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BARTHES Luomo raciniano Ci sono tre mediterranei in Racine: lantico, lebraico e il bizantino.

. I grandi luoghi tragici sono terre aride, rinserrate tra il mare e il deserto, ombra e sole portati allo stato assoluto. Lhabitat raciniano conosce un solo sogno di fuga: il mare, le vele (in Iphignie tutto un popolo resta prigioniero della tragedia perch non si alza il vento). La Camera. Bench la scena sia unica, conforme alla regola, si pu dire che ci sono tre luoghi tragici. C innanzitutto la Camera: resto dellantro mitico, essa il luogo invisibile e temibile in cui sannida la Potenza. Questantro ha un sostituto frequente: lesilio del Re, minaccioso perch non si sa mai se il Re vivo o morto. Di questo luogo indefinito i personaggi parlano solo con rispetto e terrore, osano appena entrarvi. Questa Camera a un tempo lalbero del Potere e la sua essenza, perch il Potere altro non che un segreto: la sua forma esaurisce la sua funzione: pu uccidere perch invisibile: in Bajazet sono i muti e il nero Orcan a portare la morte. La Camera contigua al secondo luogo tragico, che lAnti-Camera, spazio eterno di tutte le soggezioni, poich il luogo dove si aspetta. LAnti-Camera (la scena propriamente detta) una zona di trasmissione; essa partecipa contemporaneamente dellinterno e dellesterno; presa tra il mondo, luogo dellazione, e la Camera, luogo del silenzio, lAnti-Camera lo spazio del linguaggio: qui luomo tragico, sperduto fra la lettera e il senso delle cose d ice le sue ragioni. Tra la Camera e lAnti-Camera, c un oggetto tragico che esprime in modo minaccioso la contiguit e insieme lo scambio, lo sfiorarsi del cacciatore e della sua preda, ed la Porta. Vi si veglia, vi si trema; varcarla una tentazione e una trasgressione: tutta la potenza di Agrippine si gioca alla porta di Nerone. La Porta ha un sostituto attivo, richiesto quando il Potere vuole spiare lAnti -Camera o paralizzare il personaggio che vi si trova, ed il Velo (Britannicus): il Velo palpebra, simbolo dello Sguardo mascherato, cosicch lAnti-Camera un luogooggetto completamente accerchiato da uno spazio-soggetto. Il terzo luogo tragico lEsterno. DallAnti-Camera allEsterno non vi transizione; sono attaccati come la Camera e lAnti-Camera. I muri del Palazzo affondano nel mare, le scale conducono a navi pronte a partire, i bastioni sono un balcone posto

immediatamente al di sopra della battaglia, e se ci sono passaggi segreti, non fanno gi pi parte della tragedia, sono gi fuga. Cos la linea che divide la tragedia dalla sua negazione tenue, quasi astratta; la tragedia a un tempo prigione e protezione contro limpuro, contro tutto ci che non la tragedia. I tre spazi esterni: morte, fuga, evento. LEsterno infatti lestensione della nontragedia; contiene tre spazi: quello della morte, quello della fuga, quello dellEvento. La morte fisica non appartiene mai allo spazio tragico: si dice che sia per rispetto della biensance; ma quello che la biensance scarta nella morte carnale un elemento estraneo alla tragedia, una impurit, lo spessore di una realt scandalosa in quanto non rientra pi nellordine del linguaggio, che il solo ordine tragico: nella tragedia non si muore mai, perch si parla sempre. E inversamente, uscire dalla scena per leroe, in un modo o nellaltro, morire. E questo movimento il modello di tutta una serie di esiti in cui al carnefice basta congedare o allontanare la preda per farla morire, come se il solo contatto dellaria esterna dovesse dissolverla o folgorarla: quante vittime raciniane muoiono cos, per non essere pi protette da quel luogo tragico che pure, a loro dire, le faceva soffrire mortalmente. Limmagine essenziale di questa morte esterna, in cui la vittima si consuma lentamente fuori dellaria tragica, lOriente bereniceo, dove gli eroi sono chiamati senza fine nella non-tragedia. Pi in generale, trapiantato fuori dello spazio tragico, luomo raciniano si annoia, e la noia qui un evidente sostituto della morte: tutte le condotte che sospendono il linguaggio fanno cessare la vita. Il secondo spazio esterno quello della fuga: ma la fuga non mai nominata se non dalla casta inferiore dei familiari; i confidenti e le comparse non cessano di raccomandare agli eroi la fuga su una di quelle innumerevoli navi che incrociano davanti a ogni tragedia raciniana per farle presente quanto sia facile e vicina la sua negazione. LEsterno del resto uno spazio consegnato e assegnato a tutto il personale non-tragico, una sorta di ghetto alla rovescia, nel senso che lampiezza dello spazio che diventa tab, mentre la reclusione un privilegio: qui va e di qui viene quella folla di confidenti, domestici, messi, matrone e guardie, incaricati di nutrire la tragedia di eventi. Dunque sono i segretari ufficiosi a preservare leroe dal contatto profano col reale, trasmettendogli levento solo quando ammantato, ridotto allo stato di causa pura. E questa la terza funzione dello spazio esterno:

tenere latto in una sorta di quarantena in cui pu penetrare solo una popolazione neutra, incaricata di vagliare gli avvenimenti, di estrarre da ciascuno lessenza tragica, di portare in scena solo frammenti di esterno purificati sotto forma di notizie, nobilitati sotto forma di resoconti. Perch nei confr onti di quellordine del solo linguaggio che la tragedia, latto coincide con limpurit. La disparit fisica dei due spazi, linterno e lesterno, risulta nel modo pi evidente da un curioso fenomeno di distorsione temporale descritto da Racine in Bajazet: tra il tempo esterno e il tempo al chiuso, c il tempo del messaggio, per cui non si mai certi che lavvenimento ricevuto sia lo stesso che lavvenimento verificatosi: lavvenimento esterno insomma non mai finito, non completa la sua trasformazione: chiuso nellAnti-Camera, col solo nutrimento esterno apportatogli dal confidente, leroe vive in una irrimediabile incertezza. Dunque la topografia raciniana convergente: tutto concorre verso il luogo tragico. Lorda. Leroe tragico il rinchiuso, colui che non pu uscire senza morire: il suo limite il suo privilegio, la cattivit il suo contrassegno. Alcuni autori hanno affermato che nei tempi pi remoti della nostra storia gli uomini vivevano in orde selvagge; ogni orda era asservita al maschio pi vigoroso, che possedeva indistintamente donne, bambini e beni. La forza del padre impediva ai figli di ottenere le donne, sorelle o madri che essi desideravano. Se per disgrazia provocavano la gelosia del padre, venivano spietatamente uccisi, castrati o scacciati. Cos, a detta di questi autori, i figli finirono con lassociarsi per uccidere il padre e prenderne il posto. Ucciso il padre, la discordia scoppi tra i figli; essi si disputarono aspramente la sua eredit, e solo dopo un lungo periodo di lotte fratricide arrivarono a fondare tra loro unalleanza ragionevole: ognuno rinunci a desiderare la madre o le sorelle: il tab dellincesto era istituito. In questa storia, anche se non che un romanzo, c tutto il teatro di Racine. Vi si ritroveranno: il padre, proprietario incondizionato della vita dei figli (Teseo, Agrippina); le donne, madri, sorelle e amanti nello stesso tempo, sempre desiderate, raramente ottenute (Andromaca, Giunia); i fratelli, sempre nemici perch si disputano leredit di un padre che non completamente morto e ritorna per punirli (Nerone e Britannico); infine il figlio, diviso fino alla morte fra il terrore del padre e la necessit di distruggerlo (Pirro, Nerone). Lincesto, la rivalit tra

fratelli, luccisione del padre, la rivolta dei figli, ecco le azioni fondamentali del teatro raciniano. I due Eros. Nellorda primitiva i rapporti umani si ordinano sotto due principali categorie: il rapporto di concupiscenza e il rapporto di autorit; sono le stesse che si ritrovano ossessivamente in Racine. Allo stesso modo ci sono due Eros raciniani. Il primo nasce tra gli amanti che hanno una lunghissima comunanza di vita: sono stati allevati insieme, si amano (o uno ama laltro) sin dallinfanzia (Britannico e Giunia, Antioco e Berenice, Bajazet e Atalide). Sono stati gli stessi genitori a fondare la legittimit di questo amore: lamante una sorella nei confronti della quale il desiderio autorizzato. Questo amore si potrebbe definire Eros sororale; il suo avvenire placido. Laltro Amore, al contrario, un amore immediato; nasce dimprovviso, si manifesta come un evento assoluto, e ci viene generalmente espresso da un brutale passato remoto (lo vidi, ella mi piacque). Questo Eros-Evento quello che avvince Nerone a Giunia, Berenice a Tito, Rossana a Bajazet, Fedra a Ippolito. Leroe viene afferrato, avvinto come in un raptus, e questa presa sempre di ordine visivo: amare vedere. I due Eros sono incompatibili, non si pu passare dalluno allaltro, dallamore al rapimento (che sempre condannato) allamoredurata (che sempre sperato): questa una delle forme fondamentali dello scacco raciniano. Senza dubbio lamante infelice pu sempre cercare di surrogare lEros immediato con una sorta di sostituto dellEros sororale; pu ad esempio enumerare le ragioni che ha laltro di amarlo, fare appello a una causalit; pu immaginare che laltro, a forza di vederlo, lo amer, che la coesistenza, fondamento dellamore sororale, finir per produrre questo amore. Ma sono appunto delle ragioni, cio un linguaggio destinato a mascherare lo scacco inevitabile. Lamore sororale dato piuttosto come unutopia, una lontananza molto antica o futura. Non sappiamo niente n dellet n della bellezza degli innamorati raciniani, ma conosciamo le norme dellepoca: si poteva dichiarare il proprio amore a una damigella di quattordici anni senza che se ne potesse offendere, e che la donna brutta dopo che ha compiuto trentanni. Ma la bellezza raciniana astratta: si potrebbe dire che la bellezza un segno di classe, non una disposizione anatomica:

nessuno sforzo in direzione di quella che si potrebbe chiamare loggettivit del corpo. Tuttavia lEros raciniano (Eros immediato) non mai sublimato; sorto da una pura visione, simmobilizza nella fascinazione perpetua del corpo avverso, riproduce allinfinito la scena originale che lo ha formato; il racconto che ne fanno questi eroi al loro confidente non evidentemente uninformazione ma un vero e proprio protocollo ossessivo; del resto in Racine lamore si distingue cos poco dallodio. Quello che Racine esprime in modo immediato lalienazione, non il desiderio. Ci evidente se si esamina la sessualit raciniana, che di situazione pi che di natura. Nel teatro raciniano non ci sono caratteri ( quindi vano discutere sullindividualit dei personaggi), ci sono solo situazioni, nel senso quasi formale del termine: ogni cosa trae il suo essere dal posto che occupa nella costellazione generale delle forze e delle debolezze. La divisione del mondo raciniano in forti e deboli, in tiranni e prigionieri, in qualche modo coestensiva alla divisione dei sessi; una determinata situazione nel rapporto di forza che versa gli uni nella virilit e gli altri nella femminilit, senza riguardo al loro sesso biologico (ci sono femmine viriloidi, come Agrippina, e uomini feminoidi, come Ippolito, desiderato da Fedra e per di pi vergine). Le costellazioni cambiano poco nella tragedia, e la sessualit generalmente immobile. Inversamente, i personaggi, che per condizione sono fuori da ogni rapporto di forza non hanno sesso. Confidenti, domestici, consiglieri non accedono mai allesistenza sessuale. Ed evidentemente negli esseri pi manifestamente asessuati che si dichiara lo spirito pi contrario alla tragedia, lo spirito vitale: solo lassenza di sesso pu autorizzare a definire la vita non come un rapporto critico di forze ma come una durata, e questa durata come un valore. Il sesso un privilegio tragico nella misura in cui il primo attributo del conflitto originale: non sono i sessi a fare il conflitto, ma il conflitto a definire i sessi. Il turbamento. LEros raciniano dunque costituito dallalienazione. Ne consegue che il corpo umano non trattato in termini plastici, ma in termini magici. Come abbiamo visto, n let n la bellezza hanno alcuno spessore: il corpo raciniano essenzialmente affanno, defezione, disordine. Gli abiti hanno il compito di teatralizzare lo stato del corpo: pesano se c colpa, si sfanno se c smarrimento; il

gesto che qui resta implicito la messa a nudo, la dimostrazione simultanea della colpa e della seduzione, perch in Racine il disordine carnale sempre in qualche modo ricatto, tentativo di impietosire. Tale la funzione implicita di tutti i turbamenti fisici, indicati con tanta abbondanza da Racine: il rossore, il pallore, il brusco succedere delluno allaltro, i sospiri, infine il pianto, di cui noto il potere erotico; si tratta sempre di una realt ambigua, a un tempo rifugio e ricatto: in breve il disordine raciniano essenzialmente un segno, cio un segnale e una comminazione. Laffanno pi spettacolare quello che raggiunge luomo raciniano nel linguaggio. Linterdizione di parola frequentissima nelleroe raciniano: essa esprime perfettamente la sterilit del rapporto erotico, la sua immobilit: per poter rompere con Berenice, Tito si fa afasico. Fuggire la parola significa fuggire il rapporto di forza, fuggire la tragedia: solo gli eroi estremi possono toccare questo limite, da cui il loro compagno di tragedia li richiama al pi presto possibile, costringendoli in qualche modo a ritrovare un linguaggio. Il mutismo ha una corrispondente gestuale, lo svenimento, o almeno la sua versione nobile, laccasciamento. Si tratta sempre di una sorta di atto bilingue: come fuga, la paralisi tende a negare lordine tragico; come ricatto, partecipa ancora al rapporto di forza. Ogni volta che un eroe raciniano ricorre al disordine corporeo, si ha quindi linizio di una malafede tragica: leroe gioca dastuzia con la tragedia. Naturalmente, il turbamento un privilegio delleroe tragico, perch solo lui impegnato in un rapporto di forza. I confidenti possono partecipare allaffanno del padrone (pi spesso tentare di calmarlo), ma non dispongono mai del linguaggio rituale, una governante non sviene. LEros raciniano insomma mette i corpi in presenza per disfarli. La vista del corpo avverso toglie controllo e misura al linguaggio. Leroe raciniano non arriva mai a un comportamento giusto di fronte al corpo altrui: la frequentazione reale sempre uno scacco. Lunico momento in cui lEros raciniano felice quando irreale: il corpo avverso felicit solo quando immagine; i momenti riusciti dellerotica raciniana sono sempre ricordi. La <scena> erotica. LEros raciniano non si esprime in altra forma che nel racconto. Limmaginazione sempre retrospettiva e il ricordo ha sempre lacutezza di unimmagine. Il nascere di un amore rievocato come una vera e propria scena: il

ricordo cos ordinato che perfettamente disponibile, lo si pu richiamare a piacimento. Cos Nerone rivive il momento in cui stato preso dallamore per Giunia, Andromaca quello in cui Pirro si offerto al suo odio (perch lodio non segue processo diverso da quello dellamore), Fedra commossa di ritrovare in Ippolito limmagine di Teseo. Vi come una sorta di trance: il passato ridiventa presente restando tuttavia organizzato come ricordo; il soggetto vive la scena senza essere sopraffatto n deluso da essa. La retorica classica aveva una figura per esprimere questa immaginazione del passato, lipotiposi, in cui limmagine tien luogo della cosa: non si potrebbe dare migliore definizione del fantasma. Queste scene erotiche infatti sono vere e propri fantasmi, richiamati per alimentare il piacere o lasprezza, e soggetti a tutto un protocollo di ripetizione. Dunque, nellerotica raciniana il reale incessantemente soggetto a una delusione: il ricordo fruisce delleredit del fatto: e trascina. Il vantaggio di questa delusione che limmagine erotica pu essere aggiustata. Ogni fantasma raciniano presuppone una combinazione di luce e ombra. Lorigine dellombra la cattivit. Il tiranno vede la prigione come unombra in cui sommergersi e aver pace. Tutte le prigioniere raciniane sono delle vergini mediatrici e consolatrici; danno alluomo il respiro. Pirro trova in Andromaca lombra per eccellenza, quella della tomba, dove gli amanti sprofondano in una pace comune; per Nerone, incendiario, Giunia lombra e lacqua insieme (il pianto); Bajazet un essere dombra, confinato nel Serraglio; Fedra, figlia del Sole, desidera Ippolito, luomo dellombra vegetale, delle foreste. Dappertutto si riproduce la stessa costellazione, del sole inquietante e dellombra benefica. Lombra qui un tema di scioglimento, di effusione, e tale esattamente lutopia delleroe raciniano, per cui il male la costrizione. Lombra daltra parte associata a unaltra sostanza effusiva, il pianto. Il rapitore dombra anche un rapitore di lacrime: per Britannico, prigioniero, quindi anche lui ombroso, le lacrime di Giunia sono una testimonianza damore; per Nerone, solare, queste stesse lacrime lo nutrono alla maniera di uno strano, prezioso alimento; non sono pi segno ma immagine, oggetto distaccato dalla loro intenzione, di cui ci si pu pascere in s, nella loro sola sostanza, come di un nutrimento fantasmatico. Nel Sole, invece, denunciata la discontinuit. La quotidiana apparizione dellastro una ferita inferta allambiente naturale della Notte; laddove lombra pu durare, il Sole non conosce che uno sviluppo critico, per colmo di disgrazia inesorabilmente

ripetuto. Indubbiamente, se il sole arriva a uniformarsi, a temperarsi, a contenersi in qualche modo, pu ritrovare una tenuta paradossale, lo splendore. Il <tenebroso> raciniano. Limmagine riproduce lantagonismo del carnefice e della vittima; un conflitto dipinto, teatralizzato; la scena erotica teatro nel teatro, cerca di rendere il momento pi vivo ma anche pi fragile della lotta, quello in cui lombra sta per essere penetrata di fulgore. Perch nel fantasma raciniano non la luce a essere inondata dombra: lombra non invade. E il contrario: lombra trascorsa dalla luce, lombra si corrompe, resiste e si abbandona. In questa pura sospensione in cui il sole fa vedere la notte senza ancora distruggerla, consiste quello che si potrebbe definire il tenebroso raciniano, vale a dire movimento bloccato, offerto a una lettura infinitamente ripetuta. I grandi quadri raciniani presentano sempre questo grande combattimento dellombra e della luce: da un lato la notte, le ombre, le ceneri, le lacrime, il sonno, il silenzio, la dolcezza timida, la presenza continua; dallaltro, tutti gli oggetti dello stridore: le armi, le aquile, i fasci, le torce, gli stendardi, le grida, le vesti smaglianti, il lino, la porpora, loro, lacciaio, il rogo, le fiamme, il sangue. Fra queste due classi di sostanze, la minaccia sempre incombente di uno scambio, che Racine esprime con il verbo relever, per designare latto costitutivo del tenebroso. Si spiega, allora, la presenza in Racine di qualcosa che potremmo definire un feticismo degli occhi. Per loro natura, gli occhi sono luce offerta allombra: offuscati dalla prigione, appannati dalle lacrime, volti al cielo. E un gesto che stato spesso trattato dai pittori, come simbolo dellinnocenza martirizzata, e in Racine ha indubbiamente questo senso. E chiaro perch limmagine cos costituita abbia un potere traumatico: esterna alleroe in quanto ricordo, gli rappresenta il conflitto in cui egli si trova coinvolto come un oggetto. Il tenebroso raciniano costituisce una vera fotogenia, non solo perch loggetto vi appare purificato dai suoi elementi inerti, in modo che in esso tutto splende; ma anche perch, dato come un quadro, sdoppia lattore-tiranno, fa di lui uno spettatore, gli permette di ricominciare senza fine davanti a se stesso latto sadico. Tutta lerotica raciniana fatta di questo sdoppiamento; Nerone, il cui Eros puramente immaginario, organizza instancabilmente fra s e Giunia unidentica scena, in cui attore e spettatore a un tempo, e chegli regola fin nei suoi intoppi sottilissimi, traendo piacere da un ritardo nel chiedere perdono per le lacrime provocate e disponendo infine, grazie al ricordo, di un oggetto sottomesso

e inflessibile a un tempo. Cos il quadro raciniano sempre una vera e propria anamnesi: leroe cerca instancabilmente di risalire alla fonte del suo scacco; ma, poich questa fonte il suo stesso piacere, si fissa nel suo passato: Eros per lui una forza retrospettiva: limmagine viene ripetuta, mai superata. Il rapporto fondamentale. Il conflitto, in Racine, non un conflitto amoroso, quello che pu contrapporre due esseri dei quali luno ama e laltro no, ma un rapporto di autorit, lamore serve solo a rivelarlo. Il rapporto amoroso molto fluido, problematico, mascherato; il rapporto di autorit, al contrario, costante e esplicito; non tocca soltanto una coppia nel corso di una tragedia, ma pu rivelarsi frammentariamente qua e l; lo ritroviamo sotto forme diverse: in Bajazet per esempio il rapporto di autorit si sdoppia: Amurat ha potere illimitato su Rossana, che ha potere illimitato su Bajazet; in Brnice, al contrario, la doppia equazione si scinde: Tito ha ogni potere su Berenice (ma non lama); Berenice ama Tito (ma non ha alcun potere su di lui). Dunque, il teatro di Racine non un teatro damore: il suo soggetto luso di una forza in seno a una situazione generalmente amorosa: a questa situazione presa nel suo insieme Racine d il nome di violenza; il suo teatro un teatro della violenza. I sentimenti reciproci dei soggetti non hanno altro fondamento se non la situazione originaria entro cui sono posti per una specie di petizione di principio, che veramente latto creatore del poeta: uno potente, laltro suddito, uno tiranno, laltro schiavo, e a questo rapporto corrisponde una vera e propria contiguit: i soggetti sono rinchiusi nello stesso luogo, dunque lo spazio tragico a fondare la tragedia. A parte questa disposizione, il conflitto resta sempre immotivato e i moventi visibili di un conflitto sono illusori. Il sentimento va a cercare nellaltro la sua essenza, non i suoi attributi: a forza di odiarsi i personaggi raciniani arrivano a essere (es. Nerone non pu sopportare che la madre sia fisicamente sul suo stesso trono). Lassassinio del resto contenuto il germe proprio in questo essere l dellaltro: ostinatamente ridotto a una orribile costrizione spaziale, il rapporto umano non pu chiarirsi se non ripulendosi: bisogna che chi occupa una posizione ne scompaia, bisogna che la visuale sia sgombrata: laltro un corpo ostinato che bisogna possedere o distruggere. Il radicalismo della soluzione tragica discende

dalla semplicit del problema iniziale: ogni tragedia sembra consistere in un volgare non c posto per due. Il conflitto tragico una crisi di spazio. Dato che lo spazio chiuso, la relazione immobile. In un certo senso la maggior parte delle tragedia di Racine sono violenze virtuali: loppresso non sfugge alloppressore se non con la morte, il delitto, la calamit o lesilio. Unalternativa viene a sospendere luccisione, a immobilizzarla: A per cos dire bloccato fra la bruta uccisione e limpossibile generosit; secondo lo schema sartriano classico quello che loppressore vuol possedere con la forza la libert delloppr esso; in altre parole loppressore prigioniero di un paradosso insolubile: se possiede, distrugge, se riconosce, si frustra; non pu scegliere fra un potere assoluto e un amore assoluto, fra la violenza e loblazione. La tragedia precisamente la rappresentazione di questa immobilit. Un buon esempio di questa dialettica impotente il rapporto di riconoscenza che lega la maggior parte delle coppie raciniane. Situata in un primo tempo nel cielo della morale pi sublime, la gratitudine si rivela ben presto come un veleno. Il mondo raciniano un mondo fortemente contabilizzato, dove si computano continuamente obbligazioni e favori: per esempio, Nerone, Tito, Bajazet, si devono ad Agrippina, Berenice, Rossana: la vita delloppresso di propriet delloppressore di fatto e di diritto. Ma proprio perch il rapporto obbligatorio esso anche bloccato: Nerone uccider Agrippina perch le deve il trono. La necessit in qualche modo matematica di essere riconoscente designa il luogo e il momento della ribellione: lingratitudine la forma obbligata della libert. Indubbiamente in Racine questa ingratitudine non sempre dichiarata: Tito vuole salvare le forme nel mostrarsi ingrato; ma essa difficile perch vitale, perch concerne la vita stessa delleroe; infatti, il modello dellingratitudine raciniana filiale: leroe deve essere riconoscente verso il suo tiranno, esattamente come il bambino verso i genitori che gli hanno dato la vita. Ma per la stessa ragione, essere ingrato nascere di nuovo. Formalmente lobbligazione un vincolo, vale a dire, in termini raciniani, il segnale stesso dellintollerabilit: non lo si pu rompere che con una vera scossa, con una detonazione catastrofica. Tecniche di aggressione. Tale il rapporto di autorit: il tiranno e il suddito sono stretti luno allaltro, vivono luno per laltro, traggono il loro essere dalla situazione in cui si trovano in rapporto allaltro.

Tutte le offensive delloppressore mirano a dare alloppresso lessere stesso del nulla: si tratta insomma di far vivere laltro come nullit, di carpirgli continuamente il suo essere, e di fare di questa condizione defraudata il nuovo essere delloppresso. Per esempio: loppressore crea interamente loppresso, lo trae fuori dal nulla e torna a immergervelo a piacimento (come fa Rossana con Bajazet); oppure provoca in lui una crisi di identit. O ancora, loppressore d alloppresso la vita di un puro riflesso; si sa che il tema dello specchio, o del doppio, sempre un tema di frustrazione: questo tema abbonda in Racine: Nerone il riflesso di Agrippina, Antioco quello di Tito, Atalide quello di Rossana; c del resto un oggetto raciniano che esprime questa soggezione speculare, il velo: loppressore si nasconde dietro un velo come la sorgente di unimmagine sembra celarsi dietro uno specchio. O ancora, loppressore rompe linvolucro delloppresso con una sorta di aggressione poliziesca: Agrippina vuol possedere i segreti di suo figlio, Nerone trapassa Britannico, ne fa una pura trasparenza; persino Aricia vuol far esplodere in Ippolito il segreto della sua verginit, come si fa saltare un guscio. Il tiranno d per riprendere, ecco la sua tecnica essenziale di aggressione; cerca di infliggere al suddito il supplizio di una soddisfazione interrotta. Agrippina nasconde a Claude morente il pianto di suo figlio, Giunia sfugge a Nerone nel momento stesso in cui egli crede di averla in suo potere, Ermione gode a nascondere Andromaca a Pirro, Nerone impone a Giunia di gelare Britannico. La frustrazione pu essere anche una sorta di derivazione, di furto, o di indebita attribuzione: Antioco, Rossana, ricevono i pegni di un amore che non per loro. Larma comune di tutti questi annientamenti lo Sguardo: guardare laltro significa disorganizzarlo, poi fissarlo nel suo disordine, cio mantenerlo nellessere stesso della sua nullit. La reazione del suddito sta tutta nella sua parola, che qui veramente larma del debole. Il suddito creca di raggiungere il tiranno parlando la propria infelicit. La prima aggressione del suddito il lamento: ricorre ad esso per sommergere il suo signore; un lamento dellingiustizia, non dellinfelicit; ci si lamenta per reclamare, ma si reclama senza ribellarsi; implicitamente si prende il Cielo a testimone, cio si fa del tiranno un oggetto sotto lo sguardo di Dio. Il lamento di Andromaca il modello di tutti questi lamenti raciniani. La seconda arma del suddito la minaccia di morte. E un prezioso paradosso: nella tragedia, che un ordine profondo dello scacco, la morte, che pur potrebbe sembrare lo scacco supremo, non mai seria. Qui la morte un nome, la parte di

una grammatica. Molto spesso la morte non che un modo per indicare lo stato assoluto di un sentimento, una sorta di superlativo destinato a significare un colmo. La leggerezza con cui il personale tragico tratta lidea della morte, denuncia unumanit ancora infantile, in cui luomo non ancora pienamente compiuto. La morte tragica non tremenda; il pi delle volte una vuota categoria grammaticale. Essa si contrappone, del resto, al morire: in Racine c una sola morte-durata: quella di Fedra. Tutte le altre morti sono, in realt, ricatti, elementi di unaggressione. In primo luogo c la morte cercata, la cui responsabilit lasciata al caso, al pericolo, alla divinit, con leffetto, il pi delle volte, di coniugare i vantaggi delleroismo guerresco e quelli di un suicidio differito. Una variante pi discreta di questa morte cercata quella fine misteriosa che rischia di coronare una sofferenza intollerabile, per una sorta di patologia non troppo scientifica: una morte intermedia fra la malattia e il suicidio. In sostanza leroe vuole morire per rompere una situazione, e questa volont la chiama gi morte. Ma la morte tragica pi frequente, perch pi aggressiva, evidentemente il suicidio. Il suicidio una minaccia diretta rivolta contro loppressore, rappresentazione viva della sua responsabilit, ricatto o punizione. Cos, anche quando c morte reale, non mai una morte immediata: leroe ha sempre i l tempo di parlare la sua morte, leroe classico non scompare mai senza unultima replica. La natura aggressiva del suicidio si manifesta pienamente nel sostituto che Giunia gli trova: facendosi vestale, Giunia muore a Nerone, ma a Nerone soltanto: essa compie una morte perfettamente selettiva, che va a colpire e che frusta solo il tiranno. E in conclusione, la sola morte reale della tragedia la morte inviata, lassassinio. Quando Ermione fa morire Pirro, Nerone Britannico, Amurat (o Rossana) Bajazet, Teseo Ippolito, la morte non pi astratta: ad annunciarla non sono pi delle parole: sono degli oggetti, reali, sinistri, che si aggirano nella tragedia sin dal suo inizio: veleno di Nerone, laccio del nero Orcan, carro di Ippolito. A queste armi essenziali, si aggiunge tutta unarte dellaggressione verbale, posseduta in comune dalla vittima e dal suo carnefice. La parola detiene un potere oggettivo nella tragedia: una frustata. Da questo punto di vista vi possono essere due movimenti che provocano entrambi la ferita: uno costituito dalla correttezza della parola che, per, designa il male interiore; laltro caratterizza, invece, la

volont di ferire, ed entrambe definiscono tutta la crudelt raciniana. La molla di tutti questi attacchi evidentemente lumiliazione: si tratta sempre dintrodurre nellaltro il disordine, di disfarlo, di ristabilire la massima distanza fra il potere del tiranno e la soggezione della vittima. Il segnale di questa immobilit ritrovata il trionfo; e questo termine non cos lontano dal suo significato antico: ricompensa del vincitore contemplare il suo antagonista disfatto, ridotto allo stato di oggetto, di cosa dispiegata davanti agli occhi, perch, in termini raciniani, l organo pi possessivo precisamente la vista. Si. Ci che rende singolare il rapporto di autorit il fatto che esso si svolga non solo al di fuori di ogni societ, ma persino al di fuori di ogni socialit. La coppia raciniana (carnefice e vittima) si scontra in un universo desolato, spopolato. Si pensi che in Corneille il mondo (inteso come societ) circonda la coppia in modo vitale. In Racine, invece, il rapporto si instaura nellartificio di una pura indipendenza: sordo; ognuno interessato esclusivamente dallaltro. La cecit delleroe raciniano nei confronti degli altri quasi maniaca: ogni cosa, nel mondo, sembra essere indirizzata a lui personalmente, ogni cosa si deforma per mutarsi in puro alimento narcisistico: Fedra crede Ippolito innamorato della terra intera salvo che di lei; Oreste convinto che Pirro sposer Ermione solo per privarlo di lei; Agrippina si persuade che Nerone punisce proprio coloro che essa appoggia. In rapporto alleroe, il mondo quindi una massa quasi indifferenziata. Tuttavia, le collettivit stanno a giustificare il fatto che si ceda a una intimidazione. Il mondo raciniano ha infatti una funzione di giudizio: osserva leroe e senza tregua minaccia di censurare, cosicch questo eroe vive nel panico del che cosa diranno gli altri. Quasi tutti vi soccombono: Tito, Agamennone, Nerone; solo Pirro, il pi emancipato tra gli eroi raciniani, resiste. Per essi il mondo terrore, una sanzione diffusa che li circonda, li frustra, un fantasma morale, che fa paura, ma in qualche caso pu anche venire utilizzato (come fa Tito per respingere Berenice). Il mondo insomma, per leroe raciniano, unopinione pubblica, terrore e alibi a un tempo. Cos lanonimato del mondo trova la sua migliore espressione in tutte le forme grammaticali dellindefinito, quei pronomi disponibili e minacciosi ( si, essi, ognuno) che stanno a ricordare continuamente come leroe raciniano sia solo, in un mondo ostile che non si prende cura di nominare: il si il segno grammaticale di unaggressivit che leroe non pu o non vuole localizzare. Nella coniugazione

raciniana lio non esiste se non in una forma gonfiata fino allesplosione (nel monologo, per esempio); il tu la persona dellaggressione subita e ritorta; legli, quella della delusione, momento in cui si pu parlare dellessere amato; il voi la persona del decoro, della confessione o dellattacco mascherato; si o essi designano unaggressione diffusa. Una persona manca alla coniugazione raciniana: il noi: il mondo raciniano diviso in modo inespiabile: il pronome della mediazione gli sconosciuto. La divisione. Va ricordato che la divisione la struttura fondamentale delluniverso. Solo leroe tragico, per, diviso; confidenti e familiari non dibattono mai. La divisione raciniana rigorosamente binaria, il possibile non altro che il contrario. Ma luomo raciniano non si dibatte tra il bene e il male: semplicemente, si dibatte; il suo problema al livello della struttura, non della persona. Nella sua forma pi esplicita la scissione coglie prima di tutto l io, che si sente perpetuamente in lotta con se medesimo. Il monologo raciniano (come il monologo in generale) lespressione propria della divisione; coscienza parlata della divisione. Leroe si sente sempre agito da una forza esterna a lui di cui sente di essere in bala, che pu persino privarlo della memoria, e che abbastanza forte per rovesciarlo, per farlo passare ad esempio dallamore allodio. La divisione lo stato normale delleroe raciniano; egli non ritrova la sua unit che in momenti estatici, precisamente e paradossalmente quando fuori di s: la collera solidifica deliziosamente questo io dilaniato. Il Padre. Leroe non pu separarsi dal Padre. Non c tragedia in cui, in modo reale o virtuale, egli non sia presente. Non necessariamente il sangue, n il sesso, a costituirlo, e neppure il potere; il suo modo di essere lanteriorit. Il Padre il passato. E proprio perch la sua definizione va cercata molto al di l degli attributi (sangue, autorit, et, sesso), egli davvero e sempre un Padre totale; al di l della natura, un fatto primordiale, irreversibile; ci che stato , tale lo statuto del tempo raciniano; in questa identit consiste naturalmente per Racine il vero male del mondo, votato allincancellabile. In questo senso il Padre immortale: immortalit contraddistinta dal ritorno pi che dalla sopravvivenza: Teseo, Amurat (nelle spoglie del nero Orcan), ritornano dalla morte, ricordano al figlio (o al fratello minore, la stessa cosa) che non si pu mai uccidere il Padre. Dire che il Padre

immortale significa che lAnteriore immobile: quando il Padre manca tutto si disfa; quando ritorna, tutto si aliena: lassenza del Padre costituisce il disordine; il ritorno del Padre istituisce la colpa. Il sangue, che occupa un posto eminente nella metafisica raciniana, un sostituto del Padre. Anche in questo caso non si tratta di una realt biologica, ma di una forma: il Sangue unanteriorit pi diffusa, e pertanto pi tremenda del Padre: un Essere trans-temporale, che tiene, cio dura. Il Sangue un legame e una legalit. Il solo movimento permesso al figlio rompere, non distaccarsi. In questo ritroviamo limpasse costitutiva del rapporto autoritario, lalternativa catastrofica del teatro raciniano: o il figlio uccide il Padre, o il Padre distrugge il figlio. La lotta tra il Padre e il figlio la lotta tra Dio e la creatura. Sebbene nel teatro raciniano si trovino le due tradizioni, quella pagana e quella ebraica, il solo, il vero Dio raciniano, il Dio dellAntico testamento: Jahveh. Tutti i conflitti raciniani sono costruiti su un modello unico, quello della coppia formata da Jahveh e dal suo popolo: lessere onnipotente si dedica personalmente al suo suddito, lo protegge e lo castiga capricciosamente, lo mantiene, mediante colpi ripetuti, nella situazione di termine eletto di una coppia indissolubile; a sua volta il suddito prova nei riguardi del suo signore un sentimento panico di terrore e di attaccamento, di astuzia anche: in breve, figlio e Padre, schiavo e padrone, vittima e tiranno, amante e amato, creatura e divinit, sono legati da un dialogo senza uscita e senza mediazione. Si tratta in tutti questi casi di un rapporto immediato, a cui negata la fuga, il perdono e la vittoria. Il Dio raciniano esiste in misura della sua malignit. Il rovesciamento. La molla della tragedia-spettacolo il rovesciamento. Vi si trova lossessione di un universo a due dimensioni: il mondo fatto di puri contrari che niente viene mai a mediare. Il rovesciamento interessa una totalit: leroe ha la sensazione che tutto sia preso in questo movimento di altalena: il mondo intero vacilla. Il senso del rovesciamento sempre depressivo: mette le cose dallalto in basso, la sua immagine la caduta. Come atto puro il rovesciamento non ha durata, un punto, un lampo ( coup), si potrebbe quasi dire una simultaneit: leroe colpito sostiene in una percezione straziante lo stato antico, di cui spossessato, e lo stato nuovo che gli viene assegnato. Come nella divisione, la coscienza di vita non altro che coscienza di rovesciamento: essere, non soltanto essere diviso, ma essere rovesciato.

Tutta la specificit del rovesciamento tragico nel suo essere esattamente simmetrico. Il Destino porta ogni cosa al suo contrario come attraverso uno specchio; invertito, il mondo continua. E la simmetria la figura stessa della non mediazione, dello scacco, della morte, della sterilit. La malvagit sempre precisa, per cui si pu dire che la tragedia raciniana larte della malvagit: Dio fonda uno spettacolo perch amministra la simmetria, la sua malvagit estetica, egli d alluomo un bello spettacolo, quello della sua depressione. Come organizzatore dello spettacolo tragico, Dio si chiama il Destino. Il destino consente alleroe tragico di farsi in parte cieco sulla fonte del suo male, di situarne lintelligenza originaria, il contenuto plastico, eludendo la designazione di una responsabilit. La Colpa. Cos la tragedia essenzialmente processo di Dio, ma processo infinito, processo sospeso e rovesciato. Tutto Racine sta in quel momento paradossale in cui il bambino scopre che suo padre cattivo e vuole tuttavia restare suo figlio. Per questa contraddizione non c che una via duscita (ed precisamente la tragedia): che il figlio prenda su di s la colpa del Padre, che la colpevolezza della creatura valga a scaricare la divinit. Al Padre baster meritare retroattivamente i suoi colpi perch diventino giusti. Il Sangue il veicolo di questa retroazione. Si pu dire che ogni eroe tragico nasce innocente; si fa colpevole per salvare Dio. La teologia raciniana una redenzione invertita: luomo a riscattare Dio. E chiaro allora quale sia la funzione del Sangue (o del Destino): esso d alluomo il diritto di essere colpevole. La colpevolezza delleroe una necessit funzionale: se luomo puro, Dio a essere impuro, e il mondo si disfa. E dunque necessario che luomo tenga la sua colpa, come il bene pi prezioso: e il modo pi sicuro di essere colpevole di farsi responsabile di ci che fuori di s, prima di s. Dio, il Sangue, il Padre, la Legge, insomma lAnteriorit diviene, per essenza, accusatrice. E chiaro a questo punto quale sia la natura esatta del rapporto di autorit. Non solo il carnefice potente e la vittima debole: loppressore colpevole e lo ppresso innocente. Ma poich intollerabile che la potenza sia ingiusta, la vittima prende su di s la colpa del carnefice: il rapporto oppressivo si rovescia in rapporto punitivo, senza che tuttavia, tra i due antagonisti, abbia mai fine tutto un gioco personale di bestemmie, di finte, di rotture e di riconciliazioni. Perch la confessione della vittima non una generosa oblazione: il terrore di aprire gli

occhi sul Padre colpevole. Questo meccanismo della colpevolezza alimenta tutti i conflitti raciniani, compresi i conflitti amorosi: in Racine c un solo rapporto, quello tra Dio e la creatura. Il <dogmatismo> delleroe raciniano. Questo legame terribile la fedelt. Nei confronti del Padre leroe prova lorrore di un vero e proprio invischia ment o: trattenuto nella propria anteriorit come in una massa possessiva che lo soffoca. La fedelt raciniana funerea, infelice. Leroe raciniano si misura quindi dalla sua forza di rottura: a emanciparlo fatalmente la sua infedelt. Le figure pi regressive sono quelle che restano saldate al Padre (Ermione). Altre figure, restando sempre incondizionatamente sottomesse al Padre, vivono questa fedelt come un ordine funebre e la subiscono con un lamento indiretto (Andromaca, Oreste, Giunia, Antioco). Altre finalmente e sono i veri eroe raciniani accedono pienamente al problema dellinfedelt (Nerone, Tito, Fedra e, il pi emancipato di tutti, Pirro): sanno di voler rompere ma non trovano il modo; sanno di non poter passare dallinfanzia alla maturit senza un nuovo parto, che in generale il delitto, parricidio, matricidio o deicidio; si definiscono per il rifiuto di ereditare; per cui si potrebbe chiamarli eroi dogmatici; nel vocabolario raciniano, sono gli impazienti. La fedelt uno stato di panico, vissuta come una chiusura e forzarla una scossa terribile. Pure questa scossa si verifica: lintollerabile. La sofferenza del vincolo spinge allazione; braccato, leroe raciniano vuole precipitarsi fuori. Ma la tragedia viene proprio a sospendere questo movimento: luomo raciniano chiama, invoca unazione, non la compie; pone delle alternative ma non le risolve; vive sospinto allatto, ma non vi si proietta; fare, per lui, non altro che cambiare. La divisione assoluta delluniverso, scaturita dalla chiusura in s della coppia, esclude ogni mediazione; il mondo raciniano un mondo a due termini, il suo statuto paradossale, non dialettico: il terzo termine manca. Lespressione verbale del sentimento amoroso uno stato grammaticale senza oggetto: jaime, jaimais, vous aimez: si direbbe che in Racine il verbo amare sia per natura intransitivo. Se qualcosa trasmette, una forza indifferente al suo oggetto e una vera essenza dellatto, come se latto si esaurisse al di fuori di ogni termine. Lamore gi in partenza disgiunto dal suo scopo, deluso. Privato del reale, esso pu solo ripetersi, non svilupparsi. Per cui lo scacco delleroe raciniano discende alla fine da unincapacit di concepire il tempo se non come ripetizione: lalternativa tende

sempre alla ripetizione, e la ripetizione allo scacco. La durata raciniana non mai maturativa, circolare, addiziona e riconduce senza mai trasformare niente. Niente di pi illusorio, in certo senso, della nozione di crisi tragica: essa non scioglie niente, tronca. Il tempo-ripetizione naturalmente quello che definisce la vendetta, linfinita e come immobile generazione dei delitti. Lo scacco di tutti gli eroi raciniani di essere inesorabilmente rimandati a questo tempo circolare. Abbozzi di soluzioni. Il tempo re iterativo, per Racine, il tempo della stessa Natura; e rompere con questo tempo rompere con la Natura: , per esempio, rinnegare in qualche modo la famiglia, la filialit naturale. Alcuni eroi raciniani abbozzano questo movimento liberatore. Per Bajazet, per esempio, la soluzione il tempo: egli il solo eroe tragico a seguire un comportamento dilatorio, a attendere, e in questo senso egli minaccia la tragedia nella sua essenza; Atalide a riportarlo alla tragedia, alla morte, respingendo ogni mediazione al suo amore. Per Pirro Astianate, la vita reale del bambino, la costruzione di un avvenire aperto, nuovo, opposto alla legge della vendetta rappresentata dallErinni Ermione. La speranza, in questo mondo atrocemente alternativo, sempre di accedere a un ordine terziario, in cui la coppia del carnefice e della vittima, del Padre e del figlio, sar finalmente superata. Ma la soluzione principale, inventata da Racine, la malafede: leroe trova pace eludendo il conflitto senza risolverlo, spostandosi interamente nellombra del Padre, assimilando il Padre al Bene assoluto: la soluzione conformista. Qui il personaggio tragico espulso come un vero e proprio indesiderabile: partito lui, gli altri possono respirare, vivere, lasciare la tragedia, non c pi nessuno a guardarli (Alexandre, Mithridate, Iphignie, Esther). Il Confidente. Tra lo scacco e la malafede, c per la possibilit di una via duscita, quella della dialettica. La tragedia lha ammessa con la figura del confidente. Il confidente raciniano legato alleroe da una sorta di vincolo feudale, di devozione; questo vincolo lo designa come una sorta di doppio, delegato probabilmente ad assumere tutta la trivialit del conflitto e della sua soluzione; in breve, a fissare la parte non tragica della tragedia in una zona marginale in cui il linguaggio si scredita, si fa domestico. Al dogmatismo delleroe si contrappone continuamente lempirismo del confidente. Bisogna ricordare che per il confidente il mondo esiste;

uscendo dalla scena, egli pu entrare nel reale, e tornarne: la sua insignificanza lo autorizza allubiquit. Il primo risultato di questo diritto alluscita che per lui luniverso non pi assolutamente antinomico: essenzialmente costituita da una costruzione alternativa del mondo, lalienazione cede appena il mondo diventa multiplo. Indubbiamente, egli la voce della ragione contro la voce della passione: di qui il carattere dialettico delle soluzioni da esso proposte (senza successo) e che consistono sempre nel mediare lalternativa. Nei confronti delleroe il ruolo del confidente consiste innanzitutto nell aprire il segreto, nel definire nelleroe il punto esatto del suo dilemma; egli vuole provocare un chiarimento. La sua tecnica sembra grossolana, ma sperimentata: si tratta di stimolare leroe, rappresentandogli ingenuamente unipotesi contraria al suo slancio, di fare una gaffe (in generale leroe accusa il colpo, ma lo ricopre rapidamente sotto un fiotto di parole giustificative). Quanto alle condotte chegli raccomanda nei confronti del conflitto, esse sono tutte dialettiche, cio subordinano i fini ai mezzi. Ecco le pi correnti: fuggire (che lespressione nontragica della morte tragica), aspettare (che equivale a contrapporre il tempomaturazione della realt al tempo-ripetizione); vivere (parola che designa espressamente il dogmatismo tragico come una volont di scacco e di morte: basterebbe che leroe facesse della vita un valore per essere salvo). Sotto queste tre forme, di cui lultima imperativa, la vitalit raccomandata dal confidente il valore pi antitragico che ci possa essere; ruolo del confidente non solo di rappresentarlo, ma anche di contrapporre agli alibi con cui leroe copre la sua volont di scacco una Ratio esterna alla tragedia e che in quel modo la spiega: egli compiange leroe, cio in qualche modo attenua la sua responsabilit: lo crede libero di salvarsi ma non di fare il male, agito nello scacco e pur tuttavia disponibile alla sua soluzione; esattamente il contrario delleroe tragico, che rivendiva una piena responsabilit quando si tratta di assumere una colpa ancestrale che non ha commesso, ma si dichiara impotente quando si tratta di superarla, che si vuole libero di essere schiavo, ma non libero di essere libero. Forse nel confidente, pur cos goffo e spesso molto sciocco, si profila gi tutta quella genia di valletti rivoltosi che alla regressione psicologica del padrone e signore contrapporranno una padronanza elastica e felice della realt.

La paura dei segni. Leroe rinchiuso. Il confidente lo circonda ma non pu penetrare in lui; i loro linguaggi si alternano senza posa, non coincidono mai. In realt la chiusura delleroe una paura: leroe vive in un mondo di segni, e sa che lo concernono, ma questi segni non sono sicuri. Non solo il Destino non li conferma mai, ma accresce anche la loro confusione applicando uno stesso segno a realt diverse; appena leroe comincia a fare assegnamento su una significazione, qualcosa interviene a disgiungerla, gettando leroe nellangoscia e nella delusione; cos, se il mondo gli appare coperto di colori, questi colori son o un tranello. Una volta che il mondo ridotto al rapporto esclusivo della coppia, uninterrogazione incessante rivolta allAltro; leroe dispiega sforzi immensi, dolorosi, per leggere lantagonista a cui legato. E dato che la bocca il luogo dei falsi segni, il lettore si porta incessantemente verso il viso; la carne come la speranza di una significazione obbiettiva: la fronte, che come un viso liscio, denudato, su cui si imprime con chiarezza la comunicazione ricevuta, e soprattutto gli occhi, ultima istanza della verit. Ma il segno pi sicuro evidentemente il segno sorpreso (per esempio una lettera): linfelicit accertata diventa una gioia che inonda, che provoca finalmente allazione: quella che Racine chiama la tranquillit. Ecco forse lultimo stadio del paradosso tragico: che ogni sistema di significazione sia duplice, oggetto di fiducia infinita e di infinito sospetto. Siamo giunto nel cuore della disorganizzazione: il linguaggio. La condotta delleroe raciniano essenzialmente verbale. Se per esempio si mette in prosa il discorso raciniano, senza pi tener conto della sostenutezza del tono, quello che si trova unagitazione formata da movimenti, esclamazioni, provocazioni, rilanci, indignazioni, in breve la genetica stessa del linguaggio, non la sua maturit. Probabilmente si potrebbe ricondurre a un numero limitato di articolazioni o di clausole, di natura totalmente triviale: non perch i sentimenti siano volgari, ma perch la trivialit la forma propria del sotto-linguaggio, di questo logos in continua formazione e mai compiuto. E del resto la riuscita di Racine: la sua scrittura poetica stata abbastanza trasparente per lasciar indovinare il carattere quasi sguaiato della scena: il sostrato articolatorio cos vicino che d al discorso raciniano una sorta di sciolta respirazione, di rilassamento.

Logos e Praxis. Ma la tragedia raciniana porta in luce una vera universalit del linguaggio. Il linguaggio qui politecnico: un organo, pu far le veci della vista, come se lorecchio vedesse; un sentimento, perch amare, soffrire, morire, altro mai non che parlare; una sostanza, e protegge; un ordine, e permette alleroe di giustificare le sue aggressioni o i suoi scacchi e di trarne lillusione di un accordo col mondo; una morale, e autorizza a convertire la passione in diritto. Ecco forse la chiave della tragedia raciniana: parlare fare, il Logos prende le funzioni della Praxis e si sostituisce ad essa: il fare si svuota, il linguaggio si riempie. Non si tratta affatto di verbalismo, il teatro di Racine non un teatro verboso, un teatro in cui agire e parlare si rincorrono e non si raggiungono che per fuggirsi subito: lazione vi tende al nulla, a vantaggio di una parola senza misura. La realt fondamentale della tragedia questa parola-azione. La sua funzione evidente: mediare il Rapporto di Forza. In un mondo inesorabilmente diviso, gli uomini tragici possono comunicare soltanto col linguaggio dellaggres sione: fanno il loro linguaggio, parlano la loro divisione, la realt e il limite del loro statuto. Il logos qui funziona come un prezioso congegno di alternanza fra speranza e delusione: esso offre al conflitto originario la via di uscita di un terzo termine, e allora pienamente un fare; poi si ritira, ridiventa linguaggio, torna a lasciare il rapporto senza mediazione e ripiomba leroe nello scacco fondamentale che lo protegge. Questo logos tragico lillusione di una dialettica, la forma della soluzione, ma solo la forma: una falsa porta contro cui leroe va a cozzare continuamente. Questo paradosso spiega il carattere frenetico del logos raciniano: esso a un tempo agitazione di parole e fascino del silenzio, illusione di potenza e terrore di fermarsi. Confinati nella parola, i conflitti sono evidentemente circolari, perch niente impedisce allaltro di parlare ancora. Il linguaggio disegna il mondo delizioso e terribile dei rivolgimenti infiniti e infinitamente possibili: leroe si fa esageratamente sciocco per prolungare la contesa, ritardare il tempo atroce del silenzio. Perch il silenzio irruzione del vero fare, crollo di tutto lapparato tragico: metter fine alla parola significa iniziare un processo irreversibile. Qui appare la vera utopia della tragedia raciniana: quella di un mondo in cui la parola sia soluzione; ma anche il suo vero limite: limprobabilit. Ma, in quanto conflitto fra lessere e il fare si risolve in un apparire, qui fondata unarte dello spettacolo. La tragedia raciniana veramente larte dello scacco, la

costruzione mirabilmente complessa di uno spettacolo dellimpossibile. Da questo punto di vista, essa sembra combattere il mito, poich il mito parte da certe contraddizioni e tende progressivamente alla loro mediazione: la tragedia, al contrario, immobilizza le contraddizioni, rifiuta la mediazione, tiene aperto il conflitto; ed vero che ogni qual volta Racine simpadronisce di un mito per convertirlo in tragedia sempre, in certo senso, per rifiutarlo, paralizzarlo, farne una favola definitivamente chiusa. Ma questo rifiuto del mito diviene mitico anchesso: la tragedia il mito dello scacco del mito: la tragedia finisce per ambire a una funzione dialettica: dello spettacolo dello scacco, e della passione dellimmediato una mediazione. Crollato tutto, la tragedia rimane uno spettacolo, vale a dire un accordo col mondo. Andromaque. In Andromaque Racine pone la domanda: come passare da un vecchio ordine a un ordine nuovo? Qui il vecchio ordine geloso: mantiene. E lordine della Fedelt (la Foi); la sua immobilit consacrata da un rito, il giuramento. Andromaque ha giurato fedelt a Ettore, Pirro si solennemente impegnato nei confronti di Ermione. Questordine formalistico un cerchio, ci da cui non si pu uscire. Naturalmente questa chiusura ambigua: prigione ma pu essere anche asilo, il vecchio ordine una sicurezza: Ermione vi cerca continuamente rifugio, Pirro impaziente di uscirne. Si tratta dunque di una vera Legalit, di un contratto: la Legge esige, e in cambio protegge. Questa antica Legalit in Andromaque si scinde. Ermione la sua figura arcaica e di conseguenza la pi socializzata. Ermione infatti il pegno di una societ tutta intera. Questa societ (i greci) dispone di unideologia, la vendetta e di uneconomia; in una parola, questa societ gode di una buona coscienza. La sua figura centrale, lalibi incessante, il Padre (Menelao), protetto dagli di, per cui infrangere la fedelt a Ermione significa ripudiare nello stesso tempo il Padre, il Passato, la Patria e la Religione. I poteri di questa societ sono interamente delegati a Ermione, che li delega al suo doppio, Oreste. La gelosia di Ermione daltra parte ambigua: una gelosia amorosa, ma anche la rivendicazione ombrosa di una Legge che reclama il dovuto e condanna a morte chiunque la tradisca: non un caso se Pirro perisce sotto i colpi dei greci, che allultimo momento, nellatto della vendetta, si sostituiscono a mandatari che lamore ha reso poco sicuri. La fedelt amorosa indissolubilmente legata, qui, alla

fedelt legale, sociale e religiosa. Ermione concentra in s funzioni diverse che per sono tutte di costrizione: innamorata, e tiene a presentarsi come una fidanzata, unamante legale, il cui ripudio non solo un affronto personale ma un vero e proprio sacrilegio; greca e figlia del Re vendicatore, delegata di un Passato che divora; infine, quando muore, si fa Erinni, torturatrice, ripetizione incessante della punizione, vendetta infinita, trionfo definitivo del Passato. Distruttrice del maschio, distruttrice del fanciullo che il suo vero rivale perch rappresenta lavvenire, Ermione totalmente dalla parte della Morte, ma di una morte attiva, possessiva, infernale; venuta da un passato antichissimo; il suo doppio strumentale, Oreste, si offre lui stesso come lo zimbello di unantichissima fatalit che lo soverchia. Ermione delegata dal Padre, Andromaca dallAmato. Andromaca definita esclusivamente dalla sua fedelt a Ettore. Ella afferma che Astianate per lei non altro che limmagine (fisica) di Ettore, che persino il suo amore per il figlio le stato espressamente prescritto dal marito. Il suo conflitto non tra la sposa e la madre, ma quello che nasce da due ordini contrari emanati dalla stessa fonte: Ettore vuole insieme vivere come morto e come sostituto. Ettore le ha ingiunto a un tempo la fedelt alla tomba e la salvezza del figlio, perch nel figlio lui stesso: non c infatti che un solo Sangue, e ad esso Andromaca deve essere fedele. Di fronte alla contraddizione del suo dovere Andromaca non consulta affatto la maternit, ma la morte, perch dal morto partita la contraddizione, e lui solo di conseguenza la pu risolvere; e appunto perch Andromaca non una madre, ma unamante, la tragedia possibile. Naturalmente fra le due fedelt, quella di Ermione e quella di Andromaca, c una simmetria. Come forza vendicativa, dietro a Ermione, ci sono i greci; al di l di Ettore c, per Andromaca, Troia. Andromaca vice il rapporto vendettale allo stesso modo di Ermione; non perde occasione per ricollocare Pirro nel conflitto delle trib, e non lo vede se non in quel sangue che stringe i due partiti in un vincolo infinito. Ermione e lei partecipano, in fondo, a una legalit omologa. La differenza che Andromaca vinta, prigioniera, la legalit da lei perpetuata pi fragile di quella di Ermione: a lei, cio alla legalit pi debole, si attacca Pirro nemico di ogni legalit. Il passato di Ermione le fornisce armi potenti; quello di Andromaca ridotto a un puro valore, pu affermarsi solo verbalmente. Questo vuoto della legalit troiana simboleggiato da un oggetto che determina tutti i movimenti offensivi: la tomba di Ettore; per Andromaca essa rifugio, conforto, speranza,

oracolo anche; in una sorta di erotismo funebre ella vuole abitarla, chiudersi sol figlio, vivere nella morte una sorta di mnage trois. La fedelt di Andromaca non pu pi essere che difensiva; non che memoria, virtuosa oblazione della vita in nome del ricordo. La legalit di Andromaca fragile anche per unaltra ragione. Andromaca posta di fronte a un vero dilemma di fatto, non di giudizio; lalternativa a cui costretta da Pirro la mette di fronte alla realt; per quanto alienata, essa porta una responsabilit che impegna gli altri, cio il mondo. Naturalmente, tenta di eluderla: rimettendo alla tomba il peso della decisione e, infine, scegliendo il suicidio. Ci non le impedisce di volere che il figlio viva, e in questo sincontra con Pirro. Essa avverte chiaramente che la salvezza del figlio consacra di fatto una rottura della legalit da lei rappresentata, e perci resiste tanto. Non solo, ma riconosce tutto ci che implicato da questa salvezza e da questa rottura: una vera e propria trasformazione del Tempo, labolizione della legge della vendetta, il fondamento solenne di una pratica nuova. La posta le sembra cos importante che a sua esatta misura non trova che la propria morte. Condannata a rappresentare il Passato, si immola quando questo Passato le sfugge. Il suicidio di Ermione unapocalisse, Ermione pura sterilit, trascina volutamente, aggressivamente, nella propria morte, tutta la Legalit che porta in s. Il suicidio di Andromaca un sacrificio; contiene in germe un futuro accettato, e questo sacrificio concerne lessere stesso di Andromaca: essa consente a separarsi da una parte di Ettore (Astianate), a amputare la sua funzione di guardiana amorosa, consente a una fedelt incompleta. Non solo, ma la sua morte significa che in Astianate non vede pi solo ettore: per la prima volta scopre lesistenza di un Astianate II, che esiste per proprio conto e non come puro riflesso del morto: il figlio esiste finalmente come fanciullo, come promessa. Questa scoperta le stata ispirata dalla morte: Andromaca si fa cos mediatrice tra la morte e la vita: la morte partorisce la vita; il Sangue non soltanto forza costrittiva, veicolo di uno svuotamento; anche liquido germinativo, possibilit di vita, avvenire. Ma tutta questa Legalit antica, questordine della fedelt incondizionata, che si presenti in forma aggressiva (Ermione) o attenuata (Andromaca), si trova a uno stadio critico, minacciata in tutti e due i casi da Pirro. Tutto chiuso davanti a Pirro, e lirruzione diventa cos il suo fondamentale modo di essere: dalla parte di Ermione, il Padre, dalla parte di Andromaca il Rivale, tutti i posti sono gi occupati:

se egli vuole essere, deve distruggere. Pirro rivendica in nome di una Legalit da fare. Il conflitto non pi tra lodio e lamore, ma tra ci che stato e ci che vuol essere. Non pi la pace che contesta la violenza, sono due violenze che si scontrano; alla furia di Ermione, alla buona coscienza d i Andromaca, risponde apertamente il dogmatismo di Pirro. Il mito raciniano ha fatto retrocedere Pirro a un rango secondario. Il fatto che in tutto il teatro raciniano egli sia il solo personaggio in buona fede fa di lui la figura pi emancipata di tutto questo teatro.: deciso a rompere, cerca egli stesso Ermione, e si spiega davanti a lei senza ricorrere a nessun alibi, non cerca giustificazioni. Questa giustezza gli deriva dalla sua liberazione profonda: non monologa, non ha incertezze sui segni; vuole scegliere entro se stesso e solo per s tra il passato e il futuro, la sicurezza soffocante di una Legalit antica e il rischio di una Legalit nuova. Il suo problema di vivere, di nascere a nuovo ordine, a una nuova era. Questa nascita non pu non essere violenta: tutta una societ l a guardarlo, a riconoscerlo, e talvolta egli cede, lo sguardo che porta su di s pronto a confondersi con lo sguardo della Legalit antica che lo ha formato. Ma pi spesso questo sguardo gli intollerabile, e se combatte per sottrarvisi. Il peso di un amore non contraccambiato si confonde per lui con lautorit del vecchio ordine; respingere Ermione passare espressamente da una costrizione collettiva a un ordine individuale dove tutto possibile; sposare Andromaca cominciare una vita nuova, dove tutti i valori del passato sono allegramente rifiutati in blocco, tutto sacrificato allesercizio di una libert, luomo rifiuta quanto si fatto senza di lui. Dalla distruzione dellantica Legge di vendetta Pirro vuol trarre non solo un nuovo ordine di azione ma anche una nuova amministrazione del tempo, che non sar pi fondata sul ritorno immutabile delle vendette: il Tempo non deve servire a imitare ma a maturare; il suo corso deve modificare il reale, convertire la qualit delle cose. Cos il primo atto del nuovo regno di Pirro di abolire il Tempo passato: distruggere la propria memoria il movimento stesso di una nuova nascita. La rottura di Pirro quindi fondazione: egli assume tutto lonere del bambino, vuole che viva, si esalta a fondare una nuova paternit, si identifica pienamente in lui: laddove con movimento inverso Andromaca, rappresentante dellantica Legalit, risaliva sempre da Astianate a Ettore, Pirro discende da s ad Astianate: al padre della natura contrappone un padre delladozione.

Indubbiamente questa nascita di Pirro si attua a presso di un ricatto. Oggetto di una ricerca frenetica la felicit, non la gloria, la realt del possesso amoroso, non la sua sublimazione. Ma questo ricatto autorizzato dalla stessa resistenza di Andromaca; ha per oggetto un essere interamente alienato al suo passato e che non se stesso. Da Andromaca Pirro vuole che compia anchessa la propria rottura; contro il passato egli utilizza le armi del passato, e a prezzo di un rischio enorme. Andromaca subentra esplicitamente a Pirro. Morto Pirro essa decide di vivere e di regnare, non come amante finalmente liberata da un odioso tiranno, ma come vedova nera, come legittima erede al trono di Pirro. La morte di Pirro non ha liberato Andromaca, lha iniziata: Andromaca ha compiuto la sua conversione, libera. Dunque, in un certo qual modo Andromaca prende congedo dallantica Legalit. Britannicus. Nerone luomo dellalternativa: davanti a lui si aprono due vie: farsi amare o farsi temere, il Bene o il Male. Egli preso completamente da questo dilemma. Ma in Nerone dovr fissarsi il Male. Britannicus la rappresentazione di un atto, laccenno posto su un fare reale: Nerone si fa, Britannicus una nascita. Certo la nascita di un mostro; ma questo mostro vivr e se si fa mostro forse per poter vivere. Lalternativa di Nerone pura, vale a dire che i suoi termini sono simmetrici. Due figure la disegnano: Burro e Narciso sono due omologhi. Burro un militare, non sa parlare: per travolgere la decisione di Nerone deve rinunciare al linguaggio, gettarsi ai piedi del suo padrone, minacciare di uccidersi; a Narciso basta parlare; naturalmente, per essere efficace, la sua parola si fa indiretta; la parola di Burro topica, per questo fallisce; quella di Narciso dialettica. Perch quello di Burro il fallimento di una persuasione, non di un sistema. La soluzione di Burro non priva di valore e Nerone lascolta. Questa soluzione essenzialmente mondana: che Nerone si faccia riconoscere dal mondo, che accetti di essere definito, creato dallo sguardo di Roma, che questo sguardo sia la forza unica che lo fa esistere, e sar felice. Luomo, secondo Burro, assolutamente plastico sotto lo sguardo della collettivit; non c in lui alcun nucleo di resistenza, la passione unillusione. Lo sforzo che Burro chiede a Nerone quello di ridursi alla trasparenza, anche loblazione dei desideri non una fonte di pace se non in quanto restituita dallapprovazione della moltitudine.

Per Narciso, al contrario, luomo un nucleo chiuso di appetiti. Burro sublima il mondo e Narciso lo avvilisce. Nerone imperatore, ha lonnipotenza, ma questa circostanza rende ancora pi pura lalternativa: la tirannia consente lappagamento, ma anche la sola a rendere possibile loblazione; la simmetria, che contrappone il timore allamore, rigorosa. Nerone quindi posto di fronte a una sorta di rotazione infinita. Si tratta ancora del problema di una nascita, o se si vuole di un passaggio, di una iniziazione: Nerone vuole diventare un uomo, non pu e soffre. La sua la situazione di un corpo paralizzato che fa sforzi disperati verso una mobilit autonoma. Ci che lo tiene attanagliato essenzialmente il Passato: linfanzia e i genitori, il matrimonio stesso, voluto dalla Madre e che non ha potuto dargli la paternit, in breve la Morale. Tuttavia Nerone non affronta dei concetti, ma delle forme, a cui tenta di contrapporre altre forme; poich la Madre lo obbliga a svelarle i suoi segreti, Nerone cercher di crearsi un segreto nuovo, solitario, da cui sua Madre esclusa; tale il senso di quella Porta temibile che Agrippina tenta di forzare, e di quel Sonno chegli rivendica, come se prima di tutto si trattasse di rompere lassociazione biologica della madre e del bambino. Egli vuole conquistare uno spazio autonomo, e il trono per lui uno spazio da occupare nella sua dimensione vitale. Sotto questa forma giustamente materiale la soggezione di Nerone si ricollega a un antichissimo tema di alienazione, quello del Riflesso: Nerone rinvia, non che uno specchio, la Madre pu restare nascosta (dietro un velo), e talvolta un secondo schermo viene a turbare il dispositivo: Burro e Agrippina che si disputano il riflesso. Sappiamo per che il tema del Doppio magico, la persona rubata: il rapporto di Agrippina e di Nerone infatti un rapporto di stregoneria: il corpo stesso della Madre ad ammaliare il figlio, paralizzarlo, farne un oggetto sottomesso, come, nellipnosi, al fascino dello sguardo. Una volta di pi vediamo quanto sia ambigua in Racine la nozione di Natura: Agrippina la madre naturale, ma la Natura soffocamento: Agrippina assedia. Nerone dunque in partenza un organismo indifferenziato. Il problema per lui una secessione: bisogna separare lImperatore dal Figlio. Questa separazione, secondo la meccanica raciniana, richiede una scossa, che prende impulso dallimpazienza, rifiuto assoluto opposto da un organismo a ci che lo costringe eccessivamente. Paralisi fisica e obbligazione morale sono travolte in un solo

strappo. E poich la forma sublimata del vincolo la riconoscenza, Nerone comincia col farsi ingrato, decide di non dover niente alla madre. Il suo immoralismo propriamente adolescente: egli rifiuta ogni mediazione tra il desiderio di esistere e il mondo. Questa sorta di detonazione tra il desiderio e il suo adempimento viene significata da un gesto brusco: il ricorso alle guardie (per arrestare, per scortare), che sempre un modo di uscire dal linguaggio, quindi dalla tragedia. Nerone parla poco, affascinato dallatto. Questo personaggio sulla scena di un pragmatismo radicale; toglie qualsiasi ornamento ai suoi atti, li avviluppa in una sorta di apparenza scivolosa, ne allontana la materia per purificarne leffetto. Da Britannico Nerone vuole la pura e semplice sparizione, non la disfatta spettacolare; come la carezza neroniana, il veleno si insinua; in questo senso carezza e veleno fanno parte di un ordine immediato, in cui la distanza dal progetto al delitto assolutamente ridotta; il veleno neroniano del resto un veleno rapido, il suo vantaggio non il ritardo ma la nudit, il rifiuto del teatro sanguinoso. Tale il problema di Nerone. Per risolverlo egli finir per abbandonarsi al sistema di Narciso (farsi riconoscere dal mondo terrorizzandolo). Ma solo dopo aver anticipato in tutto il corso del dramma la propria soluzione, e la soluzione di Nerone Giunia. Giunia la deve solo a se stesso. Di fronte a tutto ci che gli viene dagli altri e lo soffoca, potere, consigli, morale, la sola parte di s che egli ha inventato il suo amore. Ci che desidera in Giunia una complementarit, la pace di un corpo diverso e tuttavia scelto, il riposo della notte. La Donna qui mediatrice di pace, via di riconciliazione, iniziatrice della Natura; nel suo amore per Giunia Nerone vede unesperienza ineffabile, che nessuna descrizione mondana pu esaurire. Giunia la Vergine Consolatrice; tale lessenza stessa del suo ruolo, poich in lei Britannico trova esattamente quello che Nerone va a cercarvi. Poter piangere con Giunia, tale il sogno neroniano, realizzato dal doppi felice di Nerone, Britannico. Tra loro la simmetria perfetta: una prova di forza li lega allo stesso padre, allo stesso trono, alla stessa donna; sono fratelli, che vuol dire, secondo la natura raciniana, nemici e saldati luno allaltro; un rapporto magico li unisce: Nerone affascina Britannico, come Agrippina affascina Nerone. Venuti dallo stesso punto, non fanno che riprodursi in situazioni contrarie: poich luno ha spossessato laltro; luno ha tutto e laltro niente. Ma proprio qui si articola la simmetria delle loro

posizioni: Nerone ha tutto ma non ; Britannico non ha niente ma : lessere si rifiuta alluno mentre colma laltro. E qui lEssere non viene dal mondo, ma da Giunia. Giunia fa esistere Britannico e respinge Nerone nella confusione di una Passato distruttore e di un futuro criminale. Essa rovescia linfelicit di Britannico in grazia e il potere di Nerone in impotenza, lavere in nullit, e la privazione in essere. Dunque la Donna Consolatrice diventa una Donna Vendicatrice, la fecondit promessa diventa sterilit eterna; appena sbocciato Nerone colpito dalla pi orribile frustrazione: il suo desiderio condannato senza che ne scompaia loggetto, la Donna a cui chiedeva di nascere muore senza morire. La disperazione di Nerone non quella di un uomo che ha perso lamante; la disperazione di un uomo condannato a invecchiare senza nascere mai. Brnice. E Berenice che desidera Tito. Tito per lei ha la volutt di un fulgore circondato dombra, di uno splendore temperato; ricollocato nel cuore di quella notte infiammata in cui, di fronte al rogo del padre, ha ricevuto gli omaggi del popolo e del senato, nellimmagine erotica egli rivela la sua essenza corporea: un principio totale, unaria, luce. Si spiega cos che Berenice arrivi al punto di proporre a Tito un semplice concubinaggio (che Tito respinge), e che, privata del suo alimento, questa immagine deperisca in unaria rarefatta, distinta dallaria di Tito, e che il vuoto progressivo dellOriente. A Berenice, e a lei sola, appartiene essenzialmente il potere erotico. Ma ad esso non corrisponde questa volta un potere politico: i due poteri sono disgiunti, e per questo la tragedia finisce in maniera ambigua, come se si esaurisse, privata di quella scintilla tragica che nasce altrove dalleccessiva condensazione di quei du e poteri in una stessa persona. Potente, Berenice ucciderebbe Tito; innamorato, Tito sposerebbe Berenice. Tuttavia ognuno dei due ricorre alle armi abituali delleroe tragico, al ricatto della morte: Tito fa il possibile per essere innamorato, Berenice conduce una lotta accanita per dominare Tito; e se, per finire, Tito fa prevalere la sua soluzione, in modo vergognoso; se Berenice laccetta, a prezzo di unillusione, quella di credersi amata. Berenice interamente posseduta da Eros; per Tito il problema di fondo ancora un problema di legalit: come rompere una legge? Questa lacerazione, attestata in tutte le tragedie di Racine, trova in Berenice lespressione pi chiara nel fatto che linfedele Tito provvisto di un doppio fedele: Antioco. Antioco il riflesso di Tito.

E la fedelt di Antioco a Berenice essenza di fedelt, eterna, ininterrotto legame tra il passato e il futuro, incondizionata, questa fedelt ha un fondamento legale: Antioco stato il primo a innamorarsi di Berenice, ha ricevuto la fanciulla dalle mani di suo fratello; il suo legame con Berenice ha la solenne garanzia di una forma, veramente una legalit. Dunque, a Tito linfedelt, a Antioco la fedelt. E ancora una volta la fedelt risulta screditata: Antioco un duplicato debole, umiliato, vinto, soffre espressamente di una perdita di identit: tale il prezzo della fedelt. Questa fedelt per cos dire caricaturale, tuttavia necessaria a Tito: insomma il male di cui egli vive: non solo Tito associa strettamente Antioco al suo dilemma, dandogli senza tregua a vedere il suo amore per Berenice: bisogna che il rivale sia testimone, e non tanto per sadismo, forse, quanto per esigenza di unit, ma arriva anche a delegarsi a Antioco, a farne il suo portavoce. Ogni volta che Tito infedele egli ha bisogno di delegarsi al fedele Antioco, si direbbe che Antioco debba fissare linfedelt di Tito, esorcizzarla. In lui Tito si libera di una fedelt che lo soffoca; attraverso Antioco spera di eludere il suo conflitto essenziale, di ottenere limpossibile: essere nello stesso tempo fedele e infedele senza colpa. Antioco la sua buona coscienza. Perch non vero che Tito debba scegliere tra Roma e Berenice. Il dilemma verte su due momenti pi che su due oggetti: da una parte un passato, che quello dellinfanzia prolungata, in cui la duplice soggezione al Padre e allamante -Madre vissuto come una sicurezza (Berenice ha salvato Tito dalla dissolutezza); dallaltra, e a partire dalla morte del Padre, forse ucciso dal figlio, un futuro responsabile, in cui con uno stesso movimento sono distrutte le due figure del Passato, il Padre e la Donna. Perch uno stesso assassinio che porta via Vespasiano e Berenice. Morto Vespasiano, Berenice condannata. La tragedia esattamente lintervallo che divide le due uccisioni. Ma la prima uccisione e qui la profonda astuzia di Tito servir da alibi alla seconda: Tito condanner Berenice in nome del Padre, di Roma, in breve, di una legalit mitica; giustificher la sua infedelt a Berenice fingendo di esservi obbligato da una generale fedelt al Passato. Roma, con le sue leggi che difendono gelosamente la purezza del suo sangue, unistanza chiaramente designata ad autorizzare labbandono di Berenice. Ma Tito non arriva neppure a dare a questa istanza unapparenza eroica; delibera su una paura, non su un dovere: Roma per lui

solo unopinione pubblica che lo terrorizza. Ma, in realt, Roma un puro fantasma. Roma silenziosa, solo lui la fa parlare, minacciare, costringere. Berenice non dunque una tragedia del sacrificio, ma la storia di un rifiuto che Tito non osa assumere. Una volta trovato lalibi, una volta vissuto teatralmente (Tito arriva fino a mimare la propria morte), lintenzione pu realizzarsi, Berenice respinta, la fedelt liquidata, senza che nemmeno vi sia rischio di rimorso: Berenice non sar lErinni di cui aveva fantasticato. Berenice persuasa. E unaltra singolarit che le figure del conflitto si separano senza morire, lalienazione ha fine senza ricorso alla catastrofe. Tale indubbiamente il senso dellOriente bereniceo: un allontanamento dalla tragedia. In questOriente si raccolgono tutte le immagini di una vita soggetta al pi antitragico potere che vi sia: la permanenza (solitudine, noia, esilio, eternit). Tra queste immagini due dominano: il silenzio e la durata. Questi due nuovi valori sono portati dagli stessi esseri dellOriente: Antioco e Berenice. Antioco luomo del silenzio. Condannato con uno stesso movimento a tacere e a essere fedele, per cinque anni ha taciuto prima di parlare a Berenice; pu concepire, per s, solo una morte silenziosa. Quanto a Berenice, ella sa che, passata la tragedia, il tempo non altro che infinita insignificanza: restituita alla durata, la vita non pu pi essere uno spettacolo. Tale insomma lOriente bereniceo: la morte stessa del teatro. Bajazet. Bajazet costituisce unacuta ricerca intorno alla natura del luogo tragico. Qui il luogo chiuso per destinazione, come se tutta la storia non fosse altro che la forma di uno spazio: il Serraglio. Questo luogo chiuso tuttavia non autarchico, dipende da un Esterno. Bajazet si fonda appunto su questa ambiguit. Rossana la prima a esprimere lambiguit del Serraglio: detiene quel potere assoluto senza il quale non c tragedia raciniana, e tuttavia questo potere lo ha solo per delega del Sultano; essa soggetto e oggetto di una onnipotenza. Il Serraglio un po come unarena in cui Rossana sia il matador: le tocca uccidere, ma sotto gli occhi di un Giudice invisibile che la circonda e la guarda. Amurat uno sguardo invisibile, e per questo il Serraglio un ambiente panico; un mondo che non pu ricevere luce da nessuna parte e tuttavia si sa soggetto a una certezza esterna che lo terrorizza. Il Serraglio non sa mai dove sia Amurat, perch il tempo esterno non ha la stessa velocit del tempo tragico.

Il Serraglio come il mondo: luomo vi si dibatte contro lincertezza dei segni, sotto lo sguardo di un Potere che li cambia a capriccio. Atalide, Rossana, Bajazet, Acomat, sono dei ciechi; cercano con angoscia nellaltro un segno chiaro. E tuttavia queste vittime sono carnefici: uccidono sotto lo sguardo di chi le va a uccidere. La prima contraddizione del Serraglio nella sua sessualit; unabitazione femminile, un luogo de sessuato, occupato da una massa di esseri indifferenziati, elastico e pieno come lacqua. Chi vi circola pi naturalmente Acomat, che in Racine non espressamente un eunuco, ma ha lattributo della asessualit, la vecchiaia, che egli stesso presenta come uno stato della de partecipazione. Nel contempo questo luogo castrato travagliato da terribili pressioni erotiche; in primo luogo quella di Amurat, il cui sguardo invisibile penetra ininterrottamente la massa spaurita racchiusa nel Serraglio; poi quella di Rossana e di Atalide. E allinterno di questa sessualit positiva (delegata soprattutto alle donne), lambiguit continua, confonde le parti. E naturalmente, questa ambiguit sessuale tocca il culmine in Bajazet, che non altro che un sesso indeciso, invertito, trasformato da uomo a donna. E il mellifluo di Bajazet definito dalla sua situazione; il Serraglio a invertirlo; dapprima addirittura fisicamente: Bajazet un maschio confinato in un ambiente femminile dove il solo uomo; un parassita nutrito e ingrassato da Rossana. Bajazet chiuso nelloscurit, tenuto in serbo, maturato per il piacere del Sultano, che diriger la sua morte; partito da una sessualit forte, lo sentiamo lentamente de sessuato dalla virile Rossana. Ma soprattutto la sua ambiguit sessuale dipende dallessere un maschio prostituito: Bajazet bello, si concede a Rossana per ottenerne un bene, dispone apertamente della propria bellezza come di un valore di scambio. Bajazet desessualizzato proprio da questa condizione totalmente parassitaria. Da Bajazet a Rossana, linversione dei ruoli si incontra con la contrapposizione dei due Eros raciniani, che si potrebbero chiamare lEros-abitudine e lEros-evento. Bajazet soggetto al primo; la sua simpatia per Atalide si lentamente elaborata nel corso di uninfanzia comune, un gusto di identit (Atalide del suo stesso sangue); si tratta di quellEros sororale che essenzialmente fedelt, legalit, ma anche incapacit di nascere, di diventare uomo. Rossana al contrario (come Pirro, come Nerone) definita da una forza di rottura; plebea, cio estranea al sangue tragico, ha la funzione di abbattere la legalit; per lei il matrimonio non soltanto

possesso fisico, istituzione di una nuova alleanza, sovvertimento di una legge passata. Come eroe dogmatico, Rossana si dibatte tuttavia nellambiente pi soffocante che la tragedia raciniana abbia conosciuto; i personaggi a cui si ricollega, Pirro, Nerone, o Tito, potevano sempre mettere un concetto dietro alla forza fisica che li premeva; Rossana invece lotta con lAssenza; e per la prima volta linvischiamento di ordine apertamente spaziale; il Serraglio aderisce a Rossana, allo stesso tempo come condizione, come prigione e come labirinto, cio come oscurit dei segni: essa non sa mai chi Bajazet; quando lo sa, lambiguit finisce, la sua infelicit nel contempo soluzione, sollievo (ma anche la fine della tragedia). La nascita del suo desiderio presa in questo invischia mento: a forza di non vedere Bajazet che Rossana lo desidera; e per voce di Acomat che Bajazet la seduce. Il Serraglio svia, falsifica lelemento essenziale dellEros raciniano, la vista; ma nello stesso tempo la esaspera: Rossana desidera un prigioniero, ma tanto pi lo desidera in quanto anche lei prigioniera. Il Serraglio letteralmente la carezza soffocante, la stretta che fa morire, qui la sostanza funebre lo strangolamento; la tematica di Amurat di ordine respiratorio, la sua arma il laccio. Per la sua struttura perennemente ambigua, perennemente rovesciata, come luogo imprigionato e imprigionante, soffocato e soffocante, il Serraglio lo spazio stesso delluniverso raciniano. Per quanto infelice, leconomia di questo universo malgrado tutto un equilibrio: gli esseri che lo popolano si reggono in piedi perch subiscono la pressione di forze antagonistiche. Cos, uscire dal Serraglio uscire dalla vita, salvo accettare di vivere senza la tragedia: quanto fa leunuco Acomat, a cui devoluta la rappresentazione della soluzione dialettica; Acomat luomo delle navi, oggetti di cui conosciamo il valore antitragico. Ma solo Acomat, come personaggio estraneo alla tragedia, pu fuggire dal Serraglio verso la vita, il mare per lui portatore di libert. Per gli altri laccesso al mostro irreversibile, il Serraglio inghiotte, non restituisce mai. Phdre. Qui la posta tragica lapparizione della parola ben pi che il suo senso, la confessione di Fedra ben pi che il suo amore. Sin dallinizio Fedra si sa colpevole, e non la sua colpevole zza a costituire il problema, ma il suo silenzio. Fedra scioglie questo silenzio tra volte: davanti a

Enone, davanti a Ippolito, davanti a Teseo. La prima confessione ancora narcisistica, Enone non altro che un doppio materno di Fedra, Fedra si scioglie da s, cerca la propria identit, fa la propria storia. La seconda volta Fedra rappresenta a Ippolito il proprio amore, la sua confessione drammatica. La terza volta si confessa pubblicamente di fronte a colui che, con il suo stesso Essere, ha fondato la colpa; la confessione letterale, purificata di ogni teatralit la parola coincidenza totale col fatto, correzione: Fedra pu morire, la tragedia esaurita. Fedra il suo stesso silenzio: sciogliere questo silenzio morire, ma prima della tragedia Fedra vuole gi morire, ma questa morte sospesa: nel silenzio Fedra non arriva n a vivere n a morire: solo la parola scioglier questa morte immobile, render al mondo il suo movimento. Ma Fedra non la sola figura del Segreto: anche Ippolito preso dal terrore di parlare. Per Ippolito come per Fedra amare essere colpevole di fronte a quello stesso Teseo che al figlio vieta il matrimonio per effetto della legge della vendetta, e che non muore mai. Tuttavia, come doppio di Fedra, Ippolito rappresenta uno stadio ben pi arcaico del suo mutismo, un doppio regressivo; la costrizione di Ippolito infatti di essenza, quella di Fedra di situazione. La costrizione orale di Ippolito data apertamente come una costrizione sessuale: Ippolito muto come sterile; Ippolito rifiuto del sesso, antinatura; la confidente attesta il carattere mostruoso di Ippolito, la cui verginit d spettacolo. Ippolito odia la carne letteralmente come un male: Eros contagioso, bisogna rifiutare il contatto degli oggetti che ha sfiorato: lo sguardo di Fedra su Ippolito basta a corromperlo, la sua spada diventa ripugnante dopo che Fedra lha toccata. Aricia su questo punto non che lomologo di Ippolito: la sua vocazione la sterilit, non solo per decreto di Teseo, ma per il suo stesso essere. Phdre su tutti i piani una tragedia della Parola chiusa, della Vita trattenuta: con la confessione, con la parola senza pi ritegno, sembra debba andarsene il principio stesso della vita; parlare spandersi, vale a dire castrarsi, cosicch la tragedia sottoposta alleconomia di una formidabile avarizia. Ma nello stesso tempo questa parola bloccata indubbiamente affascinata dalla propria espansione: proprio nel momento in cui pi tace, Fedra, con un gesto compensatorio, respinge le vesti che la coprono e vuol mostrare la sua nudit. E chiaro allora che Phdre anche una tragedia del parto. Enone veramente la nutrice, la levatrice, colei che vuol liberare Fedra della sua parola a qualunque prezzo, che estrae il linguaggio dalla

cavit profonda in cui racchiuso. In questa intollerabile chiusura dellessere, che in un solo movimento mutismo e sterilit, anche lessenza di Ippolito: Aricia sar dunque la levatrice di Ippolito come Enone di Fedra. E, fantasticamente, Fedra intende svolgere per Ippolito proprio questo ruolo di levatrice, vuole guidare Ippolito dalla caverna alla luce. A rendere cos terribilmente potente la parola il fatto che sia un atto, ma soprattutto perch irreversibile, la sua creazione definitiva. Cos, eludendo la parola, si elude latto, ma se si cominciato a parlare per uno smarrimento involontario, a nulla vale riprendersi, bisogna andare fino in fondo. E lastuzia di Enone, appunto, non consiste nel riprendere la confessione di Fedra, o annullarla, che impossibile, ma nel rovesciarla: Fedra accuser Ippolito dello stesso delitto di cui essa colpevole: la parola rimarr intatta, semplicemente trasferita da un personaggio allaltro. Perch la parola indistruttibile. Lo stesso Teseo, c he pur ha saputo tornare dallInferno, semidivino, abbastanza potente per dominare la contraddizione della morte, non pu tuttavia disfare il linguaggio: gli di gli rimandano la parola proferita sotto forma di un drago che lo divora, in suo figlio. Qui limmagine centrale la Terra; Teseo, Aricia e i suoi fratelli, discendono tutti dalla Terra. Teseo leroe labirintico, ha saputo trionfare della caverna, passare pi volte dallombra alla luce, conoscere linconoscibile e tuttavia ritornare; e il luogo naturale di Ippolito la foresta ombrosa, dove egli nutre la propria sterilit. Attraverso il padre Minosse, Fedra partecipa dellordine del sotterrato, della caverna profonda; attraverso la madre Pasifae discende dal Sole; il suo principio una mobilit inquieta fra questi due termini; senza tregua ella rinchiude il suo segreto, ritorna alla caverna interiore, ma anche senza tregua una forza la spinge a uscirne, a esporsi, a raggiungere il Sole. Ora questa contraddizione ha, in Phdre, una figura compiuta: il mostro. In primo luogo il mostruoso minaccia tutti i personaggi; sono tutti mostri gli uni con gli altri, e tutti anche cacciatori di mostri. Ma soprattutto un mostro, e vero questa volta, che interviene a sciogliere la tragedia. E quel mostro lessenza stessa del mostruoso: la forza che fa irruzione fuori dalle profondit marine, colui che piomba sul segreto, lo apre, lo rapisce, lo dilania, lo sparpaglia e disperde; in Ippolito, al principio di chiusura corrisponde tragicamente una morte per esplosione, la polverizzazione di un corpo fino allora essenzialmente compatto. Il rcit de Thramne costituisce quindi il punto critico in cui la tragedia si risolve, in

cui cio la ritenzione precedente di tutti i personaggi si dissolve attraverso un cataclisma totale. E in rapporto a questa grande funzione mitica del segreto infranto, Fedra stessa un personaggio impuro: il suo segreto, la cui risoluzione in qualche modo tentata a pi riprese, sciolto alla fine attraverso unampia confessione; in Fedra la parola ritrova in extremis una funzione positiva: essa ha il tempo di morire, c un accordo, alla fine, tra il suo linguaggio e la morte, luno e laltra hanno la stessa misura (laddove a Ippolito viene sottratta persino lultima parola); come una coltre, una morte lenta scivola in lei, e ancora come una coltre una parola pura, piana, esce da lei. Phdre propone dunque una identificazione dellinteriorit con la colpevolezza; non che in Phdre le cose siano nascoste perch sono colpevoli; diventano colpevoli proprio dal momento che sono nascoste: lessere raciniano non si scioglie, e qui il suo male. A proposito di Fedra Racine dice che per lei il delitto stesso una punizione. Tutto lo sforzo di Fedra consiste nel riempire la sua colpa, cio nellassolvere Dio. Dire Racine Oggi Racine si consulta prevalentemente sotto forma antologica e potremmo dire che anche la dizione raciniana, cos come praticata dalla Comdie Franaise, si presenta in accordo a tale volont antologica, poich essa lo recita con un soffio artificiale. Per ci che riguarda la dizione antologica del testo raciniano bene dire che questo un elemento tradizionale dellestetica borghese: larte borghese unarte del dettaglio, si attribuisce un significato enfatico alla pi grande quantit possibile di dettagli. Questo tipo di arte dei dettagli si posa su unillusione generale: non solo lattore crede che il suo ruolo di mettere in rapporto una psicologia e una linguistica, conformemente al pregiudizio che vuole che le parole traducano il pensiero; ma ancora questa psicologia e questa linguistica, egli immagina ognuna composta da elementi discontinui che si corrispondono da un ordine allaltro prima di corrispondersi fra loro: ogni parola diviene per lui un compito preciso, egli vuole a tutti i costi manifestare unanalogia fra la sostanza musicale e il concetto psicologico. Questa analogia, falsa, non vi altro modo di esprimerla se non accentuando le parole. Ma laccento non pi musicale, piuttosto intellet tivo:

lattore recita Racine come uno scrittore sottolinea o mette in italico alcune parole del suo testo. Fra lattore tragico borghese e il suo pubblico c un singolare rapporto di autorit: il pubblico come un bambino, lattore il suo sostituto mat erno, gli d nutrimento, gli propone alimenti gi tagliati che laltro consuma passivamente. Dunque il significato eccessivo del dettaglio distrugge il significato naturale dellinsieme: questo Racine diventa inintelligibile, perch laggiunta di dettagli eccessivamente chiari produce un insieme oscuro. Lenfasi del dettaglio deforma la comunicazione degli attori fra loro. Tutto occupato a far valere il suo testo dettaglio dopo dettaglio, lattore non si rivolge pi a nessuno, tranne a qualche dio tirannico del Significato. E come se lattore si dibattesse, non con lui stesso o altri uomini, ma con una sorta di lingua oscura, e che il suo solo compito fosse di renderla un po intelligibile. Il vizio viene da un eccesso di scrupolo. Larte classica musicale; ma la musica vi presa in carico da una tecnica perfettamente definita: lalessandrino. Ci che sicuro che nel teatro raciniano limportanza di Dio si va accrescendo : il Dio raciniano esiste sempre di pi perch sempre di pi odiato. Fedra una degli ultimi testimoni di questo odio, ed in questo che comunica con gli di che la opprimono e la distruggono, ma allo stesso tempo, essa ancora unamante gelosa e introgante: da una parte essa amante senza libert, come nella tragedia antica; ma, dallaltra parte, questo male in qualche modo preso in carica da unattivit: Fedra fabbrica il suo destino, ella fa, sotto la pressione di Enone che, come ogni confidente, rappresenta lo spirito antitragico. Phdre una tragedia del segreto, ma anche una pice damore. E dunque molto difficile interpretare Fedra, perch un personaggio non psicologicamente, ma esteticamente diviso (Maria Casars). Il ruolo di Teseo, invece, non comporta nessun ostacolo naturale. Teseo in effetti colui che appare, la sua essenza lapparire, poich la sola sua apparizione basta a modificare i rapporti umani. Cuny riuscito nella prova decisiva del teatro raciniano, che la dizione: egli non canta lalessandrino; la sua dizione definita da un essere presente puro e semplice della parola. La sua dizione massiva. Questa massivit produce due risultati: innanzitutto il discorso raciniano diventa alla fine pienamente intelligibile, le oscurit della lingua, le contorsioni sintattiche imposte dalla metrica spariscono sotto la proporzione massiva delle intenzioni. E

poi, soprattutto, la psicologia distanziata: Teseo non il marito tradito di una donna adultera, ma essenzialmente una funzione tragica, colui per il quale il segreto esiste, da cui svelato, il centro fisso di questa reazione generale di colpevolezza. Storia o letteratura? Una storia letteraria possibile, ma la resistenza generale degli storici della letteratura a passare proprio dalla letteratura alla storia ci ravvede su questo: che c uno statuto particolare della creazione letteraria; che non solo non si pu trattare la letteratura come qualsiasi altro prodotto storico, ma anche che questa specialit dellopera contravviene in una certa misura alla storia, cio che lopera essenzialmente paradossale, che allo stesso tempo segno di una storia e resistenza a questa storia. Insomma, nella letteratura due postulati: uno storico, nella misura in cui la letteratura istituzione; laltro psicologico, nella misura in cui essa creazione. Non dobbiamo esigere dalla storia ci che essa non pu darci: la storia non ci dir mai ci che succede in un autore nel momento in cui egli scrive. Ma sar pi efficace invertire il problema e domandarci ci che unopera ci lascia del suo tempo. Recenti lavori di critica raciniana: programma di Lucien Febvre, (1) studioso del contesto, del gruppo umano ristretto che circonda lo scrittore. In effetti se si concepisce il contesto di uno scrittore in un modo pi organico, come il luogo degli usi di pensiero, dei tab impliciti, dei valori naturali, degli interessi materiali di un gruppo di uomini associati realmente da funzioni identiche o complementari, cio come una porzione di classe sociale, gli studi si fanno molto pi rari. Essenzialmente Racine, nella sua carriera, ha partecipato a tre contesti: Port-Royal, la Corte, il Teatro. (2) Il pubblico di Racine. (3) la formazione intellettuale di questo pubblico. Si dice spesso che leducazione giansenista era rivoluzionaria, che vi si insegnava il greco e che le lezioni si tenevano in francese, tuttavia non possibile giungere ad una storia dellinsegnamento francese. (4) I fatti di mentalit collettiva, lattenzione sul gusto, luso per cos dire istituzionale dellallegoria nel XVII secolo.

Ora, lessere della letteratura rimpiazzato nella storia non pi un essere. Desacralizzata, la letteratura ridiventa una di queste grandi attivit umane, di forma e di funzione relative, di cui Febvre non ha smesso di reclamare la storia. Insomma, la storia letteraria non possibile se essa non si fa sociologica, se essa non si interessa alle attivit e alle istituzioni, non agli individui. Passando alla questione della creazione bisogna dire che impossibile affrontare la creazione letteraria senza postulare lesistenza di un rapporto tra lopera e qualcosaltro dallopera. Per molto tempo si creduto che lopera fosse un prodotto, ma questa rappresentazione del rapporto creatore appariva sempre meno sostenibile; quindi lidea di prodotto ha fatto man mano spazio allide a del segno: lopera sarebbe il segno di un al-dil dessa stessa; la critica consiste allora nel decifrare il significato, nello scoprirne i termini, e principalmente il termine nascosto, il significato. Si tratta dunque di un movimento generale che consiste nellaprire lopera. La critica erudita nellesegesi raciniana tenta di decifrare Racine come un sistema di significati, soprattutto per una questione di allegoria. Si sa che Racine suscita ancora oggi tutta una ricostituzione di chiavi, storiche o biografiche (Andromaca era la Du Parc? Oreste Racine?). Lunica certezza che abbiamo che lopera considerata come il linguaggio di qualcosa, ora di un fatto politico, ora di Racine stesso. Da un lato, per un significante ci sono sempre pi significati possibili: i segni sono eternamente ambigui, la decifrazione sempre una scelta. Daltra parte, la decisione di fermarsi ad un certo punto: la maggior parte dei critici pensano che un colpo darresto superficiale garantisce una pi grande oggettivit: restando in superficie dei fatti, li si rispetta meglio. Infatti, il colpo di arresto imposto dal critico alla significazione non mai innocente: rivela la situazione del critico, un test proiettivo. Spesso si ha la tendenza a identificare lautore, i suoi amici con i suoi personaggi, si crede di trovarli trasposti nelle sue opere, e se da un lato verosimile che il personaggio non pu che nascere da una persona, dallaltro lato anch e vero che un personaggio pu nascere da tuttaltra cosa che una persona: da una pulsione, da un desiderio, da una resistenza. Tuttavia si parte dal postulato che governa ogni rappresentazione tradizionale della letteratura: lopera unimitazione, ha dei modelli, e il rapporto fra lopera e i

modelli non pu che essere analogico. Goldmann afferma che Racine, come Pascal, apparteneva a un gruppo sociale politicamente deluso e quindi la sua visione del mondo riprodurr questa delusione, come se lo scrittore non avesse altro potere che quello di copiare letteralmente se stesso. Ma bisogna andare pi lontano, domandarsi se lo sforzo principale della critica non debba portare sui processi di deformazione piuttosto che su quelli di imitazione; a supporre che si prova un modello, linteresse poi quello di mostrare in cosa si deforma, si nega o svanisce.

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