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a.a. 2013/14
TEORIE ASSIOMATICHE
Versione provvisoria e incompleta∗
Alberto Zanardo
Dipartimento di Matematica - Università di Padova
Maggio 2014
Indice
1 Prime nozioni sulle Teorie Assiomatiche 2
1.1 Deduzione Logica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
5 Categoricità e α-categoricità 16
5.1 Ordini lineari, densi, senza estremi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1
2
10 Teorema di Ramsey 54
10.1 Prodotti di ultrafiltri e dimostrazione del Teorema di Ramsey infinito . . . 57
A Tautologie 59
B Insiemi 59
Questi sono gli assiomi per la Teoria dei Gruppi, e quindi i teoremi di questa teoria sono
le proposizioni che seguono logicamente da questi assiomi. Dire per esempio che in ogni
gruppo l’elemento neutro è unico, significa dimostrare che, supposto che u e u0 abbiano
le proprietà espresse da G3, dagli assiomi G1-3 segue logicamente u = u0 . Esercizio.
Nei corsi di Analisi ed in tanti altri usiamo i Numeri Reali. Anche in questo caso ci
troviamo di fronte ad una presentazione di tipo assiomatico. Il punto di partenza è la
Teoria dei Campi Ordinati. Ricordiamo che un campo è una struttura K = hK, +, ·, 0, 1i
dove K è un insieme, + e · sono operazioni binarie su K, 0 e 1 sono elementi distinti di
K, e in cui valgono le seguenti proprietà:
C4. Proprietà degli elementi neutri : (i) ∀x(x + 0 = x), (ii) ∀x(x · 1 = x);
C5. Esistenza dell’opposto e del reciproco: (i) ∀x∃y(x+y = 0), (ii) ∀x 6= 0, ∃y(x·y = 1).
I campi ordinati sono strutture K = hK, +, ·, 0, 1, ≤i che verificano gli assiomi C1-5, e su
cui è inoltre definita una relazione d’ordine totale ≤ avente quindi le seguenti proprietà:
Sono esempi di campi ordinati i numeri razionali ed i numeri reali. In quest’ultima strut-
tura è però anche verificato un ulteriore assioma: l’Assioma di Completezza. Un campo
ordinato K = hK, +, ·, 0, 1, ≤i è completo se
C12. Completezza:
∀X, Y ⊆ K [∀x ∈ X, ∀y ∈ Y (x ≤ y) → ∃z (∀x ∈ X, ∀y ∈ Y (x ≤ z ≤ y))]
Un risultato cruciale sui Campi Ordinati Completi è che sono tutti isomorfi. Una volta
dimostrato quindi che esiste un Campo Ordinato Completo,2 possiamo definire l’insieme
R dei numeri reali come un’arbitraria struttura hK, +, ·, 0, 1, ≤i in cui siano verificati C1-
12. In ciò è particolarmente evidente la natura assiomatica della teoria dei numeri reali:
non interessano le entità che li costituiscono, ma solo il fatto che siano verificati quegli
assiomi.
Il passo successivo alla definizione di una struttura algebrica astratta è quello di mostrare
strutture matematiche che rientrano in quella definizione. Tornando ai gruppi, si fa notare
per esempio che gli interi, con la somma e lo 0, costituiscono un gruppo, che i razionali
2
In genere tale struttura viene definita tramite le classi di equivalenza di successioni di Cau-
chy, o tramite i tagli di Dedekind, su Q, v, [Fiori and Invernizzi, 2009], [Cohen and Ehrlich, 1963] o
[Zanardo, 2014].
4
non nulli, con il prodotto e l’1, costituiscono un gruppo, e cosı̀ via. Possiamo dire che
in queste strutture i simboli ∗ e u che compaiono nella definizione di gruppo, cosı̀ come
l’insieme G, vengono interpretati in modo diverso. Questa distinzione tra simbolo e
sua interpretazione, che spesso non è rilevante nella pratica matematica, gioca invece
un ruolo fondamentale nello studio generale delle teorie assiomatiche. Il primo passo in
questa direzione è la definizione di linguaggio formale alla quale seguirà la definizione di
interpretazione.
Osserviamo fin d’ora che, in relazione al linguaggio in cui una teoria assiomatica viene
espressa, c’è una profonda differenza tra la definizione di gruppo, o di campo ordinato, e
quella di campo ordinato completo. I quantificatori che compaiono in G1-3 o in C1-11
possono essere tutti letti come “per ogni elemento di G” o “per ogni elemento di K”,
mentre C12 inizia con “per ogni sottoinsieme X e ogni sottoinsieme Y di K”. Nel primo
caso abbiamo una quantificazione su elementi, nel secondo una quantificazione su insiemi.
I due tipi di quantificazione vengono detti rispettivamente del primo ordine e del secondo
ordine.3 Inizialmente considereremo solo teorie basate su linguaggi del primo ordine.
DL1 Una deduzione logica (o dimostrazione) in una teoria assiomatica è una succes-
sione finita ϕ0 , . . . , ϕn di formule in cui ogni ϕi è un assioma della teoria, o segue
logicamente dalle formule precedenti.
DL2 Se le formule ϕ0 , . . . , ϕn sono vere in una struttura matematica (in cui quelle
formule sono interpretate) e ϕ segue logicamente da ϕ0 , . . . , ϕn , allora anche ϕ è
vera in quella struttura matematica.
DL3 Tutte le tautologie (v. Appendice A) sono dimostrabili in ogni teoria assiomatica.
Le formule che seguono logicamente dagli assiomi di una teoria vengono chiamati teoremi
(di quella teoria). Poiché in DL1 non escludiamo che n possa essere 0, gli assiomi risultano
essere particolari teoremi. Da DL1 segue anche in particolare che, anche se una teoria
ha infiniti assiomi, ogni dimostrazione ne coinvolge solo un numero finito. Da DL2 segue
che, se una struttura matematica verifica gli assiomi di una teoria, anche tutti i teoremi
risultano verificati in quella struttura.
3
Per rendersi conto della differenza tra quantificazione del primo e del secondo ordine basta pensare
alla proprietà della densità che in qualche modo ‘assomiglia’ alla completezza, con la differenza che anziché
insiemi abbiamo elementi. Sappiamo che tale proprietà deriva dagli assiomi per i campi ordinati, e che
in particolare Q è denso. Ciò non vale ovviamente per la completezza.
5
Scriveremo T ` ϕ (risp. T 6` ϕ) intendendo che ϕ è, (risp. non è) teorema della teoria T .
Converrà spesso inoltre identificare una teoria con l’insieme dei suoi assiomi. Scriveremo
quindi {ϕ0 , . . . , ϕn } ` ϕ intendendo che ϕ è teorema della teoria assiomatica avente
ϕ0 , . . . , ϕn come assiomi.
C = {u} , F = {∗} (= {f 2 }) R = ∅
Per non appesantire la notazione e rendere più comprensibili le formule, useremo spesso i
simboli relativi alla struttura matematica che interpreta il linguaggio al posto dei simboli
del linguaggio stesso. Per questo motivo nell’esempio precedente abbiamo scritto C =
{1, 0}, F = {+ , ·} e R = {≤}.
Per dare una definizione rigorosa di formula (di un linguaggio del primo ordine) dob-
biamo preliminarmente definire i termini. Essi sono le entità che, in una data struttura
matematica, vengono interpretati negli elementi di struttura. Abbiamo quindi, per ogni
linguaggio L = hC, F, R, Vi, l’insieme TL dei suoi termini è il più piccolo insieme tale che
C ∪ V ⊆ TL e t1 , . . . , tn ∈ TL e f n ∈ F ⇒ f n (t1 , . . . , tn ) ∈ TL (2.1)
Esercizio 2.2 Sia N = hN, 0, σi la struttura dei numeri naturali, dove σ è la funzione
successore. Descrivere l’insieme TL , dove L è un linguaggio adeguato per la struttura N .
Se ϕ è una formula e ∀xψ o ∃xψ è una sua sottoformula, allora diremo che ogni occorrenza
della variabile x in ψ è vincolata in ϕ. Le occorrenze di una variabile che non sono
vincolate in una data formula sono dette libere. Osserviamo che in una formula la stessa
variabile può avere sia occorrenze libere sia occorrenze vincolate. Per esempio, nella
formula x ≤ 0 ∧ ∀x(y ≤ x) la prima occorrenza della x è libera e la seconda vincolata
(mentre l’unica occorrenza della y, supposta diversa da x, è libera). Un enunciato è
una formula che non ha variabili libere. Scriveremo spesso ϕ(x1 , . . . , xn ) per mettere in
evidenza che nella formula ϕ le variabili x1 , . . . , xn sono libere o, più in generale, che le
variabili libere di ϕ appartengono all’insieme {x1 , . . . , xn }.
Anche se non abbiamo ancora dato una definizione rigorosa di verità di una formula, non
è difficile rendersi conto che in generale una formula con variabili libere può essere vera
o falsa a seconda del valore assegnato alle variabili che compaiono libere nella formula
stessa: x > 0, interpretata nell’insieme dei numeri reali, è vera per alcuni valori di x e
falsa per altri4 . Ciò non succede se una variabile è invece vincolata: ∃x(x > 0) è vera
nell’insieme dei numeri reali, indipendentemente dal valore
Rb di x, e infatti è equivalente a
∃y(y > 0). Ciò è perfettamente analogo al fatto che a f (x) dx dipende solo da a e b (e
Rb Rz
coincide con a f (t) dt), mentre a f (x) dx dipende dal valore di z.
Prima di dare la definizione di interpretazione, ricordiamo che, dati gli insiemi A e B, con
A
B indichiamo l’insieme delle funzioni da A in B, e che una relazione n-aria su A è un
insieme di n-uple ad elementi in A, cioè un sottoinsieme del prodotto cartesiano An .
Esercizio 2.4 Definire un linguaggio per gli anelli ordinati e l’interpretazione di quel
linguaggio nella struttura degli interi.
Osservazione 2.5 Consideriamo ancora la segnatura h{u} , {∗} , ∅i per i gruppi e la cop-
pia I = hM, Ii, dove M è l’insieme delle matrici 2×2, uI è la matrice identica in M , e ∗I è
il prodotto righe per colonne in M . L’insieme delle matrici 2×2 con l’usuale prodotto non
è un gruppo, tuttavia la coppia hM, Ii è una interpretazione del linguaggio per la teoria
dei gruppi. Una struttura matematica è una interpretazione di un linguaggio quando le
formule del linguaggio risultano vere o false in quella struttura. Non viene richiesto che
i teoremi della teoria descritta da quel linguaggio risultino verificati. Per tale situazione
introduciamo la nozione di modello, che richiede la nozione di ‘verità’ di una formula in
una interpretazione.
Abbiamo già osservato che la verità di una formula con variabili libere dipende in generale
dal valore assegnato a tali variabili. Per una definizione rigorosa di verità abbiamo dunque
bisogno di un’ulteriore nozione.
Definizione 2.6 Data l’interpretazione I = hD, Ii del linguaggio L = hC, F, R, Vi, una
valutazione (delle variabili di L in I) è una funzione V da V in D. Data una valutazione
V, una variabile v, ed un elemento a di D, indicheremo con V(v/a) la valutazione V 0 che
coincide con V su tutte le variabili diverse da v e tale che V 0 (v) = a.
Ogni valutazione V puo essere estesa induttivamente all’insieme di tutti i termini ponendo,
per ogni costante c, termini t1 , . . . , tn , e simbolo per funzione f n ,
Diciamo che la formula ϕ è vera (risp. falsa) in una interpretazione I se, se per ogni
valutazione V, I, V |= ϕ (risp. I, V |= ¬ϕ), e in tal caso scriviamo I |= ϕ (risp. I |= ¬ϕ).
Si osservi che una formula ϕ che non è vera in una interpretazione I, non è necessariamente
falsa in quella interpretazione: può succedere che per qualche valutazione V, I, V |= ϕ e
che per qualche altra valutazione V 0 , I, V 0 |= ¬ϕ. Se però ϕ è un enunciato, allora la sua
verità in I non dipende dalla scelta della valutazione V (Proposizione 2.7), e quindi ϕ
risulta vera oppure falsa in I. Se esiste una valutazione V tale che I, V |= ϕ, diciamo che
ϕ è soddisfacibile in I. Diciamo che ϕ è soddisfacibile se lo è in qualche interpretazione.
Esercizio 2.8 Sia ϕ(x1 , . . . , xn ) una formula con le variabili libere nell’insieme {x1 , . . . ,
xn }. Dimostrare che ϕ(x1 , . . . , xn ) è vera in I se e solo se ∀x1 , . . . , xn ϕ(x1 , . . . , xn ) è vera
in I.
Definizione 2.9 Diciamo che una interpretazione M è un modello della teoria assio-
matica T se ogni assioma di T è vero in M.
Per la proprietà DL2 delle deduzioni logiche abbiamo quindi che tutti i teoremi di T sono
veri in ogni modello di T .
Esempio 2.10 L’interpretazione di h{u} , {∗} , ∅i considerata nell’ Osservazione 2.5 non
è un modello della Teoria dei Gruppi. Essa diventa però un modello se ∗I è la somma tra
matrici 2 × 2.
Osservazione 2.11 Abbiamo osservato che un enunciato risulta vero oppure falso in una
data interpretazione. Se invece la formula ϕ(x) contiene la variabile x libera, in generale
la verità di questa formula dipende dalla particolare valutazione V(x) di x nel dominio del-
l’interpretazione. Per esempio, se consideriamo l’interpretazione I dell’Osservazione 2.5,
la formula ∀x∃y(x ∗ y = u), che è un enunciato, è falsa, mentre la formula ∃y(x ∗ y = u)
risulta vera se V(x) è una matrice invertibile, falsa negli altri casi. Una formula ϕ(x) con
x unica libera, identifica quindi un sottoinsieme Xϕ(x) del dominio D dell’interpretazione:
Xϕ(x) = {a ∈ D : I, V(x/a) |= ϕ(x)} (si osservi che essendo x l’unica variabile libera in
ϕ, l’insieme Xϕ(x) non dipende da V). In questo caso si dice che Xϕ(x) è l’insieme definito
dalla formula ϕ(x) (v. anche §8). In modo analogo, le formule del tipo ϕ(x1 , . . . , xn )
definiscono sottoinsiemi di Dn .
Esercizio 3.2 Siano Φ e Ψ insiemi coerenti di formule. Cosa possiamo dire riguardo
alla coerenza di Φ ∩ Ψ e Φ ∪ Ψ?
Dimostrazione. Per DL1 ogni dimostrazione in una teoria assiomatica coinvolge un nu-
mero finito di assiomi e quindi, se possiamo dedurre ϕ∧¬ϕ da un dato insieme di formule,
possiamo dedurre la stessa contraddizione anche da un suo sottoinsieme finito.
L’affermazione che una data teoria T è coerente coinvolge implicitamente tutte le (infinite)
possibili deduzioni logiche basate sugli assiomi di T , nel senso che si afferma che nessuna
di queste deduzioni si conclude con una contraddizione. Considerare tutte le possibili
deduzioni in una data teoria è nella maggioranza dei casi molto difficile, ma per dimostrare
che una teoria assiomatica è coerente possiamo usare anche altre tecniche. La più usata
11
è mostrare che la teoria in esame ha un modello. Abbiamo già osservato infatti (DL2,
§1.1) che se gli assiomi di una teoria T sono verificati in una interpretazione, allora in tale
interpretazione sono verificati anche tutti i teoremi di T . Basta dunque ricordare che per
le Regole di Verità in una interpretazione non possono essere contemporaneamente vere
una formula e la sua negazione. Da questo segue che se gli assiomi di una teoria sono
verificati in una struttura, allora tale teoria non può dimostrare una contraddizione, cioè
è coerente.
Osservazione 3.5 Per il Teorema 3.4, per dimostrare che una teoria assiomatica T con
infiniti assiomi è coerente è sufficiente dimostrare che ogni insieme finito dei suoi assiomi
è coerente. Può succedere in particolare che vengano esibiti vari modelli per i vari insiemi
finiti di assiomi, ma che ciascuno di questi modelli non sia modello di tutta la teoria. Nel
§8 vedremo un esempio di questa situazione.
Osservazione 3.6 Abbiamo visto che per dimostrare la coerenza di una teoria possiamo
dimostrare che tale teoria ha un modello. La dimostrazione rigorosa dell’esistenza di tale
modello deve avvenire internamente alla Teoria Assiomatica degli Insiemi e quindi sorge
inevitabilmente il problema della coerenza di questa teoria. Questo è un problema molto
delicato e per esporre quanto è attualmente noto al riguardo sarebbero necessarie nozioni
e risultati molto sofisticati di logica matematica e teoria degli insiemi. Ci limitiamo a
ricordare il risultato principale, cioè che non è possibile dare una dimostrazione della
coerenza di questa teoria internamente alla teoria stessa. Per il Teorema di Incompletezza
di Gödel, infatti, se la teoria degli insiemi fosse in grado di dimostrare la propria coerenza
(per esempio dimostrando l’esistenza di un suo modello), allora sarebbe contraddittoria!
Se poi teniamo presente che la teoria degli insiemi viene posta alla base della matematica,
il Teorema di Incompletezza di Gödel implica che la coerenza della teoria degli insiemi
non è dimostrabile.
Nella pratica matematica, la non contradditorietà della teoria degli insiemi viene presup-
posta, basandosi essenzialmente sull’evidenza intuitiva dei suoi assiomi, anche se non
possiamo escludere che prima o dopo venga trovata una contraddizione.
3.2 Indipendenza
Definizione 3.7 Sia Φ un insieme di formule. Diciamo che ϕ ∈ Φ è dipendente (risp.
indipendente) in Φ se è (risp. non è) deducibile da Φ \ {ϕ}. Diciamo che Φ è dipendente
(risp. indipendente) se esiste (risp. non esiste) una sua formula dipendente.
Gli assiomi di una teoria assiomatica sono indipendenti se nessuno di essi può essere
dedotto dagli altri. Anche in questo caso, come per la coerenza, stiamo considerando
una proprietà che coinvolge tutte le possibili deduzioni in una data teoria: l’assioma ϕ
della teoria T è indipendente se, detta T 0 la teoria ottenuta togliendo l’assioma ϕ da T ,
nessuna deduzione in T 0 si conclude con ϕ.
Analogamente a quanto si è visto per la coerenza, la proprietà DL2 delle deduzioni logiche
fornisce una tecnica più semplice per dimostrare che ϕ è indipendente. Se ϕ fosse teorema
12
di T 0 (cioè dipendente) allora ϕ dovrebbe essere vero in ogni modello di T 0 . Per dimostrare
l’indipendenza di ϕ basta quindi trovare un’interpretazione in cui siano verificati tutti gli
assiomi di T ad eccezione di ϕ. L’indipendenza del quinto postulato di Euclide è stata
dimostrata in questo modo. Per dimostrare che l’Assioma di Completezza C12 per i reali
non è conseguenza degli altri, basta osservare che i razionali verificano gli assiomi dei
campi ordinati, ma non l’Assioma di Completezza.
Supponiamo che gli assiomi di una teoria T siano ϕ0 , . . . , ϕn e che ϕ0 sia dipendente.
Ciò significa che ϕ0 è dimostrabile nella teoria T 0 avente ϕ1 , . . . , ϕn come assiomi. Non è
difficile rendersi conto che, se trascuriamo l’indipendenza, le teorie T e T 0 hanno le stesse
proprietà, hanno cioè gli stessi teoremi e gli stessi modelli. In effetti, le proprietà di una
teoria dipendono da ciò che è dimostrabile, cioè dai teoremi, più che dalla scelta degli
assiomi.
In base a questa osservazione sembra quindi che questioni legate all’indipendenza degli
assiomi siano sostanzialmente questioni di eleganza formale. Come insegnano le Geometrie
non Euclidee, però, c’è qualcosa di più. Supponiamo che gli assiomi ϕ0 , . . . , ϕn della
teoria T siano indipendenti; da ciò segue in particolare che {ϕ1 , . . . , ϕn } 6` ϕ0 . Per la
Proposizione 3.3 la teoria T ∗ avente per assiomi ϕ1 , . . . , ϕn e ¬ϕ0 è coerente, per cui
diventa interessante vedere quali siano i teoremi di T ∗ e soprattutto vedere come sono
fatti, se ce ne sono, i suoi modelli. Lo studio delle geometrie non Euclidee è appunto lo
studio delle strutture in cui è verificata la negazione del quinto postulato.
semplice di insieme di formule che non può essere considerato l’insieme degli assiomi di una
teoria assiomatica, è l’insieme di tutte le formule scritte con i simboli 0, 1, +, ×, = (oltre
ai simboli logici) vere nella struttura dei numeri naturali 8 Il teorema di Incompletezza di
Gödel ci dice che non esiste una procedura effettiva per decidere se una data formula in
quell’insieme sia vera oppure falsa nella struttura dei numeri naturali.
Teorema 4.1 Ogni insieme coerente Φ di formule del primo ordine ha un modello.
Nel Teorema 9.22 verrà data una dimostrazione puramente semantica di questo teorema,
senza usare cioè il Teorema 4.1.
Corollario 4.3 Se un insieme Φ di enunciati del primo ordine ha modelli finiti di cardi-
nalità9 arbitrariamente grande, allora ha anche un modello infinito.
Dimostrazione. Poniamo
!
^
En = ∃x1 , . . . , xn xi 6= xj e Φ∗ = Φ ∪ {En : n ∈ N e n ≥ 2} (4.4)
1≤i<j≤n
V
dove il simbolo indica la congiunzione (∧) delle formule che lo seguono al variare degli
indici i e j. L’espressione xi 6= xj è un’abbreviazione di ¬(xi = xj ). La formula En è vera
in una interpretazione hD, Ii se e solo D ha almeno n elementi.
Dato un qualsiasi sottoinsieme finito Φ0 di Φ∗ , sia n0 il massimo indice tale che En0 ∈ Φ0 .
Dalle ipotesi sui modelli di Φ abbiamo che esiste un suo modello M0 con almeno n0
9
La cardinalità verrà definita nella seconda parte del corso. In questo caso, cioè per insiemi finiti,
possiamo identificare la cardinalità di un insieme con il numero dei suoi elementi.
15
Corollario 4.4 Non esiste nessun insieme di enunciati del primo ordine che risultano
veri in tutte e solo le interpretazioni finite.
Esercizio 4.5 Sia L un linguaggio del primo ordine senza (simboli per) costanti e fun-
zioni con un’unica relazione binaria <. Si dimostri che non esistono enunciati ϕ di L
che risultano veri in un’interpretazione I se e solo se l’interpretazione <I di < è un buon
ordine (v. Definizione 7.25)
Esercizio 4.7 Sia L il linguaggio per la teoria degli anelli. Si dimostri che non esiste
nessuna teoria assiomatica T del primo ordine nel linguaggio L avente tutti i modelli
isomorfi a Z.
5 Categoricità e α-categoricità
Definizione 5.1 Date due interpretazioni I = hD, Ii e I 0 = hD0 , I 0 i della segnatura
hC, F, Ri, diciamo che la funzione η : D → D0 è un isomorfismo tra I e I 0 se
c. per ogni f n ∈ F e ogni hd1 , . . . , dn i ∈ Dn , η(fIn (d1 , . . . , dn ) = fIn0 (η(d1 ), . . . , η(dn ));
Proposizione 5.2 Siano I = hD, Ii e I 0 = hD0 , I 0 i sono due interpretazioni isomorfe con
isomorfismo η. Data una qualsiasi valutazione V su I indichiamo con V 0 la valutazione
definita da V 0 (v) = η(V(v)) per ogni variabile v. Allora, per ogni formula ϕ della segnatura
per I e I 0 , (∗) I, V |= ϕ ⇔ I 0 , V 0 |= ϕ.
17
Definizione 5.3 Una teoria assiomatica è categorica se tutti i suoi modelli sono isomorfi
(cioè se ha un solo modello, a meno di isomorfismi).
La categoricità è molto importante quando, come nel caso dei numeri reali, una teoria
assiomatica ha lo scopo di precisare formalmente proprietà di una particolare struttura,
come la retta reale, della quale abbiamo un’intuizione abbastanza precisa. In questo caso
possiamo dire che gli assiomi catturano tutte le proprietà essenziali di quella struttura,
nel senso che non esistono strutture diverse (non isomorfe) in cui tali assiomi sono veri-
ficati. Come abbiamo già osservato, la teoria assiomatica dei numeri reali è categorica.
Mostreremo più avanti che anche la teoria dei numeri naturali basata sugli Assiomi di
Peano è categorica. Inversamente, non è difficile rendersi conto che la teoria dei gruppi
non è categorica, cosı̀ come molte altre teorie che studiamo in algebra.
Si potrebbe pensare che questa differenza tra teoria dei gruppi e teoria dei reali sia dovuta
semplicemente al fatto che la prima ha meno assiomi della seconda. È effettivamente vero
che aumentando gli assiomi in generale diminuiscono i modelli di una teoria perché tali
modelli devono verificare più enunciati. Tuttavia, la differenza tra teoria dei gruppi e
teoria dei campi ordinati completi è molto più sostanziale: come abbiamo già osservato,
la prima è una teoria del primo ordine mentre la seconda è una teoria del secondo ordine.
Proposizione 5.4 Ogni teoria del primo ordine con modelli infiniti non è categorica.
Ogni numero naturale è un insieme cardinale. Una teoria n-categorica è dunque una teoria
i cui modelli con n elementi sono tutti isomorfi. Dal corso di algebra sappiamo che ogni
gruppo con un numero primo di elementi è ciclico e che gruppi ciclici con lo stesso ordine
sono isomorfi ([Piacentini Cattaneo, 1996, Cap.5]). Possiamo quindi concludere che, per
ogni numero primo p, tutti i gruppi di ordine p sono isomorfi. Abbiamo quindi il seguente
risultato.
Proposizione 5.6 Per ogni numero primo p, la teoria dei gruppi è p-categorica.
Abbiamo già osservato che l’enunciato En in (4.4) risulta vero in una interpretazione
hD, Ii se D ha almeno n elementi. La formula An invece è vera quando il dominio ha
al più n elementi. Abbiamo quindi che la congiunzione En ∧ An è vera quando D ha
esattamente n elementi. Indichiamo con TGn la teoria assiomatica avente come assiomi gli
assiomi della teoria dei gruppi e l’enunciato En ∧ An . Per la Proposizione 5.6, abbiamo il
seguente risultato.
Proposizione 5.7 Per ogni numero primo p, la teoria TGp dei gruppi di ordine p è
categorica.
Esercizio 5.9 Sia L un linguaggio senza simboli per costanti o per funzioni, e con un
solo simbolo R per relazione n-aria. Dimostrare che se due interpretazioni I e I 0 di L
verificano gli stessi enunciati e una delle due è finita, allora esse sono isomorfe.
Fissiamo un insieme {x1 . . . xk } di variabili distinte (tante quante gli elementi di D).
Per ogni n-upla (xi1 , . . . , xin ) di elementi (non necessariamente distinti) in {x1 . . . xk },
consideriamo la formula
(
R(xi1 , . . . , xin ) se (ai1 , . . . , ain ) ∈ RI
A(xi1 , . . . , xin ) =
¬R(xi1 , . . . , xin ) se (ai1 , . . . , ain ) 6∈ RI
I modelli di TOLDS sono gli ordini lineari, densi, senza estremi. Tale teoria non è categorica.
Possiamo infatti osservare che i reali e i razionali con l’usuale relazione d’ordine sono suoi
modelli, ma non possono essere isomorfi perché hanno cardinalità diversa. Vedremo che
TOLDS è ℵ0 -categorica.
Ricordiamo preliminarmente che in Teoria degli Insiemi una funzione f : X → Y viene
vista come un insieme di coppie ha, bi ∈ X × Y tale che: 1) per ogni a ∈ D, esiste b ∈ Y
tale che ha, bi ∈ f , e 2) se ha, bi ∈ f e ha, b0 i ∈ f , allora b = b0 . Nella notazione usuale
ha, bi ∈ f viene espresso da f (a) = b. Quindi, in teoria degli insiemi, le funzioni vengono
identificate con l’insieme che spesso viene chiamato grafico della data funzione.
Lemma 5.11 Siano X = hX, ≤i e Y = hY, ≤0 i ordini lineari densi senza estremi, e sia
f = {hxi , yi i ∈ X × Y : i ≤ n} un isomorfismo parziale da X in Y. Allora, per ogni
x ∈ X (risp. y ∈ Y ) esiste un isomorfismo parziale f 0 ⊇ f da X in Y avente come
dominio (risp. immagine) l’insieme {x0 , . . . , xn , x} (risp. {y0 , . . . , yn , y}).
X = {x0 , x1 , . . . , xn , . . . } Y = {y0 , y1 , . . . , yn , . . . }
Corollario 5.13 Tutti gli ordini lineari densi, senza estremi, e numerabili sono isomorfi,
come insiemi ordinati, ai numeri razionali.
Anche in questo caso si vede come la nozione di isomorfismo dipenda dalle funzioni e rela-
zioni che consideriamo. Per esempio, il campo ordinato dei reali algebrici 13 è numerabile,
ed è quindi isomorfo a Q come insieme ordinato, Ma non è isomorfo a Q come campo.
Dimostrazione. Sia T una teoria del primo ordine e sia ϕ un enunciato del linguaggio di
T . Se ϕ è teorema di T allora, per DL2, ϕ è vera in ogni modello di T .14
Supponiamo inversamente che ϕ non sia teorema di T . Per la Proposizione 3.3 la teoria
T ∪ {¬ϕ} è coerente e, per il Teorema 4.1, ha modello M. Quindi M è un modello di T
in cui ϕ non è vero.
È chiaro che la completezza sintattica è una proprietà è molto forte: si richiede che la teoria
sia in grado di dimostrare o confutare ogni enunciato. All’inizio del ’900, tuttavia, essa era
considerata più forte di quanto effettivamente sia. Si pensava infatti che i modelli di una
teoria sintatticamente completa dovessero essere isomorfi perchè verificano esattamente
le stesse formule. In altri termini, si pensava che la completezza sintattica implicasse
la categoricità. Il teorema di Löwenheim-Skolem ed altri risultati ci dicono che ciò non
è vero: possono esserci strutture non isomorfe che rendono vere le stesse formule. Per
quanto riguarda le teorie del primo ordine è vero invece il seguente risultato opposto.
Proposizione 6.5 Ogni teoria categorica del primo ordine è sintatticamente completa.
Dimostrazione. Sia T sia una teoria categorica del primo ordine e supponiamo per assurdo
che T non sia sintatticamente completa. Esiste quindi un enunciato ϕ tale che T 6` ϕ
e T 6` ¬ϕ. Per la Proposizione 3.3 abbiamo che entrambe le teorie T 0 e T 00 ottenute
aggiungendo rispettivamente ¬ϕ e ϕ agli assiomi di T sono coerenti e quindi, per il
Teorema 4.1, queste teorie hanno modello. Siano M0 e M00 i rispettivi modelli delle
due teorie. Questi modelli devono essere isomorfi in quanto modelli anche di T (che è
categorica), ma per la Proposizione 5.2 ciò è assurdo perché il primo modello verifica ¬ϕ
mentre il secondo verifica ϕ.
Un’applicazione di questo risultato viene dalla Proposizione 5.7: la teoria TGp è sintatti-
camente completa.
14
Questa parte del teorema va sotto il nome di Teorema di Adeguatezza, o di Validità.
15
Si osservi che questa definizione è significativa solo se parliamo di enunciati, e non di formule con
variabili libere. Non ha senso infatti richiedere, per esempio, che la formula x ≤ 0 o la sua negazione siano
dimostrabili. I teoremi di una teoria sono veri in tutti i modelli della teoria stessa, e non possiamo quindi
richiedere che siano dimostrabili formule la cui verità dipende da come vengono valutate le variabili.
22
Aggiungendo un’ulteriore ipotesi la Proposizione 6.5 può essere estesa al caso di teorie
α-categoriche per qualche α infinito.
Proposizione 6.6 Se la teoria del primo ordine T non ha modelli finiti ed è α-categorica
per qualche α infinito e maggiore o uguale alla cardinalità del linguaggio di T , allora T è
sintatticamente completa.
Come conseguenza di questa proposizione abbiamo che la teoria degli ordini densi senza
estremi considerata nel §5.1 (che non ha modelli finiti) è sintatticamente completa.
(N1) ∀n (σn 6= 0)
Indicheremo con TN la teoria basata sui tre assiomi di Peano. Si osservi che in PI, il
Principio di Induzione, ∀X è un quantificatore del secondo ordine perché quantifica su
℘(N ), l’insieme di tutti i sottoinsiemi di N .17 La teoria TN è dunque una teoria del
secondo ordine.
Una variante, più informale, ma molto usata, del Principio di Induzione è la seguente:
(PIP ) Se il numero naturale 0 ha una certa proprietà P , e dal fatto che k ha la proprietà
P segue che σk ha tale proprietà, allora ogni numero naturale n ha la proprietà P .
Gli enunciati PI e PIP risultano equivalenti in base alla seguente corrispondenza tra
insiemi e proprietà. Ad ogni proprietà P possiamo associare l’insieme KP dei naturali
aventi tale proprietà e ad ogni insieme K di naturali possiamo associare la proprietà PK
di appartenere a K. Si verifica facilmente che P = PKP e K = KPK da cui segue che la
corrispondenza tra proprietà dei naturali e sottoinsiemi di N è biunivoca.
Internamente alla teoria degli insiemi si dimostra che la teoria dei naturali è coerente.
L’ordinale ω infatti è costituito dagli insiemi
(3) Siano 0 e a due oggetti distinti e sia N l’insieme di tutte le successioni finite 0, , 00, 000, . . .
e a, aa, aaa, . . . . Data una successione s ∈ N , σs è la più piccola successione in N
che contiene propriamente s. Questa struttura verifica N1 e N2 (esercizio). Sia X
in sottoinsieme di N costituito da tutte le successioni in cui compare solo 0. Abbia-
mo che l’antecedente del Principio di Induzione è verificato da X, ma ovviamente
X 6= N .
D’ora in avanti, in questo paragrafo, parlando dei numeri naturali intenderemo sempre
un arbitrario modello hN, 0, σi degli assiomi N1, N2 e PI. Come abbiamo visto sopra,
esiste almeno una struttura con queste proprietà. In ognuna di queste strutture, diremo
che σn è il successore del numero naturale n.
Osservazione 7.1 Abbiamo usati gli stessi simboli (0, σ, ∀n, ecc.) sia per esprimere
gli assiomi di Peano, sia in riferimento al modello hN, 0, σi di tali assiomi. A rigore, gli
assiomi sono formule di un linguaggio formale (v. anche Nota 17) e si sarebbero dovute
esprimere in un linguaggio con una costante, c, ed un simbolo per funzione 1-aria f 1 .
Abbiamo volutamente evitato questa distinzione per non appesantire la notazione.
Da questa proposizione segue che l’immagine della funzione σ è N \ {0} e quindi, per
ogni n 6= 0, possiamo parlare del predecessore di n come dell’unico m tale che σm = n; il
predecessore di n verrà indicato con σ −1 n.
(10 ) h0, ai ∈ W
(20 ) hn, xi ∈ W ⇒ hσn, F (x)i ∈ W
L’insieme F non è vuoto perché l’intero insieme N × X ha le proprietà (10 ) e (20 ) e quindi
appartiene a F. Si osservi che queste proprietà corrispondono proprio alle proprietà (1) e
(2) dell’enunciato del teorema.
T L’insieme F è chiuso per intersezioni arbitrarie. Se Wi ∈ F
per ogni i ∈ I e W = i∈I Wi , allora h0, ai ∈ W perché questa coppia appartiene a ogni
Wi . Se hn, xi ∈ W allora, per ogni i, hn, xi ∈ Wi e, per la proprietà (2’) hσn, F (x)i ∈ Wi .
Ma da ciò segue hσn, F (x)i ∈ W che quindi appartiene a F.
Appartiene dunque a F anche l’insieme f definito da
\
f= W (7.6)
W ∈F
(3) ∀n ∈ N, ∃x ∈ X : hn, xi ∈ f
(4) ∀n ∈ N, ∀x1 , x2 ∈ X, hn, x1 i ∈ f e hn, x2 i ∈ f ⇒ x1 = x2
K è dunque l’insieme dei naturali sui quali f ‘si comporta’ come una funzione. Dimostre-
remo per induzione che K = N .
Supponiamo per assurdo 0 6∈ K, cioè h0, x0 i ∈ f per qualche x0 6= a. Consideriamo il
sottoinsieme V di N × X definito da V = f \ {h0, x0 i}. L’insieme V verifica la proprietà
(10 ) perché f ha tale proprietà e x0 6= a. Se hn, xi ∈ V , allora hn, xi ∈ f e, per (20 ),
hσn, F (x)i ∈ f ; ma ciò implica hσn, F (x)i ∈ V perché, per N1, 0 6= σn per ogni n.
Abbiamo quindi che V ha le proprietà (10 ) e (20 ) e quindi V ∈ F, ma ciò contraddice (7.6)
perché V è contenuto propriamente in f .
Dimostriamo ora preliminarmente che, per ogni naturale n,
Ciò significa che ogni coppia del tipo hσn, yi può essere vista come risultato della proprietà
(20 ). Supponiamo per assurdo che l’implicazione (7.8) non valga, cioè che esista una coppia
hσn0 , yi in f tale che, per ogni x ∈ X, se hn0 , xi ∈ f , allora y 6= F (x). Consideriamo
l’insieme V = f \ {hσn0 , yi}; vogliamo dimostrare che V ∈ F, cioè che verifica (10 ) e (20 ),
in modo da contraddire (7.6) come nel caso precedente. La coppia h0, ai appartiene a f
e quindi anche a V perché 0 6= σn0 . Supponiamo hk, zi ∈ V , cosicché hk, zi e hσk, F (z)i
appartengono a f , ma per le ipotesi su n0 abbiamo che hσk, F (z)i 6= hσn0 , yi, e quindi
hσk, F (z)i ∈ V . Abbiamo dunque V ∈ F che contraddice (7.6).
Possiamo tornare all’insieme K definito in (7.7) e dimostrare che k ∈ K implica σk ∈ K.
Supponiamo hσk, y1 i ∈ f e hσk, y2 i ∈ f . Da (7.8) segue che esistono x1 e x2 tali che
hk, x1 i ∈ f , hk, x2 i ∈ f , y1 = F (x1 ) e y2 = F (x2 ). Ma dall’ipotesi k ∈ K segue x1 = x2 e
quindi y1 = y2 , cioè σk ∈ K. Ciò conclude la dimostrazione che K = N e quindi che f è
una funzione.
Supponiamo ora che due funzioni f1 ed f2 da N in X verifichino le condizioni (1) e (2)
dell’enunciato di questo teorema. Vogliamo dimostrare che f1 = f2 , cosicché la funzione
f definita sopra risulterà unica.
Sia K l’insieme {n ∈ N : f1 (n) = f2 (n)}; dimostriamo per induzione che K = N . Dalla
condizione (1) segue banalmente che 0 ∈ K. Supponiamo k ∈ K, cioè f1 (k) = f2 (k).
Dalla condizione (2) abbiamo f1 (σk) = F (f1 (k)) = F (f2 (k)) = f2 (σk), e quindi σk ∈ K.
Questo risultato ci permette di dimostrare il teorema dell’unicità del modello degli assiomi
di Peano.
Teorema 7.5 Siano hN, 0, σi e hN 0 , 00 , σ 0 i strutture in cui sono verificati gli assiomi di
Peano N1, N2 e PI. Allora le due strutture sono isomorfe.
quindi che f verifica le clausole b. e c. della Definizione 5.1 (si noti che la condizione d. è
banalmente verificata). Per concludere che f è un isomorfismo, dobbiamo dimostrare che
è suriettiva e iniettiva.
Consideriamo l’insieme Im(f ) = {n0 ∈ N 0 : ∃n ∈ N : f (n) = n0 }. Im(f ) contiene 00
perché f (0) = 00 . Se k 0 ∈ Im(f ) e f (k) = k 0 , allora f (σk) = σ 0 f (k) = σ 0 k 0 e quindi anche
σ 0 k 0 ∈ Im(f ). Poiché hN 0 , 00 , σ 0 i verifica PI, abbiamo Im(f ) = N 0 e quindi f è suriettiva.
Consideriamo ora l’insieme
K = {n ∈ N : ∀m ∈ N, f (n) = f (m) ⇒ n = m}
Anche in questo caso dimostriamo per induzione che K = N , da cui segue che f è iniettiva.
Poiché f (0) = 00 , dobbiamo dimostrare che, per ogni m, f (m) = 00 ⇒ m = 0. Se, per
assurdo, f (m) = 00 e m 6= 0, allora, per il Teorema 7.2, esiste k tale che m = σk e quindi
00 = f (m) = σ 0 f (k), ma queste uguaglianze contraddicono N1 per σ 0 .
Sia ora k ∈ K e supponiamo f (σk) = f (m). Poichè f (σk) = σ 0 f (k) 6= 00 , abbiamo che
m non può essere 0. Esiste quindi un n tale che m = σn e quindi f (m) = σ 0 f (n), e, per
l’assioma N2 applicato a σ 0 abbiamo che σ 0 f (n) = σ 0 f (k) implica f (n) = f (k). Poiché
k ∈ K, abbiamo infine n = k e m = σk. Questo conclude la dimostrazione che f è
iniettiva
Quest’ultimo teorema può essere enunciato in modo equivalente dicento che la teoria
costituita dagli assiomi di Peano è categorica.
Il Teorema 7.4 ha spesso la seguente forma un po’ più complessa.
Teorema 7.6 [Definizione per Induzione 2] Sia hN, 0, σi un modello di N1, N2 e PI,
X un insieme, a un elemento di X, e ϕ una funzione da N × X in X. Allora esiste
un’unica funzione f da N in X con le seguenti proprietà: (1) f (0) = a, (2) per ogni
n ∈ N , f (σn) = ϕ(n, f (n)).
Omettiamo la dimostrazione che può essere svolta in modo analogo a quella del Teo-
rema 7.4: la funzione f viene definita come l’intersezione di tutti gli insiemi W che
contengono h0, ai e chiusi per l’operazione hn, xi ∈ W ⇒ hσn, ϕ(n, x)i ∈ W .
Per tale funzione valgono le uguaglianze f (n, 0) = fn (0) = an = h(n) e f (n, σm) =
fn (σm) = ϕn (fn (m)) = g(n, fn (m)) = g(n, f (n, m)). Le condizioni (1) e (2) sono dunque
verificate dalla funzione f .
Se f 0 : N × N → N è un’altra funzione che verifica (1) e (2), per ogni naturale n possiamo
considerare la funzione fn0 definita da fn0 (m) = f 0 (n, m). Per l’unicità delle funzioni fn
deve essere fn0 = fn per ogni naturale n, da cui segue f 0 = f .
Siamo ora in grado di definire l’operazione di somma ponendo, nel Teorema 7.7, g(n, m) =
σ(m) e h(n) = n. In questo modo, la funzione f , che indicheremo con f+ , risulta definita
da:
(1) f+ (n, 0) = n
(7.9)
(2) f+ (n, σ(m)) = σf+ (n, m)
Dobbiamo ora dimostrare che f+ gode effettivamente delle proprietà della funzione somma.
Si osservi per esempio che la definizione di f+ (n, m) non è simmetrica nelle variabili m e
n, per cui non è immediato concludere la commutatività di f+ .
Proposizione 7.8 [Associatività di +] Per ogni n, m, k, f+ (n, f+ (m, k)) = f+ (f+ (n, m), k).
Per (1) in (7.9), f+ (n, f+ (m, 0)) = f+ (n, m) = f+ (f+ (n, m), 0). Dunque 0 ∈ K. Sup-
posto k ∈ K, usando (2) in (7.9) e l’ipotesi induttiva, abbiamo f+ (n, f+ (m, σk)) =
i.i.
f+ (n, σf+ (m, k)) = σf+ (n, f+ (m, k)) = σf+ (f+ (n, m), k) = f+ (f+ (n, m), σk); per cui
anche σk ∈ K.
Esercizio 7.13 (i) Dimostrare che n = f+ (n, m) se e solo se m = 0. (ii) Dimostrare che
f+ (n, m) = 0 se e solo se n = m = 0.
Proposizione 7.14 [Tricotomia per +] Dati i numeri naturali n e m, vale una ed una
solo delle seguenti alternative:
(i) n = m;
Esercizio 7.18 [Associatività di ×] Per ogni n, m, k, f× (n, f× (m, k)) = f× (f× (n, m), k).
31
Esercizio 7.24 Dimostrare che la relazione d’ordine sui naturali è compatibile con som-
ma e prodotto.
Definizione 7.25 Sia ≺ una relazione binaria sull’insieme S. Diciamo che hS, ≺i è un
buon ordinamento (o che ≺ bene ordina S) se ≺ è un ordine stretto e ogni sottoinsieme
non vuoto di S ha minimo.
Osserviamo che un buon ordinamento è anche un ordine lineare. Dati infatti due elementi
distinti x1 e x2 di X, l’insieme {x1 , x2 } ha minimo, e quindi x1 ≺ x2 , oppure x2 ≺ x1 .
Esercizio 7.27 Dimostrare che l’ordine totale stretto hS, ≺i è un buon ordinamento se e
solo se non esistono catene discendenti infinite, cioè successioni s0 s1 · · · sn . . . .
Esercizio 7.28 Siano hS1 , ≺1 i e hS2 , ≺2 i buoni ordinamenti e sia S1 ∩S2 = ∅. Sia hS, ≺i
la struttura in cui S = S1 ∪ S2 e
s ≺ s0 se e solo se s, s0 ∈ S1 e s ≺1 s0
oppure s, s0 ∈ S2 e s ≺2 s0
oppure s ∈ S1 e s0 ∈ S2
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che il sottoinsieme non vuoto A di N non abbia
minimo. Poniamo
K = {n ∈ N : n < m per ogni m ∈ A}
0 ∈ K. Infatti 0 ≤ m per ogni naturale m e 0 6∈ A, altrimenti 0 sarebbe il minimo di A.
Supponiamo ora n ∈ K, cioè n < m per ogni m in A. Per il punto (iii) della Proposizio-
ne 7.23, abbiamo σn ≤ m per ogni m in A, da cui segue σn < m per ogni m in A perché
altrimenti σn sarebbe il minimo di A. Dunque σn ∈ K e K = N . Per concludere basta
ora osservare che K ∩ A = ∅ (altrimenti avremmo m < m per qualche m in A) e quindi
A = ∅.
Il fatto che N sia bene ordinato da < è di fatto equivalente al Principio di Induzione (v.
Teorema 7.32). Un’ulteriore formulazione dello stesso principio viene fornita dal seguente
teorema.
Lemma 7.31 Sia hS, ≺i un buon ordinamento e sia s ∈ S. (1) Se esiste x tale che s ≺ x,
allora s ha un unico immediato successore; (2) s ha al più un immediato predecessore.
Teorema 7.33 Sia hS, ≺i un ordine lineare stretto che verifica PI0 . Allora hS, ≺i è un
buon ordinamento.
34
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che il sottoinsieme non vuoto A di S non abbia
minimo. Sia X = S \ A. Mostriamo che X verifica l’antecedente di PI0 . Dato s ∈ S,
supponiamo s0 ∈ X per ogni s0 ≺ s. Dalla linearità di ≺ segue s s00 per ogni s00 ∈ A.
Poiché A non ha minimo, abbiamo s 6∈ A, e quindi s ∈ X. Per PI0 possiamo concludere
X = S che contraddice le ipotesi A 6= ∅.
(N1) ∀n (σn 6= 0)
(N3) ∀n (n + 0 = n)
(N5) ∀n (n · 0 = 0)
(N6) ∀n, m (n · σm = n + n · m)
Ovviamente questa assiomatizzazione è ridondante, nel senso che abbiamo visto preceden-
temente come somma, prodotto e relazione d’ordine possano essere definite usando esclu-
sivamente la funzione successore. Nella pratica matematica conviene comunque spesso
trascurare questioni di economia di principi in favore di una maggiore chiarezza espositi-
va. È anche importante osservare che N3-N7 sono le stesse formule che abbiamo usato
come definizioni della somma, del prodotto, e della relazione d’ordine. È naturale che
sia cosı̀: avendo nuove nozioni primitive (+, ·, ≤) abbiamo bisogno di nuovi assiomi che
stabiliscano come queste nozioni siano collegate alle precedenti (0, σ), ed il collegamen-
to è proprio quello precedentemente espresso dalle definizioni. Infine, i risultati del §7.4
mostrano come avremmo potuto usare anche altre formulazioni del Principio di Induzione.
formule del primo ordine. In questo modo si ottiene una teoria del primo ordine perché
tutti gli altri assiomi, diversi da Principio di Induzione, sono formule le primo ordine.
Conviene chiarire immediatamente che la teoria ottenuta in questo modo non può avere
le stesse proprietà dalla precedente. La differenza più evidente è che la prima è categorica
(Teorema 7.5), mentre, in base al Teorema di Löwenheim-Skolem, ogni teoria del primo
ordine con un modello infinito non può essere categorica. La nozione di α-categoricità,
tuttavia, porta a chiedersi se non possano essere isomorfi i modelli di una fissata cardinalità
di una teoria del primo ordine dei numeri naturali. In particolare risulteranno interessanti
i modelli numerabili, per cui il problema riguarda l’eventuale ℵ0 -categoricità di quella
teoria. Anche in questo caso la risposta è negativa, e la dimostrazione (che non può
basarsi sul Teorema di Löwenheim-Skolem) usa una costruzione ad hoc ed il Teorema di
Compattezza Semantica.
Abbiamo già osservato (Osservazione 2.11) che, in una data interpretazione, una formula
in cui tutte le variabili sono vincolate (enunciato) può essere vera oppure falsa, mentre
la verità di formule con qualche variabile libera in generale dipende dal valore assegnato
a tale variabile. Data quindi un’interpretazione hD, Ii per un dato linguaggio L ed una
formula ϕ(x) di L in cui x sia l’unica variabile libera, possiamo considerare l’insieme
Xϕ(x) costituito da tutti gli elementi d di D che rendono vera ϕ(x) quando ad x venga
assegnato il valore d. Come casi limite abbiamo Xx=x = D e Xx6=x = ∅. Applicando
le precedenti considerazioni alla struttura hN, 0, σ, +, ·, ≤i, abbiamo per esempio che, se
ϕ(x) è ∃n(n + n = x) allora Xϕ(x) è l’insieme dei numeri pari, mentre, per ϕ(x) = ∃n(x =
n · σσσ0), Xϕ(x) è l’insieme dei multipli di 3. D’ora in avanti ci riferiremo esclusivamente
a strutture hN, 0, σ, +, ·, ≤i, e quindi le formule ϕ saranno formule del linguaggio, che
indicheremo con L1N , per queste strutture.
La singola istanza del Principio di Induzione relativa all’insieme Xϕ(x) può essere espressa
dalla formula
PIϕ(x) (ϕ(0) ∧ ∀k(ϕ(k) → ϕ(σk))) → ∀n ϕ(n)
che può essere letta come: se la formula ϕ(x) è verificata da x = 019 ed è verificata per
x = σk ogniqualvolta è verificata per x = k, allora ϕ(x) è verificata da ogni numero
naturale.
Un’assiomatizzazione al primo ordine dell’aritmetica può dunque consistere degli assiomi
(del primo ordine) N1-7 del §7.5 e di tutte le formule del tipo PIϕ(x) , dove ϕ(x) è una
formula del primo ordine del linguaggio per hN, 0, σ, +, ·, ≤i in cui x è l’unica variabile
libera. Si osservi che con queste ipotesi ogni istanza di PIϕ(x) è un enunciato.20 In questo
caso quindi la teoria assiomatica include uno schema d’assiomi, cioè un insieme infinito di
enunciati aventi tutti la stessa forma. Possiamo dunque dire che gli assiomi dell’aritmetica
al primo ordine sono N1-7 e
SI (Schema d’Induzione) { PIϕ(x) : ϕ(x) è una formula di L1N }
19
Questo è un modo semplice per dire che ϕ(x) è verificata quando a x viene assegnato il valore 0.
20
Talvolta incontriamo anche formulazioni di PIϕ(x) in cui ϕ contiene altre variabili libere ol-
tre ad x, in cui cioè scriviamo questa formula come ϕ(x, y1 , . . . , yn ). In tal caso PIϕ(x) diventa
∀y1 , . . . , yn [(ϕ(0, y1 , . . . , yn ) ∧ ∀k(ϕ(k, y1 , . . . , yn ) → ϕ(σk, y1 , . . . , yn ))) → ∀n ϕ(n, y1 , . . . , yn )].
36
Indicheremo con TN1 la teoria avente come assiomi N1-7 e tutte le istanze di SI.
Gli insiemi del tipo Xϕ(x) vengono chiamati insiemi definibili. Lo schema SI esprime
quindi tutte le istanze dl Principio di Induzione relative ad insiemi definibili. È abbastanza
facile convincersi, in base alla seguente proposizione, che il Principio di Induzione al
secondo ordine è più espressivo di questo schema di assiomi.
Notazione. Fino a questo punto abbiamo usato gli stessi simboli (0, σ, n, m . . . ) per
indicare sia i simboli del linguaggio sia gli elementi dell’interpretazione (v. Osservazio-
ne 7.1). Ora invece conviene sottolineare anche formalmente la differenza tra i due aspetti.
21
È importante osservare che abbiamo dimostrato solo che N0 è contenuto in N . Come vedremo più
avanti la dimostrazione dell’uguaglianza N0 = N richiede il principio di induzione nella forma forte PI.
Esistono infatti modelli di TN1 in cui N0 è contenuto propriamente in N .
22
Questo insieme è ovviamente infinito. Ogni insieme costituito dal singolo numero naturale k, per
esempio, viene definito da x = σ . . . σ0, dove σ viene applicato k volte.
37
Manterremo quindi gli stessi simboli per l’interpretazione, ma per il linguaggio useremo
simboli diversi (più vicini al formalismo logico). Il linguaggio L1N avrà quindi il simbolo
per costante c0 (che verrà interpretato in 0), il simbolo per funzione unaria hσ (che verrà
interpretato in σ). Avranno pure le ovvie interpretazioni i simboli per funzioni binarie
h+ e h× , e il simbolo per relazioni binaria R≤ . Per non confondere gli elementi delle
interpretazioni di L1N con le variabili di questo linguaggio, indicheremo queste ultime con
v, w, v1 , . . . , anziché con n, m . . . come abbiamo fatto finora.
Consideriamo ora il linguaggio L∗N ottenuto aggiungendo una nuova costante, c, ad L1N ;
nelle formule di L∗N abbiamo quindi che, oltre a c0 ed alle varibili, può comparire anche c
come termine elementare. Per ogni naturale n ∈ N0 , scriveremo n per indicare il termine
hσ . . . hσ c0 dove hσ è ripetuto n volte. L’espressione n, che viene chiamata numerale, è
dunque un termine del linguaggio, la cui interpretazione in N0 è σ . . . σ0, cioè il numero
n.
Sia Φ∗0 l’insieme di formule di L∗N definito da
Φ∗0 = Φ0 ∪ { m 6= c : m ∈ N0 } (8.14)
è vera in N0 . Infatti ψ asserisce che, per ogni naturale n0 , vale il Principio di Induzione
per l’insieme dei k ∈ N0 tali che ϕ(v, w) è verificata assegnando rispettivamente k e n0 a
v e w. Quindi ψ appartiene a Φ0 ed è vera anche in N ∗ . Per una elementare legge logica
risulta vera in N ∗ anche la formula
Dimostrazione. Se Im(f ) fosse definibile dalla formula ϕ(v), allora, per PIϕ(v) , avremmo
Im(f ) = N ∗ .
Basta ora tenere presente che ogni eventuale isomorfismo tra N0 e N ∗ deve avere le pro-
prietà di f per concludere che questi due modelli di TN1 non sono isomorfi. I modelli di TN1
che, come N ∗ , non sono isomorfi a N0 sono chiamati modelli non-standard dell’aritmetica.
Poiché N ∗ è numerabile abbiamo che esistono modelli non standard numerabili e quindi
vale il seguente teorema.
Possiamo ora studiare alcune proprietà del modello non standard N ∗ . La tecnica usata
sarà sostanzialmente sempre la stessa: poiché N ∗ è modello anche di Φ0 , per (8.13)
ogni formula del primo ordine vera nel modello standard dovrà essere vera anche in N ∗ .
Questo permetterà di ricavare altre proprietà di questa struttura. Conviene chiamare
naturali standard gli elementi di Im(f ) e naturali non standard gli elementi di N ∗ \ Im(f ).
Useremo le lettere m, n, k, . . . per indicare i naturali standard, le lettere a, b, c, . . . per i
naturali non standard, e le lettere x, y, z, . . . per arbitrari elementi di N ∗ . L’elemento c∗
di N ∗ è un naturale non standard.
Figura 1
0q∗ q q q q . . . . . . q
Im(f ) c∗
Il fatto che ogni naturale abbia un unico successore e che ogni elemento di N ∗ diverso da
0∗ abbia un unico predecessore viene espresso da formule del primo ordine (Esercizio).
La struttura N ∗ conterrà quindi σ ∗ c∗ e σ ∗−1 c∗ . Ovviamente σ ∗ può essere applicata
anche a σ ∗ c∗ per cui possiamo iterare l’applicazione di σ ∗ un arbitrario numero finito di
volte. Anche l’applicazione di σ ∗−1 può essere iterata perché, per la proprietà (f) nella
Proposizione 8.6, il predecessore di ogni naturale non standard è ancora un naturale non
standard e quindi in particolare è diverso da 0∗ . Infine, per (g) nella Proposizione 8.6, non
esistono σ ∗ -cicli. Possiamo dunque associare a c∗ un insieme Zc∗ di naturali non standard
che, come insieme ordinato, è isomorfo all’insieme Z degli interi. Dalle considerazioni
precedenti segue anche Im(f ) ∩ Zc = ∅. La Figura 2 è una rappresentazione di N ∗ più
precisa della Figura 1, seppure ancora parziale.
40
Figura 2
0q∗ q q q q . . . . . . ... q q q q q ...
Im(f ) Zc∗
Ogni naturale può essere raddoppiato: ciò corrisponde alla formula ∀v ∃w (w = h+ (v, v)).
Possiamo quindi considerare il naturale (non standard, perché maggiore di c∗ ) uguale a
c∗ +∗ c∗ e che possiamo chiamare 2c∗ . In base a successive applicazioni di σ ∗ e σ ∗−1 a 2c∗
possiamo considerare anche la copia Z2c∗ di Z in N ∗ .
Dimostrazione. Ogni elemento x di Zc∗ può essere scritto nella forma (σ ∗ )k c∗ o nella
forma (σ ∗−1 )k c∗ , per un opportuno k, e analogamente per gli elementi di Z2c∗ . Se, per
assurdo, x ∈ Zc∗ ∩ Z2c∗ , combinando opportunamente le espressioni di x del tipo visto
sopra, ricaviamo che, essendo c∗ <∗ 2c∗ , esiste un naturale standard m tale che c∗ +∗ c∗ =
(σ ∗ )m c∗ . Ogni formula della forma ∀v, w(w = (hσ )m (v) → h+ (v, m) = w) è vera in N0 e
quindi in N ∗ . Se v e w vengono interpretati rispettivamente in c∗ e (σ ∗ )m c∗ , otteniamo
c∗ +∗ c∗ = (σ ∗ )m c∗ = c∗ +∗ (σ ∗ )m 0∗ , da cui segue c∗ = (σ ∗ )m 0∗ (osservando che la Legge
di Cancellazione viene espressa da una formula del primo ordine). Ma ciò contraddice il
fatto che c∗ sia non standard.
È chiaro a questo punto che N ∗ contiene infinite copie di Z a due a due disgiunte. Dalla
dimostrazione del lemma precedente abbiamo inoltre il seguente risultato.
Corollario 8.8 Dati due naturali non standard a e b in N ∗ , essi appartengono ad una
stessa copia di Z se e solo se esiste un naturale standard n tale che a = n +∗ b oppure
b = n +∗ a.
Detta Za la copia di Z che contiene a, possiamo definire in modo naturale una relazione
d’ordine stretto sull’insieme degli Za ponendo
Za ≺ Zb se solo se Za 6= Zb e a <∗ b
Per quanto visto finora, l’insieme degli Za non ha massimo. Per verificare che non ha
neanche minimo basta considerare la formula
che asserisce che ogni numero naturale o il suo successore può essere diviso per due. Questa
formula è ovviamente vera nel modello standard, e quindi anche in N ∗ . Esiste quindi un
∗ ∗ ∗ ∗ ∗
elemento di N ∗ , che possiamo indicare con c2 , tale che c2 + c2 = c∗ oppure c2 + c2 = σ ∗ c∗ .
∗
Con una dimostrazione simile a quella del Lemma 8.7, possiamo concludere che c2 è un
numero naturale non standard e che la corrispondente copia di Z non interseca Zc∗ (v.
Figura 3).
41
Figura 3
0q q q q q . . . . . . ... q q q q q ... ... q q q q q ... ... q q q q q ...
Im(f ) Z c∗ Zc∗ Z2c∗
2
Infine, possiamo considerare la formula che esprime l’esistenza della ‘media’ di due numeri
interi:
∀v1 , v2 , ∃w(h+ (w, w) = h+ (v1 , v2 ) ∨ h+ (w, w) = hσ (h+ (v1 , v2 )))
dove, come nel caso della divisione per due, abbiamo dovuto tener presente che la somma
dei due numeri potrebbe essere dispari. Questa formula è vera in N0 e dunque anche in
N ∗ . Dati quindi i naturali non standard a e b, possiamo considerare l’elemento di N ∗
la cui esistenza viene stabilita dalla precedente formula quando v1 e v2 vengono interpre-
tate rispettivamente in a e b. Possiamo indicare tale elemento con a+b 2
e considerare la
corrispondente copia di Z.
Esercizio 8.9 Dimostrare che, per ogni coppia a e b di naturali non standard, se Za = Zb
allora Z a+b = Za , mentre, se Za ≺ Zb allora Za ≺ Z a+b ≺ Zb
2 2
Questo risultato conclude lo studio della struttura di N ∗ come insieme ordinato. Oltre
ad una parte iniziale (Im(f )) isomorfa a N0 , N ∗ contiene infinite copie Za di Z sulle
quali è possibile definire una relazione d’ordine stretto. Questo ordine è senza massimo,
senza minimo e denso e quindi, essendo la struttura numerabile, è isomorfo all’ordine dei
razionali.
A1 ∀n(0 6= σn)
A2 ∀m, n(σm = σn → m = n)
1
Indichiamo con TN,σ la teoria basata su questi assiomi. Ogni assioma (e quindi ogni
teorema) di questa teoria è vero nella struttura N0 che tuttavia non è l’unico suo modello.
Come nella parte precedente di questa sezione possiamo considerare modelli in cui esistono
elementi a 6∈ N0 . Chiamiamo ancora numeri non-standard questi nuovi elementi.
standard; (3) I è un insieme arbitrario di indici e ogni hZi , σi è isomorfo alla struttura
dei numeri interi; (4) se i 6= j, Zi e Zj sono disgiunti.
1
Proposizione 8.11 Gli assiomi A1-3 di TN,σ sono indipendenti, e per nessun valore di
k A4k è deducibile da A1-3, A4.1, . . . ,A4.k−1.
1
Corollario 8.12 L’insieme dei teoremi di TN,σ non è finitamente assiomatizzabile, non
1
esiste cioè nessun insieme finito di assiomi da cui siano deducibili tutti i teoremi di TN,σ .
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista una teoria T , con un insieme finito
1
{B1 , . . . , Bn } di assiomi (non necessariamente assiomi di TN,σ ), in grado di dimostrare
1
tutti i teoremi di TN,σ .
Le due teorie sono cioè equivalenti, e quindi in particolare ogni assioma Bi sarà teorema di
1
TN,σ . Poiché ogni dimostrazione coinvolge un numero finito di formule, possiamo indicare
1
con Ai,1 , . . . , Ai,ki gli assiomi di TN,σ coinvolti nella dimostrazione di Bi in questa teoria.
1∗
Consideriamo la teoria TN,σ avente come assiomi tutti gli Ai,j (1 ≤ i ≤ n, 1 ≤ j ≤ ki ).
1 1∗
Tutti i teoremi di T (e quindi di TN,σ ) sono anche teoremi di TN,σ che ha un numero finito
di assiomi. Ma ciò contraddice la Proposizione 8.11.
1
Proposizione 8.13 Se N1 e N2 sono modelli non numerabili di TN,σ ed hanno la stessa
cardinalità, allora N1 e N2 sono isomorfi.
1
Teorema 8.14 La teoria TN,σ è α-categorica per ogni α non numerabile.
44
1
Corollario 8.15 La teoria TN,σ è sintatticamente completa.
1
Dimostrazione. Per il teorema precedente e la Proposizione 6.6, tenendo presente che TN,σ
non ha modelli finiti.
Corollario 8.16 Per ogni enunciato ϕ di L1N,σ , ϕ è vero nella struttura standard N0 se
1
e solo se è dimostrabile in TN,σ .
1 1
Dimostrazione. La struttura N0 è modello di TN,σ , e dunque ogni teorema di TN,σ è vero
1 1 1
in N0 . Inversamente, se TN,σ 6` ϕ, allora TN,σ ` ¬ϕ per la completezza sintattica di TN,σ ,
e quindi ϕ non è vero in N0 .
Definizione 8.17 Una teoria assiomatica T ammette eliminazione dei quantificatori se,
per ogni formula ϕ, esiste una formula ψ, in cui non compaiono quantificatori, tale che
T ` ϕ ↔ ψ.
1
Dimostreremo che TN,σ ammette eliminazione dei quantificatori. In base al Corollario 8.16
sarà sufficiente mostrare che, per ogni formula ϕ, esiste una formula ψ, in cui non com-
paiono quantificatori, tale che N0 |= ϕ ↔ ψ. D’ora in avanti quindi, parleremo di formule
1
ϕ e ψ equivalenti intendendo sia TN,σ ` ϕ ↔ ψ, sia N0 |= ϕ ↔ ψ.24
Enunciamo preliminarmente un risultato sulle logiche del primo ordine. Chiamiamo let-
terale ogni formula atomica, o negazione di formula atomica. Nel caso di L1N,σ , dove non
abbiamo simboli per relazioni, i letterali saranno quindi le formule del tipo t1 = t2 o
t1 6= t2 , dove t1 e t2 sono termini. Essendo poi 0 l’unica costante e σ l’unica funzione, i
termini saranno solo del tipo σ n 0 o σ n x, con x variabile e n ≥ 0.
Proposizione 8.19 Ogni formula del primo ordine è equivalente ad una formula in forma
normale prenessa congiuntiva e ad una formula in forma normale prenessa disgiuntiva.
24
Spesso problemi relativi all’eliminazione dei quantificatori sono riferiti a ‘teorie’ intese come insiemi
di formule chiusi per deducibilità, e quindi non necessariamente teorie ‘assiomatiche’. L’esempio più
frequente è “l’insieme degli enunciati veri in una data interpretazione I”, per cui la definizione dell’elimi-
nazibilità dei quantificatori è che, per ogni formula ϕ esiste una formula ψ senza quantificatori tale che
I |= ϕ ↔ ψ.
45
Lemma 8.20 Se una teoria del primo ordine T ammette eliminazione dei quantificatori
per formule del tipo ∃x(ψ1 ∧ · · · ∧ ψn ) con ψi letterali, allora T ammette eliminazione dei
quantificatori.
esplicitamente questo risultato perché non abbiamo dato una definizione rigorosa di de-
cidibilità. Alcune osservazioni intuitive possono tuttavia presentare adeguatamente il
risultato. Osserviamo preliminarmente che la costruzione della formula senza quantifica-
tori nella dimostrazione del Teorema 8.21 è basata su una procedura effettiva che permette
di costruire quella formula con un numero finito di passaggi. Sempre per quella dimostra-
zione, inoltre, la formula ottenuta non ha più variabili libere della formula ϕ di partenza.
Un enunciato risulta quindi equivalente ad un enunciato ψ senza quantificatori, in cui
cioè non compaiono variabili. Tenendo presente ora i simboli di L1N,σ , ψ non è altro che
la combinazione di formule del tipo σ m 0 = σ k 0 con gli operatori ∧, ∨ e ¬. La verità delle
formule costruite in questo modo è determinabile in un numero finito di passaggi (con le
tavole di verità). Abbiamo quindi che la verità in N0 per le formule di L1N,σ (che equivale
1
alle dimostrabilità in TN,σ ) risulta decidibile.25
Diciamo che A ⊆ X è cofinito se A, il complementare X \ A di A in X, è finito.
Lemma 8.22 I sottoinsiemi di N0 definibili nel linguaggio L1N,σ sono i sottoinsiemi finiti
e cofiniti.
Dimostrazione. Consideriamo una formula ϕ(x) con l’unica variabile libera x. Per il
Teorema 8.21 possiamo supporre che ϕ(x) non contenga quantificatori, e quindi sia com-
binazione, per mezzo degli operatori ∧, ∨ e ¬, di formule atomiche σ k t1 = σ m t2 in cui
compare al più la variabile x. Ogni formula di questo tipo definisce un insieme con al
più un elemento, quindi un insieme finito, oppure l’intero N0 . Le operazioni insiemistiche
corrispondenti agli operatori ∧, ∨ e ¬ sono intersezione, unione, e complementazione. Ba-
sta quindi osservare che applicando queste operazioni a insiemi finiti o cofiniti, otteniamo
ancora insiemi finiti o cofiniti.
Dimostrazione. Con l’operazione di somma possiamo definire l’insieme dei numeri pari:
∃y(y + y = x). Ma questo insieme non è finito né cofinito. Quindi il risultato segue dal
lemma precedente.
Dimostrazione. (i) ⇒ (ii). Supponiamo A 6∈ U. Allora, per la proprietà (2) dei filtri,
B 6⊆ A e dunque B ∩ A 6= ∅ per ogni B ∈ U. Quindi U ∪ {A} ha la PIF26 ed è contenuto
in un filtro F, ma per (i) F = U e A ∈ U.
(ii) ⇒ (iii). Supponiamo Ai 6∈ U per ogni i ≤ n. La proprietà (ii) implica Ai ∈ U per ogni
i e quindi A0 ∩ · · · ∩ An ∈ U, ma A0 ∩ · · · ∩ An = A0 ∪ · · · ∪ An e quindi A0 ∪ · · · ∪ An 6∈ U.
(iii) ⇒ (i). Sia U un filtro che verifica (iii) e supponiamo U ⊆ F. Mostriamo che ogni
elemento di F è anche elemento di U. Dato A ∈ F, A ∪ A ∈ U e quindi A ∈ U oppure
A ∈ U. Ma la seconda alternativa non può verificarsi perché U ⊆ F.
L’insieme dei sottoinsieme cofiniti di X per esempio può essere esteso ad un ultrafiltro
che non è principale.
Esercizio 9.11 Dimostrare che un ultrafiltro non è principale se e solo se contiene tutti
gli insiemi cofiniti.
I prodotti diretti di strutture non funzionano bene per conservare la verità delle formule.
Non è difficile infatti costruire esempi di enunciati che risultano veri in ogni Ij , ma falsi
nel prodotto diretto I.
Supponiamo per esempio che ogni RIj sia una relazione di ordine totale che indichiamo
con ≤j . Indicando con ≤ la relazione RI , in base a (9.17) abbiamo che f ≤ g se e
solo se, per ogni j ∈ J, f (j) ≤j g(j). Per la totalità degli ordini ≤j , l’enunciato ϕ =
49
∀x, y (R(x, y) ∨ R(y, x)) è vero in ogni Ij . Supponiamo ora che gli insiemi J e Dj abbiano
almeno due elementi. Esistono quindi f, g ∈ D tali che: per qualche j, f (j) 6≤j g(j) e,
per altri k, f (k) 6≤k g(k). Da ciò segue f 6≤ g e g 6≤ f , e dunque I 6|= ϕ. Per conservare la
verità degli enunciati abbiamo bisogno di costruzioni più complesse del prodotto diretto.
Sia ϕ(v1 , . . . , vn ) una formula le cui variabili libere appartengono all’insieme {v1 , . . . , vn }
e consideriamo gli elementi f1 , . . . , fn di D. Siamo interessati all’
insieme degli indici j tali che la formula ϕ(v1 , . . . , vn ) risulta vera in Ij quando le
variabili v1 , . . . , vn vengono valutate rispettivamente in f1 (j), . . . , fn (j).
Osservazione 9.13 Nel precedente lemma abbiamo considerato solo formule costruite
solo usando ¬, ∧ e ∃. Non è una scelta restrittiva perché (come abbiamo osservato nella
nota 6) gli altri operatori possono essere definiti usando questi. In tutto il capitolo quindi
considereremo formule costruite in questo modo.
Esercizio 9.14 Sia ϕ(v) una formula con l’unica variabile libera v e siano f e g elementi
di D. Mostrare che
||v1 = v2 [f, g] || ∩ ||ϕ(v)[f ] || ⊆ ||ϕ(v)[g] ||
Suggerimento. Per (9.18), il fatto che j appartenga o meno a ||ϕ(v)[f ] || dipende solo dal
valore di f in j.
Lemma 9.15 Sia ϕ(v, v) una formula con variabili libere in {v, v1 , . . . , vn } e siano f1 , . . . , fn
elementi di D. Allora esiste g ∈ D tale che
||∃v, ϕ(v, v)[f ] || = ||ϕ(v, v)[g, f ] ||
Dimostrazione. Per semplicità di scrittura supponiamo che v sia l’unica variabile libera
in ϕ, per cui le n-uple v e f sono vuote. La dimostrazione nel caso generale è identica.
Consideriamo un buon ordinamento di D.27 Abbiamo dunque D = {fβ : β < α}, dove α
è un opportuno ordinale. Per ogni β < α poniamo
[
Xβ = ||ϕ(v)[fβ ] || \ ||ϕ(v)[fη ] ||
η<β
Gli insiemi Xβ sono per costruzione sottoinsiemi di J a due a due disgiunti. Poiché unioni
S
di funzioni con domini disgiunti sono ancora funzioni, l’unione β<α fβ |Xβ delle restrizioni
S
delle fβ a Xβ è una funzione con dominio β<α Xβ . Sia g un qualsiasi elemento di D
che estende questa funzione. Per ogni β < α abbiamo quindi g|Xβ = fβ |Xβ . Quindi
Xβ ⊆ ||v1 = v2 [g, fβ ] || e, per l’Esercizio 9.14,
||ϕ(v)[g] || ⊇ ||v1 = v2 [g, fβ ] || ∩ ||ϕ(v)[fβ ] || ⊇ Xβ
da cui segue [
||∃v ϕ(v)|| = Xβ ⊆ ||ϕ(v)[g] ||
β<α
Esercizio 9.16 Dimostrare che la relazione ∼U è una relazione di equivalenza. (Si osservi
che è sufficiente supporre che U sia un filtro).
Teorema 9.18 (Teorema di Loś) Sia ϕ una formula di L con variabili libere nell’in-
sieme {v1 , . . . , vn } (= {v}). Per ogni n-upla f1 , . . . , fn (= f ) di elementi di D,
I/U |= ϕ ⇔ {j ∈ J : Ij |= ϕ} ∈ U
⇔ ||ψ(v)[f ] || 6∈ U ⇔ ||ϕ(v)[f ] || ∈ U
dove nella penultima equivalenza abbiamo usato l’ipotesi induttiva e, nell’ultima, abbiamo
usato l’uguaglianza ||ψ(v)[f ] || = J \ ||ϕ(v)[f ] || (Lemma 9.12) e il fatto che U sia un
ultrafiltro.
Caso 2: ϕ è ψ ∧ χ. Allora
Questo risultato può essere generalizzato all’ultraprodotto di arbitrari insiemi infiniti bene
ordinati. Una conseguenza è un risultato già visto nell’Esercizio 4.5: la proprietà di
essere un buon ordinamento non è esprimibile da formule del primo ordine (altrimenti
tale proprietà dovrebbe essere conservata dagli ultraprodotti).
{ϕ}
g ⊆ {∆ ∈ J : I∆ |= ϕ}
Y
da cui segue {∆ ∈ J : I∆ |= ϕ} ∈ U e I∆ /U |= ϕ per il Teorema 9.18.
∆∈J
54
10 Teorema di Ramsey
La prima parte di questa sezione è tratta da [Boolos and Jeffrey, 1980]. Il Teorema di
Ramsey riguarda un problema di combinatoria. Consideriamo un insieme finito X e
indichiamo con [X]r l’insieme dei sottoinsiemi di X con esattamente r elementi. Sia
{C1 , . . . , Cs } una arbitraria partizione di [X] ; abbiamo cioè Ci = [X]r e Ci ∩ Cj = ∅
r
S
Esempio 10.1 Sia r = 2. Allora possiamo pensare gli elementi di X come i vertici di
un poligono e [X]2 come l’insieme dei lati e delle diagonali di quel poligono. Sia s = 2.
Ciò vuol dire che dividiamo [X]2 in due insiemi disgiunti C1 e C2 . Se n = 3, il problema
diventa: esiste sottoinsieme Y di X con 3 elementi tale che i segmenti aventi estremi in
Y sono tutti in C1 oppure oppure tutti in C2 ?
Mostriamo che se X ha 6 elementi, allora la risposta è positiva. Sia A un elemento di
X. Da A partono 5 tra lati e diagonali, e quindi almeno tre di questi sono in C1 o in
C2 . Supponiamo che AB, AC, AD, siano in C1 . Se BC ∈ C1 allora Y = {A, B, C}. Se
BD ∈ C1 allora Y = {A, B, D}. Se CD ∈ C1 allora Y = {A, C, D}. Se nessuna delle
precedenti alternative vale, allora abbiamo BC ∈ C2 , BD ∈ C2 , e CD ∈ C2 , e in questo
caso Y = {B, C, D}.
Una volta fissati i valori r, s, e n, l’esistenza dell’insieme Y in (10.21) dipende dal numero
di elementi di X.
Definizione 10.2 Il Numero di Ramsey R(r, s, n) è il minimo numero naturale tale che,
per ogni X con R(r, s, n) elementi, e per ogni partizione {C1 , . . . , Cs } di [X]r , esiste un
Y ⊆ X che verifica (10.21).
Dimostrazione. V. §10.1.
Nel seguito converrà identificare una partizione {C1 , . . . , Cs } di [X]r con una funzione
f : [X]r → {1, . . . , s}: Ci = f −1 {i}. In questo modo la proprietà dell’insieme Y in (10.21)
può essere espressa da f [[Y ]r ] = {i}.
55
NRm esiste un insieme X con m elementi ed una funzione f : [X]4 → {1, 2, 3} tale
che, per ogni sottoinsieme Y di X con 5 elementi, esistono Z1 , Z2 , Z3 ∈ [Y ]4 tali che
f (Z1 ) 6= 1, f (Z2 ) 6= 2, f (Z3 ) 6= 3.
Si osservi che l’ultima parte di NRm dice proprio che f [[Y ]4 ] non è un singoletto {i} come
vorrebbe il Teorema di Ramsey.
Il prossimo passaggio è quello di esprimere NRm per mezzo di una formula di un op-
portuno linguaggio L del primo ordine. Oltre ai simboli logici e all’uguaglianza, questo
linguaggio ha tre simboli per relazioni a 4 argomenti: R1 , R2 , R3 . Il significato che verrà
attribuito alla formula Ri (x, y, z, t) è “l’elemento {x, y, z, t} di [X]4 appartiene all’i-esima
componente della partizione”, o, nella notazione introdotta sopra, f ({x, y, z, t}) = i.
Sulla base di queste considerazioni V possiamo dare un senso alle seguenti formule dove
Dist(x1 , . . . , xk ) è la formula 1≤i<j≤k xi 6= xj , e quindi è vera quando x1 , . . . , xk vengono
interpretati su k oggetti distinti.
Le seguenti formule ϕ1 e ϕ2 esprimono il fatto che R1 , R2 , R3 determinano una partizione
di [X]4 .
def
ϕ1 = ∀x, y, z, t (Dist(x, y, z, t) ↔ R1 (x, y, z, t) ∨ R2 (x, y, z, t) ∨ R3 (x, y, z, t))
def
ϕ2 = ∀x, y, z, t [(R1 (x, y, z, t) → (¬R2 (x, y, z, t) ∧ ¬R3 (x, y, z, t)) ∧
(R2 (x, y, z, t) → (¬R1 (x, y, z, t) ∧ ¬R3 (x, y, z, t)) ∧
(R3 (x, y, z, t) → (¬R1 (x, y, z, t) ∧ ¬R1 (x, y, z, t))]
L’insieme [X]4 è costituito da quaterne non ordinate e quindi l’appartenenza di una qua-
terna (a, b, c, d) ad un insieme Ci non dipende dall’ordine in cui i quattro elementi sono
presentati. Anche questo fatto può essere espresso da una formula di L. Per la relazione
Ri abbiamo:
def
ϕ3,i = ∀x, y, z, t [(Ri (x, y, z, t) → (Ri (x, y, t, z) ∧ · · · ∧ Ri (z, t, y, x)]
dove nella congiunzione a destra di → compaiono tutte le permutazioni di x, y, z, t.
Indichiamo con ϕ3 la formula ϕ3,1 ∧ ϕ3,2 ∧ ϕ3,3 .
Ora dobbiamo esprimere il fatto che in NRm viene negato il Teorema di Ramsey nel caso
n = 5. Ciò significa che, considerato un arbitrario insieme Y con 5 elementi, non può
succedere che tutti i sottoinsiemi di Y con 4 elementi appartengano allo stesso elemento
della partizione. Equivalentemente, possiamo dire che, per ogni elemento della partizione,
esiste una quaterna ad elementi in Y che non appartiene a quell’elemento. Tenendo pre-
sente che gli elementi della partizione vengono rappresentati nel linguaggio dalle relazioni
Ri , poniamo:
def
ϕ4,i = ∀x, y, z, t, w [Dist(x, y, z, t, w) → ¬(Ri (x, y, z, t) ∨ ¬Ri (x, y, z, w) ∨ . . . ]
56
dove a destra di → abbiamo la disgiunzione di tutte le formule del tipo ¬Ri (x1 , x2 , x3 , x4 )
con x1 , x2 , x3 , x4 elementi distinti dell’insieme {x, y, z, t, w}. Si osservi inoltre che la
quantificazione “per ogni Y con 5 elementi” viene rappresentata dalla quantificazione
∀x, y, z, t, w (con la successiva clausola Dist(x, y, z, t, w)). Indichiamo con ϕ4 la formula
ϕ4,1 ∧ ϕ4,2 ∧ ϕ4,3 .
Infine, consideriamo la formula che esprime l’esistenza di almeno k oggetti:
def
ψ k = ∃x1 , . . . , xk Dist(x1 , . . . , xk )
Poniamo:
Ψk = {ϕ1 , . . . , ϕ4 , ψ k } e Ψ = {ϕ1 , . . . , ϕ4 } ∪ {ψ k : k ∈ N}
Dimostrazione. Per il Corollario 10.6, se non vale la tesi possiamo considerare un modello
numerabile I = hD, Ii di Ψ. Non è restrittivo supporre D = N. Come nella dimostrazione
57
Esercizio 10.9 Dimostrare che, se U e V sono ultrafiltri non principali, allora anche
U ⊗ V non è principale.
Lemma 10.11 Se U è un ultrafiltro non principale su N, allora, per ogni r > 0 e ogni
A ∈ U ⊗r , esiste un sottoinsieme infinito X di N tale che [X]r ⊆ A.
APPENDICI
59
A Tautologie
Le tautologie sono le formule che risultano vere per la loro struttura logica (proposizionale).
Supponiamo che una formula ϕ sia costruita per mezzo delle formule ϕ1 , . . . , ϕn per mezzo
degli operatori logici proposizionali ¬, ∧, ∨, →, e ↔ (cioè senza usare ∀ o ∃), e che sia
noto il valore di verità (V o F) di ϕ1 , . . . , ϕn . In tal caso il valore di verità di ϕ può essere
determinato induttivamente per mezzo delle cosiddette Tavole di Verità:
Diciamo che la formula ϕ è una tautologia se risulta avere sempre il valore di verità V
indipendentemente dai valori di verità delle sue componenti ϕ1 , . . . , ϕn . Nel caso in cui
il valore di verità di ϕ risulti costantemente F diremo che ϕ è una contraddizione. Dalla
prima tabella di verità risulta immediatamente che A è una tautologia se e solo se ¬A è
una contraddizione, e viceversa.
Risultano in particola tautologie le formule
B Insiemi
In questa appendice vedremo, senza dimostrazioni, alcuni risultati e definizioni basilari
di teoria degli insiemi. Per le dimostrazioni, che verranno svolte nella seconda parte del
corso, si può vedere [Lolli, 1994].
28
Oltre a questi assiomi e regole dobbiamo ovviamente assumere che gli operatori ∧, ∨ e ↔ siano definiti
tramite ¬ e → nel modo indicato sopra.
60
Diciamo che l’insieme X ha cardinalità minore o uguale all’insieme Y (in simboli card(X) ≤
card(Y )) quando esiste una funzione iniettiva da X in Y . Diciamo che X e Y hanno la
stessa cardinalità (card(X) = card(Y )) quando esiste una funzione biiettiva da X su
Y . Con card(X) < card(Y ) intendiamo valgono simultaneamente card(X) ≤ card(Y ) e
card(X) 6= card(Y ).
Le precedenti definizioni forniscono una nozione di cardinalità relativa, nel senso che per-
mettono di confrontare la ‘grandezza’ di due insiemi dati. Non viene però introdotta una
nozione assoluta di cardinalità: l’espressione card(X), da sola, non ha nessun significato.
Nella seconda parte del corso verrà definita una nozione assoluta di cardinalità (Card)
associando ad ogni insieme un opportuno insieme cardinale.
Esistono insiemi X più che numerabili, cioè tali che card(N) < card(X). Uno di questi
insieme è ℘(N), l’insieme potenza di N, cioè l’insieme di tutti i sottoinsiemi di N. In
generale abbiamo che per ogni insieme X, card(X) < card(℘(X)) (Teorema di Cantor).
Un insieme più che numerabile che incontriamo quotidianamente in matematica è R. Si
dimostra infatti che card(℘(N)) = card(R). La seguente proposizione dice sostanzialmente
che operazioni insiemistiche tra insiemi di cardinalità infinita diversa lasciano inalterata
la cardinalità maggiore. In particolare il numerabile è trascurabile rispetto al più che
numerabile.
29
Un’altra definizione, più elegante perché non usa l’insieme dei numeri naturali, è quella dovuta a
Dedekind: un insieme X è infinito se esiste una corrispondenza biunivoca tra X e un suo sottoinsieme
proprio. Le due definizioni risultano equivalenti.
61
Unioni e prodotti cartesiani di insiemi con la stessa cardinalità non variano la cardinalità.
Dalla proposizione precedente ricaviamo quindi:
Il Lemma di Zorn, è un principio in Teoria degli Insiemi che non è deducibile dagli usuali
assiomi perché equivalente all’Assioma di Scelta. Per enunciare questo principio abbiamo
bisogno di una definizione.
Lemma di Zorn Sia hS, i un insieme ordinato tale che ogni S 0 ⊆ S totalmente ordinato
da abbia maggiorante in S. Allora, per ogni s ∈ S esiste un s0 massimale tale che
s s0 .
Riferimenti bibliografici
[Bell and Machover, 1977] Bell, J. and Machover, M. (1977). A Course in Mathematical
Logic. North-Holland.
[Boolos and Jeffrey, 1980] Boolos, G. and Jeffrey, R. (1980). Computability and Logic.
Cambridge University Press.
[Cohen and Ehrlich, 1963] Cohen, L. and Ehrlich, G. (1963). The Structure of the Real
Number System. van Nostrand.
[Feferman, 1964] Feferman, S. (1964). The Number Systems - Foundations of Algebra and
Analysis. Addison-Wesley.
62
[Fiori and Invernizzi, 2009] Fiori, C. and Invernizzi, S. (2009). Numeri Reali. Pitagora.
[Zanardo, 2014] Zanardo, A. (2014). Costruzione della struttura dei numeri reali.
Dispensa, http://www.math.unipd.it/~azanardo/Fond_Mat/Reali_2013_14.pdf.
Indice analitico
[x]r , 54 contraddizione, 10, 59
ℵ0 , 18
α-categoricità, 18 decidibilità, 12
L, 5 densità, 4
TN , 23 dipendenza, 11
I, 6 distributività, 3
|=, 7 dominio, 6
A, 46 eliminazione dei quantificatori, 44
`, 5 enunciato, 6
A
B, 6
cI , fIn , RIn , 6 filtro, 47
filtro di Frechet, 47
adeguatezza, 21 filtro principale, 47
algebrici, reali, 20 finitamente assiomatizzabile, 43
antisimmetria, 3 forma normale prenessa, 44
arietà, 5
assioma, 2 gruppi, 2
Assioma di Scelta, 61
Assiomi di Peano, 22 immediato predecessore, 33
associatività, 2 immediato successore, 33
indipendenza, 11
back-and-forth, 20 Induzione, Definizione per, 25, 27
buon ordinamento, 32 insieme potenza, 60
insiemi definibili, 36
campi ordinati, 3 interpretazione, 6
Campi Ordinati Completi, 3 isomorfismo, 16
campo, 2
cardinalità, 60 Löwenheim-Skolem, 15
categoricità, 17 Lemma di Zorn, 61
coerenza, 9 letterale, 44
cofinito, 46 libera, variabile, 6
commutatività, 3 linearità, 3
compatibilità dell’ordine con il prodotto, 3 linguaggi del primo ordine, 5
compatibilità dell’ordine con l’addizione, 3 linguaggio formale, 4
compatibilità di ≤ con le operazioni, 3
Compattezza Semantica, 14 maggiorante, 61
Compattezza Sintattica, 10 massimale, 61
completezza, 3 modelli non-standard, 38
completezza semantica, 20 modello, 9
completezza sintattica, 21 modello standard, 36
consistente, 10 naturali (non) standard, 38
contraddittorietà, 9 numerabile, insieme, 60
63
64
numerale, 37
Numero di Ramsey, 54
ordine totale, 3
Ramsey, Teorema, 54
regole di verità, 7
riflessività, 3
tautologia, 59
tavole di verità, 59
teorema, 2
Teorema di Loś, 51
termini, 5
totalità, 3
transitività, 3
trascendenti, reali, 20
ultrafiltro, 47
ultrafiltro principale, 47
ultrafiltro prodotto, 57
ultrapotenza, 51
ultraprodotto, 51
valutazione, 7
vincolata, variabile, 6