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Facoltà di Scienze
Relatore: Candidato:
Prof. Giuseppe D’Appollonio Fabio Sailis
1
Introduzione
Argomento di questa tesi è lo studio dei gruppi di simmetria discreti e continui, delle algebre di
Lie e delle loro rappresentazioni. La teoria dei gruppi è uno strumento di eccezionale importanza
per un fisico in quanto rappresenta da una parte un potente strumento per la soluzione di
problemi specifici, dall’altra una guida nella formulazione delle leggi che descrivono la dinamica
di un dato sistema. Ad Eugene Wigner è attribuita la frase: le simmetrie sono leggi che le leggi
della natura devono rispettare.
Gli esempi di simmetria sono svariati. Ci sono le simmetrie spaziotemporali come il gruppo di
Poincarè o, nel limite non relativistico, di Galileo. Ci sono le simmetrie interne che governano le
interazioni delle particelle elementari, come le simmetrie alla base del modello standard. Ci sono
anche simmetrie approssimate che permettono di dare una prima organizzazione dei fenomeni
osservati, come ad esempio la simmetria di isospin o la simmetria SU (3) per la classificazione
di barioni e mesoni.
Le operazioni di simmetria formano dal punto di vista matematico una struttura algebrica
chiamata gruppo. Lo studio di quella che sarebbe divenuta una delle principali branche del-
la matematica iniziò nell’ottocento con il matematico francese Evariste Galois. Esistono due
grandi classi di gruppi, i gruppi finiti ed i gruppi continui. Sono oggetti molto diversi come
profondamente diverse sono le tecniche utilizzate per studiarli.
L’aspetto della teoria dei gruppi più rilevante per la fisica è lo studio delle possibili azioni
di un gruppo su uno spazio vettoriale. Dal punto di vista matematico questo è lo studio del-
le rappresentazioni di un gruppo. L’analisi delle rappresentazioni dei gruppi finiti può essere
effettuata ricorrendo alla teoria dei caratteri. Nel caso dei gruppi continui o di Lie (in onore
del matematico norvegese Sophus Lie) si sostituisce allo studio del gruppo, una struttura non
lineare, lo studio dell’algebra di Lie corrispondente e se ne classificano le possibili rappresenta-
zioni. Il legame tra gruppo ed algebra di Lie è tale che quasi tutte le informazioni riguardanti la
struttura del gruppo e delle sue rappresentazioni (tranne alcuni aspetti globali) possono essere
ottenute una volta note la struttura dell’algebra e delle sue rappresentazioni
Il nostro intento in questo lavoro è quello di presentare da un punto di vista essenzialmen-
te matematico le basi della teoria dei gruppi, della teoria delle rappresentazioni e della loro
classificazione. Nel primo capitolo daremo le definizioni fondamentali della teoria dei gruppi e
discuteremo in modo particolare i gruppi finiti, i.e. gruppi composti da un numero finito di
elementi. Analizzeremo in qualche dettaglio il gruppo simmetrico Sn e le sue rappresentazioni,
introducendo il metodo dei diagrammi di Young che è di grande utilità anche per lo studio delle
rappresentazioni dei gruppi continui.
Nel secondo capitolo passeremo allo studio dei gruppi di Lie, i.e. gruppi continui composti
da infiniti elementi. Dopo aver descritto le principali classi di gruppi continui discuteremo come
associare ad un gruppo la sua algebra di Lie. Analizzeremo quindi l’algebra di Lie di due gruppi
relativamente semplici, SU (2) ed SU (3). Nonostante la loro semplicità questi gruppi e le loro
rappresentazioni sono di enorme importanza in fisica. Non solo: la trattazione di questi due casi
rende immediata la comprensione della struttura delle algebre di Lie e delle loro rappresentazioni
1
in generale.
Questo sarà l’oggetto del terzo ed ultimo capitolo dove descriveremo la teoria generale e
discuteremo le algebre di Lie dei gruppi SU (n). Concluderemo descrivendo la classificazione
di tutte le algebre di Lie semplici sul campo complesso utilizzando i diagrammi di Dynkin che
danno una descrizione completa ed estremamente concisa dell’algebra.
2
Capitolo 1
In questo primo capitolo introdurremo le nozioni fondamentali della teoria dei gruppi nel contesto
più semplice dei gruppi finiti, con particolare attenzione al gruppo simmetrico Sn , il gruppo delle
permutazioni di n oggetti. Cominciamo con il dare le definizioni principali
• a, b ∈ G implica a ◦ b ∈ G (chiusura).
• a, b, c ∈ G implica a ◦ (b ◦ c) = (a ◦ b) ◦ c (associatività).
• Per ogni a ∈ G, esiste un elemento a−1 ∈ G tale che a ◦ a−1 = a−1 ◦ a = e (esistenza
dell’elemento inverso).
Dalla definizione di gruppo segue che l’elemento identico di G è unico, ogni a ∈ G ha un unico
inverso in G, per ogni a ∈ G, (a−1 )−1 = a, per ogni a, b ∈ G, (ab)−1 = b−1 a−1 . Un gruppo è
detto abeliano se per ogni a, b ∈ G, si ha a ◦ b = b ◦ a.
Un gruppo finito è costituito da un numero finito di elementi. Il numero di elementi è detto
ordine del gruppo e viene denotato dal simbolo |G|. Un gruppo discreto infinito è costituito da
un’infinità numerabile di elementi. Gli elementi di un gruppo continuo sono parametrizzati da
sottoinsiemi aperti di Rn .
Consideriamo qualche esempio
• L’insieme Z degli interi 0, ±1, ±2, ... con legge di composizione la somma: a ◦ b = a + b. Si
può facilmente verificare che si tratta di un gruppo discreto abeliano infinito, nel quale 0
funge da elemento identico.
• L’insieme Z2 = {1, −1} con la moltiplicazione tra numeri reali è un gruppo abeliano finito
di ordine 2.
3
• Una classe importante di gruppi finiti è quella dei gruppi simmetrici. Consideriamo un
insieme finito S composto da n elementi. Il gruppo Sn delle mappe invertibili o permuta-
zioni da S in S contiene n! elementi. Questo gruppo è detto gruppo simmetrico di grado
n.
Per semplicità di notazione nel seguito abbandoneremo l’uso del simbolo ◦ per indicare l’opera-
zione di gruppo e scriveremo semplicemente ab al suo posto, salvo nei casi in cui questo possa
generare confusione.
a. a, b ∈ H implica ab ∈ H.
b. a ∈ H implica a−1 ∈ H.
Ogni gruppo G possiede almeno due sottogruppi, detti banali, G stesso ed e. Ad ogni sottogruppo
può essere associata una relazione di equivalenza tra gli elementi del gruppo.
Ricordiamo che una relazione di equivalenza è una relazione riflessiva (a ∼ a), simmetrica
(a ∼ b ⇒ b ∼ a) e transitiva (se a ∼ b e b ∼ c ⇒ a ∼ c). Dato un insieme X e una relazione
di equivalenza ∼, X si scrive come unione di classi di equivalenza [a] disgiunte. Una classe [a] è
composta da tutti gli elementi di X tali che x ∼ a
[a] = {x ∈ X : x ∼ a}.
Si verifica di nuovo facilmente che si tratta in effetti di una relazione di equivalenza. Le classi
di equivalenza rispetto a questa relazione sono dette classi di coniugio e rivestono una grande
importanza nello studio dei gruppi finiti, come vedremo più avanti sviluppando la teoria dei
caratteri.
4
Definizione Un sottogruppo N di G è detto normale se per ogni g ∈ G e n ∈ N si ha
gng −1 ∈ N .
N a ◦ N b = N ab . (1.2)
Definizione L’insieme degli elementi di un gruppo G che commutano con tutti gli elementi
del gruppo stesso è un sottogruppo abeliano normale detto centro del gruppo Z(G).
Definiamo prodotto diretto di due gruppi G1 e G2 il gruppo G1 ⊗ G2 formato dalle coppie di
elementi (g1 , g2 ) con g1 ∈ G1 e g2 ∈ G2 e con le operazioni seguenti
(g1 , g2 )(g10 , g20 ) = (g1 g10 , g2 g20 ), (g1 , g2 )−1 = (g1−1 , g2−1 ), e = (e1 , e2 ) .
5
Definizione Un isomorfismo di un gruppo G su se stesso è detto automorfismo.
SU (2)
SO(3) ∼
= , (1.5)
Z2
dove Z2 è il centro di SU (2), cioè Z2 = {I, −I}. Per costruire esplicitamente questo isomorfismo
introduciamo le matrici di Pauli, un insieme di tre matrici 2 × 2 linearmente indipendenti
0 1 0 −i 1 0
σ1 = , σ2 = , σ3 = .
1 0 i 0 0 −1
Una generica matrice A ∈ SU (2) si scrive nella base formata dalle matrici di Pauli e dalla
matrice identità
1 1
A = tr(A)I + tr(σA) · σ .
2 2
Usando le σ possiamo associare ad ogni vettore x ∈ R3 una matrice M due per due hermitiana
a traccia nulla e viceversa. L’isomorfismo tra spazi vettoriali è dato da
1
x → M (x) ≡ x · σ = (x · σ)† , xM = tr(Mσ) .
2
Abbiamo inoltre
det(x · σ) = −x2 . (1.10)
Facciamo ora agire SU (2) sullo spazio delle matrici hermitiane a traccia nulla ponendo
M 7→ M̃ = AM A† . (1.11)
6
Chiaramente la nuova matrice M̃ è ancora hermitiana e a traccia nulla. Questo induce una
trasformazione lineare x → x0 dove
x0 · σ = Ax · σA† .
Vediamo subito che questa trasformazione lineare lascia la norma del vettore invariata
2
x0 = −det(x0 · σ) = −det(Ax · σA† ) = −det(x · σ) = x2 ,
Lo spazio risultante è lo spazio proiettivo a tre dimensioni RP 3 , uno spazio connesso ma non
semplicemente connesso. Il suo gruppo fondamentale è infatti Z2 . Abbiamo quindi
SU (2) ∼
= S3 , SO(3) ∼
= S 3 /Z2 ∼
= RP 3 .
Il gruppo SU (2) rappresenta il ricoprimento universale (in questo caso un ricoprimento doppio)
del gruppo SO(3). Questo è un caso particolare di una costruzione generale: ad ogni grup-
po non semplicemente connesso può essere associato un gruppo semplicemente connesso detto
ricoprimento universale del gruppo di partenza.
1.2 Rappresentazioni
Definizione Una rappresentazione ρ di un gruppo G su uno spazio vettoriale V è una mappa
ρ : G → Aut(V )
che rispetta la legge di composizione del gruppo e che di conseguenza, conserva l’elemento iden-
tico e l’inverso:
7
Una rappresentazione è quindi un omomorfismo tra il gruppo G e il gruppo degli automorfismi
di uno spazio vettoriale V . Una rappresentazione è detta fedele se è iniettiva.
Consideriamo come esempio il più semplice gruppo finito non abeliano, il gruppo simmetrico
S3 che possiede |S3 | = 3! = 6 elementi: l’identità, tre trasposizioni
σ1 = (12) , σ2 = (23)
con gli elementi del gruppo che agiscono sulle componenti dei vettori in R3 . I due generatori
vengono rappresentanti nel modo seguente
0 1 0 1 0 0
ρ(σ1 ) = 1 0 0 , ρ(σ2 ) = 0 0 1
0 0 1 0 1 0
Di qui si ricavano facilmente le matrici che rappresentano i restanti elementi del gruppo
0 0 1 0 1 0 0 0 1
ρ(σ1 σ2 σ1 ) = 0 1 0 ,
ρ(σ1 σ2 ) = 0 0 1 ,
ρ(σ2 σ1 ) = 1
0 0 .
1 0 0 1 0 0 0 1 0
Un’altra rappresentazione di S3 è quella alternante ed è unidimensionale. Per descrivere questa
rappresentazione ricordiamo che ogni permutazione si può scrivere come prodotto di trasposi-
zioni. Sebbene questa scrittura non sia unica, il numero di trasposizioni necessario è sempre
pari o sempre dispari. Una permutazione si dice quindi pari (dispari) se può essere espressa
come prodotto di un numero pari (dispari) di permutazioni. Inoltre il prodotto di permutazioni
rispetta la parità: il prodotto di permutazioni pari o dispari tra loro è pari mentre il prodotto
di una permutazione pari ed una dispari è dispari. Ad ogni permutazione possiamo associare un
segno
sign(σ) = ±1 , (1.16)
con segno positivo per permutazioni pari e negativo per permutazioni dispari. La rappresenta-
zione alternante non è altro che la mappa sign(σ).
8
Nello studio delle rappresentazioni di un gruppo è importante individuare le rappresenta-
zioni che sono in un senso opportuno minimali ed in termini delle quali sia possibile costrui-
re rappresentazioni più complesse. Queste rappresentazioni minimali sono le rappresentazioni
irriducibili.
ρ(a)w ∈ W , ∀w ∈ W, a ∈ G.
ρV ⊕W = ρV ⊕ ρW .
Anche il prodotto tensoriale V ⊗ W è una nuova rappresentazione per G. Avendo due basi ei e
fj (con i = 1, ..., n; j = 1, ..., m) rispettivamente per V e W, ottengo una base per V ⊗ W data
dalle coppie ei ⊗ fj . Il prodotto tensoriale delle rappresentazioni è quindi una rappresentazione
di dimesione n · m definita da
Anche il duale V ∗ di V fornisce una rappresentazione per G. Per vederlo posso sfruttare l’accop-
piamento naturale tra V ∗ e V , i.e. l’azione degli elementi di V ∗ su V , in quanto per definizione,
il duale di V è proprio l’insieme dei funzionali lineari agenti su V . Poniamo
hv ∗ , vi ≡ v ∗ (v) . (1.17)
La rappresentazione duale è definita in modo che l’accoppiamento tra spazio e spazio duale sia
invariante
hρ∗ (a)(v ∗ ), ρ(a)(v)i = hv ∗ , vi .
Da questo segue che
ρ∗ (a) = ρt (a−1 ) , (1.18)
dove ρt denota la trasformazione trasposta. Consideriamo infine lo spazio degli omomorfismi tra
spazi vettoriali Hom(V, W ) ∼= V ∗ ⊗ W . Definiamo una nuova rappresentazione del gruppo su
Hom(V, W ) che associa a ϕ ∈ Hom(V, W ) la mappa lineare
9
1.2.1 Rappresentazioni irriducibili di gruppi finiti
Le rappresentazioni dei gruppi finiti possiedono un’importante proprietà detta completa riduci-
bilità. Data una rappresentazione riducibile su uno spazio vettoriale V di un gruppo G esiste
una base nella quale le matrici che rappresentano gli elementi del gruppo assumono una forma
a blocchi
ρ̂(a) θ(a)
ρ(a) = . (1.19)
0 γ(a)
Il sottospazio invariante W corrisponde ai vettori
ŵ
w= . (1.20)
0
ρ(a)v, ρ(a)v 0 0 .
v, v :=
|G|
a∈G
Il nuovo prodotto è ben definito dato che la somma è composta da un numero finito di addendi.
Mostriamo che il nuovo prodotto è invariante rispetto all’azione del gruppo. Abbiamo
1 X
10
1 X
0
ρ(a )v, ρ(a0 )v 0 0 = v, v 0 ,
=
|G| 0
a ∈G
dove abbiamo posto a0 = ba. Questo permette di provare che tutte le rappresentazioni sono
equivalenti a delle rappresentazioni unitarie. L’equivalenza è data semplicemente dal cambia-
mento di base da una base ortonormale rispetto al prodotto originale ad una base ortonormale
rispetto al nuovo prodotto invariante.
Mostriamo ora che ogni rappresentazione unitaria è completamente riducibile. Supponiamo
che esista un sottospazio invariante non banale W ⊆ V , cioè tale che ρ(a)w ∈ W, ∀a ∈ G, w ∈
W. Mostriamo che il suo complemento ortogonale W ⊥
W ⊥ := {v ∈ V : hv, wi = 0 ∀w ∈ W } ,
definito rispetto al prodotto scalare invariante, è a sua volta un sottospazio invariante. Abbiamo
infatti D E D E
w, ρ(a)w⊥ = ρ(a)−1 w, w⊥ = 0, ∀w ∈ W, w⊥ ∈ W ⊥ .
V = W ⊕ W⊥ , (1.23)
ρ(σ1 )f1 = −f1 , ρ(σ1 )f2 = f1 + f2 , ρ(σ2 )f1 = f1 + f2 , ρ(σ2 )f2 = −f2 ,
vediamo che si tratta di una rappresentazione irriducibile. In termini di matrici due per due
abbiamo
−1 1 1 0
ρ(σ1 )W ⊥ = , ρ(σ2 )W ⊥ = .
0 1 1 −1
Questa rappresentazione bidimensionale di S3 è detta rappresentazione standard. Come vedre-
mo, le uniche rappresentazioni irriducibili di S3 sono quella banale, quella alternante e quella
standard.
T ◦ ρ1 (a) = ρ2 (a) ◦ T , ∀a ∈ G.
11
Definizione Un omomorfismo T tra due rappresentazioni (V, ρ) e (V 0 , ρ0 ) è una mappa lineare
tale che
T ◦ ρV = ρ0V 0 ◦ T .
In modo simile
ρ0 (a)(T (v)) = T (ρ(a)(v)) ∈ Im(T ) , ∀T (v) ∈ V 0 .
Dato che V è irriducibile abbiamo due possibilità
b) Per dimostrare il secondo punto basta osservare che T deve possedere almeno un autovalore
λ ∈ C. La mappa ϕ = T − λ · 1 è allora un omomorfismo tra rappresentazioni irriducibili con
ker ϕ 6= 0. Il nucleo di ϕ deve quindi coincidere con V e pertanto T = λ · 1.
S rispetta infatti la condizione Sρ1 (a) = ρ2 (a)S. Il lemma di Schur a questo punto ci può dire
diverse cose su S e sulle due rappresentazioni.
Se ρ1 , ρ2 non sono equivalenti, cioè non sono legate da una relazione di similitudine,
S = 0. Viceversa, se ρ1 , ρ2 sono equivalenti su V ( V1 , V2 ⊂ V ), S ∼ 1, più precisamente,
S = (trS/ dimV )1. Inoltre, essendo le due rappresentazioni legate da una relazione di simi-
litudine, esiste una matrice non singolare R tale che ρ2 = R−1 ρ1 R e si trova facilmente che
12
S = [tr(RS0 )/ dimV ]R−1 .
Definizione Sia (V, ρ) una rappresentazione del gruppo G. Il carattere χρ della rappresenta-
zione è
χρ (a) = trV [ρ(a)] .
Essendo la traccia invariante per permutazioni cicliche abbiamo χρ (bab−1 ) = χρ (a). Il carattere
dipende solo dalla classe di coniugio di un elemento. Una funzione con questa proprietà è detta
funzione di classe.
Il carattere dell’identità dà la dimensione della rappresentazione
Dal fatto che tutte le rappresentazioni di un gruppo finito sono equivalenti a rappresentazioni
unitarie segue che
χρ∗ (a) = χ∗ρ (a) .
Consideriamo ora due rappresentazioni ρ, ρ0 e denotiamo con {λi } e {µi } i rispettivi auto-
valori. Gli autovalori della rappresentazione ρ ⊕ ρ0 sono {λi , µi } mentre gli autovalori della
rappresentazione ρ ⊗ ρ0 sono {λi · µi }. Avremo pertanto
13
Figura 1.2: Tabella dei caratteri di S3
Per S3 abbiamo tre classi di coniugio. La classe di coniugio dell’identità contiene sempre un
solo elemento, la classe di (12) ne contiene tre: (12), (23) e (13) e quella di (123) ne contiene due:
(123), (132). Il carattere delle rappresentazioni banale ed alternata si calcola immediatamente,
cosı̀ come quello della rappresentazione standard. Possiamo anche calcolare il carattere della
rappresentazione ρ di dimensione tre che abbiamo mostrato si decompone nella rappresentazione
standard e in quella banale. Abbiamo
V G = {v ∈ V : av = v ∀a ∈ G} . (1.24)
Definiamo
1 X
φ= a ∈ End(V ) .
|G|
a∈G
1 X 1 X
n1 = dimV G = T rV (φ) = T rV (a) = χV (a) .
|G| |G|
a∈G a∈G
1 1
n1 = ( χρ (e) + 3χρ ((12)) + 2χρ ((123)) ) = (3 + 3 · 1 + 2 · 0) = 1 .
6 6
Consideriamo ora le mappe lineari tra V e W lasciate fisse dall’azione di G
Hom(V, W )G .
Queste mappe sono proprio gli omomorfismi tra rappresentazioni. La richiesta che ϕ sia un
punto fisso di G implica infatti aφ(a−1 v) = φ(v) ∀a ∈ G.
Dal lemma di Schur segue che se V e W sono irriducibili, o ker(φ) = 0 o ker(φ) = V . Usando
l’isomorfismo Hom(V, W ) ∼ = V ∗ ⊗ W possiamo scrivere
1 X
δV,W = χV (a) · χW (a) .
|G|
a∈G
14
I caratteri delle rappresentazioni irriducibili sono quindi ortonormali rispetto al prodotto scalare
definito da
1 X
(α, β) = α(a)β(a) .
|G|
a∈G
Se W è una rappresentazione generica, si può scrivere come somma di rappresentazioni irridu-
cibili. Dalla formula precedente segue che (χV , χW ) dà la molteplicità di V in W .
Calcoliamo ad esempio le molteplicità con la quale la rappresentazione alternante e la
rappresentazione standard sono contenute nella rappresentazione regolare ρ di S3 . Troviamo
1
n2 = ( χ̄a (e)χρ (e) + 3 · χ̄a ((12))χρ ((12)) + 2 · χ̄a ((123))χρ ((123)) )
6
1
= ( (1)(3) + 3 · (−1) + 2 · (1)(0) ) = 0 ;
6
1
n3 = ( χ̄W ⊥ (e)χρ (e) + 3 · χ̄W ⊥ ((12))χρ ((12)) + 2 · χ̄W ⊥ ((123))χρ ((123)) )
6
1
= ( (2)(3) + 3 · (0) + 2 · (−1)(0) ) = 1 ,
6
in prefetto accordo con quanto visto nel paragrafo (1.2.4).
Definiamo un’importante rappresentazione che esiste per ogni gruppo finito G, la rappre-
sentazione regolare R. Se |G| = n consideriamo uno spazio vettoriale di dimensione n ed
etichettiamo gli elementi della base con gli elementi di G, ea . L’azione di un b ∈ G su un vettore
ea è data da
b(ea ) = eba .
Abbiamo quindi dim R = |G|. Il carattere è
(
0, se a 6= e
χR (a) =
|G|, se a = e.
Il fatto che i caratteri siano funzioni di classe e la loro ortogonalità implicano che il numero
di rappresentazioni irriducibili è al più uguale al numero di classi di coniugio. Per mostrare che
coincidono dobbiamo mostrare che i caratteri sono una base per lo spazio delle funzioni di classe,
i.e. se una funzione di classe è ortogonale a tutti i caratteri allora è nulla.
15
Per fare questo consideriamo una funzione α : G → C. Data una qualsiasi rappresentazione
V, definiamo un endomorfismo
X
φα,V = α(a) · a : V → V.
a∈G
X
= α(tat−1 ) · t(av) .
a∈G
Se α è una funzione di classe, dalla formula precedente segue che ϕα,V è un omomorfismo tra
rappresentazioni. Se d’altra parte α non è una funzione di classe, esistono a0 , t0 ∈ G tali che
α(t0 a0 t−1
0 ) 6= α(a0 ). Consideriamo la rappresentazione regolare
X X X
(φa,R ◦ t0 )(eb ) = α(t0 at−1
0 ) · et0 b 6= α(a)t0 eb = α(a)et0 b ,
a∈G a∈G a∈G
dove la disuguaglianza è dovuta al fatto che il coefficiente di et0 a0 è per ipotesi diverso nei due
membri.
Da questi risultati segue direttamente che i caratteri delle rappresentazioni irriducibili di un
gruppo formano una base ortonormale per lo spazio delle funzioni di classe. Sia infatti α una
funzione di classe ortonormale a tutti i caratteri delle rappresentazioni irriducibili, i.e.
X
α(a)χV (a) = 0 ,
a∈G
ea · eb = eab ,
16
ed estenderlo per linearità all’intero spazio vettoriale. Definiamo in questo modo l’algebra del
gruppo CG.
L’algebra del gruppo CG è del tutto equivalente al gruppo stesso. In particolare ad ogni rap-
presentazione dell’algebra corrisponde una rappresentazione del gruppo e viceversa. Sappiamo
che la rappresentazione regolare R ∼ = CG si decompone come
M
R= (Wi )⊕dim(Wi ) ,
i
In questo caso, all’oggetto 1 viene associato l’oggetto 3, all’oggetto 2 l’oggetto 1 e cosi via. Data
una qualsiasi permutazione la permutazione inversa si ottiene scambiando la prima e la seconda
riga e riordinando la prima. Nel caso del nostro esempio
1 2 3 4 −1 3 1 2 4 1 2 3 4
σ= →σ = = .
3 1 2 4 1 2 3 4 2 3 1 4
Un altro modo di descrivere una permutazione è in termini della sua decomposizione in cicli
disgiunti. Un ciclo è una lista di elementi che associa ad ognuno di essi l’elemento successivo.
Ad esempio il ciclo (1235) rappresenta la permutazione che manda 1 in 2, 2 in 3, e cosı̀ via fino
a 5 in 1. Ogni rappresentazione si scrive come prodotto di cicli disgiunti. Ad esempio
1 2 3 4 5
(123)(135)(24) = .
4 5 3 2 1
o i= (1, 1, 0, 1, 0, 0, 0). Il numero di cicli di una data lunghezza che compaiono nella decomposi-
zione di una permutazione è invariante per coniugio. Inoltre due permutazioni sono nella stessa
17
classe se e solo se hanno la stessa decomposizione in cicli. Le classi di coniugio di Sn sono quindi
in corrispondenza uno ad uno con multiindici i= (i1 , ..., ij , ..., in ) tali che
X
n= jij . (1.26)
Ad ogni multiindice possiamo associare una partizione di n e viceversa, dove una partizione di
n, λ = (λ1 , ...λn ) è una collezione di interi non crescente tale che n = λ1 + λ2 + ... + λn . Basta
porre
X n X n Xn
λ1 = ij , λ2 = ij , λk = ij , λn = in , (1.27)
j=1 j=2 j=k
e viceversa
i1 = λ1 − λ2 , i2 = λ2 − λ3 , ik = λk − λk+1 , in = λn . (1.28)
Esiste pertanto una corrispondenza uno ad uno tra le classi di coniugio di Sn e il numero p(n)
di partizioni dell’intero n. Menzionamo che l’andamento asintotico di p(n) per grandi valori di
n è dato da q
1 π 2n
p(n) ∼ √ e 3 .
4n 3
La partizione coniugata λ0 si costruisce definendo i λ0i come quel numero di termini nella par-
tizione che sono maggiori o uguali a i. Il diagramma coniugato si ottiene scambiando righe e
colonne del diagramma originale
λ →
1
P artizione coniugata λ0 = (5, 3, 2) : λ2 →
λ →
3
Ogni possibile modo di riempire con interi positivi le scatole di un diagramma costituisce un
possibile riempimento del diagramma che viene detto tavola di Young. Il riempimento deve
soddisfare le condizioni seguenti:
• i numeri devono essere posti in ordine crescente lungo ogni riga da sinistra verso destra;
18
• i numeri devono essere strettamente crescenti lungo le colonne dall’alto verso il basso.
Una tavola di Young standard o canonica contiene i numeri {1, ..., n} senza ripetizioni. Alcuni
esempi di tavole di Young sempre per S10 sono
1 2 3 1 3 7
o
4 5 9 2 4 10
6 7 5 6
8 8
10 9
1 2 3
−→ P = (12), (123), (45), ... ; Q = (39), (168), ... .
4 5 9
6 7
8
10
cλ = aλ · bλ ∈ CSn .
19
che definisce la rappresentazione alternante. Rimane un’ultima possibilità, la partizione λ =
{2, 1} o . Al riempimento canonico
1 2
3
e
(12) · f˜1 = f˜1 , (23) · f˜1 = e(23) + e(132) − e(123) − e(12) = −(f˜1 + f˜2 )
e
(12) · f˜2 = e(23) + e(132) − e(123) − e(12) = −(f˜1 + f˜2 ) , (23) · f˜2 = f˜2 .
Se avessimo usato l’altro riempimento canonico
1 3
,
2
f˜1 = ĉλ = ee + e(13) − e(12) − e(123) , f˜2 = (23) · ĉλ = e(23) − e(13) − e(132) + e(123) .
Se f (x) = f (x1 , ..., xk ) è una generica serie di potenze e (l1 , ..., lk ) è una k-upla di interi non
negativi denotiamo con
[f (x)](l1 ,...,lk ) ,
20
il coefficiente di xl11 · · · · · xlkk in f . Data una partizione λ di n con λ1 > λ2 > · · · > λk > 0,
definiamo
lj = λj + k − j ,
una sequenza strettamente decrescente di k interi non negativi.
Il valore assunto sulla classe di coniugio Ci di Sn dal carattere χλ della rappresentazione
irriducibile associata alla partizione λ di n è dato dalla formula di Frobenius
Yn
χλ (Ci ) = ∆(x) · Pj (x)ij .
j=1
(l1 ,...,lk )
Possiamo pertanto usare la formula di Frobenius per calcolare la dimensione della rappresentazio-
ne irriducibile Vλ associata alla partizione λ. Il discriminante introdotto in precedenza equivale
ad un determinante di Vandermonde, ovvero al determinante di una matrice le cui righe (oppure
le cui colonne) hanno elementi, a partire da 1, in progressione geometrica: ai,j = αij−1 (oppure
la trasposta ai,j = αji−1 ):
xk−1
1 xk · · ·
k
∆(x) = ... ... .. = X (sgnσ)xσ(1)−1 · · · xσ(k)−1 .
. k 1
1 x1 · · · k−1 σ∈S
x1
k
Abbiamo inoltre
X n!
(x1 + · · · + xk )n = xr1 xr2 · · · xrkk ,
r1 ,...,rk
r1 ! · · · rk ! 1 2
P
dove la somma corre sulle k-uple (r1 , ..., rk ) in modo tale che j rj = n.
21
k(k−1)
Entrambe le espressioni sono polinomi omogenei rispettivamente di grado 2 ed n. Il loro
prodotto è perciò di grado
k
k(k − 1) X
d= +n= li .
2
i=1
Per trovare il coefficiente di xl11 · ... · xlkk nel prodotto accoppiamo i termini corrispondenti delle
due somme
X n!
sgn(σ) · ,
(l1 − σ(k) + 1)! · · · (lk − σ(1) + 1)!
σ∈Sk
dove la somma corre su quelle permutazioni σ ∈ Sk per le quali lk−i+1 − σ(i) + 1 ≥ 0 per ogni
1 ≤ i ≤ k. Questa somma può anche essere scritta come
1 lk lk (lk − 1) · · ·
k
n! X Y n!
.. .. ..
.. .
sgn(σ) lj (lj − 1) · ... · (lj − σ(k − j + 1) + 2) =
l1 ! · · · lk ! l1 ! · · · lk ! . . . .
σ∈Sk j=1 1 l1 l1 (l1 − 1) · · ·
Y n−1
Y
(j − i) = (n − 1)(n − 2)2 · · · 2n−2 1n−1 = j! .
i<j j=i
h(i, j) = ri + cj − (i + j − 1) .
Nel seguente diagramma, ogni scatola è contrassegnata dalla propria lunghezza di Hook.
6 4 3 1
4 2 1
1
22
Figura 1.3: Misura della lunghezza di Hook di una scatola.
dove il prodotto corre su tutte le scatole del diagramma di Young associato alla partizione λ.
Per la rappresentazione standard di S3 abbiamo
3 1
,
1
e quindi
3!
dim(V ) = =2.
3
Menzioniamo un ultimo metodo per calcolare la dimensione della rappresentazione corrispon-
dente ad una partizione λ: la dimensione è pari al numero di tavole di Young standard per λ.
Questo è il numero di possibili riempimenti del diagramma di Young λ con gli interi {1, ..., n}
tali che le entrate crescano lungo ogni riga e colonna. Ovviamente per le rappresentazioni banale
ed alterna vi è una sola tavola, mentre per la rappresentazione standard di S3 , ad esempio, ve
ne sono due
1 2 e 1 3 .
3 2
23
24
Capitolo 2
I gruppi di Lie sono degli insiemi che possiedono simultaneamente la struttura di gruppo e
quella di varietà differenziabile. Le due strutture sono inoltre compatibili: la moltiplicazione e
l’inversione sono mappe differenziabili. La teoria dei gruppi di Lie è particolarmente affascinante
perché concetti algebrici e geometrici risultano profondamente interconnessi.
Essendo gruppi continui, i gruppi di Lie sono molto diversi e molto più complessi dei gruppi
finiti discussi nel capitolo precedente. In particolare, essendo di ordine non numerabile, non
possono essere definiti in termini di generatori e relazioni. Proprio la loro struttura aggiuntiva
di varietà rende tuttavia possibile studiarli in grande dettaglio, ricorrendo ad una nuova strategia.
La struttura di varietà differenziabile permette infatti di sostituire allo studio del gruppo lo studio
del suo spazio tangente munito di un’operazione bilineare, indotta dalla legge di composizione
del gruppo, che gli dà la struttura di un’algebra, l’algebra di Lie. Risulta notevole che lo studio
della struttura di questo oggetto lineare e delle sue rappresentazioni permetta di ricostruire la
quasi totalità delle informazioni riguardanti la struttura del gruppo e delle sue rappresentazioni.
Una mappa tra due gruppi di Lie G e H è una funzione ρ : G → H differenziabile che è anche
un omomorfismo tra gruppi.
I gruppi di Lie sono caratterizzati sia da proprietà algebriche, ad esempio come gruppi
abeliani o non abeliani, sia da proprietà topologiche, come ad esempio la connessione o la
compattezza. Prima di concentrarci sulle proprietà algebriche, richiamiamo brevemente alcune
nozioni di topologia.
Dato uno spazio topologico (X, T ), una famiglia {Ai } di sottoinsiemi di X è detta ricopri-
mento di X se [
Ai = X .
i∈I
Se tutti gli Ai sono insiemi aperti della topologia T , il ricoprimento è detto ricoprimento aperto.
Consideriamo a questo punto l’insieme X e tutti i suoi possibili ricoprimenti. L’insieme X è
detto compatto se per ogni ricoprimento aperto {Ui | i ∈ I} esiste un sottoinsieme finito J di I
tale che {Uj | j ∈ J} sia ancora un ricoprimento di X. La sfera n-dimensionale S n con relativa
topologia è un classico esempio di varietà compatta in quanto è chiusa e limitata da Rn+1 .
25
Uno spazio topologico X è connesso se non può essere scritto come unione di aperti disgiunti,
cioè non può avere la forma
X = X1 ∪ X2 ,
con X1 e X2 aperti tali che X1 ∩ X2 = ∅. Altrimenti X è detto disconnesso. X è detto connesso
per archi se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esiste una mappa continua f : [0, 1] → X tale
che f (0) = x e f (1) = y. Uno spazio connesso per archi è anche connesso, mentre l’inverso
non è sempre vero. Le due nozioni risultano tuttavia equivalenti per sottoinsiemi aperti di spazi
vettoriali reali o complessi. Consideriamo infine un cammino chiuso, i.e. una mappa continua
f, : [0, 1] → X tale che f (0) = f (1). Se ogni cammino chiuso in X può essere ridotto ad un
punto, X è detto semplicemente connesso.
Come esempio consideriamo i due unici gruppi di Lie connessi unidimensionali: R e U (1).
Il primo è il gruppo dei numeri reali rispetto all’addizione ed è un gruppo non compatto e
semplicemente connesso. Il secondo gruppo è il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi di
modulo uno U (1) = {z ∈ C, |z| = 1}, isomorfo al gruppo delle rotazioni in due dimensioni
SO(2). Topologicamente è una circonferenza S 1 . Si tratta quindi di un gruppo compatto ma
non semplicemente connesso. Ogni gruppo di Lie abeliano connesso è un prodotto cartesiano di
copie di questi due gruppi.
Nel caso complesso imponiamo due condizioni (sulla parte reale e immaginaria del determinante)
e quindi
dim (SL(n, C)) = 2n2 − 2 .
Il gruppo O(n, R), è invece definito come il sottogruppo di GL(n, R) delle matrici reali n × n
A per le quali
AAT = I ,
con AT trasposta di A. Questo gruppo riveste un ruolo di primo piano in fisica in quanto descrive
le rotazioni nello spazio Euclideo di dimensione n. Si verifica facilmente che le matrici ortogonali
formano un insieme chiuso rispetto alla composizione
26
Per determinare la dimensione di O(n) osserviamo che la condizione di ortogonalità
AAT − I = 0 , (2.2)
impone n(n + 1)/2 vincoli sulle componenti di A essendo la matrice AAT simmetrica. Ne segue
che
1 1
dim (O(n, R)) = n2 − n(n + 1) = n(n − 1) . (2.3)
2 2
La condizione di ortogonalità implica detA = ±1. Possiamo quindi definire un sottogruppo di
O(n, R) che è il gruppo ortogonale speciale, SO(n, R) formato dalle matrici con detA = 1.
Come ultimo esempio consideriamo il gruppo unitario U (n, C), il sottogruppo di GL(n, C)
delle matrici A complesse tali che
AA† = I ,
dim(U(n)) = n2 .
dim(SU(n)) = n2 − 1 .
Il gruppo GL(n, R) può anche essere visto come gruppo degli automorfismi di uno spazio vetto-
riale n-dimensionale V per il quale è stata effettuata una scelta di base. Possiamo quindi riferirci
a questo gruppo anche con GL(V ) o Aut(V ).
I sottogruppi di GL(n, R) discussi sopra sono da questo punto di vista sottogruppi di GL(V )
che preservano una qualche struttura ulteriore presente su V . Ad esempio il gruppo speciale
lineare SL(n, R) può essere visto come il gruppo degli automorfismi di Rn che lasciano invariato
l’elemento di volume mentre il gruppo U (n) come il gruppo degli automorfismi che lasciano
invariato un prodotto interno H, hermitiano e definito positivo. Ricordiamo che una forma
hermitiana H(v, w) è antilineare nel primo argomento e lineare nel secondo
27
Dimostrazione Sia U un intorno aperto di e. Per ogni n ∈ N denotiamo con U n l’insieme
degli elementi nella forma u1 ...un , dove ogni ui ∈ U . Poniamo W := ∪n∈N U n . Poiché ogni U n è
un aperto otteniamo che W, essendo unione di aperti, è esso stesso aperto. Vediamo come esso
sia anche chiuso. Sia W̄ la chiusura di W. Se g ∈ W̄ l’insieme gU −1 è un intorno aperto di g e
deve quindi intersecare W. Consideriamo ora h ∈ W ∩ gU −1 ed osserviamo che
• poiché h ∈ gU −1 , allora h = gu−1 per un certo u ∈ U ;
Una prima conseguenza importante di questo teorema è che ogni mappa ρ : G → H tra
gruppi di Lie connessi è completamente determinata dalla sua azione su un intorno aperto del-
l’identità di G. Dato che l’aperto è arbitrario abbiamo il lemma seguente.
Questo risultato permette di sostituire allo studio di un omomorfismo tra gruppi di Lie lo stu-
dio del suo differenziale, una mappa lineare tra spazi vettoriali. Consideriamo gli automorfismi
di G dati dall’operazione di coniugio con un elemento g ∈ G. Per ogni g ∈ G definiamo
Ψg : G → G
tale che
Ψg (h) = g · h · g −1 .
La mappa Ψ associa ad ogni g ∈ G un automorfismo di G e quindi possiamo scrivere
Ψ : G → Aut(G). Se ρ è un omomorfismo tra gruppi abbiamo
essendo
ρ(ghg −1 ) = ρ(g)ρ(h)ρ(g −1 ) . (2.5)
Abbiamo Ψg (e) = e e quindi tutti gli automorfismi Ψg lasciano fissa l’identità. Ne segue che il
differenziale di Ψg è una mappa lineare dallo spazio tangente all’identità in se stesso
Adg = (dΨg )e : Te G → Te G .
Otteniamo in questo modo una rappresentazione del gruppo G sul proprio spazio tangente
Ad : G → Aut(Te G) ,
e quindi
dρe (Adg (Y )) = Adρ(g) (dρe (Y )) . (2.7)
Se ora differenziamo rispetto alla dipendenza da g troviamo una mappa lineare dello spazio
tangente in se stesso
adX = Te G → Te G . (2.8)
28
La mappa ad associa ad ogni elemento dello spazio tangente un endomorfismo dello spazio stesso
ad : Te G → End(Te G) .
Se consideriamo entrambi i suoi argomenti, la mappa adX (Y ) è allora una mappa bilineare
ad : Te G × Te G → Te G . (2.9)
ad(X)(Y ) = [X, Y ] .
[X, [Y, Z]] + [Y, [Z, X]] + [Z, [X, Y ]] = 0 , ∀X, Y, Z ∈ Te G . (2.10)
Questo è un risultato fondamentale: ogni omomorfismo ρ tra gruppi di Lie rispetta il commu-
tatore dello spazio tangente.
Diamo adesso una descrizione più esplicita del commutatore ad(X)(Y ) = [X, Y ]. Conside-
riamo delle curve lisce sulla varietà di gruppo passanti per l’identità. Sia I ⊂ R un intervallo
contenente lo zero e hY : I → G una curva passante per l’identità hY (0) = e e tale che
dove h0 è la derivata della curva valutata in t = 0. Al variare delle curve h(t) si ottengono tutti
gli elementi dello spazio tangente all’unità Te G, i.e. dell’algebra g. Consideriamo una curva
hX (t) con tangente nell’identità l’elemento X dell’algebra. Abbiamo
Infatti
d −1
hX (t)Y hX (t) = XY − Y X , (2.14)
dt t=0
dove abbiamo usato che
d d d −1
hX (t)h−1 −1
0= X (t) = hX (t) hX (t) + hX (t) h (t) , (2.15)
dt dt dt X
e quindi
d −1 d
h (t) = −h−1
X (t) hX (t) h−1
X (t) . (2.16)
dt X dt
Valutando in zero l’espressione precedente si trova
d −1
h (t) = −X . (2.17)
dt X t=0
29
La (2.13) definisce in modo esplicito il commutatore in termini della composizione degli endo-
morfismi X ed Y di V , che equivale al prodotto di matrici una volta scelta una base. Questa
formula rende evidente che il commutatore è una forma bilineare antisimmetrica che soddisfa
l’identità in (2.10).
Definiamo in generale algebra di Lie uno spazio vettoriale g dotato di un prodotto
[·, ·] : g × g → g , (2.18)
ρ : g → gl(V ) ≡ End(V ) ,
exp : g → G .
Questa serie converge per ogni X proprio come la funzione esponenziale. Abbiamo
e
exp(X)exp(Y) = exp(C(X, Y)) ,
dove l’elemento C(X, Y ) è esprimibile come serie nei commutatori di X ed Y . La formula
esplicita è nota come formula di Baker-Campbell-Hausdorff e i primi termini della serie sono
1 1 1
C(X, Y ) = X + Y + [X, Y ] + [X, [X, Y ]] + [Y, [Y, X]] + . . . . (2.22)
2 12 12
Ad ogni elemento dell’algebra X ∈ g possiamo associare un sottogruppo ad un parametro
h(t) ∈ G
hX (t) = exp(tX) . (2.23)
Dal punto di vista geometrico questo sottogruppo ad un parametro è la curva integrale pas-
sante per l’identità del campo vettoriale ottenuto traslando il vettore tangente X tramite la
moltiplicazione a sinistra per G.
30
2.2 Prima classificazione delle algebre di Lie
In questa sezione introduciamo una serie di definizioni che permettono di caratterizzare meglio
un algebra di Lie, in particolare di chiarire in che misura il suo prodotto differisca dal prodotto
banale o abeliano [X, Y ] = 0 per ogni X, Y ∈ g. Iniziamo col definire il centro Z(g) di un algebra
di Lie g come il sottospazio di g degli elementi X ∈ g tali che [X, Y ] = 0 per ogni Y ∈ g. Se
tutte le parentesi di Lie sono nulle, g è detta appunto abeliana.
Una sottoalgebra di Lie h ⊂ g di un algebra di Lie g è un ideale o una sottoalgebra invariante
se soddisfa la condizione
[X, Y ] ∈ h ∀ X ∈ h, Y ∈ g .
Come i sottogruppi connessi dei gruppi di Lie corrispondono a sottoalgebre della loro algebra
di Lie, la nozione di ideale in un algebra di Lie corrisponde al concetto di sottogruppo normale.
Infatti, dato G gruppo di Lie connesso, H ⊂ G suo sottogruppo connesso e g, h le relative
algebre di Lie, H risulta essere un sottogruppo normale di G se e solo se h è un ideale di g. Si
osservi inoltre che il prodotto di Lie su g induce un prodotto di Lie anche sullo spazio quoziente
g/h se e solo se h è un ideale di g. Diamo allora la definizione seguente
Definizione Un’algebra di Lie g è detta semplice se dim g > 1 e se non contiene ideali non
banali, ovvero non contiene alcuna sottoalgebra invariante.
Cerchiamo ora di caratterizzare un’algebra di Lie in base alla natura delle sue regole di
commutazione. Definiamo innanzitutto la sottoalgebra dei commutatori Dg = [g, g]. Si tratta
chiaramente di un ideale. A partire da questo ideale definiamo due sequenze di sottoalgebre.
La prima è detta serie centrale inferiore {Dk g} ed è definita ricorsivamente nel modo seguente
D1 g = Dg
e
Dk g = [g, Dk−1 g] .
Anche le sottoalgebre Dk g sono degli ideali in g. La seconda sequenza è detta serie derivata
{Dk g} ed è definita da
D1 g = Dg
e
Dk g = [Dk−1 g, Dk−1 g] .
Anche le sottoalgebre Dk g sono degli ideali in g. Inoltre Dk g ⊂ Dk g per ogni k, con l’uguaglianza
quando k = 1. Usiamo queste sequenze di ideali per dare le definizioni seguenti.
Il più importante esempio di algebra di Lie nilpotente è dato dall’algebra nn R delle matrici
strettamente triangolari superiori n×n. Ogni sottoalgebra di Lie di nn R è nilpotente a sua volta.
Si può inoltre dimostrare che se un algebra di Lie g è rappresentata su uno spazio vettoriale V
in modo che ogni suo elemento agisce come un endomorfismo nilpotente, esiste allora una base
per V tale che, identificando gl(V ) con gl(n, R), g corrisponde ad una sottoalgebra di nn R.
31
Il più importante esempio di algebra di Lie risolubile è invece dato dallo spazio bn R delle
matrici triangolari superiori n × n. Di nuovo, ogni sottoalgebra di bn R è a sua volta risolubile.
Ogni rappresentazione di un’algebra di Lie risolubile su uno spazio vettoriale V consiste, in
termini di una base opportuna, di matrici triangolari superiori.
Se h è un ideale in un algebra di Lie g, allora g è risolubile se e solo se h e g/h sono algebre
di Lie risolubili. La somma di due ideali risolubili in un algebra di Lie g è ancora risolubile.
Ne segue che la somma di tutti gli ideali risolubili in g è un ideale risolubile massimale, detto
radicale di g, Rad(g). Il quoziente g/Rad(g) è semisemplice.
Ogni algebra di Lie semisemplice è inoltre perfetta. Una importante conseguenza delle defi-
nizioni date sopra è che un algebra di Lie è semisemplice se e solo se non possiede ideali abeliani
non banali. Un’algebra di Lie semisemplice non può quindi avere un centro e la sua rappre-
sentazione aggiunta è fedele. Si può in effetti dimostrare che ogni algebra di Lie possiede una
rappresentazione fedele (teorema di Ado).
Per completezza enunciamo i due principali teoremi riguardanti le algebre di Lie nilpotenti,
anche se non li utilizzeremo nel seguito.
Teorema di Engel Sia g ⊂ gl(V ) una qualsiasi sottoalgebra di Lie tale che ogni X ∈ g è
un endomorfismo nilpotente di V . Allora esiste un vettore non nullo v ∈ V tale che X(v) =
0 , ∀ X ∈ g.
Teorema di Lie Sia g ⊂ gl(V ) un algebra di Lie risolubile complessa. Allora esiste un vettore
non nullo v ∈ V che è autovettore di X, per ogni X ∈ g.
Un altro fatto importante che non vale più in generale per i gruppi di Lie è la possibilità che
l’azione di un elemento di un’algebra o di un gruppo di Lie possa non essere diagonalizzabile.
Può anche accadere che l’azione di qualche elemento dell’algebra di Lie sia diagonalizzabile in
32
una data rappresentazione ma non in un’altra. La trattazione si semplifica di nuovo restrin-
gendo il nostro interesse alle algebre di Lie semisemplici. Per vedere questo introduciamo la
decomposizione di Jordan
ogni endomorfismo X di uno spazio vettoriale V può essere unicamente scritto nella forma:
X = Xs + Xn ,
2.3 Rappresentazioni
Abbiamo già definito cosa si intende per rappresentazione ρ di un’algebra di Lie. Si tratta di
una mappa lineare
ρ : g → End(V ) , (2.24)
tale che
ρ([X, Y ]) = [ρ(X), ρ(Y )] , ∀X, Y ∈ g . (2.25)
Ogni rappresentazione di un gruppo di Lie induce una rappresentazione dell’algebra di Lie
corrispondente e viceversa.
33
Ogni algebra di Lie possiede almeno una rappresentazione non banale, la rappresentazione
aggiunta.
ad(X)(Y ) = [X, Y ] .
In questo caso lo spazio vettoriale della rappresentazione è l’algebra stessa. Che la mappa ad
sia una rappresentazione è una conseguenza dell’identità di Jacobi.
La definizione di somma diretta di rappresentazioni e di duale di una rappresentazione è
la stessa che per il gruppo. Diversa è invece la definizione del prodotto tensoriale di rappre-
sentazioni dell’algebra. Ricordiamo che l’azione del gruppo G sul prodotto tensoriale di due
rappresentazioni V1 ⊗ V2 è definita come
Poiché gli elementi dell’algebra si ottengono derivando quelli del gruppo, l’azione dell’algebra di
Lie sul prodotto tensoriale è definita nel modo seguente
34
Teorema di Cartan La forma di Killing è non degenere se e solo se l’algebra di Lie è
semisemplice.
Questo implica che g(X, Y ) = 0 per X ∈ h e per qualunque Y ∈ g e quindi che la forma di
Killing è degenere, contrariamente all’ipotesi. L’algebra g è pertanto semplice.
Un altro risultato importante è che la forma di Killing della forma compatta di un’algebra
di Lie è definita negativa.
Diamo ora qualche esempio esplicito di forma di Killing usando le algebre su(n). Ricordiamo
che
SU (n) = {M ∈ GL(n, C) : M † = M −1 , det(M) = 1} ,
è un gruppo compatto (le entrate di una matrice unitaria sono numeri complessi di modulo
minore o uguale ad uno). L’algebra di Lie corrispondente è l’algebra delle matrici antihermitiane
a traccia nulla e dimR (su(n)) = n2 − 1.
Il primo membro della famiglia delle algebre su(n) è l’algebra di Lie su(2) che ha dimensione
tre. Scegliamo come base
3 i 0 2 0 1 1 0 i
D = iσ = , M12 = iσ = , M̂12 = iσ = , (2.32)
0 −i −1 0 i 0
dove le σ i sono le tre matrici di Pauli.
L’azione aggiunta di una delle matrici sulle altre è data da:
[D, M12 ] = 2M̂12 , [D, M̂12 ] = −2M12 , [M12 , M̂12 ] = 2D .
Da queste relazioni possiamo dedurre la forma dei generatori nella rappresentazione aggiunta
(che ha dimensione tre)
0 0 0 0 0 2 0 −2 0
D = 0 0 −2 ,
M12 = 0 0 0 , M̂12 = 2 0 0 .
0 2 0 −2 0 0 0 0 0
35
Dalla definizione g(tα , tβ ) = T rV (ρ(tα ), ρ(tβ )) troviamo, dato che gli unici elementi non nulli
sono quelli diagonali,
è proporzionale a quella nella aggiunta, come deve essere per un’algebra di Lie semplice.
Limitiamoci alla restrizione della forma di Killing al sottospazio dei generatori diagonali D1 e
D2 . Per questo abbiamo bisogno dell’azione aggiunta di D1 e D2
36
Il risultato è proporzionale a quello nell’aggiunta, come deve.
Nelle prossime sezioni studieremo in dettalgio le algebre di Lie semplici, cominciando con
su(2). La comprensione di su(2) e su(3) permette infatti di descrivere senza dover introdurre
nessun nuovo concetto il caso generale.
Prima di procedere sottolineiamo che studieremo algebre di Lie complesse. Fino ad ora
abbiamo considerato le algebre di Lie come algebre sui numeri reali. Questo significa che dati
i generatori tα , un generico elemento dell’algebra è una combinazione lineare dei generatori a
coefficienti reali (non ci sono invece restrizioni sulle entrate delle matrici che rappresentano i
generatori che possono essere reali o complesse). In particolare le costanti di struttura
sono quantità reali. Come già osservato seguiamo la convenzione comune nella letteratura ma-
tematica sulle algebre di Lie utilizzando generatori antihermitiani. Nella letteratura fisica si
preferisce lavorare con generatori hermitiani. Le relazioni di commutazione si scrivono allora
in modo che le costanti di struttura siano sempre reali per un’algebra reale.
Data un’algebra reale g possiamo considerare la sua complessificazione
gC = g ⊗ C , (2.37)
che consiste nel prendere combinazioni lineari a coefficienti complessi dei generatori di g. Algebre
di Lie reali distinte possono dare origine alla stessa algebra di Lie complessa. L’insieme di tutte
le algebre di Lie reali che a seguito della complessificazione dà la stessa algebra di Lie complessa
gC è detto l’insieme delle forme reali di gC . Il vantaggio di lavorare sul campo complesso è che si
tratta di un campo algebricamente chiuso. Questo permette di diagonalizzare l’azione aggiunta
dell’algebra. Un risultato molto importante è che ogni algebra di Lie complessa semi-semplice
possiede sempre un’unica forma reale compatta.
Un semplice esempio è il caso di su(2) e di sl(2, R). Le combinazioni lineari a coefficienti
complessi delle matrici in (2.32) danno lo spazio delle matrici complesse a traccia nulla, i.e.
l’algebra sl(2, C). Allo stesso modo le combinazioni a coefficienti complessi dei generatori di
sl(2, R) danno ovviamente sl(2, C). Vediamo quindi come su(2) e sl(2, R) sono due forme reali
distinte di sl(2, C), la prima compatta, la seconda non compatta.
In generale la complessificazione delle algebre su(n) coincide con sl(n, C) che nel seguito
denoteremo semplicemente con sln . Le algebre su(n) sono la forma reale compatta delle algebre
complesse sln
37
sl2 . Supponiamo che V sia una rappresentazione irriducibile di dimensione finita. La conserva-
zione della decomposizione di Jordan implica che l’azione di H su V è diagonalizzabile. Questo
permette di decomporre lo spazio di rappresentazione in autospazi di H
M
V = Vα , (2.38)
α
H(v) = α · v .
E : Vα → Vα+2 .
e in modo simile
EF 2 (v) = [E, F ]F (v) + F EF (v) = HF (v) + F (nv) = (n − 2)F (v) + nF (v) = (2n − 2)F (v) .
In generale
38
o
EF m (v) = m(n − m + 1)F m−1 (v) .
Anche E rispetta W e quindi V = W . Questa costruzione mostra anche che tutti gli autospazi
Vα di H sono unidimensionali. Sia adesso k il più piccolo valore intero per cui F k v 6= 0 e
F k+1 v = 0. Abbiamo
EF k+1 (v) = (k + 1)(n − k)F k (v) = 0 , (2.40)
che implica
n=k∈N. (2.41)
Concludiamo che il numero n è un numero intero non negativo e che di conseguenza, gli autovalori
α di H su V formano una sequenza di interi distanti l’uno dall’altro ±2 e simmetrici rispetto allo
zero in Z. Per ogni intero n esiste al più un’unica rappresentazione V (n) di dimensione n + 1
i cui autovalori formano la sequenza n, n − 2, n − 4, ..., −n + 2, −n. Possiamo inoltre notare
dalla simmetria degli autovalori che, una qualsiasi rappresentazione V di sl(2, C) tale che gli
autovalori di H abbiano tutti la stessa parità e tale che essi si presentino tutti con molteplicità
1, è necessariamente irriducibile. Più in generale, il numero di componenti irriducibili di una
rappresentazione arbitraria V di sl2 coincide con la somma delle molteplicità di 0 ed 1 come
autovalori di H.
Diamo ora una costruzione esplicita delle rappresentazioni V (n) mostrandone in questo modo
l’esistenza. La rappresentazione unidimensionale banale C è proprio V (0) . Abbiamo poi la
rappresentazione standard bidimensionale V = C2 che abbiamo usato per definire l’algebra
sl2 . Se x e y formano la base standard per C2 , abbiamo H(x) = x e H(y) = −y e quindi
V = C · x ⊕ C · y = V−1 ⊕ V1 che coincide con la rappresentazione V (1) .
Consideriamo ora il prodotto tensoriale di due rappresentazioni bidimensionali V (1) . Se
denotiamo i vettori di base dei due spazi con xi e yi (i = 1, 2), una base per il prodotto
tensoriale è data dai quattro vettori: x1 x2 , x1 y2 , x2 y1 , y1 y2 . I loro autovalori rispetto ad H
sono rispettivamente +2, 0, 0, −2 e quindi, per quanto mostrato sopra, si ha
V ⊗ V = V (2) ⊕ V (0) .
Iterando questa costruzione studiamo il prodotto tensoriale di V con V (n) . Gli autovalori di H
sono
(n + 1), 2 · (n − 1), 2 · (n − 3), ..., 2 · (−n + 3), 2 · (−n + 1), −(n + 1) ,
e quindi
V ⊗ V (n) = V (n+1) ⊕ V (n−1) .
Per induzione questo procedimento dimostra l’esistenza di tutte le rappresentazioni V (n) .
Possiamo caratterizzare in modo più preciso queste rappresentazioni mostrando che V (n) è
data dal prodotto tensoriale simmetrico di n copie di V (1) . Consideriamo per primo il caso del
quadrato simmetrico di V , W = Sym2 (V ). Una base per questo spazio è data da i vettori
{x2 , xy, y 2 }. Dall’azione di H
vediamo che W = W−2 ⊕ W0 ⊕ W2 e quindi che W = V (2) . In generale l’azione di H sulla base
{xn , xn−1 y, ..., y n } dell’n-esima potenza simmetrica Symn V di V è
39
Gli autovalori di H su Symn V sono pertanto n, n − 2, ..., −n e quindi
V (n) = Symn V .
Come anticipato, concludiamo che ogni rappresentazione irriducibile di sl2 è una potenza simme-
trica della rappresentazione standard V ∼= C2 . Per il prodotto di due rappresentazioni irriducibili
si ha
n+m
M
(n) (m)
V ⊗V = V (l) ,
l=|n−m|
dove α(H) è uno scalare linearmente dipendente da H, i.e. α ∈ h∗ . Definiamo allora autovalore
per l’azione di h un elemento α ∈ h∗ tale che esista un elemento non nullo v ∈ V per il quale sia
soddisfatta l’equazione precedente. L’autospazio Vα associato all’autovalore α è il sottospazio di
tutti i vettori v ∈ V che soddisfano l’equazione (2.42). Vediamo quindi che
Ogni rappresentazione finito-dimensionale V di sl3 possiede una decomposizione
V = ⊕Vα ,
Generalizzeremo più avanti questa costruzione ad ogni algebra di Lie semi-semplice. Sarà
sempre possibile trovare una sottoalgebra abeliana h ⊂ g tale che la sua azione su ogni rappre-
sentazione V sia diagonalizzabile e sia pertanto possibile decomporre V in una somma diretta
di autospazi Vα per l’azione di h. Questa sottoalgebra è detta sottoalgebra di Cartan di g.
Vediamo ora come generalizzare gli operatori di innalzamento e di abbassamento di sl2 . Dalle
relazioni di commutazione
vediamo che E ed F sono autovettori per l’azione aggiunta di H su sl2 . L’idea anche nel caso di
sl3 è studiare l’azione aggiunta della sottoalgebra di Cartan su sl3 e decomporre sl3 in autospazi
40
di h !
M
sl3 = h ⊕ gα ,
α∈∆
dove α varia su un sottoinsieme finito ∆ ⊂ h∗ e h agisce su ogni spazio gα nel modo seguente
H ∈ h e Y ∈ gα ,
Gli autovalori permessi non nulli α ∈ ∆ sono detti radici dell’algebra di Lie g, e il corrispondente
sottospazio gα è detto spazio della radice. Il sottospazio g0 relativo al vettore nullo in h∗ è
l’algebra di Cartan h. Il vettore nullo non viene solitamente considerato una radice e quindi
0∈ / ∆.
Descriviamo esplicitamente questa decomposizione. Per sl3 la sottoalgebra di Cartan è
formata dalle matrici
a1 0 0
h = 0 a2 0 : a1 + a2 + a3 = 0 .
0 0 a3
Come base per sl3 prendiamo, oltre ai generatori dell’algebra di Cartan, le sei matrici Eij con
i 6= j la cui unica entrata non nulla è quella nella riga i-esima e colonna j-esima ed è pari ad
uno
(Eij )kl = δik δjl . (2.43)
Si verifica immediatamente che le matrici Eij sono autostati per l’azione aggiunta di h con
autovalore (ai − aj ). Il duale dell’algebra di Cartan è
h∗ = C{L1 , L2 , L3 }/(L1 + L2 + L3 = 0) ,
I funzionali lineari α ∈ h∗ che appaiono nella decomposizione dell’algebra di Lie sono quindi i
sei funzionali Li − Lj (i 6= j) e lo spazio gLi −Lj è generato dall’elemento Eij . La struttura degli
autovalori è rappresentata in figura (2.1).
Questa figura rende trasparente l’azione aggiunta dell’algebra su se stessa. La sottoalgebra
h manda ovviamente ognuno dei sottospazi gα in se stesso. Per capire la struttura degli altri
commutatori, consideriamo E ∈ gα e F ∈ gβ . Usando l’identità di Jacobi troviamo
[gα , gβ ] ⊂ gα+β .
Pertanto
ad(gα ) : gβ → gα+β .
Questo significa che l’azione di ad(gα ) rispetta la decomposizione dell’algebra di Lie, traslando
ogni autospazio gβ (che corrisponde ad un punto del reticolo) nel sottospazio gα+β (che cor-
risponde al punto traslato di α). Un esempio è riportato nella figura (2.2). Ogni autospazio
41
Figura 2.1: Reticolo delle radici di sl(3, C)
HE(v) = EH(v) + [H, E](v) = E(β(H) · v) + (α(H) · E)(v) = (α(H) + β(H)) · E(v) ,
che implica
gα : Vβ → Vα+β .
Questo significa che gli autovalori α che compaiono in una rappresentazione irriducibile di sl3
differiscono l’uno dall’altro per una combinazione lineare dei vettori Li − Lj ∈ h∗ . I vettori
Li − Lj ∈ h∗ generano un reticolo in h∗ , che per definizione, è composto da tutte le combinazioni
lineari intere di Li − Lj ∈ h∗ . Questo reticolo è detto reticolo delle radici e sarà indicato come
ΛR .
Gli autovalori di h in una rappresentazione arbitraria sono invece chiamati pesi della rap-
presentazione. Vediamo che i pesi di una rappresentazione sono congruenti modulo vettori
appartenenti al reticolo delle radici.
l : ΛR → R ,
42
Figura 2.2: Azione di gL1 −L3 sull’algebra di Lie.
α tali che l(α) > 0 (l(α) < 0). Definiamo vettore di peso massimo un vettore v appartenente
all’autospazio Vα per il quale la parte reale di l(α) è massima.
In questo modo, come nel caso di sl2 , abbiamo per costruzione un vettore v che è autovettore
di h e che è allo stesso tempo nel nucleo dell’azione di gβ per ogni radice positiva. Il vettore v
viene quindi annullato dalla metà degli spazi di radici gβ , che giocano il ruolo di operatori di
innalzamento. Agendo sullo stato di peso massimo con la restante metà dei generatori gβ , quelli
con l(β) < 0, si ottiene una rappresentazione irriducibile.
Rendiamo esplicita questa costruzione. Un generico funzionale lineare su h∗ è specificato da
tre numeri ri a somma nulla
l(c1 L1 + c2 L2 + c3 L3 ) = r1 c1 + r2 c2 + r3 c3 .
Supponiamo che r1 > r2 > r3 (come vedremo il risultato non dipende da questa scelta, altre
scelte darebbero un risultato equivalente). In questo modo gli autospazi gα ∈ g con l(α) > 0
sono precisamente gL1 −L2 , gL1 −L3 e gL2 −L3 . Essi corrispondono a matrici con un’entrata non
nulla sopra la diagonale principale. Quindi per i < j le matrici Eij generano gli spazi di radici
positive mentre le matrici Eji generano gli spazi di radici negative. Definiamo poi
Sia ora V una rappresentazione irriducibile di dimensione finita di sl3 . Il vettore di peso massimo
v è annullato da E12 , E13 e E23
Si dimostra facilmente che lo spazio che si ottiene agendo ripetutamente su v con gli operatori
E21 , E31 , E32 coincide con V . Per vedere questo notiamo che è sufficiente utilizzare E21 e E32
essendo
[E21 , E32 ] = E13 . (2.44)
43
Figura 2.3: Possibile scelta dell’iperpiano che determina le radici positive di sl(3, C).
Notiamo inoltre che tutti gli autovalori β ∈ h∗ presenti in V appartengono al settore del piano
con vertice in α e delimitato dalle rette lungo L2 − L1 e L3 − L2 (Figura 2.5). Consideriamo ora
il sottospazio W ⊆ V costituito dalle immagini di v sotto l’azione degli operatori E21 , E31 , E32 .
Se mostriamo che W è invariante rispetto all’azione di sl3 , abbiamo anche mostrato che W = V ,
essendo V irriducibile. Dobbiamo assicurarci che E12 e E23 mappino W in se stesso. Cominciamo
con il vettore E21 (v). Se agiamo con E12 troviamo
E12 (E21 (v)) = E21 (v)(E12 (v)) + [E12 , E21 ](v) = α([E12 , E21 ]) · v ,
dove abbiamo usato il fatto che E12 (v) = 0 e [E12 , E21 ] = H12 ∈ h. In modo analogo
E23 (E21 (v)) = E21 (v)(E23 (v)) + [E23 , E21 ](v) = 0 ,
poiché E23 (v) = 0 e [E23 , E21 ] = 0.
Con un calcolo praticamente identico possiamo mostrare che anche E32 (v) rimane in W sotto
l’azione di E12 e E23 .
Per vedere che questo è vero in generale, siano wn tutti gli operatori formati agendo in
tutti i modi possibili con n E21 e E32 e sia Wn lo spazio vettoriale formato dai vettori wn (v).
W è chiaramente l’unione di tutti gli spazi Wn . Per provare l’invarianza di W mostriamo che
E12 e E23 mappano Wn in Wn−1 . Possiamo scrivere wn ∈ Wn come wn = E21 (wn−1 ) o come
wn = E32 (wn−1 ) dove in entrambi i casi wn−1 ∈ Wn−1 e sarà per costruzione un autovettore di
h con un certo autovalore β. Abbiamo nel primo caso
E12 wn = E12 (E21 (wn−1 )) = E21 (E12 (wn−1 )) + [E12 , E21 ](wn−1 )
= E21 (wn−2 ) + β([E12 , E21 ]) · wn−1 , (2.45)
dove wn−2 ≡ E12 (wn−1 ) è per induzione un elemento contenuto in Wn−2 e abbiamo usato il
fatto che [E12 , E21 ] = H12 ∈ h, e
E23 wn = E23 (E21 (wn−1 )) = E21 (E23 (wn−1 )) + [E23 , E21 ](wn−1 ) = E21 (ŵn−2 ) , (2.46)
44
Figura 2.4: Frazione di piano occupata dai β ∈ h∗ .
dove ŵn−2 ≡ E23 (wn−1 ) è anch’esso, per induzione, un elemento di Wn−2 . Possiamo fare un
calcolo analogo nel caso wn = E32 (wn−1 ). Vediamo che il vettore risultante è contenuto in Wn−1
e questo prova l’invarianza di W .
Ogni rappresentazione irriducibile di dimensione finita di sl3 possiede quindi un unico vettore
di peso massimo. Più in generale, data una rappresentazione arbitraria V e un vettore di peso
massimo v ∈ V con peso α, il sottospazio W generato dall’azione degli operatori di abbassamento
su v è una sottorappresentazione irriducibile di V . Il numero di volte che la rappresentazione
W compare in V coincide con la dimensione dell’autospazio Vα .
Concentriamoci ora sulla struttura delle rappresentazione irriducibili. Il modo più convenien-
k (v) dove v è il vettore di peso massimo. Infatti
te per farlo è guardare alla successione di stati E21
essi vivono in una collezione di autospazi gα , gα+L2 −L1 , gα+2(L2 −L1 ) , ..., che formano una linea
in h∗ al di sopra della quale non possono esserci altri pesi della rappresentazione considerata.
Questi spazi formano una stringa ininterrotta di autospazi non nulli gα+k(L2 −L1 ) , k = 0, 1, ...,
fino ad arrivare al primo m tale che (E21 )m (v) = 0. Dopo di che, avremo gα+k(L2 −L1 ) = {0} per
qualunque k ≥ m. Notiamo a questo punto che gli elementi
formano una sottoalgebra di sl3 isomorfa ad sl2 che denoteremo con sL1 −L2 . La somma diretta
degli autospazi di V che stavamo studiando
M
W = Vα+k(L2 −L1 ) ,
k
è un sottospazio invariante per l’azione di sL1 −L2 , infatti è una rappresentazione irriducibile di
sl2 . Da questo deduciamo due informazioni essenziali: gli autovalori di H12 su W sono interi e
45
Figura 2.5: Stringa di autospazi. Non abbiamo punti sopra/a destra della linea in grassetto e
nessun altro punto su di essa tranne quelli segnati.
sono simmetrici rispetto allo zero. Utilizziamo per ora solo la seconda informazione (dalla prima
segue come vedremo che i pesi di ogni rappresentazione di sl3 sono combinazioni a coefficienti
interi dei pesi Li della rappresentazione fondamentale e quindi appartengono al reticolo generato
da questi ultimi, come mostrato nelle figure). La condizione di simmetria rispetto allo zero
implica che la stringa di autovalori debba essere simmetrica rispetto alla linea hH12 , Li = 0 o
l = u(L1 + L2 ) in h∗ .
Chiaramente questa costruzione non si limita a E12 e E21 . In generale per ogni i 6= j, gli
elementi Eij e Eji insieme al loro commutatore [Eij , Eji ] = Hij costituiscono una sottoalgebra
sLi −Lj di sl3 isomorfa ad sl2 . Utilizzando la sottoalgebra sL2 −L3 possiamo concludere che la
stringa di punti corrispondenti agli autospazi Vα+k(L3 −L2 ) è invariante per riflessione rispetto
alla linea hH23 , Li = 0 in h∗ . Consideriamo ora l’ultimo vettore non nullo nella stringa di vettori
generata dall’azione di E21 , v 0 ≡ (E21 )m−1 (v) di peso β = α + (m − 1)(L2 − L1 ), dove m è come
prima, il più piccolo intero tale che (E21 )m (v) = 0. Per costruzione v 0 è annullato da E21 . Ma è
annullato anche da E23 poiché
m−2
X
0 m−1
E23 (v ) = E23 (E21 ) (v) = (E21 )l [E23 , E21 ](E21 )m−2−l (v) + (E21 )m−1 E23 (v) = 0 ,
l=0
visto che E23 (v) = 0 e anche [E23 , E21 ] = 0. Lo stesso vale per E13 :
m−2
X
0 m−1
E1 3(v ) = E13 (E21 ) (v) = (E21 )l [E13 , E21 ](E21 )m−2−l (v) + (E21 )m−1 E13 (v)
l=0
m−2
X
=− (E21 )l E23 (E21 )m−2−l (v) = 0 ,
l=0
poiché E13 (v) = 0 e [E13 , E21 ] = −E23 . Concludiamo di conseguenza che v 0 è un vettore di peso
massimo rispetto al funzionale lineare l con r2 > r1 > r3 , tale che E21 , E13 e E23 sono le radici
positive. Possiamo generare nuovi stati agendo con i corrispondenti operatori di abbassamento
46
Figura 2.6: Simmetria della stringa gα+k(L2 −L1 ) rispetto alla linea hH12 , Li = 0 e simmetria
della stringa gα+k(L3 −L2 ) rispetto alla linea hH23 , Li = 0.
E12 , E31 e E23 . Essendo E32 = [E31 , E12 ] è sufficiente l’utilizzo dei due soli generatori E31 e
E12 . La stringa di autovalori lungo la direzione L3 − L1 è simmetrica per riflessione rispetto alla
linea hH13 , Li = 0. Ragionando come prima, la linea che parte da v 0 terminerà su un vettore v 00
annullato da E31 , E21 e E23 e dal quale possiamo ripartire usando gli operatori di abbassamento
corrispondenti. Procedendo in questo modo tracciamo un poligono, in effetti un esagono, che
delimita la regione di h che può contenere gli autovalori della rappresentazione V . Questo
esagono è simmetrico rispetto alla riflessione in ognuna delle tre linee hH12 , Li = 0, hH23 , Li = 0
e hH13 , Li = 0. Sappiamo già che i punti all’intersezione tra il bordo dell’esagono e il reticolo
generato dagli Li sono pesi della rappresentazione con molteplicità uno. L’insieme di autovalori
include anche tutti i punti interni all’esagono congruenti a quelli sul bordo modulo vettori
appartenenti al reticolo delle radici, come si vede agendo con le sottoalgebre sLi −Lj sui punti
del bordo. Di questi pesi tuttavia non conosciamo ancora la molteplicità.
Sappiamo infine che gli autovalori degli elementi Hij devono essere degli interi. Se di seguito
scriviamo i vari pesi in termini di combinazioni lineari dei vettori di base Li
α = w1 L1 + w2 L2 + w3 L3 ;
47
(i numeri pari). Il reticolo dei pesi coincide invece con gli interi. I pesi di una rappresentazione
irriducibile partono da un intero n (peso massimo) e vanno fino a −n a passi di due.
Data la simmetria del diagramma dei pesi di una rappresentazione per riflessione rispetto
alle linee che corrispondono ad autovalori nulli degli Hij , i pesi massimi delle rappresentazioni
irriducibili sono nel settore del piano delimitato dalle linee L1 e −L3 , queste linee incluse. In
altre parole i pesi delle rappresentazioni irriducibili sono caratterizzati da due interi positivi
a, b ∈ N
ωa,b = aL1 − bL3 . (2.47)
Possiamo riassumere quanto visto in questa sezione dicendo che per ogni coppia di numeri
naturali [a, b] esiste un’unica rappresentazione Γa,b irriducibile e di dimensione finita di sl(3, C)
con peso massimo ωa,b . Queste rappresentazioni sono tutte e sole le rappresentazioni irriducibile
e di dimensione finita di sl(3, C).
48
Figura 2.7: Simmetria esagonale dei pesi della rappresentazione di sl(3, C).
quindi il diagramma per V ∗ , sempre in Fig.(2.9), ha come vettore di peso massimo −L3 e
corrisponde a Γ0,1 o [0, 1]. Si noti che, mentre nel caso di sl2 i pesi di ogni rappresentazione
erano simmetrici rispetto all’origine, e quindi ogni rappresentazione isomorfa alla sua rappre-
sentazione duale, lo stesso non è vero per sl3 . Infatti il duale della rappresentazione Γa,b è la
rappresentazione Γb,a
Γ∗a,b = Γb,a . (2.48)
Le rappresentazioni equivalenti al proprio duale di sl3 sono le Γa,a o [a, a].
Come terzo caso consideriamo il prodotto tensoriale della rappresentazione V con se stessa.
Questa rappresentazione di dimensione nove è riducibile. Infatti possiamo scrivere
V ⊗ V = Sym2 V ⊕ Λ2 V ,
dove Sym2 V è costituito dai vettori di V ⊗ V invarianti sotto lo scambio dei due spazi vettoriali
di partenza ed ha dimensione sei, mentre Λ2 V è costituito dai vettori dispari rispetto a questo
scambio ed ha dimensione tre. Ora l’azione dell’algebra di Lie sul prodotto tensoriale è invariante
per lo scambio dei due differenti fattori e quindi Sym2 V e Λ2 V sono due sottoraprresentazioni.
Analizziamo separatamente i loro diagrammi dei pesi.
I pesi di Λ2 V sono le somme di coppie di pesi distinti di V : L1 + L2 = −L3 , L1 + L3 = −L2
e L2 + L3 = −L1 . Vediamo quindi che
Λ2 V ∼
=V∗ .
I pesi di Sym2 V sono le somme di coppie di pesi di V : 2L1 , 2L2 , 2L3 , −L3 , −L2 e −L1 e
49
Figura 2.8: Diagramma dei pesi di sl3 nella rappresentazione standard (sinistra) e nella sua
rappresentazione duale (destra).
che è una mappa tra rappresentazioni di sl3 , con C la rappresentazione banale. Possiamo identi-
ficare V ⊗V ∗ con Hom(V, V ), lo spazio delle matrici complesse tre per tre. La mappa precedente
è semplicemente la traccia delle matrici. Il nucleo di questa mappa è una sottorappresentazione
e corrisponde al sottospazio di V ⊗ V ∗ delle matrici a traccia nulla, i.e. la rappresentazione
aggiunta di sl3 che è irriducibile. Si ottiene quindi la decomposizione
Osserviamo ora che se v e w sono stati di peso massimo con pesi α e β appartenenti a due
rappresentazioni irriducibili V e W rispettivamente, allora v ⊗ w è lo stato di peso massimo per
50
Figura 2.10: Pesi delle rappresentazioni triviale e aggiunta di sl(3, C). Il triplo cerchio sull’origine
sta ad indicare la triplice dimensionalità dello spazio dei pesi V0 .
contiene il vettore di peso massimo v con peso ωa,b . Agendo con gli operatori di abbassamento
su questo vettore generiamo la rappresentazione Γn,m = [n, m]. In altre parole
Abbiamo inoltre
1
dim Γa,b = (a + 1)(b + 1)(a + b + 2) . (2.52)
2
←→ [a, b] = [1, 0] .
51
Per n = 2 consideriamo V ⊗2 che, come già visto, può essere decomposto in una parte simmetrica
ed una antisimmetrica che danno due rappresentazioni irriducibili. Se denotiamo la base di V
con ei , i = 1, 2, 3 la base di Sym2 V è formata dai sei vettori
Sym2 V : ei ⊗ ej + ej ⊗ ei ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ 3 mentre quella di ∧2 V dai tre vettori
∧2 V : ei ⊗ ej − ej ⊗ ei ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ 3. Abbiamo quindi
Passando ad n = 3 troviamo
←→ [a, b] = [3, 0] , ←→ [a, b] = [1, 1] , ←→ [a, b] = [0, 0] .
Si noti che essendo possibili due riempimenti canonici per la rappresentazione corrispon-
dente (in questo caso l’aggiunta) compare due volte nella decomposizione di V ⊗3
V ⊗3 = [3, 0] ⊕ 2 · [1, 1] ⊕ [0, 0] .
Scriviamo anche in questo caso esplicitamente i vettori di base. Gli stati associati a sono
i dieci vettori
Sym3 V : (ei ⊗ ej ⊗ ek ) + perm. ,
dove 1 ≤ i ≤ j ≤ k ≤ 3. Per esistono due riempimenti canonici e quindi due simmetrizza-
tori di Young, discussi già nel primo capitolo e che abbiamo denotato con c e ĉ. Nel primo caso
troviamo otto vettori della forma
(ei ⊗ ej ⊗ ek ) + (ej ⊗ ei ⊗ ek ) − (ek ⊗ ej ⊗ ei ) − (ek ⊗ ei ⊗ ej ) ,
1 2
:
3
(ek ⊗ ej ⊗ ei ) + (ej ⊗ ek ⊗ ei ) − (ei ⊗ ej ⊗ ek ) − (ei ⊗ ek ⊗ ej ) ,
e nel secondo caso
(ei ⊗ ej ⊗ ek ) + (ek ⊗ ej ⊗ ei ) − (ej ⊗ ei ⊗ ek ) − (ej ⊗ ek ⊗ ei )
1 3
:
2
(ei ⊗ ek ⊗ ej ) + (ej ⊗ ek ⊗ ei ) − (ek ⊗ ei ⊗ ej ) − (ek ⊗ ej ⊗ ei ) .
∧3 V : (e1 ⊗ e2 ⊗ e3 ) ± perm. .
Alle rappresentazione di sl3 sono infatti associati diagrammi con al più due righe, dato che
l’antisimmetrizzazione di più di tre indici dà un risultato nullo (essendo i vettori di base tridi-
mensionali) e l’antisimmetrizzazione di tre indici dà un’oggetto invariante. Vale in generale la
seguente corrispondenza fra diagrammi di Young e rappresentazioni di sl(3, C):
Diagramma di Young la cui lunghezza delle righe è pari a (r1 , r2 ) ←→ [a, b] = [r1 − r2 , r2 ] .
52
Concludiamo discutendo per completezza sl2 . In questo caso danno un risultato non banale
solo i diagrammi con una sola riga (essendo ∧2 V equivalente alla rappresentazione banale). La
rappresentazione associata al diagramma avente n scatole orizzontali corrisponde quindi alla
rappresentazione V (n) .
53
54
Capitolo 3
Una volta compresa la struttura dell’algebra di Lie sl(3, C) e delle sue rappresentazioni, l’analisi
di una generica algebra di Lie semplice non richiede l’introduzione di nuovi concetti. In questo
capitolo descriveremo il metodo generale e studieremo la famiglia di algebre sl(n, C). Discutere-
mo inoltre brevemente come classificare tutte le algebre di Lie semplici utilizzando i diagrammi
di Dynkin.
L’azione di h lascia invariato ogni gα e agisce su di esso tramite moltiplicazione scalare attraverso
il funzionale lineare α ∈ h∗
ad(H)(X) = α(H) · X ,
per ogni H ∈ h e X ∈ gα . Gli autovalori α ∈ h∗ sono i pesi della rappresentazione aggiunta e
sono detti le radici e gli autospazi corrispondenti gα sono detti spazi delle radici. Chiaramen-
te h è l’autospazio corrispondente al vettore nullo che non viene tuttavia incluso tra le radici.
Denotiamo l’insieme delle radici con R ⊂ h∗ . Come abbiamo visto nel caso semplice di sl(3, C),
possiamo descrivere la struttura dell’algebra di Lie attraverso il diagramma delle sue radici.
L’azione aggiunta degli elementi di un autospazio gα corrisponde ad una traslazione con α in h∗
che muove ogni altro autospazio gβ in gα+β .
Anticipiamo ora alcune proprietà generali delle radici, già verificate per sl(3, C)
55
Procediamo in modo simile per una generica rappresentazione irriducibile V di g. Essa ammet-
terà una decomposizione del tipo M
V = Vα ,
dove la somma diretta corre su un insieme finito di α ∈ h∗ e h agisce diagonalmente su ogni Vα
H(v) = α(H) · v ,
è una sottoalgebra di g.
Possiamo a questo punto utilizzare le proprietà di sl(2, C) per analizzare g. Sappiamo in-
nanzitutto che tutti gli autovalori dell’azione di Hα devono essere numeri interi. Quindi ogni
autovalore β ∈ h∗ di ogni rappresentazione di g deve assumere valori interi su tutti gli Hα .
Definiamo ora ΛW come l’insieme dei funzionali lineari β ∈ h∗ che prendono valori interi su tutti
gli Hα . ΛW è un reticolo detto reticolo dei pesi di g e tutti i pesi di tutte le rappresentazioni di
g appartengono esso. Da questa definizione deriva che R ⊂ ΛW e ΛR ⊂ ΛW . In generale infatti
il reticolo delle radici è un sottoreticolo di indice finito del reticolo dei pesi.
L’esistenza delle sottoalgebre sα impone delle simmetrie alla distribuzione dei pesi di una
rappresentazione. Nel caso di sl(3, C) abbiamo visto come i pesi si distribuivano a formare degli
esagoni o dei triangoli nel piano. In spazi di dimensionalità maggiore avremo figure geometriche
più complesse. Analizziamo quindi le implicazioni per i pesi di una generica rappresentazione
56
della simmetria degli autovalori di Hα . Essi oltre che essere interi sono simmetrici rispetto
all’origine in Z. Per esprimere questo fatto, per ogni α introduciamo l’involuzione Wα sullo
spazio vettoriale h∗ che lascia invariato l’iperpiano
Ωα = {β ∈ h∗ : hHα , βi = 0} .
Se la successione di pesi che corrispondono ad addendi non nulli nella decomposizione di V[β]
è
β, β + α, β + 2α, ..., β + mα, con ,
possiamo mostrare che
m = −β(Hα ) . (3.1)
Infatti la successione di interi
deve essere simmetrica rispetto allo zero e quindi β(Hα ) = −m. In particolare
A questo punto risulta utile introdurre un particolare prodotto scalare su h∗ , quello indotto
dalla forma di Killing su g. A meno di un fattore scalare è l’unico prodotto interno su h∗ inva-
riante per il gruppo di Weyl. W agisce quindi come un gruppo di trasformazioni ortogonali e le
radici α ∈ h∗ sono perpendicolari al piano Ωα . Il gruppo di Weyl è quindi il gruppo generato
dalle riflessioni rispetto agli iperpiani perpendicolari alle radici dell’algebra di Lie.
Scegliamo infine una direzione privilegiata nel reticolo per dividere le radici in positive e
negative. Scegliamo quindi un funzionale lineare l sul reticolo ΛR , irrazionale rispetto al reticolo
stesso. Otteniamo in questo modo una decomposizione
R = R+ ∪ R− ,
57
appartenenti agli spazi gβ con β ∈ R− è una sottorappresentazione irriducibile di g. Il peso α
del vettore di peso massimo di una rappresentazione irriducibile è detto peso massimo (o peso
dominante) della rappresentazione.
Una radice positiva (negativa) α ∈ R è detta semplice o primitiva se non può essere espressa
come somma di due radici positive (negative) con coefficienti positivi. Le radici semplici formano
una base per il reticolo delle radici e possiamo utilizzare solo queste per costruire una rappresen-
tazione irriducibile. Quindi ogni rappresentazione irriducibile V è generata dalle immagini del
proprio vettore di peso massimo v attraverso l’azione degli elementi di gβ dove β prende valori
sull’insieme delle radici semplici negative.
Avevamo già visto nel caso di sl(3, C) come ogni rappresentazione irriducibile fosse generata
applicando due elementi E21 ∈ gL2 −L1 e E32 ∈ gL3 −L2 al vettore di peso massimo. Per ritornare
alla nostra descrizione dei pesi di una rappresentazione irriducibile V osserviamo che ogni vertice
dell’inviluppo convesso dei pesi di V deve essere collegato ad α dall’azione del gruppo di Weyl.
L’insieme dei pesi è infatti contenuto in un cono α + Cα− , dove Cα− è il cono reale positivo
formato dalle radici β ∈ R− tali che gβ (v) 6= 0, cioè tali che α(Hβ ) 6= 0. D’altra parte i pesi di
V contengono la stringa di pesi
α, α + β, α + 2β, ..., α + (−α(Hβ ))β , ∀β ∈ R− .
Quindi ogni vertice dell’inviluppo convesso dell’insieme dei pesi di V dev’essere della forma
α − α(Hβ )β = Wβ (α) .
Dato che il peso massimo α di una rappresentazione soddisfa la condizione α(Hγ ) ≥ 0, ∀γ ∈ R+ ,
consideriamo il luogo W dei punti in h∗ che soddisfano queste disuguaglianze. Esso è detto ca-
mera di Weyl (chiusa) associata ad un dato ordinamento delle radici.
Introduciamo una base per il reticolo dei pesi, detta base dei pesi fondamentali w1 , ..., wn .
Questa base ha la proprietà che ogni peso massimo si può scrivere univocamente come una com-
binazione lineare a coefficienti interi non negativi degli elementi della base. I pesi fondamentali
possono essere visti geometricamente come i primi pesi lungo i bordi della camera di Weyl o
algebricamente come quegli elementi wi ∈ h∗ tali che wi (Hαj ) = δij , dove gli α1 , ..., αn sono le
radici semplici. Possiamo quindi caratterizzare le rappresentazioni irriducibili in termini delle
componenti del vettore di peso massimo nella base dei pesi fondamentali scrivendo Γα1 , ..., αn per
la rappresentazione irriducibile il cui peso massimo è a1 w1 + · · · + an wn .
Ricordiamo ora che in g abbiamo un prodotto scalare invariante, la forma di Killing g.
Dalla descrizione dell’azione aggiunta degli spazi gα come traslazioni nel diagramma delle radici
vediamo immediatamente che gα è perpendicolare a gβ per ogni β 6= −α. La decomposizione
M
g=g⊕ (gα ⊕ g−α )
α∈R+
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è pertanto ortogonale. Rispetto a g, la linea occupata da ogni radice α è perpendicolare al relativo
iperpiano Ωα . Questo, come già anticipato, è equivalente ad affermare che le involuzioni Wα sono
semplicemente le riflessioni sugli iperpiani, e che il gruppo di Weyl è ortogonale. L’ortogonalità
di Wα può essere espressa attraverso la formula
2g(β, α)
Wα (β) = β − α.
g(α, α)
Iniziamo quindi identificando l’algebra di Cartan. Scrivendo Hi per le matrici diagonali Eii
che portano ei a se stesso e annullano gli ej per j 6= i, abbiamo
h = {a1 H1 + a2 H2 + · · · + an Hn : a1 + a2 + · · · + an = 0} .
La forma di Killing è la forma invariante sotto l’azione del gruppo simmetrico Sn . Gli Li
possiedono tutti la stessa lunghezza e gli angoli tra le varie coppie sono gli stessi. Per disegnare
le radici in h∗ , possiamo pensare i punti Li come situati ai vertici di un simplesso regolare
(n − 1)-dimensionale ∆ con il baricentro nell’origine. Ad esempio per n = 4 gli Li sono i vertici
di un cubo unitario centrato nell’origine. Il reticolo delle radici ΛR può essere descritto come
X X X
ΛR = { ai Li : ai ∈ Z, ai = 0}/ Li = 0 .
A questo punto costruiamo le sottoalgebre sα . Lo spazio di radice gLi −Lj relativo alla radice
Li − Lj è generato da Eij e la sottoalgebra sLi −Lj è data da
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Figura 3.1: Li di sl(4, C).
Il reticolo dei pesi di sl(n, C) può quindi essere realizzato come il reticolo generato dai vertici
del simplesso regolare (n − 1)-dimensionale ∆ centrato nell’origine. Avendo ora determinato sia
ΛR che ΛW , possiamo calcolarne il quoziente. Il reticolo ΛW può essere generato a partire da
ΛR insieme ad uno qualsiasi dei vertici Li del simplesso. Il quoziente ΛW /ΛR è formato da Li e
tutti i suoi multipli. Si verifica facilmente che si tratta di un gruppo ciclico di ordine n. Infatti
modulo ΛR abbiamo X X
0= (Li − Lj ) = nLi − Lj = nLi .
j j
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Abbiamo pertanto
ΛW ∼
= Zn .
ΛR
Il gruppo di Weyl è generato dalle riflessioni rispetto agli iperpiani perpendicolari alle radici
Li − Lj . La riflessione rispetto a ΩLi −Lj scambia Li ed Lj lasciando fissi gli Lk con k 6= i, j. Si
tratta pertanto di una trasposizione. Il gruppo di Weyl W agisce pertanto sui generatori Li di
h∗ come il gruppo simmetrico Sn .
R+ = {Li − Lj : i < j}
e
R− = {Li − Lj : i > j} .
Consideriamo ora più in dettaglio il caso di sl(4, C). Il simplesso ∆, come già osservato, è un
cubo i cui vertici sono gli Li . Gli spigoli della camera di Weyl sono i raggi generati dai vettori
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perpendicolari alle radici primitive negative Li+1 − Li . Questi pesi sono proprio i pesi fonda-
mentali wj (j = 1, ..., n − 1 = dim h che sodisfano wj (Hi ) = δij . Ogni peso massimo β può
essere scritto come combinazione lineare a coefficienti interi non negativi dei pesi fondamentali
n−1
X
β= m i wi .
i=1
Negli esempi studiati le radici formano strutture geometriche piuttosto rigide. Partendo da
questa osservazione, in questa sezione arriveremo ad una classificazione completa delle possibili
algebre di Lie semplici sui numeri complessi. Le proprietà fondamentali di R sono
(1) R è un insieme finito che genera E.
(2) α ∈ R ⇒ −α ∈ R, ma k · α ∈
/ R se k è un qualunque reale diverso da ±1.
(3) Per α ∈ R, la riflessione Wα nell’iperpiano α⊥ mappa R in se stesso.
(4) Per α, β ∈ R, il numero reale
hβ, αi
nβα = 2 = β(Hα )
hα, αi
è un intero.
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Ricordiamo inoltre che Wα = β − nβα α.
Chiamiamo ora sistema di radici (astratto) ogni insieme R di vettori dello spazio Euclideo
E che soddisfa le quattro proprietà sopra elencate. La proprietà (4) pone delle restrizioni molto
forti sulla geometria delle radici. Detto θ l’angolo tra due radici α e β abbiamo
kβk
nβα = 2cos(θ) ,
kαk
e vediamo che
nαβ nβα = 4cos2 (θ)
deve essere un intero compreso tra 0 e 4. Per valere 4 dobbiamo avere cos(θ) = ±1, ovvero
β = ±α. Riportiamo tutte le possibili soluzioni in una tabella, dove abbiamo ordinato le due
radici in modo tale che kβk ≥ kαk o |nβα | ≥ |nαβ |.
√ √ √ √
cos(θ) 3/2 2/2 1/2 0 −1/2 − 2/2 − 3/2
θ π/6 π/4 π/3 π/2 2π/3 3π/4 5π/6
nβα 3 2 1 0 −1 −2 −3
nαβ 1 1 1 0 −1 −1 −1
kβk √ √ √ √
kαk 3 2 1 ∗ 1 2 3
Abbiamo quindi dei valori determinati per i possibili angoli fra radici. Sia n = dimR E =
dimC h il rango dell’algebra di Lie. Elenchiamo le algebre di Lie al variare del rango per i primi
casi n = 1, 2, 3, prima di dare una classificazione generale.
Rango uno. Abbiamo un’unica algebra di Lie di rango uno, la cosiddetta A1 . Il sistema di
radici associato è quello di sl(2, C).
Rango due. In un sistema di radici bidimensionale, a causa delle riflessioni (Proprietà (3)),
gli angoli fra due radici devono essere gli stessi per ogni coppia di radici adiacenti. Gli angoli
permessi sono: π/2, π/3, π/4 e π/6. Una volta che l’angolo è noto, la proprietà (4) ci dà le
lunghezze relative delle radici, eccetto nel caso di angoli retti. Ne segue che, eccetto fattori di
proporzionalità scalari, abbiamo quattro possibili sistemi di radici nel caso bidimensionale.
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Per θ = π/2 abbiamo il sistema (A1 × A1 ) relativo a sl(2, C) × sl(2, C) ∼ = so(4, C). Abbiamo poi
A2 per sl(3, C), B2 per s0(5, C) ∼= sp(4, C) e infine G2 , un’algebra eccezionale.
Dato che la somma diretta di due sistemi di radici è un sistema di radici, consideriamo
solo sistemi di radici irriducibili, i.e. non scrivibili come tale somma. Si può dimostrare che
un’algebra di Lie è semisemplice se e solo se il suo sistema di radici è irriducibile.
Rango tre. Abbiamo tre sistemi di radici irriducibili: A3 relativo al sistema di radici di
sl(4, C) ∼
= so(6, C), B3 per so(7, C) e C3 per sp(6, C).
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una linea se θ = 2π/3
(An ) (n ≥ 1)
(Bn ) (n ≥ 2)
(Cn ) (n ≥ 3)
(Dn ) (n ≥ 4)
(E6 )
(E7 )
(E8 )
(F4 )
(G2 )
I primi quattro sono quelli relativi alle algebre di Lie classiche, ovvero
• (An ) =⇒ sl(n + 1, C)
• (Bn ) =⇒ so(2n + 1, C)
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• (Cn ) =⇒ sp(2n, C)
• (Dn ) =⇒ so(2n, C)
sp(2, C) ∼
= so(3, C) ∼
= sl(2, C) ⇐⇒ .
Per n = 2, (D2 ) = (A1 ) × (A1 ) e consiste di due nodi disgiunti. Abbiamo quindi l’isomorfismo
so(4, C) ∼
= sl(2, C) × sl(2.C) ⇐⇒ .
sp(4, C) ∼
= so(5, C) ⇐⇒ = .
so(6, C) ∼
= sl(4, C) ⇐⇒ = .
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Conclusioni
In questo lavoro di tesi sono stati discussi alcuni aspetti fondamentali della teoria dei gruppi.
Particolare attenzione è stata dedicata ai concetti ed ai metodi necessari per arrivare ad una
completa classificazione delle rappresentazioni di un gruppo, alla loro costruzione esplicita e allo
studio della decomposizione dei prodotti tensoriali di rappresentazioni.
Per i gruppi finiti gli strumenti principali sono stati i caratteri e, per il caso particolarmente
importante del gruppo simmetrico, i diagrammi di Young. I metodi della teoria dei gruppi finiti
trovano applicazione nel classificare e studiare la geometria dei reticoli cristallini, nello studio
di sistemi di particelle identiche e della loro statistica, nella soluzione di svariati problemi di
meccanica quantistica. Il più famoso forse è la separazione dei livelli energetici degeneri di un
atomo per effetto del campo elettrico degli ioni di un cristallo, problema studiato e risolto da
Hans Bethe nel 1929.
Per quanto riguarda i gruppi di Lie, l’idea fondamentale è quella di sostituire al gruppo la sua
algebra. Abbiamo quindi spiegato in dettaglio come la struttura di gruppo induca sullo spazio
tangente all’identità del gruppo una struttura di algebra, con il prodotto dato dal commutatore
o parentesi di Lie, e come dall’algebra si possa tornare al gruppo utilizzando la mappa esponen-
ziale. Abbiamo poi descritto il lavoro di Cartan e Dynkin che hanno mostrato come le algebre
semisemplici abbiano una struttura estremamente rigida che consente non solo, data un’algebra,
una completa classificazione delle sue rappresentazioni ma anche una completa classificazione
delle algebre di Lie stesse, il famoso catalogo di Cartan contenente quattro famiglie infinite in
corrispondenza dei gruppi classici unitari, ortogonali e simplettici e cinque casi eccezionali.
La meccanica quantistica prima e lo sviluppo della teoria dei campi poi, in particolare delle
teorie di gauge, hanno conferito un ruolo sempre più centrale ai principi di simmetria e quindi
alla teoria dei gruppi in fisica. Non è sorprendente che nel corso degli anni la classe dei gruppi
e delle algebre rilevanti per la fisica si sia incessantemente estesa.
Di grande importanza è ad esempio lo studio di gruppi non compatti di simmetrie, come il
gruppo conforme che trova applicazioni dalla meccanica statistica alla dinamica non perturbativa
delle teorie di campo. Sono state poi studiate delle strutture algebriche definite in termini
di commutatori e anticommutatori, le cosiddette superalgebre. Queste strutture compaiono
nelle teorie supersimmetriche dove i generatori di simmetria includono operatori fermionici che
collegano tra loro campi con diverse proprietà di statistica.
Si è inoltre capita l’importanza delle algebre infinitodimensionali, come le algebre di Kac-
Moody o l’algebra di Virasoro. Queste algebre compaiono sia nello studio dei fenomeni critici
in due dimensioni sia in teorie delle stringhe. Altre strutture algebriche svolgono un ruolo
importante nello studio e nella soluzione delle teorie di campo integrabili, sia a livello classico
che quantistico.
I concetti introdotti in questa tesi vogliono essere un punto di partenza per approfondire
questi argomenti affascinanti. Per concludere, ricordo le parole di Galileo:
”Pare che quello degli effetti naturali che la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le
necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio.”
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Bibliografia
[1] W. Fulton and J. Harris, Representation Theory: A First Course, Springer, 2004.
[3] Jin-Quan Chen, Group Representation Theory for Physicists, World Scientific Publishing Co.
Pte. Ltd., 2002.
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