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Jakob Michael Reinhold Lenz

Convegno Paola Gheri e Daniela Liguori 21/03/2024


- Materiale esame.

- Il Lenz di Büchner 1839 (trama)

Lenz, in viaggio tra le foreste dell'Alsazia, affronta le montagne invernali con i loro
scenari vertiginosi. Il senso dello spazio e del tempo si perde. Lenz sente le voci delle
rocce, le nuvole appaiono e scompaiono mentre il sole è una "spada scintillante" che
taglia il paesaggio.
Nel villaggio incontra il pastore Oberlin, che lo accoglie con amicizia e senza giudicarlo.
Lo sistemano nella grande stanza vuota sopra la scuola, ma Lenz non riesce a dormire, si
sente isolato e - preso da un'insostenibile angoscia - si getta nella fontana della piazza.
Raggiunto dagli abitanti accorsi al trambusto dice di essere abituato a "fare bagni freddi
prima di coricarsi". Rassicurato torna in casa e si addormenta. Ma la notte seguente si
trasforma in una tortura: la sua percezione distaccata dalla realtà, lo rende preda
dell'incubo, "con la follia accucciata ai suoi piedi". Durante il giorno, la sua condizione è
sopportabile, ma con l'inizio della notte lo afferra l'ansia e l'idea di una malattia
inevitabile. Lenz sta cercando di prendere Oberlin a modello per concepire la natura
come dono di Dio e scongiurare le proprie paure con l'aiuto della Bibbia. Egli riconosce
che questa è l'ultima occasione per risollevare il proprio umore maniaco-depressivo e la
sua schizofrenia incipiente.
Un momento chiave della storia è la visita del suo amico Christof Kaufmann. Parlando di
arte, nel dibattito appassionato contro la letteratura idealista Lenz è di nuovo concentrato
e disinvolto. Kaufmann gli porta un messaggio del padre che gli chiede di tornare. Il
pensiero dell'incontro con il padre lo terrorizza e Lenz, abbandonando la conversazione,
dichiara che solo il soggiorno in questo piccolo paese di montagna può salvarlo dalla
follia.
In realtà, dopo la partenza dell'amico e a seguito di un viaggio compiuto dal pastore
Oberlin in Svizzera, Lenz resta solo: la sua malattia si aggrava. Cercando di rientrare nel
villaggio si perde tra le montagne dove incontra individui inquietanti, una piccola malata
e un vecchio con fama di santone, i suoi tentativi di suicidio si intensificano, fino al punto
di doverlo legare e infine portare a Strasburgo.

La passeggiata dello schizofrenico: un modello migliore di quella del nevrotico sul divano. Un po'
d'aria aperta, una relazione con l'esterno. Per esempio, la passeggiata di Lenz ricostruita da
Büchner.

- La follia

‘Lenz’ è un racconto incompleto di Georg Büchner. Apparso postumo nel 1839, iniziato nel 35’.
L’attuale stesura non è stata curata dall’autore che non gli aveva attribuito un titolo definitivo.

Una novella tratta da una storia vera, che fa riferimento allo scrittore dello Sturm und Drang
Jakob Michael Reinhold Lenz.
Dopo la cacciata da Weimar ha soggiornato presso il pastore Oberlin, che narra in un diario il
peggioramento e la pazzia di Lenz.
Büchner prende questo diario e nel 1839 pubblica il ‘Lenz’.
Un resoconto di un caso clinico, un discorso sulla follia.

Büchner è stato un grandissimo modello per il 900, la sua vita fu brevissima e segnata da
opere abbaglianti. Accanto Al ‘Woyzeck’ e alla ‘Morte di Danton’, testi fondamentali del
teatro moderno, abbiamo il racconto ‘Lenz’, il racconto della follia, il sublime raccontato, ove
abbiamo la grande innovazione di Büchner.
Questa storia, il cui protagonista è il poeta romantico Jakob Michael Reinhold Lenz, lascia
affiorare una forma che diventerà un emblema per tutta la letteratura nel suo azzardo
estremo. In questo racconto, ogni parola, ogni articolazione della frase, sottintendono una
tensione tale da non poter tollerare neppure un minimo accrescimento, che però, si
manifestano sulla superficie di una prosa impassibile, seppur soltanto alla maniera in cui tale
poteva essere definito ‘Lenz’ nelle ultime righe del racconto:

‘Pareva del tutto ragionevole, parlò con la gente; faceva tutto come facevano gli altri, ma c’era un vuoto
orribile in lui, non sentiva più alcuna paura, alcun desiderio; la sua esistenza gli era un peso necessario.’

L’opera s’ispira a qualcosa di reale e si appoggia al diario del pastore che con pietà l’ha ospitato
in Alsazia per un po’ di tempo. Büchner coglie un aspetto della pazzia che la cultura non aveva
preso in considerazione. La follia non è un reato né una stravaganza, ma neanche una malattia
come la tubercolosi, è una forma particolare dell’uomo, legata alla persona e cultura.
La connessione tra cultura e pazzia arriva con Freud, arriva con la ‘talking cure’, che adopera col
linguaggio. La follia come espressione della cultura, cambia nel tempo, ma anche l’intelligenza,
la comprensione della follia muta.
Altri però, puntano il dito sul contrario della non ragione, la follia è muta, non parla, perché noi
parliamo in quanto esseri razionali, ma se la follia è l’anti discorso, la follia parla un linguaggio
incomprensibile o non parla.
La letteratura che adopera col linguaggio ha trattato la follia anche prima di Lenz, ad esempio
con: Ophelia, Cervante, Orlando … la letteratura ha sempre avuto ciò, ma prima di Büchner la
follia è stata rappresenta in tre modi:
- Raccontato, con l’Orlando furioso;
- Discorso diretto del personaggio, nel teatro di Shakespeare;
- Sturm und drang.
Però, non è mai stata portata la follia a discorso interamente articolato. Non è mai stato
elaborata una narrazione dove la follia parlava continuatamente di sé, e qui lo farà Buchner
con il suo ‘Lenz’.
Racconta della follia, la fa parlare, anche se in terza persona, ma con il discorso indiretto libero. Il
narratore entra nel personaggio e cerca di vedere il mondo dal suo punto di vista. Questa tecnica
inaugura un modo narrativa che avrà fortuna nel 900.
Nel ‘Lenz’ abbiamo frasi sconnesse, frequente uso dell’avverbio ‘so’ (così), parole che riportano la
costatazione dalla sfera oggettiva all’esperienza del personaggio. Il pronome ‘es’ viene usato per
creare indeterminatezza tra interno ed esterno, la percezione del mondo di ‘Lenz’ è vista da un
punto di vista sofferente, insicuro. Nel Lenz di Büchner non abbiamo un passaggio che da calma
nel guardarlo, ma è uno shock iniziale, duro, rigido, il bosco rigido, la nebbia mangiatrice delle
cose
Disarticolando lo stile autoriale, il ‘Lenz’ di Buchner, punta il dito verso l’autorità del discorso
razionale, che scaccia il folle che non aderisce al suo discorso, ma rovesciando la sua
prospettiva, dirà:

‘Gli dispiaceva di non poter camminare a testa in giù.’

Una follia si racconta grazie alla pietà del narratore, che presta la sua voce e competenza al
personaggio, senza fargli violenza.
Siamo al centro del mondo, l’uomo stesso porta il peso, avvicinandosi sempre di più alla pazzia.
Questa follia viene vista non solo come un limite della ragione ma anche con una possibile
riserva di senso, una visuale diversa dalla quale vedere le cose.
Il rumore assordante è il silenzio, che ha a che fare con la mancanza della parola, ma anche una
parola che invece è forse anti-parola, perché non è incorniciabile in qualcosa di razionale. Alcuni
autori hanno attinto da Lenz, all'intreccio del suo pensiero. Per la follia ad esempio c'è Thomas
Bernard, Freud (spunti da Hoffman), Robert Musil (l'utopia è legata a quel filato sottile e
particolare che intesse la mente di utopisti, artisti, bambini e folli). È il filato che crea i pensieri
anche di Lenz.
Lenz può essere considerato come lo scrittore più ortodosso dello Sturm und Drang, muore
sturmeriano.

- Jakob Michael Reinhold Lenz 1751-1792

È stato uno scrittore tedesco, uno dei maggiori rappresentanti dello Sturm und Drang.
Nato nell'allora Livonia (nell'odierna Lettonia), la sua prima opera gli fruttò già a quindici
anni fama di genio. Nel 1768 intraprese studi di teologia in Prussia, seguendo le orme del
padre (parroco. La sua vera vocazione però era la letteratura e ben presto abbandonò gli
studi teologici.
Diventa Precettore e si interessa particolarmente al Dibattito di quegli anni
sull'istruzione. Molto probabilmente è questa sua professione ad ispirarlo per il suo
dramma "Il precettore ovvero vantaggi dell'istruzione privata".
Durante un viaggio a Strasburgo, conobbe Goethe, il quale gli avrebbe fatto incontrare in
seguito letterati come Herder e Lavater.
Il suo dramma Il precettore (Der Hofmeister, oder Vorteile der Privaterziehung, nel 1774) e altre
opere, pubblicate nello stesso anno, furono attribuite inizialmente a Goethe, notizia che
fece non poco spazientire Lenz.
Il rapporto tra Lenz e Goethe era un "odi et amo" in quanto Lenz ammirava Goethe per la
sua bravura letteraria ma, allo stesso tempo, desiderava sovrastarlo o almeno
raggiungerlo e stare "al suo passo".
Del 1776 abbiamo la commedia ‘Die Soldaten’. Lenz interruppe la dipendenza dal modello
vincolante delle tre unità di "tempo, spazio e azione", seguito fin dal tempo di Aristotele,
anticipando così elementi decisivi del dramma moderno. Nel 1777 fu colpito da una
malattia mentale che paralizzò la sua creatività e lo costrinse a lunghi soggiorni
terapeutici in Svizzera e Riga (in Lettonia).
Riparato, infine, presso amici a Mosca, vi morì completamente povero e abbandonato.

Il suo tragico destino (e in particolare il suo vagabondaggio sui monti Vosgi durante il
declino della sua mente) fu narrato nel famoso racconto Lenz di Georg Büchner (1839). Le
sue opere furono rielaborate anche da Bertold Brecht.

- L’amicizia distrutta

Goethe aveva un sostegno di Status ed economico, che Lenz non aveva, e ne risentiva. Questa
differenza di classe incide sul suo percorso esistenziale e letteraria.
Lenz conosce Goethe a Strasburgo in un ambiente ricco di stimoli, perché era una dimensione
cittadina di confine, che allora era proprio in qualche modo un crocevia di cultura. Goethe e altri
mettono in piedi il movimento rivoluzionario dello Sturm und Drang.
Goethe viene chiamato a Weimar e assume un ruolo politico istituzionale e da quel momento si
lascia alle spalle l’esperienza per un altro percorso di vita più maturo, più legato a una
diplomazia politica e a seguirlo saranno Schiller, Herder, ma anche lo stesso Lenz nel 76’. A causa
del suo atteggiamento, e alla sua esuberanza, spingerà Goethe a cacciarlo dalla corte di Weimar,
e da quel momento chiude le porte della loro amicizia. La rottura della loro amicizia, che vive
questa rottura del dialogo e confronto con Goethe, come uno strappo nella sua vita. Da questo
momento, si allontana da Weimar per percorrere il tragitto per tornare verso casa, e lo fa
attraversando i monti, in un percorso faticoso. La morte di Lenz è misteriosa. Viene ritrovato
morto a Mosca nel 1792 e non si sa cosa sia successo, sappiamo grazie al diario del pastore, che
questo offuscamento mentale l’ha accompagnato fino alla fine.

- La letteratura di Lenz

Le sue opere si muovono su il confine tra letteratura e filosofia. Risponde agli stimoli che
arrivano dall’opera di Goethe, è affascinato dai ‘dolori del giovane Werther’, risponde con l’opera
‘Der Waldbruder’. Lenz rovescia l’opera di Goethe, la mette a testa in giù. Prende tutte le lettere di
Werther e inverte tutte le lettere, le scompone, le destruttura, tutti i percorsi sono interrotti, sono
tutte strade interrotte, ma ciò significa anche accogliere una visione multi-prospettica. Non è una
visione lineare ma è un percorso che accoglie punti di vista tra loro contrastanti, non li depura; se
ne fa carico e ne fa un’opera.
Lenz da un lato vuole stare accanto a Goethe, vuole emularlo, ma da un lato sente il peso di un
pensiero e di una parola non propria, mette in qualche modo Goethe davanti un anti-Goethe, lo
mette a testa in giù, lo scompone.

Lenz è conosciuto e amato per il suo teatro, testi narrativi e lirici. E poi c'è un testo teorico
(annotazione su teatro) in cui Lenz si confronta e si scontra con le tesi di Lessing drammaturgo.
Lenz si scontra con il teatro classico e si chiede a cosa servano le tre unità, perché crede che ci sia
molto altro da sentire ma senza che nulla venga classificato, anche dal pubblico. Questo afferma
la rottura della gabbia del mono prospettivismo.

Nel Pandemonium Germanicum (75) è la patografia di un'epoca in cui Lenz e Goethe che si
inerpicano sulle montagne, e qui la montagna ha un significato simbolico (precognizione di ciò
accadrà nella sua vita). Ascesa al monte della letteratura, l'olimpo della poesia e questa ascesa è
però un tentativo di stare al passo con Goethe che però Lenz fallisce in continuazione.
Goethe sembra avere un ascensore per salire, Lenz si descrive come uno che arranca
continuamente e che è costretto a essere pronto a tutte le condizioni climatiche, il suo corpo è
esposto e Goethe sembra non farsi problemi. Goethe sale con agilità, Lenz deve fare i conti con la
prospettiva della caduta, scivola, cade e questo lasciarsi cadere è qualcosa che Lenz ha ben
presente. A salire sul monte sono Lenz e Goethe, gli altri non vengono nemmeno contemplati.
Quindi Lenz si mette in gioco. Sembrano quasi dante e Virgilio all'inferno, oppure sembrano le
vette su cui Herder colloca il genio di Shakespeare. Questa salita sembra quasi una discesa verso
gli inferi con tutte le sue difficoltà. Questo significa per Lenz esporsi a una costante e continua
sensazione di fallimento che continua dietro:
"sono solamente uno che vuole guardarsi intorno, eppure non riesco a ritrovarmi all'interno di questi
percorsi".
Quest'immagine dell'errare per le montagne è molto significativa. È il rovescio della capacità di
guardarsi intorno, cioè di vedere tutte le tessere che compongono il mosaico della realtà. La salita
propone prospettiva multiple anche se il prezzo da pagare è un continuo mettersi in discussione
che ha anche ripercussioni tragiche.
Il testo è una satira, fa caricature di sé stesso e di Goethe. Qui tragedia e commedia si scambiano
sempre le carte, la tragicommedia è un gioco interessante del 900.

Per Lenz è più importante fare un ritratto che ritragga esattamente tutte le difficoltà e le
dimensioni più stonate, quelle fratture, sproporzioni, quei percorsi che sono degli
allontanamenti. Per Lenz è meglio la caricatura a un’arte che vuole riprendere solo una
dimensione classica. La caricatura paradossalmente è la migliore chiave di accesso alla realtà, per
Lenz. C'è quindi una violazione di un classicismo e una riflessione che continua ostinatamente a
salvare questa dimensione di frantumazione del reale.

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