Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
UBBIDIENZA. - (Ebr. jeqahah, semo'a; greco: ***). La virtù morale che inclina
all'esecuzione degli ordini ricevuti dall'autorità divina od umana.
Nel Nuovo Testamento è inculcata l'u. dei Cristiani ai genitori, ai padroni (Eph. 6, 15;
Col. 3, 20.22; 1 Pt. 2, 13 ss.), all'autorità civile (Tit. 3, 1); è stigmatizzata la disubbidienza
dei pagani ai propri genitori (Rom. 1, 30; 2Tim. 3, 2) ed è lodata l'u. dei fedeli all'autorità
religiosa (2Cor 2, 9; 7, 15; 10, 6; 2Ts. 3, 14 ecc.).
[A. R.]
ULIVI (Monte degli). - (Ebr. har. haz-zethim; oggi Gebel el Zeitun). Monte ad oriente di
Gerusalemme (Zach. 14, 4; Ez. 11, 23), da essa separato dalla valle del Cedron (2Sam
15, 23; Io. 18, 1) e lontano un percorso sabatico (ca. 1 km.; At. 1, 12). Presenta tre punti
culminanti: a nord l'odierno Karm el-Sajad "vigna del cacciatore" (m. 818), chiamato dagli
antichi pellegrini "mons viri Galilaei" in ricordo delle parole angeliche (At. 1, 11); al centro
l'odierno Gebel et-Tur (m. 812); al sud l'odierno Gebel Batn el Hawa (m. 734), chiamato
dagli antichi pellegrini "mons offensionis", "mons scandali", ch'è il nome impiegato dalla
Volgata per designare la località idolatrica di Salomone (2Reg. 23, 13). Ricoperto di ulivi,
parzialmente ancora esistenti, il monte è traforato da caverne, cisterne, e grotte, legate a
ricordi biblici e tradizionali e utilizzate a sepoltura. Ai tempi di David, sulle sue cime era
installato un luogo cultuale (2Sam 15, 32). È salito da David in pianto con la testa velata
ed i piedi scalzi, mentre fugge al ribelle Absalom (2Sam 15, 30). Salomone innalzò, sulla
cima meridionale elle dominava la vallata di Siloe, un luogo cultuale per le divinità
idolatriche delle concubine straniere, che fu distrutto dal riformatore Iosia (2Reg. 23, 13).
Sulla cima del monte, Ezechiele vide sostare Iahweh, che abbandonava il tempio di
Gerusalemme, feticisticamente creduto intoccabile, per trasferirsi fra gli Ebrei di Babilonia
(Ez. 11, 23); sulla sua cima si poserà Iahweh, il grande vittorioso, il quale determinerà una
grande spaccatura nella montagna stessa (Zach. 14, 4).
[A. R.]
BIBL. - F. M. ABEL, Géographie de la Palestine, I, Parigi 1933, pp. 64. 372 ss.; L. PIROT.
in DRs, I, coll. 628-43.
_____________________
UMILTÀ. - (Ebr. 'anawah, 'oni; gr. ***). È anzitutto uno stato oggettivo nell'uomo,
proveniente da povere condizioni sociali, schiavitù, malattie, disgrazie (Gen. 29, 32; Deut.
26, 7; Iudt. 6, 15; Lc. 1, 48; 2Cor 10, 1 ecc.). Se non è connesso con un disordine morale,
tale stato è un titolo di gloria presso Dio (Iudt. 8, 17) sebbene non lo sia presso gli uomini
(Eccli. 13, 22.24): esso determina la consolazione (2Cor., 7, 6) e la glorificazione da parte
di Dio (Iudt. 8, 17; Eccli. 11, 13; 20, 11; Lc. 1, 52; Iac. 4,10; I Pt. 5, 6 ecc.).
Come disposizione d'animo, mentre presso i pagani è un difetto, è invece presso gli
Ebrei e soprattutto i cristiani una virtù morale di cui Cristo "umile di cuore" (Mt. 11, 29) fu
un modello perfetto. Molto accetta, a Dio (Eccli. 3, 21), molto raccomandata ai cristiani (I
Pt. 3, 8), l'u. consiste nel riconoscer la propria nullità di fronte alla trascendenza divina (Ps.
39, 6), nell'accettare le umiliazioni sull'esempio di Cristo (Phil. 2, 8), nell'abbassarsi di
fronte al prossimo (I Pt. 5, 5), disposti a servirlo (Mt. 20, 26; Lc. 22, 26). L'u. è principio di
saggezza perché conserva l'uomo nell'equilibrio (Prov. 11, 2); è la condizione per
l'efficacia della preghiera (Iudt. 9, 16; Ps. 102, 18; Ps. 22, 25), della grazia (Iac. 4, 6; I Pt.
5, 5) e della salvezza (Mt. 18, 4; 23, 12); infine è il preludio della gloria (Prov. 15, 32; 29,
23).
________________
UOMO. – Come per altre verità gli autori del Vecchio e del Nuovo Testamento non dànno
una esposizione sistematico-filosofica dell'antropologia, ma parlano il linguaggio del loro
tempo.
3. Ne'samah, oltre la sinonimia con rùah (alito: Is. 2, 22; Dan. 10, 17; Iob 4, 9; principio
vitale: Iob 27, 3; I Reg. 17, 17; Is. 57, 16; Eccli. 9, 13; Gen. 2, 7; 7, 22), ha il significato
proprio di "individuo", "persona" (Deut. 20, 16; Ios. 11, 11; I Reg. 15,29).
Dalla distinzione tra rùah e néphes si è voluta affermare nel Vecchio Testamento una
concezione tricotomica dell'u., come nel sistema platonico (***): a torto però, perché questi
due termini si confondono nell'applicazione ai fenomeni psichici e designano entrambi il
principio vitale e le inerenti attività fisico-psichiche, sebbene secondò diversi punti di vista
(rùah è il principio vitale, dinamicamente procedente da Dio e sede degli impulsi attivi;
néphes invece è il principio vitale staticamente ed intrinsecamente considerato fino
all'individualizzazione e sede delle passioni e dei moti concupiscibili). In modo chiaro poi il
Vecchio Testamento attesta che le parti costitutive dell'uomo sono soltanto due: l'elemento
materiale (basar) e l'elemento superiore (rùah o néphes o nesamah) (Gen. 2, 7; 6, 3; 7,22;
Lev. 17, 11; Ps. 104, 29 s.; Iob 27, 3; 33, 3 s.; Ez. 37, 3). La superiorità dell'u. sugli animali
è basata sulla somiglianza dell'u. con Dio (Gen. 1, 26; 5, 1 ss.; 9, 6; Ps. 3, 6 s.; Eccli. 17,
3; Sap. 2, 23), la quale, essendo affermata a motivo dell'intelligenza e libera volontà,
conduce alla superiorità umana per il possesso di un'anima spirituale, essenzialmente
superiore all'anima dei bruti.
6. Il sangue umano, come quello animale, è sacro, perché sede della vita (Lev. 17, 11-
14; Deut. 12, 23) anzi la vita stessa (Lev. 17, 14; Deut. 12, 23). Qualunque sia la funzione
fisiologica del sangue l'esperienza attesta che l'u. vive per tutto il tempo che pulsa il
sangue e che, al contrario, egli muore quando il sangue è uscito dal corpo. Poiché la vita
appartiene a Dio, è proibita la sunzione del sangue e l'omicidio (Gen. 9, 4 ss.; Lev. 3, 17;
7, 26 s.; 17, 10-14; 19, 26).
7. Gli organi dell'attività psicologica sono caratteristici: il cuore (leb, lebab) è l'organo
dell'attività intellettiva, come per noi il cervello, mai nominato nella Bibbia (Deut. 29, 3; Is.
6, 10; I Reg. 3, 9; ecc . .). (Frequenti sono le espressioni: «dare e porre il cuore» - fare
attenzione; «salire nel cuore» - venire in mente; «dire in Cuor Suo» - dire fra di sé,
pensare). Al cuore, con minor frequenza, sono riferiti gli affetti e gli atti volitivi (inclinazione
d'animo: Gen. 8, 21; Ex. 35, 21; amore: Iudc. 16, 15; odio: Lev. 19, 17; proposito della
volontà: Ex. 7 passim; Iudc. 5, 16 ss.; decisione il Reg. 10, 30; 15. 63, 4; la gioia e la
tristezza: 1Reg. 8, 66; Eccle. 9, 7; parlare al cuore - consolare Gen. 34, 3; Iudc. 18, 20; Is.
40, 2). I reni (kela-joth), raramente soli, designano il centro dei sentimenti interni (Iob
19,27) o pensieri (Ps. 16, 7; Ier. 12, 2); spesso menzionati insieme al cuore (Ps. 7, 10; 26,
2; 73, 21; Prov 23 16), costituiscono i centri dei fenomeni affettivi sensibili (reni) cd
intellettuali (cuore).
Gli affetti più teneri di benevolenza e di misericordia hanno come centro le "viscere"
(rahamim: Gen. 43, 30; 2Reg. 24, 14; Am. 1, 11; Os 2, 21) (me'im: Is. 16, 11; Ps. 40, 9; Iob
30, 27) od in modo più generico l’"interno" (qereb: Gen. 49, 6; Ps. 5, 10).
II. Nel Nuovo Testamento. La concezione dell'u. è quella del Vecchio Testamento ed il
linguaggio psicologico quello in uso nella versione greca dei Settanta.
l. Come basar, *** ("carne") indica la parte carnea del corpo (Lc. 24, 39; Ap. 17, 16; 19,
18.21; ecc.); per sineddoche, l'intero corpo animato (Col. 2, 5; Gal. 2, 20; Phil. l, 24; Rom.
8, 3), la discendenza naturale (Rom. 1, 3; 4, 1) oppure la natura umana, l'u. (Io. 1, 14; Lc.
3, 6 ecc.), spesso con idea accessoria di debolezza fisica (1Cor. 15, 50; Gal. 1, 16; Eph. 6,
12 ecc.). Un'accezione caratteristica, frequente soprattutto in s. Paolo, è quella di natura
umana moralmente debole, opposta, come sede della concupiscenza, allo spirito (Rom. 7-
8; Gal. 5; 2Cor 10, 2; Eph. 2, 3; Mt. 26, 41; Mc. 14, 38; Io. 1, 13; 2Pt. 2, 10.18).
2. Come la néphes, *** (anima), benché si opponga al corpo materiale (Mt. 10, 28; 26,
38) è per lo più in stretto rapporto col corpo e con la carne, come principio della vita
sensibile (Lc. 12, 19.23; Ap. 18, 14). Così essa indica spesso la vita stessa, talvolta la
persona vivente (Mc. 3, 4; Rom. 2,9 ecc.)· e può sostituire il semplice pronome riflessivo
(Mt. 10, 39; cf. Lc. 9, 24s. ecc.); ed infine, non raramente, le sono attribuiti affetti e desideri
anche razionali (Mt. 26, 38; Mc. 14, 34; Io. 12, 27; Lc. 1,46).
3. Oltre a ***, il Nuovo Testamento usa egualmente *** ("spirito"), come il Vecchio
Testamento usava rùah assieme a néphes, però attribuisce allo "spirito" solo le attività
propriamente spirituali (Mc. 2, 8; Lc. 10, 21; 2Cor 2, 11 ecc.). Lo "spirito" è considerato
principio più che soggetto, salvo rare eccezioni giustificate dal contesto (Lc. l, 47; At. 17;
16; I Cor 14, 14); così il IV Vangelo afferma che l'anima di Cristo è turbata (Io. 12, 27) ma
che Egli si turba nel suo Spirito (13, 21). Anziché poi sostituirsi all’"anima", lo "spirito"
viene sovente nominato assieme, come due aspetti della medesima sostanza (1Ts. 5, 23;
Hebr. 4, 12). Di conseguenza la concezione tricotomica del composto umano, appoggiata
a torto dagli gnostici, e più tardi da Apollinare, su questi testi, è sconosciuta al Nuovo
Testamento.
4. S. Paolo col termine ***, oltre all'attività intellettuale, designa di preferenza l'anima
umana vivente della vita soprannaturale prodotta dallo Spirito Santo (1Cor 14-16; Gal. 6,
18; Phil. 4, 23, ecc.) e la persona stessa dello Spirito Santo in contesto trinitario. L'anima
umana invece vivente secondo principi naturali è di preferenza da S. Paolo indicata col
termine corrente del tempo *** unito a *** (Eph. 4, 23), oppure a lui contrapposto (1Cor.
14, 14-23), infine da solo per designare o l'intelligenza falsata del pagano (Rom. 1, 28;
Eph. 4, 17; ecc.) o quella dell'uomo peccatore in lotta contro la carne ma non ancora
rinnovato dal divino Spirito. (Rom. 7, 23 ss.).
5. Gli organi dell'attività psicologica sono gli stessi del Vecchio Testamento: il cuore
(***) in particolare è il centro della vita sensitiva, intellettivo-volitiva e morale. Le viscere
(***) sono poi il centro dei teneri sentimenti di affetto e di misericordia (Lc. 1, 78; Phil. 1, 8;
2, 1; Philem. 12).
[A. R.]
BIBL. - J. SCHWAB, Der Begriff der Néfes in den hl. Schriften des A. T., Monaco 1924: F.
RUSCHE, Blut. Leben und Seele, Paderborn 1930, pp. 308-58; F. SALVONI, Il sangue
nella letteratura biblica, in Medicina e Morale, 1946, pp. 311318; BAUMGARTEL-BEHM,
***, in ThWNT, III, pp. 609-16; BEHM, ***, ivi IV, pp. 950-58; W. GUTBROD, Die
paulinische Anthropologie, Stoccarda 1934; F. PRAT. La teologia di S. Paolo, II, 7a ed.,
Torino 1950. pp. 389-93; H. MERL-KOERNLEIN, L'homme selon l'apotre Paul, Neuchatel
1951; G. PIDOUX, L'homme dans l'Ancien Testament (Cahien Théologiques, 32),
Neuchatel 1953; cf. Rivista Biblica, 4; (956) 34-42.
__________________
La domanda (cf. I Sam 14, 41 s., specialmente nella versione greca) era formulata in
modo che la risposta poteva essere data semplicemente per sì o no.
Mosè era in diretta relazione con Dio. Giosuè invece, almeno ordinariamente si
rivolgerà al sommo sacerdote, che «consulterà per lui la decisione dell'U. davanti al
Signore» (Num. 27, 21).
Questa consultazione, frequente nel regno di Saul e all'inizio di quello di David (1Sam
10; 14; 23; 30; 2Sam 2, l; 5 ecc.; cf. 105. 9, 14; Iudc. l, 2; 20, 18), non è più attestata sotto
Salomone e in seguito. Dio si serve della ispirazione profetica per comunicare la sua
volontà. L'U. e il T. rimarranno tuttavia col pettorale, parte dell'abbigliamento del sommo
sacerdote.
[F. So.]
BIBL. - L. DESNOYERS, Histoire du peuple hébreu. I, Parigi 1922. p. 335 s.; A. CLAMER,
Nombre (La Ste Bible. ed. Pirot, 2), ivi 1940, p. 422; A. MÉDEBIELLE (ibid., 3), 1949, p.
407.