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Università di Catania
2 Insiemi numerici 31
2.1 Numeri naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2 Divisibilità nei numeri naturali . . . . . . . . . . . 39
2.3 Cenni di calcolo combinatorico . . . . . . . . . . . . 43
2.4 Cardinalità di un insieme . . . . . . . . . . . . . . . 47
2.5 Insieme dei numeri interi relativi . . . . . . . . . . 52
2.6 Divisibilità negli interi relativi . . . . . . . . . . . . 56
2.7 Classi di resto modulo n . . . . . . . . . . . . . . . 62
2.8 Criteri di divisibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
2.9 Equazioni diofantee . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
2.10 Il Teorema cinese del resto . . . . . . . . . . . . . . 75
2.11 Una applicazione alla Crittografia . . . . . . . . . . 80
2.12 L’insieme dei numeri razionali . . . . . . . . . . . . 82
2.13 Cenni sul campo dei numeri reali . . . . . . . . . . 86
2.14 Il campo C dei numeri complessi . . . . . . . . . . . 87
3
4 INDICE
Queste note sono state realizzate per venire incontro alle esigenze
degli studenti dei corsi di studio in Matematica che trovano in ge-
nere grandi difficoltà ad accostarsi ai testi di Algebra usualmente in
commercio. Pertanto il taglio dato a questi appunti è volutamente
“amichevole” e meno rigido di quello che solitamente si usa per i
testi di Matematica in genere e per quelli di Algebra in particolare.
Ovviamente, essi vanno poi integrati con testi più completi e più
formali che tuttavia dovrebbero diventare di più facile comprensione
una volta assimilato il contenuto del presente volume.
Spero che la grande fatica fatta per rendere piacevoli ed or-
ganici questi appunti possa essere ricompensata dall’utilità che ne
potranno trarre coloro che si avvicinano allo studio dell’Algebra.
Alfio Ragusa
5
6 INDICE
Capitolo 1
1. A = {1, 2, 3, 4, 5};
2. A = {n ∈ N | 1 ≤ n ≤ 5}.
7
8 CAPITOLO 1. TEORIA DEGLI INSIEMI
{n ∈ N | n sia grande}.
A
Un insieme B tale che ogni suo elemento sta nell’insieme A si
dice sottoinsieme di A e si scrive BB⊆ A.
1a. A ∩ ∅ = ∅;
1b. A ∩ A = A;
1e. se B ⊆ A allora A ∩ B = B.
2. Unione: A ∪ B = {x | x ∈ A o x ∈ B}
(“o” qui va inteso in senso alternativo ovvero in questo in-
sieme sono compresi anche Agli elementi cheBappartengono ad
entrambi gli insiemi A e B).
2a. A ∪ ∅ = A;
2b. A ∪ A = A;
2e. se B ⊆ A allora A ∪ B = A;
3a. A4∅ = A;
3b. A4A = ∅;
A B
4. Differenza: A \ B = {x | x ∈ A, x ∈
/ B}.
4a. A \ ∅ = A;
1.2. RELAZIONI 11
4b. A \ A = ∅;
4e. A \ (B \ C) = (A \ B) ∪ (A ∩ C);
4f. (A \ B) \ C = A \ (B ∪ C)
1.2 Relazioni
Un altro dei concetti fondamentali che entra in gioco in tutte le
scienze ed in particolare in Matematica è il concetto di relazione
che come vedremo è facilmente definibile a partire dalle definizioni
che abbiamo già conosciuto sugli insiemi.
12 CAPITOLO 1. TEORIA DEGLI INSIEMI
∆A = {(a, a) | ∀ a ∈ A}.
Esempio 1.2.5
1) Nell’insieme P delle parole consideriamo la relazione S defi-
S
nita da x ∼ y quando ogni lettera della parola x figura anche
R
nella parola y. Ad esempio como ∼ campione, mentre è falso
R
che abito ∼ alito. Ora è ovvio che tale proprietà sia riflessiva
in quanto ogni parola ha le stesse lettere di se stessa.
2) Nell’insieme R dei numeri reali consideriamo la relazione R
R
definita da x ∼ y quando x + y = 10. Ad esempio 73 e 23 sono
√ √ 3
in relazione, mentre 10 e 90 non lo sono. Tale relazione
non è riflessiva e per fare questa affermazione sarà sufficiente
portare un esempio di un elemento che non sia in relazione
con se stesso. Chiaramente, ad esempio, 7 non è in relazione
con se stesso in quanto 7 + 7 6= 10. Attenzione, il fatto che
invece 5+5 = 10, cioè che 5 sia in relazione con se stesso nulla
ci dice sulla proprietà riflessiva della relazione in quanto per
la validità della proprietà riflessiva occorre che ogni elemento
dell’insieme sia in relazione con se stesso.
Esempio 1.2.7
Esempio 1.2.9
i) Ai 6= ∅ per ogni i ∈ I;
Esempio 1.2.24
Esempio 1.3.2
1) Consideriamo f : R → R+ definita da f (x) = x2 + 1 (R+
insieme dei reali positivi). Questa è una applicazione perché
se x è un numero reale allora x2 +1 è un numero reale positivo.
2) Se E = {esseri umani} e D = {donne}, F ⊆ D × E definita
da (x, y) ∈ F quando x è madre di y, ovvero f : D → E dove
x è madre di f (x). Questa non è una applicazione in quanto
ci sono x che non sono madri di alcun elemento di E e vi
sono x che sono madri di più elementi di E.
3) f : E → D, definita da f (x) = madre di x, è una applicazione
infatti ogni essere umano x ha una ed una sola madre!
2
4) Sia f : N → Q definita da f (x) = xx+1+1
. Questa è una ap-
2 +1
plicazione in quanto per ogni naturale x, xx+1 è un numero
razionale (unico).
5) Consideriamo la precedente legge cambiando solamente il do-
minio o il codominio. Cosı̀ consideriamo f : Z → Q definita
2 +1
da f (x) = xx+1 . Questa non è una applicazione in quanto per
x = −1 non si ha alcun corrispondente.
6) Analogamente, consideriamo f : N → Z definita da f (x) =
x2 +1
x+1
. Questa non è una applicazione in quanto, per esempio
x = 2 non ha un corrispondente (in quanto in f (2) = 53 ∈/ Z).
24 CAPITOLO 1. TEORIA DEGLI INSIEMI
2
7) Sia f : Q \ {−1} → R definita da f (x) = xx+1+1
. Questa è una
applicazione in quanto per ogni razionale x diverso da −1,
x2 +1
x+1
è un numero razionale, quindi reale (unico).
2
8) Sia f : R+ → R definita da f (x) = xx+1 +1
. Questa è una
2 +1
applicazione in quanto per ogni numero reale positivo x, xx+1
è un numero reale (unico).
Nota che le applicazioni dell’Esempio 1.3.2 4), 7), 8), pur essendo
espresse dalla stessa legge, sono diverse tra loro perché differiscono
o per il dominio o per il codominio.
Vediamo adesso alcune proprietà di cui possono godere le fun-
zioni.
Intanto, Imf denoterà l’insieme delle immagini di A tramite f
ed è chiaramente un sottoinsieme del codominio B.
Esempio 1.3.6
1) L’applicazione f : R → R+ 2 +
0 definita da f (x) = x (R0 insieme
dei reali non negativi) è suriettiva ma non iniettiva.
√ Infatti,
+
per ogni α ∈ R0 esiste un numero reale, β = α, tale f (β) =
β 2 = α. D’altra parte, anche f (−β) = α, quindi f non è
iniettiva.
d) f −1 (U ∪ V ) = f −1 (U ) ∪ f −1 (V );
e) f −1 (U ∩ V ) = f −1 (U ) ∩ f −1 (V ).
Verifichiamo a). Se x ∈ f (C ∪ D) segue x = f (a) per qualche
a ∈ C ∪ D; quindi a ∈ C o a ∈ D. Se a ∈ C allora x = f (a) ∈ f (C)
e quindi x ∈ f (C)∪f (D); se a ∈ D allora x = f (a) ∈ f (D) e quindi
x ∈ f (C) ∪ f (D). Viceversa, se x ∈ f (C) ∪ f (D), allora x ∈ f (C)
oppure x ∈ f (D). Se x ∈ f (C) allora x = f (c) per qualche c ∈ C e
quindi c ∈ C ∪ D ovvero x ∈ f (C ∪ D); se x ∈ f (D) allora x = f (d)
per qualche d ∈ D e quindi d ∈ C ∪ D ovvero x ∈ f (C ∪ D).
f g
Proposizione 1.3.9 Siano A → B → C applicazioni, allora
La 3. segue da 1. e 2.
Verifichiamo la 4. Sia f (x) = f (y) allora g(f (x)) = g(f (y)) ovvero
(g ◦f )(x) = (g ◦f )(y), quindi per la iniettività di (g ◦f ) segue x = y.
La 6. segue da 4. e 5.
Insiemi numerici
31
32 CAPITOLO 2. INSIEMI NUMERICI
a) 0 ∈ U (base dell’induzione);
b) se u ∈ U (ipotesi induttiva) allora s(u) ∈ U ;
allora U = N.
u2 + u u2 + u + 2u + 2
1 + 2 + · · · u + (u + 1) = + (u + 1) = =
2 2
(u + 1)2 + (u + 1)
= .
2
13 + 23 + · · · + n3 = (1 + 2 + · · · + n)2
cioè la somma dei primi n cubi è pari al quadrato della somma dei
primi n numeri.
Base dell’induzione: per n = 1 la proprietà è banale 13 = 12 .
Ipotesi induttiva: supponiamo che essa sia vera per u e provia-
mola per u + 1. Allora
20 + 21 + 22 · · · + 2n = 2n+1 − 1
[20 +21 +22 · · ·+2u ]+2u+1 = 2u+1 −1+2u+1 = 2·2u+1 −1 = 2u+2 −1.
36 CAPITOLO 2. INSIEMI NUMERICI
b = r1 q2 + r2 , con r2 < r1 , e se r2 6= 0,
r1 = r2 q3 + r3 , con r3 < r2 , e se r3 6= 0,
rn−1 = rn qn+1 ;
750 = 72 · 10 + 30,
72 = 30 · 2 + 12,
30 = 12 · 2 + 6,
12 = 6 · 2
n! n!
Dn,k+1 = Dn,k · (n − k) = · (n − k) =
(n − k)! (n − k − 1)!
21!
D21,4 = = 21 · 20 · 19 · 18 = 143.640
17!
n! n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
Cn,k = = .
k!(n − k)! k!
2.3. CENNI DI CALCOLO COMBINATORICO 45
Dn,k = Cn,k · Pk ,
e quindi
n! n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)
Cn,k = Dn,k /Pk = = .
k!(n − k)! k!
Binomio di Newton.
Molti ricordano, per averli studiato nelle scuole superiori, il
quadrato e il cubo di un binomio: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 e
46 CAPITOLO 2. INSIEMI NUMERICI
Ed infatti,
u
u+1 u
X u u−i i
(a + b) = (a + b) (a + b) = a b (a + b) =
i=0
i
u u
X u u+1−i i X u u−i i+1
a b + a b =
i=0
i i=0
i
u u+1
X u u+1−i i X u
= a b + au−j+1 bj
i=0
i j=1
j − 1
avendo posto nella seconda sommatoria j = i − 1. Per cui
u u
u+1 u+1
X u u+1−i i X u
(a + b) =a + a b + au−j+1 bj + bu+1
i=1
i j=1
j − 1
e quindi
u
u+1 u+1
X u u
(a + b) =a + + au+1−i bi + bu+1
i=1
i i−1
ma
u u u! u!
+ = + =
i i−1 i!(u − i)! (i − 1)!(u − i + 1)!
2.4. CARDINALITÀ DI UN INSIEME 47
u! 1 1 u+1
+ =
(i − 1)!(u − i)! i u−i+1 i
per cui
u u+1
u+1 u+1
X u + 1 u+1−i i u+1 X u + 1 u+1−i i
(a+b) =a + a b +b = a b.
i=1
i i=0
i
Cosı̀, ad esempio
B = {x ∈ A | x ∈
/ ϕ(x)}
se f (a) = 0 allora a ∈
/ Af e quindi ϕAf (a) = 0.
se a > b cioè ∃ n ∈ N | a = b + n, scriveremo + n
[a, b] = se a < b cioè ∃ n ∈ N | b = a + n, scriveremo − n
se a = b scriveremo 0
[a, b] + [c, d] = [a + c, b + d]
1. l’operazione + è associativa;
2. l’operazione + è commutativa;
5. l’operazione · è associativa;
2.5. INSIEME DEI NUMERI INTERI RELATIVI 55
6. l’operazione · è commutativa;
7. +1 è elemento neutro per l’operazione ·, cioè x · 1 = x; infatti
[a, b] · [1, 0] = [a, b];
8. l’operazione · è distributiva rispetto all’operazione + cioè x ·
(y + z) = x · y + x · z
e
ϕ(m · n) = [m · n, 0] = [m, 0] · [n, 0] = ϕ(m) · ϕ(n).
Alla luce di quanto detto il numero naturale n si può identificare
con il numero intero relativo +n ovvero con [n, 0].
Infine, su Z si può definire una relazione d’ordine che estenda
quella definita su N :
a ≤ b ⇔ ∃ x ∈ N | b = a + x.
se a ≤ b e c ≥ 0 ⇒ ac ≤ bc.
Alla luce di queste proprietà si dice che Z è un anello ordinato.
b = r1 q2 + r2 , con 0 ≤ r2 < r1 , e se r2 6= 0,
2.6. DIVISIBILITÀ NEGLI INTERI RELATIVI 59
r1 = r2 q3 + r3 , con 0 ≤ r3 < r2 , e se r3 6= 0,
rn−1 = rn qn+1 ;
30 = 18 · 1 + 12,
18 = 12 · 1 + 6
12 = 6 · 2
a = pm mt
1 · . . . · pt ,
1
b = pn1 1 · . . . · pnt t ,
750 = 2 · 3 · 53 ,
72 = 23 · 32 · 50 ;
x≡y ⇔ x − y = λn
[1] · [1] = [1], [2] · [4] = [1], [3] · [5] = [1], [6] · [6] = [1].
Eulero per primo studiò questa funzione che ad ogni intero n > 1
associa il numero di numeri naturali minori di n e primi con esso.
Per cui chiameremo funzione di Eulero e la indicheremo con ϕ(n),
la funzione data da
Esempio 2.7.5
1 −1 t −1
ϕ(n) = pm
1 · . . . · pm
t (p1 − 1) · . . . · (pt − 1).
2 · 3 · . . . · (p − 2) = 1
1 · 2 · 3 · . . . (p − 2) · (p − 1) = p − 1 = −1.
ax + by = c con a, b, c ∈ Z
m = 8 + 18h
n = 40 − 35h
È chiaro che per avere soluzioni un siffatto sistema occorre che ognu-
na delle equazioni deve ammettere soluzioni e quindi il M CD(ai , ni )
deve dividere bi per ogni i = 1, 2, . . . , t. Sicché, dividendo ogni equa-
zione per il relativo di , possiamo supporre che nel sistema (TCR)
accada che M CD(ai , ni ) = 1 per ogni i. Allora essendo ogni [ai ]
invertibile in Zni possiamo moltiplicare ciascuna equazione per il
relativo inverso di [ai ], in definitiva il precedente sistema si può
trasformare nel sistema
[x] = [c1 ] in Zn1
[x] = [c2 ] in Zn2
(T CR1)
··· ··· ··· ···
[x] = [ct ] in Znt
dopo aver osservato che [Rj ] = [0] in Zni per ogni j 6= i e che [xi ]
è una soluzione dell’equazione [Ri ][x] = [ci ] in Zni . Per concludere,
se s e v sono due qualsiasi soluzioni del sistema (TCR1) allora
[v] − [s] = [0] in ogni Zni , cioè v − s è multiplo di ni per ogni i ed
essendo questi ultimi a due a due coprimi si ha che v − s è multiplo
di R = n1 n2 · . . . · nt , in definitiva v = s + λR.
Notiamo che la condizione M CD(ni , nj ) = 1, per i 6= j, del
Teorema Cinese del Resto è solo sufficiente, per cui, come vedremo,
potremo avere sistemi del tipi (TCR) in cui non vale la suddetta
condizione e tuttavia il sistema ammette soluzioni.
da cui si ottiene
x = 1 in Z7
x = 5 in Z9
x = 7 in Z10
1. (commutatività dell’addizione)
a c c a
+ = + ;
b d d b
84 CAPITOLO 2. INSIEMI NUMERICI
2. (associatività dell’addizione)
a c e a c e
( + ) + = + ( + );
b d f b d f
3.
a 0 a
+ =
b d b
0
( d è elemento neutro per l’addizione);
4.
a −a 0
+ =
b b b
a −a
(ogni elemento b
ha l’opposto b );
3’.
a 1 a
· =
b 1 b
1
( 1 è elemento neutro o unità per il prodotto);
a
4’. se b
con a 6= 0 allora
a b 1
· =
b a 1
a 0
(ogni elemento b
6= b
ha l’inverso ab );
a c a x c
se b
≤ d
⇒ b
+ y
≤ d
+ xy ,
a c x a x c
se b
≤ d
e y
≥0⇒ b
· y
≤ d
· xy ,
in questo senso diremo che Q è un campo ordinato.
∗ A non ha massimo.
D’altra parte,
1. x2 ≥ 0;
−1 = i2 > 0;
2.14. IL CAMPO C DEI NUMERI COMPLESSI 89
1 = 12 > 0.
z = z;
z + y = z + y;
z · y = z · y;
kzz 0 k = kzkkz 0 k.
Esempio 2.14.3
√ √ √ √
1. Calcolare (− 2+i 2)8 : osservato che (− 2+i 2) = 2(cos 3π
4
+
3π
i sin 4 ), si ha
√ √ 3π 3π
(− 2+i 2)8 = [2(cos +i sin )]8 = 256(cos 6π+i sin 6π) = 256.
4 4
√ √
2. Calcolare (1 − i 3)6 : osservato che (1 − i 3) = [2(cos −π
3
+
−π
i sin 3 )], si ha
√ −π −π 6
(1−i 3)6 = [2(cos +i sin )] = 64(cos(−2π)+i sin(−2π)) = 64
3 3
√ √
3. Determinare l’inverso di 2( 3 + i) : osservato che 2( 3 + i) =
[4(cos π6 + i sin π6 )], si ha
√ π π
[2( 3 + i)]−1 = [4(cos + i sin )]−1 =
6 6
√
1 −π −π 1 3 1 1 √
(cos + i sin )= ( − i ) = ( 3 − i).
4 6 6 4 2 2 8
La precedente formulazione dei numeri complessi permette di dare
una risposta alla seguente questione, che si può vedere come un
caso particolare del più generale TFA.
Se α è un numero complesso non nullo ed n un intero, quanti
sono i numeri complessi x che elevati ad n danno α? Ricordiamo a
tal proposito che la stessa questione posta sull’insieme dei numeri
reali aveva una risposta articolata funzione sia di α che della parità
del numero n. Infatti, in questo caso la risposta è
• se α >
√ 0 ed n è pari allora di siffatti numeri (reali) ve ne sono
2 : ± α;
n
• se α > 0 ed
√ n è dispari allora di siffatti numeri (reali) ve n’è
solo uno: α;
n
92 CAPITOLO 2. INSIEMI NUMERICI
• se α < 0 ed √
n è dispari allora di siffatti numeri (reali) ve n’è
solo uno: − n −α.
cioè
z n (cos ny + i sin ny) = ρ(cos ϑ + i sin ϑ)
√
da cui segue z = n ρ (ricordato che sia z che ρ sono positivi), e
ny − ϑ = 2λπ, ovvero y = ϑ+2λπ n
, con λ ∈ Z.
A prima vista sembrerebbe di aver trovato infiniti numeri com-
plessi che soddisfino quella equazione, in effetti faremo vedere che
di essi solo n sono distinti e tutti gli altri coincidono con essi. Più
√
precisamente, posto xλ = n ρ(cos ϑ+2λπ n
+ i sin ϑ+2λπ
n
), facciamo ve-
dere che, ad esempio, x0 , x1 , . . . , xn−1 sono tutti distinti ed ogni xh
deve coincidere con uno di essi. Infatti, se 0 ≤ u < v ≤ n − 1 allora
xu 6= xv : se per assurdo fosse xu = xv , allora ϑ+2uπ n
− ϑ+2vπ
n
= 2µπ
il che porterebbe a u − v = µn una contraddizione col fatto che u
e v sono distinti e minori di n. Prendiamo adesso un xh qualsiasi,
dall’algoritmo di divisione si ha che h = qn+r con 0 ≤ r < n; allora
xh = xr . Infatti, ϑ+2hπ
n
− ϑ+2rπ
n
= 2(h−r)π
n
= 2qnπ
n
= 2qπ. In definitiva,
abbiamo provato il TFA per le equazioni del tipo xn − a = 0.
2.14. IL CAMPO C DEI NUMERI COMPLESSI 93
x1 = cos π2 + i sin π2 = i;
√
3
x2 = cos 5π
6
+ i sin 5π
6
=− 2
+ i 12 ;
√
x3 = cos 7π
6
+ i sin 7π
6
= − 23 − i 12 ;
x4 = cos 3π
2
+ i sin 3π
2
= −i;
√
3
x5 = cos 11π
6
+ i sin 11π
6
= 2
− i 12 .
95
96 CAPITOLO 3. TEORIA DEI POLINOMI
(f g)(x) = f (x)g(x)
notiamo che f g P
è una funzione polinomiale,
P iinfatti, se f (x) =
i i
P
ai x e g(x) = bi x , allora (f g)(x) = ci x , dove
c 0 = a0 b 0 ;
c 1 = a0 b 1 + a1 b 0 ;
c 2 = a0 b 2 + a1 b 1 + a2 b 0 ;
......;
Pm
cm = a0 bm + a1 bm−1 + . . . + am b0 = i=0 ai bm−i ;
......
Vediamo le proprietà di cui gode tale operazione di moltiplica-
zione.
f (x) = a0 + a1 x + . . . + ad xd
(Nota che dire che si = 0 per i >> 0 significa che esiste un indice
d tale che si = 0 per ogni i ≥ d.).
Un elemento di PK verrà detto polinomio (in una indeterminata
su K). Vediamo di definire le operazioni in PK
- Addizione: se s, t ∈ PK , s = (sn )n e t = (tn )n , allora definiamo
s+t = (sn +tn )n , che è ancora una successione definitivamente nulla;
3.2. POLINOMI: DEFINIZIONE FORMALE 99
(a0 , a1 , a2 , . . . , ad , 0, 0, . . .) = a0 + a1 x + a2 x2 + . . . + ad xd
Intanto in K[x] diremo che f (x) divide g(x) (o che g(x) è mul-
tiplo di f (x)) se esiste h(x) tale che g(x) = f (x)h(x).
Due polinomi f (x) e g(x) che si dividono l’un l’altro si dicono
associati ed in tal caso f (x) = g(x) · u e g(x) = f (x) · v dove u, v
sono dei polinomi costanti.
Un polinomio p(x) si dice primo se dal fatto che divide f (x)g(x)
segue che divide f (x) o g(x).
Un polinomio q(x) si dice irriducibile se i suoi soli divisori sono
gli invertibili ed i suoi associati, ovvero se q(x) = a(x)b(x) allora
a(x) o b(x) è una costante.
Anche in K[x], come in Z, i due concetti di primo ed irriducibile
coincidono, cioè f (x) è primo se e solo se è irriducibile.
(b−1
n è l’inverso di bn 6= 0 ed esiste perché K è un campo) è fa-
cile vedere che il coefficiente del termine di grado m del secondo
termine in F (x) è −am , ciò comporta che F (x) ha coefficiente 0
in grado m ovvero il suo grado è minore di m. Possiamo applicare
ad F (x) l’ipotesi induttiva per cui esistono q 0 (x) ed r(x) tali che
F (x) = q 0 (x)g(x) + r(x) con r(x) = 0 oppure deg r(x) < deg g(x).
102 CAPITOLO 3. TEORIA DEI POLINOMI
104 CAPITOLO 3. TEORIA DEI POLINOMI
Inoltre
Irriducibilità in C[x].
Ricordiamo che i polinomi di 1o grado sono irriducibili su qual-
siasi campo. Ebbene per C questi sono gli unici polinomi irriduci-
bili.
Irriducibilità in R[x].
Se applichiamo la precedente osservazione ad un polinomio f (x) ∈
R[x] avremo
3.4. IRRIDUCIBILITÀ DEI POLINOMI 107
allora in C[x] :
f (x) = (x−a1 )m1 . . . (x−at )mt (x−α1 )n1 (x−α1 )n1 . . . (x−αr )nr (x−αr )nr
ed in R[x] :
Irriducibilità in Q[x].
La irriducibilità in Q[x] è piuttosto difficile da verificare a di-
spetto del fatto che invece saremo in grado di trovare le sue radici
razionali. In effetti, non avremo una caratterizzazione generale che
ci permetta di decidere se un polinomio in Q[x] è irriducibile o me-
no, ma troveremo delle condizioni sufficienti che ci consentiranno
di affermare se un certo polinomio è irriducibile.
Sia allora f (x) ∈ Q[x], i suoi coefficienti sono delle frazioni abii
per cui moltiplicando per un opportuno fattore (il minimo comune
multiplo dei denominatori dei coefficienti) il polinomio f (x) si può
scrivere f (x) = a · g(x) dove a ∈ Q e g(x) ∈ Z[x], per cui ci si
può ricondurre a studiare la irriducibilità in Q[x] di polinomi a
coefficienti in Z.
• Esempio. f (x) = 21 + 35 x − 56 x3 = 30 1
(15 + 18x − 25x3 )
Allora poniamoci dapprima la seguente domanda: se f (x) =
a0 + a1 x + a2 x2 + . . . + an xn è un polinomio a coefficienti interi quali
sono le sue radici razionali, cioè in Q?
Il prossimo risultato ci consente di rispondere in modo esaurien-
te alla suddetta domanda.
a0 nd + a1 mnd−1 + a2 m2 nd−2 + . . . + ad md = 0.
Esempio 3.4.17 Sia f (x) = 2x4 + 27x3 − 45x2 − 24x + 36, pren-
diamo i divisori di 36, {±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±9, ±12, ±18, ±36} ed
i divisori di 2, {±1, ±2}; allora le possibili radici di f (x) sono
1 3 9
{±1, ±2, ±3, ±4, ±6, ±9, ±12, ±18, ±36, ± , ± , ± }.
2 2 2
3
Facendo le varie verifiche si vede che 2
è una radice:
3 3 3 3 3 81 729 405
f ( ) = 2( )4 +27( )3 −45( )2 −24 +36 = + − −36+36 = 0.
2 2 2 2 2 8 8 4
3.4. IRRIDUCIBILITÀ DEI POLINOMI 111
2. p2 non divide a0 ,
allora f (x) è irriducibile in Z[x] (e in Q[x]).
ciò prova che f (x) non ha radici, ma questo ci assicura che f (x)
non ha fattori di 1o grado, ma potrebbe essere il prodotto di due
polinomi di 2o grado. Vediamo cioè se
x4 + x + 2 = (x2 + bx + c)(x2 + dx + e) =
b+d=0
c + bd + e = 0
eb + cd = 1
ce = 2
e si vede che invece tale sistema non ha soluzioni (in Z3 ) (per esem-
pio, ce = 2 implica c = 1, e = 2 oppure c = 2, e = 1 in ogni caso
c + e = 0, per cui dalla seconda equazione bd = 0 che con la pri-
ma ci dà b = d = 0 che fa vedere che la terza equazione risulta
impossibile).
Pertanto, f (x) = x4 + x + 2 è irriducibile in Z3 [x].
121
122 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
per cui e = e0 .
Analogamente si verifica che l’inverso di un elemento a è an-
ch’esso unico e spesso si indica a−1 : infatti, se a0 e a00 sono due
inversi di a si ha
1 2 3 4 5 6
1 1 2 3 4 5 6
2 2 4 6 1 3 5
3 3 6 2 5 1 4
4 4 1 5 2 6 3
5 5 3 1 6 4 2
6 6 5 4 3 2 1
4.2. SOTTOGRUPPI 125
4.2 Sottogruppi
I sottoinsiemi di un gruppo assumono una loro importanza se, in
un certo senso, conservano la “struttura”. Ciò giustifica la seguente
126 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
Questo fatto ci dice, tra l’altro, che il più piccolo sottogruppo con-
tenente un elemento a è l’insieme di tutte le sue potenze, basta
osservare che ai · aj = ai+j e che se un sottogruppo contiene a de-
ve contenere a−1 e quindi tutte le sue potenze con esponenti in Z.
(Nota che a−n = (a−1 )n = (an )−1 ).
Un gruppo ciclico con un numero finito di elementi si dice cicli-
co finito altrimenti si dirà ciclico infinito. Vedremo che i gruppi
ciclici assumeranno un ruolo fondamentale nello studio dei gruppi
abeliani.
G([3]) = {[0], [3]} G([4]) = G([2]) G([5]) = {[0], [5], [4], [3], [2], [1]}
x6 − 1 = 0 ⇒ (x3 + 1)(x3 − 1) = 0 ⇒
f g
Proposizione 4.4.6 Se G → G0 → G00 sono omomorfismi di grup-
g◦f
pi allora G → G00 è un omomorfismo di gruppi.
Dimostrazione. Infatti,
(g◦f )(xy) = g(f (xy)) = g(f (x)f (y)) = g(f (x))g(f (y)) = (g◦f )(x)(g◦f )(y).
a ≡ b ⇔ ab−1 ∈ H ∀ a, b ∈ G
Ha = {ha | ∀ h ∈ H}
aH = {ah | ∀ h ∈ H}.
140 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
Ora ab(a0 b0 )−1 = abb0−1 a0−1 = a(bb0−1 )a0−1 e noi sappiamo solo che
bb0−1 ∈ H. In conclusione l’operazione non è, in generale, ben de-
finita. Abbiamo bisogno di sottogruppi particolari perché le cose
funzionino (notare che per semplicità si sotto intende il “·”). Diamo
allora la seguente definizione.
Ha · Hb = Hab
Ovviamente il centro Z(G) di un gruppo G è normale: infatti,
dalla definizione segue che xZ(G) = Z(G)x per ogni x ∈ G.
ϕ : H → xHx−1
x(N1 ∩ N2 )x−1 = N1 ∩ N2 .
4.6. SOTTOGRUPPI NORMALI 145
HK = {hk | ∀ h ∈ H, k ∈ K};
h1 k1 k2−1 h−1 0 0 00 00 0
2 = h1 k1 h k = (h1 h )(k k ),
146 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
ω(Kx) = f (x).
i. se H ≤ G ⇒ f (H) ≤ G0 ;
iii. se N 0 / G0 ⇒ f −1 (N 0 ) / G;
iv. se N / G ⇒ f (N ) / im f.
f π0
Dimostrazione. Si consideri la composizione G → G0 → G0 /N 0
con π 0 suriezione naturale. Essa è un omomorfismo suriettivo, quin-
di per il Teorema dell’isomorfismo sarà G/ ker(π 0 ◦ f ) ∼
= G0 /N 0 ; ma
0 0 0
ker(π ◦ f ) = {x ∈ G | f (x) ∈ N } cioè ker(π ◦ f ) = N da cui segue
la prima conclusione. L’ultima asserzione segue dal fatto che dal
Teorema dell’isomorfismo si ha G0 ∼ = G/K e N 0 ∼= N/K.
1. f −1 f (H) = HK = KH;
2. H ∩ K / H; e K / HK;
3. H/(H ∩ K) ∼
= HK/K.
152 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
(s1 ·. . .·st )(x) = (st ◦. . .◦si+1 ◦si . . .◦s1 )(x) = (st ◦. . .◦si+1 )(s(x)) = s(x).
Alla luce del precedente corollario ha senso la seguente defini-
zione.
4.9. GRUPPI SIMMETRICI 157
ϕ(g) = tg ∈ S(G)
tg1 g2 (x) = (g1 g2 )x, tg1 (tg2 (x)) = tg1 (g2 x) = g1 (g2 x).
sia t4 la rotazione
di 180o attorno
all’altezza di T passante
P1 P 2 P3
per P3 : t4 =
P2 P 1 P3
sia t5 la rotazione di 120o attorno al centro di T :
P1 P2 P3
t5 =
P2 P3 P1
X = {(g1 , g2 , . . . , gp ) ∈ Gp | g1 g2 . . . gp = e}.
Intanto osserviamo che |X| = np−1 in quanto, mentre g1 , . . . , gp−1
possono essere scelti su tutto G, gp è determinato dai primi p − 1
elementi essendo gp = (g1 g2 . . . gp−1 )−1 ; cosı̀ |X| è divisibile per p.
Consideriamo adesso il gruppo Zp e la seguente azione di Zp su X
t ∗ (g1 , g2 , . . . , gp ) = (gt+1 , gt+2 , . . . , gt+p ) per ogni t ∈ Zp
(si tratta di una traslazione degli indici di t termini, modulo p). Si
verifica facilmente che valgono le due condizioni per affermare che
questa è una azione di gruppo, per cui dalla Proposizione 4.10.7
segue |O(x)| = |Zp |/|Stx |, in particolare la cardinalità di ogni orbita
deve essere un divisore di p, cioè ogni orbita deve essere costituita o
da 1 o da p elementi. Ma un elemento x = (g1 , g2 , . . . , gp ) per avere
un solo elemento nella sua orbita deve essere g1 = g2 = . . . = gp .
Ora, l’elemento = (e,P e, . . . , e) ∈ X ha un solo elemento nella
sua orbita, ma poiché |O(x)| = |X|, questo non potrà essere
l’unico elemento con orbita di cardinalità 1: infatti, se tutti
P gli altri
elementi avessero orbite di cardinalità p risulterebbe |O(x)| =
1 + λp contro il fatto che |X| è divisibile per p. In conclusione, in X
deve esserci qualche altro elemento con orbita di cardinalità 1, cioè
deve esserci un g 6= e in G tale che (g, g, . . . , g) ∈ X, cioè g p = e.
Ovviamente, il sottogruppo ciclico generato da un tale g, cioè G(g),
avrà ordine p.
Ad esempio in un gruppo di ordine 30, oltre ai sottogruppi
banali, devono esserci sottogruppi di ordine 2, 3, e 5.
166 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
4.12 p-gruppi
Un particolare ruolo giocano nella teoria dei gruppi quei gruppi che
hanno ordine una potenza di un numero primo. Per questo diamo
questa semplice definizione.
poiché
P O(G)/O(C(a)) = pn−m con n−m > 0, si deduce che p divide
a∈Z(G)
/ O(G)/O(C(a)), e poiché ovviamente divide O(G) si ha che
p divide O(Z(G)) e quindi Z(G) non può coincidere con {e}.
Z(G) ( C(a) ( G
dal fatto che pm divide O(G) mentre non divide O(C(a)) visto
che è un sottogruppo proprio (con a ∈ / Z(G)), ne segue che p
deveP dividere O(G)/O(C(a)) per ogni a ∈
/ Z(G) e quindi p divi-
de a∈Z(G)
/ P O(G)/O(C(a)) e conseguentemente anche O(Z(G)) =
O(G) − a∈Z(G)/ O(G)/O(C(a)). Allora per il Teorema di Cauchy
si può trovare un elemento a ∈ Z(G) di ordine p. Detto A = G(a) il
sottogruppo generato da a, esso avrà ordine p e sarà normale (dato
che è contenuto in Z(G)). Lavorando come in una precedente di-
mostrazione, consideriamo il gruppo quoziente G/A che avrà ordine
pm q/p = pm−1 q < n. Per l’ipotesi induttiva allora in G/A vi sarà un
sottogruppo H di ordine pm−1 (la massima potenza di p che divide
O(G/A)). Consideriamo quindi π : G → G/A e H = π −1 (H) e co-
me prima l’omomorfismo suriettivo πH : H → H da cui segue per
il teorema dell’isomorfismo H/A ∼ = H. Per cui O(H/A) = O(H),
cioè O(H) = ppm−1 = pm contro l’assunto che in G non ci fossero
sottogruppi propri di ordine divisibile per pm .
Un esempio curioso.
i) rp divide n;
G = N1 N2 ;
N1 ∩ N2 = {e},
ed analogamente per A2 ;
G = N1 N2 . . . Nt ;
Ni ∩ (N1 . . . N
bi . . . Nt ) = {e}, per ogni i.
dove N1 . . . N
bi . . . Nt significa che dal prodotto si sopprime Ni .
4.15. IL TEOREMA DI STRUTTURA DEI GRUPPI ABELIANI FINITI175
G∼
M M
= (Zpa1 11 ⊕ . . . ⊕ Zpa1 1r ) ... (Zpat t1 ⊕ . . . ⊕ Zpat ts )
4.15. IL TEOREMA DI STRUTTURA DEI GRUPPI ABELIANI FINITI177
Z8 × Z9 , Z8 × Z3 × Z3 , Z4 × Z2 × Z9 ,
Z4 × Z2 × Z3 × Z3 , Z2 × Z2 × Z2 × Z9 , Z2 × Z2 × Z2 × Z3 × Z3
{e} = G0 / G1 / G2 . . . / Gn−1 / Gn = G
tali che
1) Gi è sottogruppo normale di Gi+1 per ogni i;
178 CAPITOLO 4. TEORIA DEI GRUPPI
{e} / H3 / S3 .
{e} / H4 / D4 .
{e} / P1 / . . . / Pi / . . . / Pn = G
dove ogni Pi è un suo sottogruppo di ordine pi .
5) S4 è risolubile: posto infatti A4 il sottogruppo delle permutazioni
pari (che ha ordine 12) e V4 = {(1), (12)(34), (13)(24), (14)(23)}, si
ha la catena
{e} / V4 / A4 / S4
in cui l’unico fatto vero, ma non banale, è che V4 sia un sottogruppo
normale in A4 .
181
182 CAPITOLO 5. TEORIA DEGLI ANELLI
z = a · 0 = a · (0 + 0) = a · 0 + a · 0 = z + z
se ha determinante
nullo
è divisore dello zero: infatti, per esempio
a b
per n = 2, se è una matrice non nulla con determinante
c d
nullo si ha ad = bc (e per esempio a 6= 0) per cui
a b b b 0 0
= .
c d −a −a 0 0
Notiamo tuttavia che questo fenomeno non accade in ogni anello;
infatti, come vedremo in altri esempi, un elemento di un anello può
non essere né invertibile, né divisore dello zero.
Riprendendo gli esempi iniziali abbiamo
• (Mn (R), +, · ) è un anello unitario;
• (Zn , +, · ), è un anello commutativo unitario;
• (2Z, +, · ), è un dominio d’integrità;
• (Z, +, · ), (K[x], +, · ), sono domini d’integrità unitari;
• (Q, +, · ), (R, +, · ), (C, +, · ), (Zp , +, · ) (con p primo), sono
campi.
Negli esempi precedenti abbiamo visto che Zn è un anello (non
dominio se n non è primo) mentre Zp è un campo (se n è primo).
Cosı̀ non riusciamo a produrre un dominio finito che non sia un
campo. Ed in effetti questo è un fatto generale.
i2 = j 2 = k 2 = −1; ij = k; jk = i; ki = j
5.2 Sottoanelli
Definizione 5.2.1 Sia (A, +, · ) un anello ed S ⊆ A un suo sot-
toinsieme, diremo che S è un sottoanello di A se (S, +, · ) è
un anello (con le stesse operazioni definite su A). In tal caso
scriveremo S ≤ A.
2. per ogni x, y ∈ S ⇒ x · y ∈ S.
5.3. OMOMORFISMI DI ANELLI 187
x∼y ⇔ x − y ∈ S.
(a + S)(b + S) = ab + S
Ma per vedere se abbiamo definito delle operazioni su A/S dobbia-
mo controllare che esse non dipendano dalla scelta dei rappresen-
tanti dei laterali assegnati, cioè
se a + S = a0 + S, b + S = b0 + S ⇒ a + b + S = a0 + b0 + S
se a + S = a0 + S, b + S = b0 + S ⇒ ab + S = a0 b0 + S.
2. S ∩ K / S; e K / S + K;
3. S/(S ∩ K) ∼
= (S + K)/K.
(S) = {λ1 s1 + λ2 s2 + . . . + λn sn | ∀ λi ∈ A, si ∈ S, ∀ n ∈ N}
(x, y) ∼ (x0 , y 0 ) ⇔ xy 0 = x0 y
a c ad + bc
+ = ;
b d bd
a c ac
· = .
b d bd
È facile a questo punto verificare che (K, +, · ) costituisce un campo.
Facciamo solo alcune delle verifiche necessarie:
• l’elemento neutro dell’addizione è la frazione 0b ;
• l’opposto di ab è −a
b
= −ba
;
• l’elemento neutro della moltiplicazione ovvero l’elemento unità
è la frazione bb (nota che non è richiesto che nel dominio vi sia
l’elemento unità);
• ogni frazione ab , con a 6= 0, ammette l’inverso, la frazione ab .
Il campo K cosı̀ ottenuto si chiama il campo delle frazioni
del dominio D.
Vediamo, infine, come D si può immergere in K: per questo
scopo definiamo l’omomorfismo iniettivo g : D → K:
xb
g(x) =
b
la verifica che g sia un omomorfismo iniettivo è del tutto analoga a
quella fatta per l’immersione di Z in si Q.
5.7. IDEALI PRIMI E MASSIMALI 201
c(D) = {i ∈ N∗ | ia = 0 ∀ a ∈ D}
α • x = αx ∈ K
Gli unici ideali che abbiamo trovato in Z sono stati quelli del
tipo nZ, cioè quelli principali. Vedremo che in effetti nei domini eu-
clidei questi sono i soli ideali. Per questo motivo diamo la seguente
definizione.
5.8. DOMINI EUCLIDEI 209
m
Adesso facciamo una piccola digressione per mostrare che n
(e
quindi anche ps ) si può scrivere nella forma
m h h 1
= u + , con u ∈ Z e ≤ .
n n n 2
p−1 p−1
α = 1 · 2 · ... · = (−1)(−2) . . . (− )
2 2
per cui in Zp potremo scrivere
p−1 p−1
α = 1 · 2 · ... · = (p − 1)(p − 2) . . . (p − )
2 2
pertanto in Zp avremo
p−1 p+1
α2 = 1 · 2 · . . . · · . . . (p − 2)(p − 1) = (p − 1)! = −1
2 2
dove per l’ultima uguaglianza abbiamo usato il Teorema di Wilson.
Ora che abbiamo scoperto quali sono i numeri primi che si pos-
sono scrivere come somma di due quadrati, per estendere la ricerca
a tutti gli interi, è importante la seguente semplice proprietà.
ed in definitiva
Alla luce del Teorema 5.8.15 e la Proposizione 5.8.17 segue il
risultato richiesto.
b = b 1 b 2 . . . bs ,
m = m1 m2 . . . mt ,
dove gli elementi ai , bi , mi sono irriducibili, per cui
m1 m2 . . . mt q = a1 a2 . . . ar b1 b2 . . . bs
a = p1 p2 . . . pt = q1 q2 . . . qs ,
p 2 . . . pt = u 1 q 2 . . . qs .
1 = u1 u2 . . . ut qt+1 . . . qs .
2. p2 non divide a0 ,
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