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numero 36 anno IV 24 ottobre 2012


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L.B.G. RENZI, IL PD E IL COLORE DEI SOLDI Guido Martinotti POLITICI PEGGIO DEI GRAFFITARI Giovanni Silvera ANCORA A PROPOSITO DI CITT METROPOLITANE Antonio Piva PICASSO: DOPO IL 1953 UNA NUOVA MOSTRA OGGI A PALAZZO REALE Cristina Mordiglia DIVORZIO COLLABORATIVO: NUOVA FORMA DI RISOLUZIONE DEL CONFLITTO Maurizio Trezzi
IL PALALIDO DI PIAZZA STUPARICH E LA RELATIVIT RISTRETTA

Giovanna Menicatti TESTAMENTO BIOLOGICO E SENSO DELLA FAMIGLIA Ciro Noja SE IL VECCHIO PD CI AVESSE PENSATO ... Marco Romano LA PROPRIET DELLA CASA Sara Valmaggi DOPPIA PREFERENZA

VIDEO FULVIO SCAPARRO: PICCOLI FIGLI DI UN DIO MINORE

7 NOTE un suggerimento LAURA canta Bat For Lashes (Natasha Khan)

Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualit MUSICA a cura di Paolo Viola ARTE a cura di Virginia Colombo LIBRI a cura di Marilena Poletti Pasero TEATRO a cura di Emanuele Aldrovandi CINEMA Marco Santarpia e Paolo Schipani www.arcipelagomilano.org

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RENZI, IL PD E IL COLORE DEI SOLDI Luca Beltrami Gadola


Sono bastati pochi giorni dalla cena milanese e fatale di Matteo Renzi per sentire la battuta del prodiano Arturo Parisi, un politico senza se e senza ma: Se si citano le Cayman spunta Unipol. Credo che oltre a lui molti stiano andando indietro con la memoria per scovare pi o meno provate verit sulla debolezza delle nostre forze politiche di fronte e al fascino diretto dei soldi per uso personale, per il partito ma anche semplicemente di fronte allindubbio potere che danno i soldi o ancora al fascino esercitato da chi i solidi li ha, sia che li mostri sia che pi luteranamente non ne faccia sfoggio, per non suscitare linvidia degli dei o anche solo quella del vicino di casa. Se non si fermano in tempo ci sentiremo ancora ricordare i soldi del Cremlino al PC, quelli degli USA alla DC e al Partito Socialdemocratico di Saragat tra storia e intercettazioni recenti del tipo abbiamo una banca. Il denaro sterco del diavolo segue tutta la storia dal medioevo sino a noi e lultimo probabilmente a parlarne in questi termini merda del diavolo fu Bruno de Finetti, un grande matematico e statistico, amico di Fermi e di molti altri eccellenti, pi noto forse di l dellAtlantico che da noi, morto iscritto al Partito Radicale nel 1985 e che rischi la galera per aver difeso lobiezione di coscienza. Allora con questa merda del diavolo e col suo fascino ci tocca fare i conti. Quotidianamente. Soprattutto quando gli scandali o il feroce dibattito politico attraversano il nostro tempo. Tra qualche giorno si potr fare unantologia di tutto quel che comparir sulla stampa sulla vicenda Renzi Bersani Cayman ma per il momento vorrei segnalare un bellarticolo di Nadia Urbinati sulla Repubblica di sabato scorso dal titolo Quando i soldi entrano in politica. Prendendo spunto dalla vicenda della famosa cena la Urbinati va al nocciolo del problema scrivendo: Come e chi finanzia il candidato dunque un problema che va posto subito, a livello normativo e non soltanto etico.. Si scavalca giustamente in questo modo la pelosa questione delle frequentazioni che la saggezza popolare racchiudeva in due parole: Dimmi con che vai e ti dir chi sei, vigorosamente contestato da Formigoni, per arrivare a dire che per combattere il male bisogna conoscerlo; si affrontano insieme due nodi: il comportamento di un candidato a qualunque forma di competizione politica partecipi e il comportamento economico di chi lo sostiene. Che strada scegliere? Normare per legge questaspetto dellattivit di un candidato in occasione di una qualunque candidatura? Come si fatto, pi male che bene, per i partiti? I risultati non sono stati brillanti anche perch leventuale falsa dichiarazione del candidato in merito ai contributi ricevuti non seriamente sanzionata. Imporre per legge a tutti coloro che versano contributi a partiti o candidati di dichiararlo in un apposito albo pubblico? Sanzionare chi non lo fa? Possibile ma non facile. Resta poi un grosso problema: cosa ne facciamo delle altre utilit. Come dichiararle da parte dei candidati? Come definirle? Il renzismo giovanilista affonda una delle sue radici nellimpossibilit di sciogliere questo nodo che potrebbe consentire allelettore una valutazione a priori ma soprattutto a posteriori sullindipendenza di un candidato e nel non poter conoscere i trascorsi di ognuno e dunque lassioma: chi in politica c da meno tempo meno scheletri ha nellarmadio. Il qualunquismo dellovvio?

PS. La cena era a porte chiuse, immaginiamo facilmente cosa possa aver detto Renzi. Ma chi ci racconter che impressione ha fatto lui su questi finanzieri? Pensano di fidarsi di lui e lui di loro?

POLITICI PEGGIO DEI GRAFFITARI Guido Martinotti


Bene pulire i muri dagli spegacci dei bombers ma attenzione alle radici del fenomeno e alla frase spiritosa che ho trovato su un muro: Pitta e ripitta ricompare la scritta. Periodicamente lira dei benpensanti sinfiamma contro i graffitari o coloro, in genere giovani, che imbrattano i muri della citt per esprimere una voglia artistica o semplicemente per segnare la propria presenza o lasciare il segno di una protesta. Lultimo in ordine di tempo, di una lunga serie certo non destinata a esaurirsi qui, il fondo di Gianni Ravelli, Non chiamateli graffiti. Milano e i suoi muri sporchi (Il Corriere - Milano 6 ottobre 2012). interessante notare che larticolista per trovare una motivazione sufficientemente forte allattivazione dei pubblici poteri si rif non alla qualit della vita degli abitanti, ma allesigenza che per il Salone del Mobile i visitatori trovino una Milano pi pulita, meno trascurata e insozzata. Se dobbiamo pulire per bene che si cominci dai luoghi in cui le scritte sui muri danno un segno di abbandono e scarsit di risorse per la pulizia, ma il fenomeno va anche inquadrato e capito se non deve semplicemente tradursi in una gara tra chi pulisce e chi sporca. Naturalmente verr subito accusato di volere lo scempio, come avviene tutte le volte che faccio notare che le citt, soprattutto le grandi citt non sono la hall dingresso di un grande albergo o della Banca dItalia, e che un po di sporco, confusione e disordine non sta male ed difficilmente eliminabile. Ma la mia lopinione personale di un consumatore di scarpe professionale formatasi in migliaia di camminate travers le chaos des fourmillant cits, e mi guardo bene dal volerla imporre a chicchessia. Quando sono ritornato a New York alla fine degli anni 60 la citt era molto cambiata da quella di cinque o sei anni prima e io, abituato alle citt europee dove in quegli anni i muri si erano messi a parlare, mi sono fatto sbeffeggiare dai miei colleghi perch mi ero convinto che le vetture della Subway, tutte ricoperte di graffiti come quei corpi interamente tatuati, fossero il risultato di qualche iniziativa comunale. Dico, e ripeto, una cosa molto diversa: inutile prendersela moralisticamente con un fenomeno diffuso, che forse non si pu n prevenire n reprimere se non se ne capiscono le radici. Che affondano nel tempo lontano, come dimostrano i graffiti a Pompei e in altri antichi siti archeologici che ci aprono squarci inaspettati sulla continuit con le abitudini dei nostri avi.

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Lo scandalo non serve, e da vecchio professore ho molti dubbi su la sensibilizzazione nella scuola (a partire dalle elementari) per la semplice ragione che quelle elementari le ho fatte anchio, qualche eone addietro, e so benissimo che allora noi eravamo fortemente sensibilizzati, ma i porta lampade di smalto blu e bianco delle strade del mio paese erano tutti butterati perch, se colpiti da una pietra lanciata a mano o con il tirasassi facevano un suono al quale nessun bambino riusciva a resistere, e le lampadine davano un adorabile plop. Non dico laltro giochetto che consisteva nel far sfarfallare la catena rubata al gabinetto della scuola verso i fili dellalta tensione. Quello era riservato ai pi grandicelli, anche perch una volta rubata, la catena non veniva facilmente sostituita e quella volta che il gioco riuscito finendo in una grande vampata che ha lasciato alcuni anelli della catena cos prodigiosamente fusa pendere dai fili (per la reverente e imperitura memoria di varie classi di bambini a bocca aperta e naso colante in su) dopo pochi minuti sono arrivati quelli della Wermacht con laria cattiva. Ma temo che questo tipo di sensibilizzazione non sia oggi alla portata dei maestri e poi un conto un villaggio di qualche migliaio di anime sulla montagna e un altro una metropoli con decine di migliaia di ragazzetti. La civilizzazione si grandemente diffusa e quasi dovunque anche i banditelli pi scatenati i lampioni li lasciano stare, ma gli spazi che si affacciano alla vista del pubblico sono unaltra cosa ed inutile prendersela con qualche imbrattatore perch i cosiddetti graffitari, writers o bombers che dir si voglia non sono altro che la punta della coda di un fenomeno gigantesco di mercificazione di tutte le superfici a vista delle nostre citt. I muri di tutte le citt e pressoch di tutta la citt sono il supporto per insegne, grandi posters pubblicitari, muri legalmente ricoperti da migliaia di cartelloni che promettono le cose pi insensate (tipo Pi pensioni e meno tasse per tutti, un ossimoro da peracottari), schermi digitali sempre pi grandi, insegne pi o meno luminose, una foresta di segnali stradali di ogni genere di pubblicit e avvisi largamente dominati dal softporno e da un italiano mescolato al dialetto che potremmo ben definire italietto, o da un ridicolo globish, moderna versione dei tradizionali pidgins attorno al mondo.

Possiamo prendercela quanto vogliamo con i graffitari e, sicuramente, la sporcizia non gradevole, ma non arriveremo a nulla senza capire che gli imbrattatori siamo noi, la nostra civilt dellimmagine, ci sono illustri colleghi che si occupano ex professo del fenomeno con cattedre di qui e di l dellatlantico e la Triennale ha persino dedicato un convegno alle scritte urbane. La Grafica dappertuttoafferma autorevolmente un cartello sopra un pissoir nei gabinetti della Triennale, e il massimo della commistione tra pubblicit e graffiti provato da una pubblicit a forma di graffiti dipinta sui vetri del grattacielo De Mico, nel 2007. Nella citt i muri parlano e prendersela con lultimo centimetro della coda del cane, i ragazzini che non fanno altro che cercare di adeguarsi al cane intero, mi pare davvero unoperazione destinata a scarso successo. Tanto pi che in aprile i visitatori del Salone del Mobile a Milano, ma pi ancora tutti i cittadini di questa come di tutte le altre citt e di tutti gli 8.000 comuni del Bel Paese avranno le loro belle piazze e vie insozzate da ben altre brutture, contro le quali raramente i fogli perbene che inveiscono contro i graffitari alzano la voce. Tra qualche mese infatti le citt italiane verranno invase dai famosi tabelloni elettorali, schiere di trespoli fatti da tubi metallici rugginosi con inani porta scritte che dovrebbero indicare obbligatoriamente lutilizzatore dello spazio sottostante: uso il condizionale perch sappiamo quante eccezioni debba soffrire nella pratica questa regola. Se non vado errato, i tabelloni sono regolati dalla Legge 4 aprile 1956, n. 212. Norme per la disciplina della propaganda Elettorale, Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 87 dell11 aprile 1956 che allarticolo 1 statuisce che Laffissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti, inerenti direttamente o indirettamente alla campagna elettorale, o comunque diretti a determinare la scelta elettorale, da parte di chiunque non partecipi alla competizione elettorale ai sensi del comma precedente, consentita soltanto in appositi spazi, di numero eguale a quelli riservati ai partiti o gruppi politici o candidati che partecipino alla competizione elettorale, aventi le seguenti misure: metri 2,00 di altezza per metri 4,00 di base, nei comuni sino a 10.000 abitanti; metri 2,00 di altezza per metri 6,00 di base, nei comuni con popolazione da 10.001 a 30.000 abitanti; metri 2,00 di altezza per metri 8,00 di base, nei

comuni con popolazione superiore o che, pur avendo popolazione inferiore, siano capoluoghi di provincia. Limpostazione della norma di pi di mezzo secolo fa ed appena il caso di ricordare che la televisione italiana aveva allora iniziato da poco (1954) le trasmissioni e che in quellanno (1956) si potevano ancora vedere trasmissioni del tipo Macarietto scolaro perfetto, che presentava le regole del nuovo codice stradale. Gli italiani allora come ora leggevano pochi giornali e linformazione e la propaganda politiche si facevano ancora con gli agit-prop i fogli di sezione e di parrocchia e le bacheche dellUnit de lAvanti o di altri fogli. Le campagne del 1948 e del 1953 avevano mobilitato le matite da disegno di alcuni dei pi noti vignettisti da Guareschi a Mosca in qui e tutti ricordano le immagini delle colonne dei portici di mezza Italia ricoperte di manifesti elettorali. Lintroduzione degli orridi tabelloni, rappresentava un calmieramento, una riduzione dello spreco e della sozzura e un tentativo di imporre uneguaglianza di posizioni di partenza. Oggi nel campo della comunicazione politica le cose sono radicalmente cambiate, anche se proprio la comparsa di quei trespoli rugginosi sprofonda di nuovo ogni volta le nostre citt in unatmosfera di miseria e sciatteria, rimandando quasi esemplarmente allobsolescenza del nostro sistema politico, nonostante tutta la pseudo-modernit della diffusione dei media. Rivolgiamo un accorato appello al Primo Ministro Monti, i cui tratti personali di riservatezza e austerit non possono non sentirsi offesi dallo scempio dei manifesti e dei loro trespoli, affinch nella legge elettorale in preparazione si eliminino queste norme preistoriche. I manifesti elettorali vanno eliminati dalla scena urbana italiana perch: * In primo luogo deturpano orribilmente anche le pi belle vie e piazze delle nostre citt, diffondendo unimmagine che lontana anni luce da quella elegante e artistica che vorremmo fosse offerta agli abitanti e ai visitatori; * In secondo luogo sono uno spreco ingiustificato di carta, per immagini che spesso rimangono esposte solo poche ore; a volte si stratificano venti, trenta e pi manifesti uno sullaltro in pochi giorni * In terzo luogo, nonostante lintento della legge, non eliminano le disparit perch chi ha molti soldi pu investire in sempre nuovi manifesti

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* Non solo, ma in molti moltissimi casi, i manifesti vengono affissi anche fuori dagli spazi previsti dilagando per ogni dove * Ma, soprattutto, danno quasi dovunque limpressione ai cittadini che i soprusi comincino ancora prima dellelezione; i manifesti affissi sugli spazi riservati ad altri e nei luoghi pi belli della citt in barba alle norme dicono, noi facciamo quello che vogliamo: votateci. E molti cittadini finiscono per stare a casa * Convogliano unimmagine melensa, quando non addirittura repellente, delle persone che compongono la classe politica, con slogan rara-

mente perspicui, il pi delle volte banali e non di rado volgari o decisamente cretini, accrescendo lallontanamento dei cittadini dagli eletti e dai futuri eletti. Dopo i recenti scandali, e i figuri che sono emersi forse qualcuno rifletter sul significato reale del trito metterci la faccia, e si convincer che quella faccia forse era meglio non mettercela. * Nei lunghi giorni della campagna e per molto tempo dopo i manifesti e i loro squallidi brandelli insozzano le vie della citt imponendo uno sforzo aggiuntivo alla nettezza urbana, intollerabile in un periodo in cui i co-

muni devono tagliare i pasti ai bambini. Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio voglia prendere in considerazione questo appello; forse qualcuno obietter che vi sono problemi pi importanti, ma unazione incisiva, e a nessun costo, per migliorare laspetto delle nostre citt, d risultati immediatamente percepibili e offre un segno tangibile, che chiunque pu cogliere, della capacit di rinnovamento e di abbandono di vecchie pratiche di un governo che vuole cambiare le cose, in meglio.

ANCORA A PROPOSITO DI CITT METROPOLITANE Giovanni Silvera


Pochi anni fa, mano al Titolo V, qualcuno ha deciso che le citt metropolitane in Italia sono dieci, numero perfetto. In uesti giorni, a sessantanni dalla Costituzione (La Repubblica costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Citt metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato), si stabilito che le citt metropolitane corrispondono esattamente alle rispettive Province, gli enti ereditati nellOttocento dal centralismo napoleonico, disegnati in prevalenza con il criterio di contenere spazi raggiungibili dai capoluoghi in una giornata di cavallo. un vero miracolo: le Province, disegnate due secoli fa, sembrano nate apposta per contenere la rete complessa dei flussi e delle relazioni dei moderni sistemi metropolitani. Incredibile! Appunto. Il professor Martinotti, intervenuto sul tema nei numeri 32 e 33 di ArcipelagoMilano, ha scritto, e lasciato intendere, critiche sacrosante alla superficialit con cui la politica si appresta a varare il nuovo livello di governo del territorio. Le sue parole sarebbero state sottoscritte da Lucio Gambi e da Roberto Mainardi, due geografi che dal fronte di unaltra disciplina si distinsero come lui negli studi sui fenomeni urbani. Le loro lezioni, che ho seguito da studente negli anni Settanta alla Statale di Milano, erano panoramiche affascinanti e acute sugli spazi che attorno alle grandi citt si trasformavano con impeto e senza controllo: i tentacoli di Milano verso lalta pianura, le pendici del Vesuvio assediate da Napoli, la Valdarno contesa da Prato e Firenze, la conurbazione dello Stretto Negli anni dellesplosione demografica delle citt si indagava sul loro divenire metropoli e sullestensione dellinfluenza dei servizi e delle istituzioni in esse localizzate. Leco di quelle ricerche non and lontana, n arriv alle stanze della politica. Come oggi, in cui si sta percorrendo la via pi sbrigativa dellequivalenza metropoli/provincia. Sullargomento Milano tace, come le altre province salvate grazie al superamento delle soglie-catenaccio della dimensione e del numero degli abitanti. Le soglie, per le quali gi fioccano le deroghe, non sono troppo alte o troppo basse. Sono incongrue perch si riferiscono a territori disegnati quando in Italia le metropoli non esistevano. Dato che oggi nessuno mette in discussione confini decisi nel passato come dire che Milanometropoli, guarda il caso, coincide proprio con la provincia disegnata nellOttocento (mozzata per dei territori di Monza e di Lodi...). Nessuno osa sottolineare che gli spazi polarizzati da Milano arrivano fin quasi a Varese, a Como, a Lecco e a Bergamo e che citt come Vigevano, Busto Arsizio o Saronno guardano Milano, piuttosto che i rispettivi capoluoghi di provincia. Milano-metropoli avr poteri incerti sui comuni preesistenti e si svilupper entro confini inspiegabili, indifferenti o dimpiccio alle sue funzioni e ai flussi del traffico quotidiano. Sar composta da 134 comuni, uno solo nelle vesti del gigante, tutti pronti a rivendicare la dignit del proprio campanile e a ribadirne lintangibilit: sicuri del successo perch la materia delicata e vicina al sentire, appunto, comune. Ed scoraggiante pensare che in Italia occorse una dittatura per allargare il territorio di alcune citt, inglobando piccoli comuni confinanti. Erano brutti tempi, ma nacque la Grande Roma e vennero ampliate Genova, Firenze e Napoli. Prima degli anni Venti Milano finiva alle porte di Baggio e di Affori (inglobate a Milano nel 1923 insieme ad altri nove comuni), ma non fuori da ogni logica di pianificazione del territorio che oggi Milano termini ai confini di Cinisello o di Rozzano? Milano conta almeno settecentomila city users, persone che entrano quotidianamente nella citt per lavoro e che abitano altrove e circa 400.000 di loro provengono dalla provincia: sono una risorsa per leconomia privata, ma rappresentano un costo per lAmministrazione della citt, che deve erogare servizi per un numero di utenti superiore e che non pu contare sui tributi finanziari dei non residenti. Anche alcune grandi infrastrutture della citt sono fuori Milano, come laeroporto di Linate, esteso su due comuni diversi (Peschiera Borromeo e Segrate), le linee della metropolitana che valicano oltre la decina di confini comunali, la Fiera di Milano che sta a Rho . Riuscir Milanometropoli a mettere tutti daccordo? Come dice Martinotti sbagliato ragionare su modelli obsoleti di aggregazione a partire dal comune centrale () perch, continua, il ruolo del sindaco tipicamente municipale, non regge una scala diversa (). Nel caso di Milano per c un vizio storico di scala: 180 km quadrati, la superficie del Comune, non possono contenere il cuore di una metropoli e non solo per invidia verso la capitale (il Comune di Roma si sviluppa su 1.300 kmq, sette volte tanto).

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PICASSO: DOPO IL 1953 UNA NUOVA MOSTRA OGGI A PALAZZO REALE Antonio Piva
Nel 1953 stavo ultimando il liceo e alla prima mostra su Picasso a Milano mi sono avvicinato con incoscienza sostenuto da una cultura classica ma eclettica. La mia trasformazione intellettuale ha avuto inizio in quellistante straordinario in cui ho iniziato a chiedermi il perch e il come di quanto rappresentato in Guernica esposto nella sala delle Cariatidi semi distrutta dalla guerra recente. In quellistante ho capito che quella enorme tela parlava in termini drammatici di una guerra, diversa da quella che avevo vissuto da bambino, ma devastante, denunciava dolore e morte con una protesta corale del cielo e della terra. Avevo iniziato a capire che il mondo figurativo era cambiato e che avrei dovuto da quel momento leggere e interpretare quello che si vede, che a primo impatto non si capisce, ma nasce e si esercita sul movimento, sul tempo e su concetti comunicabili comunque non individuabili nel passato ma nel futuro. Bene hanno fatto gli ordinatori a raccogliere e a esporre le immagini riguardanti lallestimento del 53 realizzato nello stesso luogo ma con principi e interpretazioni dellopera e dello spazio molto diversi da quelli attuali. Nel vecchio allestimento gli spazi destinati allesposizione si proiettavano verso la Piazzetta Reale e il Duomo, la luce naturale entrava dalle finestre per lavorare con le ombre delle sculture e dare allo spazio un colore impercettibile tanto da mettere in evidenza tracce di decori architettonici delle sale non ancora restaurate. A una serie di pennoni staccati dalle pareti era affidata la presentazione dei disegni e delle pitture mentre una serie di supporti lignei appoggiati a pavimento davano evidenza ai bronzi alcuni dei quali presenti anche oggi. Ricordo con passione la grande capra di bronzo, con le sue grandi mammelle e il ventre teso, di cui mi ero invaghito e mi sarei volentieri trascinato a casa. Italo Lupi, Ico Migliore, Mara Servetto responsabili del nuovo allestimento della mostra hanno agito come era naturale, in modo diverso. Innanzitutto sono stati eliminati gli affacci verso il Duomo e la Piazzetta Reale. Forse questa operazione di chiusura delle finestre rientra in decisioni che non hanno nulla a che fare con le scelte dei progettisti. Io credo che la chiusura delle finestre che caratterizzano uno spazio tolga allo spazio architettonico quelle valenze che lo rendono unico. In altre parole va sacrificato il plus valore che deriva dalle qualit intrinseche dello spazio: dimensioni e luce naturale. La facilit di orientamento consente al pubblico che guarda fuori dalle finestre di sapere sempre dove si trova rispetto alla citt, e non cosa da poco. Mi si dir che la chiusura delle finestre aumenta lo spazio espositivo, che si riducono i rischi della sicurezza, operazioni queste cui non ho mai creduto perch mi sono sempre parse prioritarie le peculiarit architettoniche dello spazio ospitante che possono comunque sempre essere garantite con accorgimenti semplici. Laccesso alla sala delle Cariatidi imponente. Una strada di pensieri di Picasso ci accompagna alla proiezione di Guernica e gli specchi e il soffitto ridipinto con discrezione fa immaginare che col tempo, sotterrata lascia degli esperti intransigenti, si possano ammirare anche le statue di gesso e le cornici delle specchiere. Ci vuole pazienza e costanza! I progettisti hanno scelto il grigio scuro come colore dominante, come fondale continuo delle opere. Qualche volta ho limpressione che la luce artificiale tenue non renda a pieno i colori e quel senso geniale del cambiamento che Picasso introduce in continuazione nelle sue ininterrotte sperimentazioni. Mi sono chiesto, percorrendo questa esposizione che non ha sbavature e che denota tante attenzioni per lo spazio, quale sia lopera che ha infiammato Italo Lupi, quale sia lopera che si sarebbe portato via nel gioco che ho introdotto. Dico questo perch ogni opera al posto che le spetta mentre quella che ci ha ferito con la freccia dellamore generalmente sfugge a questa regola. Comunque non potr essere la capra che da sessanta mi appartiene!

DIVORZIO COLLABORATIVO: NUOVA FORMA DI RISOLUZIONE DEL CONFLITTO Cristina Mordiglia


La tendenza a voler cercare e trovare, principalmente dagli stessi individui protagonisti delle situazioni conflittuali, le risorse per risolvere in maniera costruttiva i propri dissidi interni sembra ormai una strada intrapresa e che prosegue, in parallelo, sia nella vita pubblica che in quella privata. Da pochi anni infatti, sullonda di nuove forme pi morbide, solide e durature di risoluzione dei conflitti, anche in Italia si cominciato a formare avvocati che praticano il divorzio collaborativo, una nuova possibile procedura, alternativa a quelle gi esistenti, applicabile alla separazione personale e al divorzio tra coniugi. Sia quella giudiziale (a iniziativa di un coniuge che presenta unilateralmente ricorso al Giudice) che quella consensuale (conseguente a ricorso congiunto) infatti troppo spesso si sono manifestate insufficienti e inadeguate a condurre gli ex coniugi definitivamente fuori dal tunnel, sofferto e tormentato, del periodo che accompagna un cos radicale cambiamento di vita. La complessit delle difficolt emotive, psicologiche, economiche e pratiche che una persona deve contemporaneamente affrontare nel momento della presa di coscienza che la propria vita affettiva deve cambiare, spesso non trova adeguato supporto nelle possibilit offerte dallOrdinamento Giuridico, che si preoccupa di regolamentare, prevalentemente, solo aspetti pratici ed economici (solitamente i tempi di permanenza dei figli con luno o laltro dei genitori e la fissazione di un assegno di mantenimento). Una decisione presa, non di rado frettolosamente dopo la prima udienza di comparizione delle parti, da un Giudice oberato di cause e che non pu materialmente prestare la dovuta attenzione e tempo richie5

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sto dal caso trattato, pu costituire una soluzione transitoria che spesso si rivela inadeguata e, talvolta, anche capace di creare pi danni che rimedi. Una separazione consensuale raggiunta in modo sbrigativo, magari in pochi minuti davanti alla porta del Giudice o dietro il timore, e non di rado, anche non troppo velate minacce, di ritorsioni sullaffidamento dei figli o su altre delicate questioni del genere, pu portare a ripensamenti immediati, purtroppo tardivi, che altro non fanno che minare la buona prosecuzione del rapporto tra gli ex coniugi, spesso genitori degli stessi figli. Pu succedere che la coppia sia perfettamente in grado di affrontare il cambiamento e, con pi o meno facilit, raggiunga un accordo consensuale condiviso, ma molto spesso i tempi di accettazione del fallimento della propria vita affettiva e matrimoniale non sono uguali per entrambi i coniugi e la sofferenza, anche riflessa, degli altri membri della famiglia tale da richiedere unattenzione pi profonda, da parte di esperti, che possono accompagnare le persone coinvolte nel mare tempestoso dei rancori e degli addii, a raggiungere, con calma, un porto tranquillo. Scegliere il diritto collaborativo significa siglare un Accordo di partecipazione che garantisca la riserva-

tezza di tutto quanto dichiarato e prodotto durante il procedimento collaborativo, e successivamente sedersi tutti insieme: avvocati, coniugi, psicologo, con leventuale ascolto dei figli, per iniziare un percorso fatto soprattutto di trasparenza e correttezza, con lo scopo di individuare i veri interessi delle parti in causa e di ricercare insieme una soluzione condivisa. Ben sapendo che la strada, fatta a volte di prove ed esperimenti, dovr rispettare i tempi di ciascuno, nella tolleranza e riconoscimento delle problematiche individuali che, proprio dagli stessi soggetti interessati, devono trovare una soluzione. Ci troviamo di fronte quindi a un profondo cambiamento del ruolo della professione: lavvocato che accetta e pratica il diritto collaborativo, deve dismettere i panni classici insiti nella figura tradizionale del legale, per entrare maggiormente in quelli del facilitatore alla negoziazione, concentrarsi sugli interessi sottostanti alle richieste del cliente, assistendolo nella loro messa a fuoco al fine di smarcarsi da situazioni di stallo, verso soluzioni, anche creative e inaspettate, del conflitto. Mantenendo come sfondo il diritto, che conosce, dovr aver imparato a gestire le tensioni legate alla negoziazione e a collaborare con altre figure che si rendessero necessarie nel caso trattato (specialista delle

relazioni familiari, del bambino, esperto finanziario) con uno spirito di squadra, non abituale per il professionista, nellottica di concentrarsi soprattutto sui risultati comuni da raggiungere. Dovr quindi aver seguito un corso di formazione che lo specializza nella negoziazione basata sugli interessi, ed essersi iscritto a una associazione (la pi conosciuta in Italia lAIADC, Associazione Italiana Avvocati di Diritto Collaborativo), impegnandosi a rispettarne rigorosamente i principi di lealt e trasparenza. Insomma, sembra ormai che la strada intrapresa per la risoluzione dei conflitti, siano essi personali che di dimensione pubblica, partita con la tanto osteggiata legge sulla mediazione obbligatoria sia difficilmente reversibile, e si stia diffondendo a macchia dolio in ogni settore, sviluppando la tendenza a valorizzare le risorse umane e le capacit individuali delle persone, aiutandole a tirare fuori da se stesse le capacit per decidere della propria vita e di partecipare in prima persona alle decisioni che le riguardano, nella convinzione che soprattutto da l, e dalla comprensione effettiva e trasparente dei problemi, possa avvenire ogni vero cambiamento che possa tenere nel tempo in maniera profonda e duratura.

IL PALALIDO DI PIAZZA STUPARICH E LA RELATIVIT RISTRETTA Maurizio Trezzi


La fisica classica, quella prima di Einstein e di Schrdinger, postulava l'esistenza di spazio e tempo assoluti. Il loro valore era indipendente dal sistema di riferimento utilizzato e la loro misurazione uguale in qualunque sistema. Con la teoria della relativit ristretta Albert Einstein scardin questi principi per fare del tempo una variabile, appunto, relativa. Un principio perfettamente applicabile, senza dove fare ricorso a complesse formule matematiche, allandamento di certe opere pubbliche. Il Palalido di Milano ne un esempio perfetto. Qui il tempo, dopo gli annunci e i proclami sembra essersi fermato. La vicenda non si perde nella notte dei tempi ma occorre resettare gli orologi a due anni fa. Era il 5 ottobre 2010 quando, in pompa magna, il Sindaco Letizia Moratti e lassessore allo Sport Alan Rizzi, presentavano a Palazzo Marino il progetto di ristrutturazione straordinaria deln. 36 IV 24 ottobre 2012 lhangar di piazza Stuparich. Costo 7 milioni di euro, totalmente provenienti dalle casse comunali, 5.000 posti e rotti la capienza finale. Sar la casa dello sport, degli eventi e della musica, annunciava labbronzato assessore. Inizio lavori novembre 2010, conclusione prevista dopo 200 giorni, poco meno di sette mesi. I cronisti pi previdenti, avvezzi ai proclami in odore elettorale, scommettevano su una durata di almeno un anno. Passarono sei mesi e non successe niente. Ad aprile 2011, in piena campagna elettorale, lAssessore Rizzi e lallora Presidente di Milano Sport Mirko Paletti, arrivarono allalba davanti al Palalido per riannunciare, davanti alle telecamere di Rai3 Lombardia, linizio dei lavori. Difficile a quel punto rispettare i tempi previsti (i 200 giorni) ma tant. Cambia la Giunta e i lavori non iniziano. Poi finalmente ecco le ruspe: parte la demolizione. E poi tutti si ferma, di nuovo. Oggi del futuro PalaAJ (Giorgio Armani patron dellOlimpia sar lo sponsor del Palazzetto) a 700 giorni dalla conferenza stampa del 2010, resta solo un cumulo di macerie e che ricorda, a chi non pi giovanissimo, le rovine e i detriti dei bombardamenti della seconda guerra mondiale che proprio dalle parti del Palalido servirono per erigere il Monte Stella di Milano. Tempi per la conclusione dellopera. Nessuno li sa. Caso isolato? Nemmeno per sogno. Oggi a Milano lunico Palazzetto dello Sport a disposizione delle societ sportive quello edificato, a cura della Federazione Italiana Pallavolo, nel Centro Federale Pavesi dalle parti di via Gallarate. Niente Palalido, niente PalaSharp (pi famoso come PalaTrussardi), sulla cui ristrutturazione tutto tace. Niente Vigorelli, altro reperto preistorico che sarebbe dovuto diventare, nei piani dei vari assessori succedutisi

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a Palazzo Marino negli ultimi venti anni, la nuova O2 Arena di Milano. E qualcuno a Londra, a vedere com fatta quella vera, c anche andato. Il Palalido per lo specchio di un pezzo di Italia che non funziona, quello delle opere pubbliche: costose, in ritardo e spesso nate vecchie. Sono 7 su 10 le opere pubbliche in ritardo lavori, grandi o piccoli, che non riescono a rispettare le promesse, o meglio i vincoli previsti nel contratto d'appalto. Il dato dell'Autorit di vigilanza sui contratti pubblici, elaborato sulla base delle informazioni che gli stessi enti appaltanti trasmettono all'Osservatorio dei contratti pubblici considerato sulle opere aggiudicate e concluse, o meno, fra 2008 e 2011. Per primi, a creare aspettative poi disattese, sono i politici, abilissimi ad annun-

ciare miracoli senza avere cognizione dei tempi. Poi ci si mette la burocrazia che costringe a passaggi infiniti prima di poter avviare i lavori. E per finire, le imprese edili che molto spesso, adducendo cause di forza maggiore, prolungano i lavori per accedere a revisioni di prezzo che fanno lievitare i costi. Anche questa una piaga tutta italiana. Secondo la Corte dei Conti sui costi immediati o diretti della spesa dell'intervento pubblico per le grandi opere c' una lievitazione straordinaria calcolata intorno al 40 per cento. Insomma, tempi che si allungano a dismisura, costi che certamente saranno superiori e servizi alla citt e alla collettivit che ritardano, accumulando cos disagio a disagio. E per lo sport milanese, come detto, il problema ancora maggiore.

La soluzione? Forse sta nel riproporre lidea, pi volte suggerita in passato ma sempre accantonata, degli impianti di quartiere. Strutture semplici, veloci da realizzare con una capienza fra i 600 e gli 800 posti, che possano essere la vera risposta alle esigenze della societ sportive e del territorio. Spazi perfetti per fare allenare e giocare i giovani e per far uscire le societ dal rapporto, ambiguo e spesso conflittuale, con gli Istituti Scolastici con cui la convivenza, nelle palestre, sempre pi difficile. Certo servono investimenti, non molti in realt. Con un Palalido se ne potrebbero realizzare almeno una decina. E serve anche una visione di lungo periodo, un guardare oltre al proprio naso, che notoriamente, purtroppo non una caratteristica comune a molti degli amministratori e politici italiani.

TESTAMENTO BIOLOGICO E SENSO DELLA FAMIGLIA Giovanna Menicatti


La morte del Cardinal Martini ci fa meditare su un tema sentito da tutti, ma sul quale non facile discutere in maniera pacata: il fine vita e il testamento biologico. Vorrei fare una riflessione su Carlo Maria Martini inteso come semplice uomo affetto per tanti anni dalla malattia di Parkinson, una malattia degenerativa, che, non solo non gli ha impedito di vivere a lungo, ma neppure di svolgere la propria attivit per tanti anni. La malattia cronica con la sua inevitabile progressione, pu essere contenuta nel tempo e ben curata, con la collaborazione attiva del paziente e il sostegno della famiglia, permette di vivere la propria vita fino alle fasi pi avanzate, senza che subentrino grosse complicazioni e limitazioni delle funzioni cognitive. Martini stato curato da autorevoli specialisti, in strutture di eccellenza, dove, volendo, avrebbe potuto ricorrere a ulteriori trattamenti, anche invasivi, che avrebbero potuto prolungare la sua sopravvivenza, ma in piena libert e consapevolezza, ha rifiutato non le cure ordinarie, ma interventi sproporzionati che sarebbero sfociati nellaccanimento terapeutico e nella futilit. Oltre mezzo secolo fa gi erano presenti due differenti modi di esercitare la medicina: unattitudine medica estrema e unattitudine medica moderata. Nel primo caso, il medico, che considera suo dovere prolungare la vita il pi possibile con ogni mezzo messo a disposizione dalle nuove biotecnologie, tende a imporre al paziente e ai familiari spese e sofferenze eccessive senza ottenere alcun vantaggio tangibile. In questo modo, il medico non sar mai obbligato a prendere decisioni difficili e dolorose o potenzialmente imputabili. Inoltre, questa scelta ha numerosi vantaggi economici, non dimentichiamoci che molte strutture vivono su situazioni di questo genere, in cui letica si coniuga con il portafoglio. Nel secondo caso, invece, si tenta ogni cura possibile finch esiste una ragionevole speranza per farlo, prolungando la vita del malato solo se il paziente stesso pu averne benefici concreti. Quando ogni sforzo destinato a fallire, lunico dovere del medico quello di garantire al paziente ogni cura e lassistenza necessaria per controllare il dolore, ma senza sottoporlo a inutili e gravosi accanimenti. Questa scelta non impone sofferenze inutili al paziente, dolore ai familiari, e costi eccessivi alla struttura e alla societ. In questo caso la ragionevole speranza di beneficio e la libera scelta del paziente diventano elementi determinanti per escludere lobbligatoriet di un trattamento e ci sembra che su tali direttive si sia indirizzata la volont di Carlo Maria Martini. Questa scelta presuppone una profonda relazione medico paziente - familiari, precedentemente avviata su direttive condivise. una medicina rispettosa del limite, che evita scorciatoie semplicistiche e assurde ostinazioni ma valorizza la relazione daiuto, senza farsi trovare impreparata di fronte a scelte drammatiche non discusse ed elaborate, considerando la morte un evento naturale da accettare. Le scelte del paziente, la medicina come coinvolgimento relazionale, contrapposta a una medicina distante, letica della cura e la relazione daiuto vengono ulteriormente rafforzate, in tempi in cui si tende a privilegiare gli aspetti tecnicoscientifici rispetto a quelli psicologici ed etici. Sarebbe importante che i pazienti insieme con i familiari ne discutessero, ma con un certo anticipo, non con angoscia ma con la dovuta calma e lindispensabile equilibrio che questa scelta comporta. In questo senso, la discussione su come preparare il proprio testamento biologico, potrebbe essere la prima occasione per parlarne in famiglia. Pertanto la decisione di riesaminare la proposta di delibera per istituire a Milano il registro dei testamenti biologici, non pu che essere accolta positivamente. Ricordiamoci che San Francesco diceva: Laudato s mi Signore per sora nostra morte corporale.

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SE IL VECCHIO PD CI AVESSE PENSATO ... Ciro Noja


La tentazione di non andare a votare era, ed , forte. Non il terribile scadimento del buoncostume della politica che mi preoccupa. Certo, lo scandalo sembra senza pi freni, e i politici corretti si distinguono dai corrotti perch dichiarano di spendere in un anno 900.000 euro per affiggere manifesti a Roma, anzich spenderli per comprarsi la villa e il SUV. Con quei soldi, per fare un esempio, si garantiscono per un anno a 300 bambini disabili i trattamenti fisioterapici che le regioni vanno inesorabilmente tagliando. Mi chiedo: fa pi danno la disonest di quelli che sanno di rubare per il loro tornaconto o la stupidit di quelli che buttano soldi pensando di svolgere una utile azione politica? Non so, una bella lotta. Ma per me ancora pi disperante lincapacit di capire, anche ai massimi livelli dei partiti buoni, la necessit di una svolta profonda se si vuole evitare di sprofondare in un declino irreversibile. Mano a mano che le elezioni si avvicinano cresce la presa di distanze dei nostri politici rispetto a un governo che ci ha per ora evitato una catastrofe peggiore di quanto possiamo riuscire a immaginare e si preparano spudoratamente le contromisure che squaglieranno lavvio al risanamento e riapriranno lo scassinamento delle finanze dello stato: un solo esempio, il disegno di legge Damiano - su cui sono daccordo tutti, nessuno escluso - con il pretesto degli esodati, su cui pure ci sarebbe da discutere, proponeva n pi n meno il ritorno alla pensione di anzianit con 57 anni di et e 35 di contributi, alla faccia dei giovani che stiamo caricando dei nostri debiti.(*) Si potrebbe continuare a lungo, ma il cuore del problema semplice: la classe dirigente del PD ha smarrito la capacit di lettura della geografia sociale dei nostri tempi, non riesce a rielaborare una concezione di giustizia sociale commisurata alla nostra epoca, forse ignora il nuovo identikit degli strati sociali, donne e giovani, che nella societ di oggi sono espropriati di diritti e speranze; o comunque non in grado di candidarsi a rappresentare i loro bisogni e a proporre soluzioni per i loro problemi. Pensa che la via duscita dalla crisi sia la riproposizione delle ricette fallimentari e stantie che hanno contribuito al declino dellItalia degli ultimi decenni (declino che non raccontiamoci comode storielle consolatorie - esiste al netto della globalizzazione e della aggressione della finanza internazionale e che ci lascia disarmati di fronte ad esse). Questo , secondo me, il quadro sconsolante. Allinizio non ho preso sul serio la candidatura di Renzi. Abile, furbo, si, ma impresentabile: un bluff. Propone un ricambio di classe politica (che se lo merita) ma senza un programma. Dalla padella alla brace. Ho guardato il suo sito (www.matteorenzi.it) e letto il suo programma: vale la pena per chi ha voglia di spenderci dieci minuti di lettura.. Be adesso penso che ho gi sbagliato troppe volte sostenendo lusato sicuro. Se devo sbagliare ancora una volta, questa voglio sbagliare per aver rischiato sul voltare pagina. Nel programma c una visione piena di dichiarazioni di intenti condivisibili ed enunciati con chiarezza e concretezza, e senza compromessi. E soprattutto: cos almeno voter uno che al di fuori di tutte quelle consorterie incrostate di conservatorismo che costituiscono la rovina e limpossibilit di cambiamento del nostro paese. Provate a pensarci.

(*) Siccome sembra incredibile, il link della Camera a cui trovate il Ddl approvato in Commissione questo: leggere lart. 1 comma a)

LA PROPRIET DELLA CASA Marco Romano


La societ nata verso il Mille nelle citt europee ha alcune caratteristiche che sono rimaste da allora le medesime, soprattutto il rapporto tra la civitas linsieme dei suoi cittadini riconoscibili come un Comune e lurbs, la sua consistenza materiale nei suoi muri. Questa societ caratterizzata dalla libert il detto laria della citt rende liberi non pleonastico , una libert che consente a ciascuno di esercitare nel suo meglio una professione o un mestiere e di confrontare gli esiti della propria capacit nel mercato, a sua volta insieme una istituzione e un recinto murato ai margini dellincasato. La citt un cantiere sostiene Le Goff dove il ruolo di ciascuno nel mercato comporta la propriet degli strumenti del proprio lavoro e la propriet della casa dove esercitarlo e dove profittare degli oggetti n. 36 IV 24 ottobre 2012 prodotti dal lavoro altrui: la casa, con la sua inviolabilit sancita anche dalla nostra Costituzione, il presidio insieme della propriet e dicono le iscrizioni sullarchitrave dellingresso della libert di chi ne ha il possesso. Per essere cittadini della citt occorre avere giurato fedelt alle sue regole e alle sue consuetudini un giuramento pubblico, la conjiuratio, ripetuto in una pubblica cerimonia ogni anno e avere il possesso di una casa: chi in queste condizioni, abbia un lavoro riconosciuto e abbia un reddito superiore a una certa soglia, pu partecipare alla vita politica della civitas, ma se non raggiunge la richiesta soglia censuaria partecipa comunque alle mille forme della vita cittadina, assoggettandosi alle corve della guardia e della milizia, contribuendo a definire il contributo fiscale dei suoi concittadini, ma ha anche il diritto a un maestro elementare e a una scuola, a un medico condotto e a un ospedale, e a una sovvenziona pubblica nella povert. Questo profilo rimasto da mille anni il medesimo: se cambiamo comune di residenza ci verr chiesto di sottoscrivere il suo statuto e ci verr chiesto lindirizzo della nostra abitazione, che un vigile urbano verr a controllare qualche giorno dopo: possesso che potr consistere come consiste in affitto, in un mutuo, in leasing e quantaltro. Noi nasciamo per questo nella nostra famiglia una famiglia nucleare appena allargata ai parenti stretti ma in quanto persone socialmente riconosciute apparteniamo, come diceva Brunetto Latini, al nostro Comune, tutti accomunati da una medesima appartenenza alla civitas.

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Non questa la condizione dellIslam, intuita in piccolo libro da Henry Pirenne, Maometto e Carlomagno, descritta nel Trecento dal massimo sociologo della citt araba, ibn Khaldn: la sua citt dominata da clan separati tra loro, chiusi entro recinti che la sera chiudono le loro porte agli inizi dellOttocento erano al Cairo una quarantina e uniti da un indissolubile legame di sangue cui nessuno pu avere accesso se non nella forma subordinata di cliente, spesso in lotta tra loro per conseguire la supremazia sugli altri clan: chi sia attento alle vicende contemporanee dei paesi dellIslam riconoscer subito lemergere dei tradizionali conflitti tra i clan e le trib radicati anchessi secoli e secoli orsono, a testimoniare la permanenza delle nostre societ. Nelle citt europee i gruppi dominanti che vorranno impedire ai nuovi arrivati di diventare a pieno titolo cittadini acquisendo i diritti politici faranno mancare i terreni edificabili - quasi sempre ab antiquo di loro propriet per diritti di origine feudale o addirittura discendenti di antiche famiglie romane costringendoli ad abitare fuori dalle mura dove le loro case non comportano diritti politici: sono quartieri riconoscibili in tutte le grandi citt europee, a Milano fuori della porta Ticinese verso il sarcofago dei re Magi in SantEustorgio. Il progressivo affermarsi dei nuovi ceti sociali, i mercanti e gli artigiani che daranno vita ai Comuni delle gilde e delle corporazioni costringer a inglobarli allargando le cerchie delle mura: a Firenze quintuplicando alla fine del Duecento lestensione della citt. Dante Alighieri, nel suo spirito reazionario, rimpianger Fiorenza, dentro la cerchia antica, /ondella toglie ancora e terza e nona/si stava in pace, sobria e pudica mentre ora piena di quella spregevole gente nova e i subiti guadagni: ma la percezione che quellampliamento delle mura avesse consentito laffermazione della societ mercantile e della sua libera democrazia sar cos radicata che ancora duecentocinquantanni dopo Cosimo de Medici

far dipingere dal Vasari, sul soffitto del salone dei Cinquecento nel palazzo della Signoria, Arnolfo di Cambio nellatto di presentarne il progetto ai maggiorenti della citt. La strategia di limitare laccesso alla cittadinanza di nuovi venuti in qualche misura sgraditi facendo mancare i terreni edificabili dove possano costruirsi una casa da mille anni una costante cui viene fatto ricorso con molto seguito: per tenere lontani i vagabondi solo in parte trattenuti nelle work house delle parrocchie la prima regina Elisabetta vieter a Londra la costruzione di nuove case fuori dai limiti della citt esistente, e con una analoga scarsa fiducia nella reclusione dei poveri e dei vagabondi negli Hotel Dieu Luigi XIV pianter una corona di cippi intorno a Parigi vietando di costruire oltre il loro limite: ventanni dopo le case dei buoni borghesi con una porte cochre costruite abusivamente erano forse duemila, e fu giocoforza allargare i limiti e farli cittadini: mentre a Napoli la costruzione dellalbergo dei poveri fu preceduta da una severa tassa sulle nuove costruzioni. La percezione del nesso tra possesso della casa e cittadinanza rimarr cos pervasiva che agli ebrei, per principio indegni di diventare cittadini di una civitas cristiana, verr interdetta la propriet delle case del ghetto, che dovevano appartenere a cristiani: e non per consentire una speculazione alle spalle di una comunit ricca e usuraia, ch poi gli affitti saranno per secoli bloccati al loro ammontare originario e i contratti ereditabili e trasmissibili. Lo spirito egualitario dei rivoluzionari francesi decreter che la propriet di un terreno comportasse ipso iure la facolt di costruire, sicch i piani regolatori cominciarono a venire costituiti da disegni che coprivano tutto il territorio comunale con una rete di strade il cui sedime, quello s, non poteva venire edificato ma il cui valore veniva riconosciuto ai lotti contermini come riduzione dei contributi di miglioria. La strategia conclamata negli anni Trenta di voler contenere lurba-

nesimo non riusc a venire accompagnata da quelle limitazioni adottate fino al Settecento perch i piani regolatori erano in effetti molto estesi e gli interessi gi costituiti sulle loro previsioni difficili da scardinare e anzi una citt come Latina, nel fulgore del suo piano tradizionale, non poneva eccesivi limiti al proprio futuro e sar soltanto la legge del 1942 a rendere giuridicamente praticabile, sia pure con qualche riserva, di porre alla futura edificazione proprio come quel limite posto da Luigi XIX. Preme qui sottolineare come le restrizioni a una larga disponibilit di terreni edificabili costituisca da secoli il nerbo di una strategia politica che, riducendo drasticamente le chance di procurarsi una casa con il cui possesso diventare a pieno titolo cittadini, impedisce ai nuovi venuti il pieno accesso alla cittadinanza, e posso rimanere sorpreso che questa strategia venga adottata non soltanto da quel reazionario di Dante Alighieri ma di quanti dichiarano di voler essere progressisti e di voler liberamente integrare nella nostra societ i nuovi arrivati. Gli storici del nostro medioevo da Jacques Le Goff a Roberto Sabatino Lopez a Edith Ennen hanno spesso rilevato la coincidenza degli stati danimo di quei secoli lontani con quelli della nostra societ contemporanea, e a me sembra, leggendo i loro libri e studiando centinaia di citt europee, di aver vissuto mille anni: cos la resistenza di chi gi cittadino a promuovere la cittadinanza di chi non lo ancora rarefacendo in qualche modo i terreni edificabili mi sembra la versione attuale di una prassi ricorrente come un fenomeno carsico, ogni volta giustificata con motivazioni ad hoc compatibili con qualche leit motiv contemporaneo, che lascio ad altri per esempio a Marco Ponti sul numero scorso di ArcipelagoMilano di mettere in dubbio, e lascio anche volentieri a Friedrich Engels la priorit e la fortuna dellidea che il problema dellabitazione potesse venire risolto destinando a chi non aveva una casa il surplus della case dei ricchi.

DOPPIA PREFERENZA Sara Valmaggi*


La nuova legge elettorale regionale deve prevedere la doppia preferenza di genere. Questo per ragioni ormai evidenti. In Lombardia le donne contano; sono affermate in tutti i settori della vita sociale e produttiva, mentre continuano a essere unesigua minoranza nelle istituzioni. A oggi le consigliere sono solo 9 su 80, ancor meno che nella precedente legislatura, quando erano 12.

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www.arcipelagomilano.org Non deve pi essere cos. La necessit quella di introdurre meccanismi legislativi di riequilibrio di genere, che portino a una democrazia compiuta, con pari opportunit di votare e di essere eletti. Riconosciute, sia pure solo dal 1946, come cittadine, le donne infatti vivono ancor oggi unasimmetria di potere, che un indicatore simbolico del mancato processo di equit e di eguaglianza tra i generi. Una mancanza che deve essere sanata. Per questo, con tutti i gruppi regionali di Centro sinistra, abbiamo chiesto che, nella nuova legge elettorale, che dovrebbe essere lultimo atto della legislatura, oltre alleliminazione del listino, sia introdotta la doppia preferenza di genere. La norma, gi contenuta nella legge elettorale della Regione Campania dove, dopo la sua introduzione, nelle elezioni del 2010 le donne elette sono passate da 2 a 14, prevede che, nel caso siano espresse due preferenze, una debba andare a una candidata di genere femminile. questo infatti, anche a detta dei maggiori studiosi della materia, lo strumento migliore per evitare lesclusione delle donne dalla vita politica. In un sistema elettorale basato sulle preferenze come quello regionale lasciare la possibilit di esprimere una sola preferenza porta difficilmente, come la storia ha dimostrato, le donne a essere elette, perch generalmente i partiti non le supportano nella campagna elettorale. La norma sulla doppia preferenza di genere ha gi passato anche il vaglio della Corte costituzionale che ha ritenuto infondata sia la violazione del diritto dellelettorato attivo, sia la violazione del diritto di voto, prospettata dal Governo in un ricorso nel 2010. Anzi per la Corte la misura non solo non illegittima ma persegue il riequilibrio della rappresenta politica dei sessi allinterno del Consiglio regionale. Ma non solo. La doppia preferenza di genere gi prevista dal testo di legge per le elezioni amministrative, approvato recentemente in Senato. Da parte sua il Partito Democratico lha inserita nel progetto di legge regionale per lelezione del consiglio, presentata nel marzo del 2011. Lo Statuto della Regione Lombardia, inoltre, approvato nel 2008, contiene esplicitamente il principio di democrazia paritaria. Allarticolo 11 stabilisce che la Regione riconosce, valorizza garantisce le pari opportunit tra uomini e donne in ogni campo, adottando programmi, leggi, azioni positive e iniziative atte a garantire e promuovere la democrazia paritaria nella vita sociale, culturale, economica e politica. Un articolo rimasto lettera morta, quello sulla democrazia paritaria, disatteso da Formigoni, che ha avuto bisogno di una sentenza del Consiglio di Stato per portare in giunta un numero comunque esiguo di donne, e che anche nella sua ultima giunta precaria ne ha inserite solo 2 su 11, ma che ora pu, per la prima volta, essere affermato. Con la fine del ventennio formigoniano per la Lombardia si apre una stagione di rinnovamento radicale, che deve vedere da subito le donne protagoniste, come elettrici e come elette. Un protagonismo che potr esprimersi anche grazie alla doppia preferenza di genere.

*vicepresidente regionale

del

Consiglio

Scrive Enzo Dorizzi ad ArcipelagoMilano


Passando in piazza Cadorna ho letto il cartello lavori: importo progetto 6.232.100 seimilioni offerta 3.444.623 tremilioni contratto 3.539.852. Ho visto uscire dalla "porta cantiere" due signorine, giovani, forse dalle belle arti ... . Ho chiesto loro se ci fosse qualche sostituzione speciale dei pezzi no, solo speciali materiali per protezione, verniciature etc. Conteggio da semplice cittadino: n. 4 operai specializzati X 5000 /lordi Xmesi 6 = 120.000 + materiali + + + etc etc. 1 milione? 2 milioni? Forse bene che venga richiesta una verifica dell'appalto per eccesso di onerosit, o sbaglio?

MUSICA questa rubrica curata da Palo Viola rubriche@arcipelagomilano.org Serate Musicali


Uninaugurazione di stagione a dir poco grandiosa, quella che gioved scorso hanno offerto le Serate Musicali (la benemerita associazione diretta da Hans Fazzari e da Luisa Longhi che si sta avvicinando al quarantesimo anno di attivit) con il concerto dellOrchestra Nazionale del Belgio diretta da Andrey Boreyko e con la partecipazione della violinista Akiko Suwanai: una grande Orchestra di un centinaio di elementi (di cui si potuto ammirare la perfetta disciplina che nelle orchestre italiane purtroppo rara) e una bravissima e incantevole solista giapponese - nel 1990 fu la pi giovane musicista a vincere il premio aikowskij - tanto brava che le stato offerto in uso un famoso Stradivari dal suono magico che appartenne a Jascha Heifetz. Anche il programma era di grande fascino e di ancor maggiore impegno: il Concerto per violino e orchestra in re maggiore opera 77 di Johannes Brahms e la fantastica Sinfonia Fantastica (non una svista) opera 14 di Hector Berlioz. Suonare in tourne allestero, per unorchestra, un po come giocare fuori casa per le squadre di calcio; la sala, lacustica, le luci, soprattutto il pubblico di cui non si conoscono gli umori e le consuetudini (i pubblici italiani soffrono molto di raucedine per sono molto generosi negli applausi finali), creano sempre un po dimbarazzo; se poi si aggiunge che

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www.arcipelagomilano.org Andrey Boreyko stato nominato direttore principale di quella orchestra solo da pochi mesi, e dunque non si ancora creato quel magico affiatamento che rende possibile il miracolo del suonare insieme di tante persone, si pu comprendere qualche tentennamento iniziale e qualche attacco impreciso. Ma senza andar troppo per il sottile il suono dellorchestra era di ottima qualit e cos le interpretazioni di Brahms e di Berlioz che hanno proposto direttore e solista, tanto che la sala del Conservatorio, letteralmente strapiena, ha preteso il bis non solo dalla concertista (un Bach portato a livelli incredibili di pulizia e di rarefazione) ma anche dallintera orchestra (una commossa Danza Slava di Antonin Dvo k); la quale orchestra - essendo appunto nazionale - ha giustamente inalberato sul palcoscenico le tre bandiere, la belga, litaliana e leuropea! La grintosa e ineccepibile Suwanai ha dato del Concerto brahmsiano una versione molto passionale ma anche di grande equilibrio; uno dei pi defatiganti cimenti del repertorio violinistico, se non altro per la presenza assidua del solista che deve essere sul pezzo dallinizio alla fine, senza tregua, soprattutto nel terzo tempo, con quel tema che sembra un colpo di frusta e un ritmo che travolge ogni cosa. Il Concerto, scritto nel 1878 da un Brahms gi quarantacinquenne e tuttavia ancora alle prime armi con il violino solista, dedicato al genio di quello strumento, Joachim, che dopo aver dato una mano allautore durante la gestazione lo ha anche eseguito per la prima volta e ne ha scritto la bella cadenza, ancora oggi la pi eseguita (cos ha fatto anche la Suwanai), di tale modernit da sembrare scritta da un contemporaneo. Unico punto debole, nella esecuzione del concerto in re, era una sostituta-timpanista (che nella successiva sinfonia ha infatti lasciato il posto al titolare dello strumento), palesemente non in grado di sostenere lorchestra, che ha creato qualche difficolt al direttore. Nellorchestra sinfonica il ruolo del timpano fondamentale (ricordiamo il celeberrimo Luigi Torrebruno, negli anni doro dellorchestra della Scala, o la mitica Viviana Mologni, lattuale titolare nellOrchestra Verdi) perch con lassoluta precisione dei tempi, o con quei minimi anticipi o ritardi che fanno la differenza, deve imprimere ritmo agli altri strumenti s da diventare in determinate occasioni una sorta di braccio destro del direttore. Interessante notare come lorchestra - nel passare da un concerto con solista a una sinfonia, liberandosi dunque dalla necessit della concertazione con terzi estranei migliori sovente le sue prestazioni e ritrovi compattezza, slancio, sicurezza; e cos infatti accaduto anche laltra sera nel passaggio da Brahms a Berlioz. La Sinfonia Fantastica unopera giovanile (Berlioz aveva 26 anni quando vi ha messo mano!) e tuttavia anche lopera pi celebre del suo autore; tuttaltro che facile - di essa si ascoltano spesso esecuzioni enfatiche e urlate - stata eseguita in modo esemplare dallorchestra belga anche grazie alla lettura consapevole che ne ha dato Boreyko. Segno di grande maturit di un direttore che, nato a San Pietroburgo in epoca stalinista, cresciuto girando il mondo fra tante orchestre di diverse nazioni. Se il buon giorno si vede dal mattino, avremo unottima stagione delle Serate Musicali che ci rimandano al loro appuntamento settimanale del luned sera al Conservatorio. Da non perdere Milano Classica inaugura domenica 28 ottobre alle ore 11 la sua XXI Stagione Concertistica. Il primo appuntamento, nella tradizionale cornice della Palazzina Liberty, con il concerto di Lorna Windsor (soprano) e Andrew Beall (marimba) diretti da Richard Haglund e accompagnati dallOrchestra da Camera Milano Classica insieme ai Virtuosi degli Horti. Il programma comprende il Divertimento in fa maggiore K. 138 di Mozart, la Canoneta per violino e archi di Joaquin Rodrigo (19011999), il Song of Almah di Andrew Beall (1971), lAndante cantabile per violoncello e archi di ajkovskij (1840-1893) e la Holberg Suite di Grieg (1843-1907).

ARTE questa rubrica a cura di Virginia Colombo rubriche@arcipelagomilano.org Juergen Teller. The girl with the broken nose
Per la sua prima personale italiana, Juergen Teller ha scelto una location di primo piano: gli appartamenti di Palazzo Reale. La mostra, curata da Francesco Bonami, racconta attraverso nove fotografie di grande formato, alcuni tra i lavori pi recenti del famoso fotografo di moda tedesco. Dopo aver immortalato icone mondiali come Kate Moss, Maricarla Boscono, Bjork e tante altre modelle e attrici in atmosfere e pose fuori dal comune; dopo aver pubblicato i suoi servizi su Vogue, e aver collaborato alle campagne pubblicitarie per Vivienne Westwood e Marc Jacobs, ecco presentare oggi The Girl with the broken nose, fotografie di grande formato, immagini, libri e appunti n. 36 IV 24 ottobre 2012 visivi, che documentano la carriera dell'artista e dialogano in modo inaspettato con il decorativismo delle salette di Palazzo reale. The Girl With The Broken Nose la scultura di cemento di una bambina, a cui il passare del tempo ha portato via il naso, unimmagine decadente ma romantica al tempo stesso, che diventa simbolo della mostra e del percorso creativo che unisce questi nove lavori fotografici. Appese a fili sottili, le fotografie offrono modelle languidamente sdraiate in paesaggi naturali, o in interni riccamente decorati, attori alle prese con gesti pi o meno quotidiani, cos come immagini di interni dal gusto raffinato e paesaggi incontaminati. Non poteva mancare anche lamica di vecchia data, tra queste foto, la stilista Vivienne Westwood, che si offre, un po a sorpresa, allobiettivo di Teller nuda e cruda, con un sorriso sornione, adagiata tra i divani. Unassonanza di immagini e colori che ben si sposano, inaspettatamente, con lambientazione neoclassica delle sale, elemento di peso con cui fare i conti, ma che Juergen Teller riesce invece ad integrare con gusto. Uno scambio tra fotografia, moda e arte, sempre pi legate tra loro, che porta anche a proporre. piccole fotografie sotto vetro, che raccontano la storia di anziane signore e della madre dellartista, allinterno dei boschi della sua infanzia. Ricordi e 11

www.arcipelagomilano.org momenti semplici di una vita prefashion. Juergen Teller The girl with the broken nose Palazzo Reale fino al 4 novembre, ingresso gratuito

Cadaveri in mostra - Body Worlds


Body Worlds il titolo della mostra che ha dato, e continuer a dare scandalo e suscitare perplessit. In pratica, si tratta di unesposizione di cadaveri, o di parti di essi, completamente ridotti nelle loro parti pi essenziali: muscoli, ossa, vasi sanguigni ecc. Sembra la descrizione di un film dellorrore, in realt una mostra che vuol essere scientifica e didattica. E perch no, anche un poco artistica. Body Worlds - Il vero mondo del corpo umano, gi stata visitata da oltre trentaquattro milioni di persone nelle sessanta citt del mondo in cui ha fatto tappa, di cui solo 200.000 a Roma e Napoli. La mostra celebra il corpo umano, facendo luce sui segreti della sua anatomia e del suo funzionamento, spiegando con parole semplici e comprensibili a tutti informazioni e questioni scientifiche sui temi della salute, delle malattie, del benessere e della vita in generale. Come possibile tutto questo? Lidea di questo circo dei morti del Dr. Gunther von Hagens, che dal 1977 ha inventato e continuamente modernizzato la tecnica della plastinazione, attraverso la quale si sostituiscono ai liquidi corporei polimeri di silicone, rendendo perfettamente conservabili nel tempo tessuti e organi umani e animali. Il fine della mostra assolutamente medico, come precisano gli organizzatori, allinizio questi esperimenti servivano soprattutto per gli studenti di medicina, ma col tempo si estesa la possibilit di questa particolare materia anche al grande pubblico, per mostrare, in modo ravvicinato, come funziona davvero il corpo umano, con tutti i suoi segreti e le sue risorse, per permetterne davvero una piena comprensione. La domanda sorge spontanea. Chi sono-erano queste persone che oggi, alla Fabbrica del Vapore, ritroviamo letteralmente a pezzi dentro delle vetrine o impiegate in strane pose plastiche? Le tante mostre che Body Worlds ha creato dagli anni 80 a oggi sono state possibili grazie a specifici programmi di donazione del corpo, nel quale i donatori dispongono esplicitamente che i loro corpi possano essere esposti a Body Worlds dopo il decesso. A oggi i registri dellistituzione contano pi di 13.000 donatori registrati, tra viventi e deceduti. Oltre a vedere nel dettaglio organi, in salute e affetti da patologie, ossa, sezioni di tessuto ecc, c anche spazio per lestetica. In mostra infatti sono presenti corpi posizionati in atteggiamenti e pose varie, per mostrarne a pieno il funzionamento dei muscoli, dei nervi ecc. Tra gli altri ricordiamo una toccante coppia di ballerini, un giocatore di basket, uno sciatore, tre ironici giocatori di poker e addirittura un cavaliere su cavallo. Tutti, ovviamente, fatti di scheletro e tessuti muscolari ben in vista. Ma non c niente di macabro o di cattivo gusto, come spiega lideatore, Gunther von Hagens: "L'esposizione Body Worlds un luogo destinato alla divulgazione e alla riflessione intima, un luogo dedicato all'autoconsapevolezza filosofica e religiosa. Non un cimitero illegale, n un salone di bellezza postmortem. Mostra il corpo quale miglior rappresentante dell'anima, che si porge al visitatore di mentalit aperta". Una mostra per stomaci forti. Gunther von Hagens Body Worlds Milano, Fabbrica del Vapore via Procaccini 4 fino 17 febbraio 2013 biglietti: intero 15,00 euro, ridotto over 62, studenti, 14 euro La mostra aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00 con orario continuato. Il gioved e il sabato lorario dalle 10.00 alle 23.00 con orario continuato.

Gli omini equilibristi di de Braud


Alberto de Braud ritorna al Museo Diocesano. Dopo aver fatto volteggiare nel chiostro lopera Unexpected, due enormi mele sospese nellaria, estate 2008, de Braud ritorna al Museo per presentare, e forse terminare, un tema che lo ossessiona da anni. Fine del gioco infatti il titolo della personale dellartista, in cui quaranta opere, per lo pi sculture, mostrano e ci fanno vivere due decenni costellati di piccoli omini. S perch sono proprio degli omini, piccoli, a volte paffuti, a volte piatti e stilizzati, i protagonisti dellopera artistica di de Braud, che li declina in ogni variazione. Linee, piramidi, grappoli, accumuli precari, totem, che fanno di questi omini i protagonisti assoluti della mostra. Ci si accorge subito di quali sono i temi affrontati da de Braud in queste opere: la ripetizione, laccumulazione, lincertezza e la ripetizione delle forme, il modulo, che ritorna costantemente. Lequilibrio precario di questi omini, veri e propri equilibristi che si sfidano lun laltro a raggiungere la cima di una metaforica piramide, che si accalcano in code che sembrano protrarsi allinfinito, mentre altri ancora lottano per cercare di non precipitare nel vuoto sottostante, metafora delluomo moderno. Stretto, spintonato, fragile come non mai e schiacciato dalla societ e dai suoi simili, preso da mille impegni e da obbiettivi sempre pi ambiziosi, che siano di vita o di carriera. Questa sensazione di soffocamento nulla porter di buono, lo spazio sulla Terra, cos come le risorse, non sono inesauribili, ci sembra suggerire de Braud, che nella sua opera sembra voler far riflettere, o almeno far suggestionare, su temi come il futuro prossimo e la globalizzazione, con tutti i problemi economici e ambientali che questa comporta. Perch intitolare tutto questo Fine del gioco? Perch questa mostra dovrebbe liberare lartista dalla sua ossessione per lomino-feticcio, portare a conclusione largomento uomo e riuscire quindi a sviluppare altri temi di ricerca, che gi aveva portato avanti egli anni. Non detto per che questa ne sia davvero la conclusione. Luomo, daltra parte, rimane centrale nellarte come nella filosofia, ed motore e fine di (quasi) ogni cosa.

Alberto de Braud Fine del gioco Museo Diocesano, corso di Porta Ticinese, 3 ottobre 11 novembre 2012, Orari: dal marted alla domenica, 10-18, luned chiuso. Ingresso: intero: 8 Euro; ridotto 5 Euro

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Dal 1953 a oggi: Picasso a Milano


Picasso torna a Milano. I capolavori del genio spagnolo arrivano in citt con una grande ed emozionante retrospettiva. Le opere, pi di 200, arrivano dal museo pi completo e importante per quanto riguarda la produzione dellartista: il Muse Picasso di Parigi che, chiuso per restauri fino al 2013, ha deciso di rendere itineranti le sue collezioni e di presentarle in tutto il mondo. Prima della tappa milanese infatti le opere sono state esposte in America, in Russia, Giappone, Australia e Cina. Certo non la prima volta che Picasso arriva a Milano. Oltre alla grande mostra del 2001, ci fu unaltra kermesse, che fece la storia delle esposizioni museali in Italia, la grande mostra del 1953. Una mostra dalla duplice tappa italiana, prima Roma e poi Milano, ma che ha avuto nei suoi sviluppi meneghini una risonanza e unimportanza non paragonabile a quella romana. Voluta fortemente dal senatore Eugenio Reale, la mostra romana si presentava ricca s di opere, ma parzialmente oscurata per motivi politici. Ad esempio non compariva il Massacro in Corea (presente oggi in mostra). Ledizione milanese, organizzata dallinstancabile Fernanda Wittgens e dai suoi collaboratori, fu invece ancora pi ricca di opere, scelte dallo stesso Picasso, con addirittura larrivo, a mostra gi iniziata, di Guernica, celeberrimo dipinto del 1937, e manifesto contro la guerra franchista. Dipinto che per la sua importanza fu sistemato, su richiesta di Picasso, nella sala delle Cariatidi, che per contratto non doveva essere restaurata dopo le devastazioni della guerra, proprio per creare un connubio e un monito fortissimo a memoria degli orrori e delle devastazioni belliche. Proprio da questa stessa sala prende avvio oggi la mostra Picasso. Capolavori dal Museo nazionale di Parigi, che racconta in un percorso cronologico e tematico la vita e le opere dellartista. Insieme alle fotografie che ci mostrano attimi di vita, amori, amici e ateliers dellartista spagnolo, in mostra dipinti, sculture e opere grafiche create durante la sua lunghissima vita. La mostra, curata da Anne Baldassari, presidente del museo parigino, illustra le varie fasi e gli stili che Picasso us, spesso in contemporanea, durante la sua carriera. Si inizia con lapparente classicismo e malinconia dei periodi blu e rosa, di cui sono memorabili opere come La morte di Casagemas, dipinto dedicato allamico morto suicida, la misteriosa Celestina e I due fratelli. Ma gi dal 1906 si intuisce linfluenza che larte primitiva, africana e iberica, avranno su Picasso. Sono questi gli anni che vedono la nascita dei tanti disegni preparatori per il capolavoro assoluto, Les Demoiselles dAvignon, 1907 (conservate al MoMA di New York). Lautoritratto nudo, gli studi di donna, sono tutti dipinti in cui il Cubismo inizia a prender forma, semplificando e rendendo impersonali volti e sessi. Ma la rivoluzione vera arriva intorno al 1912, quando Braque e Picasso inventano i collage, e la forza dirompente delle loro sperimentazioni porta alla nascita del Cubismo, analitico e poi sintetico, in cui la figura viene prima scomposta, resa irriconoscibile, come nel Suonatore di chitarra e Il suonatore di mandolino, per poi tornare a inserire elementi di realt, come lettere, numeri, scritte o veri e propri elementi oggettuali. Ma Picasso non solo Cubismo. Negli anni 20 segue, a suo modo, il Ritorno allordine dellarte, con le sue Bagnanti e le sue donne enormi, deformate, possenti e monumentali, omaggi agli amici impressionisti come Renoir. Sono gli anni in cui conosce anche Breton e i Surrealisti, e in cui crea figure disumane e contorte, mostri onirici che ci mostrano le pulsioni sessuali e le ossessioni del pittore. La guerra per, sconvolge tutto. Oppositore della dittatura franchista, Picasso non pu far altro che denunciare gli orrori e la violenza della guerra con sculture e dipinti dai toni lividi, come Guernica, o nature morte popolate di crani di tori, capre e candele dalla fiamma scura. Non mancano i ritratti dei figli e delle donne amate: Fernande, Dora Maar, Marie Therese, Francoise, Jacqueline e la bellissima Olga in poltrona, dipinto che Picasso conserver fino alla propria morte, appeso sopra il letto. Ritratti ma anche autoritratti dellartista, dipintosi davanti al cavalletto, o con una modella nello studio, tema prediletto per dipingere la Pittura, il vero amore della sua vita. Picasso dipinse fino a poco prima di morire. Degli ultimi anni sono i dipinti che riprendono i maestri a lui pi cari, Matisse, Velazquez, Delacroix, ma anche un lucido autoritratto in cui lartista si rappresenta sempre pittore ma con un volto che sembra gi un cranio dalle orbite vuote (Il giovane pittore, 1972). Morir lanno seguente. Una mostra completa, che prende origine dallincredibile collezione del Museo Picasso di Parigi, forte di pi di 5.000 opere, donate in vari nuclei da Picasso stesso e in seguito, direttamente dagli eredi. Ieri come oggi le opere di Picasso potranno ancora insegnarci qualcosa, monito e delizia dei tempi moderni.

Picasso. capolavori dal Museo Picasso di Parigi Palazzo Reale, fino al 6 gennaio 2013, orari: luned, marted e mercoled: 8.30-19.30 gioved, venerd, sabato e domenica: 9.30-23.30; biglietti: 9,00 intero, 7,50 ridotto

Peter Lindbergh. Tra moda e cinema fantascientifico


Durante la Vogue Fashions night out ha inaugurato la personale del fotografo tedesco Peter Lindbergh, presso la galleria Carla Sozzani in Corso Como 10. Non cera location migliore per proporre questa mostra fotografica se non proprio una galleria darte legata a doppio filo col mondo della moda e del glamour, vuoi per la parentela tra Carla e Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, o vuoi per il grande store di n. 36 IV 24 ottobre 2012 lusso al piano terra, 10 Corso Como, appunto. Ma soprattutto Lindbergh nasce come fotografo di moda, come autore di alcune fotografie che hanno fatto un po la storia di giornali internazionali come Vanity Fair, Rolling Stone, Harpers Bazaar e naturalmente, Vogue America. Una carriera lunga, che nasce in Germania, si sposta in Svizzera, in Spagna, a Parigi e sbarca poi in America, dove, nel 1988, Anna Wintour, super direttrice di Vogue, mette Lindbergh sotto contratto. Da l al successo mondiale il passo breve. La mostra divisa in due sezioni. La prima, intitolata Known-Images of women, una selezione di quaranta immagini tra le pi significative della carriera di Lindbergh, e che sono comparse sui pi importanti giornali di moda internazionali. Grandi fotografie in bianco e nero 13

www.arcipelagomilano.org che ci restituiscono immagini di donne bellissime come Kate Moss, Naomi Campbell e Linda Evangelista, e che evidenziano quella ricerca formale e quellallure glamour che solo le foto di alta moda, e di grandi fotografi, sanno offrire. La seconda parte, intitolata The Unknown, pi innovativa, e mostra un taglio creativo inaspettato. The Unknown fa parte di un progetto di ricerca personale dellartista, che dopo averlo presentato nel 2011 a Pechino, prosegue e aggiunge immagini a questo percorso a s, senza ordine temporale o logico, e che richiama da vicino il mondo del cinema, altra passione di Lindbergh. Queste fotografie mostrano modelle e attrici famose, Kate Winslet, Amber Valletta ma soprattutto Milla Jovovich, che non sono pi solo modelle inarrivabili ma donne che devono vedersela addirittura con catastrofi planetarie. Lo scenario fantascientifico, con richiami ai film del compatriota Fritz Lang, in cui incendi, disastri e caos sono disseminati nelle grandi metropoli americane, e davanti alle quali le affascinanti protagoniste di Lindbergh restano sconvolte e confuse, alcune catatoniche, ma sempre armate di rossetto rosso, in questo improbabile Armageddon. Gli elementi per creare suspance ci sono tutti: pericoli e minacce ambientati nei deserti californiani, alieni che rapiscono lattore Fred Ward e la sua compagna, ma anche spiragli di set hollywoodiani non troppo nascosti allobiettivo della macchina fotografica. Immagini che sembrano davvero fotogrammi di un film, in un continuum sempre pi indissolubile tra queste due arti predilette da Lindbergh. Peter Lindbergh. Known and "The Unknown" - Galleria Carla Sozzani. Fino al 4 novembre Orari: Luned ore 15.30 - 19.30 Marted, mercoled, gioved, venerd, sabato ore 10.30- 23 Domenica ore 10.30 19.30 Ingresso libero

LIBRI questa rubrica a cura di Marilena Poletti Pasero rubriche@arcipelagomilano.org Miti doggi
Marino Niola Bompiani Pagine 153, euro 11,00
Quando il mito nasce Sono le cose a potenziare le immagini, quando diventa mitologia sono le immagini a potenziare le cose In esergo la citazione tratta dal Tagebucher di J.W.Goethe, introduce il bel saggio di Niola sui miti dellattimo fuggente che caratterizzano la nostra epoca. Antropologo della contemporaneit, docente allUniversit Suor Orsola Benincasa di Napoli, editorialista di La Repubblica e tante altre cose ancora, Niola ci guida attraverso i simboli che danno corpo a sogni e incubi, passioni e ossessioni del nostro tempo. Ipad, You tube, Facebook, Wi-fi, outlet, happy hour, sono gli strumenti-concetti di questera tecnologica che insieme a valori-concetti come bellezza, velocit, giovinezza, magrezza, esprimono la mutazione antropologica in atto. Niola spiega come noi, attori-spettatori, restandone sedotti, ne subiamo il potere, con modalit che la tecnologia consumistica impone, ovvero a tempo determinato. A differenza dei miti dellantichit, grandi narrazioni fatte per durare e incidere nellimmaginario, oggi, infatti, ci troviamo a fronteggiare mitoidi che viaggiano alla velocit della luce, schegge luminose che nascono e muoiono, lasciando spesso dietro di s solo unombra. Virtualit, precariet, inconsistenza del reale sono le parole che definiscono le effimere icone della nostra vita quotidiana. Miti per un attimo, presto sostituiti da altri che a loro volta avranno vita e valore per un solo momento. Sono passati cinquantanni dallopera cult di Roland Barthes Miti doggi - ritratto profetico e corrosivo della nascente societ dei consumi analizzata attraverso i suoi oggetti simbolo - e la a nostra societ, ora come allora, si trova di fronte a nuovi mondi da scoprire e da nominare, ma la loro perpetua e rapidissima trasformazione richiede spiegazioni e reazioni differenti. Noi navigatori digitali di ancor breve esperienza dobbiamo imparare a procedere senza autodistruggerci, perch come scrive Niola <ciascuno voyeur ed entomologo, soggetto e insetto, di una realt ancora in frammenti, di una zoologia imperfetta fatta di individui non ancora raggruppati in specie>. (Daniela Muti)

TEATRO questa rubrica a cura di Emanuele Aldrovandi rubriche@arcipelagomilano.org Rosso


di John Logan traduzione Matteo Colombo regia Francesco Frongia con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaa luci Nando Frigerio produzione Teatro dellElfo

Di una cosa sola al mondo io ho paura, amico mio che un giorno il

nero inghiotta il rosso. John Logan, sceneggiatore di grandi successi

hollywoodiani come Ogni maledetta domenica e Il gladiatore, dimostra

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tutta la sua abilit nel riuscire a portare in scena una persona realmente esistita (il pittore Mark Rothko) trasformandolo in un personaggio teatrale assolutamente credibile, facendo emergere la sua personalit le idee, le contraddizioni e il carattere attraverso il confronto con il suo aiutante Ken, unaspirante pittore che non riuscir, in pi di due anni di rapporto quotidiano con Rothko, a fargli vedere un proprio quadro. Logan si concentra sul periodo della vita del pittore in cui, nel 1958, gli viene commissionata una serie di quadri per il ristorante Four Season di New York. Il testo funziona bene perch i nodi tematici e i rapporti personali emergono sempre in relazione alla pittura di questi quadri, che Rothko esita a fare, contempla, e su cui filosofeggia chiedendo a Ken di fargli da spalla nel dialogo, di dargli la battuta; e Ken lo fa, prima con voce rotta e deferente, poi acquisendo sempre pi sicurezza fino ad arrivare a dialogare davvero con lui, anche prima che Rothko lo riconosca come uomo e non come semplice aiutante/spalla. Rothko vorrebbe intrappolare losservatore in una stanza in cui tutte le porte e le finestre sono murate, in cui lunica cosa che gli resti da fare sia sbattere la testa contro i muri. Il pittore vorrebbe creare un tempio

per i suoi quadri, per il suo rosso, ma quel tempio come gli fa notare Ken, prima con rispettosa ironia e poi con irritazione non altro che un ristorante in cui persone facoltose singozzano muovendo le fauci, fanno stridere le forchette sui piatti e parlano, parlano, parlano. I quadri di Rothko non sarebbero altro che un addobbo, una decorazione e Ken accusa il pittore di saperlo benissimo, da sempre, da quando ha accettato, e di averlo fatto solo per orgoglio. Il rapporto fra i due cresce durante gli anni, ma non come ci si aspetterebbe, cresce in maniera originale, per sbalzi, attraverso liti e avvicinamenti, momenti in cui il maestro e laiutante si confrontano quasi alla pari e altri in cui il ruolo e let li dividono ponendoli su due sponde opposte dello stesso fiume. Il fiume larte, la concezione di creazione e di creativit, il filo conduttore di tutto lo spettacolo: i giovani che scalzano i vecchi e che a loro volta diventano i vecchi da scalzare. In questo dialogo sullarte si pu leggere anche un meta-teatrale passaggio di consegne in cui lattore affermato e di indiscusso talento, Ferdinando Bruni, accompagna il giovane collega/allievo Alejandro Bruni Ocaa, bravissimo e allaltezza della parte, verso il futuro, cos come Rothko, licenziando

Ken nel momento in cui la prima volta che per me esisti davvero, lo spinge a cercare, trovare e seguire una sua strada. Uno spettacolo emozionante, diretto da Francesco Frongia con una grande attenzione estetica agli spazi e alle luci (e non sarebbe potuto essere diversamente, visto che di spazi e luci si parla per gran parte del tempo), dove la sintonia fra i due attori in scena trasforma un bel testo in materia viva. Teatro Elfo Puccini dal 10 al 28 ottobre. In scena Al Teatro Filodrammatici fino al 28 ottobre Push-up di Roland Schimmelpfenning, regia di Bruno Fornasari. Al Teatro Elfo Puccini dal 16 ottobre al 4 novembre La discesa di Orfeo di Tennessee Williams, regia di Elio De Capitani. Al Teatro Tieffe Menotti dal 26 al 28 novembre La manomissione delle parole di e con Gianrico Carofiglio. Al Piccolo Teatro Studio dal 23 al 28 ottobre dal Lei dunque capir di Claudio Magris, regia Antonio Calenda.

CINEMA questa rubrica a cura di M. Santarpia e P. Schipani rubriche@arcipelagomilano.org Sister


di Ursula Meier [L'enfant d'en haut, Francia/Svizzera, 2012, 100'] con: Kacey Mottet Klein, La Seydoux, Martin Compston, Gillian Anderson
Abita gi alle case popolari Simon (Kacey Mottet Klein), e tutti i giorni sale sulle piste da sci per rubare giacche a vento, guanti e cappellini firmati; lo fa per comprare le cose, confida lui. Gi, abita con la sorella Louise (La Seydoux, sguardo incantevole) cercando di arrabattarsi per avere di che sopravvivere. Ursula Meier in Sister [L'enfant d'en haut, Francia/Svizzera, 2012, 100'] disegna due mondi separati: uno sopra, ricco e luminoso, in una stazione sciistica frequentata da turisti; laltro sotto, tra il grigiore delle case popolari. A rendere comunicanti i due mondi c la funivia, che Simon prende quotidianamente per passare da gi a su. Simon risale facilmente, in poco tempo, i due mondi non sono poi cos lontani ma forse n. 36 IV 24 ottobre 2012 la funivia unimmagine significativa per rendere la distanza e lincomunicabilit tra i due luoghi il cui dialogo , appunto, appeso a un filo. Meier rappresenta le piste da sci come una specie di parco divertimenti dove Simon si muove quasi avulso, estraneo. Lui proviene da un margine della societ (dal basso) e sgambetta in questaltro margine (quello alto) come fosse protagonista di una storia in cui non crede. Ad aspettarlo gi, c la sorella maggiore Louise: irresponsabile e abituata a vivere di ci che Simon riesce a rubare nei ricchi chalet. uno sguardo freddo il suo, spesso indifferente alle premure del piccolo. La regista osserva quel rapporto disagiato senza scivolare nel patetico e, inizialmente, non si inserisce nellintimit dei due ragazzi. Ma Simon e Louise partecipano a una menzogna: un segreto che conservano tra loro. Almeno fino a quando Ursula Meier e i cosceneggiatori Antoine Jaccoud e Gilles Taurand scelgono di schiaffeggiare lo spettatore rivelandolo, e portando la telecamera allobbligo di inquadrare i visi e i gesti dei due giovani alla ricerca di una tenerezza indispensabile. Alla fine, Simon e Louise si incrociano: in pochi secondi Ursula Meier riesce nuovamente a trovare unimmagine semplice ma efficace; i mondi dei protagonisti sembrano inconciliabili ma lo sguardo si incontra, si tocca, noi in sala abbiamo una speranza ma siamo consapevo-

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www.arcipelagomilano.org li che anche quel rapporto viaggia appeso a un filo. Paolo Schipani Partita il 9 ottobre la rassegna cinematografica BeltradEssai, organizzata al cinema Beltrade (via Oxilia, 10), durer fino a marted 11 di cembre. Qui lagenda con gli appuntamenti!

Killer Joe
di William Friedkin [U.S.A., 2011, 103'] con Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Thomas Haden Church, Gina Gershon, Juno Temple
William Friedkin, regista di Killer Joe, non si perde in preamboli. Non esita a introdurre istantaneamente lo spettatore nella disperazione di una notte di pioggia torrenziale in cui Chris (Emile Hirsch), un giovane spacciatore, all'ossessiva ricerca di una soluzione per sanare i suoi debiti. La soluzione un piano diabolico e inumano che prevede di uccidere la propria madre per spartire con il padre l'eredit di cui beneficerebbe la piccola Dottie (Juno Temple). La ragazzina, fragile e anacronistica, appare come una cenerentola circondata da meschinit e squallore. In mancanza di soldi l'unica caparra che padre e figlio possono proporre allo spietato e diabolico Killer Joe (Matthew McConaughey) per portare a termine il lavoro. Il poliziotto che arrotonda con uccisioni a pagamento ha evidenti fattezze mefistofeliche. Tenta, accusa e distrugge tutti coloro che gli si avvicinano. William Friedkin, che quarant'anni fa ha messo in scena L'Esorcista, si muove su un terreno conosciuto. Tuttavia, non di sola carne fatto satana in Killer Joe. Il regista insiste a indirizzare lo sguardo dello spettatore su apparecchi televisivi che ipnotizzano i protagonisti continuando a trasmettere immagini vacue e atroci. Friedkin, negli anni '70, ha contribuito a rivoluzionare il genere poliziesco con Il braccio violento della legge, spezzando quella netta divisione che fino ad allora separava la giustizia dal crimine. Con Killer Joe si misura con qualcosa di ancor pi violento e sanguinoso. La regressione dell'uomo appare da subito evidente, le figure maschili sono spacciatori e assassini, le donne ridotte a ruoli primitivi di vergine, madre e prostituta. Nel culmine di questa degenerazione morale, l'immacolata e salvifica Dottie interviene impersonificando un giudice universale che condanna l'accidia del padre, la lussuria della matrigna e l'abominevole avidit del fratello. Cosa ne far del meravigliato e attonito Killer Joe possiamo solo immaginarlo. Marco Santarpia In sala a Milano: UCI Cinemas Bicocca, UCI Cinemas Certosa, Arlecchino.

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FULVIO SCAPARRO: PICCOLI FIGLI DI UN DIO MINORE http://www.youtube.com/watch?v=dvRyABwUXOo

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