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conferma nella ripresa di intarsi testuali che fungevano da postille al testo


nel manoscritto medesimo. Grazie a questa acquisizione si apre un ulteriore
prezioso canale per far concretamente luce sulle tecniche di composizione
del maestro bizantino e sulle sue modalità d’impiego delle fonti letterarie.
Ci è offerta, insomma, la rara, se non unica possibilità di gettare uno
sguardo direttamente sullo scrittoio di Crisolora, di vederlo al lavoro men-
tre, componendo, innesta nella sua opera citazioni di un autore classico se-
condo un metodo non esclusivamente mnemonico, ma servendosi di
materiali esegetici che egli stesso aveva elaborato leggendo Aristotele o,
magari, rileggendolo proprio in vista dell’elaborazione della lettera. Una
procedura, questa, che senz’altro rappresentava una pratica diffusa all’in-
terno dell’élite intellettuale cui Crisolora stesso apparteneva, ma che per
altri autori suoi contemporanei non abbiamo la fortuna di poter osservare
tanto da vicino: una straordinaria testimonianza del modo concreto – tan-
gibile fin negli aspetti materiali – in cui si realizzava l’intertestualità nella
creazione letteraria greca d’età tardo-bizantina.
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ChIArA GAzzINI

3. Nota sulle lettere di «Agnelius Salernitanus» e di Antonio Beccadelli nel


Vat. lat. 2906

Il Vat. lat. 2906 è un codice miscellaneo «poco elegante e spesso scor-


retto, forse testo di studio o raccolta ad uso personale (per lo più orazioni
ed epistole) di testi classici e umanistici mescolati senza alcun ordine ap-
parente»)1. Tramanda anche un manipolo di sedici lettere di un non meglio
identificato «Agnelius Salernitanus», al quale Paola Scarcia Piacentini ha
dedicato nel 1980 uno studio particolareggiato2.
Per questo breve epistolario la studiosa, pur dopo aver esperito ogni ten-
tativo per chiarire l’identità dello scrivente (e degli sfuggenti destinatari)3,

1
Così P. SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista (Vat. lat. 2906: per-
sonaggi e cultura d’area salernitana), «humanistica Lovaniensia. Journal of Neo-
latin Studies», 29 (1980), 100-60, in part. 100 e 147-60 per una dettagliata descrizione
del contenuto del codice.
2
Ibid., 121-46 per l’edizione delle missive.
3
In seguito anche sviluppando ulteriori nuclei d’indagine sui ‘fantasmi’ presenti
nel Vat. lat. 2906: Un fantasma umbro-marchigiano del ’400: Lucio da Visso, «res
publica litterarum», 5 (1982), 233-52; Ancora su un fantasma... anzi su due: Lucio
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non ha escluso, prudentemente, l’ipotesi di un esercizio di scuola1. Tale è,


in effetti, l’impressione che si genera, già di primo acchito, osservando le
curiose formule di chiusura, ad esempio, delle seguenti missive:
1) lett. n° I: «Vale [...]. Ex studiolo meo vetustissimo quam cursim XI° kalendas
apriles»2;

da Visso e Melchiorre, «roma nel rinascimento», 2004, 247-54; Lettere da uno


sconosciuto: l’epistolario di Lucio da Visso (Vat. lat. 2906; Vat. lat. 5127; Casanat.
294), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano
2006, 519-57.
1
SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 118-20: «Accanto a [...]
epistolari ‘reali’ non era poi raro il caso che circolassero manuali di retorica o rac-
colte epistolari fittizie, adatte a più occasioni e a diverse necessità. Nelle città uni-
versitarie [...] esistevano analoghe raccolte di modelli di lettere ad uso degli scolari,
spesso abbastanza ignoranti o pigri da non essere in grado di comporre in latino
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corretto, che potevano essere impiegate nei loro rapporti epistolari con le famiglie
o [...] con i protettori [...]. Anche qui i nomi propri sono spesso omessi o alterati,
per cui può essere difficile distinguere una lettera vera da un modello [...]. Per l’epi-
stolario di Aniello [sc. ‘Agnelius’] si possono fare due ipotesi: che si tratti di lettere
di persona non troppo colta che seguì o cercò di seguire gli studi letterari, diven-
tando forse un insegnante [...], più facilmente un ‘cultore’ delle lettere e delle arti
che segue i giovani nella loro educazione e li sprona a studiare: questo spiegherebbe
lo stile dimesso, le frasi e i pensieri spesso ripetuti, il ritornare frequente di uno
stesso tema, l’importanza cioè dello studio e in particolare degli studia humanitatis.
D’altro canto le date incomplete e il cognome dei destinatari [...] fanno sorgere il
sospetto che possa trattarsi, all’origine, di una raccolta di epistole fittizie, non in
questo caso di un formulario, ma di una esercitazione retorica o al limite, date le
situazioni paradossali che a volte vengono presentate, di uno scherzo, sospetto che
sembrerebbe anche avvalorato dalla quasi totale impossibilità di ricostruire la vita
o la carriera del mittente, poiché dallo spoglio sistematico delle fonti archivistiche
edite e dei repertori (anche se questo è soltanto un argomento ex silentio) non è
stato possibile rintracciare nulla di concreto sulla sua esistenza. Così come sono, le
epistole, attraverso le loro frammentarie indicazioni, possono solo essere un utile
spunto per tentare la ricostruzione della vita che si svolgeva nella Salerno dell’epoca
[...]. La datazione dell’epistolario è resa difficile dalla quasi assoluta mancanza di
riferimenti a fatti storici precisamente individuabili e dalla impossibilità di sapere
se esse formano un gruppo omogeneo sul piano cronologico (propenderei in linea
di massima per questa ipotesi) o se invece sono da scaglionare lungo un arco di
tempo abbastanza vasto. Un elemento può essere dato dalla filigrana [...] che indica
il decennio immediatamente successivo alla metà del secolo».
2
Vat. lat. 2906, 88r; SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 121-22,
n° I («Agnelius Salernitanus Philippo Senensi preceptori clarissimo salutem pluri-
mam dicit»).
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2) lett. n° II: «Vale [...]. Ex meo lectulo quam raptim die mercurii hora intempe-
stiva»1;
3) lett. n° VI: «Vale [...]. Ex meo loco occulto dum digestum cibum dimitterem
prima hora noctis die martis»2;
4) lett. n° XIV: «Vale [...]. Ex meo lectulo quam cursim in vesperi»3.

Parrebbero corroborare l’idea di una matrice ludico-scolastica di queste


missive alcuni paralleli che mi è stato possibile individuare all’interno dello
stesso Vat. lat. 29064, in particolare in alcune lettere di Antonio Beccadelli5.
Nella già citata missiva n° II di «Agnelius» a «Nicolaus» leggiamo6:
[...] a Vintio suavissimo reddite sunt mihi literę tuę, ex quibus tuum summum amo-
rem erga me facile recognosco et mihi ipse congratulor. Nil sane suavius tersiusve
tuis ornatissimis literis ad me deferri potuisset. Amari enim a viro spectatissimo,
id tanti facio, ut ne Chresi divitias pluris quidem. Nam, cum cetere virtutes ad feli-
citatem viam demonstrent, amicitia beatitudini proxima est. Qua ex re tu velim me
perseveranter ames [...].
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Il passo è da mettere in relazione, per il segmento «Amari~est», con una

1
Vat. lat. 2906, 88v; SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 127, n°
II («Agnelius Nicolao adolescenti erudito salutem»).
2
Vat. lat. 2906, 90rv; SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 130,
n° VI («Agnelius Vintio adulescentulo perhumano salutem plurimam dicit»).
3
Vat. lat. 2906, 92v-93r; SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 141-
42, n° XIV («Agnelius Francisco salutem»).
4
Tralascio altri fatterelli sparsi qua e là, ad esempio l’uso dell’insolito termine
«academiola» (Vat. lat. 2906, 93r; vd. anche SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto
umanista, 142, n° XV [«Agnelius Iohannello Sulimena viro humanissimo salutem
plurimam dicit»]: «Ex academiola mea quam raptim, ad tertiumdecimum kalendas
iunias in vesperi») che ricorre anche nella chiusa («Ex archademiola [sic] nostra»)
di una lettera di Facino ricci a Luigi Crotto (Vat. lat. 2906, 42v-43v; è censita in
SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 153); e l’espressione «Nihil enim
est tam incredibile quod non dicendo fiat probabile, nihil tam horridum, tam incultum
quod non splendescat oratione» (Vat. lat. 2906, 91r; vd. anche SCArCIA PIACENTINI,
Lettere di un ignoto umanista, 132-33, n° IX [«Agnelius Antonio salutem»]) che è
un calco ad verbum dalla praefatio dei Paradossi degli Stoici di Cicerone.
5
Ibid., 139, n. 87 ha notato che le «espressioni quam raptim, quam cursim» –
che si è già avuto occasione di vedere negli specimina da me appena riportati – si
ritrovano appunto nel «Panormita, che talvolta vuole indicare la scarsa stima per
quanto ha scritto», rinviando a G. rESTA, L’epistolario del Panormita. Studi per
una edizione critica, Messina 1954, 5 e n. 7, 18, 225, n° 476.
6
Vat. lat. 2906, 88v; vd. anche SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista,
127, n° II. Evidenzio con il corsivo le parti che qui interessano.
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lettera del Panormita a Maffeo Muzzano, tramandata appunto dal Vat. lat.
2906 (38v-39r), nella quale si legge1:
[...] Ego, ut fatear moliciem animi mei, non potui tali nuncio non gratulari mihi et
supra morem leticia affici. Amari quidem a viro spectatissimo, id tanti facio, ut ne
Cresi divicias pluris quidem. Nam, cum cetere virtutes ad felicitatem viam demon-
strent, amicicia beatitudini proxima est. Et meo quidem animo philosophorum sen-
tencia vera atque admodum scita est, cum nihil a dis inmortalibus homini melius
[...] quam amiciciam tributum existimant [...].

Interno al Vat. lat. 2906 appare ancora il tramite che congiunge al Panor-
mita il dettato dell’ultima lettera della silloge dell’ignoto salernitano. Scrive
«Agnelius»2:
Agnelius Nicolao Caputgrasso adulescentulo perhumano salutem plurimam dicit.
Iam pridem emisse sunt mihi literę tuę. Eas equidem voluptuosissime legi: nam et
tardiuscule fuerunt et proinde ut fit solito aliquanto iocundiores. Si enim, quantopere
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me delectent et afficiant epistolę tuę cognitum satis haberes, nisi tua me humanitas
fallat, cotidianas, immo in singulas horas literas ad me deferres. Nihil vero suavius
elegantiusve quodque meas auris impleat magis, nihil adhuc, pace mortalium, lego.
Sed existimo equidem Suadelam, ut Greci dicunt, tecum esse et scribenti tibi semper
astare: usque adeo quod desiderare videris a quovis pro tua eloquendi suavitate
facile impetrabis. Petis igitur per epistolas quo te meorum librorum participem
velim. At ego non librorum modo sarcinula, sed cęteris bonis me ętiam ut utaris
volo. Cęterum, quod inter tuos familiarissimos me adscribis, ut per tuas iocundis-
simas literas mihi nunciatum est, habeo tibi gracias magnas et ut sempiterna sit be-
nivolentia cures rogo. Ego quidem in amore non vincor. Illud autem tibi persuadeas
velim: quum ocium dabitur, me continuis literis visita atque nostro studio perseve-
ranter indulge; nam et scis quantum laudis atque voluptatis nobis accomodant. Vale,
mea armonia, et sempiternus sit iste amor enitere. Ego quidem curabo tua ut gratia
dignus sim. Ex thalamo olim mei parentis, XVIII° kalendas iulias.

I passaggi «Ego~vincor» e «sempiternus~enitere» – che anche qui per

1
ho corretto «molicienus» in «moliciem» e «agis» in «a dis»; per la precedente
sezione «Nil~potuisset», con la combinazione avverbiale «suavius tersiusve», si
veda qui infra la lettera del Panormita a Antonio Cremona. Un’edizione, che tenne
conto anche del nostro manoscritto, in r. SABBADINI, Ottanta lettere inedite del Pa-
normita tratte dai codici milanesi, «Arch. stor. per la Sicilia orientale», 7, 1 (1910),
3-160, in part. 145-46, n° LXXXIIII (che ha «a diis»). In generale, mi limito a rin-
viare a rESTA, L’epistolario, 212, n° 390.
2
Vat. lat. 2906, 93v; vd. anche SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista,
144-45, n° XVI. Mi distanzio dalla studiosa nei seguenti punti: con il codice, a l. 2
ripristino «proinde» al posto di «perinde» e a l. 5 conservo «auris» al posto di
«aures», così come mantengo, a l. 7, il «quo» con valore finale contro «quod».
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comodità ho evidenziato con il corsivo – trovano corrispondenza nella


chiusa di una lettera del Panormita a Cristoforo Scarpa a f. 40r del Vat. lat.
2906 (dove si noti anche la persistenza del costrutto asidentico che gravita
su «enitere»)1:
Vale, Christofare mi iocundissime proque virili tua enitere sempiterna sit benivo-
lentia, quam virtus et probitas conciliavit. Ego quidem in amore non vincor. Bene
vale, Papie, quam raptim. Vale.

Ma una concidenza più cospicua si riscontra confrontando la lettera in


questione di «Agnelius» a «Nicolaus Caputgrassus» con una sempre del
Panormita a Antonio Cremona, tramandata, oltre che a f. 40rv del Vat. lat.
2906 (V)2, anche a f. 123r del manoscritto J b IX 9 dell’Archivio di Stato
di Torino (T)3. Ne appronto, per comodità, un’edizione4:
Antonius Panormita plurimam salutem Antonio Cremonensi, viro humanissimo. Si
quantopere me delectent et afficiant epistulae tuae cognitum satis haberes, nisi tua
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me pietas fallat et humanitas, quotidianas, immo et in singulas horas, ad me literas

1 plurimam salutem] salutem plurimam dicit V Cremonensi] Cremo V 2 afficiant epistu-


lae] adficiant epistulae T afficient litere V 3 et1] om. V

1
Un’edizione della missiva, con varie imprecisioni, in r. VALENTINI, Sul Panor-
mita. Notizie biografiche e filologiche, «rend. della r. Acc. dei Lincei. Cl. di sc.
mor., stor. e filologiche», 16 (1907), 456-90, in part. 463; per cui si veda SABBADINI,
Ottanta lettere, 118, n. 1; vd. anche rESTA, L’epistolario, 237, n° 545.
2
Vd. rESTA, L’epistolario, 169, n° 184.
3
Sul quale: G. rESTA, Un antico progetto editoriale dell’epistolario del Panor-
mita, «Studi umanistici», 1 (1990), 7-67, in part. 34. Vd. anche L. LANzA, Antonius
Beccadellus, in C. A. L. M. A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-
1500), 1, 3, Firenze 2001, 316b-37b, in part. 327a, n° 161.
4
Per evitare qui di dare conto di continue oscillazioni grafiche tra i due testimoni,
ho normalizzato la grafia. Sulla poziorità, in generale, di alcune lezioni di V, si
veda rESTA, L’epistolario, 58 («il testo [sc. del Vat. lat. 2906] è spesso lacunoso e
talvolta scorretto»), 79 («data la caotica forma di trasmissione» dell’epistolario
beccadelliano, per «la ricostruzione critica [...] è chiaro che [...] ogni singola lettera
presenta un proprio problema testuale che dovrà essere risolto di volta in volta, in
modo indipendente e col concorso di tutti i mss. noti, senza perciò dare la propria
fiducia a priori a questo o quel ms., che, sia pure per fondati motivi, è ritenuto cor-
retto, giacché non è davvero raro il caso che mss. noti per la loro scorrettezza, come
ad es. Ma. [sc. l’Ambr. h 192 inf.] e rt. [sc. il Vat. lat. 2906], offrano per singole
lettere o singoli brani una lezione più corretta»). I riferimenti nella lettera al Cre-
mona sono a Cambio zambeccari e al monzese (modoetiensis) Giacomo Becchetti,
sodali del Panormita.
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exarares. Nihil enimvero suavius, elegantius, tersius, denique voluptuosius quodque


5 meas auris impleat magis, nihil adhuc, pace viventium, lego. Equidem existimo
Suadelam, idest illam, ut Graeci volunt, suadendi deam tecum esse et ascribenti
tibi semper astare, usque adeo, quod desiderare videris, a quovis, a me praesertim,
pro tua eloquendi suavitate atque vi, facile impetras. Primo siquidem per epistulas
a me petis ut te mutuo amem. At ego, ni te singulariter diligam et amem simque,
10 quoad inter homines esse desiero, vehementer amaturus, quaeso, dispeream. Deinde
me hortaris tua opera in rem meam ut utar. At iam, quam maxime in te sperem
quamque te familiariter utar, animadvertere pluribus quidem signis potes. Postremo,
quod etiam mones, ex modoetiense nostro viro iocundissimo audivi voluptate in-
credibili, Cambii, scilicet, maecenatis nostri diligentiam et in me benivolentiam
15 illam quidem memorabilem; et generatim, quod a me voluisti, statim, ut vides, illud
impetrasti; quamquam sint minima ea quidem et in rem omnino meam. Caeterum
tibi persuadeas velim nihil etiam esse tam arduum, tam inusitatum, tam incredibile,
quin a me facile exorare queas, si modo per me possit adimpleri. Illud autem abo-
minor, cum quicquam mihi renuntiaturus sis, internuntiis partes tuas mandes, quasi
20 non satis adhuc exploratum habeas quod saepe et praedicare et scribere soleo: nihil
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accidere mihi posse iocundius epistula tua. Vale, meum corculum. Cambio nostro
inlustri rescripsimus iam. Illi me iterum atque iterum reddito. Ex Papia quam cur-
sim, sexto aprillis.

4 voluptuosius] voluctuosius V 5 viventium] prima di viventium esp. mortalium V Equidem


e prima canc. Set] T Et quidem V 6 idest illam] idest idest T 9 a me] om. V amem1]
amen T amem2] amen T 10 inter] inter inter V quaeso] que V 10-11 Deinde~hortaris]
de cohortaris V 13 quod~mones] om. lasciando spazio vuoto V modoetiense] corr. mo-
doetientese in modoetiense V 14 Cambii] Cambi T nostri] corr. nostris in nostri V 15
generatim] generanti V 17 incredibile] incredibele T 18 a me] om. V adimpleri] adim-
plere V autem] etiam V 19 sis] sit V 21 n(ost)ro] v(iro) V 22 reddito] dedito T
22-23 cursim sexto aprillis] raptim V

rimane incerto se fu proprio di «Agnelius» la mano, a tratti scorrettis-


sima, alla quale si deve buona parte del Vat. lat. 29061. Chiunque fosse ve-

1
SCArCIA PIACENTINI, Lettere di un ignoto umanista, 147-60, proponeva un’ar-
ticolazione tripartita della compagine del manufatto (rispettivamente ai ff. 1r-85r
[148-60], 86r-97r [160], 98r-103v [160]); e, pur senza pronunciarsi in modo espli-
cito, additava en passant un avvicendamento di mano tra la prima parte, irta di cor-
ruttele (148: «Il copista della prima parte sembra scrivere a più riprese»), e la
seconda (147, a proposito di una nota a f. 85v: «la scrittura è forse quella del copista
della seconda parte»). Una descrizione del manufatto in M. DE MArCo, La doppia
redazione della Quinta Catilinaria e della responsio Catilinae, «Ciceroniana», 2
(1960), 125-45, 130, n° 10, e n. 14 («Codice cartaceo, eseguito in Italia (probabil-
mente in ambiente napoletano) da due amanuensi, intorno alla metà del s. XV, [...]
costituito di due parti, in quanto i ff. 1-85 e i ff. 97-103 sono stati scritti dalla prima
mano e, fra di essi, è stato inserito il fascicolo formato dai ff. 86-96, dovuti alla se-

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