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coll’altra sottoposta:
IVLIVS . POLIBIVS . COLLEGA . FECIT [61]
Così Pompei era del pari celebre per le sue pere e ne forniva le più
ricercate mense, come Tivoli le poma; ferace per le messi e per gli
ulivi, e gli scavi ci hanno dato saggi di frumento ed olive appunto,
come altri molti frutti sia naturali che preparati, pane, focaccie ed
altrettali leccornie; nè parrà vero che mentre tutti questi camangiari
appajono anneriti e bruciati dalle ardenti ceneri onde furono investiti,
parte del grano rinvenuto conservasse tuttavia la proprietà vitale, e
seminato, malgrado fossero trascorsi più che diciassette secoli,
germogliasse e porgesse la propria spica e le olive fossero
conservatissime ancora nell’olio.
Virgilio nelle Georgiche aveva la fertilità di queste terre celebrato in
questi versi:
Dalle onde poi del Tirreno, che baciavano, frangendosi, il piede alla
voluttuosa Pompei, il pescatore pompejano, tra i cento svariati pesci
traeva in copia il Garo, che or non saprebbesi designare con nome
conosciuto, e con esso facevasi colà il caviale liquido, che nella
bassa Italia si fa tuttavia. «Evvi, dice Plinio, un altro genere di liquore
assai ricercato, al quale si è dato il nome di garum: esso è composto
d’intestini di pesci o d’altre parti che sarebbero diversamente a
gittarsi, e che si fanno macerare nel sale in guisa che divenga
l’effetto della putrefazione. Questo liquore componevasi una volta col
pesce che i Greci chiamavano garon» [75]. Lo stesso Plinio attesta
che Pompei andasse assai lodata, come Clazomene e Lepti, per il
garo [76].
Orazio ne faceva menzione, dicendolo composto di succhi di pesce
iberico: