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Dispense di Analisi matematica II

Fabio Scarabotti e Filippo Tolli


11 marzo 2014

Indice
1 Equazioni differenziali

1.1

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.2

Equazioni lineari del primo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.3

Equazioni a variabili separabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.4

Equazioni che si abbassano di grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.5

Equazioni lineari del secondo ordine a coefficienti costanti . . . . . . . . . . . . .

10

1.5.1

Soluzione del caso omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

11

1.5.2

Metodo della somiglianza per il caso non omogeneo . . . . . . . . . . . .

12

1.5.3

Metodo della variazione dei parametri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

15

Il teorema di esistenza e unicit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

16

1.6

2 Campi Vettoriali
2.1

2.2

23

Il metodo della conservazione dellenergia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

23

2.1.1

26

Analisi qualitativa del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Curve parametriche

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

29

2.2.1

Curve in coordinate polari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

34

2.2.2

Equivalenza di curve parametriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

37

2.2.3

Lunghezza di una curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

39

2.2.4

Ascissa curvilinea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

43

2.3

Campi Vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

45

2.4

Potenziali scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

49

2.5

Campi di forza centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

51

2.6

Integrali di linea di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

55

2.7

Integrale di linea di campi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

57

2.8

Integrali dipendenti da parametro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

63

2.9

Condizioni sufficienti per la conservativit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

64

INDICE
2.10 Equazioni differenziali esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

65

2.10.1 Fattore integrante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

67

3 Integrali doppi

71

3.1

Integrali su domini normali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

71

3.2

Cambiamento di variabili negli integrali doppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

85

3.2.1

Trasformazione in coordinate polari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

90

3.3

Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

95

3.4

Formule di Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

96

3.5

Conseguenze del Teorema di Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

4 Calcolo differenziale vettoriale in R3

105

4.1

Prodotto vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

4.2

Operatori differenziali in R3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

4.3

Potenziale vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

Capitolo 1

Equazioni differenziali
1.1

Introduzione

Lesempio pi`
u semplice di equazione differenziale `e dato dal problema dellintegrazione indefinita:
data una funzione f (x) continua in un intervallo I, determinare tutte le funzioni y C 1 (I) tali
che
y 0 (x) = f (x),
(1.1)
per ogni x I. Risolvere (1.1) equivale a integrare f : la formula
Z
y(x) = f (x)dx + C

(1.2)

fornisce, al variare di C R, tutte le soluzioni di (1.1). Lespressione (1.2) `e chiamata integrale


generale di (1.1). Alternativamente, si pu`o usare un integrale definito: fissato x0 I e scelto un
valore y0 R, la formula
Z
x

y(x) =

f (t)dt + y0
x0

fornisce la soluzione del seguente problema


 0
y (x) = f (x)
y(x0 ) = y0 ,

(1.3)

dove y(x0 ) = y0 viene chiamata condizione iniziale o di Cauchy. Al variare di y0 R si ottengono ancora tutte le soluzioni di (1.1). Come vedremo, `e naturale imporre condizioni iniziali
alle equazioni differenziali e quindi studiare problemi come (1.3).
Come secondo esempio di equazione differenziale ordinaria, consideriamo il seguente: dato un
numero a R, determinare tutte le funzioni y C 1 (R) tali che
y 0 (x) = ay(x),

(1.4)

per ogni x R. E facile vedere che ogni funzione del tipo y(x) = Ceax , con C R, `e una
soluzione di (1.4): y 0 (x) = Caeax = ay(x). Per`o dobbiamo essere sicuri di aver trovato tutte le
5

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

soluzioni di (1.4). Per raggiungere tale scopo useremo un semplice trucco, detto moltiplicazione
per un fattore integrante. Moltiplicando ambo i membri di (1.4) per il fattore eax (mai nullo)
e portando tutto a primo membro, troviamo lequazione equivalente:
y 0 eax aeax y = 0.
Il primo membro di (1.5) `e una derivata:
(1.5) nella forma:

d
ax ]
dx [ye

(1.5)

= y 0 eax ayeax . Quindi possiamo riscrivere

d
[yeax ] = 0
dx
che si risolve immediatamente: una funzione ha derivata nulla in un intervallo se e soltanto se `e
costante. Quindi dobbiamo avere yeax = C, con C R costante, e
y(x) = Ceax ,

C R,

(1.6)

`e lintegrale generale di (1.4).


Lequazione (1.4), seppur semplicissima, si incontra in molte situazioni concrete. Consideriamo
un semplice esempio. Un punto materiale di massa m si muove lungo lasse delle x soggetto solo
a una forza resistente (attrito), direttamente proporzionale alla velocit`a. Tale problema porta
alla seguente equazione:
dv
m
= kv.
(1.7)
dt
Lequazione (1.7) segue dal secondo principio della dinamica. Infatti, il primo membro `e il
prodotto della massa per laccelerazione dv
dt , mentre il secondo membro rappresenta la forza
dattrito: k `e una costante positiva, e il segno meno `e giustificato dal fatto che lattrito ha verso
contrario alla velocit`a. Quindi la componente lungo lasse x `e negativa se v `e positiva, mentre `e
positiva se v `e negativa. Da (1.6) ricaviamo subito la soluzione generale di (1.7):
k

v(t) = Ce m t .
Per (1.7) `e naturale considerare il seguente problema di Cauchy:
 dv
m dt = kv
v(0) = v0 ,

(1.8)

dove v0 `e la velocit`a iniziale del punto materiale. La soluzione `e unica ed `e data da: v(t) =
k
v0 e m t . Quindi la velocit`a del punto materiale diminuisce in modo esponenziale.
Nei prossimi paragrafi, senza delineare una teoria generale delle equazioni differenziali ordinarie,
discuteremo i metodi risolutivi per alcune classi di equazioni che hanno immediata applicazione
in una grandissima variet`a di problemi teorici e applicativi.

1.2

Equazioni lineari del primo ordine

Supponiamo che a(x) e f (x) siano funzioni continue in un intervallo I. Lequazione


y 0 (x) + a(x)y(x) = f (x)

(1.9)

`e detta equazione lineare del primo ordine. Si chiama cos` perche `e lineare in y e y 0 (non
compaiono termini come y 2 o sin y 0 ), e perche compaiono solo y e y 0 (ma non y 00 e le derivate
successive). Ci occupiamo prima del caso, detto omogeneo, in cui f (x) 0.

1.2. EQUAZIONI LINEARI DEL PRIMO ORDINE

Teorema 1.2.1. La soluzione generale dellequazione y 0 + a(x)y = 0 `e data dalla formula


y(x) = CeA(x) ,

C R,

dove A(x) `e una qualunque primitiva di a(x).


Dimostrazione. Si tratta di una immediata generalizzazione del metodo del fattore integrante
gi`a usato per (1.4). Moltiplicando y 0 +a(x)y = 0 per la funzione mai nulla eA(x) , e tenendo conto
d
del fatto che A0 = a e quindi dx
[yeA(x) ] = y 0 eA(x) + ya(x)eA(x) , otteniamo lequazione equivalente
d
[yeA(x) ] = 0.
dx
Quindi lintegrale generale `e y(x)eA(x) = C, ovvero y(x) = CeA(x) , C R.
Esempio 1.2.2.
ComeResempio, risolviamo la semplice equazione y 0 + 2xy = 0. Abbiamo
R
2
a(x) = 2x, a(x)dx = 2xdx = x2 + C e prendiamo A(x) = x2 . Quindi eA(x) = ex e la
2
soluzione generale dellequazione `e: y(x) = Cex , C R.
Se in (1.9) la f non `e identicamente nulla, allora lequazione viene detta non omogenea, o
completa.
Teorema 1.2.3. La soluzione generale di (1.9) `e data dalla formula
y(x) = v0 (x)eA(x) + CeA(x) ,
dove A(x) `e una primitiva di a(x) e v0 (x) `e una primitiva della funzione f (x)eA(x) .
Dimostrazione. Useremo il metodo della variazione del parametro, che `e anche il metodo pratico pi`
u consigliato per la risoluzione delle equazioni lineari del primo ordine. Cerchiamo una
soluzione di (1.9) nella forma
y(x) = v(x)eA(x) ,
(1.10)
dove v(x) `e una funzione incognita e A(x) `e una primitiva di a(x). Derivando (1.10) otteniamo
lespressione
y 0 (x) = v 0 (x)eA(x) v(x)a(x)eA(x) .
(1.11)
Sostituendo (1.10) e (1.11) nel primo membro di (1.9), otteniamo che questo vale y 0 (x) +
a(x)y(x) = v 0 (x)eA(x) v(x)a(x)eA(x) + a(x)v(x)eA(x) = v 0 (x)eA(x) , e quindi tale equazione
`e equivalente a
v 0 (x)eA(x) = f (x),

cio`e a

v 0 (x) = f (x)eA(x) .

Questa si risolve prendendo linsieme di tutte le primitive di f (x)eA(x) . Notando che se v0 (x)
`e una fissata primitiva tutte le altre sono della forma v(x) = v0 (x) + C, C R, sostituendo
questespressione in (1.10) otteniamo la formula nellenunciato del teorema.

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

Esempio 1.2.4. Illustriamo il metodo della variazione della variazione del parametro con un
semplice esempio. Consideriamo lequazione
y0

1
y = 2x2 + x.
x

(1.12)

Abbiamo a(x) = x1 , quindi possiamo prendere A(x) = log|x| e si ha eA(x) = elog|x| = |x|.
Cerchiamo le soluzioni di (1.12) nella forma y(x) = v(x)x (per x < 0, abbiamo |x| = x, ma
il segno meno possiamo assorbirlo nellincognita v(x); lequazione si studia separatamente per
x > 0 e x < 0). Si ha y 0 = v + xv 0 e quindi il primo membro di (1.12) vale: y 0 x1 y =
v + xv 0 x1 xv = xv 0 . Allora (1.12) diventa xv 0 (v) = x + 2x2 , che possiamo scrivere nella forma
v 0 = 1 + 2x, determinando immediatamente le sue soluzioni: v(x) = x + x2 + C, C R. Quindi
lintegrale generale di (1.12) `e: y(x) = Cx + x2 + x3 , C R. Consideriamo anche il seguente
problema di Cauchy:
 0 1
y x y = 2x2 + x
y(1) = 3.
Per risolverlo basta imporre allintegrale generale la condizione iniziale y(1) = 3 (cio`e porre y = 3
ed x = 1), trovando 3 = C 1+12 +13 , cio`e C = 1, e quindi lunica soluzione `e y(x) = x+x2 +x3 .
Esercizio 1.2.5. 1) Dimostrare che per a, b R, la soluzione generale dellequazione y 0 + ay = b
(lineare, del primo ordine a coefficienti costanti) `e data da: y(x) = Ceax + ab .
2) Immaginiamo che lasse delle y sia disposto in verticale, orientato verso il basso, e che un punto
materiale si muova lungo tale asse soggetto alla forza peso e ad una forza resistente, propozionale
alla velocit`a (caduta in un mezzo resistente, o problema del paracadutista). Lequazione del moto
`e: m dv
dt = kv + gm. Risolvere tale equazione usando la formula della parte 1) dimostrando che
k

lintegrale generale `e: v(t) = v0 e m t +

mg
k (1

e m t ), dove v0 = v(0) `e la velocit`a iniziale.

3) Dimostrare che, per ogni scelta di v0 , si ha: limt+ v(t) =


significato fisico di questa espressione?

1.3

mg
k

(velocit`
a limite). Qual `e il

Equazioni a variabili separabili

Supponiamo che f (x) e g(y) siano due funzioni continue, f definita nellintervallo I e g definita
nellintervallo J. Lequazione
y 0 = f (x)g(y)
(1.13)
`e detta equazione a variabili separabili. Tale equazione costituisce il pi
u semplice esempio di
equzione non lineare (ed `e del primo ordine). Infatti, la funzione g(y) `e arbitraria: possiamo
avere, ad esempio, g(y) = y 2 o g(y) = log y. Ricadiamo nel caso lineare solo se g(y) = y + C
(ritroviamo unequazione lineare omogenea del primo ordine).
Esaminiamo ora il procedimento risolutivo di (1.13). Per prima cosa osserviamo che se per
y J si ha g(y) = 0, allora la funzione costante y y `e una soluzione di (1.13). Infatti, in tal caso
il primo membro di (1.13) `e nullo perche la derivata di una costante `e nulla, mentre il secondo
membro `e nullo perche si annulla la g. Le soluzioni di questo tipo sono dette soluzioni costanti, o
singolari. Ora esaminiamo il caso generale. Cerchiamo le soluzioni per cui g(y(x)) 6= 0: i valori

1.4. EQUAZIONI CHE SI ABBASSANO DI GRADO

y(x) appartengono a un intervallo J0 J in cui g non si annulla mai (e potrebbe anche essere
J0 J). Possiamo riscrivere la (1.13) nella forma:
y 0 (x)
= f (x),
g[y(x)]
e poi integrare membro a membro:
Z

Se G(y) `e una primitiva di

1
g(y) ,

y 0 (x)
dx =
g[y(x)]

Z
f (x)dx.

(1.14)

allora lintegrale a primo membro vale G[y(x)] + C (regola di


0

y (x)
d
G[y(x)] = G0 [y(x)]y 0 (x) = g[y(x)]
integrazione per sostituzione, ovvero dx
), mentre se F (x) `e una
primitiva di f (x) allora lintegrale a secondo membro vale F (x) + C. Quindi (1.13) equivale a

G[y(x)] = F (x) + C,

C R.

(1.15)

Lespressione (1.15) fornisce le soluzioni in forma implicita. Per esplicitarle, bisogna calcolare
G1 , la funzione inversa di G (dato che stiamo studiando lequazione per y J0 dove g(y) > 0
o g(y) < 0, la funzione G sar`a strettamente crescente o strettamente decrescente, e quindi
invertibile). Tale inversa in generale non sar`a elementarmente calcolabile. In conclusione, la
soluzione generale di (1.13) `e data da:
y(x) = G1 [F (x) + C],

C R.

Il procedimento sopra esposto pu`o essere sintetizzato con la seguente regola pratica: si separano
le variabili scrivendo
Z
Z
dy
= f (x)dx,
g(y)
si calcolano entambi gli integrali e si esplicita (se possibile) rispetto alla y.
Esempio 1.3.1. Come esempio, risolviamo il seguente problema di Cauchy:
 0
y = e2y log x
y(1) = 3.
R
R
Separando le variabili, si trova e2y dy = log xdx, da cui si ricava 21 e2y = x log x x + c.
Imponendo la condizione iniziale y(1) = 3, otteniamo c = 1 + 12 e6 , e quindi la soluzione `e:
y(x) =

1.4



1
log 2x log x 2x + 2 + e6 .
2

Equazioni che si abbassano di grado

Unequazione di grado superiore al primo in cui non compare esplicitamente la y si puo abbassare di grado prendendo come variabile u = y 0 . Spieghiamo lidea con un semplice esempio.
Consideriamo lequazione
y0
y 00 +
= 0.
1+x

10

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

In essa non compare la y, per cui possiamo porre u = y 0 ottenendo lequazione in u


u0 +

u
= 0.
1+x

Questa `e lineare, omogenea del primo ordine, con A(x) = log|x + 1| e eA(x) =
C1
x+1

1
|x+1| ;

quindi il

C1
suo integrale generale `e u(x) =
(Teorema 1; notiamo che
pu`o essere sostituita con x+1
perche per x < 1 il segno meno di |x + 1| = (x + 1) pu`o essere inglobato nella costante C1 ).
C1
Quindi si ha y 0 = x+1
, da cui con una semplice integrazione otteniamo la soluzione generale
dellequazione di partenza:
y(x) = C1 log|x + 1| + C2 .

1.5

C1
|x+1|

Equazioni lineari del secondo ordine a coefficienti costanti

Dati tre numeri reali a, b, c con a 6= 0, loperatore L : C 2 (R) C(R) definito ponendo
Ly(x) = ay 00 (x) + by 0 (x) + cy(x)
si chiama operatore lineare del secondo ordine a coefficienti costanti. Lineare vuol dire semplicemente che L(y1 +y2 ) = Ly1 +Ly2 , per ogni scelta di , R e y1 , y2 C 2 (R) (a coefficienti
costanti vuol dire che a, b, c non dipendono da x). Presa f C(R), possiamo associare a f ed L
la seguente equazione
Ly = f,

ay 00 (x) + by 0 (x) + cy(x) = f (x)

ovvero

(1.16)

detta lineare, del secondo ordine a coefficienti costanti. Se f 0, (1.16) si dice omogenea. Diamo
subito due propriet`a elementari ma importanti di (1.16).
Proposizione 1.5.1. 1) Linsieme V delle soluzioni di Lf = 0 `e uno spazio vettoriale, ovvero
se , R e y1 , y2 V allora y1 + y2 V (Principio di sovrapposizione).
2) Se y0 `e una soluzione dellequazione (non omogenea) (1.16) e V `e lo spazio delle soluzioni di
Lf = 0 (detta omogenea associata) allora
{z + y0 : z V }
`e linsieme di tutte le soluzioni di (1.16).
Dimostrazione. Il punto 1) segue subito dalla linearit`a: se , R e Ly1 = Ly2 = 0 allora
L(y1 + y2 ) = Ly1 + Ly2 = 0. Dimostriamo ora il punto 2). Se fissiamo y0 tale che Ly0 = f ,
allora per y C 2 (R) si ha
Ly = f Ly = Ly0 L(y y0 ) = 0 y y0 = z

con

z V.

Il punto 2) della Proposizione precedente si pu`o anche riformulare dicendo che per determinare
lintegrale generale dellequazione non omogenea basta trovare una soluzione particolare (sarebbe
y0 ) e sommare ad essa lintegrale generale dellomogenea associata. Per quanto riguarda il punto
1), diremo che due soluzioni y1 , y2 di una equazione omogenea sono linearmente indipendenti se
si ha y1 + y2 0, con , R, solo se = = 0.

1.5. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE A COEFFICIENTI COSTANTI

1.5.1

11

Soluzione del caso omogeneo

Con riferimento al paragrafo precedente, consideriamo il caso omogeneo. Cerchiamo la soluzione


dell equazione
ay 00 + by 0 + cy = 0
(1.17)
nella forma y(x) = ex , dove R `e un parametro da determinare. Si ha y 0 = ex = y e
y 00 = 2 y e quindi Ly = (a2 + b + c)ex . Ne segue che Ly = 0 se e soltanto se
a2 + b + c = 0,

(1.18)

cio`e y(x) = ex risolve (1.17) se e soltanto se risolve lequazione algebrica (1.18), detta
equazione caratteristica di (1.17). Per il momento, facciamo lipotesi seguente: lequazione (1.18)
ha due radici reali e distinte 1 , 2 (e quindi = b2 4ac > 0). Il metodo sopra riportato fornisce
quindi due soluzioni di (1.17): y1 = e1 x e y2 (x) = e2 x . Queste sono linearmente indipendenti:
se fosse e1 x + e2 x = 0 per ogni x R, dividendo per e2 x troveremmo e(1 2 )x = ,
assurdo se non si ha = = 0, perche 1 6= 2 e quindi e(1 2 )x non `e costante. Ora vogliamo
determinare lintegrale generale di (1.17). Useremo il metodo pi`
u elementare possibile, attribuito
a dAlembert. Dapprima ricordiamo che dallidentita a( 1 )( 2 ) = a2 + b + c segue
che 1 + 2 = ab (anche 1 2 = ac , che non useremo), e quindi
b
21 a + b = a(21 + ) = a(1 2 ).
a

(1.19)

La strategia del metodo che useremo `e la seguente: cerchiamo le soluzioni di (1.17) nella forma
y(x) = u(x)e1 x , dove u `e una funzione da determinare. Con tale posizione, abbiamo che
y 0 (x) = 1 e1 x u(x) + e1 x u0 (x)
e poi
y 00 (x) = 21 e1 x u + 21 e1 x u0 (x) + e1 x u00 (x)
e quindi
Ly =(a21 + b1 + c)e1 x u + (21 a + b)u0 e1 x + ae1 x u00
=a[(1 2 )u0 + u00 ]e1 x
dove nel secondo passaggio abbiamo usato il fatto che 1 `e una soluzione di (1.18) e poi lidentit
a
(1.19). Abbiamo quindi trovato che u(x)e1 x `e soluzione di (1.17) se e solo se u risolve lequazione
u00 + (1 2 )u0 = 0, che ponendo v = u0 si abbassa di grado: v 0 + (1 2 )v = 0. La soluzione
generale dellequazione in v `e: v(x) = Ce(2 1 )x , e quindi integrando troviamo la soluzione
generale di quella in u
C
u(x) =
e(2 1 )x + C1 .
(1.20)
2 1
1 x , troviamo la soluzione generale di (1.17),
Ponendo C2 = 2 C
1 e moltiplicando (1.20) per e
che riportiamo nel caso > 0 del seguente Teorema.

12

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

Teorema 1.5.2. 1) Se > 0 e 1 , 2 sono le radici reali e distinte di (1.18), allora


y(x) = C1 e1 x + C2 e2 x ,

C1 , C2 R,

`e lintegrale generale di (1.17).


2) Se = 0 e 1 `e lunica soluzione di (1.18), allora
y(x) = C1 e1 x + C2 xe1 x ,

C1 , C2 R,

`e lintegrale generale di (1.17).


3) Se < 0 e i sono le radici complesse coniugate di (1.18) (, R), allora
y(x) = ex (C1 sin x + C2 cos x),

C1 , C2 R,

`e lintegrale generale di (1.17).


00
0
Esempio 1.5.3. Consideriamo la seguente equazione:
y 2y + 2y = 0. Lequazione caratter2
istica `e 2 + 2 = 0, le cui soluzioni sono = 1 1 2 = 1 i. quindi la soluzione generale
dellequazione `e y(x) = C1 ex sin x + C2 ex cos x.

Esercizio 1.5.4. Dimostrare il punto 2) del precedente Teorema.


Corollario 1.5.5. Lo spazio vettoriale delle soluzioni di (1.17) ha dimensione due.
Se y1 , y2 sono due soluzioni linearmente indipendenti di (1.17) allora lintegrale generale pu`
o
essere espresso nella forma y(x) = C1 y1 (x) + C2 y2 (x). Si dice anche che y1 , y2 formano un
sistema fondamentale di soluzioni per (1.17).

1.5.2

Metodo della somiglianza per il caso non omogeneo

Ci occuperemo ora delle equazioni lineari del secondo ordine, a coefficienti costanti e non omogenee, in alcuni casi in cui il secondo membro `e una funzione notevole. Cominciamo sempre da
un caso particolare. Supponiamo di avere unequazione lineare del secondo ordine del tipo
ay 00 (x) + by 0 (x) + cy(x) = Ae0 x

(1.21)

con a, b, c, A, 0 costanti reali. Supponiamo anche e0 x non sia soluzione dellomogenea associata
(1.17), cio`e 0 non sia soluzione dellequazione caratteristica (1.18). Dalla Proposizione 1.5.1
sappiamo che per risolvere (1.21) basta trovare una soluzione particolare e sommarla allintegrale
generale dellomogenea associata. Posto come sempre Ly = ay 00 + by 0 + cy, preso B R si ha
LBe0 x = (a20 + b0 + c)Be0 x , e inoltre la quantit`a tra parentesi `e diversa da zero. Quindi
cercare una soluzione di (1.21) nella forma y(x) = Be0 x , equivale a risolvere la semplicissima
equazione algebrica
(a20 + b0 + c)Be0 x = Ae0 x ,

la cui unica soluzione `e

B=

(a20

A
.
+ b0 + c)

Questa `e la semplicissima idea del metodo di somiglianza: dato che L trasforma esponenziali
in esponenziali, cerchiamo la soluzione particolare sotto forma di esponenziale. Lidea funziona
anche con polinomi e funzioni trigonometriche; diamo quindi le regole generali.

1.5. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE A COEFFICIENTI COSTANTI

13

Teorema 1.5.6. Nei casi speciali sotto indicati, inchiamo come si pu`
o determinare una soluzione
particolare y0 dellequazione non omogenea
ay 00 (x) + by 0 (x) + cy(x) = f (x)
(con a 6= 0).
1. Supponiamo che sia f (x) = An xn + An1 xn1 + + A1 x + A0 (polinomio di grado n).
(a) Se c 6= 0 possiamo cercare la soluzione particolare nella forma di un polinomio di
grado n: y0 (x) = Bn xn + Bn1 xn1 + + B1 x + B0 (i coefficienti B0 , B1 . . . , Bn
vanno determinati);
(b) se c = 0 e b 6= 0 possiamo cercare la soluzione particolare nella forma di un polinomio
di grado n + 1 senza termine noto: y0 (x) = Bn+1 xn+1 + Bn xn + + B2 x2 + B1 x .
(c) se c = b = 0 possiamo cercare la soluzione particolare nella forma di un polinomio di
grado n+2 senza i termini di primo grado: y0 (x) = Bn+2 xn+2 +Bn+1 xn+1 + +B2 x2
2. Supponiamo che sia f (x) = Ae0 x , con A costante.
(a) Se 0 non `e radice di (1.18), possiamo cercare la soluzione particolare nella forma
y0 (x) = Be0 x ;
(b) se 0 `e radice di molteplici`
a m (dove m = 1 o m = 2) di (1.18), possiamo cercare la
soluzione particolare nella forma y0 = Bxm e0 x .
3. Supponiamo che sia f (x) = Ae0 x cos(0 x) + Be0 x sin(0 x), con A, B costanti.
(a) Se 0 i0 non sono radici di (1.18), possiamo cercare la soluzione particolare nella
forma y0 (x) = Ce0 x cos(0 x) + De0 x sin(0 x), con C, D costanti da determinare;
(b) se 0 i0 sono radici (complesse coniugate) di (1.18), possiamo cercare la soluzione
particolare nella forma y0 (x) = Cxe0 x cos(0 x) + Dxe0 x sin(0 x).
Esempio 1.5.7. Consideriamo la seguente equazione: y 00 + y 0 = 5 sin 2x. Lequazione caratteristica `e 2 + = 0, che ha come soluzioni = 0, 1. Dunque lintegrale generale dellomogenea
associata `e y(x) = C1 + C2 ex . I numeri 0 2i non sono radici dellequazione caratteristica, e quindi possiamo cercare la soluzione particolare nella forma y0 (x) = a sin(2x) + b cos(2x)
(punto (a) del caso 3.). Derivando troviamo y00 (x) = 2a cos(2x) 2b sin(2x) e poi y000 (x) =
4a sin(2x) 4b cos(2x). Sostituendo nellequazione troviamo
(4a 2b) sin(2x) + (4b + 2a) cos(2x) = 5 sin(2x)
che si traduce nel sistema

4a 2b = 5
2a 4b = 0

la cui soluzione `e a = 1, b = 12 . Quindi la soluzione generale dellequazione proposta `e:


y(x) = C1 + C2 ex sin(2x)

1
cos(2x).
2

14

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

Esempio 1.5.8. Consideriamo ora lequazione y 00 2y 0 = x2 + x. Le radici dellequazione


caratteristica sono = 0, 2. Essendo c = 0, b = 2, siamo nel caso (b) del punto 1. Possiamo
quindi cercare la soluzione particolare nella forma y0 (x) = Ax3 + Bx2 + Cx. Derivando y0 due
volte e sostituendo le derivate nellequazione, troviamo
6Ax2 + (6A 4B)x + 2B 2C = x2 + x.
Questa si traduce nel sistema

=1
6A
6A 4B = 1

BC
=0
la cui soluzione `e A = 61 , B = 12 , C = 12 . Quindi lintegrale generale dellequazione proposta
`e:
1
1
1
y(x) = C1 + C2 e2x x3 x2 x.
6
2
2
Esempio 1.5.9. Consideriamo lequazione y 00 2y 0 + 2y = ex sin x. Le radici dellequazione
caratteristica sono 1 i, e quindi siamo nel caso (b) del punto 3. Possiamo cercare la soluzione
particolare nella forma y0 (x) = axex sin x + bxex cos x. Per semplificare i calcoli, poniamo
u(x) = aex sin x + bex cos x. Ora abbiamo y0 (x) = xu(x) e la funzione incognita u(x) coincide
con lintegrale generale dellomogenea associata, cio`e si ha:
u00 2u0 + 2u = 0

(1.22)

per ogni valore dei coefficienti a e b (che sono poi le incognite). Con le posizioni fatte, abbiamo
y00 = xu0 + u e y000 = xu00 + 2u0 e quindi, tenendo conto di (1.22)
y000 2y00 + 2y0 = x(u00 2u0 + 2u) + 2u0 2u 2u0 2u.
Quindi u deve verificare lequazione 2u0 2u = ex sin x, che svolti i calcoli `e risolta solo prendendo
a = 0 e b = 21 . In conclusione, u(x) = 21 ex cos x e quindi la soluzione generale dellequazione
proposta `e:
1
y(x) = C1 ex sin x + C2 ex cos x xex cos x.
2
Esempio 1.5.10. Consideriamo lequazione y 00 = x2 + x + 1. Siamo nel caso c) del punto 1. Ora
1 4
basta integrare due volte membro a mambro: la soluzione generale `e y = 12
x + 16 x3 + 12 x2 +
C1 x + C2 .
Concludiamo il seguente paragrafo con una semplice osservazione, che poi `e unaltra manifestazione del principio di sovrapposizione. Supponiamo di avere unequazione del tipo Ly = f + g,
dove f e g sono due distinte funzioni del tipo considerato nel Teorema 1.5.6. Allora possiamo
determinare due funzioni y0 , ye0 tali che: Ly0 = f e Le
y0 = g. Si ha quindi L(y0 + ye0 ) = f + g, cio`e
y0 +e
y0 `e una soluzione particolare dellequazione proposta. Come esempio prendiamo lequazione
y 00 2y 0 3y = ex + e2x . Ora y0 (x) = 41 ex `e una soluzione particolare di y 00 2y 0 3y = ex ,
mentre ye0 (x) = 31 e2x risolve y 00 2y 0 3y = e2x . Essendo 1, 3 le soluzioni dellequazione
caratteristica, lintegrale generale dellequazione proposta `e:
1
1
y(x) = C1 ex + C2 e3x ex e2x .
4
3

1.5. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE A COEFFICIENTI COSTANTI

1.5.3

15

Metodo della variazione dei parametri

Terminiamo queste paragrafo dando un metodo generale per la determinazione di una soluzione
particolare per le equazioni lineari del secondo ordine, a coefficienti costanti e non omogenee.
Supponiamo che il secondo membro f (x) di (1.16) sia una arbitraria funzione continua e che
y1 , y2 sia un sistema fondamentale per lomogenea associata (1.17). Cerchiamo la soluzione
particolare nella forma
y0 (x) = v1 (x)y1 (x) + v2 (x)y2 (x).
(1.23)
Derivando (1.23) si trova: y00 = v10 y1 +v1 y10 +v20 y2 +v2 y20 . A questo punto imponiamo la condizione
v10 y1 + v20 y2 = 0,

(1.24)

e quindi lespressione per y00 si semplifica: y00 = v1 y10 + v2 y20 . Derivando lultima espressione
scritta, troviamo y000 = v10 y10 + v1 y100 + v20 y20 + v2 y200 . Quindi si ha
Ly0 = v1 (ay100 + by10 + cy1 ) + v2 (ay200 + by20 + cy2 ) + a(v10 y10 + v20 y20 ) a(v10 y10 + v20 y20 ),
poiche y1 e y2 sono soluzioni di (1.17). Dunque y0 `e una soluzione di (1.16) se e solo se
a(v10 (x)y10 (x) + v20 (x)y20 (x)) = f (x) e questa equazione va messa a sistema con (1.24):


v10 y1 + v20 y2 = 0
v10 y10 + v20 y20 = f (x)
a .

(1.25)

Risolto (1.25), si determinano v10 , v20 e poi con una semplice integrazione anche v1 , v2 .
Esempio 1.5.11. Consideriamo la seguente equazione
y 00 2y 0 + y =

ex
.
1 + x2

Come sistema fondamentale prendiamo quello dato dal Teorema 1.5.2 y1 (x) = ex e y2 (x) = xex
(lequazione caratteristica ha la radice doppia 1). Cerchiamo quindi la soluzione particolare nella
forma y0 (x) = v1 (x)ex + v2 (x)xex . Il sistema (1.25) si traduce in


v10 ex + v20 xex = 0


v10 ex + v20 (ex + xex ) =

ex
,
1+x2

che equivale a


v10 + v20 x = 0
v10 + v20 (1 + x) =

1
.
1+x2

1
Sottraendo la prima equazione dalla seconda ricaviamo v20 (x) = 1+x
2 , e quindi dalla prima

x
0
equazione troviamo che v1 (x) = 1+x2 . Quindi possiamo prendere v1 (x) = log 1 + x2 e
v2 (x) = arctgx. In conclusione, lintegrale generale dellequazione proposta `e:

y(x) = C1 ex + C2 xex ex log

p
1 + x2 + xex arctgx.

16

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

1.6

Il teorema di esistenza e unicit`


a

In questo paragrafo rivedremo le equazioni differenziali in maniera pi`


u formale in modo da poter
enunciare i risultati teorici pi`
u significativi.
Sia D un sottoinsieme di R2 , (t0 , y0 ) un punto di D ed f : D R una funzione. Consideriamo
il problema di Cauchy
 0
y
= f (t, y) ()
(1.26)
y(t0 ) = y0 ()
costituito dallequazione differenziale () e dalla condizione iniziale (). Una soluzione di (1.26)
`e una funzione y : I R di classe C 1 , con I intervallo, che soddisfa le seguenti condizioni:
1. (t, y(t)) D t I;
2. y 0 (t) = f (t, y(t)) t I;
3. y(t0 ) = y0 .
Il seguente teorema, dovuto a Peano, mostra come sotto condizioni molto deboli esista almeno
una soluzione.
Teorema 1.6.1. Se linsieme D `e aperto e f `e continua allora il problema (1.26) ammette
soluzione.
Dimostrazione. Presenteremo solamente unidea della dimostrazione che fornisce comunque un
modo per trovare una soluzione approssimata. Dobbiamo trovare una funzione della quale
conosciamo il valore nel punto t0 e della quale sappiamo che il coefficiente angolare della retta tangente al grafico nel punto (t, y(t)) `e dato da f (t, y(t)). Lidea `e di partire dal punto
P0 = (t0 , y(t0 )) = (t0 , y0 ) e seguire la retta passante per il punto P0 ed avente coefficiente angolare f (P0 ). Arrivati in un punto P1 , consideriamo la retta passante per tale punto ed avente
coefficiente angolare f (P1 ): iterando tale procedura si ottiene alla fine una poligonale che allinfittirsi dei punti Pi dovrebbe tendere alla soluzione del problema di Cauchy. In maniera pi`
u
formale, supponiamo che il dominio D contenga la striscia [a, b] R con a = t0 . Consideriamo
la partizione dellintervallo [a, b] data dai punti tk = (ba)k
+ a, k = 0, 1, . . . , n. Dai dati del
n
problema (1.26) possiamo ricavare lequazione della retta tangente al grafico di y nel punto di
ascissa t0 :
r1 (t) = y(t0 ) + f (t0 , y(t0 ))(t t0 ) = y0 + f (t0 , y0 )(t t0 ).
(1.27)
La retta tangente al grafico di y nel punto di ascissa t1 `e data da
r2 (t) = y(t1 ) + f (t1 , y(t1 ))(t t1 ),
ma i dati del problema di Cauchy non ci forniscono il valore di y nel punto t1 . Possiamo per`
o
approssimare il valore y(t1 ) con il valore della retta tangente r1 nel punto t1 ottenendo cosi la
funzione
rb2 (t) = r1 (t1 ) + f (t1 , r1 (t1 ))(t t1 ).
(1.28)
Iterando tale procedura otteniamo le funzioni
rbk (t) = rd
k1 (tk1 ) + f (tk1 , rd
k1 (tk1 ))(t tk1 )

`
1.6. IL TEOREMA DI ESISTENZA E UNICITA

17

e possiamo cos` definire su tutto lintervallo [a, b], la funzione


yn (t) = rd
k+1 (t) se t [tk , tk+1 ), k = 0, 1, . . . , n 1,
con la convenzione che rb1 = r1 .
Utilizzando profondi risultati di analisi matematica si dimostra che la successione di funzioni
{yn (t)} ammette una sottosuccessione che converge su un opportuno intervallo [a, ] ad una
funzione y(t) che risulta essere la soluzione del problema di Cauchy.
Esempio 1.6.2. Consideriamo il problema
 0
y
=y
y(0) = 1.

(1.29)

Sappiamo che la soluzione di tale problema `e costituita dalla funzione y(t) = et . Mostriamo
ora come `e possibile arrivare a tale soluzione seguendo la procedura che abbiamo delineato
nella dimostrazione del Teorema di Peano. Consideriamo, per semplicit`a, lintervallo [0, 1] e la
partizione di tale intervallo individuata dai punti tk = nk con k = 0, 1, . . . , n.
Tenendo presente che f (t, y) = y, t0 = 0 e y0 = 1 abbiamo che la (1.27) diventa


1
r1 (t) = 1 + t r1 (t1 ) = 1 +
n
mentre la (1.28)





1
1
1
1 2
rb2 (t) = 1 + + 1 +
t
rb2 (t2 ) = 1 +
n
n
n
n
e per un generico k abbiamo








1 k1
1 k1
k1
1 k
rbk (t) = 1 +
+ 1+
t
rbk (tk ) = 1 +
.
n
n
n
n
 k k+1 
Mostriamo ora che la successione yn (t) = rd
converge alla soluzione esatta
k+1 (t) se t n , n
t
y(t) = e . La difficolt`a principale nasce dal fatto che i punti tk si spostano al crescere del
parametro n. Fissiamo
h un puntot [0, 1) e per ogni n N indichiamo con k(n) il numero
k(n)+1
naturale per cui t k(n)
. Ad esempio se fissiamo t = 14 allora per n = 3 abbiamo
n ,
n
k(3) = 0, mentre per n = 5 abbiamo k(5) = 1. Dallovvia disuguaglianza tn 1 < k(n) tn,
deduciamo che






1 tn1
1 k(n)
1 tn
1+
< 1+
1+
.
n
n
n
Poich`e il primo e lultimo membro tendono a et per n che tende allinfinito, dal teorema del
confronto otteniamo che


k(n)
lim yn
= et .
n
n


In maniera perfettamente analoga si dimostra che limn yn k(n)+1
= et e poiche yn (t) `e
n
crescente si ha che




k(n)
k(n) + 1
yn
yn (t) < yn
;
n
n
applicando nuovamente il teorema del confronto si conclude che limn yn (t) = et .

18

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

Poiche una poligonale `e individuata dai punti estremi dei segmenti che la compongono, la
procedura descritta nella dimostrazione del teorema di Peano e nel precedente esempio pu`
o
essere riassunta nella formula ricorsiva
yd
k+1 = ybk + f (tk , ybk )h
dove yb0 = y0 e h = ba
e
n (notare che ybk = rbk (tk ) per k = 1, 2, . . . , n 1). Tale formula `
usualmente nota come metodo di Eulero di passo h.
Ovviamente ci si aspetta che al crescere del parametro n (e quindi al decrescere del passo h)
la corrispondente poligonale sia sempre pi`
u vicina alla soluzione effettiva. Possono per`o sorgere
dei problemi: pu`o accadere che la soluzione effettiva non sia unica oppure che non sia definita
su tutto lintervallo [a, b] oppure che cambi totalmente in seguito ad una piccola perturbazione
del dato iniziale. In tutti questi casi le approssimazioni numeriche perdono di interesse.
Mostriamo subito un esempio in cui non c`e unicit`a della soluzione.
Esempio 1.6.3. Consideriamo il problema di Cauchy

2
y0
= y3
y(0) = 0.

(1.30)

Si verifica immediatamente che la funzione identicamente nulla y 0 `e una soluzione di tale


problema. Mostriamo che ne esiste almeno unaltra. Utilizzando il metodo di separazione delle
variabili abbiamo che
2
dy
= y3
dt
dy
2 = dt
y3
Z
Z
2
y 3 dy = dt
1

3y 3 = t + C
y(t) =

(t + C)3
27

ed imponendo la condizione iniziale y(0) = 0 otteniamo la soluzione y(t) =

t3
27 .

In realt`a, si pu`o facilmente mostrare (esercizio) che tale problema di Cauchy ammette infinite
soluzioni.
Una condizione sufficiente (ma non necessaria) per lunicit`a `e contenuta nel seguente fondamentale teorema al quale premettiamo la seguente definizione.
Diremo che y : I R `e una soluzione massimale del problema di Cauchy se per ogni altra
In altre parole la soluzione non pu`o essere estesa
soluzione y : I R con I I risulta I = I.
ad un intervallo pi`
u grande.
Teorema 1.6.4. Se linsieme D `e aperto e le funzioni f ed fy sono continue in D allora il
problema di Cauchy ammette ununica soluzione massimale.

`
1.6. IL TEOREMA DI ESISTENZA E UNICITA

19

Osservazione 1.6.5. Il concetto di unicit`a della soluzione pu`o essere formulato senza utilizzare
quello di soluzione massimale dicendo che se y1 : I1 R e y2 : I2 R sono due soluzioni dello
stesso problema di Cauchy allora y1 (t) = y2 (t) per ogni t I1 I2 .
Osservazione 1.6.6. La tesi del Teorema 1.6.4 continua a valere se si sostituisce la condizione
di esistenza e continuit`a della derivata parziale fy con la condizione di locale lipschtzianit`
a della
funzione f rispetto alla seconda variabile ovvero che per ogni compatto K D esista una
costante LK tale che
|f (t, y1 ) f (t, y2 )| LK |y1 y2 |.
per tutte le coppie (t, y1 ), (t, y2 ) in K. Dal teorema di Lagrange si deduce che tale condizione
segue facilmente dalla continuit`a della derivata parziale fy .
I teoremi di esistenza ed unicit`a sopra enunciati ci garantiscono sotto opportune ipotesi lesistenza di una soluzione locale nel senso che lintervallo su cui `e definita la soluzione massimale
non coincide in genere il pi`
u grande intervallo I contenente t0 per il quale I y0 sia contenuto
in D come mostra il seguente esempio.
Esempio 1.6.7. Coinsideriamo il problema di Cauchy
 0
y
= 2ty 2
y(0) = 1.

(1.31)

Notare che la funzione f (t, y) = 2ty 2 `e definita su tutto R2 e risulta di classe C 1 . In virt`
u del
Teorema 1.6.4 il problema (1.31) ammette ununica soluzione massimale definita in un intorno
del punto t0 = 0. Per determinarla utilizziamo il metodo di separazione delle variabili (notare
che y 0 non pu`o essere soluzione in quanto y(0) = 1 6= 0). Abbiamo che
dy
= 2tdt
y2
Z
Z
2
y dy = 2tdt

y 1 = t2 + C
1
y(t) = 2
t +C
ed imponendo la condizione iniziale y(0) = 1, otteniamo che y(t) = t211 . Tale funzione non `e
definita per t = 1 e pertanto lintervallo su cui `e definita la soluzione massimale del problema
(1.31) `e (1, 1).
Nellesempio appena trattato la soluzione massimale esplodeva quando la variabile t tendeva
ai punti di frontiera dellintervallo di definizione. Questo `e quello che pu`o accadere quando il
dominio della funzione f `e una striscia del tipo (a, b) R (eventualmente coincidente con tutto
R2 ). Il seguente teorema descrive quello che accade per un dominio generico.
Proposizione 1.6.8. Supponiamo che siano verificate le ipotesi del Teorema 1.6.4 e sia y :
(, ) J la soluzione massimale del corrispondente problema di Cauchy. Allora, per t

20

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

e per t + il grafico della soluzione y tende alla frontiera D del dominio, nel senso che per
ogni compatto K contenuto in D esistono t e t+ (con t < t+ ) appartenenti a (, ) tali che
(t, y(t))
/ K se t+ < t < o < t < t .
In particolare se D `e la striscia (a, b) R allora o la soluzione massimale `e definita su tutto
(a, b) oppure
> a e lim |y(t)| = + o < b e lim |y(t)| = +.
t+

Nel caso in cui il dominio f sia costituito da una striscia del tipo (a, b) R il seguente teorema
fornisce una condizione sufficiente affinche esista una soluzione globale ovvero definita su tutto
lintervallo (a, b)
Teorema 1.6.9. Supponiamo che f : (a, b) R R sia continua insieme con la sua derivata
parziale fy . Se esistono h, k 0 tali che
|f (t, y)| h + k|y| (crescita sublineare)
allora la soluzione massimale `e definita su tutto (a, b).
Osservazione 1.6.10. La conclusione del teorema continua a valere sotto le ipotesi di continuit`
a
della f e di lipschtzianit`
a globale della f rispetto alla seconda variabile. Questultima condizione
significa che esiste una costante L tale che
|f (t, y1 ) f (t, y2 )| L|y1 y2 |
per ogni t (a, b) e y1 , y2 R.
Terminiamo la nostra rassegna sui risultati teorici delle equazioni differenziali formalizzando il
problema di Cauchy per sistemi di equazioni, limitandoci a quelli di due equazioni. Sia D R3
un insieme contenente il punto (t0 , x0 , y0 ) e siano f, g : D R due funzioni definite su D. Una
soluzione del problema di Cauchy
0
x
= f (t, x, y)

0
y
= g(t, x, y)
x(t0 ) = x0

y(t0 ) = y0
`e una coppia di funzioni x : I R ed y : I R, di classe C 1 , (con I intervallo), tali che
(t, x(t), y(t)) D per ogni t I;
x0 (t) = f (t, x(t)y(t)) e y 0 (t) = g(t, x(t)y(t)) per ogni t I;
x(t0 ) = x0 e y(t0 ) = y0 .
Riassumiamo i principali risultati sui sistemi in un unico teorema.

`
1.6. IL TEOREMA DI ESISTENZA E UNICITA

21

Teorema 1.6.11. Supponiamo che D sia aperto e che siano continue le funzioni f e g insieme
con le loro derivate fx , fy , gx e gy . Allora esiste un unica soluzione massimale del problema di
Cauchy. Inoltre se D = (a, b) R2 ed esistono h, k 0 tali che
p
p
[f (t, x, y)]2 + [g(t, x, y)]2 h + k x2 + y 2
allora la soluzione massimale `e definita su tutto (a, b).
Non abbiamo analizzato equazioni di ordine superiore in quanto con unopportuna sostituzione
ci si riconduce a sistemi del primo ordine.
Ad esempio, la generica equazione del secondo ordine in forma normale
x00 = g(t, x, x0 )
con lintroduzione della nuova variabile
y = x0
si trasforma nel sistema

x0 = y
y 0 = g(t, x, y).

Nel caso in cui la funzione g non dipenda dalla variabile indipendente t, allora la riduzione ad
un sistema del primo ordine conduce ad un effettivo metodo di risoluzione che illustriamo nel
seguente esempio.
Esempio 1.6.12. Consideriamo il problema di Cauchy
00
= 2xx0
x
x(0) = 0
0
x (0) = 1
e poniamo y = x0 =

dx
dt .

Dal teorema di derivazione della funzione composta abbiamo che


x00 =

dx0
d
dy dx
dy
= y=
=
y
dt
dt
dx dt
dx

e quindi lequazione diventa


dy
y = 2xy.
dx
Separando le variabili ed imponendo le condizioni iniziali abbiamo che
y(x) = x2 + 1.
Sostituendo tale espressione per y nellequazione x0 = y ne deduciamo che x deve soddisfare
lequazione
x0 = x2 + 1
la cui soluzione (sempre separando le variabili ed imponendo le condizioni iniziali) `e data da
x(t) = tan(t).

22

CAPITOLO 1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI

Capitolo 2

Campi Vettoriali
In questo capitolo, dopo aver introdotto i campi vettoriali (piani), focalizzeremo la nostra attenzione su quelli conservativi fornendo condizioni necessarie e sufficienti per lesistenza di un potenziale scalare. Per comprendere limportanza del concetto di potenziale scalare trattiamo subito
il caso delle forze unidimensionali che dipendono solo dalla posizione per le quali presentiamo
unanalisi qualitativa del moto.

2.1

Il metodo della conservazione dellenergia

Consideriamo un corpo puntiforme di massa m che si muove lungo una retta, che identifichiamo
con lasse delle ascisse, con legge oraria x(t). Supponiamo che sul corpo agisca una forza avente
la stessa direzione del moto: F = F i. Possiamo pertanto identificare la forza con la sua intensit`
a1
F , che `e una grandezza scalare con segno, in genere funzione della posizione x, della velocit`
a
v = x0 e del tempo t. Se supponiamo che F dipenda esclusivamente dalla posizione del corpo,
la seconda legge della dinamica ma = F si traduce nel problema di Cauchy

mx00 = F (x)
x(0) = x0
(2.1)
0
x (0) = v0 ,
dove x0 e v0 denotano rispettivamente la posizione e la velocit`a iniziale.
Supporremo che la funzione F sia di classe C 1 (R) di modo che la (2.1) ammetta ununica
soluzione massimale di classe C 2 definita su un opportuno intorno di 0.
Studiando le equazioni differenziali abbiamo avuto modo di sviluppare una tecnica che permetteva di ridurre unequazione del tipo x00 = g(x, x0 ) ad una del primo ordine attraverso
unopportuna sostituzione. Tale riduzione si applica ovviamente alla (2.1), ma, in tal caso, tale
procedura ha una interpretazione fisica particolarmente rilevante.
Ricordiamo brevemente il concetto fisico di lavoro, limitandoci sempre allambito unidimensionale. Se la forza F `e costante, il lavoro che essa compie quando il punto si sposta dalla
posizione a alla posizione b `e definito come W = W (F ; a, b) = F (b a). Nel caso in cui F
1

nella Fisica per intensit`


a si intende |F |

23

24

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

dipenda dalla posizione del punto materiale `e comunque ragionevole pensare che il lavoro sia
additivo, i.e., che se a < c < b allora il lavoro che la forza compie da a a b sia dato dalla somma
del lavoro compiuto da a a c con quello da c a b; in formule W (F ; a, b) = W (F ; a, c) + W (F ; c, b).
Dividiamo ora lintervallo [a, b] in n sottointervallini [xi , xi+1 ] con xi = a+i ba
n , i = 0, 1, . . . , n1
ba
di lunghezza n . Essendo F continua, se n `e sufficientemente grande, si pu`o approssimare il
valore di F nellintervallo [xi , xi+1 ] con la costante F (xi ) e di conseguenza `e ragionevole pensare
che W (F ; xi , xi+1 )
= W (F (xi ); xi , xi+1 ) = F (xi )(xi+1 xi ). Sfruttando ladditivit`a abbiamo
che
n1
n1
X
X
W (F ; a, b) =
W (F ; xi , xi+1 )
F (xi )(xi+1 xi ).
=
i=0

i=0

Lultimo termine nella precedente espressione `e una somma di Riemann che tende, per n ,
allintegrale della funzione F sullintervallo [a, b]. Questo osservazioni suggeriscono quindi di
definire il lavoro compiuto dalla forza come
Z b
W (F ; a, b) =
F (x)dx.
a

Se denotiamo V (x) =
deduciamo che

F (x)dx una primitiva di F , dal teorema fondamentale del calcolo


W (F ; a, b) = V (b) V (a).

(2.2)

La funzione V (x) `e detta un potenziale (scalare) della forza F e la (2.2) ci dice che il lavoro
compiuto dalla forza F quando il punto si sposta dalla posizione a alla posizione b `e dato dalla
differenza dei valori assunti dal potenziale in b ed a.
Introduciamo ora lenergia totale
1
E = m(x0 )2 + U (x)
2

(2.3)

pari alla somma dellenergia cinetica Ec = 12 m(x0 )2 e dellenergia potenziale U (x) = V (x).
Mostriamo che se x = x(t) `e soluzione di (2.1) allora E `e costante. Infatti la derivata di
E = E(t) rispetto al tempo t
dE
= mx0 (t)x00 (t) F (x(t))x0 (t) = x0 (t)[mx00 (t) F (x(t))] = 0
dt
e pertanto
1
1
E = E(0) = m(x0 (0))2 + U (x(0)) = m(v0 )2 + U (x0 ) = E0 .
2
2
Dalla precedente equazione e dalla (2.3) ricaviamo
r
2(E0 U (x))
0
x =
m

(2.4)

che `e una equazione a variabili separabili. Per prima cosa mostriamo come le condizioni iniziali
determinino la scelta del segno in (2.4).
1. Se v0 > 0 allora, per il teorema della permanenza del segno, x0 (t) si manterr`a positiva in
un certo intorno di 0 e quindi scegliamo il segno +.

2.1. IL METODO DELLA CONSERVAZIONE DELLENERGIA

25

2. Se v0 < 0 allora, per il teorema della permanenza del segno, x0 (t) si manterr`a negativa in
un certo intorno di 0 e quindi scegliamo il segno .
3. Se v0 = 0, osservando che mx00 (0) = F (x(0)) = F (x0 ), abbiamo tre possibili sottocasi.
(a) Se F (x0 ) > 0 allora x00 (0) > 0 e quindi x0 (t) > 0 (risp. x0 (t) < 0) per t in un certo
intorno destro2 (risp. intorno sinistro) di 0.
(b) Se F (x0 ) < 0 allora x00 (0) < 0 e quindi x0 (t) < 0 (risp. x0 (t) > 0) per t in un certo
intorno destro (risp. intorno sinistro) di 0.
(c) Se F (x0 ) = 0 allora x(t) = x0 `e soluzione. Infatti le condizioni iniziali sono banalmente soddisfatte, mentre F (x(t)) = F (x0 ) = 0 = mx00 (t).
Osservazione 2.1.1. La condizione v0 = 0 `e equivalente ad U (x0 ) = E0 . In tal caso esistono
soluzioni della (2.4) che non sono soluzioni della (2.1): la funzione x(t) = x0 `e sempre soluzione
della (2.4), ma non della (2.1) se F (x0 ) 6= 0. Il problema nasce dal fatto che se U (x0 ) = E0 non
valgono le condizioni per lunicit`a della soluzione per la (2.4).
Mostriamo ora una semplice condizione che ci garantisce che la soluzione massimale sia definita
su tutto R.
Proposizione 2.1.2. Se lenergia potenziale U (x) `e limitata inferiormente, i.e. esiste una
costante U0 tale che U (x) U0 allora la soluzione massimale di (2.1) `e definita su tutto R.
Dimostrazione. Dalla (2.4) deduciamo che
r

2(E U (x)) r 2(E U )


0
0
0
|x0 | =
= C.



m
m
Integrando rispetto al tempo otteniamo
Z t



0

|x(t) x0 | = x (s)ds C|t|.
0

Supponiamo per assurdo che la soluzione massimale sia definita in un intervallo (, ) 3 0 con
|| < o || < . Supponiamo, per semplicit`a, che sia non maggiore di || e sia finito.
Per le precedenti stime, avremmo che per |t| < la coppia (x(t), x0 (t)) sarebbe contenuta nel
compatto [C + x0 , x0 + C] [C, C] in contraddizione con la supposta massimalit`a della
soluzione (confronta con il Teorema 1.6.11).
Proposizione 2.1.3. Sia x : (, ) R la soluzione massimale di (2.1). Se esiste T (, ),
T > 0 tale che x(T ) = x0 ed x0 (T ) = v0 allora la soluzione x `e definita su tutto R ed `e periodica
di periodo T (i.e. x(t + T ) = x(t) per ogni t R).
Dimostrazione. la funzione xT : ( T, T ) R definita da xT (t) = x(t + T ) verifica
mx00T (t) = mx00 (x + T ) = F (x(t + T )) = F (xT (t))
e le condizioni iniziali xT (0) = x(T ) = x0 e x0T (0) = x0 (T ) = v0 . Per il teorema dell unicit`
a
della soluzione x(t) xT (t) e pertanto `e periodica e definita su tutto R.
2

i.e. un intervallo del tipo (0, ) con > 0

26

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Esempio 2.1.4. Consideriamo il caso in cui F (x) = kx con k > 0 (che corrisponde al caso
della forza elastica gi`a trattato nellambito delle equazioni lineari a coefficienti costanti). Allora
possiamo scegliere come energia potenziale U (x) = 12 kx2 e quindi, supponendo v0 > 0 (e questo
implica E0 > 0), lequazione (2.4) diventa
r
dx
2E0 kx2
0
x =
=
.
dt
m
Separando le variabili ed integrando otteniamo
Z
dx
q

2E0 kx2
m

dt.

(2.5)

Il primo integrale `e uguale a


q
Z

dx
r
q
q
2 =
2E0
k
1
m
2E0 x

Z
q

2E0
k ds

2E0
m

1 s2

Z
m
ds

=
=
k
1 s2
r
m
=
arcsin s =
k
!
r
r
m
k
arcsin
x .
=
k
2E0
Quindi la (2.5) diventa
r
arcsin

! r
k
k
t+
x =
2E0
m

ovvero
r
x(t) =

2E0
sin
k

!
k
t+ .
m

con costante da determinare.


Esercizio 2.1.5. Con riferimento al precedente
di Cauchy, mostrate, imponendo
q problema

q
2E0
k
solamente le condizioni iniziali, che se A sin
t
+

`
e
soluzione
allora
|A|
=
m
k .

2.1.1

Analisi qualitativa del moto

Non sempre `e possibile trovare una soluzione esplicita della (2.1), ma lo studio dellenergia potenziale permette comunque di trarre delle interessanti conclusioni sul moto del punto materiale.
Supponiamo che la retta y = E0 intersechi il grafico dell energia potenziale in due punti
di ascissa x1 , x2 con x1 x0 x2 e che nellintervallo [x1 , x2 ] non cadano altri zeri della
funzione E0 U (x). Questo `e equivalente a dire che U (x1 ) = U (x2 ) = E0 e che U (x) < E0 per

2.1. IL METODO DELLA CONSERVAZIONE DELLENERGIA

27

x (x1 , x2 ); tenendo conto della (2.4) e delle successive osservazioni, ne deduciamo che il moto
pu`o avvenire solo in tale intervallo e che la velocit`a x0 si pu`o annullare solamente agli estremi di
tale intervallo. Mostreremo che le caratteristiche del moto sono determinate dalla molteplicit`
a
degli zeri della funzione E0 U (x), considerando tre (fra i) possibili casi.
1. (Moto oscillatorio) Supponiamo F (x1 ) 6= 0 ed F (x2 ) 6= 0, con x1 e x2 entrambi differenti
da x0 . Questo vuol dire che sia x1 che x2 sono zeri semplici di E0 U (x). Lasciamo al lettore
di verificare inoltre che necessariamente F (x1 ) = U 0 (x1 ) > 0 ed F (x2 ) = U 0 (x2 ) < 0
(come si pu`o facilmente intuire dal grafico dellenergia potenziale).
Per semplicit`a assumiamo che v0 < 0 (il caso v0 > 0 si tratta in modo simile). Allora la
soluzione x(t) `e decrescente in un intorno di 0, in quanto x0 (t) < 0, e quindi la particella
si muove verso sinistra fino a che x(t) si mantiene pi`
u grande di x1 Indichiamo con t1 il
primo tempo successivo a 0 in cui la particella raggiunge la posizione x1 con la convezione
che t1 = + se x(t) > x1 per ogni t > 0. Mostriamo che lipotesi che F (x1 ) 6= 0 implica
che t1 `e finito.
Dalla (2.4) abbiamo che
Z t1
Z
t1 =
dt =
0

x1

x0

dx
2(E0 U (x))
m

x0

=
x1

dx
q

2(E0 U (x))
m

dove il segno nella terza uguaglianza dipende dal fatto che v0 < 0. Si tratta di un integrale improprio, in quanto la funzione integranda tende a + quando x tende ad x+
1.
Utilizzando lo sviluppo di Taylor dellenergia potenziale deduciamo che
E0 U (x) = E0 U (x1 ) U 0 (x1 )(x x1 ) + o(x x1 )
= E0 E0 + F (x1 )(x x1 ) + o(x x1 )
= F (x1 )(x x1 ) + o(x x1 )
e pertanto, se > 0 `e sufficientemente piccolo,
Z x1 +
Z
dx
q

x1

2(E0 U (x))
m

che risulta convergente. Poiche

R x0

x1 +

x1

dx

x1 +

2(E0 U (x))
m

dx
q

2F (x1 )(xx1 )
m

`e ovviamente finito (la funzione inte-

granda `e continua nellintervallo di integrazione) concludiamo che la particella raggiunge


la posizione x1 nel tempo finito t1
1)
Al tempo t1 il punto ha velocit`a nulla, ma la sua accelerazione `e pari a F (x
m > 0. Pertanto
il punto inverte il suo moto (i.e. si muove verso sinistra) e la sua legge oraria soddisfa
r
2E0 kx2
0
.
x (t) =
m

Poiche F (x2 ) 6= 0 la particella raggiunge in un tempo finito la posizione x2 in un tempo


finito t2 dato da
Z t2
Z x2
dx
q
t2 t1 =
dt =
t1

x1

2(E0 U (x))
m

28

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI


passando prima per il punto x0 ma con velocit`a positiva v0 . Al tempo t2 il punto inverte
nuovamente il suo moto e raggiunge nuovamente la posizione x1 in un tempo finito t3 ,
passando per il punto x0 con la velocit`a iniziale v0 . In definitiva abbiamo che la particella
oscilla fra la posizione x1 ed x2 seguendo un moto periodico di periodo
Z x2
dx
q
T =2
.
2(E0 U (x))
m

x1

y = E0

x1 x0 x2
2. (Moto a meta asintotica) Supponiamo F (x1 ) 6= 0 , F (x2 ) = 0 con x1 e x2 entrambi
differenti da x0 . In questo caso la particella, dopo al pi`
u un inversione di moto in x1 tende
asintoticamente alla posizione x2 senza mai raggiungerla. Infatti, sfruttando il fatto che
U (x) = U (x2 ) + U 0 (x2 )(x x2 ) +
= E0

U 00 (x2 )(x x2 )2
+ o((x x2 ))2
2

F 0 (x2 )(x x2 )2
+ o((x x2 ))2
2

si deduce facilmente che


Z

x2

x1

dx
q

2(E0 U (x))
m

= +

e pertanto il tempo per andare da x1 ad x2 risulterebbe infinito. Si sarebbe potuto giungere


allo stesso risultato invocando il teorema di unicit`a della soluzione: se per qualche t > 0,
x(t) = x2 allora il problema di Cauchy con dati iniziali x(t) = x2 e x0 (t) = 0 avrebbe un
altra soluzione, oltre a quella banale x(t) x2 .

y = E0

x1

x0

x2

3. (Moto stazionario) x1 = x2 = x0 e F (x0 ) = 0 allora abbiamo gi`a visto che la soluzione


`e data da x(t) = x0 ovvero la particella rimane ferma nella posizione x0 .

2.2. CURVE PARAMETRICHE

29

y = E0

x1 x0 x2
Osservazione 2.1.6. x0 , tranne che nel caso (3), non coincide necessariamente con il punto di
minimo di U (x).
Esercizio 2.1.7. Fate unanalisi qualitativa del moto per il caso mostrato in figura.
y = E0

x1

x0

Esercizio 2.1.8. Utilizzando il metodo della conservazione dellenergia trovare le soluzioni dellequazione differenziale mx00 = kx, con m, k > 0. Scegliere inoltre delle condizioni iniziali che
determinano un moto a meta asintotica.
R
1
Suggerimento: 1+x
dx = sinh1 x + c1 dove sinh1 x denota linversa della funzione seno
2
iperbolico sinh x =

2.2

ex ex
.
2

Curve parametriche

Intuitivamente siamo orientati a pensare ad una curva come un luogo geometrico unidimensionale in uno spazio di dimensione superiore. Purtroppo, la formalizzazione rigorosa del concetto
di dimensione, nota col nome di misura di Hausdorff, `e alquanto complessa ed esula pertanto
dagli scopi di questo libro. Per superare questa difficolt`a il nostro approccio sar`a di tipo fisico,
pensando ad una curva come alla legge oraria di una particella che percorre una certa traiettoria nel piano. In questo modo potremo utilizzare il calcolo differenziale per definire concetti
geometrici quali la lunghezza, il vettore tangente e la curvatura, in analogia a quello che `e stato
fatto nel corso di calcolo differenziale di una variabile per studiare il grafico di una funzione.
Definizione 2.2.1. Una curva parametrica `e una funzione continua
: I
R2
t 7 (x(t), y(t)),
dove I `e un intervallo di numeri reali.

30

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Le funzioni x(t) e y(t) sono dette le componenti della curva e `e detta di classe C k se entrambe
le componenti sono funzioni di classe C k . Come gi`a accennato, la coppia (x(t), y(t)) pu`o essere
pensata come le coordinate che individuano la posizione di una particella al tempo t. Limmagine
di `e detta il sostegno o traiettoria della curva ed indicata con []. Daltra parte, se un insieme
R2 costituisce il sostegno di una curva parametrica (i.e. = []) diremo che `e una
parametrizzazione di . Bisogna evitare di confondere una curva con il suo sostegno: come
vedremo negli esempi curve differenti possono avere lo stesso sostegno (o, equivalentemente, lo
stesso insieme pu`o avere differenti parametrizzazioni). Notare che il parametro t determina su
[] un verso di percorrenza chiamato orientazione della curva. In particolare, se `e iniettiva,
diremo che il punto P1 = (t1 ) precede il punto P2 = (t2 ) se t1 < t2 .
Esempio 2.2.2. Determiniamo una parametrizzazione del segmento orientato che unisce due
punti P1 = (x1 , y1 ) e P2 = (x2 , y2 ) . Supponiamo per semplicit`a che x1 < x2 . Lequazione
cartesiana della retta passante per P1 e P2 `e data da
y = y1 +

y2 y1
(x x1 )
x2 x1

(2.6)

e pertanto una possibile scelta per `e


: [x1 , x2 ]
t
7 (t, y1 +

R2

y2 y1
x2 x1 (t

x1 )).

Mostriamo ora che la curva (t) = (x(t), y(t)) (con t [0, 1]) definita da
(
x(t) = (1 t)x1 + tx2

(2.7)

y(t) = (1 t)y1 + ty2

` immediato verificare che (0) = P1 e


`e unaltra parametrizzazione dello stesso segmento. E
(1) = P2 e che x1 x(t) x2 . Inoltre dalla (2.7) ricaviamo
(
(
x(t) x1 = t(x2 x1 )
(y2 y1 )(x(t) x1 ) = t(x2 x1 )(y2 y1 )

y(t) y1 = t(y2 y1 )
(x2 x1 )(y(t) y1 ) = t(x2 x1 )(y2 y1 )
che implica che un generico punto (x(t), y(t)) del sostegno della curva verifica lequazione
(y2 y1 )(x(t) x1 ) = (x2 x1 )(y(t) y1 )
la quale coincide con la (2.6).

Data una curva paramerica , possiamo considerare la funzione vettoriale r(t) = O(t) che
associa al parametro t il vettore applicato il cui primo estemo `e lorigine O = (0, 0) e lestremo
finale il punto (t). Se la funzione r `e derivabile in t, definiamo il vettore velocit`
a o tangente
come il vettore
T(t) := r0 (t) = x0 (t)i + y 0 (t)j
applicato nel punto (t).
Poiche

r(t + t) r(t)
(t)(t + t)
r (t) = lim
= lim
t0
t0
t
t
dal disegno `e facile convincersi dellappellativo tangente riservato a tale vettore.
0

2.2. CURVE PARAMETRICHE

31

@
 @
R



r(t) 


r(t + t)


Nel seguito i vettori v(t) saranno pensati applicati nel punto (t) (con leccezione del vettore
posizione r(t) che `e applicato nellorigine).
Il sostegno di una curva parametrica pu`o essere un insieme molto bizzarro del piano cartesiano:
il matematico piemontese Peano produsse lesempio di una curva parametrica il cui sostegno
riempiva completamente un quadrato, pur essendo le componenti x(t), y(t) funzioni continue.
Per evitare tali ed altre patologie `e opportuno imporre delle condizioni aggiuntive, che enunciamo
solo nel caso in cui lintervallo I `e chiuso e limitato.
Definizione 2.2.3. Una curva parametrica : [a, b] R2 `e detta regolare se soddisfa le tre
seguenti condizioni:
1. le componenti x(t) e y(t) sono funzioni di classe C 1 ([a, b]);
2. T(t) non si annulla per nessun valore t [a, b];
3. se a t1 < t2 b e (t1 ) = (t2 ) allora t1 = a e t2 = b.
Come vedremo con opportuni esempi, le prime due condizioni sono introdotte per evitare
che il sostegno della curva presenti irregolarit`a quali punti angolosi o cuspidi, mentre la terza
condizione esclude eventuali autointersezioni.
In alcuni testi, le terza condizione non viene richiesta nella definizione di regolarit`a, diventando
invece la definizione di curva semplice. Essa pu`o essere riformulata dicendo che le restrizioni
` utile osservare che una
di agli intervalli [a, b) e (a, b] siano iniettive (debole iniettivit`
a). E
condizione sufficiente (ma non necessaria) per liniettivit`a di consiste nelliniettivit`a di una
delle sue componenti.
Nel caso che (a) = (b), cio`e il primo estremo coincide con il secondo estremo, la curva `e
detta chiusa. In tal caso, non `e possile introdurre un ordinamento fra i punti del sostegno e
lorientazione si tradurr`a in un senso di percorrenza orario o antiorario.
In virt`
u della condizione (2), `e possibile definire per una curva regolare il versore tangente
T(t) 3
b
T(t)
=
,
kT(t)k
ottenuto dividento il vettore tangente per la sua norma.
3

Vedi Osservazione 2.2.23

32

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Esempio 2.2.4. Date le due curve parametriche


1 : [1, 2]
R2
2 : [0, ln 4]
R2
t
7 (t2 , t4 ),
u
7 (eu , e2u ),
mostriamo che sono regolari e determiniamone il loro sostegno e versore tangente. Chiaramente
la condizione (1) `e soddisfatta cos` come la condizione (3) in quanto le componenti di entrambe le
curve sono iniettive nei rispettivi domini. Il vettore velocit`a della prima curva T1 (t) = 2ti + 4t3 j
non si annulla mai in [1, 2] e quindi anche la condizione (2) `e soddisfatta; il versore tangente `e
c1 (t) = 1 i + 2t2 j.
dato da T
1+4t4
1+4t4
In maniera analoga il vettore velocit`a della seconda curva T2 (u) = eu i + 2e2u j 6= 0 ed il
2eu
c2 (u) = 1
i + 1+4e
j. Per quanto riguarda il sostegno,
corrispondente versore tangente T
2u
1+4e2u
osserviamo che le componenti di entrambe le curve soddisfano lequazione y = x2 ed inoltre
1 (1) = 2 (0) = (1, 1) e 1 (2) = 2 (ln 4) = (4, 16). Deduciamo quindi che il sostegno di
entrambe le curve `e larco di parabola di equazione y = x2 compreso fra il punto (1, 1) ed il
punto (4, 16).

Proposizione 2.2.5 (Curve cartesiane). Sia f : [a, b] R una funzione reale di una variabile
reale e si definisca una curva parametrica : [a, b] R ponendo (t) = (t, f (t)). Allora:
a) `e regolare se e solamente se f C 1 ([a, b]);
b) il sostegno di `e dato dal grafico di f .
Dimostrazione. a) Poich`e la funzione x(t) = t `e di classe C 1 ([a, b]), la condizione (1) `e chiaramente equivalente al fatto che f (t) sia di classe C 1 ([a, b]). Mostriamo che le condizioni (2) e (3)
sono sempre soddisfatte. Infatti il vettore velocit`a T(t) = 1i + f 0 (t)j non `e mai nullo in quanto
la prima componente `e sempre diversa da zero. Essendo la funzione x(t) = t iniettiva, lo `e anche
la funzione e quindi anche la (3) `e verificata.
b) Il sostegno di `e dato da {(t) : t [a, b]} = {(t, f (t)) : t [a, b]} che `e, per definizione, il
grafico di f .
2
Mostriamo ora qualche esempio di curva parametrica non regolare che per`o soddisfa almeno
due condizioni della Definizione 2.2.3.
Esempio 2.2.6. Sia
: [1, 1]
R2
t
7 (t3 , t2 ),
allora le componenti sono funzioni polinomiali e quindi sicuramente di classe C 1 ([1, 1]). Anche
la condizione (3) `e soddisfatta, in quanto la funzione x(t) = t3 `e iniettiva su tutto R e quindi
in particolare sullintervallo [1, 1]. Tuttavia il vettore velocit`a T(t) = 3t2 i + 2tj si annulla per
t = 0 violando cos` la condizione (2). Notare che le componenti soddisfano
lequazione x2 = y 3

3
e pertanto il sostegno di pu`o essere identificato con il grafico di y = x2 (con 1 x 1)
che presenta per x = 0 una cuspide.

2.2. CURVE PARAMETRICHE

33

Figura 2.1: Cuspide


Nei precedenti esempi siamo riusciti a descrivere il sostegno della curva mostrando che
le componenti verificano lequazione cartesiana di un noto luogo geometrico. Una descrizione
qualitativa del sostegno, interpretato come traiettoria percorsa da una particella che si muove con
legge oraria (t), pu`o essere tuttavia fornita utilizzando il segno delle derivate delle componenti
secondo il seguente schema:
se x0 (t) > 0 e y 0 (t) > 0 allora la particella si muove in direzione Nord-Est;
se x0 (t) > 0 e y 0 (t) < 0 allora la particella si muove in direzione Sud-Est;
se x0 (t) < 0 e y 0 (t) > 0 allora la particella si muove in direzione Nord-Ovest;
se x0 (t) < 0 e y 0 (t) < 0 allora la particella si muove in direzione Sud-Ovest.
Unanalisi pi`
u precisa sulle caratteristiche geometriche del sostegno sar`a fornita nel Paragrafo
??.
Esempio 2.2.7. Sia
: [ 4 , 5
R2
4 ]
t
7 (sin t, sin(2t)),
allora anche in questo caso la condizione (1) `e facilmente verificata. Il vettore velocit`a `e dato
da T(t) = cos ti + 2 cos 2tj: la prima componente si annulla nellintervallo [ 4 , 5
4 ] solamente
per t = 2 , ma per questo valore la seconda componente assume il valore -2 e pertanto T
non si annulla mai. La condizione (3) invece non `e verificata in quanto (0) = (sin 0, sin 0) =
(0, 0) = (sin , sin(2)) = (). Il sostegno, che pu`o essere disegnato in prima approssimazione
utilizzando la tabella sotto riportata, presenta unautointersezione nellorigine.

t
x0 (t)
y 0 (t)
T(t)

( 4 , 4 )
>0
>0
%

( 4 , 2 )
>0
<0
&

( 2 , 3
4 )
<0
<0
.

5
( 3
4 , 4 )
<0
>0
-

34

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Figura 2.2: Figura2


Inoltre T( 4 ) = T( 4 ) =

2
2 i,

5
T( 2 ) = 2j e T( 3
4 ) = T( 4 ) =

2
2 i.

Esercizio 2.2.8. Sia f : R R definita da



f (x) =

x2 sin( x1 )
0

se
se

x 6= 0
x = 0.

Mostrare che f `e derivabile in R, ma che la sua derivata non `e continua in 0 e pertanto


f
/ C 1 (R).

2.2.1

Curve in coordinate polari

Sia P = (x, y) un punto del piano cartesiano distinto dallorigine. Consideriamo il raggio vettore
r che unisce lorigine a tale punto ed indichiamo con [0, 2) langolo che r forma con il
semiasse delle x non negative misurato in senso antiorario. Indicato con la norma di r, dalla
trigonometria elementare abbiamo che
(
x = cos
(2.8)
y = sin .
Chiameremo la coppia ordinata [, ] le coordinati polari del punto P e ci riferiremo alla (2.8)
come al passaggio in coordinate polari.
Sia un sottoinsieme di R2 e supponiamo che le coordinate polari [, ] di un generico punto
di siano legati da una relazione del tipo
= f ()

(2.9)

2.2. CURVE PARAMETRICHE

35

dove f : [0 , 1 ] [0, +) `e una funzione che, per semplicit`a, supponiamo di classe C 1 . Allora,
utilizzando la (2.8), otteniamo che una parametrizzazione di `e data da
() = (f () cos , f () sin ), [0 , 1 ].

(2.10)

Lequazione (2.9) viene detta equazione polare della curva e pu`o essere utilizzata per avere
unidea del sostegno della curva. Infatti il punto () si trova sulla semiretta che forma un
angolo con lasse delle x ad una distanza f () dallorigine e quindi, se f 0 () > 0, quando ci si
muove in senso antiorario ci si allontana dallorigine.
Lequazione polare di una circonferenza centrata nellorigine di raggio a assume la forma
particolarmente semplice = a; dalla (2.10) se ne deduce che una parametrizzazione di tale
circonferenza `e data da
() = (a cos , a sin ),
con [0, 2] (oppure [0, 2) se si vuole una parametrizzazione iniettiva).
Nel caso la circonferenza sia centrata in un punto P0 = (x0 , y0 ) differente dallorigine, `e
sufficiente effettuare una traslazione ponendo
() = (x0 + a cos , y0 + a sin ).
Notare che questa espressione non `e del tipo (2.10). Per ricavare lequazione polare di una
circonferenza non centrata nellorigine, partiamo dalla sua equazione cartesiana
(x x0 )2 + (y y0 )2 = a2
ed, utilizzando il passaggio in coordiante polari, otteniamo
( cos x0 )2 + ( sin y0 )2 = a2
2 cos2 2x0 cos + x20 + 2 sin2 2y0 sin + y02 = a2
2 2(x0 cos + y0 sin ) + x20 + y02 a2 = 0
q
= x0 cos + y0 sin + (x0 cos + y0 sin )2 (x20 + y02 a2 ). (2.11)
I precedenti calcoli mostrano che una traslazione pu`o complicare di molto lespressione dellequazione polare. Daltra parte `e facile convincersi che lequazione polare di una curva ruotata
di un angolo 0 `e data semplicemente da = f ( 0 ).
Per quanto concerne la norma del vettore velocit`a, abbiamo
p
kT()k = [f 0 () cos f () sin ]2 + [f 0 () sin + f () cos ]2
q
= [f 2 ()(cos2 +sin2 ) + f 02 ()(cos2 +sin2 ) + 2f ()f 0 ()(cos sin cos sin )
p
= f 2 () + f 02 ()
(2.12)
e quindi `e uguale a zero se e solamente se si annullano contemporaneamente la funzione f e la
sua derivata f 0 . Infine, la curva `e sempre debolmente iniettiva se |1 0 | 2 e f si annulla
in al pi`
u un punto. Infatti se | 0 | < 2 allora i punti () e (0 ) si trovano su due distinte
semirette e quindi possono coincidere solamente se f () = f (0 ) = 0. Notare che se la funzione
f `e iniettiva allora la corrispondente curva parametrica risulta iniettiva senza porre ulteriori
condizioni sulla lunghezza dellintervallo di definizione.

36

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Esempio 2.2.9. Ricordiamo che la parabola `e il luogo geometrico dei punti equidistanti da
un punto dato, chiamato fuoco, e da una retta non passante per il fuoco, chiamata direttrice.
Pertanto, scegliendo come fuoco F lorigine e per direttrice la retta r di equazione cartesiana
x = d con d > 0 ed indicando con [, ] le coordinate polari di un generico punto di tale
parabola, abbiamo che
= d(P, F ) = d(P, r) = cos + d,
da cui
= () =

(0, 2)

d
.
1 cos

Figura 2.3: parabola

Esercizio 2.2.10. Mostrare che per A > 0, 0 e 0 R, lequazione


=

A
1 cos( 0 )

definisce uniperbole se > 1, una parabola se = 1 ed unellisse se 0 < 1 (per = 0 si ha


una circonferenza).
(Suggerimento: utilizzare la definizione di iperbole ed ellisse in termini di eccentricit`
a).

2.2. CURVE PARAMETRICHE

2.2.2

37

Equivalenza di curve parametriche

Nei precedenti paragrafi abbiamo incontrato alcuni esempi di coppie di curve parametriche
distinte che avevano lo stesso sostegno. In questo paragrafo, mostreremo che tale fenomeno
`e sostanzialmente equivalente allesistenza di un cambio di parametro che trasforma la prima
curva nella seconda. Ci limiteremo a considerare solamente il caso di curve regolari.
Definizione 2.2.11. Due curve regolari
1 : [a1 , b1 ]
R2
2 : [a2 , b2 ]
R2
t
7 (x1 (t), y1 (t)).
u
7 (x2 (u), y2 (u)).
sono dette equivalenti (e scriveremo 1 2 ) se esiste una funzione : [a1 , b1 ] [a2 , b2 ]
invertibile e di classe C 1 ([a1 , b1 ]) con 0 (t) 6= 0, t [a1 , b1 ], tale che

x2 ((t)) = x1 (t)
2 ((t)) = 1 (t)
y2 ((t)) = y1 (t)
per ogni t [a1 , b1 ]. In tal caso si ha che
T1 (t) = x01 (t)i + y10 (t)j = x02 ((t))0 (t)i + y20 ((t))0 (t)j = 0 (t)T2 ((t)).

(2.13)

Diremo inoltre che le curve sono positivamente equivalenti se 0 (t) > 0, t [a1 , b1 ].
NellEsempio 2.2.4 la funzione
: [1, 2] [0, ln 4]
t
7 log t2
definisce unequivalenza fra la curva 1 e la curva 2 . Infatti
2

x2 ((t)) = e(t) = elog t = t2 = x1 (t)


ed in maniera analoga si vede che y2 ((t)) = y1 (t).
Esempio 2.2.12. Lasciamo al lettore di verificare che le due curve parametriche
R2
2 : [ 12 , 12 ]
R2
1 : [ 4 , 3
4 ]

t
7 (cos t, sin t),
u
7 (u, 1 u2 )
sono regolari ed osserviamo che le componenti di entrambe le curve soddisfano lequazione x2 +
y 2 = 1 di una circonferenza C centrata nellorigine e di raggio 1. La curva 1 parte dal punto
( 12 , 12 ) e percorre in senso antiorario la circonferenza C fino al punto P2 = 1 ( 3
4 ) mentre
la curva 2 percorre lo stesso arco di circonferenza ma in senso orario partendo dal punto P2 .
Osserviamo che il vettore velocit`a T1 (t) = sin ti + cos tj ha norma unitaria e pertanto coincide
c1 (t), mentre il vettore velocit`a della seconda curva T2 (u) = 1i u j
con il suo normalizzato T
1u2

b 2 (t) = 1 u2 i uj.
e pertanto T
In questo esempio lequivalenza fra le due curve `e fornita dalla funzione (t) = cos(t), t
0
[ 4 , 3
e negativa.
4 ]; notare che in tale intervallo la derivata della funzione (t) = sin t `

38

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Data una curva regolare : [a, b] R2 , la curva : [a, b] R2 definita da


(t) = (t + a + b)
`e equivalente a , ma ha orientazione opposta.
` facile mostrare che lequivalenza fra curve regolari soddisfa le tre seguenti propriet`a:
E
([riflessivit`
a]) Ogni curva `e equivalente a se stessa (basta prendere come funzione
lidentit`a su [a, b]);
([simmetria]) se 1 2 allora 2 1 (se 1 (t) = 2 ((t)) allora 2 (u) = 1 (1 u));
([transitivit`
a]) se 1 2 e 2 3 allora 1 3 (se 1 (t) = 2 ((t)) e 2 (u) = 3 ((u))
allora 1 (t) = 3 (((t)))).
Il significato geometrico dellequivalenza `e spiegato nel seguente teorema.
Teorema 2.2.13. Due curve regolari equivalenti hanno lo stesso sostegno (e la stessa orientazione se positivamente equivalenti). Viceversa se due curve regolari non chiuse hanno lo stesso
sostegno allora sono equivalenti.
Dimostrazione. Supponiamo che 1 2 . Poiche 1 (t) = 2 ((t)) concludiamo che [1 ] [2 ].
Per la simmetria della relazione concludiamo che vale anche linclusione inversa e quindi
[1 ] = [2 ].
Viceversa supponiamo che due curve regolari iniettive 1 : [a1 , b1 ] R2 e 2 : [a2 , b2 ] R2
abbiano lo stesso sostegno. Preso t [a1 , b1 ] esiste un unico u [a2 , b2 ] tale che 1 (t) =
2 (u) (lesistenza `e garantita dal fatto che le curve hanno lo stesso sostegno, mentre lunicit`
a `e
conseguenza dell ipotesi di iniettivit`a). Per costruzione la funzione che associa t ad u soddisfa
1 (t) = 2 ((t)). Lasciamo al lettore di verificare che soddisfa anche le altre condizioni della
Definizione 2.2.11.
2
Osservazione 2.2.14. Per mostrare che lipotesi che le curve non siano chiuse `e essenziale
nella seconda parte del teorema `e sufficiente considerare le curve [, ] 3 t (cos t, sin t) e
[0, 2] 3 t (cos t, sin t) che non sono equivalenti pur essendo il loro sostegno la circonferenza
centrata nellorigine di raggio 1.
Definizione 2.2.15. Una curva parametrica : [a, b] R2 `e detta regolare a tratti se esiste
una partizione a = t0 < t1 < < tn = b dellintervallo [a, b] tale che la restrizione i = |[ti ,ti+1 ]
di all intervallo [ti , ti+1 ] sia una curva regolare per i = 0, 1, . . . , n 1. In tal caso scriveremo
a a a
= 0
1

n1 .
Osservazione 2.2.16. Se 1 : [a1 , b1 ] R2 e 2 : [a2 , b2 ] R2 sono due curve regolari con
1 (b1 ) = 2 (a2 ) allora la curva : [a1 , b1 + b2 a2 ] R2 definita da

1 (t)
se t [a1 , b1 ]
(t) =
2 (t + a2 b1 ) se t [b1 , b1 + b2 a2 ]
`
`e regolare a tratti e si ha = 1 2 .

2.2. CURVE PARAMETRICHE

2.2.3

39

Lunghezza di una curva

Sia : [a, b] R2 una curva parametrica. Sia P = {t0 , t1 , . . . , tn } una partizione dellintervallo
[a, b], i.e.
a = t0 < t1 < < tn = b.
I corrispondenti punti (ti ) [] individuano una poligonale la cui lunghezza `e data da:

l(, P ) =

n1
X

kr(ti+1 ) r(ti )k =

i=0

n1
Xq

[x(ti+1 ) x(ti )]2 + [y(ti+1 ) y(ti )]2 .

(2.14)

i=0

` lecito attendersi che allinfittirsi della partizione la corrispondente poligonale costituisca una
E
migliore approssimazione della curva. Inoltre, accettando il principio che il segmento sia la
curva pi`
u breve passante per due punti, dobbiamo concludere che la lunghezza di una qualunque
poligonale inscritta sia non maggiore della lunghezza della curva. Queste considerazioni ci
portano alla seguente:
Definizione 2.2.17. Una curva parametrica `e detta rettificabile se al variare di tutte le
possibili partizioni P dellintervallo [a, b] lestremo superiore
sup l(, P )
P

risulta finito. In tal caso, il valore di tale estremo superiore `e indicato con l() ed `e detto la
lunghezza della curva .

Per comprendere bene la definizione mostriamo subito lesempio di una curva parametrica non
rettificabile.
Esempio 2.2.18. Data la curva cartesiana
: [0, 2]
R2
t
7 (t, f (t))
con
(
t sin 1t
f (t) =
0

se t 6= 0
se t = 0,

consideriamo, per ogni intero positivo n, la partizione Pn di [0, 2] definita da


t0 = 0; ti =

1
i = 1, 2, . . . , n 1; tn = 2.
/2 + (n i)

40

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Abbiamo che
l(, Pn )

n2
Xq
i=1
n2
Xq
i=1
n2
Xq
i=1
n2
Xq
i=1
n2
Xq

[x(ti+1 ) x(ti )]2 + [y(ti+1 ) y(ti )]2


(ti+1 ti )2 + [ti+1 sin(1/ti+1 ) ti sin(1/ti )]2
(ti+1 ti )2 + (ti+1 + ti )2
2t2i+1 + 2t2i
2t2i

i=1

X
n2
2
i=1

1
/2 + (n i)

da cui deduciamo che la lunghezza della poligonale associata a Pn domina la successione delle
ridotte di una serie equivalente ad una serie armonica. Pertanto supn l(, Pn ) = + e quindi la
curva non `e rettificabile.
La seguente proposizione mostra una semplice condizione sufficiente per le rettificabilit`a di una
curva, fornendo allo stesso tempo anche una semplice formula per calcolarne la lunghezza.
Proposizione 2.2.19. Una curva : [a, b] R2 di classe C 1 `e rettificabile e la sua lunghezza
`e data da
Z b
l() =
kT(t)kdt.
(2.15)
a

Dimostrazione. Sia P = {t0 , t1 , . . . , tn } una partizione dellintervallo [a, b]. Allora


l(, P ) =

(per la Proposizione ??)

n1
X

kr(ti+1 )
i=0
Z
n1
X
ti+1

ti
i=0
Z
n1
X ti+1
i=0
b

Z
=

r(ti )k



r (t)dt

0

kr0 (t)kdt

ti

kr0 (t)kdt

kT(t)kdt

=
a

2.2. CURVE PARAMETRICHE

41

per cui, prendendo lestremo superiore al variare fra tutte le partizioni dellintervallo [a, b],
abbiamo
Z b
kT(t)kdt.
l() = sup l(, P )
P

Questo mostra che le curve di classe C 1 sono rettificabili e la loro lunghezza `e non superiore
allintegrale della (2.15).
Per mostrare che vale in realt`a luguaglianza premettiamo il seguente risultato, intuitivamente
ovvio, del quale omettiamo la dimostrazione.
Additivit`
a della lunghezza di una curva Per a < u b definiamo L(u) = l(|[a,u] ) e
poniamo L(a) = 0. Allora si ha, per a u < v b,
L(v) L(u) = l(|[u,v] ).

(2.16)

In altre parole, se spezziamo la curva in due parti, la lunghezza dellintera curva `e uguale alla
somma delle lunghezze delle due parti.
Ru
Riprendiamo la dimostrazione mostrando che L(u) = a kT(t)kdt ovvero, per il teorema fondamentale del calcolo, che L0 (u) = kT(u)k. Consideriamo una quantit`a h > 0. Per la prima
parte del teorema e la definizione di lunghezza si ha
Z u+h
kT(t)kdt
kr(u + h) r(u)k l(|[u,u+h] )
u

per cui, tenendo conto della (2.16) con v = u + h,


kr(u + h) r(u)k
L(u + h) L(u)
1

h
h
h

u+h

kT(t)kdt.

(2.17)

In maniera simile si pu`o dimostrare che la (2.17) continua a valere anche per h < 0 e quindi,
prendendo il limite per h 0, si ottiene
kT(u)k L0 (u) kT(u)k L0 (u) = kT(u)k.
2

Per come `e stata definita, la lunghezza di una curva non dipende solamente dal suo sostegno:
ad esempio le curve [0, 2] 3 t 7 (cos t, sin t) e [0, 4] 3 t 7 (cos t, sin t) hanno come sostegno la
circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1, ma la lunghezza della prima curva `e 2 mentre quella
della seconda `e 4. Mostreremo per`o nel Capitolo 2 che nel caso di curve regolari la lunghezza
`e indipendente dalla parametrizzazione e dipende escusivamente dal sostegno.
Nel caso di curve cartesiane la (2.15) diventa
Z bp
l() =
1 + f 0 (t)2 dt

(2.18)

mentre nel caso di curve in coordinate polari


Z 1 p
l() =
[f ()]2 + [f 0 ()]2 d.

(2.19)

Nei prossimi esempi calcoleremo la lunghezza di alcune curve, limitandoci a quelle cartesiane
o polari.

42

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI


3

Esempio 2.2.20. Consideriamo la curva cartesiana (t, 23 t 2 ) con t [0, 1]. Applicando la (2.18)
1
con f 0 (t) = t 2 , otteniamo

Z
l() =

1 + tdt
1

3
2 3
2
22 1 .
= (1 + t) 2 =
3
3
0
0

Esempio 2.2.21. Consideriamo la curva cartesiana definita da (t) = (t, t2 ), con t [0, 1], il
cui sostegno `e un arco di parabola. Applicando la (2.18) con f 0 (t) = t, otteniamo

Z
l() =

1p

1 + t2 dt

Z
(ponendo t = sinh u) =

sinh1 (1) p

1 + sinh2 u cosh udu

sinh1 (1)

cosh2 udu

=
0

sinh1 (1)

cosh(2u) + 1
du
2
0

 1
sinh(2u) u sinh (1)
=
+
4
2 0
! sinh1 (1)
p
sinh(u) 1 + sinh2 u u
=
+

2
2
0

1
2 + sinh (1)
=
.
2

Esempio 2.2.22. Calcoliamo la lunghezza della definita da:

: [0, 2]
R2

7 ((1 cos ) cos , (1 cos ) sin )

la cui equazione polare `e quindi


= f () = 1 cos .

(2.20)

2.2. CURVE PARAMETRICHE

43

Figura 2.4: cardioide


Utilizzando la (2.19) otteniamo
Z

l() =

(1 cos )2 + (sin )2 d

2 2 cos d
Z 2 r
1 cos
d
=
2
2
0
Z 2

=
2 sin d = 8.
2
0

Per la particolare forma a cuore del suo sostegno la (2.20) `e detta cardioide (dal greco
= cuore).
b
b
Osservazione 2.2.23. Notare che per la cordioide abbiamo (0) = (2), ma T(0)
= T(2)
e questo determina la presenza di una cuspide in corrispondenza dellorigine. Questo fenomeno
suggerisce di porre unulteriore condizione per la regolarit`a nel caso di curve chiuse, ovvero
b
b
imporre che i versori tangenti agli estremi coincidano (in formule (a) = (b) T(a)
= T(b)).

2.2.4

Ascissa curvilinea

In questo paragrafo mostreremo che in ogni classe di curve regolari equivalenti (e quindi aventi lo stesso sostegno) esiste una curva con la propriet`a che il suo vettore tangente ha norma
costantemente uguale ad 1.
Sia : [a, b] R2 una curva regolare e indichiamo, come in precedenza, con
Z t
L(t) =
kT(u)kdu,
t [a, b],
a

44

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

la lunghezza dell arco di curva compreso fra (a) e (t). Osserviamo che limmagine di L `e
lintervallo [0, l()] ed, essendo la sua derivata kT(t)k > 0, L risulta invertibile. Indicata con
: [0, l()] [a, b] la sua inversa si ha, utilizzando il teorema di derivazione della funzione
inversa ed il teorema fondamentale del calcolo, che
0 (s) = (L1 )0 (s) =

1
L0 ((s))

1
.
kT((s))k

Definizione 2.2.24. La curva a : [0, l()] definita da


a (s) := ((s))
`e detta la riparametrizzazione di tramite ascissa curvilinea. Notare che
Ta (s) = T((s))0 (s) =

T((s))
kT((s))k

ca ). Per
e pertanto tale vettore ha norma unitaria e coincide con il versore tangente (i.e. Ta = T
tale ragione la lunghezza dellarco di curva compreso fra i punti a (s0 ) e a (s1 ) (con 0 s0 <
s1 l()) `e data semplicemente dalla differenza s1 s0 .
Osservazione 2.2.25. Abbiamo scritto la riparametrizzazione e non una riparametrizzazione
in quanto a `e lunica curva positivamente equivalente a che abbia la propriet`a di avere vettore
tangente di norma 1 e dominio [0, l()]. Se ci limita solamente alla propriet`a di avere vettore
tangente di norma 1, allora questa `e posseduta da tutte le curve (t) = a (t c), con c R.
Esempio 2.2.26. Consideriamo la curva cartesiana
[0, 1] 3 t 7 (t, cosh t).

(2.21)

Abbiamo
Z

kT(u)kdu =

L(t) =

Z tp
Z tp
1 + (sinh u)2 du =
(cosh u)2 du = sinh t

la cui inversa `e
(s) = sinh1 s = log(s +

1 + s2 ) s [0, sinh 1].

Ponendo t = sinh1 s nella (2.21), ne deduciamo che una riparametrizzazione tramite ascissa
curvilinea di `e data da
p
[0, sinh 1] 3 s 7 (sinh1 s, 1 + s2 ),
dove abbiamo utilizzato il fatto che
1

cosh(sinh

q
p
s) = 1 + sinh2 (sinh1 s) = 1 + s2 .

La (2.21) (ma con t [a, a]) `e detta catenaria ed ha uninteressante applicazione fisica: il suo
sostegno rappresenta il profilo assunto da un filo pesante tenuto per le sue estremit`a e sottoposto
alla sola forza di gravit`a.
Esercizio 2.2.27. Mostrare che una parametrizzazione tramite ascissa curvilinea della circonferenza di centro (0, 0) e raggio a > 0 `e data da

s
 s 
[0, 2a] 3 s 7 a cos
, a sin
.
a
a

2.3. CAMPI VETTORIALI

2.3

45

Campi Vettoriali

Definizione 2.3.1. Sia D un insieme aperto di R2 . Un campo vettoriale piano su D `e una


mappa continua
F : D R2
R2 D
(x, y) 7 (F1 (x, y)i + F2 (x, y)j, (x, y)) ,
che associa ad ogni punto (x, y) del dominio D un vettore F1 (x, y)i + F2 (x, y)j applicato al punto
(x, y).
Per brevit`a indicheremo un campo vettoriale solamente come una mappa
F : D R2
R2
(x, y) 7 F1 (x, y)i + F2 (x, y)j,
considerando implicito il punto di applicazione del vettore.
Il campo `e detto di classe C k se entrambe le componenti F1 (x, y) ed F2 (x, y) sono funzioni di
classe C k su D.
In genere si rappresenta un campo vettoriale disegnando un certo numero di vettori F1 (x, y)i +
F2 (x, y)j sufficienti a mostrare landamente generale del campo in D Vi sono due tipi di campi
vettoriali particolarmente interessanti:
i campi di velocit`
a che descrivono la cinematica di un fluido: il vettore F1 (x, y)i + F2 (x, y)j
rappresenta la velocit`a della particella che passa per il punto (x, y);
i campi di forza nei quali il vettore F1 (x, y)i + F2 (x, y)j rappresenta la forza a cui `e
sottoposta la particella che occupa la posizione (x, y).
Definizione 2.3.2. Una curva parametrica
: I
D
t 7 (x(t), y(t))
di classe C 1 `e detta curva integrale del campo vettoriale F se il suo vettore tangente al tempo t
coincide con il vettore associato dal campo al punto (t):
T(t) = F((t)),
ovvero, se le sue componenti sono soluzioni del sistema di equazioni differenziali
 0
x = F1 (x, y)
y 0 = F2 (x, y).

(2.22)

Se il campo `e di classe C 1 il problema di Cauchy associato al sistema (2.22) con condizione


iniziale (x(0), y(0)) = (x0 , y0 ) ha ununica soluzione massimale che chiameremo la curva integrale
passante per il punto (x0 , y0 ).
Nel caso il campo vettoriale rappresenti un campo di velocit`a di un fluido, la curva integrale
passante per il punto (x0 , y0 ) `e detta linea di flusso: essa rappresenta la legge oraria della
particella che allistante t = 0 si trova a transitare nel punto (x0 , y0 ).

46

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Esempio 2.3.3. Consideriamo il campo vettoriale


F:

R2

R2
(x, y) 7 xi + yj

che, come mostra la figura, ha un andamento radiale. Allora `e immediato verificare che la curva
: R
R2
t 7 (x0 et , y0 et )
`e la curva integrale passante per il punto (x0 , y0 ) (per t = 0). Se (x0 , y0 ) 6= (0, 0) allora il sostegno
di questa curva `e costituito dalla semiretta (contenuta nella retta di equazione cartesiana x0 y =
y0 x) che parte dallorigine (senza comprenderla) e passante per il punto (x0 , y0 ). Nel caso in cui
(x0 , y0 ) = (0, 0) il sostegno degenera in un punto.
Esempio 2.3.4. Consideriamo
F:

R2

R2
(x, y) 7 yi + xj

che, come mostra la figura, ha un andamento tangenziale (in realt`a il vettore applicato al punto
(x, y) si ottiene ruotanto di 90 gradi il corrispondente vettore del precedente campo vettoriale).
Allora lequazione che definisce le curve integrali diventa
 0
x = y
y 0 = x.
A differenza del precedente esempio, in cui vi erano due equazioni disaccopiate, in questo caso
in entrambe le equazioni compaiono sia la x che la y. Derivando la seconda equazione si ottiene
x0 = y 00 che sostituito nella prima equazione d`a
 00
y = y
y0 = x
la cui soluzione `e

y(t) = A sin(t + )
x(t) = A cos(t + ).

Ne deduciamo che le curve integrali sono delle circonferenze centrate nellorigine percorse in
senso antiorario.
Esempio 2.3.5. I precedenti esempi possono essere visti come caso particolare del seguente
sistema:
 0
x = ax + by
(2.23)
y 0 = cx + dy
con condizione iniziale x(0) = x0 ed y(0) = y0 .
Abbiamo visto che la soluzione del problema di Cauchy x0 = x, x(0) = x0 `e data da
x(t) = x0 et ed `e naturale cercare una soluzione di tipo esponenziale anche per i sistemi di
equazioni a coefficienti costanti.

2.3. CAMPI VETTORIALI

47

Nel Capitolo 9 mostreremo che vale la seguente rappresentazione della funzione esponenziale
come serie di Taylor:
n
X
t
t2 t3
et =
= 1 + t + + +
n!
2! 3!
n=0

e questo suggerisce di definire per una matrice quadrata A ed un numero reale t lesponenziale
della matrice tA come
exp(tA) =

n
X
t
n=0

n!

An = I + tA +

t2 2 t3 3
A + A +
2!
3!

dove I rappresenta la matrice identit`a ed An la potenza ennesima della matrice A. Si pu`


o
dimostrare in maniera rigorosa che la soluzione del problema di Cauchy (2.23) `e data da


x(t)
y(t)

 

 
x0
a b
.
= exp t
c d
y0

Il calcolo esplicito dellesponenziale di una matrice in genere non `e agevole e richiede la conoscenza di profondi teoremi di algebra lineare. Per i due esempi che abbiamo trattato in precedenza
tale calcolo risulta non particolarmente difficile.
Riconsideriamo il problema


x0 = x
y0 = y

la cui matrice dei coefficienti `e la matrice identit`a I. Poiche ovviamente I n = I per ogni n N
abbiamo che

P tn
  t
n
X
t
0
e 0
n=0
n!
P tn =
exp(tI) =
I=
0 et
0
n!
n=0 n!
n=0

e pertanto otteniamo la soluzione




x(t)
y(t)


=

et 0
0 et



x0
y0


=

x0 et
y0 et


.

Riconsideriamo il problema



la cui matrice dei coefficienti `e A =

A =

x0 = y
y0 = x


0 1
. Semplici calcoli mostrano che
1 0

(1)k A
(1)k I

se n = 2k + 1
se n = 2k.

48

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Ne deduciamo che in questo caso


exp(tA) =

n
X
t
n=0

n!

An

X
t2k
t2k+1
I+
A
(1)k
(2k)!
(2k + 1)!
k=0
k=0
!
P
k t2k
0
k=0 (1) (2k)!
+
=
P
k t2k
0
k=0 (1) (2k)!

 

cos t
0
0
sin t
=
+
0
cos t
sin t
0
=

(1)k

k t2k+1
k=0 (1) (2k+1)!

k t2k+1
k=0 (1) (2k+1)!

dove nellultima uguaglianza abbiamo utilizzato le serie di Taylor


sin t =

X
k=0

X
t2k
t2k+1
cos t =
(1)k
(1)
(2k + 1)!
(2k)!
k

k=0

che saranno trattate sempre nel Capitolo 9. Otteniamo quindi la soluzione



 


 
x0 cos t y0 sin t
x0
x(t)
cos t sin t
=
=
x0 sin t + y0 cos t
y0
sin t cos t
y(t)
che, utilizzando le formule di addizione del seno e del coseno, pu`o essere posta nella forma

x(t) = A cos(t + )
y(t) = A sin(t + )
p
con A = x20 + y02 .
Ad un campo vettoriale F(x, y) = F1 (x, y)i + F2 (x, y)j associamo lequazione differenziale,
y0 =

F2 (x, y)
F1 (x, y)

(2.24)

con condizione iniziale y(x0 ) = y0 .


Poiche la retta avente la direzione vettore ai + bj ha coefficiente angolare ab (se a 6= 0) abbiamo
che la retta tangente al grafico della soluzione di (2.24) coincide con quella del sostegno della
curva integrale del campo. Daltra parte la soluzione di una equazione differenziale `e una funzione
mentre quella di un sistema autonomo `e una curva parametrica. Per meglio comprendere questa
differenza riesaminiamo da questo punto di vista gli esempi trattati in precedenza.
Nel caso del campo F(x, y) = xi + yj (Esempio 2.3.3) la (2.24) diventa (per x 6= 0)
y0 =

y
x

che, tenuto conto della condizione iniziale, ha per soluzione


y(x) =

y0
x x (0, +) se x0 > 0
x0

2.4. POTENZIALI SCALARI


y(x) =

49
y0
x x (, 0) se x0 < 0
x0

quindi il grafico delle soluzioni coincide con il sostegno delle curve integrali (ma le semirette
contenute nella retta x = 0 non rientrano fra le soluzioni). Bisogna per`o osservare che la
curva x 7 (x, xy00 x) ha vettore tangente di norma costante, mentre le curve integrali del campo
hanno vettore tangente la cui norma cresce esponenzialmente al crescere del parametro t. Questa
informazione cattura il fatto che la norma del vettore xi + yj cresce man mano che ci si allontana
dallorigine.
Nel caso del campo F(x, y) = xi + yj (Esempio 2.3.4) la (2.24) diventa (per y 6= 0)
y0 =

x
y

che, tenuto conto della condizione iniziale, ha per soluzione


q
q
q
2
2
2
2
2
y(x) = x + y0 + x0 x ( y0 + x0 , y02 + x20 ) se y0 > 0
q
q
q
y(x) = x2 + y02 + x20 x ( y02 + x20 , y02 + x20 ) se y0 < 0
quindi il grafico delle soluzioni `e costituito dalle semicirconferenze che sono strettamente contenute nelle circonferenze che costituiscono il sostegno delle curve integrali.

2.4

Potenziali scalari

Definizione 2.4.1. Un campo vettoriale F : D R2 R2 `e detto conservativo se esiste un


una funzione : D R di classe C 1 tale che F(x, y) = (x, y) per tutti gli (x, y) D. Se
questo `e il caso la funzione viene detta un potenziale del campo vettoriale e le sue curve di
livello linee equipotenziali.
Esercizio 2.4.2. Mostrare che nel caso di un campo vettoriale conservativo le curve integrali
sono ortogonali alle linee equipotenziali.
Proposizione 2.4.3. Un campo vettoriale conservativo F ammette infiniti potenziali: se il
dominio `e connesso allora due suoi potenziali differiscono per una costante.
` ovvio che se `e un potenziale scalare di F allora, per ogni costante c R,
Dimostrazione. E
c
la funzione (x) = (x) + c `e un nuovo potenziale scalare di F. Viceversa supponiamo che 1
e 2 siano due distinti potenziali scalari di F. Allora, per la linearit`a delloperatore gradiente,
abbiamo che
(1 2 ) = (1 ) (2 ) = F F = 0.
Ne segue che se il dominio di F `e connesso allora 1 2 deve essere costante in quanto il suo
gradiente `e nullo (vedi Proposizione ??).
2

Esempio 2.4.4. Consideriamo il campo dellEsempio 2.3.3 e mostriamo che `e conservativo. Per
definizione un suo potenziale dovrebbe soddisfare il sistema

x = F1 (x, y) = x
y = F2 (x, y) = y.

50

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI


2

Integrando la prima equazione rispetto ad x si ottiene (x, y) = x2 + C(y) essendo C(y) una
funzione arbitraria della sola y. Sostituendo questa espressione della nella seconda equazione
2
si ha: y (x, y) = C 0 (y) = y che, per integrazione con rispetto alla variabile y d`a : C(y) = y2 +C,
con C generica costante di integrazione. In definitiva il campo `e conservativo ed un potenziale
2
2
`e dato da (x, y) = x +y
2 . Notare che le linee equipotenziali sono delle circonferenze centrate
nellorigine che sono ortogonali alle curve integrali costituite da delle semirette radiali.
Vediamo ora una condizione necessaria per la conservativit`a di un campo vettoriale di classe
C 1.
Proposizione 2.4.5. Sia
F : D R2
R2
(x, y) F1 (x, y)i + F2 (x, y)j,
un campo vettoriale di classe C 1 . Se il campo `e conservativo allora necessariamente
F2
F1
=
.
x
y

(2.25)

Dimostrazione. Per ipotesi esiste una funzione : D R tale che x = F1 e y = F2 . Poiche


F `e di classe C 1 ne deduciamo che `e di classe C 2 . In virt`
u del Teorema di Schwarz
y
F2
x
F1
=
= yx = xy =
=
,
x
x
y
y
2

come volevasi dimostrare.

Vedremo in seguito che il potenziale gioca per i campi vettoriali lo stesso ruolo delle primitive
per i campi scalari.

Esistono campi vettoriali conservativi le cui componenti pur essendo derivabili non soddisfano
la condizione (2.25). Non daremo esempi di tali campi (che ovviamente non sono di classe C 1 ),
ma mostreremo lesempio di un campo vettoriale che pur soddisfando la condizione necessaria
(2.25) non `e conservativo. E importante osservare che a differenza degli esempi patologici incontrati nel capitolo sulla differenziabilit`a, questo campo vettoriale non `e interessante solamente
in un ambito matematico, ma gioca un ruolo fondamentale nelle leggi dellelettromagnetismo.
Esempio 2.4.6. Si consideri il campo vettoriale
F : R2 \ {(0, 0)}
R2
y
(x, y)
7 x2 +y2 i +

x
j.
x2 +y 2

Semplici calcoli mostrano che


F2
y 2 x2
F1
= 2
=
2
2
x
(x + y )
y
e pertanto la condizione necessaria (2.25) `e soddisfatta. Tuttavia se utilizziamo la stessa tecnica
dellEsempio 2.4.4 e teniamo conto della Proposizione 2.4.3 otteniamo che leventuale potenziale
deve avere la forma

 
arctan x + c1 se y > 0
y
(x, y) =
arctan x + c2 se y < 0.
y

2.5. CAMPI DI FORZA CENTRALI

51

per costanti reali c1 e c2 . Per x > 0 si ha che


lim (x, y) =

y0+

+ c1 e lim (x, y) = + c2 ,

2
2
y0

mentre per x < 0 si ha che


lim (x, y) =

y0+

+ c1 e lim (x, y) = + c2 .

2
2
y0

Pertanto, affinche la funzione abbia unestensione per continuit`a a tutto lasse delle x privato
dellorigine, deve risultare

c1 c2 =
c1 c2 =
che `e chiaramente impossibile.
Inoltre con la scelta c1 = 2 and c2 = 3
2 la funzione coincide con la misura dellangolo
(antiorario) che il raggio unente lorigine al punto (x, y) forma con lasse delle x positive; tale
funzione risulta continua in tutto il piano privato del semiasse delle x non negative.

2.5

Campi di forza centrali

In questo paragrafo mostriamo come lanalisi del moto per le forze conservative che abbiamo
delineata nel caso unidimensionale si possa estendere senza eccessive difficolt`a al caso bidimensionale per una particolare classe di forze conservative. Consideriamo una particella che si muove
sotto lazione di un campo di forze F con legge oraria r(t). Se indichiamo con v(t) e a(t) la
velocit`a e laccelerazione, la seconda legge della dinamica ma = F si traduce nel sistema di
equazioni differenziali

mx00 = F1 (x, y)
(2.26)
my 00 = F2 (x, y).
Nel caso il campo vettoriale F sia conservativo con potenziale scalare si ha che la funzione
1
E(t) = mkv(t)k2 (x(t), y(t))
2
`e costante per ogni soluzione (x(t), (y(t)) del sistema (2.26). Infatti
dE
= mhv(t), a(t)i F1 (x(t), y(t))x0 (t) F2 (x(t), y(t))y 0 (t)
dt
= mhv(t), a(t)i mx00 (t)x0 (t) my 00 (t)y 0 (t)
= mhv(t), a(t)i mhv(t), a(t)i
= 0.
Imponendo le condizioni iniziali (x(0), y(0)) = (x0 , y0 ) = r0 e (x0 (0), y 0 (0)) = (v01 , v02 ) = v0 ,
abbiamo che
1
E(t) = E(0) = mkv0 k2 (r0 ) := E0 .
(2.27)
2

52

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Il fatto che lenergia rimanga costante non ci permette in generale di trovare una soluzione
immediata del sistema (2.26). Esiste, per`o un caso in cui `e possibile ricondursi ad una situazione
praticamente analoga al caso unidimensionle.
Consideriamo i campi vettoriali:

r=
b
b =

x
i + 2y 2 j
x2 +y 2
x +y
2y 2 i + 2x 2 j.
x +y
x +y

Essi sono stati ottenuti normalizzando, i.e. dividendo per la propria norma, i campi vettoriali
presentati negli Esempi 2.3.3 e 2.3.4. Se introduciamo le coordinate polari [, ] i suddetti campi
possono essere espressi nella forma

b
r =
cos i + sin j
b = sin i + cos j.

r(t)
La legge oraria si esprime r(t) = r(t) r(t)
= r(t)b
r(t), dove abbiamo indicato con r(t) la norma
di r. La dipendenza dal tempo del vettore b
r si traduce nella dipendenza dal tempo dellangolo
= (t). Nel seguito indicheremo la derivata k-esima delle funzioni r(t), (t) ponendo k puntini

sopra tali funzioni (ad esempio r rappresenter`a la derivata seconda di r rispetto al tempo).
Osserviamo che

d
b
b
r = sin i + cos j =
(2.28)
dt
e similmente si vede che

d b
= b
r.
(2.29)
dt

Ne deduciamo che la velocit`a `e data da

b kvk2 = r + r2
v = rb
r + r

(2.30)

da cui laccelerazione

b + (r + r)
b r b
a = rb
r + r
r

(2.31)

b
= (r r )b
r + (2r + r).
Supponiamo che il campo vettoriale F sia centrale, ovvero esista una funzione continua f :
I R con I intervallo contenuto in [0, +) tale che F = f (r)b
r. Talepcampo `e conservativo.
Infatti se p
`e una primitiva di f allora, tenendo presente che r =
x2 + y 2 , abbiamo che
(x, y) = ( x2 + y 2 ) = (r) `e un potenziale di F:
x
x = 0 (r)rx = f (r) p
x2 + y 2
e similmente y = f (r)

y
.
x2 +y 2

Utilizzando lespressione dellaccelerazione in coordinate polari

(2.31), la seconda legge della dinamica ma = F diventa

m(r r ) = f (r)

m(2r + r) = 0.

(2.32)

2.5. CAMPI DI FORZA CENTRALI

53

La seconda equazione pu`o essere scritta nella forma

m d
2
r dt (r )

= 0 e questo implica che il

momento angolare mr2 `e costante. Ponendo

h = r2 =

h
r2

(2.33)

e considerando la (2.30), possiamo riscrivere il principio di conservazione dellenergia (2.27) come


2
1
2
E0 = m(r + r2 ) (r)
2
1
h2
2
= m(r + 2 ) (r)
2
r
1 2
e
= mr + (r),
2
2

dove abbiamo posto (r)


e
= 12 m hr2 (r). Lespressione E0 = 21 mr + (r)
e
`e formalmente
identica al principio di conservazione dellenergia per forze unidimensionali ed `e quindi possibile
fare unanaloga analisi per forze centrali. Ad esempio nel caso in cui il grafico della funzione
e
sia dato da (con r0 = kr0 k):

y = E0

r 1 r0 r 2
abbiamo che la particella si muove allinterno della corona circolare delimitata dalla circonferenza
di raggio r1 e dalla circonferenza di raggio r2 . Tuttavia questo non implica che il moto sia
periodico in quanto la particella potrebbe toccare alternativamente le due circonferenze ma
senza ripassare mai per lo stesso punto.
Un caso particolare, ma di fondamentale importanza, `e quello della forza gravitazionale in cui
f (r) = mk
. In questo caso la prima equazione della (2.32) diventa (sempre tenendo in conto
r2
la (2.33))
h2
k

r 3 = 2.
(2.34)
r
r
La risoluzione di questa equazione non `e agevole; `e tuttavia possibile esprimere la soluzione in
termini dellangolo polare . A tal fine poniamo
r=

1
u()

e derivando rispetto a t otteniamo

u0 ()
u0 h
r=
=

= u0 h
u()2
u2 r 2

54

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

e di conseguenza

r = u00 h = u00

h2
.
r2

La (2.34) diventa
h2 h2
k
1
k
k
+ 3 = 2 u00 + = 2 u00 + u = 2 .
2
r
r
r
r
h
h
Questultima equazione `e lineare non omogenea. Sappiamo che le soluzioni dellequazione
omogenea u00 + u = 0 sono date da
u00

A cos( 0 ) con A 0, 0 R.
Daltra parte una soluzione particolare dellequazione non omogenea `e data dalla costante
Possiamo pertanto concludere che
k
1
u() = A cos( 0 ) + 2 r() =
h
A cos( 0 ) +

k
h2

h2
k

h2 A
k

cos( 0 )

k
.
h2

(2.35)

che costituisce lequazione di una conica. Mostriamo come le condizioni iniziali determinino il
tipo della conica. Se indichiamo con (0) sia il valore dellangolo al tempo 0, la costante A
nellequazione (2.35) `e data da
s

k 2
A=
u((0)) 2
+ u0 ((0))2 .
h
Ovviamente abbiamo u((0)) =

1
r(0) ,

mentre

r0 ()
r(t)
u () = 2
=
r ()
h
0

in quanto

r(t) = r0 ()(t) r0 () =

r(t)

(t)
Pertanto, essendo (r) =

mk
r

r(t) 2
r .
h

e quindi

1
E0 = mr(0)2 +
2
1
= mr(0)2 +
2

1
mk
mr(0)2 (0)2
2
r(0)
1
h2
mk
m

2
2 r(0)
r(0)

si ha:
h2 A
k

h2
k
h2

h2
=
k
r
=

1
k

r(0) h2

2
+

r(0)2
h2

k2
2k
r(0)2
1
+

+
r(0)2 h4 h2 r(0)
h2

k2
2E0
+
4
h
mh2
2h2 E0
1+
mk 2

2.6. INTEGRALI DI LINEA DI FUNZIONI

55

ed, in virt`
u dellEsercizio 2.2.10 concludiamo che lorbita `e ellittica, parabolica od iperbolica a
secondo che lenergia iniziale E0 sia negativa, nulla o positiva.

2.6

Integrali di linea di funzioni

Consideriamo un filo pesante contenuto in un piano la cui sezione sia trascurabile rispetto alla
lunghezza. Allora esso pu`o essere identificato con il sostegno di una curva regolare
: [a, b]
R2
t
7 (x(t), y(t)).
Se il filo `e omogeneo, allora la sua massa sar`a data dal prodotto della sua lunghezza per una
costante che dipende solo dal materiale di cui `e fatto il filo che chiameremo densit`
a lineare.
Se il filo non `e omogeneo, allora la densit`a lineare diventa funzione : [] R che supporremo
continua. Per ottenere la massa totale del filo dalla sua densit`a lineare, si pu`o procedere come
fatto per calcolare la sua lunghezza. Introduciamo
` ` la partizione {a = t0 < t1 < tn1 < tn = b}
dellintervallo [a, b], di modo che = 1 2 n con i = |[ti ,ti+1 ] . Se lampiezza della
partizione `e sufficentemente piccola, la densit`a lineare sui punti della curva i si pu`o approssimare
con il valore che essa assume sul punto Pi = (ti ) [i ] e la lunghezza della curva l(i ) con
kT(ti )k(ti+1 ti ). In questo modo la massa totale del pu`o essere approssimata con
n1
X

(Pi )l(i )
=

n1
X

((ti ))kT(ti )k(ti+1 ti ).

i=0

i=0

Lultima membro `e una somma di Riemann per la funzione t 7 ((t))kT(t)k che, al tendere
dellampiezza partizione a zero, tende allintegrale di tale funzione sullintervallo [a, b].
In generale, data una funzione continua f : [] R definiamo lintegrale di linea di f su []
come
Z
Z b
Z b
p
f ((t))kT(t)kdt =
f ((t)) x0 (t)2 + y 0 (t)2 dt.
f ds :=

Notare che lintegrale della funzione costantemente uguale ad 1 coincide con la lunghezza della
curva .
Proposizione 2.6.1. L integrale di linea di una funzione lungo una curva dipende solo dal
sostegno della curva.
Dimostrazione.
Consideriamo le due curve regolari
1 : [a1 , b1 ]
R2
2 : [a2 , b2 ]
R2
t
7 (x1 (t), y1 (t)),
u
7 (x2 (u), y2 (u)).
e supponiamo che siano equivalenti, i.e. che esista
: [a1 , b1 ] [a2 , b2 ]

56

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

che soddisfi le condizioni della Definizione 2.2.11 (e quindi in particolare che 2 ((t)) = 1 (t).)
Vogliamo mostrare che
Z
Z
f ds =
f ds.
2

Abbiamo che
Z

b2

f ds =
2

a2

Z
camb. var.: u = (t)
supponendo 0 (t) > 0

q
f (2 (u)) x02 (u)2 + y20 (u)2 du

1 (b2 )

=
1 (a2 )
b1

Z
=

a1
b1

Z
=

Za1
=

q
f (2 ((t))) x02 ((t))2 + y20 ((t))2 0 (t)dt

q
f (2 ((t))) [x02 ((t))0 (t)]2 + [y20 ((t))0 (t)]2 dt
q
f (1 ((t))) x01 (t)2 + y10 (t)2 dt

f ds.
1

Alla stessa conclusione si giunge anche se 0 (t) < 0: in tal caso


q
q
x02 ((t))2 + y20 ((t))2 0 (t) = [x02 ((t))0 (t)]2 + [y20 ((t))0 (t)]2
ma il segno meno viene compensato dal cambiamento dordine degli estremi di integrazione
1 (a2 ) = b1 e 1 (b2 ) = a1 .
2
R
R
2
In virt`
u della precedente proposizione, se C R definiremo C f ds come f ds se esiste una
parametrizzazione regolare di C.
La
` definizioni
`
` di integrale di linea si estende facilmente alle curve regolari a tratti: se =
1 2 n definiremo
Z
Z
Z
Z
f ds =
f ds +
f ds + +
f ds.

R
Definizione 2.6.2. Il punto di coordinate

n
R

xds yds
l() , l()


= (xG , yG ) viene detto centroide della

curva . In sostanza la coordinata xG (risp. yG ) `e una media delle ascisse (risp. ordinate) dei
punti che appartengono alla curva.
Esempio 2.6.3. Calcoliamo il centroide della semicirconferenza di raggio a > 0 centrata
nellorigine. Scegliendo come parametrizzazione
[0, ] 3 t 7 (a cos t, a sin t) ds = adt
abbiamo

Z
xds =

a cos tadt = a2 sin t|0 = 0 xG = 0

come era facilmente prevedibile per ragioni di simmetria. Per quanto riguarda laltra coordinata
del centroide
Z
Z
2a
yds =
a sin tadt = a2 cos t|0 = 2a2 yG =

0
in quanto la lunghezza della semicirconferenza `e a.

2.7. INTEGRALE DI LINEA DI CAMPI VETTORIALI

57

Nel caso di fili pesanti non omogenei con densit`a lineare `e utile considerare una variante del
centroide detta baricentro definito come il punto di coordinate
R
R
xds

yds
xG =
, yG =
m
m
R
dove m = ds `e la massa del filo. Ovviamente nel caso il filo sia omogeneo ( costante)
le nozioni di baricentro e centroide coincidono. In alcuni problemi di meccanica `e possibile
sostituire un filo pesante con un punto materiale di uguale massa posizionato nel baricentro del
filo.

2.7

Integrale di linea di campi vettoriali

Nel Paragrafo 2.1 abbiamo introdotto il concetto di lavoro per forze unidimensionali che hanno
la stessa direzione del moto. Tale situazione `e per`o molto particolare: anche quando la forza `e
costante pu`o accadere che non sia parallela al moto. Basti pensare al moto di un punto materiale
su un piano inclinato liscio sotto lazione della forza peso ed, in tal caso, `e ragionevole pensare
che solo la componente tangenziale FT della forza contribuisca al lavoro.
@
@
@
@
@ F
@ T
@

R
@
@
? @
@
@

Pi`
u in generale supponiamo che il punto materiale si muova lungo una curva piana sotto
lazione di una forza F. Allora definiamo il lavoro infinitesimo come
b
dW = F Tds
b `e il versore tangente alla curva e ds lo spostamento infinitesimo lungo la curva.
dove T
La precedente discussione giustifica la seguente definizione.
Sia F : D R2 R2 un campo vettoriale continuo e : [a, b] R2 una curva regolare il cui
sostegno `e contenuto in D. Lintegrale di linea di F lungo `e definito da:
Z

Z
b =
F Tds

b


F1 (x(t), y(t))x0 (t) + F2 (x(t), y(t))y 0 (t) dt.

Luguglianza dei due membri segue facilmente dal fatto che


b = T ds = T kTkdt = Tdt.
Tds
kTk
kTk

58

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Una notazione equivalente `e data


Z
Z
b
F Tds = F1 (x, y)dx + F2 (x, y)dy.

Nel caso in cul la curva sia chiusa, lintegrale di linea di un campo vettoriale F lungo `e detto
la circuitazione di F su ed `e talvolta denotato con
I
b
F Tds.

La seguente proposizione `e unimmediata conseguenza della Proposizione 2.6.1 e mostra che


lintegrale di linea dipende solamente dal sostegno della curva e dalla sua orientazione.
Proposizione 2.7.1. Sia 1 e 2 due curve regolari equivalenti. Allora
( R
Z
b
se 2 ha la stessa orientazione di 1
R2 F Tds
b =
F Tds
b
2 F Tds se 2 ha orientazione opposta.
1
Esempio 2.7.2. Sia F(x, y) = 2xyi + x2 j. Calcoliamo lintegrale di linea di F
1. lungo larco di parabola di equazione y = x2 compreso fra il punto (0, 0) e il punto (1, 1);
2. lungo il segmento di retta avente gli stessi estremi.
1) Una parametrizzazione della curva `e data da 1 (t) = (t, t2 ) con t [0, 1]. Abbiamo
F1 (x, y) = 2xy, F2 (x, y) = x2 , x(t) = t e y(t) = t2
F1 (x(t), y(t)) = 2t3 , F2 (x(t), y(t)) = t2 , x0 (t) = 1 e y 0 (t) = 2t
e pertanto
Z

1


2t3 1 + t2 2t dt

b =
F Tds
1

0
1

4t3 dt

=
0

= t4 |10 = 1.
2) In questo caso una parametrizzazione `e data da 2 (t) = (t, t) con t [0, 1]. Abbiamo
Z

Z
b =
F Tds

1


2t2 1 + t2 1 dt

=
=

0
3 1
t |0

3t2 dt
= 1.

2.7. INTEGRALE DI LINEA DI CAMPI VETTORIALI

59

Consideriamo ora il campo vettoriale G(x, y) = yi + xj e calcoliamo lintegrale di linea di


questo campo vettoriale lungo le due precedenti curve.
1)
1


t2 1 + t 2t dt

b =
G Tds
0

t2 dt

=
=

0
3
t

1
|10 = .
3

2)
Z

b =
G Tds

[t 1 + t 1] dt

0dt = 0
0

Il seguente esempio mostra il calcolo di un integrale di linea su una curva regolare a tratti.
Esempio 2.7.3. Calcoliamo la circuitazione del campo vettoriale F(x, y) = xy 2 i + xyj lungo la
frontiera del triangolo di vertici (1,
` 0) (1,
` 0) e (0, 1). La frontiera `e composta dallunione dei
tre lati orientati del triangolo: 1 2 3 , una cui parametrizzazione `e data da
1 (t) = (t, 0) T = i, t [1, 1];
2 (t) = (t, 1 t) T = i j, t [0, 1];
3 (t) = (t, 1 + t) T = i + j, t [1, 0].
Corrispondentemente abbiamo

b =
F Tds

R1

b
2 F Tds =

R1

b =
F Tds

R0

In conclusione

H
1

1 (0

1 + 0 0)dt = 0;

2
0 [(t(1 t) ) 1 + (1 t)t (1)]dt =

2
1 [t(1 + t)

1 + t(1 + t) (1))]dt =

b =
F Tds

1
3

1
4

1
4

R0

R1
0

1 (t

(t3 t2 )dt =
3

1
4

1
3

+ 3t2 + 2t)dt = 14 1 + 1 = 14 .

= 13 .

Nell Esempio (2.7.2) abbiamo visto come lintegrale del campo F = 2xyi + x2 j su due distinte
curve aventi gli stessi estremi producesse lo stesso risultato. Il seguente teorema mostra che ci`
o
accade ogni volta che il campo `e conservativo.

60

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Teorema 2.7.4 (Teorema fondamentale del calcolo per integrali di linea). Sia F : D
R2 un campo vettoriale conservativo e sia un suo potenziale. Se : [a, b] D `e una curva
regolare in D, allora
Z
b = ((b)) ((a))
F Tds

ovvero lintegrale di linea di F equivale alla differenza di potenziale agli estremi della curva.
Dimostrazione. Per ipotesi si ha che F1 = x ed F2 = y .
Z b
Z


b =
F Tds
F1 (x(t), y(t))x0 (t) + F2 (x(t), y(t))y 0 (t) dt
a

b


x (x(t), y(t))x0 (t) + y (x(t), y(t))y 0 (t) dt
a

Z b
d
=
(x(t), y(t)) dt
dt
a

Z b
d
=
((t)) dt
dt
a
= ((b)) ((a)).
=

La precedente proposizione permette di ridurre il calcolo degli integrali di linea di un campo vettoriale al problema di trovare un potenziale scalare. Consideriamo gli integrali di linea
analizzati nella prima parte dellEsempio 2.7.2. Poiche il campo vettoriale F = 2xyi + x2 j `e
conservativo con potenziale scalare (x, y) = x2 y abbiamo che entrambi gli integrali di linea
valgono (1, 1) (0, 0) = 1 0 = 1.
Osservazione 2.7.5. Dal teorema
precedente segue immediatamente che se la curva `e chiusa
H
b ovvero la circuitazione di un campo conservativo `e uguale
(i.e. (a) = (b)) si ha che F Tds
a zero.
La precedente osservazione pu`o essere utilizzata per mostrare che un campo non `e conservativo:
`e sufficiente esibire una curva chiusa su cui la circuitazione del campo vettoriale non si annulla.
y
x
Esempio 2.7.6. Consideriamo il campo vettoriale irrotazionale F = x2 +y
2 i + x2 +y 2 j che
abbiamo analizzato nellEsempio 2.4.6. Calcoliamo la circuitazione di F lungo la circonferenza
di centro (0, 0) e raggio 1 orientata in senso antiorario una cui parametrizzazione `e data da
[0, 2] 3 7 (cos , sin ).

I
Z 2 
sin
cos
b =
F Tds
(
sin
)
+
(cos
)
d
cos2 + sin2
cos2 + sin2

0
Z 2
=
d
0

= 2 6= 0.
Abbiamo quindi ottenuto una ulteriore e pi`
u semplice prova della non conservativit`a di tale
campo.

2.7. INTEGRALE DI LINEA DI CAMPI VETTORIALI

61

La tecnica di calcolare gli integrali di linea di un campo vettoriale conservativo attraverso la


determininazione di un potenziale scalare, pu`o essere utlizzata anche nel caso in cui il campo vettoriale differisca da un campo vettoriale conservativo per un termine particolarmente semplice,
come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.7.7. Calcoliamo lintegrale di linea del campo vettoriale F = (y sin(2xy) + y)i +
(x sin(2xy))j lungo la curva cartesiana (t) = (t, et ) con t [0, 1]. Il calcolo diretto dellintegrale
di linea `e laborioso e preferiamo procedere osservando che
F(x, y) = y sin(2xy)i + x sin(2xy)j + yi = H(x, y) + yi.
Il campo vettoriale H `e conservativo con potenziale scalare dato da (x, y) = cos(2xy)
. Daltra
2
parte
Z
Z 1
b
yi Tds =
et dt = e 1.

In conclusione abbiamo che


Z
Z
Z
b
b
b
F Tds = F Hds + yi Tds

= ((1)) ((0)) + e 1 =

cos(2e) 1
cos(2e)
1
+ +e1=
+e .
2
2
2
2

Il seguente teorema fornisce condizioni equivalenti affinche un campo vettoriale sia conservativo; equivalente significa che ciascuna condizione `e verificata se e solamente se lo sono le altre due.
Al momento, tale teorema `e solamente uno strumento teorico, in quanto le altre due condizioni
sono praticamente impossibili da verificare.
Teorema 2.7.8. Sia F un campo vettoriale continuo definito su un insieme aperto e connesso
D. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
1. Il campo `e conservativo
H
b = 0 per ogni curva chiusa regolare a tratti contenuta in D
2. La circuitazione F Tds
3. Lintegrale di linea

b dipende solamente dagli estremi della curva.


F Tds

Dimostrazione.
(1) (2) segue dalla ovvia generalizzazione della Proposizione 2.7.4 alle curve regolari a tratti.
(2) (3). Consideriamo
due curve 1 e 2 aventi lo stesso punto iniziale P0 e lo stesso punto
`
finale P1 . Allora 1 (2 ) `e una curva chiusa e pertanto
I
Z
Z
b
b
b
0=
F Tds =
F Tds
F Tds
`
1

da cui si deduce che

(2 )

Z
b =
F Tds

b
F Tds.
2

62

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

(3) (1). Fissiamo un punto P0 = (x0 , y0 ) nel dominio e consideriamo un generico punto
P = (x, y) D. Poniamo come potenziale (x, y) lintegrale di linea del campo F lungo una
curva regolare a tratti che unisce il punto P0 al punto P . Per lipotesi (3) tale definizione `e ben
posta. Poiche il dominio D `e aperto, se x `e sufficientemente piccolo possiamo supporre che il
segmento che unisce P al punto P1 = (x + x, y) sia interamente contenuto in D. Indichiamo

`
con 1 una parametrizzazione del segmento P P1 . Poiche 1 e una curva che unisce P0 a P1
si ha
Z
Z
b
b
(x + x, y) (x, y) = ` F Tds F Tds
1

Z
b
=
F Tds
1
1

Z
=

F1 (x + tx, y)xdt
0

dal quale si deduce che


(x + x, y) (x, y)
= lim
x0
x0
x

x (x, y) = lim

F1 (x + tx, y)x
dt = F1 (x, y)
x

dove lultima uguaglianza segue dalla continuit`a di F1 (x, y). In maniera analoga si dimostra che
y (x, y) = F2 (x, y), concludendo la dimostrazione.
2

Non bisogna concludere dalla precedente proposizione che lannullarsi della circuitazione su
una curva chiusa implichi che il campo sia conservativo: tale condizione deve essere verificata
per ogni curva chiusa. Il seguente esempio mostra appunto un campo vettoriale di classe C 1 non
irrotazionale (e quindi non conservativo) la cui circuitazione si annulla su un particolare curva
chiusa.
Esempio 2.7.9. Consideriamo F(x, y) = y 2 i + xj ed indichiamo con la frontiera del quadrato
di vertici`(0, 0),
` (1, 0),
` (1, 1) e (0, 1) orientata in senso antiorario. Parametrizziamo la frontiera
come 1 2 3 4 , dove
1 (t) = (t, 0), t [0, 1] T = i
2 (t) = (1, t), t [0, 1] T = j
3 (t) = (t, 1), t [0, 1] T = i
4 (t) = (0, t), t [0, 1] T = j
da cui deduciamo che

b =
F Tds

R1

b =
F Tds

R1

b =
F Tds

R1

0
0
0

(0 1 + t 0)dt = 0
(t2 0 + 1 1)dt = 1
(1 1 + t 0)dt = 1

2.8. INTEGRALI DIPENDENTI DA PARAMETRO

R
4

b =
F Tds

R1
0

63

(t 0 + 0 1)dt = 0.

In conclusione abbiamo
Z
Z
Z
Z
I
b = 0 + 1 1 0 = 0.
b
b
b
b
F Tds
F Tds
F Tds
F Tds +
F Tds =

2.8

Integrali dipendenti da parametro

In questo paragrafo studieremo la derivazioni di alcune funzioni integrali in cui la funzione


integranda dipende da due variabili e la derivazione non avviene rispetto alla variabile di
integrazione.
Lemma 2.8.1. Sia f : [a, b] [c, d] una funzione continua con derivata parziale fx continua.
Allora la funzione
Z d
f (x, y)dy
G(x) =
c

`e derivabile in [a, b] e la sua derivata `e data da


0

fx (x, y)dy

G (x) =
c

per tutti gli x [a, b].


Dimostrazione. Il rapporto incrementale della funzione G in x `e dato, utilizzando il teorema
della media, da
G(x + x) G(x)
=
x

Z
c

f (x + x, y) f (x, y)
dx =
x

fx (, y)dy
c

dove (x, x + x) se x > 0 oppure (x + x, x) se x < 0. Poiche fx `e continua e


definita su un insieme compatto essa `e uniformemente continua. Quindi, dato un qualunque

> 0, `e possibile determinare un > 0 tale che se | x| < allora |fx (, y) fx (x, y)| < dc
per tutti gli y [c, d]. Ne deduciamo che se |x| < (e quindi | x| < ) allora
Z d
Z d
Z d


fx (, y)dy
fx (x, y)dy
|fx ( fx (x, y)|dy
(d c) = .

d

c
c
c
c
Resta cos` provato che
G(x + x) G(x)
G (x) = lim
=
x0
x
0

fx (x, y)dy.
c

Consideriamo due funzione , : [a, b] R di classe C 1 con (x) (x) per tutti gli x [a, b]
e denotiamo con D = {(x, y) R2 : x [a, b], (x) y (x)} il corrispondente dominio
normale ed R un aperto contenente D.

64

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Lemma 2.8.2. Sia f : R R una funzione di classe C 1 . Allora la funzione


Z

(x)

f (x, y)dy

G(x) =

x [a, b]

(x)

`e derivabile in [a, b] e la sua derivata `e data da:


G0 (x) = f (x, (x)) 0 (x) f (x, (x))0 (x) +

(x)

fx (x, y)dy.
(x)

Dimostrazione. Consideriamo dapprima la funzione


Z v
F (u, v, x) =
f (x, y)dy.
u

Dal teorema fondamentale del calcolo e il precedente lemma abbiamo


Z
Fu (u, v, x) = f (x, u),

Fv (u, v, x) = f (x, v)

Fx (u, v, x) =

fx (x, y)dy
u

per cui, applicando il teorema di derivazione composta alla funzione G(x) = F ((x), (x), x),
otteniamo
G0 (x) = Fu ((x), (x), x)0 (x) + Fv ((x), (x), x) 0 (x) + Fx ((x), (x), x)1
Z (x)
= f (x, (x))0 (x) + f (x, (x)) 0 (x) +
fx (x, y)dy.
(x)

` facile dimostrare che se le funzioni , ed f sono solamente continue


Osservazione 2.8.3. E
allora la funzione G risulta essere continua.

2.9

Condizioni sufficienti per la conservativit`


a

Definizione 2.9.1. Un insieme D `e detto stellato se esiste un punto P0 D tale che per ogni

punto P D il segmento P0 P `e interamente contenuto in D.


Teorema 2.9.2. Sia F un campo vettoriale irrotazionale di classe C 1 definito su un dominio
stellato. Allora F `e conservativo.
Dimostrazione. Sia P0 = (x0 , y0 ) un puntoR come nella definizione e P = (x, y) un generico
b
punto del dominio. Poniamo come (x, y) = F Tds.
Una parametrizzazione del segmento

P0 P

P0 P

`e data da


x(t) = x0 + t(x x0 )
y(t) = y0 + t(y y0 )

2.10. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ESATTE

65

e quindi
Z
(x, y) =

F1 (x0 + t(x x0 ), y0 + t(y y0 ))(x x0 )dt+


Z 1
F2 (x0 + t(x x0 ), y0 + t(y y0 ))(y y0 )dt.
+

Ci limitiamo a mostrare che


y = F2 essendo laltra verifica x = F1 perfettamente analoga.
Poiche F `e di classe C 1 possiamo scambiare loperazione di derivazione con quella di integrazione
e pertanto, ponendo u = x0 + t(x x0 ) e v = y0 + t(y y0 ),

Z 1
Z 1

(x, y) =
F1 (u, v)(x x0 )dt +
F2 (u, v)(y y0 )dt
y
y 0
y 0
Z 1
Z 1

=
[F1 (u, v)(x x0 )] dt +
[F2 (u, v)(y y0 )] dt
0 y
0 y
Z 1
Z 1
Z 1
=
(F1 )v (u, v)t(x x0 )dt +
(F2 )v (u, v)t(y y0 )dt +
F2 (u, v)dt
0
0
0
Z 1
Z 1
Z 1
=
(F2 )u (u, v)t(x x0 )dt +
(F2 )v (u, v)t(y y0 )dt +
F2 (u, v)dt
0
0
0
Z 1
d
=
[F2 (x0 + t(x x0 ), y0 + t(y y0 ))t] dt
0 dt
= F2 (x0 + t(x x0 ), y0 + t(y y0 ))t|10
= F2 (x, y).
Il teorema sopra dimostrato (noto come Lemma di Poincare) `e costruttivo, nel senso che
fornisce un metodo alternativo per trovare un potenziale scalare di un campo irrotazionale su
un dominio stellato. Lo illustriamo con un esempio.
Esempio 2.9.3. Consideriamo il campo vettoriale F(x, y) = 2xyi+x2 j definito su tutto il piano
F2
1
e irrotazionale. Scegliendo
R2 (che `e ovviamente stellato). Poiche F
y = 2x = x il campo `
come come punto base lorigine, abbiamo che un potenziale `e dato da
Z
b
(x, y) =
F Tds

(0,0)(x,y)
1

[2(txty)x + (t2 x2 )y]dt

=
0

Z
=

3t2 x2 ydt = x2 y.

2.10

Equazioni differenziali esatte

In questo paragrafo ci occupiamo di unimportante applicazione della teoria dei campi vettoriali
ad una classe di equazioni differenziali. Premettiamo la seguente definizione.

66

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Definizione 2.10.1. Lequazione differenziale


F1 (x, y) + F2 (x, y)y 0 = 0

(2.36)

`e detta esatta se il campo vettoriale F = F1 (x, y)i + F2 (x, y)j `e conservativo.


Le equazioni esatte si integrano immediatamente. Se `e un potenziale scalare del campo F,
la soluzione generale (in forma implicita) `e data da:
(x, y) = C

(2.37)

dove C `e una costante arbitraria. Infatti, derivando la (2.37), otteniamo


x (x, y) + y (x, y)y 0 = 0 F1 (x, y) + F2 (x, y)y 0 = 0.
Esempio 2.10.2. Consideriamo la seguente equazione differenziale


1
1
y
sin y 2 + + x cos y +
y 0 = 0.
x
x
x
In accordo con le notazioni sopra introdotte poniamo
y
1
1
F1 (x, y) = sin y 2 + , F2 (x, y) = x cos y + .
x
x
x
Si ha:
F1 (x, y)
1
F2 (x, y)
1
= cos y 2 ,
= cos y 2
y
x
x
x
e perci`o lequazione assegnata `e esatta.
Il lemma di Poincare ci assicura che esiste una potenziale locale (x, y) del campo F tale che
y
1
+ ,
2
x
x
1
y = x cos y + .
x
Integrando la prima di queste equazioni, rispetto alla variabile x otteniamo

Z 
y
1
y
(x, y) =
sin y 2 +
dx = x sin y + + log |x| + h(y),
x
x
x
x = sin y

(2.38)
(2.39)

(2.40)

Deriviamo ora ambo i membri rispetto a y:

1
= x cos y + + h0 (y).
y
x
Poiche questa derivata deve valere x cos y +
x cos y +

1
x

(in virt`
u della (2.39)), abbiamo

1
1
+ h0 (y) = x cos y +
x
x

da cui h0 (y) = 0 e h(y) = costante. Sostituendo C in luogo di h(y) nella (2.40) abbiamo
y
(x, y) = x sin y + + log |x| + C
x
da cui, poiche (x, y) = costante segue la soluzione dellequazione, in forma implicita
y
x sin y + + log |x| = k
x
dove k `e una costante arbitraria.

2.10. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ESATTE

2.10.1

67

Fattore integrante

Nel paragrafo precedente abbiamo visto come si integra unequazione differenziale esatta. Ora
consideriamo una equazione differenziale del tipo
F1 (x, y) + F2 (x, y)y 0 = 0

(2.41)

e supponiamo che non sia esatta. Cerchiamo una funzione = (x, y) in modo che lequazione
(F1 + F2 y 0 ) = 0

(2.42)

sia esatta. Ogni funzione che ha questo requisito `e detta fattore integrante dellequazione (2.41).
Se `e un fattore integrante della (2.41), possiamo risolvere lequazione (2.42) con i metodi
esposti nel paragrafo precedente. Le soluzioni dellequazione (2.42) saranno anche soluzioni
dellequazione (2.41) assegnata. Affinche la (2.42) sia unequazione esatta deve risultare

(F1 ) =
(F2 ).
y
x
Le funzioni F1 ed F2 sono note. Pertanto affinche sia un fattore integrante, deve soddisfare
lequazione differenziale del primo ordine, alle derivate parziali



(2.43)
F1 F 2 +
F1
F2 = 0.
y
x
y
x
Se si pu`o trovare una funzione che soddisfi lequazione (2.43), allora lequazione (2.42) `e esatta
e, per i risultati trovati, la sua soluzione si esprimer`a in forma implicita nel modo seguente:
(x, y) = C

(2.44)

e la (2.44) sar`a anche la soluzione dellequazione data. Tutto ci`o mostra che il problema di
risolvere lequazione non esatta (2.41) `e ricondotto al problema di risolvere la equazione alle
derivate parziali (2.43). Purtroppo il pi`
u delle volte risulta pi`
u difficile risolvere questa equazione
che non la (2.41). Daltro lato non abbiamo alcun bisogno di risolvere lequazione (2.43), ma
ci basta conoscere una soluzione qualsiasi di essa e, sotto questo aspetto, lequazione (2.43) `e
utilissima. Supponiamo, per esempio, che lequazione (2.41) abbia un fattore integrante che
sia una funzione della sola x. In tal caso si ha

= 0,
y

d
=
x
dx

e la (2.43) si riduce a
d
=
dx

y F1

F2

x F2

(2.45)

Poiche la funzione a primo membro dipende soltanto da x, allora anche quella a secondo membro
deve avere questa propriet`a e possiamo perci`o porre
F1
y

F2

F2
x

= g(x)

68

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

cos` che la (2.43) diventa


1 d
= g(x).
dx
Questa equazione si risolve facilmente separando le variabili
1
d = g(x)dx

e integrando a membro a membro


Z
log =

g(x)dx.

Si trova cos`
R

=e

g(x)dx

(2.46)

Osserviamo che se nellequazione (2.45) verifichiamo che la funzione (F1 /y F2 /x)/F2


`e una funzione della sola x, allora la (2.46) ci fornisce una funzione che dipende soltanto dalla
variabile x. La funzione soddisfa lequazione (2.43) ed `e perci`o un fattore integrante dellequazione (2.41) data. In modo analogo si trova che se dipende dalla sola y, allora la (2.43) si
riduce allequazione
F1
F2
1
x y
d =
.

F1
In pratica si verifica che la funzione a secondo membro dipende dalla sola y:
F2
x

F1
y

F1

= g(y)

(2.47)

e si trova immediatamente, con una integrazione, il fattore integrante che dipende dalla sola
y:
R
= e g(y)dy .
(2.48)
Esempio 2.10.3. Risolviamo la seguente equazione
(1 y e2x ) + y 0 = 0.
Lequazione non `e esatta poiche
F1
= 1,
y
Risulta

F1
y

F2

F2
x

F2
= 0.
x

= 1

e dalla (2.45) ricaviamo


1 d
= 1
dx
da cui
= ex .

2.10. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ESATTE

69

Pertanto ex `e un fattore integrante dellequazione data. Moltiplichiamo questa per ex :


ex (1 y e2x ) + ex y 0 = 0
Questa `e unequazione esatta alla quale si possono applicare i metodi illustrati nel paragrafo
precedente. Si ha

= ex ex y ex ,
= ex ;
x
y
(x, y) = ex y + h(x),

= yex + h0 (x),
x

da cui si ottiene
h0 (x) = yex + ex yex ex = ex ex ,
h(x) = ex ex + C.
Pertanto
(x, y) = yex ex ex = C,
e quindi la soluzione
y = 1 + e2x + Cex .
Esempio 2.10.4. Risolviamo lequazione
xy + (1 + x2 )y 0 = 0.
Si ha

F1
= x,
y

F2
= 2x.
x

Lequazione perci`o non `e esatta. Troviamo un fattore integrante. Risulta


F1
y

F2
x

F2

x
1 + x2

e quindi
d
x
=
.

1 + x2
Segue
1
log = log(1 + x2 ),
2

1
.
1 + x2

A questo punto dovremmo moltiplicare ambo i membri dellequazione differenziale data e risolvere lequazione ottenuta. Osserviamo che poiche risulta
F2
x

F2

F1
y

2x x
1
=
xy
y

`e decisamente pi`
u semplice riferirci alla (2.47) la cui soluzione `e fornita dalla (2.48). Troviamo
= y.

70

CAPITOLO 2. CAMPI VETTORIALI

Moltiplichiamo allora ambo i membri dellequazione data per il fattore integrante = y:


xy 2 + (1 + x2 )yy 0 = 0.
Risulta cos`

= xy 2 ,
x

= (1 + x2 )y
y

da cui segue
1
(x, y) = x2 y 2 + h(y)
2
e quindi
x2 y + h0 (y) = x2 y + y;

h0 (y) = y;

1
h(y) = y 2 .
2

Si trova perci`o
1
1
(x, y) = x2 y 2 + y 2 = C
2
2
cio`e
y 2 (1 + x2 ) = C;

p
y = C/(1 + x2 ).

Capitolo 3

Integrali doppi
In questo capitolo tratteremo la teoria dellintegrazione per funzioni di due variabili a valori reali.
Per prima cosa esporremo un approccio semplificato alla teoria degli integrali doppi definendo
tali integrali direttamente su domini normali, come limiti di opportune somme integrali. Useremo la nozione elementare di area e linterpretazione geometrica dellintegrale di una funzione
continua di una variabile e daremo una dimostrazione sufficientemente rigorosa delle formule
di riduzione. Dopo aver presentato numerosi esempi enunceremo il teorema di cambiamento di
variabili concentrandoci in particolare sulle trasformazioni lineari ed in coordinate polari. Termineremo il capitolo con il Teorema di Green che lega gli integrali doppi agli integrali di linea
di campi vettoriali. Da esso dedurremo importanti conseguenze ed in particolare una nuova
condizione per la conservativit`a di campi vettoriali irrotazionali.

3.1

Integrali su domini normali

Ricordiamo chepse P1 = (x1 , y1 ), P2 = (x2 , y2 ) sono due punti del piano xy denotiamo con
dist(P1 , P2 ) = (x1 x2 )2 + (y1 y2 )2 la loro distanza. Inoltre se A `e un sottoinsieme non
vuoto del piano xy, diam(A) = sup{dist(P1 , P2 ) | P1 , P2 A} indicher`a il suo diametro. Se
T `e un sottoinsieme del piano xy e v = ai + bj un vettore bidimensionale, denoteremo con
T + v = {(x + a, y + b) | (x, y) T } la traslazione di T secondo v.
Se T `e un sottoinsieme del piano xy sufficientemente regolare, denoteremo con area(T ) la sua
area. Si pu`o dimostrare che esiste una larga classe di sottoinsiemi del piano, detti insiemi misurabili secondo Peano-Jordan, per i quali larea `e ben definita. Inoltre larea verifica le seguenti
propriet`a:
1) area(T ) 0;
2) area(T1 T2 ) = area(T1 ) + area(T2 ) - area(T1 T2 ) (additivit`a);
3) area(T1 + v) = area(T1 ) (invarianza per traslazioni);
4) se T1 T2 allora area(T1 ) area(T2 );
5) area([0, 1] [0, 1]) = 1.
Si pu`o inoltre dimostrare che le propriet`a (1),(2),(3) e (5) caratterizzano larea come funzione
71

72

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

definita nella famiglia degli insiemi misurabili secondo Peano-Jordan.


Richiamiamo brevemente il significato geometrico dellintegrale di una funzione di una variabile; per maggiori dettagli consultare il testo di Calcolo I.
Sia f : [a, b] R una funzione continua nellintervallo [a, b]; supponiamo poi che f (x) 0 per
ogni x [a, b]. Una partizione P di [a, b] in m intervalli `e data da m + 1 punti x0 = a < x1 <
x2 < < xm1 < xm = b; si pone poi Mh = max f e mh = min f . Il diametro di P `e
[xh1 ,xh ]

definito ponendo diam(P) =

(f ; P) =

[xh1 ,xh ]

max |xh xh1 |. Le somme integrali sono date da:

h=1,...,m
m
X

(xh xh1 )mh

somma integrale inferiore,

(xh xh1 )Mh

somma integrale superiore.

h=1

(f ; P) =

m
X
h=1

Ricordiamo che al tendere a zero di diam(P), entrambe le somme integrali convergono allo stesso
Rb
limite, e tale valore `e per definizione lintegrale a f (x)dx. Posto T = {(x, y) : a x b e 0
y f (x)} (rettangoloide relativo alla f ), si ha poi evidentemente
(f ; P) area(T ) (f ; P)
e quindi al tendere di diam(P) a zero, (f ; P) e (f ; P) non possono che tendere al valore
area(T ) e necessariamente si ha
Z
area(T ) =

f (x)dx.
a

Figura 3.1: rettangoloide


Definizione 3.1.1. Un insieme del tipo D = {(x, y) : a x b, (x) y (x)}, dove
a, b R e , sono funzioni continue definite in [a, b] e tali che (x) (x) per ogni x [a, b],
`e detto dominio normale rispetto allasse x oppure y-semplice.

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

73

Figura 3.2: Dominio normale rispetto allasse x


Dai richiami nella sezione precedente, segue che larea di D `e data dalla formula
Z

[(x) (x)]dx

area(D) =
a

Una partizione P del dominio normale D `e data da m + 1 punti x0 = a < x1 < x2 <
xm1 < xm = b ed n + 1 funzioni continue 0 = , 1 , . . . , n1 , n = definite in [a, b] tali
che 0 (x) < 1 (x) < < n (x) per ogni x [a, b]. Un modo di definire tali funzioni `e ad
esempio ponendo
k (x) = (x) + k

(x) (x)
n

per k = 0, 1, 2, . . . , n. Poniamo Th,k = {(x, y) : xh1 x xh e k1 (x) y k (x)} e


diam(P) = max{diam(Th,k ) | h = 1, 2, . . . , m e k = 1, 2, . . . , n}. Chiaramente ogni Th,k `e un
dominio normale. Inoltre

area(D) =

m X
n
X

area(Th,k ).

h=1 k=1

E facile provare poi che infittendo la partizione P si pu`o rendere il suo diametro piccolo a
piacere.
Sia f una funzione continua in un dominio normale D definito come sopra. Presa una partizione
P di D come sopra, definiamo Mh,k = max f (x, y) e mh,k = min f (x, y) (Mh,k e mh,k
(x,y)Th,k

(x,y)Th,k

esistono per il Teorema di Weiestrass). Definiamo poi le somme integrali relative alla f ed alla
partizione P ponendo
(f ; P) =

m X
n
X
h=1 k=1

mh,k area(Th,k )

somma integrale inferiore,

74

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Figura 3.3: Partizione P del dominio normale D

(f ; P) =

m X
n
X

Mh,k area(Th,k )

somma integrale superiore.

h=1 k=1

Chiaramente si ha sempre (f ; P) (f ; P).


Lemma 3.1.2. Per ogni > 0 esiste > 0 tale che se diam(P) < allora
(f ; P) (f ; P) < .

Dimostrazione. Applicando il Teorema di Heine-Cantor (Teorema ??) alla funzione f abbiamo


che esiste > 0 tale che se diam(P) < allora Mh,k mh,k < per h = 1, 2, . . . , m e k =
1, 2, . . . , n (Mh,k e mh,k sono due valori assunti in due punti la cui distanza `e minore di ).
Quindi

(f ; P) (f ; P) =

m X
n
X

(Mh,k mh,k )area(Th,k )

h=1 k=1

<

m X
n
X

area(Th,k ) = area(D).

h=1 k=1

2
Lemma 3.1.3. Per ogni partizione P di D si ha:
Z

(x)

(f ; P)

!
f (x, y)dy dx (f ; P)

(x)

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

75

Dimostrazione. Osserviamo preliminarmente che in base al teorema sulla continuit`a degli


R (x)
integrali dipendenti da parametri (vedi Paragrafo 2.8 ed Osservazione 2.8.3), (x) f (x, y)dy `e
continua come funzione della x in [a, b] e quindi lintegrale nellenunciato del teorema esiste. Si
ha poi:

(x)

f (x, y)dy dx =
a

(x)

m Z
X

xh

(x)

f (x, y)dy dx

(x)
h=1 xh1
Z
m
n
X X xh Z k (x)
xh1

h=1 k=1

(3.1)

f (x, y)dy dx.

k1 (x)

Notiamo inoltre che mh,k f (x, y) Mh,k per ogni (x, y) Th,k . Quindi, integrando in dy da
k1 (x) a k (x) queste disuguaglianze, si ottiene:
k (x)

Z
(k (x) k1 (x))mh,k

f (x, y)dy (k (x) k1 (x))Mh,k


k1 (x)

integrando ancora in dx da xh1 a xh si ha poi:


Z

xh

k (x)

mh,k area(Th,k )

f (x, y)dy dx Mh,k area(Th,k )


xh1

k1 (x)

infine, sommando su h e k e tenendo conto di (3.1) si ha la tesi.


Dai Lemmi 3.1.2 e 3.1.3 segue subito che
Z
sup (f ; P) =
P

(x)

(x)

f (x, y)dy dx = inf (f ; P)


P

(3.2)

dove il sup e linf sono presi su tutte le partizioni P di D. E naturale quindi porre:
Definizione 3.1.4. Il valore comune in (3.2) verr`a chiamato integrale doppio di f esteso al
dominio D ed indicato con il simbolo:
x
f (x, y)dxdy.
D

In altri termini:
x
D

Z
f (x, y)dxdy = sup (f ; P) =
P

(x)

(x)

!
f (x, y)dy dx = inf (f ; P).
P

76

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Osservazione 3.1.5. Usualmente si definisce lintegrale doppio su domini pi`


u generali ed usando
partizioni pi`
u generali di quelle usate da noi. Si dimostra prima che il sup e linf della formula
sopra sono uno stesso e si definisce lintegrale doppio come tale numero:
x
D

f (x, y)dxdy = sup (f ; P) = inf (f ; P).


P
P

Successivamente, su domini normali, usando le partizioni introdotte da noi, si dimostra la


formula di riduzione:
x

f (x, y)dy dx.

f (x, y)dxdy =
a

(x)

(x)

Osservazione 3.1.6. Una analoga teoria vale per funzioni continue su domini normali rispetto
allasse y (o x-semplici): se D = {(x, y) | c y d e (y) x (y)}, dove , sono
funzioni continue in [c, d], e la funzione f `e continua nellinsieme D, allora si ha:
x

f (x, y)dx dy.

f (x, y)dxdy =
(y)

(y)

Definizione 3.1.7. Se D non `e normale ma si pu`o decomporre nella forma D = nk=1 Dk , con
Dk , k = 1, 2, . . . , n, domini normali aventi in comune al pi
u punti della frontiera. Chiameremo
tali domini regolari e porremo:
x
D

f (x, y)dxdy =

n ZZ
X
k=1

f (x, y)dxdy

Dk

.
Dando come noto o intuitivamente vero che se T `e un dominio piano ed l un numero positivo,
allora
volume(T [0, l]) = l areaT
allora segue subito che lintegrale doppio di una funzione f (x, y) > 0 per ogni (x, y) D ha un
ovvio significato geometrico. Detto {(x, y, z) : (x, y) D e 0 z f (x, y)} il cilindroide della
f relativo allinsieme D, si ha:
n
m
h=1 k=1 Th,k [0, mh,k ] {(x, y, z) : (x, y) D e 0 z f (x, y)}
n
m
h=1 k=1 Th,k [0, Mh,k ]

e quindi ogni somma inferiore rappresenta il volume di un solido contenuto nel cilindroide di f
relativo a D mentre ogni somma superiore rappresenta il volume di un solido che contiene tale
cilindroide. Ne segue che tali somme danno un valore rispettivamente per difetto e per eccesso
del volume del cilindroide e quindi lintegrale della f esteso a D non pu`o che dare esattamente
il valore del volume di tale cilindroide.

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

77

Pi
u in generale, se f, g sono funzioni continue nel dominio piano D e si ha g(x, y) f (x, y)
per ogni (x, y) D allora posto T = {(x, y, z) : (x, y) D e g(x, y) z f (x, y)} si ha:
volume(T ) =

(f (x, y) g(x, y)) dxdy.

Riassumiamo nella seguente proposizione le principali propriet`a dellintegrale doppio. Esse


discendono immediatamente da analoghe propriet`a dellintegrale in una variabile.
Proposizione 3.1.8. Siano f, g : D R due funzioni continue su un dominio regolare D.
Allora si ha
1. per , R
x

(f + g)(x, y)dxdy =

f (x, y)dxdy +

g(x, y)dxdy;

2. se f (x, y) g(x, y) per ogni (x, y) D


x
x
f (x, y)dxdy
g(x, y)dxdy;
D

s
s
3. D f (x, y)dxdy D |f (x, y)|dxdy;
s
4. D 1dxdy = area(D).
Osservazione 3.1.9. Sia R = [a, b] [c, d] un rettangolo ed f : R R una funzione continua
del tipo f (x, y) = f1 (x) f2 (y), i.e. f `e il prodotto di una funzione della sola x con una funzione
della sola y. Allora la formula di riduzione diventa:
Z b
 Z d

x
f (x, y)dxdy =
f1 (x)dx
f2 (y)dy .
(3.3)
a

` bene rimarcare che lintegrale doppio si esprime come prodotto di integrali solo se entrambe
E
le condizioni (sul dominio e sulla funzione integranda) sono soddisfatte.
Teorema 3.1.10. Sia D un dominio regolare connesso ed f : D R una funzione continua.
Allora esiste (, ) R2 tale che
x
f (x, y)dxdy = f (, ) area(D).
D

Dimostrazione. Essendo D un insieme compatto, per il Teorema di Weierstrass la funzione f


assume in D massimo M e minimo m. In virt`
u della precedente proposizione, abbiamo
x
x
x
m area(D) =
mdxdy
f (x, y)dxdy
M dxdy = M area(D)
D

da cui deduciamo che


m

f (x, y)dxdy
M,
area(D)

78

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI


s

f (x,y)dxdy

ovvero Darea(D)
`e un numero compreso fra il minimo e il massimo della funzione. Dal
teorema di esistenza dei valori intermedi sappiamo che una funzione continua definita su un
insieme compatto e connesso assume tutti i valori compresi fra il suo massimo e il suo minimo
e pertanto esiste (, ) D tale che
s
x
D f (x, y)dxdy
= f (, )
f (x, y)dxdy = f (, ) area(D).
area(D)
D

Un dominio regolare D `e detto x-simmetrico oppure simmetrico rispetto allasse delle y se


(x, y) D (x, y) D. Osserviamo che D `e x-simmetrico e normale rispetto allasse delle x
se e solamente se ammette la rappresentazione
D = {(x, y) R2 : a x a, (x) y (x)}
con a > 0 ed , : [a, a] R funzioni pari, i.e. (x) = (x), (x) = (x) per tutti gli
x [a, a].
Una funzione f definita su un dominio x-simmetrico D `e detta dispari rispetto ad x se
f (x, y) = f (x, y) per tutti gli (x, y) D. Mostriamo che se f `e continua e dispari rispetto
alla x, allora
x
f (x, y)dxdy = 0.
D

E sufficiente provarlo per domini normali. Indichiamo con D+ lintersezione di D con il


semipiano delle x non negative e con D quella con il semipiano delle x non positive. Allora
x
x
x
f (x, y)dxdy =
f (x, y)dxdy +
f (x, y)dxdy
D

D+
Z a

(x)

dx
0

Z
Z

dx
0

Z
=

f (x, y)dy
(x)
Z (x)

dx
a

Z
f (x, y)dy

(x)

f (x, y)dy

dx
Z

(x)
Z (x)

(x)

(x)
Z (x)

f (x, y)dy +

dx
0

a
Z 0

(x)
Z (x)

Z
dx

f (x, y)dy

dx
0

f (x, y)dy +
(x)
Z (x)

f (x, y)dy
(x)
Z (x)

dx
0

f (x, y)dy = 0
(x)

dove nella terza uguaglianza abbiamo utilizzato il cambio di variabile x 7 x e nella quarta
uguaglianza le propriet`a di simmetria delle funzioni , ed f .
Esempio 3.1.11. Sia T il triangolo di vertici (0, 0), (1, 0) e (1, 2). Calcoliamo
x
15xy 2 dxdy.
T

(3.4)

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

79

Osserviamo che T pu`o essere visto come un dominio normale sia rispetto allasse delle x che a
quello delle y:
T = {(x, y) R2 : 0 x 1, 0 y 2x}

(3.5)

y
x 1}.
2

(3.6)

oppure
T = {(x, y) R2 : 0 y 2,

Utilizzando la rappresentazione (3.5) come dominio normale rispetto allasse delle x lintegrale
(3.4) si itera come
Z

Z
dx

2x

15xy 2 dy =

5xy 3 |2x
0 dx

Z
=

40x4 dx

= 8x5 |10 = 8.

Daltra parte utilizzando la rappresentazione (3.6) lintegrale (3.4) si itera come

Z
dy

1
2

y
2

15 2 2 1
x y | y dy
2
0 2


Z 2
y4
15
y2
dy
=
4
0 2

 2
15 y 3
y 5
=

2
3
20

15xy dx =

15 8 32
= ( ) = 8.
2 3 20
s
Esempio 3.1.12. Calcoliamo D 2xdxdy dove D `e il compatto delimitato dalla parabola di
equazione x = y 2 e dalla retta di equazione x = y + 2. Mettendo a sistema le due equazioni si
ottiene
 2
y y2=0
x = y + 2,
le cui soluzioni (4, 2) e (1, 1) rappresentano i punti in cui le due curve si intersecano. Una
rappresentazione del dominio come dominio x-semplice `e data da
D = {(x, y) R2 : 1 y 2, y 2 x y + 2}

80

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Figura 3.4: Rappresentazione dominio x-semplice

e pertanto
x

2xdxdy =

x2 |y+2
dy
y2

1
2 

Z
=

2xdx
y2

y+2

dy


(y + 2)2 y 4 ) dy

1
2

Z
=

(y 2 + 4 + 4y y 4 )dy

1
y3

 2
y 5
=
+ 4y + 2y
3
5 1
8 1
32 1
= + +8+4+82

3 3
5
5
33
72
= .
= 21
5
5


Per rappresentare il dominio D come normale rispetto allasse delle x conviene dividerlo in due
sottodomini D1 e D2 , dove

D1 = {(x, y) R2 : 0 x 1, x y x}
e
D2 = {(x, y) R2 : 1 x 4, x 2 y

x}.

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

81

Abbiamo
x

Z
dx

2xdxdy =
0

D1

Z
=

2xdy

4x xdx

8 5
8
= x 2 |10 = ,
5
5
mentre
x

2xdxdy =
=
=
=
=
=

2xdxdy =

D1

2xdxdy +

2xdy

x2
4

Z
dx

D2

Quindi

(2x 2 2x2 + 4x)dx


1
 4


4 5 2 3
2
x 2 x + 2x
5
3
1
4
4 2
2
32 64 + + 32 2
5
5 3
3
4
31 42 + 30
5
64
.
5
2xdxdy =

D2

8
5

64
5

72
5 .

Nei prossimi due esempi presentiamo due integrali che sono iterati come domini normali rispetto allasse delle x. Essi sono solo apparentemente pi`
u semplici dei precedenti, in quanto la
funzione integranda non ammette una primitiva (rispetto alla variabile y) elementarmente calcolabile. Pertanto `e opportuno ricostrure il dominio dagli estremi di integrazione ed iterare
lintegrale come dominio normale rispetto allasse delle y.
Esempio 3.1.13. Calcoliamo
Z

Z
dx

ey dy.

(3.7)

Come gi`a osservato la difficolt`a del problema consiste nel fatto che non `e possibile esprimere
3
elementarmente una primitiva di ey . Per superare questa difficolt`a per prima cosa ricostruiamo,
3
dagli estremi di integrazione, il dominio D di R2 su cui si sta integrando la funzione ey , i.e.:
D = {(x, y) R2 : 0 x 1,

x y 1}.

82

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Figura 3.5: Dominio funzione ey

Poiche per x 0, y =
x-semplice `e data da

x x = y 2 ne deduciamo che la rappresentazione di D come dominio

D = {(x, y) R2 : 0 y 1, 0 x y 2 }
e pertanto lintegrale (3.7) pu`o essere espresso come

y2

dy
0

ey dx =

y 2 ey dy
0

3 1
ey
=

3
0

e1
=
.
3
Esempio 3.1.14. Calcoliamo
Z

Z
dx

xp

1 y 4 dy.

(3.8)

p
La funzione 1 y 4 non ha una primitiva elementarmente calcolabile e quindi lunica possibilit`
a
per calcolare lintegrale `e scambiare lordine di integrazione. Procedendo come nel precedente
esempio, deduciamo che la rappresentazione del dominio di integrazione come dominio x-semplice
`e data da
D = {(x, y) R2 : 0 y 1, y 3 x y}

3.1. INTEGRALI SU DOMINI NORMALI

83

e pertanto lintegrale pu`o essere espresso come


Z

dy
0

1 y 4 dx =

y3

p
(y y 3 ) 1 y 4 dy

0
1

Z 1 p
p
(y 1 y 4 dy
y 3 1 y 4 dy
0
0
Z 1p
Z 0
1
1
1
2
4
2
s 2 ds
(ponendo t = y e s = 1 y ) =
1 t dt +
2 0
4 1
0

1 3
= + s 2
8
6
1
1
= .
8 6
Z

Esempio 3.1.15. Calcoliamo

|y x2 |dxdy

dove Q `e il quadrato [0, 1] [0, 1]. Osserviamo che la funzione integranda pu`o essere espressa
come
(
y x2 se (x, y) D1 = {(x, y) : y x2 }
|y x2 | =
x2 y se (x, y) D2 = {(x, y) : y x2 }.

Figura 3.6: Rappresentazione della funzione |y x2 |


Pertanto, per ladditivit`a dellintegrale, abbiamo
x
x
x
|y x2 |dxdy =
(y x2 )dxdy +
(x2 y)dxdy.
Q

QD1

QD2

Entrambi gli integrali al secondo membro sono su domini normali e quindi possiamo calcolarli

84

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

per iterazione. Infatti per il primo integrale abbiamo:


Z 1 Z 1
x
2
(y x )dxdy =
dx
(y x2 )dy
x2

QD1

=
0

 1

y2
2
yx dx
2
x2

1


1
x4
2
4
x
+ x dx
=
2
2
0

Z 1
1
x4
2
=
dx
x +
2
2
0

 1
1
x3 x5
4
=
x
+
= ,

2
3
10 0 15
Z

mentre per il secondo abbiamo


x

(x2 y)dxdy =

Z
dx

QD2

x2

(x2 y)dy

 x2
y 2
=
x y
dx
2 0
0

Z 1
x4
4
dx
=
x
2
0
1
x5
1
=
= .
10 0 10
Z

In definitiva abbiamo

|y x2 |dxdy =

4
1
11
+
= .
15 10
30

Unapplicazione immediata degli integrali doppi consiste nella determinazione del baricentro
di alcune figure piane. Sia D un dominio regolare su cui sia definita una funzione densit`
a di
massa continua di modo che la massa totale di D sia data da
x
m=
(x, y)dxdy.
D

Allora definiamo il baricentro di D come il punto di coordinate (xG , yG ) date da


s
s
y(x, y)dxdy
D x(x, y)dxdy
yG = D
.
xG =
m
m

(3.9)

Nel caso in cui la densit`a di massa sia costante, il baricentro di D viene anche chiamato il
centroide di D e la (3.9) assume la forma
s
s
ydxdy
D xdxdy
xG =
yG = D
.
(3.10)
area(D)
area(D)

3.2. CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

85

Esempio 3.1.16. Determiniamo il centroide di un triangolo rettangolo D di vertici P1 =


(x1 , y1 ), P2 = (x2 , y1 ), P3 = (x2 , y2 ). Supponiamo per semplicit`a x1 < x2 e y1 < y2 . Poiche la
retta che passa per i punti P1 e P3 ha equazione
y=

y2 y1
(x x1 ) + y1 = a(x x1 ) + y1
x2 x1

(con a =

y2 y1
x2 x1 )

possiamo rappresentare D come dominio y-semplice:


D = {(x, y) R2 : x1 x x2 , y1 y a(x x1 ) + y1 }
di modo che
x

x2

xdxdy =

a(xx1 )+y1

xdx
x1

dy
y1

x2

xa(x x1 )dx
 3
 x
x
x1 x2 2
=a


3
2
x1
=

x1

=
Poiche larea del triangolo `e data da

y2 y1 2x32 3x1 x22 + x31


.
x2 x1
6

(y2 y1 )(x2 x1 )
,
2

abbiamo

2x32 3x22 x1 + x31


3(x2 x1 )2
2x32 3x22 x1 + x31
=
3(x22 2x1 x2 + x21 )
2x2 + x1
=
3

xG =

dove lultima uguaglianza si ottiene eseguendo la divisione fra polinomi (ad esempio rispetto
alla variabile x2 e considerando x1 costante). In maniera perfettamente analoga si vede che
yG = 2y13+y2 .
NellEsercizio 3.2.5 verr`a delineato un metodo per determinare il calcolo del centroide di un
triangolo generico, basato sui risultati ottenuti per il triangolo rettangolo con i cateti paralleli
agli assi.

3.2

Cambiamento di variabili negli integrali doppi

In questo paragrafo estenderemo al caso bidimensionale la formula di integrazione per sostituzione. Dati due vettori v = v1 i + v2 j = OP e w = w1 i + w2 j = OQ indichiamo con P (v, w) il
parallelogramma da essi generato, con A(v, w) la sua area e semplicemente con (v, w) la matrice


v1 w1
.
v2 w2

86

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI




Q


A

 AA
*
P
 
H
 


O
Proposizione 3.2.1. Con le notazioni sopra introdotte abbiamo

A(v, w) = | det(v, w)|

(3.11)

Dimostrazione. Daremo due dimostrazioni di questa proposizione. La prima `e basata sulla


geometria analitica ed in particolare sulla formula della distanza punto retta che ora ricordiamo.
Se y = mx + q `e lequazione di una retta r non verticale ed Q = (x0 , y0 ) un generico punto allora
si ha
|mx0 + q y0 |

.
(3.12)
dist(Q, r) =
1 + m2
Facendo riferimento alla figura precedente, osserviamo che larea del parallelogramma `e data
dalla
lunghezza del lato OP moltiplicata per laltezza QH. La prima `e chiaramente data da
p
2
v1 + v22 mentre laltezza uguaglia la distanza del punto Q dalla retta passante per lorigine e
il punto P . Questa retta ha equazione
v2
y= x
v1
per cui applicando la (3.12) si ottiene che
2 v1
| vv21 w1 w2 |
| v2 w1vw
|
|v2 w1 v1 w2 |
1
= p 2
|v1 | = p 2
QH = q
2
v2 2
v1 + v2
v1 + v22
1 + ( v1 )

da cui segue la (3.11)


La seconda dimostrazione `e pi`
u algebrica e basata sulle propriet`a del determinante: ha il
vantaggio di poter essere generalizzata facilmente a dimensioni maggiori di due.
Consideriamo dapprima il caso in cui il vettore v `e parallelo al vettore i (i.e. v2 = 0). Allora
la base del parallelogramma ha lunghezza |v1 | mentre la sua altezza `e pari a |w2 | e pertanto la
sua area `e data da |v1 | |w2 |. Daltra parte `e immediato verificare che se v2 = 0 allora il secondo
membro della (3.11) coincide proprio con |v1 w2 | = |v1 | |w2 |.
Nel caso generale, indicato con langolo formato da v con lasse delle x positive, consideriamo
la rotazione


cos sin
R =
.
sin cos

3.2. CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

87

R v `e parallelo a i e quindi, per la prima parte della dimostrazione, abbiamo


A(R v, R w) = | det(R v, R w)|.
Poiche la rotazione non modifica larea del parallelogramma (i.e. A(R v, R w) = A(v, w)) per
concludere la dimostrazione `e sufficiente osservare che
| det(R v, R w)| = | det[(R )(v, w)]|
= | det(R )|| det(v, w)|
= | det(v, w)|
(nellultima uguaglianza abbiamo utilizzato il fatto che det(R ) = cos2 + sin2 = 1).
Definizione 3.2.2. Sia D un dominio regolare contenuto in R2 . Una mappa
:

R2
(u, v) 7 (x(u, v), y(u, v))

`e detta una trasformazione regolare di coordinate se valgono le seguenti condizioni


1. `e iniettiva;
2. le componenti di , x(u, v) e y(u, v) sono funzioni di classe C 1 ;
3. la matrice jacobiana



xu (u, v) xv (u, v)
yu (u, v) yv (u, v)

ha determinante J(u, v) sempre diverso da zero in D.


Ricordiamo che la seconda condizione vuol dire che esiste un aperto I contenente D su cui
`e definita e sul quale le sue componenti sono di classe C 1 . Chiameremo inoltre jacobiano della
trasformazione il valore assoluto di J(u, v).


a b
Esempio 3.2.3. Sia A =
una matrice ed indichiamo con A : R2 R2 il corrispondente
c d
operatore lineare, i.e. A (u, v) = (au + bv, cu + dv). Ovviamente la seconda condizione `e sempre
verificata mentre la prima e terza sono verificate se e solamente se det A 6= 0. Osserviamo che
limmagine del quadrato Q = [0, 1] [0, 1] `e rappresentata dal parallelogramma (degenere se
det(A) = 0) generato dai vettori ai + cj e bi + dj e per la Proposizione 3.2.1 abbiamo
area(A (Q)) = | det(A)|.
Osserviamo inoltre che la mappa A manda rette in rette e conserva la relazione di parallelismo.
Tuttavia la relazione di ortogonalit`a viene conservata se solamente se ac+bd = 0 e a2 +b2 = c2 +d2
che sono le condizioni che caratterizzano le matrici ortogonali (modulo la moltiplicazione per
una matrice multiplo della matrice identit`a).

88

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Teorema 3.2.4. Sia D un dominio regolare contenuto in un rettangolo aperto I, : D R2


una trasformazione regolare di coordinate tale che (D) sia ancora regolare. Data f : (D) R
una funzione continua si ha
x
x
f (x, y)dxdy =
f (x(u, v), y(u, v))|J(u, v)|dudv.
(3.13)
(D)

Notare che ci sono due importanti differenze rispetto al caso di funzioni di una variabile: in tale
contesto non viene richiesto alla funzione che rappresenta il cambio di variabile di essere iniettiva
ed inoltre nella formula non compare il valoro assoluto della derivata di tale funzione. Inoltre,
nel caso unidimensionale la scelta della trasformazione `e basata esclusivamente sullobbiettivo di
semplificare la funzione integranda, mentre nel caso bidimensionale `e necessario anche valutare
la trasformazione del dominio di integrazione. Nel caso la funzione f sia identicamente uguale
ad 1 la (3.13) diventa
x
|J(u, v)|dudv.

area((D)) =

(3.14)

Daremo una dimostrazione di questo caso particolare (che in realt`a `e sostanzialmente equivalente
al caso generale) del teorema dl cambiamento di variabile alla fine del capitolo. Per il momento
presentiamo delle motivazioni euristiche che giustificano la (3.14).
Supponiamo che il dominio D sia un rettangolo [u, u + u] [v, v + v]. Consideriamo le due
curve che si ottengono restringendo la mappa ai lati del rettangolo che si incontrano nel punto
(u, v):
u : [u, u + u]
(D)
t
7 (t, v) = (x(t, v), y(t, v))
e
v : [v, v + v]
(D)
t
7 (u, t) = (x(u, t), y(u, t)).
Indicati con Tu (u, v) = xu (u, v)i + yu (u, v)j e Tv (u, v) = xv (u, v)i + yv (u, v)j rispettivamente
i vettori tangenti alle curve u e v nel punto (u, v) possiamo approssimare larea di (D)
con quella del parallelogramma generato dai vettori uTu evTv . Per la Proposizione 3.2.1
abbiamo quindi
area((D))
= | det


uxu (u, v) vxv (u, v)
| = vu|J(u, v)| = |J(u, v)|area(D)
uyu (u, v) vyv (u, v)

Daltra parte applicando il Teorema della media al secondo membro della (3.14) otteniamo che
per esiste (u0 , v 0 ) D tale che
x
|J(u, v)|dudv = |J(u0 , v 0 )|area(D)
= |J(u, v)|area(D)
D

dove nellultima approssimazione abbiamo utilizzato la continuit`a di |J(u, v)|.


Ci sono tre importanti esempi di trasformazioni regolari di coordinate che conservano larea di
una regione:

3.2. CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

89

rotazione di un angolo (associata alla matrice R vista in precedenza):


(u, v) = (u cos + v sin , u sin + v cos );
inversione:
(u, v) = (u, v)
Traslazione lungo un vettore v = v1 i + v2 j.
Notare che le prime due trasformazioni sono di tipo lineare, mentre le traslazioni non rientrano
in questa tipologia.
Esercizio 3.2.5. Il fine di questo esercizio `e mostrare che il centroide di un generico triangolo
T di vertici P1 = (x1 , y1 ) P2 = (x2 , y2 ) e P3 = (x3 , y3 ) ha coordinate
xG =

x1 + x2 + x3
3

yG =

y1 + y2 + y3
.
3

(3.15)

1. Sia R una rotazione di angolo . Mostrare che se (xG , yG ) `e il centroide di una regione D
allora il centroide della regione R (D) `e dato da R (xG , yG ) (cio`e il centroide della regione
ruotata `e il centroide originale ruotato).
2. Utilizzando (1) mostrare che ci si pu`o ricondurre al caso in cui y1 = y3 .
1) e
3. Mostrare che se due regioni disgiunte D1 e D2 hanno centroide rispettivamente (x1G , yG
2
2
(xG , yG ) allora il centroide della loro unione D = D1 D2 `e dato da

xG =

area(D1 ) 1
area(D2 ) 2
x +
x
area(D) G
area(D) G

yG =

area(D1 ) 1
area(D2 ) 2
y +
y .
area(D) G
area(D) G

4. Utilizzando il risultato dellEsempio 3.1.16 dimostrare le (3.15).


Esempio 3.2.6. Consideriamo

yx

e y+x dxdy,

dove T `e il triangolo di vertici P1 = (0, 0), P2 = (1, 0) e P3 = (0, 1). Lespressione della funzione
integranda ed il dominio di integrazione ci suggeriscono di utilizzare la trasformazione lineare
data da


u =yx
x = vu
2
la cui inversa `e data
y = v+u
v =y+x
2 .
Osserviamo che il dominio di integrazione T nel piano xy `e immagine, tramite , del triangolo
D, contenuto nel piano uv, di vertici (0, 0), (1, 1) e (1, 1) (`e sufficiente sostituire nel primo
sistema della precedente equazione le coordinate dei vertici del triangolo T ).

90

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Figura 3.7: Trasformazione del triangolo


Utilizzando il teorema sul cambiamento di variabile degli integrali doppi ed osservando che
D = {(u, v) R2 : 0 v 1, v u v}, otteniamo
x yx
1x u
e y+x dxdy =
e v dudv
2
T
D
Z 1 Z v
u
1
e v du
dv
=
2 0
v
Z 1
v
u
1

e v v dv
=
2 0
v
Z 1
1
e e1
ee
vdv =
.
=
2
4
0
Lesempio precedente, seppur molto interessante, `e abbastanza particolare in quanto la semplificazione dellintegrale `e stata resa possibile dalla particolare forma della funzione integranda e del dominio di integrazione. Al contrario, il prossimo esempio `e di facile ed immediata
applicazione.
Esempio 3.2.7 (Dilatazioni). Vogliamo calcolare larea della regione E racchiusa dallellisse
di equazione
x2 y 2
+ 2 = 1,
a2
b
con a, b > 0. Osserviamo che la regione delimitata dallellisse pu`o essere vista come limmagine
del cerchio di centro (0, 0) e raggio 1 tramite la trasformazione definita da

x = au
y = bv
il cui jacobiano `e pari ad ab. Applicando il teorema del cambiamento di variabili otteniamo:
x
area(E) =
dxdy
E

abdudv = ab.

B1 (0,0)

3.2.1

Trasformazione in coordinate polari

Sia 0 < 0 < 1 < 2 ed 0 < 0 < 1 e consideriamo la mappa


: D = [0 , 1 ] [0 , 1 ]
R2
(, )
7 ( cos , sin )

3.2. CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

91

i.e. `e la tradizionale trasformazione in coordinate polari.


Osserviamo che se fissiamo = , la curva () = (, ) descrive, al variare di , un
arco della circonferenza centrata nell origine e raggio . Viceversa se fissiamo = , la curva
() = (, ) descrive, al variare di , un tratto della semiretta passante per lorigine che
forma con lasse delle x positive un angolo . Ne deduciamo che limmagine del rettangolo D
tramite `e un settore circolare limitato dalle circonfernze centrate nellorigine di raggio 0 ed
1 e dalle semirette che formano con lasse delle x positive rispettivamente un angolo 0 e 1 .

Figura 3.8: Trasformazioni in coordinate polari


Dalla geometria analitica sappiamo che larea di tale settore `e data da
1
area((D)) = (21 20 )(1 0 ).
2

(3.16)

Daltra parte lo jacobiano della trasformazione `e dato da




sin cos
| = | (sin2 + cos2 )| =
| det
cos sin
ed applicando la (3.14) otteniamo
area((D)) =

dd =

d = (1 0 )

d
0

1
2 1
|0 = (21 20 )(1 0 )
2
2

che coincide con la (3.16).


La formula di trasformazione in coordinate polari assume cos` la forma:
x
x
f (x, y)dxdy =
f ( cos , sin )dd.
(D)

(3.17)

Bisogna osservare che la mappa non soddisfa le condizioni del teorema sul cambiamento
di variabile nel caso in cui il dominio D nel piano sia il rettangolo [0, 2] [0, 1 ]. Infatti
limmagine del lato [0, 2] {0} degenera in un punto e le coppie di punti (0, ), (2, ) hanno
la stessa immagine (inoltre sempre sul lato [0, 2] {0} lo jacobiano di , pari a , si annulla). Mostriamo che la formula (3.17) continua a valere anche in questo caso. Consideriamo la
successione di rettangoli Dk = [ k1 , 2] [ k1 , 1 ] la cui immagine tramite `e la corona circolare,
compresa fra le circonferenze di centro (0, 0) e di raggi pari a k1 e 1 , privata del settore circolare

92

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

delimitato dagli angoli 0 e k1 . Poiche su Dk le ipotesi del teorema sono verificate, possiamo
scrivere che
x
x
f (x, y)dxdy =
f ( cos , sin )dd.
Dk

(Dk )

Considerando che limk area((D \ Dk )) = limk area(D \ Dk ) = 0 abbiamo che


x

f (x, y)dxdy = lim

(D)

= lim

f (x, y)dxdy

(Dk )

f ( cos , sin )dd

Dk

f ( cos , sin )dd.

Ovviamente possiamo rimpiazzare lintervallo [0, 2] con un qualunque intervallo di lunghezza


2 (ad esempio [, ]).
s p
Esempio 3.2.8. Calcoliamo T 3 x2 + y 2 dxdy dove T `e il cerchio di centro (1, 0) e raggio 1.
Vista lespressione della funzione integranda conviene passare in coordinate polari. La frontiera
del dominio ha equazione cartesiana (x 1)2 + y 2 = 1 e pertanto con la sostituzione x = cos
ed y = sin otteniamo 2 2 cos = 0 Ne deduciamo che in coordinate polari il dominio `e
dato da:

D = {(, ) : , 0 2 cos }.
2
2

Figura 3.9: Rappresentazioni in coordinate polari del dominio

3.2. CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

93

Applicando il teorema del cambiamento di variabili otteniamo che


x p
x
3 x2 + y 2 dxdy =
32 dd
T

Z
=

Z
=

Z
=

Z
=

2 cos

32 d

3 |20 cos d
8 cos3 d
8(1 sin2 ) cos d

8(1 t2 )dt

=
1

32
= .
3
Esempio 3.2.9. Calcoliamo

4(x2 + y 2 )dxdy

dove T `e il compatto contenuto nel primo quadrante delimitato dalle iperboli di equazione
x2 y 2 = 1 ed yx = 1 e le rette di equazioni y = 0 ed y = x.

Figura 3.10: Rappresentazioni integrale doppio con iperboli


Lespressione della funzione integranda ci suggerisce di passare in coordinate polari. Sostituendo x = cos ed y = sin nellequazione della prima iperbole, otteniamo:
2

cos sin = 1 =

1
=
cos2 sin2

1
.
cos(2)

94

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

In maniera simile si vede che lequazione delliperbole xy = 1 in coordinate polari diventa


s
2
=
.
sin(2)
Mettendo a sistema le equazioni delle due iperboli otteniamo che le coordinate
q delqpunto di
intersezione delle due curve nel primo quadrante sono date da (x0 , y0 ) = ( 1+2 5 , 1+25 ) e
che pertanto langolo 0 , che la retta passante per (x0 , y0 ) e lorigine forma con lasse delle x,
soddisfa tan 0 = 1+25 .
Utilizzando queste osservazioni possiamo descrivere il dominio nel piano come D = D1 D2
con
s
(
)
1
D1 = (, ) : 0 0 , 0
cos(2)
e
(

(, ) : 0 , 0
4

D2 =

2
sin(2)

)
.

Per il teorema di cambiamento di variabili, abbiamo che


x

4(x + y )dxdy =

d
0

1
cos(2)

4 d +

Z
d

2
sin(2)

43 d.

Iterando il primo integrale si ha


q

Z
d

1
cos(2)

43 d =

4 |0

1
cos(2)

1
d
2 (2)
cos
0
tan(20 )
1
= tan(2)|0 0 =
.
2
2
=

In maniera analoga si vede che il secondo integrale


Z

Z
d

Poiche tan(0 ) =

y0
x0

2
,
1+ 5

2
sin(2)

utilizzando la formula di duplicazione della tangente, otteniamo


tan(20 ) =

In definitiva abbiamo

43 d = 2 cot(20 ).

x
T

2 tan(0 )
= 2.
1 tan2 (0 )

4(x2 + y 2 )dxdy = 2.

3.3. INTEGRALI IMPROPRI

3.3

95

Integrali impropri

Come nel caso di funzioni di una variable, `e interessante studiare integrali doppi il cui dominio di
integrazione non `e limitato. Non tratteremo in profondit`a la teoria generale, ma ci limiteremo
ad un paio di esempi espliciti. Consideriamo una funzione continua non negativa definita su
tutto R2 ed una successione di domini regolari {Dn }nN (chiamati compatti invadenti) con le
propriet`a che Dn Dn+1 e Dn = R2 . Definiamo lintegrale improprio di f su R2 come
x
x
f (x, y)dxdy = lim
f (x, y)dxdy.
n

R2

Dn

Tale definizione `e ben posta in quanto si pu`o dimostrare che sia la convergenza che leventuale
valore di tale limite non dipendono dalla particolare
s successione {Dn }nN . Notiamo inoltre che,
per le ipotesi su f e {Dn }nN , la successione { Dn f (x, y)dxdy}nN `e crescente e quindi deve
essere necessariamente regolare: se il limite risulta essere uguale a + diremo che f ha integrale
improprio divergente, mentre se il limite `e finito diremo che f ha integrale improprio convergente.
Esempio 3.3.1. In questo esempio consideriamo lintegrale improprio
x
2
2
e(x +y ) dxdy.
R2

Scegliendo come {Dn }nN la successione di cerchi centrati nellorigine e raggio n, abbiamo
x
x
2
2
2
2
e(x +y ) dxdy
e(x +y ) dxdy = lim
n

R2

Dn
Z 2

(coor. polari) = lim

n 0

e d

0
n2

(t = 2 ) = lim

n 0

et dt
2

= lim (et |n0 )


n

= lim (en + 1) = .
n

Daltra parte, con un opportuno procedimento di limite (scegliendo come compatti invadenti dei
quadrati centrati nellorigine), possiamo estendere la (3.3) agli integrali impropri convergenti,
ottenendo che
Z + Z +
x
2
2
(x2 +y 2 )
e
dxdy =
dx
e(x +y ) dy

R2

Z

x2

Z +

 Z
dx

x2

2
dx

dal quale deduciamo che


+

ex dx =

y 2


dy

96

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Esempio 3.3.2. Consideriamo lintegrale improprio


x
f (x, y)dxdy
R2

dove

1
f (x, y) =

(

1
x2 +y 2 )

se x2 + y 2 1
se x2 + y 2 1.

Considerando la stessa successione di cerchi Dn del precedente esempio, otteniamo


x
x
x
1
p
dxdy
f (x, y)dxdy =
1dxdy +
2
( x + y 2 )
Dn
D1
Dn \D1
Z 2
Z n
=+
d
1 d
0
1
(
n2 1
+ 2( 2 ) se 6= 2
=
+ 2 log n
se = 2.
Pertanto
lim

x
Dn

3.4

(
2
+ 2
f (x, y)dxdy =
+

se > 2
se 2.

Formule di Green

Ci proponiamo di dimostrare in questo paragrafo unaltra estensione del teorema fondamentale


del calcolo. Mostreremo come un integrale doppio su un dominio D possa essere ricondotto
ad un integrale di linea di un opportuno campo vettoriale (che gioca il ruolo di primitiva) sulla
frontiera del dominio. Come mostreremo negli esempi tuttavia `e pi`
u utile utilizzare tale risultato
in direzione opposta, in quanto in genere il calcolo di integrale doppio `e pi`
u agevole di quello di
un integrale di linea.
Definizione 3.4.1. Un dominio D del piano `e detto fortemente regolare se valgono le seguenti
condizioni
1. D `e decomponibile nell unione di un numero finito di domini ognuno dei quali `e normale
rispetto ad uno degli assi e di classe C 1 (i.e. le funzioni , della Definizione 3.1.1, o le
funzioni , dellOsservazione 3.1.6 sono di classe C 1 );
2. la frontiera di D `e data dallunione di un numero finito di curve regolari a tratti chiuse.
` bene osservare che la condizione (2) non pu`o essere dedotta dalla condizione (1).
E
Esempio 3.4.2. Osserviamo per prima cosa che un cerchio D non `e un dominio normale di
classe C 1 . Supponiamo, per fissare le idee, che sia centrato nelorigine ed abbia raggio 1. La
sua rappresentazione
come dominio normale
rispetto allasse delle x `e data

da D = {(x, y)
R2 : 1 x 1, 1 x2 y 1 x2 }, ma le funzioni x 7 1 x2 non sono di

3.4. FORMULE DI GREEN

97

classe C 1`in [1,


` 1]. Possiamo tuttavia rappresentare D come un dominio fortemente regolare:
D = D1 D2 D3 dove

p
3
D1 = {(x, y) R2 : 23 y + 2
x 12 }
, 1 y 2
D2 = {(x, y) R2 : 21 x 12 , 1 x2 y 1 x2 }
p
D3 = {(x, y) R2 : 23 y + 23 , 12 x 1 y 2 }.

6
'$
&%

Indicheremo con +D la frontiera di D orientata secondo la seguente regola: percorrendo la


frontiera si deve lasciare il dominio alla propria sinistra. Ovviamente tale definizione `e poco
rigorosa, ma ampiamente accettata nelle applicazioni.
Teorema 3.4.3 (I Formula di Green o Teorema del rotore bidimensionale). Sia D un
dominio fortemente regolare e
D

R2
(x, y) 7 F1 (x, y)i + F2 (x, y)j

F:

un campo vettoriale di classe C 1 . Allora



I
x  F
F1
2
b =
F Tds

dxdy.
x
y
+D
D

Dimostrazione. Consideriamo in prima istanza il caso in cui il dominio D sia y-semplice.


Consideriamo i campi G(x, y) = F1 (x, y)i e H(x, y) = F2 (x, y)j di modo che F = G + H.
Dallipotesi che il dominio sia y-semplice segue che esistono due funzioni , : [a, b] R (di
classe C 1 ) tali che D = {(x, y) R2 : x [a, b] e (x) y (x)}. Mostriamo che
I
x F
1
b =
G Tds
dxdy.
(3.18)
y
+D
D

Osserviamo che la frontiera di D `e composta da quattro parti: due lati verticali e i grafici
delle funzioni e . Il contributo allintegrale curvilineo dei due lati verticali `e nullo in quanto
b 0 lungo tali lati. Tenendo presente lorientazione della frontiera abbiamo che il primo
GT
membro di (3.18) `e uguale a
Z

Z
F1 (x, (x)) 1dx

Z
F1 (x, (x)) 1dx =

[F1 (x, (x)) F1 (x, (x))]dx.


a

98

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

Utilizzando le formule di riduzione, lintegrale al secondo membro di (3.18) diventa


Z

(x)

Z b
F1
(x)
F1 (x, y)|(x) dx
dy =
y
a
Z b
=
[F1 (x, (x)) F1 (x, (x))]dx

dx
a

(x)

e pertanto la (3.18) `e dimostrata.


Mostriamo ora che

I
b =
H Tds
+D

x F
2
dxdy.
x

(3.19)

Cominciamo con losservare che in virt`


u del Lemma 2.8.2 abbiamo
Z (x)
Z (x)

F2
(x, y)dy =
F2 (x, y)dy F2 (x, (x)) 0 (x) + F2 (x, (x))0 (x)
x
x
(x)
(x)

(3.20)

da cui
Z b Z (x)
x F
F2
2
dxdy =
dx
(x, y)dy
x
a
(x) x
D
#
Z b"
Z (x)

=
F2 (x, y)dy dx+
x (x)
a
Z b
Z b
0
F2 (x, (x))0 (x)dx
F2 (x, (x)) (x)dx +

a
(b)

(a)

F2 (b, y)dy

=
(b)

F2 (a, y)dy+
(a)

F2 (x, (x)) 0 (x)dx +

F2 (x, (x))0 (x)dx

b
H Tds.

=
+D

provando la (3.19) che insieme alla (3.18) dimostra il teorema nel caso di un dominio y-semplice.

Figura 3.11: Rappresentazioni dominio y-semplice

3.4. FORMULE DI GREEN

99

Il caso di un dominio x-semplice `e perfettamente analogo. Per concludere la


`dimostrazione
utilizziamo il fatto che per ipotesi si pu`o decomporre il dominio nellunione ni=1 Di , dove i
sottodomini Di sono x-semplici o y-semplici ed hanno la propriet`a che le frontiere comuni a due
sottodomini sono orientate in senso opposto. Applicando la prima parte della dimostrazione a
ciascuno dei domini Di e considerando che gli integrali di linea del campo F sui tratti interni
delle frontiere +Di si elidono a vicenda, anche il caso generale segue.
2

Esempio 3.4.4. Consideriamo il campo vettoriale F(x, y) = (x2 + y)i + yx2 j e calcoliamone la
sua circuitazione lungo la frontiera del rettangolo R = {(x, y) R2 : 1 x 2, 1 y 1}.
Utilizzando il teorema di Green si ha
I
x  (yx2 ) (x2 + y) 
b
F Tds =

dxdy
x
y
+R
R
x
=
(2xy 1)dxdy
R

= area(R) = 2
dove la penultima uguaglianza `e giustificata dal fatto che la funzione 2xy `e dispari rispetto alla
y e il dominio e simmetrico rispetto alla y.
Esempio 3.4.5. Calcoliamo la circuitazione del campo vettoriale F(x, y) = xy 2 i + yxj lungo la
frontiera del triangolo T di vertici (1, 0), (1, 0) (0, 1) percorsa in senso antiorario. Osserviamo
che T = {(x, y) R2 : 0 y 1, y 1 x y + 1}. Utilizzando il teorema di Green abbiamo
I
x  (yx) (xy 2 ) 
b
F Tds =

dxdy
x
y

T
x
x
=
ydxdy
2xydxdy
T
1

Z
=

T
y+1

ydx 0

dy
0

y1
1

y[(y + 1) (y 1)]dy

=
0
1

(2y 2 + 2y)dy

=
0


=

 1

2y 3
1
+ y 2 = .
3
3
0

Nel precedente esempio abbiamo ricondotto il calcolo di un integrale di linea ad un integrale


doppio. Il teorema di Green pu`o essere usato anche nella direzione opposta trasformando un
integrale doppio di una funzione continua f su un dominio D in un integrale di linea di un
campo vettoriale sulla frontiere di D. Infatti `e sempre possibile trovare un campo vettoriale F
di classe C 1 tale che
F2 F1
f=

.
x
y
In genere il calcolo di un integrale di linea `e dal punto di vista computazionale meno agevole di
un integrale doppio e pertanto questo utilizzo del teorema di Green `e riservato solo al caso in cui

100

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

la funzione f sia particolarmente semplice. Ad esempio se f 1 (di modo che il corrispondente


integrale fornisce larea di D) fra le possibili scelte `e utile considerare i seguenti campi vettoriali

F = xj

F = yi

y
x
F = i + j.
2
2

In altri termini:

area(D) =

1
2

Z
b
(yi + xj) Tds

(3.21)

+D

Esempio 3.4.6. Calcoliamo larea della regione T racchiusa dallasteroide di equazioni parametriche

x() = cos3
y() = sin3

con [0, 2] (notare che questa curva non soddisfa la condizione di regolarit`a a tratti, ma noi
trascureremo questa difficolt`a).

Figura 3.12: Rappresentazioni asteroide

3.5. CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI GREEN

101

Utilizzando (3.21) abbiamo


area(T ) =
=
=
=
=
=
=

Z

1 2 
3 sin3 cos2 ( sin ) + 3 cos3 sin2 cos d
2 0
Z

3 2
sin4 cos2 + cos4 sin2 d
2 0
Z

3 2  2
sin cos2 (sin2 + cos2 ) d
2 0


Z
3 2 sin 2 2
d
2 0
2
Z
3 2
(sin 2)2 d
8 0
Z
3 2 1 cos 4
d
8 0
2

!
3 2
sin 4 2

8 2 0
8 0

3
= .
8

3.5

Conseguenze del Teorema di Green

In questo paragrafo mostreremo importanti risultati che discendono dal Teorema di Green o
meglio da sue generalizzazioni. Per prima ricordiamo un fatto (intuitivamente ovvio ma di
difficile dimostazione): se `e una curva regolare a tratti chiusa allora essa divide il piano in
due regioni una limitata, chiamata regione interna, ed una illimitata, chiamata regione esterna
Inoltre se 1 , 2 , . . . , k sono altre curve regolari a tratti chiuse con la propriet`a che
1. le curve non hanno punti in comune;
2. le curve 1 , 2 , . . . , k sono contenute nellinterno ;
3. la curva i si trova allesterno della curva j se j 6= i;
allora il teorema di Green continua a valere per la regione che si trova allinterno di ed
allesterno delle curve i la cui frontiera `e costituita dalla curva e dalle curve i .
Esempio 3.5.1. Consideriamo il campo vettoriale
F(x, y) = F1 (x, y)i + F2 (x, y)j =

x2

y
x
i+ 2
j,
2
+y
x + y2

che abbiamo mostrato essere irrotazionale ma non conservativo. Consideriamo una curva regolare a tratti chiusa C che racchiude lorigine senza passarci. Per la compattezza della curva esiste
un numero > 0 tale che la curva C racchiude anche la circonferenza C centrata nellorigine e di

102

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

raggio . Supponiamo che lorientazione su entrambe le curve sia quella antioraria e denotiamo
con D la regione contenuta fra le due curve. Applicando il teorema di Green otteniamo

w
x  F
F1
2
b
F Tds =
dxdy = 0

x
y
D

+D

in quanto

F2
x

F1
y

0.

Daltra parte +D = C

C e pertanto
w
w
w
b = F Tds
b F Tds
b
0=
F Tds
C

+D

da cui deduciamo

w
C

b =
F Tds

b
F Tds.

Questultimo integrale pu`o essere calcolato esplicitamente:



I
Z 2 

sin

cos

b =
F Tds
( sin ) + 2
( cos ) d
2 (cos2 + sin2 )
(cos2 + sin2 )
C
0

Z 2  2 2
sin 2 cos2
=
+
d
2
2
0
Z 2
=
d = 2.
0

Lesempio precedente pu`o essere generalizzato nel modo seguente: dato un campo irrotazionale
di classe C 1 definito su tutto R2 privato di un punto P , lintegrale di linea lungo una qualunque
curva chiusa regolare a tratti che circonda P non dipende dalla particolare curva scelta. In
particolare per stabilire se il campo sia conservativo `e sufficiente verificare che sia nulla la
circuitazione lungo una particolare curva chiusa regolare a tratti che gira intorno al punto P .
y
x
Esempio 3.5.2. Sia F(x, y) = x2 +y
e definito su tutto R2 tranne che
2 i + x2 +y 2 j. Tale campo `
nellorigine ed `e irrotazionale. Lintegrale di linea lungo una circonferenza centrata nellorigine
di raggio 1 `e dato da
Z
2

[ cos sin + sin cos ]d = 0.


0

Pertanto il campo `e conservativo. Si verifica facilmente che un potenziale `e dato da (x, y) =


1
2
2
2 log(x + y ).
Vediamo ora come `e possibile ricavare dal teorema di Green una condizione sufficiente per la
conservativit`a di un campo vettoriale. Premettiamo la seguente:
Definizione 3.5.3. Diremo che un dominio D `e semplicemente connesso se, presa una qualunque
curva regolare a tratti chiusa il cui sostegno `e interamente contenuto in D, essa costituisce la
frontiera di un dominio interamente contenuto in D.
Lintero spazio R2 , un disco o, pi`
u in generale, insiemi stellati costituiscono esempi di insiemi
semplicemente connessi, mentre una corona circolare o il piano privato di un punto non lo sono.

3.5. CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI GREEN

103

Teorema 3.5.4. Sia D un insieme aperto semplicemente connesso ed F : D R2 un campo


vettoriale di classe C 1 irrotazionale. Allora F `e conservativo.
Dimostrazione. In virt`
u del Teorema 2.7.8 `e sufficiente mostrare che la circuitazione lungo una
generica curva chiusa regolare a tratti contenuta in D sia nulla. Per la semplice connessione
del dominio D, la curva `e la frontiera di un dominio D0 contenuto in D. Applicando il teorema
di Green si ha

Z
x  F
F1
2
b
F Tds =
dxdy = 0.

x
y

0
D

Presentiamo ora una diversa formulazione del teorema di Green nota come teorema della
b = T1 i + T2 j `e il versore tangente ad una curva
divergenza bidimensionale. Ricordiamo che se T
b u = T2 i T1 j (notare che se se il dominio
regolare, allora il versore normale uscente `e il vettore N
D `e convesso allora esso coincide col lopposto del versore normale alla curva introdotto nel
primo capitolo). Sia F = F1 i + F2 j un campo vettoriale di classe C 1 definito su un dominio
fortemente regolare D. Allora si ha:
Teorema 3.5.5 (II Formula di Green o Teorema della divergenza bidimensionale).

I
x  F
F2
1
b u ds =
FN
+
dxdy.
x
y
+D
D

Dimostrazione. Consideriamo il campo vettoriale G = G1 i + G2 j = F2 i + F1 j ed osserviamo


che
b = G1 T1 + G2 T2 = F2 T1 + F1 T2 = F N
b u.
GT
Pertanto, applicando il teorema di Green al campo vettoriale G, otteniamo
I
I
b
b
F Nu ds =
G Tds
+D
+D

x  G
G1
2
=

dxdy.
x
y
D

x  F
F2
1
=
+
dxdy.
x
y
D

La quantit`a

F1
x

2
+ F
e detta la divergenza del campo vettoriale F ed `e denotata divF o F.
y `

Uninteressante applicazione del Teorema di Green `e la possibilit`a di ottenere una facile dimostrazione del teorema di cambiamento di variabili negli integrali doppi sotto ipotesi leggermente piu stringenti. Con le notazioni del Definizione 3.2.2 supponiamo che il dominio D sia
fortemente regolare e che le componenti delle trasformazione siano di classe C 2 . Per semplicit`a supponiamo anche che la frontiera +D del dominio D sia parametrizzata da una curva
regolare : [a, b] R2 e che pertanto che la corrispondente frontiera di (D) sia parametrizzata da = . Supporremmo inoltre che la curva sia concordemente orientata con

104

CAPITOLO 3. INTEGRALI DOPPI

+[(D)] (questo `e equivalente a dire che J(u, v) > 0). Utilizzando le formule di Green con
F(x, y) = 21 (yi + xj) abbiamo che
Z
x
b
F Tds
dxdy =

(D)

1 b
y(u(t), v(t))[xu (u(t), v(t))u0 (t) + xv (u(t), v(t))v 0 (t)]+
2 a

+x(u(t), v(t))[yu (u(t), v(t))u0 (t) + yv (u(t), v(t))v 0 (t)] dt
Z
1 b
[y(u(t), v(t))xu (u(t), v(t)) + x(u(t), v(t))yu (u(t), v(t)]u0 (t)+
=
2 a

[y(u(t), v(t))xv (u(t), v(t)) + x(u(t), v(t))yv (u(t), v(t))]v 0 (t) dt
Z
b
= G Tds
Z

(3.22)

dove
1
G(u, v) = [(y(u, v)xu (u, v) + x(u, v)yu (u, v))i + (y(u, v)xv (u, v) + x(u, v)yv (u, v))j].
2
Poich`e (ignorando largomento delle funzioni)
G2 G1
1

= (yu xv yxvu + xu yv + xyvu + yv xu + yxu,v xv yu xyuv )


u
v
2
= xu yv yu xv ,
applicando nuovamente il Teorema di Green allultimo termine di (3.22) otteniamo
x
x
dxdy =
[(xu (u, v)yv (u, v) yu (u, v)xv (u, v)]dudv.
(D)

dimostrando cosi la formula per il cambiamento di variabili nel caso della funzione f 1. Il
caso generale, con f di classe C 1 , pu`o essere trattato considerando il campo vettoriale
F = g1 (x, y)i + g2 (x, y)j
con

1
g1 (x, y) =
2

Z
f (x, y)dy

I (semplici) dettagli sono lasciati al lettore.

1
e g2 (x, y) =
2

Z
f (x, y)dx.
2

Capitolo 4

Calcolo differenziale vettoriale in R3


In questo capitolo estenderemo i principali risultati del calcolo integrale e vettoriale in dimensione 3. La ragione di questa attenzione al caso 3-dimensionale `e duplice: da una parte `e la
modelizzazione dello spazio fisico in cui viviamo, daltra parte in tale contesto si pu`o approfittare
di una particolare costruzione, il prodotto vettoriale, che non ha equivalenti per una generica
dimensione n. Da un punto di vista teorico, la particolarit`a di R3 `e la possibilit`a di identificare
una 2-forma differenziale ad un campo vettoriale grazie alloperatore di Hodge: questa, oltre
alla definizione di prodotto vettoriale, permette di trattare concetti quali quello di flusso di un
campo vettoriale senza introdurre nella sua generalit`a la difficile teoria dellintegrazione delle
k-forme sulle k-variet`a. Per rendere la nostra trattazione pi`
u elementare possibile non presenteremo la definizione ne di k-forma, ne delloperatore di Hodge, ma daremo la definizione di
prodotto vettoriale di due vettori in funzione delle loro coordinate.

4.1

Prodotto vettoriale

In questo capitolo indicheremo con i = (1, 0, 0), j = (0, 1, 0) e k = (0, 0, 1) i tre vettori della base
canonica di R3 . Siano u = u1 i + u2 j + u3 k e v = v1 i + v2 j + v3 k due vettori di R3 . Il prodotto
vettoriale di u e v `e il vettore u v definito da:
u v = (u2 v3 u3 v2 )i + (u3 v1 u1 v3 )j + (u1 v2 u2 v1 )k.
Notiamo che u v pu`o essere visto come il determinante formale della matrice

i
j k
u1 u2 u3 .
v1 v2 v3
Dalla definizione seguono le seguenti relazioni quaternioniche per i vettori della base:
ii=jj=kk=0
ed
i j = k, j k = i, k i = j.
La seguente proposizione elenca le principali propriet`a algebriche del prodotto vettoriale; la sua
dimostrazione, che consiste in semplici ma tediose verifiche, viene lasciata al lettore per esercizio.
105

106

CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE VETTORIALE IN R3

Proposizione 4.1.1. Siano u, v e w tre vettori in R3 e uno scalare reale. Allora


1. u v = v u (antisimmetria);
2. (u) v = (u v) (linearit`
a);
3. (u + v) w = (u w) + (v w) (distributivit`
a);
4. se M `e una matrice 3 3 invertibile, allora uM vM = det(M )(u v)(M 1 )t ;
5. (u v) w + (w u) v + (v w) u = 0 (identit`
a ciclica di Jacobi);
6. u (v w) = v(u w) w(u v) (formula di Lagrange);
7. Se F1 (t) e F2 (t) sono due campi vettoriali derivabili, allora vale la seguente formula di
Leibniz per la derivata del loro proodotto vettoriale:
d
[F1 (t) F2 (t)] = F01 (t) F2 (t) + F1 (t) F02 (t).
dt
Notare che il prodotto vettoriale non soddisfa la propriet`a associativa (la quale, tenendo conto
dellantisimmetria, sarebbe in contrasto con lidentit`a di Jacobi). Ad esempio
(i j) j = k j = i
mentre
i (j j) = i 0 = 0.
Vediamo ora la formula del prodotto misto, cos` detta in quanto vi compaiono sia il prodotto
vettoriale che il prodotto scalare:

w1 w2 w3
u v w = det u1 u2 u3 ,
v1 v2 v3
dove w = w1 i + w2 j + w3 k.
Non `e necessario mettere delle parentesi, poiche la formula ha significato solamente compiendo
prima il prodotto vettoriale (che ha come risultato un vettore) e poi effettuando il prodotto
scalare (che produce come risultato un numero reale). Da questa formula discende immediatamente che u v `e ortogonale sia a u che a v, in quanto il determinante di una matrice avente
due righe uguali `e sempre uguale a zero.
Proposizione 4.1.2. Siano u = u1 i + u2 j + u3 k, v = v1 i + v2 j + v3 k e w = w1 i + w2 j + w3 k
tre vettori di R3 . Indichiamo con A(u, v) larea del parallelogramma generato da u e v, ovvero
larea della regione
{(x, y, z) R3 : x = u1 + v1 , y = u2 + v2 , z = u3 + v3 , , [0, 1]}
e con V (u, v, w) il volume del solido generato da u, v e w, ovvero il volume dellinsieme
{(x, y, z) R3 : x = u1 + v1 + w1 , y = u2 + v2 + w2 , z = u3 + v3 + w3 , , , [0, 1]}.
Allora

4.1. PRODOTTO VETTORIALE

107

1. A(u, v) = ku vk;
2. V (u, v, w) = |u v w|.
Dimostrazione. (1) Se i due vettori sono contenuti nel piano z = 0, i.e. u = u1 i + u2 j e v = v1 i +
v2 j, allora possiamo applicare la Proposizione 3.2.1 e concludere che larea del parallelogramma
`e uguale a |u1 v2 u2 v1 |. Daltra parte il prodotto vettoriale u v `e dato da (u1 v2 u2 v1 )k la
cui norma `e proprio uguale a |u1 v2 u2 v1 |.
Per il caso generale possiamo considerare una trasformazione ortogonale O che mappi i vettori
u e v nel piano z = 0. In questo modo
A(u, v) = A(uO, vO) (poiche O `e ortogonale)
= kuO vOk (poiche i vettori Ou e Ov sono piani)
= | det(O)|k(u v)Ot k (Per la (4) della Proposizione 4.1.1 e (O1 )t = O)
= ku vk (poiche O `e ortogonale).
(2) Supponiamo che i tre vettori u, v e w siano linearmente indipendenti. Scegliamo come base
del solido il parallelogramma generato da u e v, la cui area, per il punto (1), `e uguale alla norma
di u v. Laltezza h del solido `e data dalla norma della proiezione ortogonale del vettore w
sul versore perpendicolare al piano della base. Poiche, a meno del segno, tale versore `e dato da
uv
kuvk , abbiamo


uv
|u v w|

h=
w =
ku vk
ku vk
e pertanto
V (u, v, w) = A(u, v) h = ku vk

|u v w|
= |u v w|.
ku vk

Nel caso i tre vettori non siano indipendenti, il solido generato diventa degenere ed ha pertanto
volume nullo. Daltra parte in tal caso anche il prodotto misto dei tre vettori `e nullo in quanto
uguale al determinante di una matrice con righe non linearmente indipendenti.
Osservazione 4.1.3. Abbiamo dimostrato che il prodotto vettoriale di due vettori u e v `e un
vettore:
1. ortogonale sia ad u che a v;
2. avente norma pari allarea del parallelogramma generato da u e v.
Le propriet`a (1) e (2) identificano un unico vettore a meno del segno. La scelta coerente con la
definizione che abbiamo dato in funzione delle coordinate, pu`o essere fatta utilizzando la regola
della mano destra: se il dito indice e il dito medio sono associati rispettivamente al vettore u e
al vettore v allora la direzione ed il verso del vettore u v sono indicati dal pollice. In altre
parole i vettori u, v, u v costituiscono una terna destrorsa.

108

4.2

CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE VETTORIALE IN R3

Operatori differenziali in R3

Ricordiamo che se f `e una funzione di classe C 1 allora il gradiente di f `e il campo vettoriale


f definito da
f (x, y, z) = fx (x, y, z)i + fy (x, y, z)j + fz (x, y, z)k.
Consideriamo ora un campo vettoriale F = F1 i + F2 j + F3 k di classe C 1 . Il rotore di F `e il
campo vettoriale rotF definito da






F3 F2
F1 F3
F2 F1
rotF =
i+
j+
k.

y
z
z
x
x
y
Equivalentemente, rotF pu`o essere definito come il determinante formale della matrice

F1 F2 F3
e, per tale ragione, `e anche indicato con F.
La divergenza di F `e invece la funzione divF definita da
divF =

F1 F2 F3
+
+
x
y
z

e pu`o essere vista come il prodotto scalare formale F.


Quindi loperatore gradiente trasforma una funzione in un campo vettoriale, loperatore rotore
un campo vettoriale in un altro campo vettoriale e loperatore divergenza un campo vettoriale
in una funzione scalare.
La seguente proposizione pu`o essere pensata come una generalizzazione vettoriale del Teorema
di Leibniz sulla derivata del prodotto di due funzioni scalari, tenendo presente che nel calcolo differenziale vettoriale si pu`o considerare sia il prodotto vettoriale e scalare di due campi
vettoriali, sia il prodotto di una funzione scalare per un campo vettoriale.
Proposizione 4.2.1. Siano F e G due campi vettoriali di classe C 1 ed f e g due funzioni
scalari di classe C 1 . Allora si ha
1. (f g) = gf + f g;
2. (F G) = GJF + FJG ;
3. div(f F) = f F + f divF;
4. div(F G) = rotF G F rotG;
5. rot(f F) = f F + f rotF;
6. rot(F G) = (divG)F (divF)G + GJF FJG .

4.2. OPERATORI DIFFERENZIALI IN R3

109

Nelle precedenti identit`


a abbiamo indicato JF e JG le matrici jacobiane di F e G e quindi
GJF = (G1 F1x + G2 F1y + G3 F1z )i + (G1 F2x + G2 F2y + G3 F2z )j + (G1 F3x + G2 F3y + G3 F3z )k
e similmente per FJG .
Dimostrazione. La dimostrazione consiste in delle banali verifiche. A titolo di esempio mostriamo la (3).

(f F1 ) +
(f F2 ) +
(f F3 )
x
y
z
= fx F1 + f F1x + fy F2 + f F2y + fz F3 + f F3z

div(f F) =

= (fx F1 + fy F2 + fz F3 ) + (f F1x + f F2y + f F3z )


= f F + f divF.

Loperatore di Laplace vettoriale `e definito da


F = F1 i + F2 j + F3 k,
dove `e lordinario operatore di Laplace (tridimensionale), ovvero =

2
x2

2
y 2

2
.
z 2

La seguente proposizione mostra come si compongono tali operatori.


Proposizione 4.2.2. Siano f ed F rispettivamente una funzione ed un campo vettoriale di
classe C 2 . Allora si ha
1. rot(f ) 0;
2. div(rotF) 0;
3. rot(rotF) = (divF) F.
Dimostrazione. Daremo i dettagli solamente per la prima identit`a, lasciando le altre al lettore.
rot(f ) = rot(fx i + fy j + fz k)






fy
fy
fz
fx fz
fx
=

i+

j+

k
y
z
z
x
x
y
= 0,
in quanto, ad esempio, per il Teorema di Schwarz
fy
fz
= fzy = fyz =
.
y
z
2

110

CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE VETTORIALE IN R3

Esempio 4.2.3. Gli operatori rot e div sono stati introdotti inizialmente per descrivere i
fenomeni elettromagnetici attraverso un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali,
noto come equazioni di Maxwell. Pi`
u precisamente, indicati con E(x, y, z, t) e B(x, y, z, t) rispettivamente il campo elettrico e il campo magnetico nel punto (x, y, z) al tempo t, le equazioni di
Maxwell nel vuoto sono:

divE = 0

divB = 0
(4.1)

rotE = B

rotB = 0 J + 0 0 E
t
dove gli operatori div e rot agiscono sulle variabili spaziali (x, y, z), mentre la funzione scalare
indica la densit`
a di carica e il campo vettoriale J la densit`
a di corrente. Supponendo che non
ci siano ne cariche ne correnti (i.e. = 0 e J = 0) il sistema (4.1) diventa

divE = 0 ()

divB = 0 ()
(4.2)
B

rotE = t ( )

rotB = 0 0 E
t . ( )
Applicando loperatore rot ad entrambi i membri di (***) otteniamo


B
rot (rotE) = rot
t
che, per la (3) della Proposizione 4.2.2 e scambiando lordine di applicazione degli operatori nel
secondo membro, diventa
(rotB)
(divE) E =
.
t
Tenendo presente la (*) e la (****), dalla precedente equazione ricaviamo
E = 0 0

2E
t2

che `e detta equazione vettoriale delle onde in dimensione 3 (nel precedente capitolo abbiamo
studiato il caso scalare in dimensione 1). In maniera analoga si ottiene
B = 0 0

2B
.
t2

Come nel caso bidimensionale, un campo vettoriale `e detto conservativo se si pu`o rappresentare
come il gradiente di una funzione di classe C 1 (il potenziale scalare del campo), mentre `e detto
irrotazionale se il suo rotore `e identicamente nullo. Mostriamo che la condizione di irrotazionalit`
a
per campi vettoriali piani `e equivalente alla definizione appena data per campi vettoriali spaziali.
Dato un campo vettoriale piano F : D R2 R2 definito da F(x, y) = (F1 (x, y), F2 (x, y))
possiamo estenderlo ad un campo vettoriale spaziale definito su D R ponendo:
Fspaz (x, y, z) = F1 (x, y)i + F2 (x, y)j + 0k.
Il calcolo diretto d`a


rot(Fspaz ) =

F2 F1

x
y


k

4.2. OPERATORI DIFFERENZIALI IN R3

111

e pertanto tale campo ha rotore nullo se e solamente il campo piano `e irrotazionale secondo la
definizione data nel Capitolo 2.
Il seguente teorema `e una generalizzazione al caso tridimensionale della Proposizione 2.4.5 e
del Teorema 2.9.2.
Teorema 4.2.4. Sia F : D R3 un campo vettoriale di classe C 1 sullaperto D.
1. Se F `e conservativo allora necessariamente F `e irrotazionale.
2. Se F `e irrotazionale e D `e stellato allora F `e conservativo.
Dimostrazione. Per ipotesi, esiste una funzione di classe C 1 tale che F = . Pertanto deve
essere di classe C 2 ed applicando la Proposizione 4.2.2 si ha
rotF = rot() = 0.
Il punto (2) si dimostra come nel caso bidimensionale. I dettagli sono lasciati al lettore.
Esempio 4.2.5. Consideriamo il campo vettoriale
2

F = (2xex yz 2 + 2xy sin z 2 )i + (ex z 2 + x2 sin z 2 + z)j + (2zyex + 2zyx2 cos z 2 + y)k
e verifichiamo la condizione di irrotazionalit`a:
2

F2
x

F1
y

= 2xex z 2 + 2x sin z 2 =

F1
z

= 4xex zy + 4xyz cos z 2 =

F2
z

= 2ex z + 2x2 z cos z 2 + 1 =

F3
x
F3
y .

Un potenziale dovr`a risolvere il sistema

= 2xex yz 2 + 2xy sin z 2


2
= ex z 2 + x2 sin z 2 + z

= 2zyex + 2zyx2 cos z 2 + y.


z

(4.3)

Integrando la prima equazione di (4.3) otteniamo


Z
2
2
(x, y, z) = (2xex yz 2 + 2xy sin z 2 )dx = ex yz 2 + x2 y sin z 2 + C(y, z).
Per determinare la funzione C(y, z) inseriamo lespressione del potenziale trovata nella seconda
equazione di (4.3) da cui si deduce che
2

ex z 2 + x2 sin z 2 + Cy (y, z) = ex z 2 + x2 sin z 2 + z Cy (y, z) = z,

112
ovvero

CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE VETTORIALE IN R3

2
e
e
C(y, z) = yz + C(z)
(x, y, z) = ex yz 2 + x2 y sin z 2 + yz + C(z).

Sostituendo questultima espressione del potenziale nella terza equazione otteniamo


2
e 0 (z) = 2zyex2 + 2zyx2 cos z 2 + y C
e 0 (z) = 0
2zex y + 2zx2 y cos z 2 + y + C

e
da cui deduciamo C(z)
= K costante e quindi il potenziale `e dato da
2

(x, y, z) = ex yz 2 + x2 y sin z 2 + yz + K.

4.3

Potenziale vettoriale

In questo paragrafo cercheremo delle condizioni necessarie e/o sufficienti affinche un campo
vettoriale possa essere scritto come il rotore di un altro campo vettoriale.
Definizione 4.3.1. Un campo vettoriale F : D R3 R3 `e detto solenoidale se divF 0.
Diremo che G : D R3 R3 di classe C 1 `e un potenziale vettoriale di F se F = rotG.
Teorema 4.3.2. Sia F : D R3 un campo vettoriale di classe C 1 sullaperto D.
1. Se F ammette un potenziale vettoriale di classe C 2 allora necessariamente F `e solenoidale.
2. Se F `e solenoidale e D `e stellato allora F ammette un potenziale vettoriale.
Dimostrazione. (1) Per ipotesi, esiste un campo vettoriale G di classe C 2 tale che F = rotG.
Applicando la Proposizione 4.2.2 si ha
div(rotG) = 0 divF = 0.
(2) Supponiamo per semplicit`a che il dominio sia stellato rispetto allorigine: ovvero per ogni
(x, y, z) D il segmento {(tx, ty, tz) : t [0, 1]} appartenga a D. Possiamo cos` definire
1

Z
G1 (x, y, z) =

[tyF3 (tx, ty, tz) + tzF2 (tx, ty, tz)] dt,


0

[txF3 (tx, ty, tz) tzF1 (tx, ty, tz)] dt,

G2 (x, y, z) =
0

e
Z

[tyF1 (tx, ty, tz) txF2 (tx, ty, tz)] dt.

G3 (x, y, z) =
0

Mostriamo che rotG = F ovvero

G3 G2

= F1

y
z

G1 G3

= F2

z
x

G2 G1

= F3 .
x
y

(4.4)

4.3. POTENZIALE VETTORIALE

113

Ci limitiamo a verificare lultima delle tre equazioni del sistema. Poniamo

u = tx, v = ty, w = tz e quindi, ad esempio, x


F3 (tx, ty, tz) = tF3u (tx, ty, tz). Utilizzando il
teorema di derivazione sotto il segno di integrale, abbiamo che
Z 1


G2 G1
(tF3 + xt2 F3u zt2 F1u ) (tF3 yt2 F3v + zt2 F2v ) dt

=
x
y
0
Z 1


=
2tF3 + xt2 F3u + yt2 F3v t2 z(F1u + F2v ) dt
0
Z 1


2tF3 + xt2 F3u + yt2 F3v + t2 zF3w dt (poiche F1u + F2v = F3w )
=
0
Z 1
d 2
=
(t F3 )dt
0 dt
= t2 F3 (tx, ty, tz)|10 = F3 (x, y, z).

Sebbene il precedente teorema fornisca una formula per determinare un potenziale vettoriale di un campo vettoriale solenoidale su un dominio stellato, il calcolo pu`o risultare laborioso. Il seguente esempio mostra come sia possibile arrivare ad una soluzione in maniera rapida
introducendo delle opportune semplificazioni.
Esempio 4.3.3. Consideriamo il campo F = yxi + 2xyzj (xz 2 + zy)k che `e chiaramente
definito su tutto R3 . Osserviamo che divF = y + 2xz 2zx y = 0, i.e. il campo `e solenoidale.
Essendo il dominio stellato, per il precedente teorema deve esistere un potenziale vettoriale
G = G1 i + G2 j + G3 k. La condizione F = rotG conduce al sistema

G3 G2

= yx

y
z

G1 G3

= 2xyz

z
x

G2 G1

= xz 2 zy.
x
y
Tale sistema `e costituito da tre equazioni mentre i gradi di libert`
a sono nove (tre per ciascuna
delle tre funzioni incognite G1 , G2 , G3 ).
Per tale ragione possiamo fare delle semplificazioni per rendere pi`
u agevole la soluzione di tale
sistema. Per prima cosa poniamo la componente G2 0, che pu`o essere pensato come la perdita
di tre dei sei gradi di libert`a disponibili. Il sistema precedente diventa quindi

G3

= yx

G1 G3
(4.5)

= 2xyz

z
x

G1

= xz 2 zy.
y
Integrando la prima equazione di (4.5) otteniamo
G3 =

y2
x + M (x, z)
2

114

CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE VETTORIALE IN R3

ed utilizzando altri due gradi di libert`a possiamo porre la funzione M (x, z) = 0.


Per determinare G1 consideriamo la seconda equazione di (4.5). Abbiamo
G1
G3
y2
=
+ 2xyz =
+ 2xyz
z
x
2
e quindi
y2
z + xyz 2 + C(x, y).
2
Non possiamo subito porre C(x, y) = 0 perche siamo rimasti con un solo grado di libert`
a ed
dobbiamo soddisfare ancora la terza equazione. Inserendo in tale equazione lespressione trovata
per G1 , otteniamo:
G1 =

e
xz 2 zy Cy (x, y) = xz 2 zy Cy (x, y) = 0 C(x, y) = C(x).
e
` facile verificare che G =
Utilizzando
lultimo grado di libert`a possiamo porre C(x)
0. E

 2
y2
y
2
i + 2 xk soddisfa la condizione rotG = F.
2 z + xyz
Non sempre la scelta di porre la componente G2 0 `e quella pi`
u indicata per semplificare i
calcoli come mostra il seguente esempio.
Esempio 4.3.4. Determiniamo un potenziale vettoriale del seguente campo vettoriale
F = sin(x2 y)i + (xz + ez )j 2 cos(x2 y)xyzk.
Osserviamo che il campo vettoriale `e della forma
F = f (x, y)i + g(x, z)j fx (x, y)zk
con
f (x, y) = sin(x2 y)

g(x, z) = xz + ez .

(4.6)

In questo caso conviene cercare un potenziale vettoriale della forma G = G1 i + G2 j (i.e. porre
G3 0). Si ottiene cos` il sistema

G2

= f (x, y)

G1
= g(x, z)

G2 G1

= fx (x, y)z

x
y
una cui soluzione `e data da:
Z
G1 = g(x, z)dz (con G1 indipendente da y)

G2 = f (x, y)z

che nel caso della (4.6) diventa


G1 =

xz 2
+ ez
2

G2 = sin(x2 y)z.

4.3. POTENZIALE VETTORIALE

115

Nel caso si fosse scelto di porre G2 = 0, avremmo ottenuto il sistema

G3

= f (x, y)

G1 G3

= g(x, z)

z
x

G1

= fx (x, y)z
y
una cui soluzione `e data da
Z
G3 = f (x, y)dy


e G1 =


Z
f (x, y)dy z + g(x, z)dz

che nel caso della (4.6) diventa


1
cos(x2 y)
+ 2
G3 =
2
x
x


2y sin(x2 y) 2 cos(x2 y)
2
xz 2
e G1 =
+

z
+
+ ez ,
x
x3
x3
2


dove la particolare scelta della primitiva (rispetto alla variabile y) di sin(x2 y) `e stata effettuata
per poterla estendere con continuit`a a tutto R3 .
Esempio 4.3.5. Consideriamo due campi vettoriali F1 e F2 di classe C 1 conservativi e siano
1 e 2 i rispettivi potenziali scalari. Mostriamo che il campo vettoriale F1 F2 `e solenoidale
ed ammette come potenziale vettoriale il campo 1 2 .
Infatti, per il punto (5) della Proposizione 4.2.1 abbiamo che
rot(1 2 ) = 1 2 + 1 rot(2 ) = F1 F2 + 0
dove nellultima uguaglianza abbiamo utilizzato lipotesi che Fi = i e la Proposizione 4.2.2.

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