono massimale in R `e monotono ciclicamente.
Segue qualche esempio, in cui, assegnato un operatore massimale monotono
A, determineremo: una funzione convessa, propria, s.c.i. tale che A = ;
il risolvente J

di A; lapprossimante di Yosida A

di A; la funzione
convessa e dierenziabile

con dierenziale A

denita nella Proposizione


2.21, cosicche

(x) =

2
[A

(x)[
2
+ (J

x). Ci`o consentir`a di mettere in


evidenza le relazioni tra A ed A

, e tra e

.
1. Supponiamo che A sia una retta; `e opportuno distinguere il caso di
una retta verticale dagli altri casi.
i) Retta verticale. Cominciamo dal caso particolare

A := 0 R.
`
E
immediato vericare che

A = , dove := I
{0}
;

J

x = 0 x R;

x =
x

(x), dove

(x) :=
x
2
2
. Il caso generale, in cui A := x
0
R,
si tratta allo stesso modo direttamente (oppure, si pu`o ricorrere al Lemma
2.3, osservando che A =

A
(x
0
)
); si ottiene:
A = (x), dove := I
{x
0
}
;
A

x =
x x
0

(x), dove

(x) :=
(x x
0
)
2
2
.
Un esempio (x
0
= .5; le linee a puntini corrispondono a = .5, quelle a
trattini a = .2); nella prima gura i graci di A (linea continua) ed A

,
nella seconda di e

:
-2
-1
0
1
2
-2 -1 0 1 2
-2
-1
0
1
2
-2 -1 0 1 2
o

1.5
(x)

1.5
(y)
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 61
ii) Retta obliqua. Nel caso particolare

A := I, si ha subito che

A = =

, dove (x) :=
x
2
2
;

J

=
I
1 +
;

A

=

J

, dove

(x) :=
x
2
2(1 +)
.
Nel caso generale, in cui Ax := ax+b, con a 0, si pu`o utilizzare il Lemma
2.3, osservando che A =

A
a,(0),[b]
, oppure procedere direttamente; si verica
che
A = =

, dove (x) :=
a
2
x
2
+ bx;
A

x =
ax + b
1 +a
=

(x), dove

(x) :=
ax
2
+ 2bx
2(1 +a)
.
Un esempio (a = 2, b = 1; linee a puntini per = .5, a tratti per = .2;
nella prima gura i graci di A ed A

, nella seconda di e

):
-2
-1
0
1
2
-2 -1 0 1 2
-2
-1
0
1
2
-2 -1 0 1 2

1.5
(x)

1.5
(y)
2. Sia

A loperatore di Heaviside, cos` denito:

Ax :=
_
_
_
0 se x < 0,
[
0, 1
]
se x = 0,
1 se x > 0.
`
E immediato vericare che

A = , dove (x) := x
+
, e che

x =
_
x se x 0,
0 se 0 < x ,
x se x > ,
quindi

A

x =
_
0 se x 0,
x

se 0 < x ,
1 se x > .
Di conseguenza,

A

, dove

(x) :=
_

_
0 se x 0,
x
2
2
se 0 < x ,
x

2
se x > .
Pi` u in generale, ssati , , x
0
R, con < , si ponga
Ax :=
_
_
_
se x x
0
,
[
,
]
se x = x
0
,
se x > x
0
.
Pag. 62 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Direttamente, o dal Lemma 2.3, osservando che A =

A
,(x
0
),[]
, si ottiene
che A = , dove
(x) :=
_
(x x
0
) se x x
0
,
(x x
0
) se x > x
0
;
inoltre,
A

x =
_
_
_
se x x
0
+ ,
x x
0

se x
0
+ < x x
0
+ ,
se x > x
0
+ ;

(x) =
_

_
x

2
_
se x x
0
+ ,
x
0
+
(x x
0
)
2
2
se x
0
+ < x x
0
+ ,

_
x

2
_
( )x
0
se x > x
0
+ .
Un esempio ( = .5, = 1, x
0
= 1; a puntini = 1.5, a tratti = .5;
nella prima gura A ed A

, nella seconda e

);
-2
-1
0
1
2
-2 -1 0 1 2
-1
0
1
2
3
-2 -1 0 1 2

1.5
(x)

1.5
(y)
3. Fissato r > 0, si ponga
r
A x :=
_

_
se [x[ > r,
]
, 0
]
se x = r,
0 se [x[ < r,
[
0, +
[
se x = r .
Allora (
r
J

ed
r
A

indicano il risolvente e lapprossimante di Yosida di


r
A)
y +
r
A y =
_

_
se [y[ > r,
]
, 1
]
se y = r,
y se [y[ < r,
[
1, +
[
se y = r,
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 63
quindi
r
J

x =
_
x se [x[ r,
rx
[x[
se [x[ > r,
mentre
r
A

x =
_

_
0 se [x[ r,
x r

se x > r,
x + r

se x < r.
Inoltre,
r
A =
r
e
r
A

= (
r

, dove
r
(x) :=
_
0 se [x[ r,
+ se [x[ > r,
e
r

(x) :=
_

_
0 se [x[ r,
(x r)
2
2
se x > r,
(x + r)
2
2
se x < r.
In generale, ssati a, b, y
0
R, con a < b, si ponga
Ax :=
_

_
se x < a oppure x > b,
]
, a
]
se x = a,
y
0
se a x b,
[
b, +
[
se x = b.
Osservato cha A = (
r
A)
c,(x
0
),[y
0
]
, con r :=
(b a)
2
, c := 1, x
0
:=
a + b
2
, dai
risultati appena visti e dal Lemma 2.3 si deduce che A = , dove
(x) :=
_
y
0
x se a x b,
+ altrimenti.
Inoltre,
A

x =
_

_
x a

se x < a + y
0
,
y
0
se a + y
0
x b + y
0
,
x b

se x > b + y
0
,
mentre

(x) =
_

_
ay
0
+
(x a)
2
2
se x < a + y
0
,
y
0
_
x
y
0

2
_
se a + y
0
x b + y
0
,
by
0
+
(x b)
2
2
se x > b + y
0
.
Un esempio (a = 1, b = 2, y
0
= 1; linee a punti per = .8, a tratti per
= .2):
Pag. 64 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
-2
0
2
4
6
-4 -2 0 2 4
-2
0
2
4
6
-4 -2 0 2 4

1.5
(x)

1.5
(y)
Un esempio con H = spazio di Hilbert.
Riprendiamo lEsempio 12 del Sottoparagrafo 1.2.3, con lulteriore ipotesi
che K sia convesso e chiuso. Detto J

il risolvente di A := I
K
, risulta
x = J

y y x + I
K
(x)
y x

I
K
(x), e ci`o equivale a
richiedere che:
x K ; inoltre, v K , (y x, v x) 0 .
In altri termini, il risolvente di I
K
non `e altro che loperatore di proiezione
P
K
su K. Di conseguenza, lapprossimante di Yosida A

di A `e data in
questo caso da A

x =
1

(x P
K
x).
Su questa osservazione si basa un metodo di risoluzione di disequazioni
variazionali del tipo
(PB1) cercare x K tale che (Bx, v x) (f, v x) v K .
Mostriamo intanto che il problema precedente equivale a
(PB2) cercare x H tale che f Bx + I
K
(x).
In eetti, se x `e soluzione di (PB1) si ha, per denizione,
I
K
(v) I
K
(x) + (f Bx, v x) v H ,
cio`e x verica (PB2). Reciprocamente, sia x soluzione di (PB2); allora
si ha intanto che x K (altrimenti, I
K
(x) = ; si veda la Proposizione
2.6. OPERATORI CICLICAMENTE MONOTONI. Pag. 65
2.5, i)). Quindi, x H risulta, per denizione di sottodierenziale, I
K
(v)
(f Bx, v x), da cui ovviamente si ricava che x verica (PB1).
Lequazione approssimante di (PB2), cio`e Bx

+ A

= f, per quanto
visto sopra si scrive Bu

+
1

(x

P
K
x

) = f, e (naturalmente, in opportune
ipotesi su B), d`a una funzione u

che approssima la soluzione di (PB1).


Pag. 66 CAPITOLO 2. OPERATORI MONOTONI.
Capitolo 3
PROBLEMI DI EVOLUZIONE
I problemi di Cauchy-Dirichlet (rispettivamente, Cauchy-Neumann)
per lequazione del calore sono classicamente formulati nel modo seguente.
Fissati T > 0, un aperto regolare di R
N
, con frontiera := , delle
funzioni regolari f :
[
0, T
]
R, u
0
: R, g
D
, g
N
:
[
0, T
]
R,
cercare una funzione regolare u :
[
0, T
]
R tale che
_
_
_
u(x, t)
t
u(x, t) = f(x, t) in
]
0, T
[
,
u(x, 0) = u
0
(x) in (condizione iniziale, o di Cauchy),
ed inoltre una delle seguenti richieste:
u(x, t) = g
D
(x, t) su
]
0, T
[
(condizione di Dirichlet),
oppure, essendo la normale esterna a ,
u(x, t)

= u(x, t). = g
N
(x, t) su
]
0, T
[
(condizione di Neumann).
In questo Capitolo esporremo alcune generalizzazioni (limitate per motivi
di tempo ad impostazioni astratte in ambito hilbertiano) della formulazione
classica, considerando, in adatti spazi funzionali, il problema di Cauchy
_
u

(t) + Au(t) = f(t) in


]
0, T
[
,
u(0) = u
0
,
dove A `e un (opportuno) operatore (non necessariamente lineare: si veda
il Sottoparagrafo 3.3.2). Verranno illustrati sia (brevemente) il metodo
variazionale di Lions, per unesposizione ben pi` u esauriente del quale si
rimanda ad esempio a: J. L. Lions Equations dierentielles operationelles
et probl`emes aux limites, Grund. Math. Wissenschaft 111, Springer-Verlag
(1961); J. L. Lions, E. Magenes Probl`emes aux limites non homog`enes
et applications, Dunod (1968); sia il metodo introdotto da Hille e Yosida,
per il quale si veda il testo di H. Brezis citato allinizio del Paragrafo 2.2.
Alcune denizioni e propriet`a di spazi di funzioni a valori vettoriali che
saranno utilizzati in questo Capitolo sono esposte nel prossimo Paragrafo.
Pag. 68 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
3.1 Funzioni a valori vettoriali.
Dati uno spazio mensurale (S, /, ) (con 0), ed uno spazio di Banach
E (di duale E

); enunceremo (molto concisamente) qualche risultato relati-
vo ad applicazioni f : S E. Per una trattazione pi` u esauriente riman-
diamo, ad esempio, a E. Hille, R. S. Phillips, Functional Analysis and
Semi-groups, American Mathematical Society Colloquium Publications, Vol-
ume XXXI, 1957; N. Dunford, J. T. Schwartz, Linear Operators, Inter-
science, 1958; K. Yosida, Functional Analysis, Springer, 1965. Molto del
materiale qui riportato `e tratto dalla nota, non pubblicata, di G. Gilar-
di, Equazioni paraboliche astratte: impostazione variazionale, nella quale
vengono altres` dimostrate propriet`a che qui saranno solo enunciate.
3.1.1 Integrazione.
Poniamo intanto le seguenti denizioni:
Denizione 3.1 f `e una funzione a scala se f(S) `e un insieme nito; se,
inoltre, x E risulta f
1
(x) /, f `e detta misurabile; se, di pi` u,
x E 0 si ha (f
1
(x)) < +, f `e detta integrabile, e si pone
1
_
S
f d :=

xE\{0}
(f
1
(x)) x =

xf(S)\{0}
(f
1
(x)) x.
Nel caso generale di una funzione da S in E, ma non necessariamente a
scala, la denizione si estende nel modo seguente:
Denizione 3.2 f `e misurabile se esiste una successione f
n
di funzioni
a scala misurabili tale che f
n
(s) f(s) q.o. in S.
Vale il seguente fondamentale risultato:
Teorema 3.1 (di Pettis) f `e misurabile se e solo se `e:
i) q.o. a valori separabili (cio`e, N S con (N) = 0 tale che f(S N)
`e separabile);
ii) debolmente misurabile: y E

la funzione s y, f(s)) `e misura-


bile.
La denizione di integrale pu`o ora essere formulata come segue:
Denizione 3.3 f `e integrabile se esiste una successione f
n
di funzioni
a scala integrabili da S in E tale che:
i) n N, la funzione s |f
n
(s) f(s)| `e integrabile;
ii) lim
n
_
S
|f
n
(s) f(s)| d = 0.
1
in altri termini, si adotta la convenzione che 0 . f
1
(0) := 0 anche quando
f
1
(0) = +.
3.1. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI. Pag. 69
In queste condizioni, si pu`o dimostrare che la successione
__
S
f
n
d
_
converge
in E ad un limite indipendente dalla successione f
n
vericante i) e ii); ci`o
permette di porre la seguente
Denizione 3.4 Se f `e integrabile, ed f
n
`e una successione di funzioni a
scala che verica i) e ii) della Denizione 3.3, si pone
_
S
f d := lim
n
_
S
f
n
d.
Risultati fondamentali sono contenuti nei seguenti teoremi:
Teorema 3.2 (di Bochner) f `e integrabile se e solo se `e misurabile e la
funzione s |f(s)| `e integrabile su S.
Teorema 3.3 (di Lebesgue) Sia f
n
una successione di funzioni integra-
bili; se
i) f : S E tale che f
n
(s) f(s) q.o. in S;
ii) : S R, integrabile e tale che, n N, |f
n
(s)| (s) q.o. in S,
allora f `e integrabile, e lim
n
_
S
|f
n
f| d = 0.
Analogamente al caso scalare, la dimostrazione del teorema di Lebesgue
si basa sulla seguente generalizzazione del lemma di Fatou:
Lemma 3.1 Se f
n
`e una successione di funzioni integrabili tali che, q.o.,
f
n
(s) f(s), ed esiste c tale che
_
S
|f
n
| d c n, allora f `e integrabile,
e risulta
_
S
|f| d lim inf
n
_
S
|f
n
| d.
Possiamo ora denire spazi di tipo L
p
a valori in E, che generalizzano quelli
del caso scalare
2
Denizione 3.5 Dato p
[
1, +
[
, si pone
i) L
p
(S; E) :=
_
f ` e misurabile; s |f(s)|
p
` e integrabile
_
,
con norma denita da |f|
L
p
(S;E)
:=
__
S
|f(s)|
p
d
_
1/p
;
ii) L

(S; E) :=
_
f ` e misurabile; s |f(s)| ` e essenzialmente limitata
_
,
con norma denita da |f|
L

(S;E)
:= sup ess
S
|f(s)| .
Si pu`o dimostrare che se E `e riessivo, `e -nita e p
]
1, +
[
, `e possibile
identicare il duale di L
p
(S; E) a L
q
(S; E

).
2
anche in questo caso, si tratta ovviamente di spazi i cui elementi sono classi di
equivalenza di funzioni: si identicano funzioni che dieriscono su un insieme di misura
nulla.
Pag. 70 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Unapplicazione.
Sia A un operatore, in generale multivoco, in H (cfr. Denizione 2.3);
si pu`o denire un operatore / in H := L
2
(S; H) (identicato al suo duale)
ponendo
3
/ :=
[
u; v
]
HH [ v(s) A(u(s)) q.o. in S.
Vale allora la seguente
Proposizione 3.1 i) / `e monotono se e solo se lo `e A;
ii) se A `e monotono massimale, e (S) < +, oppure 0 A0, allora
anche / `e monotono massimale.
Dim. i) Supponiamo che A sia monotono;
[
u
1
; v
1]
,
[
u
2
; v
2]
/ risulta
allora
(v
1
v
2
, u
1
u
2
)
H
=
_
S
(v
1
(s) v
2
(s), u
1
(s) u
2
(s))
H
d 0 ,
quindi / `e monotono.
Reciprocamente, sia / monotono in H, e si ssi
[
;
]
A, inoltre, si
scelga S
0
/ con 0 < (S
0
) < +, e si ponga :=
S
0
. Per i = 1, 2,
ssati ad arbitrio
[

i
;
i]
A, si ha che, posto u
i
:=
i
+ (1 ); v
i
:=

i
+(1)
]
, le funzioni a scala u
i
, v
i
H, ed inoltre
[
u
i
; v
i]
/, dunque
(v
1
v
2
, u
1
u
2
)
H
0. poiche per`o
(v
1
v
2
, u
1
u
2
)
H
=
_
S
(
1

2
,
1

2
)
H
(s) d = (S
0
)(
1

2
,
1

2
)
H
,
ne viene che anche A `e monotono.
ii): ssato ad arbitrio v H, poniamo u(s) := (I + A)
1
v(s) e u
0
:=
(I +A)
1
0; poiche [u(s)[ [u(s) u
0
[ +[u
0
[ = [(I +A)
1
v(s) (I +A)
1
0[ +
[u
0
[ [v(s)[ +[u
0
[, se ne deduce che u H, quindi che v u + /u, dunque
che / `e massimale, almeno se `e vericata una delle condizioni seguenti:
(S) < +, oppure 0 A0.
3.1.2 Continuit`a. Derivabilit`a puntuale.
Ci limitiamo, in questo e nei successivi due Sottoparagra, al caso in cui
S =
[
0, T
]
(oppure S =
[
0, +
[
), /`e la famiglia degli insiemi misurabili
secondo Lebesgue di S, e `e la misura di Lebesgue in S; per semplicit`a,
esamineremo soltanto il caso di funzioni da S in W, dove W `e uno spazio di
Hilbert separabile, identicato al suo duale (anche se alcune delle propriet`a
che verranno enunciate potrebbero essere estese al caso di opportuni spazi di
Banach).
3
la denizione si pu`o adattare al caso di un operatore da E in P(F), ed a spazi di tipo
L
p
a valori vettoriali, con p non necessariamente uguale a 2.
3.1. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI. Pag. 71
La denizione di continuit`a (forte) nel punto t
0
S (da cui anche quella
di continuit`a in S) si formula in perfetta analogia al caso scalare (ad esempio,
se t
0
`e interno ad S, si richiede che lim
tt
0
f(t) = f(t
0
))
4
; ci`o permette di
dere lo spazio (di Banach) delle funzioni (fortemente) continue in
[
0, T
]
a valori in W, che si indica con C
0
(
[
0, T
]
; W) e viene munito della norma
|f|
C
0
([0,T];W)
:= max
0tT
[u(t)[. Si dimostra (verica immediata) che
Proposizione 3.2 Se W
1
, W
2
sono spazi di Hilbert tali che W
1
W
2
con
immersione continua, si ha C
0
(
[
0, T
]
; W
1
) C
0
(
[
0, T
]
; W
2
), con immer-
sione continua.
Anche la nozione di derivata (forte) puntuale si estende senza problemi:
ad esempio, si dir`a che f `e (fortemente) derivabile in t
0

]
0, T
[
se esiste nel-
la topologia forte di W il lim
h0
[(f(t
0
+ h) f(t
0
))/h]
5
, indicato con f

(t
0
).
Per induzione, si deniscono poi le derivate successive f

(t), . . . , f
(k)
, . . .; con
C
k
(
[
0, T
]
; W) si indica lo spazio di Banach delle funzioni che sono conti-
nue su
[
0, T
]
assieme alle loro derivate no allordine k, e lo si munisce della
norma
|f|
C
k
([0,T];W)
:=
k

i=0
|f
(i)
|
C
0
([0,T];W)
.
Inne, indichiamo con C

(
[
0, T
]
; W) lo spazio vettoriale
+

k=0
C
k
(
[
0, T
]
; W),
e con T(0, T; W) lo spazio vettoriale
f C

(
[
0, T
]
; W) [ = (f) > 0 : f(t) = 0 t
[
0,
]

[
T , T
]
.
Un risultato importante `e contenuto nella seguente
Proposizione 3.3 p
[
1, +
[
, T(0, T; W) `e denso in L
p
(0, T; W).
Non ci sono poi dicolt`a ad estendere le denizioni precedenti agli spazi
vettoriali C
k
(
[
0, +
[
; W), C

(
[
0, +
[
; W), T(0, +; W).
3.1.3 Derivata generalizzata. Spazi di Sobolev a valori
vettoriali.
In molti problemi, serve una nozione pi` u generale di derivata. Premettiamo
il seguente risultato:
4
a volte pu`o essere utile considerare la continuit`a debole nel punto t
0
o nellintervallo
[0, T], (oppure [0, +[) denite in modo ovvio.
5
se tale limite esiste nella topologia debole, si dir`a che f ha derivata debole in t
0
.
Pag. 72 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Proposizione 3.4 Se f, g L
1
(0, T; W), le condizioni seguenti si equival-
gono:
i) f
0
W : f(t) = f
0
+
_
t
0
g() d q.o. in
]
0, T
[
;
ii)
_
T
0
(g(t), (t)) dt =
_
T
0
(f(t),

(t)) dt T(0, T; W);


iii)
_
T
0
(g(t), z)(t) dt =
_
T
0
(f(t), z)

(t) dt z W, T(0, T).


Siamo ora in grado di dare la denizione di derivata generalizzata:
Denizione 3.6 Se f, g L
1
(0, T; W) vericano le condizioni della propo-
sizione precedente, diciamo che g `e la derivata di f in L
1
(0, T; W) (o deriva-
ta generalizzata, o derivata nel senso delle distribuzioni di f), ed usiamo la
notazione f

:= g (il che `e lecito, grazie allosservazione che segue).


Osservazione 3.1 Se f C
1
(
[
0, T
]
; W), f

coincide q.o. con la derivata


puntuale di f; la derivata di f in L
1
(0, T; W) `e quindi eettivamente una
generalizzazione della derivata usuale.
Vale inoltre la seguente notevole
Proposizione 3.5 Se f L
1
(0, T; W) ammette derivata generalizzata in
L
1
(0, T; W), allora f C
0
(
[
0, T
]
; W), ed c = c(T) :
|f|
C
0
(0,T;W)
c
_
|f|
L
1
(0,T;W)
+|f

|
L
1
(0,T;W)
_
.
Possiamo ora denire gli spazi di Sobolev a valori vettoriali:
Denizione 3.7 Si pone H
0
(0, T; W) := L
2
(0, T; W), e, se k N,
H
k
(0, T; W) :=
_
f L
2
(0, T; W) [ f
(i)
L
2
(0, T; W), i = 1, . . . , k
_
.
Si dimostra che, munito del prodotto scalare
(f, g)
H
k
(0,T;W)
:=
k

i=0
_
f
(i)
, g
(i)
_
L
2
(0,T;W)
,
Proposizione 3.6 i) H
k
(0, T; W) `e uno spazio di Hilbert;
ii) H
k
(0, T; W) C
k1
(
[
0, T
]
; W) con immersione continua;
iii) C

(
[
0, T
]
; W) `e denso in H
k
(0, T; W).
3.1. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI. Pag. 73
3.1.4 Variazione totale; assoluta continuit`a.
Premettiamo la seguente
Denizione 3.8 Si pone
W
1,p
(0, T; W) :=
_
f L
p
(0, T; W)

L
p
(0, T; W)
_
,
con norma
|f|
W
1,p
(0,T;W)
:=
_
|f|
p
L
p
(0,T;W)
+|f

|
p
L
p
(0,T;W)
_
1/p
.
Nel caso scalare, si ha che f W
1,p
(0, T) se e solo se
i) f `e assolutamente continua, e f

L
p
(0, T);
o, equivalentemente,
ii) f `e continua, e la sua derivata nel senso delle distribuzioni `e in L
p
(0, T).
`
E naturale chiedersi se risultati analoghi valgono nel caso vettoriale. Comin-
ciamo a porre la seguente denizione:
Denizione 3.9 La variazione totale di f :
[
0, T
]
W `e denita da
V (f; T) := sup
_
n

i=0
[f(t
i
) f(t
i1
)[

n N , 0 = t
0
< t
1
< . . . t
n
= T
_
.
Si dice che f `e a variazione limitata su
[
0, T
]
se V (f; T) < +; lo spazio
delle funzioni a variazione limitata si indica con BV (0, T; W).
Vale il seguente risultato:
Proposizione 3.7 Se f BV (0, T; W), allora:
i) f L

(0, T; W);
ii) t
0

[
0, T
[
, lim
tt
0
+
f(t); t
0

]
0, T
]
, lim
tt
0

f(t);
iii) h
]
0, T
[
, risulta
_
Th
0
[f(t + h) f(t)[ dt h V (f; T) .
Osservazione 3.2
`
E ben noto che se f BV (0, T; R) allora, q.o. in
]
0, T
[
, esiste f

(t); un risultato analogo vale pi` u in generale per funzioni


in BV (0, T; W), ma solo nel caso in cui la derivata sia intesa in senso debole:
Proposizione 3.8 Se f BV (0, T; W), allora esiste ununica funzione
f

w
L
1
(0, T; W) tale che, q.o. in
]
0, T
[
,
f(t + h) f(t)
h
f

w
(t) in H
w
per h 0 .
Inoltre,
_
T
0
[f

w
(t)[ dt V (f; T) ; [f

w
(t)[
d
dt
V (f; T) q.o. in
[
0, T
]
.
Pag. 74 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Anche la denizione di funzione assolutamente continua si estende al caso
vettoriale:
Denizione 3.10 f :
[
0, T
]
W `e assolutamente continua se > 0
> 0 : per ogni successione
]

n
,
n[
di intervalli disgiunti in
[
0, T
]
con

n
(
n

n
) < , risulta

n
[f(
n
) f(
n
)[ < . Lo spazio delle funzioni
assolutamente continue da
[
0, T
]
in W si indica con AC(0, T; W) .
`
E evidente che AC(0, T; W) BV (0, T; W); inoltre, se f AC(0, T; W)
la funzione t V (f; t) `e in AC(0, T; R), e si ha
V (f; t) =
_
t
0
d
d
V (f; ) d ;
[f(t
1
) f(t
2
)[
_
t
2
t
1
d
dt
V (f; t) dt se 0 t
1
t
2
T .
Reciprocamente, se L
1
(0, T; R) : [f(t
1
) f(t
2
)[
_
t
2
t
1
(t) dt quando
0 t
1
t
2
T, allora f AC(0, T; W), ed inoltre
d
dt
V (f; t) (t) q.o. in
]
0, T
[
.
Le relazioni tra derivabilit`a della funzione t V (f; t) ed appartenenza di
f a W
1,1
(0, T; W) sono piuttosto complesse; ci limitiamo a citare il seguente
risultato:
Proposizione 3.9 i) p
[
1, +
]
si ha che se f AC(0, T; W) allora,
q.o. in
]
0, T
[
, esiste la derivata f

(t) di f(t), e f(t) = f(0) +


_
t
0
f

() d;
ii) se f BV (0, T; W), si ha f W
1,1
(0, T; W)
_
T
0
[f

(t)[ dt =
V (f; T).
Osservazione 3.3 La maggior parte delle denizioni e dei risultati richia-
mati in questo e nei due precedenti Sottoparagra si possono estendere al
caso in cui W sia uno spazio di Banach, purche riessivo, ma non nel
caso generale. Ad esempio, si consideri la funzione t f(t) cos denita da
[
0, 1
]
in L
1
(0, 1): f(t)(x) := 0 se 0 x t, f(t)(x) := 1 se t < x 1.
`
E
evidente che f BV (0, 1; L
1
(0, 1)). Tuttavia, in nessun punto t
0

]
0, 1
[
esiste la derivata debole f

w
(t
0
): altrimenti, si dovrebbe avere, in particolare,
che T(0, 1)
D
f

w
(t
0
), )
D
= lim
h0+
1
h
_
1
0
(f(t
0
+ h)(x) f(t
0
)(x)) (x) dx =
lim
h0+
1
h
_
t
0
+h
t
0
(x) dx = (t
0
) =
D

t
0
, )
D
,
da cui f

w
(t
0
) =
t
0
6
, assurdo.
6

t0
`e la misura unitaria concentrata nel punto t
0
.
3.2. IL METODO DI LIONS. Pag. 75
3.2 Il metodo di Lions.
Diamo ora qualche cenno alla formulazione variazionale del problema di
evoluzione che stiamo considerando.
3.2.1 Terna hilbertiana.
Ricordiamo anzitutto la denizione di terna hilbertiana (V, H, V

) (si veda
[Br], Capitolo 5, Osservazione 1).
Sia H uno spazio di Hilbert, con prodotto scalare ( . , . ) e norma [ . [,
che identichiamo al suo duale. Sia V un sottospazio lineare denso in H,
e supponiamo che V sia munito di un prodotto scalare (( . , . )) e della cor-
rispondente norma | . | che lo rendono uno spazio di Hilbert
7
separabile.
Supponiamo inne che liniezione di V in H sia continua: c > 0 : v V
risulta [v[ c |v|. Si pu`o allora immergere H nel duale V

di V , con immer-
sione continua e con immagine densa. In eetti, ssato h H, consideriamo
lapplicazione denita su V nel modo seguente: v (h, v).
`
E lineare e con-
tinua, quindi individua un elemento di V

, che indichiamo (per il momento)
con Ih. Si ha dunque, per denizione,
V
Ih, v)
V
:= (h, v) v V, h H ,
|Ih|
V
= sup
vV
v=1
V
Ih, v)
V
sup
vV
v=1
[h[ [v[ c [h[ ;
Ih = 0 =(h, v) = 0 v V =h = 0 ;
inoltre, I(H) `e denso in V

: se un funzionale lineare e continuo su V

`e
nullo su I(H), si ha intanto che v V : (v

) =
V
v

, v)
V
v

. Inoltre
deve essere 0 =
V
Ih, v)
V
= (h, v) h H, da cui v = 0.
In denitiva, tramite I si pu`o immergere H in V

, con immersione con-
tinua e densa; `e quindi possibile identicare H ad un sottospazio di V

,
ottenendo lo schema (terna hilbertiana)
V H H

V

;
scriveremo dora in poi, h H, h anziche Ih, ed indicheremo la dualit`a
tra V

e V scrivendo . , . ) anziche
V
. , . )
V
; |.|

e ((., .))

indicheranno la
norma ed il prodotto scalare in V

.
Fissato ora u V , consideriamo lapplicazione denita su V come segue:
v ((u, v)).
`
E un funzionale lineare e continuo su V , quindi individua un
elemento u V

, caratterizzato dalla relazione


u, v) = ((u, v)) u, v V .
`
E evidente che `e lineare, continuo, iniettivo, suriettivo, ed inoltre |u|

=
sup
v=1
u, v) = sup
v=1
((u, v)) |u|; poiche per u ,= 0 risulta |u|


__
u,
u
|u|
__
= |u|, si ha in denitiva che
` e un isomorfismo isometrico di V su V

.
7
per semplicit`a: in realt`a, la denizione si pu`o estendere a casi ben pi` u generali.
Pag. 76 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Ne viene quindi che ((u, v))

= ((u, v)) u, v V . In particolare,


u, u) = |u|
2
u V ; |w|
2

= |
1
w|
2
= w,
1
w) w V

.
Si noti che risulta , = I
|V
: altrimenti si avrebbe, u, v V , Iu, v) =
(u, v) = u, v) = ((u, v)), il che `e possibile solo se V ed H coincidono.
Fissata una terna hilbertiana (V, H, V

), valgono le seguenti propriet`a (si


ricordino le Proposizioni 3.2 e 3.3):
Proposizione 3.10 i) Risulta
C
0
(
[
0, T
]
; V ) C
0
(
[
0, T
]
; H) C
0
(
[
0, T
]
; V

)
con immersioni continue;
ii) T(0, T; V ) `e denso in L
p
(0, T; H) ed in L
p
(0, T; V

) p
[
1, +
[
.
Uno spazio importante nellambito delle equazioni di tipo parabolico `e
lo spazio H
1
(0, T; V, V

) := L
2
(0, T; V ) H
1
(0, T; V

), munito della norma


|v|
H
1
(0,T;V,V

)
:=
_
|v|
2
L
2
(0,T;V )
+|v

|
2
L
2
(0,T;V

)
_
1/2
che lo rende uno spazio di
Hilbert. Si dimostra che
Proposizione 3.11 i) C

(
[
0, T
]
; V ) `e denso in H
1
(0, T; V, V

);
ii) H
1
(0, T; V, V

) C
0
(
[
0, T
]
; H) con immersione continua;
iii) se f, g H
1
(0, T; V, V

) risulta, s, t
[
0, T
]
,
_
t
s
f

(), g()) +g

(), f()) d = (f(t), g(t)) (f(s), g(s)).


Poniamo inoltre la seguente
Denizione 3.11 Sia A L(V ; V

); poniamo
D(A; H) := A
1
(H), con norma |v|
D(A;H)
:=
_
|v|
2
+[Av[
2
_
1/2
;
H
1
(0, T; D(A; H), H) := L
2
(0, T; D(A; H)) H
1
(0, T; H), con norma
|v|
H
1
(0,T;D(A;H),H)
:=
_
|v|
2
L
2
(0,T;V )
+|Av|
2
L
2
(0,T;H)
+|v

|
2
L
2
(0,T;H)
_
1/2
.
Vale allora la seguente
Proposizione 3.12 Se A L(V ; V

) verica le seguenti propriet`a:


i) simmetria: Au, v) = Av, u) u, v V ;
ii) coercivit`a debole: ( 0, > 0) : Av, v) + [v[
2
|v|
2
v V ,
allora H
1
(0, T; D(A; H), H) C
0
(
[
0, T
]
; V ) con immersione continua. Se
u, v H
1
(0, T; D(A; H), H) si ha, s, t
[
0, T
]
,
_
t
s
(Au(), v

()) + (Av(), u

()) d = (Au(t), v(t)) (Au(s), v(s)) ;


_
t
s
(Au(), u

()) d =
1
2
(Au(t), u(t))
1
2
(Au(s), u(s)) .
3.2. IL METODO DI LIONS. Pag. 77
3.2.2 Teorema di esistenza, unicit`a e regolarit`a.
Premettiamo la seguente disuguaglianza:
8
Lemma 3.2 (di Gronwall) Se L
1
(0, T) ed esistono a 0, b > 0 tali
che, q.o. in
]
0, T
[
, risulti
() a + b
_

0
() d ,
allora, q.o. in
]
0, T
[
,
(t) a exp(bt) .
Dim.: moltiplicando per exp(b) entrambi i membri della disuguaglianza
data per ipotesi, si vede che
d
d
_
exp(b)
_

0
() d
_
a exp(b) ;
da cui, integrando tra 0 e t e moltiplicando per (b exp(bt)), la tesi.
Siamo ora in grado di enunciare il risultato principale di questo Paragrafo:
Teorema 3.4 Se A L(V ; V

) `e debolmente coercivo, f L
2
(0, T; V

)
e u
0
H esiste ununica u H
1
(0, T; V, V

) che risolve il problema di


Cauchy
(Pb) :
_
u

(t) + Au(t) = f(t) q.o. in ]0, T[,


u(0) = u
0
.
Inoltre, u dipende con continuit`a dai dati, nel senso che
c = c(, , T, |A|
L(V ;V

)
) : |u|
H
1
(0,T;V ;V

)
c
_
[u
0
[ +|f|
L
2
(0,T;V

)
_
.
Vale inoltre il seguente risultato di regolarit`a: se A `e simmetrico (nel senso
della Proposizione 3.12, i)), se f L
2
(0, T; H) ed u
0
V , allora risulta
u H
1
(0, T; D(A; H), H), e vale la maggiorazione
|u|
H
1
(0,T;D(A;H),H)
c
_
|u
0
| +|f|
L
2
(0,T;H)
_
con c = c
_
, , T, |A|
L(V ;V

)
_
.
Dim.: i): unicit`a. poiche il problema `e lineare, non si perde in generalit`a se
si suppone, come faremo, che f = u
0
= 0. Moltiplicando lequazione per u,
integrando tra 0 e t e tenendo conto che u(0) = 0, si ottiene
0 =
_
t
0
u

(), u()) d +
_
t
0
Au(), u()) d =
1
2
[u

(t)[
2
+
_
t
0
Au(), u()) d
1
2
[u(t)[
2
+
_
t
0
|u()[[
2
d
_
t
0
[u()[
2
d ;
8
in un caso molto particolare, che `e stato oggetto di numerosissime generalizzazioni.
Pag. 78 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
ne viene che
0 [u(t)[
2
_
[u(t)[
2
+ 2
_
t
0
|u(|
2
d
_
2
_
t
0
[u()[
2
d ,
quindi, per il Lemma di Gronwall (con (t) = [u(t)[
2
, a = 0, b = 2),
u(t) = 0 q.o. in
]
0, T
[
.
ii): esistenza. Utilizzeremo il cosiddetto metodo di Faedo-Galerkin,
che (molto succintamente) si articola nei seguenti passi:
ssata una successione V
n
di spazi a dimensione nita che invadono
V , si risolve in ciascuno dei V
n
un problema approssimato;
si trovano maggiorazioni sulle soluzioni approssimate sucienti a garan-
tire che una sottosuccessione delle soluzioni approssimate `e convergente ad
un limite u;
si dimostra che u `e soluzione del problema di Cauchy (Pb).
Scelta degli spazi. poiche V `e separabile, possiamo scegliere una successione
V
n
non decrescente di sottospazi di V , ciascuno a dimensione nita, tale
che
+
n=1
V
n
sia densa in V , quindi in H. Fissata una successione u
0n

tale che u
0n
V
n
n e u
0n
u
0
in H
9
, consideriamo n N il problema
approssimato
(Pb
n
) :
_

_
trovare u
n
H
1
(0, T; V
n
) tale che, v V
n
,
u

n
(t), v) +Au
n
(t), v) = f(t), v) q.o. in
]
0, T
[
,
u
n
(0), v) = u
0n
, v).
Scelta in V
n
una base e
(1)
, e
(2)
, . . . , e
(m)
(con m = m(n) = dimV
n
) si
scriva u
n
(t) :=

m
i=1
y
i
(t) e
(i)
; posto, per i = 1, 2, . . . , m, g
i
(t) := f(t), e
(i)
)
e y
0i
:= u
0n
, e
(i)
), il problema approssimato (Pb
n
) diventa un problema di
Cauchy per il sistema dierenziale lineare del primo ordine, di m equazioni
in m incognite,
_
B
n
y

(t) + A
n
y(t) = g(t),
y(0) = y
0
,
dove i vettori y(t), g(t), y
0
sono dati da y(t) := (y
1
(t), . . . , y
m
(t)), g(t) :=
(g
1
(t), . . . , g
m
(t)), y
0
:= (y
01
, . . . , y
0m
), mentre A
n
, B
n
sono le matrici mm
di elementi a
ij
:= Ae
(j)
, e
(i)
) e b
ij
:= (e
(j)
, e
(i)
). poiche i vettori e
(i)
sono
linearmente indipendenti, B
n
`e invertibile; inoltre, per i = 1, . . . , m si ha
[g
i
(t)[ |f(t)|

|e
(i)
| |f(t)|

_
max
i=1,...,m
|e
(i)
|
_
,
e pertanto g
i
(t) L
2
(0, T). Ne vengono esistenza ed unicit`a della soluzione,
con y
i
H
1
(0, T). Quindi, il problema approssimato ha una ed una sola
soluzione u
n
H
1
(0, T; V
n
).
9
evidentemente, non `e limitativo supporre che risulti [u
0n
[ c
0
[u
0
[ per unoppor-
tuna costante c
0
> 0. Nel resto del Paragrafo, c
1
, c
2
, . . . indicheranno costanti positive
indipendenti da n.
3.2. IL METODO DI LIONS. Pag. 79
Osservazione 3.4 Lintroduzione della successione u
0n
`e fatta in vista
del risultato di regolarit`a enunciato, ma `e inessenziale per quanto riguarda il
risultato di esistenza, per ottenere il quale si potrebbe sostituire la condizione
di Cauchy in (Pb
n
) con la seguente: u
n
(0), v) = u
0
, v) v V
n
.
Maggiorazioni delle soluzioni approssimate. Scegliendo, nel problema ap-
prossimato (Pb
n
), v := u
n
(t), si ottiene, q.o. in
]
0, T
[
,
u

n
(t), u
n
(t)) +Au
n
(t), u
n
(t)) = f(t), u
n
(t)) ,
da cui
_
t
0
u

n
(), u
n
()) d +
_
t
0
Au
n
(), u
n
()) d =
_
t
0
f(), u
n
()) d .
Osservato che:
10
_
t
0
u

n
(), u
n
()) d =
1
2
[u
n
(t)[
2

1
2
[u
n
(0)[
2
;
_
t
0
Au
n
(), u
n
()) d
_
t
0
|u
n
(|
2
d
_
t
0
[u
n
()[
2
d ;
_
t
0
f(), u
n
()) d
_
t
0
|f()|

|u
n
()| d
1
2
_
t
0
|f()|
2

d +

2
_
t
0
|u
n
()| d ,
se ne deduce che
[u
n
(t)[
2
[u
n
(0)[
2
+ 2
_
t
0
|u
n
()|
2
d 2
_
t
0
[u
n
()[
2
d
1

_
t
0
|f()|
2

d +
_
t
0
|u
n
()|
2
d .
Si osservi ora che, poiche u
n
(0), u
0n
V
n
, la condizione iniziale in (Pb
n
)
implica che u
n
(0) = u
0n
(si scelga v := u
n
(0) u
0n
), da cui segue che
[u
n
(0)[ = [u
0n
[ c
0
[u
0
[; lultima disuguaglianza scritta fornisce allora la
seguente maggiorazione:

n
(t) := [u
n
(t)[
2
+
_
t
0
|u
n
()|
2
d
_
[u
n
(0)[
2
+
1

_
t
0
|f()|
2

d
_
+ 2
_
t
0
[u
n
()[
2
d
_
c
2
0
[u
0
[
2
+
1

|f|
2
L
2
(0,T;V

)
_
+ 2
_
t
0

n
() d .
10
nellultima disuguaglianza, si usa la maggiorazione AB

2
A
2
+
1
2
B
2
, conseguenza
ovvia di 0
1
2
(A B)
2
.
Pag. 80 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
`
E quindi possibile applicare il Lemma di Gronwall, ottenendo la maggio-
razione

n
(t) = [u
n
(t)[
2
+
_
t
0
|u
n
()|
2
d
_
c
2
0
[u
0
[
2
+
1

|f|
2
L
2
(0,T;V

)
_
exp(2T) ,
da cui si deduce che
|u
n
|
2
C
0
([0,T];H)
+|u
n
|
2
L
2
(0,T;V )
c
1
_
[u
0
[
2
+|f|
2
L
2
(0,T;V

)
_
.
Passaggio al limite. poiche, come si `e visto, u
n
(0) = u
0n
, si ha intanto, per
denizione di u
0n
, che lim
n
u
n
(0) = u
0
in H. Osserviamo poi che, dalle
maggiorazioni ottenute nel passo precedente, si ricava in particolare che u
n

`e limitata in L
2
(0, T; V ), dunque `e possibile estrarne una sottosuccessione
u
n
k
debolmente convergente ad u in L
2
(0, T; V ). Dato che A L(V ; V

),
ne viene altres` che Au
n
k
tende debolmente ad Au in L
2
(0, T; V

). Fissati ad
arbitrio H
1
(0, T) con (T) = 0, e w V
n
k
, dallequazione approssimante
vericata da u
n
k
si ottiene (moltiplicando per w (t) ed integrando per parti)

_
T
0
u
n
k
(t), w)

(t) dt =
_
T
0
f(t) Au
n
k
(t), w)(t) dt + (u
n
k
(0), w) (0) .
Anzi, (per la monotonia dei V
n
), ssato k si ha, h > k,

_
T
0
u
n
h
(t), w)

(t) dt =
_
T
0
f(t) Au
n
h
(t), w)(t) dt + (u
n
h
(0), w) (0) ,
quindi, al limite per h +,

_
T
0
u(t), w)

(t) dt =
_
T
0
f(t) Au(t), w)(t) dt + (u
0
, w) (0) .
Luguaglianza precedente `e stata dimostrata k N e w V
n
k
; ma `e facile
controllare che vale w V . Si ha quindi, in particolare, che

_
T
0
u(t), w)

(t) dt =
_
T
0
f(t)Au(t), w)(t) dt w V, T(0, T) .
Ne viene che f(t) Au(t) `e la derivata distribuzionale di u(t) (si ricordino
la Denizione 3.6 e la Proposizione 3.4, e si osservi che, z V

, posto
w := J
1
z, risulta u(t), w) = J(J
1
u(t), w) = ((u(t), Jw))

= ((u(t), z))

,
e, analogamente, f(t) Au(t), w) = ((f(t) Au(t), z))

); in particolare, ne
viene che
u H
1
(0, T; V, V

) e u

(t) + Au(t) = f(t) q.o. in


]
0, T
[
.
Fissati ad arbitrio w V e H
1
(0, T) con (0) = 1 e (T) = 0, molti-
plichiamo lequazione precedente per w (t) ed integriamo per parti il primo
termine; otteniamo

_
T
0
u(t), w)

(t) dt +
_
T
0
Au(t), w)(t) dt =
3.2. IL METODO DI LIONS. Pag. 81
_
T
0
f(t), w)(t) dt + (u(0), w) .
Confrontando con lequazione ottenuta passando al limite per h + e
grazie alla densit`a di V in H, si conclude inne che u(0) = u
0
.
iii): regolarit`a. Terminiamo la dimostrazione del Teorema mostrando
che una maggiore regolarit`a dei dati permette di ottenere ulteriori infor-
mazioni sulla soluzione. Supponiamo dunque che A sia simmetrico, che
f L
2
(0, T; H), e che u
0
V . Riprendiamo il problema (Pb
n
), ed os-
serviamo che in questo caso possiamo supporre che u
0n
V
n
, ed inoltre
lim
n
u
0n
= u
0
in V , e |u
0n
| c
2
|u
0
|. Ci servir`a unulteriore stima, che ora
deduciamo. In (Pb
n
), scegliamo v := u

n
(t) ed integriamo; si ottiene
_
t
0
[u

n
()[
2
d +
_
t
0
Au
n
(), u

n
()) d =
_
t
0
(f(), u

n
()) d .
Osservato che (grazie anche alla simmetria di A) risulta
Au
n
(), u

n
()) =
1
2
d
d
Au
n
(), u
n
()) ,
si ha che
_
t
0
Au
n
(), u

n
()) d =
1
2
Au
n
(t), u
n
(t))
1
2
Au
0n
, u
0n
)

2
|u
n
(t)|
2


2
[u
n
(t)[
2

1
2
|A|
L(V ;V

)
|u
0n
|
2

2
|u
n
(t)|
2


2
[u
n
(t)[
2
c
3
|u
0
|
2
.
`
E poi evidente che
_
t
0
(f(), u

n
()) d
1
2
_
t
0
[f()[
2
d +
1
2
_
t
0
[u

n
()[
2
d ;
in denitiva, ne risulta facilmente che
1
2
_
t
0
[u

n
()[
2
d +

2
|u
n
(t)|
2


2
[u
n
(t)[
2
+ c
3
|u
0
|
2
+
1
2
_
T
0
[f(t)[
2
dt .
poiche u
n
`e limitata in C
0
(
[
0, T
]
; H), ne segue che
1
2
_
t
0
[u

n
()[
2
d +

2
|u
n
(t)|
2
c
4
t
[
0, T
]
.
Ne viene, in particolare, che u

n
`e limitata in L
2
(0, T; H); ne possiamo
quindi estrarre una sottosuccessione u

n
k
debolmente convergente ad uno
z L
2
(0, T; H). poiche per`o il limite di u

n
nel senso delle distribuzioni
a valori in V

`e u

, ne consegue che u

= z; quindi u

L
2
(0, T; H) e
|u

|
L
2
(0,T;H)
c
5
_
|u
0
| +|f|
L
2
(0,T;H)
_
.
Inne, dallequazione in (Pb) si ricava che Au = f u

L
2
(0, T; H), e
che |Au|
L
2
(0,T;H)
|f|
L
2
(0,T;H)
+|u

|
L
2
(0,T;H)
c
6
_
|u
0
| +|f|
L
2
(0,T;H)
_
.
Pag. 82 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
3.2.3 Qualche complemento.
Una nozione strettamente collegata a quella di operatore debolmente coercivo
`e la nozione di operatore V ellittico:
Denizione 3.12 A L(V ; V

) `e detto V ellittico se > 0 tale che
risulti Av, v) |v|
2
v V .
Ovviamente, ogni risultato di esistenza ed unicit`a valido per operatori
debolmente coercivi vale anche, in particolare, per operatori V ellittici. Re-
ciprocamente, se si ha un risultato di esistenza ed unicit`a per il problema
di Cauchy (Pb) con dati f, u
0
quando A `e V ellittico, allora lo stesso
risultato vale anche se A `e soltanto debolmente coercivo. In eetti, se in
(Pb) si eettua il cambiamento di funzione incognita w(t) := exp(t) u(t),
il problema, in termini di w, si scrive
_
w

(t) + Aw(t) + w(t) = f


1
(t) := exp(t) f(t),
w(0) = u
0
,
cio`e, ancora come un problema di tipo (Pb), ma relativo alloperatore A+I
(I := immersione di V in V

), che, se A `e debolmente coercivo (con costanti
0, > 0), `e V ellittico (con costante ).
Illustriamo ora brevemente alcune semplici estensioni
11
del Teorema 3.4
al caso di operatori o dati pi` u generali.
Una prima estensione riguarda la possibilit`a di perturbare loperatore
debolmente coercivo A L(V ; V

) con un operatore di ordine inferiore; si


ha, ad esempio, la seguente
Proposizione 3.13 Siano: A L(V ; V

) un operatore debolmente coercivo;


B un operatore in L(V ; H); f, u
0
assegnate rispettivamente in L
2
(0, T; V

)
ed in H. Allora esiste ununica u H
1
(0, T; V, V

) che risolve il problema di


Cauchy
(Pb(A, B)) :
_
u

(t) + Au(t) + Bu(t) = f(t) q.o. in ]0, T[,


u(0) = u
0
;
u dipende con continuit`a dai dati: |u|
H
1
(0,T;V,V

)
c
7
_
[u
0
[ +|f|
L
2
(0,T;V

)
_
.
Se, inoltre: A `e simmetrico
12
, f L
2
(0, T; H) ed u
0
V , allora la soluzione
`e in H
1
(0, T; D(A; H), H), e vale la maggiorazione |u|
H
1
(0,T;D(A;H),H)

c
8
_
|u
0
| +|f|
L
2
(0,T;H)
_
.
Dim.: la parte riguardante esistenza, unicit`a e dipendenza continua della
soluzione dai dati `e conseguenza immediata del Teorema 3.4, pur di mostra-
re (come ora faremo) che, nelle ipotesi poste, anche A+B `e un operatore de-
bolmente coercivo in L(V ; V

). In eetti, `e evidente che (A+B) L(V ; V

),
e che se risulta Av, v) + [v[
2
|v|
2
v V (con 0, > 0), allora
11
data limportanza, anche in vista delle applicazioni, del Teorema 3.4, ne sono state
date numerose altre, in varie direzioni, che per`o non `e qui possibile esporre.
12
si noti che la richiesta di simmetria `e fatta solo su A.
3.2. IL METODO DI LIONS. Pag. 83
(

0, > 0) : (A + B)v, v) +

[v[
2
|v|
2
, sempre v V . In-
fatti, si ha intanto che, > 0, [Bu, u)[ = [(Bu, u)[ |B|
L(V ;H)
|u| [u[
|B|
L(V ;H)
_

2
|u|
2
+
1
2
[u[
2
_
; posto :=

|B|
L(V ;H)
, si ottiene che
(A+ B)u, u)

2
|u|
2

_
+
|B|
2
L(V ;H)
2
_
[u[
2
,
cio`e la disuguaglianza cercata, con
:=

2
,

:= +
|B|
2
L(V ;H)
2
.
Per ci`o che riguarda il risultato di regolarit`a, riprendiamo la dimostrazio-
ne del Teorema 3.4, punto iii), di cui manteniamo le notazioni. Si osservi
intanto che
[Bu
n
(), u

n
())[ = [(Bu
n
(), u

n
())[ |B|
L(V ;H)
|u
n
()| [u

n
()[
|B|
L(V ;H)
_

2
|u
n
()|
2
+
1
2
[u

n
()[
2
_
> 0. Scelto := 2|B|
L(V ;H)
, ne risulta che
_
t
0
Bu
n
(), u

n
()) d |B|
2
L(V ;H)
_
t
0
|u
n
()|
2
d
1
4
_
t
0
[u

n
()[
2
d .
Combinando questa disuguaglianza con le maggiorazioni trovate nella di-
mostrazione del Teorema 3.4, iii) per gli integrali
_
t
0
Au
n
(), u

n
()) d e
_
t
0
(f(), u

n
()) d, si ricava che
1
4
_
t
0
[u

n
()[
2
d +

2
|u
n
(t)|
2

1
2
_
T
0
[f(t)[
2
dt + c
3
|u
0
|
2
+

2
|u
n
|
C
0
([0,T];H)
+|B|
2
(V ;H)
|u
n
|
L
2
(0,T;V )
;
poiche u
n
`e limitata sia in C
0
([0, T]; H) sia in L
2
(0, T; V ), il primo membro
della disuguaglianza precedente `e limitato; la conclusione segue come nel
Teorema 3.4, iii).
Una seconda estensione `e relativa ad un risultato di regolarit`a valido in
ipotesi meno restrittive su f:
Proposizione 3.14 Sia A L(V ; V

) un operatore debolmente coercivo e


simmetrico; sia u
0
V , e supponiamo che f si possa scrivere nel modo
seguente: f = f
1
+ f
2
, con f
1
L
2
(0, T; H) ed f
2
H
1
(0, T; V

). Allora la
soluzione u del problema di Cauchy (Pb) verica inoltre u L

(0, T; V ),
u

L
2
(0, T; H).
Pag. 84 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Dim.: se in (Pb
n
) si sceglie v := u

n
e si integra tra 0 e t, si ottiene
_
t
0
[u

n
()[
2
d +

2
|u
n
(t)|
2


2
[u
n
(t)[
2
+ c
3
|u
0
|
2
+
_
t
0
f(), u

n
()) d

2
[u
n
(t)[
2
+c
3
|u
0
|
2
+
1
2
_
T
0
[f
1
(t)[
2
dt+
1
2
_
t
0
[u

n
()[
2
d +
_
t
0
f
2
(), u

n
()) d .
Resta da valutare lultimo termine scritto. Per ogni > 0, risulta
_
t
0
f
2
(), u

n
()) d = f
2
(t), u
n
(t)) f
2
(0), u
n
(0))
_
t
0
f

2
(), u
n
()) d

2
|f(t)|
2

+
1
2
|u
n
(t)|
2
+
1
2
|f
2
(0)|
2

+
1
2
|u
n
(0)|
2
+
1
2
_
T
0
|f
2
(t)|
2

dt +
1
2
_
T
0
|u
n
(t)|
2
dt .
Scegliendo :=
2

, ed osservato che
1
2
|u
n
(0)|
2
c
9
|u
0
|
2
, si ottiene che
1
2
_
t
0
[u

n
()[
2
d +

4
|u
n
(t)|
2


2
[u
n
(t)[
2
+ c
10
|u
0
|
2
+
1
2
|u
n
|
2
L
2
(0,T;V )
+
1
2
|f
1
|
2
L
2
(0,T;H)
+
_
1

+
1
2
_
|f
2
|
2
C
0
([0,T];V

)
+
1
2
|f

2
|
2
L
2
(0,T;V

)
.
La limitatezza di u
n
in C
0
(0, T; H) ed in L
2
(0, T; V ) permette ora di
concludere la dimostrazione.
Osservazione 3.5 La formulazione ora vista (in termini di operatori linea-
ri ) pu`o essere sostituita, in modo equivalente, con quella in termini di forme
bilineari. Dato A L(V ; V

), se si pone a(u, v) := Au, v) u, v V , si vede
che lapplicazione a : V V R `e bilineare (cio`e, v V , lapplicazione
u a(u, v) `e lineare, e, u V , lapplicazione v a(u, v) `e lineare) e
continua (M : a(u, v) M|u| |v| u, v V ). Se A`e debolmente coercivo,
(( 0, > 0) : Av, v)+ [v[
2
|v|
2
v V ), lo `e anche a con le stesse
costanti(v V a(v, v) + [v[
2
|v|
2
). Se A `e simmetrico, lo `e anche
a (a(u, v) = a(v, u) u, v V ). Reciprocamente, se `e data unapplicazione
a : V V R che sia bilineare e continua, si verica subito che per u ssata
in V lapplicazione v a(u, v) `e un elemento di V

, che `e lecito indicare con
Au, dove A L(V ; V

). Se a `e debolmente coerciva lo `e anche A, e se a `e
simmetrica lo `e anche A.
La formulazione in termini di una forma bilineare pu`o ad esempio rendere
pi` u agevole lestensione (sulla quale peraltro non ci soermiamo) al caso di
forme pi` u generali, anche dipendenti dal tempo.
3.3. IL METODO DI HILLE-YOSIDA. Pag. 85
3.3 Il metodo di Hille-Yosida.
Esponiamo ora, per il problema di evoluzione che stiamo considerando, il
cosiddetto metodo di Hille-Yosida, fondato, anziche sulla nozione di terna
hilbertiana, su quella di operatore monotono massimale (non necessariamente
lineare) in uno spazio di Hilbert.
3.3.1 Il caso lineare.
Questo caso `e sviluppato in [Br], Capitolo 7, al quale rinviamo per una
trattazione esauriente; ci limitiamo qui a ricordare i risultati principali.
Teorema 3.5 (di Hille-Yosida lineare) Sia A un operatore lineare mono-
tono massimale in H. Per ogni ssato u
0
D(A), esiste ununica funzione
13
u C
0
(
[
0, +
[
; D(A)) C
1
(
[
0, +
[
; H)
che risolve il problema di Cauchy
_
u

(t) + Au(t) = 0 t 0 ,
u(0) = u
0
.
La soluzione u verica inoltre le maggiorazioni:
[u(t)[ [u
0
[; [u

(t)[ = [Au(t)[ [Au


0
[ , t 0 .
Denizione 3.13 Nelle ipotesi e con le notazioni del Teorema 3.5, ponia-
mo, t 0,
S
A
(t) u
0
:= u(t) .
poiche D(A) `e denso in H e [S
A
(t) u
0
[ [u
0
[, si pu`o prolungare la denizione
di S
A
(t) (in modo unico) a tutto H; tale prolungamento verr`a indicato ancora
con S
A
(t), e detto il semigruppo generato da A.
Si vede facilmente che
Proposizione 3.15 La famiglia S
A
(t)
t0
`e un semigruppo continuo di
contrazioni lineari, cio`e, verica le propriet`a seguenti:
i) S
A
(0) = I; t
1
, t
2
0 si ha S
A
(t
1
+ t
2
) = S
A
(t
1
)S
A
(t
2
);
ii) lim
t0+
[S
A
(t)u
0
u
0
[ = 0 u
0
H;
14
iii) t 0, S
A
(t) L(H) := L(H; H), e |S
A
(t)|
L(H)
1.
Osservazione 3.6 Reciprocamente, si pu`o dimostrare che, dato un semi-
gruppo continuo di contrazioni lineari S(t)
t0
, esiste un unico operatore
lineare monotono massimale A tale che S(t) = S
A
(t) t 0.
13
D(A) (pi` u in generale, D(A
j
) con j N) `e munito del prodotto scalare (u, v)
D(A
j
)
:=

j
k=0
(A
k
u, A
k
v) (dove si `e posto A
0
:= I).
14
ne viene evidentemente che, u
0
H e t
0
> 0, lim
h0
[S
A
(t
0
+h)u
0
S
A
(t
0
)u
0
[ = 0.
Pag. 86 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Osservazione 3.7 Alcune estensioni del Teorema 3.5 al caso di un ope-
ratore denito su uno spazio di Banach, nonche ad equazioni con secondo
membro non nullo, sono brevemente richiamate in [Br], Complementi al
Capitolo 7, assieme a qualche cenno su metodi iterativi per la soluzione del
problema di Cauchy.
Ulteriori propriet`a (si veda [Br], Teorema VII.5 e Teorema VII.7)
sono le seguenti:
Proposizione 3.16 Se u
0
D(A
k
) con k > 1, la soluzione u data dal
Teorema 3.5 `e inoltre tale che
u C
kj
(
[
0, +
[
; D(A
j
)) (j = 0, 1, . . . , k) .
Proposizione 3.17 Se A `e un operatore lineare monotono massimale ed
inoltre autoaggiunto, allora u
0
H esiste ununica funzione
u C
0
(
[
0, +
[
; H) C
0
(
]
0, +
[
; D(A)) C
1
(
]
0, +
[
; H)
tale che
_
u

(t) + Au(t) = 0 t > 0,


u(0) = u
0
.
Inoltre, risulta
[u(t)[ [u
0
[ , [u

(t)[ = [Au(t)[
1
t
[u
0
[ t > 0 ;
u C
k
(
]
0, +
[
; D(A
j
)) k, j N .
3.3.2 Il caso non lineare.
Esaminiamo ora la possibilit`a di estendere (alcuni) dei risultati precedenti
al caso non lineare. Se A `e un operatore monotono massimale multivoco,
occorre intanto modicare la formulazione del corrispondente problema di
Cauchy, che va scritto
_
u

(t) + Au(t) 0 ,
u(0) = u
0
.
Da unattenta rilettura della dimostrazione del Teorema VII.4 in [Br],
appare evidente che molti passaggi richiedono solo la monotonia, non la li-
nearit`a, delloperatore; daltra parte, certamente non tutti i risultati validi
nel caso lineare possono essere estesi a quello non lineare. In particolare,
non si potranno ipotizzare gli stessi risultati sulla regolarit`a della soluzione,
neppure quando H = R; ad esempio, la funzione u(t) := (1 t)
+
, che non `e
in C
1
(
[
0, +
[
), `e soluzione del problema di Cauchy
_
u

(t) + Au(t) 0 q.o. in


]
0, +
[
,
u(0) = 1 ,
3.3. IL METODO DI HILLE-YOSIDA. Pag. 87
relativo alloperatore (monotono massimale) A di Heaviside (Esempio 2
del Paragrafo 2.6).
Occorre quindi riprendere in esame il problema, per precisare ci`o che si
pu`o estendere al caso non lineare.
Un primo risultato `e la seguente versione non lineare del teorema di
Hille-Yosida:
Teorema 3.6 Sia A un operatore (multivoco) monotono massimale; u
0

D(A), esiste ununica funzione u tale che:
i) u C
0
(
[
0, +
[
; H) ; t 0, u(t) D(A) ; u

(0, +; H);
ii) u

(t) + Au(t) 0 q.o. in


]
0, +
[
;
iii) u(0) = u
0
.
Inoltre, valgono le seguenti propriet`a:
iv) [u

(t)[ [A
0
u
0
[, q.o. in
]
0, +
[
(il che precisa lultima delle i));
v) t 0, la funzione t [A
0
u(t)[ `e non crescente, e la funzione
t A
0
u(t) `e continua da destra;
vi) t 0, esiste la derivata destra D
+
u(t), e si ha D
+
u(t) +A
0
u(t) = 0;
vii) se u
1
, u
2
sono soluzioni di i), ii), allora, t > 0, [u
1
(t) u
2
(t)[
[u
1
(0) u
2
(0)[.
Dim.: vii): poiche A `e monotono, si ha
(u

1
(t) + u

2
(t), u
1
(t) u
2
(t)) 0, q.o. in
]
0, +
[
,
quindi
1
2
d
dt
[u
1
(t) u
2
(t)[
2
0 ;
perci`o, la funzione t [u
1
(t) u
2
(t)[ `e non crescente, e, in particolare,
[u
1
(t)u
2
(t)[ [u
1
(0)u
2
(0)[ per ogni t > 0, da cui lunicit`a della soluzione.
Per dimostrare lesistenza della soluzione, consideriamo intanto, > 0
ssato, la soluzione u

in C
1
(
[
0, +
[
; H) del problema
_
u

(t) + A

(t) = 0 t 0 ,
u

(0) = u
0
(si veda il teorema di Cauchy-Lipschitz-Picard cfr. [Br], Teorema
VII.3). Per la vii), h > 0 si ha [u

(t +h) u

(t)[ [u

(h) u

(0)[, da cui,
data la regolarit`a di u

,
[u

(t)[ = [A

(t)[ [u

(0)[ = [A

(0)[ = [A

u
0
[ [A
0
u
0
[ .
La propriet`a fondamentale di u

, che ora proveremo, `e la seguente:


T > 0 ssato, u

(t) converge uniformemente in H su


[
0, T
]
;
Pag. 88 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
detto u( C
0
(
[
0, T
]
; H)) il suo limite, ne viene in particolare che u(0) = u
0
,
cio`e la iii).
Dimostriamo che u

`e di Cauchy in C
0
(
[
0, T
]
; H) quando 0+.
In eetti, , > 0 si ha intanto che u

+ A

= 0, da cui
(u

, u

) + (A

, u

) = 0,
cio`e
1
2
d
dt
[u

[
2
+ (A

, u

) = 0.
Osservato poi che
u

= (u

) + (J

) (u

) =
A

+ (J

) A

,
dalla monotonia di A
15
si ottiene
(A

, u

) = (A

, A

)+
(A

, J

) (A

, A

)
[A

[ [A

[ 2( + )[A
0
u
0
[
2
,
quindi
d
dt
[u

[
2
4( + )[A
0
u
0
[
2
,
da cui, (integrando tra 0 e t T),
[u

(t) u

(t)[ 2
_
( + )t [A
0
u
0
[ 2
_
( + )T [A
0
u
0
[.
Di conseguenza, per 0+ si ha che u

converge uniformemente su
[
0, T
]
ad una funzione u C
0
(
[
0, T
]
; H), ed inoltre
[u

(t) u(t)[ 2

t [A
0
u
0
[.
Si ha altres` che
[J

(t) u(t)[ [J

(t) u

(t)[ +[u

(t) u(t)[ =
[A

(t)[ +[u

(t) u(t)[ [A
0
u
0
[ +[u

(t) u(t)[ (+2

T )[A
0
u
0
[;
quindi, anche J

converge uniformemente ad u su
[
0, T
]
.
Dimostriamo che u `e la soluzione cercata.
i): sia
n
R
+
una successione innitesima di numeri positivi; poiche,
t
[
0, T
]
, u
n
(t) u(t) e [A
n
u
n
(t)[ [A
0
u
0
[, `e possibile estrarre da
u
n
una sottosuccessione u
n
k
per la quale risulti A
n
k
u
n
k
(t) v(t)
in H
w
; ovviamente, u
n
k
(t) u(t) e J
n
k
u
n
k
(t) u(t) in H
s
. poiche
15
si ricordi (Proposizione 2.14, i)) che A

x AJ

x.
3.3. IL METODO DI HILLE-YOSIDA. Pag. 89
A
n
k
u
n
k
(t) AJ
n
k
u
n
k
(t), la chiusura di A in H
s
H
w
implica che u(t) `e
in D(A) e v(t) in Au(t); inoltre, evidentemente
[A
0
u(t)[ [v(t)[ liminf
k

A
n
k
u
n
k
(t)

limsup
k

A
n
k
u
n
k
(t)

[A
0
u
0
[.
iv): pi` u sopra, si `e visto che [u

(t)[ [A
0
u
0
[. Fissata una successione
innitesima
n
di numeri positivi tale che u

n
converga nella topologia
debole

di L

(0, T; H) ad un elemento w
16
, si ha intanto che u

n
w
in T

(
]
0, T
[
; H); daltra parte, poiche u

u in L

(0, T; H), dunque in


T

(
]
0, T
[
; H), ne viene anche u

n
u

in T

(
]
0, T
[
; H). Di conseguenza,
u

= w L

(0, T; H); `e facile inoltre controllare che lintera famiglia u

tende ad u

nella topologia debole

di L

(0, T; H), e ci`o implica anche


[u

(t)[ liminf
0+
[u

(t)[ [A
0
u
0
[ q.o. in
]
0, T
[
,
da cui, per larbitrariet`a di T, in
]
0, +
[
, cio`e la tesi.
ii): si consideri loperatore (monotono massimale) / su H := L
2
(0, T; H)
denito, a partire da A, come nellEsempio v) del Paragrafo 2.2 (si ricordi
lEsempio iii) del Paragrafo 2.4). Come si `e visto, per ogni successione
innitesima
n
di numeri positivi si ha J
n
u
n
u in H, u

n
/J
n
u
n
e u

n
u

debolmente in H. Per la chiusura di / in H


s
H
w
, ne viene
che u

/u, cio`e u

+/u 0, quindi che u

(t)+Au(t) 0 q.o. in
]
0, +
[
(data larbitrariet`a di T).
vi): per quanto riguarda la monotonia di t [A
0
u(t)[, si osservi che,
ssato t
0
> 0, e posto v(t) := u(t + t
0
), la funzione t v(t) verica i), ii),
ed inoltre v(0) = u(t
0
). Di conseguenza, [v

(t)[ = [u

(t + t
0
)[ [A
0
v(0)[ =
[A
0
u(t
0
)[ per la ii); ma allora [A
0
u(t + t
0
)[ [u

(t + t
0
)[ [A
0
u(t
0
)[. Res-
ta da dimostrare la continuit`a da destra di t A
0
u(t) nel generico punto
t
0
0. Fissiamo una successione
n
innitesima di numeri positivi; poiche
[A
0
u(t
0
+
n
)[ `e limitata da [A
0
u
0
[, possiamo estrarre una sottosuccessione

n
k
tale che A
0
u(t
0
+
n
k
) v, da cui [v[ liminf
k
[A
0
u(t
0
+
n
k
)[. poiche,
per la i), u(t
0
+
n
k
) u(t
0
), la chiusura di A in H
s
H
w
implica che
v Au(t
0
); per la monotonia di t [A
0
u(t)[, limsup
k
[A
0
u(t
0
+
n
k
)[
[A
0
u(t
0
)[ [v[, cio`e, in denitiva, lim
k
[A
0
u(t
0
+
n
k
)[ = [A
0
u(t
0
)[. Ci`o
permette di concludere che tutta la successione A
0
u(t
0
+
n
) converge
fortemente in H ad u(t
0
).
v): posto I := t > 0 [ u

(t) e u

(t) Au(t), R
+
I ha misura nulla.
Dalla iv) si ha che, > 0 e h > 0, risulta [u( + h) u()[ h[A
0
u()[,
dato che u( +h)u() =
_
+h

(t) dt. Quindi, I, [u

()[ [A
0
u()[,
da cui u

() + A
0
u() = 0; ssato t
0
0, ed integrando su
[
t
0
, t
0
+ h
]
(con
h > 0), si ottiene

u(t
0
+ h) u(t
0
)
h
+ A
0
u(t
0
)

1
h
_
t
0
+h
t
0
u

() d + A
0
u(t
0
)

=
16
si ricordi il Corollario III.26 di [Br].
Pag. 90 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.

1
h
_
t
0
+h
t
0
A
0
u(t
0
) A
0
u() d

.
Ne viene che t u(t) `e derivabile da destra in t
0
, e che D
+
u(t
0
)+A
0
u(t
0
) = 0,
e ci`o conclude la dimostrazione.
Osservazione 3.8 i) Contrariamente al caso lineare, non si pu`o concludere,
in generale, che la funzione t [u(t)[ sia non crescente, neppure quando
H = R ed A `e univoco: la funzione u(t) := log(t + 1) verica u

(t) +
exp u(t) = 0 , u(0) = 0; loperatore x Ax := exp x `e evidentemente
monotono massimale; ma la funzione t [u(t)[ `e strettamente crescente su
[
0, +
[
.
ii)Una condizione suciente a garantire (nel caso generale di un operatore
monotono massimale su uno spazio di Hilbert) la non crescenza di [u(t)[ `e,
ad esempio, che 0 A0: in tal caso, si ha infatti
1
2
d
dt
[u(t)[
2
= (u

(t), u(t)) =
(u

(t) + 0, u(t) 0) 0.
Fissati t 0 ed u
0
D(A), lapplicazione u
0
u(t) `e, per quanto si `e
visto, una contrazione (in senso largo) su D(A), che possiamo prolungare,
per continuit`a, a D(A). Tale prolungamento verr`a indicato con S
A
(t).
`
E
immediato vericare che
Proposizione 3.18 S
A
(t)
t0
`e un semigruppo continuo di contrazio-
ni non lineari (il semigruppo generato da A); valgono cio`e le seguenti
propriet`a:
i) S
A
(0) = I ; t
1
, t
2

[
0, +
[
si ha S
A
(t
1
+ t
2
) = S
A
(t
1
)S
A
(t
2
);
ii) u
0
D(A) , lim
t0+
[S
A
(t)u
0
u
0
[ = 0
17
;
iii) u
1
, u
2
D(A), t
[
0, +
[
, [S
A
(t)u
1
S
A
(t)u
2
[ [u
1
u
2
[.
`
E importante osservare che ci sono classi di operatori monotoni massimali
tali che il semigruppo da essi generato ha un eetto regolarizzante sul dato
iniziale, nel senso che, u
0
D(A) e t > 0, risulta S
A
(t)u
0
D(A). Nel
caso lineare, ci`o accade ad esempio se A `e autoaggiunto (si ricordi la Propo-
sizione 3.17). Nel caso non lineare, un esempio signicativo `e quello in cui
A `e il sottodierenziale di una funzione convessa, propria, s.c.i.:
Proposizione 3.19 Sia una funzione convessa, propria, s.c.i. su H; po-
niamo A := , e sia S
A
(t)
t0
il semigruppo generato da A su D(A).
Allora, u
0
D(A) e t > 0 si ha S
A
(t)u
0
D(A); inoltre, v D(A) e
t > 0 risulta [A
0
S
A
(t)u
0
[ [A
0
v[ +
1
t
[u
0
v[.
Dim.: consideriamo il problema di Cauchy per lapprossimante di Yosida
A

di A:
_
u

(t) + A

(t) = 0 in
]
0, +
[
;
u

(0) = u
0
.
17
ne viene altres` che, u
0
D(A) e t
0
> 0, lim
h0
[S
A
(t
0
+h)u
0
S
A
(t
0
)u
0
[ = 0.
3.3. IL METODO DI HILLE-YOSIDA. Pag. 91
Cominciamo a dimostrare che
per ogni t > 0 ssato, la soluzione u

(t) tende a S
A
(t)u
0
quando 0+.
In eetti, se u
0
D(A) ed u

(t) `e la soluzione del problema di Cauchy per


A

con dato iniziale u


0
, si ha (grazie a: Teorema 3.6, vii) e Proposizione
3.18, iii)), che
[u

(t) S
A
(t)u
0
[ [u

(t) u

(t)[ +[ u

(t) S
A
(t) u
0
[ +[S
A
(t) u
0
S
A
(t)u
0
[
2[u
0
u
0
[ +[ u

(t) S
A
(t) u
0
[ .
Di conseguenza, ssato ad arbitrio > 0, possiamo determinare u
0
D(A)
tale che [u
0
u
0
[ < ; ma, nella dimostrazione del Teorema 3.6 (applicato,
come `e lecito, ad u
0
), si `e visto che per sucientemente piccolo anche
[ u

(t) S
A
(t) u
0
[ < , da cui la tesi.
Fissiamo ora un elemento v H; si ha, per denizione,

(u)

(v)
(A

v, u v); perci`o, la funzione u

(u) :=

(u)

(v) (A

v, u v)
`e convessa, non negativa, e dierenziabile secondo Frechet (quindi, an-
che secondo G ateau) per ogni u H; inoltre,

(v) = 0 e

(u) =

(u) =

(u) A

v = A

u A

v, cosicche lequazione u

(t) +
A

(t) = 0 si pu`o scrivere nella forma


u

(t) +

(u

(t)) = A

v .
Stabiliamo ora una maggiorazione dellenergia. Moltiplicando ambo i membri
dellequazione precedente per tu

(t) si ottiene
t [u

(t)[
2
+ t
d
dt

(u

(t)) = t (A

v, u

(t)),
da cui
_
t
0
s [u

(s)[
2
ds + t

(u

(t))
_
t
0

(u

(s)) ds =

_
t
0
s (A

v, u

(s)) ds =
_
t
0
s
d
ds
(A

v, u

(s) v) ds =
t (A

v, u

(t) v) +
_
t
0
(A

v, u

(s) v) ds,
quindi
_
t
0
s [u

(s)[
2
ds
_
t
0

(u

(s)) ds t (A

v, u

(t) v)+
_
t
0
(A

v, u

(s) v) ds
(perche

(u

(t)) 0). poiche

(v)

(u

(s)) (

(u

(s)), v u

(s)),
da cui anche

(u

(s)) (u

(s) + A

v, v u

(s)) =
1
2
d
ds
[v u

(s)[
2
+
(A

v, v u

(s)), si ha che
_
t
0

(u

(s)) ds
1
2
[v u
0
[
2

1
2
[v u

(t)[
2
+
_
t
0
(A

v, v u

(s)) ds ;
Pag. 92 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
perci`o,
_
t
0
s [u

(s)[
2
ds
1
2
[u
0
v[
2

1
2
[u

(t) v[
2
t (A

v, u

(t) v)
1
2
t
2
[A

v[
2
+
1
2
[u
0
v[
2
.
Ma poiche, s
[
0, t
]
, si ha [u

(t)[ [u

(s)[, ne viene che


1
2
t
2
[u

(t)[
2

1
2
t
2
[A

v[
2
+
1
2
[u
0
v[
2
, da cui [u

(t)[
2
[A

v[
2
+
1
t
2
[u
0
v[
2
, e, in denitiva,
se v D(A),
[A

(t)[ = [u

(t)[ [A

v[ +
1
t
[u
0
v[ [A
0
v[ +
1
t
[u
0
v[ .
`
E ora facile concludere la dimostrazione. Dato che, per t > 0 ssato,
A

(t) `e limitata e u

(t) converge ad S
A
(t)u
0
per 0+, procedendo
come nella dimostrazione del Teorema 3.6, i) (e cio`e: osservando che anche
J

(t) tende ad S
A
(t)u
0
, poiche [J

(t) S
A
(t)u
0
[ [J

(t) u

(t)[+
[u

(t) S
A
(t)u
0
[ = [A

(t)[ + [u

(t) S
A
(t)u
0
[; che A

(t) AJ

(t);
usando la chiusura di A in H
s
H
w
), si conclude inne che, t > 0, S
A
(t)u
0

D(A), e
[A
0
S
A
(t)u
0
[ liminf
0+
[A

(t)[ [A

v[ +
1
t
[u
0
v[ [A
0
v[ +
1
t
[u
0
v[ .
Il risultato ora visto pu`o essere riformulato nel modo seguente:
Proposizione 3.20 Data una funzione convessa, propria, s.c.i. su H,
poniamo A := , e sia S
A
(t)
t0
il semigruppo generato da A su D(A).
Allora, u
0
D(A) esiste ununica u :
[
0, +
[
H tale che:
i) u C
0
(
[
0, +
[
; H) ; u(0) = u
0
;
ii) t > 0, u(t) D(A);
iii) > 0, la derivata distribuzionale u

di u `e in L

(, +; H) e
verica, v D(A) e q.o. in
]
, +
[
, [u

(t)[ [A
0
v[ +
1

[u
0
v[;
iv) t > 0, esiste la derivata destra D
+
u(t) di u, e D
+
u(t) +A
0
u(t) = 0.
Inoltre,
v) la funzione t [A
0
u(t)[ `e non crescente; la funzione t A
0
u(t) `e
continua da destra;
vi) la funzione t (u(t)) `e convessa, non crescente, e, per ogni > 0,
lipschitziana su
[
, +
[
; inoltre, t > 0, D
+
(u(t)) = [D
+
u(t)[
2
.
Dim.: esistenza. Detto S
A
(t)
t0
il semigruppo generato da A su D(A),
e posto u(t) := S
A
(t)u
0
, le propriet`a di S
A
(t) implicano intanto che vale
la i). La ii) e la iii) seguono dalla Proposizione 3.19, osservando che, q.o.
in
]
, +
[
, si ha u

(t) u

(t) in H
w
, da cui [u

(t)[ liminf

[u

(t)[
[A
0
v[ +
1
t
[u
0
v[ [A
0
v[ +
1

[u
0
v[. Inne, ssato t
0
> 0 si ponga v(t) :=
u(t+t
0
) = S
A
(t+t
0
)u
0
= S
A
(t) (S
A
(t
0
)u
0
) = S
A
(t)u(t
0
). Allora, v `e soluzione
3.3. IL METODO DI HILLE-YOSIDA. Pag. 93
del problema di Cauchy relativo ad A ed al dato iniziale v(0) := u(t
0
)
D(A), e le iv), v) seguono dal Teorema 3.6, v), vi).
Unicit`a. Se w :
[
0, +
[
H verica i). . . iv), la funzione t v(t) :=
w(t) S
A
(t)u
0
`e tale che v C
0
(
[
0, +
[
; H), v(0) = 0, e, q.o. in
]
0, +
[
, v

(t) = D
+
v(t) = A
0
w(t)+A
0
S
A
(t)u
0
; ne viene che
1
2
d
dt
[v(t)[
2
=
(A
0
w(t) A
0
S
A
(t)u
0
, w(t) S
A
(t)u
0
) 0, il che implica v(t) = 0 t 0.
vi): ssati > 0 ed h > 0, si ha ovviamente
(u(t + h)) (u(t)) (D
+
u(t), u(t + h) u(t)) ,
(u(t)) (u(t + h)) (D
+
u(t + h), u(t) u(t + h)) .
Per la monotonia di t [D
+
(t)[, risulta intanto che [D
+
u(t + h)[
[D
+
u(t)[ [D
+
u()[; daltra parte, [u(t + h) u(t)[
_
t+h
t
[u

(s)[ ds
[D
+
u()[ h, e quindi t (u(t)) `e lipschitziana. Ma le disuguaglianze
precedenti si possono anche scrivere

_
D
+
u(t + h),
u(t + h) u(t)
h
_

(u(t + h)) (u(t))


h

_
D
+
u(t),
u(t + h) u(t)
h
_
,
da cui, passando al limite per h 0+, e grazie anche alla v), D
+
(t) =
[D
+
u(t)[
2
, il che implica altres` la non crescenza e la convessit`a dellappli-
cazione t (u(t)).
Pag. 94 CAPITOLO 3. PROBLEMI DI EVOLUZIONE.
Indice analitico
A
0
, 51
A

, 24
AC(S; H), 74
applicazione di dualit`a, 45
approssimante di Yosida, 31, 32,
51, 57, 58, 90
autoconiugata, vedi funzione (da E
in R +), autoconiu-
gata
base algebrica, 2
biconiugata, vedi funzione (da E in
R +), biconiugata
bipolare, vedi funzione (da E in R
+), biconiugata
BV (S; H), 73

A
, 46
condizione di Cauchy, 67
condizione di Dirichlet, 67
condizione di Neumann, 67
condizione iniziale, vedi condizione
di Cauchy
coniugata, vedi funzione (da E in
R +), coniugata
cono normale, 47
contrazione, vedi operatore in H,
di contrazione
conv K, vedi convessicato di K
convessi
non separabili, 3
convessicata s.c.i. di , vedi fun-
zione (da E in R+),
biconiugata
convessicato di K, 9
D(A), vedi operatore lineare, do-
minio; vedi anche operatore
(da E in P(F)), dominio
, vedi sottodierenziale
derivata
di Frechet, 3637, 46
di G ateau, 3738
generalizzata, 71
dom, vedi funzione (da E in R
+), dominio
epi , vedi funzione (da E in R
+), epigraco
equazioni astratte di evoluzione ,
6793
metodo di Hille-Yosida
il caso lineare, 8586
il caso non lineare, 8693
metodo variazionale di Lions,
7584
[

]
, 4

, vedi funzione (da E in R+),


coniugata

, vedi funzione (da E in R


+), biconiugata
[
f =
]
, 2
funzionale
lineare non continuo, 2, 7
funzione
caratteristica, 46
funzione (da E in R +), 4
autoconiugata, 14
formalmente, 10, 14
biconiugata, 9
coniugata, 815
convessa, 47
in R
n
, 6
dappoggio, 15
dominio, 4
epigraco, 4
lipschitziana
localmente, 5
problemi di minimo:
dom compatto e s.c.i. , 7
95
Pag. 96 INDICE ANALITICO
propria, 4
s.c.i., 4, 78
funzione (da K in R +)
coerciva, 15
problemi di minimo:
E riessivo e coerciva, 15
funzione a valori vettoriali
a scala, 68
integrabile, 68
misurabile, 68
a variazione limitata, 7374
assolutamente continua, 74
integrabile, 68
misurabile, 68
funzione polare, vedi funzione (da
E in R+), coniugata
-regolarizzata, vedi funzione (da
E in R +), biconiu-
gata
G(A), vedi operatore lineare, gra-
co; vedi anche operatore (da
E in P(F))), graco
inviluppo superiore, 4, 7
iperpiano (ane), 2
non chiuso, 2
separante, 3
ker A, vedi operatore lineare, nu-
cleo; vedi anche operatore
(da E in P(F))), nucleo
laplaciano non lineare, 34
lemma
di Baire, 8
di Fatou, 69
di Zorn, 2
maggiorazione dellenergia, 91
maggiorazioni a priori, 52
N(A), vedi operatore lineare, nu-
cleo; vedi anche operatore
(da E in P(F))), nucleo
operatore (da E in P(F)), 33
dominio, 33
graco, 33
immagine, 33
nucleo, 33
univoco, 33
operatore accretivo, 36
operatore in E (da E in P(E

)),
3336
monotono, 33
massimale, 48
operatore in H (da H in P(H))
di contrazione, 34, 36, 51, 90
di proiezione, 34
estensione a L
2
(H), 70
limitato, 52
in un intorno di x
0
, 52
localmente, 52
monotono, 35
ciclicamente, 55
coercivo, 53
emicontinuo, 50
massimale, 4955
suriettivo, 52
operatore lineare, 22
aggiunto, 2329
autoaggiunto, 26
chiuso, 22
dominio, 22
graco di A, 22
hermitiano, 26
immagine di A, 22
limitato, 22
monotono, 31
massimale, 3132
nucleo, 22
prechiuso, 23
simmetrico, 26
suriettivo, 29
operatore non espansivo, vedi ope-
ratore in H, di contrazione
ortogonale, vedi sottospazio, orto-
gonale
p-laplaciano, vedi laplaciano non
lineare
polare, vedi funzione (da E in R
+), coniugata
problema
di Cauchy-Dirichlet, 67
INDICE ANALITICO Pag. 97
di Cauchy-Neumann, 67
di Dirichlet, 27
duale, 18
problema di minimo
libero, 16
vincolato, 16
range di A, vedi operatore lineare,
immagine; vedi anche ope-
ratore (da E in P(F))), im-
magine
R(A), vedi operatore lineare, im-
magine; vedi anche opera-
tore (da E in P(F))), im-
magine
regolarizzata (di) Yosida, vedi ap-
prossimante di Yosida
relazione di reciprocit`a, 23
risolvente, 31, 36, 50
sequenza ciclica, 55
sottodierenziale, 3847
sottogradiente, 38
sottospazio
ortogonale, 2021
spazi di Sobolev a valori vettoria-
li, 7173
spazi in dualit`a, 35
supplementare
topologico, 19, 22
teorema
di dualit`a di Fenchel, 17
di Bochner, 69
di Fenchel-Moreau, 9, 13,
40
di Hahn-Banach, 17, 40
di Hahn-Banach (forme geo-
metriche), 3
di Lebesgue, 69
di Pettis, 68
di Riesz, 2, 27
trasformata di Young-Fenchel,
vedi funzione (da E in R
+), coniugata

Potrebbero piacerti anche