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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

Facoltà di Scienze

Corso di laurea in Fisica

Algebre di Lie e loro classificazione

Relatore: Candidato:
Prof. Giuseppe D’Appollonio Fabio Sailis

Anno Accademico 2016-2017


Indice

1 Gruppi e gruppi finiti: definizioni e proprietà 3


1.1 Sottogruppi e omomorfismi di gruppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Rappresentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.1 Rappresentazioni irriducibili di gruppi finiti . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.2 Il lemma di Schur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.2.3 Teoria dei caratteri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2.4 Formule di proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.2.5 L’algebra del gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.3 Il gruppo simmetrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.3.1 I diagrammi di Young . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.3.2 La formula di Frobenius . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2 Gruppi e Algebre di Lie 25


2.1 I gruppi di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.1.1 Esempi di gruppi di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2.1.2 L’algebra di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.2 Prima classificazione delle algebre di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.2.1 Algebre di Lie semisemplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.3 Rappresentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.3.1 La forma di Killing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.3.2 Rappresentazioni di sl2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
2.4 L’algebra di Lie sl3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.4.1 Rappresentazioni di sl3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
2.4.2 Esempi di rappresentazioni di sl3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.4.3 Rappresentazioni di sl3 e diagrammi di Young . . . . . . . . . . . . . . . . 51

3 Teoria generale delle algebre di Lie semplici 55


3.1 Analisi di una generica algebra di Lie semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.2 Le algebre sl(n, C) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.3 Classificazione delle algebre di Lie semplici complesse . . . . . . . . . . . . . . . . 62

1
Introduzione

Argomento di questa tesi è lo studio dei gruppi di simmetria discreti e continui, delle algebre di
Lie e delle loro rappresentazioni. La teoria dei gruppi è uno strumento di eccezionale importanza
per un fisico in quanto rappresenta da una parte un potente strumento per la soluzione di
problemi specifici, dall’altra una guida nella formulazione delle leggi che descrivono la dinamica
di un dato sistema. Ad Eugene Wigner è attribuita la frase: le simmetrie sono leggi che le leggi
della natura devono rispettare.
Gli esempi di simmetria sono svariati. Ci sono le simmetrie spaziotemporali come il gruppo di
Poincarè o, nel limite non relativistico, di Galileo. Ci sono le simmetrie interne che governano le
interazioni delle particelle elementari, come le simmetrie alla base del modello standard. Ci sono
anche simmetrie approssimate che permettono di dare una prima organizzazione dei fenomeni
osservati, come ad esempio la simmetria di isospin o la simmetria SU (3) per la classificazione
di barioni e mesoni.
Le operazioni di simmetria formano dal punto di vista matematico una struttura algebrica
chiamata gruppo. Lo studio di quella che sarebbe divenuta una delle principali branche del-
la matematica iniziò nell’ottocento con il matematico francese Evariste Galois. Esistono due
grandi classi di gruppi, i gruppi finiti ed i gruppi continui. Sono oggetti molto diversi come
profondamente diverse sono le tecniche utilizzate per studiarli.
L’aspetto della teoria dei gruppi più rilevante per la fisica è lo studio delle possibili azioni
di un gruppo su uno spazio vettoriale. Dal punto di vista matematico questo è lo studio del-
le rappresentazioni di un gruppo. L’analisi delle rappresentazioni dei gruppi finiti può essere
effettuata ricorrendo alla teoria dei caratteri. Nel caso dei gruppi continui o di Lie (in onore
del matematico norvegese Sophus Lie) si sostituisce allo studio del gruppo, una struttura non
lineare, lo studio dell’algebra di Lie corrispondente e se ne classificano le possibili rappresenta-
zioni. Il legame tra gruppo ed algebra di Lie è tale che quasi tutte le informazioni riguardanti la
struttura del gruppo e delle sue rappresentazioni (tranne alcuni aspetti globali) possono essere
ottenute una volta note la struttura dell’algebra e delle sue rappresentazioni
Il nostro intento in questo lavoro è quello di presentare da un punto di vista essenzialmen-
te matematico le basi della teoria dei gruppi, della teoria delle rappresentazioni e della loro
classificazione. Nel primo capitolo daremo le definizioni fondamentali della teoria dei gruppi e
discuteremo in modo particolare i gruppi finiti, i.e. gruppi composti da un numero finito di
elementi. Analizzeremo in qualche dettaglio il gruppo simmetrico Sn e le sue rappresentazioni,
introducendo il metodo dei diagrammi di Young che è di grande utilità anche per lo studio delle
rappresentazioni dei gruppi continui.
Nel secondo capitolo passeremo allo studio dei gruppi di Lie, i.e. gruppi continui composti
da infiniti elementi. Dopo aver descritto le principali classi di gruppi continui discuteremo come
associare ad un gruppo la sua algebra di Lie. Analizzeremo quindi l’algebra di Lie di due gruppi
relativamente semplici, SU (2) ed SU (3). Nonostante la loro semplicità questi gruppi e le loro
rappresentazioni sono di enorme importanza in fisica. Non solo: la trattazione di questi due casi
rende immediata la comprensione della struttura delle algebre di Lie e delle loro rappresentazioni

1
in generale.
Questo sarà l’oggetto del terzo ed ultimo capitolo dove descriveremo la teoria generale e
discuteremo le algebre di Lie dei gruppi SU (n). Concluderemo descrivendo la classificazione
di tutte le algebre di Lie semplici sul campo complesso utilizzando i diagrammi di Dynkin che
danno una descrizione completa ed estremamente concisa dell’algebra.

2
Capitolo 1

Gruppi e gruppi finiti: definizioni e


proprietà

In questo primo capitolo introdurremo le nozioni fondamentali della teoria dei gruppi nel contesto
più semplice dei gruppi finiti, con particolare attenzione al gruppo simmetrico Sn , il gruppo delle
permutazioni di n oggetti. Cominciamo con il dare le definizioni principali

Definizione Un insieme G è detto un gruppo se possiede un’operazione binaria detta prodotto


e denotata nel seguito con ◦ tale che

• a, b ∈ G implica a ◦ b ∈ G (chiusura).

• a, b, c ∈ G implica a ◦ (b ◦ c) = (a ◦ b) ◦ c (associatività).

• Esiste un elemento e ∈ G tale che a ◦ e = e ◦ a = a per ogni a ∈ G (esistenza dell’identità).

• Per ogni a ∈ G, esiste un elemento a−1 ∈ G tale che a ◦ a−1 = a−1 ◦ a = e (esistenza
dell’elemento inverso).

Dalla definizione di gruppo segue che l’elemento identico di G è unico, ogni a ∈ G ha un unico
inverso in G, per ogni a ∈ G, (a−1 )−1 = a, per ogni a, b ∈ G, (ab)−1 = b−1 a−1 . Un gruppo è
detto abeliano se per ogni a, b ∈ G, si ha a ◦ b = b ◦ a.
Un gruppo finito è costituito da un numero finito di elementi. Il numero di elementi è detto
ordine del gruppo e viene denotato dal simbolo |G|. Un gruppo discreto infinito è costituito da
un’infinità numerabile di elementi. Gli elementi di un gruppo continuo sono parametrizzati da
sottoinsiemi aperti di Rn .
Consideriamo qualche esempio

• L’insieme Z degli interi 0, ±1, ±2, ... con legge di composizione la somma: a ◦ b = a + b. Si
può facilmente verificare che si tratta di un gruppo discreto abeliano infinito, nel quale 0
funge da elemento identico.

• L’insieme Z2 = {1, −1} con la moltiplicazione tra numeri reali è un gruppo abeliano finito
di ordine 2.

• L’insieme delle potenze di un elemento g con la relazione g n = e forma un gruppo abeliano,


detto gruppo ciclico di ordine n e denotato con Cn .

3
• Una classe importante di gruppi finiti è quella dei gruppi simmetrici. Consideriamo un
insieme finito S composto da n elementi. Il gruppo Sn delle mappe invertibili o permuta-
zioni da S in S contiene n! elementi. Questo gruppo è detto gruppo simmetrico di grado
n.

Per semplicità di notazione nel seguito abbandoneremo l’uso del simbolo ◦ per indicare l’opera-
zione di gruppo e scriveremo semplicemente ab al suo posto, salvo nei casi in cui questo possa
generare confusione.

1.1 Sottogruppi e omomorfismi di gruppi


Definizione Un sottogruppo H di un gruppo G è un sottoinsieme non vuoto di G che forma
un gruppo rispetto alla medesima operazione di G.
Un sottoinsieme non vuoto H di un gruppo G è quindi un sottogruppo di G se e solo se

a. a, b ∈ H implica ab ∈ H.

b. a ∈ H implica a−1 ∈ H.

Ogni gruppo G possiede almeno due sottogruppi, detti banali, G stesso ed e. Ad ogni sottogruppo
può essere associata una relazione di equivalenza tra gli elementi del gruppo.
Ricordiamo che una relazione di equivalenza è una relazione riflessiva (a ∼ a), simmetrica
(a ∼ b ⇒ b ∼ a) e transitiva (se a ∼ b e b ∼ c ⇒ a ∼ c). Dato un insieme X e una relazione
di equivalenza ∼, X si scrive come unione di classi di equivalenza [a] disgiunte. Una classe [a] è
composta da tutti gli elementi di X tali che x ∼ a

[a] = {x ∈ X : x ∼ a}.

L’insieme delle classi di equivalenza è detto spazio quoziente X/ ∼. Un elemento x ∈ [a] è


detto rappresentante della classe [a].

Definizione Se H è un sottogruppo di G e a ∈ G, definiamo Ha = {ha|h ∈ H}. Ha si


chiama laterale destro di H in G. Allo stesso modo definiamo il laterale sinistro di H come
aH = {ah|h ∈ H}.
Si verifica facilmente che la relazione g1 ∼ g2 se e solo se ∃h ∈ H tale che g1 = g2 h è una
relazione di equivalenza tra gli elementi di G. Le classi di equivalenza rispetto a questa relazione
sono proprio i sottoinsiemi Ha che sono pertanto disgiunti Ha ∩ Hb = ∅ se a e b non sono
equivalenti.
Possiamo definire un’altra relazione di equivalenza usando l’operazioni di gruppo. Diciamo
che g1 e g2 sono coniugati se esiste g ∈ G tale che

g1 = hg2 h−1 . (1.1)

Si verifica di nuovo facilmente che si tratta in effetti di una relazione di equivalenza. Le classi
di equivalenza rispetto a questa relazione sono dette classi di coniugio e rivestono una grande
importanza nello studio dei gruppi finiti, come vedremo più avanti sviluppando la teoria dei
caratteri.

4
Definizione Un sottogruppo N di G è detto normale se per ogni g ∈ G e n ∈ N si ha
gng −1 ∈ N .

Un sottogruppo N è normale se e solo se ogni laterale destro di N è anche un laterale sinistro.


Se N è normale, si può definire un’operazione di prodotto sullo spazio dei laterali destri (sinistri)
rispetto alla quale forma un gruppo detto gruppo quoziente G/N . Basta porre

N a ◦ N b = N ab . (1.2)

L’operazione risulta ben definita se e solo se N è normale.

Teorema Se G è un gruppo e N un sottogruppo normale di G, allora anche G/N è un gruppo


detto gruppo quoziente di G rispetto a N.
Se G è un gruppo finito, l’ordine del gruppo quoziente è uguale al rapporto degli ordini di
GeN
|G|
|G/N | = . (1.3)
|N |

Definizione L’insieme degli elementi di un gruppo G che commutano con tutti gli elementi
del gruppo stesso è un sottogruppo abeliano normale detto centro del gruppo Z(G).
Definiamo prodotto diretto di due gruppi G1 e G2 il gruppo G1 ⊗ G2 formato dalle coppie di
elementi (g1 , g2 ) con g1 ∈ G1 e g2 ∈ G2 e con le operazioni seguenti

(g1 , g2 )(g10 , g20 ) = (g1 g10 , g2 g20 ), (g1 , g2 )−1 = (g1−1 , g2−1 ), e = (e1 , e2 ) .

Per un gruppo finito |G1 ⊗ G2 | = |G1 ||G2 |.


Passiamo adesso allo studio di mappe tra gruppi. Di particolare importanza sono le mappe
che rispettano la struttura dei due gruppi, detti omomorfismi.

Definizione Una mappa f : G → H da un gruppo (G,?) ad un altro gruppo (H,◦) è detta


omomorfismo, se:

f (a ? b) = f (a) ◦ f (b) , ∀a, b ∈ G , f (eG ) = eH .

Dati due gruppi G ed H l’omomorfismo banale f : G → H è l’omomorfismo che assegna ad ogni


elemento g ∈ G, l’elemento neutro eH ∈ H. Un altro esempio di omomorfismo è la funzione espo-
nenziale, un omomorfismo tra i reali con l’operazione di somma e i reali positivi con l’operazione
di prodotto. Il determinante di una matrice quadrata a coefficienti in un campo F è un esempio
di omomorfismo tra il gruppo delle matrici quadrate invertibili con l’operazione di prodotto e il
gruppo moltiplicativo degli elementi non nulli del campo (essendo det(AB) = det A det B).

Un omomorfismo iniettivo è detto isomorfismo.

Definizione Due gruppi G, H si dicono isomorfi se esiste un isomorfismo da G in H. In tal


caso si scrive G ' H.

5
Definizione Un isomorfismo di un gruppo G su se stesso è detto automorfismo.

Dato un gruppo G, l’insieme degli automorfismi su G, Aut(G), è anch’esso un gruppo. Ad


ogni elemento g del gruppo corrisponde un automorfismo detto automorfismo interno e dato
dall’operazione di coniugio con g

Tg (h) = ghg −1 , h∈G. (1.4)

Gli automorfismi interni di un gruppo G, formano un sottogruppo di Aut(G) isomorfo al gruppo


quoziente di G rispetto al suo centro.
Un importante esempio di isomorfismo tra gruppi è l’isomorfismo tra SO(3), il gruppo delle
rotazioni in tre dimensioni e il gruppo quoziente SU (2)/Z2

SU (2)
SO(3) ∼
= , (1.5)
Z2

dove Z2 è il centro di SU (2), cioè Z2 = {I, −I}. Per costruire esplicitamente questo isomorfismo
introduciamo le matrici di Pauli, un insieme di tre matrici 2 × 2 linearmente indipendenti
     
0 1 0 −i 1 0
σ1 = , σ2 = , σ3 = .
1 0 i 0 0 −1

Queste matrici soddisfano le relazioni algebriche

σi σj = δij I + iijk σk , (1.6)

sono hermitiane (σ = σ † ) e a traccia nulla (tr(σ) = 0). Posto


3
X
aσ = ai σi , (1.7)
i=1

la relazione (1.6) si scrive


a · σb · σ = a · bI + ia × b · σ . (1.8)
Da queste proprietà si evince inoltre che

trσi σj = 2δij . (1.9)

Una generica matrice A ∈ SU (2) si scrive nella base formata dalle matrici di Pauli e dalla
matrice identità
1 1
A = tr(A)I + tr(σA) · σ .
2 2
Usando le σ possiamo associare ad ogni vettore x ∈ R3 una matrice M due per due hermitiana
a traccia nulla e viceversa. L’isomorfismo tra spazi vettoriali è dato da
1
x → M (x) ≡ x · σ = (x · σ)† , xM = tr(Mσ) .
2
Abbiamo inoltre
det(x · σ) = −x2 . (1.10)
Facciamo ora agire SU (2) sullo spazio delle matrici hermitiane a traccia nulla ponendo

M 7→ M̃ = AM A† . (1.11)

6
Chiaramente la nuova matrice M̃ è ancora hermitiana e a traccia nulla. Questo induce una
trasformazione lineare x → x0 dove

x0 · σ = Ax · σA† .

Vediamo subito che questa trasformazione lineare lascia la norma del vettore invariata
2
x0 = −det(x0 · σ) = −det(Ax · σA† ) = −det(x · σ) = x2 ,

ed è quindi una trasformazione ortogonale

x0i = Rij xj , R ∈ SO(3) .

Possiamo quindi associare ad ogni trasformazione di SU (2) una trasformazione di SO(3)


1
Rij (A) = tr(σi Aσj A† ) . (1.12)
2
Le matrici di SU (2) possono essere parametrizzate nel modo seguente
1 1 1
A(θ, n) = e− 2 iθ·σ = cos θ I − sin θ in · σ ,
2 2
con n ∈ S 2 e 0 ≤ θ < 2π . Utilizzando la (1.12) vediamo che al variare di A in SU (2) si
ottengono tutte le matrici di SO(3) due volte. Infatti A(θ, n) e A(2π − θ, −n) corrispondono
alla stessa rotazione R.
Questa relazione ci permette di capire anche come siano collegati gli spazi dei parametri
dei due gruppi. Lo spazio dei parametri di SU (2) corrisponde ad una sfera a tre dimensioni
S 3 ⊂ R4 , uno spazio connesso e semplicemente connesso (una definizione precisa di queste
nozioni topologiche verrà data nel secondo capitolo dedicato ai gruppi di Lie). Lo spazio dei
parametri di SO(3) si ottiene identificando coppie di punti di S 3 collegati dall’involuzione

(θ, n) 7→ (2π − θ, −n) . (1.13)

Lo spazio risultante è lo spazio proiettivo a tre dimensioni RP 3 , uno spazio connesso ma non
semplicemente connesso. Il suo gruppo fondamentale è infatti Z2 . Abbiamo quindi

SU (2) ∼
= S3 , SO(3) ∼
= S 3 /Z2 ∼
= RP 3 .

Il gruppo SU (2) rappresenta il ricoprimento universale (in questo caso un ricoprimento doppio)
del gruppo SO(3). Questo è un caso particolare di una costruzione generale: ad ogni grup-
po non semplicemente connesso può essere associato un gruppo semplicemente connesso detto
ricoprimento universale del gruppo di partenza.

1.2 Rappresentazioni
Definizione Una rappresentazione ρ di un gruppo G su uno spazio vettoriale V è una mappa

ρ : G → Aut(V )
che rispetta la legge di composizione del gruppo e che di conseguenza, conserva l’elemento iden-
tico e l’inverso:

ρ(a · b) = ρ(a) ◦ ρ(b), ∀a, b ∈ G , ρ(e) = I .

7
Una rappresentazione è quindi un omomorfismo tra il gruppo G e il gruppo degli automorfismi
di uno spazio vettoriale V . Una rappresentazione è detta fedele se è iniettiva.
Consideriamo come esempio il più semplice gruppo finito non abeliano, il gruppo simmetrico
S3 che possiede |S3 | = 3! = 6 elementi: l’identità, tre trasposizioni

(12) , (13) , (23) , (1.14)

e due cicli di lunghezza tre


(123) , (132) . (1.15)
Il gruppo S3 può essere generato componendo le due trasposizioni

σ1 = (12) , σ2 = (23)

Valgono le relazioni (σ1 )2 = (σ2 )2 = (σ1 σ2 )3 = 1; σ1 σ2 σ1 = σ2 σ1 σ2 . Geometricamente S3 è il


gruppo di simmetria di un triangolo equilatero. Le permutazioni agiscono sui vertici del triangolo
e si vede facilmente che le trasposizioni corrispondono a riflessioni rispetto alle bisettrici dei lati
mentre i cicli di lunghezza tre a rotazioni di 2π/3 attorno ad un asse passante per il centro del
triangolo Una naturale rappresentazione del gruppo è una rappresentazione di dimensione tre,

Figura 1.1: S3 come gruppo di simmetria di un triangolo equilatero.

con gli elementi del gruppo che agiscono sulle componenti dei vettori in R3 . I due generatori
vengono rappresentanti nel modo seguente
   
0 1 0 1 0 0
ρ(σ1 ) =  1 0 0  , ρ(σ2 ) =  0 0 1 
0 0 1 0 1 0
Di qui si ricavano facilmente le matrici che rappresentano i restanti elementi del gruppo
     
0 0 1 0 1 0 0 0 1
ρ(σ1 σ2 σ1 ) = 0 1 0 ,
  ρ(σ1 σ2 ) = 0 0 1 ,
  ρ(σ2 σ1 ) = 1
 0 0 .
1 0 0 1 0 0 0 1 0
Un’altra rappresentazione di S3 è quella alternante ed è unidimensionale. Per descrivere questa
rappresentazione ricordiamo che ogni permutazione si può scrivere come prodotto di trasposi-
zioni. Sebbene questa scrittura non sia unica, il numero di trasposizioni necessario è sempre
pari o sempre dispari. Una permutazione si dice quindi pari (dispari) se può essere espressa
come prodotto di un numero pari (dispari) di permutazioni. Inoltre il prodotto di permutazioni
rispetta la parità: il prodotto di permutazioni pari o dispari tra loro è pari mentre il prodotto
di una permutazione pari ed una dispari è dispari. Ad ogni permutazione possiamo associare un
segno
sign(σ) = ±1 , (1.16)
con segno positivo per permutazioni pari e negativo per permutazioni dispari. La rappresenta-
zione alternante non è altro che la mappa sign(σ).

8
Nello studio delle rappresentazioni di un gruppo è importante individuare le rappresenta-
zioni che sono in un senso opportuno minimali ed in termini delle quali sia possibile costrui-
re rappresentazioni più complesse. Queste rappresentazioni minimali sono le rappresentazioni
irriducibili.

Definizione Una sottorappresentazione W è un sottospazio vettoriale W ⊆ V invariante sotto


l’azione del gruppo G, i.e. tale che

ρ(a)w ∈ W , ∀w ∈ W, a ∈ G.

La rappresentazione V e il vettore nullo sono due esempi banali di sottorappresentazione.

Definizione Una rappresentazione si dice irriducibile se V non contiene sottorappresenta-


zioni non banali. In caso contrario la rappresentazione si dice riducibile.

La rappresentazione di dimensione tre del gruppo simmetrico S3 è un esempio di rappresen-


tazione riducibile. Il sottospazio generato dal vettore v = e1 + e2 + e3 è infatti un sottospazio
invariante.
L’algebra lineare permette di costruire nuove rappresentazioni partendo da rappresentazioni
date, considerando spazi duali, somme dirette o prodotti tensoriali. Vediamo più in dettaglio
come sono definite queste operazioni.
Date due rappresentazioni V, W di un gruppo G, un’altra possibile rappresentazione per G
è la somma diretta V ⊕ W di dimensione n+m, dove l’azione è definita come la somma diretta
delle azioni delle singole rappresentazioni:

ρV ⊕W = ρV ⊕ ρW .

Anche il prodotto tensoriale V ⊗ W è una nuova rappresentazione per G. Avendo due basi ei e
fj (con i = 1, ..., n; j = 1, ..., m) rispettivamente per V e W, ottengo una base per V ⊗ W data
dalle coppie ei ⊗ fj . Il prodotto tensoriale delle rappresentazioni è quindi una rappresentazione
di dimesione n · m definita da

ρ(a)(v ⊗ w) = ρV (a) ⊗ ρW (a) , ∀a ∈ G, v ∈ V, w ∈ W.

Anche il duale V ∗ di V fornisce una rappresentazione per G. Per vederlo posso sfruttare l’accop-
piamento naturale tra V ∗ e V , i.e. l’azione degli elementi di V ∗ su V , in quanto per definizione,
il duale di V è proprio l’insieme dei funzionali lineari agenti su V . Poniamo

hv ∗ , vi ≡ v ∗ (v) . (1.17)

La rappresentazione duale è definita in modo che l’accoppiamento tra spazio e spazio duale sia
invariante
hρ∗ (a)(v ∗ ), ρ(a)(v)i = hv ∗ , vi .
Da questo segue che
ρ∗ (a) = ρt (a−1 ) , (1.18)
dove ρt denota la trasformazione trasposta. Consideriamo infine lo spazio degli omomorfismi tra
spazi vettoriali Hom(V, W ) ∼= V ∗ ⊗ W . Definiamo una nuova rappresentazione del gruppo su
Hom(V, W ) che associa a ϕ ∈ Hom(V, W ) la mappa lineare

(aφ)(v) = ρW (a)φ(ρV (a−1 )v) .

9
1.2.1 Rappresentazioni irriducibili di gruppi finiti
Le rappresentazioni dei gruppi finiti possiedono un’importante proprietà detta completa riduci-
bilità. Data una rappresentazione riducibile su uno spazio vettoriale V di un gruppo G esiste
una base nella quale le matrici che rappresentano gli elementi del gruppo assumono una forma
a blocchi  
ρ̂(a) θ(a)
ρ(a) = . (1.19)
0 γ(a)
Il sottospazio invariante W corrisponde ai vettori
 

w= . (1.20)
0

Una rappresentazione è completamente riducibile se θ(a) = 0, ∀a ∈ G. Questo significa, iterando


la procedura, che ogni rappresentazione
Lk V si decompone in una somma diretta di sottospazi
invarianti irriducibili: V = r=1 Wr e
 
ρ1 (a) 0
 0 ρ2 (a) 
ρ(a) = 
 
.. 
 . 
ρk (a)

Se tutte le rappresentazioni di un gruppo sono completamente riducibili, tutte le rappresentazioni


sono note se sono note quelle irriducibili.
Mostriamo ora che
a) Tutte le rappresentazioni dei gruppi finiti sono equivalenti a rappresentazioni unitarie.

b) Tutte le rappresentazioni unitarie sono completamente riducibili.


Definiamo una rappresentazione unitaria. Consideriamo uno spazio vettoriale complesso

V = Cn con una forma hermitiana definita positiva e non degenere

0
0 ∗
hv, a1 v1 + a2 v2 i = a1 hv, v1 i + a2 hv, v2 i , v, v = v , v , ∀v, v 0 ∈ V ,

con hv, vi ≥ 0 e hv, vi = 0 ⇔ v = 0. Una rappresentazione di un gruppo G su uno spazio


vettoriale complesso V, ρ : G → Aut(V ) è detta unitaria se lascia il prodotto scalare invariante

hρ(a)v, ρ(a)v 0 i = hv, v 0 i , ∀v, v 0 ∈ V ∀a ∈ G . (1.21)

Questo implica che


ρ(a)† = ρ(a−1 ) = ρ(a)−1 , ∀a ∈ G . (1.22)
Le due affermazioni precedenti seguono dal fatto che dato un prodotto scalare arbitrario su
V è sempre possibile definire un prodotto scalare invariante. Denotiamo il prodotto definito
inizialmente su V con h·, ·i0 e poniamo

0 1 X

ρ(a)v, ρ(a)v 0 0 .

v, v :=
|G|
a∈G

Il nuovo prodotto è ben definito dato che la somma è composta da un numero finito di addendi.
Mostriamo che il nuovo prodotto è invariante rispetto all’azione del gruppo. Abbiamo
1 X

ρ(b)v, ρ(b)v 0 = ρ(ba)v, ρ(ba)v 0 0




|G|
a∈G

10
1 X
0
ρ(a )v, ρ(a0 )v 0 0 = v, v 0 ,


=
|G| 0
a ∈G

dove abbiamo posto a0 = ba. Questo permette di provare che tutte le rappresentazioni sono
equivalenti a delle rappresentazioni unitarie. L’equivalenza è data semplicemente dal cambia-
mento di base da una base ortonormale rispetto al prodotto originale ad una base ortonormale
rispetto al nuovo prodotto invariante.
Mostriamo ora che ogni rappresentazione unitaria è completamente riducibile. Supponiamo
che esista un sottospazio invariante non banale W ⊆ V , cioè tale che ρ(a)w ∈ W, ∀a ∈ G, w ∈
W. Mostriamo che il suo complemento ortogonale W ⊥

W ⊥ := {v ∈ V : hv, wi = 0 ∀w ∈ W } ,

definito rispetto al prodotto scalare invariante, è a sua volta un sottospazio invariante. Abbiamo
infatti D E D E
w, ρ(a)w⊥ = ρ(a)−1 w, w⊥ = 0, ∀w ∈ W, w⊥ ∈ W ⊥ .

W ⊥ = {0}. Questo implica che


T
Essendo inoltre il prodotto non degenere si ha W

V = W ⊕ W⊥ , (1.23)

con W e W ⊥ sottospazi invarianti.


Analizziamo un semplice esempio, la decomposizione della rappresentazione tridimensionale
di S3 . Questa rappresentazione è già unitaria rispetto al prodotto scalare usuale di R3 . Il
complementare dello spazio generato da v = e1 + e2 + e3 è bidimensionale ed è generato ad
esempio da
W ⊥ = hf1 = (1, −1, 0), f2 = (0, 1, −1)i .
Dall’azione del gruppo su questi vettori

ρ(σ1 )f1 = −f1 , ρ(σ1 )f2 = f1 + f2 , ρ(σ2 )f1 = f1 + f2 , ρ(σ2 )f2 = −f2 ,

vediamo che si tratta di una rappresentazione irriducibile. In termini di matrici due per due
abbiamo    
−1 1 1 0
ρ(σ1 )W ⊥ = , ρ(σ2 )W ⊥ = .
0 1 1 −1
Questa rappresentazione bidimensionale di S3 è detta rappresentazione standard. Come vedre-
mo, le uniche rappresentazioni irriducibili di S3 sono quella banale, quella alternante e quella
standard.

1.2.2 Il lemma di Schur


Definizione Due rappresentazioni ρ1 : G → V1 e ρ2 : G → V2 si dicono equivalenti o isomorfe
se esiste una mappa lineare invertibile T : V1 → V2 tale che

T ◦ ρ1 (a) = ρ2 (a) ◦ T , ∀a ∈ G.

In termini di rappresentazioni matriciali, l’equivalenza tra due rappresentazioni significa che


tutte le matrici dell’una sono coniugate a quelle dell’altra, i.e. legate da un cambio di base.

11
Definizione Un omomorfismo T tra due rappresentazioni (V, ρ) e (V 0 , ρ0 ) è una mappa lineare
tale che
T ◦ ρV = ρ0V 0 ◦ T .

Lemma di Schur Sia T un omomorfismo tra rappresentazioni irriducibili. Allora

a) o T = 0 o T è invertibile e quindi un isomorfismo;

b) se le due rappresentazioni sono equivalenti T è proporzionale all’identità, T = λ · 1 con


λ ∈ C.

Dimostriamo le due asserzioni

a) Mostriamo che ker T è un sottospazio invariante di V e ImT un sottospazio invariante di


V 0 . Se v ∈ ker T abbiamo

T (ρ(a)(v)) = ρ0 (a)(T (v)) = 0 , .

In modo simile
ρ0 (a)(T (v)) = T (ρ(a)(v)) ∈ Im(T ) , ∀T (v) ∈ V 0 .
Dato che V è irriducibile abbiamo due possibilità

• ker(T ) = V , il che implica che T sia l’applicazione nulla: T ≡ 0.

• ker(T ) = {0}, il che implica che T è iniettiva.

Essendo anche V 0 irriducibile, abbiamo le seguenti alternative

• Im(T ) = {0} e quindi T ≡ 0.

• Im(T ) = V 0 e quindi T è suriettiva.

Questo dimostra il primo punto del lemma.

b) Per dimostrare il secondo punto basta osservare che T deve possedere almeno un autovalore
λ ∈ C. La mappa ϕ = T − λ · 1 è allora un omomorfismo tra rappresentazioni irriducibili con
ker ϕ 6= 0. Il nucleo di ϕ deve quindi coincidere con V e pertanto T = λ · 1.

Relazioni di Ortogonalità Utilizzando il lemma di Schur e la forma hermitiana, possiamo


risalire a delle importanti relazioni per le matrici di rappresentazioni irriducibili. Supponiamo
di avere due rappresentazioni irriducibili ρ1 , ρ2 su V1 , V2 e una mappa lineare S0 : V1 → V2 .
Da questa, costruiamo un omomorfismo di modulo S:
1 X
S := ρ2 (a)−1 S0 ρ1 (a).
|G|
a∈G

S rispetta infatti la condizione Sρ1 (a) = ρ2 (a)S. Il lemma di Schur a questo punto ci può dire
diverse cose su S e sulle due rappresentazioni.

Se ρ1 , ρ2 non sono equivalenti, cioè non sono legate da una relazione di similitudine,
S = 0. Viceversa, se ρ1 , ρ2 sono equivalenti su V ( V1 , V2 ⊂ V ), S ∼ 1, più precisamente,
S = (trS/ dimV )1. Inoltre, essendo le due rappresentazioni legate da una relazione di simi-
litudine, esiste una matrice non singolare R tale che ρ2 = R−1 ρ1 R e si trova facilmente che

12
S = [tr(RS0 )/ dimV ]R−1 .

Ma guardiamo lo stesso risultato attraverso il prodotto tensoriale.


1 X
T12 = ρ1 (a) ⊗ ρ2 (a−1 ) ∈ End(V1 ⊗ V2 )
|G|
a∈G

Se le due rappresentazioni non sono equivalenti, chiaramente l’omomorfismo è nullo. Se invece


le due rappresentazioni sono equivalenti, l’operatore ha una forma non banale, vista sopra:
1
T12 = (R ⊗ R−1 )σ,
dimV
con σ matrice di permutazione su V ⊗ V . In termini di componenti, possiamo riscrivere questa
relazione come:
1 X 1
(T12 )ij
kl = |G| ρ1 (a)ik ⊗ ρ2 (a−1 )jl = Ri (R−1 )jk .
dimV l
a∈G

Queste relazioni di ortogonalità fungono da relazioni di completezza e permettono di espandere,


in termini della base, gli elementi del gruppo. Possono per esempio essere usate per costruire i
proiettori su selezionate rappresentazioni irriducibili, oggetti che vedremo più avanti.

1.2.3 Teoria dei caratteri


La teoria dei caratteri fornisce un metodo molto utile per lo studio delle rappresentazioni dei
gruppi finiti.

Definizione Sia (V, ρ) una rappresentazione del gruppo G. Il carattere χρ della rappresenta-
zione è
χρ (a) = trV [ρ(a)] .
Essendo la traccia invariante per permutazioni cicliche abbiamo χρ (bab−1 ) = χρ (a). Il carattere
dipende solo dalla classe di coniugio di un elemento. Una funzione con questa proprietà è detta
funzione di classe.
Il carattere dell’identità dà la dimensione della rappresentazione

χρ (e) = tr(1V ) = dimV.

Dal fatto che tutte le rappresentazioni di un gruppo finito sono equivalenti a rappresentazioni
unitarie segue che
χρ∗ (a) = χ∗ρ (a) .
Consideriamo ora due rappresentazioni ρ, ρ0 e denotiamo con {λi } e {µi } i rispettivi auto-
valori. Gli autovalori della rappresentazione ρ ⊕ ρ0 sono {λi , µi } mentre gli autovalori della
rappresentazione ρ ⊗ ρ0 sono {λi · µi }. Avremo pertanto

χρ⊕ρ0 = χρ + χρ0 , χρ⊗ρ0 = χρ · χρ0 .

Le informazioni riguardanti le rappresentazioni di un gruppo possono essere convenientemen-


te riassunte in una tabella dei caratteri. Prendiamo come esempio S3 Nella tabella vengono
riportate orizzontalmente le classi di coniugio, mostrandone un rappresentativo. Al di sopra
del rappresentativo si riporta il numero di elementi presente in quella classe. Sulla destra sono
elencate le rappresentazioni. Nella casella all’incrocio di una rappresentazione ed una classe di
coniugio si riporta il valore del carattere di quella rappresentazione su quella classe.

13
Figura 1.2: Tabella dei caratteri di S3

Per S3 abbiamo tre classi di coniugio. La classe di coniugio dell’identità contiene sempre un
solo elemento, la classe di (12) ne contiene tre: (12), (23) e (13) e quella di (123) ne contiene due:
(123), (132). Il carattere delle rappresentazioni banale ed alternata si calcola immediatamente,
cosı̀ come quello della rappresentazione standard. Possiamo anche calcolare il carattere della
rappresentazione ρ di dimensione tre che abbiamo mostrato si decompone nella rappresentazione
standard e in quella banale. Abbiamo

χρ (e) = 3, χρ (12) = 1, χρ (123) = 0 .

1.2.4 Formule di proiezione


Consideriamo una rappresentazione di un gruppo finito G su uno spazio vettoriale V e sia V G
lo spazio dei punti fissi dell’azione di G

V G = {v ∈ V : av = v ∀a ∈ G} . (1.24)

Definiamo
1 X
φ= a ∈ End(V ) .
|G|
a∈G

Questa applicazione è un omomorfismo di rappresentazioni, i.e. b ◦ φ = φ ◦ b, ∀b ∈ G. Soddisfa


inoltre ϕ2 = ϕ ed è quindi un proiettore. L’immagine di ϕ è lo spazio dei punti fissi di G in V
che coincide con la molteplicità n1 della rappresentazione banale in V. Abbiamo

1 X 1 X
n1 = dimV G = T rV (φ) = T rV (a) = χV (a) .
|G| |G|
a∈G a∈G

Nel caso della rappresentazione regolare di S3 abbiamo ad esempio

1 1
n1 = ( χρ (e) + 3χρ ((12)) + 2χρ ((123)) ) = (3 + 3 · 1 + 2 · 0) = 1 .
6 6
Consideriamo ora le mappe lineari tra V e W lasciate fisse dall’azione di G

Hom(V, W )G .

Queste mappe sono proprio gli omomorfismi tra rappresentazioni. La richiesta che ϕ sia un
punto fisso di G implica infatti aφ(a−1 v) = φ(v) ∀a ∈ G.
Dal lemma di Schur segue che se V e W sono irriducibili, o ker(φ) = 0 o ker(φ) = V . Usando
l’isomorfismo Hom(V, W ) ∼ = V ∗ ⊗ W possiamo scrivere

1 X
δV,W = χV (a) · χW (a) .
|G|
a∈G

14
I caratteri delle rappresentazioni irriducibili sono quindi ortonormali rispetto al prodotto scalare
definito da
1 X
(α, β) = α(a)β(a) .
|G|
a∈G
Se W è una rappresentazione generica, si può scrivere come somma di rappresentazioni irridu-
cibili. Dalla formula precedente segue che (χV , χW ) dà la molteplicità di V in W .
Calcoliamo ad esempio le molteplicità con la quale la rappresentazione alternante e la
rappresentazione standard sono contenute nella rappresentazione regolare ρ di S3 . Troviamo
1
n2 = ( χ̄a (e)χρ (e) + 3 · χ̄a ((12))χρ ((12)) + 2 · χ̄a ((123))χρ ((123)) )
6

1
= ( (1)(3) + 3 · (−1) + 2 · (1)(0) ) = 0 ;
6

1
n3 = ( χ̄W ⊥ (e)χρ (e) + 3 · χ̄W ⊥ ((12))χρ ((12)) + 2 · χ̄W ⊥ ((123))χρ ((123)) )
6

1
= ( (2)(3) + 3 · (0) + 2 · (−1)(0) ) = 1 ,
6
in prefetto accordo con quanto visto nel paragrafo (1.2.4).
Definiamo un’importante rappresentazione che esiste per ogni gruppo finito G, la rappre-
sentazione regolare R. Se |G| = n consideriamo uno spazio vettoriale di dimensione n ed
etichettiamo gli elementi della base con gli elementi di G, ea . L’azione di un b ∈ G su un vettore
ea è data da
b(ea ) = eba .
Abbiamo quindi dim R = |G|. Il carattere è
(
0, se a 6= e
χR (a) =
|G|, se a = e.

Possiamo decomporre R in rappresentazioni irriducibili: R = i Vi⊕ni . La molteplicità di Vi in


L
R è data da
1 X
ni = χVi (a)χR (a) = χVi (e) = dim(Vi ) .
|G|
ainG
Troviamo quindi la relazione X
|G| = dim(Vi )2 .
i
Possiamo ora dimostrare il teorema seguente

Teorema di Burnside Il numero di rappresentazioni irriducibili di G è uguale al numero


delle sue classi di coniugio.

Il fatto che i caratteri siano funzioni di classe e la loro ortogonalità implicano che il numero
di rappresentazioni irriducibili è al più uguale al numero di classi di coniugio. Per mostrare che
coincidono dobbiamo mostrare che i caratteri sono una base per lo spazio delle funzioni di classe,
i.e. se una funzione di classe è ortogonale a tutti i caratteri allora è nulla.

15
Per fare questo consideriamo una funzione α : G → C. Data una qualsiasi rappresentazione
V, definiamo un endomorfismo
X
φα,V = α(a) · a : V → V.
a∈G

Si può facilmente vedere che questo endomorfismo è un omomorfismo di rappresentazioni, cioè


è tale che t ◦ φa,V = φa,V ◦ t , ∀t ∈ G, se e solo se la funzione α è una funzione di classe, cioè
è tale che α(tat−1 ) = α(a), ∀a, t ∈ G. Abbiamo infatti
X X
(φa,V ◦ t)(v) = α(a) · a(tv) = α(tat−1 ) · tat−1 (tv)
a∈G a∈G

X
= α(tat−1 ) · t(av) .
a∈G
Se α è una funzione di classe, dalla formula precedente segue che ϕα,V è un omomorfismo tra
rappresentazioni. Se d’altra parte α non è una funzione di classe, esistono a0 , t0 ∈ G tali che
α(t0 a0 t−1
0 ) 6= α(a0 ). Consideriamo la rappresentazione regolare
X X X
(φa,R ◦ t0 )(eb ) = α(t0 at−1
0 ) · et0 b 6= α(a)t0 eb = α(a)et0 b ,
a∈G a∈G a∈G

dove la disuguaglianza è dovuta al fatto che il coefficiente di et0 a0 è per ipotesi diverso nei due
membri.
Da questi risultati segue direttamente che i caratteri delle rappresentazioni irriducibili di un
gruppo formano una base ortonormale per lo spazio delle funzioni di classe. Sia infatti α una
funzione di classe ortonormale a tutti i caratteri delle rappresentazioni irriducibili, i.e.
X
α(a)χV (a) = 0 ,
a∈G

per qualsiasi rappresentazione irriducibile V. Se V è una rappresentazione irriducibile, per il


lemma di Shur si ha φa,V = λ · 1. Posto n = dim(V ) abbiamo
1 1X
λ= T rV (φa,V ) = α(a)χV (a) = 0 .
n n
a∈G
P
Quindi φa,V = 0 e a∈G α(a)·a = 0 su qualunque rappresentazione irriducibile V di G. Ma poiché
ogni rappresentazione è scrivibile come somma diretta di quelle irriducibili, questa affermazione
è valida per ogni rappresentazione, ed in particolare, anche per la rappresentazione regolare
X X
α(a) · aee = α(a)ea = 0 , (1.25)
a∈G a∈G

ed essendo gli ea linearmente indipendenti α = 0, come si doveva dimostrare.

1.2.5 L’algebra del gruppo


Introduciamo ora un’importante struttura che può essere associata ad ogni gruppo finito G,
l’algebra del gruppo CG. Consideriamo uno spazio vettoriale di dimensione pari all’ordine del
gruppo e, come per la definizione della rappresentazione regolare, etichettiamo i vettori di base
con gli elementi del gruppo: ea , ∀a ∈ G. Possiamo definire un prodotto tra questi vettori

ea · eb = eab ,

16
ed estenderlo per linearità all’intero spazio vettoriale. Definiamo in questo modo l’algebra del
gruppo CG.
L’algebra del gruppo CG è del tutto equivalente al gruppo stesso. In particolare ad ogni rap-
presentazione dell’algebra corrisponde una rappresentazione del gruppo e viceversa. Sappiamo
che la rappresentazione regolare R ∼ = CG si decompone come
M
R= (Wi )⊕dim(Wi ) ,
i

dove gli spazi Wi sono le rappresentazioni irriducibili di G. A tutte le rappresentazioni irriducibili


ρi del gruppo possiamo associare rappresentazioni irriducibili ρ̄i dell’algebra e definre una mappa
canonica M
φ : CG → End(Wi ) .
i
La rappresentazione regolare è una rappresentazione fedele, ovvero, differenti elementi del gruppo
agiscono diversamente e questo assicura l’iniettività Pdella mappa φ. Inoltre sia lo spazio di
partenza che lo spazio di arrivo hanno dimensione (dimWi )2 e quindi la mappa è anche
suriettiva. Abbiamo pertanti un isomorfismo
M
CG ' End(Wi ) .
i

1.3 Il gruppo simmetrico


In questa sezione descriviamo alcuni modi utili di presentare gli elementi del gruppo simmetrico
Sn . Possiamo descrivere una mappa di n oggetti in n oggetti elencando su due righe gli oggetti
e le loro immagini. Ad esempio per una permutazione di S4
 
1 2 3 4
σ=
3 1 2 4

In questo caso, all’oggetto 1 viene associato l’oggetto 3, all’oggetto 2 l’oggetto 1 e cosi via. Data
una qualsiasi permutazione la permutazione inversa si ottiene scambiando la prima e la seconda
riga e riordinando la prima. Nel caso del nostro esempio
     
1 2 3 4 −1 3 1 2 4 1 2 3 4
σ= →σ = = .
3 1 2 4 1 2 3 4 2 3 1 4

Un altro modo di descrivere una permutazione è in termini della sua decomposizione in cicli
disgiunti. Un ciclo è una lista di elementi che associa ad ognuno di essi l’elemento successivo.
Ad esempio il ciclo (1235) rappresenta la permutazione che manda 1 in 2, 2 in 3, e cosı̀ via fino
a 5 in 1. Ogni rappresentazione si scrive come prodotto di cicli disgiunti. Ad esempio
 
1 2 3 4 5
(123)(135)(24) = .
4 5 3 2 1

Associamo ad ogni permutazione la sua decomposizione in cicli specificando il numero ij di cicli


di lunghezza j. Possiamo utilizzare un multiindice i= (i1 , ..., ij , ..., in ). Ad esempio

(1324)(5)(67) → Struttura ciclica 11 12 14 ,

o i= (1, 1, 0, 1, 0, 0, 0). Il numero di cicli di una data lunghezza che compaiono nella decomposi-
zione di una permutazione è invariante per coniugio. Inoltre due permutazioni sono nella stessa

17
classe se e solo se hanno la stessa decomposizione in cicli. Le classi di coniugio di Sn sono quindi
in corrispondenza uno ad uno con multiindici i= (i1 , ..., ij , ..., in ) tali che
X
n= jij . (1.26)

Ad ogni multiindice possiamo associare una partizione di n e viceversa, dove una partizione di
n, λ = (λ1 , ...λn ) è una collezione di interi non crescente tale che n = λ1 + λ2 + ... + λn . Basta
porre
X n X n Xn
λ1 = ij , λ2 = ij , λk = ij , λn = in , (1.27)
j=1 j=2 j=k

e viceversa
i1 = λ1 − λ2 , i2 = λ2 − λ3 , ik = λk − λk+1 , in = λn . (1.28)
Esiste pertanto una corrispondenza uno ad uno tra le classi di coniugio di Sn e il numero p(n)
di partizioni dell’intero n. Menzionamo che l’andamento asintotico di p(n) per grandi valori di
n è dato da q
1 π 2n
p(n) ∼ √ e 3 .
4n 3

1.3.1 I diagrammi di Young


Un metodo molto utile per descrivere le rappresentazioni di Sn è il metodo dei diagrammi di
Young. Usando questo metodo è infatti possibile costruire esplicitamente tutte le rappresenta-
zioni irriducibili di Sn .
Associamo ad ogni partizione di n in k parti λ = (λ1 , ...λk ) con n = λ1 + λ2 + ... + λk e
λ1 > ... > λk un diagramma costituito da n scatole disposte su k ≤ n righe, con λi scatole nella
riga i-esima. Consideriamo ad esempio S10 e la partizione λ1 = λ2 = 3, λ3 = 2, λ4 = λ5 = 1.
Abbiamo 



λ1 →


λ →


 2


P artizione λ = (3, 3, 2, 1, 1) : λ3 →







λ4 →


λ5 →

La partizione coniugata λ0 si costruisce definendo i λ0i come quel numero di termini nella par-
tizione che sono maggiori o uguali a i. Il diagramma coniugato si ottiene scambiando righe e
colonne del diagramma originale

λ →


 1


P artizione coniugata λ0 = (5, 3, 2) : λ2 →




λ →
3

Ogni possibile modo di riempire con interi positivi le scatole di un diagramma costituisce un
possibile riempimento del diagramma che viene detto tavola di Young. Il riempimento deve
soddisfare le condizioni seguenti:

• i numeri devono essere posti in ordine crescente lungo ogni riga da sinistra verso destra;

18
• i numeri devono essere strettamente crescenti lungo le colonne dall’alto verso il basso.
Una tavola di Young standard o canonica contiene i numeri {1, ..., n} senza ripetizioni. Alcuni
esempi di tavole di Young sempre per S10 sono

1 2 3 1 3 7
o
4 5 9 2 4 10
6 7 5 6
8 8
10 9

Ad ogni tavola di Young associamo due sottogruppi di Sn


• P = Pλ = {σ ∈ Sn tale che σ lasci invariate le righe del diagramma}.
• Q = Qλ = {σ ∈ Sn tale che σ lasci invariate le colonne del diagramma }.
Ad esempio

1 2 3
−→ P = (12), (123), (45), ... ; Q = (39), (168), ... .
4 5 9
6 7
8
10

Associamo quindi ai due sottogruppi due elementi di CG


X
aλ = eσ ,
σ∈P
e X
bλ = sgn(σ)eσ .
σ∈Q

Definiamo infine il simmetrizzatore di Young cλ

cλ = aλ · bλ ∈ CSn .

Utilizzando cλ è possibile costruire esplicitamente tutte le rappresentazioni irriducibili di Sn .


Vale infatti il seguente importante risultato

Teorema Si ha c2λ = nλ cλ con nλ ∈ R. Inoltre CG ◦ cλ , i.e. l’immagine dell’azione di cλ


(agendo a destra sull’algebra del gruppo), è una rappresentazione irriducibile Vλ di Sn . Tutte le
rappresentazioni irriducibili di Sn si ottengono in questo modo.
Consideriamo come esempio i diagrammi di Young per S3 associati alle tre partizioni del
numero tre. Al diagramma corrisponde
X X
V = CS3 · eσ = C · eσ
σ∈S3 σ∈S3

che è la rappresentazione banale. La partizione coniugata corrisponde a


X X
V = CS3 · sgn(σ)eσ = C · sgn(σ)eσ ,
σ∈S3 σ∈S3

19
che definisce la rappresentazione alternante. Rimane un’ultima possibilità, la partizione λ =
{2, 1} o . Al riempimento canonico

1 2
3

corrispondono aλ = ee + e(12) , bλ = ee − e(13) e il simmetrizzatore di Young

cλ = c = (ee + e(12) )(ee − e(13) ) = ee + e(12) − e(13) − e(132) ∈ CS3 .

V = CS3 cλ è bidimensionale e generata da f˜1 = cλ e f˜2 = (13) · cλ e coincide con la

rappresentazione standard di S3 . Abbiamo infatti

f˜2 = e(13) + e(123) − ee − e(23) ,

e
(12) · f˜1 = f˜1 , (23) · f˜1 = e(23) + e(132) − e(123) − e(12) = −(f˜1 + f˜2 )
e
(12) · f˜2 = e(23) + e(132) − e(123) − e(12) = −(f˜1 + f˜2 ) , (23) · f˜2 = f˜2 .
Se avessimo usato l’altro riempimento canonico

1 3
,
2

avremmo ottenuto il simmetrizzatore

ĉλ = (ee + e(13) )(ee − e(12) ) = ee + e(13) − e(12) − e(123) ∈ CS3 ,

e una rappresentazione bidimensionale con base

f˜1 = ĉλ = ee + e(13) − e(12) − e(123) , f˜2 = (23) · ĉλ = e(23) − e(13) − e(132) + e(123) .

I simmetrizzatori cλ e ĉλ definiscono quindi rappresentazioni equivalenti.

1.3.2 La formula di Frobenius


Siano Ci le classi di coniugio di Sn , determinate dalla sequenza i=(i1 , i2 , ..., in ), con nj=1 jij = n.
P
Introduciamo ora delle variabili indipendenti x1 , ..., xk , con k almeno uguale al numero di righe
nel diagramma di Young di una partizione λ. Definiamo la somma di potenze Pj (x), 1 6 j 6 n
e il discriminante ∆(x)

Pj (x) = xj1 + xj2 + ...xjn ,


Y
∆(x) = (xi − xj ) .
i<j

Se f (x) = f (x1 , ..., xk ) è una generica serie di potenze e (l1 , ..., lk ) è una k-upla di interi non
negativi denotiamo con
[f (x)](l1 ,...,lk ) ,

20
il coefficiente di xl11 · · · · · xlkk in f . Data una partizione λ di n con λ1 > λ2 > · · · > λk > 0,
definiamo
lj = λj + k − j ,
una sequenza strettamente decrescente di k interi non negativi.
Il valore assunto sulla classe di coniugio Ci di Sn dal carattere χλ della rappresentazione
irriducibile associata alla partizione λ di n è dato dalla formula di Frobenius
 
Yn
χλ (Ci ) = ∆(x) · Pj (x)ij  .
j=1
(l1 ,...,lk )

Consideriamo come esempio la rappresentazione standard di S3 , descritta dalla partizione λ1 =


2, λ2 = 1, con k = 2. Da qui possiamo ricavare l1 = 3, l2 = 1. Il valore del carattere
sull’identità, che corrisponde a i = (3, 0, 0), dà la dimensione della rappresentazione. Otteniamo

χ (e) = [(x1 − x2 )(x1 + x2 )3 ](3,1) = 2 ,

in accordo con la dimensionalità della rappresentazione standard. Se consideriamo la classe di


coniugio contenente le trasposizioni, che corrisponde a i = (1, 1, 0), otteniamo

χ ((12)) = [(x1 − x2 )(x1 + x2 )(x21 + x22 )](3,1) = [x41 − x42 ](3,1) = 0 ,

mentre per la classe di coniugio contenente le permutazioni cicliche, che corrisponde a i =


(0, 0, 1), troviamo
χ ((123)) = [(x1 − x2 )(x31 + x32 )](3,1) = −1 .

La classe di coniugio dell’identità corrisponde sempre a i = (n). Abbiamo quindi la formula

dim(Vλ ) = χλ ((n)) = [∆(x) · (x1 + · · · + xk )n ](l1 ,...,lk ) .

Possiamo pertanto usare la formula di Frobenius per calcolare la dimensione della rappresentazio-
ne irriducibile Vλ associata alla partizione λ. Il discriminante introdotto in precedenza equivale
ad un determinante di Vandermonde, ovvero al determinante di una matrice le cui righe (oppure
le cui colonne) hanno elementi, a partire da 1, in progressione geometrica: ai,j = αij−1 (oppure
la trasposta ai,j = αji−1 ):

xk−1

1 xk · · ·
k
∆(x) = ... ... .. = X (sgnσ)xσ(1)−1 · · · xσ(k)−1 .

. k 1
1 x1 · · · k−1 σ∈S
x1
k

Abbiamo inoltre
X n!
(x1 + · · · + xk )n = xr1 xr2 · · · xrkk ,
r1 ,...,rk
r1 ! · · · rk ! 1 2
P
dove la somma corre sulle k-uple (r1 , ..., rk ) in modo tale che j rj = n.

21
k(k−1)
Entrambe le espressioni sono polinomi omogenei rispettivamente di grado 2 ed n. Il loro
prodotto è perciò di grado
k
k(k − 1) X
d= +n= li .
2
i=1

Per trovare il coefficiente di xl11 · ... · xlkk nel prodotto accoppiamo i termini corrispondenti delle
due somme
X n!
sgn(σ) · ,
(l1 − σ(k) + 1)! · · · (lk − σ(1) + 1)!
σ∈Sk

dove la somma corre su quelle permutazioni σ ∈ Sk per le quali lk−i+1 − σ(i) + 1 ≥ 0 per ogni
1 ≤ i ≤ k. Questa somma può anche essere scritta come

1 lk lk (lk − 1) · · ·
k
n! X Y n!
.. .. ..

.. .
sgn(σ) lj (lj − 1) · ... · (lj − σ(k − j + 1) + 2) =
l1 ! · · · lk ! l1 ! · · · lk ! . . . .

σ∈Sk j=1 1 l1 l1 (l1 − 1) · · ·

Riducendo per colonne questo determinante si ottiene il determinante di Vandermonde. Il


risultato è
n! Y
dim(Vλ = (l1 − lj ) ,
l1 ! · · · lk !
i<j

con li = λ1 + k − i, per i = 1, ..., k.


Consideriamo come esempio la rappresentazione banale, λ1 = n con k = 1 e quindi l1 = n.
Troviamo
n!
dim(V(n) ) = = 1.
n!
Per la rappresentazione alternante con λ1 = · · · = λn = 1 si trova li = n + 1 − i e quindi
n
Y 1Y
dim(V(1···1) ) = n! (j − i) = 1
j!
j=1 i<j

dove i termini dell’ultima produttoria sono

Y n−1
Y
(j − i) = (n − 1)(n − 2)2 · · · 2n−2 1n−1 = j! .
i<j j=i

Esiste un’altra formula per esprimere la dimensione di Vλ . Definiamo la lunghezza di Hook di


una scatola in un diagramma di Young come il numero di scatole direttamente al di sotto o
direttamente alla sua destra, includendo la scatola stessa. Se rj dà la lunghezza delle righe del
diagramma e cj quella delle colonne, la lunghezza di Hook della scatola nella posizione (i, j) è

h(i, j) = ri + cj − (i + j − 1) .

Nel seguente diagramma, ogni scatola è contrassegnata dalla propria lunghezza di Hook.

6 4 3 1
4 2 1
1

22
Figura 1.3: Misura della lunghezza di Hook di una scatola.

La dimensione della rappresentazione è data dalla formula di Hook


Y n!
dim(Vλ ) =
h(i, j)
(i,j)∈λ

dove il prodotto corre su tutte le scatole del diagramma di Young associato alla partizione λ.
Per la rappresentazione standard di S3 abbiamo

3 1
,
1

e quindi
3!
dim(V ) = =2.
3
Menzioniamo un ultimo metodo per calcolare la dimensione della rappresentazione corrispon-
dente ad una partizione λ: la dimensione è pari al numero di tavole di Young standard per λ.
Questo è il numero di possibili riempimenti del diagramma di Young λ con gli interi {1, ..., n}
tali che le entrate crescano lungo ogni riga e colonna. Ovviamente per le rappresentazioni banale
ed alterna vi è una sola tavola, mentre per la rappresentazione standard di S3 , ad esempio, ve
ne sono due
1 2 e 1 3 .
3 2

23
24
Capitolo 2

Gruppi e Algebre di Lie

I gruppi di Lie sono degli insiemi che possiedono simultaneamente la struttura di gruppo e
quella di varietà differenziabile. Le due strutture sono inoltre compatibili: la moltiplicazione e
l’inversione sono mappe differenziabili. La teoria dei gruppi di Lie è particolarmente affascinante
perché concetti algebrici e geometrici risultano profondamente interconnessi.
Essendo gruppi continui, i gruppi di Lie sono molto diversi e molto più complessi dei gruppi
finiti discussi nel capitolo precedente. In particolare, essendo di ordine non numerabile, non
possono essere definiti in termini di generatori e relazioni. Proprio la loro struttura aggiuntiva
di varietà rende tuttavia possibile studiarli in grande dettaglio, ricorrendo ad una nuova strategia.
La struttura di varietà differenziabile permette infatti di sostituire allo studio del gruppo lo studio
del suo spazio tangente munito di un’operazione bilineare, indotta dalla legge di composizione
del gruppo, che gli dà la struttura di un’algebra, l’algebra di Lie. Risulta notevole che lo studio
della struttura di questo oggetto lineare e delle sue rappresentazioni permetta di ricostruire la
quasi totalità delle informazioni riguardanti la struttura del gruppo e delle sue rappresentazioni.

2.1 I gruppi di Lie


Un gruppo di Lie è un insieme dotato della struttura di gruppo e di varietà differenziabile. Le
mappe che mandano un elemento del gruppo nel suo inverso e la legge di composizione sono
differenziabili o equivalentemente

(x, y) ∈ G × G → x · y −1 ∈ G è una mappa C∞ ∀x, y ∈ G .

Una mappa tra due gruppi di Lie G e H è una funzione ρ : G → H differenziabile che è anche
un omomorfismo tra gruppi.
I gruppi di Lie sono caratterizzati sia da proprietà algebriche, ad esempio come gruppi
abeliani o non abeliani, sia da proprietà topologiche, come ad esempio la connessione o la
compattezza. Prima di concentrarci sulle proprietà algebriche, richiamiamo brevemente alcune
nozioni di topologia.
Dato uno spazio topologico (X, T ), una famiglia {Ai } di sottoinsiemi di X è detta ricopri-
mento di X se [
Ai = X .
i∈I
Se tutti gli Ai sono insiemi aperti della topologia T , il ricoprimento è detto ricoprimento aperto.
Consideriamo a questo punto l’insieme X e tutti i suoi possibili ricoprimenti. L’insieme X è
detto compatto se per ogni ricoprimento aperto {Ui | i ∈ I} esiste un sottoinsieme finito J di I
tale che {Uj | j ∈ J} sia ancora un ricoprimento di X. La sfera n-dimensionale S n con relativa
topologia è un classico esempio di varietà compatta in quanto è chiusa e limitata da Rn+1 .

25
Uno spazio topologico X è connesso se non può essere scritto come unione di aperti disgiunti,
cioè non può avere la forma
X = X1 ∪ X2 ,
con X1 e X2 aperti tali che X1 ∩ X2 = ∅. Altrimenti X è detto disconnesso. X è detto connesso
per archi se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esiste una mappa continua f : [0, 1] → X tale
che f (0) = x e f (1) = y. Uno spazio connesso per archi è anche connesso, mentre l’inverso
non è sempre vero. Le due nozioni risultano tuttavia equivalenti per sottoinsiemi aperti di spazi
vettoriali reali o complessi. Consideriamo infine un cammino chiuso, i.e. una mappa continua
f, : [0, 1] → X tale che f (0) = f (1). Se ogni cammino chiuso in X può essere ridotto ad un
punto, X è detto semplicemente connesso.
Come esempio consideriamo i due unici gruppi di Lie connessi unidimensionali: R e U (1).
Il primo è il gruppo dei numeri reali rispetto all’addizione ed è un gruppo non compatto e
semplicemente connesso. Il secondo gruppo è il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi di
modulo uno U (1) = {z ∈ C, |z| = 1}, isomorfo al gruppo delle rotazioni in due dimensioni
SO(2). Topologicamente è una circonferenza S 1 . Si tratta quindi di un gruppo compatto ma
non semplicemente connesso. Ogni gruppo di Lie abeliano connesso è un prodotto cartesiano di
copie di questi due gruppi.

2.1.1 Esempi di gruppi di Lie


Sia M (n, R) l’insieme delle matrici reali n × n. Le matrici non singolari formano un gruppo
rispetto all’operazione di prodotto fra matrici detto gruppo lineare generale e denotato con
GL(n, R). La richiesta che ogni matrice A sia non singolare assicura l’esistenza dell’elemento
inverso A−1 . Chiaramente GL(n, R) è chiuso rispetto a composizione, come si vede dal teorema
di Binet
det(AB) = detA detB .
La dimensione di GL(n, R) è uguale al numero di componenti indipendenti di una generica
matrice n × n reale, ovvero n2 . Si può considerare anche l’analogo complesso, GL(n, C), il
gruppo delle matrici n × n complesse non singolari. Avendo bisogno di n2 parametri complessi
per specificare una matrice di questo gruppo, la sua dimensione reale risulta essere 2n2 .
Molti dei gruppi utilizzati in fisica sono sottogruppi di GL(n, R) o GL(n, C). L’esempio più
semplice è il gruppo lineare speciale, SL(n, R), definito come l’insieme delle matrici n × n non
singolari A con detA = 1. La condizione sul determinante impone un vincolo sugli n2 parametri
di una matrice di GL(n, R) e quindi

dim (SL(n, R)) = n2 − 1 .

Nel caso complesso imponiamo due condizioni (sulla parte reale e immaginaria del determinante)
e quindi
dim (SL(n, C)) = 2n2 − 2 .
Il gruppo O(n, R), è invece definito come il sottogruppo di GL(n, R) delle matrici reali n × n
A per le quali
AAT = I ,
con AT trasposta di A. Questo gruppo riveste un ruolo di primo piano in fisica in quanto descrive
le rotazioni nello spazio Euclideo di dimensione n. Si verifica facilmente che le matrici ortogonali
formano un insieme chiuso rispetto alla composizione

(AB)T = B T AT = B −1 A−1 = (AB)−1 . (2.1)

26
Per determinare la dimensione di O(n) osserviamo che la condizione di ortogonalità

AAT − I = 0 , (2.2)

impone n(n + 1)/2 vincoli sulle componenti di A essendo la matrice AAT simmetrica. Ne segue
che
1 1
dim (O(n, R)) = n2 − n(n + 1) = n(n − 1) . (2.3)
2 2
La condizione di ortogonalità implica detA = ±1. Possiamo quindi definire un sottogruppo di
O(n, R) che è il gruppo ortogonale speciale, SO(n, R) formato dalle matrici con detA = 1.
Come ultimo esempio consideriamo il gruppo unitario U (n, C), il sottogruppo di GL(n, C)
delle matrici A complesse tali che
AA† = I ,

dove A† = (AT )∗ è l’hermitiana coniugata di A. La dimensione reale di queste matrici è data da

dim(U(n)) = n2 .

Infatti la condizione di unitarietà, essendo la matrice A† A hermitiana, impone n2 vincoli sulle


componenti della matrice A. Come per il gruppo ortogonale, anche in questo caso possiamo
limitarci a considerare il sottogruppo formato dalle matrici unitarie con detA = 1 detto gruppo
unitario speciale SU (n). Abbiamo

dim(SU(n)) = n2 − 1 .

Il gruppo GL(n, R) può anche essere visto come gruppo degli automorfismi di uno spazio vetto-
riale n-dimensionale V per il quale è stata effettuata una scelta di base. Possiamo quindi riferirci
a questo gruppo anche con GL(V ) o Aut(V ).
I sottogruppi di GL(n, R) discussi sopra sono da questo punto di vista sottogruppi di GL(V )
che preservano una qualche struttura ulteriore presente su V . Ad esempio il gruppo speciale
lineare SL(n, R) può essere visto come il gruppo degli automorfismi di Rn che lasciano invariato
l’elemento di volume mentre il gruppo U (n) come il gruppo degli automorfismi che lasciano
invariato un prodotto interno H, hermitiano e definito positivo. Ricordiamo che una forma
hermitiana H(v, w) è antilineare nel primo argomento e lineare nel secondo

H(v, λ1 w1 + λ2 w2 ) = λ1 H(v, w1 ) + λ2 H(v, w2 ) , e H(w, v) = H(v, w) ∀v, w ∈ V .

La forma hermitiana è inoltre definita positiva se H(v, v) > 0 per ogni v 6= 0.

2.1.2 L’algebra di Lie


Discutiamo ora come associare ad un gruppo di Lie una struttura lineare detta algebra di Lie.
Un primo risultato importante è che l’intero gruppo è generato da un intorno arbitrariamente
piccolo dell’identità.

Teorema Sia G un gruppo di Lie connesso ed e il suo elemento identità. Se U è un qualsiasi


intorno aperto dell’identità e, allora G è generato da U.

27
Dimostrazione Sia U un intorno aperto di e. Per ogni n ∈ N denotiamo con U n l’insieme
degli elementi nella forma u1 ...un , dove ogni ui ∈ U . Poniamo W := ∪n∈N U n . Poiché ogni U n è
un aperto otteniamo che W, essendo unione di aperti, è esso stesso aperto. Vediamo come esso
sia anche chiuso. Sia W̄ la chiusura di W. Se g ∈ W̄ l’insieme gU −1 è un intorno aperto di g e
deve quindi intersecare W. Consideriamo ora h ∈ W ∩ gU −1 ed osserviamo che
• poiché h ∈ gU −1 , allora h = gu−1 per un certo u ∈ U ;

• poiché h ∈ W , allora h ∈ U n per un certo n ∈ N, cioè h = u1 ...un , con ogni ui ∈ U .


Ne segue che g = u1 ...un u, cioè g ∈ U n+1 ⊆ W e quindi W è chiuso. Essendo quindi W non
vuoto, aperto e chiuso ed essendo G connesso, si deve avere che G = W .

Una prima conseguenza importante di questo teorema è che ogni mappa ρ : G → H tra
gruppi di Lie connessi è completamente determinata dalla sua azione su un intorno aperto del-
l’identità di G. Dato che l’aperto è arbitrario abbiamo il lemma seguente.

Siano G e H gruppi di Lie, con G connesso. Allora una mappa ρ : G → H è unicamente


determinata dal suo differenziale dρe : Te G → Te H all’identità.

Questo risultato permette di sostituire allo studio di un omomorfismo tra gruppi di Lie lo stu-
dio del suo differenziale, una mappa lineare tra spazi vettoriali. Consideriamo gli automorfismi
di G dati dall’operazione di coniugio con un elemento g ∈ G. Per ogni g ∈ G definiamo

Ψg : G → G

tale che
Ψg (h) = g · h · g −1 .
La mappa Ψ associa ad ogni g ∈ G un automorfismo di G e quindi possiamo scrivere
Ψ : G → Aut(G). Se ρ è un omomorfismo tra gruppi abbiamo

ρ(Ψg (h)) = Ψρ(g) (ρ(h)) , (2.4)

essendo
ρ(ghg −1 ) = ρ(g)ρ(h)ρ(g −1 ) . (2.5)
Abbiamo Ψg (e) = e e quindi tutti gli automorfismi Ψg lasciano fissa l’identità. Ne segue che il
differenziale di Ψg è una mappa lineare dallo spazio tangente all’identità in se stesso

Adg = (dΨg )e : Te G → Te G .

Otteniamo in questo modo una rappresentazione del gruppo G sul proprio spazio tangente

Ad : G → Aut(Te G) ,

detta rappresentazione aggiunta del gruppo. Differenziando la (2.4) troviamo

dρe (gY g −1 ) = ρ(g)dρe (Y )ρ(g −1 ) , g ∈ G , Y ∈ Te G , (2.6)

e quindi
dρe (Adg (Y )) = Adρ(g) (dρe (Y )) . (2.7)
Se ora differenziamo rispetto alla dipendenza da g troviamo una mappa lineare dello spazio
tangente in se stesso
adX = Te G → Te G . (2.8)

28
La mappa ad associa ad ogni elemento dello spazio tangente un endomorfismo dello spazio stesso

ad : Te G → End(Te G) .

Se consideriamo entrambi i suoi argomenti, la mappa adX (Y ) è allora una mappa bilineare

ad : Te G × Te G → Te G . (2.9)

Definiamo commutatore di due elementi X ed Y dello spazio tangente l’operazione

ad(X)(Y ) = [X, Y ] .

Anche se non è ovvio da questa definizione, il commutatore è antisimmetrico e soddisfa la


seguente identità, detta identità di Jacobi

[X, [Y, Z]] + [Y, [Z, X]] + [Z, [X, Y ]] = 0 , ∀X, Y, Z ∈ Te G . (2.10)

Lo spazio tangente dotato di questa operazione ha la struttura di un algebra detta algebra di


Lie del gruppo G e denotata con g. Differenziando la (2.7) vediamo che

dρe ([X, Y ]) = [dρe (X), dρe (Y )] .

Questo è un risultato fondamentale: ogni omomorfismo ρ tra gruppi di Lie rispetta il commu-
tatore dello spazio tangente.
Diamo adesso una descrizione più esplicita del commutatore ad(X)(Y ) = [X, Y ]. Conside-
riamo delle curve lisce sulla varietà di gruppo passanti per l’identità. Sia I ⊂ R un intervallo
contenente lo zero e hY : I → G una curva passante per l’identità hY (0) = e e tale che

Y = h0 (0) ∈ g ⊂ End(V ) , (2.11)

dove h0 è la derivata della curva valutata in t = 0. Al variare delle curve h(t) si ottengono tutti
gli elementi dello spazio tangente all’unità Te G, i.e. dell’algebra g. Consideriamo una curva
hX (t) con tangente nell’identità l’elemento X dell’algebra. Abbiamo

AdhX (t) (Y ) = hX (t)Y h−1


X (t) , (2.12)

e differenziando rispetto a t troviamo

adX (Y ) = XY − Y X ≡ [X, Y ] . (2.13)

Infatti
d −1

hX (t)Y hX (t) = XY − Y X , (2.14)
dt t=0
dove abbiamo usato che
   
d d d −1
hX (t)h−1 −1

0= X (t) = hX (t) hX (t) + hX (t) h (t) , (2.15)
dt dt dt X
e quindi  
d −1 d
h (t) = −h−1
X (t) hX (t) h−1
X (t) . (2.16)
dt X dt
Valutando in zero l’espressione precedente si trova

d −1
h (t) = −X . (2.17)
dt X t=0

29
La (2.13) definisce in modo esplicito il commutatore in termini della composizione degli endo-
morfismi X ed Y di V , che equivale al prodotto di matrici una volta scelta una base. Questa
formula rende evidente che il commutatore è una forma bilineare antisimmetrica che soddisfa
l’identità in (2.10).
Definiamo in generale algebra di Lie uno spazio vettoriale g dotato di un prodotto

[·, ·] : g × g → g , (2.18)

che soddisfa le seguenti proprietà


• è bilineare;
• è antisimmetrico: [X, Y ] = −[Y, X] , ∀X, Y ∈ g;
• soddisfa l’identità di Jacobi: [X, [Y, Z]] + [Y, [Z, X]] + [Z, [X, Y ]] = 0 ∀X, Y, Z ∈ g.
Una rappresentazione di un’algebra di Lie g su uno spazio vettoriale V è una mappa lineare

ρ : g → gl(V ) ≡ End(V ) ,

che rispetta il prodotto di Lie


[ρ(X), ρ(Y )] = ρ([X, Y ]) . (2.19)
Elenchiamo le algebra di Lie che corrispondono alle componenti connesse dell’identità dei gruppi
di Lie introdotti fino ad ora. L’algebra gln è l’algebra di tutte le matrici n per n, l’algebra sln è
formata dalle matrici a traccia nulla, l’algebra son dalle matrici antisimmetriche a traccia nulla
e l’algebra sun dalle matrici antihermitiane a traccia nulla.
Mostriamo adesso esplicitamente come ricostruire il gruppo a partire dall’algebra di Lie.
Questo è reso possibile dalla mappa esponenziale

exp : g → G .

Limitandoci al caso di rappresentazioni su spazi vettoriali di dimensione finita V questa mappa


corrisponde all’esponenziale di matrici

X Xn
exp : End(V) → Aut(V) , , exp(X) = . (2.20)
n!
n=0

Questa serie converge per ogni X proprio come la funzione esponenziale. Abbiamo

(exp(X))−1 = exp(−X) , (2.21)

e
exp(X)exp(Y) = exp(C(X, Y)) ,
dove l’elemento C(X, Y ) è esprimibile come serie nei commutatori di X ed Y . La formula
esplicita è nota come formula di Baker-Campbell-Hausdorff e i primi termini della serie sono
1 1 1
C(X, Y ) = X + Y + [X, Y ] + [X, [X, Y ]] + [Y, [Y, X]] + . . . . (2.22)
2 12 12
Ad ogni elemento dell’algebra X ∈ g possiamo associare un sottogruppo ad un parametro
h(t) ∈ G
hX (t) = exp(tX) . (2.23)
Dal punto di vista geometrico questo sottogruppo ad un parametro è la curva integrale pas-
sante per l’identità del campo vettoriale ottenuto traslando il vettore tangente X tramite la
moltiplicazione a sinistra per G.

30
2.2 Prima classificazione delle algebre di Lie
In questa sezione introduciamo una serie di definizioni che permettono di caratterizzare meglio
un algebra di Lie, in particolare di chiarire in che misura il suo prodotto differisca dal prodotto
banale o abeliano [X, Y ] = 0 per ogni X, Y ∈ g. Iniziamo col definire il centro Z(g) di un algebra
di Lie g come il sottospazio di g degli elementi X ∈ g tali che [X, Y ] = 0 per ogni Y ∈ g. Se
tutte le parentesi di Lie sono nulle, g è detta appunto abeliana.
Una sottoalgebra di Lie h ⊂ g di un algebra di Lie g è un ideale o una sottoalgebra invariante
se soddisfa la condizione
[X, Y ] ∈ h ∀ X ∈ h, Y ∈ g .
Come i sottogruppi connessi dei gruppi di Lie corrispondono a sottoalgebre della loro algebra
di Lie, la nozione di ideale in un algebra di Lie corrisponde al concetto di sottogruppo normale.
Infatti, dato G gruppo di Lie connesso, H ⊂ G suo sottogruppo connesso e g, h le relative
algebre di Lie, H risulta essere un sottogruppo normale di G se e solo se h è un ideale di g. Si
osservi inoltre che il prodotto di Lie su g induce un prodotto di Lie anche sullo spazio quoziente
g/h se e solo se h è un ideale di g. Diamo allora la definizione seguente

Definizione Un’algebra di Lie g è detta semplice se dim g > 1 e se non contiene ideali non
banali, ovvero non contiene alcuna sottoalgebra invariante.

Cerchiamo ora di caratterizzare un’algebra di Lie in base alla natura delle sue regole di
commutazione. Definiamo innanzitutto la sottoalgebra dei commutatori Dg = [g, g]. Si tratta
chiaramente di un ideale. A partire da questo ideale definiamo due sequenze di sottoalgebre.
La prima è detta serie centrale inferiore {Dk g} ed è definita ricorsivamente nel modo seguente

D1 g = Dg

e
Dk g = [g, Dk−1 g] .
Anche le sottoalgebre Dk g sono degli ideali in g. La seconda sequenza è detta serie derivata
{Dk g} ed è definita da
D1 g = Dg
e
Dk g = [Dk−1 g, Dk−1 g] .
Anche le sottoalgebre Dk g sono degli ideali in g. Inoltre Dk g ⊂ Dk g per ogni k, con l’uguaglianza
quando k = 1. Usiamo queste sequenze di ideali per dare le definizioni seguenti.

• Diciamo che g è nilpotente se esiste k ∈ N tale che Dk g = 0.

• Diciamo che g è risolubile se esiste k ∈ N tale che Dk g = 0.

• Diciamo che g è perfetta se Dg = g.

• Diciamo che g è semisemplice se non possiede ideali risolubili non banali.

Il più importante esempio di algebra di Lie nilpotente è dato dall’algebra nn R delle matrici
strettamente triangolari superiori n×n. Ogni sottoalgebra di Lie di nn R è nilpotente a sua volta.
Si può inoltre dimostrare che se un algebra di Lie g è rappresentata su uno spazio vettoriale V
in modo che ogni suo elemento agisce come un endomorfismo nilpotente, esiste allora una base
per V tale che, identificando gl(V ) con gl(n, R), g corrisponde ad una sottoalgebra di nn R.

31
Il più importante esempio di algebra di Lie risolubile è invece dato dallo spazio bn R delle
matrici triangolari superiori n × n. Di nuovo, ogni sottoalgebra di bn R è a sua volta risolubile.
Ogni rappresentazione di un’algebra di Lie risolubile su uno spazio vettoriale V consiste, in
termini di una base opportuna, di matrici triangolari superiori.
Se h è un ideale in un algebra di Lie g, allora g è risolubile se e solo se h e g/h sono algebre
di Lie risolubili. La somma di due ideali risolubili in un algebra di Lie g è ancora risolubile.
Ne segue che la somma di tutti gli ideali risolubili in g è un ideale risolubile massimale, detto
radicale di g, Rad(g). Il quoziente g/Rad(g) è semisemplice.
Ogni algebra di Lie semisemplice è inoltre perfetta. Una importante conseguenza delle defi-
nizioni date sopra è che un algebra di Lie è semisemplice se e solo se non possiede ideali abeliani
non banali. Un’algebra di Lie semisemplice non può quindi avere un centro e la sua rappre-
sentazione aggiunta è fedele. Si può in effetti dimostrare che ogni algebra di Lie possiede una
rappresentazione fedele (teorema di Ado).
Per completezza enunciamo i due principali teoremi riguardanti le algebre di Lie nilpotenti,
anche se non li utilizzeremo nel seguito.

Teorema di Engel Sia g ⊂ gl(V ) una qualsiasi sottoalgebra di Lie tale che ogni X ∈ g è
un endomorfismo nilpotente di V . Allora esiste un vettore non nullo v ∈ V tale che X(v) =
0 , ∀ X ∈ g.

Questo teorema riveste un ruolo di primaria importanza in quanto implica l’esistenza di


una base per V in termini della quale gli elementi dell’algebra sono rappresentati da matrici
strettamente triangolari superiori.

Teorema di Lie Sia g ⊂ gl(V ) un algebra di Lie risolubile complessa. Allora esiste un vettore
non nullo v ∈ V che è autovettore di X, per ogni X ∈ g.

Si può dimostrare che ogni rappresentazione irriducibile di un’algebra di Lie risolubile g è


unidimensionale e che Dg agisce banalmente su di essa. Inoltre il teorema di Lie implica che
le rappresentazioni irriducibili di algebre di Lie arbitrarie sono tutte ben conosciute quando lo
sono quelle semisemplici. Infatti si ha che, data un’algebra di Lie g e posto gss = g/Rad(g),
ogni rappresentazione irriducibile di g è della forma V = V0 ⊗ L, dove V0 è una rappresentazione
irriducibile di gss e L è una rappresentazione unidimensionale.

2.2.1 Algebre di Lie semisemplici


Molte delle principali proprietà che hanno facilitato il nostro studio dei gruppi finiti e delle loro
rappresentazioni cessano di essere valide in generale per gruppi e algebre di Lie. In particolare
non è più vero che ogni rappresentazione sia completamente riducibile. Se tuttavia restringiamo
il nostro interesse alle algebre di Lie semisemplici questa proprietà fondamentale torna ad essere
vera.

Teorema di completa riducibilità Sia V una rappresentazione di un’algebra di Lie semi-


semplice g e sia W ⊂ V un sottospazio invariante sotto l’azione di g. Allora esiste un sottospazio
invariante W 0 ⊂ V complementare a W e anch’esso invariante sotto l’azione di g.

Un altro fatto importante che non vale più in generale per i gruppi di Lie è la possibilità che
l’azione di un elemento di un’algebra o di un gruppo di Lie possa non essere diagonalizzabile.
Può anche accadere che l’azione di qualche elemento dell’algebra di Lie sia diagonalizzabile in

32
una data rappresentazione ma non in un’altra. La trattazione si semplifica di nuovo restrin-
gendo il nostro interesse alle algebre di Lie semisemplici. Per vedere questo introduciamo la
decomposizione di Jordan

ogni endomorfismo X di uno spazio vettoriale V può essere unicamente scritto nella forma:

X = Xs + Xn ,

dove Xs è diagonalizzabile, Xn è nilpotente e i due commutano.

Teorema di preservazione della decomposizione di Jordan Sia g un’algebra di Lie


semisemplice. Per ogni elemento X ∈ g, esistono Xs , Xn ∈ g tali che, per ogni rappresentazione
ρ : g → gl(V ) si ha

ρ(X)s = ρ(Xs ) e ρ(X)n = ρ(Xn ) .

Questo significa che la parte diagonalizzabile e quella nilpotente di ogni elemento X ∈ g


appartengono separatamente a g e sono indipendenti dalla particolare rappresentazione ρ.
Questi teoremi possono essere dimostrati sia in modo puramente algebrico sia in modo più
immediato ricorrendo al trucco unitario introdotto da Hermann Weyl. Questo metodo si basa sul
fatto che ogni algebra di Lie semisemplice complessa g possiede un’unica forma reale compatta,
i.e. esiste un’unica algebra di Lie reale g0 la cui complessificazione g0 ⊗ C = g e tale che la
forma semplicemente connessa dell’algebra di Lie g0 è un gruppo di Lie compatto G. Come per
ogni gruppo finito esiste un prodotto hermitiano invariante, cosı̀ per un gruppo di Lie compatto
esiste una misura di integrazione invariante (misura di Haar). Usando questa misura è possibile
dimostrare la completa riducibilità delle rappresentazioni del gruppo compatto G procedendo
esattamente nello stesso modo che per i gruppi finiti. Per dimostrare la completa riducibilità
delle rappresentazioni dell’algebra si restringe una data rappresentazione di g a g0 , si esponenzia
ottenendo una rappresentazione di G per la quale vale la completa riducibilità e da questa segue
la completa riducibilità della rappresentazione originale. Il metodo di Weyl consiste quindi
nell’associare ad ogni rappresentazione di un’algebra di Lie una rappresentazione di un gruppo
di Lie compatto e lavorare con essa.
Concludiamo anticipando il fatto che esiste una completa classificazione delle algebre di Lie
semisemplici complesse, un risultato che verrà dimostrato nell’ultimo capitolo di questa tesi.
Salvo cinque eccezioni, tutte le algebre di Lie semplici complesse sono isomorfe a sl(n, C), o a
so(n, C), oppure a sp(2n, C) per un certo n. Le cinque eccezioni sono denotate da g2 , f4 , e6 , e7 ,
e e8 . Le algebre sl(n, C) (per n > 1), so(n, C) (per n > 2) e sp(2n, C) sono chiamate algebre
di Lie classiche (e i gruppi corrispondenti gruppi di Lie classici) mentre le restanti cinque sono
dette algebre di Lie eccezionali (e i gruppi corrispondenti gruppi di Lie eccezionali).

2.3 Rappresentazioni
Abbiamo già definito cosa si intende per rappresentazione ρ di un’algebra di Lie. Si tratta di
una mappa lineare
ρ : g → End(V ) , (2.24)
tale che
ρ([X, Y ]) = [ρ(X), ρ(Y )] , ∀X, Y ∈ g . (2.25)
Ogni rappresentazione di un gruppo di Lie induce una rappresentazione dell’algebra di Lie
corrispondente e viceversa.

33
Ogni algebra di Lie possiede almeno una rappresentazione non banale, la rappresentazione
aggiunta.
ad(X)(Y ) = [X, Y ] .
In questo caso lo spazio vettoriale della rappresentazione è l’algebra stessa. Che la mappa ad
sia una rappresentazione è una conseguenza dell’identità di Jacobi.
La definizione di somma diretta di rappresentazioni e di duale di una rappresentazione è
la stessa che per il gruppo. Diversa è invece la definizione del prodotto tensoriale di rappre-
sentazioni dell’algebra. Ricordiamo che l’azione del gruppo G sul prodotto tensoriale di due
rappresentazioni V1 ⊗ V2 è definita come

ρ : G → End(V1 ⊗ V2 ) , g → ρ1 (g) ⊗ ρ2 (g) .

Poiché gli elementi dell’algebra si ottengono derivando quelli del gruppo, l’azione dell’algebra di
Lie sul prodotto tensoriale è definita nel modo seguente

ρ : g → End(V1 ⊗ V2 ) , Ω → ρ1 (Ω) ⊗ 1 + 1 ⊗ ρ2 (Ω) ,

dove qui 1 è l’identità.


Come vedremo in seguito, la struttura delle algebre di Lie risulta molto più chiara se si sce-
glie una base opportuna per lo spazio vettoriale g. Gli elementi della base sono detti generatori
dell’algebra. Se n = dim(g), scelta una base generica formata da n vettori linearmente indipen-
denti tα (con α = 1, ..., n) le relazioni di commutazione tra i generatori si possono scrivere nel
modo seguente
[tα , tβ ] = fαβ γ tγ .
Le quantità fαβ γ tγ sono dette costanti di struttura dell’algebra di Lie e sono numeri reali. Se
X = xα tα e Y = y β tβ abbiamo
[X, Y ] = fαβ γ xα y β . (2.26)
Per un’algebra abeliana fαβ γ = 0.

2.3.1 La forma di Killing


Un altro strumento essenziale per lo studio delle algebre di Lie è una forma bilineare simmetrica
e invariante g(X, Y ) detta forma di Killing. L’invarianza di una forma bilineare significa che

g([Z, X], Y ) + g(X, [Z, Y ]) = 0 , , ∀X, Y, Z ∈ g .

L’equazione precedente è la forma infinitesima dell’invarianza di g(X, Y ) rispetto all’azione ag-


giunta del gruppo G, come è facile verificare. La forma di Killing è definita coma la traccia della
composizione degli elementi X ed Y nella rappresentazione aggiunta dell’algebra

g(X, Y ) ≡ tr (ad(X)ad(Y )) . (2.27)

Specializzando la forma di Killing ai generatori ed utilizzando le costanti di struttura troviamo

g(tα , tβ ) = gαβ = fαδ γ fβγ δ . (2.28)

La forma di Killing delle algebre semplici è unica a meno di un fattore di normalizzazione. In


particolare le forme associate ad ogni altra rappresentazione dell’algebra

ḡαβ = TrV (ρ(tα ) ρ(tβ )) ,

sono tutte proporzionali tra loro. Vale il seguente importante teorema:

34
Teorema di Cartan La forma di Killing è non degenere se e solo se l’algebra di Lie è
semisemplice.

Dimostrazione Consideriamo un gruppo di Lie G e la sua algebra di Lie g. Supponiamo


che l’algebra sia semplice. Se la forma di Killing fosse degenere, posto h = {X : g(X, Y ) =
0 , ∀Y ∈ g} si verifica subito che h sarebbe un ideale non banale di g. Infatti g(Y, [Z, X]) =
−g([Z, Y ], X) = 0, per ogni Z, Y ∈ g, X ∈ h. Questo è impossibile essendo l’algebra per ipotesi
semplice. Dato che un’algebra semisemplice è somma diretta di algebre semplici e la forma di
Killing somma diretta delle forme dei fattori semplici, lo stesso ragionamento mostra anche che
la forma di Killing è non degenere per algebre semisemplici.
Per dimostrare l’altra implicazione supponiamo ora che la forma di Killing dell’algebra g sia
non degenere. Supponiamo che esista una sottoalgebra invariante abeliana h. Denotiamo con tα
i generatori di g. Scegliamo come base per g una base formata dai generatori di h, che denotiamo
con ti , e da una base ta di generatori linearmente indipendenti per il sottospazio complementare
ad h. Denotiamo con tα la base completa di generatori. Abbiamo
[ti , tj ] = 0 , [tα , ti ] ∈ h , (2.29)
essendo h per ipotesi una sottoalgebra abeliana e invariante. In termini delle costanti di struttura
questo equivale a
fij k = fij a = 0 , fαi b = fiα b = 0 . (2.30)
Calcoliamo ora il prodotto tra X ∈ h e un arbitrario elemento dell’algebra Y
 
g(X, Y ) = xi y α g(ti , tα ) = xi y α fiβ γ fαγ β = xi y α fiβ j fαj β + fiβ d fαd β
 
= xi y α fiβ j fαj β = xi y α fik j fαj k + fic j fαj c = 0 . (2.31)

Questo implica che g(X, Y ) = 0 per X ∈ h e per qualunque Y ∈ g e quindi che la forma di
Killing è degenere, contrariamente all’ipotesi. L’algebra g è pertanto semplice.
Un altro risultato importante è che la forma di Killing della forma compatta di un’algebra
di Lie è definita negativa.
Diamo ora qualche esempio esplicito di forma di Killing usando le algebre su(n). Ricordiamo
che
SU (n) = {M ∈ GL(n, C) : M † = M −1 , det(M) = 1} ,
è un gruppo compatto (le entrate di una matrice unitaria sono numeri complessi di modulo
minore o uguale ad uno). L’algebra di Lie corrispondente è l’algebra delle matrici antihermitiane
a traccia nulla e dimR (su(n)) = n2 − 1.
Il primo membro della famiglia delle algebre su(n) è l’algebra di Lie su(2) che ha dimensione
tre. Scegliamo come base
     
3 i 0 2 0 1 1 0 i
D = iσ = , M12 = iσ = , M̂12 = iσ = , (2.32)
0 −i −1 0 i 0
dove le σ i sono le tre matrici di Pauli.
L’azione aggiunta di una delle matrici sulle altre è data da:
[D, M12 ] = 2M̂12 , [D, M̂12 ] = −2M12 , [M12 , M̂12 ] = 2D .
Da queste relazioni possiamo dedurre la forma dei generatori nella rappresentazione aggiunta
(che ha dimensione tre)
     
0 0 0 0 0 2 0 −2 0
D = 0 0 −2 ,
  M12 =  0 0 0 , M̂12 = 2 0 0  .
0 2 0 −2 0 0 0 0 0

35
Dalla definizione g(tα , tβ ) = T rV (ρ(tα ), ρ(tβ )) troviamo, dato che gli unici elementi non nulli
sono quelli diagonali,

g(D, D) = g(M12 , M12 ) = g(M̂12 , M̂12 ) = −8 . (2.33)

La forma di Killing è pertanto  


−8 0 0
g =  0 −8 0  . (2.34)
0 0 −8
La forma di Killing è definita negativa e non singolare, come deve essere per un’algebra di Lie
compatta quale su(2) ∼ = so(3). La forma di Killing nella rappresentazione bidimensionale
 
−2 0 0
g2d =  0 −2 0  ,
0 0 −2

è proporzionale a quella nella aggiunta, come deve essere per un’algebra di Lie semplice.

Come secondo esempio consideriamo l’algebra su(3), di dimensione otto. Generalizzando le


scelte fatte per su(2) abbiamo due matrici diagonali
   
i 0 0 0 0 0
D1 = 0 −i 0 , D2 = 0 i 0  ,
0 0 0 0 0 −i

tre matrici a entrate reali


     
0 1 0 0 0 1 0 0 0
M12 = −1 0 0 , M13 =  0 0 0 , M23 = 0 0 1 ,
0 0 0 −1 0 0 0 −1 0

e infine tre matrici a entrate immaginarie pure


     
0 i 0 0 0 i 0 0 0
M̂12 =  i 0 0 , M̂13 = 0 0 0 , M̂23 = 0 0 i  .
0 0 0 i 0 0 0 i 0

Limitiamoci alla restrizione della forma di Killing al sottospazio dei generatori diagonali D1 e
D2 . Per questo abbiamo bisogno dell’azione aggiunta di D1 e D2

D1 : M12 → 2M̂12 , M̂12 → −2M12 , D2 : M12 → −M̂12 M̂12 → M12 ,


D1 : M13 → M̂13 , M̂13 → −M13 , D2 : M13 → M̂13 M̂13 → −M13 ,
D1 : M23 → −M̂23 , M̂23 → M23 , D2 : M23 → 2M̂23 M̂23 → −2M23 .

Usando queste formule troviamo


 
−12 6
g(Di , Dj ) = trad D1 D2 = .
6 −12

Se calcoliamo la stessa quantità usando la rappresentazione tridimensionale dell’algebra abbiamo


 
−2 1
ḡ(Di , Dj ) = .
1 −2

36
Il risultato è proporzionale a quello nell’aggiunta, come deve.
Nelle prossime sezioni studieremo in dettalgio le algebre di Lie semplici, cominciando con
su(2). La comprensione di su(2) e su(3) permette infatti di descrivere senza dover introdurre
nessun nuovo concetto il caso generale.
Prima di procedere sottolineiamo che studieremo algebre di Lie complesse. Fino ad ora
abbiamo considerato le algebre di Lie come algebre sui numeri reali. Questo significa che dati
i generatori tα , un generico elemento dell’algebra è una combinazione lineare dei generatori a
coefficienti reali (non ci sono invece restrizioni sulle entrate delle matrici che rappresentano i
generatori che possono essere reali o complesse). In particolare le costanti di struttura

[tα , tβ ] = fαβ γ tγ , (2.35)

sono quantità reali. Come già osservato seguiamo la convenzione comune nella letteratura ma-
tematica sulle algebre di Lie utilizzando generatori antihermitiani. Nella letteratura fisica si
preferisce lavorare con generatori hermitiani. Le relazioni di commutazione si scrivono allora

[tα , tβ ] = ifαβ γ tγ , (2.36)

in modo che le costanti di struttura siano sempre reali per un’algebra reale.
Data un’algebra reale g possiamo considerare la sua complessificazione

gC = g ⊗ C , (2.37)

che consiste nel prendere combinazioni lineari a coefficienti complessi dei generatori di g. Algebre
di Lie reali distinte possono dare origine alla stessa algebra di Lie complessa. L’insieme di tutte
le algebre di Lie reali che a seguito della complessificazione dà la stessa algebra di Lie complessa
gC è detto l’insieme delle forme reali di gC . Il vantaggio di lavorare sul campo complesso è che si
tratta di un campo algebricamente chiuso. Questo permette di diagonalizzare l’azione aggiunta
dell’algebra. Un risultato molto importante è che ogni algebra di Lie complessa semi-semplice
possiede sempre un’unica forma reale compatta.
Un semplice esempio è il caso di su(2) e di sl(2, R). Le combinazioni lineari a coefficienti
complessi delle matrici in (2.32) danno lo spazio delle matrici complesse a traccia nulla, i.e.
l’algebra sl(2, C). Allo stesso modo le combinazioni a coefficienti complessi dei generatori di
sl(2, R) danno ovviamente sl(2, C). Vediamo quindi come su(2) e sl(2, R) sono due forme reali
distinte di sl(2, C), la prima compatta, la seconda non compatta.
In generale la complessificazione delle algebre su(n) coincide con sl(n, C) che nel seguito
denoteremo semplicemente con sln . Le algebre su(n) sono la forma reale compatta delle algebre
complesse sln

2.3.2 Rappresentazioni di sl2


Consideriamo per sl2 la base formata dalle tre matrici
     
1 0 0 1 0 0
H= , E= , F = ,
0 −1 0 0 1 0

con le relative relazioni di commutazione

[H, E] = 2E , [H, F ] = −2F , [E, F ] = H .

Vediamo che E e F sono operatori di abbassamento e innalzamento che cambiano l’autovalore di


H di ±2. Questa base semplifica considerevolmente l’analisi delle rappresentazioni dell’algebra

37
sl2 . Supponiamo che V sia una rappresentazione irriducibile di dimensione finita. La conserva-
zione della decomposizione di Jordan implica che l’azione di H su V è diagonalizzabile. Questo
permette di decomporre lo spazio di rappresentazione in autospazi di H
M
V = Vα , (2.38)
α

dove gli α sono numeri α ∈ C tali che per ogni v ∈ Vα si ha

H(v) = α · v .

Studiamo ora l’azione di E e F sugli spazi Vα . Abbiamo

HE(v) = [H, E]v + EH(v) = 2E(v) + αE(v) = (2 + α)E(v) .

Quindi E(v) è un autovettore di H con autovalore 2 + α , cioè

E : Vα → Vα+2 .

In modo simile si vede che


F : Vα → Vα−2 . (2.39)
L
Di conseguenza, per ogni α0 che compare nella decomposizione (2.38), il sottospazio n∈Z Vα0 +2n
è un sottospazio invariante e deve quindi coincidere, per l’ipotesi di irriducibilità, con V . Gli
autovalori di H su V formano allora una successione di numeri del tipo β, β +2, β +4, ..., β +2k.
Denotiamo con n l’ultimo numero della successione. Se v ∈ Vn , essendo Vn+2 = {0}, abbiamo

che E(v) = 0 , ∀ v ∈ Vn . Mostriamo che i vettori ottenuti tramite l’azione ripetuta di F su Vn ,


{v, F (v), F 2 (v), ...} sono una base per V . Per far questo basta mostrare che il sottospazio W
generato da questi vettori è un sottospazio invariante. Questo è ovvio per l’azione di H e di F .
Studiamo l’azione di E. Abbiamo

EF (v) = [E, F ](v) + F E(v) = H(v) + 0 = nv ,

e in modo simile

EF 2 (v) = [E, F ]F (v) + F EF (v) = HF (v) + F (nv) = (n − 2)F (v) + nF (v) = (2n − 2)F (v) .

In generale

EF m (v) = ((n − 2m + 2) + (n − 2m + 4) + · · · (n − 4) + (n − 2) + n) F m−1 (v)

38
o
EF m (v) = m(n − m + 1)F m−1 (v) .
Anche E rispetta W e quindi V = W . Questa costruzione mostra anche che tutti gli autospazi
Vα di H sono unidimensionali. Sia adesso k il più piccolo valore intero per cui F k v 6= 0 e
F k+1 v = 0. Abbiamo
EF k+1 (v) = (k + 1)(n − k)F k (v) = 0 , (2.40)
che implica
n=k∈N. (2.41)
Concludiamo che il numero n è un numero intero non negativo e che di conseguenza, gli autovalori
α di H su V formano una sequenza di interi distanti l’uno dall’altro ±2 e simmetrici rispetto allo
zero in Z. Per ogni intero n esiste al più un’unica rappresentazione V (n) di dimensione n + 1
i cui autovalori formano la sequenza n, n − 2, n − 4, ..., −n + 2, −n. Possiamo inoltre notare
dalla simmetria degli autovalori che, una qualsiasi rappresentazione V di sl(2, C) tale che gli
autovalori di H abbiano tutti la stessa parità e tale che essi si presentino tutti con molteplicità
1, è necessariamente irriducibile. Più in generale, il numero di componenti irriducibili di una
rappresentazione arbitraria V di sl2 coincide con la somma delle molteplicità di 0 ed 1 come
autovalori di H.
Diamo ora una costruzione esplicita delle rappresentazioni V (n) mostrandone in questo modo
l’esistenza. La rappresentazione unidimensionale banale C è proprio V (0) . Abbiamo poi la
rappresentazione standard bidimensionale V = C2 che abbiamo usato per definire l’algebra
sl2 . Se x e y formano la base standard per C2 , abbiamo H(x) = x e H(y) = −y e quindi
V = C · x ⊕ C · y = V−1 ⊕ V1 che coincide con la rappresentazione V (1) .
Consideriamo ora il prodotto tensoriale di due rappresentazioni bidimensionali V (1) . Se
denotiamo i vettori di base dei due spazi con xi e yi (i = 1, 2), una base per il prodotto
tensoriale è data dai quattro vettori: x1 x2 , x1 y2 , x2 y1 , y1 y2 . I loro autovalori rispetto ad H
sono rispettivamente +2, 0, 0, −2 e quindi, per quanto mostrato sopra, si ha

V ⊗ V = V (2) ⊕ V (0) .

Iterando questa costruzione studiamo il prodotto tensoriale di V con V (n) . Gli autovalori di H
sono
(n + 1), 2 · (n − 1), 2 · (n − 3), ..., 2 · (−n + 3), 2 · (−n + 1), −(n + 1) ,
e quindi
V ⊗ V (n) = V (n+1) ⊕ V (n−1) .
Per induzione questo procedimento dimostra l’esistenza di tutte le rappresentazioni V (n) .
Possiamo caratterizzare in modo più preciso queste rappresentazioni mostrando che V (n) è
data dal prodotto tensoriale simmetrico di n copie di V (1) . Consideriamo per primo il caso del
quadrato simmetrico di V , W = Sym2 (V ). Una base per questo spazio è data da i vettori
{x2 , xy, y 2 }. Dall’azione di H

H(x · x) = x · H(x) + H(x) · x = 2x · x ,


H(x · y) = x · H(y) + H(x) · y = 0 ,
H(y · y) = y · H(y) + H(y) · y = −2y · y ,

vediamo che W = W−2 ⊕ W0 ⊕ W2 e quindi che W = V (2) . In generale l’azione di H sulla base
{xn , xn−1 y, ..., y n } dell’n-esima potenza simmetrica Symn V di V è

H(xn−k y k ) = (n − k) · H(x) · xn−k−1 + k · H(y) · xn−k y k−1 = (n − 2k) · xn−k y k .

39
Gli autovalori di H su Symn V sono pertanto n, n − 2, ..., −n e quindi

V (n) = Symn V .

Come anticipato, concludiamo che ogni rappresentazione irriducibile di sl2 è una potenza simme-
trica della rappresentazione standard V ∼= C2 . Per il prodotto di due rappresentazioni irriducibili
si ha
n+m
M
(n) (m)
V ⊗V = V (l) ,
l=|n−m|

dove il passo tra un indice l e l’altro è pari a 2.

2.4 L’algebra di Lie sl3


L’algebra di Lie sl3 è lo spazio vettoriale delle matrici complesse 3 × 3 a traccia nulla. Il suo
studio richiede di introdurre alcune nuove idee. Tutte le altre algebre di Lie semplici complesse
potranno essere analizzate nello stesso modo.
Nel caso di sl2 , abbiamo iniziato individuando una base {H, E, F } per l’algebra di Lie e
diagonalizzato l’azione aggiunta del generatore H. La prima differenza che incontriamo nel caso
di sl3 è che è necessario diagonalizzare l’azione non di un solo elemento ma di una sottoalgebra,
detta in generale sottoalgebra di Cartan.
Al posto del singolo elemento H ∈ sl2 , ci serviamo ora di un sottospazio h ⊂ sl3 , il sottospazio
bidimensionale di tutte le matrici diagonali. L’idea è basata sul fatto che matrici commutanti
sono simultaneamente diagonalizzabili. Per descrivere la diagonalizzazione simultanea di tutti
gli elementi della sottoalgebra h conviene introdurre alcune definizioni.
Con autovettore per h intendiamo un vettore v ∈ V che è un autovettore per ogni H ∈ h.
L’azione di H su un tale vettore è data da

H(v) = α(H) · v , ∀H ∈ h , (2.42)

dove α(H) è uno scalare linearmente dipendente da H, i.e. α ∈ h∗ . Definiamo allora autovalore
per l’azione di h un elemento α ∈ h∗ tale che esista un elemento non nullo v ∈ V per il quale sia
soddisfatta l’equazione precedente. L’autospazio Vα associato all’autovalore α è il sottospazio di
tutti i vettori v ∈ V che soddisfano l’equazione (2.42). Vediamo quindi che
Ogni rappresentazione finito-dimensionale V di sl3 possiede una decomposizione

V = ⊕Vα ,

dove Vα è un autospazio per h e α prende valori su un sottoinsieme finito di h∗ .

Generalizzeremo più avanti questa costruzione ad ogni algebra di Lie semi-semplice. Sarà
sempre possibile trovare una sottoalgebra abeliana h ⊂ g tale che la sua azione su ogni rappre-
sentazione V sia diagonalizzabile e sia pertanto possibile decomporre V in una somma diretta
di autospazi Vα per l’azione di h. Questa sottoalgebra è detta sottoalgebra di Cartan di g.
Vediamo ora come generalizzare gli operatori di innalzamento e di abbassamento di sl2 . Dalle
relazioni di commutazione

[H, E] = 2E [H, F ] = −2F ,

vediamo che E ed F sono autovettori per l’azione aggiunta di H su sl2 . L’idea anche nel caso di
sl3 è studiare l’azione aggiunta della sottoalgebra di Cartan su sl3 e decomporre sl3 in autospazi

40
di h !
M
sl3 = h ⊕ gα ,
α∈∆

dove α varia su un sottoinsieme finito ∆ ⊂ h∗ e h agisce su ogni spazio gα nel modo seguente
H ∈ h e Y ∈ gα ,

[H, Eα ] = ad(H)(Eα ) = α(H) · Eα , ∀H ∈ h , ∀Eα ∈ gα .

Gli autovalori permessi non nulli α ∈ ∆ sono detti radici dell’algebra di Lie g, e il corrispondente
sottospazio gα è detto spazio della radice. Il sottospazio g0 relativo al vettore nullo in h∗ è
l’algebra di Cartan h. Il vettore nullo non viene solitamente considerato una radice e quindi
0∈ / ∆.
Descriviamo esplicitamente questa decomposizione. Per sl3 la sottoalgebra di Cartan è
formata dalle matrici
  
 a1 0 0 
h =  0 a2 0  : a1 + a2 + a3 = 0 .
0 0 a3
 

Come base per sl3 prendiamo, oltre ai generatori dell’algebra di Cartan, le sei matrici Eij con
i 6= j la cui unica entrata non nulla è quella nella riga i-esima e colonna j-esima ed è pari ad
uno
(Eij )kl = δik δjl . (2.43)
Si verifica immediatamente che le matrici Eij sono autostati per l’azione aggiunta di h con
autovalore (ai − aj ). Il duale dell’algebra di Cartan è

h∗ = C{L1 , L2 , L3 }/(L1 + L2 + L3 = 0) ,

dove i funzionali lineari Li agiscono nel modo seguente


 
a1 0 0
Li  0 a2 0  = ai , i = 1, 2, 3 .
0 0 a3

I funzionali lineari α ∈ h∗ che appaiono nella decomposizione dell’algebra di Lie sono quindi i
sei funzionali Li − Lj (i 6= j) e lo spazio gLi −Lj è generato dall’elemento Eij . La struttura degli
autovalori è rappresentata in figura (2.1).
Questa figura rende trasparente l’azione aggiunta dell’algebra su se stessa. La sottoalgebra
h manda ovviamente ognuno dei sottospazi gα in se stesso. Per capire la struttura degli altri
commutatori, consideriamo E ∈ gα e F ∈ gβ . Usando l’identità di Jacobi troviamo

[H, [E, F ]] = [E, [H, F ]] + [[H, E], F ] = (α(H) + β(H)) · [E, F ] .

Il commutatore [E, F ] appartiene all’autospazio con autovalore α + β

[gα , gβ ] ⊂ gα+β .

Pertanto
ad(gα ) : gβ → gα+β .
Questo significa che l’azione di ad(gα ) rispetta la decomposizione dell’algebra di Lie, traslando
ogni autospazio gβ (che corrisponde ad un punto del reticolo) nel sottospazio gα+β (che cor-
risponde al punto traslato di α). Un esempio è riportato nella figura (2.2). Ogni autospazio

41
Figura 2.1: Reticolo delle radici di sl(3, C)

gα è unidimensionale. La base dell’algebra formata dai generatori degli autospazi gα e da due


arbitrari generatori di h è detta base di Cartan-Weyl di sl3 .
Consideriamo adesso una rappresentazione arbitraria V . Anche in questo caso possiamo
decomporla in autospazi V = ⊕α Vα per l’azione di h. Sia poi E ∈ gα e v ∈ Vβ . Con un calcolo
analogo a quello fatto in precedenza troviamo

HE(v) = EH(v) + [H, E](v) = E(β(H) · v) + (α(H) · E)(v) = (α(H) + β(H)) · E(v) ,

che implica
gα : Vβ → Vα+β .
Questo significa che gli autovalori α che compaiono in una rappresentazione irriducibile di sl3
differiscono l’uno dall’altro per una combinazione lineare dei vettori Li − Lj ∈ h∗ . I vettori
Li − Lj ∈ h∗ generano un reticolo in h∗ , che per definizione, è composto da tutte le combinazioni
lineari intere di Li − Lj ∈ h∗ . Questo reticolo è detto reticolo delle radici e sarà indicato come
ΛR .
Gli autovalori di h in una rappresentazione arbitraria sono invece chiamati pesi della rap-
presentazione. Vediamo che i pesi di una rappresentazione sono congruenti modulo vettori
appartenenti al reticolo delle radici.

2.4.1 Rappresentazioni di sl3


La struttura delle rappresentazioni di sl2 è divenuta immediatamente chiara una volta identifica-
to un vettore di peso massimo v annullato dall’operatore innalzamento E. La rappresentazione
è infatti formata dai vettori ottenuti agendo ripetutamente con F su v. Per generalizzare questa
costruzione a sl3 dobbiamo introdurre un ordinamento tra i pesi di una rappresentazione.
Introduciamo per far questo un funzionale lineare

l : ΛR → R ,

che estendiamo per linearità ad un funzionale lineare l : h∗ → C. Per evitare ambiguità,


dobbiamo scegliere l irrazionale rispetto al reticolo ΛR . Definiamo positive (negative) le radici

42
Figura 2.2: Azione di gL1 −L3 sull’algebra di Lie.

α tali che l(α) > 0 (l(α) < 0). Definiamo vettore di peso massimo un vettore v appartenente
all’autospazio Vα per il quale la parte reale di l(α) è massima.
In questo modo, come nel caso di sl2 , abbiamo per costruzione un vettore v che è autovettore
di h e che è allo stesso tempo nel nucleo dell’azione di gβ per ogni radice positiva. Il vettore v
viene quindi annullato dalla metà degli spazi di radici gβ , che giocano il ruolo di operatori di
innalzamento. Agendo sullo stato di peso massimo con la restante metà dei generatori gβ , quelli
con l(β) < 0, si ottiene una rappresentazione irriducibile.
Rendiamo esplicita questa costruzione. Un generico funzionale lineare su h∗ è specificato da
tre numeri ri a somma nulla

l(c1 L1 + c2 L2 + c3 L3 ) = r1 c1 + r2 c2 + r3 c3 .

Supponiamo che r1 > r2 > r3 (come vedremo il risultato non dipende da questa scelta, altre
scelte darebbero un risultato equivalente). In questo modo gli autospazi gα ∈ g con l(α) > 0
sono precisamente gL1 −L2 , gL1 −L3 e gL2 −L3 . Essi corrispondono a matrici con un’entrata non
nulla sopra la diagonale principale. Quindi per i < j le matrici Eij generano gli spazi di radici
positive mentre le matrici Eji generano gli spazi di radici negative. Definiamo poi

Hij = [Eij , Eji ] = Eii − Ejj ∈ h .

Sia ora V una rappresentazione irriducibile di dimensione finita di sl3 . Il vettore di peso massimo
v è annullato da E12 , E13 e E23

E12 (v) = E13 (v) = E23 (v) = 0 .

Si dimostra facilmente che lo spazio che si ottiene agendo ripetutamente su v con gli operatori
E21 , E31 , E32 coincide con V . Per vedere questo notiamo che è sufficiente utilizzare E21 e E32
essendo
[E21 , E32 ] = E13 . (2.44)

43
Figura 2.3: Possibile scelta dell’iperpiano che determina le radici positive di sl(3, C).

Notiamo inoltre che tutti gli autovalori β ∈ h∗ presenti in V appartengono al settore del piano
con vertice in α e delimitato dalle rette lungo L2 − L1 e L3 − L2 (Figura 2.5). Consideriamo ora
il sottospazio W ⊆ V costituito dalle immagini di v sotto l’azione degli operatori E21 , E31 , E32 .
Se mostriamo che W è invariante rispetto all’azione di sl3 , abbiamo anche mostrato che W = V ,
essendo V irriducibile. Dobbiamo assicurarci che E12 e E23 mappino W in se stesso. Cominciamo
con il vettore E21 (v). Se agiamo con E12 troviamo
E12 (E21 (v)) = E21 (v)(E12 (v)) + [E12 , E21 ](v) = α([E12 , E21 ]) · v ,
dove abbiamo usato il fatto che E12 (v) = 0 e [E12 , E21 ] = H12 ∈ h. In modo analogo
E23 (E21 (v)) = E21 (v)(E23 (v)) + [E23 , E21 ](v) = 0 ,
poiché E23 (v) = 0 e [E23 , E21 ] = 0.

Con un calcolo praticamente identico possiamo mostrare che anche E32 (v) rimane in W sotto
l’azione di E12 e E23 .
Per vedere che questo è vero in generale, siano wn tutti gli operatori formati agendo in
tutti i modi possibili con n E21 e E32 e sia Wn lo spazio vettoriale formato dai vettori wn (v).
W è chiaramente l’unione di tutti gli spazi Wn . Per provare l’invarianza di W mostriamo che
E12 e E23 mappano Wn in Wn−1 . Possiamo scrivere wn ∈ Wn come wn = E21 (wn−1 ) o come
wn = E32 (wn−1 ) dove in entrambi i casi wn−1 ∈ Wn−1 e sarà per costruzione un autovettore di
h con un certo autovalore β. Abbiamo nel primo caso
E12 wn = E12 (E21 (wn−1 )) = E21 (E12 (wn−1 )) + [E12 , E21 ](wn−1 )
= E21 (wn−2 ) + β([E12 , E21 ]) · wn−1 , (2.45)
dove wn−2 ≡ E12 (wn−1 ) è per induzione un elemento contenuto in Wn−2 e abbiamo usato il
fatto che [E12 , E21 ] = H12 ∈ h, e
E23 wn = E23 (E21 (wn−1 )) = E21 (E23 (wn−1 )) + [E23 , E21 ](wn−1 ) = E21 (ŵn−2 ) , (2.46)

44
Figura 2.4: Frazione di piano occupata dai β ∈ h∗ .

dove ŵn−2 ≡ E23 (wn−1 ) è anch’esso, per induzione, un elemento di Wn−2 . Possiamo fare un
calcolo analogo nel caso wn = E32 (wn−1 ). Vediamo che il vettore risultante è contenuto in Wn−1
e questo prova l’invarianza di W .
Ogni rappresentazione irriducibile di dimensione finita di sl3 possiede quindi un unico vettore
di peso massimo. Più in generale, data una rappresentazione arbitraria V e un vettore di peso
massimo v ∈ V con peso α, il sottospazio W generato dall’azione degli operatori di abbassamento
su v è una sottorappresentazione irriducibile di V . Il numero di volte che la rappresentazione
W compare in V coincide con la dimensione dell’autospazio Vα .
Concentriamoci ora sulla struttura delle rappresentazione irriducibili. Il modo più convenien-
k (v) dove v è il vettore di peso massimo. Infatti
te per farlo è guardare alla successione di stati E21
essi vivono in una collezione di autospazi gα , gα+L2 −L1 , gα+2(L2 −L1 ) , ..., che formano una linea
in h∗ al di sopra della quale non possono esserci altri pesi della rappresentazione considerata.
Questi spazi formano una stringa ininterrotta di autospazi non nulli gα+k(L2 −L1 ) , k = 0, 1, ...,
fino ad arrivare al primo m tale che (E21 )m (v) = 0. Dopo di che, avremo gα+k(L2 −L1 ) = {0} per
qualunque k ≥ m. Notiamo a questo punto che gli elementi

E = E12 , F = E21 , H = H12 = [E12 , E21 ]

formano una sottoalgebra di sl3 isomorfa ad sl2 che denoteremo con sL1 −L2 . La somma diretta
degli autospazi di V che stavamo studiando
M
W = Vα+k(L2 −L1 ) ,
k

è un sottospazio invariante per l’azione di sL1 −L2 , infatti è una rappresentazione irriducibile di
sl2 . Da questo deduciamo due informazioni essenziali: gli autovalori di H12 su W sono interi e

45
Figura 2.5: Stringa di autospazi. Non abbiamo punti sopra/a destra della linea in grassetto e
nessun altro punto su di essa tranne quelli segnati.

sono simmetrici rispetto allo zero. Utilizziamo per ora solo la seconda informazione (dalla prima
segue come vedremo che i pesi di ogni rappresentazione di sl3 sono combinazioni a coefficienti
interi dei pesi Li della rappresentazione fondamentale e quindi appartengono al reticolo generato
da questi ultimi, come mostrato nelle figure). La condizione di simmetria rispetto allo zero
implica che la stringa di autovalori debba essere simmetrica rispetto alla linea hH12 , Li = 0 o
l = u(L1 + L2 ) in h∗ .
Chiaramente questa costruzione non si limita a E12 e E21 . In generale per ogni i 6= j, gli
elementi Eij e Eji insieme al loro commutatore [Eij , Eji ] = Hij costituiscono una sottoalgebra
sLi −Lj di sl3 isomorfa ad sl2 . Utilizzando la sottoalgebra sL2 −L3 possiamo concludere che la
stringa di punti corrispondenti agli autospazi Vα+k(L3 −L2 ) è invariante per riflessione rispetto
alla linea hH23 , Li = 0 in h∗ . Consideriamo ora l’ultimo vettore non nullo nella stringa di vettori
generata dall’azione di E21 , v 0 ≡ (E21 )m−1 (v) di peso β = α + (m − 1)(L2 − L1 ), dove m è come
prima, il più piccolo intero tale che (E21 )m (v) = 0. Per costruzione v 0 è annullato da E21 . Ma è
annullato anche da E23 poiché
m−2
X
0 m−1
E23 (v ) = E23 (E21 ) (v) = (E21 )l [E23 , E21 ](E21 )m−2−l (v) + (E21 )m−1 E23 (v) = 0 ,
l=0

visto che E23 (v) = 0 e anche [E23 , E21 ] = 0. Lo stesso vale per E13 :
m−2
X
0 m−1
E1 3(v ) = E13 (E21 ) (v) = (E21 )l [E13 , E21 ](E21 )m−2−l (v) + (E21 )m−1 E13 (v)
l=0

m−2
X
=− (E21 )l E23 (E21 )m−2−l (v) = 0 ,
l=0

poiché E13 (v) = 0 e [E13 , E21 ] = −E23 . Concludiamo di conseguenza che v 0 è un vettore di peso
massimo rispetto al funzionale lineare l con r2 > r1 > r3 , tale che E21 , E13 e E23 sono le radici
positive. Possiamo generare nuovi stati agendo con i corrispondenti operatori di abbassamento

46
Figura 2.6: Simmetria della stringa gα+k(L2 −L1 ) rispetto alla linea hH12 , Li = 0 e simmetria
della stringa gα+k(L3 −L2 ) rispetto alla linea hH23 , Li = 0.

E12 , E31 e E23 . Essendo E32 = [E31 , E12 ] è sufficiente l’utilizzo dei due soli generatori E31 e
E12 . La stringa di autovalori lungo la direzione L3 − L1 è simmetrica per riflessione rispetto alla
linea hH13 , Li = 0. Ragionando come prima, la linea che parte da v 0 terminerà su un vettore v 00
annullato da E31 , E21 e E23 e dal quale possiamo ripartire usando gli operatori di abbassamento
corrispondenti. Procedendo in questo modo tracciamo un poligono, in effetti un esagono, che
delimita la regione di h che può contenere gli autovalori della rappresentazione V . Questo
esagono è simmetrico rispetto alla riflessione in ognuna delle tre linee hH12 , Li = 0, hH23 , Li = 0
e hH13 , Li = 0. Sappiamo già che i punti all’intersezione tra il bordo dell’esagono e il reticolo
generato dagli Li sono pesi della rappresentazione con molteplicità uno. L’insieme di autovalori
include anche tutti i punti interni all’esagono congruenti a quelli sul bordo modulo vettori
appartenenti al reticolo delle radici, come si vede agendo con le sottoalgebre sLi −Lj sui punti
del bordo. Di questi pesi tuttavia non conosciamo ancora la molteplicità.
Sappiamo infine che gli autovalori degli elementi Hij devono essere degli interi. Se di seguito
scriviamo i vari pesi in termini di combinazioni lineari dei vettori di base Li

α = w1 L1 + w2 L2 + w3 L3 ;

questo implica allora che wi − wj ∈ Z. Essendo L1 + L2 + L3 ∼ = 0 vediamo che wi ∈ Z. Come


avevamo anticipato i pesi di ogni rappresentazione appartengono al reticolo generato dagli Li ,
detto appunto reticolo dei pesi che denotiamo ΛW . I pesi di ogni rappresentazione irriducibile
sono inoltre congruenti modulo il reticolo delle radici ΛR , i.e. il reticolo generato da Li − Lj .
Possiamo riconsiderare da questo punto di vista le rappresentazioni di sl2 . Abbiamo visto come
gli autovalori di H in ogni rappresentazione irriducibile siano congruenti l’uno l’altro mod ΛR =
2·Z, ovvero modulo il sottoreticolo generato dagli autovalori di H nela rappresentazione aggiunta

47
(i numeri pari). Il reticolo dei pesi coincide invece con gli interi. I pesi di una rappresentazione
irriducibile partono da un intero n (peso massimo) e vanno fino a −n a passi di due.
Data la simmetria del diagramma dei pesi di una rappresentazione per riflessione rispetto
alle linee che corrispondono ad autovalori nulli degli Hij , i pesi massimi delle rappresentazioni
irriducibili sono nel settore del piano delimitato dalle linee L1 e −L3 , queste linee incluse. In
altre parole i pesi delle rappresentazioni irriducibili sono caratterizzati da due interi positivi
a, b ∈ N
ωa,b = aL1 − bL3 . (2.47)
Possiamo riassumere quanto visto in questa sezione dicendo che per ogni coppia di numeri
naturali [a, b] esiste un’unica rappresentazione Γa,b irriducibile e di dimensione finita di sl(3, C)
con peso massimo ωa,b . Queste rappresentazioni sono tutte e sole le rappresentazioni irriducibile
e di dimensione finita di sl(3, C).

2.4.2 Esempi di rappresentazioni di sl3


Ora che conosciamo la struttura generale delle rappresentazioni di sl3 studiamo qualche esempio
particolare.
Consideriamo per prima la rappresentazione fondamentale su V ∼ = C3 . Gli autovettori di h
sono i vettori di base usuali e1 , e2 ed e3 con autovalori L1 , L2 e L3 . Il diagramma dei pesi per
V è quindi quello in Fig.(2.9). Il vettore di peso massimo è in questo caso L1 e quindi questa
rappresentazione corrisponde a Γ1,0 o [1, 0].
Consideriamo ora la rappresentazione duale V ∗ . Gli autovalori del duale di una rappresen-
tazione di un’algebra di Lie sono semplicemente gli autovalori dell’originale cambiati di segno,

48
Figura 2.7: Simmetria esagonale dei pesi della rappresentazione di sl(3, C).

quindi il diagramma per V ∗ , sempre in Fig.(2.9), ha come vettore di peso massimo −L3 e
corrisponde a Γ0,1 o [0, 1]. Si noti che, mentre nel caso di sl2 i pesi di ogni rappresentazione
erano simmetrici rispetto all’origine, e quindi ogni rappresentazione isomorfa alla sua rappre-
sentazione duale, lo stesso non è vero per sl3 . Infatti il duale della rappresentazione Γa,b è la
rappresentazione Γb,a
Γ∗a,b = Γb,a . (2.48)
Le rappresentazioni equivalenti al proprio duale di sl3 sono le Γa,a o [a, a].
Come terzo caso consideriamo il prodotto tensoriale della rappresentazione V con se stessa.
Questa rappresentazione di dimensione nove è riducibile. Infatti possiamo scrivere

V ⊗ V = Sym2 V ⊕ Λ2 V ,

dove Sym2 V è costituito dai vettori di V ⊗ V invarianti sotto lo scambio dei due spazi vettoriali
di partenza ed ha dimensione sei, mentre Λ2 V è costituito dai vettori dispari rispetto a questo
scambio ed ha dimensione tre. Ora l’azione dell’algebra di Lie sul prodotto tensoriale è invariante
per lo scambio dei due differenti fattori e quindi Sym2 V e Λ2 V sono due sottoraprresentazioni.
Analizziamo separatamente i loro diagrammi dei pesi.
I pesi di Λ2 V sono le somme di coppie di pesi distinti di V : L1 + L2 = −L3 , L1 + L3 = −L2
e L2 + L3 = −L1 . Vediamo quindi che

Λ2 V ∼
=V∗ .

I pesi di Sym2 V sono le somme di coppie di pesi di V : 2L1 , 2L2 , 2L3 , −L3 , −L2 e −L1 e

49
Figura 2.8: Diagramma dei pesi di sl3 nella rappresentazione standard (sinistra) e nella sua
rappresentazione duale (destra).

Figura 2.9: Pesi della rappresentazione 6-dimensionale Sym2 V di sl(3, C).

formano la rappresentazione irriducibile Γ2,0 o [2, 0].


Consideriamo ora il prodotto tensoriale V ⊗ V ∗ . I suoi pesi sono le somme tra i pesi {Li } di
V e i pesi {−LI } di V ∗ , ovvero i funzionali lineari Li − Lj . Per i 6= j hanno tutti molteplicità
uno, mentre lo 0 ha molteplicità tre. Anche questa rappresentazione non è irriducibile. Per
identificare le componenti irriducibili consideriamo la mappa lineare

V ⊗V∗ →C, v ⊗ u∗ → u∗ (v) ,

che è una mappa tra rappresentazioni di sl3 , con C la rappresentazione banale. Possiamo identi-
ficare V ⊗V ∗ con Hom(V, V ), lo spazio delle matrici complesse tre per tre. La mappa precedente
è semplicemente la traccia delle matrici. Il nucleo di questa mappa è una sottorappresentazione
e corrisponde al sottospazio di V ⊗ V ∗ delle matrici a traccia nulla, i.e. la rappresentazione
aggiunta di sl3 che è irriducibile. Si ottiene quindi la decomposizione

V ⊗ V ∗ = 1 ⊕ adj , adj = Γ1,1 = [1, 1] .

Osserviamo ora che se v e w sono stati di peso massimo con pesi α e β appartenenti a due
rappresentazioni irriducibili V e W rispettivamente, allora v ⊗ w è lo stato di peso massimo per

50
Figura 2.10: Pesi delle rappresentazioni triviale e aggiunta di sl(3, C). Il triplo cerchio sull’origine
sta ad indicare la triplice dimensionalità dello spazio dei pesi V0 .

la rappresentazione V ⊗ W con peso α + β. In particolare

Syma V ⊗ Symb V ∗ , (2.49)

contiene il vettore di peso massimo v con peso ωa,b . Agendo con gli operatori di abbassamento
su questo vettore generiamo la rappresentazione Γn,m = [n, m]. In altre parole

Γa,b ⊂ Syma V ⊗ Symb V ∗ . (2.50)

Vale infatti la decomposizione (assumendo a ≥ b)

Syma V ⊗ Symb V ∗ = ⊕bi=0 Γa−i,b−i . (2.51)

Abbiamo inoltre
1
dim Γa,b = (a + 1)(b + 1)(a + b + 2) . (2.52)
2

2.4.3 Rappresentazioni di sl3 e diagrammi di Young


In questa sezione discutiamo brevemente le rappresentazioni irriducibili di sl3 in termini dei
diagrammi di Young per le rappresentazioni irriducibili del gruppo simmetrico. L’idea è partire
dalle rappresentazioni V di dimensione più piccola, la fondamentale e la sua coniugata per
sl3 , e studiare la decomposizione dei prodotti tensoriali V ⊗n . Sul prodotto tensoriale V ⊗n c’è
un’azione naturale del gruppo simmetrico Sn che permuta i diversi fattori.
Ricordiamo che ad ogni tavola di Young standard, ovvero ad ogni diagramma di Young Γ
con riempimento canonico, è associato un simmetrizzatore di Young cΓ . L’immagine dell’a-
zione di cΓ su V ⊗n è una rappresentazione irriducibile di Sn . Ciascuno di questi sottospazi è
anche invariante sotto l’azione di sl3 , poiché l’azione di cΓ e di sl3 commutano. Corrisponde
quindi ad una sottorappresentazione di V ⊗n . Nel caso di sln queste sottorappresentazioni sono
irriducibili. Come abbiamo visto nel primo capitolo, il numero di riempimenti canonici di un
diagramma Γ è pari alla dimensione della rappresentazione di Sn associata a Γ e di conseguenza
la rappresentazione corrispondente di sl3 comparirà in V ⊗n con molteplicità dim(Γ).
Partendo dal caso n = 1 abbiamo

←→ [a, b] = [1, 0] .

51
Per n = 2 consideriamo V ⊗2 che, come già visto, può essere decomposto in una parte simmetrica
ed una antisimmetrica che danno due rappresentazioni irriducibili. Se denotiamo la base di V
con ei , i = 1, 2, 3 la base di Sym2 V è formata dai sei vettori
Sym2 V : ei ⊗ ej + ej ⊗ ei ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ 3 mentre quella di ∧2 V dai tre vettori
∧2 V : ei ⊗ ej − ej ⊗ ei ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ 3. Abbiamo quindi

←→ [a, b] = [2, 0] , ←→ [a, b] = [0, 1] .

Passando ad n = 3 troviamo
←→ [a, b] = [3, 0] , ←→ [a, b] = [1, 1] , ←→ [a, b] = [0, 0] .

Si noti che essendo possibili due riempimenti canonici per la rappresentazione corrispon-
dente (in questo caso l’aggiunta) compare due volte nella decomposizione di V ⊗3
V ⊗3 = [3, 0] ⊕ 2 · [1, 1] ⊕ [0, 0] .

Scriviamo anche in questo caso esplicitamente i vettori di base. Gli stati associati a sono
i dieci vettori
Sym3 V : (ei ⊗ ej ⊗ ek ) + perm. ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ k ≤ 3. Per esistono due riempimenti canonici e quindi due simmetrizza-
tori di Young, discussi già nel primo capitolo e che abbiamo denotato con c e ĉ. Nel primo caso
troviamo otto vettori della forma

(ei ⊗ ej ⊗ ek ) + (ej ⊗ ei ⊗ ek ) − (ek ⊗ ej ⊗ ei ) − (ek ⊗ ei ⊗ ej ) ,

1 2
:
3 

(ek ⊗ ej ⊗ ei ) + (ej ⊗ ek ⊗ ei ) − (ei ⊗ ej ⊗ ek ) − (ei ⊗ ek ⊗ ej ) ,
e nel secondo caso

(ei ⊗ ej ⊗ ek ) + (ek ⊗ ej ⊗ ei ) − (ej ⊗ ei ⊗ ek ) − (ej ⊗ ek ⊗ ei )

1 3
:
2 

(ei ⊗ ek ⊗ ej ) + (ej ⊗ ek ⊗ ei ) − (ek ⊗ ei ⊗ ej ) − (ek ⊗ ej ⊗ ei ) .

Infine il sottospazio associato a è la rappresentazione banale

∧3 V : (e1 ⊗ e2 ⊗ e3 ) ± perm. .
Alle rappresentazione di sl3 sono infatti associati diagrammi con al più due righe, dato che
l’antisimmetrizzazione di più di tre indici dà un risultato nullo (essendo i vettori di base tridi-
mensionali) e l’antisimmetrizzazione di tre indici dà un’oggetto invariante. Vale in generale la
seguente corrispondenza fra diagrammi di Young e rappresentazioni di sl(3, C):
Diagramma di Young la cui lunghezza delle righe è pari a (r1 , r2 ) ←→ [a, b] = [r1 − r2 , r2 ] .

52
Concludiamo discutendo per completezza sl2 . In questo caso danno un risultato non banale
solo i diagrammi con una sola riga (essendo ∧2 V equivalente alla rappresentazione banale). La
rappresentazione associata al diagramma avente n scatole orizzontali corrisponde quindi alla
rappresentazione V (n) .

53
54
Capitolo 3

Teoria generale delle algebre di Lie


semplici

Una volta compresa la struttura dell’algebra di Lie sl(3, C) e delle sue rappresentazioni, l’analisi
di una generica algebra di Lie semplice non richiede l’introduzione di nuovi concetti. In questo
capitolo descriveremo il metodo generale e studieremo la famiglia di algebre sl(n, C). Discutere-
mo inoltre brevemente come classificare tutte le algebre di Lie semplici utilizzando i diagrammi
di Dynkin.

3.1 Analisi di una generica algebra di Lie semplice


Data una qualsiasi algebra di Lie semplice g, il primo passo consiste nel trovare una sottoalgebra
abeliana h ⊂ g che agisca diagonalmente su ogni rappresentazione finito-dimensionale di g. Una
sottoalgebra massimale abeliana di g con queste proprietà è detta sottalgebra di Cartan h.
Il secondo passo consiste nel diagonalizzare l’azione aggiunta di h su g, scrivendo l’algebra come
una somma diretta di autospazi di h, una decomposizione detta decomposizione di Cartan,
M 
g=h⊕ gα .

L’azione di h lascia invariato ogni gα e agisce su di esso tramite moltiplicazione scalare attraverso
il funzionale lineare α ∈ h∗
ad(H)(X) = α(H) · X ,
per ogni H ∈ h e X ∈ gα . Gli autovalori α ∈ h∗ sono i pesi della rappresentazione aggiunta e
sono detti le radici e gli autospazi corrispondenti gα sono detti spazi delle radici. Chiaramen-
te h è l’autospazio corrispondente al vettore nullo che non viene tuttavia incluso tra le radici.
Denotiamo l’insieme delle radici con R ⊂ h∗ . Come abbiamo visto nel caso semplice di sl(3, C),
possiamo descrivere la struttura dell’algebra di Lie attraverso il diagramma delle sue radici.
L’azione aggiunta degli elementi di un autospazio gα corrisponde ad una traslazione con α in h∗
che muove ogni altro autospazio gβ in gα+β .

Anticipiamo ora alcune proprietà generali delle radici, già verificate per sl(3, C)

1 ogni spazio di radici gα è unidimensionale.

2 R genera un reticolo ΛR ⊂ h∗ il cui rango coincide con la dimensione di h.

3 se α ∈ R è una radice anche −α ∈ R è una radice.

55
Procediamo in modo simile per una generica rappresentazione irriducibile V di g. Essa ammet-
terà una decomposizione del tipo M
V = Vα ,
dove la somma diretta corre su un insieme finito di α ∈ h∗ e h agisce diagonalmente su ogni Vα

H(v) = α(H) · v ,

per ogni H ∈ h e v ∈ Vα . Gli autovalori α ∈ h∗ che compaiono nella decomposizione sono


chiamati pesi di V e i rispettivi Vα sono chiamati spazi del peso. La dimensione dello spazio
Vα è detta molteplicità del peso α in V . Si può anche in questo caso presentare V disegnando
l’insieme dei pesi in h∗ , un diagramma detto diagramma dei pesi di V . In esso ogni punto
rappresenta uno dei sottospazi.
L’azione della parte restante dell’algebra di Lie su V può essere descritta come segue: per ogni
radice β abbiamo
gβ : Vα → Vα+β .
Possiamo quindi pensare all’azione di gβ su V come ad una traslazione nel diagramma dei pesi
che sposta ogni punto del vettore β mandandolo in un nuovo spazio di peso. Si osservi che tutti
i pesi di una rappresentazione irriducibile sono congruenti l’uno con l’altro modulo il reticolo
delle radici ΛR .

Come passaggio successivo, associamo ad ogni radice una sottoalgebra sα ∼ = sl(2, C) ⊂ g.


Questo è un passo cruciale come si è visto nel capitolo precedente. Sia gα ⊂ g uno spazio di
radici unidimensionale. Allora esisterà un altro spazio di radici g−α ⊂ g ed il loro commutatore
[gα , g−α ] sarà proprio un sottospazio di g0 = h di dimensione al più uno. L’azione aggiunta del
commutatore [gα , g−α ] porta gα e g−α in se stessi e quindi

sα = gα ⊕ g−α ⊕ [gα , g−α ]

è una sottoalgebra di g.

Dal fatto che


[gα , g−α ] 6= 0 , e [[gα , g−α ], gα ] 6= 0 ,
segue che la sottoalgebra sα è isomorfa a sl(2, C). Possiamo quindi scegliere una base Xα ∈
gα , Yα ∈ g−α e Hα ∈ [gα , g−α ] che soddisfa le regole di commutazione viste per sl(2, C) con la
normalizzazione standard. In partocolare scegliamo Hα come quell’unico elemento di [gα , g−α ]
avente autovalori ±2 su g±α .

Possiamo a questo punto utilizzare le proprietà di sl(2, C) per analizzare g. Sappiamo in-
nanzitutto che tutti gli autovalori dell’azione di Hα devono essere numeri interi. Quindi ogni
autovalore β ∈ h∗ di ogni rappresentazione di g deve assumere valori interi su tutti gli Hα .
Definiamo ora ΛW come l’insieme dei funzionali lineari β ∈ h∗ che prendono valori interi su tutti
gli Hα . ΛW è un reticolo detto reticolo dei pesi di g e tutti i pesi di tutte le rappresentazioni di
g appartengono esso. Da questa definizione deriva che R ⊂ ΛW e ΛR ⊂ ΛW . In generale infatti
il reticolo delle radici è un sottoreticolo di indice finito del reticolo dei pesi.

L’esistenza delle sottoalgebre sα impone delle simmetrie alla distribuzione dei pesi di una
rappresentazione. Nel caso di sl(3, C) abbiamo visto come i pesi si distribuivano a formare degli
esagoni o dei triangoli nel piano. In spazi di dimensionalità maggiore avremo figure geometriche
più complesse. Analizziamo quindi le implicazioni per i pesi di una generica rappresentazione

56
della simmetria degli autovalori di Hα . Essi oltre che essere interi sono simmetrici rispetto
all’origine in Z. Per esprimere questo fatto, per ogni α introduciamo l’involuzione Wα sullo
spazio vettoriale h∗ che lascia invariato l’iperpiano

Ωα = {β ∈ h∗ : hHα , βi = 0} .

Wα è la riflessione rispetto a questo iperpiano e inverte la retta corrispondente alla direzione di


α.
2β(Hα )
Wα (β) = β − α = β − β(Hα )α .
α(Hα )
Sia W il gruppo generato da queste involuzioni; W è chiamato gruppo di Weyl dell’algebra di
Lie g. Per ogni peso β la somma diretta
M
V[β] = Vβ+nα
n∈Z

è una rappresentazione di sα . Ne segue che l’insieme dei pesi di ogni rappresentazione di g è


invariante sotto l’azione del gruppo di Weyl.

Se la successione di pesi che corrispondono ad addendi non nulli nella decomposizione di V[β]

β, β + α, β + 2α, ..., β + mα, con ,
possiamo mostrare che
m = −β(Hα ) . (3.1)
Infatti la successione di interi

β(Hα ), (β + α)(Hα ) = β(Hα ) + 2, ..., (β + mα)(Hα ) = β(Hα ) + 2m

deve essere simmetrica rispetto allo zero e quindi β(Hα ) = −m. In particolare

Wα (β + kα) = β + (−β(Hα ) − k)α = β + (m − k)α .

Anche le molteplicità dei pesi sono invarianti sotto l’azione di W.

A questo punto risulta utile introdurre un particolare prodotto scalare su h∗ , quello indotto
dalla forma di Killing su g. A meno di un fattore scalare è l’unico prodotto interno su h∗ inva-
riante per il gruppo di Weyl. W agisce quindi come un gruppo di trasformazioni ortogonali e le
radici α ∈ h∗ sono perpendicolari al piano Ωα . Il gruppo di Weyl è quindi il gruppo generato
dalle riflessioni rispetto agli iperpiani perpendicolari alle radici dell’algebra di Lie.

Scegliamo infine una direzione privilegiata nel reticolo per dividere le radici in positive e
negative. Scegliamo quindi un funzionale lineare l sul reticolo ΛR , irrazionale rispetto al reticolo
stesso. Otteniamo in questo modo una decomposizione

R = R+ ∪ R− ,

dove R+ = {α : l(α) > 0}. Chiamiamo le α ∈ R+ radici positive e radici negative le α ∈ R− .


Possiamo ora definire la nozione di peso massimo. Sia V una rappresentazione di g. Un vettore
non nullo v ∈ V che è autovettore di h e si trova nel nucleo di gα per ogni α ∈ R+ è detto un
vettore di peso massimo. Il vettore di peso massimo è unico a meno di scalari e il sottospazio W
di V generato dalle immagini del vettore di peso massimo v attraverso l’azione degli operatori

57
appartenenti agli spazi gβ con β ∈ R− è una sottorappresentazione irriducibile di g. Il peso α
del vettore di peso massimo di una rappresentazione irriducibile è detto peso massimo (o peso
dominante) della rappresentazione.

Una radice positiva (negativa) α ∈ R è detta semplice o primitiva se non può essere espressa
come somma di due radici positive (negative) con coefficienti positivi. Le radici semplici formano
una base per il reticolo delle radici e possiamo utilizzare solo queste per costruire una rappresen-
tazione irriducibile. Quindi ogni rappresentazione irriducibile V è generata dalle immagini del
proprio vettore di peso massimo v attraverso l’azione degli elementi di gβ dove β prende valori
sull’insieme delle radici semplici negative.

Avevamo già visto nel caso di sl(3, C) come ogni rappresentazione irriducibile fosse generata
applicando due elementi E21 ∈ gL2 −L1 e E32 ∈ gL3 −L2 al vettore di peso massimo. Per ritornare
alla nostra descrizione dei pesi di una rappresentazione irriducibile V osserviamo che ogni vertice
dell’inviluppo convesso dei pesi di V deve essere collegato ad α dall’azione del gruppo di Weyl.
L’insieme dei pesi è infatti contenuto in un cono α + Cα− , dove Cα− è il cono reale positivo
formato dalle radici β ∈ R− tali che gβ (v) 6= 0, cioè tali che α(Hβ ) 6= 0. D’altra parte i pesi di
V contengono la stringa di pesi
α, α + β, α + 2β, ..., α + (−α(Hβ ))β , ∀β ∈ R− .
Quindi ogni vertice dell’inviluppo convesso dell’insieme dei pesi di V dev’essere della forma
α − α(Hβ )β = Wβ (α) .
Dato che il peso massimo α di una rappresentazione soddisfa la condizione α(Hγ ) ≥ 0, ∀γ ∈ R+ ,
consideriamo il luogo W dei punti in h∗ che soddisfano queste disuguaglianze. Esso è detto ca-
mera di Weyl (chiusa) associata ad un dato ordinamento delle radici.

Abbiamo il seguente teorema:

Teorema Per ogni α nell’intersezione fra la camera di Weyl W (associata ad un particolare


ordinamento delle radici) e il reticolo dei pesi ΛW , esiste un’unica rappresentazione irriducibile
finito-dimensionale Γα di g di peso massimo α. I pesi di Γα sono gli elementi del reticolo dei
pesi congruenti ad α modulo ΛR e giacenti nell’inviluppo convesso dell’insieme dei punti in h∗
coniugati ad α dall’azione del gruppo di Weyl.

Introduciamo una base per il reticolo dei pesi, detta base dei pesi fondamentali w1 , ..., wn .
Questa base ha la proprietà che ogni peso massimo si può scrivere univocamente come una com-
binazione lineare a coefficienti interi non negativi degli elementi della base. I pesi fondamentali
possono essere visti geometricamente come i primi pesi lungo i bordi della camera di Weyl o
algebricamente come quegli elementi wi ∈ h∗ tali che wi (Hαj ) = δij , dove gli α1 , ..., αn sono le
radici semplici. Possiamo quindi caratterizzare le rappresentazioni irriducibili in termini delle
componenti del vettore di peso massimo nella base dei pesi fondamentali scrivendo Γα1 , ..., αn per
la rappresentazione irriducibile il cui peso massimo è a1 w1 + · · · + an wn .
Ricordiamo ora che in g abbiamo un prodotto scalare invariante, la forma di Killing g.
Dalla descrizione dell’azione aggiunta degli spazi gα come traslazioni nel diagramma delle radici
vediamo immediatamente che gα è perpendicolare a gβ per ogni β 6= −α. La decomposizione
 
M
g=g⊕ (gα ⊕ g−α )
α∈R+

58
è pertanto ortogonale. Rispetto a g, la linea occupata da ogni radice α è perpendicolare al relativo
iperpiano Ωα . Questo, come già anticipato, è equivalente ad affermare che le involuzioni Wα sono
semplicemente le riflessioni sugli iperpiani, e che il gruppo di Weyl è ortogonale. L’ortogonalità
di Wα può essere espressa attraverso la formula

2g(β, α)
Wα (β) = β − α.
g(α, α)

Se α e β sono radici si ha poi che


2g(β, α)
= β(Hα )
g(α, α)
è un intero.

3.2 Le algebre sl(n, C)


Applichiamo l’analisi generale delle algebre di Lie semplici alla famiglia delle algebre sl(n, C), la
cui forma compatta dà i gruppi SU (n). Ci serviremo del caso particolare n = 4 per disegnare
esplicitamente i diagrammi dei pesi e illustrare gli oggetti geometrici introdotti nei paragrafi
precedenti in quanto l’algebra di Lie sl(4, C) è l’ultima visualizzabile in tre dimensioni.

Iniziamo quindi identificando l’algebra di Cartan. Scrivendo Hi per le matrici diagonali Eii
che portano ei a se stesso e annullano gli ej per j 6= i, abbiamo

h = {a1 H1 + a2 H2 + · · · + an Hn : a1 + a2 + · · · + an = 0} .

Si noti che Hi non è in h. Abbiamo inoltre

h∗ = C{L1 , L2 , ..., Ln }/(L1 + L2 + · · · + Ln = 0) ,

dove Li (Hj ) = δij .


Abbiamo già visto come le matrici diagonali agiscono sullo spazio di tutte le matrici a traccia
nulla: se Eij è un endomorfismo di Cn che porta ej in ei e annulla ek per qualunque k 6= j,
abbiamo allora
ad(a1 H1 + a2 H2 + · · · + an Hn )(Eij ) = (ai − aj ) · Eij ,
o, in altre parole, Eij è un autovettore di h con autovalore Li − Lj . In particolare, le radici di
sl(n, C) sono le differenze non nulle di coppie di Li .

La forma di Killing è la forma invariante sotto l’azione del gruppo simmetrico Sn . Gli Li
possiedono tutti la stessa lunghezza e gli angoli tra le varie coppie sono gli stessi. Per disegnare
le radici in h∗ , possiamo pensare i punti Li come situati ai vertici di un simplesso regolare
(n − 1)-dimensionale ∆ con il baricentro nell’origine. Ad esempio per n = 4 gli Li sono i vertici
di un cubo unitario centrato nell’origine. Il reticolo delle radici ΛR può essere descritto come
X X X 
ΛR = { ai Li : ai ∈ Z, ai = 0}/ Li = 0 .

A questo punto costruiamo le sottoalgebre sα . Lo spazio di radice gLi −Lj relativo alla radice
Li − Lj è generato da Eij e la sottoalgebra sLi −Lj è data da

Eij , Eji e [Eij , Eji ] = Hi − Hj .

59
Figura 3.1: Li di sl(4, C).

Figura 3.2: Diagramma delle radici di sl(4, C).

L’autovalore di Hi − Hj su Eij è proprio (Li − Lj )(Hi − Hj ) = 2 e quindi

HLi −Lj = Hi − Hj . (3.2)


P
L’iperpiano ΩLi −Lj = { ai Lj : ai = aj } è perpendicolare alla radice Li − Lj rispetto alla
forma di Killing. Dalla conoscenza degli Hα otteniamo una conoscenza precisa del reticolo dei
pesi X 
ΛW = Z{L1 , ..., Ln }/ Li = 0 .

Il reticolo dei pesi di sl(n, C) può quindi essere realizzato come il reticolo generato dai vertici
del simplesso regolare (n − 1)-dimensionale ∆ centrato nell’origine. Avendo ora determinato sia
ΛR che ΛW , possiamo calcolarne il quoziente. Il reticolo ΛW può essere generato a partire da
ΛR insieme ad uno qualsiasi dei vertici Li del simplesso. Il quoziente ΛW /ΛR è formato da Li e
tutti i suoi multipli. Si verifica facilmente che si tratta di un gruppo ciclico di ordine n. Infatti
modulo ΛR abbiamo X X
0= (Li − Lj ) = nLi − Lj = nLi .
j j

60
Abbiamo pertanto
ΛW ∼
= Zn .
ΛR
Il gruppo di Weyl è generato dalle riflessioni rispetto agli iperpiani perpendicolari alle radici
Li − Lj . La riflessione rispetto a ΩLi −Lj scambia Li ed Lj lasciando fissi gli Lk con k 6= i, j. Si
tratta pertanto di una trasposizione. Il gruppo di Weyl W agisce pertanto sui generatori Li di
h∗ come il gruppo simmetrico Sn .

Consideriamo ora il funzionale lineare


X  X
l ai Li = ci ai
P
con ci = 0 e c1 > c2 > · · · > cn . Le radici positive e negative sono rispettivamente

R+ = {Li − Lj : i < j}

e
R− = {Li − Lj : i > j} .

Le radici primitive negative sono le Li+1 − Li , i = 1, ..., n − 1. La camera di Weyl è


X
W={ ai Li : a1 ≥ a2 ≥ · · · ≥ an } .

Consideriamo ora più in dettaglio il caso di sl(4, C). Il simplesso ∆, come già osservato, è un
cubo i cui vertici sono gli Li . Gli spigoli della camera di Weyl sono i raggi generati dai vettori

Figura 3.3: Camera di Weyl per sl(4, C).

L1 , L1 + L2 e L1 + L2 + L3 e le facce sono i piani ortogonali alle radici primitive negative


L2 − L1 , L3 − L2 e L4 − L3 . La generalizzazione a n generico è immediata. Per sl(n, C) gli
spigoli della camera di Weyl sono dati dai vettori

L1 , L1 + L2 , L1 + L2 + L3 , ..., L1 + · · · + Ln−1 = −Ln

e le facce sono gli iperpiani


X
ΩLi −Li+1 = { aj Lj : ai = ai+1 } ,

61
perpendicolari alle radici primitive negative Li+1 − Li . Questi pesi sono proprio i pesi fonda-
mentali wj (j = 1, ..., n − 1 = dim h che sodisfano wj (Hi ) = δij . Ogni peso massimo β può
essere scritto come combinazione lineare a coefficienti interi non negativi dei pesi fondamentali
n−1
X
β= m i wi .
i=1

Ad ogni rappresentazione irriducibile di sl(n, C) corrisponde un vettore a (n − 1) componenti


intere non negative [m1 , ..., mn−1 ] dette coefficienti di Dynkin della rappresentazione di peso
massimo β.

Alla rappresentazione fondamentale n-dimensionale V di sl(n, C) corrisponde un peso fonda-


mentale w1 = L1 i cui coefficienti di Dynkin sono [1, 0, ..., 0]. La rappresentazione coniugata
ha peso
α = −Ln = wn−1 ,
i cui coefficienti di Dynkin sono [0, 0, ..., 1]. Come nel caso di sl(3, C), tutte le rappresentazioni
irriducibili di sl(n, C) si possono costruire esplicitamente come sottorappresentazioni di prodotti
tensoriali della rappresentazione fondamentale V . Le sottorappresentazioni contenute in V ⊗q
possono essere associate a diagrammi di Young per le rappresentazioni irriducibili di Sq , che
agisce permutando i diversi fattori del prodotto tensoriale. Essendo
Λn V ∼
=C,
i diagrammi di Young che specificano le rappresentazioni irriducibili di sl(n, C) sono quelli con
al più (n − 1) righe. Vale la seguente corrispondenza fra diagrammi di Young e coefficienti di
Dynkin: ad un diagramma le cui righe hanno lunghezza ri con i = 1, ..., n − 1 corrispondono i
coefficienti [r1 − r2 , r2 − r3 , ..., rn−1 ].

3.3 Classificazione delle algebre di Lie semplici complesse


Sia g un’algebra di Lie semisemplice. In essa possiamo, come al solito, individuare la sottoal-
gebra di Cartan h, ovvero la sottoalgebra abeliana massimale. L’azione di h su g ci permette
di individuare le radici R di g che giacciono in un sottospazio reale di h∗ sul quale la forma di
Killing è definita positiva. Questo sottospazio reale di h∗ è a tutti gli effetti uno spazio Euclideo
di dimensione pari al rango dell’algebra e che denoteremo con E. In E da ora in avanti indiche-
remo la forma di Killing semplicemente come h·, ·i.

Negli esempi studiati le radici formano strutture geometriche piuttosto rigide. Partendo da
questa osservazione, in questa sezione arriveremo ad una classificazione completa delle possibili
algebre di Lie semplici sui numeri complessi. Le proprietà fondamentali di R sono
(1) R è un insieme finito che genera E.
(2) α ∈ R ⇒ −α ∈ R, ma k · α ∈
/ R se k è un qualunque reale diverso da ±1.
(3) Per α ∈ R, la riflessione Wα nell’iperpiano α⊥ mappa R in se stesso.
(4) Per α, β ∈ R, il numero reale
hβ, αi
nβα = 2 = β(Hα )
hα, αi
è un intero.

62
Ricordiamo inoltre che Wα = β − nβα α.
Chiamiamo ora sistema di radici (astratto) ogni insieme R di vettori dello spazio Euclideo
E che soddisfa le quattro proprietà sopra elencate. La proprietà (4) pone delle restrizioni molto
forti sulla geometria delle radici. Detto θ l’angolo tra due radici α e β abbiamo

kβk
nβα = 2cos(θ) ,
kαk

e vediamo che
nαβ nβα = 4cos2 (θ)
deve essere un intero compreso tra 0 e 4. Per valere 4 dobbiamo avere cos(θ) = ±1, ovvero
β = ±α. Riportiamo tutte le possibili soluzioni in una tabella, dove abbiamo ordinato le due
radici in modo tale che kβk ≥ kαk o |nβα | ≥ |nαβ |.

√ √ √ √
cos(θ) 3/2 2/2 1/2 0 −1/2 − 2/2 − 3/2
θ π/6 π/4 π/3 π/2 2π/3 3π/4 5π/6
nβα 3 2 1 0 −1 −2 −3
nαβ 1 1 1 0 −1 −1 −1
kβk √ √ √ √
kαk 3 2 1 ∗ 1 2 3

Abbiamo quindi dei valori determinati per i possibili angoli fra radici. Sia n = dimR E =

Figura 3.4: Possibili valori degli angoli fra radici.

dimC h il rango dell’algebra di Lie. Elenchiamo le algebre di Lie al variare del rango per i primi
casi n = 1, 2, 3, prima di dare una classificazione generale.

Rango uno. Abbiamo un’unica algebra di Lie di rango uno, la cosiddetta A1 . Il sistema di
radici associato è quello di sl(2, C).

Rango due. In un sistema di radici bidimensionale, a causa delle riflessioni (Proprietà (3)),
gli angoli fra due radici devono essere gli stessi per ogni coppia di radici adiacenti. Gli angoli
permessi sono: π/2, π/3, π/4 e π/6. Una volta che l’angolo è noto, la proprietà (4) ci dà le
lunghezze relative delle radici, eccetto nel caso di angoli retti. Ne segue che, eccetto fattori di
proporzionalità scalari, abbiamo quattro possibili sistemi di radici nel caso bidimensionale.

63
Per θ = π/2 abbiamo il sistema (A1 × A1 ) relativo a sl(2, C) × sl(2, C) ∼ = so(4, C). Abbiamo poi
A2 per sl(3, C), B2 per s0(5, C) ∼= sp(4, C) e infine G2 , un’algebra eccezionale.
Dato che la somma diretta di due sistemi di radici è un sistema di radici, consideriamo
solo sistemi di radici irriducibili, i.e. non scrivibili come tale somma. Si può dimostrare che
un’algebra di Lie è semisemplice se e solo se il suo sistema di radici è irriducibile.

Rango tre. Abbiamo tre sistemi di radici irriducibili: A3 relativo al sistema di radici di
sl(4, C) ∼
= so(6, C), B3 per so(7, C) e C3 per sp(6, C).

Il diagramma di Dynkin di un sistema di radici si costruisce assegnando un nodo ad ogni


radice semplice e collegando due nodi con un numero di linee che dipende dal valore dell’angolo
θ fra le due radici

nessuna linea se θ = π/2

64
una linea se θ = 2π/3

due linee se θ = 3π/4

tre linee se θ = 5π/6


Quando si ha una sola linea le radici hanno la stessa lunghezza mentre quando si hanno più linee
si disegna una freccia che punta dalla radice più lunga verso quella più corta. Si può inoltre
dimostrare che un sistema di radici è irriducibile se e solo se il suo diagramma di Dynkin è
connesso. I diagrammi non dipendono dalla particolare decomposizione R = R+ ∪ R− scelta.
La potenza di questo metodo di classificazione sta nella quantità di informazione sull’algebra
che è possibile condensare nel diagramma: il diagramma permette di ricostruire completamente
l’algebra di Lie corrispondente.

Teorema I diagrammi di Dynkin di un sistema di radici irriducibile sono i seguenti

(An ) (n ≥ 1)

(Bn ) (n ≥ 2)

(Cn ) (n ≥ 3)

(Dn ) (n ≥ 4)

(E6 )

(E7 )

(E8 )

(F4 )

(G2 )
I primi quattro sono quelli relativi alle algebre di Lie classiche, ovvero

• (An ) =⇒ sl(n + 1, C)

• (Bn ) =⇒ so(2n + 1, C)

65
• (Cn ) =⇒ sp(2n, C)

• (Dn ) =⇒ so(2n, C)

Le restrizioni su n, il numero di nodi o rango dell’algebra, servono ad evitare ripetizioni. Dai


diagrammi si vede immediatamente quando due algebre apparentemente differenti coincidono.
Per n = 1 tutti e quattro i diagrammi delle algebre di Lie classiche sono formati da un singolo
nodo. Il caso (D1 ) è degenere poiché so(2, C) non è semisemplice. L’uguaglianza (C1 ) = (B1 ) =
(A1 ) corrisponde all’isomorfismo

sp(2, C) ∼
= so(3, C) ∼
= sl(2, C) ⇐⇒ .

Per n = 2, (D2 ) = (A1 ) × (A1 ) e consiste di due nodi disgiunti. Abbiamo quindi l’isomorfismo

so(4, C) ∼
= sl(2, C) × sl(2.C) ⇐⇒ .

All’uguaglianza (C2 ) = (B2 ) corrisponde l’isomorfismo

sp(4, C) ∼
= so(5, C) ⇐⇒ = .

L’ultimo isomorfismo si ha per n = 3. All’uguaglianza (D3 ) = (A3 ) corrisponde l’isomorfismo

so(6, C) ∼
= sl(4, C) ⇐⇒ = .

66
Conclusioni

In questo lavoro di tesi sono stati discussi alcuni aspetti fondamentali della teoria dei gruppi.
Particolare attenzione è stata dedicata ai concetti ed ai metodi necessari per arrivare ad una
completa classificazione delle rappresentazioni di un gruppo, alla loro costruzione esplicita e allo
studio della decomposizione dei prodotti tensoriali di rappresentazioni.
Per i gruppi finiti gli strumenti principali sono stati i caratteri e, per il caso particolarmente
importante del gruppo simmetrico, i diagrammi di Young. I metodi della teoria dei gruppi finiti
trovano applicazione nel classificare e studiare la geometria dei reticoli cristallini, nello studio
di sistemi di particelle identiche e della loro statistica, nella soluzione di svariati problemi di
meccanica quantistica. Il più famoso forse è la separazione dei livelli energetici degeneri di un
atomo per effetto del campo elettrico degli ioni di un cristallo, problema studiato e risolto da
Hans Bethe nel 1929.
Per quanto riguarda i gruppi di Lie, l’idea fondamentale è quella di sostituire al gruppo la sua
algebra. Abbiamo quindi spiegato in dettaglio come la struttura di gruppo induca sullo spazio
tangente all’identità del gruppo una struttura di algebra, con il prodotto dato dal commutatore
o parentesi di Lie, e come dall’algebra si possa tornare al gruppo utilizzando la mappa esponen-
ziale. Abbiamo poi descritto il lavoro di Cartan e Dynkin che hanno mostrato come le algebre
semisemplici abbiano una struttura estremamente rigida che consente non solo, data un’algebra,
una completa classificazione delle sue rappresentazioni ma anche una completa classificazione
delle algebre di Lie stesse, il famoso catalogo di Cartan contenente quattro famiglie infinite in
corrispondenza dei gruppi classici unitari, ortogonali e simplettici e cinque casi eccezionali.
La meccanica quantistica prima e lo sviluppo della teoria dei campi poi, in particolare delle
teorie di gauge, hanno conferito un ruolo sempre più centrale ai principi di simmetria e quindi
alla teoria dei gruppi in fisica. Non è sorprendente che nel corso degli anni la classe dei gruppi
e delle algebre rilevanti per la fisica si sia incessantemente estesa.
Di grande importanza è ad esempio lo studio di gruppi non compatti di simmetrie, come il
gruppo conforme che trova applicazioni dalla meccanica statistica alla dinamica non perturbativa
delle teorie di campo. Sono state poi studiate delle strutture algebriche definite in termini
di commutatori e anticommutatori, le cosiddette superalgebre. Queste strutture compaiono
nelle teorie supersimmetriche dove i generatori di simmetria includono operatori fermionici che
collegano tra loro campi con diverse proprietà di statistica.
Si è inoltre capita l’importanza delle algebre infinitodimensionali, come le algebre di Kac-
Moody o l’algebra di Virasoro. Queste algebre compaiono sia nello studio dei fenomeni critici
in due dimensioni sia in teorie delle stringhe. Altre strutture algebriche svolgono un ruolo
importante nello studio e nella soluzione delle teorie di campo integrabili, sia a livello classico
che quantistico.
I concetti introdotti in questa tesi vogliono essere un punto di partenza per approfondire
questi argomenti affascinanti. Per concludere, ricordo le parole di Galileo:
”Pare che quello degli effetti naturali che la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le
necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio.”

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Bibliografia

[1] W. Fulton and J. Harris, Representation Theory: A First Course, Springer, 2004.

[2] M. Nakahara, Geometry, Topology and Physics, IoP, 2003.

[3] Jin-Quan Chen, Group Representation Theory for Physicists, World Scientific Publishing Co.
Pte. Ltd., 2002.

[4] N. Beisert, Symmetries in Physics: Lecture Notes, 2015.

[5] M. R. Gaberdiel, Symmetries in Physics: : Lecture Notes, 2013.

[6] H. Osborn, Symmetries and Groups: : Lecture Notes, 2016.

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