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- La Cartografia
- Rilevamento Topografico
- Fotogrammetria
- I Materiali da Costruzione
- Le Fondazioni
- Fabbricato Rurale
- La Ruralità
- Agricoltura ed Energia
INTRODUZIONE
La cartografia può essere definita come arte e scienza della rappresentazione del
territorio. Citiamo queste due significative definizioni:
"La cartografia è la più scientifica delle arti e la più artistica delle scienze" (Paul
Theroux).
Con il termine cartografia si intende tutto ciò che riguarda la realizzazione e lo studio
delle carte geografiche. Per creare una carta sono necessari alcuni requisiti: la
capacità di trovare e selezionare le informazioni provenienti da varie fonti della
geografia per poi sintetizzarle in un corpo informativo organico e compatto; la
capacità di illustrare correttamente il messaggio della carta, che deve risultare chiaro
a una gamma di utenti che differiscono profondamente nelle loro capacità di leggere
la carta stessa; l'abilità grafica nel trasmettere le informazioni attraverso il ricorso a
simboli, a linee e a colori, rendendo semplici i messaggi più complessi e assicurando
la piena leggibilità della carta geografica.
Le carte geografiche non sono soltanto creazioni artistiche che esaltano le capacità
dei loro creatori, ma sono soprattutto documenti di carattere storico e sociologico.
Nei paesi più avanzati nell'amministrazione dello stato, come la Francia e la Gran
Bretagna, il servizio per il rilevamento topografico ha iniziato a produrre delle carte
fin dai primi anni del XIX secolo. Esse oggi permettono di seguire gli sviluppi del
territorio attraverso i secoli fino ai nostri giorni: ci raccontano di attività industriali
chiuse da tempo e di tracciati ferroviari abbandonati da decenni, di insediamenti noti
come borghi e divenuti in seguito città popolose ecc.
La cartografia è stata spesso impiegata per rappresentare la realtà territoriale in
funzione di certi obiettivi, falsandola per ragioni politiche o di propaganda: così fece
il regime nazista per dimostrare la "minaccia" rappresentata per il popolo tedesco
dalla Polonia e dagli altri paesi dell'Europa orientale. Così fece l'Unione Sovietica
falsando la cartografia ufficiale per meglio tener celati i suoi segreti militari. Altro
esempio di uso distorto della cartografia: in passato il ricorso alle carte con la
proiezione di Mercatore permise di far apparire esageratamente grandi i possedimenti
britannici in Canada rispetto alle colonie francesi che si trovavano in prossimità
dell'equatore. Proprio per questa capacità di riflettere intendimenti storici e sociali la
cartografia è diventata oggetto di studi approfonditi, in quanto offre una valida
documentazione sulla vita di una società o di uno stato.
La realizzazione di una carta geografica non segue una formula rigida, assoluta. Essa
dipende dagli strumenti di cui si dispone, dagli scopi della carta e dalle conoscenze
generali del realizzatore. Esistono comunque alcune regole generali che possono
guidare chi si avvicina a questa professione.
Le più antiche carte geografiche di cui abbiamo notizia furono realizzate dai
babilonesi intorno al 2300 a.C. Disegnate su supporti di terracotta, consistevano
essenzialmente in rilevamenti delle proprietà agricole compiuti allo scopo di tassarle.
Carte regionali di maggiore dettaglio e completezza furono invece tracciate sulla seta
nella Cina del II secolo a.C. La capacità di realizzare carte geografiche si afferma
comunque in diverse parti del mondo antico; straordinaria la particolare mappa
realizzata fin dai tempi antichi dagli abitanti delle isole Marshall che, utilizzando una
corda di fibra vegetale opportunamente annodata, riuscivano a rappresentare la
posizione delle isole nell'oceano. L'arte della cartografia era conosciuta e praticata dai
maya e dagli inca, che realizzarono carte dei luoghi conquistati fin dal XII secolo
d.C.
Con il passare dei secoli le carte del mondo diventavano via via più precise grazie
alla determinazione della latitudine e della longitudine e alle maggiori informazioni
sulle dimensioni e sulla forma della terra. Le prime carte a mostrare le variazioni dei
campi magnetici suscettibili di interessare la bussola apparvero nella prima metà del
XVII secolo, mentre nel 1665 fu prodotta la prima carta geografica che forniva
indicazioni sulle correnti oceaniche. Con l'inizio del XVIII secolo tutti i principi
scientifici che stanno alla base della cartografia moderna erano stati fissati: gli errori
nella rappresentazione cartografica riguardavano ormai solamente le zone inesplorate
del mondo e in particolare certe zone interne dei continenti.
Nella seconda metà del XVIII secolo alcuni paesi europei iniziarono il rilevamento
sistematico del proprio territorio. Nel 1793 fu ultimata la prima carta completa della
Francia: misurava circa 11 m di lato ed era di forma quadrata. Gran Bretagna,
Spagna, Austria, Svizzera e altri paesi fecero lo stesso negli anni immediatamente
successivi. Negli Stati Uniti il primo rilevamento geologico del territorio fu avviato
nel 1879 e due anni più tardi il Congresso geografico internazionale propose la
realizzazione della carta del mondo in scala 1:1.000.000, un progetto che deve ancora
essere completato.
Fino al 1985 la divisione dei ruoli e delle professionalità nel settore della mappatura
topografica erano chiari e inequivocabili. I geodeti si occupavano delle prove
strumentali e analizzavano i risultati che permettevano di definire con sempre
maggior esattezza la forma dell'area studiata. Da queste prime informazioni i
topografi, operando sul terreno, iniziavano a colmare gli spazi bianchi con i dettagli,
lavoro che in alternativa poteva essere compiuto dai fotogrammetristi anche
ricorrendo alla fotografia aerea.
Nel corso degli ultimi dieci anni la situazione è però radicalmente cambiata. Gran
parte delle professionalità legate alla cartografia è stata eliminata dall'introduzione
dei sistemi satellitari del tipo Global Positioning System. I ricercatori hanno la
possibilità di utilizzare programmi informatici che permettono loro di produrre carte
che, per eleganza e leggibilità, competono con quelle realizzate con sistemi
tradizionali.
D'altra parte è sbagliato pensare di trovarsi di fonte a un settore in declino. La
diffusione dell'uso dei computer ha portato allo sviluppo di una nuova serie di
strumenti di studio che collettivamente vengono chiamati Sistemi informativi
geografici, noti con l'acronimo inglese GIS (Geographic Information System). Il
primo di questi sistemi fu costruito in Canada nel 1965 per realizzare l'inventario
della fauna e della flora del paese. Oggi ve ne sono decine di migliaia in tutto il
mondo.
I GIS assicurano poi un altro grande vantaggio: sono infatti gli unici strumenti capaci
di intrecciare le informazioni raccolte da diverse organizzazioni di ricerca. Queste
possono ad esempio compiere valutazioni sulla produttività agricola di una
determinata regione e accantonare i dati raccolti: grazie al GIS milioni di dati
possono essere comparati automaticamente con quelli raccolti da un'altra società, per
ragioni completamente diverse, sulla medesima area di interesse.
In che modo queste nuove tecnologie possono incidere sulla scienza della
cartografia? L’ipotesi, prospettata da alcuni, che le nuove tecnologie per la
trasmissione delle informazioni geografiche possano cancellare il ricorso alle carte
non ha fondamento. Sono infatti due strumenti che convivono e si alimentano
reciprocamente perché, se è vero che il supporto cartaceo non è in grado di contenere
la complessità delle informazioni di un sistema GIS, d'altra parte questo non è in
grado di rappresentare con la chiarezza e l'immediatezza di una carta topografica le
variazioni qualitative e quantitative che si verificano sul territorio. Lo sviluppo
combinato del GIS e della più recente tecnica cartografica basata sui computer sta
provocando una rapida espansione dell'uso delle carte che, come si capisce, non
hanno più molto a che spartire con le carte geografiche tradizionali.
LE CARTE GEOGRAFICHE
INTRODUZIONE
Le carte si caratterizzano anche a seconda degli oggetti cui si vuole dare particolare
risalto nella rappresentazione: possono privilegiare, ad esempio, la rete dei fiumi o
altri elementi fisici, oppure coltivazioni, insediamenti e strade.
Le carte generali forniscono le informazioni fondamentali, dal punto di vista naturale
o antropico, per conoscere un paese o un territorio; le carte il cui scopo è quello di
rappresentare graficamente determinati fenomeni sono dette carte tematiche.
TIPI DI CARTE
Carte topografiche
Carte tematiche
Il reticolo geografico
La scala
La scala della carta geografica offre la chiave per tradurre la distanza di due punti
sulla carta nella distanza reale che sulla superficie terrestre separa tali punti. La scala
è solitamente rappresentata da una frazione. Ad esempio, scala 1:100.000 significa
che l’unità di misura della carta (per esempio 1 cm) rappresenta 100.000 unità di
misura nella realtà (100.000 cm, cioè 1 km). Solitamente la scala è riportata al
margine della carta accanto a un segmento di riferimento che corrisponde a una
distanza indicata (1, 5, 10 o 100 km).
Il rilievo
Uno dei maggiori problemi che sin dalle origini si sono imposti ai cartografi è stato la
rappresentazione del rilievo, cioè di colline e montagne, valli e gole. Nelle prime
carte geografiche i rilievi erano riportati in maniera generica, senza la minima pretesa
di precisione. La rappresentazione è divenuta realistica solo con l'introduzione delle
cosiddette curve di livello, o isoipse. Le curve di livello sono linee che raccordano
sulla carta tutti i punti situati a una stessa quota altimetrica: l'intervallo tra una quota
e l’altra, o equidistanza, viene scelto in base all’opportunità. Nel caso di un intervallo
fissato in 50 m le curve di livello indicheranno tutti i livelli multipli della misura di
riferimento (50, 100, 150 m ecc.).
Altri metodi per indicare i rilievi del terreno prevedono il ricorso a colori (tinte
altimetriche) e ombre, al rilievo a sfumo e al rilievo a tratteggio. Quando vengono
utilizzati i colori si ricorre a una scala di intensità decrescente collegata in ciascuna
tonalità a un'altezza media; ad esempio, tutto il terreno compreso tra 0 e 100 m viene
colorato in verde chiaro, quello tra 100 e 200 m in verde di intensità media e così via.
LA PROIEZIONE CARTOGRAFICA
Per rappresentare l'intera superficie della Terra senza alcun tipo di distorsione una
carta geografica dovrebbe avere una superficie sferica; una carta di questo tipo è il
mappamondo o globo, che però è ingombrante, poco pratico, e non riporta molti
dettagli. Per questo si preferisce ricorrere a rappresentazioni bidimensionali, le quali
però non possono rappresentare in maniera accurata la superficie della Terra se non
in sezioni di dimensioni ridotte, in cui l'effetto della curvatura terrestre risulta
trascurabile.
Per descrivere una porzione importante della superficie terrestre in maniera accurata
la carta deve essere disegnata in modo da ottenere un compromesso tra distorsione
delle superfici, distanze e angoli. Spesso la precisione di uno di questi parametri va a
scapito di quella degli altri. I vari metodi utilizzati per riprodurre la superficie
terrestre su una superficie piana sono detti proiezioni; esse vengono classificate come
geometriche o analitiche. Le proiezioni geometriche vengono classificate in relazione
al tipo di superficie che devono rappresentare e indicate come proiezioni di sviluppo
cilindriche, coniche o piane. Le proiezioni piane sono note anche come proiezioni
azimutali o zenitali. Le proiezioni analitiche sono sviluppate sulla base di calcoli
matematici.
Proiezioni cilindriche
Proiezione azimutale
Proiezioni matematiche
Per realizzare carte di piccola scala di grandi aree della superficie terrestre sono state
elaborate proiezioni dette “a sviluppo matematico”. Queste carte, fondate su calcoli
matematici, rappresentano l'intera superficie della Terra in forma di cerchi, ovali o
altre forme. Chiamate anche carte a proiezione interrotta, includono la proiezione di
Goode e la proiezione equivalente di Eckert.
L'osservazione
La moderna cartografia si avvale della precisione del rilevamento aereo, che integra
le informazioni ottenute dal rilevamento topografico tradizionale. Le fotografie
satellitari, oltre a indicare con precisione la posizione relativa degli elementi che
costituiscono la superficie terrestre, possono fornire indicazioni accurate sulla
posizione dei giacimenti minerali, sullo sviluppo dei centri urbani, sulla distribuzione
della vegetazione e anche sulla qualità dei suoli.
Compilazione e riproduzione
LA SCALA
In cartografia, la scala, indica il rapporto tra la distanza di due punti su una carta
geografica e la distanza reale dei due punti considerati sulla superficie terrestre. Sulle
carte geografiche la scala viene rappresentata in tre modi: come rapporto o frazione,
1:50.000 o 1/50.000, che significa che una unità di misura sulla carta corrisponde a
50.000 unità della stessa misura sulla superficie terrestre; con una scala grafica,
normalmente una linea retta (generalmente calcolata in chilometri o miglia); con una
frase come "1 cm rappresenta 100 km" (che significa 1 cm sulla carta geografica
corrisponde a 100 km sulla superficie della Terra). Tanto maggiore è la scala della
carta, tanto migliore e più dettagliata è la rappresentazione della superficie terrestre.
La scala di una carta geografica permette di definire la relazione esistente tra le
distanze sulla carta e le distanze corrispondenti sulla Terra. In questa illustrazione
sono messe a confronto tre carte geografiche con scala diversa. La prima è di 1 a
100.000.000: nella carta, quindi, la distanza di 1 cm corrisponde a 1000 km. La
seconda è più dettagliata, perché a ogni centimetro sulla carta corrispondono 100
km. Infine, nella terza carta la precisione è altissima perché a ogni centimetro
corrispondono solo 10 km.
RILEVAMENTO TOPOGRAFICO
Gli Egizi usavano metodi di rilevamento topografico già nel 1400 a.C. per
rintracciare i termini di confine dopo le inondazioni del Nilo. La precisione con cui
sono costruite le piramidi indica che già nel 2900 a.C. erano in uso metodi di
rilevamento topografico, impiegati per la loro costruzione.
I Babilonesi, nel 3500 a.C. circa, disegnavano mappe in scala abbastanza precise, il
che indica che le informazioni sul terreno erano ottenute applicando i rudimenti dei
principi del rilevamento topografico.
Tutti gli oggetti sono in relazione tra loro in virtù delle loro posizioni reciproche, che
possono essere espresse come direzione di una retta orizzontale, distanza sulla stessa
linea e differenza di quota; il rilevamento topografico è una tecnica di misura e di
rappresentazione di queste tre grandezze. Le tre coordinate che determinano le
posizioni relative tra gli oggetti solo raramente possono essere misurate direttamente.
Normalmente si procede fissando una rete di punti dei quali si determinano con
precisione le posizioni mutue, e cioè la loro distanza orizzontale e la direzione
(rilievo planimetrico), oppure solo la quota (rilievo altimetrico), o tutte e tre queste
grandezze. Tale rete costituisce un riferimento. Una volta misurata la posizione degli
oggetti relativa al riferimento, si possono determinare con metodi matematici o
grafici le posizioni relative tra gli oggetti.
Metodi
Una poligonale, il riferimento orizzontale più usato, consiste in una serie di punti,
detti stazioni, ognuno dei quali è riferito alle stazioni adiacenti da una coordinata
angolare e dalla distanza. Ogni stazione viene scelta in base a criteri di convenienza e
contrassegnata sul terreno da un chiodo su un picchetto. La poligonale si richiude
sulla stazione di partenza.
Poiché le misure fatte sul terreno sono affette da errori, gli angoli e le distanze tra le
stazioni devono essere corretti per renderli matematicamente consistenti. L'errore
totale (errore di chiusura) si trova calcolando la posizione di ogni stazione rispetto
alla precedente lungo la poligonale partendo dalla stazione iniziale e procedendo fino
a ritornarvi: la differenza tra la posizione iniziale e quella finale trovata
matematicamente costituisce l'errore di chiusura. La posizione delle stazioni, gli
angoli e le distanze vengono corretti distribuendo in modo opportuno e logico l'errore
di chiusura tra loro.
Picchettatura
Strumentazione
Tipi di rilevamento
Accanto al rilevamento topografico ne esistono altri tipi, che utilizzano gli stessi
metodi e sono classificati con nomi diversi a seconda dello scopo. Il rilevamento
topografico si occupa specificamente della forma della superficie del terreno, ma con
questa denominazione si intende in genere il rilevamento destinato a fornire
informazioni per la rappresentazione cartografica. Il materiale per la rappresentazione
cartografica di zone della dimensione di diversi ettari si ottiene mediante il
rilevamento piano o geodetico, mentre il materiale per superfici più vaste si ottiene
mediante fotografia aerea: di alcuni oggetti piccoli, ma importanti, visibili nelle
fotografie aeree, si determina con esattezza la posizione e questi fanno parte di un
riferimento per il rilevamento, rispetto al quale si determina la posizione di tutti gli
altri oggetti sulla mappa. Il rilevamento destinato all'individuazione sulla mappa del
fondo di bacini idrici è detto rilevamento idrografico. Il rilevamento viario si effettua
per la preparazione di mappe destinate ai progettisti di strade, autostrade, acquedotti,
gasdotti, oleodotti ecc. Il rilevamento catastale consiste nella individuazione e
segnalazione sul terreno dei confini delle proprietà fondiarie e nella determinazione
delle superfici delle proprietà. Questo richiede la conoscenza sia dei metodi di
rilevamento che dei fondamenti del diritto. Metodi di rilevamento sono impiegati
anche per la costruzione di edifici, ponti, strade, condotte, nonché nella
determinazione precisa della direzione in cui si debbono propagare le onde
elettromagnetiche o nella quale debbono avvenire lanci di veicoli spaziali. Rilievi
tecnici occorrono, inoltre, per il controllo della escavazione di gallerie sotterranee e
di miniere, per il controllo del drenaggio di acque sotterranee e per il posizionamento
di dispositivi di ausilio alla navigazione.
Tendenze
La fotogrammetria è una tecnica di rilievo che permette di acquisire dei dati metrici
di un oggetto (forma e posizione) tramite l'acquisizione e l'analisi di una coppia di
fotogrammi stereometrici.
Generalità
Uno dei maggiori ostacoli che fino a poco tempo fa non ne hanno permesso il pieno
utilizzo è stato sicuramente l'elevato costo delle attrezzature necessarie alla
fotogrammetria. In seguito lo sviluppo di calcolatori in grado di gestire una grande
quantità di dati e della grafica computerizzata ne hanno permesso un utilizzo più
semplice e rapido e con costi minori. L'avvento di queste tecnologie, infatti, ha reso
obsolete le vecchie apparecchiature ottiche. In seguito a questi cambiamenti, la
fotogrammetria è ora utilizzata anche in ambiti dove raramente era utilizzata in
passato.
Cenni storici
La storia della fotogrammetria è molto legata alla storia della geometria descrittiva,
che ne ha determinato i principi teorici, e naturalmente all'ottica e alla fotografia.
L'immagine fotografica, infatti, è assimilabile al concetto di prospettiva centrale. La
tecnica della fotogrammetria, quindi, ha sfruttato le conoscenze di queste due
discipline sintetizzandole in una tecnica che ci permette l'analisi del territorio con
buona approssimazione.
Le basi per la nascita della futura fotogrammetria, dunque, furono gettate con la
scoperta della prospettiva e delle sue leggi per legare la posizione spaziale di un
punto alla sua posizione in un'immagine: nel 1759 Johann Heinrich Lambert, nella
sua opera Perspectiva liber, definì le leggi matematiche su cui si basa la
fotogrammetria, ma bisogna aspettare il 1883 per avere il primo studio sulle relazioni
tra geometria proiettiva e fotogrammetria.
Nel 1837 si ebbero i primi sviluppi nel campo della fotografia: Louis Daguerre
realizzò la prima immagine fotografica con quello che può essere considerato il
progenitore della fotografia: il dagherrotipo.
Nel 1924 Otto von Gruber perfezionò le leggi matematiche applicate alla
fotogrammetria dando origine alla fotogrammetria analitica, cioè quel tipo di
fotogrammetria che utilizza principalmente un metodo analitico, e rendendo più
veloce il processo.
Tipi di fotogrammetria
3 - Fotogrammetria Architettonica.
Il primo esperimento di questa procedura in Italia avvenne sulle Alpi Apuane poco
dopo il 1880, a cura del Capitano Ing. Paganini, dell'I.G.M. di Firenze. Dopo un
periodo di grande utilizzo per la cartografia di terreni molto accidentati, a partire dal
1950 circa, la fotogrammetria terrestre è stata in gran parte soppiantata dalla
fotogrammetria aerea. Tuttavia la fotogrammetria terrestre rimane metodo
insostituibile, per accuratezza di dettaglio e precisione conseguibile, quando si
debbano rilevare pareti rocciose a picco od a strapiombo magari entro forre, là dove
nessun aeroplano potrebbe operare. Le basi stereometriche in tal caso variano dai 5 m
ai 100 m ed oltre; le distanze fra le camere ed il terreno sono comprese fra 50 m ed
un kilometro ed oltre; gli strumenti sono fototeodoliti o camere metriche montate su
treppiedi; la lunghezza delle basi deve essere conosciuta al millimetro. Gli assi ottici
delle camere di ripresa possono essere paralleli o convergenti; inclinati di pari entità
verso il basso di 5, 10, 15 o 20 gradi oppure di 7, 14, 21, 28 gradi; obliqui verso
destra o verso sinistra, tutto ciò per riuscire a fotografare il terreno in modo completo.
Esistono vari tipi di materiali da costruzione, sia naturali sia artificiali, a cui nel
tempo se ne sono aggiunti sempre di nuovi. Il numero di questi materiali, in passato
relativamente limitato, va continuamente aumentando col progredire della tecnica,
mentre allo stesso tempo si è avuta una differenziazione dei sistemi impiegati per la
loro produzione. L'elevato numero di materiali da costruzione dipende dal fatto che
ognuno di essi presenta delle particolari proprietà, che lo fanno preferire agli altri a
seconda degli scopi per i quali deve essere utilizzato.
Cenni storici
Storicamente, i primi materiali utilizzati per la costruzione sono stati pelli animali
(nella costruzione di tende), fango, argilla grezza, paglia (nella costruzione di
capanne), e rocce di varia natura. Molti di questi materiali vengono ancora oggi
utilizzati in alcune parti del mondo da popolazioni nomadi o aborigene, mentre sono
stati quasi completamente rimpiazzati dagli altri materiali nel contesto tecnologico
dei paesi industrializzati.
Il muro a secco è una delle più antiche tecniche di costruzione: esso è realizzato da
blocchi di pietra opportunamente disposti in modo da autosostenersi, senza rendere
necessario l'uso di leganti. Esempi di antiche costruzioni realizzate in pietra sono i
nuraghe della Sardegna (risalenti al II millennio a.C.), le piramidi a gradini
dell'America Latina, e le costruzioni degli antichi greci e romani.
Il granito era già utilizzato nel 2600 a.C. dagli antichi egizi, che se ne servirono per
costruire il rivestimento superficiale della piramide rossa, mentre la piramide di
Micerino è costruita con blocchi di granito e calcare.
Presso i nativi americani delle Grandi Pianure era comune l'utilizzo di pelli o
corteccia di betulla per la fabbricazione dei "tipi" (in inglese teepee), tende di forma
conica che avevano il vantaggio di potere essere trasportate.
In Mongolia una parte della popolazione vive ancora nelle iurte, abitazioni costituite
da una struttura portante in legno e una copertura fatta di tappeti di feltro (una stoffa
in pelo animale). Questo tipo di abitazioni è richiamato nelle tensostrutture, applicate
su vasta scala nella seconda metà del Novecento. Per la costruzione delle
tensostrutture vengono in genere impiegate travature costituite da fibra di vetro
rivestita in politetrafluoroetilene e tele in poliestere e polivinilcloruro.
In passato la maggior parte dei materiali usati per l'edilizia era presente in natura
(legno, argilla o sabbia) e veniva utilizzata senza particolari lavorazioni aggiuntive.
Con il passare del tempo, a questi materiali se ne sono aggiunti altri, artificiali (come
il calcestruzzo, vetro, materie plastiche, e i metalli), che vengono realizzati a partire
da materie prime presenti in natura, che per l'utilizzo industriale vengono sottoposte a
diversi processi di lavorazione e trattamento delle superfici. Anche i materiali
naturali, che una volta venivano impiegati allo stato grezzo, ora vengono sottoposti a
diversi processi di lavorazione; ad esempio il legno subisce diversi trattamenti di
superficie (come la sabbiatura), mentre l'argilla viene cotta al forno (diventando
terracotta).
Oggi, la scelta del materiale da adottare per una particolare applicazione dipende
dalle sue caratteristiche (tra cui: proprietà meccaniche, proprietà fisiche, proprietà
chimiche, proprietà ottiche e traspirabilità) ma anche dalla sua disponibilità nel luogo
di utilizzo, dall'impatto ambientale del materiale stesso, dal suo effetto estetico e,
soprattutto, dal suo prezzo. Tra i vari fattori di risparmio che possono influenzare la
scelta dei materiali alcuni sono direttamente legati al materiale stesso, come il costo
di produzione unitario o la reperibilità in loco, ma altri dipendono dalle tecnologie
utilizzate in cantiere e/o al ciclo di vita previsto per l'edificio (es. modularità dei
componenti nel caso di prefabbricazione, facilità di utilizzo da parte di manodopera
non specializzata nel caso dell'autocostruzione, possibilità di un riutilizzo dopo la
demolizione dell'edificio....).
Legno
Il legno è il materiale organico più diffuso e il suo utilizzo risale all'antichità (basti
pensare alle capanne del Paleolitico o alle palafitte del Neolitico). Esistono diversi
tipi di legni, che si differenziano, oltre che per la specie arboricola da cui sono
prodotti, dal tipo di crescita che ha avuto l'albero.
Leganti
I leganti sono materiali costituiti da polveri finissimi che, se impastati con acqua,
dànno origine a una massa plastica che, una volta indurita, raggiunge una elevata
resistenza meccanica. I leganti, quando impastati con acqua, diventano malte e
calcestruzzi.
Gesso
Calce aerea
Con il termine calce si intendono sia l'ossido di calcio (CaO) ottenuto per cottura ad
alta temperatura di rocce calcaree (calce viva) oche il suo idrato (Ca(OH)2, detto
anche calce spenta). La calce è utilizzata impastata con sabbia e acqua, diventando
così malta, per il collegamento di pietre e mattoni o per la realizzazione di intonaci.
Calce idraulica
Cementi
Malte e calcestruzzi
Viene utilizzata in edilizia per realizzare intonaci o per collegare e tenere uniti altri
materiali da costruzione, cui la malta fluida si adatta aderendovi tenacemente fino a
dare una struttura monolitica ad indurimento avvenuto (malta di allettamento), o
almeno ciò è quanto potrebbe avvenire con una malta cementizia nella costruzione di
murature nuove. Nelle murature antiche e in generale quelle con malte a base di
calce, la funzione della malta è principalmente quella di compensare le asperità dei
blocchi (pietre o laterizi) e quindi quella di distribuire il carico su l'intera superficie
d'appoggio reciproco. La malta non ha quindi la funzione preminente di "incollare" i
blocchi, come si potrebbe pensare, soprattutto quella tradizionale.
Il largo impiego del calcestruzzo è dovuto a diversi fattori:
Le diverse caratteristiche del calcestruzzo, sia fresco che indurito, dipendono dalla
presenza o mancanza di aggregati (naturali o artificiali) e dalle caratteristiche
dell'acqua e degli additivi (come per esempio quelli fluidificanti e superfluidificanti,
che sono i più utilizzati e servono a rendere più lavorabile il calcestruzzo o a ridurre
la quantità di acqua necessaria nell'impasto).
Materiali lapidei
Granito
Tufo
Il tufo è una roccia vulcanica di tipo piroclastica. Esso può essere impiegato in
edilizia in blocchetti per la costruzione delle pareti portanti in sostituzione di altri
materiali quali blocchetti di cemento, pietra da taglio eccetera.
Marmo
Porfido
Il porfido è una roccia vulcanica effusiva (formatasi quindi in prossimità della crosta
terrestre) con una struttura cristallina a grana fine. È molto resistente agli sbalzi di
temperatura, ed è per questo che viene spesso utilizzato per pavimentazioni esterne
(dai bolognini ai sampietrini fino a lastre di dimensioni maggiori), ma anche per
rivestimenti e pareti ventilate.
Ardesia
L'ardesia è una roccia metamorfica da cui si possono ottenere facilmente lastre sottili,
piane, leggere, impermeabili e resistenti agli agenti atmosferici. Viene principalmente
impiegata per la costruzione delle coperture, ma anche nelle pavimentazioni e per la
costruzione di gradoni di scale.
Esistono molti altri materiali lapidei utilizzati in edilizia. Tra questi, ci sono delle
rocce vulcaniche (come sienite, diorite, gabbro e basalto), rocce sedimentarie (come
dolomite, calcare e arenaria) e rocce metamorfiche (come, per esempio, gli gneiss).
Materiali ceramici
Laterizi
I grès sono prodotti ceramici realizzati con argille che durante la cottura danno luogo
alla graduale formazione di una fase liquida, per cui si ottiene un prodotto
impermeabile con elevata resistenza meccanica. Questo fenomeno è detto
greificazione. I grès sono utilizzati per realizzare condutture per soluzioni acide o
acque di scarico e piastrelle.
Piastrelle ceramiche
Acciai e ghise
Acciai
Esistono diversi modi per classificare i vari tipi di acciai. In base ai requisiti
qualitativi, per esempio, si suddividono in acciai di base (per i quali vengono
garantite solo certe caratteristiche resistenziali), acciai di qualità (per i quali, oltre a
quelle di resistenza meccanica, è possibile garantire altre determinate proprietà) e
acciai speciali (destinati ad applicazioni o trattamenti particolari). In base alla
composizione chimica, invece, si possono suddividere in acciai al carbonio, acciai
basso legati e acciai legati. Infine, sulla base delle applicazione, gli acciai si possono
raggruppare in: acciai da costruzione di uso generale, acciai speciali da costruzione,
acciai inossidabili, acciai da utensili e acciai per usi particolari.
Tra i materiali metallici non ferrosi, i più utilizzati in edilizia sono il rame e
l'alluminio (e le loro rispettive leghe) e il titanio.
Il rivestimento della cupola del Tempio Maggiore Israelitico di Firenze è in rame. La tipica
colorazione verde, è dovuta alla naturale ossidazione del materiale.
L'alluminio e le sue leghe sono caratterizzati da una bassa densità (più o meno un
terzo di quella degli acciai. Inoltre, l'alluminio è un materiale estremamente leggero e
resistente alla corrosione in ambienti neutri (in assenza di cloruri). Ha elevata
conducibilità elettrica (di poco inferiore a quella del rame) e una buona duttilità. Per
migliorare le proprietà meccaniche, le leghe di alluminio possono essere sottoposte a
trattamenti termici specifici oppure a incrudimento.
Titanio
Il titanio non è un elemento raro (è più diffuso, per esempio, del rame e dello zinco);
tuttavia è un materiale molto costoso. Ha un elevato punto di fusione (1660 °C), un
basso coefficiente di dilatazione termica, non è magnetico, non infragilisce a basse
temperature, è ipoallergenico, leggero e inossidabile. Si può produrre in getti, è
forgiabile, lo si può saldare e lavorare con macchine utensili. Per applicazioni
architettoniche, solitamente si ricorre al titanio nella sua colorazione naturale, simile,
a prima vista, a quella dell'acciaio inossidabile. In questo caso, la superficie del
metallo dà riflessi colorati con tonalità che cambiano al variare dell'angolo di
osservazione e del tipo di illuminazione. Un tipico esempio di utilizzo di questo
materiale è il Guggenheim Museum di Bilbao, opera di Frank O. Gehry
completamente rivestita in titanio.
Oro
Vetri
Il vetro è un materiale fragile, che trova impiego sotto forma di lastre nella
realizzazione degli infissi (finestre) o di facciate continue. Il vetro permette alla luce
di entrare negli ambienti interni, e al tempo stesso isola l'edificio dagli agenti
atmosferici (vento, neve, e pioggia). Può essere utilizzato anche a scopo decorativo,
realizzando ad esempio delle vetrate a mosaico (questa tecnica è stata spesso
utilizzata nelle chiese).
Le lastre di vetro possono essere assemblate in strati tra cui viene lasciata
un'intercapedine; si parla in questo caso di vetrocamera. L'utilizzo di vetrocamera
permette un buon isolamento termico e acustico. Esiste anche la possibilità di creare
dei "mattoni" in vetro. Si parla in questo caso di vetrocemento. È possibile realizzare
pareti divisorie in vetrocemento, che permettono il passaggio della luce mantenendo
allo stesso tempo una certa privacy.
Per porre rimedio alla fragilità del vetro, è possibile utilizzare alcuni accorgimenti. Si
possono così ottenere tre tipi di sicurezza:
• vetri armati (o retinati): sono quei vetri che vengono prodotti inserendo, in fase
di laminazione, quando il vetro è ancora fluido, una rete metallica che ha la
funzione di trattenere i frammenti in caso di urto;
• vetri temprati: sono quelli soggetti a trattamenti termici atti ad aumentarne la
resistenza all'urto. Quando si rompono, questi particolari vetri si frantumano in
piccoli frammenti con spigoli arrotondati;
• vetri stratificati: si ottengono interponendo tra due lastre di vetro, solitamente
temprate, un foglio di materiale plastico. Questi vetri sono usati soprattutto per
i parabrezza delle automobili (in molti paesi, tra cui l'Italia, sono obbligatori).
Il vetro può essere anche utilizzato come materiale per strutture portanti, in questo
caso si parla di vetro strutturale.
Materiali polimerici
Polistirene
I cosiddetti materiali compositi sono quei materiali costituiti da una miscela, naturale
o artificiale, di materiali diversi. Fanno parte di questa categoria anche il legno (che è
costituito infatti da cellulosa inserita in una matrice di lignina)[11] e alcuni materiali di
uso tradizionale (come i conglomerati cementizi), ma solitamente il termine di
"compositi" viene utilizzato in senso più stretto, per indicare una categoria di
materiali non naturali, che rispondono a tre requisiti:
• consistono di due o più materiali fisicamente distinti;
• questi materiali sono dispersi l'uno nell'altro in modo controllato;
• il materiale risultante presenta una combinazione di proprietà che non si può
ottenere nei singoli materiali componenti.
L’acqua che si accumula nella terra smossa attorno alla casa esercita una pressione
contro i muri ed i pavimenti, tende a risalire per capillarità nei muri e può
compromettere la struttura e il benessere ambientale all’interno. Per evitare la risalita
capillare è necessario prevedere un sistema di drenaggio perimetrale in grado di
raccogliere ed espellere l’acqua accumulata. Si tratta di riempire con un materiale
poco capillare (per esempio pietrisco di calcare) lo spazio tra il muro perimetrale ed il
terreno all’interno del quale si posano tubi drenanti forati con una pendenza di circa
1,5%. L’acqua superficiale percola facilmente fino ai tubi per essere convogliata e
allontanata oppure accumulata in cisterne apposite e utilizzata per la coltivazione del
giardino o dell’orto. Normalmente, i tubi di drenaggio sono realizzati in PVC perchè
economici, per la produzione di questo materiale a base petrolchimica vengono
emesse in ambiente enormi quantitativi di CO2 ed è inoltre un materiale difficilmente
riciclabile. In alternativa si possono utilizzare tubi in polietilene, in laterizio o in
cemento. I tubi in laterizio o cemento disponibili in commercio sono corti e meno
maneggevoli. La loro posa in opera risulta più complessa e il sistema di drenaggio
deve essere progettato con maggiore attenzione.
È buona regola inserire nelle fondazioni perimetrali un nastro d’acciaio che funga da
dispersore al quale possono essere collegate tutte le strutture metalliche degli
impianti e la rete elettrica. In questo modo si riduce l’intensità dei campi elettrici che
si formano in prossimità della rete e si deviano le correnti vaganti.
Scavi e rinterri
Per realizzare le fondazioni si esegue uno scavo di profondità idonea per contenere le
fondazioni stesse e lo scantinato se previsto. Il primo strato asportato (10-40 cm)
contiene terra fertile che può essere utilizzata a fine lavori per la sistemazione del
verde intorno all’edificio.
Per poter riutilizzare il terreno fertile asportato è necessario accumularlo, dove possa
non ingombrare ed evitando di mischiarlo con terra sterile, in cumuli non più alti di
1-2 m in modo che la pressione e la scarsa ventilazione non la rendano sterile. Nel
caso di accatastamento per periodi lunghi (oltre 3 mesi) è preferibile coprire la terra
con zolle erbose.
Anche il terreno sterile asportato può essere riutilizzato per la modellazione del
terreno e per la creazione di terrapieni antirumore, terrazzamenti ecc. E’ buona norma
prevedere il riutilizzo del materiale di riporto fin dalle prime fasi della progettazione,
ciò consente di razionalizzare il trasporto alla discarica ed è preferibile dal punto di
vista ambientale.
Gli scantinati e le altre parti interrate dell’edificio sono a contatto con il terreno e
quindi maggiormente esposti ad infiltrazioni d’acqua e di gas radon.
Le stesse tecniche di isolamento con membrane per la protezione dalle infiltrazioni di
umidità sono adatte anche per bloccare le infiltrazioni di radon. Per la protezione dal
radon tuttavia è necessario rafforzare le misure normalmente sufficienti per una
buona protezione contro le infiltrazioni di umidità: sigillare con cura le cuciture,
incollare o saldare le membrane senza lasciare fessure, sigillare accuratamente tutti i
punti di perforazione (elementi della costruzione, condutture ecc.). Le membrane in
polietilene hanno una buona tenuta stagna e insieme ad una buona ventilazione del
vespaio garantiscono un’adeguate protezione contro il gas che penetra gli ambienti
per infiltrazione.
Fondazioni in pietrame
Le fondazioni in pietrame sono il sistema più antico utilizzato per creare la base per
la struttura di un edificio indicato soprattutto in legno o in terra cruda.
Il pietrame distribuisce uniformemente i carichi della struttura costituendo una
barriera per la risalita capillare dell’umidità dal terreno.
È preferibile utilizzare pietra locale, ma alcuni tipi di pietrame possono emettere gas
radioattivi (tufo, pozzolana) o radon (granito) ed è consigliabile eseguire dei controlli
su un campione di materiale prima di utilizzarlo.
Informazioni tecnico-descrittive
La grande quantità di scarto di lavorazione della pietra può essere in parte riutilizzata
per piastrelle e graniglia.
Informazioni tecnico-descrittive
Murature perimetrali
Tipologie
I muri perimetrali possono essere omogenei o stratificati, portanti e solo di
tamponamento.
Informazioni tecnico-descrittive
Informazioni tecnico-descrittive
La coibentazione può essere realizzata incollando e/o fissando con tasselli lastre
d'isolante, senza rimuovere il vecchio intonaco, oppure aggiungendo uno strato (3 - 5
cm) d'intonaco isolante, operazione che riduce le oscillazioni di temperatura
accrescendo anche la capacità termica dell'edificio.
Molto adatti ad essere intonacati sono i pannelli in trucioli di legno mineralizzati,
ancorati a secco, in quanto costituiscono un eccellente supporto per l’intonaco.
L’ancoraggio a secco è preferibile per evitare che l’applicazione degli stessi con colle
sintetiche, successivamente coperti con intonaco aggrappato su rete di armatura, e
rivestito da uno strato di finitura, impedisca alla superficie muraria di traspirare.
Questa soluzione è possibile se si dispone di materiali isolanti aventi ottime
caratteristiche meccaniche e tecniche per resistere agli agenti atmosferici e per
consentire una posa adeguata.
Nel caso di interventi di ripristino, il sistema comporta una serie di vantaggi non
indifferenti, dal lato organizzativo e del risparmio:
La superficie da coibentare deve essere esente da polvere e/o sporco. Eventuali tracce
di oli, grassi, cere, ecc. devono essere rimosse preventivamente.
Per quanto riguarda le operazioni di fissaggio possono essere utilizzati collanti di
diversa natura, sistemi a base di adesivi cementiti oppure elementi di fissaggio
meccanico. I sistemi di ancoraggio a secco risultano sempre preferibili dal momento
che non comportano alcun contributo in termini di potenziale emissione di inquinanti,
cosa che diviene invece possibile in funzione del tipo di adesivo utilizzato. I tasselli
di ancoraggio sono costituiti da un disco e da una gamba: il disco ha lo scopo di
pressare per punzonamento, l’isolante contro il supporto.
Ogni tassello viene inserito in vicinanza degli angoli dei singoli pannelli, quattro per
ogni pannello.
Pareti in legno
Pareti in legno massiccio esterne
Il legno è un materiale ecologico non solo perchè è una materia prima rinnovabile,
ma anche perchè produce residui di lavorazioni degradabili o riutilizzabili, ma anche
e soprattutto perchè il suo utilizzo dalla foresta alla fabbrica al cantiere, richiede un
impiego di energia di gran lunga inferiore rispetto a tutti gli altri materiali impiegati
nelle costruzioni, da qui ne deriva un minor inquinamento.
Informazioni tecnico-descrittive
Per la protezione al fuoco il rivestimento interno con gesso offre garanzie molto
superiori ai trattamenti ignifuganti con prodotti chimici, anche se non permette di
mantenere il legno a vista. È bene limitare il più possibile la manutenzione con
vernici poliuretaniche o epossidiche in interni in quanto producono forti e prolungate
emissioni inquinanti.
Tale tecnica non richiede energia né macchine per la lavorazione, riduce le spese di
trasporto e consumo di materie prime non rinnovabili, è adatta per l'auto-costruzione.
Informazioni tecnico-descrittive
Per la tecnica del Pisè, utilizzata per murature portanti e non, si usa una terra
piuttosto magra (sabbiosa) e poco umida. Alle terre troppo grasse viene aggiunta
sabbia per ottenere una granulometria più adatta e per evitarne la fessurazione
durante il processo di essiccazione. I lavori cominciano con l’estrazione della terra
argillosa, sempre reperibile direttamente sull’area di costruzione, e la sua stagionatura
durante la quale le zolle si sbriciolano. Il materiale accumulato deve conservare la sua
plasticità e quindi conviene coprirlo con teli bagnati per evitare l’essiccazione e per
proteggerlo contro le piogge. Per renderla meglio lavorabile, la terra viene impastata
ed è pronta all’uso quando tutti i suoi componenti sono ben amalgamati e l’impasto
diventa plasmabile. Il materiale viene inserito nelle casseforme in strati di 5-12 cm e
battuto (a mano o con l’ausilio di una macchina) fino ad arrivare a strati alti di circa
80 cm (si possono costruire tre strati al giorno). Agli angoli, gli strati vengono uniti
per dentatura; lo spessore minimo dei muri portanti è di 50 cm. Le aperture delle
finestre e delle porte si ottengono tramite apposite controintelaiature, le architravi
sono da rinforzare con listelli di legno. La tecnica consente la costruzione di edifici
alti fino a due o tre piani. E’ buona regola erigere i muri in terra cruda su uno zoccolo
di pietra e proteggerli contro l’umidità ascendente; i muri esterni devono essere
protetti da un intonaco contro la pioggia.
Il primo tipo di muratura (pietra non squadrata) è quella realizzata con materiale di
cava lavorato solo grossolanamente, posto in opera in strati sufficientemente regolari.
Agli incroci dei muri ed agli angoli vanno posti elementi lapidei più regolari e meglio
squadrati.
Lo spessore minimo delle murature in pietrame irregolare sono le più penalizzate
dalle norme dato che lo spessore minimo deve essere di 50 cm, spessore che
diminuisce a 40 cm per le murature in pietrame e listatura in conglomerato
cementizio semplice o armato e a 24 cm per le murature a conci lapidei squadrati.
Informazioni tecnico-descrittive
Le rocce possono essere raggruppate in tre categorie ben distinte a seconda della loro
genesi:
• rocce ignee o magmatiche quali graniti, porfidi, basalti, tufi vulcanici, ecc.
I muri in pietrame vanno costruiti selezionando rocce con caratteristiche idonee, data
l’estrema variabilità delle rocce stesse.
Le pietre vive utilizzabili per questo tipo di muratura provengono dal gruppo delle
rocce sedimentarie e metamorfiche. Risultano infatti essere meno adatte le rocce
ignee perché dure fragili perché dure e fragili, ma soprattutto per la modesta capacità
di legarsi alle malte.
La struttura muraria in pietra viva, come qualsiasi altro tipo di muratura, va difesa
dall’umidità capillare ed esterna (per rendere più semplice la scelta del tipo di pietra
viva è bene determinare la sua resistenza agli agenti atmosferici e il mantenimento
del suo colore originario).
I muri in pietra viva hanno una capacità isolante ridotta: i locali risultano o troppo
caldi d’estate o troppo freddi d’inverno. Anche laddove la pietra è resistente agli
agenti atmosferici (pregio non accomunabile a tutti i tipi di pietra), potrebbe assorbire
facilmente l’umidità e creare seri problemi legati alla possibile gelività del materiale.
Volendo comunque mantenere le peculiarità estetiche del muro in pietra, per ovviare
al rischio della presenza di umidità, un tempo si costruivano i muri con mattoni verso
l’interno, raddoppiandoli poi in pietra, nella parte esterna, assicurando così un
miglioramento prestazionale della struttura.
Coperture
Tetto ventilato in legno con tavolato e isolamento termico
Questo tipo di copertura, coibentato all’esterno, è detta “tetto caldo” in quanto la sua
struttura rimane in zona temperata in inverno.
La quantità di materiale isolante impiegato nella realizzazione di questi tetti è
relativamente elevata, ma la struttura portante risulta meno soggetta ai danni che
possono recarle le elevate escursioni termiche.
La ventilazione si ottiene normalmente tramite una doppia listellatura sulla quale si
posano le tegole, oppure tramite l’uso di pannelli termoisolanti preformati dotati di
distanziatori per la posa delle tegole.
Il movimento d’aria è direttamente proporzionale alla temperatura esterna, alla
pendenza della falda e allo spessore dell’intercapedine di ventilazione.
Informazioni tecnico-descrittive
Questo tipo di costruzione garantisce buone prestazioni termiche che nascono dalla
combinazione di coibentazione e aerazione, ma allo stesso tempo risulta carente il
suo potere fonoisolante in quanto costituito da una struttura molto leggera.
Informazioni tecnico-descrittive
Lo strato isolante può essere realizzato con uno strato di fiocchi di cellulosa oppure
tramite materassini in fibra di cocco o di cotone. Questi materiali sono buoni
termoisolanti e possono svolgere un ruolo importante nella regolazione dell’umidità
assorbendola e rilasciandola per equilibrare le condizioni igrometriche nell’ambiente.
Essi offrono buone capacità fonoisolanti (nella fattispecie il cocco) ma non sono
resistenti all’acqua e necessitano un telo impermeabilizzante protettivo. Per
incrementare la loro scarsa resistenza al fuoco (classe B1 per la cellulosa e B2 per il
cocco) questi isolanti devono essere trattati con sali borici.
Tra l’isolamento termico e il tavolato in legno viene posto uno strato di membrana
antipolvere traspirante (carta Kraft) che funge da barriera al vento e da freno al
vapore e impedisce la fuoriuscita di polvere e di fibra.
La membrana non risulta impermeabile all’acqua. È necessario pertanto posizionare
uno strato impermeabilizzante sotto il manto di copertura. Le superfici in legno che
rimangono a vista vengono piallate.
• il fabbricato deve essere posseduto dal titolare del diritto di proprietà o di altro
diritto reale sul terreno, ovvero dall'affittuario, o dal soggetto che conduce il terreno
cui l'immobile è asservito o dai familiari conviventi a loro carico o da soggetti titolari
di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura;
• l'immobile deve essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui sopra sulla
base di un titolo idoneo ovvero da dipendenti esercitanti attività agricole nell'azienda
• il terreno cui il fabbricato si riferisce deve essere situato nello stesso Comune o in
Comuni confinanti e deve avere una superficie non inferiore a 10.000 mq. Se sul
terreno sono praticate colture intensive ovvero il terreno è ubicato in comune
considerato montano, la superficie del terreno deve essere almeno di 3.000 mq;
• il volume d'affari da attività agricole del soggetto deve essere superiore alla metà
del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire i trattamenti
pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura.
Se il terreno è ubicato in comune considerato montano, tale volume di affari deve
risultare superiore ad 1/4 del reddito complessivo;
• il volume d'affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione IVA si presume
pari al limite massimo previsto per l'esonero dall'obbligo di presentazione della
dichiarazione. Tale requisito è riferito al soggetto che conduce il fondo e che può
essere diverso da quello che utilizza l'immobile ad uso abitativo;
Nel caso che più unità abitative siano utilizzate da più persone dello stesso nucleo
familiare, è necessario che sia rispettato anche il limite massimo di cinque vani
catastali o di 80 mq per un abitante e di un vano catastale o di 20 mq per ogni
abitante oltre il primo. Le costruzioni non utilizzate, che hanno i requisiti per essere
considerate rurali, non si considerano produttive di reddito di fabbricati.
LA RURALITA’
Da rilevare che per i fabbricati ad uso abitativo che hanno perso i requisiti della
ruralità per l’effetto dell’introduzione del nuovo requisito introdotto dall’art. 1,
comma 339 L. 296/06 (iscrizione presso il Registro delle Imprese da parte del
soggetto conduttore del fondo cui l’immobile è asservito) e per gli immobili che non
risultano dichiarati, in tutto o in parte, al catasto, ovvero che pur essendo “censiti
catastalmente” hanno perso il requisito della ruralità per una motivazione diversa da
quella di cui sopra, è intervenuto un provvedimento del Direttore dell’Agenzia del
Territorio pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2007. Preso atto
che tutte le costruzioni rurali o sono già state iscritte al Catasto dei Fabbricati o lo
dovranno essere è importante soffermarsi brevemente sul trattamento che verrà
riservato alle costruzioni rurali o ex rurali.
Le considerazioni sin qui svolte sono valide per tutte le tipologie di fabbricati
(abitazioni, fabbricati rurali e fabbricati strumentali).
Le costruzioni concernenti il mondo agricolo saranno censite catastalmente se
già non lo sono come segue:
- unità a destinazione abitativa;
- unità destinate ad attività produttive agricole.
Le prime saranno inserite nella categoria ordinaria più rispondente tra quelle
presenti nei quadri di qualificazione vigenti (cat. A).
Le seconde, per contro, saranno censite nella categoria D/10 “fabbricati per
funzioni produttive connesse all’attività agricola” nel caso in cui le caratteristiche di
destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni,
una destinazione diversa da quella per la quale sono state originariamente costruite.
In caso contrario potranno essere censite nelle categorie ordinarie più consone (C/2,
C/3, C/6, ecc.). Con l’applicazione delle norme sopra richiamate si è venuta a
delineare in forma più esplicita l’autonomia tra i profili tecnico-catastali di
censimento delle costruzioni e quello fiscale di applicazione delle imposte
(l’iscrizione in catasto di una particella con la denominazione di fabbricato rurale non
comporta automaticamente l’esclusione per la stessa dal reddito di fabbricati, né
viceversa per l’unità immobiliare censita al Catasto Fabbricati con attribuzione di
rendita è necessariamente dovuto l’assoggettamento all’imposta sul reddito
medesimo).
Il ruolo dell’agricoltura
Un processo da guidare
Il protocollo di Kyoto
Firmato l’11 dicembre 1997, il protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel febbraio
del 2005, con l’adesione della Russia. Condizione essenziale perché il trattato fosse
operativo, infatti, era la partecipazione di almeno 55 paesi che fossero produttori di
almeno il 55% dei gas-serra immessi annualmente nell’atmosfera (6.000
megatonnellate di CO2). Una situazione che si è ottenuta soltanto dopo la firma del
paese euro-asiatico. Ad oggi hanno aderito quasi 180 nazioni. Restano fuori da
Kyoto, come noto, gli Stati Uniti e la Cina, responsabili, da soli, di oltre il 40%
dell’inquinamento mondiale.
Fortunatamente, anche Usa e Cina stanno facendo qualche passo nella giusta
direzione. Lo si è visto alla conferenza di Copenhagen, che nelle premesse poteva
essere una nuova Kyoto e invece si è conclusa con un sostanziale insuccesso.
Tuttavia si è registrato il cambio di direzione degli Usa – grazie alla politica di
Obama – e la Cina si è impegnata a ridurre le emissioni di carbonio in rapporto al
proprio prodotto interno lordo. Timidi segnali di quella che potrebbe essere una
nuova linea politica dei due colossi mondiali.
Potrebbe essere preferibile, per esempio, produrre un po’ meno se questo determina
un forte risparmio sui mezzi di produzione. Qualcosa del genere accade già. Il costo
dei prodotti di origine petrolifera – dal gasolio ai fertilizzanti – ha toccato picchi tali
da rendere la coltivazione dei cereali scarsamente remunerativa, nonostante il parziale
adeguamento del prezzo dei cereali a queste impennate.
Va da sé che se fosse possibile ridurre di molto la quantità di materie prime
impiegate, l’equilibrio sarebbe ristabilito. Quello di cui si parla è, chiaramente, un
nuovo modo di interpretare l’agricoltura e i suoi obiettivi. Ma del resto, in un mondo
in radicale trasformazione, nemmeno il settore primario può permettersi di restare
uguale a se stesso.
Paglia, stocchi di mais, potature degli alberi, gusci di nocciole: quel che l’agricoltura
non usa può diventare combustibile per produrre calore ed energia elettrica.
Sottoprodotti e scarti sono una costante nella produzione agricola. Come, del resto, di
tutte le produzioni: si pensi per esempio a quella industriale. Ma mentre il settore
manifatturiero si è da tempo attrezzato per reimpiegare utilmente quel che avanza dal
processo principale, in agricoltura questo passaggio deve ancora compiersi appieno.
In realtà, il ciclo agricolo completo esiste da sempre e per secoli ha rappresentato un
perfetto esempio di ottimizzazione delle risorse, riciclo delle materie prime,
integrazione di filiera. Basta dare un’occhiata allo schema che pubblichiamo per
rendersi conto del livello di efficienza e complessità raggiunto. Ma questo modello
bilanciato ed eco-sostenibile è stato accantonato dall’agricoltura intensiva, quando la
priorità numero uno era massimizzare la produzione. Nel periodo del boom nessuno
aveva il tempo e la voglia di curarsi del reimpiego dei sottoprodotti, che divennero
così scarti di cui liberarsi. Spesso, bruciandoli a margine dei campi, oppure
interrandoli e trasformandoli in fertilizzante organico. Oggi è tempo di tornare al
passato, ovviamente rileggendo il vecchio modello contadino alla luce delle nuove
tecnologie.
Le colture annuali
Il grano e l’orzo lasciano la paglia, il riso anche la lolla, il mais gli stocchi e i tutoli.
In tutte le colture annuali, la parte utile della pianta è molto piccola, in proporzione
alla pianta stessa. Vale a dire che ne resta una grossa percentuale inutilizzata. Che
farne? Nel tempo gli impieghi sono stati disparati. Prendiamo la paglia: impastata con
la terra per farne mattoni, usata nella stalla come lettiera, mescolata ai foraggi,
bruciata o interrata nei campi. Oggi, si fa avanti una nuova prospettiva: usarla come
combustibile in centrali per la produzione di energia termica ed elettrica.
Nello scenario potenziale – ovvero quello con più probabilità di realizzarsi nei fatti –
si ipotizza di sfruttare in questo modo il 10% della paglia di riso e dei tutoli di mais e
l’80% della lolla.
Potrebbero essere riutilizzate 12mila tonnellate di tutoli e stocchi di mais, 29mila di
paglia e 95mila di lolla di riso, con un risparmio annuo di circa 50mila tonnellate di
petrolio. La scelta di bruciare i sottoprodotti della cerealicoltura ha però una
controindicazione: facendolo, si toglie sostanza organica al terreno. Inoltre è
necessario abbattere efficacemente l’emissione di particolati prodotti dalla
combustione.
Discorso del tutto analogo per le coltivazioni perenni, vite e frutteti in primo luogo. I
sottoprodotti di queste colture utilizzabili a fine energetico sono sia i sarmenti e le
potature sia gli scarti della lavorazione, come vinacce e graspi per la vite, gusci di
nocciolo e via dicendo.
La vite lascia i sarmenti di potatura, ma anche gli scarti della vinificazione. Raspi,
vinacce e vinaccioli sono un ottimo combustibile – una volta essiccati – e in più sono
facilissimi da raccogliere, dal momento che escono dalle pigiatrici e devono soltanto
essere ammucchiati e portati al luogo di utilizzo. Mediamente, dal 3 al 5% del peso di
un grappolo è costituito dal raspo; lo stesso vale per i vinaccioli, mentre la buccia può
arrivare al 10%. In totale, quindi, tra il 14 e il 17% dei circa 4 milioni e mezzo di
quintali di uve può trasformarsi in carburante per centrali a biomassa.
Vale a dire circa 70mila tonnellate di materiale, se si dovesse fare una raccolta
capillare.
Quasi un milione di tonnellate di deiezioni suine e oltre due milioni e mezzo di reflui
bovini. Tutte trasformabili in biogas con il quale alimentare centrali termoelettriche.
Le potenzialità sono enormi e potrebbero contribuire in misura significativa ai precari
bilanci degli allevatori.
GLI IMPIANTI PER IL RISPARMIO ENERGETICO
L’energia solare
La quantità di energia solare che raggiunge gli strati bassi dell’atmosfera è valutata in
circa 4900 kJ/m2; di questa solo una parte raggiunge la superficie terrestre per i
fenomeni di riflessione che si hanno negli strati più alti dell’atmosfera e per i
fenomeni diffusivi dovuti ai gas e alle particelle solide e liquide sospese nell’aria.
Sulla superficie terrestre si rende disponibile una potenza di non più di 3600 kJ/m2
che si distribuisce in modo non uniforme dall’equatore ai poli a causa dell’obliquità
dell’asse terrestre rispetto al piano dell’eclittica e del suo orientamento che varia
secondo le stagioni.
Oltre alla variazione di intensità nei diversi mesi, anche l’angolo di incidenza della
radiazione ha una notevole importanza, dato che le condizioni di massima
concentrazione si hanno con un’incidenza ortogonale alla superficie captante. In
definitiva la radiazione incidente nelle 24 ore è pari a 19000-22000 kJ/m2 giorno.
Di questa energia solo una parte può essere captata per la produzione di energia
termica o elettrica dai sistemi solari, che sono:
I collettori solari piani sono realizzati nelle due tipologie ad acqua e ad aria, a
seconda del fluido termovettore usato; in entrambi i casi nella loro configurazione
normale sono costituiti da una copertura trasparente, da una piastra assorbente, da
tubazioni o canali (nel caso di collettori ad aria) di circolazione del fluido
termovettore e da una struttura di contenimento (Fig. 2 e 3).
Le celle fotovoltaiche
Nei pannelli le celle fotovoltaiche sono montate in serie ed in parallelo; questi sono
collegati ad un sistema di controllo (chopper) in grado di adattare la tensione-corrente
del sistema alle esigenze dell’utenza. Se l’utenza è a corrente continua e la tensione è
sufficiente si può avere l’alimentazione diretta; in alternativa il pannello alimenta una
batteria (è la soluzione più comune) che a sua volta alimenta l’utente se questo lavora
in corrente continua, altrimenti è necessario disporre di un invertitore di corrente.
La potenza elettrica “di picco” (prodotta con un irraggiamento di 1 kW/m2) di una
cella solare del diametro normale di 56 mm si aggira su 0,45 W.
Nel settore agricolo i pannelli fotovoltaici sono stati utilizzati soprattutto per le
recinzioni elettriche e per l’approvvigionamento energetico delle malghe,
limitatamente, però, alle utenze domestiche minimali.
Fig. 11 Schematizzazione di una cella fotovoltaica al silicio
L’utilizzazione dell’acqua a fini energetici non è certo una novità del nostro secolo,
basti pensare alla produzione di energia meccanica le cui origini sono difficilmente
fissabili nel tempo. Più recente è, certo, lo sfruttamento dell’acqua per la
produzione di energia elettrica, processo di notevole interesse soprattutto nei bacini
montani, in cui ancora oggi alcune aziende non sono allacciate alla rete elettrica
nazionale.
Il sistema tradizionale di utilizzazione dell’energia di un corso d’acqua è quello delle
ruote idrauliche (FIG. 15) il cui funzionamento si basa sulla trasformazione
dell’energia potenziale in energia meccanica; la bassa velocità di rotazione che le
caratterizza (6-20 giri/min) rende indispensabile l’adozione di un sistema di
moltiplicazione dei giri per raggiungere la velocità minima di eccitazione di un
normale alternatore (1500 giri/min).
Le turbine, al contrario, sono caratterizzate da regimi di rotazione nettamente più
elevati (40-400 giri/min): ciò consente di adottare sistemi di moltiplicazione dei giri
più semplici e meno costosi. Per la “microidraulica” (così viene chiamata la classe di
impianti idroelettrici fino a 100 kW) si adotta generalmente la turbina Pelton, che
basa il suo funzionamento sull’impatto che uno o più getti d’acqua esercitano sulle
pale della girante.
Le altre tipologie di turbina sono meno adatte agli impieghi di microidraulica per
motivi legati all’elevato costo di acquisto e gestione, alla richiesta di tolleranze di
installazione molto più rigorose, al loro rendimento praticamente nullo con portate
fluttuanti o, comunque, al di sotto della portata di regime, come invece spesso accade
nelle realizzazioni di carattere aziendale.
I problemi che caratterizzano questa tecnologia, quale che sia il tipo di attrezzatura
impiegato, sono essenzialmente riconducibili alla necessità di disponibilità di acqua
nel corso di tutto l’anno. Il congelamento delle sorgenti durante il periodo invernale
ed i periodi di siccità estivi sono due fatti da valutare, quindi, con estrema attenzione,
dato che le opere di sbarramento per l’accumulo dell’acqua, se da un punto di vista
tecnico rappresentano la soluzione ideale, risultano molto spesso improponibili per
motivi legati all’elevato costo di realizzazione.
La digestione anaerobica
– digestore;
– impianto di termostatazione;
– impianto di miscelazione;
– gasometro.
Il digestore
L’unità base del processo è il digestore, all’interno del quale avvengono i processi
fermentativi (ai quali si farà cenno anche nella gestione dei liquami zootecnici) e
dalla cui tipologia dipende lo schema funzionale dell’impianto.
– impianti continui, sono gli impianti attuali, nei quali il carico e lo scarico sono
continui e la produzione di biogas è pressoché costante.
Tra gli impianti continui il più comune è il digestore high rate monostadio
caratterizzato da una completa miscelazione e da processo condotto in mesofilia (35-
37 °C) con un tempo di ritenzione (tempo medio di permanenza dei liquami
nell’impianto) dell’ordine di 15-30 giorni, a seconda del tipo di substrato e del grado
di stabilizzazione richiesto.
Nei digestori high rate a due stadi (FIG. 20) al digestore propriamente detto segue un
secondo reattore, generalmente non termostatato e dimensionato per un tempo di
ritenzione di 10-20 giorni, avente funzione di stadio di sedimentazione e accumulo
del biogas.
Negli impianti operanti con reflui molto diluiti (non certo per i liquami zootecnici) si
possono utilizzare i cosiddetti impianti a biomassa ritenuta caratterizzati dal
riempimento di parte del reattore con un supporto fisso ed inerte (elementi modulari a
forma definita, generalmente in plastica, sul quale le colonie batteriche si sviluppano
sotto forma di una pellicola adesa dello spessore di 1-4 mm): sono realizzati con
flusso ascendente dei liquami – upflow – o discendente – downflow (FIG. 21).
Fig. 21 Digestori a letto fisso del tipo a flusso ascendente (o upflow), (a sinistra) e a
flusso discendente (o downflow) (a destra). In evidenza: 1) liquami affluenti; 2)
scambiatore di calore per il riscaldamento dei liquami; 3) zona riempita con il
materiale di riempimento per l’adesione dei batteri; 4) biogas; 5) liquami effluenti.
La termostatazione dell’impianto
La miscelazione dell’impianto
In ogni caso nella scelta deve essere attentamente analizzato l’aspetto energetico,
trovandosi sul mercato tipologie di macchine con rendimenti molto diversi a parità di
prestazioni.
Considerato l’elevato volume occupato dal biogas (2000 volte superiore a quello del
gasolio a parità di contenuto energetico) appare evidente l’importanza di limitare al
massimo i tempi di stoccaggio e di favorirne, invece, l’utilizzo all’atto della
produzione. È comunque necessario un accumulo parziale, attuabile con i tradizionali
gasometri a campana o con le calotte gasometriche in materiale plastomerico.
La cogenerazione
Gli impianti di cogenerazione presenti sul mercato sono oggi di buona affidabilità,
ma la presenza di seppur limitate quantità di idrogeno solforato obbliga l’utente a
prevedere dei trattamenti di desolforazione. Se nei grandi impianti è possibile
adottare costose attrezzature specifiche, negli impianti aziendali oggi ci si limita
sostanzialmente a garantire una buona deumidificazione del gas, eventualmente
ricorrendo al suo raffreddamento con macchina frigorifera, dato che con tale
operazione una buona parte dell’idrogeno solforato viene eliminata. La
desolforazione può anche essere ottenuta introducendo con regolarità nel digestore
aria nella misura del 2-4% in volume: si ha la precipitazione dell’H2S come cristalli
di zolfo. A garanzia della durata dei motori, inoltre, occorre eliminarne ogni
componente in rame, materiale che viene aggredito dall’idrogeno solforato.
Un ulteriore problema è quello della scelta del gruppo di co-generazione più adatto
alla realtà aziendale: per i piccoli impianti, con potenze inferiori ai 50 kW, non sono
molti i cogeneratori disponibili sul mercato, mentre nelle taglie più grandi l’offerta è
maggiore ed anche gli investimenti richiesti per kW di potenza si riducono.
La scelta di macchine di potenza superiore a quella garantibile in continuo
dall’impianto può essere giustificabile, considerato che molto spesso le utenze
aziendali sono concentrate in un periodo massimo di dodici ore, ma ciò comporta un
dimensionamento consistente dello stoccaggio del biogas ed un funzionamento
discontinuo del gruppo di cogenerazione. Ogni disattivazione, però, comporta il
raffreddamento del motore e, conseguentemente, l’effetto negativo della
condensazione del vapore.
Per gli impianti di medio-grandi dimensioni può essere preferibile il ricorso a più
unità di cogenerazione: questa scelta è più impegnativa economicamente, ma offre
una maggiore affidabilità.
Un tipico esempio di panemone è quello ideato dal finlandese Savonius, dal quale
prende il nome: esso è costituito da due superfici semicilindriche rotanti solidalmente
intorno ad un asse verticale (FIG. 27).
Altro esempio di aeromotore ad asse verticale è il rotore Darrieus che nella sua
forma classica è formato da 2-3 pale incurvate ad arco ed incernierate
all’asse di rotazione (FIG. 28): la velocità di rotazione è superiore di 5-8 volte a
quella del vento ed i rendimenti sono nettamente più elevati rispetto al Savonius. Ciò
permette a questa macchina di essere utilizzata anche per l’azionamento di generatori
di energia elettrica.
Fig. 28 Il rotore Darrieus nella sua conformazione più classica a pale incurvate e
incernierate all’asse di rotazione. L’impossibilità di avviamento autonomo, dovuta
alla simmetria delle pale, viene ovviata adottando pale a profilo asimmetrico oppure
montando un motore elettrico il cui avviamento è comandato da un anemometro.
Tipici esempi sono i mulini a vento e tutti gli aeromotori di vecchia concezione.
Ad essi si contrappone la nuova generazione di aeromotori che dispongono di un
numero limitato di pale (da 1 a 4) (FIG. 29) che, grazie al loro profilo aerodinamico e
all’impiego di materiali leggeri derivati dal settore aeronautico, consentono di
raggiungere velocità di rotazione tali da rendere possibile l’impiego di generatori
elettrici.
Con tali macchine diviene indispensabile l’adozione di limitatori di velocità del
rotore i quali, oltre che garantire l’integrità di quest’ultimo e della struttura di
sostegno, assicurano anche un corretto funzionamento del generatore di corrente.
Per quanto riguarda quest’ultimo la scelta tecnicamente ottimale prevede
l’abbinamento di un generatore di corrente continua con un sistema di accumulo e
con un dispositivo di conversione corrente continua/corrente alternata.