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DODONA

Le interrogazioni oracolari

Testi di riferimento:
• DVC: S. Dakaris, I. Vokotopoulou, A.P. Christidis, Τα χρηστηρια ελασματα της Δωδωνης των
ανασκαφων Δ. Ευαγγελιδη, I-II, ed. S. Tselikas, indices G. Papadopoulos, Athenai 2014.
• LOD: È. Lhôte, Les lamelles oraculaires de Dodone, Genève 2006.

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DVC 1363 A

ἰς Καρχαδόνα κα τυγ[χ]άνοιμι κα(τ)α-


πλῆν ἐ[κ]εῖ καὶ κωεκ[ῶ]ν ἐμπο[ρευόμε]-
νον [ἐπὶ] σωτηρίαι αὐ[τ]οῦ καὶ να[ὸς]
καὶ χρ[η]μάτων;

Commento: vd. articolo Intrieri.


LAMINETTA COMMERCIANTE DI KOS
Fra le consultazioni oracolari incise su lamelle di piombo rinvenute nel santuario di
Zeus a Dodona, pubblicate nell’ampio Corpus dei testi recuperati durante gli scavi
condotti da D. Evangelidis, avviato e curato in successione di tempo da S. Dakaris, I.
Vokotopoulou e A. Ph. Christidis e portato a compimento nel 2013 da S. Tselikas, ne
compare una in cui il richiedente interroga il dio sull’opportunità di spingersi via
mare a Cartagine per commercio. Conservata nel Museo di Ioannina, la laminetta (cm
6,2 x 1,9), ripiegata due volte e leggermente mutila sulla parte destra, reca sul lato A
quattro linee di scrittura graffite in modo regolare, con al di sotto la traccia di alcune
lettere più antiche, sul lato B la sola lettera K in posizione centrale (si rifà a Cartagine
e sembrerebbe trattarsi – a oggi – dell’unico caso in cui viene indicata come
destinazione Cartagine). Redatta in dialetto dorico, l’iscrizione è stata datata dagli
editori alla prima metà del IV sec. a.C.: una datazione che può forse essere
ulteriormente precisata su base paleografica al 375-350 a.C. per lo stile pseudo-
stoichedon e l’adozione dell’alfabeto posteriore alla riforma ortografica ateniese del
403, ma anche per l’uso di H/EI e Ω/OY per le vocali lunghe medie introdotto a
Dodona negli anni 375-350 ca. Con un quesito articolato, l’interrogante chiede
conforto alla divinità sulle possibilità di successo di un viaggio via mare verso la
lontana Cartagine allo scopo di vendere una precisa merce (κωεκ[ῶ]ν). L’importanza
o meglio la peculiarità della meta sembra, tuttavia, volutamente evidenziata dalla
stessa posizione incipitaria del nome della città nel testo e dall’uso del verbo
composto καταπλέω (esso lascia trapelare l’ansia dell’interrogante per la distanza che
lo separava dalla città punica e la lunga e potenzialmente pericolosa navigazione che
lo avrebbe atteso per giungere fin là (ἐκεῖ), in una fase storica, tra l’altro, – se la
datazione alla prima metà del IV secolo a.C. è corretta - segnata dal rinnovato
attivismo di Cartagine in Italia meridionale e Sicilia e dal duro confronto con la
Siracusa di Dionisio), apparentemente attestato in un solo altro caso nelle laminette
dodonee edite rispetto al più consueto πλέω. Κωεκ[ῶ]ν (= kωϊκ[ῶ]ν) rappresenta, in
effetti, uno strano apax riconducibile al termine kῷον, cui Esichio attribuisce in una
glossa il significato di ἱμάτιον (mantello o veste). Esso rimanda a un poleonimo,
quello dell’isola di Cos, identificativo di una raffinata produzione tessile, molto
apprezzata a Roma fra la fine del II sec. a.C. e il II sec. d.C. e usato anche per le
prostitute. In primo luogo, la precisione mostrata nell’indicazione sia della
destinazione, sia della merce oggetto di vendita può forse indirizzare a favore del
riconoscimento nell’interrogante non tanto di un emporos, la cui attività doveva in
genere comportare soste plurime lungo il percorso, che acquistava e vendevano le
merci, ma di un naukleros, un proprietario di nave impegnato in questo caso in prima
persona nell’attività mercantile, che acquistava, lavorava in proprio e rivendeva.
Crotone (LOD nr. 114)

Dio. Buona fortuna.


Riguardo a tutti i suoi beni e alla sua istallazione
a Crotone, (il consultante domanda) se sia
vantaggioso e meglio
per lui stesso e la sua famiglia
e sua moglie.

Commento

Alfabeto ancora arcaico, precedente alla riforma ortografica: 400-490 a.C.


Si deduce dal testo che il consultante non era originario di Crotone, ma in considerazione della
forma arcaica del gamma si potrebbe pensare a una persona originaria di un’altra colonia achea
oppure, in considerazione della forma ἰς, di un epirota.
Sibari (LOD nr. 133)

Commento

Alfabeto arcaico poco caratterizzato, comparabile all’alfabeto locale di Dodona.


Le caratteristiche dialettali del testo (μέλλι=μέλλει; πράττοντι = πράσσοντι; αἴ κα come in dorico )
fanno pensare a un consultante di origine beotica.
La presenza di una tribù beotica, ricordata da Diod. XII 11, 3, fra quelle attestate per la nuova Sibari
rifondata nel 446/5, lascia ipotizzare che l’interrogante sia uno dei coloni giunti nella città con quelli
ateniesi e che dunque l’interrogazione possa essere datata fra il 446 e il 444/3.

***

Thurii (DVC nr. 967)

Commento

Si tratta di un palinsesto che presenta nella linea superiore, leggibile, il nome di Thurii a probabile
indicazione di un’interrogazione relativa a uno spostamento verso la città in possibile connessione
con la sua fonazione o per commercio.
Thurii (LOD nr. 111)

“Per Leton sarà meglio e preferibile non fidarsi mai volontariamente del Turino…”

Commento

Si tratta di una interrogazione fatta da un dorico in affari con un cittadino di Thurii di cui
evidentemente non si fida. Sul rovescio della lamella compare un B da interpretare come numero
d’ordine.
Il ductus incurvato di alcune lettere e la forma di Y escludono una datazione troppo alta; anche
l’allineamento delle lettere in alto non consente di ipotizzare una datazione anteriore alla metà
del IV sec. a.C.
Metaponto

LOD 146 – IV sec. a.C.

Μεταποντίνος
Ἀρχίας

Commento

Si tratta di una laminetta (palinsesto) tronca sulla parte destra dove doveva essere graffita la
domanda o, secondo una recente ipotesi, di un visitatore di Dodona che ha voluto lasciare con la
sua firma un segno del suo passaggio.

***

Taranto

LOD nr. 5
Dio. Alla buona fortuna.
La città dei Tarantini interroga Zeus Naios e Diona
riguardo alla sua prosperità generale (= a tutte le sue cose),
e riguardo ai territori che ha in mano e riguardo ….

Commento

Il segno usato per indicare l’aspirazione è tipico dell’Occidente coloniale. L’omega a punta e
allineato in alto, così come il pi. Il dialetto presenta alcune forme tipiche del dorico severior, tipico
appunto di Taranto.
Si tratta di una interrogazione pubblica che testimonia i rapporti, già noti, fra la città e l’Epiro e che
potrebbe far pensare a una sua datazione in connessione con la spedizione del Molosso o con quella
di Pirro.

***

Eraclea

LOD nr. 132

Nicomaco chiede a Zeus Naios se può riuscire nel farsi iscrivere


per emigrare da Eraclea a Taranto.

Commento: vd. articolo Lombardo


Di questi documenti, solo l’ultimo, e il più recente, è riferibile con certezza ad
Eraclea di Lucania, in primo luogo per il fatto che vi si fa riferimento, seppur
implicitamente, ad un preciso rapporto di natura giuridico-istituzionale della Eraclea
da cui viene con tutta evidenza l’interrogante, con Taranto. Un rapporto che, nell’uso
sembra rinviare, all’istituto dell’isopoliteia, ma anche ad aspetti tipici del “diritto
coloniale”. La Vokotopoulou, proponendo una datazione relativamente puntuale del
documento al decennio 340-330 a.C.32, vedeva probabilmente l’interrogazione di
Nicomaco in un qualche rapporto con le complesse vicende che precedettero e
accompagnarono la spedizione in Italia del sovrano epirota fra il 333 e il 331 a.C. e
che, stando alle fonti, avrebbero coinvolto a vario titolo Eraclea: secondo Livio (VIII,
24), il re l’avrebbe conquistata, liberandola dal (temporaneo) dominio dei Lucani,
mentre, secondo Strabone, Alessandro avrebbe “in odio ai Tarentini” progettato “di
spostare a Thurii la panegyris degli Italioti che tradizionalmente si teneva ad
Herakleia tēs Tarentinēs…..”33 Benché tale possibilità non sia da escludere, appare
tuttavia metodico voler a tutti i costi collegare l’interrogazione con una precisa
vicenda storica: si tratta in effetti di una richiesta ‘personale’ di Nicomaco, il cui
proposito di spostare ‘indietro’ la sua cittadinanza da Eraclea a Taranto poteva esser
anche stato motivato da esigenze sue particolari. Inoltre, va considerato che
l’iscrizione non risulta databile con qualche precisione, su base paleografica, entro un
arco cronologico che può andare dalla metà circa del IV secolo a.C. fino agli inizi del
III: l’eventuale scenario storico di riferimento dell’interrogazione potrebbe, dunque,
esser stato anche diverso da quello della spedizione del Molosso. Resta tuttavia
assodato che questo documento risulta riferibile con certezza all’Eraclea magnogreca.
Reghion

LOD nr. 154

Quale via i Regini, gli stessi, devono seguire (per riuscire)?

Commento
Alfabeto calcidese. Iscrizione integrata sulla base del seguente verso di Euripide
Eur. Her. 901: ἔχεις ὁδόν τιν', ὦ πόλις, δίκαιον·

Questo frammento è stato assimilato al nr 155, che presenta le stesse dimensioni ed è stato
rinvenuto nella stessa campagna di scavi.
Si è ipotizzato che fra il 475 e il 450 alcuni cittadini di Reggio abbiano sentito il bisogno di consultare
l’oracolo e, per distinguersi da quei Regini che si erano spostati a Tegea con Micito, reggente per i
figli di Anassilao, abbiano precisato la loro origine proprio dalla città dello Stretto e non da altri
luoghi. Come si evince da una iscrizione di Olimpia, Micito si definiva ancora Regino.

LOD nr 155
Dediche di Pirro (280/279 a.C.)

Per il commento vd. articolo Intrieri.


Dedica votiva di Pirro e degli alleati a Zeus Naios
Lamina bronzea di forma oblunga (19,7 × 15) mutila sui quattro lati. Rinvenuta
nell’area del tempio di Dodona, ora custodita nel Museo archeologico nazionale di
Atene
Da segnalare: delta; uso della forma attica Ἠπειρῶται invece del dorico Ἀπειρῶται.
280 a.C.
[Βασιλεὺ]ς Πύρρο[ς καὶ]
Ἠπ̣ει̣ρ̣[ῶ]ται καὶ Τα̣[ραντῖνοι ?]
ἀπὸ ῾Ρωμαίων καὶ [τῶν]
συμμάχων Διὶ Να[ίωι]
Il re Pirro, gli Epiroti e i Tarantini, dai Romani e i loro alleati, a Zeus Naios.

L’iscrizione, contenente una dedica votiva, consta di quattro linee regolari di testo
incise in puntinato e allineate a sinistra, mutile nella parte finale sul lato destro e,
limitatamente alla prima e parzialmente alla seconda riga, nella parte iniziale sul lato
sinistro. Accantonata l’erronea definizione di tabula aenea offerta da alcuni editori
sembra oggi trovare spazio l’ipotesi che tende a riconoscere nel mutilo supporto
bronzeo che reca l’iscrizione, genericamente indicato da Carapanos come una delle
spoglie sottratte ai Romani sul campo di battaglia di Eraclea, la parte superstite di uno
scudo (clipeus) romano dell’oggetto. La scelta dello scudo apparirebbe tuttavia
particolarmente consona al modus operandi del sovrano epirota. Al pari degli scudi
macedoni, anche le spoglie sottratte ai Romani dovevano essere affisse al portico di
colonne ioniche che circondava su tre lati il recinto sacro a Zeus al cui interno si
ergeva la quercia sacra. La scelta del santuario di Dodona si giustifica con la
centralità che l’antico centro oracolare assume sotto il regno di Pirro, il quale, oltre a
ingrandirne le strutture, ne innalza la sede a simbolo «dell’unione nazionale
epirotica» La precisa datazione dell’iscrizione, senza alcun dubbio riferibile a una
delle vittorie di Pirro sui Romani (Eraclea o Ascoli), dipende dall’identificazione
della parola finale della seconda linea, di cui si legge chiaramente il τ iniziale e parte
della prima asta obliqua di un α. Le proposte degli editori oscillano, infatti, fra
τ[αῦτα] o τά̣[δε] che meglio rispondono all’impaginazione regolare del testo,
apparentemente inciso in un rettangolo ideale nella metà superiore della lamina
bronzea, e l’etnico Ταραντῖνοι. Nei suoi elementi essenziali il testo richiama la dedica
consacrata da Alessandro Magno dopo la vittoria del Granico, di cui si ha menzione
in Plutarco e in Arriano con una tendenza all’imitatio Alexandri

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