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IL SIPARIO OSCURO

la percezione dell'(ir)rappresentabile e la rappresentazione del


(non) percepibile.

Appunti bibliografici:
francesco fronterotta (a cura di) Eraclito Frammenti, BUR
Citare Merleau-ponty prefazione a segni nell'introduzione a il visibile e
l'invisibile.
Foucoult, La parola e le cose
Derrida....
Rousseau...sull'imitazione teatrale...

una nota:
l'opera sarà divisa in tre capitoli e una premessa/indice. I tre capitoli
porteranno i titoli dei paragrafi proposti nella premessa indice.
L'ordito dei tre capitoli seguirà quello indicato in premessa, ma con
continue peregrinazioni esemplari (un andirivieni nel tempo e nelle
geografie culturali) quasi a stabilire le connessioni, i fili di raccordo
che vanno dall'arkè tribale alle esperienze d'avanguardia più recenti.
In sostanza si traccerà l'alveo del fiume carsico extra-temporale e
trans-codice che accompagna lo sguardo-visione umano ogni qualvolta
questi cerca e propone la ripetizione del mondo. La visione e i
meccanismi percettivi che innesca sono al tempo stesso viaggio e
conoscenza? (Non è da intendere allegoria forte che Dante rappresenti
Ulisse quale una fiamma biforcuta che brucia nell'inesausta sete di
conoscenza?)

N. B. Il capitolo su gli oggetti da analizzare si intitolerà:

Materiali. L'officina di Cotrone.

Spettacoli rimasti sulla soglia del “fare” , potenti nel concepimento visionario,
tanto potenti da non resistere all' 'imbuto' della via verso il visibile, della
rappresentazione, eppure scorie di un archivio teatrale da ripercorrere che
conserva uno sguardo che penetra l'oscuro, l'invisibile.

Altro capitolo
Raccontare l'invisibile: Il teatro aedico, dalla monologazione tragica a Baricco e
Baliani.

Nota forte: gli spettacoli possibili oggetti so stati tutti più o meno raccontati
devo scovare il lato carsico, la materia oscura tra le pieghe del teatro occidentale, per giungere a
mettere in crisi lo sguardo stesso sul teatro

è possibile percepirlo e come?

l'ingenuità naturale , da notte delle lucciole, dei selvaggi intorno al fuoco è il fondamento dello
sguardo tra

e non da a

N.B. Il monolite-menir...

Lo maggior corno de la fiamma antica


cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: «Quando

mi diparti' da Circe, che sottrasse


me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta


del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l'ardore


ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l'alto mare aperto


sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,


fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna.

Io e ' compagni eravam vecchi e tardi


quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l'uom più oltre non si metta;


da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta.

"O frati", dissi, "che per cento milia


perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente


non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:


fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

Li miei compagni fec' io sì aguti,


con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,


de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l'altro polo


vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso


lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

quando n'apparve una montagna, bruna


per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;


ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l'acque;


a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com' altrui piacque,

infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».

Il cerchio di fuoco
la percezione dell'(ir)rappresentabile e la rappresentazione del
(non) percepibile.
Dall'invisibile al visibile

Lo sguardo, e l'orizzonte che esso si pone dinanzi, ritagliano una sorta di zona che
potremmo definire il 'visibile': ogni rappresentazione mimetica del reale avviene
all'interno delle coordinate d'orizzonte che lo sguardo propone. Ma lo sguardo (e ciò
che può percepire) si ferma sul limite dell'orizzonte visibile, alle soglie tra luce e
buio. È dunque possibile rappresentare solo il 'visibile'? Se così fosse l'intero
processo della creatività umana si limiterebbe a riprodurre solo la realtà sensibile, la
matericità di ciò che si può percepire coi sensi. Sappiamo bene che non è così. La
mente umana, felicemente definita “volatile” da Leonardo, è in grado di figurarsi
immagini oltre la linea del percepibile, oltre la “siepe che dall'ultimo orizzonte il
guardo esclude” e il tutto non avviene solo in stato di sonno quale attività onirica, ma
pur'anche, come ci ricorda Schopenhauer, in uno stato di veglia sospesa. Il teatro, fin
dalle sue origini e, nella nostra contemporaneità, il cinema e con esso tutte le arti
della rappresentazione sono , di fatto, governate dalla mente 'volatile', dalla capacità
di immaginare e produrre visioni oltre il 'visibile'. Immaginiamo un gruppo di umani
in stato tribale, al tempo delle migrazioni, quando il nomadismo portava le genti ad
esplorare e ad adattarsi di continuo in regioni sconosciute. Ebbene, questo gruppo di
umani, per persistere con una identità 'forte', in grado di tenere unita la tribù, ha
bisogno di costruirsi un immaginario condiviso, una cultura come si dice, un qualcosa
che faccia, al tempo stesso, da collante sociale e da catalizzatore del linguaggio e di
tutte le modalità espressive del gruppo. Immaginiamo la tribù nomade unita intorno al
fuoco. La luminescenza delle fiamme crea un cerchio, un'area di visibilità; oltre
quest'area l'oscuro, le tenebre di una notte fredda in una regione sconosciuta;
all'interno del cerchio i racconti, i canti, le danze. Gli occhi della tribù percepiscono
solo le figure oscillanti rese umbratili dal fumo e dalle fiamme incerte, in alto
l'immensa volta celeste, un tetto, si percepibile, ma distante, non rassicurante, il tetto
dell'universo si estende anche nell'area delle tenebre, da dove provengono fruscii
inquietanti, il vento, voci d 'esseri ignoti. Ecco che in questo scenario lo sciamano
evoca gli spiriti benigni e protettivi che provengono dall'ignota volta stellata e dal
mondo delle tenebre perché confliggano con le entità oscure e maligne portatrici di
un pericolo ignoto. Sono questi gli attori in maschera che danzando e cantando in
estasi ripresentano all'interno del cerchio di fiamma le entità che albergano nel buio
oltre l'oscillazione visiva del cerchio. Ed il conflitto tra gli spiriti mascherati si fa
drammaturgia culturale della tribù, è il suo teatro. È così che viene condotta nel
mondo del 'visibile' l'oscura energia del buio, è così che la via d'ingresso degli spiriti
delle tenebre e del cielo stellato, dei e demoni, viene governata da un codice di
rappresentazione condiviso, un rituale che esorcizza le paure collettive conducendole
all'interno della cultura visionaria, di rappresentazione, del gruppo; il limen tra il
visibile e l'invisibile è dunque la porta, il sipario, attraverso la quale entrano solo i
fantasmi che possono essere gestiti, ripresentati in maschera, ricantati in una melodia
e in un ritmo che ne comanda i fremiti, le voci.

La secolarizzazione del 'visibile' e la rimozione dell' 'invisibile'.


Perché ho voluto, brevemente, qui, ricordare , in chiave antropologica, una possibile
origine del teatro? Forse per sottolinearne la natura sacra, la sua stretta correlazione
con il rito, come ci ricorda Victor Turner nei suoi volumi Dal rito al teatro e
Antropologia della performance (editi, entrambi, in Italia, dalla casa editrice Il
Mulino). Ma il processo di fondazione della Polis, che pure aveva visto, in Grecia, la
nascita della tragedia, dove il rito collettivo della ripresentazione del male era
chiamato ad esorcizzare le colpe dei padri, le contaminazioni dell'orrore, dell'oscuro
appunto, il processo di accentramento urbano, dicevo, progressivamente , nel tempo,
procedeva a secolarizzare, distanziandola dalla natura rituale, la rappresentazione, la
percezione del 'visibile'. Già in età romana il genere della commedia si proponeva di
costruire uno schema di intreccio dove la riconoscibilità dei personaggi, i loro vezzi,
non si distanziavano, se non per eccesso parodico, dai tipi umani riscontrabili nella
quotidianità. Dei e Demoni finivano in soffitta o nei templi, oggetto di una
rappresentazione codificata, funzionale alla quotidianità urbana. Un'onda lunga,
riscontrabile soprattutto nell'ambito della civiltà occidentale, dove, via via, il teatro,
sia pur godibilissimo e di forte funzione aggregante, finiva per essere non il luogo
della gestione condivisa dell' 'invisibile', ma la codificazione rassicurante del 'visibile.
Il limen tra l'oscuro e la luce finiva per sbiadirsi in una rappresentazione en plein air,
dove le maschere s'abbassavano alla funzione della possibilità di moltiplicare i ruoli,
confonderli, esasperarli in gioco: i volti degli antichi demoni dell'oscuro assumevano
sempre più un'aria domestica lontana da ogni inquietudine. Un'onda lunga, dicevo,
che (se si esclude la parentesi medioevale, dove il gioco giullaresco in uno con la
festa del carnevale, ridava un improvviso vigore ancestrale alle maschere) avrà la sua
definitiva canonizzazione nell'età in cui Peter Zsondi (nel suo volume, edito in Italia
da Einaudi, Teoria del dramma moderno) situa la nascita del dramma moderno: il
Rinascimento italiano. È in questo tempo che si impone, definitivamente la
secolarizzazione del 'visibile', con l'avvento della prospettiva. Lo sguardo non è
chiamato più alla circolarità vertiginosa dell'oscuro da riempire con fantasmi
visionari, ma alla regolarità geometrica di un'illusione, la fuga prospettica appunto.
La città è il teatro e viceversa (ricordo il bellissimo volume di Federico Zorzi, sempre
edito da Einaudi, Il teatro e la città): la ripresentazione mimetica del reale è
l'ideologia drammaturgica che consente una rappresentazione fortemente ideologica
delle gerarchie sociali e porta il teatro alla funzione di un gioco (certo raffinato e
altamente congegnato) per ceti sociali privilegiati. Così in Italia, così in Francia. Ma
la zona 'carsica' dell'oscuro, dell'ignoto, per quanto rimossa e , per così dire,
urbanizzata, riemerge con forza sorprendente nell'esperienza del teatro scespiriano e
in alcuni capolavori del Siglo de oro spagnolo (penso a Calderòn de la Barca e al suo
La vita è sogno). Come e quanto queste eccezioni costituiscano i modelli forti di un
progressivo processo di riteatralizzazione (vale a dire di restituzione al teatro della
sua funzione rituale e sacra) ci porta, inevitabilmente a saltare a piè pari verso il
secolo che pone in opera questo processo: il Novecento.

Il ritorno al sacro: l' 'invisibile' si riappropria dello spazio scenico.


L'avvento della figura del regista in uno con le prime 'catastrofi' che il modello
occidentale urbano propone, fanno riemergere la necessità 'artistica' di ridar fiato
all'oscuro, all' 'invisibile'. È il tempo delle cosiddette Avanguardie Storiche: il
Cubismo, il Simbolismo e il Surrealismo nell'invadere e permeare di nuova linfa
extra-sensoriale il mondo della rappresentazione si riappropriano della scena teatrale,
cominciano a confonderne, con vigorela geometria prospettica e mimetica, ridanno
fiato ai demoni dell'oscuro. Figure emblematiche quali Edward Gordon Craig,
Antonin Artaud, Jacques Coupeau, V.S. Meyercholdt, solo per citare alcuni dei registi
e autori sensibili alla necessità di riteatralizzare, danno luogo ad un teatro che sempre
più si spinge verso i confini dell'invisibile; anche l'illuminotecnica (grande scoperta
di Adolphe Appia) è chiamata a ridisegnare lo spazio creando continuamente, con
l'artifizio della luce, nuovi confini tra la luce e l'oscuro. La visione dello spazio si
ripopola di fantasmi (come non ricordare l'ombra oscura che accompagna Amleto,
nell'allestimento che Craig porrà in opera insieme a Stanislawskyi, a Mosca, nel
1911?), il perimetro del palcoscenico all'antica italiana (nato, in età moderna, nel
Rinascimento) si fa sempre più diafano, le quinte prospettiche 'saltano' (non
dimentichiamo la visionaria rappresentazione del nostro Pirandello ne I sei
personaggi in cerca di autore e nell'inquietante ultima opera I giganti della
montagna) per dar luogo, finalmente ad uno spazio indefinito, “interminato”, per
dirla con Leopardi. Tornano così alla percezione dello spaurito spettatore
novecentesco i fruscii inquietanti d'entità sconosciute, il respiro di demoni e dei che
incalzano l'atto creativo (pensiamo ad Artaud e al suo 'soffio' divino): Lo spettatore
occidentale, che ha perso le certezze progressive nel gran lavacro di sangue della
prima guerra mondiale, ritrova la fanciullezza spaurita della paura del buio, un buio
da ripopolare di fantasmi benevoli che scaccino i mostri dell'orrore quotidiano. E qui,
con un gran salto, non posso non citare un regista che, provenendo dal teatro, regala
alla macchina del cinema, l'ingenuità del buio nel quale far danzare i sogni: penso
alla sequenza della lanterna magica nel film Fanny e Alexander, dove uno zio
benevolo (un lare familiare appunto) rasserena l'angoscia dei due bimbi protagonisti
riempiendo la loro stanza buia di fate e spiriti giocosi grazie all'artificio luminoso di
una lanterna magica. È , credo, la più felice allegoria della nascita del cinema. Lo zio-
sciamano di fanny e Alexander, come il Meliès dell'ultimo film di Scorsese
accompagna lo spettatore non solo verso i territori rimossi dell'infanzia, ma, con un
meccanismo forse caro a Jung, lo veicola verso una sorta di inconscio primordiale,
all'interno di quell'antico primo cerchio di fuoco tribale.

Possibile divisione in capitoli...

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