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Appunti

di
Fisica Subnucleare

E. Iacopini
Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Firenze
e
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Sezione di Firenze
June 10, 2010

1
Libri consigliati da consultare:

• D. Griffiths: Introduction to elementary particles


• W.R. Frazer : Elementary particles
• D.H. Perkins: Introduction to high energy physics
• I.J.R. Aitchinson: Gauge theory in particle physics
• J.D. Bjorken, S.D. Drell : Relativistic quantum mechanics
• J.D. Bjorken, S.D. Drell : Relativistic quantum fields
• S. Weinberg : The Quantum Theory of Fields
• H. Muirhead : The Physics of elementary particles

2
Contents
1 Introduzione 7

2 Cenni di Teoria dei Campi 9


2.1 Introduzione alla Teoria dei Campi classica . . . . . . . . . . . . 9
2.2 Simmetrie discrete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.2.1 La Parità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.2.2 La Coniugazione di Carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
2.2.3 La simmetria di inversione temporale . . . . . . . . . . . . 33
2.2.4 L’operatore T 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2.2.5 Il momento di dipolo elettrico, la parità e l’inversione tem-
porale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.2.6 Una curiosità: il vettore di Runge-Lenz . . . . . . . . . . . 53
2.2.7 Il sistema dei Kappa neutri . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
2.3 La seconda quantizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
2.3.1 Il campo scalare libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
2.3.2 Il campo vettoriale libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
2.3.3 Il decadimento del π 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
2.3.4 Il campo di Dirac libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
2.3.5 Il decadimento del positronio . . . . . . . . . . . . . . . . 158

3 Scattering e decadimenti 162


3.1 La matrice S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162
3.2 Proprietà di S sotto CPT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
3.3 Lo scattering in QFT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
3.4 Lo spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
3.4.1 Lo spazio delle fasi di due particelle . . . . . . . . . . . . . 182
3.4.2 Lo spazio delle fasi di tre particelle: il plot di Dalitz . . . . 191
3.4.3 Lo spazio delle fasi di n particelle . . . . . . . . . . . . . . 199
3.5 Applicazione allo scattering (quasi-)elastico . . . . . . . . . . . . . 201
3.5.1 Lo spin del pione π + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
3.5.2 Lo scattering quasi-elastico ν̄ + p → n + e+ . . . . . . . . . 214
3.5.3 Lo scattering QE non polarizzato di CC di ν e ν̄ . . . . . . 226
3.6 Applicazione a processi di decadimento . . . . . . . . . . . . . . . 227
3.6.1 Il decadimento del pione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
3.6.2 Il decadimento del muone . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250

A Appendix: Generalità 261


A.1 Le unità di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
A.2 Le notazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
A.3 Su alcune rappresentazioni finite di SO(n) ed SO(n,m) . . . . . . 269
A.4 Parametrizzazione del gruppo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . 278

3
A.5 La rappresentazione spinoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286

B Appendix: Cenni di Teoria Classica dei Campi 289


B.1 Le equazioni di Eulero-Lagrange per campi classici . . . . . . . . 291
B.2 Invarianza in valore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292
B.3 Invarianza in forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296
B.3.1 Alcuni esempi di lagrangiane . . . . . . . . . . . . . . . . . 298
B.4 Il teorema di Noëther . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303
B.4.1 L’invarianza sotto il gruppo di Poincaré . . . . . . . . . . 310
B.4.2 L’invarianza di gauge di prima specie . . . . . . . . . . . . 321

C Appendix: Le simmetrie C, P e T in Teoria Quantistica dei


Campi 324
C.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 324
C.2 La Coniugazione di Carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325
C.3 La Parità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346
C.4 L’inversione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357
C.5 Riassumendo ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 376

D Appendix: Cenni di Teoria formale dello Scattering 379

4
E io stesso ho osservato anche che ogni fatica
e tutta l’abilità messe in un lavoro
non sono che rivalità dell’uno con l’altro.
Anche questo è vanità e un correr dietro al vento.

Salomone, Ecclesiaste 4:4

5
La Filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamento ci sta
aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima
non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto.
Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre
figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente
parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

Il Saggiatore (1623).

Figure 1: Galileo Galilei (1564-1642)

6
1 Introduzione
La Fisica subnucleare studia le interazioni fondamentali più rilevanti1 che esistono
fra le particelle elementari2 .
1
L’interazione gravitazionale è del tutto trascurabile, almeno nel dominio di energie a cui
siamo interessati. Si noti, a questo proposito, per esempio, che il rapporto fra l’energia di
interazione gravitazionale ed elettromagnetica fra due protoni vale circa 0.8 × 10−38 !
2
Ricordiamo a questo proposito che ad una particella elementare dobbiamo richiedere di
avere definite almeno due quantità fisiche tipiche, che sono la sua massa m ed il suo spin s.
Questa esigenza discende, come è noto, dal fatto che, se lo spazio-tempo è omogeneo (invariante
per traslazioni) e vale l’invarianza relativistica, allora lo spazio di Hilbert H degli stati di una
particella deve essere trasformato in sé sotto il gruppo di Poincaré P (traslazioni in quattro
dimensioni e trasformazioni del gruppo di Lorentz ortocrono proprio L↑+ ), i cui elementi agiscono
in H come simmetrie unitarie.
Alla particella elementare viene richiesto di essere tale per cui lo spazio di Hilbert H degli
stati non deve avere sottospazi invarianti (non banali) sotto queste trasformazioni, ovvero di
essere caratterizzata dal fatto che la rappresentazione unitaria di P su H sia irriducibile.
Queste rappresentazioni, come è stato dimostrato da Wigner, per esempio, in
E. Wigner: On Unitary Representations of the Inhomogeneous Lorentz Group
Ann. Math. 40, 149 (1939)
sono individuate completamente dagli autovalori assunti sullo spazio di Hilbert degli stati del
sistema dai due soli operatori di Casimir (costruiti quindi con i generatori del gruppo) indipen-
denti (almeno nel caso di particelle con massa), i quali commutano con tutti i generatori del
gruppo stesso, i.e. gli invarianti
1
P µ P µ → m2 ; W µ Wµ → − m2 s(s + 1)
2
dove P µ è l’operatore di quadrimpulso, i.e. l’operatore che genera le traslazioni nello spazio-
tempo, mentre il quadrivettore di Pauli-Lubanski Wµ ≡ ϵµνσρ M νσ P ρ è legato anche ai gener-
atori M σρ del gruppo di Lorentz, per cui risulta

W 0 = P⃗ · J;
⃗ ⃗ = P0 J⃗ − P⃗ × K
W ⃗

essendo i generatori M σρ definiti implicitamente dalla consueta parametrizzazione della generica


trasformazione di Lorentz (attiva), secondo la quale abbiamo

Λ = e− 2 αµν M ;
i µν
(M µν )α
. β = i(δ δβ − δ να δβµ )
µα ν
(1.1)

con αµν matrice reale antisimmetrica.


⃗ = eiϕ· ⃗ J⃗
Usando la consueta definizione dei generatori delle rotazioni J⃗ ( ⇒ R(ϕ) ) e dei gener-
n·K
⃗ −1
atori dei boosts di Lorentz K ( ⇒ B(η⃗n) = e
⃗ iη ⃗
; η ≡ th β) ne segue che (sia le rotazioni
che i boost sono trasformazioni attive, cioè agenti sul sistema e non sul riferimento, che resta
fisso !)

J⃗ ≡ (M 23 , M 31 , M 12 ); ⃗ ≡ (M 01 , M 02 , M 03 )
K (1.2)
[Jm , Jn ] = iϵmnr Jr ; [Jm , Kn ] = iϵmnr Kr ; [Km , Kn ] = −iϵmnr Jr (1.3)

Circa poi le regole di commutazione di questi generatori con l’impulso, ricordiamo che risulta

[M µν , P σ ] = −i(P µ δ νσ − P ν δ µσ ) (1.4)

i.e. [Jm , Pn ] = iϵmnr Pr ; [Jm , P0 ] = 0; [Km , Pn ] = i P0 δmn ; [Km , P0 ] = −i Pm

7
Nel seguito daremo per noto quanto già illustrato nella parte propedeutica,
cioè nel Corso di ”Complementi di Fisica Nucleare e Subnucleare”.
In quell’ambito abbiamo visto come il quadro delle particelle elementari3 e delle
loro interazioni costituisca il cosiddetto Modello Standard.
Quanto alle particelle elementari, come si è visto, in questo modello esse sono rag-
gruppate in tre famiglie di massa crescente di ”leptoni”, soggetti solo all’interazione
elettrodebole

νe (ν̄e ) νµ (ν̄µ ) ντ (ν̄τ ) carica 0


e− (e+ ) µ− (µ+ ) τ − (τ + ) carica − 1(+1)

ed in tre famiglie di massa crescente di ”quarks”, soggetti anche all’interazione


forte

u(ū) c(c̄) t(t̄) q = +2/3 (−2/3)


¯
d(d) s(s̄) b(b̄) q = −1/3 (+1/3)

Nel Modello Standard, le interazioni fra le particelle elementari di cui sopra sono
descritte nel contesto della Teoria dei Campi Relativistica (QF T ), e ciascuna di
esse possiede un opportuno mediatore, i.e.

• il fotone, per l’interazione elettromagnetica;

• il W ± e lo Z 0 , per l’interazione debole4 propriamente detta;

• i gluoni, per l’interazione forte.

Sia la Teoria elettrodebole (EW ) che quella forte (QCD) hanno la struttura
di teorie di gauge e sono teorie di campo rinormalizzabili.

da cui segue in particolare che lo scalare di Lorentz W µ Wµ commuta con P σ .


Venendo infine al caso della massa nulla, le rappresentazione irriducibili di P sono ancora
più semplicemente caratterizzate solo in termini di un numero quantico intero o semidispari λ,
che è chiamato elicità, la quale descrive la proiezione dello spin intrinseco della particella nella
direzione del suo impulso. Questa quantità, se la massa è nulla e quindi la particella viaggia
costantemente alla velocità della luce, è invariante per trasformazioni di Lorentz.
3
Ricordiamo che per particella elementare intendiamo una particella di cui non è nota alcuna
struttura interna. Questo aspetto, come già abbiamo avuto modo di mettere in evidenza, non
ha nulla a che vedere con l’eventuale instabilità della particella stessa poiché l’instabilità non è
legata al fatto che i prodotti del decadimento siano costituenti della particella instabile!
Il muone, per esempio, che decade in un elettrone, un neutrino ed un antineutrino, per quanto
ne sappiamo fino ad oggi, è una particella elementare e l’elettrone il neutrino e l’antineutrino
a cui dà luogo non sono in nessun senso suoi costituenti. Il decadimento avviene solo perché le
interazioni deboli accoppiano lo stato di muone con quello fatto dalle tre particelle suddette,
per cui è possibile una transizione da uno stato all’altro...
4
In realtà l’interazione elettromagnetica e debole sono unificate nella Teoria Elettrodebole.

8
2 Cenni di Teoria dei Campi
2.1 Introduzione alla Teoria dei Campi classica
La Teoria Quantistica dei Campi (QFT) nasce dalla sintesi della teoria classica
dei campi (cfr. Appendice), il cui paradigma principale è il campo elettromag-
netico classico, con la teoria delle Meccanica Quantistica e quella della Relatività
Ristretta.
Il campo, che indicheremo per il momento genericamente con Φ(x), ma senza
implicare con questo che esso non possa avere più componenti, viene visto, in ogni
punto dello spazio-tempo, come una sorta di coordinata lagrangiana generalizzata
e come tale, in M Q, esso è un operatore che agisce nello spazio di Hilbert degli
stati. La sua evoluzione, cioè le equazioni del campo, sono ottenute a partire
da una opportuna densità lagrangiana, funzione del campo e delle sue derivate
L(Φ(x), ∂Φ(x), x), attraverso il principio di minima azione, che fornisce, come è
noto, l’equazione
∂L ∂L
− ∂ µ =0 (2.1)
∂Φα ∂(∂µ Φα )
dove abbiamo riportato esplicitamente l’eventuale indice associato alle possibili
componenti del campo Φ.
Sempre attraverso la densità lagrangiana possiamo poi definire l’impulso co-
niugato al campo (ricordiamo che il campo in ogni punto deve essere visto come
una coordinata lagrangiana generalizzata ...)
∂L
Π(x) = (2.2)
∂ Φ̇
e quindi stabilire l’algebra del campo, attraverso le regole di commutazione (o
anticommutazione) canoniche.

Un concetto cruciale per la comprensione del quadro attuale delle particelle


elementari e delle loro interazioni, su cui vogliamo adesso fare qualche consider-
azione di carattere generale, è certamente quello della simmetria5,6 .
5
A questo proposito, ricordiamo che, come avremo modo di giustificare in seguito, un oper-
atore O che descriva un isomorfismo unitario o antiunitario dello spazio di Hilbert degli stati
in sé, è detto costituire una simmetria del sistema considerato.
Essa è conservata o esatta se lo stato di minima energia (vuoto) è non degenere ed O-invariante,
mentre la lagrangiana del sistema risulta invariante in forma sotto la trasformazione in ques-
tione, ovvero se l’operatore O commuta con l’hamiltoniana del sistema e dunque ne rispetta la
dinamica.
Si parla poi, invece, di simmetria rotta spontaneamente se la lagrangiana è invariante in forma
ma lo stato di minima energia è degenere e non invariante sotto O. Infine, la simmetria è
detta semplicemente rotta se la lagrangiana non è invariante in forma sotto O, ovvero se O non
commuta con l’hamiltoniana del sistema.
6
La parola simmetria significa ”della stessa misura” ed esprimeva, nel mondo greco, il

9
Nel seguito tratteremo più diffusamente il caso delle simmetrie discrete, ma
non possiamo non richiamare brevemente uno dei risultati più importanti ottenuti
concetto di commensurabilità, proporzione, rapporto armonico di dimensioni ... e per questo
era legato anche al concetto stesso di bellezza. Da allora, il concetto di simmetria si è evoluto
e certamente una sua definizione fra le più espressive e chiare è quella operativa di Hermann
Weyl, secondo il quale una entità possiede una simmetria se c’è qualcosa che possiamo fargli
in modo che, dopo che l’abbiamo fatta, l’entità in questione continua ad apparire esattamente
come prima. In questa accezione, simmetria e invarianza risultano evidentemente sinonimi:
torneremo in seguito su questo aspetto !
Una simmetria che in Natura è molto comune è quella destra-sinistra, cioè la simmetria bilaterale
o chirale: una specie di prendi 2 e paghi 1 !
L’insieme delle operazioni che lasciano invariante un sistema assegnato costituisce, come oggi
sappiamo, un gruppo, ed è proprio questo strumento matematico che ha reso, poi, estremamente
fertile il concetto di simmetria in Fisica.
Ma come si è arrivati al concetto di gruppo di simmetria ?
Dal tentativo di trovare la formula risolutiva delle equazioni algebriche di grado duperiore al
quarto ! Vediamo brevemente come è successo.
L’idea dell’equazione di primo grado e quindi l’idea stessa dell’incognita era nota, forse, già in
epoca babilonese (1650 a.C., papiro di Ahmes) e si sapeva anche come risolverla

ax + b = 0 ⇒ x = −b/a

Anche l’equazione di secondo grado ax2 + bx + c = 0 si sa risolvere da tempo immemorabile,


certamente da Diofanto (250 d.C.) in poi, anche se venivano cercate solo soluzioni positive
(superfici, lunghezze, compensi ...) per cui accadeva talvolta che le soluzioni erano due, talvolta
una sola e talvolta addirittura nessuna !
E’ solo da Gauss (1777 − 1855) in poi, infatti, che sappiamo che, pur di cercare le soluzioni
nel posto giusto, cioè nel campo complesso, una equazione di grado n ammette n soluzioni
(eventualmente in parte coincidenti). Comunque, ben prima di Gauss, cioè fin dall’inizio del
sedicesimo secolo, si sapeva risolvere l’equazione generale di terzo grado (Del Ferro, Tartaglia,
Cardano) ed anche quella di quarto grado (Ferrari, 1545); però, quanto all’equazione di quinto
grado, ogni sforzo continuava miseramente a fallire !
Furono Ruffini (1799) ed Abel (1824) i quali, indipendentemente, dimostrarono che ogni sforzo
per trovare una risolvente generale era vano, ma la vera spiegazione del motivo del fallimento
fu trovata successivamente da Evariste Galois (1832), il quale affrontò il problema da un lato
completamente nuovo, ed è qui che entra, appunto, la simmetria ! Egli provò a caratterizzare
le equazioni attraverso le proprietà di permutazione dei polinomi a coefficienti razionali che si
annullano sulle soluzioni dell’equazione data.
Sembra un discorso complicato ma non lo è: prendiamo, per esempio, la generica equazione
(propria) di secondo grado x2 + bx + c = 0 con b, c razionali. Se x1 ed x2 sono le sue radici,
allora
(x − x1 )(x − x2 ) = x2 + bx + c ⇒ b = −(x1 + x2 ); c = x1 x2
dunque esistono almeno due polinomi razionali indipendenti

P1 (α, β) = α + β + b; P2 (α, β) = αβ − c

che si annullano sulle soluzioni dell’equazione data, ed essi sono simmetrici per scambio.
L’idea di Galois fu dunque di considerare tutti i polinomi a coefficienti razionali che si annullano
sulle radici dell’equazione data. Le permutazioni delle variabili del polinomio che lasciano
invariante il suo valore (nullo) quando viene valutato sulle soluzioni dell’equazione costituiscono
il gruppo di Galois associato all’equazione. Egli dimostrò, in generale, che questo gruppo

10
nel ventesimo secolo, riguardo al legame fra simmetrie e costanti del moto, cioè il
Teorema di Noëther (1918) (per la sua dimostrazione rimandiamo all’Appendice).
Questo Teorema vale per simmetrie ”continue”, descritte cioè da un gruppo di Lie
ed afferma che, per ogni parametro del gruppo, esiste una corrente conservata.
Più precisamente, esso stabilisce che, data una lagrangiana L(ϕ(x), ∂µ ϕ(x), x) la
quale sia invariante in forma sotto le trasformazioni descritte da un gruppo di
Lie G(ωa ), allora, se l’azione della generica trasformazione del gruppo descritta
dal parametro ωa è tale che, quando esso sia preso infinitesimo, risulta

x → x′ : x′µ = xµ + Ξµa (x) dωa ≡ xµ + δxµ (2.3)


ϕα (x) → ψ α (x′ ) : ψ α (x′ ) = (δβα + Γαaβ dωa ) ϕβ (x) ≡ ϕα (x) + δϕα (x) (2.4)

ne segue che le quadricorrenti


[ ] ∂L
Θµa (x) ≡ −Γαaβ ϕβ (x) + ∂ν ϕα (x) Ξνa (x) − L Ξµa (x) (2.5)
∂(∂µ ϕα )
sono tutte, separatamente conservate.
Vediamo ora due applicazioni del teorema (per una trattazione più esaustiva,
rimandiamo di nuovo all’Appendice).
Se la lagrangiana non dipende esplicitamente dalle coordinate spazio-temporali,
ovvero se L = L(ϕ(x), ∂µ ϕ(x)), allora essa è necessariamente invariante in forma
sotto il gruppo di Lie a quattro parametri delle traslazioni, la cui azione è definita
da

x → x′ : x µ = xµ + δaµ dω a ⇒ Ξµa = δaµ (2.6)
ϕα (x) → ψ α (x′ ) = δβα ϕβ (x) ⇒ Γµaβ = 0 (2.7)

per cui, secondo la (2.5), le seguenti quattro correnti (ponendo, per maggiore
chiarezza di notazioni, a = ν)
∂L ∂L
Θµν (x) = [∂ρ ϕα (x) δνρ ] µ α
− L δµν = ∂ν ϕα (x) − L δµν (2.8)
∂(∂ ϕ ) ∂(∂ µ ϕα )
coincide con il gruppo Sn delle permutazioni di n oggetti, dove n è il grado dell’equazione.
Galois dimostrò altresı̀ che le radici di un’equazione potevano essere espresse a partire dalle
quattro operazioni ed estrazioni di radice su espressioni costruite con i suoi coefficienti se e solo
se, ordinando il gruppo in sottogruppi normali (S è un sottogruppo normale se, dato comunque
un elemento x del gruppo, allora sSx−1 = S ) massimali, i rapporti fra le loro cardinalità erano
numeri primi.
Nel caso di S2 , S3 ed S4 questo è vero, mentre da S5 in poi questo diventa falso ...
E’ dunque per questa strada che si giunse al concetto di gruppo ed in particolare a quello di
gruppo di simmetria. Ma una volta definito il gruppo, questa entità matematica astratta può
venire slegata dalla sua particolare rappresentazione su un qualunque sistema assegnato, per
cui si è finito oggi per separare il concetto di simmetria (operazione) da quello di invarianza
(effetto dell’operazione sul sistema dato), anche se, talvolta, si continuano a confondere i due
aspetti.

11
soddisfano separatamente la condizione di conservazione ∂ µ Θµν (x) = 0 e dunque
risulta che, definendo

Pν (t) ≡ d3 x Θ0ν (x) (2.9)

questa ”carica” è conservata nel tempo, ovvero è una costante del moto.
Nel caso presente, non è difficile riconoscere nella (2.8) la definizione del tensore
energia-impulso
∂L
Tµν (x) = ∂ν ϕα (x) − L δµν (2.10)
∂(∂ µ ϕα )

per cui il teorema di Noëther mostra come la conservazione del quadrimpulso in


un sistema isolato sia la conseguenza dell’invarianza (simmetria) per traslazioni
della lagrangiana del sistema considerato.
Passiamo adesso al secondo esempio di applicazione del Teorema di Noëther,
particolarmente rilevante nell’ambito della Meccanica Quantistica.
Assumiamo che la Lagrangiana L riguardi i campi ψ ≡ ψ1 e ψ ∗ ≡ ψ2 , indipendenti
nel senso della loro parte reale e immaginaria. Assumiamo altresı̀ che L sia
invariante in forma sotto una trasformazione di gauge di prima specie7 , i.e. sotto
la trasformazione infinitesima interna ai campi8

x′µ → xµ Ξµ (x) = 0 ;
ψ → ψ + iα ψ ⇒ Γ11 = i ; Γ12 = 0 ;
ψ∗ → ψ ∗ − iα ψ ∗ 2
Γ1 = 0 ; Γ22 = −i ;

In questo caso, la corrente conservata garantita dal Teorema di Noëther, poiché


la trasformazione non ha effetto sulle coordinate, è unicamente determinata dal
solo effetto sui campi ed ha la forma seguente
[ ]
∂L ∂L
J (x) = i −
µ
ψ+ ∗
ψ∗ (2.11)
∂(∂µ ψ) ∂(∂µ ψ )

che, almeno nello schema di prima quantizzazione, è proporzionale alla densità


di corrente di probabilità.

7
In questo caso il gruppo di simmetria è il gruppo di Lie (abeliano) ad un parametro U (1)
fatto dagli elementi eiαA , dove A è il generatore del gruppo stesso che, nella rappresentazione
del gruppo che descrive la gauge di prima specie, coincide semplicemente con l’unità.
8
Quanto agli indici, per uniformità di notazione con quanto precede, associeremo l’indice 1
al campo ψ e l’indice 2 al campo ψ ∗ .

12
2.2 Simmetrie discrete
Nel Modello Standard (M S) tutte le particelle elementari sono descritte da un
campo Φ(x), in generale complesso, le cui proprietà di trasformazione dipendono
dalle caratteristiche specifiche della particella stessa.
Se il campo è intrinsecamente complesso, ovvero se, più propriamente, Φ† (x) è
indipendente9 da Φ(x), allora particella e antiparticella risultano distinte (pur
avendo esse la stessa massa e lo stesso spin), mentre se questo non accade come,
per esempio, nel caso di un campo reale, la particella descritta è una sola e par-
ticella ed antiparticella coincidono10 : il discrimine fra i due casi è l’eventuale
presenza di carica (non necessariamente elettrica ...) associata alla particella:
affinché essa possa essere antiparticella di se stessa è necessario che tutte le sue
cariche (ovvero i numeri quantici additivi che la caratterizzano, come il numero
barionico, la stranezza, etc ...) siano nulle. Dunque, per esempio, nel caso
dei fermioni, essendo essi tipicamente carichi, la particella risulta solitamente
distinta11 dall’antiparticella12 .
Nemmeno per i bosoni neutri (come il fotone) però la cosa è cosı̀ automatica:
come sappiamo, il π 0 è antiparticella di se stesso, ma il K 0 no !
Il punto sta nella legge di trasformazione del campo per coniugazione di carica
C, una simmetria discreta che, insieme alla inversione temporale T ed alla parità
9
Questa affermazione va intesa nel senso che i campi (Φ + Φ† ) e i(Φ − Φ† ) sono indipendenti.
10
Un caso in cui questo accade è, per esempio, quello del fotone: il campo Aµ è intrinseca-
mente reale ed il fotone non è diverso dall’antifotone.
11
Questo non è in nessun modo una necessità legata al fatto che il campo usato per descrivere
i fermioni è spinoriale, infatti il campo di Majorana, pur essendo spinoriale, non distingue
la particella dall’antiparticella. Dipende invece unicamente dal fatto che il campo ed il suo
aggiunto siano o no indipendenti fra loro.
12
Per i neutrini non è ancora chiaro se questo sia vero, cioè se si tratti di particelle di Dirac
(⇒ neutrino ̸= antineutrino) o di Majorana (⇒ neutrino ≡ antineutrino).
Ricordiamo, per prima cosa, che noi siamo soliti definire antineutrino quella particella che,
interagendo, può convertirsi in un leptone carico positivamente, cioè in un antileptone, o che,
in un processo di interazione debole, viene emesso simultaneamente ad un leptone carico nega-
tivamente. In modo analogo definiamo il neutrino come quella particella che, interagendo, può
convertirsi in un leptone negativo oppure che è emesso, in un processo debole, simultaneamente
ad un leptone positivo.
E’ lecito ora chiedersi, però, quale sia la caratteristica intrinseca che rende un neutrino capace
di produrre leptoni negativi e che conferisce all’antineutrino le caratteristiche opposte.
Se i neutrini hanno massa non nulla, sono possibili due risposte distinte.
La prima possibilità è che i neutrini posseggano una carica, il numero leptonico, che si
conserva rigorosamente e che vale −1 per neutrini e leptoni carichi negativamente, e +1 per
antineutrini e leptoni carichi positivamente. In questo caso, il neutrino è distinto dalla sua an-
tiparticella dal numero leptonico, in modo simile a quanto avviene per esempio per l’elettrone
quanto alla carica elettrica. Si parla allora di ”particella di Dirac” in quanto gli stati (liberi)
di un tale neutrino possono essere descritti in termini di soluzioni dell’equazione di Dirac, i.e.

(iγ µ ∂µ − m)Ψ(x) = 0

13
P vogliamo adesso provare ad approfondire.
Per chiarire meglio il significato di queste simmetrie, inizieremo trattandole
nell’ambito dello schema di prima quantizzazione, ovvero nell’ambito della Mec-
canica Quantistica non relativistica elementare.
Anche se può sembrare banale, inizieremo con il puntualizzare, in questo
contesto, la distinzione fra proprietà cinematiche e dinamiche di un sistema
fisico, perchè questo è un punto che deve essere ben chiaro, per poter afferrare
poi compiutamente il concetto stesso di simmetria.
A questo scopo inizieremo richiamando, innanzitutto, alcuni aspetti formali
relativi alla formulazione della M Q, che dovrebbero comunque essere già a tutti
ben noti, e che sono essenziali perchè sia chiara la distinzione in questione.

C’è però una seconda possibilità in accordo con i dati sperimentali secondo la quale tutte le
particelle che chiamiamo neutrini potrebbero essere semplicemente caratterizzate dall’avere una
elicità negativa, mentre per gli antineutrini essa sarebbe positiva. Potremmo quindi attribuire
all’elicità il ruolo di distinguere neutrini da antineutrini.
In questo caso neutrino ed antineutrino sono semplicemente la stessa particella, differenziate
solo dallo stato di spin: il numero leptonico non ha nessun significato fisico.
In questo scenario, un neutrino siffatto può essere descritto in termini di soluzioni dell’equazione
di Majorana (E. Majorana, Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone , Il Nuovo Cimento
14 (1937) 171-184), i.e.
iγ µ ∂µ Ψ(x) − mΨC (x) = 0
dove ΨC (x) ≡ iγ 2 Ψ∗ (x) (questo è equivalente alla notazione che useremo in seguito per il campo
di Dirac, in cui ΨC = C −1 Ψ̄t , con C = iγ 0 γ 2 = −C −1 ).
Nel caso particolare in cui Ψ = ΨC , l’equazione descrive una particella che coincide con la
propria antiparticella, i.e. una particella di Majorana.
Se i neutrini sono privi di massa, le due descrizioni sono indistinguibili. Essendo in questo
caso l’elicità un buon numero quantico (cioè invariante di Lorentz), scegliere una descrizione
o l’altra risulta solo in una pura operazione di natura nominalistica, in cui si sostituisce, per
esempio, l’espressione ”elicità negativa” a quella ”numero leptonico = −1 ” e viceversa.
I neutrini di Dirac hanno due componenti sterili che quelli di Majorana non hanno, ma, nel
caso di massa nulla, non ci sono comunque differenze osservabili fra i due tipi di neutrino legate
alle interazioni deboli.
Se però i neutrini hanno una massa non nulla, siccome l’elicità non è un buon numero quan-
tico, come lo dimostra il fatto che un opportuno boost di Lorentz è in grado di cambiarne il
valore, ecco che passando da un riferimento ad un altro, un neutrino di Majorana può compor-
tarsi come quello che, se fosse invece un neutrino di Dirac, diremmo essere un antineutrino e
viceversa. Nel caso di neutrini massivi di Majorana diventa possibile, per esempio, il decadi-
mento doppio beta senza emissione di neutrini (decadimento proibito nel primo schema in cui
il numero leptonico L è conservato),

(A, Z) → (A, Z + 2) + 2e−

proprio perchè la particella neutra creata nel decadimento beta ha elicità +1 e questa può essere
riassorbita dal nucleo (A, Z + 1) con conseguente seconda emissione beta, dato che, nel caso di
massa diversa da zero, il proiettore chirale χ− presente nella lagrangiana debole determina un
elemento di matrice non nullo anche riguardo all’annichilazione di una particella di elicità +1.

14
Questi aspetti riguardano

• la struttura matematica entro cui l’evoluzione temporale (il moto) e gli stati
del sistema fisico vengono descritti;

• il set delle osservabili cinematiche (quantità misurabili, la cui definizione


operativa prescinde dalle interazioni, ovvero dalle forze) e le relazioni (non
causali) fra di loro (come le loro regole di commutazione) che determinano la
struttura specifica dell’algebra delle osservabili associata ad un dato sistema
fisico;

• la struttura generale delle equazioni della dinamica, che forniscono la re-


lazione causale fra le variabili cinematiche.

Iniziamo dal primo punto, cioè dalla struttura matematica.


Dalla teoria elementare della M Q (prima quantizzazione) sappiamo che

1. ogni stato puro è descritto da un raggio R definito in generale come sot-


tospazio lineare unidimensionale, privato del vettore nullo in uno spazio di
Hilbert separabile13 H, i.e.
R = {|ψ >= a eiα |ψ0 >, a > 0, α ∈ R , < ψ0 |ψ0 >= 1};

2. se |a > e |b > sono due vettori dello spazio di Hilbert H degli stati, allora,
dati α e β numeri complessi qualsiasi, anche il vettore |ψ >= α|a > +β|b >
individua, a meno di una fase, uno stato14 possibile del sistema (principio
di sovrapposizione lineare);

3. dati i vettori |ϕ > e |ψ > normalizzati, allora la quantità < ϕ|ψ > rap-
presenta l’ampiezza di transizione da |ψ > a |ϕ >, ovvero | < ϕ|ψ > |2
fornisce la probabilità che una osservabile che abbia |ϕ > come autovettore,
determini, con una sua misura, la transizione |ψ >→ |ϕ >;

4. ogni quantità misurabile è rappresentata da un operatore lineare hermitiano


da H in sé;

5. i soli valori ottenibili da una misura di un’osservabile sono gli autovalori


dell’operatore hermitiano associato;

6. il valore di aspettazione di una data osservabile Q su uno stato puro |ψ >


è < ψ|Q|ψ > quando < ψ|ψ >= 1.
13
Uno spazio di Hilbert H è separabile se e solo se ogni suo elemento può essere scritto come
sovrapposizione di elementi di una base ortonormale numerabile opportuna e1 , e2 , ..., en , ... .
14
Ignoreremo, per il momento, il problema dell’esistenza delle regole di superselezione.

15
Veniamo ora al secondo punto, relativo alle proprietà cinematiche delle osservabili
del sistema.
Le relazioni cinematiche sono definite attraverso l’algebra degli operatori costruiti
a partire da quelli che rappresentano le variabili del sistema e sono usualmente
formulate come regole di commutazione, le quali determinano appunto la strut-
tura dell’algebra delle osservabili. Esempi ben noti sono
[x, p] = ih̄ (2.12)
[Ji , Jj ] = i h̄ ϵijk Jk (2.13)
Altre proprietà interne (ulteriori gradi di libertà ...) del sistema come, per esem-
pio, lo spin isotopico, richiedono l’introduzione di altre variabili e delle relative
regole di commutazione sia fra di loro che con le altre variabili che servono a
caratterizzare il sistema.
Circa, infine, l’ultimo punto relativo alla dinamica, sappiamo che quest’ultima
è definita completamente dall’operatore hamiltoniano H, il quale è esso stesso una
osservabile, funzione, in generale, di variabili cinematiche (⃗p, ⃗x, etc...).
Nella Schröedinger Picture (SP ), come sappiamo, sono gli stati ad evolvere, i.e.

i h̄ |ψ, t >= H |ψ, t > (2.14)
∂t
mentre nella Heisenberg Picture (HP ) evolvono le osservabili e risulta equivalen-
temente che, se H non dipende esplicitamente dal tempo, è
i h̄ Q̇(t) = [Q(t), H] (2.15)

Dopo aver puntualizzato questi aspetti generali ben noti, torniamo adesso alla
questione generale di che cosa debba essere considerato una Simmetria in M Q.

Partiamo per questo dal fatto che il prodotto scalare fra vettori di stato che
siano normalizzati ha un significato fisico ben preciso: la quantità
| < a| b > |2 (2.16)
rappresenta la probabilità di transizione fra gli stati |a > e |b >, ovvero, per
esempio, la probabilità che, effettuando una misura15 sullo stato | b >, si possa
ottenere come risultato lo stato | a >.
Si capisce quindi la ragione per la quale, ad una Simmetria del sistema, che as-
sumeremo genericamente rappresentata dall’operatore O, è richiesto di conservare
la (2.16), i.e., di essere tale per cui
| < O a|O b > |2 = | < a| b > |2 ∀| a >, | b >∈ H (2.17)
15
L’osservabile corrispondente deve avere | a > come suo autovettore ...

16
In altre parole, ad una Simmetria viene richiesto di essere un isomorfismo fra gli
stati, tale da mantenere invariata la loro soggiacente struttura probabilistica.
Segue allora dalla (2.17) che possono aversi solo due casi16 : o l’operatore O è

16
Una dimostrazione di questa conclusione si trova sia nell’Appendice al Capitolo 20 del libro
E. P. Wigner: Group Theory and its applications to the quantum mechanics of the atomic
spectra, Academic Press, New York 1959.
come pure nell’Appendice A del secondo Capitolo del libro
S. Weinberg: The Quantum Theory of Fields, Cambridge Univ. Press, 1995.
Vediamo in breve come procede il ragionamento.
Ricordiamo per questo che una Simmetria va considerata, in buona sostanza, come un cambi-
amento di punto di vista.
Se un osservatore vede un sistema fisico in uno stato (puro) rappresentato da un raggio R1
o R2 o, genericamente, Rn , allora un altro osservatore, in virtù della trasformazione di sim-
metria, vedrà il sistema, rispettivamente, negli stati descritti dai raggi R′1 , R′2 , ..., R′n : i due
osservatori, però, osservando lo stesso sistema da punti di vista differenti, dovranno comunque
concordare sul valore delle probabilità di transizione fra stati corrispondenti, i.e.

P (Ri → Rj ) ≡ P (R′i → R′j ) (2.18)

e questa è l’unica condizione che viene imposta affinché si possa parlare di simmetria !
Si osservi dunque che, in base a quanto stiamo dicendo, a priori dobbiamo intendere la
simmetria come definita solo sui raggi, da cui ne segue la possibilità di definirla su almeno un
vettore normalizzato per raggio.
Ricordiamo a questo proposito che un vettore di stato normalizzato |e > è definito e definisce
un raggio R ≡ { a eiα |e >, a > 0, α ∈ R} nello spazio di Hilbert H degli stati (il raggio è,
tecnicamente, un sottospazio vettoriale unidimensionale di H, privato dell’origine...).
Questo significa che se Ra ed Rb sono due raggi qualsiasi, individuati rispettivamente, modulo
una fase, dai vettori normalizzati |ϕ > e |ψ >, allora S è una Simmetria se e solo se, essendo
SRa ed SRb i raggi corrispondenti attraverso S ad Ra e Rb e |S ϕ > e |S ψ > i vettori
normalizzati che, sempre modulo una fase, individuano i raggi trasformati, risulta

| < Sϕ|Sψ > |2 = | < ϕ|ψ > |2 (2.19)

Possiamo dimostrare adesso, seguendo la strada tracciata da Wigner già nel 1931, che, in questa
ipotesi, S individua in modo univoco (a meno di una fase globale) un operatore unitario oppure
antiunitario che opera dallo spazio di Hilbert in sé.
Iniziamo dimostrando che S deve essere invertibile sui raggi e per questo procediamo per
assurdo. Se S non è invertibile, allora esisteranno due raggi differenti Ra e Rb , individuati da
due opportuni vettori normalizzati |ϕ > e ψ > linearmente indipendenti, i quali sono mandati
da S nello stesso raggio SR, e quindi

|Sϕ >= |Sψ > (2.20)

Ma allora, da un lato avremmo che | < Sϕ|Sψ > |2 = | < Sϕ|Sϕ > |2 = 1 mentre, essendo, per
ipotesi, i due vettori |ϕ > e ψ > indipendenti e normalizzati, non può che essere
| < Sϕ|Sψ > |2 = | < ϕ|ψ > |2 < 1, da cui l’assurdo.

17
Consideriamo adesso una base ortonormale numerabile in H (lo spazio di Hilbert, per ipotesi,
è separabile e dunque ammette almeno una base ortonormale numerabile), fatta dai vettori
{|ek >, k = 1, ..., n, ...}, ciascuno dei quali indivividua, quindi, il raggio Rk ≡ { a eiα |ek >}.
Per ipotesi, dunque

< ei |ej >= δij (2.21)

Consideriamo adesso i raggi trasformati dalla simmetria S, i.e.



Rk → SRk ≡ Rk = { b eiβ |Sek >} (2.22)

dove i vettori normalizzati |Sek >, sulla base del fatto che è loro richiesto solo di definire i raggi
SRk , sono evidentemente definiti a meno di una fase arbitraria.
Vogliamo dimostrare che anche {|Sek >, k = 1, ..., n, ...} è una base ortonormale dello spazio
di Hilbert dato. Infatti, dalla (2.19) segue che

| < ei |ej > |2 = δij = | < S ei |S ej > |2 (2.23)

e dunque i vettori S ej costituiscono un set di vettori ortonormali. Affinché essi costituiscano


una base, occorre anche che non esista alcun vettore non nullo che sia ortogonale a tutti loro.
Di nuovo procediamo per assurdo e sia |Ω > questo vettore che, senza perdita di generalità,
potremo assumere normalizzato. Per ipotesi

∀j : < Ω|S ej >= 0 (2.24)

Il vettore |Ω > individua comunque un raggio che, essendo S invertibile sui raggi, è controim-
magine di un altro opportuno raggio descritto (modulo una fase) dal vettore normalizzato che
indicheremo con Ω̂ , per cui risulta

|Ω >= |S Ω̂ > (2.25)

Sostituendo nella (2.24) ed usando la (2.19), abbiamo

∀j : 0 = | < Ω|S ej > |2 = | < S Ω̂|S ej > |2 = | < Ω̂|ej > |2 (2.26)

e questo è impossibile perché Ω̂ è normalizzato e quindi non nullo e {|ei >} è, per ipotesi, una
base: resta cosı̀ dimostrato che {|S ej >} è anch’essa una base ortonormale.
Ciascuno dei vettori |Sej > è definito a meno di una fase arbitraria: per poter estendere
la definizione di S ai vettori dello spazio di Hilbert dobbiamo adesso fissare una opportuna
convenzione di fase al riguardo. Per fare questo, consideriamo i vettori
1
|ϕk >= √ (|e1 > +|ek >), k>1 (2.27)
2
Ciascuno di essi individua univocamente il raggio Rk che, attraverso la simmetria S, sarà

trasformato nel raggio Rk ≡ S Rk , a sua volta individuato da un opportuno versore |S ϕk > ,
definito, per ogni k, a meno di una fase arbitraria. Per la (2.19), abbiamo
1
| < Sϕk |Se1 > |2 = | < ϕk |e1 > |2 = = | < Sϕk |Sek > |2 (2.28)
2

18
mentre, per la stessa ragione, tutti gli altri coefficienti dello sviluppo di |S ϕk > nella base
|S ej > sono identicamente nulli. Dunque
1 ( )
|S ϕk >= √ eiα |S e1 > +eiβ |S ek > (2.29)
2
Ma |S ϕk > è definito a meno di una fase e cosı̀ pure i vettori normalizzati |S ej >: possiamo
dunque fissare la convenzione di fase in modo che risulti
1
∀k > 1 : |S ϕk >= √ (|S e1 > + |S ek >) (2.30)
2
e resta comunque ancora indeterminata una fase ”globale” del tutto irrilevante ...
Ma che cosa accade ad un generico vettore normalizzato, relativo ad un generico raggio R ?
Partiamo dunque dal vettore

|ψ >= λj |ej > (2.31)
j

che assumeremo, senza perdita alcuna di generalità, essere tale che λ1 ̸= 0 (altrimenti basterà
rinominare i vettori della base ...). Sia adesso |Sψ > il versore (definito a meno di una fase)
che individua il raggio trasformato S R. Chiaramente, dalla definizione stessa di base, segue
che
∑ ′
|S ψ >= λj |S ej > (2.32)
j

Ma usando la (2.19), ricaviamo subito che



∀j : | < ej |ψ > |2 = | < S ej |S ψ > |2 ⇒ |λj |2 = |λj |2 (2.33)
e analogamente
′ ′
∀k > 1 : | < ϕk |ψ > |2 = | < S ϕk |S ψ > |2 ⇒ |λ1 + λk |2 = |λ1 + λk |2 (2.34)
da cui, usando il fatto che abbiamo assunto, per ipotesi, λ1 ̸= 0, si ha
2 2
λ1 + λk 2 λ′1 + λ′k λ λ
′ 2
k
k
λ1 = λ′ ⇒ 1 + λ1 = 1 + λ′ (2.35)
1 1
′ ′
la quale, visto che deve altresı̀ risultare |λk /λ1 | = |λk /λ1 |, implica che

λk λ
(a) : = k′ (2.36)
λ1 λ1
( ′ )∗
λk λk
(b) : = ′ (2.37)
λ1 λ1

A priori potrebbe accadere, comunque, che, al variare di k potesse valere l’una o l’altra delle
due condizioni di cui sopra ...
Non è cosı̀ !
Per dimostrarlo, procediamo per assurdo e supponiamo che per un indice k ̸= 1 valga la
condizione (a) mentre per un indice j ̸= 1 valga la condizione (b) (assumeremo che i rapporti
siano intrinsecamente complessi e quindi deve essere necessariamente anche che j ̸= k ...).
Definiamo allora il vettore normalizzato
1
|ϕkj >= √ (|e1 > +|ek > +|ej >) (2.38)
3

19
lineare e allora la Simmetria che esso descrive è rappresentata da un operatore
O = U unitario, infatti

< U a|U b > ≡ < a|U † U b >=< a| b > ⇔ U† U = I (2.48)

oppure l’operatore O è antilineare17 , e allora la Simmetria è rappresentata da un


Poiché i rapporti fra i coefficienti che esprimono il vettore dato nella base dei vettori |ei > sono
tutti reali, in ogni caso resteranno reali anche nel caso del vettore |Sϕ > espresso nella base
|S ei >, e quindi

eiα
|S ϕkj >= √ (|Se1 > +|Sek > +|Sej >) (2.39)
3
ma allora, ritornando al generico vettore di stato |ψ >, abbiamo che deve essere altresı̀
′ ′ ′
| < ϕkj |ψ > |2 = | < Sϕkj |Sψ > |2 ⇒ |λ1 + λk + λj |2 = |λ1 + λk + λj |2 = (2.40)

unitamente al fatto che |λ1 | = |λ1 |. Risulta allora
2
λj
′ ′ 2
λk λj λk
2 ′
|λ1 + λk + λj | = |λ1 + λk + λj |
′ ′
2
⇒ 1 + + = 1 + ′ + ′ (2.41)
λ1 λ1 λ1 λ1

e quindi, per l’ipotesi fatta sopra,


2 ( )∗ 2

1 + λk + λj = 1 + λk + λj (2.42)
λ1 λ1 λ1 λ1

Ma in generale, dati due numeri complessi z e z ′ ,



′ 2
|1 + z + z ′ | = 1 + z + z ∗ ⇔ (ℑ(z + z ′ )) = (ℑ(z − z ′ )) ⇒ ℑ(z) · ℑ(z ′ ) = 0
2 2 2
(2.43)

che, nel caso particolare della (2.42), in generale è falso.


Resta dunque provato che, data una simmetria S che soddisfa la (2.19), può accadere che
′ ′
λk λ ′ λ ′
∀k : = k′ ⇔ λk = λk 1 ⇔ λk = eiϵ λk (2.44)
λ1 λ1 λ1

oppure può essere che


( ′
)∗ ′
λk λk ′ λ1 ′
∀k : = ′ ⇔ λk = λ∗k ∗ ⇔ λk = eiϵ λ∗k (2.45)
λ1 λ1 λ1

Ridefinendo la trasformazione a meno della fase globale eiϵ inessenziale, arriviamo alle sole due
possibilità:

(a) : λk = λk (2.46)

(a) : λk = λ∗k (2.47)

estendibili in modo ovvio a tutto lo spazio di Hilbert in modo che, nel caso (a) l’operatore che
descrive la simmetria sia lineare e unitario, mentre nel caso (b) sia antilineare e antiunitario.
17
Ricordiamo che, nella ben nota terminologia di Dirac, ad ogni ket |ψ > dello spazio di

20
Hilbert H degli stati, è associato un bra < ψ| nel duale di H (coincidente con esso, data la sua
struttura hilbertiana) tale che

|ψ >= α | a > +β | b > ⇔ < ψ| = α∗ < a | + β ∗ < b | (2.49)

Un operatore O dello spazio di Hilbert in sé è lineare se accade che

O (α | a > +β | b >) = α O | a > +β O | b > (2.50)

mentre è antilineare se

O (α | a > +β | b >) = α∗ O | a > +β ∗ O | b > (2.51)

Vediamo le conseguenze che discendono da queste definizioni.


Se | e1 >, ..., | en >, ... è una base ortonormale dello spazio di Hilbert, allora ogni suo vettore è
univocamente rappresentato da un’unica combinazione lineare dei vettori della base.
Posto dunque che sia

| ψ >= λi | ei > (2.52)

ne segue che per l’operatore lineare V risulta

V | ψ >= λi V | ei >≡ λi Vji | ej > (2.53)

dove la matrice complessa Vji descrive appunto l’azione dell’operatore V sugli elementi della
base, i.e.

V | ei >≡ Vji | ej > ⇔ Vji ≡< ej |V ei >≡< ej |V | ei > (2.54)

Per l’operatore antilineare A, invece, risulta

A |ψ >= λ∗i A | ei >≡ λ∗i Aji | ej > (2.55)

dove la matrice complessa Aji descrive, anche in questo caso, l’azione dell’operatore A sugli
elementi della base assegnata, in modo formalmente identico al caso precedente, i.e.

A | ei >= Aji | ej > ⇔ Aji ≡< ej |A ei >≡< ej |A| ei > (2.56)

Come si vede, sugli elementi della base, gli operatori lineari e antilineari agiscono sostanzial-
mente nello stesso modo, essendo la loro azione descritta in entrambi i casi da una opportuna
matrice complessa. Ciò che li differenzia è il comportamento sulle combinazioni lineari a coef-
ficienti complessi degli elementi della base. Inoltre, dati due vettori generici

| ψ >= λi | ei >, | ϕ >= µj | ej > (2.57)

per un operatore lineare si ha

< ϕ| V | ψ >≡< ϕ| V ψ >= µ∗j < ej |λi Vki ek >= µ∗j Vji λi (2.58)

Anche per un operatore antilineare si ha ancora

< ϕ | A ψ >≡ µ∗j < ej | A ψ > (2.59)

21
ma adesso è

| A ψ >= A (λi | ei >) = λ∗i A | ei >= λ∗i Aki | ek > (2.60)

per cui ne segue che, in questo caso, risulta

< ϕ | A ψ >= µ∗j λ∗i Aji (2.61)

Come si vede, la differenza rispetto al caso dell’operatore lineare è che i coefficienti dello sviluppo
del ket a cui l’operatore antilineare è applicato, entrano nel prodotto scalare non direttamente
ma attraverso i loro complessi coniugati.
Ad ogni operatore lineare V viene poi associato il suo aggiunto V † , ponendo

< V ϕ|ψ >≡< ϕ|V † ψ > ⇔ < V ϕ| =< ϕ|V † (2.62)

Dalla definizione segue che per un operatore lineare è

< ei | V † ≡< V ei | = Vji∗ < ej | (2.63)

e dunque, definita la matrice V + come l’hermitiana coniugata della matrice V , si ha

< ei | V † ej >≡< ei |V † | ej >= (V + )ij (2.64)

ovvero, su due generici vettori | ψ > e | ϕ >, è appunto

< V ϕ| ψ > = < V (µi ei )| λk ek >= µ∗i Vki



λk = µ∗i λk (V + )ik
≡ < ϕ| V † ψ >= µ∗i λk (V + )ik
⇔ (V † ) = V + (2.65)

Dunque, nel caso di un operatore lineare V , la matrice che descrive, in una base assegnata,
l’operatore V † è la matrice V + , hermitiana coniugata della matrice che, nella stessa base,
descrive l’operatore V stesso.
Anche per un operatore antilineare A si può definire l’aggiunto A† , però occorre qualche
cautela, dato che la definizione usata per l’operatore lineare (2.62) non è più direttamente
applicabile, come lo dimostra il fatto che, se λ è un numero complesso qualsiasi, allora

< A(λ ϕ)|ψ >=< λ∗ A ψ|ψ >= λ < A ϕ|ψ > (2.66)

mentre

< λ ϕ|A† ψ >= λ∗ < ϕ| A† ψ > (2.67)

L’unica definizione di operatore aggiunto che sia coerente con il carattere antilineare di A è
infatti quella secondo cui anche A† è antilineare e risulta

< A ϕ| ψ >≡< ϕ| A† ψ >∗ (2.68)

Abbiamo allora

< Aϕ|ψ > = < A(µi ei )|λj ej >=< µ∗i Aki ek |λj ej >= µi A∗ki λk = µi λk (A+ )ik
≡ < ϕ|A† ψ >∗ =< µi ei |λ∗j (A† )kj ek >∗ = [µ∗i λ∗j (A† )ij ]∗ = µi λj (A† )∗ij
⇒ (A† ) = At (2.69)

22
operatore O = A antiunitario, per il quale risulta

< A a|A b > ≡ < a|A† A b >∗ = < a| b >∗ (2.72)

Sempre a proposito degli operatori antiunitari, osserviamo che, fissata una


base ortonormale qualsiasi | e1 >, ..., | en >, ... possiamo definire su questa base
l’operatore antiunitario K di coniugazione complessa nel modo seguente18
∑ ∑
K | ei > ≡ | ei > ⇒ K λi | ei >= λ∗i | ei > (2.73)
i i

Esso è antiunitario, infatti, se

|ψ >= λi | ei >, |ϕ >= µj | ej > (2.74)

allora risulta

K |ψ > = λ∗i | ei >;


K |ϕ > = µ∗j | ej > ⇒ < K ϕ| = µj < ej | (2.75)

e dunque

< K ϕ| K ψ >= µi λ∗i ≡< ψ|ϕ > (2.76)

Evidentemente, poi, dalla (2.73) risulta altresı̀ che

K2 = I ⇔ K = K −1 (2.77)
Dunque, per l’operatore antilineare A, la matrice che descrive il suo aggiunto A† in una base
assegnata è la matrice (At ), trasposta della matrice che, nella stessa base, descrive appunto
l’operatore A.
Si parla infine di un operatore lineare V come di un operatore unitario se accade che

< V ϕ| V ψ >≡< ϕ | V † V ψ >=< ϕ|ψ > ⇔ V †V = I (2.70)

Questa definizione resta formalmente la stessa anche nel caso di un operatore antilineare; infatti
A è antiunitario se accade che

< A ϕ| A ψ >≡< ϕ | A† A ψ >∗ =< ϕ|ψ >∗ ⇔ A† A = I (2.71)

18
Si osservi che, date due basi diverse |ei > ed |fj >, i due operatori di coniugazione complessa
Ke e Kf definiti in ciascuna base attraverso la (2.73) non coincidono, bensı̀ differiscono per
una trasformazione unitaria. Abbiamo infatti che, poiché |ei > ed |fj > sono entrambe basi
ortonormali, potremo certamente scrivere |fj >= Uij |ei > per cui
∗ ∗
( ) ( )
Ke | fj >= Uij | ei >= Uij (U −1 )ki | fk >= U −1 (U + )t kj | fk >≡ U −1 (U + )t kj Kf | fk >

e la matrice U −1 (U + )t = U −1 (U −1 )t è, evidentemente, unitaria ma, in generale, differente


dall’identità ...

23
e siccome K è antiunitario, dunque tale per cui K † K = I, evidentemente si ha

K = K† (2.78)

In termini di questo operatore K, dimostreremo adesso che ogni operatore


antiunitario A si può scrivere come

A=UK (2.79)

dove U è un opportuno operatore unitario.


Consideriamo infatti l’operatore A K e dimostriamo che esso è unitario.
Poiché, per ipotesi, A è antiunitario, si ha infatti

< (A K)ϕ| (A K)ψ > = < K ϕ| K ψ >∗ ≡ < K ψ| K ϕ >=< ϕ|ψ > (2.80)

la quale dimostra come l’operatore AK = U sia appunto unitario19 e quindi,


moltiplicando a destra per K e tenendo conto che K 2 = I, che valga appunto la
(2.79). Come già detto, K viene chiamato operatore di coniugazione complessa.

Vale la pena vederlo in azione in un caso molto semplice.


Consideriamo una particella senza gradi di libertà interni. Sappiamo allora che
possiamo scegliere come base dello spazio di Hilbert quella fatta dagli autovettori
|x > della posizione, per cui, dalla definizione, in questa base è

K |x >= |x > (2.81)

Consideriamo lo stato |ψ >, descritto dalla funzione d’onda ψ(x),



| ψ >= dx ψ(x) |x > (2.82)

Evidentemente questo stato viene trasformato dall’operatore K in quello descritto


dalla funzione d’onda ψ ∗ (x), infatti
∫ ∫ ∫

K | ψ >= K dx ψ(x) |x >= dx ψ (x) K |x >= dx ψ ∗ (x) |x > (2.83)

Un altro modo equivalente per determinare la funzione d’onda associata allo stato
K |ψ > è il seguente.
Evidentemente, cosı̀ come la funzione d’onda associata, in rappresentazione delle
coordinate, allo stato |ψ > è

ψ(x) =< x|ψ > (2.84)


19
In generale, risulta infatti che il prodotto di un operatore unitario per un operatore antiu-
nitario è antiunitario, mentre il prodotto di due operatori antiunitari risulta unitario.

24
analogamente la funzione d’onda associata, nella stessa rappresentazione, allo
stato K |ψ >, sarà

< x| K ψ > (2.85)

D’altronde K è antiunitario, K 2 = I e, per definizione, K|x >= |x >, per cui


risulta

< x| K ψ >=< K K x| K ψ >=< K x| K ψ >=< x|ψ >∗ ≡ ψ ∗ (x) (2.86)

E’ interessante, a questo punto, osservare, data la definizione (2.81), che cosa


succede ad un autostato dell’impulso. Si ha
1 ∫ 3 i⃗p·⃗x
| p⃗ >= d x e | ⃗x > (2.87)
(2π)3/2
per cui, evidentemente, risulta
1 ∫ 3 −i⃗p·⃗x
K| p⃗ >= dxe | ⃗x >= | − p⃗ > (2.88)
(2π)3/2
ovvero, avendo definito K in modo che lasci invariati gli autostati della posizione,
ecco che questo operatore manda | p⃗ > in | − p⃗ >.
Naturalmente, se altrettanto lecitamente avessimo definito K partendo dalla base
degli autostati dell’impulso |p >, sarebbero stati gli autostati della posizione a
cambiare di segno sotto il suo effetto ...

Ma riprendiamo adesso la questione delle Simmetrie in M Q.


Abbiamo concluso con Wigner che una simmetria deve essere rappresentata da
un operatore unitario o da un operatore antiunitario O , il quale manda lo spazio
di Hilbert degli stati H in sé

O : H→H (2.89)

e dunque ne costituisce un isomorfismo che, nel linguaggio della teoria degli spazi
di Hilbert, è un modo per dire che esso descrive una trasformazione di base
ortonormale20

| ei >→ O| ei >≡ | ei >′ : δij =< ei | ej >=< O ei | O ej > (2.91)


20
E’ facile convincersi che questo vale sia nel caso (ovvio !) dell’operatore unitario che in
quello dell’operatore antiunitario, visto che, in ogni caso risulta

| < Oei | Oej > | = | < ei |ej > | = δij (2.90)

25
In Meccanica Quantistica, però, sappiamo che gli effetti prodotti da una
trasformazione O sui vettori di stato, possono essere resi equivalentemente21 con
la seguente trasformazione sulle osservabili Q del sistema

Q → Q′ = O† Q O (2.92)

per cui, nel caso di simmetrie in cui, come abbiamo visto, O† = O−1 possiamo
equivalentemente adottare i due punti di vista per cui

a) |ei >→ |e′i >= O|ei >; Q→Q (2.93)


′ −1
b) Q → Q = O Q O; |ei >→ |ei > (2.94)

Chiaramente, se indichiamo adesso con A l’algebra delle osservabili Q del sistema


dato e con A′ quella definita dalle osservabili Q′ , la simmetria O definisce a sua
volta un isomorfismo fra le due algebre (peraltro coincidenti ...)

I : A → A′ per cui Q′ = I(Q) ≡ O−1 Q O (2.95)

il quale, in quanto isomorfismo, conserva certamente le regole di commutazione


(anticommutazione) fra gli operatori22 dell’algebra.
In molti casi, però, non si conosce esplicitamente l’operatore O, ovvero il
suo modo di agire sugli stati del sistema, bensı̀, magari, si hanno informazioni
a priori sulla forma che l’isomorfismo indotto da O dovrebbe produrre su un set
opportuno di osservabili o operatori dell’algebra A.
In questo caso, per definire O, si può procedere partendo proprio da queste leggi
21
Se O è un operatore lineare, la conclusione è immediata per il fatto che risulta

< Oψ|Q|Oϕ >=< Oψ|QOϕ >=< ψ|O† QOϕ >=< ψ|O† QO|ϕ >

Altrimenti, c’è una differenza legata al carattere antilineare dell’operatore, e risulta

< Oψ|Q|Oϕ >=< Oψ|QOϕ >=< ψ|O† QOϕ >∗ =< ψ|O† QO|ϕ >∗

22
Per capirci meglio, se R è una rotazione e OR l’operatore (unitario) che la rappresenta,
allora, per esempio, per quanto riguarda il momento angolare, che è un operatore vettoriale, si
avrà
−1
OR Ji OR ≡ Ji′ = Rij Jj (2.96)

e deve aversi (come in realtà si ha)

[Ji′ , Jj′ ] = i ϵijk Jk′ (2.97)

cosı̀ come è

[Ji , Jj ] = i ϵijk Jk (2.98)

26
di trasformazione, badando bene a verificare, comunque, la loro compatibilità
cinematica con la struttura dell’algebra, i.e. la loro compatibilità con le regole di
commutazione o anticommutazione in essa definite.
Una simmetria, insomma, rispetterà la struttura probabilistica presente nello
spazio di Hilbert degli stati, e questo implica che essa sarà anche una trasfor-
mazione cinematicamente ammissibile.
Parleremo poi, come già detto, di simmetria conservata se essa è anche com-
patibile con la dinamica e di simmetria rotta, se invece questo non accade.
Per una simmetria conservata, se |ψ, t > è il risultato al tempo t dell’evoluzione
temporale dello stato |ψ, 0 > al tempo t = 0, allora deve accadere che O|ψ, t >
descriva il risultato al tempo t dell’evoluzione temporale dello stato O|ψ, 0 > al
tempo t = 0, ottenuto a partire dalla stessa dinamica !
E’ facile convincersi che se l’operatore O che descrive la simmetria è unitario,
la simmetria è conservata se e solo se risulta [O, H] = 0, ovvero se l’operatore
che descrive la simmetria commuta con l’hamiltoniana.
Partiamo infatti dall’equazione di evoluzione temporale per gli stati

ih̄ |ψ, t >= H |ψ, t > (2.99)
∂t
Evidentemente risulta
( )

O ih̄ |ψ, t > = O|ψ, t > (2.100)
∂t

ma, poiché O è unitario, risulterà


( )
∂ ∂
O ih̄ |ψ, t > = ih̄ O |ψ, t > (2.101)
∂t ∂t

dunque

ih̄ O |ψ, t >= O H |ψ, t >= O H O−1 O |ψ, t > (2.102)
∂t
la quale mostra che l’hamiltoniana con cui evolve O |ψ, t > è O H O−1 .
Dunque, se vogliamo che la dinamica dei due stati sia la stessa, allora

O H O−1 = H ⇒ O H = H O ⇒ [O, H] = 0 (2.103)

27
In modo analogo, per una generica simmetria antiunitaria O, si arriva invece
alla conclusione che, per essere conservata, essa deve anticommutare23 con H, i.e.

{O, H} = 0 (2.105)

Questo fatto, però ha come conseguenza che se |E > è autovettore di H per


l’autovalore E, allora il vettore O|E > è autovettore di H per l’autovalore −E
e dunque lo spettro dell’hamiltoniana deve essere simmetrico rispetto all’origine.
Questo, però, non è possibile perché lo spettro dell’hamiltoniana H è limitato
verso il basso (esiste uno stato di minima energia del sitema), mentre non lo è
per valori positivi ...
Questa è la ragione per la quale Wigner, all’inizio, escluse la possibilità che es-
istessero simmetrie antiunitarie: come vedremo, questa conclusione ha una ec-
cezione che è proprio la time-reversal T (in cui, comunque H e T commutano !).

In alcune formulazioni, poi, nel concetto si simmetria si include pure la richi-


esta che anche la dinamica libera sia compatibile con la trasformazione, ovvero
che

[O, H0 ] = 0 (2.106)

dove
p2
H0 = (2.107)
2m

Nel seguito del Corso, come già anticipato, ci limiteremo a trattare solo il caso
delle simmetrie discrete24 di parità P , di coniugazione di carica C e inversione
temporale (time-reversal) T .
23
Se |ψ, t > è soluzione dell’equazione di evoluzione temporale e {O, H} = 0, allora
( )
∂ ∂
ih̄ |ψ, t > = H |ψ, t >⇒ O ih̄ |ψ, t > = O H |ψ, t >
∂t ∂t

⇒ −ih̄ O |ψ, t >= O H |ψ, t >= −H O |ψ, t > (2.104)
∂t
dunque anche O |ψ, t > è soluzione dell’equazione di evoluzione temporale per la stessa hamil-
toniana. Analogamente si procede all’inverso ...
24
Il caso delle simmetrie continue e analitiche, cioè il caso in cui le simmetrie unitarie del
sistema costituiscono un gruppo di Lie, non verrà trattato.
Ricordiamo soltanto che, in questo caso, ogni simmetria sarà rappresentata nello spazio di

28
2.2.1 La Parità
Consideriamo adesso la simmetria di parità P .
Questa deve operare sulle osservabili rispettando il loro modo classico di trasfor-
marsi ed inoltre, come ogni simmetria, deve essere cinematicamente ammissibile.
Iniziamo richiedendo dunque che, sulla base dell’analogia classica, sia

X ⃗ ′ ≡ P −1 X
⃗ →X ⃗ P = −X
⃗ (2.108)

da cui segue evidentemente25 che P | ⃗x > deve essere autovettore della posizione
⃗ per l’autovalore −⃗x (ma non necessariamente coincidente con − | ⃗x > !).
X
Una conseguenza26 è allora che P 2 | ⃗x > deve concidere, di nuovo, con il vettore
di stato iniziale, a meno di un possibile fattore di fase, i.e.

P 2 | ⃗x >= eiη | ⃗x > (2.110)

Siccome | ⃗x > è una base, se vogliamo che P 2 rispetti il principio di sovrappo-


sizione, la fase η deve essere unica in tutto lo spazio di Hilbert degli stati e quindi,
assumendo che P sia unitario, essa può essere riassorbita27 nella definizione stessa
dell’operatore P in modo tale che risulti

P2 = I (2.111)
Hilbert degli stati del sistema da un operatore unitario che commuta con l’hamiltoniana.
Affinché questo accada, occorre e basta che l’hamiltoniana commuti con i generatori del gruppo
(o, piuttosto, con la loro rappresentazione nello spazio di Hilbert ...) i quali quindi, essendo
hermitiani, rappresentano osservabili che risultano dunque conservate durante l’evoluzione tem-
porale del sistema.
Di questo genere è la simmetria imposta dal principio di Relatività e dalla richiesta di omo-
geneità dello spazio-tempo, secondo cui lo spazio di Hilbert degli stati di un qualunque sistema
fisico che sia isolato deve essere isomorfo a se stesso quando si osservi il sistema dato da un
diverso sistema di riferimento inerziale.
Questo significa, come sappiamo, che deve essere definita sullo spazio di Hilbert degli stati del
sistema una rappresentazione unitaria del gruppo di Poincaré U (a, Λ), dove (a, Λ) è il generico
elemento del gruppo, con a generica traslazione nello spazio-tempo e Λ generica trasformazione
del gruppo di Lorentz ortocrono proprio.
25
Infatti se |⃗x > è autovettore dell’osservabile X
⃗ per l’autovalore ⃗x, allora, dalla (2.108) segue
evidentemente che
⃗ ′ |⃗x >= −⃗x|⃗x >= P −1 X
X ⃗ P |⃗x >⇒ −⃗xP |⃗x >= X
⃗ P |⃗x > (2.109)

26
Stiamo qui assumendo che il sistema sia semplice e senza spin, altrimenti occorre tenere
conto anche delle proprietà di trasformazione delle altre variabili che, insieme alle coordinate,
costituiscono un set completo di osservabili per il sistema.
27
Con questo intendiamo dire che se P 2 | ⃗x > deve rappresentare lo stesso stato rappresentato
dal vettore | ⃗x >, allora P 2 (| ⃗x > +| ⃗y >) deve anch’esso coincidere con | ⃗x > +| ⃗y > a meno
di un fattore di fase, e questo può accadere solo se η è indipendente da ⃗x. Ridefinendo allora
P̂ ≡ e−iη/2 P ecco che, nell’ipotesi che P sia unitario, P̂ 2 = I ...

29
Per quanto riguarda P , a priori saremmo autorizzati solo a dire che

P | ⃗x >= eiα(⃗x) | − ⃗x > (2.112)

ed il vincolo su P 2 impone solo che α(⃗x) + α(−⃗x) = 0.


Assumeremo28 ancora, oltre al fatto già citato che P sia unitaria, che la fase α
non dipenda da ⃗x e dunque, dovendo essere P 2 = I, potrà essere solo

P | ⃗x >= ± | − ⃗x > (2.113)

Chiameremo ”scalari” i sistemi per cui P | ⃗x >= | − ⃗x > e ”pseudoscalari” quelli


per cui, invece P | ⃗x >= −| − ⃗x >.
Osserviamo adesso che, avendo in questo modo definito l’operatore di parità
P su una base29 , esso risulta completamente determinato.
Vediamo dunque come agisce, per esempio, sull’operatore di impulso P⃗ .
Ricordiamo che P⃗ è il generatore delle traslazioni spaziali, per cui una traslazione
infinitesima δ⃗a è rappresentata dall’operatore
i ⃗
T (δ⃗a) ≈ I + P · δ⃗a (2.114)

Siccome, classicamente, una traslazione di a seguita da una parità è equivalente
ad una parità seguita da una traslazione di a nel verso opposto, ovvero di −a,
per coerenza dobbiamo richiedere che

P T (δ⃗a) = T (−δ⃗a) P (2.115)

ovvero che
( ) ( )
i i
P I + P⃗ · δ⃗a = I − P⃗ · δ⃗a P = (2.116)
h̄ h̄
e dunque che

P (iP⃗ ) = −i P⃗ P (2.117)

Questa relazione, se l’operatore P è unitario, implica che, come ci aspettiamo in


base all’analogia classica, la parità anticommuti anche con l’impulso, i.e. risulti

P −1 P⃗ P = −P⃗ (2.118)

Quanto poi all’azione indotta dalla simmetria di parità P sull’algebra delle


osservabili, visto il modo come siamo arrivati alla sua definizione e cioè attraverso
28
Non dimentichiamoci, infatti, che quanto stiamo facendo è di cercare di arrivare ad
una definizione di P , per cui abbiamo ampia libertà sul suo modo di operare, limitata solo
dall’analogia classica, dalla coerenza interna e dal fatto che vogliamo arrivare alla definizione
di una simmetria che, almeno nei casi in cui classicamente questo già accade, sia conservata.
29
Di nuovo, stiamo qui assumendo di trattare il caso della particella singola senza spin.

30
la sua azione su una base (quella degli autostati delle coordinate ...), questa non
può che essere compatibile30 con le regole di commutazione che, in ultima analisi,
si riducono a quelle canoniche fra posizione e impulso

[Xi , Pj ] = ih̄ δij (2.119)

dato che, come sappiamo, tutta l’algebra delle osservabili31 della particella mate-
riale senza struttura interna poggia unicamente su queste regole di commutazione.
Perchè poi questa simmetria sia conservata, come abbiamo già detto, occorre
e basta che

[P, H] = 0 (2.122)

ovvero, essendo

|P⃗ |2
H= + V (⃗x) (2.123)
2m
occorre e basta32 che P −1 V P = V ⇔ V (−⃗x) = V (⃗x) , cioè, come c’era ovvia-
mente da aspettarci, che il potenziale sia una funzione pari della posizione.

30
Si osservi che se avessimo assunto P come antiunitario, allora per la (2.117) esso dovrebbe
commutare con l’impulso e questo sarebbe ancora compatibile con le regole di commutazione
canoniche!
Solamente, secondo questa definizione, si andrebbe contro l’aspettativa classica, in base alla
quale ci attendiamo che, sotto parità, tutte le grandezze vettoriali cambino di segno ...
31
Un’altra variabile cinematica importante per il sistema di una particella singola senza spin
è certamente il momento angolare J. ⃗ Esso, essendo definito come

⃗ × P⃗
J⃗ = X (2.120)

ha proprietà di trasformazione sotto parità immediatamente deducibili da quelle della posizione


(2.108) e dell’impulso (2.118), risultando, ovviamente,

⃗ P] = 0
[J, (2.121)

in accordo con quanto ci aspetteremmo in base all’analogia classica, visto che J⃗ è un vettore
assiale (pseudovettore).
32
Si osservi che l’operatore di parità P cosı̀ definito commuta certamente con l’hamiltoniana
libera H0 = 2m 1
|⃗
p|2 .

31
2.2.2 La Coniugazione di Carica
Un’altra simmetria discreta molto interessante è certamente quella della coni-
ugazione di carica C. Essa è più facilmente comprensibile nell’ambito della Teoria
Quantistica dei Campi e per poterne parlare in modo non banale nello schema
della prima quantizzazione, occorre considerare un sistema fatto da una carica in
interazione con il campo elettromagnetico, per cui l’hamiltoniana completa del
sistema è
( )
1 ⃗ e⃗ 2
H = P − A + eV =
2m c
|P |
⃗ 2
e ( ⃗ ⃗ ⃗ ⃗) e2 ⃗ 2
= − A·P +P ·A + |A| + e V (2.124)
2m 2mc 2mc2
⃗ è il potenziale vettore e V il potenziale scalare.
dove e è la carica elettrica, A
E’ immediato verificare che l’hamiltoniana di cui sopra è invariante sotto la
seguente trasformazione33 di simmetria C del campo elettromagnetico e della
carica elettrica

e → −e (2.125)
A → −A
⃗ ⃗ (2.126)
V → −V (2.127)

con P⃗ e X
⃗ invariati.
Visto che gli operatori di impulso e di posizione non cambiano sotto C, affinché
essa conservi le regole di commutazione è necessario che risulti

C −1 i C = i (2.128)

ovvero che C sia lineare e non antilineare, e dunque sia una simmetria unitaria.
Avremo modo di capirne meglio il significato ed il suo modo di agire quando
la riprenderemo nell’ambito della Teoria Quantistica dei Campi.

33
Questa trasformazione, in questo contesto, deve agire necessariamente anche sulla carica
elettrica la quale, però, in prima quantizzazione non è un operatore, come non sono operatori
i potenziali V ed A.⃗
Anche per questo motivo, la coniugazione di carica C è correttamente inseribile nel quadro
delle simmetrie discrete solo nello schema della seconda quantizzazione, ovvero della teoria dei
campi.

32
2.2.3 La simmetria di inversione temporale
Si tratta della simmetria discreta meno intuitiva di tutte.
Intanto va notato che essa, nonostante il nome, non ha tanto a che vedere con
l’inversione del tempo, quanto piuttosto con la reversibilità dei processi fisici.
Per meglio capire di che si tratta, vale la pena iniziare addirittura dalla Meccanica
Classica, considerando appunto un sistema meccanico, per esempio un punto
materiale di massa m il quale, al tempo t abbia velocità ⃗v (t) e sia semplicemente
soggetto, per esempio, alla forza di gravità.

Figure 2: Reversibilità della traiettorie di un punto materiale nel campo della


gravità

( Al tempo t + ∆t, fissate


) le condizioni iniziali al tempo t, i.e.
X(t) ≡ X0 , ⃗v (t) ≡ ⃗v0 , il punto materiale si troverà nella posizione X(t
⃗ ⃗ ⃗ + ∆t)
ed il suo stato di moto sarà tale che
′ ′
vx (t + ∆t) = v0x ≡ vx ; vy (t + ∆t) = v0y + g ∆t ≡ vy (2.129)

Chiedersi se c’è invarianza per inversione temporale (Time-reversal) della legge


del moto significa

• (prendere come nuovo punto di partenza ) quello di arrivo, i.e.


⃗ + ∆t) ≡ X
X(t ⃗ ′ , ⃗v (t + ∆t) ≡ ⃗v ′ ;

• applicare la trasformazione di Time-reversal allo stato e dunque cambiare


′ ′ ′
il segno della velocità ⃗v → T (⃗v ) ≡ −⃗v , lasciando inalterata la posizione;

33
• lasciare evolvere lo stato cosı̀ ottenuto ancora per il solito intervallo di tempo
∆t, secondo la stessa dinamica;
• verificare se il nuovo stato finale cosı̀ ottenuto coincide o meno con il
T −trasformato di quello di partenza.
Nel caso considerato della sola forza di gravità in assenza di attrito, questo è
ciò che effettivamente accade, infatti, dopo il tempo ∆t, la stessa legge di moto
avrà fatto sı̀ che la nuova velocità acquisita dal punto materiale sia

vx” = T (vx ) = −v0x

vy” = T (vy ) + g ∆t = − (v0y + g ∆t) + g ∆t = −v0y
ed avrà fatto ripercorrere a ritroso la stessa traiettoria descritta originariamente
dal grave, per cui possiamo concludere che il moto di un punto materiale nel
campo della gravità è effettivamente T −invariante.
E’ opportuno, comunque, puntualizzare che, nel trarre questa conclusione, abbi-
amo implicitamente assunto che la massa m del corpo ed il campo della gravi-
tazione non siano alterati dalla trasformazione di Time-reversal, ovvero che siano
T −invarianti. Per capire meglio cosa intendiamo dire, osserviamo che, nella trat-
tazione precedente, nulla cambierebbe se, al posto di un punto materiale nel
campo della gravità ci fosse una carica elettrica in un campo elettrico E(⃗⃗ x) dato.
Avremmo ancora reversibilità del moto, pur di assumere che la carica ed il campo
elettrico siano invarianti per Time-reversal.
Che succederebbe, però, se oltre al campo elettrico fosse presente, per esempio,
anche un campo magnetico?
E’ evidente dall’espressione della forza di Lorentz che, visto che per Time-reversal
la velocità cambia segno, affinchè T possa essere una simmetria conservata in elet-
trodinamica, occorre assumere che B, ⃗ a differenza di E, ⃗ cambi segno34 sotto T .
Tutto questo per dire che, nel momento in cui dovremo trattare un problema
in cui è presente un’interazione con campi esterni, prima di trarre conclusioni,
sarà necessario tenere conto anche delle proprietà di trasformazione di questi
ultimi sotto la simmetria considerata ...
Un altro modo equivalente a quello esposto sopra per verificare se in un certo
sistema meccanico è rispettata l’invarianza per Time-reversal è quello di partire
dalla legge di moto
⃗x = ⃗x(t) (2.130)
e verificare se, sotto la trasformazione
T : t → t̄ = −t (2.131)
⃗x(t) → ⃗xT (t̄) = ⃗x(t) (2.132)
34
Questo non ha nulla di misterioso né di contraddittorio con quanto accade per il campo
elettrico, visto che il campo magnetico è prodotto da cariche in moto e che, sotto T , il moto
cambia verso ...

34
la nuova legge di moto

⃗xT (t̄) = ⃗x(−t̄) (2.133)

implica comunque la stessa dinamica35 (relativamente alla variabile temporale t̄).

Ma veniamo adesso al problema della simmetria di Time-reversal in Mecca-


nica Quantistica e poniamoci, per comodità, nella Schröedinger Picture.
Alla luce di quanto detto sopra, se |ψ, t > è l’evoluto al tempo t dello stato |ψ >
al tempo t = 0, vogliamo che, se T è rispettata, allora lo stato T |ψ, t >, lasciato
evolvere ancora per un tempo t, conduca di nuovo a T |ψ >.
Ma come agisce l’operatore T sui vettori dello spazio di Hilbert ?
Cosı̀ come abbiamo fatto per la Parità e la Coniugazione di Carica, occupiamoci
innanzi tutto di definire l’azione di T sulle consuete osservabili X ⃗ e P⃗ , usando
l’analogia classica e avendo bene in mente la necessità che questa definizione sia
anche compatibile con le regole di commutazione canoniche (compatibilità cine-
matica).
Evidentemente, partendo dal significato classico che attribuiamo a questa sim-
metria, richiederemo ragionevolmente che risulti

T −1 X⃗T = X⃗ (2.139)
T −1 P⃗ T = −P⃗ (2.140)

Queste due semplici richieste, però, sono già sufficienti per dirci che se vogliamo
che T sia una simmetria, ovvero che rispetti le regole di commutazione canoniche
35
Evidentemente, nel caso di un punto materiale di massa m soggetto ad una forza esterna
F = F⃗ (⃗x) , questo è sempre vero, poiché la seconda legge della dinamica

d2 ⃗x
m = F⃗ (⃗x) (2.134)
dt2
è invariante sotto la trasformazione t → t̄ = −t , per la quale risulta

⃗x(t) → ⃗xT (t̄) = ⃗x(−t̄) = ⃗x(t) (2.135)


⃗x˙ (t) → ⃗x˙ T (t̄) = −⃗x˙ (−t̄) = −⃗x˙ (t) (2.136)
¨ (t) → ⃗x
⃗x ¨ T (t̄) = ⃗x
¨ (−t̄) = ⃗x
¨ (t) (2.137)

Più in generale, in Meccanica Classica c’è invarianza per Time reversal quando il sistema
è retto da un potenziale funzione solo delle coordinate e quindi il sistema è descritto da una
lagrangiana del tipo
1
L= Aij q̇i q̇j − V (qi ) (2.138)
2
che, chiaramente, è invariante in forma sotto la trasformazione (2.131), i.e. sotto la trasfor-
mazione qi → qi , q̇i → −q̇i .

35
[xi , pj ] = i h̄ δij , allora è necessario che

T −1 i T = −i (2.141)

ovvero che T sia rappresentato da un operatore antiunitario36 .


Vediamo quindi che cosa deve essere richiesto37 all’hamiltoniana affinchè la sim-
metria di Time-reversal cosı̀ introdotta sia conservata.
Ripartiamo per questo dalla legge di evoluzione temporale degli stati che ben
conosciamo

i h̄ |ψ, t >= H |ψ, t > (2.144)
∂t

⇒ T H |ψ, t >= T i h̄ |ψ, t > (2.145)
∂t
e poniamo per definizione

T |ψ, t >≡ |ψT , t̄ > (2.146)

Per quanto detto, T sarà una simmetria conservata se | ψT , t̄ > evolve nella
variabile temporale t̄ con la stessa dinamica (i.e., con la stessa hamiltoniana)
secondo la quale lo stato | ψ, t > evolve nella variabile temporale t.
Quali ne sono le implicazioni?

36
Nel suo lavoro originario del 1932
E.P. Wigner; Über die Operation der Zeitumhehr in der Quantenmechanick
Nachr. Ges. Wiss. Göttingen, Math.-Physik Kl. 32, 546 (1932)
Wigner richiede che l’hamiltoniana libera H0 sia T −invariante ed usa l’equazione di evoluzione
temporale nella Schröedinger Picture per dimostrare che T deve essere antiunitario.

Questo viene dedotto dal fatto che l’equazione contiene il fattore ih̄ ∂t al primo ordine.
Ciò però non è corretto, infatti, nel caso, per esempio, della generalizzazione relativistica
dell’equazione del moto libero di una particella (scalare), l’equazione di Klein-Gordon è del
secondo ordine ...
In realtà l’antiunitarietà dell’operatore T è imposta piuttosto dal rispetto delle condizioni cin-
ematiche ovvero dal rispetto delle regole di commutazione fra posizione ed impulso !
Si osservi che è ancora il carattere antiunitario di T a garantire la sua consistenza con le regole
di commutazione del momento angolare, i.e.

[Ji , Jj ] = i h̄ ϵijk Jk (2.142)

dovendo essere, per la (2.139) e la (2.140) ed il suo significato classico

T −1 J⃗ T = −J⃗ (2.143)

37
Si ricorderà che, per una generica simmetria antiunitaria, avevamo dimostrato che, per
essere conservata, essa doveva anticommutare con H, da cui, poi, il problema dello spettro di
H non limitato verso il basso ...

36
Essendo, per ipotesi, T antiunitario, risulta
∂ ∂ ∂
T i h̄ = −i h̄ T = i h̄ T (2.147)
∂t ∂t ∂ t̄
e quindi si ha
∂ ∂
T H|ψ, t >= T i h̄ |ψ, t >= i h̄ T |ψ, t > (2.148)
∂t ∂ t̄
Se e solo se H e T commutano, i.e.

[H, T ] = 0 (2.149)

allora l’equazione (2.148) diviene


H T |ψ, t >= T H|ψ, t > = i h̄ T |ψ, t >
∂ t̄

⇒ H |ψT , t̄ >= i h̄ |ψT , t̄ > (2.150)
∂ t̄
la quale mostra che se |ψ, t > è soluzione dell’equazione di evoluzione temporale
per l’hamiltoniana H, allora anche |ψT , t̄ >≡ T |ψ, t > lo è, e viceversa.
Quindi, per quanto riguarda l’operatore di inversione temporale T , possiamo
concludere che esso deve essere antiunitario e, affinché possa rappresentare una
simmetria conservata del sistema, cosı̀ come nel caso delle simmetrie unitarie,
deve commutare con l’hamiltoniana.
Vediamo adesso di esplicitare l’azione dell’operatore T nel caso più semplice
della particella senza spin.
Come sappiamo, lo stato fisico | ψ, t > di una generica particella di massa m
senza spin è univocamente determinato dalla sua funzione d’onda

ψ(x, t) =< x|ψ, t > (2.151)

tale quindi per cui



|ψ, t >= dx ψ(x, t) |x > (2.152)

Per il fatto che T ed X commutano, poniamo

T |x >= |x > (2.153)

ovvero definiamo T sulla base degli autostati della posizione in modo che sia
coincidente con l’operatore di coniugazione complessa K, che abbiamo preceden-

37
temente già incontrato, definito sulla stessa base. Ne segue dunque che38

T |ψ, t >= dx ψ(x, t)∗ |x > (2.156)

e dunque che la funzione d’onda associata allo stato T |ψ, t >≡ |ψT , t̄ > è sem-
plicemente la funzione ψ ∗ (x, t) ≡ ψ ∗ (x, −t̄).
Verifichiamo ora che, come occorre aspettarsi in base all’analogia classica, T sarà
una simmetria conservata se e solo se la particella interagisce con un potenziale
funzione solo delle coordinate ma non del tempo. In quel caso, infatti, se ψ(x, t)
è soluzione dell’equazione di evoluzione temporale (equazione di Schröedinger)
∂ψ
i h̄ =Hψ (2.157)
∂t

con H = −h̄
2
2m
∇2 + V (x), allora, dovendo essere la funzione V reale affinchè
l’operatore H possa essere hermitiano, evidentemente risulta, prendendo il com-
plesso coniugato dell’equazione data, che vale anche la relazione
∂ψ ∗
−i h̄ = H ψ∗ (2.158)
∂t
e dunque, essendo t̄ = −t ed H indipendente da t, ecco che si ha
∂ψ ∗
i h̄ = H ψ∗ (2.159)
∂ t̄
la quale dimostra quanto enunciato sopra.

Una volta ancora, per fissare bene le idee su come agisce la trasformazione
di Time-Reversal prima definita, vale la pena, adesso, di vedere che cosa succede
nel caso della particella libera (senza spin) di impulso definito p⃗.
Chiaramente lo stato | p⃗, t >, posto E ≡ p2 /2m, ha come funzione d’onda la
funzione
1
ψ(⃗x, t) ≡< ⃗x| p⃗, t >= ei⃗p·⃗x/h̄ e−iE t/h̄ (2.160)
(2π)3/2
38
Ricordiamo che, partendo dalla definizione dell’operatore di coniugazione complessa definito
sulla base delle coordinate, abbiamo già visto, per la (2.88), che risulta

K | p⃗ >= | − p⃗ > (2.154)

ovvero, dato che abbiamo identificato T con K, ne risulta che l’operatore di inversione temporale
applicato all’autostato dell’impulso per l’autovalore p⃗ lo trasforma nell’autostato dello stesso
operatore per l’autovalore −⃗ p, i.e.

T | p⃗ >= | − p⃗ > (2.155)

in perfetto accordo con quanto ci aspetteremmo in base all’analogia classica.

38
Per quanto abbiamo detto, la funzione d’onda associata allo stato T | p⃗, t > risulta
coincidere con la funzione che si ottiene dalla (2.160) prendendone la complessa
coniugata, ma scritta come funzione di t̄ = −t, i.e.

< ⃗x| T | p⃗, t >= ψ ∗ (⃗x, t) = ψT (⃗x, t̄) (2.161)

e dunque
1
ψT (⃗x, t̄) = e−i⃗p·⃗x/h̄ e−iE t̄/h̄ (2.162)
(2π)3/2

da cui, evidentemente, ne concludiamo che lo stato descritto dal vettore T | p⃗, t >
risulta avere impulso opposto a quello dello stato iniziale (come avevamo già os-
servato) ma continua ad avere la stessa energia dello stato di partenza, e non
energia opposta (che non significherebbe nulla di sensato ...), come potremmo
erroneamente ritenere, basandoci solo sull’effetto della coniugazione complessa.
Questo fatto39 discende formalmente dall’azione congiunta della coniugazione
complessa e dal fatto che, dopo la trasformazione T , la nuova variabile tem-
porale rispetto a cui occorre riferire l’evoluzione dello stato è t̄ e non t medesima!

Vediamo adesso che cosa succede quando c’è anche lo spin.


In questo caso la sola coniugazione complessa K in generale non basta più per
rappresentare T nello spazio di Hilbert delle funzioni d’onda poichè questo oper-
atore non è sufficiente per garantire l’invarianza delle regole di commutazione per
quanto concerne gli operatori di spin. Ricordiamo infatti che S ⃗ dovrà, come il
momento orbitale J,⃗ anticommutare con T , ovvero questo operatore dovrà essere
tale che

T Sk = −Sk T (2.163)

Poniamoci, per semplicità, nel caso di spin 1/2: gli operatori di spin sono pro-
porzionali alle matrici di Pauli Sx , Sy ed Sz

39
La conclusione a cui siamo giunti era del tutto prevedibile sulla base dell’analogia classica.
Nell’ambito della M Q, comunque, le cose non cambiano; infatti se T è conservata allora, come
sappiamo, essa deve commutare con l’hamiltoniana H del sistema e quindi risulta

H |E >= E |E > ⇒ T H |E >= H T |E >= E T |E >

la quale mostra appunto che se |E > è autostato di H per l’autovalore E, allora anche T |E >
lo è, per lo stesso autovalore.

39
( )
h̄ 0 1 h̄
Sx = = σ1 (2.164)
2 1 0 2
( )
h̄ 0 −i h̄
Sy = = σ2 (2.165)
2 i 0 2
( )
h̄ 1 0 h̄
Sz = = σ3 (2.166)
2 0 −1 2

E’ subito evidente, allora, che in effetti la sola coniugazione complessa non può
essere più sufficiente, infatti essa, mentre potrebbe bastare per Sy , che è rapp-
resentata da una matrice fatta da immaginari puri, certamente non può bastare
per Sx ed Sz , rappresentate entrambe da matrici reali.
Ci dobbiamo dunque attendere adesso che risulti

T =UK (2.167)

dove U sarà una matrice unitaria che agisce nello spazio dello spin in modo da
garantire, complessivamente, che T soddisfi la (2.163).
Quali sono allora le condizioni sulla matrice U ?
Evidentemente, per quanto detto, occorre che U , commutando con Sy , inverta il
segno di Sx e Sz .
Chiaramente si deve trattare quindi di una rotazione di π intorno all’asse y, i.e.
dell’operatore unitario40
π
U = e i 2 σ2 (2.170)
( )
0 1
= I cos(π/2) + iσ2 sin(π/2) = iσ2 = ≡R (2.171)
−1 0

Dunque, nel caso dello spin 1/2, proprio per ragioni cinematiche, i.e. affinché le
regole di commutazione (dello spin) siano preservate, sarà

T = RK (2.172)

dove R è la matrice di rotazione (unitaria) data dalla (2.171).


40
Ricordiamo infatti che, per definizione
1 1
eiασ2 ≡ I + iασ2 + (iασ2 )2 + (iασ2 )3 + ... (2.168)
2! 3!
ma siccome (σ2 )2 = I, ne segue che
[ ] [ ]
iασ2 1 2 1 3
e = I 1 + (iα) + ... + σ2 iα + (iα) + ... = I cosα + i σ2 sinα (2.169)
2! 3!

40
2.2.4 L’operatore T 2
In generale, il semplice fatto che T sia antiunitario ha una conseguenza molto
importante.
Consideriamo l’operatore T 2 : esso è unitario e, applicato ad uno stato qualsiasi,
questo potrà cambiarlo solo per un fattore di fase che, essendo T antiunitario,
non può essere riassorbito attraverso una sua ridefinizione. Decidiamo dunque
una base ortonormale qualsiasi | e1 >, ..., | en >, ... dello spazio di Hilbert. Sarà

T 2 | ei >= eiηi | ei > (2.173)

D’altronde T è antiunitario, quindi, in generale, in termini dell’operatore di co-


niugazione complessa K già introdotto, esso può essere scritto con l’ausilio di un
opportuno operatore unitario U nella forma T = U K. Abbiamo allora

T =UK ⇒ T2 = U K U K (2.174)

ovvero, posto che

U | ei >= Uji | ej > (2.175)

risulta

T 2 | ei > = U K U K | ei >= U K U | ei >= U K Uji | ej >) = U Uji∗ | ej >=


[ ]
= Uji∗ Ukj | ek >= (U U ∗ )ki | ek >= U (U t )−1 | ek > (2.176)
ki

D’altronde sappiamo per la (2.173) che T 2 è diagonale e se indichiamo con D la


matrice diagonale che lo rappresenta, i.e. (non sommato sugli indici ripetuti ...)

Dij = δij eiηj (2.177)

allora

U (U t )−1 = D ⇒ U = D Ut (2.178)

e prendendo la trasposta di entrambi i membri

Ut = U D (2.179)

e quindi, sostituendo nella (2.178)

U = DU D (2.180)

Questo significa dunque che


∑ ∑
Uij = Dik Ukn Dnj = eiηi δik Ukn δnj eiηj = Uij ei(ηi +ηj ) (2.181)
k,n k,n

41
ovvero, facendo i = j, che

eiηi = ±1 (2.182)

e quindi, considerando i ̸= j, che

∀i : eiηi = eiη = ±1 (2.183)

Dunque D ≡ T 2 deve essere multipla dell’identità ed i valori41 possibili di T 2 in


un dato spazio di Hilbert di stati, cioè per un sistema fisico assegnato, possono
essere soltanto ±1.

Per capire meglio il significato fisico di questo risultato, vediamone il legame


con lo spin.
Iniziamo considerando un sistema con spin intero S e siano |S, m > gli autostati
di Sz per l’autovalore m. Siccome T Sz = −Sz T , ne segue che deve essere42

T |S, m >= eiϕ(m) |S, −m > (2.184)

D’altronde esiste lo stato di momento angolare nullo, per il quale deve, evidente-
mente, essere

T |S, 0 >= eiϕ |S, 0 > (2.185)

Ma siccome T è antiunitario, allora, applicandolo ancora una volta, avremo

T (T |S, 0 >) = e−iϕ T |S, 0 >= e−iϕ eiϕ |S, 0 >= |S, 0 > (2.186)

ovvero

T 2 |S, 0 >= |S, 0 > (2.187)

Dunque, per quanto già detto, su tutti gli stati del sistema sovrapponibili con
quello considerato deve essere T 2 = 1, i.e. i sistemi con spin intero sono tutti
caratterizzati dal fatto che, su di essi

T2 = I (2.188)
41
Questa conclusione non è valida per operatori unitari come P e C, per i quali, a priori, nulla
vieta che P 2 = eiα e C 2 = eiβ . Resta comunque vero che, dato il principio di sovrapposizione
lineare, per tutti questi operatori P, C, T il fattore di fase è unico per tutti i vettori dello spazio
di Hilbert (a meno di regole di superselezione). Come abbiamo già avuto modo di dire, questo
fatto consente, nel caso degli operatori unitari P e C, di riassorbire l’eventuale fattore di fase
presente nel loro quadrato, in modo che risulti comunque P 2 = C 2 = I.
Per il suo carattere antiunitario, questo non è possibile per T , infatti, anche ponendo T ′ = eiϕ T ,
risulta comunque che che (T ′ )2 = T 2 !
42
Questa conclusione discende, in realtà, dal fatto che T commuta con S 2 , per cui i sottospazi
con S fissato sono T -invarianti.

42
Veniamo ora ai sistemi con spin semidispari.
Ovviamente, l’argomento usato prima non si può più usare perché non esiste
l’autostato con m = 0.
Iniziamo dunque dal caso già studiato di spin 1/2.
Si è visto che, definita la matrice R attraverso la (2.171), è
T = RK ⇒ T 2 = R (Rt )−1 (2.189)
Ma R, nel caso considerato, è reale, dunque, essendo unitaria, è tale che
(Rt )−1 = (R+ )−1 = R, e dunque
( )( ) ( )
0 1 0 1 −1 0
T 2 = R2 = = ≡ −I (2.190)
−1 0 −1 0 0 −1
Questo risultato, come mostreremo adesso, è del tutto generale: nel caso di spin
semidispari risulta necessariamente che T 2 = −I, per cui, vista la conclusione
opposta a cui siamo giunti per gli spin interi, evidentemente l’operatore T 2 dis-
crimina i fermioni dai bosoni !
Veniamo alla dimostrazione generale.
Consideriamo un sistema con momento angolare S qualsiasi (intero o semidispari)
e siano |S, m > gli autostati simultanei di S 2 e di Sz .
La (usuale) convenzione43 di fase fatta è tale per cui (h̄ = 1)
Sz |S, m > = m |S, m > (2.191)

S+ |S, m > = (S − m)(S + m + 1) |S, m + 1 > (2.192)

S− |S, m > = (S + m)(S − m + 1) |S, m − 1 > (2.193)
dove
S+ + S− S+ − S−
S± = Sx ± i S y ⇒ Sx = ; Sy = −i (2.194)
2 2
E’ evidente, allora, che, cosı̀ come nel caso di spin 1/2, gli operatori Sz e Sx
sono rappresentati da matrici reali, mentre Sy è rappresentato da una matrice
immaginaria pura.
L’operatore T , che anticommuta con S, ⃗ non può quindi essere rappresentato solo
dall’operatore K, ma occorre, in generale, che questa sia accompagnata anche da
una opportuna trasformazione unitaria che anticommuti con Sx e Sz e commuti
invece con Sy .
Giungiamo cosı̀, in generale, alla conclusione già tratta nel caso dello spin 1/2,
ovvero che, in presenza di qualsivoglia spin, la trasformazione U che, insieme a
K, descrive l’inversione temporale, è una rotazione di π intorno all’asse y, i.e.
T = U K; U = eiπ Sy (2.195)
43
Si tratta della convenzione seguita, per esempio, da
L. Landau, E. Lifchitz: Mécanique Quantique, ed. MIR 1974, pag 110

43
D’altronde, essendo Sy immaginario puro, U è reale, per cui

T 2 = U K U K = U U KK = U U = e2iπ Sy (2.196)

quindi, nella base considerata, T 2 è sempre una rotazione di 2π intorno all’asse y.


Solo che, nel caso degli spin interi, questa rotazione è semplicemente l’identità I,
mentre per gli spin semidispari, come sappiamo, essa vale −I (nel gruppo SU (2)
è la rotazione di 4π che torna ad essere l’identità ...).

Veniamo infine ad un’ultima conseguenza che si ha per i sistemi caratterizzati


dall’avere T 2 = −1.
Supponiamo di avere un sistema per cui T 2 = −I ed assumiamo che l’inversione
temporale sia una simmetria conservata. Indichiamo con |E > un generico au-
tostato dell’hamiltoniana. Siccome T è conservata, l’operatore T commuta con
l’hamiltoniana e quindi anche

|E(T ) >≡ T |E > (2.197)

è autostato dell’hamiltoniana per lo stesso autovalore E. Si ha

< E|E(T ) > ≡ < E|T E >=< T E|E >∗ =< T T E|T E >=
= − < E|T E >≡ − < E|E(T ) > (2.198)

dove le prime due uguaglianze sono ovvie, la terza proviene dall’antiunitarietà di


T e l’ultima dal fatto che, per ipotesi, T 2 = −I.
La relazione ottenuta mostra chiaramente che gli stati |E > ed |E T > sono
necessariamente ortogonali fra loro e quindi che descrivono stati diversi44 .
Si tratta della cosiddetta degenerazione di Kramer e vale, per quanto visto, solo
per sistemi con spin semidispari.

44
Il risultato ottenuto implica che, se T 2 = −I allora l’hamiltoniana non può costituire, da
sola, un set completo di osservabili. Il sistema deve possedere anche un qualche grado di libertà
che viene cambiato da T , in modo da produrre la degenerazione: solitamente (ma non è sempre
cosı̀) questo grado di libertà è la componente z dello spin.

44
2.2.5 Il momento di dipolo elettrico, la parità e l’inversione temporale
Consideriamo un sistema fisico come, per esempio, quello di una particella ele-
mentare, un atomo, una molecola, etc ... che sia posto in un campo elettrico
esterno ”debole”. L’energia del sistema, in funzione del campo elettrico, potrà
essere scritta come

⃗ + 1 Qij Ei Ej + ...
E = q V + d⃗ · E (2.199)
2
dove V ed Ei sono calcolati nel punto dove si trova il sistema di carica q, momento
⃗ momento di quadrupolo Q, ... .
di dipolo elettrico (EDM ) d,
Il momento di dipolo d,⃗ come è ben noto dall’elettrodinamica classica, è una
misura della polarizzazione della carica nel sistema, preesistente all’applicazione
del campo elettrico esterno. Risulta infatti

d⃗ = ei ⃗ri (2.200)

ed esso è indipendente dalla scelta del sistema di coordinate se il sistema fisico


considerato è globalmente neutro (q = 0).
Supponiamo adesso che la parità P sia una simmetria conservata nel sistema
fisico considerato, i.e. che

[P, H] = 0 (2.201)

Gli stati stazionari possono allora essere scelti in modo che siano anche auto-
stati della parità e, se il sistema è non presenta degenerazione accidentale (oltre
a quella eventualmente legata al momento angolare45 ), allora ad ogni autoval-
ore dell’hamiltoniana corripondono autostati di parità definita, eventualmente
degeneri in Jz . Anche lo stato fondamentale avrà dunque parità definita, per cui
⃗ 0 > = < ψ0 |P † P d⃗ P † P |ψ0 >=< P ψ0 |P d⃗ P −1 |P ψ0 >=
< ψ0 |d|ψ
= < ψ0 |P d⃗ P −1 |ψ0 >= − < ψo |d|ψ
⃗ 0> (2.202)

ovvero il suo momento di dipolo46 dovrà essere nullo47 .


Questo argomento fu usato per verificare la conservazione della parità nelle in-
45
Se il sistema è invariante per rotazioni (e siamo in assenza di spin) H, J 2 e Jz costituiscono
un set completo di osservabili che commutano. Siccome il momento angolare commuta a sua
volta con la parità, se non ci sono degenerazioni accidentali, ciascun multipletto deve avere
parità definita.
46
Abbiamo qui usato il fatto che ψ0 ha parità definita e che P d⃗ P −1 = P −1 d⃗ P = −d. ⃗
Chiaramente infatti, data la definizione (2.200), assumendo che la carica elettrica sia uno scalare
per parità, il momento di dipolo risulta essere un operatore vettoriale e dunque deve anticom-
mutare con P, cosı̀ come ⃗r.
47
Si noti che questo argomento vale non solo per lo stato fondamentale ma anche per
qualunque altro autostato dell’hamiltoniana, visto che discende unicamente dal fatto che esso
ha, necessariamente, parità definita, per l’ipotesi di assenza di degenerazione accidentale.

45
terazioni forti, misurando l’eventuale EDM del neutrone48 .

Fu però osservato successivamente da Landau49 che un eventuale valore non


nullo dell’EDM di un sistema elementare non degenere libero richiedeva anche
la violazione di T . Vediamo perché.
Nel caso di un sistema con momento angolare complessivo J intero (e quindi
con spin S intero ...), la degenerazione di Kramer non è presente e, se il sis-
tema non presenta alcuna degenerazione accidentale, allora una base dello spazio
di Hilbert degli stati del sistema potrà essere costituita da autostati simultanei
dell’hamiltoniana, di J 2 e di Jz , i.e. potrà essere data nella forma50

| EJ , J, m > (2.203)

dove, per l’ipotesi sulla non esistenza di alcuna degenerazione accidentale, fissato
EJ , J risulta a sua volta univocamente determinato.
In questo caso, se T è una simmetria conservata e dunque commuta con H, allora
lo stato T | EJ , J, m > deve appartenere al multipletto corrispondente all’energia
EJ e, per quanto già osservato, è evidente che dovrà essere

T | EJ , J, m >= U−m m |EJ , J, −m > (2.204)

dove la matrice unitaria U risulta essere, come sappiamo, semplicemente la ro-


tazione di π intorno all’asse y, i.e.

U = eiπ Jy (2.205)

Veniamo ora al momento di dipolo elettrico. Poiché d⃗ è un vettore, per il


48
Nell’articolo sottocitato, gli autori considerano la possibilità che il nucleone possa avere un
momento di dipolo elettrico, data lo scarsa conoscenza che si aveva a quel tempo (1950) delle
interazioni forti e delle loro proprietà.
E.M. Purcell, N.F. Ramsey: On the possibility od electric dipole moment for elementary particles
and nuclei Phys. Rev. 78, 807, (1950)
Usando la tecnica della risonanza magnetica applicata ad un fascio di neutroni polarizzati, essi
raggiunsero la precisione di 5 · 10−20 e · cm, come risulta dalla loro successiva pubblicazione
J.H. Smith, E.M. Purcell, N.F. Ramsey: Experimental limit to the electric dipole moment of
the neutron Phys. Rev. 108, 120, (1957)
Ad oggi, la precisione raggiunta nella misura del momento di dipolo elettrico del neutrone con
la tecnica N M R applicata all’atomo di 199 Hg (I = 1/2) è di ≈ 10−25 e · cm (cfr. R. Galub,
S.K. Lamoreaux: Neutron electric dipole moment, ultracold neutrons and polarized 3 He)
Phys. Rep. 237, 1, (1994)
ed esistono esperimenti in corso che dovrebbero giungere a sensibilità intorno a 10−28 e · cm.
49
L. Landau; On the conservation laws in weak interactions
Nucl. Phys. 3, 127 (1957)
50
Nel caso di spin semidispari, la degenerazione di Kramer, comunque, non altera il discorso
che stiamo facendo perché, siccome T commuta con J 2 come si è già avuto modo di osservare,
T non può far uscire dal multipletto.

46
teorema51 di Wigner-Eckart risulta allora che52
⃗ J , J, m >= C(EJ ) < J, m|J|J,
< EJ , J, m|d|E ⃗ m> (2.208)

da cui ne segue quindi, per esempio, che è

< EJ , J, m|dz |EJ , J, m >= C(EJ ) < J, m|Jz |J, m >= m C(EJ ) (2.209)

Riguardo a T , abbiamo già detto che risulta

T |EJ , J, m >= U−m m |EJ , J, −m > (2.210)

D’altronde, evidentemente è

< EJ , J, m|dz |EJ , J, m >= < EJ , J, m|T −1 T dz T −1 T |EJ , J, m > (2.211)

ma, per la (2.139) e la definizione (2.199), risulta

T −1 d⃗ T = d⃗ ⇔ T d⃗ T −1 = d⃗ ⇒ T dz T −1 = dz (2.212)

quindi

< EJ , J, m|dz |EJ , J, m > = < EJ , J, m|T −1 dz T |EJ , J, m >≡


≡ < EJ , J, m|T −1 dz T (EJ , J, m) >=
= < T −1 T (EJ , J, m)|T −1 dz T (EJ , J, m) >
51
Ricordiamo che il teorema di Wigner-Eckart stabilisce che, se OkL è la componente k di un
operatore tensoriale (per rotazioni) di ordine L, allora, su stati che siano anche autostati di J 2 e
di Jz , risulta in generale che, in termini del coefficiente di Clebsh-Gordan < J ′ , m′ |L, J; k, m >,
si ha

< J ′ , m′ , α′ | OkL |J, m, α >=< J ′ , α′ ||O||J, α > < J ′ , m′ |L, J; k, m > (2.206)

dove < J ′ , α′ ||O||J, α > viene detto elemento di matrice ridotto.


Per un operatore vettoriale in particolare, questa relazione può essere riscritta, all’interno dello
stesso multipletto, più semplicemente come

< J, m′ , α| V
⃗ |J, m, α >= C(α, J) < J, m′ |J|J,
⃗ m> (2.207)

dove C(α, J) è il rapporto fra l’elemento di matrice ridotto definito sopra per l’operatore V ⃗ e
quello per J (certamente non nullo in multipletti in cui J ̸= 0: se J = 0, comunque, la relazione

resta valida in quanto sia V ⃗ che J⃗ hanno comunque solo elementi di matrice solo nulli).
Si osservi che la proporzionalità fra V ⃗ e J⃗ esiste solo e soltanto all’interno di uno stesso multi-
pletto (e la costante può dipendere dal multipletto stesso ...).
Nel caso di multipletti con J differente, mentre può accadere che V ⃗ abbia elementi di matrice
e quindi che < J ′ , α′ ||V ||J, α ≯= 0, è certo che J⃗ non può averne perché esso commuta con J 2
e dunque, se J ̸= J ′ o α ̸= α′ ⇒< J ′ , α′ ||J||J, α >= 0 !
52
Siccome per ipotesi il sistema non possiede degenerazione accidentale, questo implica che EJ
determina univocamente J per cui è inutile precisare formalmente la dipendenza della costante
C anche dall’autovalore di J.

47
ovvero, tenendo conto che T e quindi T −1 sono antiunitari ed usando la (2.204),
abbiamo

< EJ , J, m|dz |EJ , J, m > = < T (EJ , J, m)| dz T (EJ , J, m) >∗ =


= < U−m m (EJ , J, −m)| dz U−m m (EJ , J, −m) >∗ =
= |U−m m |2 < EJ , J, −m| dz |EJ , J, −m >∗ (2.213)

ma dz è un operatore hermitiano, quindi

< EJ , J, −m| dz |EJ , J, −m >∗ =< EJ , J, −m| dz |EJ , J, −m >

e dunque

< EJ , J, m|dz |EJ , J, m > = |U−m m |2 < EJ , J, −m| dz |EJ , J, −m >

relazione che, evidentemente, non può essere in accordo con la (2.209) senza che
C(EJ ) = 0, visto che essa fornisce la relazione

m C(EJ ) = −m |U−m m |2 C(EJ ) (2.214)

Questo significa che, su un qualunque autostato dell’hamiltoniana T -invariante


di un sistema che non presenta degenerazione accidentale, il momento di dipolo
elettrico (EDM ) d⃗ di quello stato deve avere valore medio nullo.
In particolare, questa conclusione è vera, ovviamente, per lo stato fondamentale
del sistema in esame.

Ma significa questo che nessun sistema può mai avere un EDM non nullo
senza che T sia violata ? Dopo tutto, sappiamo, per esempio, che certe molecole,
come quella dell’acqua, sono polari ...
La risposta alla domanda sta nel fatto che sia verificata o meno l’ipotesi di as-
senza di di degenerazione accidentale, ovvero nel fatto che il sistema non possieda
un’altra direzione intrinseca indipendente da quella definita dal momento ango-
lare.
Se questo accade, la conclusione per cui la presenza di un momento di dipolo
elettrico non nullo implica violazione di T non è più corretta.

Un caso particolarmente istruttivo è quello dello stesso atomo di idrogeno. La


teoria non relativistica dell’atomo di idrogeno senza spin prevede infatti, come
è ben noto, che tutti gli stati con lo stesso numero quantico principale n siano
degeneri fra loro e quindi che esistano, a parte il caso n = 1, multipletti cor-
rispondenti a un diverso valore del momento angolare L, da L = 0 a L = n − 1,
aventi tutti la stessa energia.

48
Questo implica che l’atomo possieda sul generico autostato | n1 , n2 , m > (co-
ordinate paraboliche53 , lungo z) un momento di dipolo elettrico

3 h̄2 3 ̸ λc
dz = n(n1 − n2 ) |e| 2
= n(n1 − n2 ) |e| (2.220)
2 me 2 α
dove n1 ed n2 sono interi non negativi legati al numero quantico principale54 n
ed all’autovalore m di Lz dalla relazione55

n = n1 + n2 + 1 + |m| (2.221)

ed abbiamo indicato, come è consuetudine, con ̸ λc la lunghezza d’onda Compton


ridotta dell’elettrone e con α la costante di struttura fina.
Questo EDM non nullo, ovviamente, non implica alcuna violazione né di T
né di P , visto che c’è degenerazione accidentale.
Questa degenerazione accidentale discende dal fatto che, nel caso del potenziale
53
L’hamiltoniana dell’atomo di idrogeno è separabile anche in coordinate paraboliche, la cui
definizione è la seguente:

x = ξη cosϕ (2.215)

y = ξη sinϕ (2.216)
1
z = (ξ − η) (2.217)
2
con ξ, η ≥ 0 e ϕ compreso fra 0 e 2π. Risulta
√ 1
r = x2 + y 2 + z 2 = (ξ + η) (2.218)
2
y
ξ = r + z; η = r − z; ϕ = arctg (2.219)
x
e le superfici ξ = cost e η = cost sono, appunto, paraboloidi di rotazione intorno all’asse z
con fuoco nell’origine.
54
Fissato n, i possibili valori di |m| vanno da 0 a n − 1. Fissati n e |m|, data la (2.221) n1
può assumere tutti i valori che vanno da 0 a n − |m| − 1, ovvero può assumere n − |m| valori
differenti, dopodichè n2 , invece, è univocamente fissato. Tenendo conto che per ogni m > 0
esiste un corrispondente m < 0, ecco che gli stati |n1 , n2 , m > con n fissato sono


n−1
2 (n − m) + (n − 0)
m=1

dove l’ultimo addendo corrisponde ad m = 0. Risulta quindi


n−1
2 (n − m) + (n − 0) = 2n(n − 1) − n(n − 1) + n = n2
m=1

che rappresenta, come sappiamo, la degenerazione del livello n dell’atomo di idrogeno.


55
Cfr. L. Landau E. Lifchitz: Mécanique Quantique Ed. Mir, 1974, pagg. 154 e successive e
pagg. 328 e successive.

49
coulombiano V (⃗r) = −k/r, esiste un altro vettore conservato, indipendente da
⃗ che è il vettore di Runge-Lenz, il quale classicamente, è dato da
L,

⃗ = 1 P⃗ × L
A ⃗ − k ⃗r (2.222)
m r
Quantisticamente56 ciascuna di queste componenti commuta57 con la sua omologa
componente di L, ⃗ ma non con L2 , e le tre componenti Ai non commutano58 fra
loro. L’esistenza di questa osservabile conservata che non commuta con L2 im-
plica l’esistenza di una degenerazione ulteriore dei livelli energetici, oltre a quella
legata a Lz , che è detta, appunto, accidentale nel senso che la sua esistenza è
direttamente legata al fatto che il potenziale è coulombiano.

La base consueta (coordinate sferiche) | n, L, m > usata per descrivere gli


autostati dell’atomo di idrogeno è fatta, come ben noto, da stati in cui, oltre
all’energia, sono diagonali anche L2 e Lz , mentre la base |n1 , n2 , m > sopra citata
è fatta da stati dove, oltre all’energia, sono diagonali Lz ed Az , i cui autovalori
sono proporzionali a n2 −nn
1
.

L’osservabile d, nel supermultipletto definito dal numero quantico principale
n, invece che essere parallela a L,⃗ come dovrebbe accadere se non ci fosse alcuna
degenerazione accidentale (con le conseguenze viste sopra circa < |d| ⃗ >, dovute,
in buona sostanza al fatto che T e L ⃗ anticommutano mentre T e d⃗ commutano),
56
Siccome P⃗ e L⃗ non commutano fra loro, la definizione quantistica, che rende altresı̀

l’operatore A hermitiano, è la seguente
1 ri
Ai = ϵijk ( Pj Lk + Lk Pj ) − k (2.223)
2m r

57 ⃗ è un operatore vettoriale per rotazioni, dunque tale che


A

[Lj , Ak ] = ih̄ ϵjkn An (2.224)

Essendo A ⃗ un vettore polare, esso anticommuta con la parità e dunque non può avere elementi
di matrice diversi da zero fra stati all’interno di uno stesso multipletto (stati aventi la stessa
parità ...) mentre può avere elementi di matrice fra multipletti diversi, degeneri in energia (solo
con |∆L| = 1, essendo l’operatore A ⃗ dispari di spin 1 ...).
58
Come mostrato in
A. Bohm: Quantum mechanics: foundations and√ applications, III edition, 1993, Springer, Ch.VI
opportunamente rinormalizzati (Ai → Âi = Ai / −2H/m, dove H è hamiltoniana del sistema
di massa m), il commutatore degli Âj riproduce le componenti del momento angolare orbitale,
i.e.

[Âj , Âk ] = ih̄ ϵjkn Ln (2.225)

e questo implica che il gruppo di invarianza dell’hamiltoniana relativa al potenziale coulombiano


è più esteso del solo gruppo delle rotazioni e coincide in effetti con SO(4), che spiega il motivo
per cui il livello energetico n−esimo ha degenerazione n2 .

50
⃗ >, visto che
⃗ (senza conseguenze su < |d|
risulta in questo caso parallela ad A
anche T ed A ⃗ commutano), infatti si dimostra che risulta59

⃗ >= 3 |e|
< |d| < |A|
⃗ > (2.232)
4 < |E| >

Questo per quanto riguarda T .

59
Le due osservabili d⃗ ed A⃗ non sono proporzionali tra loro poiché la costante che le lega
è in effetti funzione dell’energia e quindi la proporzionalità è limitata solo all’interno di un
multipletto degenere. Risulta infatti

3 h̄2 3 ̸
λ
< |dz | > = − n(n1 − n2 )|e| 2 ≡ − n(n1 − n2 ) |e| (2.226)
2 me 2 α
n1 − n2
< |Az | > = α h̄c (2.227)
n
dunque

3 ̸ < |Az | >


λ
< |dz | > = − n2 |e| (2.228)
2 α αh̄c
ma, come è noto, l’energia del livello n−esimo è data da

me4 m α2 h̄2 c2 1
< |E| > = − = − = −mc2 α2 2 (2.229)
2h̄2 n2 2h̄2 n2 2n
dunque risulta

mc2 α2
n2 = − (2.230)
2 < |E| >

e quindi si ha infine che

3 ̸ < |Az | > mc2 α2


λ
< |dz | > = |e| =
2 α αh̄c 2 < |E| >
3 |e| mc 3 |e|
= , λ̸ < |Az | >= < |Az | > (2.231)
4 < |E| > h̄ 4 < |E| >

51
Torniamo infine al legame fra EDM e parità, da cui eravamo partiti.
Siccome Az non commuta con L2 bensı̀ ha elementi di matrice fra stati con
|∆L| = 1, gli stati60 |n1 , n2 , m > sono, in generale, combinazioni lineari di stati
con lo stesso autovalore di Lz (ovvio !), ma appartenenti a multipletti differenti,
corrispondenti allo stesso numero quantico principale n. Questo implica in par-
ticolare che essi non abbiano parità definita, per cui, l’esistenza di un EDM non
nullo su questi autostati dell’hamiltoniana, non implica, evidentemente, alcuna
violazione di P nella dinamica !

60
Giusto per completezza, osserviamo che se consideriamo, per esempio, il primo livello ecci-
tato (n = 2), allora, nella base |n1 , n2 , m > i quattro stati degeneri, espressi come combinazione
degli stati nella base più consueta |n, L, m >, sono dati da
1
|1, 0, 0 > = √ (|2, 0, 0 > +|2, 1, 0 >) (2.233)
2
1
|0, 1, 0 > = √ (|2, 0, 0 > −|2, 1, 0 >) (2.234)
2
|0, 0, 1 > = |2, 1, 1 > (2.235)
|0, 0, −1 > = |2, 1, −1 > (2.236)

ed è allora del tutto evidente come dz possa avere valor medio non nullo sugli stati |1, 0, 0 >
e |0, 1, 0 > visto che la funzione d’onda di |2, 0, 0 > ha simmetria sferica, mentre quella di
|2, 1, 0 > è proporzionale a z.
Si osservi infine che entrambe le funzioni d’onda possono essere scelte reali, per cui gli stati
⃗ che d⃗ ...
|1, 0, 0 > e |0, 1, 0 > risultano entrambi T-invarianti come tanto A

52
2.2.6 Una curiosità: il vettore di Runge-Lenz
Classicamente, nel caso del moto di un punto materiale di massa m in un campo
coulombiano o newtoniano, fra le grandezze fisiche conservate c’è, come è noto,
il vettore assiale del momento angolare61
⃗ ≡ ⃗r × p⃗ ≡ m ⃗r × ⃗r˙
L
⃗ . Se l’hamiltoniana
e, oltre a questo, il cosiddetto vettore (polare) di Runge−Lenz M

p2 k
H= −
2m r
allora il vettore di Runge-Lenz è definito come

⃗ = 1 p⃗ × L
A ⃗ − k ⃗r (2.237)
m r
Esso, come vedremo, individua la direzione dell’asse fuoco-direttrice, nel verso
del perielio.
Iniziamo provando che A ⃗ è davvero una costante del moto. Ricordiamo a

questo proposito che L è indipendente dal tempo, per cui
( )
( )
d 1 ⃗ = d ⃗r˙ × L
p⃗ × L ⃗ = r̈ × L
⃗ (2.238)
dt m dt
ma, per la seconda legge della dinamica si ha che
1 k
⃗¨r = (−⃗r) (2.239)
m r3
dunque
( )
d 1 ⃗ = − k ⃗r × L
⃗ = − k ⃗r × (⃗r × (m⃗r˙ )) = − k ⃗r × (⃗r × ⃗r˙ )
p⃗ × L 3
dt m mr mr3 r3
D’altronde, risultando evidentemente

⃗r = r ⃗n ⇒ ⃗r˙ = ṙ ⃗n + r ⃗n˙ (2.240)

si ha che

⃗r × ⃗r˙ = ⃗r × (r ⃗n˙ ) = r (⃗r × ⃗n˙ ) (2.241)


61
Questo è dovuto al carattere centrale della forza, i.e. al fatto che F⃗ (⃗r) = f (r) ⃗n, dove
⃗n ≡ ⃗rr , infatti

dL d(⃗r × ⃗r˙ )
=m = m ⃗r˙ × ⃗r˙ + m ⃗r × ⃗¨r = f (r) ⃗r × ⃗n = 0
dt dt

53
per cui ne segue che
( ) [ ]
d 1 ⃗ = − k ⃗r × (⃗r × ⃗n˙ ) = − k ⃗r (⃗r · ⃗n˙ ) − ⃗n˙ r2
p⃗ × L (2.242)
dt m r2 r2
D’altronde, essendo

n2 = ⃗n · ⃗n = 1 ⇒ ⃗n˙ · ⃗n = 0 ⇒ ⃗n˙ · ⃗r = 0

e quindi, finalmente, si ha
( ) ( )
d 1 ⃗ = k ⃗n˙ d 1
p⃗ × L ⇒ p⃗ × L
⃗ − k ⃗n = 0 (2.243)
dt m dt m
che prova appunto il fatto che il vettore di Runge-Lenz sia una costante del moto.

Vediamo ora come da questa legge di conservazione si possa dedurre che la


traiettoria percorsa dal punto materiale deve essere una conica.
⃗ per la coordinata radiale ⃗r: si ha
Moltiplichiamo scalarmente il vettore A

⃗ · ⃗r = 1 (⃗p × L)
A ⃗ · ⃗r − k r ⇒ A r cosθ = (⃗r˙ × L)
⃗ · ⃗r − k r (2.244)
m
⃗ Ricordiamo adesso l’identità vettoriale
dove l’angolo θ è l’angolo fra ⃗r e A.

(⃗a × ⃗b) · ⃗c = (⃗c × ⃗a) · ⃗b

per cui risulta che


2
(⃗r˙ × L) ⃗ = 1 |L|
⃗ · ⃗r = (⃗r × ⃗r˙ ) · L ⃗ 2≡ l
m m
dove abbiamo indicato con l il modulo (costante) del momento angolare della
particella. Dunque abbiamo

l2 l2
A r cosθ = − k r ⇒ r (A cosθ + k) =
m m
1 km A m
⇒ = 2 + 2 cosθ (2.245)
r l l
che è appunto l’equazione di una conica di eccentricità
Am
l2 A
ϵ= = (2.246)
km
l2
|k|

Nel caso di potenziale attrattivo (k > 0) e nel caso particolare di un sistema


legato, come è noto la traiettoria è un’ellisse.

54
Vediamo, in questo caso, come è fatto il vettore A.⃗
⃗ a
Senza perdita di generalità, visto che il moto è piano data la costanza di L
cui il vettore posizione è ovviamente sempre ortogonale, possiamo supporre che
esso avvenga nel piano (x, y). Poniamo allora

⃗r = r (cosϕ, sinϕ, 0) (2.247)

e dunque

⃗r˙ = ṙ (cosϕ, sinϕ, 0) + r ϕ̇ (−sinϕ, cosϕ, 0) (2.248)

da cui
⃗ = m ⃗r × ⃗r˙ = m r2 ϕ̇ (0, 0, 1) ≡ (0, 0, l)
L (2.249)
⃗ dalla definizione si ha
Veniamo ora al calcolo esplicito di A:
2
⃗ = 1 p⃗ × (⃗r × p⃗) − k ⃗n = p ⃗r − 1 p⃗ (⃗r · p⃗) − k ⃗n
A (2.250)
m m m
ma per determinare il vettore, essendo costante durante il moto, basta calcolarlo
in un punto qualsiasi dell’orbita. Osserviamo allora che, essendo

⃗r · p⃗ = m ⃗r · ⃗r˙ = m r ṙ

il secondo addendo nell’espressione (2.249) è nullo sia al perielio che all’afelio,


dove ṙ = 0. In ciascuno di questi due punti, quindi, l’espressione del vettore di
Runge-Lenz si semplifica in
( )
2 2 2
⃗ = p ⃗r − 1 p⃗ (⃗r · p⃗) − k ⃗n ⇒ A = p ⃗r − k ⃗n = ⃗n r p − k
A (2.251)
m m m m
D’altronde l’energia totale E della particella è anch’essa una costante del moto e
vale
p2 k
E= −
2m r
per cui ne segue che
p2
2r E = r − 2k (2.252)
m
da cui, sempre solo al perielio e all’afelio, è
⃗ = (2rE + k) ⃗n
A (2.253)

Ma in un moto kepleriano l’energia totale E risulta


k
E=−
d

55
dove d è la lunghezza dell’asse maggiore dell’ellisse per cui, detti a e b (a > b),
rispettivamente, la distanza dell’afelio e del perielio dall’origine (fuoco dell’ellisse),
risulta
k
E=− (2.254)
a+b
per cui risulta
( )
−k k(b − a)
⃗ = ⃗na
af elio : A 2a +k = ⃗na = |E|(b − a)⃗na (2.255)
a+b a+b
( )
−k k(a − b)
⃗ = ⃗nb 2b
perielio : A +k = ⃗nb = |E|(a − b)⃗nb (2.256)
a+b a+b
ed evidentemente i due risultati, come devono, sono coincidenti visto che ⃗na =
−⃗nb .
Concludendo, il vettore di Runge-Lenz classico (vedi fig.3) ha per modulo il
prodotto del valore assoluto dell’energia totale per la differenza afelio-perielio, ha
per direzione quella dell’asse dell’ellisse e verso quello che va dal fuoco al perielio.

L’interesse per questo vettore sta nel fatto che, come sappiamo, esso è, per es-
empio, all’origine della degenerazione accidentale dei livelli nell’atomo di idrogeno
(trattazione non relativistica, senza spin), per la quale l’energia dipende solo dal
numero quantico principale n e sono degeneri tutti i livelli con J = 0, ...n − 1.

Figure 3: Vettore di Runge Lenz

56
2.2.7 Il sistema dei Kappa neutri

I mesoni K neutri sono particelle pseudoscalari, i.e. essi hanno parità intrinseca
P = −1 ed hanno spin nullo. Come si ricorderà, essi furono individuati da
Rochester e Butler nel 1947 in interazioni di raggi cosmici in camera a nebbia
come particelle V 0 , ed infatti un loro modo frequente di decadimento è quello in
due pioni
K 0 → π+ π−
Poiché questi mesoni hanno stranezza, essi non possono coincidere con la propria
antiparticella, quindi dovranno esistere sia il K 0 che il K̄ 0 .
In termine di quarks, oggi sappiamo infatti che
|K 0 >= |ds̄ >; ¯ >
|K̄ 0 >= |ds
e la stranezza del K 0 è S = +1, mentre quella del K̄ 0 è S = −1.
Come si poteva, però, essere certi di questo, cioè che davvero K 0 ̸= K̄ 0 ?
Gell-Mann e Pais furono i primi che si posero il problema62 delle conseguenze
osservabili che derivano dall’esistenza di due mesoni neutri coniugati di carica.
Essi partirono dall’assunto che C fosse una simmetria rispettata63 anche dalle
interazioni deboli: oggi sappiamo che questo non è vero, anzi che essa è violata in
modo massimale, ma vale la pena ripercorrere il loro ragionamento sostituendo
semplicemente alla loro l’ipotesi quella che sia invece CP la simmetria conservata
anche dalle interazioni deboli. Siccome CP è violata molto marginalmente, questa
resta comunque una ipotesi di lavoro molto utile e tutt’altro che peregrina !
Assumiamo dunque che esistano i due stati ortogonali |K 0 > e |K̄ 0 > e definiamo
la simmetria di coniugazione di carica fissandone la convenzione di fase in modo
che risulti
CP |K 0 >= |K̄ 0 >; CP |K̄ 0 >= |K 0 > (2.257)
Iniziamo trattando il problema dell’evoluzione del sistema delle due particelle
nell’ipotesi di assenza di interazione debole.
Chiaramente, in questa ipotesi, esse non possono decadere e, ponendo
( )
a(t)
Ψ(t) = a(t) |K 0 > + b(t) |K̄ 0 >≡ (2.258)
b(t)
ne segue che Ψ(t), nel riferimento di quiete, evolve in modo tale che
( )
∂ M 0
ih̄ Ψ(t) = H Ψ(t), H= (2.259)
∂t 0 M
62
M. Gell-Mann, A. Pais: Behavior of neutral particles under charge conjugation,
Phys. Rev. 97, 1387 (1955)
63
Si ricordi che la violazione della parità nelle interazioni deboli fu appurata solo nel 1957,
cioè due anni dopo l’analisi di Gell-Mann e Pais.

57
dove si è assunta valida la simmetria CP T e dunque che64

m(K 0 ) = m(K̄ 0 ) ≡ M (2.263)

In questa ipotesi, il sistema è dunque costituito da due stati degeneri.


Immaginiamo adesso di ”accendere” l’interazione debole.
A causa, per esempio, del fatto che sia il |K 0 > che il |K̄ 0 > possono decadere
in una coppia di pioni, si apre la possibilità che essi si trasformino, al secondo
ordine nelle interazioni deboli, l’uno nell’altro, i.e. che
( )
|K 0 >→ π π; |K̄ 0 >→ π π ⇒ |K 0 >→ π π → |K̄ 0 > (2.264)

Dunque la dinamica debole deve consentire (al secondo ordine) oscillazioni del
tipo

|K 0 > ↔ |K̄ 0 > (2.265)


{ }
per cui l’hamiltoniana del sistema |K 0 >, |K̄ 0 > , deve piuttosto essere della
forma65
( )
M ∆1
H= (2.267)
∆2 M
64
Infatti abbiamo che (si ricordi che CP T è antiunitario)

m(K 0 ) ≡ < K 0 | H |K 0 >=< K 0 | (CP T )−1 H(CP T ) K 0 >=


= < (CP T )−1 (CP T ) K 0 |(CP T )−1 H(CP T ) K 0 >=
= < (CP T ) K 0 |H(CP T ) K 0 >∗ (2.260)

D’altronde, siccome siamo nel riferimento di quiete, evidentemente trattandosi di particelle


(pseudo)scalari e quindi senza spin, risulta che

T |K 0 >= |K 0 >; T |K¯0 >= |K¯0 > (2.261)

e dunque si ha

m(K 0 ) = < (CP T ) K 0 | H (CP T ) K 0 >∗ =< K¯0 | H K¯0 >∗ =


= < H K¯0 | K¯0 >=< K¯0 | H |K¯0 >≡ m(K¯0 ) (2.262)

65
L’invarianza sotto CP T implica, come si è visto, che < K 0 |H|K 0 >=< K¯0 |H|K¯0 > ma
non fornisce, in generale, alcuna condizione sui termini fuori diagonale, infatti si ha

< K 0 | H |K¯0 > = < K 0 |(CP T )−1 H(CP T )K¯0 >=< (CP T )−1 (CP T )K 0 |(CP T )−1 H (CP T )K¯0 >=
= < (CP T )K 0 |H (CP T )K¯0 >∗ =< K¯0 |H, K 0 >∗ =< K 0 | H |K¯0 > ... (2.266)

58
Se però CP è conservata dall’hamiltoniana, allora

∆1 = < K 0 | H |K̄ 0 >=< K 0 | (CP )−1 H (CP ) |K̄ 0 >=


= < K 0 | (CP )† H (CP ) |K̄ 0 >=< (CP ) K 0 | H (CP ) K̄ 0 >=
= < K̄ 0 | H |K 0 > = ∆2 (2.268)

e dunque l’hamiltoniana H sarà in realtà del tipo66


( )
M ∆
H= (2.270)
∆ M

Questa hamiltoniana, indipendentemente dal valore effettivo di ∆ (che, pur es-


sendo certamente piccolissimo in confronto ad M , visto che descrive un processo
al secondo ordine nell’interazione debole, esso non è quindi certamente nullo ...),
ha comunque i due autovettori della forma
( )
1 1 1 ( )
|K10> = √ ≡ √ |K 0 > + |K̄ 0 > (2.271)
2 1 2
( )
1 1 1 ( )
|K2 > = √
0
≡ √ |K 0 > − |K̄ 0 > (2.272)
2 −1 2

corrispondenti, rispettivamente, agli autovalori M ± ∆ e quindi non più degeneri.


Siccome per ipotesi [H, CP ] = 0 questi autovettori dell’hamiltoniana devono
essere anche autovettori simultanei di CP ed è immediato che lo sono per gli
autovalori +1 e −1, rispettivamente.
L’interazione debole, però, come abbiamo visto, accoppia gli stati di |K 0 > e
|K̄ > anche ad altri stati i quali non stanno nello spazio di Hilbert bidimensionale
0

fin’ora considerato: questo significa che non è possibile descrivere completamente


l’evoluzione del sistema senza allargare lo spazio degli stati stessi.
Se però non siamo interessati a conoscere il dettaglio gli stati finali ma solo a
sapere che cosa accade agli stati di |K 0 > e di |K̄ 0 >, allora si può ancora
restare nello spazio bidimensionale da essi definito ma occorre ammettere che
l’hamiltoniana non sia più hermitiana bensı̀ contenga i termini opportuni che
descrivono il decadimento esponenziale di queste particelle. Sempre nell’ipotesi
che CP sia una simmetria rispettata dall’interazione debole, i due stati ortogonali
|K10 > e |K20 > decadranno verso stati con CP opposta senza mescolamenti
66
Si osservi che, in queste ipoetsi, ∆ deve essere reale a causa dell’invarianza sotto CP T
che, in presenza della simmetria conservata CP , implica la conservazione della simmetria di
inversione temporale T e dunque che

< K 0 | H |K¯0 > = < K 0 |T −1 H T K¯0 >=< T −1 T K 0 |T −1 H T K¯0 >=


= < T K 0 |H T K¯0 >∗ =< K 0 |H K¯0 >∗ =< K¯0 | H |K 0 > (2.269)

59
reciproci, ciascuno con una propria larghezza di decadimento Γ1 e Γ2 , per cui, in
questa stessa base, avremo
( )
M + ∆ − 2i Γ1 0
H= (2.273)
0 M − ∆ − 2i Γ2

e dunque, quanto all’evoluzione temporale, sarà (h̄ = c = 1)

|K10 , t > = e−i(M +∆− 2 Γ1 )t |K10 >= e−i(M +∆)t e− 2 Γ1 t |K10 >
i 1
(2.274)
−i(M −∆− 2i Γ2 )t −i(M −∆)t − 12 Γ2 t
|K20 , t > = e |K20 >= e e |K20 > (2.275)

Ciò che Gell-Mann e Pais misero in evidenza era che mentre il |K10 > poteva
decadere in due pioni perché questo è uno stato CP -pari67 , se CP era conservata,
il |K20 > non poteva farlo, bensı̀ doveva decadere in almeno tre pioni.
Però, in questo caso, per esempio già lo spazio delle fasi era più ridotto e quindi
c’era da aspettarsi che il |K20 > avesse una vita media sensibilmente più lunga.
Va osservato comunque che, nel processo di produzione per interazione forte dei
mesoni strani, non vengono prodotti né il |K10 > né il |K20 >, bensı̀ viene prodotto
tipicamente un K 0 , magari insieme alla Λ o ad una Σ ... E’ quindi dell’evoluzione
dello stato di K 0 cosı̀ prodotto di cui occorre, piuttosto, occuparci !
Per sapere come esso evolve, basta in realtà applicare semplicemente i principi
primi della Meccanica Quantistica. Essa ci dice infatti che
1 ( )
|K 0 >= √ |K10 > +|K20 > (2.276)
2
dunque, in vuoto, avremo
1 ( )
|K 0 , t >= √ e−i(M +∆/2)t e−it∆/2 e−tΓ1 /2 |K10 > + eit∆/2 e−tΓ2 /2 |K20 > (2.277)
2
Questo implica che, al tempo t, le probabilità di osservare ancora un |K10 >
oppure con un |K20 > varranno, rispettivamente
1
| < K10 |K 0 , t > |2 = e−tΓ1 (2.278)
2
1
| < K2 |K , t > | = e−tΓ2
0 0 2
(2.279)
2
67
Nel caso, per esempio, del sistema π + π − , coniugazione di carica e parità equivalgono en-
trambe alla simmetria di scambio e dunque moltiplicano ciascuna la funzione d’onda dello stato
per (−1)L , per cui l’applicazione di entrambe lascia la funzione d’onda inalterata.
Nel caso di due pioni neutri, la coniugazione di carica non altera lo stato, ma la parità continua
ad equivalere allo scambio e, trattandosi di bosoni identici ...
Il contrario accade, per esempio, nel decadimento in tre π 0 che devono avere la funzione d’onda
globalmente simmetrica, da cui ne segue che, essendo la parità intrinseca del π 0 negativa, la
parità complessiva dello stato e dunque l’autovalore di CP risulterà necessariamente −1.

60
per cui, su tempi brevi, osserveremo molto frequentemente il decadimento del
|K10 > in due pioni, che procede con la vita media più breve Γ1 , mentre su
tempi lunghi, lo stato tenderà a divenire uno stato puro di |K20 > perchè la
componente |K10 > sarà nel frattempo tutta decaduta, e quindi, per tempi lunghi,
dovremo aspettarci decadimenti a tre pioni (e verso altri canali tipici del K20 ),
ma certamente non più decadimenti a due pioni !
Effettivamente in natura si osserva sia uno stato di K neutro, chiamato |KS >,
il quale decade tipicamente in due pioni (carichi o neutri) con una vita media
relativamente breve (τS = 0.895 × 10−10 s) come pure uno stato chiamato |KL >
il quale decade in tre pioni (oltre ad alcuni canali semileptonici) con una vita
media relativamente lunga (τL = 5.12 × 10−8 s).
Tutto bene, dunque ! Non esattamente ...
La novità venne con l’esperimento68 di Cronin, Christenson, Fitch e Turlay che
mostrò come il |KL > poteva decadere, in circa lo 0.2% dei casi in due pioni.
Come poteva succedere ?

Figure 4: Apparato sperimentale di Cronin et al.

J.H. Christenson, J.W. Cronin, V.L. Fitch, R. Turlay: Evidence for 2π decay of the |K20 >
68

meson, Phys. rev. Lett. 13, 138 (1964)

61
Le spiegazioni possibili richiedevano di rimettere in discussione la simmetria CP
ed erano sostanzialmente due:
• i due autostati dell’hamiltoniana |KS > e |KL > non coincidevano esat-
tamente con |K10 > e |K20 > e quindi non erano autostati di CP , ma il
decadimento rispettava questa simmetria.
E’ questo il cosiddetto meccanismo della violazione indiretta.
• CP non era rispettata nel decadimento debole: è il meccanismo della vio-
lazione diretta.
Oggi sappiamo che sono presenti entrambi i meccanismi, però quanto osservato
da Cronin e collaboratori era un effetto dovuto alla violazione indiretta.
Cerchiamo di capire che cosa questo significa e come avviene.
Ripartiamo per questo dall’hamiltoniana H che descrive l’evoluzione del sistema
|K 0 >, |K̄ 0 > in questa stessa base. Nel caso più generale possibile, essa sarà
una matrice complessa 2 × 2, i.e. della forma
( )
a b
H= (2.280)
c d
I suoi autovalori sono
[ √ ]
1
λ± = a + d ± (d − a)2 + 4bc (2.281)
2
( )
p
ed i corrispondenti autovettori sono tali che il rapporto fra le loro due
q ±
componenti è dato da
( ) √
q λ± − a d−a± (d − a)2 + 4bc
= = (2.282)
p ±
b 2b
Ricordiamo però che l’hamiltoniana deve commutare almeno con CP T , per cui69
i
a = M− Γ = d (2.285)
2
69
La simmetria CP T non implica solo che la massa M debba essere la stessa per particella
e antiparticella ma anche che le loro larghezze di decadimento Γ lo debbano essere.
Ricordiamo che, nel sistema del CM , la larghezza differenziale di decadimento di una particella
a di massa M e spin S verso uno stato finale f è data da
1 1
dΓ = |Mf a |2 dΦ (2.283)
2S + 1 2M
dove Mf a è l’elemento di matrice relativo al decadimento a → f e dΦ è lo spazio delle fasi
invariante associato allo stato finale. Nel caso di un processo di decadimento al primo ordine
(il risultato che troveremo è vero anche per decadimenti che avvengono coinvolgendo anche gli
ordini perturbativi successivi al primo, ma la dimostrazione è un po’ più complicata) si ha
Mf a = < f |L(0)|a >=< f |(CP T )−1 (CP T )L(0)(CP T )−1 (CP T )|a >=

62
Questo significa che, per la (2.281), risulta
i √
λ± = M − Γ ± bc (2.286)
2
ovvero, definendo70
√ ( )
1 i
bc ≡ ∆M + ∆Γ (2.287)
2 2
quanto agli autovalori dell’hamiltoniana si ha
( )
i 1 i
λ± = M − Γ± ∆M + ∆Γ (2.288)
2 2 2
Veniamo ora agli autovettori dell’hamiltoniana H.
Dalla (2.282) risulta adesso che
( ) √
q c
=± (2.289)
p ±
b
Nell’ipotesi in cui CP sia una simmetria conservata, come abbiamo visto la quan-
tità sotto radice vale proprio 1: poniamo allora

c
≡ −ρ eiβ (2.290)
b
dove ρ è un numero reale non negativo e β è una fase opportuna. Definiamo
quindi il seguente parametro complesso ϵ
1−ϵ 1 − ρeiβ
= ρ eiβ ⇔ ϵ ≡ (2.291)
1+ϵ 1 + ρeiβ
Da quanto precede discende allora che gli autovettori corripondenti agli autovalori
λ± sono tali che (p è un numero complesso arbitrario ...)
[ ]
1−ϵ
|± > = p |K > ∓ 0
|K̄ 0 > =
1+ϵ
p [ ]
= (1 + ϵ)|K 0 >) ∓ (1 − ϵ) |K̄ 0 >) =
1+ϵ
p [ ]
= (|K 0 > ∓|K̄ 0 >) + ϵ (|K 0 > ±|K̄ 0 >) (2.292)
1+ϵ
= < (CP T )−1 (CP T ) f |(CP T )−1 (CP T )L(0)(CP T )−1 (CP T ) a >=
= < (CP T ) f |(CP T )L(0)(CP T )−1 (CP T ) a >∗ =
= < f¯|(CP T )L(0)(CP T )−1 ā >∗ =< f¯|L(0)| ā >∗ = M∗¯ f ā (2.284)

dove si è usato il fatto che, per ipotesi, L(0) è CP T invariante.


Siccome dΓ dipende dal modulo quadro dell’elemento di matrice, sia nel caso del decadimento
della particella che dell’antiparticella si trova lo stesso valore: particella e antiparticella hanno
la stessa vita media !
70
Per definizione, la radice è scelta in modo che la sua parte reale sia positiva, i.e. ∆M > 0.
Nel caso dei mesoni K, accade che anche ∆Γ < 0.

63
ovvero, normalizzandoli, abbiamo finalmente71
1 [ ]
|+ > ≡ |KL >= √ |K20 > + ϵ |K10 > (2.294)
1 + |ϵ|2
1 [ ]
|− > ≡ |KS >= √ |K10 > + ϵ |K20 > (2.295)
1 + |ϵ|2

la quale mostra come una hamiltoniana CP T -invariante che descriva l’evoluzione


del sistema |K 0 >, |K̄ 0 > in cui, però, siano presenti termini che violano CP , può
generare un mescolamento degli stati con CP opposta e quindi può, appunto, ren-
dere conto72 , attraverso il meccanismo della violazione indiretta, dell’osservazione
fatta da Cronin e collaboratori.
71
Si osservi che gli stati |KL > e |KS >, pur essendo autostati dell’hamiltoniana, non essendo
questa hermitiana, non sono ortogonali fra loro. Si ha
1 [ ] 2ℜϵ
< KL |KS >= ϵ < K20 |K20 > +ϵ∗ < K10 |K10 > = (2.293)
1 + |ϵ|2 1 + |ϵ|2

Sul significato fisico di questa quantità, torneremo più oltre, quando tratteremo l’asimmetria
di carica nel decadimento dei KL .
72
Le due espressioni trovate del KS e del KL in termini degli autostati di CP K10 e K20
sono perfettamente simmetriche quanto al mescolamento. Come si spiega, allora, per esempio,
il fatto che il BR del decadimento KL → 2π 0 , dovuto alla componente ϵ|K10 > nel KL , vale
8.85 × 10−4 mentre quello del KS in tre π 0 , dovuto alla componente ϵ|K20 > nel KS , è cosı̀
piccolo che ne è noto solo il limite superiore, pari a 1.2 × 10−7 ?
Il punto è che la probabilità per unità di tempo che avvenga il decadimento KL → 2π 0 è data
da
|ϵ|2
ΓL × BR(KL → 2π 0 ) ∝ |M(K10 → 2π 0 )|2 (2.296)
1 + |ϵ|2

D’altronde, per l’analogo decadimento del KS sarà


1
ΓS × BR(KS → 2π 0 ) ∝ |M(K10 → 2π 0 )|2 (2.297)
1 + |ϵ|2

e dunque ne ricaviamo che


ΓS 2
BR(KL → 2π 0 ) = |ϵ| BR(KS → 2π 0 ) (2.298)
ΓL

Venendo ai numeri, secondo il P DG − 2008, risulta che τS = Γ1S = 0.8958 × 10−10 s mentre
τL = Γ1L = 5.116 × 10−8 s ed |ϵ|, nella convenzione di fase riguardo alla coniugazione di carica
C da noi scelta, vale |ϵ| = 2.229 × 10−3 .
Siccome il valore sperimentale del BR del KS in due π 0 vale BR(KS → 2π 0 ) = 0.3069 =
30.69%, la (2.298 ) implica che

5.116 × 10−8
BR(KL → 2π 0 ) = |2.229 × 10−3 |2 × 0.3069 = 0.87 × 10−3 (2.299)
0.8958 × 10−10
in perfetto accordo con i dati sperimentali.

64
La correttezza di questa spiegazione è dimostrata anche dalla asimmetria di
carica osservata nei decadimenti semileptonici del KL .
Vediamo di che si tratta.
Il mesone |K 0 > è un sistema (ds̄) e, via corrente carica, il quark s̄ può trasfor-
marsi in ū emettendo un W + che può materializzarsi in una coppia leptonica, per
esempio e+ νe . Ne discende quindi il decadimento

|K 0 >≡ |ds̄ >→ |dū > + e+ + νe ≡ π − e+ νe (2.301)

Per lo stesso motivo accade però che

|K̄ 0 >≡ |sd¯ >→ |ud¯ > + e− + ν̄e ≡ π + e− ν̄e (2.302)

Se adesso abbiamo un fascio di KL (basta mettersi abbastanza lontani dalla loro


sorgente e questo accade naturalmente ...) siccome il |K 0 > vi compare pesato
con (1 + ϵ) mentre il |K̄ 0 > vi compare pesato con (1 − ϵ), ecco che se N+ indica
il numero degli eventi di decadimento con positrone e N− quello degli eventi con
elettrone, allora questi numeri differiranno fra loro in relazione proprio al valore
di ϵ, infatti avremo
N+ − N− |1 + ϵ|2 − |1 − ϵ|2 2ℜe(ϵ)
δ≡ = = ≈ 2ℜe(ϵ) (2.303)
N+ + N− |1 + ϵ| + |1 − ϵ|
2 2 1 + |ϵ|2
Sperimentalmente il valore misurato è

δ = (3.32 ± 0.06) × 10−3 (2.304)

Non è affatto un caso che la quantità osservabile73 δ non misuri il parametro


di mixing ϵ ma la combinazione 2ℜe(ϵ)
1+|ϵ|2
.
Il punto sta nel fatto che la simmetria di coniugazione di carica C contiene, nella
sua definizione, una arbitrarietà di fase che occorre fissare.
Definendo la base (2.257) noi lo abbiamo fatto in modo
{ implicito: è}la convenzione
di fase di Wu-Yang. Però, al posto della base |K 0 >, |K̄ 0 > cosı̀ definita,
{ }
avremmo potuto equivalentemente usare la base |Kα0 >, |K̄α0 > seguente

|Kα0 > ≡ e−iα/2 |K 0 > CP |Kα0 > ≡ e−iα |K̄α0 >


⇔ (2.305)
|K̄α0 > ≡ eiα/2 |K̄ 0 > CP |K̄α0 > ≡ eiα |Kα0 >
Quanto, infine, al canale del KS in tre π 0 , ripetendo lo stesso conto di cui sopra troviamo
ΓL 2
BR(KS → 3π 0 ) = |ϵ| BR(KL → 3π 0 ) (2.300)
ΓS
e siccome ΓS /ΓL = 571, è chiaro che, pur essendo il decadimento KL → 3π 0 abbastanza
frequente (BR = 0.1952), non c’è certo da aspettarsi che il BR(KS → 3π 0 ) sia simile a
BR(KL → 2π 0 ) !
73
Si osservi che, proprio per il meccanismo che la genera, l’asimmetria di carica deve risultare
la stessa anche quando la coppia leptonica sia fatta da µ+ νµ !

65
In questa base l’hamiltoniana (2.280) assume la forma74 seguente:
( ) ( )
′ a′ b′ a b e−iα
H → H = = (2.306)
c′ d′ c eiα d

Le due descrizioni del sistema dei due mesoni K neutri devono però essere equiv-
alenti e dunque nessuna osservabile fisica deve poter essere affetta da questa
trasformazione. Però dalla definizione (2.291) risulta evidente che
√ √
c c′ 1 − ϵ′
= −ρ eiβ → = −ρei(α+β)
≡ (2.307)
b b′ 1 + ϵ′
Evidentemente, per l’arbitrarietà di α, solo il parametro ρ può avere un signifi-
cato indipendente dalla convenzione di fase e dunque solo ρ può essere legato a
quantità osservabili. In particolare accade che la violazione di CP è presente nel
sistema se e solo se ρ ̸= 1, indipendentemente dal valore della fase β.
A conferma di questa affermazione, abbiamo per esempio che il parametro δ
definito dalla (2.303), il quale misura appunto l’asimmetria di carica nel decadi-
mento dei KL , direttamente legato alla violazione indiretta, dipende da ϵ solo
attraverso ρ, essendo infatti75

2ℜe(ϵ) 1 − ρ2
= (2.310)
1 + |ϵ|2 1 + ρ2

74
Non meravigli che adesso i termini fuori diagonale siano proporzionali a fattori di fase inversi
uno dell’altro: abbiamo cambiato la definizione di C e quindi di CP per cui, per esempio, non
è più vero che i due termini debbano essere uguali se CP è conservata ...
75
Poniamo per semplicità

c 1−z 1 − z 1 + z∗ 1 − |z|2 − 2iℑm(z)
= −ρ eiβ ≡ −z ⇒ ϵ = = ∗
= ⇒
b 1+z 1+z1+z 1 + |z|2 + 2ℜe(z)
1 − ρ2
⇒ ℜe(ϵ) = (2.308)
1 + ρ2 + 2ℜe(z)

D’altronde
1 − z 1 − z∗ 1 + |z|2 − 2ℜe(z) 1 + ρ2 − 2ℜe(z)
1 + |ϵ|2 = 1+ ∗
=1+ =1+ =
1+z1+z 1 + |z| + 2ℜe(z)
2 1 + ρ2 + 2ℜe(z)
1 + ρ2
= 2 (2.309)
1 + ρ2 + 2ℜe(z)

e mettendo insieme questa relazione con la precedente (2.308), otteniamo immediatamente la


(2.310).

66
Un altro fenomeno molto interessante che vale la pena di ricordare riguarda
la cosiddetta oscillazione di stranezza.
Supponiamo che al tempo t = 0 sia stato formato uno stato di |K0 > (di |K̄ 0 >):
ci domandiamo quale sia la probabilità che al tempo t esso sia trovato (per esempio
attraverso un decadimento semileptonico) in uno stato di |K̄ 0 > (|K0 >).

Trattiamo senz’altro il problema nella convenzione di fase di Wu-Yang, dove


risulta
1 [ ]
|+ > ≡ |KL >= √ |K20 > + ϵ |K10 > =
1 + |ϵ|2
1 1 [( ) ( )]
= √ √ |K0 > −|K̄ 0 > + ϵ |K0 > +|K̄ 0 > =
2 1 + |ϵ|2
1 1 [ ]
= √ √ (1 + ϵ)|K0 > −(1 − ϵ)|K̄ 0 > (2.311)
2 1 + |ϵ|2

e analogamente
1 [ ]
|− > ≡ |KS >= √ |K10 > + ϵ |K20 > =
1 + |ϵ|2
1 1 [( ) ( )]
= √ √ |K0 > +|K̄ 0 > + ϵ |K0 > −|K̄ 0 > =
2 1 + |ϵ|2
1 1 [ ]
= √ √ (1 + ϵ)|K0 > +(1 − ϵ)|K̄ 0 > (2.312)
2 1 + |ϵ|2

per cui abbiamo che



1 + |ϵ|2
|K0 > = √ (|KS > + |KL >) (2.313)
2(1 + ϵ)

1 + |ϵ|2
|K̄ 0 > = √ (|KS > − |KL >) (2.314)
2(1 + ϵ)

Evidentemente, allora

1 + |ϵ|2
|K0 , t > = √ (|KL , t > + |KS , t >) (2.315)
2(1 + ϵ)

67
Ma gli stati |KL > e |KS > sono, per definizione, autostati dell’hamiltoniana
per gli autovalori λ± di cui alla (2.288), quindi

|KL , t > = e−i[M − 2 Γ+ 2 (∆M + 2 ∆Γ)]t |KL >= e−i[M + 2 ∆M )]t e−[Γ− 2 ∆Γ)]t/2 |KL >≡
i 1 i 1 1

≡ a(t) |KL > (2.316)

|KS , t > = e−i[M − 2 Γ− 2 (∆M + 2 ∆Γ)]t |KS >= e−i[M − 2 ∆M )]t e−[Γ+ 2 ∆Γ)]t/2 |KS >≡
i 1 i 1 1

≡ b(t) |KS > (2.317)

dove abbiamo posto, per comodità

a(t) = e−i[M + 2 ∆M )]t e−[Γ− 2 ∆Γ)]t/2


1 1
(2.318)
−i[M − 21 ∆M )]t −[Γ+ 12 ∆Γ)]t/2
b(t) = e e (2.319)

Ne segue allora che la probabilità cercata vale

1 + |ϵ|2 2

| < K̄ 0 |K0 , t > |2 = a(t) < K̄ 0 |KL > + b(t) < K̄ 0 |KS > =
2|1 + ϵ|2
1 + |ϵ|2 {
= |a(t)|2 | < K̄ 0 |KL > |2 + |b(t)|2 | < K̄ 0 |KS > |2 +
2|1 + ϵ|2
( )}
+ 2ℜe a(t)b(t)∗ < K̄ 0 |KL >< K̄ 0 |KS >∗ (2.320)

ovvero, usando il fatto che risulta

| < K̄ 0 |KS > |2 = | < K̄ 0 |KL > |2 = − < K̄ 0 |KS >< K̄ 0 |KL >∗ =

1 − ϵ 2

= (2.321)
2(1 + |ϵ| )
2

e che, posto ΓL = Γ − ∆Γ/2 e ΓS = Γ + ∆Γ/2, risulta

|a(t)|2 = e−t ΓL ; |b(t)|2 = e−t ΓS ; a(t)b(t)∗ = e−t (ΓS +ΓL )/2 e−i∆M t (2.322)

per cui abbiamo infine che



1 − ϵ 2 [ ]

| < K̄ |K0 , t > |
0 2
= e−t ΓS + e−t ΓL − 2 e−t (ΓS +ΓL )/2 cos(∆M t) =
2(1 + ϵ)
ρ2 [ −t ΓS ]
= e + e−t ΓL − 2 e−t (ΓS +ΓL )/2 cos(∆M t) (2.323)
4

68
Se adesso ripetiamo il calcolo per il caso inverso, otteniamo invece
1 [ −t ΓS −t ΓL −t (ΓS +ΓL )/2
]
| < K 0 |K̄ 0 , t > |2 = e + e − 2 e cos(∆M t) (2.324)
4ρ2
la quale mostra che le due probabilità di oscillazione non coincidono quando
ρ ̸= 1, ovvero se CP è violata !

Per concludere l’argomento, nel 2002 è stato infine dimostrato76 sperimental-


mente che, oltre al meccanismo indiretto descritto sopra, nel decadimento dei K
neutri in due pioni, è presente anche un contributo di violazione diretta legata
all’interazione debole, come previsto dal M S attraverso la fase complessa nella
matrice di mixing dei quarks.

76
NA48 Collaboration: A precision measurement of direct CP violation in the decay of neutral
kaons into two pions, Phys. Lett. 544B, 97, (2002)

69
2.3 La seconda quantizzazione
Affrontiamo adesso il problema della quantizzazione dei campi.

2.3.1 Il campo scalare libero


L’evoluzione libera del campo77 scalare78 carico di massa m, come sappiamo, è
retta dalla lagrangiana

L = (∂µ ϕ)(∂ µ ϕ† ) − m2 ϕ ϕ† (2.329)

da cui ricaviamo appunto l’equazione di Klein-Gordon sia per ϕ che per ϕ† (con-
siderati indipendenti)

2ϕ + m2 ϕ = 0; 2ϕ† + m2 ϕ† = 0; (2.330)

Per effettuarne la quantizzazione, il campo scalare (complesso) ϕ(x) viene


espanso in termini di operatori di creazione/distruzione di singola particella79 nel
modo seguente:

d3 p
ϕ(x) = {a(⃗p) e−ipx + b† (⃗p) eipx } (2.333)
2Ep (2π)3
77
Ricordiamo di nuovo che in Teoria Quantistica dei Campi (QF T ), i campi non sono più
delle funzioni, bensı̀ sono operatori che agiscono nello spazio di Hilbert degli stati del sistema.
78
Per un campo scalare, la legge di trasformazione sotto il gruppo di Poincaré è la seguente

(a, Λ) : x → x′ = a + Λx (2.325)
′ ′
ϕ(x) → ϕ (x ) = ϕ(x) (2.326)

e l’azione sul campo scalare ϕ degli operatori U (a, Λ) della rappresentazione unitaria del gruppo
di Poincaré definita sullo spazio di Hilbert degli stati del sistema è, per definizione, la seguente

U −1 (a, Λ) ϕ(x) U (a, Λ) = ϕ′ (x) ≡ ϕ(Λ−1 (x − a)) (2.327)

dove la seconda uguaglianza discende dalla (2.326).


Equivalentemente risulta

U (a, Λ) ϕ(x) U −1 (a, Λ) = ϕ(Λx + a) (2.328)

Si noti che, mentre la (2.328) descrive l’effetto della trasformazione quando la si pensi effettuata
sul sistema di riferimento (trasformazione passiva), la (2.326), equivalente alla (2.327), descrive
la corrispondente trasformazione sul campo (trasformazione attiva).
79
Coerentemente con la (2.327) e la (2.328), l’azione degli operatori unitari U (a, Λ) sugli
operatori di creazione e distruzione a(⃗ p), a† (⃗ p) e b† (⃗
p), b(⃗ p) è la seguente:

U −1 (a, Λ) c(⃗ ⃗ p);


p) U (a, Λ) = eia·p c(Λ−1 p) U −1 (a, Λ) = e−ia·Λp c(Λp)
U (a, Λ) c(⃗ ⃗ (2.331)
U −1 (a, Λ) c† (⃗
p) U (a, Λ) = e−ia·p c† (Λ−1
⃗ p); U (a, Λ) c† (⃗
p) U −1 (a, Λ) = eia·Λp c† (Λp)
⃗ (2.332)

dove c sta per a oppure b e analogamente


√ c† per a† o b† , mentre Λp ⃗ indica concisamente la
parte spaziale del quadrivettore Λ( m2 + |⃗
p|2 , p⃗), essendo m la massa del campo.

70
da cui

† d3 p
ϕ (x) = {b(⃗p) e−ipx + a† (⃗p) eipx } (2.334)
2Ep (2π)3
dove

• p è il quadrimpulso della particella/antiparticella: p ≡ (Ep , p⃗) ≡ ( m2 + |⃗p|2 , p⃗);

• a(⃗p) annichila la particella di quadrimpulso (Ep , p⃗);


• a† (⃗p) crea la particella di quadrimpulso (Ep , p⃗);
• b(⃗p) annichila l’antiparticella di quadrimpulso (Ep , p⃗);
• b† (⃗p) crea l’antiparticella di quadrimpulso (Ep , p⃗);
ed questi operatori80 soddisfano le seguenti regole di commutazione che, come
vedremo, garantiscono il rispetto delle regole di commutazione canoniche quando
si considerino i campi stessi, appunto, come variabili lagrangiane generalizzate
(tutte le altre coppie di operatori commutano fra loro ...)

[a(⃗p), a† (p⃗′ )] = [b(⃗p), a† (p⃗′ )] = 2 Ep (2π 3 ) δ 3 (⃗p − p⃗′ ) (2.335)

Naturalmente, essendo gli operatori ϕ e ϕ† soluzioni di una equazione differen-


ziale lineare e omogenea (l’equazione di Klein-Gordon), essi sono evidentemente
indeterminati a meno di una costante moltiplicativa.
La scelta fatta attraverso lo (2.335) è quella per cui la funzione d’onda ψq⃗(x)
associata
√ allo stato81 |⃗q >≡ a† (⃗q)|Ω >, autostato del quadrimpulso per l’autovalore
( m2 + |⃗q|2 , ⃗q), è semplicemente un’onda piana, i.e.

ψq⃗(⃗x, t) = e−iqx ≡ e−i(Et−⃗q·⃗x) = e−iEt ei⃗q·⃗x (2.336)

A priori, per il solo fatto che, per definizione dell’operatore di creazione, a† (⃗q)|Ω >
è autostato del quadrimpulso, ne segue solo che la funzione d’onda ψq⃗(x) sarà tale
che ψ⃗q(x) = Kq⃗ e−iqx .
La costante K è definita proprio dal fatto che

< p⃗|⃗q > = < Ω|a(⃗p) a† (⃗q)|Ω >=< Ω|[a(⃗p), a† (⃗q)]|Ω >= 2Ep (2π)3 δ 3 (⃗p − ⃗q)

la quale implica dunque che sia

< ψp⃗ |ψq⃗ >= 2Ep (2π)3 δ 3 (⃗p − ⃗q) (2.337)


80
Si noti che gli operatori di creazione/annichilazione
√ si riferiscono sempre a particelle o
antiparticelle aventi energia Ep = m2 + |⃗ p|2 positiva !
81
Indicheremo qui e nel seguito con |Ω > lo stato di vuoto, i.e. lo stato di minima ener-
gia del sistema considerato: assumeremo inoltre che esso sia non degenere e invariante per
trasformazioni del gruppo di Poincaré, nonché sotto C, P , e T .

71
D’altronde, ricordiamo82 che se ψ1 (x) e ψ2 (x) sono due funzioni d’onda soluzioni
82
La funzione d’onda ψ̂(⃗ p) che in rappresentazione dell’impulso è associata ad un generico
stato di singola particella |ψ > (per l’antiparticella vale un discorso del tutto analogo con a ↔ b,
ovvero ϕ ↔ ϕ† ), per definizione, è tale che
∫ ∫
d3 p d3 p
|ψ >≡ ψ̂(⃗
p) |⃗
p >= p) a† (⃗
ψ̂(⃗ p)|Ω > (2.338)
2Ep (2π)3 2Ep (2π)3

da cui discende, evidentemente, che il prodotto scalare dei due stati generici |ψ1 > e |ψ2 > è
dato da (si ricordi che< ⃗q|⃗ p − ⃗q))
p >= (2π)3 2Eq δ 3 (⃗
∫ ∫
d3 p d3 p
< ψ1 |ψ2 >= d3 q 2Eq (2π)3 ψ̂1∗ (⃗q) ψ̂2 (⃗
p) < ⃗q|⃗
p >= ψ̂ ∗ (⃗
p) ψ̂2 (⃗
p) (2.339)
2Ep (2π)3 2Ep (2π)3 1

Poiché per quanto visto precedentemente la funzione d’onda che descrive, in rappresentazione
p >≡ a† (⃗
delle coordinate, lo stato |⃗ p)|Ω > è semplicemente l’esponenziale e−ipx , ecco che allo
stato |ψ > possiamo associare, in rappresentazione delle coordinate, la funzione d’onda

d3 p
ψ(x) = p) e−ipx
ψ̂(⃗ (2.340)
2Ep (2π)3

la quale soddisfa, ovviamente, l’equazione di Klein-Gordon relativa alla massa m.


E’ immediato allora che risulta

ψ(x) =< Ω|ϕ(x)|ψ > (2.341)

infatti

d3 p d3 q
< Ω|ϕ(x)|ψ > = p) e−ipx b† (⃗
< Ω|{a(⃗ p) eipx }a† (⃗q)|Ω > ψ̂(⃗q) =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3

d3 p
= e−ipx ψ̂(⃗
p) (2.342)
2E(2π)3

Questo è coerente con il fatto che lo stato ϕ† (x)|Ω > di cui < Ω|ϕ(x) è il bra, è uno stato di
singola particella autostato della posizione per l’autovalore x, infatti risulta evidentemente che

d3 p
ϕ† (x)|Ω >= eipx |⃗
p >≡ |x > (2.343)
2E(2π)3

ma in rappresentazione dell’impulso l’operatore di quadriposizione X µ è rappresentato da


X µ = −i ∂p∂µ , cosı̀ come in rappresentazione delle coordinate l’operatore di quadriimpulso è
rappresentato da P µ = i ∂x∂ µ , per cui è immediato che

† ∂ d3 p
X ϕ (x)|Ω >= −i
µ
p >= xµ ϕ† (x)|Ω >
eipx |⃗ (2.344)
∂pµ 2E(2π)3

Quanto infine alla normalizzazione di questi autostati della posizione, abbiamo



d3 p
< y|x >=< Ω|ϕ(y)ϕd ag(x)|Ω >= eip(y−x) ≡ ∆+ (y − x) (2.345)
2E(2π)3

dove la funzione impropria ∆+ (x) verrà descritta più diffusamente in seguito.

72
dell’equazione di Klein-Gordon, allora il loro prodotto scalare83 è il seguente
∫ [ ]
< ψ1 |ψ2 >= i d3 x ψ1∗ (∂ 0 ψ2 ) − (∂ 0 ψ1∗ )ψ2 (2.351)

dove le due funzioni sono valutate allo stesso tempo t.


83
L’espressione (2.351) non è, a stretto rigore, un prodotto scalare nel senso solito di questo
termine in Meccanica Quantistica perché su due generiche soluzioni dell’equazione di Klein-
Gordon non è, in generale, definito positivo. La struttura di questo prodotto nasce dal fatto
che se ψ1 (x) e ψ2 (x) sono soluzioni dell’equazione di Klein-Gordon, allora l’unica corrente
conservata antilineare in ψ1 e lineare in ψ2 (ovvero sequilineare in ψ1 , ψ2 ...) risulta essere
proporzionale a

J µ (x) = i [ψ1∗ (x)(∂ µ ψ2 (x)) − (∂ µ ψ1 (x))∗ ψ2 (x)] (2.346)

da cui ne segue che


∫ ∫
[ ]
d3 x J 0 (t, ⃗x) = i d3 x ψ1∗ (∂ 0 ψ2 ) − (∂ 0 ψ1∗ )ψ2 (2.347)

è certamente indipendente dal tempo e dunque rappresenta l’unica generalizzazione possibile


(a meno di costanti moltiplicative) del prodotto scalare che non sia in conflitto con la dinamica.
Ricordiamo di nuovo che la struttura (2.346) della corrente J µ (x) origina ancora una volta
dal teorema di Noëther: se ψ1∗ e ψ2 soddisfano entrambe l’equazione di Klein-Gordon, allora le
loro equazioni del moto possono essere ottenute dalla densità lagrangiana (anche se sui generis
perché non reale ...)

L(x) = (∂ µ ψ1∗ ) (∂µ ψ2 ) − m2 ψ1∗ ψ2 (2.348)

la quale è invariante in forma per trasformazioni di gauge di prima specie, cioè sotto il gruppo
U )1), da cui segue, via teorema di Noëther, la conservazione, appunto, della corrente
[ ]
∂L ∗ ∂L
µ
J (x) = i ψ − ψ2 (2.349)
∂(∂µ ψ1∗ ) 1 ∂(∂µ ψ2 )

Venendo, comunque, al caso di due generici stati di singola particella o di singola antiparticella,
il prodotto scalare in questione è definito positivo, e, in accordo con la (2.339), risulta pari a

[ ]
< ψ1 |ψ2 >= i d3 x ψ1∗ (⃗x, t)(∂ 0 ψ2 (⃗x, t)) − (∂ 0 ψ1∗ (⃗x, t))ψ2 (⃗x, t) =
∫ [ ( ) ( ) ]
d3 p d3 q ∗ −iqx ∗ −iqx
= i d3 x ψ̂ 1 (⃗
p )e ipx
∂ 0
ψ̂ 2 (⃗
q )e − ∂ 0
ψ̂ 1 (⃗
p )e ipx
ψ̂ 2 (⃗q )e =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
∫ [ ]
d3 p d3 q 0 ∗ −iqx 0 ∗ −iqx
= d3 x q ψ̂ 1 (⃗
p)e ipx
ψ̂2 (⃗q )e + p ψ̂ 1 (⃗p )e ipx
ψ̂ 2 (⃗
q )e =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
∫ [ ]
d3 p d3 q
= d3 xe−i⃗x·(⃗p−⃗q) e −it(q 0 −p0 )
q 0 ∗
ψ̂ 1 (⃗
p ) ψ̂ 2 (⃗
q ) + p 0 ∗
ψ̂ 1 (⃗p) ψ̂ 2 (⃗q ) =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
∫ [ ]
d3 p d3 q −it(q 0 −p0 ) 0 ∗ 0 ∗
= p − ⃗q)
(2π)3 δ 3 (⃗ e q ψ̂ 1 (⃗p) ψ̂ 2 (⃗q ) + p ψ̂ 1 (⃗
p ) ψ̂ 2 (⃗
q ) =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3

d3 p
= ψ̂ ∗ (⃗
p) ψ̂2 (⃗
p) (2.350)
2Ep (2π)3 1

73
Nel caso in esame, abbiamo dunque
∫ [ ]
< ψp⃗ |ψq⃗ > = i Kp⃗∗ K q⃗ d3 x eipx (−iq 0 ) e−iqx − ip0 eipx e−iqx =

Kp⃗∗ K q⃗ d3 x(q 0 + p0 )eix(p−q) = Kp⃗∗ K q⃗(q 0 + p0 ) eit(p
0 −q 0 )
= (2π)3 δ 3 (⃗p − ⃗q) =
= |Kp⃗ |2 2Ep (2π)3 δ 3 (⃗p − ⃗q)

ed il confronto con la (2.337) impone appunto che, indipendentemente da p⃗ , sia


|K|2 = 1, ovvero84 K = 1.

Vogliamo notare infine che, siccome la densità di corrente85 di probabilità


associata alla generica funzione d’onda ψ che soddisfa l’equazione di Klein-Gordon
è data da

j µ (x) = i [ψ ∗ (∂ µ ψ) − (∂ µ ψ ∗ )ψ] (2.353)

la funzione d’onda ψp⃗ (x) = e−ipx rappresenta uno stato con densità di particelle
pari a
[ ]
ρ(x) = J 0 (x) = i ψ ∗ (∂ 0 ψ) − (∂ 0 ψ ∗ )ψ = 2E (2.354)

Concludendo, dunque, possiamo dire che la normalizzazione scelta è tale per


cui gli stati di particella singola a+ (⃗q)|Ω > descrivono stati con 2E particelle per
unità di volume. Questo risultato, come vedremo, ci ritornerà utile in seguito,
quando tratteremo il problema dello spazio delle fasi, nell’ambito della teoria
dello scattering.

Veniamo infine alla questione dei commutatori dei campi.


Sulla base dell’analogia classica secondo cui, fissato comunque un tempo t, il
campo ϕ(⃗x; t) costituisce una generalizzazione del concetto di coordinata la-
grangiana, ci aspettiamo che risulti
[ ]
[ϕ(⃗x; t), ϕ(⃗y ; t)] = 0 ⇒ ϕ† (⃗x; t), ϕ† (⃗y ; t) = 0 (2.355)
[ ]
Ma che dire del commutatore ϕ(⃗x; t), ϕ† (⃗y ; t) ?
84
Si noti che |K|2 = 1 impone solo che K abbia modulo unitario e dunque sia una fase che
può essere semplicemente riassorbita nella definizione della base.
85
Come abbiamo visto in precedenza, parlando del teorema di Noëther, se la lagrangiana è
invariante in forma sotto il gruppo U (1) delle trasformazioni di gauge di prima specie x → x,
ψ → eiα ψ, ψ † → e−iα ψ † allora la corrente conservata che ne deriva è la seguente (cfr. (2.11))
[ ]
∂L ∂L ∗
J µ (x) = i − ψ+ ψ (2.352)
∂(∂µ ψ) ∂(∂µ ψ ∗ )

74
Questo non può essere altrettanto semplice, infatti, proprio per l’analogia
classica secondo cui il momento coniugato alla variabile lagrangiana q è
∂L
p≡
∂ q̇
ne segue che il ”momento coniugato” al campo ϕ(⃗x, t) sarà il campo
∂L
π(⃗x, t) = = ∂t ϕ† (⃗x, t) (2.356)
∂(∂t ϕ)
e, analogamente, quello coniugato al campo ϕ† (⃗x, t) risulta essere
∂L
π † (⃗x, t) = = ∂t ϕ(⃗x, t) (2.357)
∂(∂t ϕ† )
Quindi, proprio per l’analogia con la Meccanica Quantistica di prima quantiz-
zazione, per cui (h̄ = 1) risulta
[p, x] = −i (2.358)
dobbiamo adesso aspettarci86 che valga la ovvia generalizzazione al caso continuo
della (2.358), i.e.
[π(⃗y , t), ϕ(⃗x, t)] = −i δ 3 (⃗y − ⃗x)
[ ]
⇒ ϕ(⃗x, t), ∂t ϕ† (⃗y , t) = i δ 3 (⃗x − ⃗y ) (2.359)
e, analogamente, quindi, che sia
[ ]
ϕ† (⃗x, t), ∂t ϕ(⃗y , t) = i δ 3 (⃗x − ⃗y ) (2.360)
Questo è, in effetti, esattamente quanto accade usando le regole di commu-
tazione (2.335) fissate per gli operatori di creazione e distruzione. Infatti si ha
[ ]
ϕ(⃗x, t), ∂t ϕ† (⃗y , t) =
[∫ ∫ ]
d3 p −ipx † d3 q
= 3
{a(⃗p)e + b (⃗p)e } , ∂t
ipx
3
{b(⃗q)e−iqy + a† (⃗q)eiqy } =
2Ep (2π) 2Eq (2π) t=x0 =y 0
∫ { [ ] [ ] }
d3 p d3 q † −ipx iqy † ipx −iqy
= iq 0
a(⃗
p), a (⃗
q ) e e − iq 0
b (⃗
p), b(⃗ q ) e e =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3 t=x0 =y 0
∫ { [ ]}
d3 p d3 q p·⃗
x−⃗
q ·⃗ −i(⃗p·⃗
x−⃗q ·⃗
= iE q 2E q (2π) 3 3
δ (⃗p − ⃗
q ) ei(⃗ y)
+ e y)
2Ep 2Eq (2π)6
dove si è usata la definizione (2.335) unitamente al fatto che
86
E’ importante notare che, in base all’analogia con la M Q di prima quantizzazione, le regole
di commutazione possono essere definite solo a tempi uguali. Una volta che queste siano state
assegnate (proprietà cinematica), le regole di commutazione a tempi diversi sono determinate
dall’evoluzione del sistema nel tempo, cioè dalla sua dinamica, ovvero dalle soluzioni esplicite
dell’equazione del moto.

75
• abbiamo posto per definizione px ≡ p0 x0 − p⃗ · ⃗x
• risulta x0 = y 0 = t,
• ed è q 0 ≡ Eq
per cui, visto che per la presenza nell’integrale della funzione delta proveniente
dal commutatore, è Ep = Eq , si può evidentemente assumere che
p0 x0 − q 0 y 0 = t(p0 − q 0 ) = 0
Ne segue quindi che il commutatore in studio, integrando la delta, vale
[ ] ∫ { }
† d3 p p·(⃗
i⃗ x−⃗
y) −i⃗
p·(⃗
x−⃗
y)
ϕ(⃗x, t), ∂t ϕ (⃗y , t) = iE p e + e (2.361)
2Ep (2π)3
Ma ∫ ∫
p·(⃗
x−⃗
dp e3 i⃗ y)
= (2π) δ(⃗x − ⃗y ) =
3
d3 p e−i⃗p·(⃗x−⃗y)
quindi esso, alla fine, risulta pari a
[ ]
ϕ(⃗x, t), ∂t ϕ† (⃗y , t) = i δ 3 (⃗x − ⃗y ) (2.362)
che è quanto ci attendevamo in base all’analogia con la prima quantizzazione.
Lo stesso accade, ovviamente, anche per il commutatore [ϕ† , ∂t ϕ] per il quale
risulta ancora
[ ]
ϕ† (⃗x, t), ∂t ϕ(⃗y , t) = i δ 3 (⃗x − ⃗y ) (2.363)
Questo dimostra quindi che le regole di commutazione fissate per gli operatori di
creazione e distruzione (2.335) sono esattamente quelle in grado di riprodurre le
regole di commutazione che debbono valere, a tempi uguali, fra i campi ed i loro
momenti coniugati.
Ovviamente, poi le regole di commutazione (2.335) consentono di determinare le
regole di commutazione fra i campi stessi ed in generale87 risulta
[ ]
ϕ(x), ϕ† (y) =
[∫ ]
d3 p { } ∫ d3 q { }
−ipx † ipx −iqy † iqy
= a(⃗p)e + b (⃗
p)e , b(⃗
q )e + a (⃗
q )e =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
∫ {[ ] [ ] }
d3 p d3 q † −ipx iqy † ipx −iqy
= a(⃗
p ), a (⃗
q ) e e + b (⃗
p), b(⃗q ) e e =
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
∫ { }
d3 p d3 q −ipx iqy ipx −iqy
= 2E p (2π) 3 3
δ (⃗
p − ⃗
q )e e − 2E p (2π) 3 3
δ (⃗
p − ⃗
q )e e
2Ep (2π)3 2Eq (2π)3
87
Evidentemente dalle regole di commutazione (2.335) segue immediatamente che
[ϕ(x), ϕ(y)] = [ϕ† (x), ϕ† (y)] = 0

76

Integrando in d3 p, dato che quando p⃗ = ⃗q anche p0 = q 0 = Ep = Eq ≡ m2 + |⃗q|2 ,
abbiamo
[ ] ∫ [ ]
d3 q
ϕ(x), ϕ† (y) = e −iq(x−y)
− e iq(x−y)
≡ ∆+ (x − y) + ∆− (x − y) (2.364)
2Eq (2π)3

dove le funzioni improprie ∆+ e ∆− sono cosı̀ definite88



d3 q
∆ (x − y) ≡
+
e−iq(x−y) (2.367)
2Eq (2π)3

d3 q
∆− (x − y) ≡ − eiq(x−y) (2.368)
2Eq (2π)3

L’integrale (2.364), usando il fatto che

d3 q
= d4 q δ(q 2 − m2 ) Θ(q 0 ) (2.369)
2Eq

può essere anche riscritto nel modo seguente


[ ] ∫
† 1
ϕ(x), ϕ (y) = d4 q δ(q 2 − m2 ) Θ(q 0 ) e−iq(x−y) −
(2π)3
1 ∫ 4
− 3
d q δ(q 2 − m2 ) Θ(q 0 ) eiq(x−y) (2.370)
(2π)

ovvero, con la sostituzione q → −q nel secondo integrale, finalmente otteniamo


[ ] 1 ∫ 4 [ ]
ϕ(x), ϕ† (y) = d q δ(q 2
− m 2
) e−iq(x−y)
Θ(q 0
) − Θ(−q 0
) =
(2π)3
≡ i ∆(x − y; m) (2.371)

dove si è fatto uso della definizione della funzione impropria


i ∫ 4 −iq(x−y)
[ ]
∆(x − y; m) ≡ − d q δ(q 2
− m 2
) e Θ(q 0
) − Θ(−q 0
) (2.372)
(2π)3

88
Le notazioni sono quelle usate anche nel libro Relativistic Quantum Fields di J.D. Bjorkeen
e S.D. Drell. Si osservi che dalle definizioni (2.367) e (2.368) segue, in particolare, che

∆± (x) = −∆∓ (−x) (2.365)


[ ± ]∗
∆ (x) = −∆∓ (x) (2.366)

77
La funzione ∆, definita dalla (2.372)

• soddisfa l’equazione di Klein-Gordon89


( )
2 + m2 ∆(x; m) = 0 (2.373)

• è tale per cui90

∂t ∆(⃗x, t; m)|t=0 = −δ(⃗x) (2.375)

• è reale91

• è dispari92

• è manifestamente scalare93 sotto il gruppo di Lorentz.


89
Infatti abbiamo
( ) ( )
2 + m2 ∆(x; m) = −i 2 + m2 [ϕ(x), ϕ† (0)] = 0
( )
essendo 2 + m2 ϕ(x) = 0.
90
Infatti risulta
[ ] [ ]
∂t ∆(⃗x, t; m)|t=0 = −i∂t ϕ(x), ϕ† (0) t=0 = −i ∂t ϕ(x)|t=0 , ϕ† (0) =
[ ]
= −i Π† (⃗x, 0), ϕ† (⃗0, 0) = −i [−iδ(⃗x)] = −δ(⃗x) (2.374)

dove abbiamo usato il fatto che


∂L
Π† (x) ≡ = ϕ̇(x)
∂ ϕ̇†
e che, a tempi uguali, risulta appunto, come abbiamo visto, che

[Π(⃗x, t), ϕ(⃗y , t)] = −iδ(⃗x − ⃗y )

91
Infatti, essendo i∆(x) ≡ ∆+ (x) + ∆− (x) abbiamo che
∗ ( )∗ ( )∗
[i∆(x)] = −i∆∗ (x) = ∆+ (x) + ∆− (x) = −∆− (x) − ∆+ (x) = −i∆(x) ⇒ ∆∗ (x) = ∆(x)

92
Infatti

i∆(−x) = ∆+ (−x) + ∆− (−x) = −∆− (x) − ∆+ (x) = −i∆(x) ⇒ ∆(−x) = −∆(x)

93
La struttura della funzione, cosı̀ come risulta dalla (2.372), non lascia dubbi in proposito:
l’elemento di volume è invariante e la funzione integranda è scalare perché le funzioni Θ(±q 0 )
sono entrambe costanti su ciascuno dei due iperboloidi definiti dalla condizione di massa espressa
dalla equazione p2 −m2 = 0, in quanto il segno della componente temporale di un quadrivettore
time-like, come sappiamo, è invariante sotto trasformazioni del gruppo di Lorentz ortocrono
proprio.

78
Si noti che dalla sua natura dispari e dal fatto che è scalare sotto il gruppo
di Lorentz, ne segue che la funzione ∆ è nulla se x è un quadrivettore space-
like, potendo x essere cambiato di segno con una opportuna trasformazione
di Lorentz. Questo implica che il commutatore [ϕ(x), ϕ† (y)] è nullo quando il
quadrivettore x − y è space-like, ovvero quando non è possibile connettere x con
y in modo causale e quindi, in particolare, per esempio, quando x0 = y 0 , i.e.
∆(⃗x, 0; m) = 0 .
Questo risultato era comunque da attenderselo perché, se vogliamo coerenza con
la relatività ristretta, variabili non causalmente correlabili non possono influen-
zarsi a vicenda e dunque non possono che commutare fra loro !
La funzione ∆(x) ≡ ∆(x; m), o funzioni ad essa collegate, si ritrovano in ogni
teoria di campo perché, alla fine, ognuna di queste teorie tratta di particelle con
massa definita e dunque che soddisfano anche l’equazione doi Klein-Gordon con
massa opportuna.
Vediamo dunque di studiarne meglio le proprietà e le caratteristiche.
Osserviamo che, evidentemente, essendo il commutatore (2.371) un c-numero
(una funzione a valori complessi ...), risulta
[ ]
< Ω| ϕ(x), ϕ† (y) |Ω >= i ∆(x − y) = ∆+ (x − y) + ∆− (x − y) (2.376)

Vediamo adesso un po’ meglio qual è il significato fisico dei due termini ∆+ e ∆− .
Consideriamo per questo le quantità seguenti

< Ω|ϕ(x), ϕ† (y)|Ω > e < Ω|ϕ(y)† , ϕ(x)|Ω > (2.377)

Si ha che94
∫ ∫
d3 p d3 p
ϕ† (y)|Ω >= a †
(⃗
p)|Ω > e ipy
≡ eipy |p > (2.378)
(2π)3 2Ep (2π)3 2Ep
dove |p > è lo stato di singola particella di quadriimpulso p.
Evidentemente, passando al bra, si ha altresı̀ che

d3 q
< Ω|ϕ(x) = e−iqx < q| (2.379)
(2π)3 2Eq
per cui abbiamo

d3 p d3 q
< Ω|ϕ(x)ϕ† (y)|Ω >= eipy e−iqx < q|p >=
(2π)3 2Ep (2π)3 2Eq

d3 p d3 q
= 3 3
eipy e−iqx (2π)3 2Eq δ(⃗q − p⃗) =
(2π) 2Ep (2π) 2Eq

d3 p
= e−ip(x−y) ≡ ∆+ (x − y) (2.380)
(2π)3 2Ep
94
autovalore della posizione ....

79
Per quanto riguarda l’altro termine, cioè < Ω|ϕ(y)† , ϕ(x)|Ω >, ripartiamo dal
fatto che
∫ ∫
d3 p † d3 p
ϕ(x)|Ω >= b (⃗
p)|Ω > eipx
≡ eipx |p > (2.381)
(2π)3 2Ep (2π)3 2Ep

dove però, stavolta, |p > è lo stato di singola antiparticella di quadriimpulso p.


Ripetendo il conto fatto sopra, abbiamo che

d3 p d3 q
< Ω|ϕd ag(y)ϕ(x)|Ω >= eipx e−iqy < q|p >=
(2π)3 2Ep (2π)3 2Eq

d3 p
= eip(x−y) ≡ −∆− (x − y) (2.382)
(2π)3 2Ep

Ecco dunque il senso delle funzioni improprie ∆± : sono i valori di aspettazione sul
vuoto delle forme bilineari nei campi ϕ(x)ϕ† (y) e ϕd ag(y)ϕ(x), rispettivamente.
Un altro modo interessante di rappresentare sia la ∆ che le funzioni ∆± passa
attraverso la definizione seguente

1 ∫ 4 eiqx
ˆ
∆(x) ≡ d q (2.383)
(2π)4 C q 2 − m2

dove Eq è definita, al solito, come Eq ≡ |⃗q|2 + m2 mentre C è un cammino di
integrazione che è chiuso nel piano complesso q0 , contiene entrambi i poli della
funzione integranda q0 = ±Eq ed è percorso in senso antiorario (vedi Fig. 5).

ˆ
Figure 5: Cammino di integrazione relativo alla funzione ∆

80
Abbiamo dunque

ˆ 1 ∫ 4 eiqx 1 ∫ 3 −i⃗q·⃗x ∫ 0 eiq0 t


∆(x) = d q = d qe dq =
(2π)4 C q 2 − m2 (2π)4 C q02 − Eq2
[ ]
1 ∫ 3 −i⃗q·⃗x eiEq t e−iEq t
= d qe (2π i) + =
(2π)4 2Eq −2Eq
i ∫ d3 q ( iqx −iqx
)
= e − e = −i∆+ (x) − i∆− (x) =
(2π)3 2Eq
= −i(∆+ (x) + ∆− (x)) = ∆(x) (2.384)

dove nel secondo addendo dell’integrale presente nel penultimo rigo abbiamo ef-
fettuato la sostituzione ⃗q → −⃗q.
ˆ
Dunque la funzione ∆(x) definita dalla (2.383 ) è semplicemente un altro modo
di rappresentare la funzione ∆ stessa. Questa rappresentazione, a sua volta, ci
consente di reinterpretare le funzioni ∆± , infatti abbiamo evidentemente che

1 ∫ 4 eiqx
ˆ
∆(x) ≡ dq 2 = −i(∆+ + ∆− ) ⇒
4
(2π) C q −m 2

− i ∫ 4 eiqx
⇒ ∆ + ∆ = i∆(x) =
+ ˆ d q =
(2π)4 C q 2 − m2
i ∫ 4 eiqx i ∫ 4 eiqx
= d q + d q (2.385)
(2π)4 C + q 2 − m2 (2π)4 C − q 2 − m2

dove i percorsi C ± sono i percorsi chiusi in senso antiorario intorno a ciascun polo
(vedi fig. 6)

Figure 6: Cammino di integrazione relativo alle funzione ∆±

81
E’ facile verificare95 che risulta allora
i ∫ eiqx
∆± (x) = d4
q (2.388)
(2π)4 C ∓ q 2 − m2

Come già detto varie volte, le funzioni improprie ∆± (x) e ∆(x) sono soluzioni
dell’equazione di Klein-Gordon per la massa m.
Veniamo ora a considerare un’altra funzione molto importante in teoria dei
campi, legata anch’essa in modo speciale alle funzioni ∆p m, che è la funzione di
Green G(x) ovvero il propagatore96 del campo stesso.
La definizione97 che adotteremo per la funzione impropria G(x) è la seguente
( )
2 + m2 G(x) = −δ 4 (x) (2.391)

Per esplicitare G(x) assumeremo che essa sia rappresentabile in integrale di


95
Infatti si ha
∫ ∫ ∫ 0
i eiqx i eiq t
d4 q = d3 qe−i⃗q·⃗x =
(2π)4 C− q − m2
2 (2π)4 C− (q − Eq )(q 0 + Eq )
0
∫ −iEq t ∫
i e 1
= d3 qe−i⃗q·⃗x (2πi) = d3 qe−i⃗q·⃗x e−iEq t =
(2π)4 −2Eq 2Eq (2π)3

d3 q
= e−iqx = ∆+ (x) (2.386)
2Eq (2π)3

dove abbiamo effettuato nel penultimo integrale la solita sostituzione ⃗q → −⃗q.


Analogamente risulta
∫ ∫ ∫ 0
i eiqx
4 i 3 −i⃗q ·⃗
x eiq t
d q 2 = d qe =
(2π)4
C+ q − m2 (2π)4 C − (q − Eq )(q + Eq )
0 0
∫ ∫
i 3 −i⃗ q ·⃗ eiEq t 1
= 4
d qe x
(2πi) = d3 qe−i⃗q·⃗x e−iEq t =
(2π) 2Eq 2Eq (2π)3

d3 q
= − eiqx = ∆− (x) (2.387)
2Eq (2π)3

96
Come e noto, il nome propagatore trae la sua origine dal fatto che, in presenza di un
termine di sorgente S(x) del campo, ovvero nel caso dell’equazione inomogenea
( )
2 + m2 ϕ(x) = S(x) (2.389)

la soluzione si può scrivere formalmente nel modo seguente



ϕ(x) = ϕ0 (x) − d4 y G(x − y)S(x) (2.390)

dove ϕ0 (x) è una qualunque soluzione dell’equazione omogenea.


97
In matematica la definizione usuale della funzione di Green differisce da qualla da noi
adottata per il segno. La ragione della scelta diversa sta semplicemente nella maggior praticità
d’uso nel caso dei campi, legata a sua volta alla scelta della metrica.

82
Fourier e dunque assumeremo di poter scrivere

G(x) = d4 p e−ipx Ĝ(p) (2.392)

Siccome
4 1 ∫ 4 −ipx
δ (x) = d pe (2.393)
(2π)4
la (2.391) implica che debba essere
1 1 1
(−p2 + m2 )Ĝ(p) = − ⇒ Ĝ(p) = (2.394)
(2π)4 (2π) p − m2
4 2

ovvero, quindi
1 ∫ 4 e−ipx
G(x) = dp 2 (2.395)
(2π)4 p − m2
E’ evidente, allora, dalla (2.395), la stretta similitudine con le funzioni ∆p m(x)
e ∆(x).
Ma come si spiega che le funzioni ∆± (x) e ∆(x) soddisfano l’equazione di Klein-
Gordon omogenea, mentre il propagatore G(x) verifica l’equazione disomogena
(2.391) ? Il punto è che la (2.395) non è sufficiente, da sola, per definire la
funzione G(x) a causa della presenza dei due zeri al denominatore della funzione
integranda, per p0 = ±Ep . Per definire G(x) occorre anche definire il percorso di
integrazione relativamente a p0 , ovvero decidere la prescrizione con cui trattare
i poli. La prescrizione che si usa quanto al propagatore è quella, cosiddetta, di
Feynman-Stueckelberg, per cui
1 1
Ĝ(p) → (2.396)
(2π) p − m2 + iϵ
4 2

dove ϵ verrà poi mandato a zero al momento opportuno e serve solo per definire
il modo, appunto, di operare intorno ai poli. Con questa prescrizione, il denomi-
natore della funzione integranda diviene infatti
( )2

p2 − m2 + iϵ = p20 − |⃗p|2 − m2 + iϵ = p20 − Ep2 + iϵ ≈ p20 − Ep − (2.397)
2Ep
ovvero si azzera non più sull’asse reale, bensı̀ nei punti del piano complesso tali
che
( )

p0 = ± Ep − ≡ (Ep − iϵ′ ) (2.398)
2Ep
Accade dunque che il polo con parte reale positiva Ep si abbassa sotto l’asse reale
della quantità ϵ′ = 2Eϵ p , mentre il polo in −Ep si alza sopra l’asse reale della stessa

83
Figure 7: Cammino di integrazione relativo al propagatore G = ∆F

quantità (vedi fig.7 a)). In questo modo, sull’asse reale q 0 non ci sono più poli e
l’integrazione da −∞ a +∞ può procedere senza necessità di altre precisazioni98 .
Abbiamo

1 ∫ 4 e−ipx ∫
d3 p i⃗p·⃗x ∫ +∞ 0 e−ip t
0

G(x) = dp 2 = e dp 2 =
(2π)4 p − m2 + iϵ (2π)4 −∞ p0 − Ep2 + iϵ
1 ∫ 3 i⃗p·⃗x ∫ +∞ 0 e−ip t
0

= d pe dp 0 (2.399)
(2π)4 −∞ [p − (Ep − iϵ′ ] [p0 + (Ep − iϵ′ )]

Si osservi adesso che la funzione integranda è olomorfa in tutto il piano complesso


p0 , a parte i due poli semplici in p0 = ±(Ep −iϵ′ , e l’integrale è sull’asse reale. Nel
caso in cui t > 0, la presenza dell’esponenziale e−ip t nella funzione integranda
0

consente di chiudere il cammino di integrazione all’infinito su una semicircon-


ferenza nel semipiano inferiore (ℑm(p0 ) < 0), senza che questo contributo alteri
il valore dell’integrale sull’asse reale in quanto l’integrale sulla semicirconferenza
sarà comunque nullo a causa dell’esponenziale reale negativo che si realizza su
questo cammino. D’altronde, proprio perché la funzione integranda è olomorfa in
tutto il piano complesso all’infuori dei due poli semplici ben noti, sappiamo che
98
Evidentemente lo stesso risultato si ottiene senza introdurre il termine immaginario pro-
porzionale ad ϵ, ma valutando l’integrale seguendo semplicemente la prescrizione illustrata nella
figura 7 b).

84
un qualunque suo integrale su un percorso chiuso avrà come risultato la somma
dei residui ai poli contenuti all’interno del cammino di integrazione.
Per t > 0, richiudendo verso il basso, il solo polo che viene compreso nel cammino
di integrazione è quello per p0 = (Ep − iϵ′ ), percorso in senso orario.
Dunque, per ϵ → 0, abbiamo
1 ∫ e−ipx
t>0: G(x) = − d4
p (2.400)
(2π)4 C + p 2 − m2
D’altronde
1 ∫ e−ipx 1 ∫ 3 i⃗p·⃗x ∫ e−ip0 t
− d 4
p = − d pe dp 0 =
(2π)4 C + p 2 − m2 (2π)4 C+ (p0 − Ep )(p0 + Ep )
1 ∫ 3 i⃗p·⃗x e−iEp t −i ∫ d3 p −ipx
− d pe (2πi) = e ≡ −i∆+ (x) (2.401)
(2π)4 2Ep (2π 3 ) 2Ep
Nel caso in cui t < 0, dovendo richiudere il cammino nel semipiano superiore, il
polo da considerare è quello per p0 = −(Ep − iϵ′ ) e dunque, siccome stavolta il
senso di circolazione è quello antiorario, risulta
1 ∫ 4 e−ipx
t>0: G(x) = d p (2.402)
(2π)4 C − p2 − m2
Ma
1 ∫ 4 e−ipx 1 ∫ 3 i⃗p·⃗x ∫ e−ip0 t
d p = d pe dp 0 =
(2π)4 C − p 2 − m2 (2π)4 C− (p0 − Ep )(p0 + Ep )
1 ∫ 3 i⃗p·⃗x eiEp t −i ∫ d3 p ipx
d pe (2πi) = e ≡ i∆− (x) (2.403)
(2π)4 −2Ep (2π 3 ) 2Ep
per cui, in conclusione, abbiamo

x0 > y 0 ⇔ t > 0 : G(x) = −i∆+ (x − y) (2.404)


x0 < y 0 ⇔ t < 0 : G(x) = i∆− (x − y) (2.405)

D’altronde, per loro stessa definizione, risulta

< Ω|ϕ(x)ϕ† (y)|Ω > = ∆+ (x − y) (2.406)


< Ω|ϕ† (y)ϕ(x)|Ω > = −∆− (x − y) (2.407)

e dunque, ponendo adesso

i∆F (x − y) ≡ iG(x − y) (2.408)

abbiamo che
( )
i∆F (x − y) =< Ω|T ϕ(x)ϕ† (y) |Ω > (2.409)

85
Dove il simbolo T indica99 indica il prodotto T -ordinato o di Dyson, per cui, dati
due campi A(x) e B(x), risulta

T (A(x) B(y)) = A(x)B(y) se x0 > y 0


T (A(x) B(y)) = B(y)A(x) se y 0 > x0

(il campo a sinistra ha il tempo maggiore), ovvero

T (A(x) B(y)) = A(x)B(y)Θ(x0 − y 0 ) + B(y)A(x)Θ(y 0 − x0 ) (2.410)

Prima di concludere questo argomento è senz’altro utile ritornare sulla assun-


zione (2.396) da cui segue appunto che

1 ∫ 4 e−ipx
i∆F (x) = d p (2.411)
(2π)4 p2 − m2 + iϵ

E’ del tutto evidente che, effettivamente, risulta

1 ∫ 4 (m2 − p2 )e−ipx
(2 + m2 )i∆F (x) = dp 2 = −iδ 4 (x) (2.412)
(2π)4 p − m + iϵ
2

ma è altresı̀ evidente che vale anche la relazione


1 ∫ 4 (m2 − p2 )eipx
(2 + m2 )i∆∗F (x) = dp 2 = −iδ 4 (x) (2.413)
(2π)4 p − m2 − iϵ

Qual è la differenza fra le due possibili scelte della funzione di Green e perché
sono due ?
Cominciamo con il dire che sono due perché l’equazione di Klein-Gordon è del
secondo ordine: la scelta fatta, come si è visto, ha condotto ad identificare la
funzione di Green con il valore di aspettazione sul vuoto del prodotto T -ordinato
dei campi ϕ e ϕ† nel senso dal passato verso il futuro. Se avessimo fatto l’altra
scelta saremmo giunti ad un’analoga conclusione ma con un ordinamento non
fisico dal futuro verso il passato.
Per finire, siccome evidentemente ∆F (x) − ∆∗F (x) dovrà soddisfare l’equazione di
Klein Gordon omogenea, possiamo chiederci quale sia il suo legame con le ∆± (x).
Iniziamo osservando che
( )∗
t>0: ∆F (x) = −i∆+ (x) ⇔ (∆F (x))∗ = i ∆+ (x) = −i∆− (2.414)
(x)
( )∗
t<0: ∆F (x) = i∆− (x) ⇔ (∆F (x))∗ = −i ∆− (x) = i∆+ (x)
(2.415)

e dunque, indipendentemente dal valore di t, risulta


( )
∆F (x) − ∆∗F (x) = −i ∆+ (x) − ∆− (x) (2.416)

86
Figure 8: Cammino di integrazione relativo alla funzione ∆F − ∆∗F

che corrisponde all’integrazione della funzione

i ∫ 4 eiqx
d q
(2π)4 q 2 − m2
sul cammino indicato in fig. 8.
Quanto, infine, all’azione delle simmetrie discrete C, P e T , si dimostra che
risulta (cfr. Appendice)

C a(⃗p) C −1 = e−iηc b(⃗p) ←→ C a† (⃗p) C −1 = eiηc b† (⃗p) (2.417)


C b(⃗p) C −1 = eiηc a(⃗p) ←→ C b† (⃗p) C −1 = e−iηc a† (⃗p) (2.418)
C ϕ(x) C −1 = e−iηc ϕ† (x) ←→ C ϕ† (x) C −1 = eiηc ϕ(x) (2.419)

P a(⃗p) P −1 = e−iηp a(−⃗p) ←→ P a† (⃗p) P −1 = eiηp a† (−⃗p) (2.420)


P b(⃗p) P −1 = eiηp b(−⃗p) ←→ P b† (⃗p) P −1 = e−iηp b† (−⃗p) (2.421)
P ϕ(x) P −1 = e−iηp ϕ(P x) ←→ P ϕ† (x) P −1 = eiηp ϕ† (P x) (2.422)
eiηp = ±1 (2.423)

T a(⃗p) T −1 = e−iηT a(−⃗p) ←→ T a† (⃗p) T −1 = eiηT a† (−⃗p) (2.424)


T b(⃗p) T −1 = eiηT b(−⃗p) ←→ T b† (⃗p) T −1 = e−iηT b† (−⃗p) (2.425)
T ϕ(x) T −1 = e−iηT ϕ(T x) ←→ T ϕ† (x) T −1 = eiηT ϕ† (T x) (2.426)

dove, se x = (t, ⃗x), allora P x ≡ (t, −⃗x) e T x ≡ (−t, ⃗x).


99
Cfr. pag 42 di relativistic Quantum Fields di J.D. Bjorkeen e S.D. Drell, edito da McGraw-
Hill, 1965.

87
Si osservi che la condizione C 2 = I , per come agisce la trasformazione C, non
può dare condizioni sul valore della fase eiηc , mentre la condizione P 2 = I
implica che, quanto a eiηp , non possa essere che eiηp = ±1 .
Quanto invece a T 2 , evidentemente T 2 = I , dato che lo spin della particella è
nullo e quindi è intero: essendo l’operatore T antiunitario, questa condizione,
però, non può fornire condizioni di sorta sulla fase eiηT .

Un altro operatore, infine, di cui è interessante verificare la legge di trasfor-


mazione sotto le simmetrie C, P e T è senz’altro la quadricorrente conservata
J µ (x) associata all’invarianza di gauge di prima specie della lagrangiana (2.329),
i.e. l’osservabile100
[ ]
∂L ∂L [ ]
† † µ †
J (x) = i −
µ
ϕ+ ϕ = i (∂ µ
ϕ)(x) ϕ (x) − (∂ ϕ )(x) ϕ(x) (2.427)
∂(∂µ ϕ) ∂(∂µ ϕ† )

Risulta (cfr. Appendice)

C J µ (x) C −1 = −J µ (x) (2.428)


P J µ (x) P −1 = Jµ (P x) (2.429)
T J µ (x) T −1 = Jµ (T x) (2.430)

100
La quadricorrente (2.427) è un operatore autoaggiunto, dunque è un’osservabile, a differenza
dei campi stessi che, ovviamente, come gli operatori di creazione e distruzione, non lo sono.

88
2.3.2 Il campo vettoriale libero
Le equazioni di moto per i campi101 che descrivono particelle vettoriali (cioè di
spin 1) sono102 le seguenti
(2 + m2 )W µ = 0
(2.436)
∂µ W µ = 0
dove m è la loro massa, che assumeremo per adesso diversa da zero.
Una Lagrangiana che, attraverso il principio di minima azione, determina le
equazioni di moto (2.436) per il campo classico è la seguente
1 µν ∗
L = F Fµν − m2 W µ Wµ∗ (2.437)
2
dove
F µν ≡ ∂ µ W ν − ∂ ν W µ (2.438)
Infatti, dalle equazioni di Lagrange
∂L ∂L
∂µ − =0
∂(∂µ Wν ) ∂Wν
∂L ∂L
∂µ − =0
∂(∂µ Wν ) ∂Wν∗

otteniamo, rispettivamente
∂µ F ∗µν + m2 W ∗ν = 0 ⇒ 2W ∗ν − ∂ ν (∂µ W ∗µ ) + m2 W ∗ν = 0 (2.439)
∂µ F µν + m2 W ν = 0 ⇒ 2W ν − ∂ ν (∂µ W µ ) + m2 W ν = 0 (2.440)
101
Ricordiamo che, per un campo vettoriale, la legge di trasformazione sotto il gruppo di
Poincaré è la seguente:
(a, Λ) : x → x′ = a + Λx (2.431)


W (x) → W (x ) =
µ µ
Λµ.ν ν
W (x) (2.432)
ovvero (trasformazione attiva)

U −1 (a, Λ) W µ (x) U (a, Λ) = W µ (x) (2.433)
equivalente a
U −1 (a, Λ)W µ (x)U (a, Λ) = Λµ.ν W ν (Λ−1 (x − a)) (2.434)
da cui (trasformazione passiva)
U (a, Λ) W µ (x) U −1 (a, Λ) = (Λ−1 )µ.ν W ν (Λx + a) (2.435)

102
Un campo quadrivettoriale come W µ , dal punto di vista delle rotazioni, è la somma diretta
di un campo vettoriale (s = 1) e di un campo scalare (s = 0). La condizione ∂µ W µ = 0 elimina
la componente scalare e quindi lascia solo lo spin 1.

89
D’altronde, essendo F µν ovviamente antisimmetrico, è

∂µ ∂ν F µν = 0

per cui, usando l’espressione di sinistra dell’equazione del moto (2.440) se ne


deduce che

∂µ [m2 W µ ] = 0 ⇒ ∂µ W µ = 0 (2.441)

dove si è fatto uso del fatto che la massa del campo non è nulla.
Analogamente, partendo da F ∗µν , si dimostra che anche la quadridivergenza di
W ∗µ è nulla, per cui, in definitiva, risultano cosı̀ dimostrate le equazioni di moto
(2.436) sia per W µ che per W ∗µ .
La densità lagrangiana (2.437) è poi evidentemente invariante per trasfor-
mazioni di gauge di prima specie: la corrente conservata che, via il teorema di
Noëther, consegue da questa invarianza è, come ben noto, la seguente
[ ]
∂L ∂L
µ
J (x) = i Wρ − W∗ (2.442)
∂(∂µ Wρ ) ∂(∂µ Wρ∗ ) ρ
ovvero
[ ] [ ]
J µ (x) = i F ∗µρ Wρ − F µρ Wρ∗ = i (∂ µ W ∗ρ − ∂ ρ W ∗µ ) Wρ − (∂ µ W ρ − ∂ ρ W µ ) Wρ∗ =
[ ]
= i (∂ µ W ∗ρ ) Wρ − (∂ ρ W ∗µ ) Wρ − (∂ µ W ρ ) Wρ∗ + (∂ ρ W µ ) Wρ∗ (2.443)

che, tenendo conto che ∂ρ W ρ = 0, si può riscrivere come


[ ]
J µ (x) = i (∂ µ W ∗ρ ) Wρ − (∂ µ W ρ ) Wρ∗ − i∂ρ [W ∗µ W ρ − W µ W ∗ρ ](2.444)

ma il termine

Jˆµ ≡ −i∂ρ [W ∗µ W ρ − W µ W ∗ρ ] (2.445)

• essendo antisimmetrico in µ e ρ, soddisfa separatamente l’equazione di con-


tinuità ∂µ Jˆµ = 0;

• il suo contributo all’integrale spaziale di J 0 (x) è nullo perché


[ ] [ ]
Jˆ0 ≡ −i∂ρ W ∗0 W ρ − W 0 W ∗ρ = −i∂k W ∗0 W k − W 0 W ∗k

coincide con una divergenza nelle sole variabili spaziali;

Per questo motivo, l’espressione canonica della corrente conservata per il campo
vettoriale di massa m è la seguente

J µ = −i [(∂ µ W ν ) Wν∗ − (∂ µ Wν∗ ) W ν ] (2.446)

90
in stretta analogia con quanto già visto nel caso scalare.
La quantizzazione del campo W µ , al solito, viene effettuata espandendolo in
termini di operatori di creazione/distruzione, nel modo seguente
3 ∫
∑ d3 p [ −ipx † ∗µ
]
W µ (x) = A(r, p
⃗) ϵ µ
(r, p
⃗) e + B (r, p
⃗) ϵ (r, p
⃗) e ipx
(2.447)
r=1 2Ep (2π)3
3 ∫
∑ d3 p [ ]
W †µ (x) = B(r, p
⃗) ϵ µ
(r, p
⃗) e−ipx
+ A†
(r, p
⃗) ϵ ∗µ
(r, p
⃗) e ipx
(2.448)
r=1 2Ep (2π)3
dove

• A(r, p⃗) annichila la particella di quadrimpulso (Ep , p⃗) = ( m2 + |⃗p|2 , p⃗) e
di stato di polarizzazione r;
• A† (r, p⃗) crea la particella di quadrimpulso p ≡ (Ep , p⃗) e polarizzazione r;
• B(r, p⃗) annichila l’antiparticella di quadrimpulso p e polarizzazione r;
• B † (r, p⃗) crea l’antiparticella di quadrimpulso p e polarizzazione r;
e questi operatori soddisfano le seguenti regole di commutazione (tutte le altre
sono nulle ...)
[ ] [ ]
A(r, p⃗), A† (s, p⃗′ ) = B(r, p⃗), B † (s, p⃗′ ) = 2 Ep (2π)3 δrs δ 3 (⃗p − p⃗′ ) (2.449)

dove δrs è il simbolo di Kronecker.


Quanto allo stato di polarizzazione, esso è specificato dai tre quadrivettori ϵµ (r, p⃗),
per r = 1, 2, 3. Questi quadrivettori, affinché sia garantita la condizione di
quadridivergenza nulla ∂µ W µ = 0, devono soddisfare il vincolo

pµ ϵµ (r, p⃗) = 0 (2.450)

Sempre nel caso di una particella di massa m ̸= 0, la scelta consueta è quella


di fissare i quadrivettori ϵµ (r, ⃗0) nel sistema di riferimento dove la particella è
ferma, ovvero dove essa ha quadrimpulso p̂ ≡ (m, 0, 0, 0) e quindi di definirli nel
riferimento dove essa ha impulso p⃗, usando il boost che effettua la trasformazione
B(p) · p̂ ≡ (E, p⃗) senza ruotare gli assi, i.e. attraverso la matrice di Lorentz
 E px py py 
m m m m
 px px px px py px pz 
 1 + m(E+m) 
B(p) = 

m
py py px
m(E+m)
py py
m(E+m)
py pz 
 (2.451)
 m m(E+m)
1 + m(E+m) m(E+m) 
pz pz px pz py pz pz
m m(E+m) m(E+m)
1 + m(E+m)

Nel riferimento dove la particella è ferma, la polarizzazione, dovendo essere or-


togonale al quadrimpulso (nella metrica di Minkowski), deve essere tale che

ϵµ (r, ⃗0) = (0,⃗ϵ(r))

91
dove gli ⃗ϵ(r) sono tre versori indipendenti, individuati ciascuno dall’indice r.
Se indichiamo con ⃗e1 = ⃗ex , ⃗e2 = ⃗ey e ⃗e3 = ⃗ez i versori dei tre assi coordinati,
allora una scelta possibile è semplicemente la seguente103 (polarizzazioni lineari)

⃗ϵ(r) ≡ ⃗er

la quale conduce, secondo la regola sopra indicata, a quadrivettori di polariz-


zazione reali coincidenti semplicemente con le colonne della matrice B(p), ovvero
risultano104 essere espressi dalla relazione
( )
pr pi pr
µ
ϵ (r, p⃗) = B(p)µ.ν ϵ (r, ⃗0) =
ν
, δir + (2.454)
m m(E + m)

dove pr indica la componente r−esima del vettore p⃗ e δir è il simbolo di Kronecker.


I quadrivettori di polarizzazione cosi definiti soddisfano inoltre la condizione di
completezza105 seguente


3
pµ pν
ϵµ (r, p⃗)ϵ∗ν (r, p⃗) = −δ µν + (2.462)
r=1 m2

e risulta

ϵµ (s, p⃗) = ϵ∗µ (r, p⃗) = −ϵµ (s, −⃗p) (2.463)


103
Un’altra scelta equivalente è, naturalmente, la seguente (polarizzazioni circolari)
−1 1
⃗ϵ(+) ≡ √ (⃗ex + i⃗ey ) ; ⃗ϵ(0) ≡ ⃗ez ; ⃗ϵ(−) ≡ √ (⃗ex − i⃗ey ) ; (2.452)
2 2

104
Si osservi che se indichiamo con ⃗n il versore dell’impulso spaziale della particella, essendo
allora pr = mγβnr , ne segue che

ϵµ (r, p⃗) = (γβ nr , δir + (γ − 1)nr ni ) (2.453)


2 2
dove abbiamo usato il fatto che βγ+1
γ
= γ − 1.
105
Osserviamo che, dalla definizione, è

ϵµ (r, p⃗) = B(p)µ.ν ϵν (r, ⃗0) = B(p)µ.ν δrν = B(p)µ.r = −B(p)µ r (2.455)

Dunque


3 ∑
3
ϵµ (r, p⃗)ϵ∗ν (r, p⃗) = − p)µ.r B(p)ν r = −B(p)µ.ρ B(p)ν ρ + B(p)µ.0 B(p)ν 0
B(⃗ (2.456)
r=1 r=1

ma, per le ben note proprietà delle matrici di Lorentz, risulta

B(p)µ.ρ B(p)ν ρ = B(p)µ.ρ B(p).σρ δ σν = δσµ δ σν = δ µν (2.457)

92
Quanto poi alla funzione d’onda ψ µ (r, p⃗; x) che, in rappresentazione delle co-
ordinate è associata allo stato

|r, p⃗ >≡ A† (r, p⃗)|Ω >

essa106 è data ancora da

ψ µ (r, p⃗; x) = ϵµ (r, p⃗) e−ipx ≡< Ω| W µ (x) |r, p⃗ > (2.464)

Coerentemente con l’espressione107 della corrente di probabilità conservata in


virtù dell’invarianza di gauge di prima specie della Lagrangiana (2.437),
[ ] ∫
J µ
= −i (∂ W µ ν
) Wν† − (∂ µ
Wν† ) W ν ⇒ d3 x J 0 (x, t) = cost
∂ ∫ 3 [ 0 ν ]
⇒ −i d x (∂ W ) Wν† − (∂ 0 Wν† ) W ν = 0 (2.465)
∂t
il prodotto scalare fra due stati di singola particella |a > e |b >, rappresentati
dunque, essendo
pµ pν pµ pν
B(p)µ.0 B(p)ν 0 =
=
m m m2
abbiamo infine la relazione di completezza cercata, i.e.


3
pµ pν
ϵµ (r, p⃗)ϵ∗ν (r, p⃗) = −δ µν + (2.458)
r=1
m2

Si osservi altresı̀ che, sempre dalla loro definizione, segue che

ϵµ (s, p⃗) ϵ∗µ (r, p⃗) = −δsr (2.459)

Infatti
( ) ( )∗
ϵµ (s, p⃗) ϵ∗µ (r, p⃗) = B(p) ϵ(s, ⃗0) · B(p) ϵ(r, ⃗0) (2.460)

e per il fatto che le matrici di Lorentz sono reali e le ben note proprietà del prodotto scalare
fra quadrivettori, questa quantità è pari, in effetti, a

ϵµ (s, ⃗0) ϵ∗µ (r, ⃗0) = −δsr (2.461)

visto come sono definite queste stesse polarizzazioni nel sistema del CM .
106
Per lo stato B † (r, p⃗)|Ω > occorre semplicemente scambiare W con il suo hermitiano coniu-
gato W † .
107
Si osservi che la definizione di J µ che usiamo per il campo vettoriale è opposta a quella usata
nel caso del campo scalare. La ragione sta proprio nella normalizzazione delle polarizzazioni e
nella scelta che abbiamo fatto riguardo al tensore metrico di coincidere con −I sulle variabili
spaziali.

93
µ µ
dalle funzioni d’onda ψ(a) (x) e ψ(b) (x) si deve scrivere108
∫ [( ) ( ) ]
∗ ∗µ
< a|b >= −i d3 x µ
∂ 0 ψ(b) (⃗x, t) ψ(a)µ (⃗x, t) − ∂ 0 ψ(a) µ
(⃗x, t) ψ(b) (⃗x, t) (2.468)

per cui, di nuovo, la densità di particelle associata alla funzione d’onda (2.464)
vale 2E, infatti, per la (2.459), risulta
[ ]
ρ(x) = J 0 (x) = −i (∂ 0 ψ µ (r, p⃗; x))ψµ∗ (r, p⃗; x) − (∂ 0 ψ ∗µ (r, p⃗; x))ψ µ (r, p⃗; x) =
= 2p0 ≡ 2E (2.469)

Veniamo adesso alla legge di trasformazione degli operatori di creazione e


distruzione sotto il gruppo di Poincaré. Ricordiamo che il campo vettoriale gode
della proprietà per cui

U (a, Λ) W µ (x) U −1 (a, Λ) = (Λ−1 )µ.ν W ν (Λx + a) (2.470)

La presenza dei vettori di polarizzazione nella rappresentazione del campo


3 ∫
∑ d3 p [ −ipx † ∗µ
]
W µ (x) = A(r, p
⃗) ϵ µ
(r, p
⃗) e + B (r, p
⃗) ϵ (r, p
⃗) e ipx
(2.471)
r=1 2Ep (2π)3

richiede che, per stabilire la legge di trasformazione degli operatori di creazione


e distruzione in modo coerente con la (2.470), si debbano conoscere preventiva-
mente come gli ϵµ (r, p⃗) si trasformano sotto il gruppo di Lorentz.
Ricordiamo che, per la definizione (2.454), risulta

ϵµ (s, p⃗) ≡ B(p)µ.ν ϵν (s, ⃗0) (2.472)

Dimostriamo adesso che il quadrivettore Λ · ϵ(s, p⃗) è combinazione lineare delle


⃗ qualsiasi siano Λ e p⃗, i.e. che si ha
polarizzazioni ϵ(r, Λp),

Λ · ϵ(s, p⃗) = Mrs ϵ(r, Λp)


⃗ (2.473)
108
Per gli autostati dell’impulso di cui sopra, si ha

[( ) ( ) ]
< r, p⃗|s, ⃗q >= −i d3 x ∂ 0 ψ µ (s, ⃗q; x) ψµ∗ (r, p⃗; x) − ∂ 0 ψ ∗µ (r, p⃗; x) ψ µ (s, ⃗q; x)