Uno dei grandi spartiacque in matematica è tra ciò che è lineare e ciò che non è
lineare. Per esempio, risolvere un sistema di equazioni lineari è semplice, risolvere
un sistema di equazioni non lineari è difficile; se si vuole studiare una funzione non
lineare si ricorre spesso alla sua “linearizzazione”. In ottimizzazione la situazione
è alquanto differente e la distinzione più importante è tra ciò che è convesso e ciò
che non lo è. Questa distinzione in effetti corrisponde poi, volendo essere molto
riduttivi, alla distinzione tra problemi “facili” e problemi “difficili”. Ovviamente
anche in ottimizzazione la linearià ha un ruolo importante e semplifica molti
problemi, ma a livello concettuale e per molti risultati pratici, ciò che fa vera-
mente la differenza è la convessità. Notiamo fin d’ora che una funzione lineare è
anche una funzione convessa e quindi in qualche misura la convessità permette
di ampliare la gamma di problemi “facili”.
Convessità 1
Insiemi convessi
Per dare la definizione di insieme convesso è comodo utilizzare il concetto di
segmento.
Definizione 4.1. Siano x e y due punti in IRn . L’insieme dei punti di IRn
ottenuti come
z = (1 − β)x + βy,
al variare di β nell’intervallo [0, 1] viene definito come segmento (chiuso) di
estremi x e y e viene sinteticamente indicato con [x, y].
Example 4.1: Nella Figura 4.1 è rappresentato il segmento in IR2 avente per
estremi i punti x = (1, 1) T e y = (8, 5) T . Per β = 0 ritroviamo il punto x, mentre
per β = 1 ritroviamo il punto y; i punti segnati nella figura come xa , xb e xc
corrispondono rispettivamente a valori di β pari a 0.25, 0.5 e 0.75.
Dalla definizione segue che l’insieme vuoto, IRn e l’insieme costituito da un solo
punto sono insiemi convessi (banali). Il più semplice insieme convesso non banale
è il segmento di estremi x, y ∈ IRn .
Example 4.2: In IR2 gli insiemi (a) e (b) della Figura 4.2 sono convessi, mentre
gli insiemi (c) e (d) della stessa figura non lo sono. Infatti agli insiemi (c) e
(d) appartengono coppie di punti, quali quelle segnate nella figura, tali che il
segmento che li congiunge contiene dei punti non appartenenti all’insieme; ciò
non avviene invece comunque si prendano coppie di punti negli insiemi (a) e (b).
Convessità 3
Notiamo che anche se tutti gli esempi che abbiamo fatto fin’ora sono di insiemi
convessi chiusi, gli insiemi convessi non sono necessariamente chiusi. Per esempio,
la parte interna di tutti gli insiemi convessi della Figura 4.2 sono ancora insiemi
convessi. L’intervallo aperto (1, 2) è un altro esempio di insiemi convesso e non
chiuso. Un insieme convesso inoltre può essere né chiuso né aperto: l’intervallo
[1, 2) è un insieme convesso che non è né chiuso né aperto.
~ Attenzione quindi a non confondere insiemi convessi e insiemi chiusi,
sono due concetti indipendenti.
Fatte queste precisazioni, notiamo che in questo corso noi saremo interessati
essenzialmente a insiemi convessi che sono anche chiusi. Infatti gli insiemi con-
vessi che considereremo rappresenteranno, nella maggior parte dei casi, degli
insiemi ammissibili di problemi di ottimizzazione e abbiamo già detto che a noi,
in questo corso, interessano solo insiemi ammissibili chiusi.
il primo membro della (4.1) è ben definito. Analizziamo ora meglio il caso di una
funzione di una variabile, n = 1. Una volta disegnato il grafico della y = f (x),
nel piano xy i punti (x, f (x)) e (y, f (y)) sono due punti del grafico della funzione
f . Consideriamo ora la retta che passa per questi due punti; semplici calcoli
mostrano che il grafico di questa retta è dato dai punti (β, βf (x) + (1 − β)f (y)).
Si vede allora che la condizione (4.1) può essere espressa a parole dicendo che
una funzione è convessa se “giace al di sotto di tutte le sue corde”. Notiamo
che questa interpretazione della convessità non è limitata al caso n = 1; noi la
abbiamo illustrata in questo caso solo per comodità di rappresentazione grafica.
r −3x + 5
2
x se x ≤ 0
r f (x) =0 se 0 < x < 1
(x − 1)2 se x ≥ 1
r max{−x − 2, 2x + 10, x}
Notiamo subito che una funzione lineare o, più in generale, affine è sempre una
funzione convessa. Se infatti abbiamo f (x) = c T x + b, risulta ovviamente
c T (βx + (1 − β)y) + b = β(c T x + b) + (1 − β)(c T y + b)
e quindi la (4.1) è sempre soddisfatta con l’uguaglianza. Questo mostra che
f (x) = c T x + b è convessa ma non strettamente convessa. Vale quindi il seguente
risultato.
Osservazione 4.6. Ricordiamo che nel seguito di queste dispense, a meno che
non sia altrimenti indicato, indicheremo sempre con k · k la norma euclidea (si
veda l’Appendice).
C’è una connessione molto forte tra la definizione di insieme convesso e quella
di funzione convessa. Per illustrare questa connessione introduciamo la seguente
definizione.
La Figura 4.4 (a) mostra l’epigrafico di una funzione non convessa, mentre in (b)
abbiamo l’epigrafico di una funzione convessa
Un’altra definizione di cui avremo bisogno è quella di funzione concava.
(torneremo più avanti su questo punto). Per questa classe di problemi vale il
seguente semplice, ma fondamentale risultato.
Abbiamo discusso nel capitolo precedente come quando si minimizza sia sem-
pre preferibile trovare minimi globali a minimi locali, ma come la ricerca dei
minimi globali sia in genere molto più onerosa di quella dei minimi locali. Il
risultato appena illustrato mostra che per i problemi di ottimizzazione convessa
non possano sorgere problemi in quest’ambito: la ricerca di minimo locali porta
automaticamente a un minimo globale. Questa è una prima indicazione che il
problemi di ottimizzazione convessa godono di proprietà favorevoli che ne facili-
tano la risoluzione. Vedremo più avanti che il Teorema 4.10 non è che il primo
di una serie di risultati che rendono i problemi di ottimizzazione convessi parti-
colarmente “favorevoli”, e dal punto di vista teorico e da quello algoritmico.
~ Tutto quanto detto sopra vale per problemi di minimizzazione. Se
consideriamo un problema di massimizzazione MAX(C, f ) non è vero
che se C è un insieme convesso e f una funzione convessa, il massimi
locali sono anche massimi globali.
Se si ripercorre la dimostrazione del Teorema 4.10 si vede che la convessità non
permette di invertire i segni delle disuguaglianza nella (4.6) cosı̀ come sarebbe
necessario per provare che non esistono massimi locali che non siano globali. Ma
è facile trovare la soluzione a questo problema. Basta ricordarsi la definizione
di funzione concava. Supponiamo allora di avere il problema MAX(C, f ) con C
insieme convesso e f funzione concava. I massimi (locali) di questo problema
sono i minimi (locali) del problema MIN(C, −f ) che, per definizione di funzione
concava, è un problema di ottimizzazione convessa. Vale quindi il seguente risul-
tato.
Avendo visto delle prime importanti conseguenza della convessità sorge naturale
la domanda: come facciamo a capire se un problema è convesso? Esistono classi
interessanti e ampie di problemi che sono di ottimizzazione convessa? La conves-
sità ha ulteriori implicazioni utili che possiamo sfruttare nell’analisi di problemi
convessi? Per rispondere a queste domande dobbiamo approfondire lo studio e
degli insiemi convessi e delle funzioni convesse. A questo studio sono dedicati i
rimanenti tre paragrafi di questo capitolo.
Teorema 4.13. Sia dato un insieme convesso C ⊆ IRn e una funzione convessa
f : C → IR. Allora l’insieme di livello della f relativo a un qualunque valore α
Convessità 11
convessa e inoltre è anche ovviamente una funzione continua, abbiamo che B(0; δ)
è un insieme convesso è chiuso.
L’utilità del Teorema 4.13 è ancora maggiore se si tiene conto che l’intersezione
di insiemi convessi è ancora un insieme convesso.
Example 4.6: L’insieme (e) della Figura 4.2 è dato dall’intersezione di due insiemi
convessi ed è convesso
Teorema 4.17. Sia dato un insieme convesso C ⊆ IRn e una funzione contin-
uamente differenziabile f : C → IR. La funzione f è convessa su C se e solo se
per ogni coppia di punti x1 e x2 appartenenti a C abbiamo
f (x2 ) ≥ f (x1 ) + ∇f (x1 ) T (x2 − x1 ). (4.7)
Inoltre la f è strettamente convessa su C se e solo se nella (4.7) la disuguaglianza
è stretta, se sioè
f (x2 ) > f (x1 ) + ∇f (x1 ) T (x2 − x1 ). (4.8)
cioè la (4.7).1
Consideriamo ora la sufficienza: Supponiamo che valga la (4.8) e mostriamo che
la f è convessa. Siano dati due punti x1 e x2 appartenenti a C e consideriamo un
punto z = βx1 + (1 − β)x2 per un qualche fissato β ∈ [0, 1]. Per la (4.8) abbiamo
f (x1 ) ≥ f (z) + ∇f (z) T (x1 − z)
Example 4.7: Il teorema precedente può essere usato per dare una nuova
dimostrazione che le funzioni affini sono convesse, ma non strettamente convesse.
Basta notare che il gradiente di c T x + b è c. E quindi ovviamente abbiamo che
la (4.7) è sempre soddisfatta come uguaglianza:
c T x2 + b = c T x1 + b + c T (x2 − x1 ).
Quindi la funzione c T x + b è convessa ma non strettamente convessa.
1 Consideriamo la funzione di una sola variabile β, data da g(β) = f (x1 + β(x2 − x1 )). Siccome
la g è data dalla composizione di due funzione continuamente differenziabili (la f e la x1 +
β(x2 − x1 )) è anch’essa continuamente differenziabile. Per teoremi ben noti sulla derivata
delle funzioni composte abbiamo che g 0 (0) = ∇f (x1 ) T (x2 − x1 ). Poiché il primo membro
della (4.9) è il rapporto incrementale della g in 0, abbiamo che passando al limite il primo
membro di questa relazione dà esattamente g 0 (0) = ∇f (x1 ) T (x2 − x1 ).
16 Capitolo 4.
Teorema 4.18. Sia dato un insieme convesso C ⊆ IRn e una funzione due volte
continuamente differenziabile f : C → IR. Supponiamo che l’insieme C contenga
un punto interno. Allora la funzione f è convessa su C se e solo se la matrice
hessiana ∇2 f (x) è una matrice semi definita positiva per ogni x in C.
Teorema 4.19. Sia dato un insieme convesso C ⊆ IRn e una funzione due volte
continuamente differenziabile f : C → IR. Se la matrice hessiana ∇2 f (x) è una
matrice definita positiva per ogni x in C allora la funzione f è strettamente
convessa su C
Example 4.8: Non è vero in generale che se una funzione è strettamente convessa
la sua matrice hessiana è definita positiva. Si consideri la funzione x4 su IRn . Si
tratta di una funzione strettamente convessa e la sua matrice hessiana (cioè in
questo caso la sua derivata seconda, che è una matrice 1 × 1) è ∇2 f (x) = 12x2 .
Nell’origine si ha quindi ∇2 f (0) = 0 che non è una matrice definita positiva (per
qualunque d ∈ IR abbiamo d T ∇2 f (0)d = 0).
I due teoremi appena visti forniscono criteri che spesso sono di semplice verifica.
Per esempio, consideriamo una funzione quadratica
1 T
x Qx + b T x + c,
2
dove Q è una matrice quadrata n × n e simmetrica. L’hessiano di questa funzione
è costante e pari a Q (si veda l’appendice). Quindi, per il Teorema 4.18, la
18 Capitolo 4.
maxi∈I {fi (x)} è dato dall’intersezione degli epigrafici delle fi . Quindi l’epigrafico
della maxi∈I {fi (x)} è un insieme convesso per il Teorema 4.14. La tesi segue
allora immediatamente dalla proposizione 4.8. La (d) si ottiene dalla (c) cam-
biando di segno a tutte le funzioni.
4.5 Poliedri
Si noti che le disequazioni nella definizione sono “non strette”, quindi del tipo
≤ o ≥, mentre nella definizione di poliedro non sono possibili disequazioni del
tipo < o >.
Si noti che, come già illustrato nel paragrafo 3.2, ogni sistema di equazioni
e disequazioni può sempre essere riscritto come sistema di sole disequazioni del
tipo ≤. Quindi, per comodità, negli sviluppi teorici di questo paragrafo ci limiti-
amo a considerare poliedri di questo tipo. Quindi nel seguito i poliedri saranno
rappresentati da sistemi del tipo
Ax ≤ b, (4.12)
dove x ∈ IRn , A è una matrice m × n e b ∈ IRm . Inoltre, d’ora in poi, se indichi-
amo un insieme con P intendiamo che quest’insieme sia un poliedro.
Per la Proposizione 4.16 abbiamo che i poliedri sono sempre insiemi chiusi e
convessi.
Vertici
Nell’analisi dei poliedri un ruolo fondamentale è giocato dai “vertici”. Abbiamo
già avuto modo di apprezzare questo ruolo nella risoluzione grafica dei problemi
di PL illustrata nel paragrafo 3.3.1. Lı̀ abbiamo anche conggetturato che, a
meno di casi molto particolari (poliedri senza vertici), se un problema di PL
ha soluzioni ottime, ne ha almeno una su un vertice. Vedremo nel prossimo
capitolo che questo risultato non solo è vero, ma si applica addirittura a una
classe più ampia di problemi di ottimizzazione. Motivati da questa osservazione
approfondiamo lo studio dei vertici.
Come prima cosa ricordiamo la definizione di vincolo attivo (si veda la
Definizione ??), particolarizzata la caso lineare
di vincoli attivi pari alla dimensione dello spazio non è una buona definizione,
infatti è facile costruire degli esempi che, anche se possono apparire artificiali
mostrano le falle di questa possibile definizione. Per esempio, nella figura Figura
4.7 (a), il poliedro è un quadrato e nel punto x̄ sono attivi 3 vincoli. Quindi se
avessimo definito un vertice come punto dove sono attivi n = 2 vincoli questo
non risulterebbe un vertice. Neanche assumere che un punto è un vertice se sono
attivi almeno n vincoli risolve il problema però. Se guardiamo la figura 4.7 (b)
vediamo che in x̄ sono attivi 2 vincoli, ma noi non vorremmo certo che questo
punto fosse classificato come vertice!
La soluzione del problema sta nell’osservare che in un vertice sono sı̀ attivi
almeno n vincoli, ma la questione più importante è che questi vincoli attivi si
intersechino in un solo punto, il vertice appunto. Siamo cioè arrivati a capire che
ciò che caratterizza un vertice x̄ è l’essere l’unica soluzione del sistema ai (x) T =
bi , i ∈ I(x̄). Questo ci porta alla seguente definizione.
2 Le due condizioni sono equivalenti per un classico risultato di algebra lineare che dice che
dato un sistema lineare in n incognite, una soluzione è l’unica soluzione del sistema se e solo
se il rango della matrice è pari a n.
Convessità 23
(a) Esistono n righe aTi della matrice A con i ∈ I(x̄) che sono linearmente
indipendenti;
(b) x̄ è soluzione unica del sistema ai (x) T = bi , i ∈ I(x̄).
(a) Il punto non è ammissibile perché, sostituendo questo punto nelle dise-
quazioni che definisco P , non è soddisfatto il quinto vincolo. Non essendo
ammissibile il punto non è quindi nemmeno un vertice.
(b) Il punto soddisfa tutti i vincoli ed è quindi ammissibile. I vincoli attivi sono il
secondo, il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo. Il rango dei vincoli attivi è
quattro, perché, per esempio, il determinante della seconda, sesta, settima
e ottava riga della matrice A è diverso da zero. Il punto è quindi un vertice.
(c) Il punto soddisfa tutti i vincoli ed è quindi ammissibile. Sono attivi i primi
tre vincoli. Il rango dei vincoli attivi può essere al più tre e il punto non è
quindi un vertice.
(d) Il punto soddisfa tutti i vincoli ed è quindi ammissibile. I vincoli attivi sono il
primo, il quarto, il quinto e l’ottavo. Si verifica calcolando il determinante,
che questi quattro vincoli sono linearmente indipendenti e quindi il punto
è un vertice.
Per ogni punto dato, dopo aver verificato l’appartenenza del punto al poliedro,
si deve verificare se esistono tre vincoli attivi in quel punto linearmente indipen-
denti.
Nel punto P1 = (0, 0, 0) (che appartiene al poliedro) sono attivi il terzo, il quarto
e il quinto vincolo e quindi I(P1 ) = {3, 4, 5} e poiché le righe aT3 , aT4 e aT5 della
matrice A sono linearmente indipendenti, il punto P1 è vertice del poliedro.
Nel punto P2 = (0, 0, 1/2) (che appartiene al poliedro) sono attivi solamente due
vincoli (il terzo e il quarto) e quindi il punto P2 non può essere un vertice del
poliedro.
Nel punto P3 = (0, 0, 1) (che appartiene al poliedro) si hanno tre vincoli attivi;
in particolare risulta I(P3 ) = {1, 3, 4} e le corrispondenti righe aT1 , aT3 e aT4 della
matrice A sono linearmente indipendenti e quindi il punto P3 è un vertice del
poliedro.
Dimostrazione. Dalla Definizione 4.25 (b), abbiamo che ogni vertice deriva da
un sistema di equazioni a rango n “estratto” dal sistema Ax ≤ b. Ora, poiché tali
sistemi sono al più tanti quanti i sottoinsiemi distinti di n righe della matrice A,
m!
abbiamo che un poliedro P = {x ∈ IRn : Ax ≤ b} ha al più vertici.
n!(m − n)!
La definizione stessa suggerisce un metodo per calcolare i vertici di un poliedro.
La procedura può essere sinteticamente e informalmente essere descritta nel
seguente modo: Si esaminano a uno a uno tutti i sistemi di n equazioni che
si possono ottenere considerando n delle disequazioni del sistema che definisce il
poliedro, prese come equazioni. Per ognuno di questi sistemi si verifica il rango.
Se il rango è minore di n si passa ad esaminare un altro sistema, altrimenti
si calcola la soluzione (unica) del sistema. Se questo soluzione soddisfa tutte le
26 Capitolo 4.
(
3x1 − 2x2 = −30
2. Il sistema corrispondente al primo e al terzo vincolo ha
x1 = 0
come unica(soluzione il punto P2 = (0, 15) che non appartiene al poliedro.
x1 − 2x2 = −30
3. Il sistema corrispondente al primo e al quarto vincolo ha
x2 = 0
come unica(soluzione il punto P3 = (−10, 0) che non appartiene al poliedro.
2x1 − x2 = −12
4. Il sistema corrispondente al secondo e al terzo vincolo
x1 = 0
ha come unica soluzione il punto P4 = (0, 12) che si verifica immediatamente
appartenere al poliedro; in questo punto ovviamente risultano attivi il secondo
e il terzo vincolo e quindi I(P4 ) = {2, 3} e poiché i vettori aT2 = (2, − 1) e
aT3 = (1, 0) corrispondenti a questi due vincoli sono linearmente indipendenti,
allora il punto
( P4 è un vertice del poliedro.
2x1 − x2 = −12
5. Il sistema corrispondente al secondo e al quarto vincolo
x2 = 0
ha come unica
( soluzione il punto P5 = (−6, 0) che non appartiene al poliedro.
x1 = 0
6. Il sistema corrispondente al terzo e al quarto vincolo ha come
x2 = 0
unica soluzione il punto P6 = (0, 0) che si verifica immediatamente essere
appartenente al poliedro; in questo punto ovviamente risultano attivi il terzo
e il quarto vincolo e quindi I(P6 ) = {3, 4} e poiché i vettori aT3 = (1, 0) e
aT4 = (0, 1) corrispondenti a questi due vincoli sono linearmente indipendenti,
allora il punto P6 è un vertice del poliedro.
Example 4.14: Determinare i vertici del poliedro descritto dalle seguenti disug-
uaglianze
x1 + 2x2 + x3 ≤ 3
3x − x + x ≤ 2
1 2 3
2x
1
+ x 2 + x3 ≤3
4x1 + x2 + 2x3 ≤ 4.
28 Capitolo 4.
Dovrebbe essere a questo punto chiaro che se nella definizione del poliedro com-
paiono dei vincoli di ≥ non è veramente necessario riscriverli come ≤. Tanto sia
nella verifica del fatto che un punto sia un vertice o meno sia nel calcolo di tutti
i vertici, quello che alla fine conta sono il rango di certi sistemi e l’ammissibilità,
e questo scopo il fatto di aver riscritto una disuguaglianza cambiando di segno,
non cambia nulla.
Se invece tra i vincoli che descrivono un poliedro è presente un vincolo di
uguaglianza, si può facilmente verificare che nella determinazione dei vertici ci
si può limitare a considerare solo i sistemi che contengono questo vincolo di
uguaglianza, facendo diminuire considerevolmente il numero dei sistemi da pren-
dere in considerazione. L’esempio che segue mostra una situazione di questo tipo.
Come è facile osservare, non tutti i poliedri hanno almeno un vertice. Un con-
tro esempio banale di poliedro che non ha vertici è un semispazio in IRn con
n > 1. Se il rango della matrice A è k, e k è minore di n, allora il poliedro
P = {x ∈ IRn | Ax ≤ b} non ha vertici (vedi il Corollario 4.26). Se infatti la car-
dinalità dell’insieme più grande di righe della matrice A linearmente indipendenti
è k < n, non potremo sicuramente trovare un punto in cui il rango dei vincoli
attivi è n, perché questo vorrebbe dire che il rango della matrice è n. Risulta che
questa condizione è necessaria è sufficiente per affermare che il poliedro non abbia
vertici. La parte rimanente di questo paragrafo è dedicata alla dimostrazione di
questa affermazione. In effetti non solo dimostreremo che un un poliedro P non
Convessità 31
Figure 4.9 (a) Retta passante per x̄ e direzione d, Semiretta di origine x̄ e direzione d
1. Esiste un punto x̃ del poliedro che giace sulla retta R(x̄, d) tale che in x̃ sono
attivi tutti i vincoli attivi in x̄ e almeno un ulteriore vincolo;
2. posso prendere λ̄ > 0 abbastanza piccolo da far sı̀ che tutti i punti del tipo
x̄ + λd, per λ ∈ [−λ̄, λ̄] appartengono a P .
2. aiT d > 0, nel qual caso aiT (x̄ + λd) ≤ bi per ogni λ con
bi − aiT x̄
λ ≤ λi = > 0;
aiT d
3. aiT d < 0, nel qual caso aiT (x̄ + λd) ≤ bi per ogni λ con
bi − aiT x̄
λ ≥ λi = < 0.
aiT d
Siccome la retta non è tutta contenuta in P per almeno un i si presenta o il caso
2 o quello 3. Supponiamo che ci sia almeno un i per cui si verifichi il caso 2. Sia j
l’indice in corrispondenza a cui si ottiene il più piccolo λi che soddisfa il caso 2.
Allora è chiaro, in base alle considerazioni fatte finora che il punto x̃ = x̄ + λj d
è ammissibile e in x̃ sono attivi tutti i vincoli attivi in x̄ (come in tutti i punti
della retta R(x̄, d) e il vincolo j-esimo (per verifica diretta). Se non c’è nessun i
per cui si verifichi il caso 2, allora si procede analogamente considerando i vincoli
che soddisfano il caso 3. Pasta prendere x̃ = x̄ + λr d dove però questa volta r è
l’indice in corrispondenza a cui si ottiene il più grande λi che verifica il caso 3.
Per dimostrare il punto 2 basta osservare che dalla discussione precedente
risulta che basta prendere λ̄ uguale al più piccolo tra λj e |λk |. .
Notiamo che nel teorema seguente, il risultato principale riguardo all’esistenza
dei vertici, utilizziamo solo il punto 1 del Lemma 4.29. Il punto 2 sarà impiegato
successivamente.
Dimostrazione.
(a) ⇒ (b). Come già osservato, poiché i vincoli attivi sono un sottoinsieme dei
vincoli che definiscono il poliedro, il rango dei vincoli attivi è minore o uguale a
quello della matrice A. Quindi il rango dei vincoli attivi è sempre minore di n e,
per definizione, nessun punto può essere un vertice.
(b) ⇒ (c). Supponiamo ora che il poliedro P non abbia vertici e mostriamo
che deve contenere una retta. Sia x̄ un punto appartenente al poliedro P e sup-
poniamo al contrario che P non contenga rette. Per il Lemma 4.29 possiamo
trovare un punto x̃ ∈ P in cui sono attivi tutti i vincoli attivi in x̄ e almeno
un ulteriore vincolo. Siccome anche x̃ non è un vertice (perché non ci sono ver-
34 Capitolo 4.
tici per ipotesi) possiamo ripetere la procedura Per induzione abbiamo quindi
che posso trovare un punto x̂ in cui sono attivi tutti i vincoli che definiscono il
poliedro P . Ma se supponiamo che anche x̂ non sia un vertice e che P non con-
tenga rette, un ulteriore applicazione del Lemma 4.29 porta chiaramente a un
assurdo, perché dovremmo trovare un punto in cui è attivo un ulteriore vincolo,
cosa che è chiaramente impossibile.
(c) ⇒ (a). Supponiamo che P contenga una retta; supponiamo cioè che esista
un punto x̄ ∈ P e una direzione d ∈ IRn diversa da zero, tale che il punto x̄ +
λd appartenga a P per ogni valore reale del parametro λ. È facile vedere che
deve essere Ad = 0. Supponiamo infatti che per assurdo esista un indice i per
cui aiT d 6= 0. Può risultare o aiT d > 0 o aiT d < 0. Consideriamo il primo caso.
Siccome il punto x̄ + λd appartiene a P per ogni valore reale del parametro λ
per ipotesi, deve risultare in particolare
aiT (x̄ + λd) ≤ bi ∀λ (4.14)
per ogni valore positivo di λ comunque grande. Ma abbiamo anche
lim [aiT (x̄ + λd)] = aiT x̄ + lim [λaiT d)] = +∞
λ→+∞ λ→+∞
4.6 Esercizi