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Genetica Umana Prof.

ssa: Tiziana Vaisitti


Lezione 7 Sbobinatrice: Irene Ramò
16/01/2024 Revisore: Andrea Sandi

GENETICA DI POPOLAZIONE
Prima di iniziare la lezione la professoressa afferma di aver caricato le slide della lezione
precedente, tenuta da una sua collaboratrice. Inoltre, ricorda di aver inserito, nelle slide della prima
lezione, le date degli appelli relativi al modulo di Genetica Umana. In particolare, nella sessione di
febbraio ci sono due date, ma è possibile sostenere l’esame solo in una delle due. Nelle altre
sessioni non c’è questo problema poiché si tratta di date separate.
Domanda della professoressa: Cosa si intende, secondo voi, per genetica di popolazione?
Risposta: Lo studio dei fenotipi di una popolazione; è legata al concetto di evoluzione.
Domanda della professoressa: Cosa vuol dire fare lo studio genetico di una popolazione o delle
popolazioni?
Risposta: Valutare queste popolazioni dal punto di vista genetico; valutare i polimorfismi: abbiamo
visto che alcune varianti presenti nelle popolazioni o in determinati soggetti possono essere delle
varianti di suscettibilità, quindi è importante valutare questi polimorfismi.
Quando si parla di genetica di popolazione si intende un ramo della genetica che si occupa di
tanti aspetti: fenotipo, genotipo, presenza di polimorfismi, concetto di evoluzione. Esistono delle
leggi, che sono state elaborate negli anni, che permettono di valutare i genotipi a partire dal
fenotipo. Infatti, mentre oggi basta effettuare un test del DNA, fino venti anni fa non era così
semplice, in quanto non si sapeva leggere completamente il DNA. Per questo motivo, si dovevano
sfruttare dei meccanismi che consentissero comunque di valutare frequenze alleliche e frequenze
geniche, studiando la popolazione.
Atollo di Pingelap
Circa nella metà del Settecento
un tifone colpisce l’atollo di
Pingelap, un’isola sperduta
nell’Oceano Atlantico, a circa
2000 miglia dall’Asia, dal Sud
Africa e dalle coste
dell’Argentina. Il 90% della
popolazione non sopravvive a
quest’evento, sopravvivono
soltanto 20 persone.

Nelle immagini a fianco è


rappresentato il modo in cui una quota significativa
degli abitanti adesso vede, come conseguenza
dell’abbattimento del tifone sull’isola. Infatti, questo
evento ha decimato la popolazione e tra i venti
sopravvissuti era presente un individuo portatore
sano per una variante di una malattia recessiva
chiamata acromatopsia, che causa un’alterazione
della visione dei colori e altre problematiche a
livello visivo.
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Nell’isola, che era quindi un ambiente chiuso,
questa patologia si è stabilizzata nella
popolazione. Quindi, con il passare delle
generazioni, i portatori sani sono aumentati, come
la frequenza di questo allele nella popolazione,
finché, trattandosi di una comunità ristretta, in
alcuni soggetti la variante si è trovata in
omozigosi, poiché entrambi gli alleli presentavano
la variante. Di conseguenza, oggi una quota molto
alta della popolazione presenta la malattia: il
5/10% è omozigote e il 33% eterozigote.

Questo è un esempio dei concetti che vedremo oggi, che riguardano gli studi di popolazione. In
questo caso, la presenza di una comunità ristretta, che fa sì che non ci sia un’ampia
ricombinazione di alleli, determina un rischio aumentato che il patrimonio genetico sia condiviso e
che quindi alleli recessivi possano arrivare a una frequenza di omozigosi. Aumenta, dunque, il
rischio che si manifestino una serie di patologie.
Come possiamo misurare le frequenze alleliche nelle popolazioni?
Prendendo in considerazione una malattia recessiva, vogliamo determinare quanti eterozigoti per
un gene recessivo ci sono all’interno di una popolazione. Tuttavia, poiché i portatori sani non
hanno un fenotipo chiaro, è difficile stabilirlo e quindi calcolare la frequenza dell’allele recessivo.
Hardy e Weinberg, in maniera indipendente,
hanno provato a elaborare un sistema che
permettesse di determinare le frequenze alleliche
in una popolazione. Hanno quindi cercato di
vedere se dal fenotipo si potessero ottenere delle
informazioni genetiche. La legge di
Hardy-Weinberg permette, infatti, di misurare le
frequenze alleliche senza leggere il Dna.

Per popolazione si intende un gruppo locale di individui, più o meno ampio, che appartengono alla
stessa specie e che condividono, trovandosi in una determinata area, le informazioni genetiche.
La frequenza allelica corrisponde alla frequenza con cui gli alleli sono presenti in una determinata
popolazione. La frequenza genotipica definisce, invece, la frequenza dei genotipi.
La legge di Hardy-Weinberg o legge dell’equilibrio afferma che una popolazione è in equilibrio,
dal punto di vista fenotipico o genetico, quando c’è una ricombinazione casuale. In queste
condizioni, le frequenze dei genotipi (eterozigote, omozigote recessivo e omozigote dominante)
possono essere predette sulla base delle frequenze alleliche e le frequenze alleliche non
cambiano attraverso le generazioni.

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Inoltre, se una popolazione segue la legge di Hardy-Weinberg ed è quindi in equilibrio, non evolve
e rimane costante. Esistono però dei fattori evolutivi che fanno sì che le popolazioni possano non
essere in equilibrio e quindi cambiare nel tempo.
Presupposti per la legge di Hardy-Weinberg
● La popolazione è molto ampia (dimensione della popolazione è infinita)
L’esempio iniziale non rispetta questo principio, poiché si tratta di una popolazione ristretta.
Per questo motivo non è possibile applicare a quella popolazione la legge di
Hardy-Weinberg. Idealmente la popolazione deve essere infinita.
● Nessun genotipo è migliore degli altri: tutti i genotipi hanno uguale capacità di sopravvivere
e riprodursi
● L’accoppiamento della popolazione è casuale
Se la popolazione è ampia ho la possibilità di ricombinare i geni di questa popolazione.
● Esistono fattori che interferiscono con la legge di Hardy-Weinberg: questi fattori, che
causano variazioni delle frequenze alleliche (mutazioni e migrazioni) sono assenti o tanto
rari da essere ignorati
La legge di Hardy-Weinberg può essere applicata se non ci sono mutazioni, migrazioni ed
eventi selettivi, come il tifone dell’esempio iniziale.

Legge di Hardy-Weinberg
Consideriamo un gene autosomico, che ha due alleli: uno dominante A e uno recessivo a.
Definiamo come p la frequenza dell’allele dominante e come q la frequenza dell’allele recessivo.
La somma delle frequenze degli alleli, p e q, rappresenta il 100% (p + q = 1).
Se si vuole calcolare la frequenza del genotipo omozigote
dominante AA, si prende p (la frequenza dell’allele
dominante A) e si moltiplicano le frequenze p dei due alleli
e si ottiene p al quadrato. Se, invece, si considera il
genotipo omozigote recessivo aa, si prende q (la frequenza
dell’allele recessivo a), si moltiplicano le frequenze q dei
due alleli e si ottiene q al quadrato. Infine, nel caso del
genotipo eterozigote Aa, si moltiplica p (la frequenza
dell’allele dominante) per q (la frequenza dell’allele
recessivo) e si fa la somma fra pq e qp, ottenendo 2pq.
Quindi, dalle frequenze alleliche abbiamo identificato le
frequenze genotipiche, perciò Hardy e Weinberg hanno
determinato la seguente formula, in cui la somma della
frequenza del genotipo omozigote dominante, della frequenza
del genotipo omozigote recessivo e della frequenza del genotipo
eterozigote, fa 1.
Questa formula ci dice, perciò, che sia le frequenze genotipiche che le frequenze alleliche
rimangono costanti di generazione in generazione, in una popolazione ampia in cui gli individui si
accoppiano tra di loro in maniera casuale e in cui non c’è selezione/migrazione/mutazione.
Esempi di applicazione della legge di Hardy-Weinberg
La fibrosi cistica è un esempio di malattia recessiva. Si considera una popolazione di cui si
contano gli individui che manifestano la malattia: 1 soggetto su 2500 è affetto, quindi si ha una
frequenza dello 0.0004. L’individuo affetto, che ha genotipo omozigote recessivo aa, può essere
contato poiché ha fenotipo evidente, mentre i portatori sani, cioè gli eterozigoti, non sono visibili
poiché non hanno un fenotipo riconoscibile. Se si applica la legge di Hardy-Weinberg, si può
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calcolare la frequenza del genotipo aa, che è q al quadrato, e poi la frequenza dell’allele recessivo,
facendo la radice quadrata della frequenza del genotipo aa, che è q=0.02. Sapendo che la somma
delle frequenze alleliche fa 1, è possibile calcolare la frequenza dell’allele dominante p:
p=1-0.02=0.98. Quindi, in questa popolazione, il 98% degli alleli per il gene è dominante, mentre il
2% è recessivo.
A questo punto, si va a calcolare il numero degli eterozigoti. Infatti, conoscendo le frequenze
alleliche, è possibile calcolare le frequenze genotipiche. La frequenza del genotipo eterozigote è
pari a 2 pq, quindi si moltiplica 2 per 0.98 per 0.02 e si ottiene 0.039 (3.9%). In questa
popolazione, la frequenza dei portatori sani è 1/25, quindi il 3.9% della popolazione è portatore
sano del gene della fibrosi cistica.
Il secondo esempio è l’anemia falciforme. Si conta 1 individuo su 500 (0.002) affetto nella
popolazione. L’individuo affetto, come nel caso della fibrosi cistica, presenta un genotipo
omozigote recessivo aa. Anche in questo caso, applicando la legge di Hardy-Weinberg, si calcola
la frequenza del genotipo omozigote recessivo aa: q al quadrato. Per calcolare la frequenza
dell’allele recessivo si esegue la radice quadrata della frequenza del genotipo omozigote
recessivo, cioè di 0.002, ottenendo che q è uguale a 0.044. Poi si calcola la frequenza dell’allele
dominante A: p=1-0.044=0.956. Quindi, in questa popolazione, circa il 96% degli alleli per il gene è
dominante e il 4.4% è recessivo.
Anche in questo caso, conoscendo le frequenze alleliche (p=0.956 e q=0.044), si calcolano le
frequenze genotipiche. La frequenza del genotipo eterozigote è uguale a 2 pq, quindi si moltiplica
2 per 0.956 per 0.044, ottenendo 0.084 (8.4%). In questa popolazione, perciò, circa l’8.5% è
portatore sano.
La legge di Hardy-Weinberg permette quindi, partendo dai soggetti che manifestano il fenotipo, di
calcolare la frequenza dei portatori sani.
Oltre alla fibrosi cistica e all’anemia
falciforme, ci sono ulteriori esempi,
riportati nella tabella qui a fianco, di
malattie in cui ci sono frequenze più
alte in alcune popolazioni rispetto ad
altre. Queste frequenze, che sono
reali, sono le stesse che si possono
calcolare applicando la legge di
Hardy-Weinberg. In alcune
popolazioni queste frequenze alte
dipendono dal fatto che a un certo
punto i principi della legge iniziano a
vacillare, primo fra tutti la mancanza di una ricombinazione casuale: abbiamo arricchito un pool
genico, c’è una sorta di restrizione a livello della ricombinazione, per cui aumentano le frequenze
dei portatori sani e di conseguenza le frequenze dei soggetti malati.
Le malattie riportate come esempi sono rare, ma bisogna considerare che il numero di eterozigoti
portatori sani può essere relativamente alto. Questi esempi permettono di calcolare la probabilità di
arrivare a un genotipo in omozigosi. Infatti, quando si hanno questi esempi di malattie rare in cui,
però, le frequenze degli eterozigoti portatori sani non sono così basse, si può calcolare facilmente
il rischio.

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La legge di Hardy-Weinberg, che permette, a
partire dal fenotipo, di calcolare frequenze
alleliche e frequenze genotipiche, evidenzia che
queste due variabili sono in relazione fra di loro:
alla diminuzione delle frequenze dei genotipi
omozigoti, c’è un aumento della frequenza del
genotipo eterozigote.

Variazione genetica nelle popolazioni


Nelle popolazioni esistono differenze:
● Nelle frequenze di alleli diversi
● Nella distribuzione dei polimorfismi
(SNPs, cioè varianti a singolo nucleotide. Non
sono varianti rare, si trovano nelle popolazioni
con una certa frequenza, ma una popolazione ha dei polimorfismi che sono diversi da quelli
di un’altra popolazione. Esistono progetti che studiano i polimorfismi perché alcuni di questi
possono essere associati a suscettibilità a determinate malattie, che sono diverse da una
popolazione a un’altra)
● Nella distribuzione di varianti patogenetiche
La genetica di popolazione, quindi, riguarda:
● Lo studio quantitativo della distribuzione delle varianti genetiche nelle popolazioni
(si tratta di studio quantitativo poiché si va a calcolare le frequenze alleliche e genotipiche)
● Lo studio di come le frequenze alleliche e genotipiche sono mantenute o variano nel tempo
sia all’interno di una popolazione sia tra popolazioni
● Sia di fattori genetici (varianti) sia di fattori extragenetici, che possono contribuire a
cambiare la distribuzione degli alleli e dei genotipi nelle popolazioni

Se si considera la variabilità nelle popolazioni, si nota che c’è una forte variabilità all’interno
della stessa popolazione, spesso più alta della variabilità presente fra popolazioni di diverse aree.
La presenza di una bassa variabilità all’interno di una stessa popolazione è un fattore di rischio,
poiché una bassa variabilità rende quella popolazione più vulnerabile ai fattori extragenetici. Infatti,
riprendendo l’esempio iniziale, il tifone ha ridotto la popolazione. Anche nel caso di epidemie, più
c’è variabilità all’interno della popolazione, più ci sarà probabilità che ci siano individui con un
assetto genetico che permette loro di superarla. Se, invece, c’è poca variabilità e la popolazione è
molto omogenea, non avrà un assetto genetico che le permette di superare l’epidemia e, quindi,
soccombe.

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Il fatto di avere dei gradienti di variabilità è un vantaggio perché ci permette di adattarci e di
sopravvivere ad eventi che possono essere dei selettori. Questi gradienti, che normalmente
consideriamo fisiologici nell’ambito della variabilità, hanno anche una validità nell’ambito delle
malattie. Considerando la variabilità, ci sono aree che presentano una frequenza più alta ed altre
con una frequenza decisamente più bassa. Se, per esempio, consideriamo l’Europa, c’è una forte
variabilità di frequenza.
La stessa cosa vale per la fibrosi cistica e per la beta-talassemia. Infatti, uno dei punti di differenza
fra popolazioni è la distribuzione delle varianti patogenetiche.

Nel grafico sono rappresentate diverse


varianti causative della
beta-talassemia. Si può notare che
nel bacino del Mediterraneo non sono
uniformi: ci sono popolazioni che
presentano un’unica variante.

Inoltre, se consideriamo la stessa


malattia e prendiamo una regione
diversa, troviamo varianti diverse, che
non troviamo, per esempio, in Europa.
Quindi, quando si effettuano test genetici
bisogna tenere in considerazione l’etnia
del soggetto poiché è una delle
informazioni necessarie per interpretare
correttamente il risultato genetico.

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Se si considera la fenilchetonuria, una
malattia metabolica, si nota che ha una
diversa distribuzione: in Italia e in Europa in
generale ha una prevalenza molto forte,
mentre nelle popolazioni asiatiche è
praticamente assente.
Inoltre, se ci sono degli arricchimenti di
varianti, possiamo tracciarli. Quello
riportato nell’immagine è un esempio di
come determinate varianti genetiche, che
erano inizialmente presenti in alcune aree,
si sono spostate con lo spostamento delle
popolazioni. Quindi, per esempio, questa
variante in cui una tirosina diventa una
cisteina, che era molto frequente nei Paesi
scandinavi, inizia ad esserlo anche in Germania. Oppure, questa variante, che adesso iniziamo a
trovare con una frequenza non trascurabile in
Italia, deriva dello spostamento della
popolazione. Diventa quindi possibile tracciare
gli spostamenti avvenuti nel passato, di cui il
nostro patrimonio genetico è il risultato. Per
esempio, è possibile determinare il retaggio
dell’evoluzione che c’è stata e che è presente
nei nostri geni: sequenziando il DNA è stato
possibile tracciare gli spostamenti delle
popolazioni.
FATTORI EVOLUTIVI
Oltre alla componente genetica, c’è una
componente extragenetica che ha un impatto
molto forte, in quanto può modificare le
frequenze alleliche e le frequenze genotipiche presenti in una popolazione.
Alcuni esempi di questi fattori extragenetici sono:
● Assenza di matrimoni casuali; stratificazione; consanguineità
● Deriva genetica, effetto fondatore
● Migrazione
● Mutazione (eventi casuali rari, che però avvengono. Possono essere selezionate o
eliminate)
● Selezione naturale
Questi fattori devono essere assenti affinché la legge di Hardy-Weinberg sia valida.
La stratificazione
Per stratificazione si intende una popolazione in cui sono presenti dei sottogruppi che, anche se
vivono nella stessa area, rimangono separati da un punto di vista genetico per ragioni
storiche/culturali/religiose. Per esempio, gli Stati Uniti sono un paese in cui è presenta una
stratificazione, in quanto la sua popolazione è stratificata in: bianchi di stirpe nord-europea o
sud-europea, afroamericani, nativi americani, asiatici e ispanici. Se consideriamo la città di New
York, essa è costituita da China Town, Little Italy, che sono zone, all’interno della stessa città, in cui
abitano delle popolazioni diverse. Un altro esempio sono i mussulmani sciiti e sunniti, che hanno
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una distribuzione geografica peculiare. La stessa cosa vale per le caste in India, che sono delle
popolazioni che vivono sullo stesso territorio, ma che sono divise ed è rarissimo che ci sia una
contaminazione di una popolazione con un’altra.

La conseguenza, da un punto di vista genetico, è che non ci sono ricombinazioni alleliche e quindi
ricombinazioni genetiche. Se è presente stratificazione, quindi bassa variabilità genetica, se ci
sono dei portatori di una variante allelica, si verifica progressivamente un aumento della frequenza
di una malattia perché aumentano i soggetti con genotipo omozigote.
L’assenza di matrimoni casuali
I matrimoni assortativi rappresentano un modello di accoppiamento non casuale in cui gli individui
con fenotipi e/o genotipi simili si accoppiano più frequentemente di quanto succede in un modello
di accoppiamento casuale.
Si verifica la selezione di determinati fenotipi e caratteristiche. L’accoppiamento non casuale è
quindi un fattore che determina variazioni delle frequenze alleliche perché si selezionano
determinate frequenze alleliche e determinati genotipi. Questo fenomeno può essere negativo se
questa selezione riguarda soggetti affetti da determinate patologie. Un esempio può essere
l’acondroplasia, malattia autosomica dominante, che è la forma più comune di nanismo. Essendo
dominante, il fenotipo è presente nei soggetti eterozigoti, per cui, se due soggetti affetti da
acondroplasia hanno dei figli, si arriva a una condizione di omozigosi, che risulta letale.
Consanguineità
Nelle malattie autosomiche recessive,
quando si costruisce il pedigree, è importante
indicare se c’è una consanguineità tra i
soggetti, perché, avendo un patrimonio
genetico comune, è più probabile che le
varianti in eterozigosi arrivino a uno stato in
omozigosi nella prole.
In alcune popolazioni, in cui l’accoppiamento
tra consanguinei è più frequente, ci sono
patologie che sono più frequenti rispetto ad
altre popolazioni.

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Deriva genetica
Si tratta di un fattore che
determina il cambiamento delle
frequenze alleliche da una
generazione all’altra dovuto alle
dimensioni finite della prole. I
cambiamenti casuali possono
determinare: la perdita di un
allele (frequenza dell’allele=0)
oppure la fissazione di un allele
(frequenza dell’allele=1).
Il concetto di deriva genetica riguarda la perdita di variabilità: se perdo un allele e fisso altri alleli,
perdo variabilità. La deriva genetica riduce la variabilità intra-popolazione e aumenta quella fra
popolazioni.
Effetto collo di bottiglia

Si tratta di un esempio di deriva genetica, poiché si


verifica una riduzione della popolazione, in seguito a
condizioni ambientali, malattie, attività umane. Se
consideriamo l’esempio iniziale, il tifone che si è
abbattuto sull’isola è stato un evento collo di bottiglia:
ha ristretto drasticamente il numero di abitanti,
cambiando le frequenze alleliche. Dunque, si perdono
degli alleli mentre altri si fissano. Anche le epidemie
sono un esempio di effetto collo di bottiglia, poiché
sono un forte selettore.

Effetto fondatore
Si tratta sempre di un esempio di deriva
genetica. Una popolazione a un certo punto
si sposta, portando con sé il suo patrimonio
genetico, colonizzando un nuovo ambiente,
determinando un impoverimento
dell’eterogeneità allelica (diminuisce cioè il
numero di alleli della popolazione d’origine).
L’Islanda è un esempio di una popolazione
relativamente ristretta e viene quindi studiata
dal punto di vista genetico. Inoltre, abbiamo
visto esempi di malattie genetiche che sono
aumentate di frequenza in certe popolazioni
poiché c’è stato un fondatore che aveva
quell’assetto genetico e, se la popolazione
viene chiusa, questo viene portato avanti.

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Abbiamo numerosi esempi di
malattie che derivano dal
concetto dell’effetto fondatore,
in cui popolazioni sono migrate,
dando origine a una comunità
chiusa, facendo sì che si
propagassero determinati alleli.

Altri esempi riguardano varianti


specifiche: la mancanza della
fenilalanina 508 è la variante più
frequente che causa la fibrosi cistica ed
è un retaggio di un effetto fondatore.
Nell’immagine sono riportati esempi di
varianti che si sono stabilizzate in
popolazioni diverse.

Migrazione
Le migrazioni sono dei cambiamenti del flusso
genico. La popolazione che migra si porta dietro
il suo patrimonio genetico, se colonizza un
ambiente chiuso si ha l’effetto fondatore, se
invece va in una popolazione aperta porta della
variabilità. Si parla di flusso genico come
concetto opposto a quello di deriva genetica,
poiché stiamo portando un arricchimento genico,
poiché introduce nuovi alleli nella popolazione,
quindi stiamo aumentando la diversità degli alleli
in una popolazione. Si verifica un cambiamento progressivo delle frequenze alleliche, in quanto
possono dover passare molte generazioni affinché queste frequenze aumentino. Quello che è
importante è che aumenta la variabilità del pool genico.

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Quando si parla di migrazione non si intende solo lo spostamento di una popolazione, ma
soprattutto il superamento di una barriera riproduttiva e non necessariamente geografica.
Mutazione
Altri eventi che causano cambiamenti nelle frequenze alleliche sono le mutazioni. Le mutazioni
sono varianti che possono avvenire casualmente, spesso causate da errori durante la replicazione
del DNA che non vengono riparati dai meccanismi di riparazione, oppure come conseguenza di
agenti che agiscono sul DNA e cambiano la sequenza. Le mutazioni da sole, essendo rare, non
cambiano drasticamente le frequenze alleliche nelle popolazioni, ma sono comunque una fonte di
nuove varianti. Le mutazioni non sono sempre negative, poiché esistono mutazioni vantaggiose.
Selezione naturale
Darwin aveva immaginato il concetto di selezione naturale, con cui si indica la capacità degli
organismi di sopravvivere ed adattarsi. Infatti, quando abbiamo un’eterogeneità allelica, ci possono
essere dei genotipi che sono vantaggiosi e che quindi migliorano la fitness degli individui e delle
popolazioni, che quindi vengono perpetuati e portati avanti. Si tende a pensare a una selezione
negativa, in cui ci sono mutazioni che hanno un effetto negativo sul nostro fenotipo e che, quindi,
non vengono portate avanti. Tuttavia, esistono dei casi di selezione positiva, in cui queste varianti
possono migliorare il fenotipo e la fitness, per cui vengono portate avanti nella popolazione, fino ad
arrivare a una fissazione nella popolazione.
Quando ci sono degli eventi di selezione
naturale, si possono verificare tre
situazioni diverse. Nel primo caso
abbiamo una campana di distribuzione,
per cui gli eventi di selezione portano alla
stabilizzazione di un determinato
fenotipo. Infatti, prima abbiamo un picco
più allargato e progressivamente, con il
passare delle generazioni, questo picco
si restringe
In questo caso si tratta di una
selezione stabilizzante. Nel
secondo caso si parla di selezione
direzionale, cioè il picco si sposta
progressivamente verso un
estremo della curva, ma viene
mantenuta l’eterogeneità. Si parla,
invece, di selezione divergente
quando vengono selezionati gli
estremi.

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Permanenza delle malattie genetiche
Molte malattie genetiche permangono nella popolazione, quindi dobbiamo chiederci cosa
impedisce alla selezione naturale di eliminare gli alleli responsabili di malattie. Innanzitutto la
deriva genetica: se abbiamo delle comunità chiuse, in cui la frequenza dei portatori sani è alta, le
malattie continuano ad essere presenti nella popolazione. Dunque, magari il soggetto affetto dalla
malattia non si riproduce, ma i portatori sani continuano a portare avanti questi fenotipi. Allo stesso
tempo possono esserci dei meccanismi vantaggiosi, come la beta-talassemia e l’anemia
falciforme, in cui gli eterozigoti hanno un vantaggio selettivo e quindi vengono portati avanti. Infine
c’è il mantenimento di uno stato di eterozigosi: gli omozigoti possono non riprodursi, ma gli
eterozigoti rimangono, perciò gli alleli recessivi rari sopravvivono perché vengono mantenuti nella
condizione di eterozigosi.
Storia evolutiva e diffusione dell’Homo Sapiens

In una popolazione si può, andando a leggere il DNA,


tracciare la storia evolutiva di quella popolazione.
Infatti, il nostro DNA è il risultato di ciò che è
successo prima.
L’Homo Sapiens deriva da un primate: si sono
verificati vari passaggi di evoluzione, selezione e
differenziamento fino a quando si è separata la linea
ominoide, che l’uomo ha condiviso con lo scimpanzè
fino a 7 milioni di anni fa. In seguito c’è stata
un’ulteriore divisione da cui si sono formati gruppi
diversi della stessa specie definiti ominidi in Africa.

Questi gruppi si sono differenziati progressivamente fra di loro, fino ad arrivare al gruppo
dell’Homo Sapiens. Se si considera la scala temporale, ci sono dei gruppi che si sono persi,
quindi si sono differenziati, ma probabilmente, non avendo l’assetto genetico necessario per
sopravvivere, si sono fermati a
diversi gradi. A un certo punto,
questa evoluzione ha portato al
gruppo definito Homo, che
progressivamente si è evoluto fino
ad arrivare all’Homo Erectus, che
è stato il punto di svolta, da cui
sono arrivati tre gruppi, che sono
l’Homo Sapiens, il Neanderthal e
l’Homo Denisovensis.

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Gli studiosi che si occupano di genetica delle popolazioni, dunque, si sono chiesto che cosa
avessero di diverso questi tre gruppi. In particolare, si sono chiesti se noi abbiamo ancora nel
nostro Dna una quota di geni del Neanderthal.
Infatti, la storia ci dice che queste popolazioni sono partite tutte dallo stesso ceppo. Il primo Homo
Erectus, che si è sviluppato in Africa, ha deciso a un certo punto di migrare fuori dall’Africa,
spostandosi nella zona del Medio Oriente e del Sud-Est Asiatico, colonizzando questi territori.
Successivamente, in Africa, si è sviluppato il nostro antenato, l’Homo sapiens, che è migrato, a un
certo punto. Tuttavia, è rimasta in Africa una popolazione di Homo sapiens, che da un punto di
vista genetico è diversa dall’Homo sapiens che è migrato. Contemporaneamente, l’Homo di
Neanderthal si era localizzato nella zona dell’Europa e un po’ nella parte del Medio Oriente. Di
conseguenza, l’Homo sapiens, che è uscito dall’Africa, è andato in Asia, nelle parti più alte della
Russia, fino a passare in America. Una quota dell’Homo sapiens, invece, si è incontrata con
l’Homo di Neanderthal, che è scomparso a differenza dell’Homo sapiens. Quindi, dall’Homo
sapiens sono derivate tutte le
popolazioni: quella del Nuovo Mondo
è tutta derivante dall’Homo sapiens,
mentre quella europea è derivata
dall’incontro fra Homo sapiens e
Homo di Neanderthal. Di
conseguenza, nel nostro Dna
abbiamo ancora un retaggio di
questo incontro.

Marcatori genetici
Conosciamo questi spostamenti perché sono stati tracciati con il Dna. Infatti, i genetisti hanno
usato una serie di marcatori genetici, come:
● Il Dna mitocondriale, che viene trasmesso da madre a tutti i figli, maschi e femmine:
permette di tracciare l’ereditarietà per via materna in uomini e donne
● Il cromosoma Y, che viene trasmesso da padre a figlio: permette di tracciare l’ereditarietà
per via paterna negli uomini
● I polimorfismi SNPs, varianti a singolo nucleotide, sparsi per tutto il nostro genoma:
abbiamo 1 SNP ogni 1000 nucleotidi, che significa che abbiamo milioni di polimorfismi. I
polimorfismi, quindi, possono essere utilizzati come dei marcatori.
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In particolare ci sono delle situazioni in cui dei marcatori, durante la meiosi, sono talmente vicini
che il crossing-over non li coinvolge e vengono ereditati insieme: si parla di linkage disequilibrium,
cioè delle varianti o dei geni vengono
ereditati insieme, poiché, quando si fa
la ricombinazione, sono vicini. Siamo
perciò in grado di tracciare questi
marcatori nella popolazione. Gli
studiosi hanno quindi ricostruito degli
alberi filogenetici sulla base dei
polimorfismi, del Dna mitocondriale e
del cromosoma Y, e questo ha
permesso, senza l’utilizzo di un
sequenziatore ma solo di questi
marcatori, di ricostruire la storia
evolutiva dell’uomo.

International HapMap Project


Ai giorni d’oggi, sequenziare il Dna è possibile, per cui sono nati una serie di progetti, incluso il
progetto HapMap, cioè il mappaggio degli aplotipi. Per aplotipo si intende una combinazione di
alleli. Una determinata popolazione, a seconda di quella che è stata la sua storia, si porta dietro
determinati aplotipi, cioè determinate combinazioni di questi marcatori.
Sono stati svolti diversi studi in cui hanno
sequenziato il Dna delle diverse specie Homo.
Questo ha permesso di ricostruire quali sono
state le principali divisioni a partire dall’Homo
sapiens: una popolazione dell’Homo sapiens è
rimasta in Africa, che è quella che ha il Dna più
ancestrale, da cui poi ci sono state una
popolazione europea, una popolazione cinese.
Tuttavia, c’è stato un incontro fra queste specie e
l’aver sequenziato il Dna ha permesso di capire
che l’Homo Sapiens si è incontrato con l’Homo di
Neanderthal. A causa di questo incontro, noi
abbiamo, nel nostro Dna, una quota 1/2% del
Dna del Neanderthal.

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L’Italia è una penisola, quindi è un
porto d’arrivo, poiché ci sono le
migrazioni dall’Africa, dal Medio
Oriente. Infatti siamo stati invasi
tantissime volte da popolazioni diverse,
fra cui quelle del Nord d’Europa. Di
conseguenza, la popolazione italiana è
una delle popolazioni più variabili dal
punto di vista genetico. In particolare, è
stato calcolato quanta frazione di
Homo di Neanderthal è presente nelle
diverse popolazioni, fra cui quella della
Finlandia e della Gran Bretagna.
Da notare che la Sardegna e l’Italia continentale vengono sempre considerate separate perché la
Sardegna è un’isola, che dal punto di vista genetico è diversa dall’Italia continentale. L’1/2% del
nostro Dna che abbiamo ereditato dall’Homo di Neanderthal è stato determinante per il colore della
pelle, degli occhi e dei capelli. Infatti, l’Homo sapiens, che è uscito dall’Africa per migrare, aveva
una carnagione scura ed è arrivato ad incontrare il Neanderthal, che invece aveva una colorazione
diversa. Di conseguenza, il retaggio che abbiamo nella popolazione europea, che è bianca, è un
retaggio dell’Homo di Neanderthal. Inoltre abbiamo ereditato dall’Homo di Neanderthal alcuni
enzimi in grado di metabolizzare i grassi, Infatti, le diete dell’Homo sapiens e dell’Homo di
Neanderthal erano diverse. Per adattarci, essendo la nostra dieta ricca di grassi, nel nostro Dna è
entrata la capacità di metabolizzare i grassi. Infine, abbiamo ereditato dall’Homo di Neanderthal
una serie di geni che governano il nostro
sistema immunitario. Tuttavia, abbiamo anche
ereditato delle cose negative, tra cui dei geni
che regolano l’ipertensione, disordini metabolici
(tra cui geni che aumentano la suscettibilità al
diabete) e disordini neurodegenerativi (varianti
genetiche che aumentano la suscettibilità al
Parkinson e all’Alzheimer).

L’Italia è peculiare, poiché ha una sua


distribuzione. Il grafico aiuta a capire, quando si
esegue un’analisi genetica (per esempio
un’analisi del trascrittoma), quanto sono vicini
gli individui che sono stati studiati. Se, quindi,
guardiamo questa mappa, abbiamo degli alleli
che si distribuiscono in maniera diversa
all’interno della popolazione. Ci sono, quindi,
delle differenze nella popolazione, infatti quella
italiana è fra le più variabili. Inoltre, gli alleli che noi abbiamo rispecchiano la storia dell’Italia, per
cui nei vari periodi storici popolazioni diverse sono arrivate in Italia, portando il loro patrimonio
genetico. Questa mappa è quindi il risultato delle diverse colonizzazioni che sono avvenute. La
mappa ci fa vedere che le diverse parti dell’Italia sono il risultato della storia passata e delle
popolazioni che si sono spostate in Italia, portando l’eterogeneità che osserviamo nella
popolazione.

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Riusciamo a tracciare questa eterogeneità poiché ci sono stati, negli ultimi anni, ovvero da quando
il sequenziamento del Dna è diventato una pratica possibile sia per quanto riguarda i tempi sia per
quanto riguarda i costi, diversi progetti volti a sequenziare il Dna di migliaia di individui. Questo ci
permette di studiare come si sono evolute le popolazioni, ma anche di valutare, da un punto di
vista medico, come si distribuiscono queste varianti. Grazie a questi studi, è possibile determinare
quali sono le varianti più frequenti o quelle più rare, quali sono le varianti patogenetiche e quelle
benigne.
In questo modo è possibile interpretare correttamente il risultato di un test genetico, perché si sa
che una determinata popolazione ha determinate frequenze alleliche e genetiche, mentre un’altra
popolazione ha distribuzioni completamente diverse. Di conseguenza, l’interpretazione dei risultati
è diversa a seconda dei soggetti su cui vengono svolti questi test. Quando vengono svolti questi
progetti molto ampi, i presupposti sono includere migliaia di persone, ma soprattutto includere
persone con etnie diverse. Al contrario, i primi sequenziamenti che sono stati svolti erano ristretti
da questo punto di vista, poi progressivamente questi progetti si sono ampliati, coinvolgendo
popolazioni molto diverse fra di loro, permettendoci quindi di valutare varianti che sono
diversamente distribuite nelle popolazioni.

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