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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

Facoltà di Lingue e Letterature straniere


Corso di Laurea Specialistica in Comunicazione ed Editoria Multimediale
Classe n. 49 – Analisi e Realizzazione di Prodotti Culturali e Multimediali

DEPARTURES, DI YOJIRO TAKITA:


VITA ITALIANA DI UN FILM GIAPPONESE

Relatore:
Chiar.mo Prof. Stefano Ghislotti

Correlatore:
Chiar.mo Dott. Simone Villani

Tesi di Laurea Specialistica


Alessandro PERSEGONI
Matricola n. 49624

ANNO ACCADEMICO 2010 / 2011


A
Maria “Regina della Famiglia”

Madonna delle Ghiaie di Bonate Sopra (Bg)


INDICE

PREMESSA . . . . . . . P. 1

1 LE TEMATICHE: MORTE, INFANZIA


E FAMIGLIA . . . . . . P. 11

2 STILE DI MONTAGGIO E
LETTURA DEL FILM . . . . P. 41

3 STILE E SCELTE DEL REGISTA . . P. 59

4 CULTURA E SCENEGGIATURA . . P. 87

5 CONCLUSIONE . . . . . P. 121

SINOSSI . . . . . . . P. 125

BIBLIOGRAFIA . . . . . . P. 137
PREMESSA

La presente Tesi di Laurea tratta del film giapponese Departures che parla
dell’amore dovendo affrontare la morte.
La pellicola, girata nel 2007, uscita nel 2008, giunta nelle sale
cinematografiche italiane nel 2009 grazie all’impegno della Tucker Film, casa
distributrice del lungometraggio interamente realizzato in Giappone con
l’impegno artistico esclusivo del Paese del Sol Levante, è vincitrice nel 2008
del Premio Oscar come Miglior Film in Lingua Straniera, nonché, nel 2009,
del prestigioso Audience Award alla vetrina europea dell’Udine Far East Film
Festival.
Departures ha come titolo originale Okuribito (おくりびと): in Giappone è stato
prodotto dalla rete televisiva TBS e distribuito dalla storica casa di
produzione nipponica Shōchiku. Il cast, “il gruppo di lavoro più
appariscente”,1 si compone di vere e proprie stelle del firmamento
cinematografico giapponese, ossia, Masahiro Motoki, che interpreta il ruolo
del protagonista Daigo Kobayashi, Ryoko Hirosue, nel ruolo della moglie del
protagonista Mika Kobayashi, Tsutomu Yamazaki per Sasaki Ikuei che
diventerà datore di lavoro e superiore del protagonista, Kimiko Yo nel ruolo
dell’assistente-segretaria del sig. Sasaki che prende il nome di Uemura
Yuriko, oltre che le interpretazioni, nella famiglia Yamashita, dei coniugi Tetta
Sugimoto (Takeru) e Tachibana Yukari (Rie) con la figlioletta Izuka Momoka
(la piccola Shiori), la sig.ra Kazuko Yoshiyuki (Tsuyako); cito infine il vecchio
Takashi Sasano che prende il nome di Hirata Shokichi. 2
Il regista giapponese Yojiro Takita che ha realizzato Departures, nasce nel
1955 nella Prefettura di Toyama: durante la sua carriera ha potuto cimentarsi
con diversi generi cinematografici, ossia, dal fantasy, al cappa e spada, dalla

1
David Bordwell e Kristin Thompson, Film History: An Introduction, trad. it. Cinema come arte. Teoria e
prassi del film, a cura di Bonini Paola, Milano: Il Castoro, 2003, p. 45.
2
Chiara Cardelli (a cura di), Partenze, Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2010, p. 91. Il testo di
riferimento riguarda il volume indivisibile dal prodotto editoriale home-video, libro-dvd, Departures
(Okuribito, 2007) distribuito dalla Feltrinelli come prima edizione della collana Le Nuvole.

1
commedia familiare, ai drammi giovanili. Il tema della famiglia che viene
trattato nel film Departures, già compare nel suo primo successo di carriera,
il lungometraggio del 1988 The Yen Family (Kimurake no Hitobito): la
sceneggiatura di Isshiki Nobuyuki parla di una famiglia caratterizzata
dall’essere composta da avari, tematica attraverso cui si criticano gli eccessi
della bolla speculativa giapponese del periodo. Sarà però Secret (Himitsu,
2000), con interpretazione di Ryoko Hirosue nel ruolo di un’adolescente
traumatizzata da un incidente d’auto, film drammatico e commovente, a
permettere il personale salto di qualità nell’industria cinematografica
giapponese. Inoltre, quest’ultima pellicola ha un tale successo internazionale
che, in Francia, Vincent Perez ne realizza un remake dal titolo Si j’étais toi.
Yojiro Takita gira Departures interamente in Giappone nel 2007, lavorando
su una sceneggiatura del suo connazionale Koyama Kundo. L’idea, però, di
realizzare una pellicola sul rito giapponese della vestizione del corpo di un
defunto prima della cremazione, il nokanshi, è stata avuta nel 1999 proprio
dall’attore, Masahiro Motoki, che interpreterà nel film il ruolo professionale
adibito a compiere questa cerimonia tradizionale della Terra del Sol Levante,
il tanatoesteta. Idea acquistata dai produttori Nakazawa Toshiaki e Mase
Yasuhiro che convinceranno Takita a partecipare al progetto nel settembre
del 2006: “Ho pensato che ci fosse qualcosa di diverso e interessante
quando ho letto per la prima volta la proposta. Non avevo mai visto materiale
di questo tipo prima” ha affermato, e poi aggiunge “ma in tutti i film che
scelgo io trovo qualcosa che mi possa interessare, così sotto questo aspetto
non c’era nulla di strano. Però era difficile immaginare come sarebbe stato
accolto dal punto di vista commerciale”. Infatti, l’incasso finale, uscendo nelle
sale giapponesi nel settembre del 2008, con oltre 2,6 milioni di biglietti
venduti, è di più di 3 miliardi di yen (circa 31 milioni di dollari). “È davvero
difficile sapere quanto bene funzionerà un simile film al botteghino finché non
va in sala – afferma il regista – quanto alle ragioni per cui è andato così
bene… è piuttosto strano per me fare un’analisi di questo tipo… ma penso
che le persone che lo hanno visto lo abbiano compreso e ne abbiano parlato

2
con i loro amici. In altre parole – termina Takita – è stato un successo di
passaparola, e di questo ne sono felice”. 3
L’attore principale Masahiro Motoki, che interpreta il protagonista Daigo
Kobayashi, è genero di uno dei registi chiave del cinema giapponese del
secolo scorso, e famoso rocker degli anni ’60, Uchida Yuya. Si ricordi la sua
realizzazione, esemplificativa della sua carriera, a tema scandalistico su fatti
reali del Giappone del tempo, Komikku zasshi nanka iaranai! (Basta con i
fumetti!, 1986), avente come protagonista l’attuale e rinomato attore Beat
Takeshi (nome d’arte di Kitano Takeshi). Masahiro Motoki inizia la carriera
nel mondo dello spettacolo, negli anni ’80, calcando i palcoscenici musicali
come cantante nella boy-band Shibugakitai, 4 passando poi ad essere attore,
in ruoli di tutto rilievo, nelle opere di registi del calibro di Suo Masayuki,
Tsukamoto Shin’ya e Miike Takashi. Motoki viene definito “attore molto
versatile, in grado di esprimere sullo schermo diversi stati d’animo in maniera
naturale, ed è per questo considerato cavallo di razza da tutti i registi con i
5
quali ha lavorato”. Motoki partecipa nel film di debutto alla regia di Suō
Masayuki del 1984 Hentai kazoku: aniki no yomesan (Famiglia anomala: la
cognata), ispirato allo stile cinematografico di un altro regista giapponese,
Ozu Yasugirō. È ancora protagonista delle due opere successive di Suō:
Fancy Dance (1989), storia di alcuni giovani bonzi, e Shiko funjatta / Sumo
6
Do, Sumo Don’t (1992). Quest’ultimo film, che lo presenta nel ruolo di
lottatore di Sumo, viene proclamato primo dei migliori dieci lungometraggi
7
giapponesi nel 1992 dalla rivista del settore Kinema Junpō. Nel 1998
interpreta l’uomo d’affari nella pellicola Chūgoku no chōjin (Il popolo degli
uccelli in Cina) del regista Miike Takashi: una coppia di giapponesi scopre il
paradiso in una sperduta vallata cinese, facendo emergere come “i
giapponesi, nella loro ricerca compulsiva della prosperità, hanno perso di
vista i valori che li avevano resi umani, e ora aspetta ad altri asiatici, più
3
Mark Schilling, “La morte e l’Oscar: intervista con Takita Yojiro e Mase Yasuhiro”, Nickelodeon. Numero
Speciale Udine Far East Film 11, 28:124, primavera 2009, pp. 48-51.
4
Ibidem.
5
Giovanni Spagnoletti, Dario Tomasi e Olaf Möller, Il cinema giapponese oggi. Tradizione e innovazione,
Torino: Lindau, 2001, p. 30.
6
Ibidem.
7
Ottaviani G., 30 film alla scoperta del Giappone, Roma: Edizioni Joyce & Co., 1985, pp. 65-66.

3
poveri e quindi ancora liberi dalla forza corruttrice del materialismo, ricordare
loro cosa conta veramente”. 8
Tsutomu Yamazaki interpreta il datore di lavoro del protagonista e
proprietario dell’Agenzia NK, Sasaki Ikuei, che esegue il rito giapponese,
all’interno delle mansioni delle pompe funebri, del nokanshi. Nel passato ha
recitato nel film del regista Miike Takashi Tengoku kara kita otokotaichi (Gli
uomini venuti dal paradiso, 2001) che riprende la tematica propria del suo
precedente film Chūgoku no chōjin (1998) riguardante la “fratellanza
asiatica”, in cui è presente l’attore protagonista di Departures Masahiro
Motoki: avendo in comune l’esperienza di aver lavorato per il medesimo
regista in due film che presentano la medesima tematica e uguale forma di
“commedia nera”, le carriere cinematografiche di Tsutomu Yamazaki e
Masahiro Motoki si possono dunque affiancare, dal punto di vista
dell’esperienza professionale, grazie all’autorevole Miike Takashi, fino a
giungere all’inseparabile recitazione, perché permetterà di vederli duettare
insieme nei ruoli di affiatati colleghi di lavoro, nella medesima pellicola
cinematografica di Yojiro Takita Departures.9
Tsutomu Yamazaki ha inoltre partecipato a tre film comici del regista
giapponese Juzo Itami negli anni ’80: Ososhiki (Funerali, 1984) tratta la
tematica del trapasso con elementi umoristici caratterizzanti anche dello stile
del regista di Departures, e riscontrabili fin dagli esordi di quest’ultima
pellicola perché “Takita ha alleggerito l’aspetto serio e drammatico del film
con tocchi d’umorismo […], inserendo una memorabile scena di apertura in
cui il protagonista scopre che la giovane donna che sta preparando per
10
l’ultimo viaggio è in realtà un travestito”; nel seguente film di Itami, il
dodicesimo, del 1986, chiamato Tanpopo, la storia e lo stile comico ricordano
un’altra pellicola di recente realizzazione, del 2008, ovvero, The Ramen Girl,
del regista Robert A. Ackermann, in cui una ragazza americana, interpretata

8
Mark Shilling, “Immagini di asiatici nei film giapponesi contemporanei”, in Giovanni Spagnoletti, Dario
Tomasi e Olaf Möller (a cura di), Il cinema giapponese oggi. Tradizione e innovazione, Torino: Lindau,
2001.
9
Ibidem.
10
Mark Schilling, “La morte e l’Oscar: intervista con Takita Yojiro e Mase Yasuhiro”, Nickelodeon.
Numero Speciale Udine Far East Film 11, 28:124, primavera 2009, pp. 48-51.

4
dall’attrice Brittany Murphy, trasferitasi a Tokyo, vuole imparare a cucinare i
piatti di ramen, o noodles, da un esperto cuoco giapponese sposato con una
certa Toshi Iwamoto che, interpretata dall’attrice Kimiko Yo, è la medesima
che in Departures ha il ruolo di segretaria del proprietario dell’Agenzia NK
ricoperto proprio da Yamazaki.

[Juzo Itami] è un autore così famoso che rimase ben conosciuto finanche dopo gli
anni sessanta […]. Nel 1984 si lancia nella realizzazione di Ososhiki […]. Si parla
di un evento banale: un vecchio signore è morto; sua figlia e suo marito preparano
il funerale. I dettagli evocano il decoro che esiste nella pur seria cerimonia funebre
e i diligenti comportamenti della gente, che sono tutti, però, ribaltati con ironia e
con umorismo […]. Il dodicesimo film di Juzo Itami (Tanpopo, 1986), racconta la
storia di una giovane vedova che gestisce un ristorante di noodles, il ramen cinese.
Un giorno un cow-boy viaggiatore l’aiuta a modernizzare il suo locale e a migliorare
le ricette come anche il servizio. Questo film è stato meglio ricevuto in Europa e
negli Stati Uniti che nello stesso Giappone. Il suo tredicesimo film, Marusa no
Onna, L’esattrice delle imposte, del 1987, è una variante comica di un film
poliziesco che racconta la lotta accanita che si svolge tra una ispettrice delle
imposte contro le frodi fiscali […]. Il regista crea così un nuovo genere:
11
l’informazione che prende forma nel divertimento.

Ryoko Hirosue interpreta il ruolo di moglie attenta e premurosa ma anche


forte e decisa, di nome Mika: è una giovane attrice cinematografica affermata
sia sul grande che sul piccolo schermo. È stata anche cantante di successo,
debuttando nel 1999 nella capitale giapponese Tokyo, e diventando, in breve
tempo, una vera e propria popstar al pari di Masahiro Motoki. Nata nel 1980
nell’isola di Shikoku, a soli quattordici anni viene ingaggiata per girare uno
spot pubblicitario. Sei anni più tardi aveva all’attivo già più di una trentina di
serie e programmi televisivi. Numerosi i premi vinti: Premio per il miglior
giovane talento ai festival di Yokohama e di Osaka; Gran premio Suponichi al
Festival di Mainichi; la Golden Arrow; Premio come miglior attrice della
Japanese academy; vincitrice al Festival del film giapponese; vincitrice al
Festival Fumiko Yamani. Inoltre, l’interpretazione nel film del 2000 del regista
di Departures Yojiro Takita Himit-su (Le secret), le ha permesso di vincere il
premio come Miglior attrice al 33° Festival del fil m giapponese. Agli occhi

11
Tadao Sato, Le cinéma japonais, Vol. 2, Parigi: Centre Georges Pompidou, 1997, p. 210 (traduzione
mia).

5
dell’occidente era già arrivata con la pellicola di Gerard Krawczyk, Wasabi,
nel 2003, interpretando la figlia dell’attore Jean Reno. 12
La scelta del regista Yojiro Takita di affidarsi agli attori principali del film citati,
non risulta essere casuale confrontando i ruoli che in Departures sono
assegnati loro con le esperienze cinematografiche o professioni personali
passate: Tsutomu Yamazaki, per esempio, nell’interpretazione nel film
Ososhiki di Itami che presenta la tematica comune a Departures del rito
funebre, mantiene, nel suo nuovo ruolo, una certa componente comica;
Masahiro Motoki, nei panni di Daigo Kobayashi, è violoncellista, una
mansione da musicista che si lega alla sua carriera professionale degli esordi
nel mondo dello spettacolo; Ryoko Hirosue per il grande successo
nell’interpretazione delle diverse parti a lei affidate nel film Secret (Himitsu,
2000) da lui stesso diretto, mantiene ancora una volta alta la sua capacità di
interpretare il ruolo attoriale assegnatogli, senza smentirsi nella
professionalità acquisita. 13

Takita ha sentito sin dall’inizio che Departures aveva tutto il potenziale per essere
un film straordinario con un “messaggio positivo”. “Il protagonista è un uomo che
non aveva mai dovuto prendere decisioni riguardo la propria vita”, ha spiegato.
“Sin dalla sua infanzia, altri avevano deciso per lui. Questa è la storia della sua
crescita come essere umano e della sua personale scoperta dei propri valori”.
È anche la storia di come Daigo e la sua giovane moglie, che inizialmente
considera la nuova professione del marito umile e disgustosa, arrivano poco per
volta a conoscersi meglio e, per usare le parole di Takita, “a trovare l’amore e la
speranza”. All’inizio però, Mika doveva avere all’incirca la stessa età di Daigo, vale
a dire quasi quarant’anni, ma la ricerca di un’attrice adatta è risultata infruttuosa e
alla fine il cineasta ha suggerito la più giovane Hirosue, che aveva avuto un ruolo
da protagonista adolescente in Secret, proponendola a Mase per il ruolo.
“All’inizio [Daigo e Mika] sono piuttosto ingenui; non sanno molto del mondo”,
spiega il regista, “Poi si trovano a dover affrontare una crisi e, nel frattempo, a
maturare. Per questo ho pensato che un’attrice più giovane sarebbe stata
preferibile, perché era in grado di mostrare meglio quel cambiamento. E poi
Hirosue è poliedrica. Me ne sono accorto nel dirigerla in Secret, dove interpretava
una madre e anche una liceale e una studentessa universitaria, pur essendo
ancora adolescente”.
Il cuore del film è però Motoki […]. Nel suo ruolo di nokanshi, Motoki esprime non
solo la grazia e la precisione del musicista, ma anche la compassione e il rispetto
per i defunti nell’atteggiamento e nei gesti.
“Più del modo in cui un attore recita il copione, sono importanti le sue espressioni”,
commenta Takita. “È davvero difficile riuscire in questo genere di cose; ci sono
talmente tanti modi di vedere un personaggio. La cosa bella di Motoki è la sua

12
Biografia tratta dagli inserti speciali del film in Dvd Wasabi (Wasabi, dir. Gerard Krawczyk, 01
Distribution, Francia 2001).
13
Mark Schilling, op. cit., pp. 48-51.

6
trasparenza, il fatto che ti permette di guardare dentro i pensieri e il
14
comportamento del suo personaggio”.

Prendendo spunto dall’affermazione di Takita nei confronti dell’attore Motoki,


“ci sono talmente tanti modi di vedere”, si utilizza la medesima
considerazione per procedere nell’analisi del film Departures nei cinque
capitoli che compongono il presento scritto: il primo capitolo attraverso le
tematiche nella pellicola presenti, ossia, la morte, l’infanzia e la famiglia; lo
stile narrativo, mediante l’analisi del montaggio con lettura del significato del
film, nel secondo capitolo; lo stile di regia, con analisi audiovisiva di una
scena come estratto motivato del film, nel terzo capitolo; quarto capitolo con
approfondimento dell’importanza della sceneggiatura interpellando le figure
che hanno avuto l’incarico della traduzione e dell’interpretazione da parte
della casa di distribuzione in Italia; quinto, capitolo conclusivo.
La metodologia ha bisogno di un’articolazione maggiore in questa sede per
introdurre concretamente e chiaramente la modalità secondo la quale si
affronterà l’analisi della pellicola cinematografica attraverso i cinque capitoli
menzionati.
La prima riflessione teorica a cui faremo riferimento, e valida per tutto lo
scritto, è la concezione culturale del cinema, un’accettazione in quanto tale e
totale del mezzo risalente al 1945, che permette la specializzazione dei
termini usati, distinguendosi, quindi, da un’analisi con un linguaggio
prettamente ordinario, e del fenomeno dell’internazionalizzazione del
dibattito, che porterà a citare interventi di figure che hanno contribuito a
definire la pellicola, oltre che da diverse angolazioni, da diverse, e differenti,
nazioni e posizioni culturali, ossia, i critici. 15
Si utilizzano entrambe le accezioni coniate e distinte di Christian Metz,
dell’attenzione al cinema come arte o come fatto, e di Dudley Andrew,
dell’uso di film come riserva di esempi o come luogo di interrogativi, per lo
sviluppo della presente ricerca: nel primo ventennio del dopoguerra, il
cinema è considerato sia mezzo di espressione di culture e ideologie, sia una

14
Ibidem.
15
Francesco Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Sonzogno: Bompiani, 1993, pp. 9-12.

7
realtà oggettiva da analizzare nel suo funzionamento e nelle sue componenti
visibili. Teorie che si dividono nelle accezioni estetiche con fine essenzialista
e negli studi di stampo scientifico basati sull’articolazione metodica.
L’approccio essenzialista vuole esaltare le peculiarità del cinema come arte,
nella sua totalità, indicandone delle linee di tendenze. L’approccio metodico
utilizza invece una serie di osservazioni, di confronto, definendone quindi
diverse prospettive con particolare e relativo metodo di sguardo,
articolandosi nell’analisi di dati, ricavandone infine delle leggi per la
spiegazione. 16
Successivamente, negli anni settanta e ottanta, si sente la necessità di
elaborare nuovi strumenti d’indagine all’approccio metodico che si è imposto
sull’essenzialista, perché i modelli da applicare risultano essere più
importanti dei risultati ottenuti e, in questo ventennio, si crea la dualità:
approccio analitico e approccio interpretativo. L’analitico utilizza prospezioni,
rilievi, misurazioni, sondaggi, con criteri di osservazione validi e già validati,
restituendo un quadro esaustivo della realtà osservata. L’interpretativo si
snoda in una sorta di colloquio tra studioso e l’oggetto d’analisi individuato,
sperimentando innovazioni derivanti dall’approccio a un particolare campo
d’indagine, nella certezza che nulla è definitivo, perché le domande sono
inesauribili. La principale differenza tra questi due approcci risiede nel fatto
che l’analitico guarda al cinema come un campo definito, mentre
l’interpretativo lo considera come una realtà mai afferrabile del tutto perché
presenta zone buie e pieghe impreviste ed è quindi irriducibile a forma
fissa.17
L’evoluzione storica delle teorie del cinema menzionate dal dopoguerra,
creano infine tre modelli di riferimento secondo cui impostare, condurre ed
esporre, l’indagine, ossia, l’area estetico-essenzialista, la scientifico-analitica
18
e l’interpretativa. In questa sede, prendendo spunto da ciò che Francesco
Casetti definisce, nel suo libro dedicato alle correnti di studio del cinema dal
1945, per coniare il termine teoria, ovvero, “un insieme di assunti, più o meno

16
Ivi, pp. 12-15.
17
Ivi, pp. 13-15.
18
Ivi, p. 15.

8
organizzato, più o meno esplicito, più o meno vincolante, che serve da
riferimento ad un gruppo di studiosi per comprendere e spiegare in che cosa
19
consiste il fenomeno in questione”, il film Departures, il “fenomeno in
questione”, vuole essere analizzato utilizzando la pluralità di paradigmi
menzionati che presentano tre specifiche domande di riferimento, e di iniziale
orientamento, da cui poter trarre adeguate risposte per comprendere il
lungometraggio giapponese nella sua completezza.
Il primo paradigma di riferimento è la teoria ontologica, che fa propria la
20
domanda “che cosa è il cinema?”, definendo come la settima arte, in cui
quest’opera si colloca, sia da riferirsi a tutto il cinema. Evidentemente questa
visione è limitata per il presente scritto, perché ricercare un’essenza del
cinema, attraverso l’analisi del lungometraggio giapponese, si riduce al
ricercare la sua essenza, che può essere allargata a concessioni totalizzanti
solo in certe occasioni, come nella conclusione.
Ulteriore paradigma è il relativo la teoria metodologica che si pone la
domanda: “da quale punto di vista va osservato il cinema, e come appare
colto da quella prospettiva?”. L’attenzione si concentra nei modi in cui è
impostata e condotta la ricerca, valorizzando la componente sistematica che
non è più totalizzante, ma parte del fenomeno. Componente di pertinenza più
che di essenzialità. La teoria metodologica con componente sistematica,
come prima disciplina di riferimento nel presente scritto utilizza la
competenza di studio della sociologia, di particolare importanza per un
confronto tra tematiche culturali, come nel primo capitolo.
L’ultimo paradigma utilizzato in questa sede, è definibile come delle teorie di
campo, caratterizzato dalla domanda “quali problemi suscita il cinema?”, che
implicitamente detta un dialogo che intercorre tra lo studioso e l’oggetto dei
suoi studi. Vicino all’approccio interpretativo degli anni settanta e ottanta, è
paradigma presente principalmente nel capitolo dedicato alla sceneggiatura,
il penultimo, seguendo la dimensione fenomenica che come obiettivo pone
quello di individuare le questioni che si trovano nel cinema, cogliendone

19
Ivi, p. 2.
20
Ivi, p. 62.

9
alcune di specificità, superando la caratteristica del primo paradigma
dell’essenza, sia quella relativa alla pertinenza, giungendo ad aprire un
campo di interrogativi, una problematica, di stampo antropologico-culturale.21
I paradigmi non si caratterizzano solamente per la loro architettura interna:
“costituiscono anche uno schema di riferimento condiviso da un gruppo di
studiosi; rappresentano un complesso di idee, di procedure e di risultati con
22
cui una comunità si trova a confrontarsi”. Per questa ragione, oltre che per
introdurre correttamente la metodologia utilizzata, il riferimento teorico
utilizzato in questa sede attrae una corrispondente molteplicità di lettori di
riferimento, la comunità verso cui confrontarsi, allargando un possibile
interesse di pubblico per il presente studio cinematografico della pellicola
giapponese Departures, e risponde alle domande delle tre articolazioni
paradigmatiche citate, rispettivamente, in ordine di presentazione, ciascuna
nella sua specificità, per rendere completa ed esaustiva la tesi d’analisi
cinematografica, con la seguente strutturazione: la teoria ontologica, il
cinema tutto, sia considerando la tradizione cinematografica giapponese-
orientale, sia l’italiano-occidentale, oltre che nell’unione e comunione
occidentale-orientale (capitolo conclusivo), la teoria metodologica, la
comunicazione del regista e dello sceneggiatore, mediante l’analisi delle
tematiche (capitolo primo), del montaggio e lettura del significato (capitolo
secondo), delle scelte audiovisive di regia attuate (capitolo terzo), e, per la
teoria del campo, il film, dalla sceneggiatura, partendo dall’originale in lingua
giapponese, passando dalla fase di traduzione e interpretazione italiana,
infine, giungendo all’elaborazione di un nuovo progetto editoriale (capitolo
quarto).

21
Ivi, pp. 14-18.
22
Ivi, p. 19.

10
LE TEMATICHE: MORTE, INFANZIA E FAMIGLIA

Il presente capitolo introduce una prima panoramica globale del film


giapponese Departures, distribuito in tutto il mondo, confrontando
l’accoglienza della critica nel Paese del Sol Levante con la relativa ricevuta in
alcune nazioni occidentali, attraverso la presentazione delle principali
tematiche di fondo in esso presenti, ovvero, la morte, legata al rito funebre
del nokanshi (Fig. 1.1), l’infanzia, presentata mediante i ricordi, di quando
bambino nella sua casa natale, del protagonista (Fig 1.2), e della famiglia, la
relativa sempre di Daigo Kobayashi (Fig. 1.3) e delle numerose presentate
durante la narrazione, confrontando le medesime tre prospettive, per meglio
comprenderne il significato insito nel film giapponese di Yojiro Takita e
Kundo Koyama, in altre pellicole, sia occidentali (Lost In Traslation, L’amore
tradotto, dir. Sofia Coppola, 2003; Bringing Up Baby, Susanna, dir. Howard
Hawks, 1938; Citizen Kane, Quarto Potere, dir. Orson Welles, 1941), che
realizzate seguendo la tradizione cinematografica nipponica grazie agli
esempi del regista Ozu Yasujirō (Tarda primavera, Banshun, 1949; Sapore
del tè verde e del riso, O-Chazuke no Aji, 1952; Una storia di Tokyo, Tokyo
Monogatari, 1953; Fiore d’equinozio, Higanbana, 1958).

Attualmente l’industria del cinema giapponese fa uscire in sala circa quattrocento


film all’anno; [dal 2000 al 2010] solo un manipolo di cineasti giapponesi vince
premi internazionali importanti, compreso il più importante di tutti, l’Oscar. Uno di
questi è l’autore di film di anime Miyazaki Hayao, che […] ha ricevuto l’Oscar per il
Miglior Lungometraggio di Animazione. Ora ce n’è un altro, Takita Yojiro, che nel
2009 ha vinto l’Oscar per il Miglior Film Straniero con il film drammatico Departures
(Okuribito) […].
Per quel che riguarda l’Oscar, Departures è il primo film giapponese a entrare in
lizza come Miglior Film Straniero dopo The Twilight Samurai (Tasogare Seibei),
dramma sui samurai di Yamada Yoji del 2003. Dal 1947, anno in cui gli Oscar
hanno inaugurato questa categoria, sono solo tre i film giapponesi ad aver
ricevuto il premio (il primo è stato il classico di Kurosawa Akira Rashomon nel
23
1951).

23
Mark Schilling, “La morte e l’Oscar: intervista con Takita Yojiro e Mase Yasuhiro”, Nickelodeon.
Numero Speciale Udine Far East Film 11, 28:124, primavera 2009, pp. 48-51.

11
Il breve intervento del giornalista americano Mark Schilling, che in questa
occasione esprime la sua opinione in un articolo pubblicato su di una rivista
di settore italiana, esprime a chiare lettere come il film, attraverso l’Oscar,
abbia riscosso un notevole successo di critica a livello internazionale.
Quest’affermazione trova conferma anche per la critica interna giapponese,
che numerosi premi ha affidato al regista per il suo lavoro, nonché trova eco
nei numerosi riconoscimenti internazionali che rafforzano il successo globale
del lungometraggio:

Ho incontrato Takita e il produttore di Departures Mase Yasuhiro il 1° febbraio al


Festival di Yokohama, dove Departures è stato premiato il Miglior Film, la Miglior
Regia e la Miglior Attrice Non Protagonista. Takita, che fumava una sigaretta dopo
l’altra con un lungo becchino di plastica, parlava a scatti, rapido e nervoso, seppur
affabile. “Sono felice e onorato”, ha dichiarato. I premi vinti al festival di Yokohama
fanno parte della sessantina di riconoscimenti piovuti sul suo film, che racconta di
Daigo, un violoncellista che, improvvisamente disoccupato, trova una nuova
occupazione come nokanshi, professionista che lava e riveste le salme per il
funerale. Il primo di questi premi è stato un Grand Prix al Montreal World Film
Festival lo scorso settembre, seguito da una sfilza di premi in Giappone, compresi
quelli per il Miglior Film, la Miglior Regia e la Miglior Sceneggiatura dell’annuale
24
sondaggio fra critici della rivista Kinema Junpo.

Anche l’Italia ha confermato l’apprezzamento del film attraverso il


conferimento del premio Audience Award all’Udine Far East Film Festival,
rassegna cinematografica dell’Asia orientale che annualmente si svolge in
Friuli e che proprio nella primavera del 2009, durante la sua undicesima
edizione, ha proposto, in anteprima italiana, la proiezione della pellicola di
Yojiro Takita.
L’ampio riconoscimento dei critici professionisti in occidente e in oriente,
grazie ai numerosi premi vinti in tutto il mondo, trovano concordi,
nell’accogliere positivamente la pellicola, anche i critici dilettanti che,
attraverso l’esemplificativo intervento online di un blogger giapponese,
formulano un motivato giudizio di merito artistico acquisito, indispensabile per
capire il panorama di critica tutta nelle nazioni in cui il film è stato distribuito e
l’importante spinta del passaparola che ha permesso di raggiungere tali

24
Ibidem.

12
risultati, come peraltro ricordava lo stesso regista dando una presunta
spiegazione dell’alto successo d’incassi al botteghino nel mondo: 25

Sul blog Cinema Novo [il critico dilettante giapponese] Takaya spiega la filosofia
che si cela dietro il film.
人間誰でも望もうが望むまいが、生まれる時と死ぬ時は人様が手を貸してくれる。
じょさん きよ
生まれる時は助産の手助けを受け、死ぬ時は納棺師によって身体を清
められ、あの世に旅立つ。
Gli esseri umani, che lo vogliano o meno, necessitano d’aiuto tanto all’inizio che
alla fine della propria vita.
Appena nati hanno bisogno dell’assistenza di un’infermiera.
Da morti, non lasciano questo mondo finché un becchino non ne abbia purificato il
corpo.
昨年度のキネマ旬報ベスト1に選ばれた『おくりびと』を観てきた。
滝田洋二郎監督はここで人生の見送り人、納棺師の仕事をつぶさに描きあげていた。
Sono andato a vedere Okuribito, selezionato come il miglior film del 2008 dalla
rivista KineJun [abbreviazione di Kinema Junpo].
Questa volta il regista Yōjiro Takita, che in commedie leggere come Byōin he ikō
(病院へ行こう, Andiamo all’ospedale, 1990), aveva ritratto in modo eccellente i
paradossi della società, ha messo in primo piano il lavoro del becchino
(undertaker), colui che presenzia e supervisiona il funerale di una persona. […]
映画の中、「人生最後の買い物は他人が決めるのよね」とランク分けされた棺桶の前で
語られるように、一番肝心なはずの生まれる時と死ぬ時は我が身を人様にゆだねるのが
、この世の習いであり、どんな死に方をしてもそれは変えようがない。
In una scena del film, davanti a diverse casse da morto offerte da scegliere per il
funerale si dice: “l’ultima necessità di una persona viene scelta da qualcun altro”.
Quando nasciamo e quando moriamo, in quelli che dovrebbero essere i due
momenti più importanti della vita, mettiamo il nostro corpo nelle mani di qualcun
altro. È così che funziona il mondo e questa verità non cambia. […]
死とは何なのか、生き物の死がなければ、人は喰うに困るのに、死を忌み嫌う。
斎場の火葬場の職員であるお爺さんが「死は門だと思う」と語る時、人生の見送り人、納
棺師の仕事の意味が掴めてくる。
Cos’è la morte? La gente morirebbe di fame se gli altri non perissero, eppure
detestiamo la morte. Quando (in un’altra scena del film) l’anziano incaricato del
crematorio, [l’attore Sasano Takashi che interpreta il ruolo di Hirata Shokichi] nella
stanza funeraria dice “La morte è un passaggio” appare evidente il significato reale
del ruolo del becchino.
お疲れ様でした。いってらっしゃい。
26
“Grazie e addio. Fai buon viaggio” (dice).

Il critico popolare di lingua giapponese, Takaya, è stato invogliato a visionare


la pellicola in Giappone grazie al riconoscimento interno dettato dalla

25
Ibidem.
26
Si vedano gli interventi nella versione online all’indirizzo <
http://it.globalvoicesonline.org/2009/04/rilanci-sulloscar-al-film-giapponese-
%e2%80%9cokuribito%e2%80%9d-partenze/>.

13
27
prestigiosa rivista nipponica Kinema Junpo, ed esponendo la propria
interpretazione sul significato del film, introduce la prima tematica di
Departures che in questa sede si intende analizzare: la morte.
Il critico dilettante con l’intervento online ha esplicitamente dichiarato che il
ruolo di becchino è il relativo alla professione del protagonista che, invece,
riveste i panni del tanatoesteta (Fig 1.4), traduzione italiana di chi opera
professionalmente come nokanshi, ossia, chi lava e riveste la salma per il
funerale: bisogna distinguere il ruolo del protagonista della narrazione filmica,
Daigo Kobayashi, e chi, invece, si avvicina al termine utilizzato di becchino,
di undertaker, corretto per descrivere il lavoro del vecchio Hirata Shokichi nel
crematorio (Fig 1.5). Per non cadere in incomprensioni e per analizzare in
profondità il tema del trapasso, e non solo, riferendomi anche agli altri temi
presenti nella pellicola giapponese, tecnicamente definibili di natura
28
ideologica dal e nel film, è necessario proporre i passaggi tratti dalla
traduzione originale, riportati in forma corretta e, nel caso, diversa da quelli
29
usati dal critico dilettante giapponese on line, della sceneggiatura desunta
dal montaggio definitivo del lungometraggio di Yojiro Takita, ovvero, testo in
cui compaiono i dialoghi con le espressioni di riferimento utilizzate nel
doppiaggio italiano, sottolineando come sia fondamentale l’importanza di
ogni singolo dettaglio linguistico per una corretta interpretazione a partire da
una giusta traduzione:

HIRATA Lavoro qui da molti anni, e lo penso ogni volta.

Yamashita si gira e guarda Hirata.

HIRATA …La morte è un passaggio!


YAMASHITA …
DAIGO …

27
Kinema Junpō inizia la sua pubblicazione nel 1919 a circolazione interna per poi diventare la rivista
giapponese specializzata più rappresentativa del panorama cinematografico del Paese del Sol Levante,
in cui compare, fin dagli esordi, l’autorevole classifica dei dieci migliori film dell’anno. Panoramica
riguardante gli albori delle riviste di critica cinematografica giapponese, da cui è tratto questo
intervento, nel testo di Yomota Inuhiko, “Storia del cinema giapponese”, in Gian Piero Brunetta (a cura
di), Storia del cinema mondiale. Volume quarto. Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie
nazionali, Torino: Giulio Einaudi editore, 2001, p. 926.
28
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 504.
29
Vincenzo Buccheri, Il film. Dalla sceneggiatura alla distribuzione (2003), Roma: Carocci editore, 2007,
p. 50.

14
MIKA …
HIRATA La morte per me non significa la fine. Ci si deve passare ma solo per
andare avanti. E’ proprio… un portone [anche se, precisazione che non sminuisce
l’interpretazione, nel film viene usata la parola cancello]. E io, che sono il
guardiano, ho assistito molte persone nel giorno della partenza, salutandole,
30
dicendo, “arrivederci, ci rivedremo”.

L’espressione tradotta in italiano “Grazie e addio. Fai buon viaggio”, dalla


blogger italiana Beatrice Borgato, proveniente dall’intervento del critico
dilettante giapponese per completare la spiegazione del significato delle
parole assegnate dalla sceneggiatura desunta al vecchio Hirata “La morte è
un passaggio!”, che, definendo il significato autentico di questo tema in
Departures, dovrebbero presumibilmente essere, perché in verità mai
pronunciate durante la proiezione, inserite successivamente l’esclamazione
nel suo discorso, come peraltro appaiono in ordine di presentazione nella
31
pagina Web di riferimento, non è frase che corrisponde alla effettivamente
pronunciata poco dopo aver affermato la considerazione che racchiude il
senso profondo della tematica della morte citata come “passaggio” che,
come la sceneggiatura desunta a montaggio definitivo mostra, è
correttamente “arrivederci, ci rivedremo”.
Per confermare tale linea d’analisi, immettiamo il segmento di sceneggiatura
letteraria originale giapponese, con annessa traduzione italiana, utilizzata per
la realizzazione del doppiaggio dalla casa di distribuzione friulana Tucker
Film, relativo il medesimo passaggio in dialoghi del segmento sopracitato
della sceneggiatura desunta, che mantiene identica la frase “arrivederci, ci
rivedremo”, sottolineando come questa sia l’espressione correttamente
tradotta:

平 田「Lavorando qui per molti anni, ci ho riflettuto bene. Penso che


長えこと、ここさいっと、つくづく思うのやの」

山 下「(Si gira e guarda Hiyata. 振り返って平田を見る)」

平 田「…che la morte sia un passaggio! 死は、門だな、って」

山 下「……」

30
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 78.
31
Intervento nel blog online all’indirizzo < http://it.globalvoicesonline.org/2009/04/rilanci-sulloscar-al-
film-giapponese-%e2%80%9cokuribito%e2%80%9d-partenze/>.

15
大 悟「……」

美 香「……」

平 田「La morte non è la fine. E’inevitabile, ma ci si passa solo per


continuare ad andare avanti. E’come un grande portone, e io, che
sono il guardiano, ho indirizzato molte persone sulla loro
strada, salutandoli dicendo “arrivederci, ci rivedremo”.
死ぬっていうことは、終わりっていうことでなくて。そこをくぐり抜け
て、次へ向かう……まさに、門です。私は、門番として、ここでたくさ
んの人を送って来た。いってらっしゃい、また、会おうのう‥って、言
いながら」32

“Arrivederci, ci rivedremo” è frase che, affiancata al significato della morte, “la


morte è un passaggio”, propria di chi è spesso a contatto con il fine-vita,
ossia, il vecchio Hirata, perché ricopre la professione dell’operatore al forno
crematorio, è una considerazione autorevole per comprendere il senso
autentico che il regista Yojiro Takita e lo sceneggiatore Kundo Koyama
vogliono affidare alla tematica del trapasso e, considerando che tale
passaggio avviene a film quasi concluso (Fig. 1.6), è un’interpretazione
valida estendibile a tutta la pellicola. Utilizzare l’espressione mai pronunciata
da Hirata “Grazie e addio. Fai buon viaggio” al posto del corretto “arrivederci,
ci rivedremo”, riferendosi al termine chiave poco prima pronunciato che
spiega la tematica affrontata del fine vita nell’espressione “la morte è un
passaggio”, modifica anche l’interpretazione della morte come “passaggio”.
Le frasi di Hirata Shokichi “la morte è un passaggio!” e “arrivederci ci
rivedremo”, sono da riferirsi al momento del funerale di una sua conoscente,
una vecchia signora della famiglia Yamashita dal nome Tsuyako (Fig. 1.7).
Valutando come il regista leghi questa coppia di anziani signori da un
sentimento profondo e caratterizzato dal sostegno reciproco durante la terza
età, lui aiutava lei quotidianamente nel suo lavoro presso il bagno pubblico,
un sentō giapponese di proprietà dell’anziana donna, la frase tradotta
correttamente in italiano dalla sceneggiatura originale in lingua giapponese
“arrivederci, ci rivedremo”, afferma che, terminata l’esistenza terrena, esiste

32
Sceneggiatura letteraria completa giapponese (10 agosto 2007) con traduzione italiana a cura di Yuko
Yamazaki e Andrea Persegoni (C) 2009.

16
un dopo la morte che è valido per tutti e permetterà di rivedersi insieme,
felicemente, perché è un saluto ad un incontro ultraterreno auspicato e che
nasce dal sentimento positivo che legava le persone su questa terra.
Un dopo la morte accennato anche nell’intervento del critico giapponese
online, “la morte è un passaggio”, anche se, in questo caso, non è vista, la
morte, secondo quanto si cerca di affermare attraverso la sceneggiatura da
cui è estrapolata la frase “arrivederci, ci rivedremo”, che con le parole mai
pronunciata durante il film e mai riportate in nessuna sceneggiatura “Grazie e
addio. Fai buon viaggio”, non ha legami: quest’addio, che non correttamente
sostituisce l’arrivederci, è un ultimo saluto a mai più e non appartiene a quel
“passaggio” che, perché per tutti, porterà Hirata a salutare e rimandare un
incontro incombente, per via della sua età, e inalienabile, il fine vita, nell’al di
là, con il consono “ci rivedremo”.
Eppure un addio viene effettivamente pronunciato durante la scena del
funerale della sig.ra Tsuyako dallo stesso Hirata, che non è presente né sulla
sceneggiatura desunta, né sulla sceneggiatura letteraria utilizzata per il
doppiaggio dei dialoghi che effettivamente sono stati usati per il film. Di
seguito è citata l’intera frase effettivamente pronunciata dal personaggio
Hirata Shokichi durante il film che, confermando che la morte sia da
considerare un passaggio, per tutti, modifica il saluto, senza alterarlo
definitivamente, dell’arrivederci, aggiungendo alcuni elementi tra cui la parola
addio che rimane estranea e senza alcun legame con la frase “Grazie e
addio. Fai buon viaggio” perché mai pronunciata:

Sono tanti anni che faccio questo lavoro e ogni volta sono più convinto che la
morte non è che un cancello. Sono sempre più convinto che con la morte non
finisce niente. È un cancello che si deve attraversare per proseguire il viaggio. Per
quel cancello passano tutti. Io sono qua per aiutarli a passare e per dire addio a chi
33
se ne va. E quando guardo partire qualcuno, dico arrivederci.

La frase “Grazie e addio. Fai buon viaggio” non ha contesto rapportandola


con l’opera cinematografica di Kundo Koyama e Yojiro Takita, perché
confrontandola con le due espressioni anch’esse mai pronunciate durante le

33
Battuta originale tratta dal film Departures (Okuribito, 2007) presente nella versione italiana home-
video dall’ora, quaranta minuti e dieci secondi, all’ora, quarantuno minuti e dieci secondi.

17
scene del film “la morte è un passaggio” e “arrivederci, ci rivedremo”, come
risulta dal passaggio sopracitato in cui il becchino Hirata definisce il senso
della tematica della morte come di “passaggio” valido per l’intera opera
cinematografica, al contrario di queste ultime espressioni che sono
riscontrabili, perché leggibili tali e quali a come riportate, sia nella
sceneggiatura desunta, sia nella sceneggiatura letteraria che è stata tradotta
direttamente dall’originale giapponese all’italiano e avrebbe dovuto essere
stata seguita per il doppiaggio di questa scena con Hirata, altro non risulta
che essere sola espressione usata nell’intervento giapponese di critica
cinematografica online. Invece, perché presenti nelle sceneggiature desunta
e letteraria, “la morte è un passaggio” e “arrivederci ci rivedremo” sono
espressioni che hanno un contesto ben definito, il film Departures, che si
uniscono nella frase effettivamente utilizzata dai doppiatori per Hirata
Shokichi “Sono sempre più convinto che con la morte non finisce niente. È
un cancello che si deve attraversare per proseguire il viaggio. Per quel
cancello passano tutti. Io sono qui per aiutarli a passare e a dire addio a chi
se ne va. E quando guardo partire qualcuno dico arrivederci”: la prima parte
della frase è riferita a “la morte è un passaggio”, ovvero, “Sono sempre più
convinto che con la morte non finisce niente. È un cancello che si deve
attraversare per proseguire il viaggio”, mentre l’ultima parte, “Per quel
cancello passano tutti. Io sono qui per aiutarli a passare e a dire addio a chi
se ne va. E quando guardo partire qualcuno dico arrivederci”, si riferisce a
“arrivederci, ci rivedremo”.
Il concetto della morte, dunque, come “passaggio”, rimane costante e,
semplicemente, si amplia nella frase pronunciata da Hirata “Io sono qua per
aiutarli a passare e per dire addio a chi se ne va. E quando guardo partire
qualcuno, dico arrivederci”, senza modificarne l’interpretazione positiva
accennata precedentemente che frappone l’addio al saluto dell’arrivederci,
perché quell’addio effettivamente pronunciato da Hirata nel film, lascia spazio
alle parole appena successive dell’arrivederci, definendone il senso
totalizzante della frase, ovvero, al contrario del pessimismo che il solo e
isolato addio racchiude in sé nella frase “Grazie e addio. Fai buon viaggio”,

18
valutato in relazione alla dolorosa separazione di due persone che in vita
erano molto legate, Tsuyako e Hirata, il senso di speranza che definisce la
concezione di morte di quest’ultimo, che è chiave di lettura della tematica per
tutto Departures, “la morte è un passaggio!”, mantiene intatto il significato di
questo trapasso per ogni essere umano nell’espressione “sono sempre più
convinto che con la morte non finisce niente”, terminando con il consolante
“E quando guardo partire qualcuno, dico arrivederci”. 34
Bisogna soffermarsi, in ultima analisi, per quanto riguarda la traduzione
erronea e fuori luogo, perché senza contesto, di “Grazie e addio. Fai buon
viaggio”, sul fatto che prima che Hirata esponga il senso ultimo che lo
sceneggiatore e il regista vogliono comunicarci per capire la tematica della
morte nel film Departures, concludendosi nelle parole “dico arrivederci”, che il
becchino, personaggio a cui è affidato questo compito di spiegazione e prima
che ciò avvenga, ha, nella camera ardente del crematorio, ringraziato la
defunta, ricordando il “Grazie” utilizzato nella frase “Grazie e addio. Fai buon
viaggio”: tuttavia, se si considera il riferimento di quest’ultima frase a questo
segmento nella scena del funerale della sig.ra Tsuyako, e non
successivamente la spiegazione del senso di “passaggio” della morte come
la consequenzialità di presentazione degli estratti di citazioni della critica
online propone, perché la frase di ringraziamento mai pronunciata nella
formula “Grazie e addio. Fai buon viaggio” chiude l’intervento del suo scritto
giapponese per il web, la considerazione positiva dell’arrivederci frapposta a
quella dell’addio ritorna e conferma che il senso ultimo del film non sia un
arrivederci a mai più, ma un arrivederci a presto, di speranza, perché nella
sceneggiatura desunta il ringraziamento di Hirata, verso la ormai defunta
Tsuyako, risulta essere “HIRATA … (guardando il volto quieto di Tsuyako),
35
grazie ci incontreremo ancora”, mentre le parole effettivamente udibili dal
personaggio nel film sono “Grazie di tutto, ti raggiungerò”. A conferma del
fatto che “Grazie e addio. Fai buon viaggio” non sia frase da riferirsi anche a
questo particolare spezzone di film, oltre che di sceneggiatura, e ne risulti

34
Battuta originale tratta dal film Departures (Okuribito, 2007) presente nella versione italiana home-
video dall’ora, quaranta minuti e dieci secondi, all’ora, quarantuno minuti e dieci secondi.
35
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit, p. 77.

19
un’interpretazione fuorviante per il senso di “passaggio” legato alla tematica
della morte per tutto il film Departures, si riporta, di seguito, la traduzione
italiana del segmento di sceneggiatura letteraria originale giapponese, nel
momento in cui Hirata ringrazia la sua conoscente ormai defunta,
concludendo la frase, anche in questo caso, con un saluto che auspica ad un
nuovo e futuro incontro nell’al di là:

平 田「……」

安らかなツヤ子の顔を見つめ、

Hirata gurardando intensamente il volto quieto di Tsuyako,

平 田「Grazie, ci incontreremo ancora. ありがとの、また会おうの」

そう呟き、小窓を閉める。

Mormorando queste parole, chiude l’altra anta della


finestrella. 36

Un’altra espressione utilizzata dall’intervento del critico dilettante giapponese


online che si lega alla tematica della morte è il “qualcun altro”, riferendosi al
becchino che al termine dell’esistenza si prende cura del corpo di un defunto,
implicitamente affermando che quel lavoratore sia un estraneo, perché non si
conosce, così come accade con il termine “un’infermiera”, una qualsiasi
infermiera, e non una persona vicina o familiare, come invece risulta essere
nella realtà filmica tra Hirata e la defunta Tsuyako, perché in vita, loro due, si
conoscevano ed erano legati da un’amicizia profonda.
L’ottica che la critica giapponese porta alla superficie è un vedere il
passaggio nell’al di là come di melanconico pessimismo, esemplificata nella
frase di riferimento “quando nasciamo e quando moriamo, in quelli che
dovrebbero essere i due momenti più importanti della vita, mettiamo il nostro
corpo nelle mani di qualcun altro. È così che funziona il mondo e questa
verità non cambia”, ripercuotendosi anche all’inizio della propria vita (un

36
Sceneggiatura letteraria completa giapponese (10 agosto 2007) con traduzione italiana a cura di Yuko
Yamazaki e Andrea Persegoni (C) 2009.

20
momento indiscutibilmente gioioso), perché, mettendo in relazione la venuta
al mondo con l’ultimo istante della propria esistenza terrena, attimi
caratterizzati e accomunati dal termine della persona estranea “qualcun altro”
e dal condizionale “dovrebbero essere i due momenti più importanti della
vita”, secondo il critico, emerge che la responsabilità di un’intera vita, che è
propria e libera, dato che all’inizio e alla fine dell’esistenza siamo in balia di
un estraneo “qualcun altro”, quali un’infermiera e un becchino, e le decisioni
del mentre di un’intera esistenza, vengono svalutate, perché non si renderà
conto delle scelte attuate, giunti al termine terreno, a uno sconosciuto
“qualcun altro”, proprio per il fatto che saremo nelle mani di un estraneo a cui
non dobbiamo rendere conto di nulla. La vita stessa, in questa
considerazione, con le sue scelte, diviene questo nulla.
Yojiro Takita, attraverso la figura del becchino Hirata, quasi da considerarsi
un parente stretto della defunta Tsuyako, non trasmette il melanconico
pessimismo che permea il critico giapponese mediante l’utilizzo del termine
“qualcun altro” e che si affianca alla concezione del saluto senza speranza
dell’addio a mai più: in Departures, il senso della propria esistenza che si
lascia a chi rimane in vita, sarà di esempio, perché caratterizzato da una
responsabilità di formazione verso le generazioni più giovani. Sarà proprio un
consiglio in vita della defunta Tsuyako a permettere l’accettazione del lavoro
del marito, inizialmente considerato immondo, dalla moglie di Daigo, Mika, e
sarà la caparbietà in vita della defunta a far comprendere al figlio il perché
non volesse vendere l’edificio in cui lavorava, come lui invece avrebbe
voluto, in considerazione del fatto che preferiva continuare a far contenta la
sua nipotina, che si divertiva in quel luogo così familiare, e che nessun
assegno avrebbe potuto mai sostituire.

I giapponesi vivono nella malinconica impressione dell’ukiyo-e, del mondo che


passa, della fugacità di ogni cosa, anche di una tazza di caffè, anche di una
sciarpa. Loro, il senso della morte se lo portano sempre dietro e proprio perché
fugace amano la vita ancor di più. Oggi questo atteggiamento giapponese fatto di
inquietudine e pessimismo, avido di continue novità, viene descritto come “la
mentalità dei terremotati”, un atteggiamento dettato dalla consapevolezza che un
altro cataclisma, già a lungo atteso e probabilmente terribile come quello che
distrusse Tokyo nel 1923, potrà annientare tutto ciò che è stato costruito, e che

21
quindi bisogna realizzare subito ogni sogno, ogni progetto, non bisogna perdere
tempo con la ricerca di altre verità, ma fare, consumare e morire.
Furono i buddisti, con la loro religione dell’impermanenza delle cose, a imprimere
nei giapponesi questa visione pessimistica del mondo, ma le stirpi militari che
governarono il paese per ben settecento anni (1192-1868) son riusciti ad arginarla
37
con la disciplina.

È bene ricordare che un tempo in Italia, perché era un modo di moda, si


criticava apertamente il cristianesimo e il suo rito funebre mediante la pratica
della cremazione, pensando che, finita la vita terrena, nell’al di là, non ci
fosse più nulla, anzi, affermando proprio il vuoto, il nulla stesso, che
accompagnavano, attraverso le proprie decisioni, la propria esistenza
terrena: “la mentalità dei terremotati”. Eppure, la parola e il significato di
38
quell’“arrivederci” della sceneggiatura del film Departures, permette di
superare la melanconia pessimista della caducità effettiva della nostra
esistenza, incontestabile:

Il rintocco della campana


del tempio di Gion
riecheggia
la caducità di tutte le cose.
Il colore dei fiori
dei due alberi di sala
dimostra che davvero
chi prospera
ineluttabilmente decade.
Gli orgogliosi sono destinati
a presto finire
del tutto simili al sogno
di una notte di primavera.
Anche i prodi saranno infine travolti
proprio come polvere
39
davanti al vento.

Resta il fatto di come si affronti o si voglia affrontare questa caducità,


potendo scegliere tra la visione dettata dallo sceneggiatore Kundo Koyama a
Hirata, e la visione del blogger, entrambi giapponesi: affidarla a un qualcun

37
Angela Terzani Staude, Giorni giapponesi. Alla ricerca dell’anima del Giappone contemporaneo (2010),
TEA: Milano, 1997, pp. 16-17.
38
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 78.
39
Giuliana Stramigioli, “Epopea e feudalesimo”, in Teresa Ciapparoni La Rocca (a cura di), Introduzione
alla cultura letteraria del Giappone, Roma: Bulzoni Editore, 2001, pp. 118-19.

22
altro? Allontanarla? Nasconderla? Offenderla? Penso che la parola più
sublime e significativa che il film proponga sia proprio questo “arrivederci”.
Anche la regista Sofia Coppola nel film Lost in Traslation, premio Oscar 2004
per la Migliore Sceneggiatura Originale, descrive e tratta il tema della
speranza nel considerare la morte non come la fine di tutto, ma solo come
passaggio, per ognuno, verso l’al di là, snodandosi nell’affrontare anche il
secondo tema principale del film di Yojiro Takita, ovvero, la famiglia, tematica
che sarà messa a confronto, attraverso la contrapposizione di modelli, con la
concezione presente nella pellicola Departures della Terra del Sol Levante,
Nazione in cui il film dell’autrice americana viene totalmente ambientato:

Vi chiedete mai quale sia il fine della vostra vita? Questo libro illustra come cercare
il fine o destino della vostra anima. Ogni anima ha il suo cammino ma, a volte,
questo cammino non è chiaro.
La teoria della mappa interiore [viene inquadrata lei seduta affianco al letto che
tiene con la mano sinistra il cd di un audiolibro, e la destra poggia delicatamente
sulla sua pancia che sembra leggermente ingrossata più del consueto, quasi che il
regista, Sofia Coppola, volesse comunicarci che la protagonista, sposata con un
fotografo, sia incinta (fig. 1.8) o che stia pensando ad un neonato] è di come
ciascuna anima nasca con un’impronta tutta compattata in uno schema
selezionato della vostra anima persino prima che voi veniste al mondo.
[La protagonista Charlotte interpretata dall’attrice Scarlett Johansson si imbatte, il
giorno seguente, in una conferenza stampa] Il motivo per cui preferisco il Giappone
a tutti i paesi asiatici è che mi sento in perfetta sintonia con il buddismo.
Ehm, sono convinta, credo davvero nella reincarnazione.
In parte è ciò che mi ha attratto di Midnight Velocity [il nome del film nel quale ha
una parte] perché anche se Keanu [attore non presente in sala] muore, alla fine si
reincarna, quindi, c’è speranza.
40
C’è speranza nella reincarnazione.

E se anche la protagonista del film di Sofia Coppola, alla fine della risposta di
Kelly, in conferenza stampa, se ne esce dall’inquadratura sorridendo delle
parole date dalla stessa attrice, certo non è sbagliato chiedersi chi delle due
sia effettivamente più vicina nel trovare quel senso o “fine” della vita, dato
che, il legame con la scena precedente attuato nel film, in cui viene
presentata Charlotte, presunta madre per come viene fatto notare un
inconsueto ingrossamento della pancia mentre ascolta, da un audio-libro con
una teoria sul destino dell’anima, parole che si riferiscono alla nascita e al

40
L’amore tradotto (Lost In Traslation, dir. Sofia Coppola, Mikado, Usa 2003, con Bill Murray, Scarlett
Johansson, Giovanni Ribisi), dialoghi tratti dalla versione italiana home-video, dal minuto ventisette al
ventotto.

23
fine di una vita (Fig. 1.8), un pensiero successivamente sbeffeggiato nella
narrazione dallo stesso protagonista maschile Bill Murray (che interpreta
Bob) tanto quanto succede a Kelly perché figura presentata come puerile e
star aloof (tra le nuvole), la protagonista femminile viene caratterizzandosi
come dall’essere giovane, sì, come l’attrice Kelly, ma anche
responsabilmente madre o, comunque, come moglie, futura madre, e,
caratteristica maggiormente preoccupante per il ruolo affidato
all’interpretazione di Scarlett Johansson, come in realtà non lo sia affatto
proprio se rapportata alla relazione creatasi con il protagonista maschile Bob.
L’amore Tradotto, il titolo del film in lingua italiana, si riferisce infatti a quel
sentimento che legherà la storia di Bob, uomo di mezza età con figli, a
Charlotte, ragazza appena laureata e presumibilmente incinta del primo figlio
di suo marito, che, nei confronti delle rispettive famiglie di appartenenza, e
dei propri coniugi, può correttamente essere descritto come un amore tradito,
sebbene non esplicitamente mostrato perché il film è rivolto ad un pubblico di
tutte le età (comprese le famiglie intere).
Lost In Traslation sembra che si presti, già nel suo titolo, a voler sottolineare
quella perdita di senso che proprio nelle sbagliate interpretazioni di vita,
come nella traduzione di quell’analizzato “Grazie e addio. Fai buon viaggio”
invece che del corretto e contestualizzato “io sono qua per aiutarli a passare
e per dire addio a chi se ne va. E quando guardo partire qualcuno, dico
arrivederci”, smarrisce il sentimento più vero di amore di coppia. Il concetto
americano utilizzato da Sofia Coppola non può essere tradotto nel
giapponese di Yojiro Takita: l’amore che traspare nei sentimenti d’unione del
film Departures, non mascherati da strani sentimentalismi dettati dalla
giovinezza non responsabile, sebbene con “laurea a Yale”, 41 dato dall’attrice
Scarlett Johansson, o dalla crisi di mezza età in cui effettivamente è ritratto
l’attore Bill Murray, un accanito bevitore che per uno spot di un liquore
guadagna un milione di dollari, è quello di una coppia di sposi, interpretati da
Ryoko Hirosue per Mika e Masahiro Motoki per Daigo, che, seppur nelle

41
L’amore tradotto (Lost In Traslation, 2003), frase tratta dalla versione italiana home-video nel minuto
ventisei.

24
difficoltà e nei più o meno difficili fatti di vita, vede il ricongiungimento, dopo
un momento di lontananza nell’incomprensione, proprio per e nel fattore che
lega l’uno all’altra naturalmente, ossia, un figlio. Quei figli dei protagonisti che
la regista Sofia Coppola mostra come dimenticati, anzi, non mostra affatto, o,
semplicemente, rimangono esclusi dalla visuale del pubblico: uno, Bob,
perché si scorda del loro compleanno tra gli impegni di lavoro, e l’altra,
Charlotte, perché, seppur suggerendoci ma non confermandoci che sia
incinta, sebbene certamente ricopra il ruolo di una sposa che sarà futura
madre, si getta nelle attenzioni di un altro uomo, lo stesso Bob, con alle
spalle anni di matrimonio segnati da infedeltà, come il tradimento consumato
con l’anonima cantante del piano bar dell’hotel a Tokyo in cui i due
protagonisti alloggiano, dimostra. Proprio l’amore che genera la coppia di
sposi di Departures viene tradotto, e qui non si perde nei meandri del film,
nel concepimento del primo figlio: Yojiro Takita vuole affermare che l’amore
vero può essere ben rappresentato cinematograficamente perché
naturalmente scaturito da una giovane coppia di sposi il cui futuro, costruito
sul presente di fedeltà, non viene corrotto (Fig. 1.9). Il tradimento coniugale è
trattato nel film Departures con grande serietà e non come accade in Lost in
Traslation come ennesima macchia sul proprio matrimonio, rappresentato e
suggerito dal volto di Bob dopo la nottata passata a letto con la cantante per
avere piccoli istanti di piacere fisico, e dopo una serata di ubriachezze, altra
caratteristica di mondanità: Daigo, il protagonista, crede che il padre lo abbia
lasciato solo all’età di sei anni con la madre, segnando negativamente i suoi
sentimenti per tutta la sua vita terrena, per colpa di un tradimento, sempre
legato al locale di un bar, perché si pensa avuto con la cameriera del snack-
pub da questa negativa figura paterna diretto, fin quando scopre che il
tradimento, in realtà, non si è avuto, e la fuga da lui e dalla madre è dovuta
ad altre cause.
Il tema familiare rappresentato, dunque, sullo schermo da Sofia Coppola,
ricordando che parte, indiscutibilmente, della sua fama e del suo talento in
regia, altro non sono che un a-rivederci a suo padre, Francis Ford Coppola, è
in aperta contrapposizione con il sentimento di amore che lega la coppia di

25
sposi, in attesa del primo bambino, della famiglia unita nella fedeltà
coniugale, di Daigo e Mika Kobayashi ritratta in Departures da Yojiro Takita.
Un legame familiare con il mondo del cinema e con l’arte di fare cinema che
nella realtà, come accade nella famiglia Coppola, unisce anche la coppia di
coniugi David Bordwell e Kristin Thompson che dedicano il libro che contiene
la seguente citazione, che descrive come i generi di dramma e di commedia
familiare di Departures siano in esso presenti, ai propri genitori, Marjorie e
Jay Bordwell, Jean e Roger Thompson:

La commedia sembra in grado di motivare la fusione di ogni genere immaginabile


[…]. In alcuni casi, i generi si influenzano e si mescolano superando i confini fra le
diverse culture […]. Di queste combinazioni spesso il pubblico e i realizzatori sono
ugualmente consapevoli […]. Di solito si sostiene che, in certi frangenti storici, i
42
racconti, i temi, i valori e l’immaginario del genere diano voce al sentire comune.

“I racconti, i temi, i valori e l’immaginario del genere” di commedia-dramma


familiare nell’attualità delle scelte del regista Yojiro Takita per la pellicola
Departures, possono emergere chiaramente analizzando, nelle differenze e
nelle somiglianze, lo stile e i temi di fondo della commedia-dramma familiare
43
di colui che, considerato “il più giapponese dei registi”, è pietra angolare
del cinema nipponico del dopoguerra, ovvero, Ozu Yasaujirō:

Yasujiro Ozu (nato nel 1903) […] in trentasei anni di cinema ha vinto più premi di
qualsiasi altro autore, avendo ricevuto per ben sei volte l’ambita ricompensa di
Kinema Junpo. Benché pienamente meritati, questi premi e l’alta considerazione di
cui Ozu gode presso la critica hanno contribuito a tener lontani i suoi film dal
mercato internazionale: i giapponesi temono infatti che le sue qualità non possano
essere intese all’estero, e, da giapponesi autentici, preferiscono non tentare
piuttosto che rischiare un insuccesso. Eppure, quando nel 1956 Una storia di
Tokyo venne presentato al festival cinematografico dell’Università della California,
ottenne grande successo, come del resto tutti i suoi film proiettati nelle sale delle
Hawai e della Costa occidentale americana rifornite dalla Shochiku. […] “Ecco un
film di gusto veramente nipponico”. Questa stessa qualità ha suscitato fra le
giovani generazioni la moda di ritenere i suoi film antiquati e di fingere di non
capirli. In realtà, invece, questi film riflettono così fedelmente la vita del Giappone
che Ozu – più di qualunque altro regista – può essere ritenuto il portavoce della
vecchia e della nuova generazione.
Una delle qualità tipicamente giapponesi che gli si riconoscono è l’interesse per la
vita familiare. I suoi film più recenti e più maturi non toccano altro tema, e anche i
loro titoli sono piuttosto simili. In ognuno di essi, il mondo di Ozu si riassume in una

42
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., pp. 152-53.
43
Joseph L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, Il cinema giapponese, Milano: Feltrinelli, 1961, p.
365.

26
famiglia: i confini della terra non sono più lontani dei muri esterni della casa: i
personaggi sono membri di una famiglia e non di una società, anche se detta
famiglia può essere in dissoluzione come in Una storia di Tokyo, o prossima a
estinguersi come in Tarda primavera o Crepuscolo a Tokyo, o trasposta in un
piccolo gruppo entro una grossa azienda come in Inizio di primavera. In ogni caso,
il considerare i personaggi membri soprattutto di una famiglia anziché di una
44
società più ampia è ancora oggi una delle più rilevanti caratteristiche di Ozu.

Il cinema più maturo di Yasujiro Ozu parla di famiglie e di commedie e


drammi familiari, rammentando come il primo film di Yojiro Takita di una certa
qualità, mettesse anch’esso al centro il tema familiare, ovvero, la pellicola del
45
1988 The Yen Family (Kimurake no Hitobito). Departures sembra
rispondere alle caratteristiche del cinema più classico rispecchiando la
normale trattazione stilistica della commedia familiare che ha segnato
Hollywood dai primi anni del dopoguerra, nello stile in continuità. Tuttavia, è,
per certi aspetti, anche assimilabile alla tradizione cinematografica nipponica
legandosi alla figura di Ozu perché, confrontando le tematiche direttamente
trattate dal “più giapponese dei registi” e la scelta di esposizione dei temi in
Departures con Yojiro Takita, si riscontrano maggiori affinità che differenze,
tanto che sembra che quest’ultimo ricerchi nelle opere di Yasujiro Ozu alcune
rappresentazioni di vita familiare, come nel rapporto padre e figlio e nella
questione vita di coppia, che pone al centro la tematica dell’amore come Ozu
l’ha caratterizzata:

[Ozu] tratta molto raramente il tema dell’amore romantico, fondamentale


nell’industria cinematografica di tutto il mondo. Dice che non gli interessa e
dimostra nei film la fondatezza della sua affermazione. Le poche volte che ha
affrontato questo soggetto è parso incerto e poco persuasivo. Il solo tipo di amore
che lo attragga è quello che esiste fra i membri di una famiglia, e anche l’amore
romantico risulta persuasivo quando può trovare una espressione all’interno della
vita famigliare, quando è, per esempio, l’amore fra due coniugi.
Come massimo creatore del dramma casalingo giapponese, Ozu punta assai più
sul personaggio e sugli avvenimenti di scarsa importanza che sull’azione e
sull’intreccio. Ha detto infatti: “I film con intrecci troppo elaborati mi annoiano.
Naturalmente un film deve avere una sua struttura, altrimenti non sarebbe un film,
ma credo che per essere buono debba rinunciare all’eccesso di dramma e
all’eccesso d’azione”. Poco o niente interessato alle svolte dell’intreccio, Ozu si
preoccupa dunque dello sviluppo dei personaggi, e in tutti i suoi film migliori detti
personaggi si manifestano in un’ampiezza di particolari sconosciuta a qualsiasi
altro regista cinematografico.

44
Ivi, pp. 365-71.
45
Mark Shilling, op. cit., pp. 48-51.

27
In Tarda primavera si punta sui rapporti fra un padre e una figlia, e sulle loro
reazioni all’imminente matrimonio di quest’ultima. Nel Sapore del tè verde e del
riso vediamo due coniugi senza figli che li tengano uniti, perdere ognuno la propria
personalità e successivamente, nel tentativo di scoprire una base più solida per la
loro vita in comune, ritrovare se stessi e ritrovarsi l’un l’altro. In Una storia di Tokyo,
Ozu esamina i rapporti fra tre generazioni, creando una serie di personaggi a tutto
tondo. Non si può dire chi sia buono e chi sia cattivo, si può soltanto distinguerli
46
individualmente, dato che ognuno ci è noto in tutte le sue caratteristiche.

Notiamo e sottolineiamo come le storie dei tre film di Yasujiro Ozu appena
citati, rappresentino i temi di relazione familiare riscontrabili all’interno
dell’unico film di Yojiro Takita: Tarda primavera (Banshun, 1949), nei rapporti
di amore-scontro tra genitori e figli, riporta alla mente la relazione di amore-
odio instaurata, per gran parte della durata del film, tra il protagonista Daigo
e suo padre; Sapore del tè verde e del riso (O-Chazuke no Aji, 1952) ci
rammenta di come, dopo che la moglie di Daigo, Mika, viene a conoscenza
del lavoro del marito, un lavoro ritenuto disdicevole nella cultura dominante
giapponese, il tanatoesteta, perché ha a che fare con persone decedute, si
allontana da lui e ritornerà solamente quando scoprirà di quel forte legame
che li terrà poi uniti, ossia, il loro primo figlio; Una storia di Tokyo (Tokyo
Monogatari, 1953), infine, parla di tre generazioni nella vita familiare, ossia,
gli anziani, rappresentati da Takita dalla vecchia proprietaria del bagno
pubblico, il tradizionale sentō giapponese, interpretata da Kazuko Yoshiyuki,
e il vecchio Hirata, mentre i giovani, nei coniugi come generazione di mezzo,
da Daigo e Mika, infine, i bambini, dal piccolo Daigo, presentato nei ricordi
dell’infanzia, nonché dalla piccola Shiori, interpretata da Iizuka Momoka, che
farà esclamare alla nonna Tsuyako una celebre frase del film, ora riportata al
centro della sequenza dialogata seguente che esemplifica il rapporto che
intercorre tra le diverse generazioni:

YAMASHITA …Daigo?
DAIGO Yamashita…
YAMASHITA Ma quando sei tornato? Potevi almeno chiamarmi!
DAIGO Hai ragione, mi dispiace. Ma sono stato un po’ preso… (Volgendosi verso
Tsuyako, fa un inchino di saluto.)
TSUYAKO (anche lei, accorgendosi di Daigo) Non ci credo! Il figlio dei
Kobayashi… Daigo?
DAIGO Salve, ne è passato di tempo.

46
Joseph L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, op. cit., pp. 365-71.

28
TSUYAKO Davvero… quanto tempo. A proposito, ho sentito che fai un lavoro
interessantissimo.
DAIGO Eh?! Ma, nulla di…
TSUYAKO Dai… Cos’era quello strumento che suonavi…
YAMASHITA Violoncello. Una sorta di violino gigante.

Daigo tira un sospiro di sollievo.

TSUYAKO Ma certo, il violoncello! (Alla nipote) Pensa che quel signore è talmente
bravo che suona il violoncello a Tokyo!
SHIORI Wooow!

Daigo mima il gesto di suonare il violoncello a Shiori.

TSUYAKO (ridendo) Come vorrei che anche il mio, di figlio, avesse tanto talento…
(Si dirige alla cassa, all’ingresso.)
YAMASHITA Mamma! (A Daigo) Scusa, ma oggi stiamo litigando… Vediamoci un
giorno con calma, ok? (Facendo il gesto che significa bere)
DAIGO Con piacere.
TSUYAKO E porta anche tua moglie la prossima volta. Ti sei sposato giusto?
DAIGO Sì.
TSUYAKO Qui si può anche stare in pace quando ‘sto imbecille non c’è.
YAMASHITA Chi può mettere al mondo un imbecille se non una imbecille?
TSUYAKO Per l’ultima volta, io non ho intenzione di vendere questo posto.
HIRATA (Come per interrompere i tre che conversano, alza il tono della voce.)
Trovato! Ma certo!
TSUYAKO L’hai risolto?
HIRATA …Risolto!... Ha ha ha! Risolto! Risolto!... Ha ha ha…
47
Il sole, tramontando, cala dietro le montagne. Vista/paesaggio.

Yojiro Takita, al pari di Ozu, riesce a sviluppare, nel presentarci una


ricchezza di particolari molto rilevante, la psicologia dei personaggi che
compongono le mura domestiche del film, fin al minimo dettaglio:

Naturalmente ogni personaggio è costruito mediante l’accumulazione di una serie


di piccoli particolari, presentati in un lasso di tempo relativamente lungo […].
Il suo è un tempo effettivo, cioè un tempo psicologico, che non ha nulla a che
vedere con quello segnato dagli orologi [molto spesso presenti nelle inquadrature
di Takita e sempre legati ad un particolare personaggio o momento significativo].
L’osservazione del critico Tsuneo Hazumi, che vede nel mondo di Ozu un mondo
di quiete, è esatta solo se si aggiunge che questa quiete, questa calma esiste
soltanto alla superficie e che, scavando più a fondo, si scoprirebbe la violenza
compressa e potenziale dell’intero sistema familiare giapponese, nonché il pacato
48
eroismo del Giappone per le cose che concernono la propria famiglia.

Tsuneo Hazumi parla di un mondo di quiete familiare nelle pellicole di Ozu.


Poco dopo, nella citazione, si aggiungono a questa caratteristica propria

47
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., pp. 41-42.
48
Joseph L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, op. cit., pp. 365-71.

29
della commedia familiare, riscontrabile in qualsiasi narrazione e
caratterizzante del regista Yasujiro Ozu, i problemi che risiedono al di sotto di
tale quiete, esprimendo come sia pur sempre presente un dramma nelle
proprie pellicole e celato in questa calma familiare che “esiste soltanto alla
superficie”, ovvero, la caratteristica del secondo genere, il drammatico:
medesimi elementi che si riscontrano nelle scelte di Yojiro Takita e che
caratterizzano Departures sia come un dramma familiare, sia come una
commedia familiare, di oggi.
Il risvolto drammatico in Departures si vuole celare dietro un difficile
autocontrollo che spesso sfocia nell’ironia più tipica della commedia, anche
in situazioni oggettivamente tragiche. Questi sono tutti elementi presenti fin
dall’inizio della narrazione come, per esempio, quando si assiste al funerale
del giovane Tomeo (Fig. 1.10), e si capisce che quella ragazza, in
apparenza, è un ragazzo travestito e truccato da donna, che certo lascia
trasparire una certa ironia seppur nella tragicità del momento e, quindi, non
permette che i professionisti tanatoesteti, interpretati dai due protagonisti, si
distolgano dal loro atteggiamento di rigoroso self control nel mentre vestono
la salma per l’ultimo viaggio.
La scena del funerale di Tomeo è presentata due volte nel film. Si riportano
di seguito le parole che possono essere intese come espressione di un volto
drammatico causato dalle problematicità familiari del Giappone d’oggi, che
più che di “pacato eroismo” familiare, ricordano una profonda umanità di
fronte al dolore: “PADRE …Da quando Tomeo è diventato così, non
facevamo altro che litigare... Da allora, non l’ho più guardato direttamente in
faccia. Ma oggi, vedendo il suo volto sorridente, mi sono ricordato. Quello era
mio figlio. Con l’aspetto da donna ma, ma lui… era pur sempre mio
figlio…”.49

“Non è semplice ottenere il giusto equilibrio tra dramma e commedia: un errore può
mandare tutto all’aria”, ha commentato [il produttore] Mase, che aveva lavorato per
la prima volta con Takita in Secret. “Ma Takita ci è riuscito bene nel delicato mondo
50
di questo film. È questo che lo rende così speciale”.

49
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 66.
50
Mark Shilling, op. cit., pp. 48-51.

30
L’equilibrio tra dramma e commedia familiare del film di Takita è ravvisabile
anche in un’altra narrazione classicista di Ozu: Fiore d’equinozio (Higanbana,
1958). Il film racchiude in sé altri elementi di vicende familiari che permettono
di riflettere sulla comune scelta tematica di Departures, in particolare
relazionando quale tono, serio o umoristico, venga usato per descrivere le
diverse realtà, di altrettanti diversificati focolari domestici, presentando
nell’unica pellicola del dopoguerra di Ozu Yasujiro un ulteriore e particolare
equilibrio riguardante, invece che i generi utilizzati, l’intreccio:

Il cinema classico prevede e favorisce il ricorso a sottointrecci sia per variare la


narrazione e renderla così più vivace, sia per utilizzare queste narrazioni
secondarie in funzione di specchi, deformanti o meno, di quella principale. Il modo
in cui funzionano i subplots di Fiore d’equinozio va chiaramente in questa seconda
direzione, ma con un’insistenza, sistematicità e direi meccanicità tali da risultare,
alla resa dei conti, estranee alle pratiche dominanti del Modello di
Rappresentazione Istituzionale. All’intreccio principale - quello costruito sul
rapporto fra Hirayama e Setsuko – Ozu e il suo sceneggiatore Noda Kōgo ne
affiancano due: da una parte quello della madre Sasaki e della figlia Yukiko. Si
disegnano così tre percorsi narrativi in cui sono in gioco i rapporti fra genitori e figli
a riguardo di un tema ben preciso: il matrimonio. Ozu differenzia i tre percorsi in
conformità a diverse strategie. Si tratta di tre ragazze in età da marito ma con, alle
spalle, una situazione familiare diversa […]. Oltre a queste differenze che
riguardano i contenuti dell’intreccio, Ozu ne costruisce poi un’altra concernente le
tonalità narrative: la storia di Fumiko e Mikami assume i tomi di melodramma (una
figlia che abbandona il padre lasciandolo nella disperazione), anche se a lieto fine
(il padre finirà poi con l’accettare le scelte della ragazza); quella di Yukiko e Sasaki
fa propri invece i modi della commedia (giocati essenzialmente sull’indiretto alterco
della madre e figlia e, soprattutto, sui modi caricaturali della prima); quella fra
Hirayama e Setsuko, infine, si muove in attento equilibrio fra i due ambiti, un po’
51
dramma e un po’ commedia.

L’inserire in Departures, come accade in Fiore d’equinozio, attraverso


differenti sottointrecci narrativi, diverse figure appartenenti ad altrettante
diverse famiglie, trovano un punto comune, di risoluzione dei subplots, nella
figura del protagonista Daigo Kobayashi che opera nei riti funebri, proprio
perché la vita dei vari personaggi introdotti nell’intreccio della vicenda, è
giunta a una conclusione definitiva, ovvero, la loro fine terrena. Da
sottolineare come le principali vicende dei personaggi che compaiono nella

51
Dario Tomasi, “Ozu Yasujirō, Higanbana (Fiore d’equinozio). ‘Fiore d’equinozio’: le forme dell’armonia”,
in Paolo Bertetto, L’interpretazione dei film. Dieci capolavori della storia del cinema, Venezia: Marsilio
editori, 2005, pp. 170-83.

31
pellicola di Yojiro Takita richiamano implicitamente le scelte di Yasujiro Ozu
in Fiore d’equinozio: Fumiko e Mikami ricordano il dramma vissuto dalla
segretaria Uemura che da giovane ha abbandonato il proprio figlio e non lo
ha voluto più vedere, confessando questo sentimento di fallimento materno
proprio a quel protagonista, Daigo, che in giovane età era stato abbandonato
alle sole cure della madre, da suo padre; lo stile di commedia intercorre
principalmente tra il figlio amico di Daigo, di nome Takeru Yamashita, e sua
madre, la sig.ra Tsuyako, che vengono presentati nel bel mezzo di un
divertente siparietto che parla del fatto che il figlio voglia vendere il vecchio
bagno pubblico al contrario della madre che si oppone fermamente dandogli
anche dell’imbecille; infine, possiamo affermare che tutta la vicenda che
intercorre nella famiglia Kobayashi, sia in parte drammatica, come nel caso
dell’allontanamento della moglie Mika o della morte della madre di Daigo
quando era all’estero o, ancora, dell’allontanamento volontario del padre che
si scoprirà non dovuto ad un tradimento ma a un dramma dettato da un
sentimento di fallimento personale in relazione alla propria famiglia, sia in
parte legato alla commedia, ravvisabile in molte delle scene di vita quotidiana
dei coniugi Kobayashi.
Esiste però una differenza che intercorre tra la pellicola Fiori d’equinozio di
Yasujiro Ozu e il lungometraggio del regista giapponese Takita nel trattare le
vicende familiari e il loro presentarcele come di equilibrio d’intreccio e di
genere, e risiede, per quest’ultimo regista, in quella risoluzione, per le
vicende familiari presentate in Departures, nella figura del protagonista Daigo
Kobayashi, durante i suoi riti nokanshi (Fig. 1.11), mentre, per la pellicola
della fine degli anni ’50, si ha invece in comune, al contrario dei vari momenti
risolutivi in un unico elemento finale, solamente il momento iniziale, e non il
conclusivo, perché le varie soluzioni dei diversi subplots risultano autonome
e introdotte, così come legate, da una medesima sequenza principale. 52
La contrapposizione, appena descritta, tra le scelte attuate da Yasujiro Ozu e
da Yojiro Takita per una variante di presentazione-risoluzione dei subplots
presenti nelle pellicole Departures e Fiore d’equinozio, non possono però

52
Ibidem.

32
tralasciare il fatto di come le vicende familiari affrontate siano un comune
voler ricercare il volto del Giappone del periodo, in modo che “i racconti, i
temi, i valori e l’immaginario del genere diano voce al sentire comune”, di
oggi e di ieri. 53
“Sentire comune” che, al contrario dei due autorevoli esponenti della
tradizione cinematografica giapponese autoriale attuale e del primo
dopoguerra, rispettivamente, Takita e Ozu, è in aperta contrapposizione, per
come si è voluto affrontare la tematica familiare nel film del 2003 Lost in
Traslation, da come si è analizzato, con la regista americana Sofia Coppola.
Medesima considerazione di divergenza di visione nell’affrontare e
presentare sullo schermo il tema familiare che ora pone a confronto lo stile e
54
la tradizione del “più giapponese dei registi” con lo stile e la tradizione del
regista “più distintamente americano” ed “eccessivamente classico” anche se
“molto più inusuale di quanto si pensi” nel panorama hollywoodiano, Howard
55
Hawks, che nel film Bringing Up Baby (Susanna, 1938) tratta la tematica
della famiglia, così da equilibrare la presentazione dei periodi con le proprie
caratterizzazioni stilistiche di genere, il cinema classico e l’attuale, e di luoghi
con annesse tradizioni artistiche di produzione cinematografica, orientali e
occidentali, sempre nell’ottica di meglio comprendere la tematica insita in
Departures, perché, da come se ne dedurrà, di contrapposizione con lo stile
di Ozu che, da come si è analizzato, è vicino al relativo di Takita:

Susanna è un esempio significativo di convergenza tra scrittura classica e


autorialità, tra una scrittura classica che ha definitivamente integrato il sonoro, ma
che è anche stata cambiata dal sonoro stesso, e la raggiunta maturazione del
mondo hawksiano giocato sulla relazione tra normalità ed eccentricità, tra lavoro e
divertimento (fun), fondato sul timore che la donna incute all’uomo e regolato
dall’intrusione dell’inumano e il razionale […].
Secondo Peter Wollen l’autorialità di Hawks risiede nel rapporto tra il mondo del
film d’avventura e il suo opposto, quello della screwball comedy, che mostra le
“tensioni che sottendono i drammi d’azione” da un punto di vista contrario. Se nel
film d’avventura “l’uomo riesce a piegare la natura, la donna, l’animalesco e
l’infantile nelle commedie viene umiliato e vive una fase di regressione”: deve, in

53
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 153.
54
Joseph L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, op. cit., p. 365.
55
Veronica Pravadelli, “Howard Hawks, Bringing Up Baby (Susanna). ‘Susanna’ e le strutture formali
della classicità” (2003), in Paolo Bertetto, L’interpretazione dei film. Dieci capolavori della storia del
cinema, Venezia: Marsilio Editori, 2005, p. 37.

33
altre parole, essere subalterno al personaggio femminile. Infantilismo e inversione
dei ruoli sessuali sono aspetti assai significativi in Susanna.
Il campo semantico del mondo hawksiano si evidenzia sin dall’entrata in scena di
Susan Vince/Katharine Hepburn che sconvolge la vita troppo seria e noiosa di
David Huxley/Cary Grant, paleontologo alla ricerca dell’ultimo osso, la clavicola
intercostale, per completare lo scheletro del brontosauro a cui sta lavorando da
quattro anni, e che sta per sposare la sua aiutante, Miss Swallow. Il contrasto tra
serietà e divertimento, tra lavoro intellettuale e fun traduce il conflitto maschile-
femminile e costituisce il contenuto manifesto di un’opposizione più radicale, quella
tra sublimazione del desiderio e sessualità. Il personaggio di Cary Grant è
connotato come asessuato e dedito esclusivamente al lavoro, mentre l’energia
56
dirompente e la spregiudicatezza di Susan esprime la sessualità stessa.

Si definisce come il modello discorsivo dominante della cultura occidentale


del periodo, sia il dualismo: in Susanna si vuole contrapporre, di fatto, ciò che
è coppia data da matrimonio e ciò che è coppia basata su di uno scontro
romantico tra i due protagonisti, che risulta essere un contrapporre ciò che è
definito, nella divisione di genere apportata da Thomas Schatz, screwball
57
comedy e comedy drama, ovvero, tematica legata al sentimento di amore
profondo e tematica di relazione di coppia dell’amore romantico, già peraltro
affrontata nel confronto tra il film di Sofia Coppola, Lost in Traslation, e il film
di Yojiro Takita, Departures, che, quest’ultimo, è lungometraggio che rientra
appieno, dunque, nella caratterizzazione del genere del comedy drama.

Seguendo l’utile suggerimento di Thomas Schatz, che divide i generi hollywoodiani


in genres of order e genres of integration, i primi (western, gangster, detective)
ambientati in un contesto dove manca l’ordine sociale, i secondi (musical,
screwball comedy, family melodrama) dediti a promuovere l’integrazione della
coppia in un contesto sociale già stabile. […] Susanna rientra nel secondo gruppo
[…].
I diversi generi (e i diversi film) presentano tutti, ma in forme variamente articolate,
un dispositivo narrativo che prevede, all’inizio del film, un rapporto conflittuale tra
due momenti o due episodi. Questo dispositivo è un elemento strutturale del
racconto classico. La dualità viene espressa a vari livelli: da un lato si mette in
scena un conflitto tra personaggi e modelli esistenziali, dall’altro si opta per scelte
formali opposte. I primi due movimenti di Susanna presentano un’alternanza tra
staticità e movimento, legate a due diverse figure femminili e a due opposti modi di
essere, del soggetto e della coppia. L’intreccio dovrà mostrare come il protagonista
maschile non possa che necessariamente scegliere, come partner, il personaggio
di Susan Vance […].
Alla parola “married” interviene lo stacco […]. […] il testo classico produce l’identità
di gender tramite una rete di opposizioni binarie che, dunque, costruiscono la
differenza di gender in termini duali. Tuttavia, il testo classico non si limita a
stabilire una dicotomia, ma privilegia uno degli elementi a scapito dell’altro,
avanzando, dunque, una proposta ideologica […].

56
Ivi, op. cit., p. 35-59.
57
Ibidem.

34
La dicotomia David/Susan si è espressa, sul piano sonoro, nell’opposizione
logos/riso, con il primo intento a decidere il futuro della relazione con la donna, ad
essere, tramite la parola, il personaggio attivo del racconto. Ma il riso sfacciato di
Susan mina la credibilità stessa delle parole di David. La donna si prende gioco
della dignità del personaggio maschile, del matrimonio e dello status sociale di
58
intellettuale dell’uomo.

Se ne deduce che: lo stile autoriale di Yasujirō Ozu, di comune sentire per


quanto riguarda la trattazione delle tematiche familiari in Departures,
operante nel medesimo periodo generazionale della produzione di Howard
Hawks con Susanna, il cineasta del Paese del Sol Levante definito come “il
59
più giapponese dei registi”, colui il quale poteva apparire lontano dalle
nostre accezioni cinematografiche più tipiche occidentali, utilizza il genere del
comedy drama, perché “il solo tipo di amore che lo attragga è quello che
60
esiste fra i membri di una famiglia”, mostrandolo attraverso un’attenta e
profonda analisi del senso di vita familiare, come accade in Fiore
d’equinozio, mischiando abilmente i tratti della commedia a quelli drammatici,
come peraltro accade in Departures, contrapponendosi alla trattazione del
medesimo tema familiare presente in Bringing Up Baby, dunque occidentale,
in relazione al rapporto di coppia matrimoniale, perché Howard Hawks è
autore americano, quanto Sofia Coppola, colui il quale è stato peraltro
61
definito “il più distintamente americano”, e colui il quale rappresenta una
famiglia, in questa pellicola uscita nel lontano 1938, distrutta sul nascere,
privilegiando lo stravolgimento più totale di una vita che seppur normale, o
meglio, rappresentata come di banalizzazione del tema del lavoro e della
dualità di coppia non romantica, David-Miss Swallow, che può scaturire da
una conoscenza approfondita e non sentimentalmente fragile quanto è
risultata la figura di David nei confronti di Susan, nel finale, proprio come i
canoni classici della screwball comedy vogliono, permette che il protagonista
maschile, in procinto di sposarsi, impazzisca per la sua avventura amorosa.

58
Ibidem.
59
Joseph L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, op. cit., p. 365.
60
Ivi, op. cit., p. 367.
61
Veronica Pravadelli, op. cit., p. 37.

35
Trascinato in un luogo dove le regole vengono meno David vive una regressione
radicale che investe, in primo luogo, la sua identità sessuale. La virilità dell’uomo
viene messa in questione: prima veste abiti femminili, poi, alla disperata ricerca del
prezioso osso, assume pose animalesche. Abbandonata la consueta rigidità, David
si esibisce in posture ed espressioni bizzarre, imitando i personaggi che lo
circondano. Il film raggiunge livelli di pazzia raramente visti: il ritmo elevato diventa
vera e propria vertigine, sino al climax della prigione dove la follia arriva al
nonsense: solo l’arrivo di Miss Swallow riesce, significativamente, a riportare un
po’ d’ordine.
Se l’ordine deve essere necessariamente ristabilito, il paradigma della normalità è,
comunque, definitivamente cambiato. Il finale – ambientato, in ossequio alle
regole, nello spazio iniziale, il museo – vede un incontro tra le due polarità, il
mondo di David e quello di Susan, con la donna ancora leader della coppia. Susan
entra nel laboratorio del paleontologo, con la notizia che la zia ha acconsentito alla
donazione di un milione di dollari [da destinare al museo in cui lavora David], ma
nel tentativo di raggiungere David sull’impalcatura, fa andare in mille pezzi il
brontosauro, vanificando il lungo lavoro dell’uomo. L’unione, dunque, sancita da un
affrettato abbraccio finale, nasce sotto gli auspici della pazzia, del disordine e del
62
divertimento.

L’unione familiare basata sul sentimentalismo romantico, affrettata come


quell’abbraccio finale del film di Susanna, altro non può che nascere dalla
pazzia, dal disordine e dal divertimento (al contrario del più attuale Lost In
Traslation che le pone alla fine, a matrimonio già inoltrato), e altro non può
che portare avanti, come nel film, non si sa fino a quando, una relazione
proprio caratterizzata da questi elementi.
L’unione familiare basata sul matrimonio di un uomo e una donna, seppur
nelle difficoltà, riesce a superare, come ben fa notare Yojiro Takita, qualsiasi
problema, e a dare il senso più vero di una vita: una vita che alla fine non
avrà paura di affrontare la conclusione più semplice, la vita nell’al di là, dopo
aver dato alla luce una nuova vita, nell’al di qua.
La morte e l’infanzia che si riscontrano, così come nella pellicola di
Departures principalmente e rispettivamente nel rito del nokanshi e
nell’infanzia di Daigo Kobayashi, anche in un altro lungometraggio, in questo
caso americano, che tanto ha fatto discutere per i numerosi risvolti dati dalle
altrettante diverse possibili angolazioni di lettura, investendo sempre il lavoro
e i primi anni di vita del protagonista: il film di Orson Welles, Citizen Kane
(Quarto potere, 1941). Morte che si lega, da come viene descritto l’ultimo
momento di vita del protagonista, Charles Foster Kane, inscindibilmente alla

62
Ivi, op. cit., pp. 58-59.

36
sua infanzia perché, la sua ultima parola e il voler mostrare una nevicata che
si collegherà all’episodio di distacco dalla madre per essere affidato ad un
tutore durante un suo lontano inverno, ricorda e si collega proprio ai suoi
primi anni di vita al mondo, ossia, un periodo che rimarrà indelebilmente
segnato nel suo vissuto fin al suo ultimo momento terreno.
Sarà proprio un’infermiera ad incrociare le braccia del defunto alla fine della
sua esistenza, ricordando l’ultima fase del rito tradizionale giapponese del
nokanshi in Departures prima di adagiare la salma nella bara, un anonimo
“qualcun altro”, come affermava il critico giapponese all’inizio di questo
capitolo: “quando nasciamo e quando moriamo, in quelli che dovrebbero
essere i due momenti più importanti della vita, mettiamo il nostro corpo nelle
63
mani di qualcun altro”, perché anche se riusciamo a intravedere e
riconoscere inizialmente la sua figura intera, in camice bianco, entrare nella
stanza di Kane e anche riflessa in una scheggia di vetro, successivamente, il
regista, la mostra celata in viso nell’oscurità (Fig. 1.12), simboleggiando
l’anonimato. Per di più le scelte di Orson Welles affiancano al protagonista
una decisiva figura anonima anche durante la sua infanzia: quel tutore, che
colpirà, durante il primo incontro, con il suo slittino. L’oscurità che
accompagna tutta la narrazione del film e che simboleggia l’anonimato, e
legata all’indescrivibile ombra dell’esistenza di Charles Foster Kane, è
causata dalla non conoscenza del protagonista della pellicola di Welles,
perché nessun uomo o donna, durante la sua vita, lo ha potuto chiamare
familiarmente per nome, o come un conoscente stretto. Coloro che sono stati
accanto all’inizio e alla fine della vita a Charles Foster Kane, sono tutti
personaggi anonimi, compreso, e a maggior ragione, il tutore e l’infermiera,
presenti nei primi e negli ultimi anni della sua esistenza terrena, come il
critico giapponese che ha introdotto la tematica dell’anonimato con il termine
“qualcun altro”, a inizio capitolo, esprime chiaramente: “gli esseri umani, che
lo vogliano o meno, necessitano d’aiuto tanto all’inizio che alla fine della
propria vita. Appena nati hanno bisogno dell’assistenza di un’infermiera. Da

63
Si veda l’intervento di critica dedicato al film Departures nella versione online all’indirizzo <
http://it.globalvoicesonline.org/2009/04/rilanci-sulloscar-al-film-giapponese-
%e2%80%9cokuribito%e2%80%9d-partenze/>.

37
morti, non lasciano questo mondo finché un becchino non ne abbia purificato
64
il corpo”. In Quarto Potere i ruoli dell’anonimato si invertono
temporalmente in relazione allo svolgersi della vita del protagonista:
l’infermiera dovrebbe presentarsi all’inizio della sua esistenza, mentre è
posta al suo termine; colui che lo farà sprofondare in un vivere triste perché
lontano dai suoi genitori, sebbene formandolo per un successo professionale
senza pari, una figura quindi simile all’undertaker, è posto all’inizio della sua
esistenza, invece che alla sua fine.
L’enigma della vita di Kane non è risolto da nessuno di coloro che sono stati
interpellati durante l’indagine filmica e presentati durante lo scorrere della
narrazione, quasi che siano tutti estranei alla vita del protagonista e non lo
conoscano o non lo abbiano conosciuto in profondità. Yojiro Takita, invece, in
Departures, indica come il chiamarsi per nome e il conoscersi, sia
fondamentale per una vita, e non solo in famiglia: quella famiglia che
comunque, anche per Charles Foster Kane, è presentata e presente, con
una madre e un padre che, purtroppo, presto diventeranno degli sconosciuti,
per motivi economici, sociali. Dunque, Welles, ritrae le figure paterne come
anch’esse cadute nell’anonimato, anche se pur sempre ricordate da Charles
Foster Kane alla fine della sua vita attraverso quella palla di vetro natalizia
con la neve candida ricordo d’infanzia, perché un padre e una madre pur
sempre li ha avuti, sottolineando come non certo sia venuto al mondo grazie
ad un’infermiera anonima: questo è il significato racchiuso in “Rosebud”, la
sua rimpianta infanzia, legata inscindibilmente ai suoi genitori. Il film di Yojiro
Takita mostra invece un protagonista, Daigo Kobayashi, che seppur
accomunato a Charles Foster Kane dalla distanza psicologica e affettiva nei
confronti dei suoi genitori, perde la madre quando all’estero e il padre lo si
crede scappato con un’altra donna quando invece lo ritroverà, deceduto,
rimasto sempre nella solitudine fino alla fine dei suoi giorni, si ricongiungerà
a loro nel ricordo e potendoli ben chiamare per nome e cognome e non con
un termine, “Rosebud”, legato all’anonimato del “qualcun altro”. Infatti, il film

64
Si veda l’intervento nella versione online all’indirizzo <
http://it.globalvoicesonline.org/2009/04/rilanci-sulloscar-al-film-giapponese-
%e2%80%9cokuribito%e2%80%9d-partenze/>.

38
di Welles si apre con il ricongiungimento psicologico del ricordo dei genitori
all’inizio della narrazione come di tristezza poco prima di morire, al contrario
di Departures che presenterà un riavvicinamento, oltre che psicologico,
anche fisico, del protagonista con il padre, e anche con la madre,
immediatamente dopo, sullo sfondo dei titoli di coda, segnato da una
ritrovata serenità e felicità, al termine dell’intreccio, di risoluzione.

[Si segue un] percorso di senso che vede nel “simulacro”, nel “caos di apparenze”
che emerge nel labirinto scentrato del film non solo il tema della relatività della
verità o dell’impossibilità di giudicare un uomo, ma quello ben più definitivamente
pessimista della vanitas e della corruttibilità, dissolubilità di gesti, azioni,
comportamenti, pensieri, nel nulla. In questo senso, è chiaro che se la ricerca
(“metafisica e poliziesca” insieme) del significato della parola “Rosebud”, e lo
svelamento dell’enigma (per il solo spettatore, a esclusione dei personaggi della
storia) giungono al loro culmine nel momento stesso in cui se ne vanifica
l’importanza (dopo che lo slittino si dissolve tra le fiamme, l’epilogo del film ritorna
esattamente alla situazione di mistero iniziale, ribadendo il “No Trespassing” su cui
già si è soffermato lo sguardo della macchina da presa nel prologo del film), allora
“Rosebud”, e quindi il rimpianto e la nostalgia dell’infanzia perduta, non spiegano
poi molto; il loro senso si perde, si dissolve nel fumo nero che esce dalla residenza
di Charles Foster Kane. Del resto, lo slittino non è che uno delle migliaia di oggetti
65 66
(vani) accatastati nel deposito di Xanadu.

Yojiro Takita ricorda in Departures di non prendere spunto da quella vita di


anonimato ed egoistico individualismo che accompagna Charles Foster Kane
attraverso l’accorto uso della sigla dell’agenzia in cui il protagonista Daigo
Kobayashi trova lavoro, ossia, le iniziali in lettere latine NK che si riferiscono
alla traslitterazione dal giapponese del termine No Kan, che significa
tanatoesteta, la professione del protagonista giapponese, lettere che
appaiono sotto una veste simbolica perché due iniziali che si possono riferire
al termine negativo No Kane: il regista di Departures, da questa prospettiva,
suggerisce come la strada da seguire della e nella vita, non sia questa, non
quella di Kane, Charles Foster Kane, tanto che il cartello che ricorda quel
buio dell’esistenza legata alla tetra dimora “Xanadu” simbolo della “vanitas”,
65
Altra versione del nome Xanadu è stato il termine Cambalù, come riportato nella versione italiana del
film Quarto potere (Citizen Kane, 1941): il gesuita Matteo Ricci fu il primo europeo che giunse ad
identificare Pechino, in Cina, con il nome non chiarificato e dunque vago di Cambalù utilizzato negli
scritti di Marco Polo. Fonte, Matteo Ricci, Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella
Cina (2010), Quodlibet: Macerata, 2000, p. 284.
66
Giulia Carluccio, “Orson Welles, Citizen Kane (Quarto Potere). La materia di cui sono fatti i sogni.
Monologo, soggettività e onirismo in ‘Quarto Potere’”, in Paolo Bertetto, L’interpretazione dei film. Dieci
capolavori del cinema, Venezia: Marsilio Editori, 2005, pp. 113-14.

39
altro non reciti che le parole, anch’esse negative perché tetre come quella
sua oscura casa diventata ormai la sua tomba, “No Trespassing” (Fig. 1.13),
non trasgredire, ovvero, non per questo cancello bisogna entrare, non
attraverso questo portone di morte, di buio, di nulla, di melanconico
pessimismo legato ad una vita piena di ombre, bisogna oltrepassare,
definendo, come conclusione, rispetto e in contrapposizione al
cancello/portone descritto dal vecchio Hirata che indica nella morte il senso
del “passaggio” come di “arrivederci”, una “netta differenza tra chi crede e
non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera.” 67

67
Si veda l’intero articolo, “All’Angelus, Benedetto XVI chiede la fine delle violenze in Nigeria ed esprime
vicinanza alla popolazione genovese colpita dall’alluvione”, redatto da Radio Vaticana nell’edizione on
line del 07-11-2011 nel sito <www.news.va/it>.

40
STILE DI MONTAGGIO E LETTURA DEL FILM

Yojiro Takita in Departures ha voluto superare il genere cinematografico della


commedia classica e del dramma di stampo hollywoodiano, mantenendo
alcune delle loro regole, seguendo lo stile cinematografico di un regista che,
conoscendo profondamente l’impostazione del cinema classico, ne era
anche molto lontano nelle sue realizzazioni per via dei suoi sperimentalismi:
il riferimento è al russo Sergej Ejzenštejn che con il suo montaggio in
funzione concettuale (chiamata anche connotativa o intellettuale), teorizzava
uno stile che non ha come obiettivo la continuità realistica del classicismo
hollywoodiano, ma la discontinuità, al fine di mostrare ciò che è solo
immaginabile. L’opera cinematografica di Yojiro Takita tende a questo scopo,
di mostrare ciò che è solo immaginabile, il trapasso, avente un significato
astratto, attraverso l’accostamento allo stile di montaggio ejzenštejniano e
portando sul grande schermo un film che in superficie rispecchia
l’impostazione classica e non delude un’aspettativa di pubblico che questo
genere di dramma/commedia familiare, si aspetta di trovare.

[La funzione concettuale (connotativa o intellettuale):] è legata al nome di


Ejzenštejn, che recuperando dal teatro il concetto di attrazione [intendendo
l’elemento spettacolare che produce nello spettatore una scossa emotiva tale da
spalancargli il senso ideale dello spettacolo], teorizza un montaggio che non ha
come fine la continuità realistica ma la discontinuità. Come nella dialettica tesi-
antitesi-sintesi, dallo scontro tra le inquadrature (scontro dei contenuti, ma anche di
linee e volumi) deve nascere un significato astratto. Non sarà mai abbastanza
citata la sequenza di Ottobre [Oktjabr’ (Ottobre – I dieci giorni che sconvolsero il
mondo, Sergej M. Ejzenstejn, URSS 1927)] che ha per protagonista il generale
Kerenskij nell’atto di entrare nella sala del trono degli zar.
Qui Ejzenštejn non vuole raccontare l’episodio concreto, ma comunicare un
messaggio astratto. Per farlo, accosta l’immagine di Kerenskij a due serie di
inquadrature: da un lato un pavone meccanico che apre le ali, dall’altro lo stemma
degli zar, i funzionari di palazzo sogghignanti e gli alti ufficiali in posa. Traduzione:
la vanità di Kerenskij, l’esercito, la burocrazia e la tradizione hanno ucciso gli ideali
rivoluzionari. Che il registro sia simbolico lo si inferisce da tre aspetti: a) l’assenza
di indici di orientamento spaziale (non si capisce come sia fatta la stanza, né che
posizione occupino i funzionari e gli ufficiali); b) l’accostamento tra immagini
diegetiche ed extradiegetiche (cioè estranee al piano della storia: non c’è nessun
pavone alle spalle di Kerenskij); c) la discontinuità temporale (quando la porta si
apre, l’azione viene ripetuta tre volte da tre angolazioni diverse). Pur non avendo
creato correnti o scuole, il montaggio ejzenštejniano ha comunque lasciato tracce

41
evidenti nel cinema, come dimostra, tra i molti esempi possibili, l’accostamento tra
68
l’osso lanciato dalla scimmia e l’astronave in volo in 2001: Odissea nello spazio.

Il simbolismo, fatto proprio dallo stile di Sergej Ejzenštejn, è presente


nell’apertura del film Departures (“un vecchio furgoncino percorre una
stradina di campagna della pianura di Shonai durante una fitta nevicata; la
69
neve cade incessantemente”) che mostra una sequenza caratterizzata dai
tre elementi del montaggio intellettuale utilizzati per mostrare una scena dai
toni astratti (Fig. 2.1): primo, possiede la caratteristica dell’assenza di indici di
orientamento spaziale perché, sebbene la sceneggiatura definisca che la
70
strada su cui viaggia il carrofunebre, sia nella pianura dello Shonai, il film
non mostra indicazioni spaziali chiarificatrici del luogo in cui si sviluppano i
fatti ma, al contrario, crea nello spettatore una sorta di suggestione
disorientante grazie alla forte nevicata che rende l’ambiente completamente
bianco e neutro; secondo, l’accostamento tra immagini diegetiche ed
extradiegetiche è dato dal fatto che il percorso effettuato in auto da Daigo e il
suo accompagnatore, il sig. Sasaki Ikuei (Fig. 2.2), che mostra la station-
wagon o carrofunebre parcheggiato vicino la casa del primo defunto
presentato durante la scansione narrativa del film (Fig. 2.3), avviene in una
giornata invernale che non è, però, caratterizzata da una bufera di neve
come quando si trovava alla guida nella sequenza che la precede, così che
risulti improbabile, a rigor di logica, che nel medesimo giorno, e in poche ore,
il tempo atmosferico muti tanto da far splendere un candido sole sopra i
protagonisti, come in effetti accade ed è mostrato (Fig. 2.4), e, dunque,
l’ellissi presente tra i due momenti, quello alla guida, e quello raggiunta la
casa di un defunto, sembra separare un elemento diegetico e uno non
diegetico, ossia, la sequenza con il sole e con la tormenta, due scene che si
contrappongono e si concludono con un certo elemento extradiegetico, i titoli
di testa con il nome del film in caratteri giapponesi (Fig. 2.5); terzo, la
discontinuità temporale, perché considerando il monologo che compirà
Daigo, in voce off, all’interno della prima scena al volante del furgoncino (Fig.
68
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 219-22.
69
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 13.
70
Ibidem.

42
2.6), ossia, il film inizia in medias res, nel bel mezzo dei fatti e lo spettatore
71
“formulerà delle ipotesi sulle possibili cause dell’evento presentato”, scelta
di regia che è uno dei processi che “costituiscono la narrazione, cioè la
modalità con cui l’intreccio dosa le informazioni sulla storia allo scopo di
72
ottenere determinati effetti”, è lo stesso discorso mentale che, formulato
identico nella parte centrale della proiezione/visione del film perché ripreso a
metà inoltrata della storia, non proprio ricongiungerà il tempo della
narrazione come le regole della classicità formulano per l’uso del flashback
che tale scena attiva attraverso la prima volta di visione per lo spettatore, ma
ridefiniscono ciò che all’inizio del film non si era potuto comprendere
completamente nelle ipotesi formulate e relative principalmente la
professione di chi è alla guida della station-wagon nera, e, presentando una
seconda volta il medesimo monologo, disorienteranno, non poco, la
continuità temporale della narrazione perché verranno interpretati e riferiti a
due tempi e significati narrativi differenti, seppur le parole presentate
appariranno identiche, ovvero, inizialmente, le ipotesi vertono sul perché il
protagonista sia in quella situazione e, solo successivamente, la seconda
volta che viene riproposto il monologo del protagonista, le domande del
pubblico, che avranno già motivato, grazie al flashback che inizia dal suo
passato in Tokyo, il perché si trovi vestito da lavoro alla guida di quel
furgone, ora si pongono una domanda differente e riguardante la scelta del
protagonista di proseguire o meno con la sua occupazione.
Il registro simbolico non è direttamente riscontrabile attraverso la sola lettura
della sceneggiatura desunta del film che, indicando come il luogo in cui il
furgoncino percorre la stradina di campagna durante la bufera di neve sia
nella pianura giapponese dello Shonai, anche se non puntualizzando
esattamente dove, e come il personaggio alla guida sia il protagonista Daigo
Kobayashi appena assunto in un’agenzia che lavora nel ramo pompe funebri,
sembra anzi venire smentito attraverso l’elemento spaziale che, seppur
generico, è riscontrabile per iscritto. Tuttavia, il tempo e lo spazio nel

71
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 109.
72
Ivi, p. 112.

43
passaggio dalla fitta nevicata alla giornata di sole grazie ad una ellissi
presente nel film, non vengono specificati nemmeno attraverso l’estratto di
sceneggiatura desunta di seguito riportata, riguardante le scene iniziali del
film che, autonomamente dalla sceneggiatura, possiedono un pur sempre
registro simbolico, come introdotto all’inizio del presente capitolo, perché il
film Departures, come qualsiasi altro film, ha in sé la sceneggiatura, ma non
ne è la sceneggiatura:

Capitolo primo

Videata/Logo “Shochiku”. Videata/Logo “TBS”. Pianura di Shonai, in inverno. Un


vecchio furgoncino percorre una stradina di campagna della pianura di Shonai
durante una fitta nevicata; la neve cade incessantemente. Dentro la vettura, seduto
al posto del conducente, al volante, c’è il neoassunto tanatoesteta Kobayashi
Daigo.

DAIGO (pensa) Quando ero bambino gli inverni non erano così freddi.

Sul sedile del passeggero c’è Sasaki Ikuei, il presidente di una società
specializzata in Tanatoestetismo. Il furgoncino procede fra la neve che cade.

DAIGO (pensa) Da ormai quasi due mesi ho lasciato Tokyo e ho fatto ritorno a
Yamagata. Ripensandoci, è stato un periodo in cui i giorni semplicemente
passavano, offrendomi solo una vita senza alcuno scopo.

Un’abitazione: esterno, famiglia Sugawara. Il furgoncino è fermo davanti ad


un’abitazione che sorge in un luogo remoto, tra monti sommersi dalla neve; il cielo
si è schiarito. Vi è esposto un cartello che recita “In lutto”. Stesso luogo, nel
soggiorno. I famigliari del defunto sono radunati. Una persona che pare essere la
madre del defunto se ne sta senza parole, con l’aria assente. Una donna è venuta
73
per aiutare.

La sceneggiatura puntualizza come abbia smesso di nevicare perché “il cielo


si è schiarito”, come effettivamente il film mostra, sebbene la tempesta di
neve non sembra voler positivamente avvalorare il fatto che, nella finzione
filmica, l’ellissi che separa la scena della guida della station-wagon nella
tormenta e la relativa all’esterno della casa della “famiglia Sugawara”, sia tale
da permettere un tale salto atmosferico, nel breve tempo, nella raggiante
giornata di sole invernale che viene presentata. Le parole utilizzate nella
sceneggiatura, volutamente usate con vaghezza, come per “un’abitazione” e
“un luogo remoto”, al contrario del nome certo della famiglia, o dalle parole

73
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., pp. 13-14.

44
“stesso luogo” riferite alla medesima casa “in lutto”, non permettono di
comprendere se l’ellissi che separa tale scena dal momento del monologo, si
compia nel medesimo giorno e nelle prossimità dell’abitazione della “famiglia
Sugawara” perché non specificata nell’ubicazione. Da sottolineare come sia
vaga anche l’indicazione “un vecchio furgoncino percorre una stradina di
campagna nella pianura dello Shonai”, per il luogo, e “in inverno”, per il
tempo, in riferimento alla scena precedente del monologo a cui “il cielo si è
schiarito” sembra riferirsi ma nemmeno chiarire del tutto. Dunque, il registro
simbolico definito dall’incertezza temporale e spaziale di questa scena ora
analizzato anche nei riguardi della sceneggiatura desunta del film,
riscontrabile direttamente nella proiezione di Departures, non viene meno
ma, anzi, si rafforza in virtù del fatto che i luoghi sono volutamente utilizzati
con vaghezza nello scritto di riferimento anche se si legano, in parte, tra di
loro, nei confronti della pianura del Shonai, pur sempre termine vago, così da
non permettere di spiegare definitivamente il salto temporale-spaziale
dell’ellissi tra le due scene d’apertura del film.
Analizzando lo stesso monologo di Daigo che si ripresenta ben dopo la metà
narrativa della pellicola, di seguito riportato come la sceneggiatura desunta
presenta, si nota come si sia aggiunta una parte finale al discorso mentale
del protagonista con cui ha esordito in Departures, perché riferito alla
spiegazione di significato narrativo differente rispetto al primo momento di
ascolto/visione nel film: il riproporcelo così modificato, non permette di
aggiungere considerazioni per chiarificare il tempo e lo spazio dell’ellissi che
viene dunque riproposta, e nemmeno di smentire il registro simbolico della
scena effettivamente ripresentata durante la proiezione, ancora in questa
veste astratta caratterizzata:

Schermata: OL.

Pianura di Shonai in inverno. Il vecchio furgoncino avanza su di una strada di


campagna nella pianura di Shonai; la neve cade incessantemente. Si ricollega alla
scena di apertura.

DAIGO (pensa) Da ormai quasi due mesi ho lasciato Tokyo e ho fatto ritorno a
Yamagata. Ripensandoci, è stato un periodo in cui i giorni semplicemente

45
passavano, offrendomi solo una vita senza alcuno scopo. E io, ancora adesso, non
sono sicuro di potere continuare con questo lavoro.
74
Un’abitazione. Famiglia Sugawara. La stessa casa del primo capitolo.

La narrazione di Departures, il processo attraverso il quale lo spettatore


viene a conoscenza dell’intreccio con le informazioni sulla storia, afferma
chiaramente, grazie alle specificazioni della sceneggiatura “si ricollega alla
scena di apertura” e “la stessa casa del primo capitolo”, il richiamo
all’apertura del film, da un momento inoltrato, e utilizza come narratore la
figura del protagonista, Daigo Kobayashi, agente incaricato di raccontare la
storia, la sua, che, in questo secondo momento del suo monologo che
aggiunge un pensiero in più al finale, non vuole spiegare il suo passato e
come sia giunto in quell’auto a pensare in questo modo, ma indirizzare il
pubblico a capire il perché abbia dei dubbi sulla professione ricoperta che
ormai, a questo punto della narrazione, è ben chiara a chi ha seguito il film
dagli esordi, dal suo primo monologo, che, in questo primo caso, ha fatto
scattare diverse ipotesi spiegate attraverso l’uso del flashback, durante la
vita passata del protagonista, che si conclude modificando il senso di lettura
del monologo stesso ripresentandocelo aggiungendoci una parte al finale:

I flashback sono un esempio affascinante del grande potere della narrazione


oggettiva. Di solito sono motivati come momenti di soggettività mentale, dato che
gli eventi sono scatenati dal ricordo del passato di un certo personaggio. Ma una
volta che siamo “dentro” il flashback, gli eventi di norma saranno presentati in
maniera assolutamente illimitata, e potranno anche ricomprendere azioni di cui il
personaggio cui appartiene il ricordo potrebbe non essere al corrente!
In altre parole, la maggior parte dei film usa la narrazione “oggettiva” come base
da cui partire in cerca di profondità soggettive, per poi farvi ritorno. Ci sono,
comunque, film che respingono questa convenzione e mescolano l’oggettività e la
75
soggettività in modi ambigui.

Il flashback propone eventi presentati dal protagonista sulle sue vicende in


Tokyo al ritorno al suo paese natale Yamagata, in maniera oggettiva,
sebbene l’ambiguità, che si ripercuote in un presentare il momento del
ricongiungimento al presente della narrazione filmica, terminato il flashback,
attraverso il riproporre un monologo che però non è completamente uguale al
74
Ivi, p. 65.
75
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 117.

46
primo che farà scattare il ritorno al passato, lascia presupporre che molto di
ciò che è stato presentato durante il flashback stesso, deve ancora essere
spiegato e quindi indagato nelle “profondità soggettive” del protagonista.
Infatti, le parole aggiunte al monologo dell’inizio del film permetteranno di
capire gli sviluppi della narrazione dando risposte alle ipotesi formulate dagli
spettatori, fin anche dagli esordi, sulle vicende di Daigo Kobayashi e, in
particolare, sulla scelta o meno di proseguire con quella professione che tanti
dubbi gli lascia: “E io, ancora adesso, non sono sicuro di poter continuare
con questo lavoro”.76
Le “profondità soggettive” che scaturiscono dal presentarci il passato del
protagonista mediante il flashback da una narrazione “oggettiva”,
racchiudono la particolarità della considerazione iniziale riguardante l’aspetto
astratto, in riferimento alle caratteristiche del montaggio intellettuale di
Ejzenštejn, voluto dal regista e dallo sceneggiatore di Departures, perché,
durante la sequenza dell’avanzamento della station-wagon in apertura del
film, Daigo permette, attraverso il presentarci, la prima volta, il monologo
77
mentale, grazie alla punteggiatura cinematografica, il ripercorrere da
Tokyo a Yamagata la sua vita, anche se, esibendo ora la totalità del
simbolismo, Daigo stesso non è più in vita.
Il protagonista Daigo Kobayashi non è più in vita quando all’inizio del film
rammenta i suoi ultimi accadimenti e non ne è consapevolmente informato.
Le ipotesi che l’utilizzo dell’in medias res devono coinvolgere il pubblico
creando domande con rispettive risposte, non sono facili da afferrare
completamente e pienamente, e se anche non si giunge alla conclusione
simbolica, che rispetta pienamente le tre caratteristiche descritte nel
montaggio intellettuale, di Daigo non più in vita, ossia, che, al contrario, il
protagonista stia solamente attraversando, con il suo datore di lavoro, il sig.
Sasaki, quel sentiero che è solo apparentemente un richiamo all’ultraterreno,
senza dunque possedere una volontà simbolica, perché l’effetto disorientante
è solo da attribuire alla tempesta di neve e che il passaggio alla giornata di

76
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 65.
77
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 350.

47
sole è plausibile, la narrazione filmica procederebbe nei canonici stili del
dramma familiare classico, intendendo che Daigo si stia effettivamente
recando, ancora in vita, al lavoro presso la casa della famiglia Sugawara.
Considerare veritiera la componente simbolica, al contrario, permetterebbe di
accettare come non plausibile nella medesima giornata e nella prossimità di
luogo quella pur sempre improbabile ellissi, perché non specificata nemmeno
in sceneggiatura, che passa da una tormenta a una giornata di sole in pieno
inverno. Invece, non considerare il simbolismo legato al protagonista in
viaggio verso l’al di là, permette di immaginare che l’iniziale visione di Daigo
nella station-wagon nera sia accaduta in un altro momento non
immediatamente precedente l’arrivo nella casa appena dopo mostrata,
chiusa l’ellissi, e che questa sia, quindi, di non minuti, ma di altra temporalità:
in questo modo si caratterizza Daigo che, mentre lavora come tanatoesteta,
accompagna nei vari ambiti lavorativi, e non direttamente o per forza di cose
a quel preciso luogo di lavoro presso la casa Sugawara, in quella casa
mostrata con il vialetto innevato, il suo capo, il sig. Sasaki. Questa
considerazione è altrettanto vera e non viene smentita da nessun elemento
della sceneggiatura, che afferma solamente che il tempo atmosferico è
cambiato senza però specificarne la durata e rispetto a quale luogo,
caratteristica che definirebbe con certezza l’ellissi usata.
Se si considera invece il momento ultraterreno, si deve affermare che si è
saputo superare il concetto di montaggio intellettuale ejzenštejniano perché
si afferma un primato di indiscusso simbolismo, rappresentando nella
classicità di concatenazione causa-effetto cinematografica, che può ben
essere letta in superficie, la vicenda del protagonista, mediante un’analisi più
profonda e motivata grazie a conoscenze del linguaggio cinematografico, ciò
che non avrebbe mai potuto essere rappresentato in una verosimiglianza
filmica, vale a dire, il momento senza tempo e senza spazio del passaggio
nell’al di là che permette di sospingere letteralmente al di là la canonica
narrazione, in continuità o non in continuità, ovvero, la discontinuità a cui il
montaggio intellettuale fa riferimento. Ejzenštejn, attraverso i suoi
sperimentalismi di montaggio concettuale, voleva infatti mostrare un

48
qualcosa che, slegandosi e abbattendo lo spazio e il tempo filmico, che sono
due elementi cardine del linguaggio e della punteggiatura cinematografica,
mostrasse una sequenza che può essere solo pensata in termini concettuali
e forse, perché nessuno lo può sperimentare e raccontarlo in pienezza e
completezza di conseguenza, nemmeno immaginata se considerata con il
momento del trapasso: Yojiro Takita, mostrandoci un viaggio verso l’al di là,
grazie ad una commedia/dramma familiare, permette di realizzare
pienamente questo simbolismo.
L’incipit del film, che mostra le sequenze del primo monologo di Daigo e il
lavoro di tanatoesteta in casa Sugawara divise da un’ellissi non chiara nei
termini spaziali-temporali, è chiuso con un elemento extradiegetico, ovvero, il
titolo del film in caratteri giapponesi con scritta bianca su sfondo nero,
introdotto con una dissolvenza. Dissolvenza che quando verrà riproposto il
monologo a metà abbondante della proiezione/visione del film, non chiuderà
le due sequenze viaggio-tormenta e casa Sugawara, pur sempre legate da
un’ellissi che non specifica tempi e luoghi di passaggio, come al principio, ma
le aprirà giungendo da un momento decisivo per la vita professionale del
protagonista, ossia, il superamento dell’indecisione di proseguire il suo lavoro
dopo il colloquio con il suo datore di lavoro (Fig. 2.7, 2.8 e 2.9). Il regista, con
questa scelta di punteggiatura, permette di capire che, prima dell’inizio del
flashback, Daigo torna al passato dei suoi accadimenti personali guardando
all’indietro, mentre ora, superato l’ostacolo del perdere il lavoro, per varie
ragioni, decide di continuare su questa strada e la dissolvenza, posta
all’inizio, chiude il flashback e porta avanti la sua storia: non si cerca, come
all’inizio, come l’attacco in medias res richiedeva, spiegazioni sul perché si
trovi a fare quel che fa, ma, ponendo la dissolvenza solo all’apertura del
monologo che mentalmente aggiungendo la frase “e io, ancora adesso, non
78
sono sicuro di poter continuare con questo lavoro”, mostrandolo,
successivamente una ellissi, all’opera sulla salma del giovane Tomeo, figlio
dei coniugi Sugawara, definisce come il protagonista abbia affrontato la sua
indecisione lavorativa definitivamente, dunque, avendo deciso pienamente di

78
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 65.

49
continuare nel suo cammino professionale. Il flashback ritorna al presente
durante il monologo e ricongiunge i tempi narrativi, per poi proseguire in un
flashforward, dopo l’ellissi non chiara in termini spazio-temporali, mentre il
protagonista lavora da tanatoesteta in casa Sugawara.
Tuttavia, guardando alla possibilità che il monologo di Daigo si svolga
durante un suo presunto passaggio verso l’al di là, mentre espone
l’incertezza della sua attuale situazione lavorativa, sembra che definisca
come il presente della narrazione non esista: dato che, se si considera tale
momento l’attualità della narrazione, questi istanti non hanno caratteristiche
di spazialità e di temporalità perché la sua vita filmica ha perso la
caratteristica di tempo e di spazio proprio della sua storia filmica, ovvero,
sembra andare oltre il concetto diegetico di narrazione, rimanendo un
momento simbolico della stessa, rispondendo ai canoni del montaggio
intellettuale di a-spazialità, a-temporalità, con inserti pienamente diegetici ed
extradiegetici, perché esteticamente il viale può apparire una normale strada
extraurbana ma in realtà non appartiene alla narrazione e agli elementi
concreti e propri del film, e, dunque, gli elementi tutti di questa sequenza
risultano in bilico perché possono essere considerati sia interni che esterni
alla narrazione stessa di riferimento e potrebbero coniarsi come elementi
dell’ultrafilmico, da ultraterreno. Nell’accezione del non trapasso del
protagonista, invece, il monologo presentato la prima volta con l’attacco in
medias res, lasciando pur sempre irrisolte le risposte non ancora definite sul
chi sia quella persona che attua il discorso mentale, o il perché sia nel bel
mezzo della bufera di neve, senza dunque caratterizzare il luogo o
semplicemente il quando accade tutto ciò, anche perché non si capisce
nemmeno se sia giorno o notte dato che la tempesta lascia solo un incerto
alone bianco, è più corretto parlare, più che di simbolo, in questo caso, di
mistero, elemento proprio della narrazione classica: la consequenzialità
causa-effetto chiarisce quasi subito tale alone, quando, terminata la prima
ellissi del film, il regista inquadra la vecchia station-wagon nera parcheggiata
fuori da un vialetto innevato, lasciando spazio, poco dopo, al lavoro da

50
nokanshi di chi stava compiendo il monologo alla guida della vettura,
all’interno di una casa in lutto.
Nel caso in cui non si consideri il simbolismo del passaggio nell’al di là del
protagonista, quell’indecisione temporale e spaziale data dall’ellissi che
divide la scena del viaggio nella tormenta e l’arrivo a casa Sugawara sotto un
cielo limpido, può essere spiegata come, vista e considerata la seconda
sequenza monologo dell’accettazione del suo lavoro, la sua interiorità, molto
tormentata e specchio del tempo esterno, e di come si sia placata,
risolvendosi, come si è schiarito il cielo, nell’accettazione serena della sua
situazione. Nella possibilità simbolica del trapasso del protagonista, con gli
elementi in bilico tra diegetico ed extradiegetico coniati come dell’ultrafilmico,
la considerazione dell’ellissi spazio-temporale si complica per via delle
caratteristiche degli elementi del montaggio intellettuale: tutta la vita di Daigo
nel mentre affronta il viaggio verso l’al di là, quel famoso presente filmico
ormai dilatato all’infinito perché ultraterreno che unisce il flashback della vita
da Tokyo a Yamagata, e il flashforward che mostra la continuazione dopo la
titubanza di continuare con quel lavoro, è presentata in un continuo flashback
perché si aggancia, da quando deceduto, a tutti i fatti di quando lui era in
vita. Quell’andare verso l’al di là, sebbene sia elemento in bilico tra diegetico
ed extradiegetico, ha pur sempre caratteristiche di a-temporalità e di a-
spazialità e, superando la concezione propria del montaggio intellettuale di
unione tra diegetico ed extradiegetico perché proprio il rappresentare tale
viaggio, è una contraddizione in termini di spazio e tempo della narrazione,
creando una sorte di sequenza ultraterrena e propriamente detta ultrafilmica,
si supera di gran lunga quel presente della narrazione che porta a pensare
ad una ellissi punto di partenza per flashback e poi per il flashforward, e che
definisce, nelle spiegazioni per il pubblico, quelle ipotesi lasciate in sospeso
dall’attacco della narrazione in medias res.
È ora spiegato perché questo elemento ultrafilmico del viaggio dell’al di là,
supera il concetto di montaggio intellettuale che unisce elementi diegetici ed
extradiegetici nella medesima narrazione, dato che sfalda il senso
dell’utilizzo della punteggiatura cinematografica, del flashback, del

51
flashforward, dell’ellissi e degli attacchi in medias res, scombussolando
anche i termini di diegetico ed extradiegetico, se non i termini di luogo e
tempo della narrazione in continuità, o anche in discontinuità, filmica. L’ellissi
è il primo elemento che perde le sue caratteristiche, ed essendo il più
significativo per individuare una caratterizzazione del film, e una spiegazione
delle ipotesi, nell’accezione ultrafilmica smarrisce un senso definitivo: il
protagonista Daigo ripensa alla sua vita mentre sta proprio passando a
miglior vita ed è quindi un momento senza tempo in cui il flashback della
punteggiatura cinematografica non potrebbe agganciare la temporalità
sancita dal passaggio dell’ellissi da un momento presente per poi
effettivamente tornare indietro nel tempo, perché quel presente non è
afferrabile. È un presente ultrafilmico.
Tuttavia, la considerazione del viaggio verso l’al di là di Daigo può anche
essere limitata nella deriva spazio-temporale narrativa appena presentata, ed
è possibile analizzarla ripercorrendola nel presentare l’intera narrazione del
film, pur sempre mantenendo l’elemento simbolico con carattere di a-
spazialità, a-temporalità, ancorandola a quell’unico, infinito e continuo,
presente. In questo caso possiamo sottolineare come il cineasta presenti un
qualcosa di inconsueto rispetto al vedere come la vita del protagonista
prosegua con il ricongiungimento della moglie (Fig. 2.10) e, infine, il
ritrovamento di suo padre (Fig. 2.11), ossia, quel flashforward affermato dal
momento della scelta di continuare a lavorare come tanatoesteta dal
momento in cui il regista mostra Daigo alle prese, nuovamente, con il rito
nokanshi nella scena del funerale in casa Sugawara: bisogna porre
attenzione al monologo che afferma chiaramente che Daigo ha lasciato
79
Tokyo da “due mesi”. Dunque, a rigor di logica, considerando che la
coppia sposata si è trasferita a Yamagata durante il periodo autunnale, e
che, dato che Mika ritorna a Yamagata agli albori della primavera, il
protagonista sia passato a miglior vita prima che i due si ricongiungessero.
Tutto ciò che viene presentato nel film, se si considera che il monologo di
Daigo, in viaggio verso l’al di là, che accenna ai due mesi, avvenga in pieno

79
Ibidem.

52
inverno e, invece, il ricongiungimento della coppia avvenga solo in primavera
(Fig. 2.12), a distanza, dunque, di più di sessanta giorni da quando Daigo ha
iniziato a lavorare come tanatoesteta, dato che il primo colloquio di lavoro
avviene in una giornata autunnale, con le prime foglie secche a terra ben
mostrate dal regista (Fig. 2.13), pochi giorni dopo che la coppia si è trasferita,
Yojiro Takita, nella narrazione di Departures, indica che tutto ciò che viene
mostrato dopo la dissolvenza incrociata che conclude il dibattito di Daigo con
il sig. Sasaki nella sala attorniati da numerose piante che ben ricordano la
piccola di cactus sbocciata proprio durante il loro primo incontro, quando, al
contrario di ora che si vuole licenziare, il protagonista si voleva far assumere,
rimostrando il vecchio carrofunebre percorrere la medesima strada come
durante l’apertura del film, simbolo racchiuso nell’espressione “già e non
80
ancora”, avviene proprio in un ideale al di là, in una vita migliore, che non
può altro che aprirsi, durante la primavera, con il ricongiungimento della
coppia separata per futili motivi, e prettamente di carattere sociale perché
riguardanti il suo lavoro: “Il colore dei fiori dei due alberi di sala dimostra che
davvero chi prospera ineluttabilmente decade / Gli orgogliosi sono destinati a
presto finire del tutto simili al sogno di una notte di primavera”. 81
Se si considera la componente temporale, sappiamo con certezza che in
questa primavera nell’al di là, la pseudo-Mika riceve un telegramma che
annuncia con precisione che nella giornata del trenta di aprile, esattamente
alle ore sette e trenta in punto, il padre di Daigo è deceduto (Fig. 2.14): la
data è metaforica e nell’ottica considerata non ha nulla di concreto perché,
avvalorando il fatto della plausibilità di porre questa lunga parte del film come
correttamente nell’al di là, questi sono i giorni in cui i numerosi fiori sugli
alberi di ciliegio in Giappone sbocciano e, nell’arco di pochi giornate, cadono
a terra, creando, decisamente, un’atmosfera paradisiaca.
Durante un flashback, nell’accezione classica, il personaggio protagonista o
interessato al ritorno al passato degli eventi, può anche non essere
completamente al corrente di tutte le azioni mostrate nella narrazione dal

80
In riferimento alla collana omonima dell’editrice Jaca Book.
81
Giuliana Stramigioli, op. cit., pp. 118-19.

53
regista, come accade per l’ultimo momento di vita di Daigo, non palesemente
mostrato e che lascia aperto l’interrogativo se sia da considerarsi una morte
naturale o no, data la giovane età: nel suo viaggio a fine vita, mentre la sua
consapevolezza di essere deceduto non sembra essere presente in Daigo,
perché, chiaramente, attraverso il monologo, sta pensando al suo futuro di
lavoratore come tanatoesteta, una professione disdicevole da parte di un
sentire sociale che risulta essere dolorosa realtà anche per lui, come quando
il suo vecchio amico Takeru Yamashita impedisce alla figlioletta di salutarlo,
il motivo d’incertezza reale che emerge e che porta con sé una velatura di
profonda tristezza, è legato non tanto ai diversi fatti spiacevoli causati dal suo
lavoro, quanto ad uno solo di essi che riguarda un aspetto intimo della sua
persona, ossia, l’aver terminato un matrimonio per cause non naturali e
prettamente di carattere sociale (Fig. 2.15). Cause sociali che hanno influito
e hanno distorto completamente ciò che di più naturale esista, una famiglia, e
hanno distorto nella maniera più drastica ciò che di più naturale esista, una
vita.

Trentacinquemila all’anno. Tanti sono, secondo le statistiche ufficiali, i suicidi in


Giappone (senza contare i moltissimi tentativi fortunatamente a vuoto). Un dramma
sociale che affonda le sue radici in una cultura dove l’opzione del “togliere il
disturbo” riaffiora ogni volta che una persona non riesce a reggere pubblicamente il
senso del fallimento. Un fenomeno che, secondo il Japan Times del 19 settembre
scorso [, il settembre 2010,] costa all’economia la bellezza di 2.700 miliardi di yen.
Commenta il giornalista Emanuel Nikai: “Le difficoltà economiche e le malattie
mentali pesano. Ma tutti sanno che c’è dell’altro. La ragione profonda è che molta
82
gente rinuncia a vivere, a combattere”.

Se consideriamo l’aspetto temporale nel mentre Daigo viaggia verso l’al di là,
tutto ciò non si ferma, non si arresta al percorso ideale di quella vecchia
station-wagon nera, ma si dilata in un continuo presente per tutta la seconda
parte del film, ossia, praticamente da quando Daigo si ricongiunge con sua
moglie. Questa è la miglior vita. Questo è il miglior presente: la rottura
spazio-temporale è dunque ridimensionata alla sola seconda parte del film.
Un purgatorio che si risolverà nella pienezza paradisiaca, alla fine.

82
Gerolamo Fazzini, “Giappone. Missione nuda”, Mondo e Missione, 139:10, 2010, dicembre, p. 41.

54
Affermando che la suggestiva scena del monologo del protagonista sia
effettivamente un ritratto del viaggio nell’al di là, una considerazione data
dall’aspetto simbolico della sequenza e descrivendolo come dovuto all’ideale,
più che alla forma, del montaggio concettuale dettato da Sergej M.
Ejzenštejn, perché la foschia ricorda tanto il tunnell di luce come di
superamento della realtà terrena, quel passaggio oltrefrontiera che piccoli
paletti intravisti ai lati della strada, perché visibili nella realtà filmica (Fig.
2.16), suggeriscono, oltre che per il fatto suggestivo che il protagonista ha a
che fare con defunti nella pratica tanatoestetica, e per considerare meglio
tale sequenza simbolica, si sono ripresi i concetti di a-temporalità, di a-
spazialità e, sostituendo parzialmente, perché principalmente riferito al
montaggio, la pratica dell’inserimento d’immagini extradiegetiche e
83
diegetiche, ovvero, l’inserto del non diegetico perché si ha a che fare con
una scena astratta non propriamente assimilabile allo spazio-tempo della
narrazione, se non con un superamento concettuale dello stesso,
riassumibile e riassunto nella parola ultrafilmico, ovvero, di elementi in bilico
tra diegetico ed extradiegetico, sia valido per tutto il film, sia per la sola
seconda parte del film, abbiamo dichiarato una lettura possibile e motivata
del film Departures mediante la teoria del linguaggio cinematografico,
scoprendo il significato profondo racchiuso nel lungometraggio, plausibile e
di interesse.
All’opposta visione, l’ellissi che separa la scena del monologo di Daigo
all’interno della station-wagon nera nel bel mezzo di una tempesta e la scena
del lavoro da tanatoesteta di Daigo all’interno della casa dei Sugawara sulla
salma del defunto Tomeo, è di breve durata e di breve spazialità,
accomunando, al di là delle piccole differenze di visione e di ascolto, i due
momenti filmici presentati identici, unendoli in un unicum narrativo, e
motivando le stesse scelte differenziali, ossia, il momento finale e il relativo la
passata ora di proiezione/visione, riguardando un Daigo che parla attraverso
il monologo al presente filmico dell’in medias res di partenza, sebbene si
abbia una foschia onirica, da vivo e vegeto e sceglie di continuare la sua vita

83
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 373.

55
pienamente, si capirà completamente poi, lavorativa, nella difficoltà di quella
società che lo ha additato ed etichettato però così negativamente, ma è
sereno, è gioioso di aver dato un senso di realizzazione, un senso alla sua
esistenza, anche se, certamente, come si apprenderà nella narrazione in e di
vita di Daigo, è felice di poter riabbracciare, finalmente, sua moglie, che pian
piano diventerà orgogliosa del suo mestiere e, sorpresa, incinta del loro
primo figlio.

Nel sistema di continuità classico, il tempo, come lo spazio, è organizzato secondo


lo sviluppo della narrazione. Sappiamo che la presentazione dell’intreccio della
storia tradizionalmente implica una manipolazione del tempo. Il montaggio in
continuità aspira ad appoggiare e sostenere questa manipolazione temporale […].
La violazione più comune di questo ordine è il flashback, segnalato da uno stacco
o da una dissolvenza. Inoltre il montaggio classico spesso presenta una sola volta
quel che nella storia avviene una sola volta […]. Di nuovo, però, i flashback sono il
modo più comune di motivare la ripetizione di una scena cui si è appena assistito
[…].
Nel complesso, l’assenza di ellissi nell’azione della storia, il suono diegetico che si
sovrappone agli stacchi e la corrispondenza delle azioni sono tre indicatori primari
della continuità della durata della scena.
A volte, comunque, potrà essere utilizzata una seconda possibilità: l’ellissi
temporale.
L’ellissi può omettere secondi, minuti, ore, giorni, anni o secoli. Alcune ellissi non
hanno alcuna importanza per lo svolgimento narrativo e quindi sono nascoste […].
Ma ci sono altre ellissi rilevanti per la narrazione […].
In altri casi è necessario mostrare un processo su larga scala o un periodo più
lungo – una città che si sveglia alla mattina, una guerra, un bimbo che cresce,
l’ascesa di una star della canzone. Qui la continuità classica usa un altro strumento
di ellissi temporale: la sequenza di découpage. (In inglese il termine viene tradotto
come montage, da non confondersi con il concetto di montage nella teoria del film
di Sergej Ejzenštejn, che lo intende come associazione di immagini prive di un
legame diretto fra loro) […].
In conclusione, lo stile di continuità usa la dimensione temporale del montaggio
principalmente a scopi narrativi. Attraverso le conoscenze pregresse, lo spettatore
si aspetta che il montaggio presenti gli eventi della storia in ordine cronologico, con
occasionali riordinamenti introdotti dai flashback. Lo spettatore si aspetta che il
montaggio rispetti la frequenza degli eventi della storia. Inoltre presume che le
azioni irrilevanti alla causalità della storia saranno omesse o almeno riassunte in
ragionevoli ellissi.
Questo, almeno, è il modo in cui il sistema di continuità di Hollywood ha trattato il
racconto. Come la composizione grafico pittorica, il ritmo e lo spazio, il tempo è
organizzato per consentire il dispiegarsi della catena di causa ed effetto, suscitare
84
curiosità, suspense e sorpresa.

Departures è prima di tutto e dopotutto un film narrativo ma avente, al


medesimo tempo, due letture: possibilità a con un attacco in medias res, che

84
Ivi, pp. 367-69.

56
dal presente ci spinge poco avanti nell’inverno del suo lavoro per poi
proiettare, in un lungo flashback, la sua vita per gran parte della durata del
film, dopo l’ellissi del titolo con il nome Okuribito in caratteri giapponesi, e poi
ricongiungersi, passata l’ora di proiezione/visione, motivando la scelta di quel
monologo, al presente dell’incipit, per poi ripresentarci quel momento, poco
dopo, come all’inizio filmico, del suo lavoro in pieno inverno, e continuando in
un flashforward fino alla conclusione in montaggio di continuità della sua
vicenda di padre, marito e figlio; possibilità b attacco nella modalità
ultrafilmica di lui in viaggio verso l’al di là in una sequenza a-spaziale, a-
temporale e simbolica, nel concetto vicino a Sergej Ejzenštejn, proponendo
la sua intera esistenza completamente da un presente filmico dilatato,
concettualmente all’infinito, e in un luogo altro del film, extradiegetico ma allo
stesso tempo comprensibile perché vicino alla spazio diegetico del film
(ultrafilmico), affidandosi al concetto di uso cinematografico del flashback,
primo, quando lavora sulla salma di Tomeo come tanatoesteta, secondo,
ancora più indietro, a quando era ancora a Tokyo, raggiungendo
ulteriormente il presente filmico dilatato, all’infinito dell’ultrafilmico, perché si
ripropone il monologo verso l’al di là, e, dato che l’inverno, mentre parla
durante la dilatazione spaziale-temporale del presente filmico nella voce
mentale del monologo, afferma che sono passati due mesi da quando ha
lasciato Tokyo, tutta l’ultima parte del film, che sarà narrata in primavera,
appartiene ad un idilliaco al di là.
Entrambe le possibilità di lettura si risolvono in una consapevolezza acquisita
nel finale della storia di Daigo Kobayashi: il volto del padre.

57
58
STILE E SCELTE DEL REGISTA

Il capitolo seguente sarà dedicato a presentare l’accorto e mai scontato uso


della macchina da presa proprio dello stile di regia di Yojiro Takita utilizzato
nel film Departures, attraverso l’analisi audiovisiva di una memorabile e per
questo esemplificativa sequenza presentata appena conclusi i titoli di
apertura, in cui compare il titolo del film in caratteri giapponesi, relativa il
concerto, in Tokyo, in cui il protagonista suona il violoncello in un’orchestra
sinfonica, presentata secondo un montaggio in funzione ritmico-formale. 85
La componente musicale, fondamentale per la caratterizzazione del
protagonista, verrà in particolare approfondita nella sezione finale del
capitolo, permettendo di capire come un elemento di peculiarità della
86
tradizione cinematografica giapponese, il benshi, il commentatore dei film
muti, possa aver indirizzato il regista ad utilizzare particolari espedienti per
curare e creare importanti aspetti che caratterizzano la vicenda e i
personaggi in essa presenti.
Abbiamo avuto modo di citare, nel primo capitolo, come il regista Yojiro
Takita abbia ripreso in Departures lo stile di trattazione delle tematiche
familiari dal regista giapponese Yasujiro Ozu (Fig 3.1): quest’ultimo regista,
figura anch’essa della tradizione cinematografica giapponese, ritorna anche
durante la trattazione dell’analisi audiovisiva perché, il suo stile di regia, ha
influito, per certi e spiegati aspetti, sulle scelte di Takita nei riguardi
dell’approccio alla direzione di regia che può essere definita come innovativa
senza per questo stravolgere e urtare la scorrevole comprensione delle
vicende, ovvero, l’uso dello spazio a 360° e delle corrispondenze grafiche e
di colore e di forme, compresi i personaggi della vicenda, che la scelta della
funzione di montaggio ritmico-formale attuata da Yojiro Takita nella scena
citata e analizzata, ben accolgono.

85
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 219-224.
86
Yomota Inuhiko, “Storia del cinema giapponese”, in Gian Piero Brunetta (a cura di), op. cit., pp. 923-
25.

59
Il montaggio di Yasujiro Ozu è connesso alla narrazione in maniera più complessa
[del normale stile di continuità]. Gli stacchi di Ozu spesso sono dettati da una
continuità grafica molto più precisa di quella che troviamo nello stile di continuità
classico. In due scene di Il gusto del sakè (Sanna no aji, 1962), Ozu crea
corrispondenze grafiche tra inquadrature di uomini che siedono gli uni di fronte agli
altri in ristoranti […]. In Ohayō (Buon giorno, 1959) Ozu usa il colore allo stesso
modo, staccando dalla biancheria stesa a un interno domestico e facendo
corrispondere una forma rossa nel riquadro in alto a sinistra di ognuno dei
fotogrammi (una camicia, una lampada) […].
La continuità grafica è una questione di gradi, e in un film narrativo lo spettro corre
dalla grafica approssimativa di Hollywood alla precisione di Ozu, passando da due
inquadrature […] di Ivan il Terribile […] di Ejzenštejn […]. Se il montaggio grafico
permea l’intera forma filmica, la narrazione tenderà a recedere, e il film avrà di
conseguenza una forma più astratta […].
Come si può raccontare una storia senza rispettare le regole della continuità? […]
Usando discontinuità spaziali e temporali […].
Più drasticamente, un regista può violare o ignorare il sistema dei 180°. Le scelte
di montaggio di registi come […] Yasujiro Ozu si basano su quel che possiamo
definire uno spazio a 360°. Invece di girare parten do dal presupposto di un’asse
d’azione che impone che la macchina da presa sia collocata in un immaginario
semicerchio, questi registi lavorano come se l’azione non fosse una linea ma un
punto al centro di un cerchio e come se la camera potesse essere sistemata in
qualunque punto della sua circonferenza. […] Le inquadrature di Ozu costruiscono
uno spazio a 360° che produce quel che lo stile di continuità considererebbe gravi
errori di montaggio. I film di Ozu spesso non concedono posizioni relative e
direzioni sullo schermo compatibili; le corrispondenze degli sguardi sono fuori
asse, e l’unica coerenza è la violazione della linea dei 180° […].
Questi stacchi discontinui dal punto di vista spaziale incidono anche
sull’esperienza dello spettatore. Il difensore del montaggio classico sosterrebbe
che le regole di continuità spaziale sono necessarie per la presentazione chiara di
una narrazione. Ma chiunque abbia visto un film di Ozu […] può testimoniare che
dalle infrazioni alla continuità non deriva alcuna confusione narrativa. Anche se
questi spazi non scorrono in modo fluido come nello stile di Hollywood (e questo fa
parte del fascino del film), la catena causa-effetto resta comprensibile. La
conclusione inevitabile è che il sistema di continuità è solo un modo di raccontare
87
la storia.

Le infrazioni della continuità, che nella pellicola di Takita sono anch’esse


riscontrabili nella violazione della regola dei 180°, non permettono alcuna
confusione narrativa ma, anzi, la rafforzano nell’intensità audiovisiva della
presentazione degli eventi, perché la catena causa-effetto rimane integra.
Possiamo riportare come esempio, a sostegno dell’avvicinamento dello stile
di regia tra Ozu e Takita e di come si mantenga la catena di comprensibilità
di causa-effetto delle regole di continuità, l’episodio di Okuribito in cui la
segretaria del capo di Daigo, interpretata da Kimiko Yo, indica al protagonista
un luogo sul soffitto, nel momento in cui questo voleva licenziarsi (Fig. 3.2), e

87
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., pp. 370-73.

60
la macchina da presa permette una visione, inizialmente, in verticale dal
basso verso l’alto e, infine, con un altro virtuosismo, in verticale dall’alto
verso il basso (Fig. 3.3): sono scelte che derivano dalla visione motivata,
come il cinema classico deve attuare, del personaggio protagonista
dell’azione. Tuttavia, l’analisi delle regole di continuità classiche per uno stile
così definito, nascondono, ad un livello più profondo, un loro stravolgimento:
le regole di regia per rendere una sequenza, la presente, di continuità
classica, sono solo un mascheramento di quegli stratagemmi, come l’uso
dello “spazio a 360°” ben dimostrano perché nella s cena presente si utilizza
tutto lo spazio scenico come, addirittura, il soffitto, definendo “gravi errori di
88
montaggio” nello stile di continuità classico, per creare una solo apparente
continuità nella presentazione della narrazione, come emerge se si
analizzano le scelte di regia di Takita in profondità.
L’accorta sapienza nelle scelte di regia ravvisabile nell’utilizzano dello
“spazio a 360°” propria di Yasujiro Ozu, rientra pi enamente nello stile di regia
di Yojiro Takita, chiaramente ravvisabile nella sequenza, oltre che come
nell’appena descritta, dell’ultimo concerto da violoncellista professionista di
Daigo quando ancora in Tokyo.
Per la realizzazione della scena nel teatro nella capitale giapponese,
vengono utilizzate due macchine da presa: la prima è montata sulla louma,
un braccio meccanico che, a partire dagli anni settanta, è in grado di
spostare la cinepresa in qualunque direzione fino a sette metri di altezza; la
seconda, è montata su carrello che scorre su rotaia posizionata tutt’intorno le
componenti orchestrali. 89

Un auditorium di Tokyo. In una sala da concerti di musica classica, un’orchestra


sta eseguendo la Nona sinfonia in Re minore, Opera 125 di Beethoven. Fra gli
orchestrali c’è Daigo, che suona il violoncello. Tra i pochi spettatori c’è seduto un
vecchio; il suo sguardo è severo. Guarda fissamente il palco con un’espressione
90
complessa.

88
Ibidem.
89
La considerazione è tratta dalla consultazione audiovideo del making of del film Departures (Okuribito,
2007) nella versione home-video relativa la presente scena del concerto.
90
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 17.

61
Il regista sceglie di iniziare la sequenza con un’angolazione della mdp
dall’alto (Fig. 3.4), al di sopra dell’altezza delle teste dei componenti
dell’Orchestra. Due attori, parte dei fiati dell’orchestra, sono ripresi di spalle,
mentre il percussionista è quasi di lato così che si noti lo sguardo del
musicista verso lo spartito aperto all’altezza dei suoi occhi dove ben visibili
sono le pagine, nei dettagli, definendo lo spazio di raccordo tra inquadrature
date dalla regola dei 180°. L’inquadratura successi va che mostra l’intera
orchestra (Fig. 3.5), una precisa angolazione della mdp frontale che ben
delinea la ricercata geometria delle posizioni dei musicisti e che ben richiama
il rigore che è implicito alla proposizione della sinfonia, rompe la regola di
regia classica, appena sopra citata, perché portandosi al di là della linea
immaginaria tirata con la prima inquadratura, di pochi istanti, crea quello che
viene definito uno scavalcamento di campo (Fig. 3.6).
Il ruolo della musica è, secondo la classificazione effettuata dalla studiosa di
origine polacca Zofia Lissa nel manuale di musicologia Ästhetic der
Filmmusik del 1965, di musica secondo il ruolo naturale:

Definisce una serie vastissima di interventi – locale da ballo, sala da concerto,


intrattenimento domestico, sottofondo musicale in un luogo pubblico, ricevitore
radiofonico ecc. – in cui la sorgente musicale è visibile all’interno della
scena/sequenza, oppure è presumibile dal contesto. Oggi è definita generalmente
91
come musica diegetica.

Tuttavia, il passaggio da una scena all’altra, caratterizzata da musica


diegetica o di livello interno, afferma anche che, alla luce della distinzione
operata da Michel Chion tra musica da buca, quella che accompagna
l’immagine da posizione fuori dal tempo e del luogo dell’azione, e musica da
schermo, di una sorgente situata direttamente o indirettamente nel
luogo/tempo d’azione, inizialmente, la musica da schermo è inserita in
musica da buca con orchestrazione più ampia (percussionista suona con
accompagnamento non visibile dell’orchestra), diventando, successivamente,

91
Sergio Miceli, Musica per film. Storia Estetica – Analisi Tipologie, Sergio Miceli: Firenze, 2007 (E-book),
pp. 493-98.

62
92
musica da schermo. Paradossale è che l’eliminazione della funzione di
musica da buca che è termine usato come di riferimento alla buca
dell’orchestra, sia proprio operato dal mostrare l’intera orchestra che è
espediente per marcare la funzione di musica da schermo.
Acuto è l’espediente di regia che, nel campo lungo utilizzato per racchiudere
gli interi componenti dell’orchestra sul palco, pone come evidente il muoversi
di tre elementi: un flautista che sposta leggermente su e giù il suo strumento,
il percussionista da cui la sequenza è iniziata che continua nel suo
virtuosismo di polsi, e la bacchetta del direttore d’orchestra che sembra
scrivere la musica nella lavagna invisibile posta sul palcoscenico.
Sarà un altro scavalcamento di campo che porterà ad una nuova visione,
inquadrando l’inconfondibile direttore, sottolineando come lo stile di regia
adottato emerga come appartenente alla regola dei 30°, un comma della
93
regola dei 180°, per cui non si limitano gli spostamenti della mdp ma, al
contrario, non si contengono troppo, ovvero, regola l’uso dello “spazio a
360°” proprio delle pellicole di Yasujiro Ozu anche in Departures utilizzata.
L’inclinazione della nuova inquadratura è orizzontale alla scena e, seguendo
gli impeti del ritmo musicale, il regista sceglie, per il movimento dall’immagine
panoramica, il master shot, giungendo al soggetto del direttore con la tecnica
94
detta a schiaffo. L’inquadramento della figura del direttore d’orchestra è
classificabile come di mezza figura (MF), ossia, dalla vita in su, anche se
queste caratterizzazioni classiche lasciano spazio ad alcune considerazioni
che trascendono l’estetica citata o neoclassica, perché l’inquadratura non è
bilanciata: i principi di equilibrio servono a catturare l’attenzione dello
spettatore, come ben dimostra la regola dei terzi per cui si divide
un’inquadratura in tre parti, sia orizzontali che verticali, uguali, e la visione si
focalizzerà sulle linee o sui punti di intersezione, formando un rettangolo
centrale chiamato appropriatamente rettangolo di attenzione; l’inquadratura
del direttore pone in questo riquadro non il suo sguardo, il suo volto, o la sua

92
Michel Chion, L’audio-vision. Son et image au cinéma (1990), trad. it. di Dario Buzzolan, L’audiovisione.
Suono e immagine nel cinema. Torino: Lindau: 2001, pp. 82-83.
93
Vincenzo Buccheri, op. cit., p. 165.
94
Ivi, p. 154.

63
figura, ma il suo taschino, in cui, dello stesso colore della bacchetta
d’orchestra, fa capolino un fazzoletto bianco. Ciò fa pensare che, essendo
colui che dirige l’orchestra il cuore della performance, proprio al cuore, il suo,
si vuole porre l’attenzione. Quindi, l’accorta inquadratura che pone il direttore
non al centro della scena ma poco a sinistra, mostrando anche alcune
vistose nuche di musicisti, ossia, si dà peso ad elementi circostanti che non
lo meriterebbero, sia espediente di sbilanciamento motivato ma non
eccessivo, così da far perdere all’inquadratura una componente che, di
sfuggita, per la velocità del cambiamento di posizione della mdp,
95
sembrerebbe solamente d’estetica classica. Vista l’accortezza nell’uso
della posizione della macchina da presa, si può trarre una conclusione che
non banalizzi il fatto che si sia voluto riproporre alla base della scena, in
basso al centro, una piccola porzione di spartito, elemento comune alla prima
inquadratura della sequenza: come le gambe del musicista vengono tagliate
per assumere la mezza figura, anche lo spartito viene, per così dire, tagliato,
perché le note non sono più leggibili rispetto a quanto fatto precedentemente
in apertura di scena, se non per una riga sfuocata, quasi che si voglia
comunicare come proprio alla base del direttore d’orchestra, sia riposta una
profonda conoscenza del brano, o, in altri termini, che sotto la vita del
direttore d’orchestra stia proprio la musica di Beethoven.
Il direttore d’orchestra alza entrambe le mani e si volta leggermente con il
capo verso destra: si passa ad una nuova inquadratura che, scavalcando
nuovamente il campo dettato della regola dei 180°, rimette la mdp nella
posizione di visione in cui si aveva avuto il master shot dell’intera orchestra,
soffermandosi, però, solo su di una sua parte, ossia, un campo medio.
Porzione che al centro pone i suonatori di violoncello (Fig. 3.7) che, date
queste nuove coordinate visive, permette all’inquadratura di essere un re-
establishing shot, inserendo, inoltre, nel profilmico, il protagonista.
Prendendo in considerazione l’inquadratura come master shot dell’orchestra
e questa parziale visione in campo medio, possiamo considerare come il
“cominciare con un’inquadratura che stabilisce un’unità spaziale e proseguire

95
Ivi, pp. 150-53.

64
con un’altra che rappresenti solo parte di quello spazio” 96 sia “uno schema di
montaggio molto frequente, specialmente nel montaggio in continuità
classico”. 97
Alla luce dei vari scavalcamenti di campo appartenenti alla pur sempre
estetica classica delle scelte di regia, propria della regola dei 30° e agli
espedienti di inquadrature non esattamente bilanciate, si conferma che lo
stile di Yojiro Takita sia conforme allo “spazio a 360°” nell’accezione di
Yasujiro Ozu, e che lungi, senza mai stravolgere però le regole classiche ma
ottenendo un giusto equilibrio con uno stile innovativo, vogliano essere
sbavature casuali: dalle prime scelte usate nella sequenza, possiamo
affermare che il suo stile permetta la coesione della continuità e della
discontinuità in regia perché l’apparente frammentazione e la velocità,
dettate anche dal ritmo sonoro, nascondono strutture visive tradizionali.

La pratica della continuity è convenzionale: nasce nel cinema narrativo grosso


modo tra il 1905 e il 1914 e si perfeziona nel cinema hollywoodiano degli anni venti
e trenta, per essere messa in crisi dagli autori della modernità a partire dagli anni
sessanta […]. Tuttavia, è vero che i suoi principi basilari affondano nelle abitudini
percettive dello spettatore occidentale e che la rottura della continuity da parte dei
registi moderni è stata un po’ esagerata […] Inoltre, anche negli autori più
sperimentali (fatta l’eccezione per l’underground), la violazione non è mai totale e
sistematica, pena la completa rinuncia alla comprensibilità del film (bisognerebbe
invece chiedersi, caso mai, perché registi come Ozu […] siano riusciti a sviluppare
stili non continui senza disorientare troppo lo spettatore). Si potrebbe allora
obiettare che agli occhi dello spettatore contemporaneo, assuefatto all’audacia di
spot e videoclip, la regola dei 180° risulti obsole ta. In realtà, sotto le apparenze di
frammentazione e velocità, il cinema contemporaneo nasconde strutture visive
spesso tradizionali. E se c’è un tratto che definisce la contemporaneità è la
coesistenza degli stili: continuità e discontinuità possono convivere
tranquillamente, e mai come oggi conoscere le regole significa sentirsi autorizzati a
98
trasgredirle.

Le quattro inquadrature citate sembrano dividersi a due a due come stile di


continuità classico perché rispettano, se prese separatamente, la regola dei
180°, ed esprimersi, insieme, tutte e quattro, nell a rottura della continuity a
cui si accennava pocanzi. Classico e non, insieme.

96
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 347.
97
Ibidem.
98
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 172-74.

65
L’inquadratura successiva è suggestiva e significativa: la porzione
d’orchestra relativa ai violoncellisti ora è inquadrata con un’angolazione
dall’alto e, seguendo i principi della regola dei terzi, permette un’inquadratura
bilanciata che mette in risalto la nuca del direttore, ripreso di spalle, e sulla
linea d’intersezione ad essa parallela, il violoncellista protagonista. Dunque,
è una scelta funzionale a guidare l’occhio dello spettatore a comprendere
l’importanza della preparazione del music director che, nella mente
(immagine della sua nuca), sembra concentrarsi proprio su quel particolare
musicista. Tutto ciò è avvalorato dal fatto che si assiste ad un primo
cambiamento della lunghezza focale nella medesima inquadratura, seppur in
leggero movimento su carrello, quasi impercettibile: si tratta dell’espediente
della zommata che si avvicina alla nuca del direttore e allarga la figura di
Daigo mentre è in performance, quasi si voglia affermare come l’attenzione
del direttore si stia sempre più focalizzando, come appunto lo stesso zoom
ben ricorda (“ottica a fuoco variabile, che consente di variare la lunghezza
focale, ossia, il cosiddetto trasfocatore o zoom da Zoomar, nome di uno dei
primi modelli che permette di passare da obiettivo grandangolare a
99
teleobiettivo o viceversa”), sul protagonista Daigo (Fig. 3.8). Alcuni
impercettibili colpetti alla macchina da presa e si sposta la visuale verso
destra, verso Daigo: la mdp, oltre allo zoom, ha usato l’espediente del
movimento sul medesimo asse, quello verso destra, orizzontalmente, mentre
procede, a distanza di alcuni metri, su carrello. In questa scena si è usata
dunque una panoramica orizzontale che continuerà per alcuni istanti insieme
allo zoom, portandoci definitivamente a soffermarsi sulla figura del
violoncellista e lasciando alle spalle, concettualmente anche per importanza,
il direttore d’orchestra. 100
Ora Daigo è al centro della stessa inquadratura: la focalizzazione sul
protagonista è massima, tanto che è ripreso in figura intera, al centro della
stessa. Il protagonista guarda il direttore d’orchestra: lo sguardo è ricambiato,
come mostrato dall’inquadratura successiva, che però riprende il maestro sul

99
Ivi, p. 110.
100
Ivi, p. 154.

66
piedistallo con angolazione dal basso, o contre-plongée, in piano americano
(PA), ossia, dalle ginocchia in su (Fig. 3.9). Cambio di sguardo: il direttore
guarda in un’altra direzione. Ora il regista propone alla visione cinque
componenti dei fiati, e sei strumenti, partendo dal Detail Shot/Insert 101 di una
tromba, sfuocata come il viso dell’ultimo componente, mostrato in mezza
figura: in ordine, dal più vicino alla mdp, abbiamo tre suonatori ripresi in
mezza figura, e gli ultimi due fiati, in piano americano (Fig. 3.10).
Di nuovo si ha un’inquadratura alle spalle del direttore, con angolazione
dall’alto, da un’altezza maggiore delle precedenti, che permette
un’evoluzione della mdp come di rotazione sul proprio asse, da destra a
sinistra, nel mentre, in zommata, si allarga sulle prime file di suonatori, e con
un altro movimento di macchina, spostandosi con maggiore velocità in
panoramica orizzontale a sinistra, mostra violinisti e violoncellisti (Fig. 3.11):
al centro dell’inquadratura si ha un leggio, che non permette di osservare lo
spartito posto sopra di esso. Interessante è notare come l’inquadratura
permetta un gioco di geometrie più vistose che in precedenza. Stacco netto
da un’inquadratura all’altra, forse più visibile per la maggiore distanza
spaziale tra gli oggetti ripresi, anche se l’angolazione è sempre dall’alto,
riprendendo gran parte dei componenti dell’orchestra, in particolar modo
sottolineando la presenza del coro, con inclinazione obliqua (Fig. 3.12).
Guardando a queste successioni di inquadrature, notiamo come la volontà
del regista Yojiro Takita sia di definire la sequenza come di funzione ritmico-
formale, vale a dire, il collegamento tra le inquadrature non è dettato da
motivi narrativi o di consequenzialità logiche, ma da rapporti spaziali: di
curve, come il semicerchio che divide i musicisti dal coro; di linee, come la
bacchetta del maestro, gli archi e gli archetti; di colori, come lo sgargiante
rosso e blu dei soprani posti al centro del coro, o il bianco e il nero dei vestiti
dei musicisti; di volumi, come le grancasse delle percussioni o dei vistosi
violoncelli, nonché gli arzigogolati strumenti a fiato.
La funzione ritmico-formale utilizzata da Yojiro Takita in questa sequenza del
concerto in Tokyo, conferma quanto il suo stile di regia si avvicini a quello di

101
Ivi, p. 144.

67
Yasujiro Ozu: quest’ultimo utilizza il montaggio “connesso alla narrazione in
maniera più complessa” del normale stile in continuità perché i suoi stacchi
“sono dettati da una continuità grafica molto più precisa di quella che
troviamo nello stile di continuità classico”, con particolare riferimento a Il
gusto del sakè (Sanna no aji, 1962) nelle “corrispondenze grafiche tra
inquadrature di uomini che siedono gli uni di fronte agli altri in ristoranti” e a
Ohayō (Buon giorno, 1959) che “staccando dalla biancheria stesa a un
interno domestico e facendo corrispondere una forma rossa nel riquadro in
102
alto a sinistra di ognuno dei fotogrammi” si collega, cromaticamente, alla
seguente inquadratura di Departures fin qui riportata, che utilizza anch’essa il
rosso, aggiungendo l’importanza del blu, ossia, il colore dei vestiti dei soprani
che siedono al centro del coro e presentati da Yojiro Takita, dunque, in una
altrettanto complessa funzione ritmico-formale di montaggio della narrazione,
confermandola per l’intera sequenza fino a questo punto analizzata, al pari,
dunque, della caratteristica propria dello stile di regia di Yasujiro Ozu
sopraindicata.
L’inquadratura si avvicina a loro, al centro della corale, con uno stacco netto
da un’inquadratura all’altra che risulta essere speculare come si trattasse di
un passaggio di visione riflessa tra specchi (Fig. 3.13), ossia, medesima
angolazione e inclinazione, e, in opposizione, si fa più ravvicinata all’oggetto
ripreso. Altra inquadratura: come dal principio della sequenza, si ha la
medesima scelta di posizione della mdp e la medesima lunghezza focale, la
stessa angolazione dall’alto, posizione obliqua, alle spalle del musicista
percussionista.
Questo gioco di salti da un’angolazione dall’alto tra momenti ripresi
obliquamente, avvalora e conferma l’ipotesi per la quale il montaggio
continua ad essere di funzione ritmico-formale e non è semplicemente
103
narrativo. Sebbene il brano utilizzato dal film sia suono che comprende le
accezioni di visualizzato, perché vediamo i musicisti realizzarlo, oggettivo,
perché è comprensibile che è quel brano che è udibile, reale, presente nella

102
David Bordwell e Kristin Thompson, op. cit., p. 370.
103
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 219-24.

68
diegesi del film, del presente, perché concomitante ai binomi ascolto-
realizzazione e pubblico-orchestrali, è anche vero che esso si trasformi in
suono d’ambiente, ossia, l’elemento sonoro del film “che avvolge una scena
e abita il suo spazio senza sollevare la questione ossessionante della
localizzazione e della visualizzazione della sua sorgente”. 104
L’inquadratura successiva riprende il direttore d’orchestra ancora
nell’angolazione in contre-plongée utilizzata precedentemente e, riprendendo
lo sguardo verso il protagonista violoncellista, lo si pone come modellato sul
concetto di attenzione alla sua performance che abbiamo toccato, anch’esso,
già precedentemente, risultando come di bilanciamento compositivo: i pieni e
vuoti degli altri elementi dell’orchestra, lasciano ben intendere l’importanza
della testa del direttore, che proprio sopra di questa, ora e non prima, ha un
violoncello, e di Daigo, inquadrato seduto in figura intera. Piccolo movimento
di zoom in avanti verso il protagonista e lo ritroviamo inquadrato da un’altra
angolazione (Fig. 3.14): lo stacco permette di assistere alla sua performance
non più dall’alto ma frontalmente, ossia, all’altezza dell’oggetto filmato,
sebbene, ancora non rientrando pienamente nella classicità estetica della
scelta registica, al centro non vi è proprio lui, ma uno spartito. Il protagonista
è poco spostato verso destra, sebbene i pieni e i vuoti, anche in questo caso,
si bilancino positivamente. La mdp utilizzata è montata su carrello che scorre
in rotaia alle spalle dell’intero gruppo di comparse che formano l’orchestra: la
mdp si sposta avanti sul carrello e leggermente allarga sulla figura di Daigo,
frapponendo la sua immagine, quasi fosse il suo speculare nell’esecuzione, a
quella del leggio su cui è posto lo spartito del brano. Il carrello lo segue nel
suo suonare in tre quarti di mezza figura: lo segue tanto che la scena
successiva, sembra che, sebbene si abbia uno stacco netto da
un’inquadratura all’altra, sia ripreso al finale del percorso delle rotaie.
L’espressione di Daigo, mentre osserva le indicazioni del maestro, si fa più
seria, maggiormente concentrata e quasi aggressiva, quanto l’aumentare del
ritmo e dell’intensità della melodia: lo spartito è ora dietro le sue spalle

104
Michel Chion, op. cit., p 78.

69
simboleggiando come sia lui che ora domina la scena e, di conseguenza,
anche la performance musicale.
Fiati, medesima inquadratura, in dettaglio sulla prima tromba, già usata (Fig.
3.10). Direttore d’orchestra, medesima inquadratura, con spartito che taglia
le sue gambe e lo mostra in piano americano, già usata (Fig. 3.9). Il
protagonista violoncellista, con inquadratura in mezza figura da destra a
sinistra con sguardo fisso sul direttore, già usata (Fig. 3.14). Da un’altra
inquadratura che riprende dall’altezza di qualche metro, in inclinazione
obliqua, gran parte dell’orchestra Fig. (3.15), la stessa mdp scende portando
ad un’angolazione frontale della porzione mediana delle varie altezze di
sguardi del coro, passando, successivamente, ad inquadrare il direttore,
come se fosse il suo sguardo che dall’alto si abbassa, quanto la melodia,
con, anche in questo caso, il già utilizzato contre-plongée in piano
americano.
Nuova inquadratura, dal basso, campo medio, tre figure (Fig. 3.16): da
sinistra, violinista che occupa metà schermo con mezza figura e affianca altri
due violinisti; questi, sempre in campo medio e dalla vita in su, che con i loro
violini, partendo dall’alto a sinistra, tagliano obliquamente la scena, in linea
immaginaria.
Crescendo della musica, affidato principalmente ad archi, con stacco
sull’impeto del direttore d’orchestra: inquadrato dal basso, al centro del
rettangolo d’attenzione, e di tutta la porzione ripresa, si ha il papillon bianco
che richiama molto quel fazzoletto ben mostrato nella prima inquadratura a
lui dedicata. Dal cuore dell’orchestra, il fazzoletto, passando dalle basi, lo
spartito alle sue gambe, dalla sua testa, che focalizza l’attenzione sui vari
componenti, si arriva ora alla voce dell’orchestra, la voce del direttore, data
dalla vibrazione delle sue corde vocali proprio poste all’altezza di quel
papillon bianco, che richiamano l’imminente entrata in scena della
performance del coro (Fig. 3.17). Il campo medio permette la visione delle
luci del soffitto, quasi fosse la volta celeste del direttore, il suo universo.
Quest’ultima è espressione usata da un altro musicista appartenente al film,

70
il compositore di tutti i brani originali in esso presenti, Joe Hisaishi, proprio da
lui stesso coniata per il suo originale lavoro. 105
L’inquadratura seguente, con la corale sempre impegnata nel suo canto,
focalizza l’attenzione dello spettatore proprio su di essa (Fig. 3.18): sebbene
l’inquadratura sia frontale ai cantanti vestiti di rosso e di blu, non li pone al
centro come essi si trovano effettivamente rispetto alla corale intera sul
palcoscenico, ma, attraverso l’uso del campo lungo si ritrae la porzione di
orchestra di destra che lascia alcuni componenti, sulla sinistra, fuori visione.
Al centro indiscusso, anche di ripresa, si ha il direttore, anche se è
inquadrato dall’alto, definendo come certamente è ora il momento
preminente della corale, ma, in primis, si ha pur sempre l’opera del direttore.
Ora la sequenza permette di avere una chiara visione di tutti i componenti del
coro che da sinistra pone una sola figura in piano americano e permette, nel
proseguire verso destra, di giungere a fine corale completa di tutti i
componenti, diminuendo i dettagli e le dimensioni dei soggetti ben disposti in
quattro file ben visibili (Fig. 3.19). Spazio ai fiati (Fig. 3.20): attraverso
l’espediente di utilizzo di una figura geometrica che taglia in due
l’inquadratura creando una linea immaginaria obliqua, permette di vedere, in
dettaglio, uno strumento di ottone e il suo musicista, leggermente a sinistra e
in mezza figura, con affianco un altro componente dei fiati, ripreso sempre
nella medesima porzione, anche se, vista la scelta di posizione della mdp,
taglia il viso sotto l’altezza degli occhi e arriva a riprenderlo,
successivamente, fino alle ginocchia.
Inquadratura che, da un’angolazione dall’alto dei musicisti e orizzontale al
coro, partendo dalla porzione sinistra dell’orchestra, permette di passare al
centro, con rotazione della mdp su se stessa, dell’orchestra con i violinisti nel
mezzo (Fig. 3.21). Stacco con violinista in primo piano, lato destro, e il suo
strumento nel dettaglio, con archetti di altre, leggermente sfuocate, dietro di
lei (Fig. 3.22). Altra inquadratura con al centro un suonatore di flauto
traverso: in primissimo piano in basso a sinistra, una suonatrice di flauto, poi,

105
Frase pronunciata durante un’intervista a lui dedicata per il suo lavoro compositivo, riportata nel
making of del film Departures (Okuribito, 2007) nella versione home-video italiana.

71
proseguendo su di una linea che porta all’angolo alto a destra dello schermo,
si ha il musicista del centro orchestra, e altri due fiati (Fig. 3.23). Le
componenti inquadrate, tutti fiati, sono in equilibrio nelle porzioni riprese,
sottolineando come la musica definisca il rilievo, ancora, del coro, e, ora,
anche di questi elementi centrali poco mostrati in precedenza dal regista.
Primo piano del direttore d’orchestra leggermente inquadrato di lato ma con
orizzonte visivo alla sua medesima altezza. Ora mdp che si sposta
parallelamente al lato opposto dell’inquadratura precedente, a una distanza
però maggiore dal soggetto, permettendo di avere campo medio con al
centro il direttore, alla sua sinistra i violinisti e, di sfondo, parte della corale,
oltre che, a destra, alcuni violoncellisti (Fig. 3.24): zoom sul protagonista e
leggero spostamento della mdp sul suo asse verso destra, aggiustandosi per
riprendere la sua figura, in piano americano, al centro dell’inquadratura. Il
regista sceglie la posizione che riprende il protagonista dal lato destro
permettendo anche di inquadrare più componenti orchestrali, ovvero, parte
dei fiati poco prima ben visibili in solitaria (Fig. 3.25). La mdp avanza sul
carrello riprendendo gli attori fermi, seduti o in piedi, a seconda dei ruoli,
spostando, ora, l’inquadratura, verso destra.
Inquadratura di dettaglio, la prima del suo genere nella sequenza, di
violoncello e del suo archetto (Fig. 3.26). Stacco sul primo piano del volto di
Daigo, che permette di capire che il violoncello è il suo (Fig. 3.27):
l’inclinazione e l’angolazione è la medesima per le due inquadrature
ravvicinate, dallo stesso lato di ripresa. Dunque, da un dettaglio, termine
utilizzato per il piano ravvicinato di un oggetto, si passa ad un particolare,
106
piano ravvicinato di una parte del corpo: non solo si ha il primo piano del
volto del violoncellista protagonista del film, ma si mette in mostra la sua
mano, unico arto che tocca lo strumento ora inquadrato, ricollegandosi a
quella stessa che teneva stretto l’archetto nella precedente ripresa, e che
vede spiccare un anello, la fede nuziale.
Si ritorna sulla scelta dell’inquadratura della corale dal lato sinistro ripresa
per tutta la sua lunghezza. Successivamente, corale con quattro uomini in

106
Vincenzo Buccheri, op. cit., p. 144.

72
primo piano, con alle spalle altre figure maschili un poco sfuocate.
Inquadratura dall’alto che riprende, dal lato destro, i primi strumenti
dell’orchestra posti dinnanzi al direttore, con movimento mdp su se stessa
verso destra, verso la posizione di quest’ultimo, muovendosi anche
verticalmente, dal basso verso l’alto, nel finale: per la prima volta, anche se si
è largamente usato lo scavalcamento di campo sulla linea di separazione
davanti e dietro il direttore, si può ammirare il volto del pubblico in sala (Fig.
3.28). Il pubblico non è numeroso alle spalle del direttore d’orchestra. La
mdp, alzando la visuale, vuole proprio enfatizzare questa vista, quasi
desolante, delle presenze nel teatro.
Yojiro Takita ritorna sull’inquadratura di Daigo ripreso dal lato destro, in primo
piano, facendo ben mostra del suo anello nuziale. Il suo sguardo è intenso e
rivolto alle indicazioni del direttore d’orchestra. Inquadratura dapprima mai
utilizzata (Fig. 3.29): mdp con angolazione dall’alto sul lato destro, verso la
parte sinistra d’orchestra, che inserisce al centro il direttore di spalle, di tre
quarti, permettendo una visione più che geometrica di due file di violiniste,
quattro per ogni linea, seguite da due linee, rispettivamente, di cinque e tre
violinisti, quasi tutte donne. Nuovamente l’inquadratura del direttore con
ripresa dal basso che ben mostra le luci del soffitto della sala ma che non
permette di vedere nemmeno uno spettatore (Fig. 3.30). A questo punto, la
mdp, da una inquadratura verso l’angolo destro del coro, muove verso il
basso, a sinistra, con rotazione che permette di immedesimarci nella visione
del direttore e, di conseguenza, nel suo personale ascolto (Fig. 3.31).
Il padre gesuita Nazareno Taddei nel 1949, riprendendo la questione di
studio nel 1963, nello scritto Funzione estetica della musica nel film utilizza le
seguenti parole per spiegare in che modo la musica e l’uso della macchina
da presa, oltre che per poter creare immedesimazione nello sguardo e
nell’ascolto di un personaggio presente in un film come accade in questo
momento di Departures con il direttore d’orchestra, permettano di creare una
particolare e maggiore comprensione di una pellicola audiovisiva, ovvero,
cercando l’immedesimazione con il direttore d’orchestra per eccellenza che è
il regista, in questo caso Yojiro Takita, perché la funzione ritmico-formale del

73
montaggio scelta in Departures è accompagnata inscindibilmente
dall’andamento del brano della Nona sinfonia in Re minore, Opera 125 di
Beethoven, suonata dall’orchestra, dunque, affermando come solamente
attraverso le due componenti, la musicale e la visiva, insieme, si possa
comprendere la totalità del senso affidato alla scena del concerto da Takita:

L’accompagnamento musicale può essere fatto per sintonia o per asintonia […].
[Nel 1963] torna sul dualismo sincronismo/asincronismo. Il sincronismo è ora
distinto in oggettivo (sincronismo sincronico) e soggettivo (sincronismo
asincronico). Si ha sincronismo oggettivo quando un suono – musica compresa –
fa parte dell’immagine, ma può essere distinto a sua volta in diretto e indiretto. Nel
primo caso la fonte sonora è in campo, nel secondo “è fuori campo, ma fa parte del
107
visivo per il contesto”.

Avendo accennato al fatto che la musica è utilizzata direttamente come


strumento metrico di un montaggio in funzione ritmico-formale, tale
caratteristica si affianca all’accompagnamento musicale della sequenza e
delle immagini per sintonia, quindi, abbiamo musica sincronica. Il
sincronismo è oggettivo, o anche detto sincronismo sincronico, perché la
musica è interna all’immagine, sia in maniera diretta, sottolineando come sia
dovuta maggiormente al coro, ai fiati, o alle parti affidate agli archi, a
secondo del momento del brano, ma anche indiretto, condizione
maggiormente visiva del personaggio, che può essere di Daigo, del direttore
d’orchestra, del coro, o del pubblico. E proprio dal punto di vista del pubblico
ora l’inquadratura si vuole soffermare (Fig. 3.32): abbiamo un’angolazione
frontale al palco, come se l’obiettivo della mdp fosse proprio la visione di uno
spettatore, tanto che abbiamo diverse poltrone occupate mostrate dalla
cinepresa, e, visto che è proprio alle spalle del direttore, e lo stesso è
leggermente spostato sul lato destro dell’orchestra, la mdp inquadra non tutta
l’orchestra frontalmente ma maggiormente la destra, luogo in cui risalta
nuovamente il protagonista Daigo, quasi che fosse al centro dell’attenzione
del particolare componente del pubblico.
Stacco su alcune figure, in primo piano, del coro e, immediatamente dopo,
sul primo piano di Daigo che ha in primissimo piano un altro volto maschile

107
Sergio Miceli, op. cit., pp. 476-78.

74
molto sfuocato. Ora è il momento di un piano ravvicinato di una violinista, già
usato precedentemente (Fig. 3.22), con dietro di lei un’altra orchestrale con il
viso sullo sfondo dell’inquadratura sfumato. Mdp che si abbassa inquadrando
il direttore d’orchestra, posto nell’angolo alto destro dell’immagine, e gran
parte dei primi strumenti e dell’area violoncelli, nonché la porzione di
pubblico, sottolineando come è da questa posizione che si è introdotto lo
stesso, seduto in sala e rivolto verso il palco, la prima volta.
Yojiro Takita utilizza ora un sincronismo oggettivo indiretto (Fig. 3.33):
inquadratura frontale, sulle note vigorose di Beethoven, di un volto finora
sconosciuto perché mai inquadrato, in mezza figura, pensieroso e
abbastanza scontento in apparenza, che lascia trasparire come, alle sue
spalle, il pubblico si conti proprio sulle dita delle mani. Un respiro profondo e
la musica termina.
Il regista pone ora la mdp nel backstage del teatro di Tokyo (Fig. 3.34):
l’inquadratura è frontale ad un pianoforte a coda laccato nero, immersa in un
campo lungo che permette di vedere gran parte dei membri dell’orchestra. Al
centro dell’inquadratura si ha inizialmente un trombonista: la mdp muove
avanti, montata su carrello, mostrando poco alla volta l’importanza del
profilmico nella figura del violoncellista Daigo che si muove verso il musicista
poco prima al centro della scena. L’equilibrio e la geometria non vengono
meno: l’inquadratura permette di avere, in basso, tra le due figure di musicisti
che iniziano a parlarsi, una violoncellista che sta riponendo nel fodero il suo
strumento. La macchina da presa avanza ancora e il trombonista alza il suo
strumento che nella parte finale della coulisse sembra indichi, perché si
congiunge ad esso, il volto di un altro componente dei fiati che tuttavia non
tiene in mano un trombone ma una normale tromba e che, in quel momento,
sta camminando nel salone del backstage nella direzione del piano (Fig.
3.35). La mdp, sempre avanzando, ora zomma un poco sulle due figure che
si trovano ad essere centro della scena: sono ritratte in figura intera. La mdp
sembra avanzare più velocemente nell’ambiente perché l’inquadratura
maggiormente ravvicinata ai due, sembra suggerisca questa possibilità,

75
anche se il movimento e la velocità di avanzamento è la medesima:
solamente la distanza focale è cambiata.
Vari componenti dell’orchestra sullo sfondo e davanti ai due del centro scena
passa velocemente una musicista. Daigo prende in mano il suo cellulare
(Fig. 3.36): quando lo chiude, si crea un elemento di sfondo sonoro (E.S.S).
108
La geometria e i colori, che caratterizzano parte del montaggio ritmico-
formale, sono ancora fondamentali e ben utilizzati, sebbene ora si abbia, al
contrario della musica, un altro elemento sonoro, quello della voce del
protagonista che commenta il concerto appena terminato. Infatti,
l’inquadratura mostra un triangolo bianco formato, alle due estremità
superiori, dalle camicie, di questo colore chiaro, di due musicisti, e in basso,
il protagonista che si è tolto la giacca scura e anche lui sfoggia la sua
camicia bianca, come se la scena mostri tre linee, ossia, quella del
protagonista, dei due componenti dell’orchestra ora in camicia, e gli altri di
sfondo (Fig. 3.37). Avanza la mdp: passando dal lato sinistro, all’inquadratura
frontale di Daigo; ora siamo sul suo lato destro, e si volta verso il suo
interlocutore trombonista. Seduto, è in piano americano. Davanti a lui, nel
mentre si volta verso anche l’altro componente che formava il triangolo
bianco, cammina un altro musicista per il quale viene inquadrato solo il
busto, anch’esso con camicia di questo colore panna.
La macchina da presa si è ora fermata nel suo avanzare: Daigo si alza dalla
sedia e, proprio in contemporanea, in sincrono, due persone passano davanti
all’inquadratura mostrando solo il loro busto, questa volta vestiti di scuro (Fig.
3.38). Alle spalle di Daigo, si ha ora visione di un altro componente con
camicia bianca, e il primo interlocutore dello schermo, colui che teneva in
mano il trombone, non è più visibile. Abbiamo un raccordo di movimento che
propone Daigo che si abbassa per mettere in tasca della sua custodia il
cellulare (Fig. 3.39 e 3.40): notiamo sulla destra il componente dei fiati,
ripreso in mezza figura, e, poco dopo essersi rialzato con in mano il suo
violoncello, Daigo, che tuttavia ha una leggera porzione di testa non ripresa
rispetto al primo. Il violoncello si trova esattamente al centro tra i due

108
Michel Chion, op. cit., p. 58.

76
interlocutori, egualmente a quando il protagonista si è rivolto per la prima
volta allo stesso collega (Fig. 3.41). Ora, è il componente dei fiati che prende
la parola verso di lui e, consigliandolo di pensare anche al suo futuro oltre
all’attuale nella professione di violoncellista, si ha al centro un altro
violoncello, quello posseduto proprio da Daigo. L’inquadratura successiva
riprende il protagonista dalla prospettiva che sarebbe propria della visione-
ascolto del componente dei fiati (Fig. 3.42). Daigo ascolta le parole di
avvertimento che lo esortano a trovarsi un’altra occupazione perché se
l’orchestra dovesse chiudere, il protagonista non potrebbe finire di pagare
l’acquisto del suo strumento professionale.
Nella stanza del backstage si sente un rumore di apertura di porta, creando
un punto di ascolto che, modellato su quello del punto di vista, è il relativo al
protagonista Daigo:

Punto di ascolto [come di] un senso spaziale: da dove sento, da quale punto dello
spazio figurato sullo schermo o nel suono? Un senso soggettivo: quale
personaggio, a un dato momento dell’azione, si ritiene che senta in particolare ciò
che io sento?
Difficoltà della definizione di criteri acustici per un punto di ascolto […]. Un
violinista che suona al centro di una grande stanza circolare, con gli ascoltatori
disposti da una parte e dall’altra contro il muro. La maggior parte degli ascoltatori,
situati in punti diametralmente opposti della stanza, sentiranno grosso modo lo
stesso suono, fatte salve minime differenze di riverbero […]. In compenso, ogni
visione del violinista chiarirà immediatamente da quale asse egli sia osservato.
Spesso, dunque, non si può parlare di punto d’ascolto nel senso di posizione
precisa nello spazio, ma piuttosto di luogo d’ascolto, o di area d’ascolto.
Nel secondo senso, soggettivo, dato all’espressione “punto d’ascolto”, si ritrova lo
stesso fenomeno presente nella vista: è proprio la rappresentazione visiva in primo
piano di un personaggio che, per essere associata simultaneamente (e non, come
per l’immagine, successivamente) all’ascolto di un suono, situa tale suono come
109
sentito dal personaggio mostrato.

Quest’ultimo è il caso presente: il primo piano di Daigo permette di avere un


suo punto di ascolto relativo il suono della porta che si apre. L’utilizzato
termine “suono d’ambiente”, per connettersi alla musica diegetica realizzata
grazie ai numerosi strumenti, non singolarmente scindibili per individuare la
fonte d’emanazione sonora, durante il concerto, trova ora una conferma di
corretto utilizzo terminologico. Tale punto di ascolto è anche ravvisabile

109
Ivi, op. cit., pp. 91-92.

77
come proprio del collega seduto accanto a lui che lo guarda e permette agli
spettatori di immedesimarsi nel suo personaggio nel fissare il protagonista.
Il regista utilizza un raccordo sonoro perché l’inquadratura successiva mostra
proprio la porta aperta con due individui che entrano dalla stessa (Fig. 3.43):
interessante è notare come l’inquadratura, che mostra dall’alto i componenti,
è frontale a due speaker posti in un angolo della sala, su due aste nere,
simbolismo dei due soggetti che a breve parleranno ai componenti
dell’orchestra. Si ribadisce come i colori e le linee siano ancora fondamentali
a questo montaggio che mantiene la sua funzione ritmico-formale: alcuni
componenti posti davanti all’ingresso formano un semicerchio caratterizzato
dal bianco delle camicie. Tutt’intorno è il nero che predomina grazie al colore
dei vestiti degli altri componenti. Lo scavalcamento di campo della linea
tracciata dalla regola 180° definisce un nuovo establishing shot che permette
di visionare le due nuove figure in scena. La coppia di personaggi saranno
poi mostrati ravvicinati (Fig. 3.44): uno, in primo piano, e l’altro, a mezza
figura. I due sono il portavoce dell’orchestra e il suo proprietario, colui che
era mostrato in mezza figura sul finire del brano musicale seduto in teatro:
quest’ultimo prende la parola mentre il primo si scansa. Ora abbiamo un
nuovo scavalcamento di campo, un re-establishing shot, che mostra queste
due figure di spalle, e permette di vedere tutti i componenti dell’orchestra
ancora presenti nel backstage in campo medio (Fig. 3.45). Primissimo piano
del proprietario dell’orchestra (Fig. 3.46): l’orchestra è sciolta, sono le sue
parole. Primissimo piano dell’attore Masahiro Motoki (Fig. 3.47). Di spalle,
ora, è Daigo, con un nuovo scavalcamento per la linea d’azione: il
protagonista occupa quasi metà schermo e nell’altra metà abbiamo il
portavoce, sull’estrema sinistra, e il proprietario che sembra quasi cancellato
dalla riga che si crea dall’archetto del violoncello sovrapponendosi alla sua
figura in profondità, suggeriscono come quelle parole di fallimento poco
prima pronunciate, abbiano come cancellato un uomo dalla scena (Fig. 3.48).
Senso maggiormente esemplificativo quando lo stesso si inchina, con mdp
nella stessa posizione, raggiungendo un equilibrio delle forme e delle
dimensioni nelle porzioni inquadrate (Fig. 3.49). Primissimo piano di Daigo

78
sconcertato, e altra inquadratura, dall’alto, con nuovo master shot sul
backstage: tutti hanno gran fretta a uscire dal salone, così come il
proprietario e il suo portavoce che lo lasciano con notevoli inchini senza mai
alzare la testa. Il collega che lo aveva avvertito dell’eventualità che per il
protagonista si è sfortunatamente realizzata, lo saluta. Inquadratura: Daigo è
posizionato esattamente al centro, anche se l’angolazione è frontale allo
strumento che porta davanti a sé, e, quindi, la sua figura risulta ripresa in
contre-plongée. I colori sono ancora fondamentali (Fig. 3.50): davanti a lui
passa una violoncellista vestita di nero con custodia dello strumento bianca;
lui ha la camicia bianca e la custodia nera; appena due passi più in là e la
custodia di Daigo viene sottratta all’inquadratura da questa figura femminile,
anche se lascia spazio, compensando il bilanciamento di colori, al nero della
giacca del protagonista poggiata su di una sedia (Fig. 3.51). Lo stile di regia
per un montaggio ritmico-formale si mantiene, dunque, per l’intera sequenza
dell’ultimo concerto del protagonista a Tokyo e che termina nel backstage.
Sebbene il concerto presenti una nota sinfonia di Beethoven, la Nona
sinfonia in Re minore, Opera 125, secondo le direttive del regista, il film si
compone di ben venti brani originali composti da Joe Hisaishi.
Il compositore giapponese Joe Hisaishi si forma al Kunitachi College of
Music. Sebbene si avvicini fin da subito al genere minimal, la sua prima
pubblicazione è di musica contemporanea. Si tratta dell’album MKWAJU del
1981. Genere che si ritroverà nelle pubblicazioni più recenti, come quelle del
febbraio 2010: cd musicale lanciato dall’etichetta Wonderland dal nome Joe
Hisaishi Classics. Da ricordare, però, come afferma la pubblicazione
dell’anno precedente, il 2009, l’album Minima_Rhytm, come il genere
caratterizzante della sua formazione, il minimal, sia ben presente ancora
nella sua attualità di compositore, anche se, questa realizzazione artistica,
unendo il genere citato al classico, crea il suo stile totale e più sincero
nell’equilibrio tra i due dominanti dei suoi albori formativi perché progetto
realizzato insieme alla London Philharmonic Orchestra. Le sue composizioni
definite come anticipatrici dei tempi, si basano dunque su di una solida

79
formazione classica, aggiungendo uno stile contemporaneo e mai sbiadito.110
La sua carriera da compositore musicale, è apprezzabile anche guardando ai
successi avuti con le collaborazioni e partecipazioni nel mondo del cinema:

Iniziando con Nausicaa of the Valley of the Wind (1984), produsse musiche per
nove film diretti da Hayao Miyasaki, incluso Spirited Away (2001), Ponyo on the
cliff by the sea (Ponyo sulla scogliera, 2008).
Ha anche contribuito alle produzioni delle musiche di Hana-bi (1997) e Brother
(2001) di Takeshi Kitano. I suoi lavori vinsero diversi premi come il prestigioso
premio Outstanding Achievement in Music del Japan Academy, aumentando
notevolmente il suo prestigio nell’industria cinematografica giapponese. Negli anni
recenti, ha collaborato per le musiche di diversi film, come il coreano Welcome to
Dongmakgol (2006) che vinse il Best Music Prize al ventisettesimo Hong Kong
Academy Award. Nel suo Giappone, non si può che sottolineare, la sua musica è
sempre stata ben apprezzata dal pubblico […].
Nel 2004 le sue creazioni approdano al Festival di Cannes, facendo sì che Hisaishi
divenne il primo musicista di origine giapponese che condusse un’orchestra in
questa sede, suonando la colonna di The General durante la proiezione del film
[…]. Nell’agosto del 2008 Joe Hisaishi in Budokan - 25 anni con l’animazione di
Hayao Miyazaki, stabilì un ulteriore grande successo che si realizzò attraverso la
111
sua performance con piano, con un’orchestra di ben 1.200 elementi […].

Joe Hisaishi, dunque, ha realizzato una carriera di tutto rispetto nell’ambito


della composizione anche in riferimento alla produzione musicale per il
112
panorama cinematografico. Specialmente con Hayao Miyasaki, tra i
maggiormente conosciuti autori di anime, ha potuto esprimere la sua
creatività, collaborando a ben nove dei suoi film d’animazione, tra cui Ponyo
on the cliff by the sea (Ponyo sulla scogliera, 2008) che esce, in Giappone,
nel medesimo anno del film Departures e lo supera al botteghino perché
arrivato al primo posto assoluto d’incassi nella Terra del Sol Levante. Altro
elemento importante che spicca nella sua carriera in relazione al mondo del
grande schermo, è il contributo dato al film del famoso e rinomato regista,

110
Si veda il sito ufficiale di Joe Hisaishi <www.joehisaishi.com/biography.php>.
111
Si veda il sito ufficiale di Joe Hisaishi <www.joehisaishi.com/biography.php> (traduzione mia).
112
Negli anni ottanta è indispensabile, e di inconfutabile importanza, il contributo che Miyazaki Hayao
apporta al mondo dei cartoni animati giapponesi, successivamente chiamati Japanimation: fu lui a
coinvolgere anche il mondo degli adulti in uno spazio di norma dedicato a giovani e bambini,
proponendo opere rimaste indelebili quali Kaze no tani no Naushika del 1984 e Tonari no Totoro del
1988. Miyazaki assegna ai suoi personaggi parti che non possono essere interpretate nella
cinematografia ordinaria, rappresentando quella tipica componente letteraria che viene definita di
utopia, dalla più varia tematica, dall’ecologismo alla nostalgia. Negli anni ’90 diventa famoso a livello
mondiale con Princess Mononoke, record di incassi. Fonte, Yomota Inuhiko, “Storia del cinema
giapponese”, in Gian Piero Brunetta (a cura di), op. cit., p. 1006.

80
113
nonché attore, Takeshi Kitano, Hana-bi (Fiori di fuoco, 1997), che
ricevette il Leone d’Oro al Festival di Venezia: in giapponese hana significa
fiore, vale a dire, la vita, e bi, fuoco, che significa la morte, ossia, una
tematica ben presente in Departures, come si è analizzato nel primo capitolo.
Dunque, se ne deduce che il maestro Joe Hisaishi non è del tutto nuovo nel
panorama internazionale cinematografico e nemmeno a quello italiano. Joe
Hisaishi racchiude nella sua carriera sia elementi d’internazionalità, derivanti
114
dai suoi numerosi premi ricevuti in diverse parti del globo, sia solide basi
di formazione caratterizzanti della tradizione artistica della propria terra, il Sol
Levante. Questi due aspetti che sembrano essere le due facce della stessa
medaglia, appaiono evidenti anche per Yojiro Takita che si ripercuotono nelle
scelte di regia attuate in Departures, ovvero, ottima accoglienza
internazionale, derivante anch’essa dai numerosi premi ricevuti tra cui
l’Oscar, basandosi su di una solida formazione artistica giapponese, come il
prendere spunto da quelle che sono alcune caratteristiche di regia di Yasujiro
Ozu dimostrano, oltre che rammentare il fatto di come Takita e Hisaishi siano
accomunati dalla caratteristica di possedere nella loro peculiarità artistica
d’appartenenza, la cinematografica e la musicale, sia elementi classici che
innovativi, facendoli convivere assieme. L’equilibrio, dunque, tra innovazione
e classicismo è caratteristica fondamentale nelle scelte attuate dal regista
Yojiro Takita in Departures anche nella componente musicale perché
caratteristica propria dell’autore dei brani che ne rispecchiano la sua
essenza.
Per comprendere un ulteriore aspetto della pellicola legato alla componente
musicale, bisogna ora avvicinarsi ad un altro elemento storico e del tutto
peculiare dell’arte cinematografica giapponese, così che si possa capire
come, anche in questo caso, la tradizione cinematografica nipponica
condizioni le moderne scelte di regia in Departures, ovvero, bisogna

113
Per una completa panoramica della vita del regista Takeshi Kitano e interprete di numerosi suoi film
con il nome d’arte di Beat Takeshi, si veda Yomota Inuhiko, “Storia del cinema giapponese”, in Gian
Piero Brunetta (a cura di), op. cit., pp. 920, 1003, 1007-09, 1013 (relativa l’esordio in regia sotto la
Shōchiku nel filone definito cinema giapanesco), 1197, 1200-01.
114
Si veda la biografia del compositore riportata nel sito ufficiale
<www.joehisaishi.com/biography.php>.

81
soffermarsi ad analizzare la figura del benshi, il commentatore dei film muti,
che ha percorso la storia dell’arte cinematografica giapponese influenzandola
e caratterizzandola fino ai nostri giorni. Infatti, tale caratteristica che si può
intravedere nello stile di realizzazione di certe pellicole giapponesi attuali,
come per esempio la generale tendenza di riprese e narrazioni lunghe in virtù
del fatto che il commentatore dei film muti allungava la loro durata a causa
delle sue spiegazioni, facendo rientrare in questa tradizione anche i
monologhi e la voce fuori campo come accade in Departures con il pensiero
di Daigo in apertura, in riferimento “alla controversia onnipresenza del
modello hollywoodiano nella cinematografia mondiale, il cinema giapponese
ha saputo, grazie al ruolo del benshi, trovare un proprio modo di esprimersi
senza finire incondizionatamente soggiogato dall’imperialismo culturale
americano”: 115

[Il benshi è] una figura professionale la cui esistenza è attestata già al tempo della
diffusione in Giappone, verso il 1886, della lanterna magica [nome dato al cinema
degli albori], e nei confronti della quale, di conseguenza, gli spettatori non hanno
nulla da obiettare al momento dell’arrivo del cinematografo. Il benshi, con indosso
abiti occidentali quali rendigote e cilindro, prima della proiezione spiega
pomposamente il senso morale del film, e durante la proiezione fornisce dalla
penombra della sala voce ed espressione ai dialoghi degli attori sullo schermo
incitando anche gli spettatori con frasi ad effetto. In Occidente la proiezione dei film
muti è accompagnata da esecuzioni musicali, ma non c’è un artista specializzato
nel racconto, appartenente alla sala cinematografica, come nel caso giapponese. Il
benshi può tanto effettuare la narrazione semplicemente seguendo gli eventi di un
film quanto incaricarsi attivamente della parte narrativa come soggetto di una
performance […].
Alcuni storici del cinema giapponese hanno erroneamente attribuito lo sviluppo del
ruolo del benshi in Giappone all’ignoranza del pubblico in materia di cinematografia
occidentale. In realtà è lecito affermare che i giapponesi accolgono il cinema giunto
dall’Occidente nel contesto delle tradizioni teatrali dell’arcipelago. Nelle
rappresentazioni teatrali giapponesi l’immagine e la voce, che nel loro insieme
costituiscono un personaggio sulla scena, non sono necessariamente interpretate
dalla stessa persona. Basta pensare al coro jiutai nel teatro di Nō, al canto
narrativo gidayū nel teatro Kabuki, o ancora alle recitazioni cantate jōruri nel teatro
di marionette Bunraku […]. Egli fornisce al film la “voce fuori campo” e gli spettatori
possono apprezzare la novità del cinema nella continuità delle tradizioni teatrali
giapponesi. Così mentre la maggior parte del pubblico cinematografico mondiale
considera il cinema un’arte esclusivamente visiva, i giapponesi lo intendono già
come un intrattenimento inequivocabilmente audiovisivo […].
Quando, negli anni trenta, sopraggiunge il cinema sonoro, sembra che la figura del
benshi, superata dai tempi, sia rapidamente destinata a scomparire senza lasciare

115
Yomota Inuhiko, “Storia del cinema giapponese”, in Gian Piero Brunetta (a cura di), op. cit., pp. 923-
25.

82
traccia. Ancora oggi, invece, non è difficile riconoscere nella cinematografia
116
giapponese numerose caratteristiche riconducibili a quel retaggio artistico.

Il benshi è colui che, commentando il film in abiti occidentali fin dal primo
momento di proiezione della pellicola dei film muti, ne definisce il suo
svolgersi: una figura che possiamo riscontrare nel film di Yojiro Takita,
proprio nel protagonista Daigo, già nell’apertura del film. Il protagonista è
infatti vestito all’occidentale e commenta la sua situazione con “voce fuori
campo” attraverso il suo monologo interiore, sebbene il film non sia muto.
Tuttavia i colori tipici di queste pellicole, il bianco e il nero, sono presenti:
nella scena che abbiamo anche indicato come del viaggio verso l’al di là di
Daigo, sono il bianco dell’ambiente e il nero della station-wagon e del suo
smoking a dominare il cromatismo visivo. Stessi colori che si ritroveranno
sullo sfondo dei titoli di coda, con Daigo che esegue una pratica
tanatoestetica sulla salma di sua madre, da come se ne deduce dalla visione
della foto riposta in sala nella loro casa di Yamagata o da momenti familiari
dell’infanzia del protagonista con lei medesima in vita, e scena che, secondo
la scelta del regista, dalla grandezza totale dello schermo, si riduce sempre
più assottigliando il riquadro con lui nel mentre continua con il rito nokanshi. I
titoli di coda, in cui ancora risalta il bianco, della bara e del vestito della
salma, e il nero, lo sfondo senza profondità della scena onirica, si collegano
al momento della presentazione, come inserto extradiegetico, del nome del
film in caratteri giapponesi bianchi con sfondo nero, che chiude l’incipit della
pellicola in cui compare il protagonista Daigo che come un benshi commenta
la sua vita. Un commento che, se analizzato nell’accezione di lettura del film
del protagonista in viaggio verso i campi elisi, può estendersi a tutta la sua
esistenza: la narrazione del film sarebbe da considerarsi uno speciale
commento di Daigo Koabayashi, diventato il benshi unico del pubblico tutto di
Departures, della sua esistenza terrena, proprio nel mentre,
inconsapevolmente, passa a miglior vita.

116
Ibidem.

83
Departures è il titolo in lingua inglese che è stato scelto in Occidente per il film
giapponese Okuribito. La scelta del termine “departures” è appropriata in quanto il
film parla in effetti di “partenze”. Ma ben presto, proprio come scopre di persona il
protagonista del film Daigo Kobayashi, tratto in inganno da un annuncio lavorativo
che gioca sulla parola “partenze”, il film ci conduce a storie di partenze non per
turismo o vacanze, ma a serene partenze per l’ultimo viaggio della vita […].
A dispetto di quello che si può credere, Departures non è però la traduzione del
titolo originale Okuribito. Questo termine giapponese è costituito infatti dal verbo
okuru, che significa accompagnare, e dal sostantivo hito (o bito), che significa
persona/persone, uniti a formare il sostantivo okuribito. La traduzione letterale di
okuribito è dunque “coloro che accompagnano”, titolo molto indovinato per il film
ma al contempo quasi intraducibile (se non qualche giro di parole) in inglese o in
117
italiano. E il senso è dunque alquanto lontano dall’inglese Departures.

La traduzione esatta per il titolo giapponese del film Okuribito, da come


sottolinea il traduttore della sceneggiatura, sarebbe da riferirsi a una
semplificazione della frase “coloro che accompagnano”, ovvero, non il
termine “departures”, descritto come inadatto, ma più propriamente il termine
di origine giapponese, e proprio caratterizzante della storia cinematografica
della Terra del Sol Levante, benshi.
L’“okuribito”, colui che accompagna, e accompagna nella visione e
comprensione del film, secondo accorte scelte di regia, è il protagonista che
diviene uno speciale benshi interno e non al di fuori lo schermo del film. Un
benshi diegetico e non extradiegetico come accadeva agli albori del cinema
giapponese.
Inoltre, seguendo la nota dell’interprete, “okuribito” potrebbe essere inteso
sia come colui che accompagna ma anche, secondo “bito” che significa non
solo il singolare “persona” ma anche il plurale “persone”, coloro che
accompagnano: in questo caso i commentatori della vita del protagonista,
oltre al suo punto di vista, potrebbero essere i personaggi che lui incontra,
ovvero, principalmente il sig. Sasaki, che proprio nel mentre Daigo viaggia
verso l’al di là, gli siede accanto, oppure, la segretaria Uemura, colei che lo
aveva ripreso dopo un commento confermandogli il fatto che il destino non
sa mai cosa presenti proprio nella giornata in cui viene lasciato solo dalla
moglie per via del suo lavoro, o anche, la stessa Mika, che gli sarà accanto
quando deciderà, da lei spronato, di dare l’ultimo saluto a suo padre, oppure
anche il suo ex collega trombonista che lo aveva avvertito, come analizzato

117
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 93.

84
nel presente capitolo, della possibilità che l’orchestra si sarebbe potuta
sciogliere come in effetti è avvenuto pochi istanti dopo queste parole, in cui il
pubblico si immedesima.
Queste figure di accompagnatori, per cui la conclusione della storia di Daigo
è palese per ognuno di essi (dall’alfa all’omèga), ossia, sono consapevoli, al
contrario di lui, del suo passaggio a miglior vita perché deceduto, possono
anche essere considerati come personaggi acusmatici nella terminologia
tecnica cinematografica, come se il film presenti uno sdoppiamento delle
figure che appaiono esteriormente in azione durante la sua vita terrena e
coloro i quali, in quei ruoli, raccontano la vicenda del protagonista da un
punto di vista, appunto, acusmatico:

L’acusmetro è quel personaggio acusmatico la cui posizione rispetto allo schermo


si colloca in ambiguità e in un’oscillazione particolare […]. Lo si potrebbe definire
come né dentro né fuori (in rapporto all’immagine): non dentro perché l’immagine
della sua sorgente – il corpo, la bocca, - non è inclusa, ma neppure fuori perché
esso non è situato indipendentemente off su un immaginario podio simile a quello
del conferenziere e dell’imbonitore (voce di narratore, di presentatore, di testimone
[o di un benshi in sala]), ed è implicato nell’azione, continuamente in pericolo di
esservi incluso. Per questo le voci di narrazione del tutto svincolate non sono, in
questo senso, voci di acusmetri.
Perché l’invenzione di questo termine barbaro? Affinché non si parli di voce o di
suono, dal momento che si tratta di una categoria di personaggi a sé stante, propri
del cinema parlato, la cui presenza particolare si fonda proprio sulla loro assenza
all’interno dell’immagine [e proprio perché appartenenti all’ultraterreno quando si
presenta la sua vita nel viaggio verso l’al di là, attraverso le sembianze in vita,
come sottolineato, non appartengono completamente all’immagine].
All’acusmetro, alla voce che parla sull’immagine ma è anche sempre sul punto di
apparire, sono spesso attribuiti, nelle finzioni cinematografiche, tre poteri più un
dono: primo, il potere di onniveggenza; secondo, quello di onniscienza; terzo,
l’onnipotenza di agire sulla situazione; a ciò bisogna aggiungere, in molti casi, un
certo qual dono di ubiquità: l’acusmetro sembra potersi trovare dovunque gli
piaccia. Poteri, questi, che tuttavia conoscono limiti sconosciuti e per questo più
inquietanti.
Il primo potere (la voce che, parlando sulle immagini, vede tutto ciò che compare in
esse) proviene dal fatto che, in un certo senso, l’acusmetro è la voce stessa di ciò
che viene chiamato identificazione primaria alla macchina da presa […]. Il secondo
potere è indubbiamente una forma derivata del primo. Quanto al terzo, è il potere
stesso della parola-testo […], profondamente legato all’idea di magia, quando le
parole che si dicono hanno il potere di diventare cose.
Chiameremo acusmetri paradossali quelli cui sono deliberatamente negati alcuni
dei poteri abituali dell’acusmetro, essendo questo rifiuto e quest’assenza proprio
ciò che li rende speciali. Un esempio: gli acusmetri a sapere parziale, quelli di India
Song, di L’isola della donna contesa o dei due film di Terence Malick (le narratrici
di La rabbia giovane, Badlands, 1973, e de I giorni del cielo, Days of Heaven,
1978), che non vedono o non comprendono tutto delle immagini di cui parlano […].
L’acusmetro, la cui persona sembra abitare l’immagine, ha dunque la capacità di
confondere i limiti tra il campo e il fuori campo, ma non lo fa e non ne trae la

85
propria particolare collocazione, se non proprio nella misura in cui questa
distinzione campo/fuori campo conserva un senso e un ruolo. La sua esistenza in
quanto caso particolare non è una smentita della divisione in questione: al
contrario, è da quest’ultima e dalla trasgressione che ne compie, che l’acusmetro
118
trae la propria esistenza e i propri poteri.

Daigo diverrà completamente un personaggio acusmatico, perché mentre


passa a miglior vita è un acusmetro paradossale dato che non è consapevole
di essere deceduto, quindi possiede solo il potere di onniveggenza e di
onnipotenza su quel che ha riguardato la sua esistenza, ripercorrendola, e il
dono dell’ubiquità, ma non ha l’onniscienza, elemento che solamente quando
raggiungerà i campi elisi e saprà di essere in paradiso, dunque, quando avrà
preso consapevolezza di essere deceduto e passato a vita eterna, acquisirà,
e, infine, potrà diventare anch’esso un okuribito al pari degli altri, nella
seconda parte del film, da quando si ricongiungerà con sua moglie, in
primavera, e scoprirà con lei, incinta del primo figlio, il volto del padre.

118
Michel Chion, op. cit., pp. 127-30.

86
CULTURA E SCENEGGIATURA

Il capitolo che seguirà sarà dedicato all’opera di traduzione della


sceneggiatura dalla lingua giapponese alla italiana, da parte dei coniugi
Andrea Persegoni e Yuko Yamazaki, i traduttori ingaggiati dalla casa di
distribuzione italiana del film, la Tucker Film, che sono anche miei stretti
parenti: Andrea Persegoni è mio fratello; Yuko Yamazaki è mia cognata.
La qualità della traduzione della sceneggiatura, importante soprattutto per il
119
doppiaggio curato dalla figura di Franco Zucca, voce dell’attore Tsutomu
Yamazaki, che interpreta il sig. Sasaki, è risultata gradevole tanto da divenire
un prodotto editoriale a sé rispetto al normale materiale in uso proprio per la
realizzazione del film: la sceneggiatura di Departures tradotta da Andrea e
Yuko Persegoni è stata infatti pubblicata e inserita nel cofanetto home video
del film, in distribuzione dalla casa editrice Feltrinelli. In questo modo la
sceneggiatura è diventata un vero e proprio libro: testo che supera, in
versione italiana, lo scritto giapponese da cui Kundo Koyama ha preso
spunto, ovvero, il romanzo intitolato Nokanfu Nikki di Aoki Shinmon, e
diventando un nuovo e autonomo prodotto di letteratura di massa. 120
Tuttavia, sebbene il libro è nuovo e autonomo prodotto editoriale, la
sceneggiatura che lo forma rimane pur sempre uno script con le regole
proprie di una stesura di copione, sebbene i contenuti narrativi (personaggi,
struttura e sviluppo) si prestino ad una lettura da romanzo. È, dunque, solo il
layout di impaginazione che permette di differenziarla rispetto ad un
tradizionale romanzo. Infatti, la sceneggiatura pubblicata è chiamata
tecnicamente desunta perché deriva dal montaggio definitivo che si lega ad
un’altra tipologia di sceneggiatura chiamata spec script, o anche
sceneggiatura letteraria, l’unica legata direttamente ed esclusivamente al
lavoro dello sceneggiatore Kundo Koyama: 121

119
Si veda il sito Web <www.antoniogenna.net/doppiaggio/film1/departures.htm>.
120
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 93.
121
Vincenzo Buccheri, op. cit., p. 50.

87
[La sceneggiatura letteraria] è divisa in scene che vengono descritte come in un
testo letterario, senza indicare le inquadrature (master scene style): l’importante è
garantire continuità al racconto, che deve leggersi come un romanzo. Di solito lo
spec script conosce molti stadi di elaborazione: i passaggi vengono continuamente
rivisti (anche da un supervisore: lo script consultant o script editor) […].
La discriminante per suddividere il testo in scene è lo spazio, inteso come luogo di
ripresa […]. Se invece il film si svolge tutto nello stesso spazio, si avrà un cambio
di scena a ogni cambio di luce (cioè di tempo) […].
Il testo si compone di tre parti: i titoli di scena (o intestazioni), le descrizioni e i
dialoghi. Sono possibili tre diverse modalità di redazione: all’italiana, alla francese
e all’americana, che si distinguono per il modo di organizzare le descrizioni e i
dialoghi.
1. Nella sceneggiatura italiana […] la pagina è divisa in due colonne: una a sinistra
per gli elementi visivi (le descrizioni); una a destra per il sonoro (dialoghi, rumori e
musica). Ogni scena nuova (anche se di poche righe) inizia in una nuova pagina;
ogni volta che la scena prosegue nella pagina successiva si scrive CONTINUA in
basso a destra. Le scene sono sempre numerate […].
2. Nella sceneggiatura alla francese (un ibrido tra quella all’italiana e quella
all’americana) le descrizioni sono a tutta pagina, mentre i dialoghi vanno nella
colonna di destra […].
3. Nella sceneggiatura all’americana le descrizioni sono a tutta pagina e il dialogo
in una colonna centrale. È la forma più diffusa, ormai riconosciuta come standard.
Estremamente scorrevole […] una pagina così congegnata corrisponde per
convenzione a circa un minuto di girato (anche se l’equazione perfetta vale solo
per la pagina di dialogo), sicché la lunghezza media è tra le 120 e le 150 pagine
[…].
Il titolo della scena deve indicare, nell’ordine: la posizione della macchina da presa
(interno o esterno: INT. O EXT.), la location e le condizioni di luce (GIORNO O NOTTE)
[…].
Può comparire anche il numero di scena, magari ripetuto in chiusura […].
Nella descrizione, vanno in maiuscolo: i nomi propri dei personaggi alla loro prima
apparizione […], ma anche i nomi comuni che indicano personaggi di sfondo […]; i
personaggi principali prima che la storia ci informi del loro nome […]; i suoni che
hanno rilevanza narrativa o espressiva (lo SQUILLO del telefono) […].
Tra la descrizione e il dialogo si deve saltare una riga, e la battuta va sempre
preceduta dal nome del personaggio in maiuscolo. Tra una battuta e l’altra, invece,
di solito basta un a-capo. Dopo il nome del personaggio, in minuscolo tra
parentesi, vanno le didascalie (sorridendo, tra sé ecc): sono suggerimenti per
l’attore […].
Nelle didascalie rientra anche la voce fuori campo […].
Quando comincia un flashback bisogna aprire una nuova scena, anche se lo
122
spazio è lo stesso della scena precedente e scrivere FLASHBACK.

Analizzando la sceneggiatura originale tradotta, con gli accorgimenti di layout


grafico in lingua giapponese, e il testo utilizzato per il prodotto editoriale
firmato Feltrinelli di sceneggiatura desunta, molti dubbi nei riguardi delle
considerazioni individuate come forme di lettura del film, dovrebbero
risolversi: in realtà, non è così perché gli accorgimenti di regia e di
montaggio, che possono essere etichettati come ambigui, non definitivi e

122
Ivi, op. cit., pp. 50-57.

88
vaghi in più occasioni, come abbiamo avuto modo di analizzare
precedentemente nel secondo capitolo, sono specchio della stessa
sceneggiatura letteraria e si ripercuotono nella desunta, ed è per questa
ragione che anche lo stesso scritto assume alcuni elementi ambigui, non
definitivi e vaghi.
Per esempio, dopo i titoli di apertura del film con la presentazione del nome
Okuribito, è palese che per la narrazione classica in continuità si venga a
definire un flashback in Tokyo dalla pianura del Shonai, eppure, nella
sceneggiatura desunta che riporta il tecnico “Flashback” in altre occasioni,
come nella scena finale con Daigo all’opera sulla salma del padre, senza
rispettare la nomenclatura “FLASHBACK” delle regole generali di stesura
letteraria accennate brevemente dal defunto Buccheri, 123 non è presentato:

Daigo gira sul fianco il corpo di Tomeo, avvicina le maniche dello yukata al petto e
inizia a pulire la schiena. Su questa immagine: titolo principale: Okuribito. Su
sfondo nero rimangono solo i caratteri FO – fade out.

Un auditorium in Tokyo. In una sala da concerti di musica classica, un’orchestra


sta eseguendo la Nona sinfonia in Re minore, Opera 125 di Beethoven. Fra gli
orchestrali c’è Daigo, che suona il violoncello. Tra i pochi spettatori c’è seduto un
vecchio; il suo sguardo è severo. Guarda fissamente il palco con un’espressione
124
complessa.

Bisogna sottolineare come la scena a cui si assiste successivamente, la


relativa all’ultimo concerto in Tokyo di Daigo, analizzata nel quarto capitolo, il
precedente, cui risalta una voluta complessità di montaggio e di significato
nel mentre viene eseguita la Nona sinfonia in Re minore di Beethoven, nello
spec script si riassume solamente in poche righe: la sottolineatura vuole
ribadire come la sceneggiatura originale non possa chiarire definitivamente
ciò che è il prodotto finale cinematografico del film tutto. Essa può aiutare a
comprendere meglio le intenzioni del regista in sintonia con lo sceneggiatore,
ma non sostituire il profondo senso di lettura che l’opera tutta di Departures
porta in sé, se non ribadirne, confrontandola con la visione effettiva sullo

123
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 88.
124
Ivi, p. 17.

89
schermo, la stessa essenza perché voluta e visionabile nel compimento
dell’opera a partire dalla sceneggiatura stessa.

大悟、留男の体を横にして、浴衣の袖を胸元に寄せ、背中を拭きはじ
める。

Daigo gira sul fianco il corpo di Tomeo, avvicina le maniche


dello yukata al petto ed inizia a strofinare la schiena.

その画に

Su questa scena

メイン・タイトル Titolo principale

『おくりびと』Okuribito

黒バックに字だけが残り~ ・
F

Sullo sfondo nero rimangono solo le lettere

都内のホール Un auditorium di Tokyo


5

クラシックのコンサートホールで演奏されるベートーヴェン「交響
曲第九番 ニ短調作品125」

In una sala da concerti di musica classica stanno eseguendo


la “Nona sinfonia Beethoven Opera 125 in re minore”

オーケストラの中でチェロを演奏している大悟。

Fra gli orchestrali c’è Daigo, che suona il violoncello.

まばらな客席の真ん中に座っている老人の顔が険しい。

Lo sguardo di un vecchio seduto tra i pochi spettatori è


severo.

複雑な表情で舞台をじっと見つめている。
125
Guarda fissamente il palco con una espressione misteriosa.

125
Sceneggiatura letteraria completa giapponese (10 agosto 2007) con traduzione italiana a cura di Yuko
Yamazaki e Andrea Persegoni (C) 2009.

90
La veste grafica utilizzata per la sceneggiatura desunta nel prodotto home-
video, non rispetta volutamente i canoni dello spec script per non cadere in
un eccesso di dettagli che non permetterebbero una scorrevole lettura della
narrazione e quindi non risponderebbero all’esigenza editoriale di creare un
testo che certamente vuole richiamare la sceneggiatura letteraria, pur
126
sempre vicina allo stile di continuità di un romanzo, ma che permetta
anche un approccio come a un semplice, pulito esteticamente e chiaro, libro
di narrativa:

Capitolo settimo

Luogo della cremazione: davanti all’altare. I presenti stanno dando l’ultimo saluto a
Tsuyako osservandola dalla piccola finestrella, davanti all’altare ornato di fiori.
Yamashita è sommerso dal dolore. Yamshita prende Shiori in braccio per farle
salutare la nonna.

YAMASHITA Shiori, la nonna oggi ci lascia.


Rie (piangendo) Tsuyako…

Sono presenti anche Daigo e Mika. È il turno di Daigo e Mika, si avvicinano. Il volto
di Tsuyako è quieto e sereno.

DAIGO Grazie di tutto.

Unite le mani in preghiera. Daigo dà l’ultimo saluto a Tsuyako, allontanandosi dal


feretro.

DAIGO ! (Espressione di sorpresa. Vede Hirata, in piedi vicino alla bara. Indossa la
divisa da crematorio. È lui l’addetto, è lui che esegue le cremazioni) Lei lavora qui?

Hirata risponde di sì a Daigo con un cenno del capo. Daigo e Mika passano
davanti a Hirata.

HIRATA …Uniamo ora le mani e preghiamo per la defunta che ora ci lascia.

Tutti i presenti uniscono le mani in preghiera. Finita la preghiera, Hirata si avvicina


al feretro.

HIRATA Permettetemi ora di chiudere la finestrella.


YAMASHITA …(China il capo in segno di approvazione.)

Hirata chiude una delle due ante della piccola finestrella della bara: poi mentre si
accinge a chiudere anche l’altra anta, si ferma.

HIRATA …(guardando intensamente il volto quieto di Tsuyako) Grazie, ci


127
incontreremo ancora.

126
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 50-57.
127
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., pp. 76-77.

91
La distinzione tra redazione di sceneggiatura italiana, francese e americana,
non esiste, 128 perché la tecnica redazionale per l’impaginazione utilizzata nel
la sceneggiatura desunta nel libro-dvd, non rispetta nessuna delle tre
opzioni, e lo standard, più che il relativo all’americano, è un layout di stesura
tipico da romanzo, ovvero, per i dialoghi si torna a capo al cambio di
personaggio che è, come le regole dello spec script affermano, riportato in
maiuscolo. Anche le didascalie rispondono alla normale regolazione della
sceneggiatura letteraria, come pure le descrizioni, che, al contrario dell’anima
di un libro narrativo, non contengono annotazioni psicologiche, ovvero, “quei
particolari che in un romanzo o in un trattamento sono legittimi, ma che in
una sceneggiatura devono essere tradotti in chiave visiva, cioè attraverso i
comportamenti di chi è in scena”. 129
Confrontando il segmento di sceneggiatura desunta del film dell’inizio del
capitolo settimo appena sopra riportato con la sceneggiatura letteraria
originale di riferimento appena sotto citata, se ne percepisce una chiara e
immediata differenza, principalmente estetica e che non agevola la continuità
di lettura narrativa come invece accade nella desunta, dunque,
maggiormente vicina ad un romanzo:

Capitolo settimo
settimo
83

Luogo della cremazione – Davanti all’altare

I presenti stanno dando l’ultimo saluto a Tsuyako


osservandola dalla piccola finestrella, davanti all’altare
ornato di fiori.

Yamashita è sommerso dal dolore.

Yamashita prende Shiori in braccio per farle salutare la


nonna.

山 下「Shiori, la nonna oggi ci lascia」

理 恵「(Piangendo)Mamma…」

128
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 50-57.
129
Ivi, op. cit., p. 57.

92
Sono presenti anche Daigo e Mika.

E’il turno di Daigo e Mika, si avvicinano.

Il volto di Tsuyako è quieto e sereno.

大 悟「Grazie di tutto」

Unite le mani in preghiera, Daigo da l’ultimo saluto a


Tsuyako; allontanandosi dal feretro...

大 悟「!(Espressione di sorpresa)」

Vede Hirata, in piedi vicino alla bara. Indossa la divisa del


crematorio. E’ lui l’addetto che esegue le cremazioni.

大 悟「Lei lavora qui?」

Hirata saluta Daigo senza dire nulla, chinando il capo.

Daigo e Mika passano davanti a Hirata.

平 田「……」

× × ×

平 田「Uniamo ora le mani e preghiamo per il defunto che oggi ci lascia」

Tutti i presenti uniscono le mani in preghiera.

Finita la preghiera, Hirata si avvicina al feretro,

平 田「Permettetemi ora di chiudere la finestrella」

山 下「―()」(Yamashita china il capo in segno di approvazione)

Hirata chiude una delle due ante della piccola finestrella;


poi mentre si accinge a chiudere anche l’altra anta, si
ferma.

平 田「……」

Hirata guardando intensamente il volto quieto di


Tsuyako,

平 田「Grazie, ci incontreremo ancora」

93
Mormorando queste parole, chiude l’altra anta della
finestrella.
130
× × ×

Da come commentano i traduttori della sceneggiatura di Departures, Andrea


e Yuko Persegoni, i nomi giapponesi, che vengono scritti con ideogrammi,
possono essere letti in maniera diversa dalla normale pronuncia in
giapponese ed è per questa ragione i protagonisti del film sono stati tradotti
in italiano facendo necessariamente tutte le verifiche possibili, anche in
Internet, in particolare per i più famosi, attribuendo una lettura comune degli
ideogrammi attraverso il metodo Hepburn: sillaba KI con lettura in italiano CHI
di chiaro, per Sasaki e Sonezaki; sillaba SHI con lettura in italiano SCI di
sciare, per Kobayashi; sillaba SHO con lettura in italiano SCIO di sciopero, per
Shonai; sillaba WA con lettura in italiano UA di papua, per Sugawara; sillaba
YA con lettura in italiano IA di iato, per Kobayashi.
Notiamo che l’estetica del layout dello spec script, per quanto riguarda i
dialoghi, è una pagina formato francese parallelamente speculare, ovvero,
invece di avere le battute degli attori nella colonna di destra, la sceneggiatura
presenta i dialoghi a partire da sinistra, con una lunghezza di due terzi di
pagina, con ideogramma del personaggio antecedente, racchiudendo le
battute tra due parentesi quadre (「」).
Possiamo inoltre affermare che il layout presenta un qualche richiamo anche
alla tipologia italiana, perché, sebbene non divida la pagina esattamente a
metà, distribuendo i dialoghi e le descrizioni nelle due porzioni così ottenute,
la sceneggiatura italiana, come risultante dalla traduzione della giapponese e
del suo layout, posiziona i dialoghi a sinistra, come abbiamo visto, e, allo
stesso modo di questi, copre i due terzi di pagina di destra con le descrizioni:
la differenza è che la linea immaginaria che divide in due la pagina della
sceneggiatura, mai superata per la redazione standard all’italiana, è
scavalcata per un terzo di pagina verso destra, per quanto riguarda i dialoghi,
130
Sceneggiatura letteraria completa giapponese (10 agosto 2007) in traduzione italiana a cura di Yuko
Yamazaki e Andrea Persegoni (C) 2009.

94
e sempre per un terzo di pagina, questa volta verso sinistra, per le
descrizioni. Tale risultato è dato dalla semplice sostituzione, in traduzione,
degli ideogrammi con l’alfabeto romano per creare la versione italiana, come
risulta analizzando la sceneggiatura originale in lingua giapponese dello
spezzone fino ad ora citato dell’inizio del capitolo settimo:

第七巻
83

火葬場・祭壇前

小窓を開けられた棺の前に飾られた祭壇の前で、最期のお別れをし
ている参列者たち。

悲しみに暮れている山下。

詩織を抱き上げ、棺の中のツヤ子に別れを告げる。

山 下「詩織、ばあば、お別れだよ」

理 恵「(泣きながら)お母さん‥」

大悟と美香の姿もある。

二人、順番が来て動く。

安らかなツヤ子の顔。

大 悟「お疲れ様でした」

手を合わせ、最期の別れをして棺から離れたとき、

大 悟「!(ハッとする)」

棺の近くに立っている火葬場の係員の制服を着た平田。

大 悟「こちらにいらしたんですか?」

平田、黙礼をする。

二人、平田の前を横切る。

平 田「……」

× × ×

平 田「それでは皆さま、合掌でお送りください」

一同、合掌する。

95
合掌を終え、平田、棺のそばに動き、

平 田「お窓を、閉めさせていただきます」

山 下「―(軽く会釈)」

平田、小窓に手をかけ、観音開きの片方を閉じ、さらにもう片方を
閉じようとして手が止まる。

平 田「……」

安らかなツヤ子の顔を見つめ、

平 田「ありがとの、また会おうの」

そう呟き、小窓を閉める。
131
× × ×

La traduzione ha fatto emergere alcuni elementi, per così dire, critici, e che
ora verranno brevemente esaminati. Alcuni di questi punti, per la loro
particolarità, sono stati necessariamente vagliati, per la versione italiana,
insieme allo sceneggiatore Kundo Koyama.
Un primo problema ha riguardato alcuni sottotitoli che creavano imprecisioni
nella traduzione precedentemente effettuata dal giapponese all’inglese che i
due traduttori italiani hanno potuto avere sott’occhio: questi erano stati
utilizzati di commento per aiutare alla comprensione di alcuni elementi
diegetici la narrazione filmica, incomprensibili a chi non conoscesse la
scrittura giapponese perché di riferimento a cartelli o a scritte utilizzate nel
film, tuttavia imprecisi nella traduzione per un uso internazionale e che sono
stati completamente messi da parte, lasciando esclusivo spazio alla corretta
traduzione e interpretazione giapponese-italiana diretta, dei coniugi
Persegoni.
Ulteriore argomentazione ha riguardato la necessità della traduzione degli
importi, ossia, se lasciare la valuta giapponese o rimaneggiarla con l’utilizzo
della moneta unica europea, e, passando dal presupposto che,
generalmente, nei dialoghi del film si utilizza la valuta originale, si era

131
Sceneggiatura letteraria completa giapponese (10 agosto 2007) successivamente tradotta in italiano
grazie agli interpreti Yuko Yamazaki e Andrea Persegoni (C) 2009.

96
considerato di utilizzare l’euro per facilitare la comprensione, come per
esempio nella scena del commento del costo del violoncello del protagonista,
anche se, alla fine, si è utilizzata la valuta giapponese in quanto in alcune
scene vengono inquadrati gli yen in banconote.
Un poco più interessante è stata la particolarità della traduzione del nome
dell’agenzia in cui il protagonista trova lavoro, l’Agenzia NK, con NK in
caratteri latini e non in ideogrammi giapponesi, che in inglese è stata
proposta come NK Agency: è questione cruciale perché durante il colloquio
di lavoro di Daigo, dopo aver letto l’annuncio in un quotidiano, il presidente
dell’agenzia a cui ha telefonato, il sig. Sasaki, spiega che NK indica la parola
NoKan, non riportata sulla stampa di giornale, e che, oltre ad imprecisioni di
scrittura della pubblicazione, non chiariva totalmente quale fosse il lavoro
effettivamente proposto, ora svelato del tutto, e che metterà in imbarazzo lo
stesso protagonista che credeva fosse un riferimento a una mansione
turistica, di viaggi, e non di ultimo viaggio. A detta dei traduttori, la parola che
meglio traduce questo vocabolo è il termine tanatoesteta. Tuttavia,
traducendo NoKan in Agenzia Tanatoestetismo, verrebbe meno il senso
delle iniziali NK che sono ben inquadrate sull’insegna dell’ufficio, nella scena
del primo arrivo del protagonista all’ingresso dello stesso: le possibili
soluzioni, a parte la corretta traduzione del nome del lavoro che andrà ad
essere svolto dal protagonista, il tanatoesteta, appunto, per risolvere la
questione NK sono state vagliate le forme Nuova Kripta, Necro Kimono e
Necro Kosmetica, optando, infine, per quest’ultima soluzione. Soluzione
presa in accordo con il presidente della casa di distribuzione Tucker Film,
Thomas Bertacche. Ne risulta che il Ceo della Tucker Film ha lavorato a
stretto contatto con chi era adibito alla traduzione della sceneggiatura,
durante il suo svolgersi.
Dato che abbiamo analizzato il layout di redazione per la stesura della
sceneggiatura, ricordando che dall’originale in lingua giapponese si sono
sostituiti, traducendoli, gli ideogrammi con i caratteri dell’alfabeto latino, per
creare questa versione italiana si è sempre fatto riferimento, per il testo

97
descrittivo e i dialoghi, oltre agli elementi sonori e regole di scrittura per
tecnicismi, al supporto conoscitivo e competente della casa di distribuzione.
È da sottolineare come la traduttrice si sia interessata ad una questione
chiave del film, proprio perché chiave di volta del film è tale questione,
esprimendo una domanda diretta al coordinamento Tucker Film nei riguardi
della ripetizione delle due scene presentate identiche del lungometraggio
riguardanti il medesimo monologo del protagonista, all’inizio e passata la
metà della proiezione/visione, in cui Daigo mantiene, per entrambi i momenti,
la parte centrale della frase pensata interiormente, togliendo, invece, la parte
iniziale nella ripetizione della medesima a metà del film, nonché
aggiungendone una parte in chiusura: dato che il punto di volta della
narrazione è la frase “Da ormai quasi due mesi ho lasciato Tokyo e ho fatto
ritorno a Yamagata. Ripensandoci, è stato un periodo in cui i giorni
semplicemente passavano, offrendomi solo una vita senza alcuno scopo”, 132
133
“questa frase non dovrà essere modificata in alcun modo”, sottolinea la
traduttrice tramite una comunicazione del marito e traduttore al
coordinamento per il doppiaggio interno alla Tucker Film, sebbene, a
doppiaggio ultimato, la frase centrale che nella sceneggiatura è quindi
mantenuta identica, risulti essere leggermente modificata. Non tenere in
considerazione l’elemento cruciale del film in fase di doppiaggio, con un
chiaro avvertimento e una chiara sottolineatura di senso da parte dei
traduttori, è stato un piccolo smacco, anche se non così clamoroso se non
entrando in profondità nella questione: nella frase centrale che dovrebbe
rimanere identica, durante la seconda presentazione, si omettono le parole
usate durante la prima occasione di ascolto, a inizio film, “ormai” ed “e
basta”.
I dialoghi italiani e la direzione del doppiaggio sono stati supervisionati, come
si è affermato all’inizio del capitolo, da Franco Zucca, voce del sig. Sasaki, lo
stesso personaggio che nel mentre Daigo pensa mentalmente con queste
parole ripetute in due scene, gli siede accanto. Ma, superando la questione

132
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 13.
133
Frase tratta dalla comunicazione via e-mail del 10 novembre 2009 scritta dal traduttore dei dialoghi
Andrea Persegoni al coordinamento del doppiaggio della Tucker Film.

98
già affrontata precedentemente, corretto è soffermarsi sulla fase di
traduzione del monologo interiore: nella scena iniziale, la frase che fa
riferimento ai due mesi è riferita alla vita a Tokyo, mentre, quando la stessa
ritorna, i due mesi si riferiscono a quelli relativi a Yamagata da quando ha
lasciato Tokyo, creando una leggera differenza causata dagli elementi
narrativi appresi durante la fruizione della narrazione che, per avere una
medesima frase ripetuta due volte nel film, e che quindi lasci quel senso di
ambiguità che non permette di capire, in entrambe le sequenze, a quale
periodo fa riferimento il protagonista, necessita l’eliminazione dei tempi
verbali. L’ipotesi della traduttrice, che fosse un’ambiguità voluta e non solo
un ostacolo d’interpretazione che poteva fare scegliere in autonomia il da
farsi della traduzione, è stata supportata dall’analisi presente nel capitolo
secondo che proprio su quel momento molto ha permesso di discutere,
permettendo di giungere al senso di lettura del film con il protagonista in
viaggio verso l’al di là.
Per quanto riguarda il titolo del film stesso, ai due traduttori, Andrea e Yuko,
marito e moglie, era stato comunicato che per la versione italiana era già
stato scelto Departures dalla casa di distribuzione Tucker Film.
Ulteriore particolarità ha riguardato i nomi e cognomi giapponesi legati al film,
sottolineando come molti (del cast e dei collaboratori) erano stati tradotti,
nella versione inglese internazionale, in modo sbagliato e con molte
omissioni. Per esempio, come anche curiosità, il compositore conosciuto
all’estero come Joe Hisaishi deve essere in realtà tradotto correttamente
come Jo Hisaishi, ed il primo, il suo nome d’arte, si presta a divenire anche
un nome occidentalizzato. Joe Hisaishi è stato utilizzato per tutti i documenti
italiani in cui compare.
Interessante è ora analizzare come si possa concretizzare un lavoro
commissionato di traduzione di una sceneggiatura di circa centotrenta pagine
e quanto tempo occorra per terminare un lavoro alquanto complesso per la
lingua in questione. Al di là della professionalità dei traduttori, una
madrelingua e uno con idonea laurea in lingue, è utile a questo riguardo

99
134
soffermarci sulla corrispondenza, tramite l’analisi dell’oggetto e-mail, tra i
committenti del lavoro di traduzione, la casa di distribuzione Tucker Film, e i
coniugi Andrea e Yuko Persegoni:

Caro Andrea,
ci stiamo lanciando nella distribuzione cinematografica, e, guarda caso, con un film
giapponese. Il vincitore dell’Oscar 2009 come miglior film straniero: Departures!
Siamo allo stesso tempo eccitati e preoccupati perché riuscire a entrare nelle
maglie dell’industria cinematografica italiana non è facile, ma il film è un film
importante e bellissimo per cui sicuramente ce la faremo!
Chiaramente dobbiamo doppiare il film e per farlo dobbiamo prima tradurre i
dialoghi. Per questo ti sto scrivendo, vorremmo che fossi tu a farlo. In allegato hai il
testo giapponese, sia dello script (il copione) sia dei sottotitoli (in versione inglese e
italiana). Lo script è da tradurre per intero, i sottotitoli vorrei che tu gli dessi una
controllata, non siamo al cento per cento certi che l’inglese sia fedele al
giapponese.
Dopo avergli dato un occhio oltre a dirmi se sei in grado di farlo, riesci anche a farti
un’idea di quello che potrebbe essere il costo?
I tempi, ahimé sono stretti, il film deve uscire subito dopo Natale, ed il doppiaggio
verrà fatto in novembre! È chiaro non riesco a darti più di due settimane di tempo a
partire da oggi [27 ottobre 2009] !!!
Spero che tu ce la possa fare, sinceramente, anche perché sono ancora in debito
con te. E poi è una bellissima occasione per lavorare insieme.
Ciao Andrea, attendo in trepidazione tue news.
135
Thomas

Da quanto se ne deduce, i tempi tecnici per realizzare la prima copia con


missaggio e doppiaggio del film per il dopo periodo natalizio, sono circa poco
più di due mesi, mentre si riducono a due settimane per quanto riguarda la
traduzione del copione della sceneggiatura per i dialoghi. Dall’informalità, se
ne deduce anche che il Ceo della Tucker Film, Thomas Bertacche, conosca
già il traduttore Andrea Persegoni, che così risponde il giorno seguente, il 28
ottobre 2009 (tra parentesi si ha l’immediata, del giorno stesso, risposta di
Bertacche alle sue domande):

Ciao Thomas,
ti scrivo a notte fonda… mi ha fatto innanzitutto piacere sentirti al telefono oggi,
non capivo se la voce era da influenzato/raffreddato o se hai cambiato più fusi orari
nell’ultimo periodo… ma comunque poco importa.
Dunque ho dato una occhiata in giornata al malloppo che mi hai inviato. Volevo
anche richiamarti per telefono ma poi ho fatto tardi al lavoro, ero nella sede più

134
Alessandro Dal Lago e Rocco De Biasi, Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale, Roma-
Bari: Editori Laterza, 2002, pp. XVI-XVIII.
135
E-mail inviata da Thomas Bertacche, Ceo Tucker Film, all’interprete Andrea Persegoni in data 27
ottobre 2009.

100
lontana da casa mia oggi. In ogni caso domani sono a casa in cassa integrazione,
nel pomeriggio ti chiamerò.
Ti posso già dare l’ok per il lavoro, anzi, ne sono entusiasta. E come ti avevo
accennato in precedenza anche il film mi è piaciuto molto, lo farò più che
volentieri… e comunque sono già partito.
Domani ti farò qualche domandina, ti accenno quelle che mi sono già venute in
mente:
1) Mi confermi che i dialoghi italiani sono la traduzione dall’inglese? Ho dato solo
una rapida occhiata a questi ma credo che dovremo dare una rispolveratina
generale, metto in preventivo anche questo (Sì).
2) A parte cancellare il giapponese, c’è qualche attenzione particolare cui
prestare attenzione nella traduzione del copione? Vanno tradotte anche i
commenti con i movimenti delle telecamere? Non penso lo dobbiate girare a
Udine (Soprattutto i dialoghi, che poi dovranno essere adattati da chi farà
direttamente il doppiaggio. Anzi dopo che l’adattamento sarà pronto, sarà bene
che si vede insieme il film, in modo da verificare che l’adattamento non abbia
travisato parti del testo).
3) Data la tempistica stretta e la data di consegna che mi hai accennato,
preferisci avere la traduzione completa solo alla fine o è in qualche modo utile
avere anche solo una parte? (Prima mi mandi qualcosa meglio è).
4) Circa i costi, applicherò lo standard di costo per la traduzione da giappo a
italiano. Per domani sera o massimo giovedì ti mando un prospetto e poi ne
parliamo, con anche una minima spiegazione di come calcolo i costi, così ti
regoli col budget per eventuali traduzioni a venire. E ti comunicherò anche una
data indicativa di consegna, tenendoti informato sulla proiezione a finire
(Siamo veramente di corsa Andrea, due settimane da oggi sarebbe l’11
novembre…).
5) Mi dici due settimane e oggi è il 28, con il dvd in mano velocizzerò anche il
lavoro ma ci sono delle parti complesse. Con revisione di testo e layout e tutto
per il 15 novembre (se non prima) avrai in mano tutto. Domani avrò un’idea più
precisa, aspetto a sbilanciarmi (il dvd è partito ieri, oggi dovrebbe esserti
arrivato).
6) E spero veramente che ci sia una occasione di venire a Udine presto, ma ci
sarete o siete in giro per il mondo? (Dovrai venire, vedi sopra).
7) Fammi sapere se ci sono altri progetti e possibili traduzioni da fare, anche mia
moglie può collaborare tranquillamente. Ci sentiamo, ti confermo poi anche
l’arrivo del corriere. A proposito: mi hai fregato un libro su Ishii Teruo in
giapponese che avevo fregato a casa tua, l’hai ancora in giro??? (Mmmm, non
mi ricordo adesso, ma sicuramente l’ho fatto. Il problema sarà trovarlo…
Ciaooo)
Ciao!!!
136
Andrea

Andrea Persegoni ha dunque spiegato, nelle ultime righe della precedente


citazione, il come rientri anche sua moglie di nel progetto di traduzione.
Inoltre, si capisce meglio come i due, Thomas Bertacche e Andrea
Persegoni, si conoscano da molto tempo, e di come Bertacche possa fare
una richiesta di questo calibro, alquanto azzardata per via del tempo, ad un
traduttore. Ne emerge anche di come i dialoghi verranno, in fase di

136
E-mail inviata da Andrea Persegoni a Thomas Bertacche in data 28 ottobre 2009, ore 1,28, con
risposta, tra parentesi, del secondo al primo, in e-mail datata sempre 28 ottobre 2009, ore 18,17.

101
doppiaggio, adattati alla lunghezza del parlato, partendo dalla traduzione nel
copione: da sottolineare come la traduzione presenterà alcune sillabe in più,
anche se i dialoghi indicati nella sceneggiatura e il parlato del film saranno e
rimarranno assolutamente fedeli al lavoro dei traduttori.
Thomas Bertacche oltre ad essere Ceo della casa di distribuzione Tucker
Film, è anche la figura chiamata Cec Coordinator, ovvero, coordinatore del
Centro Espressioni Cinematografiche, il fulcro dell’ambito culturale
cinematografico di Udine, che gestisce in città cinque sale, una mediateca
dedicata al pioneristico studioso cinematografico Mario Quargnolo, in cui
studenti e appassionati possono frequentare laboratori, cineforum, produrre
spot e film, prendere parte a corsi di formazione e assistere alle cosiddette
Mattinate al cinema, di diversa tematica, avendo all’attivo diverse opportunità
di scambio comunicativo attraverso i social network, in primis con il proprio
blog (http://blog.visionario.info/). 137 Inoltre, sempre a Udine e sempre tramite
C.E.C., si è conclusa con successo, nel novembre 2011, la seconda edizione
della tre giorni chiamata Mostra dal Cine – Festival dal Cine European intes
Lenghis Mancul Pandudis – Film Festival of European Cinema in the Lesser
138
Used Language, manifestazione biennale inserita all’interno del Progjet
Cine e Suns Sclesis di Europe, che come obiettivo ha la promozione del
cinema europeo nelle lingue meno diffuse mettendone in contatto autori e
produttori, ovvero, un progetto specifico friulano, ma che respira aria di
internazionalità perché appieno rientrante nel programma Cultura 2000
dell’Ue che:

favorisce la cooperazione tra i creatori, gli attori culturali, i promotori pubblici e


privati e incoraggia l’azione delle reti culturali, nonché quella delle istituzioni
culturali degli Stati membri e degli altri Paesi partecipanti.
Nella sua forma semplificata, in confronto a quella dei programmi di prima
generazione, “Cultura 2000” comprende tre azioni che permettono di sostenere
tanto progetti di taglia limitata quanto progetti di ampio respiro, volti a stimolare
139
cooperazioni più vaste e durevoli tra le professioni dei diversi settori culturali.

137
Si veda il sito curato dal C.E.C. <www.visionario.info/easyne2/Homepage.aspx>.
138
Si veda il sito Mostre dal Cine <www.mostredalcine.org> di Udine.
139
Viviane Reding, “Uno spazio culturale per una cittadinanza comune”, Economia della cultura, 10:1,
2000, p. 11.

102
Internazionalizzazione che vede Udine e il Centro Espressioni
Cinematografiche principalmente impegnati nella kermesse cinematografica
FEFF (Far East Film Festival) dell’Asia orientale, che ha presentato il film
Departures alla critica nostrana attraverso la sua prima proiezione italiana
durante la sua undicesima edizione (2009), e che nell’edizione tredicesima,
del medesimo anno della seconda edizione di Mostra dal Cine poco sopra
presentata, descrive i suoi intenti e i suoi scopi:

Da tredici anni, il Far East Film Festival di Udine ha fatto dell’esplorazione del
cinema popolare asiatico la sua missione. Una missione di studio, di scoperta e di
ricerca […].
Anche se i costi complessivi del Festival ammontano a 700.000 Euro, il Far East
Film ha […] un valore di realizzazione che è molto più alto.
Tutto questo sgancia il Festival dalla logica dell’Evento che si costruisce
estemporaneamente; e da qui nasce il timore, indipendentemente da scelte
politiche, di non vedere assicurati al Far East Film un futuro e una nuova
programmazione. Purtroppo in Italia questo tipo di attività non può essere
realizzata senza un intervento pubblico importante.
La tredicesima edizione inoltre, e questo è uno degli elementi di forte novità, si
basa, sull’“utilizzo” con continuità di 2 sale. Agli spettacoli che avranno inizio al
Teatro Giovanni di Udine (1200 posti) in orario mattutino fino a concludersi con la
programmazione della fascia di mezzanotte, si affiancano le proiezioni
pomeridiane e notturne del Visionario (Sala Astra, 300 posti).
Il 2011, e la selezione lo testimonia, mostra un’ulteriore speranza per il cinema
asiatico. La fine dell’anno ha visto il pubblico cinese, coreano, hongkonghese e
taiwanese ritornare ai film nazionali, anche se qui di “nazionale” va inteso nel
senso più largo. I territori asiatici non sono mai stati così consapevoli della loro
vicinanza, e hanno dimostrato di darsi l’un l’altro nuova vitalità.
La selezione dei 50 titoli (sui circa 450 visionati dall’intero team selezionatori),
testimonia un altro elemento positivo: un “livellamento” verso l’alto, in termini di
qualità, dei prodotti che arrivano dalle cosiddette cinematografie “minori” […].
Il Far East Film riflette dunque in tempo reale i movimenti cinematografici in atto
nell’Estremo oriente svelando una realtà artistica e produttiva che non ha eguali in
nessuna altra parte del mondo […].
Il Far East Film nella sua tredicesima edizione sosterrà con una raccolta fondi gli
amici giapponesi colpiti dal terremoto con l’iniziativa FEFF FOR JAPAN […]. Il ricavato
delle vendite sarà devoluto alla CIVIC FORCE giapponese impegnata con aiuti
concreti alle popolazioni del nord. A tutti loro, gli amici giapponesi, è dedicata la
140
tredicesima edizione del Festival di Udine.

Concludendo il panorama della vitalità udinese legata al mondo


cinematografico, presentando la casa di produzione Tucker Film nata nel
2008, e avente come primo progetto filmico distributivo proprio Departures, a
seguito di un documentario nell’anno precedente (Rumore Bianco di Alberto

140
Si veda il sito Internet dell’Udine Far East Film Festival edizione tredicesima <www.fareastfilm.com>,
consultazione settembre 2011.

103
Fasulo), notiamo che l’attività diretta da Thomas Bertacche è una unione di
forze del C.E.C., con base a Udine città, e un’altra realtà, in Pordenone,
anch’essa capoluogo di provincia sempre in Friuli-Venezia Giulia, chiamata
Cinemazero:

Dopo più di trent’anni dedicati all’esercizio, Cinemazero e C.E.C. hanno costituito


Tucker Film (il cui nome vuole omaggiare il sogno di Preston Tucker, cantato
nell’indimenticabile film di Francis Ford Coppola), una società che, in antitesi alle
politiche distributive attuali, vuole reagire alle trasformazioni del settore e
raggiungere la profondità, quei posti e quei paesi cioè che stanno vedendo
lentamente il cinema scomparire; raggiungere insomma i “fratelli d’essai” in tutta
Italia da pari, da esercenti. Portare avanti concretamente l’idea che non esista solo
il cinema distributivo dai canali ufficiali, ma anche e sempre più, un cinema
nascosto ma non meno interessante. Indipendente ma non per questo povero di
idee e di immagini al fianco del quale persiste un pubblico che ancora conserva
curiosità, che cerca nella sala soddisfazione intellettuale e non solo
141
entertainment.

Certamente la scelta del film Departures non può che vertere sulle due
caratteristiche che formano l’essenza stessa della casa di distribuzione
udinese e che sono proprie del film, ossia, curiosità e soddisfazione
intellettuale. E per continuare nell’analisi del lavoro di traduzione riguardante
i dialoghi, inserirei l’e-mail che sancirà la fine del lungo percorso, con un
giorno di anticipo sulle due settimane richieste dal Ceo C.E.C. ad Andrea
Persegoni, del 10 novembre, che, come curiosità, è il giorno dopo in cui ho
conseguito la mia prima laurea, e, come soddisfazione intellettuale, è il titolo
attraverso cui ora posso portare a termine anche l’attuale studio:

Ciao Paolo [, di cognome Vidali, è il responsabile Tucker Film della fase di


doppiaggio dei dialoghi, ] e ciao Thomas,
in allegato la revisione 2 della traduzione italiana di Departures. Ho apportato
alcune modifiche ai dialoghi rivedendo tutto il film, confermo che questa è l’ultima
revisione necessaria e che i dialoghi possono ora considerarsi definitivi.
Nota: la seconda frase del film che inizia con “Da ormai quasi due mesi…” è stata
un po’ allungata, ma credo non ci debbano essere problemi di tempo essendo una
frase che viene detta dal protagonista solo nella mente.
La stessa frase ritorna poi dopo la metà del film, identica nella parte iniziale ma
con una frase in più alla fine. Questo è il punto di svolta del film e della vita del
protagonista, e questa frase non dovrà essere modificata in alcun modo [, dal
prezioso consiglio partito dalla moglie Yuko].
Fondamentalmente, nella scena iniziale questa frase sembra essere riferita alla
vita di Tokyo, città che il protagonista ha lasciato da appena due mesi. Quando la
frase ritorna, invece si capisce dalla frase non pronunciata in apertura che invece il

141
Si veda il sito Internet della Tucker Film <www.tuckerfilm.com/tucker/chi-siamo.html>.

104
protagonista fa riferimento al periodo di due mesi passati a Yamagata, suo paese
natio dove fa ritorno. Ho eliminato i tempi verbali (presente e passato) nella frase
per rendere questa idea e fare in modo che anche in italiano non si capisca a
quale periodo fa riferimento il protagonista.
Questa almeno l’interpretazione che io e mia moglie abbiamo dato alla frase.
Thomas, sarebbe stato bello sentire lo sceneggiatore, anche per un paio di altri
punti…fino a dove arrivano le tue conoscenze????
Buona serata a tutti.
142
Andrea e Yuko

E proprio in questa ambiguità risiede l’intento del regista e dello


sceneggiatore nel motivare la presenza di siffatto monologo mentale e che
abbiamo avuto modo di affrontare nell’analisi del secondo capitolo: il
motivare il passato, il motivare il futuro, in un presente alquanto suggestivo,
certamente curioso e di soddisfazione intellettuale se, in particolare, viene
legato alla possibilità di lettura del lungometraggio in cui Daigo viene
presentato come in viaggio verso i campi elisi.
In data 19 novembre la dipendente Tucker Film Samantha Faccio chiede la
traduzione dei Credits del film, requisito per il visto di censura:

Ciao Andrea,
Spero che la traduzione di Departures ti stia tenendo piacevolmente impegnato!
Come sai Thomas è partito, quindi questa volta tocca a me fare il punto!
Avrei ancora una cortesia da chiederti, ossia la traduzione di tutti i CREDITS dal
giapponese, visto che è un requisito per ottenere il visto di censura.
Titoli di coda. Nel documento in allegato troverai la lista dei titoli di coda in originale
e nella traduzione inglese. Potresti lavorare direttamente su quel documento e
aggiungere (magari in un diverso colore per chiarezza, la traduzione italiana?).
Vedo che fino alla riga 33 sono solo nomi, e anche in seguito solo la funzione sono
da tradurre. Mi puoi confermare che per i nomi di persona posso utilizzare la
dicitura/trascrizione fatta per l’inglese? In caso contrario, ti prego di aggiungere la
143
“traduzione” italiana.

Ecco le prime posizioni nella lista del credits, in ordine di nome e cognome,
che nella versione di traduzione italiana (la colonna più a destra nel riquadro
a sfondo verde) mantiene la dicitura in caratteri latini dalla traduzione inglese

142
E-mail degli interpreti e traduttori Andrea Persegoni e Yuko Yamazaki indirizzata, in data 10
novembre 2009, a Thomas Bertacche e Paolo Vidani, quest’ultimo figura che si è occupata del
coordinamento del doppiaggio internamente la casa di distribuzione Tucker Film, curata
successivamente nel suo realizzarsi da Franco Zucca.
143
E-mail inviata in data 19 novembre 2009 dalla dipendente Tucker Film Samantha Faccio all’interprete
e traduttore Andrea Persegoni.

105
(colonna centrale) che, in questo caso, non presentano errori o mancanze, al
contrario di altri nominativi della lista completa non ora riportati:

本木雅弘 MASAHIRO MOTOKI MASAHIRO MOTOKI

広末涼子 RYOKO HIROSUE RYOKO HIROSUE

余貴美子 KIMIKO YO KIMIKO YO

杉本哲太 TETTA SUGIMOTO TETTA SUGIMOTO

峰岸徹 TORU MINEGISHI TORU MINEGISHI

山田辰夫 TATSUO YAMADA TATSUO YAMADA

橘ユキコ YUKIKO TACHIBANA YUKIKO TACHIBANA


144

Il film viene proiettato per la prima volta nelle sale cinematografiche per il
grande pubblico italiano il 9 aprile 2010.
Soffermandoci invece sull’attuale centro di diffusione cinematografica
giapponese, importante polo di produzione insieme a Cina, India, Stati Uniti e
Filippine, al contrario delle produzioni hollywoodiane, è quasi esclusivamente
concentrato nel mercato nazionale, anche se la scelta di puntare ad un
mercato globale, per Departures, ha permesso di incassare poco meno di 70
milioni di dollari. Film apprezzato anche a livello europeo, con top d’incassi
italiano, ricordando come l’Unione europea si sia nel tempo specializzata in
produzione di film d’autore e dunque sia predisposta a riceverne e ad
apprezzarne al suo interno la cultura di fondo, che la casa di distribuzione
Tucker Film ha fatto propria. 145

144
Primi nominativi della lista Credits del film Departures (Okuribito, 2007).
145
Guido Candela e Antonello E. Scorcu, Economia delle arti (2004), Bologna: Zanichelli, 2008, p. 214.

106
Release Opening % of
Country Dist. Total Gross / As Of
Date Wknd Total

FOREIGN TOTAL - 5/16/07 n/a - $68,434,177 11/7/10

Argentina Alfa 1/14/10 $6,576 32.8% $20,037 3/7/10

Australia Madman 10/15/09 $50,002 12.5% $400,968 12/13/09

Austria Polyfilm 3/19/10 $9,519 24.8% $38,344 4/18/10

Belgium - 11/4/09 $10,477 15.9% $65,851 12/13/09

Brazil Paris 6/5/09 $30,342 7.7% $394,224 9/20/09

Colombia Cine 1/15/10 $13,435 11.8% $113,923 3/14/10

Croatia - 7/8/10 $962 37.1% $2,596 7/18/10

Denmark Miracle 11/6/09 $19,357 14.5% $133,333 12/13/09

France Metropolitan 5/27/09 - - $416,411 6/21/09

Germany - N/A - - $509,742 1/17/10

Greece Videorama 3/12/09 $10,162 100% $10,162 3/15/09

Hong Kong Lark 3/19/09 $275,106 16.4% $1,678,365 5/17/09

Italy Tucker Film 4/9/10 $100,253 11.5% $868,327 10/3/10

Japan Shochiku 9/13/08 $2,194,799 3.6% $61,010,217 4/12/09

Malaysia Golden Sceen 6/18/09 $1,949 7.8% $24,836 7/26/09

Mexico - 1/29/10 $31,458 19.8% $159,238 3/21/10

New Zealand Madman 8/20/09 $11,956 6.1% $197,585 2/14/10

Norway - 12/26/09 - - $8,338 1/3/10

Peru - 7/28/10 - - $25,892 8/15/10

Russia – CIS Report 7/9/09 $7,163 14.3% $50,052 11/7/10

Singapore Golden Village 3/5/09 $41,917 12.3% $340,134 4/26/09

107
South Korea KD 10/30/08 $236,952 35.9% $659,714 4/5/09

Spain Golem 7/3/09 $81,033 11.2% $726,311 2/28/10

Taiwan - 2/27/09 $86,887 8.6% $1,011,410 5/24/09

Thailand Mongkol Major 6/18/09 $4,829 15.9% $30,324 9/6/09

Turkey WB 10/2/09 $12,622 35.4% $35,689 12/13/09

Uruguay - 5/28/10 $2,638 22.2% $11,896 7/4/10

USA Regent Releasing 4/5/09 $74,945 2.1% $1,498,210 24/6/10

146

La tabella sottostante, invece, riguarda, in termini di posizione per numeri di


fatturato nella distribuzione nelle sale cinematografiche, il mercato interno
giapponese nel 2008, e permette di capire come il film di Yojiro Takita si sia
posizionato, ovvero, attraverso questo punto di vista economico, 3 miliardi di
yen (al lordo), è il primo film in distribuzione Shochiku dell’anno, e il
sedicesimo nel posizionamento della classifica complessiva tra tutte le case
di distribuzione insieme alla lista dei film importati.

2008
[JAPANESE FILMS]
Release Gross (estimated)
Ranking Film Title Distributor
Month (in billion Yen)
1 July Ponyo on the Cliff by the Sea 15.50 TOHO
2 June Boys Over Flowers the movie 7.75 TOHO
3 Oct. Suspect X 4.92 TOHO
4 July Pokémon GIRATINA & THE SKY WARRIOR 4.80 TOHO
5 May Partners: The Movie 4.44 TOEI
6 August 20th Century Boys -Chapter 1- 3.95 TOHO
7 June The Magic Hour 3.92 TOHO
8 March Doraemon Nobita to Midori no Kyojinden 3.37 TOHO
9 Dec., '07 A tale of Mari and three puppies 3.18 TOHO

146
Per avere una panoramica completa ed esaustiva riguardante i dati distributivi nelle sale
cinematografiche in cui il film Departures (Okuribito, 2007) è uscito, fino al 2010, nelle diverse nazioni
del globo, si veda il sito Web <www.boxofficemojo.com/movies/?page=intl&id=departures.htm>, fonte
da cui è stata tratta la tabella riportata.

108
10 Feb. L change the WorLd 3.10 WB
11 Sep. Departures 3.05 SHOCHIKU
12 April Detective Conan: Full Score of Fear 2.42 TOHO
13 Sep. PACO and the Magical Book 2.36 TOHO
14 August Detroit Metal City 2.34 TOHO
15 Jan. Kabei: Our Mother 2.12 SHOCHIKU
16 Jan. FLOWERS IN THE SHADOWS 1.95 TOHO
17 March The Black Swindler 1.72 TOHO
18 Feb. The Glorious Team Batista 1.56 TOHO
19 March 10 Promises to My Dog 1.52 SHOCHIKU
20 April SHAOLIN GIRL 1.51 TOHO
21 July Kitaro and the Millennium Curse 1.45 SHOCHIKU
22 Nov. Happy Flight 1.33 TOHO
23 April Crayon Shin-chan Cho Arashi wo Yobu Kinpoko no Yusya 1.23 TOHO
24 July Climber's High 1.19 TOEI/GAGA
25 August NARUTO The Movie Shippūden KIZUNA 1.16 TOHO
26 Dec., '07 Sanjuro 1.15 TOHO
27 Jan. Season of Snow 1.04 TOHO
28 April Sand Chronicles 1.00 TOHO

2008
[IMPORTED FILMS]
Release Gross (estimated)
Ranking Film Title Distributor
Month (in billion Yen)
1 June Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull 5.71 PARAMOUNT
2 Nov. Red Cliff 5.05 TOHO-TOWA/AVEX
3 Dec., '07 I Am Legend 4.31 WB
4 March The Golden Compass 3.75 SHOCHIKU/GAGA
5 August HANCOCK 3.10 SPE
6 May The Chronicles of Narnia: Prince Caspian 3.00 Disney
7 March Enchanted 2.91 Disney
8 Dec., '07 National Treasure: Book of Secrets 2.58 Disney
9 Sep. Wanted 2.50 TOHO-TOWA
10 Jan. earth 2.40 GAGA
11 August The Mummy Tomb of the Dragon Emperor 2.20 TOHO-TOWA
12 Jan. Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street 2.05 WB
ASMIK ACE/
13 July Kung Fu Panda 2.00 KADOKAWA
ENTERTAINMENT
14 August Sex and the City 1.80 GAGA
15 March Jumper 1.74 FOX
16 August The Dark Knight 1.60 WB
17 May The Bucket List 1.35 WB

109
18 July THE HAPPENING 1.23 FOX
KADOKAWA PICTURES/
19 Oct. Eagle Eye 1.22 KADOKAWA
ENTERTAINMENT
20 April Cloverfield 1.20 PARAMOUNT
MOVIE-EYE/
21 Oct. P.S. I Love You 1.10
TOHO-TOWA
22 Dec., '07 Aliens vs. Predator: Requiem 1.07 FOX
23 Feb. American Gangster 1.05 TOHO-TOWA
24 April 10,000 BC 1.01 WB
147

Sottolineando come la sceneggiatura del film che affronta la tematica del


nokanshi sia stata tratta da un romanzo giapponese di Aoki Shinmon, che di
questo rito parla, mediante l’interessamento dello stesso attore-protagonista
148
Masahiro Motoki, oltre al fatto che il film abbia permesso la realizzazione
di un cd musicale raccogliendo i venti brani originali presentati dal
149
compositore Joe Hisaishi al suo interno, nonché rammentare di come si
siano portate nelle case italiane due versioni del film per il mercato home
video, una della Cecchi Gori Home Video e una seconda, successiva in
ordine temporale, firmata Feltrinelli, con un introito complessivo della Tucker
Film che ha permesso le due edizioni, di circa 35.000 euro per 19.316 unità
vendute alla fine del 2011, la quale ultima possibilità editoriale propone una
speciale edizione con annessa sceneggiatura desunta, l’elemento comune, e
che accomuna, emergente per l’opera Departures, è che si tratti di una realtà
totalizzante di arte riproducibile:

Tra il libro, il film e il disco esistono relazioni a livello artistico di mercato: un film
con grande favore di pubblico può portare al successo anche la sua colonna
sonora sul mercato discografico […]; il successo di un film può fare esplodere le
vendite di un libro [rammentando come l’opera di Aoki Shinmon Nokanfu Nikki sia
diventato anche prodotto tradotto in lingua inglese per il mercato occidentale].
Ugualmente, un libro di successo è spesso trasformato in un film, così come uno
spettacolo teatrale può diventare un film (Accade anche che i testi teatrali possano
trovare successo editoriale, oppure che le sceneggiature dei film di successo
150
divengano anch’essi dei libri).

147
Dati ricavati dal sito della società Motion Pictures Producers Association of Japan
<www.eiren.org/boxoffice_e/2008.html>, relativi l’anno 2008.
148
Mark Shilling, op. cit., pp. 48-51.
149
Si veda il sito ufficiale di Joe Hisaishi <www.joehisaishi.com>.
150
Guido Candela e Antonello E. Scorcu, op. cit., p. 212.

110
Considerare la possibilità per cui una sceneggiatura di un film, qualunque
tipologia sia, o il film stesso, divenga un autonomo romanzo, non è
medesima considerazione se rapportata al passaggio, perché pur sempre di
movimento da un’opera riproducibile ad un’altra si tratta, riguardante la
pubblicazione del prodotto editoriale della sceneggiatura desunta presente
nel cofanetto home-video Feltrinelli dedicato al film Departures, con diritti da
Tucker Film, dato che non può essere considerato come libro di narrativa
aggiunto e autonomo perché prodotto editoriale legato direttamente e
imprescindibilmente alla realtà cinematografica del montaggio definitivo del
film di Yojiro Takita, unendosi altresì alla sceneggiatura tecnica e anche alla
terza e ultima tipologia, quella letteraria, 151 ovvero, il punto di partenza per la
realizzazione del film che si sviluppa inizialmente da un’idea drammatica, ciò
di cui il film parla o story concept (quell’idea, premise, che da anni aveva in
mente Masahiro Motoki),152 passando dal soggetto (la storia sotto forma di
153
breve racconto letterario in estrema sintesi), fino a giungere alla scaletta
(lo step outline che è schema degli eventi principali del film organizzato per
punti, per scene-azioni numerate progressivamente), sebbene la
sceneggiatura desunta possa comunque avvicinarsi allo stile di scrittura di un
romanzo narrativo: 154

una volta completata la scaletta, lo sceneggiatore può svilupparla nel trattamento,


che è il racconto in prosa dell’intera storia, scena dopo scena. Può essere
semplicemente il soggetto ampliato (trenta/quaranta cartelle), sviluppato nell’ordine
stabilito in scaletta, oppure una storia sotto forma di romanzo
(cento/centocinquanta cartelle). Di solito è scritto al presente […], in prima o in
terza persona, prediligendo il discorso indiretto: pochi i dialoghi (solo abbozzi delle
battute più significative), ma molto dettagliate le descrizioni degli ambienti e della
psicologia dei personaggi.
Il trattamento serve a risolvere tutti i problemi di costruzione prima della
sceneggiatura: lo scopo è creare il mondo narrativo che confluirà nel film,
155
disegnarlo e “arredarlo”, definendo personaggi, luoghi e situazioni.

151
Vincenzo Buccheri, op. cit., p. 50.
152
Ivi, p. 21.
153
Ivi, pp. 26-27.
154
Ivi, p. 28.
155
Ivi, p. 30.

111
La sceneggiatura desunta non deve assomigliare alla sceneggiatura tecnica
perché non lo richiede, così come non possiede le centotrenta pagine che la
sceneggiatura letteraria, che Andrea e Yuko Persegoni hanno tradotto
interamente e principalmente per il doppiaggio dei dialoghi, effettivamente
presenta, sebbene sia da notare come la traduzione integrale dello spec
script, abbia permesso, per il suo interesse e per la professionalità del lavoro
di interpretazione svolto, la pubblicazione dell’edizione desunta nel cofanetto
per l’home-video, lasciando spazio alla descrizione dei luoghi in cui
Departures prende vita e ad una certa psicologia diretta e coinvolgente dei
personaggi: tale edizione speciale, che sulla copertina del cofanetto del libro-
dvd Feltrinelli riporta, in cerchio rosso, proprio tale dicitura, “Edizione
speciale con sceneggiatura”, si riscopre maggiormente affine al presentarci
uno scritto trattamento di sceneggiatura, piuttosto che un’autentica
sceneggiatura desunta, sebbene non possa discostarsi dal forte legame con
il mondo cinematografico del montaggio definitivo che il film di Yojiro Takita
porta con sé. Dunque, come nel trattamento, tale sceneggiatura,
“abbandonando il linguaggio del cinema, […] approfondisce la biografia dei
156
personaggi, la loro interiorità, i loro stati d’animo”, sebbene vari elementi
che si riferiscono alla di norma più vicina sceneggiatura letteraria, rimangono
e sono pur sempre principali, come l’indicazione delle descrizioni tra
parentesi dopo il nome del soggetto che compie le azioni in maiuscolo, 157 o il
158
segnalare la location con la posizione di macchina che è peraltro
caratteristica prima della sceneggiatura tecnica, o il presentare l’inizio di un
flashback. 159
Lo stile di trattamento, verso cui la sceneggiatura desunta protende, non è
però l’adattamento letterario, a cui Departures deve un qualche cosa,
considerato come l’idea di presentare il rito del nokanshi sul grande schermo,
sia dovuto principalmente passando dal nome di Aoki Shinmon che ha scritto

156
Ibidem.
157
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 23.
158
Ivi, p. 57.
159
Ivi, p. 88.

112
160
un romanzo proprio su questo argomento. Tuttavia la trama narrativa del
romanzo da lui realizzato, è distante dal parallelo narrativo cinematografico
che se ne dovrebbe trarre, da come risulta evidente fin dalle prime battute
del suo testo:

Woke up this morning to the sight of Mt. Tateyama covered with snow. I was
feeling tingly all over. My new job starts today, washing corpses and coffining
them. It made me nervous just thinking about it, and I wanted to back out, except
161
I’d already gone and told everybody a few day ago.

Daigo, nel film Departures, è nervoso alle prime esperienze lavorative, ma, al
contrario del romanzo da cui viene tratta la citazione precedente, non ha
parlato del suo lavoro a tutti i suoi conoscenti prima di iniziare a svolgerlo,
tanto che la moglie lo lascerà solo, un breve periodo, proprio perché è venuta
a conoscenza di quell’impiego gelosamente tenuto segreto per gli iniziali
giorni di contratto con l’Agenzia NK in cui è stato assunto come tanatoesteta.
La distanza cinematografica con il romanzo che in comune ha il presentare
una storia dedicata alla professione legata al nokanshi, non permette, però,
che l’apporto creativo, proprio dell’idea drammaturgica e prima tappa per la
realizzazione della sceneggiatura, dell’autore del romanzo Aoki Shinmon,
decada.
Il romanzo è comunemente (nell’originale giapponese viene intitolato
162
Nokanfu Nikki, letteralmente, Diario di un tanatoesteta) l’elemento chiave
della trasposizione cinematografica dato da un originale letterario anche se,
nel caso, non è stato utilizzato come in un copia e incolla, di adattamento,
ma è, come abbiamo accennato, un trattamento letterario del romanzo sul
grande schermo che necessariamente passa da una vera e propria
sceneggiatura originale distante dal primo scritto di Aoki Shinmon:

Lo sceneggiatore impegnato in un adattamento deve prima leggere il libro con


ingenuità, da semplice lettore, poi, a lettura conclusa, fantasticare all’interno di quel
mondo, adoperando il romanzo come un trattamento, cioè come un testo ricco di
informazioni e dettagli psicologici […]. A partire da qui, lo sceneggiatore deve

160
Ivi, p. 9.
161
Shinmon e Wayne S. Yokoyama, Coffinman. The Journal of a buddhist mortician, Anaheim: Buddhist
Education Center, 2002, p. 3.
162
Chiara Cardelli (a cura di), op. cit., p. 93.

113
cominciare il lavoro inverso rispetto a quello visto finora: si tratta di ricavare dal
libro una scaletta, e dalla scaletta risalire al soggetto. Per scalettare il libro,
bisogna sfogliarlo da capo numerando a matita ogni cambio d’ambiente o di
situazione, e riassumendo su un foglio ciò che succede in ogni punto. Per ricavare
il soggetto invece bisogna riordinare questa scaletta tornando allo spirito del
romanzo, e dilatare i sei/sette punti drammaturgici forti. Da questo momento, ci si
comporterà come davanti al soggetto di un film originale, inventando liberamente
senza preoccuparsi del libro: dal soggetto si ricaverà una nuova scaletta e
163
finalmente la sceneggiatura, senza passare per la fase di trattamento.

Da questo procedimento nasce l’originale sceneggiatura di Kundo Koyama,


terminata di tradurre nella versione italiana, come è emerso nell’analisi, per i
dialoghi, il 10 novembre 2009, ore 21, dieci anni dopo che l’attore Masahiro
Motoki ebbe l’idea, lo story concept, intravista sviluppata nel romanzo di Aoki
Shinmon, di realizzare un film sul rito nokanshi, acquistata successivamente
164
dai produttori Nakazawa Toshiaki e Mase Yasuhiro, mentre la prima
copia del film per il grande schermo, stampata dopo il missaggio con il
doppiaggio italiano, è stata realizzata prima di metà dicembre 2009:

Ciao Andrea,
grazie ancora dell’aiuto.
Per il trailer tutto OK, è già in stampa.
Per il film il doppiaggio e mixaggio è finito, come sai, e abbiamo già stampato la
prima copia. Rivedendo il film abbiamo deciso che non metteremo i sottotitoli
perché in realtà non appaiono scritte in sovraimpressione (ovvero non sono
sull’internegativo) e quindi preferiamo non includerle. Ci sono delle inquadrature a
insegne e cartelli (quella dei bagni pubblici, quelle degli annunci funerari e così via)
ma la decisione è comunque di non intervenire con sottotitoli, per cui non c’è
bisogno di alcun lavoro aggiuntivo per il momento.
Come Thomas ti aveva accennato, pensavamo di produrre anche una copia con i
dialoghi in originale giapponese e sottotitolata in italiano. Te lo accenno come
possibile lavoro futuro ma per il momento non è la nostra priorità, quindi direi che ci
risentiamo quando abbiamo organizzato la tempistica per quella copia.
Ciao, e grazie ancora dell’ottimo lavoro,
165
Samantha.

La scelta aziendale da parte della Tucker Film di realizzare una copia con
dialoghi in originale giapponese e sottotitolata in italiano verrà effettivamente
ultimata per la creazione delle copie per l’home video, sia per la versione
Cecchi Gori Home Video, con possibilità principale in italiano (audio 5.1 o

163
Vincenzo Buccheri, op. cit., pp. 31-32.
164
Mark Shilling, op. cit., pp. 48-51.
165
E-mail inviata dalla dipendente Tucker Film di nome Samantha Faccio ad Andrea Persegoni, datata 15
dicembre 2009.

114
2.0) anche con sottotitoli, sia per la versione Feltrinelli, con possibilità in
italiano (sempre con scelta audio 2.0 e 5.1) che specifica, nel suo menù
video, l’utilizzo dei sottotitoli per i non udenti. Ancora Andrea e Yuko
Persegoni hanno dato man forte realizzando questa possibilità
(maggiormente familiare con l’originale in lingua inglese di un qualsivoglia
film anglosassone in relazione al grande mercato d’importazione americano)
che passa da una prima e attenta analisi della traduzione dei sottotitoli della
versione inglese, copia realizzata prima di giungere alla Tucker, che risulta
essere, a detta dei due traduttori e interpreti, imprecisa e dunque non
utilizzabile per ricavarne i sottotitoli italiani che non avrebbero reso il
significato giapponese originale nella nostra lingua. Il coordinamento Tucker
Film dopo l’acquisizione dei diritti di Okuribito, ha cominciato da subito a
lavorare alla versione italiana, ma, invece di usare, come spesso capita, la
lista dialoghi internazionale per il doppiaggio, come si è analizzato, ha deciso
di tradurre la sceneggiatura direttamente dalla versione giapponese perché
“per noi era molto importante fare un lavoro accurato per rispettare l’integrità
166
e la ricchezza del testo originale”, dal commento dalla direzione della
Tucker Film, e, inoltre, si è anche suggerito di rivedere i sottotitoli italiani
dedotti dalla versione inglese della pre-traduzione Persegoni, che potevano
essere facilmente utilizzabili per la comodità del timing sul video già
realizzata e presente sulla copia del film ceduta dalla casa di distribuzione
agli interpreti: invece, per le versioni home video infine distribuite in Italia, con
sottotitoli in italiano sul sonoro originale in lingua giapponese (audio 5.1),
Andrea e Yuko Persegoni hanno realizzate ex novo i sottotitoli nella nostra
lingua, con relativo nuovo timing, che hanno reso l’eccellenza del significato
della lingua originale, non facendo riferimento ai dialoghi in versione
internazionale. Ecco il timecode originale della versione italiana di alcune
battute della scena dell’assunzione di Daigo da parte del sig. Sasaki:

576 00:19:55:12 00:19:56:20


Ah, sei tu.
579 00:19:59:08 00:20:02:03

166
Commento ufficiale del vertice della Tucker Film.

115
Sembri meno deprimente che al telefono.
582 - Grazie
585 00:20:02:12 00:20:05:07
Vedi? E’ stata una buona idea.
Versa del tè.
588 00:20:05:11 00:20:06:04
Sì.
591 00:20:10:17 00:20:11:21
Ho portato il mio curriculum.
594 00:20:12:01 00:20:13:06
Sì sì, siediti.
597 00:20:13:10 00:20:14:12
Grazie.
600 00:20:23:14 00:20:25:03
Sei disposto a lavorare sodo?
603 00:20:25:07 00:20:27:01
Eh? Eh… sì.
606 00:20:27:04 00:20:28:01
167
Assunto.

Il timecode con il testo tradotto per i sottotitoli ha come solo ed unico


riferimento la durata della battuta del personaggio a video che non viene
specificata come nella normale sceneggiatura letteraria: se non si conosce lo
svolgersi del film, non si può certo dedurre, dalla lettura del timing dei
sottotitoli dei dialoghi, i personaggi, i luoghi, il momento, e nemmeno se si
tratti o meno del lungometraggio preso in esame. Di seguito, una conferma di
quanto detto con la comunicazione riguardante un nuovo lavoro proposto
dalla Tucker Film, il 18 gennaio 2010, per una nuova opera di traduzione di
testi con timecode:

Ciao Andrea,
Buon anno!
Spero tutto proceda bene dalle tue parti.
Avrei ancora un piccolo lavoretto per te, ossia la traduzione di due filmati realizzati
dal regista (Takita) e dal produttore (Mase) di Departures che dicono qualcosa a
proposito dell’uscita italiana (COSA???). Si tratta di pochi minuti in tutto.
Noi vorremmo sottotitolarle e usarle come materiale per la promozione. Puoi
occuparti di tradurre ciò che dicono e preparare i testi per la sottotitolazione?
Si tratterebbe di darmi i testi con il timecode (perché chi deve inserire i sottotitoli
non ha altro riferimento) e di fornire testi che non superino le 35 battute per riga /
168
70 battute su due righe per cartello.

167
Estratto del Time Code dei sottotitoli del film versione italiana Departures (Okuribito, 2007).
168
E-mail inviata dalla dipendente Tucker Film di Udine di nome Samantha Faccio ad Andrea Persegoni,
in data 18 gennaio 2010.

116
Tuttavia il materiale principale che viene utilizzato per la promozione rimane
pur sempre il trailer del film: di seguito, uno spezzone tradotto sempre da
Andrea e Yuko Persegoni.

TRAILER - DEPARTURES

Videata/Logo “Shochiku”

Daigo 「Affinché il defunto possa partire serenamente, mi appresto ora a svolgere


il rito della ricomposizione e della vestizione」(7/99)

Schermata nera

Su schermata bianca, titolo film a caratteri rosa “OKURIBITO”

Scritta su immagine di orchestra che esegue un’opera “2 mesi fa…”

Sonezaki「L’orchestra…
Sonezaki è sciolta」(11/99)

Contemporaneamente alla frase di Sonezaki appena detta appaiono le seguenti


scritte:

“L`orchestra...”

“L`orchestra e`sciolta”

Sulla scena di un tramonto la silhouette dei grattacieli di Tokyo e la scritta


“Tramontato un sogno…”

169
Daigo 「Se tornassimo al mio paesino, a Yamagata?」(15/99)

169
Trailer originale nella versione italiana del film Departures (Okuribito, 2007) visibile all’indirizzo Web,
in cui è possibile visionare la frase “È destino di tutti accompagnare qualcuno. È destino di tutti essere
accompagnati”, <www.youtube.com/watch?v=hgmzPp8py2A>.

117
Come ultima tabella del presente capitolo, consuntivo 2010 della casa di
distribuzione italiana Tucker Film con i costi a cui è dovuta far fronte e i ricavi
realizzati grazie al film Departures:

DEPARTURES - BOX OFFICE

Box office finale € 706.427,91


Presenze totali 127.758,00
Prezzo medio finale € 5,53

COSTI/RICAVI PER DISTRIBUTORE "TUCKER FILM SRL"

RICAVI DEPARTURES
PROVENTI DA NOLEGGIO FILM € 214.792,50
DIRITTI HOME VIDEO € 30.000,00
Totale ricavi € 244.792,50

COSTI DEPARTURES
DIRITTI FILM - MINIMO € 12.106,54
STAMPA PELLICOLE € 47.813,64
SPESE DI TRASPORTO € 4.042,38
TRADUZIONE TESTI € 4.033,88
SOTTOTITOLAGGIO PELLICOLE € 7.162,00
DOPPIAGGIO FILM € 11.442,85
SERVIZI TECNICI PER STAMPA PELLICOLE € 16.370,25
MATERIALI PER DOPPIAGGIO € 665,19
SERVIZI TECNICI PER STAMPA DVD € 333,98
SPESE PER VISTO CENSURA € 1.920,32
ONERI PREVIDENZIALI PROF. E COLLAB. € 2.470,91
CONSULENZA LEGALE € 1.000,00
COMPENSI COLLABORATORI € 13.308,40
MOVIMENTAZIONE PELLICOLE € 12.630,00
SERVIZI VARI € 4.934,48
PROVVIGIONI A INTERMEDIARI - AGENZIE € 35.479,47
GRAFICA E FOTOCOMPOSIZIONE € 2.070,00
STAMPE € 804,80
PUBBLICITA' € 44.225,70
UFFICIO STAMPA € 4.300,00
MATERIALI PROMOZIONALI € 4.800,00
AFFITTI E LOCAZIONI € 4.302,73

118
CANCELLERIA € 81,67
SPESE DI RAPPRESENTANZA € 43,50
ONERI PREVIDENZIALI € 125,58
ONERI ASSISTENZIALI € 955,64
SERVIZI C/TERZI € 340,00
Totale costi € 237.763,91 170

Alla Tucker Film certo andranno i ricavi per 7.028,59 euro, ma anche una
incalcolabile soddisfazione per avere portato in Italia un vero e proprio
capolavoro da Oscar e vinto certamente una sfida con il mercato italiano
credendo nelle proprie aspirazioni e potenzialità.

Nonostante il numero ridotto di copie (43) e il budget limitato che era a nostra
disposizione per le spese P&A – specialmente se comparato con le somme ingenti
a disposizione delle grandi case di distribuzione mainstream – il film è stato un
grande successo. Nel primo weekend Departures ha guadagnato più di 78.720
euro. Specialmente attraverso il passaparola, la popolarità del film è
progressivamente cresciuta. Il box office finale è di 706.427,91 Euro. Il pubblico
171
italiano ha amato il film e l’hanno visto 127.758 persone.

La Tucker Film, “una società che vuole operare in antitesi alle politiche
distributive attuali”, 172 come si sono definiti, concentrandosi principalmente in
due aree, le produzioni locali e il cinema asiatico, ha dunque permesso che
la vecchia station-wagon nera simbolo della casa di produzione, non
discostandosi affatto da quella effettivamente presente in Departures, che
accende i fari all’inizio di ogni sua pellicola, viaggiasse per la proiezione del
film in ben 120 città italiane.

170
Consuntivo 2010 della casa di distribuzione italiana Tucker Film del film Departures (Okuribito, 2007).
171
Commento ufficiale del vertice della Tucker Film.
172
Si veda il sito Internet della Tucker Film <www.tuckerfilm.com/tucker/chi-siamo.html>.

119
120
CONCLUSIONE

Il film si è rivelato ricco, da ogni punto di vista: dal risvolto tematico della
morte come passaggio di speranza nell’al di là, oltre che al relativo che al
centro pone la famiglia fondata sul matrimonio sponsale tra marito e moglie,
portando alla tematica dell’infanzia, elementi come vincoli santi (che ha
assoluta purezza e perfezione) e universali (che riguarda tutto il mondo, tutti
gli uomini, tutte le possibilità) con, in, per la vita, di qualsiasi periodo storico
(passato, presente e futuro); relativamente lo svolgersi narrativo in un’unica
risoluzione finale sebbene si possa compiere una duplice lettura degli eventi;
nei riguardi delle scelte di regia, una fluidità nella complessità, in equilibrio tra
la tradizione e l’innovazione; dal punto di vista degli incassi nel mondo,
riscontrando un largo successo in Italia con primato nell’Unione europea
grazie all’impegno della Tucker Film e al suo volere una completa traduzione
della sceneggiatura in lingua originale, caratterizzandosi come la scelta
fondamentale per l’apprezzamento del lungometraggio giapponese nel
mercato italiano.
L’Italia non è nuova ad accogliere con caloroso clamore un film proveniente
dall’estremo oriente, così come già accadde per la pellicola che ha segnato
indelebilmente l’apertura di orizzonti del mercato e dell’industria
cinematografica occidentale alla produzione giapponese legata all’Asia
orientale, ovvero, il lungometraggio del regista del Paese del Sol Levante
Akira Kurosawa, Rashōmon, del 1950, anch’essa premio Oscar, oltre che
Leone d’Oro al Festival di Venezia. Due prestigiosi riconoscimenti di stampo
occidentale, uno americano e uno italiano, così come è accaduto per
Departures:

Mentre girava Rashōmon nella foresta vergine di Nara, vicino Kyoto, il regista
quarantenne era ben lontano dall’immaginare che la sua opera undici avrebbe
rivoluzionato la sua vita. Mandato a Venezia grazie all’insistenza di un’italiana
(Giuliana Stramigioli [la stessa persona a cui si è fatto riferimento per riportare la
poesia con tema ukiyo-e, ambientata proprio in un quartiere di Kyoto, Gion,
all’inizio del presente scritto, capitolo primo]) che viveva a Tokyo da anni ed era
diventata un’esperta di cose giapponesi, e contro il parere del produttore (non

121
riteneva il film “abbastanza adatto all’esportazione” [che ricorda molto una
considerazione indirizzata al regista vicino allo stile di Takita, Yasujirō Ozu]; e dire
che certi critici occidentali e giapponesi tireranno in ballo l’esotismo per spiegarne
l’inatteso successo!?), Rashōmon viene premiato con il Leone d’Oro, pochi mesi
dopo vince l’Oscar, e diventa un caso internazionale […].
Scarsamente sensibili alle qualità del film, i critici giapponesi accolgono Rashōmon
assai tiepidamente: è solo quinto nell’annuale lista del “best ten” redatta dalla
rivista “Kinema Junpo”. “Sono sempre stati gli stranieri ad apprezzare per primi i
valori della nostra cultura” commenta Kurosawa nell’Autobiografia, scandalizzato
da questa “disperante mancanza di discernimento” dei suoi compatrioti. Quando la
moglie gli annuncia la notizia del Leone d’Oro, il regista (non sapeva nemmeno
che il film fosse andato a Venezia! Perché gli organizzatori della Mostra non
173
l’hanno invitato?) è sull’orlo dell’esaurimento.

Se Rashōmon ha aperto la porta del cinema giapponese, per la sua


irrompente novità legata all’esotismo orientale dei film in costume
tradizionale, all’accoglienza e all’apprezzamento del pubblico occidentale
avente un’industria concentrata quasi esclusivamente sui propri prodotti
locali del tempo, tanto che lo stesso regista Akira Kurosawa non solo non
viene invitato alla mostra di Venezia, ma nemmeno viene informato della
partecipazione della sua pellicola al festival italiano, Departures spalanca la
porta dell’arte cinematografica giapponese a tutto il mondo, trovando grande
accoglienza sempre in quel pubblico occidentale che, oggi, più che
all’esotismo, nel terzo millennio, apprezza la semplice vicenda familiare di
una famiglia dei nostri giorni:

“Il cinema crea multiculturalità meglio e più efficacemente di convegni e di


congressi: più che di multiculturalità, termine che afferma semplicemente una
vicinanza, dovremmo parlare di interculturalità, che significa scambio, dialogo e
confronto. Dialogo che comprende certo la fiducia e un confronto sistematico: è il
tipico lavoro del film”. Così il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio per la cultura, ha aperto questa mattina [02-12-2011] la seconda giornata
di lavori del convegno internazionale “Film and Faith”, presso la Pontifica
Università Lateranense (Roma), organizzato dalla Fondazione Ente dello
Spettacolo in collaborazione con il Pontifico Consiglio delle comunicazioni sociali, il
Pontificio Consiglio della cultura, l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali
della Cei e la Pontifica Università Lateranense. “Il dialogo – ha proseguito il
cardinale Ravasi – suggerisce tre prospettive: quella filosofica, il cui autore di
riferimento è Paul Ricoeuer e in particolare il libro ‘Se come un altro’, dove si
spiega che noi, di nostra natura, siamo un altro rispetto alle persone che
incontriamo. Simbolo di questa prospettiva è il volto. La seconda prospettiva – ha
ricordato il cardinale – è quella religiosa, in particolare quella ebraico-cristiana
dell’Occidente, che possiamo ritrovare nel libro del Levitico: ama il prossimo tuo
come te stesso. Da ultimo, la prospettiva culturale, che offre altre possibilità per il
raggiungimento dell’interculturalità”. Il cardinale Ravasi ha quindi sottolineato

173
Aldo Tassone, Akira Kurosawa, Milano: Il Castoro Cinema, 2008, pp. 60-61.

122
l’importanza del medium cinematografico: “Le immagini di prossimità”, attraverso le
quali “il cinema può veramente esplicitare questa funzione decisiva mostrando
immagini, storie, volti diversi che ci conquistano. Ricordo il maestro a cui sono
molto legato, Andrei Tarkovsky, attraverso le cui immagini abbiamo creato
prossimità con la cultura e la spiritualità ortodossa”. Dunque, ha concluso il
presidente del Pontificio Consiglio, “il cinema crea interculturalità meglio e più
174
efficacemente di convegni e di congressi”.

Ed esattamente cinquant’anni prima della proiezione prima di Departures


nelle sale cinematografiche italiane, avvenuta durante la primavera
dell’undicesima edizione del FEFF di Udine nel 2009, Akira Kurosawa, a
Tokyo, nell’aprile del 1959, scriveva sul clima di interculturalità, più che di
175
multiculturalità, che il suo cinema riscopre oggi con la pellicola di Yojiro
Takita:

Non credo di esagerare quando dico che il cinema giapponese si è ormai imposto
all’attenzione mondiale. E di ciò tutti noi che lavoriamo in questa industria siamo
profondamente lieti. Personalmente, poi, sono orgoglioso e felice al pensiero che
tale interesse e tale attenzione sono stati in parte suscitati da opere di cui sono
l’autore.
Tuttavia, per quanto contenti, orgogliosi e compiaciuti, molto di noi si sono accorti
che, pur apprezzando palesemente ciò che ha visto, l’Occidente conosce troppo
poco del Giappone e del cinema giapponese quali realmente sono.
Nel 1951, quando ottenni a Venezia il Leone d’oro per Rashomon osservai che
sarei stato più contento che il premio avrebbe avuto maggior significato, se avessi
fatto e se fosse stato premiato un film che mostrasse del Giappone attuale quanto
Ladri di biciclette ha mostrato dell’Italia contemporanea. Oggi continuo a pensare
come allora, poiché il Giappone produce film di ambiente moderno del calibro del
capolavoro di De Sica, pur continuando a produrre anche quei film in costume,
eccezionali e totalmente diversi, che costituiscono la gran massa di ciò che
176
l’Occidente ha visto e continua a vedere nel cinema nipponico.

Ed oggi, non proprio a Venezia, ma nella pur sempre vicina Udine, con il
riconoscimento italiano dell’Audience Award del FEFF 2009, al contrario del
pur sempre italiano riconoscimento internazionale del Leone d’Oro, avendo
come comum minimo denominatore l’Oscar, le parole di Akira Kurosawa
appena riportate per Rashōmon, “sarei stato più contento che il premio

174
Articolo pubblicato on line da Radio Vaticana sul sito <www.news.va/it> in data 2 dicembre 2011,
intitolato “Il cardinale Ravasi: il cinema crea scambio, dialogo e confronto interculturale”.
175
Un ultimo arrivederci in ricordo dello scomparso Prof. Cosimo Notarstefano, Jean Monnet Professor e
Docente aggregato dell’Università degli Studi di Bergamo, personale insegnante del corso Aspetti
giuridici, culturali e linguistici dell’Europa, a cui si è dedicata, in data 16 gennaio 2012, presso la Chiesa di
S. Andrea in via Porta Dipinta di Città Alta in Bergamo, la S. Messa di suffragio celebrata da Don James
Organisti: l’eterno riposo dona a lui o Signore, splenda ad essi la luce perpetua, riposi in pace, Amen.
176
Jospeh L. Anderson, Donald Richie e Ettore Capriolo, op. cit., pp. 7-8.

123
avrebbe avuto maggior significato, se avessi fatto e se fosse stato premiato
177
un film che mostrasse del Giappone attuale”, diventano realtà concreta
con il riconoscimento ottenuto dall’attuale Departures realizzato da Yojiro
Takita, che ben si riassume nelle parole, vita italiana di un film giapponese,
che danno titolo al presente scritto.

A story of love, of discovery, of revelation and of the trascendin


human spirit, Departures will linger in your heart and mind long after
viewing. 178

Departures è veramente film che parla dell’amore dovendo affrontare la


morte. Amore che, grazie alla presenza vitale della famiglia, sconfigge la
morte definitivamente.

177
Ibidem.
178
Queste le parole che concludono l’introduzione del film Departures nel sito ufficiale bilingue,
giapponese-inglese, <www.departures-themovie.com>.

124
SINOSSI

Tomeo. Il film comincia con una tormenta di neve. Da lontano, alla fine di una
strada, due fari. Una suonata di pianoforte. Una station-wagon avanza lungo
la strada nella tormenta, all’interno, due uomini vestiti di nero. Uno di essi
pensa ai suoi inverni di quando bambino. Il cielo è sereno. La vecchia
station-wagon nera è parcheggiata davanti ad una casa in un vialetto
innevato. All’esterno della struttura c’è un cartello: famiglia in lutto. I due
vestiti di nero entrano accolti dalla famiglia e iniziano il cerimoniale detto
nokanshi, della vestizione e della purificazione del defunto. Nel mentre del
rito funebre di preparazione del corpo per l’ultimo viaggio della giovane, si
scopre che lei, in verità, è un lui. Si chiede ai parenti se si vuole vestire da
uomo o da donna. Il padre pronuncia le parole del proprio figlio: Tomeo.
L’orchestra. Il titolo del film lascia posto alla visione e all’ascolto di un
concerto di una numerosa e ben formata orchestra. Dal percussionista si
passa a far mostra di un violoncellista: è lo stesso uomo che guidava la
station-wagon nera. Il maestro la dirige energicamente: l’orchestra dà sfogo a
tutti suoi componenti vocali sfoggiando una magnificenza sonora nel
momento anche più virtuoso del brano. Il pubblico in sala è però molto
scarso. Alla fine del concerto il violoncellista, che si chiama Daigo, si lamenta
della presenza delle poche presenze di spettatori e lo addita alla scarsa
pubblicità, quindi afferma che chiederà alla moglie, web designer, di creare
un sito Internet per dare maggiore visibilità ai loro eventi. Poco dopo prende
la parola il proprietario: l’orchestra è sciolta. A casa Daigo pensa al suo
appena perso lavoro. La moglie rientra e cerca di confortarlo ma rimane
molto delusa non della perdita del sostentamento dovuto allo stipendio della
sua professione, ma dal fatto che il marito non gli aveva mai comunicato una
spesa ingente da lui effettuata, e ancora da saldare, per l’acquisto a rate del
suo violoncello professionale che ora non gli serve più. Il polipo regalato dalla
vicina è ancora vivo e non si può cucinare: lo ributtano a mare ma questo
galleggia e non va a fondo. Non vuole più nuotare. I due coniugi decidono di

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rientrare nel paesino natale di lui, Yamagata, dove non dovranno pagare
l’affitto perché la madre, dopo la morte, gli ha lasciato la sua vecchia casa in
eredità, così da poter far meglio fronte al debito. Non cercherà una nuova
orchestra.
Ritorno a Yamagata. Daigo restituisce il violoncello al negozio di musica e,
contrariamente a quanto si fosse aspettato, sebbene sia una decisione
gravosa, è come se si fosse tolto un peso, enorme, dalla sua vita. La vallata
di Yamagata, paesino di montagna. La vecchia casa della mamma sorge
vicino ad un piccolo fiume, con all’ingresso la scritta “snack pub armonia”.
Ora siamo al suo interno: vediamo la foto della madre e Mika, la moglie, che
prepara la tavola per il pranzo. Daigo è pensieroso: suo padre lo aveva
lasciato solo, quando ancora bambino, alle cure della madre per colpa di
un'altra donna. Daigo prende un giornale e ne legge un annuncio di lavoro:
“Agenzia NK”, che afferma che, anche senza esperienza, assume per un
impiego a che fare con “dei viaggi”.
Agenzia di viaggi. Daigo cammina con l’annuncio di lavoro per le strade di
Yamagata piene delle prime foglie secche autunnali. Arrivato all’ufficio del
colloquio, viene accolto dalla segretaria che comunica che il capo arriverà a
momenti. Daigo chiede alcuni chiarimenti sul lavoro, nell’attesa, anche se le
sue domande non trovano risposta. Arrivato il capo, i due si siedono e viene
assunto senza nemmeno guardare il curriculum. Daigo è perplesso: gli
chiede dello stipendio e in cosa consisterà il suo lavoro. Gli spiega che il
lavoro sarà inizialmente di essere il suo assistente, nell’adagiare i corpi nella
bara, e Daigo rimane decisamente sorpreso. Lui, leggendo l’articolo
dell’annuncio, credeva si trattasse di viaggi, come di turistici. Un errore di
stampa, subito corretto dal capo, il sig. Sasaki, che modifica la scritta del
viaggio, con il corretto e consono “sereno e ultimo viaggio”. Daigo accetta,
alla vista dei primi soldi. Torna a casa da Mika che lo stava aspettando:
fanno festa per l’assunzione ma Daigo non si dilunga spiegandogli in cosa
effettivamente consista il nuovo lavoro e, dicendo che si tratta di partecipare
ad eventi, come i matrimoni aggiunge lei, non specifica che sono solo
funerali le cerimonie a cui prenderà parte.

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Teatro Minatozà. Daigo esce di casa per recarsi al suo primo giorno di
lavoro, un po’ perplesso, con la moglie che gli sorride. In ufficio la segretaria
Uemura gli affida i suoi biglietti da visita e gli parla di come quel lavoro, nel
mentre pulisce tre bare di legno, si sia evoluto nel tempo. Bare che Daigo
vede per la prima volta dato che al funerale della madre non era presente
perché all’estero. Il padre è da anni che manca e da molto non ha sue
notizie. Per Daigo è arrivata la telefonata del suo primo lavoro: si reca presso
il Teatro Minatozà. Entrando, alcune figure stanno allestendo il palcoscenico
dove è presente il sig. Sasaki. Daigo farà la comparsa per un dvd del settore
pompe funebri: vestirà i panni del defunto che viene preparato con la
vestizione e la purificazione propria del rito del nokanshi. Inizialmente
perplesso, accetta di essere sottoposto a trucco e parrucco dalla troup delle
riprese, dopo aver sentito il parere del capo. Il sig. Sasaki inizia la sua parte
ma, arrivati al momento della rasatura, un piccolo taglietto con il rasoio fa
perdere un poco di sangue a Daigo che si spaventa, forse fin troppo. Tornato
a casa, la moglie gli chiede del perché porti un cerotto e lui, per sviare nella
risposta, gli dice che il capo, in ufficio, ha voluto che si radesse e così si è
tagliato.
La prima volta. In macchina si recano sul posto di lavoro e nel tragitto, Daigo,
un poco preoccupato, chiede cosa dovrà in effetti fare, e il suo capo, il sig.
Sasaki, gli risponde che per la giornata dovrà solamente guardare. Ammette
però che come prima volta, non è stato proprio fortunato. Vengono accolti dal
proprietario delle pompe funebri che normalmente gli affida le commesse per
svolgere il rito del nokanshi. Afferma che una vecchietta è deceduta da due
settimane: all’interno dell’abitazione Daigo è costretto ad aiutare il capo a
mettere il corpo nella bara e, per le condizioni di decomposizione, si sente da
vomitare. Tornati in ufficio, lo rispedisce a casa dandogli un anticipo. È
visibilmente provato.
Bagno Tsurunoyu. Daigo torna a casa in pullman. Una ragazza sullo stesso,
di ritorno da scuola, parla con le sue compagne di come sente una strana
puzza e lo indica perché forse proviene proprio da Daigo. Appena ascolta di
una fermata dettata dallo speaker automatico del bus, Daigo scende. Era lo

127
stop dove sorge un vecchio bagno pubblico a lui familiare. Entra e un
anziano gli indica il posto dove lasciare i suoi vestiti e il costo del servizio.
Daigo si lava e, rilassato, si immerge nella vasca d’acqua bollente. È
sollevato.
Vecchi amici. Daigo si trova ora davanti allo specchio mentre si sistema i
vestiti. Una vecchia signora rompe il silenzio entrando nell’area maschile: è
la proprietaria e sta animatamente discutendo con un uomo che porta
appresso una bambina, sua figlia. Lui vuole che si venda quel locale e,
l’anziana proprietaria, che si scopre sua madre, non lo pensa affatto.
Quell’uomo è un vecchio amico di Daigo e i due si danno appuntamento per
un incontro successivo. La madre fa i complimenti a Daigo per il suo lavoro in
Tokyo da violoncellista. Ripresa l’animata discussione, il vecchio gli
interrompe commentando che è riuscito a finire il suo gioco da tavolo che,
fino ad allora, durante il litigio, lo aveva tenuto molto impegnato.
Il violoncello. Mika prepara la tavola per la cena. Daigo è pensieroso al primo
piano della vecchia casa usata un tempo come snack-pub dal padre. Mika
mette davanti a Daigo un pollo che, dice, può anche essere mangiato crudo.
Daigo è provato dalla giornata: Mika gli sta accanto. È la sera del
concepimento del loro figlio, si scoprirà poi. Alzatosi nel cuore della notte,
pensieroso, vuole suonare: riprende in mano il suo vecchio violoncello,
togliendolo dalla custodia che per anni lo aveva conservato, insieme ad uno
spartito contenente un grosso sasso, e suona lo strumento di quando era
bambino. Ricorda i suoi momenti passati. I ricordi lo riportano alla sua tenera
infanzia nel mentre suonava davanti ai suoi genitori, o quando erano soliti
andare insieme al bagno pubblico, o, ancora, di quando suo padre gli aveva
regalato quello stesso sasso, durante una gita al fiume, anche se, il suo
volto, non lo riesce a ricordare nitidamente. Mika, a letto, lo ascolta suonare
nel pieno della notte.
Destino. Daigo si trova su di un ponte ad osservare il fiume, ancora
pensieroso, che scorre sotto di lui. Il tempo è più freddo ora, l’autunno è agli
sgoccioli, e indossa una sciarpa. I salmoni sono arrivati fin lì. Il vecchio
incontrato al bagno pubblico si tiene in forma con una leggera marcia per le

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vie di Yamagata e, dopo aver salutato Daigo, che gli fa notare alcuni salmoni
vicino a diversi scogli, chiedendogli il perché fatichino tanto se dopo devono
inevitabilmente morire, si sente rispondere, dal vecchio, che loro vogliono
tornare al posto in cui sono nati. E se ne prosegue con la sua marcetta.
Daigo è ancora pensieroso, però non è più sul ponte ma in riva al fiume.
Passa la station-wagon nera del capo che, notandolo, gli suona il clacson: lo
invita a pranzo e Daigo, rispondendogli un poco malamente e ironicamente,
gli chiede se è passato di lì per caso. Tutto questo perché lo ha distolto dai
suoi pensieri che non lo lasciano in pace.
Una moglie. Arrivano con cinque minuti di ritardo ad un funerale, e, per
questo, il marito della defunta afferma, in malo modo, che i due speculano
sulla morte delle persone. Entrano in casa e il sig. Sasaki dà sfoggio della
sua bravura di tanatoesteta, dando alla defunta un aspetto che commuove
tutti perché ha permesso di fargli ritrovare la sua autentica bellezza esteriore.
Daigo, commosso, commenta: “rianimare un corpo umano divenuto freddo e
donargli una bellezza che durerà per sempre. E questo, operando
posatamente, con precisione, ma soprattutto, mettendoci tutto il proprio
amore”. Quel marito, provato dal dolore, che li aveva quasi insultati al loro
arrivo, alla loro partenza, li ringrazia molto.
Generazioni. Entrano nel bagno pubblico, la moglie da una parte, il marito
dall’altra, perché diviso nei due settori. Lui parla con il vecchio. Lei riceve un
buon consiglio dalla proprietaria, ovvero, di essere il sostegno del marito
perché da piccolo, Daigo, ha sofferto molto del fatto che il padre lo abbia
lasciato solo. Poi uno scambio di battute tra i due anziani amici, mentre i
giovani coniugi escono dal sentō e si accorgono che ha iniziato a nevicare.
Decidono di andare a comprare del liquore.
Freddo. La coppia di coniugi è seduta in casa e bevono del rum. Fuori nevica
molto. Daigo è ancora pensieroso e la bevanda alcolica non aiuta a togliere i
pensieri che gli affollano la mente. Mika mette sul giradischi un vinile, che
Daigo commenta come il preferito del padre: quelli visibili sullo scaffale, sono
la sua vecchia collezione. Daigo è arrabbiato ancora oggi del suo
allontanamento e afferma che non ha lasciato solamente lui solo, ma anche

129
sua madre: Mika gli fa notare che se sua madre avesse smesso di amare
suo padre, non avrebbe conservato così bene i suoi vinili. Daigo è ancora più
perplesso di prima.
Disgusto. Daigo è svegliato nel cuore della notte dalla segretaria Uemura che
lo avverte di un lavoro a cui il capo, impegnato in altro luogo, non può farsi
carico, e gli chiede, nel caso se la sentisse, di andarci da solo. Lui esce di
soppiatto ma Mika si accorge di tutto. La mattina seguente Daigo si reca al
lavoro come se la notte passata non fosse successo niente. Mika non gli
chiede nessuna spiegazione. In ufficio la segretaria Uemura lo ringrazia per
la notte scorsa e gli offre un thé bollente: gli parla della sua giovinezza e di
come si è trovata a lavorare in Agenzia NK. Daigo parla di destino: lei
commenta che non si sa mai cosa abbia in serbo. Lui conferma. Di ritorno a
casa Daigo si imbatte nel suo vecchio amico, il figlio della proprietaria del
bagno pubblico, Yamashita, ma sembra non vederlo di buon occhio tanto che
non permette alla figlia di salutarlo: allontanati la moglie e la figlioletta, lo
avverte di cambiare il lavoro perché dice che “si è sparsa la voce”. Entrato a
casa, stranamente, Mika non lo sta aspettando, e sul tavolo non c’è nessuna
cena preparata come al solito, ma è al piano di sopra: gli mostra il dvd
promozionale del luogo in cui lavora, a lei ancora poco prima sconosciuto,
che teneva nascosto tra le sue cose, in cui aveva partecipato nella parte del
defunto, e gli chiede spiegazioni. Compresa la bassezza del suo lavoro
perché a contatto con defunti e che lui non gli aveva mai voluto dire, lo invita
a dimettersi immediatamente. Dopo il rifiuto, lo chiama “sporco immondo”.
Torna a casa sua a Tokyo lasciandolo solo.
Miyuki. Mentre Daigo, solo, opera sulla salma di una giovane ragazza
defunta, la madre lo avverte che il suo lavoro non è corretto. La ragazza ha i
capelli a treccine tinti di rosa. La madre la vuole come in foto, vestita da
diligente liceale. Il marito la rimprovera. Lei scoppia a piangere. Il ragazzo
che la portava in moto ed è sopravvissuto all’incidente mortale per la
giovane, interviene affermando che anche il padre ha le sue colpe. Scoppia
un battibecco e Daigo viene insultato pesantemente. Torna in ufficio ed è ora
deciso a lasciare il lavoro: ne parla con Uemura. Lei lo consiglia di salire a

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dirglielo, a lui, al capo, che è di sopra. Lui sale. Chiedendo permesso, entra
nella stanza del sig. Sasaki tutta ricolma di piante. Lo invita a sedersi a tavola
e a mangiare con lui, intuendo che la situazione non è delle più rosee, e
affermando che lui cucina meglio di sua moglie Mika. Lui accetta. Guarda la
foto della sua di moglie e il sig. Sasaki spiega che lei è stata la prima che ha
preparato per l’ultimo viaggio. Parla delle coppie e di come, prima o poi,
vengano divise dalla morte, aggiungendo che per chi rimane è un grande
dolore.
Intuito. Si rivede lui alla guida della station-wagon nera nella tormenta di
neve che ha aperto il film. Al suo monologo interiore ora vengono aggiunte le
parole sull’insicurezza di continuare con quel lavoro. A casa Sugawara, però,
decide di continuare spinto dalla decisa domanda del capo, iniziando la
pratica del rito nokanshi sul giovane Tomeo. Il padre è commosso e li
ringrazia spiegandogli che, da quando si vestiva da donna, non si faceva
altro che litigare in casa, e non lo guardava più in faccia ma, ora, alla sua
vista, dopo tanto tempo che non lo degnava di uno sguardo, si è accorto che
pur sempre era suo figlio.
Natale. Notte del Santo Natale. In ufficio dell’Agenzia NK si mangia del pollo
tutti assieme. Daigo, invitato a suonare il violoncello, prima di iniziare, chiede
se ci siano particolari problemi legati alla religione in riferimento alla melodia
che si appresta ad eseguire e il sig. Sasaki risponde che a tutti offre il
medesimo trattamento, riferendosi al funerale, e la segretaria Uemura ride,
allora, dopo aver pronunciato le frasi di presentazione, “Dunque in questa
Notte Santa…”, attacca con un brano che ben permette il riemergere di
lontani ricordi. Il tempo scorre tra diversi funerali e Daigo prende sempre più
confidenza con questo lavoro. Arriva la primavera e Daigo non smette di
suonare.
Un figlio. Dopo una giornata di lavoro Daigo torna a casa con la spesa in
mano: trova la moglie; è tornata. Ora si riaccolgono felicemente. Lei le
comunica subito che è in cinta. Gli chiede allora, per favore, di cambiare
lavoro. Lui riceve una telefonata, e si rimette subito alla sua occupazione. Si
tratta della vecchia del bagno pubblico che anche Mika ben conosce.

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Tsuyako. Lui e lei arrivano sul luogo di lavoro dell’anziana donna, il sentō, il
bagno pubblico tradizionale giapponese, dove sono presenti la sua famiglia,
il sig. Sasaki e il datore di lavoro proprietario delle pompe funebri. Il capo gli
racconta che è caduta mentre portava la legna per alimentare il fuoco che
riscaldava l’acqua, e il suo cuore non ha retto. Il proprietario delle pompe
funebri, a malincuore afferma che questo bagno, purtroppo, chiuderà. Quel
figlio, quel vecchio amico, che per il lavoro che faceva, gli aveva detto di
vergognarsi, davanti a Daigo che gli offre un panno di purificazione da
passare sul volto della defunta per levargli simbolicamente le fatiche della
vita, si commuove e capisce che stare a contatto degli esseri defunti, non è
un lavoro disdicevole, proprio perché quel corpo freddo era di un essere
umano degno di rispetto: sua madre. Capisce anche che l’anziana donna
non voleva vendere il bagno pubblico per costruire un condominio soprattutto
per far felice la sua bambina, sua nipote, tanto contenta di fare il bagno nella
“vasca grande”. La moglie, guardando Daigo all’opera nella vestizione della
defunta, rammenta il consiglio della vecchia di stargli accanto, di essere il
suo sostegno, e ora capisce l’importanza del suo lavoro e della sua decisione
di vita.
Tsuyako e Shokichi. Si trovano tutti nella camera ardente presso la struttura
che ospita il forno crematorio. Daigo e Mika sono invitati come conoscenti
della defunta e dei parenti più stretti. Nella sorpresa di Daigo e Mika, il
vecchio amico della signora defunta sempre presente al bagno pubblico
durante la sera, lavora come addetto in questo luogo: Hirata, il suo nome,
chiama alla preghiera e chiudendo la finestrella della bara, dice “Grazie, ci
incontreremo ancora”. Il figlio raggiunge Hirata nel luogo di accensione del
forno che permette di vedere, da una finestrella, il fuoco che arde. Hirata gli
concede di rimanere e gli parla, dicendogli che lo scorso Natale lo avevano
trascorso insieme, festeggiandolo con una piccola torta, e lei gli aveva
chiesto di aiutarla ad accendere il fuoco, implicitamente riferendosi a quello
che scalda l’acqua del bagno pubblico anche se chiederlo a un cliente,
secondo la proprietaria, portava sfortuna, e solo ora ha capito il perché della
richiesta, indicandola come se fosse stata una sua premonizione, ossia, l’ha

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chiesto proprio a lui perché è bravo a bruciare le cose, ovvero, i feretri: “Sono
tanti anni che faccio questo lavoro. E ogni volta sono più convinto che la
morte non è che un cancello. Sono sempre più convinto che con la morte
non finisce niente. È un cancello che si deve attraversare per proseguire il
viaggio. Per quel cancello passano tutti. Io sono qua per aiutarli a passare e
per dire addio a chi se ne va. E quando guardo partire qualcuno dico
arrivederci”. Accende il fuoco: a queste fiamme si sovrappone l’immagine di
uno stormo di cigni che si librano in volo nel cielo simbolo di purezza.
Pietre. Daigo e Mika, dopo il funerale, si recano sul greto di un fiume, il
medesimo luogo in cui un tempo lui era solito andare con sua madre e suo
padre. Proprio su di quest’ultimo cade la conversazione. Daigo raccoglie un
sasso e lo porge a Mika. Questa lo prende e chiede spiegazioni, sentendosi
rispondere che si tratta di un sasso parlante, un modo in uso nell’antichità
che non aveva ancora scoperto la scrittura, per comunicare i propri
sentimenti senza la parola, e, dal peso, dalle fattezze dello stesso, si
capivano i sentimenti di chi lo donava. Una bella storia che gli aveva
raccontato suo padre con la promessa che si sarebbero scambiati un sasso
parlante ogni anno, ma che, in verità, successe solo compiuti i suoi sei, e che
quell’unica pietra scambiata è quel famoso sasso che ha ritrovato nella
custodia del suo vecchio violoncello. “Cosa ti ha detto il sasso?”, chiede
Daigo; e Mika risponde, “Segreto”.
Telegramma. Siamo nella magnifica settimana in cui sbocciano i fiori di
ciliegio rivestendo le strade del Giappone di un rosa pallido. Daigo e Mika si
trovano in casa. Daigo accarezza le corde del violoncello. Mika accarezza il
suo pancione in attesa del bambino. Mika gli domanda se può suonare quella
melodia ogni giorno, fin quando non nascerà. I primi petali dei fiori di ciliegio,
con una leggera brezza, cadono a terra. Mika esce di casa e annaffia il
piccolo giardino. Un telegramma, spedito alla madre di Daigo, comunica la
morte di suo padre. Siamo al 30 di aprile. Daigo arriva in ufficio. Ha
dimenticato il cellulare e non ha ricevuto nessuna chiamata di avvertimento.
Al contrario della segretaria Uemura che gli comunica di persona la morte del
padre. Il sig. Sasaki assiste alla scena sdraiato su di un divano mentre legge

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un libro. Irritato, Daigo non vuole nemmeno ascoltarla. Riceve una chiamata
dalla moglie che ha preso un taxi e si sta dirigendo in ufficio. Lui chiede se
per il cadavere non può occuparsene la donna con cui è scappato e lei
risponde che nel luogo in cui ha passato tutti questi anni, più di trenta,
successivamente aver direttamente contattato e avuto spiegazioni dalla
persona che aveva spedito il telegramma, un pescatore di Yurahama, dopo
essere arrivato solo, solo vi è rimasto. Daigo, in maniera sbrigativa, chiude la
conversazione telefonica dicendo che in anagrafe non comparirebbe come
suo figlio e non può espletare nessuna faccenda burocratica. Uemura lo
prega di recarsi da lui, almeno per l’ultimo saluto. Lui è ancor più irritato.
Uemura continua spiegandogli che anche lei ha lasciato suo figlio in tenera
età, per un uomo, e ora, sebbene volesse rivederlo, non può farlo. Daigo la
rimprovera bruscamente. Il sig. Sasaki non dice una parola anche se ora lo
fissa con fare minaccioso. Daigo esce dall’ufficio e si trova Mika davanti:
senza dire nulla, passa oltre. Poco dopo, ritorna sui suoi passi, di fretta. Il sig.
Sasaki gli presta la sua station-wagon, e gli regala una bara, che certo non
costa poco, tutto sorridente. Arrivati a Yurahama, ad attenderli ci sarà il
pescatore del telegramma che gli racconta di come, dopo essersi presentato
solo in città, ha lavorato sodo chiedendo solamente di poter vivere in una
vecchia casa, vicino al porto, dove adesso il suo corpo, privo di vita, giace:
Daigo non riconosce il suo volto. Arrivano quelli delle pompe funebri e senza
molto rispetto, prima, spingono da un lato, con un piede, quelle poche cose
che gli appartenevano, e, dopo una sbrigativa preghiera, cercano di metterlo
in una semplice e povera bara con parole di commento che certo era meglio
risparmiarsi davanti ai due parenti: Daigo li ferma. Sua moglie lo chiama
“professionista”. Ora sono loro due che si scansano e Daigo inizia il suo rito
nokanshi: al contrario di tutti gli altri funerali a cui ha presieduto, qui non si ha
nessuna foto del defunto di quando era in vita, e per riportare il suo volto al
suo originario splendore, deve andare ad intuito. Qualcosa nella sua mano
blocca per un attimo il suo rito di trucco, vestizione e preparazione del corpo
per l’ultimo viaggio: è un piccolo sasso; è quel sasso parlante che tanti anni

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addietro, a sei anni, lui stesso gli aveva regalato. È un arrivederci. Daigo
piange ma finalmente si ricorda del suo volto: quel volto è suo padre. “Papà”.

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