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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

Teresa Radice Corso di Analisi Matematica I


Testi consigliati

Analisi Matematica Uno P. Marcellini, C. Sbordone


Esercitazioni di Matematica P. Marcellini, C. Sbordone
Volume 1 parte prima e parte seconda
Lezioni di Analisi Matematica volume primo R. Fiorenza, D.
Greco

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Nozione di insieme

Definizione. (Cantor, 1845-1918) Un insieme è un aggregato


caotico di oggetti determinati e distinti.
Gli insiemi li denotiamo con le lettere maiuscole e i loro oggetti,
detti elementi, con le lettere minuscole.
Dire che un insieme S è un aggregato caotico di elementi significa
che non ha importanza l’ordine con cui gli elementi compaiono in
S.
Dire che gli elementi di S sono determinati vuole dire che è
possibile stabilire se un elemento appartiene o meno ad S .
Dire che gli elementi sono distinti vuole dire che, se un elemento
appartiene a S, vi compare una sola volta.
Sia S composto dai soli elementi a e b, con a 6= b, denotiamo
l’insieme S nel seguente modo:

S = {a, b} oppure S = {b, a}

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Se S è un insieme, per esprimere che a è un elemento di S si
adopera la notazione:
a ∈ S,
e si legge a appartiene a S. Se a non è un elemento di S
adoperiamo la notazione
a∈/ S,
e si legge a non appartiene a S.
Si utilizzano anche i seguenti simboli:

∃ esiste, (quantificatore esistenziale)

∀ per ogni, (quantificatore universale)


∃! esiste uno ed un solo
: tale che

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Siano A e B due insiemi.
A è contenuto (o incluso) in B quando ogni elemento di A
appartiene anche a B, in tal caso diciamo che A è un sottoinsieme
di B e scriviamo
A ⊆ B.
A è strettamente contenuto in B, quando
1 A⊆B
2 Esiste almeno un elemento di B che non appartiene all’insieme
A.
In tal caso diciamo che A è un sottoinsieme proprio di B e
scriviamo
A ⊂ B.

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Proprietà definite in un insieme
Sia S un insieme, una proprietà α si dice definita nell’insieme S se
qualunque sia l’elemento x ∈ S è verificata una delle seguenti
condizioni:
x gode della proprietà α (cioè α è vera per x),
x non gode della proprietà α (cioè α è falsa per x) .
Di conseguenza un altro modo per descrivere un insieme è
l’esplicitare una proprietà che ne caratterizzi gli elementi,

S = {x : P}

sta a significare che x ∈ S se, e solo se, x gode della proprietà P.


Esempio. S = {1, 2, 3, 4, 5}, T = {automobili}
1 α: x è pari
2 β: x è maggiore di 8
3 γ: x è verde.

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α e β sono definite in S e non in T . γ è definita in T e non in S.
Definire una proprietà vuole dire individuare un sottoinsieme di un
insieme.

A = {x ∈ S : α} = {x ∈ S : x è pari} = {2, 4}.

β pur essendo definita in S non è soddisfatta da alcun elemento di


S. È necessario introdurre un insieme privo di elementi, tale
insieme è l’insieme vuoto e si denota con ∅. Dunque:

B = {x ∈ S : β} = {x ∈ S : x > 8} = ∅.

Qualunque sia S, per convenzione, si assume che ∅ ⊆ S.

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Se con α e β si denotano due proposizioni (ad esempio ipotesi e
tesi di un teorema), per esprimere che la α ha come conseguenza
la β si usa la notazione :
α ⇒ β, (1)
che si legge α implica β. In altri termini, vuole dire che se è vera la
proposizione α, è vera anche la β.
La notazione:
α ; β,
che si legge α non implica β, esprime che β non è conseguenza
della α.
Qualora si abbia simultaneamente:

α ⇒ β, β⇒α

si dice che le le due proposizioni sono equivalenti. Si utilizza la


notazione
α ⇐⇒ β, (2)
che si legge α è equivalente a β.
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Quando vale la (1) si dice che la α è condizione sufficiente per il
verificarsi della β, oppure che la β è una condizione necessaria per
il verificarsi della α. Quando vale la (2) si dice che la α è
condizione necessaria e sufficiente per il verificarsi di β.
Esempio. Sia t una retta assegnata ed r ed s due rette variabili, se
α e β sono le proposizioni:
1 α: ciascuna delle rette r , s è parallela a t,
2 β: r e s sono parallele,
vale che α ⇒ β, ma β ; α, quindi α e β non sono equivalenti.
In altri termini, condizione sufficiente affinché due rette siano
parallele è che ciascuna di esse sia parallela alla retta t, ma la
condizione non è necessaria.
Oppure: condizione necessaria affinché due rette siano parallele
alla retta t è che siano parallele, ma la condizione non è sufficiente.

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Operazioni sugli insiemi

Si chiama intersezione di due insieme A e B l’insieme formato dagli


elementi comuni ad A e B. Tale insieme si indica con A ∩ B che si
legge A intersezione B. Se A e B non hanno elementi comuni si ha
A ∩ B = ∅ e i due insieme si dicono disgiunti.
Si chiama invece unione dei due insieme A e B, l’insieme formato
dagli elementi di entrambi, ossia dagli elementi che appartengono
ad almeno uno dei due. Tale insieme si indica con A ∪ B che si
legge A unione B.
Si chiama poi differenza di due insiemi A e B, o complemento di B
rispetto ad A, e si indica con A − B l’insieme formato dagli
elementi di A che non appartengono a B .
Esempio. Considerati gli insiemi A = {1, 5, 3, 6} e B = {5, 1, 2},
A ∪ B = {1, 2, 3, 5, 6}, A ∩ B = {1, 5}, B − A = {2},
A − B = {3, 6}.

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Funzioni

Siano X e Y due insieme non vuoti.


Una funzione di X in Y è una legge ad ogni elemento di X fa
corrispondere uno ed uno solo elemento di Y . Per denotare che f è
una funzione da X in Y si scrive

f : X → Y,

oppure y = f (x), intendendo che ad ogni elemento x ∈ X


corrisponde, tramite la funzione f l’elemento y = f (x) ∈ Y .
L’insieme X si chiama dominio o insieme di definizione della
funzione f .
Il valore f (x) della funzione f in x si chiama immagine di x
mediante f .

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Esempi
1 X = {iscritti alla facoltà di ingegneria}
Y = {16, 17, 18, ..., 88, 89}.
Ad ogni x vogliamo associare l’età di x.
2 X = { essere umani }, Y = { donne }.
Ad ogni x associamo la mamma di x.
3 X = {mamme}, Y = { figli }
Ad ogni x associamo il figlio di x.

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La 1) trattasi di una funzione da X in Y (almeno che non ci sia un
iscritto di età inferiore a 16 o superiore a 89). La 2) trattasi di una
funzione. La 3) non è una funzione.

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Funzioni invertibili
Una funzione f da X verso Y si dice iniettiva se elementi distinti
hanno immagini distinte, cioè, equivalentemente, se sussiste
l’implicazione
f (x1) = f (x2) ⇒ x1 = x2.
La funzione f si dice poi suriettiva se per ogni y ∈ Y esiste almeno un
x ∈ X tale che y = f (x), cioè quando ogni elemento dell’insieme Y è
immagine di almeno un elemento dell’insieme X

∀y ∈ Y ∃x ∈ X : y = f (x).

Diremo che la funzione è invertibile o biettiva quando f è


contemporaneamente iniettiva e suriettiva, cioè se per ogni y ∈ Y
esiste uno ed un solo x ∈ X tale che y = f (x); vale a dire quando ad
ogni elemento dell’insieme X corrisponde uno ed un solo elemento
dell’insieme Y e viceversa.

∀y ∈ Y ∃!x ∈ X : y = f (x).
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Allora ad ogni y ∈ Y viene associato un unico x ∈ X e quindi
possiamo considerare
f −1 : Y → X .
Tale funzione f −1 viene denominata funzione inversa.
Ovviamente anche f −1 è biettiva e

f −1(f (x)) = x, ∀x ∈ X f

(f −1(y )) = y , ∀y ∈ Y .

Sia f : X → Y una funzione da X verso Y . Il sottoinsieme di Y


formato dalle immagini di tutti gli elementi di X si chiama codominio
di f

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La funzione f : X → Y è suriettiva se e solo se il suo codominio
coincide con Y .
Se B è un sottoinsieme di Y , l’immagine inversa di B tramite f
indicata con f −1 (B) è il sottoinsieme di X definito da

f −1 (B) = {x ∈ X : f (x) ∈ B}

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Funzione composta
Siano f e g due funzioni, definite rispettivamente negli insiemi X e
Y:
x ∈ X → f (x), y ∈ Y → g (y ).
Se x ∈ X , ad esso corrisponde mediante f il valore f (x), il quale
può appartenere oppure no all’insieme Y di definizione di g .
Se il valore f (x) appartiene a Y , ad esso corrisponde, mediante g ,
il valore g (f (x)). In tal caso, associando ad x il numero g (f (x)) si
definisce una legge di corrispondenza, che ha significato per i punti
dell’insieme
A = {x ∈ X : f (x) ∈ Y } .
Supposto A non vuoto, la funzione che ad ogni x ∈ A associa il
numero g (f (x)) si chiama funzione composta mediante f e g ; e si
denota con g ◦ f . Il sottoinsieme A di X è non vuoto se e solo se
l’insieme di definizione di g ed il codominio di f hanno punti
comuni, cioè se e solo se Y ∩ f (X ) 6= ∅. In particolare, se risulta
f (X ) ⊆ Y , l’insieme A coincide con X .
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Prodotto cartesiano

Dati due insiemi A e B non vuoti, vogliamo considerare l’insieme i


cui elementi sono le coppie ordinate (allineamento che si ottiene
considerando gli elementi a e b in un certo ordine : a primo
elemento e b secondo elemento) del tipo (a, b), con a ∈ A e
b ∈ B. Tale insieme (leggasi A per B) si denota con A × B e si
chiama prodotto cartesiano degli insiemi A e B. I due elementi
a ∈ A e b ∈ B si chiamano rispettivamente prima coordinata e
seconda coordinata dell’elemento (a, b) ∈ A × B.
Si noti che se A 6= B, gli insieme A × B e B × A non coincidono. Il
prodotto cartesiano di A × A, cioè l’insieme delle coppie ordinate di
elementi di uno stesso insieme A, si denota con A2 .

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Esempio.
A = {1, 3, −3} , B = {1, 4}
il prodotto cartesiano A × B è l’insieme delle coppie ordinate:

(1, 1), (1, 4), (3, 1), (3, 4), (−3, 1), (−3, 4).

Se f è una funzione da X in Y si dice diagramma (o grafico) di f


il seguente sottoinsieme di X × Y

Gf = {(x, f (x)) ∈ X × Y : x ∈ X }
dunque si presenta come l’insieme costituito dai punti (x, y ) tali
che la seconda coordinata è uguale al valore assunto da f in
corrispondenza della prima coordinata.

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Gli assiomi dei numeri reali

In matematica si fissano dei presupposti (detti postulati o assiomi)


e da essi si traggono in modo logico alcuni risultati (teoremi).
Sinonimo di teorema è lemma, spesso utilizzato per un risultato
intermedio, utile per dimostrate un altro teorema; altri sinonimi
sono corollario e proposizione.
Il nostro punto di partenza è l’esistenza del sistema dei numeri
reali.
Esiste cioè un insieme di numeri, che indichiamo con R su cui è
possibile effettuare le quattro operazioni elementari oppure è
possibile stabilire quale è il maggiore tra i due numeri.

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Assiomi relativi alle operazioni
In R sono definite le due operazioni
+ : (a, b) ∈ R × R → a + b ∈ R addizione
· : (a, b) ∈ R × R → a · b ∈ R moltiplicazione
1) proprietà associativa
(a + b) + c = a + (b + c), (a · b) · c = a · (b · c)
2) proprietà commutativa
a+b =b+a a·b =b·a
3) la moltiplicazione è distributiva rispetto all’addizione
a · (b + c) = a · b + a · c
4) Esistenza degli elementi neutri: esistono in R due numeri
distinti 0 e 1 tali che
a + 0 = a, a · 1 = a
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5) Esistenza degli opposti: per ogni numero reale a esiste un
numero reale indicato con −a, tale che a + (−a) = 0
6) Esistenza degli inversi: per ogni numero reale a 6= 0 esiste un
numero reale a−1 , tale che a · a−1 = 1.

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Assiomi relativi all’ordinamento

È definita una relazione di minore o uguale tra coppie di numeri


reali con le seguenti proprietà:
7) Dicotomia: per ogni coppia di numeri reali a, b si ha a 6 b
oppure b 6 a.
8) Proprietà asimmetrica: se valgono contemporaneamente le
relazioni a 6 b e b 6 a, allora a = b.
9) Se a 6 b allora a + c 6 b + c.
10) Se 0 6 a e 0 6 b allora valgono anche 0 6 a + b, 0 6 a · b.

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Assioma di completezza

11) Siano A e B due insiemi non vuoti di numeri reali con la


proprietà che
a 6 b, ∀a ∈ A ∀b ∈ B. (3)
Allora esiste almeno un numero c ∈ R tale che a 6 c 6 b,
qualunque siano a in A e b in B.
Due sottoinsiemi di R che verificano la (3) si chiamano separati.
Esempi:

A = {x ∈ R : x 6 −1} B = {x ∈ R : x > 0}

A0 = {x ∈ R : x < 0} B = {x ∈ R : x > 0}
Due insieme che hanno un unico elemento di separazione si dicono
contigui.

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Alcune conseguenze degli assiomi dei numeri reali
1) Regola di semplificazione rispetto alla somma: se a + b = a + c
allora b = c
b = b + 0 = 0 + b = (−a + a) + b = −a + (a + b)

= −a + (a + c) = (−a + a) + c = 0 + c = c

2) Regola di semplificazione rispetto al prodotto: se a · b = a · c e


se a 6= 0 allora b = c
b = b · 1 = b · (a · a−1 ) = (a · b) · a−1

= (a · c) · a−1 = c · a · a−1 = c · 1 = c

3) Il prodotto a · b è nullo se e solo se almeno uno dei fattori è


nullo.
a · b = 0 ⇔ (a = 0 oppure b = 0)
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Proviamo che a · 0 = 0 per ogni numero reale a.
Consideriamo
a + a · 0 = a · 1 + a · 0 = a · (1 + 0) = a · 1 = a = a + 0
quindi per la regola di semplificazione a · 0 = 0 .


Supponiamo che a · b = 0 se a = 0 abbiamo dimostrato che
0 · b = 0.
Se a 6= 0, vogliamo dimostrare che b = 0. Dato che a 6= 0 esiste
l’inverso a−1 e si ha
b = b · 1 = b · (a · a−1 ) = a−1 · (a · b) = a−1 · 0 = 0
Osservazione: la precedente proposizione fa capire perché non
esiste l’inverso di 0. Difatti se p.a. (per assurdo) esistesse
0 · 0−1 = 1 ma 0 · 0−1 = 0.
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4) L’opposto di un numero reale è unico.
Per ogni numero reale a esiste l’opposto −a : a + (−a) = 0. Se
supponiamo che anche a + b = 0 allora per la legge di
semplificazione dell’addizione −a = b, quindi l’opposto è unico.
5) L’inverso di un numero reale a 6= 0 è unico.
Per ogni numero reale a 6= 0 esiste a−1 : a · a−1 = 1. Se
supponiamo che anche a · b = 1 allora per la legge di
semplificazione del prodotto a−1 = b, quindi l’inverso è unico.

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6) Per ogni numero reale a vale che −(−a) = a. Difatti −(−a) è
l’opposto di −a ma l’opposto di −a è a.
7) (−a) · b = −a · b. Per la proprietà distributiva si ha che

(−a) · b + a · b = [(−a) + a] · b = 0 · b = 0

da cui a · b è l’opposto di (−a) · b cioè −a · b = (−a) · b .


8) (−a) · (−b) = a · b

(−a) · (−b) = −[a · (−b)] = −[(−b) · a] = −[−(b · a)]

= −[−(a · b)]

quindi −[−(a · b)] = a · b.

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Conseguenze assioma relativi all’ordinamento

9) a 6 b ⇔ b − a > 0. Se a 6 b ⇒ a − a 6 b − a ⇒ 0 6 b − a.
Viceversa se
b − a > 0 ⇒ a = a + 0 6 (b − a) + a = b + (−a + a) = b + 0 = b.
10) Proprietà transitiva

a6b e b6c ⇒a6c

Se a 6 b allora b − a > 0, allo stesso modo se b 6 c allora


c − b > 0 ma allora 0 6 (b − a) + (c − b) = c − a ⇒ c > a.
11) a > 0 ⇔ −a 6 0.
⇒ Se a > 0 allora (−a) + a > −a + 0 ⇒ 0 > −a.
⇐ Se −a 6 0 allora a + (−a) 6 a + 0 ⇒ 0 6 a.

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12) a 6 b e c > 0 allora a · c 6 b · c.
a 6 b ⇒ b − a > 0 e (b − a) · c > 0 ma allora per la proprietà
distributiva
b · c − a · c > 0 ⇒ b · c > a · c.
13) a 6 b e c 6 0 allora a · c > b · c. Dato che c 6 0, −c > 0.

−c(b − a) > 0 ⇒ −b · c + a · c > 0 ⇒ a · c > b · c

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L’assioma di completezza può sembrare ovvio, ma non tutti gli
insiemi hanno il più piccolo e il più grande elemento.
Esempio  
1 1 1
A = 1, , , ... , ...
2 3 n
A è dotato del più grande elemento, ma non del più piccolo.

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Tra gli assiomi dei numeri reali vi è l’esistenza degli elementi neutri
0 e 1.

1∈R⇒1+1=2∈R⇒1+1+1=3∈R
Dunque l’insieme
N = {1, 2, 3, ..., n, ...}
è un sottoinsieme di R, che chiameremo insieme dei numeri
naturali.
Nell’insieme dei numeri naturali le operazioni di addizione e
moltiplicazione hanno sempre significato.
In N non vi è l’elemento neutro della addizione.
Consideriamo N0 = N ∪ {0}. In N0 non sono soddisfatti tutti gli
assiomi, ad esempio l’esistenza dell’opposto. Introduciamo

Z = {..., −2, −1, 0, 1, 2, ...}

insieme dei numeri interi relativi.


In Z non è soddisfatto l’assioma dell’esistenza dell’inverso.
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Introduciamo
nm o
Q= = m · n−1 , m, n ∈ Z, n 6= 0 .
n
Q è chiamato insieme dei numeri razionali.
Una rappresentazione nella quale numeratore e denominatore sono
primi tra loro si dice ridotta ai minimi termini.
Si ha
N ⊂ N0 ⊂ Z ⊂ Q ⊆ R
Q soddisfa le proprietà algebriche relative alle operazioni e
all’ordine. Q non gode dell’assioma di completezza, cioè esistono
A ⊂ Q e B ⊂ Q tali da non avere elemento di separazione in Q.

Np = {n ∈ N : ∃k ∈ N : n = 2k}

Nd = {n ∈ N : ∃k ∈ N : n = 2k − 1}
Np ∩ Nd = ∅, Np ∪ Nd = N

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Proprietà di Archimede. Per ogni x ∈ R, esiste n ∈ N tale che
n > x.
Proposizione. Non esiste alcun razionale c tale che c 2 = 2.
dim. p.a. (per assurdo) esista c ∈ Q: c 2 = 2, dunque c = m n,
n 6= 0 frazione che possiamo considerare ridotta ai minimi termini.
 m 2
= c 2 = 2, m2 = 2n2
n
dato che m2 è pari implica che m è pari (se m fosse dispari
esisterebbe k: m = 2k − 1, m2 = 4k 2 + 1 − 4k = 2(2k 2 − 2k) + 1
e dunque m2 dispari) quindi m = 2k, ciò implica 2n2 = m2 = 4k 2 ,
ma allora n2 = 2k 2 essendo n2 pari anche n sarebbe pari. Di
conseguenza sia n che m sono pari, di qui l’assurdo dato che m e n
devono essere primi tra loro.

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Q non soddisfa l’assioma di completezza

Consideriamo

A = {a ∈ Q : a 6 0} ∪ {a ∈ Q : a > 0, a2 < 2}

B = {b ∈ Q : b > 0, b 2 > 2}
vogliamo dimostrare che a 6 b, ∀a ∈ A e ∀b ∈ B.
Se p.a. esistessero a ∈ A e b ∈ B : a > b tale elemento a sarebbe
positivo (in quanto b > 0) e
2
a2 > a · b > b > 2

ma allora a ∈/ A.
Di qui l’assurdo dato che a è un elemento di A.
Dunque A e B sono separati A ∪ B = Q, A ∩ B = ∅.
Supponiamo p.a. che esista c ∈ Q: a 6 c 6 b, ∀a ∈ A ∀b ∈ B.

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Evidentemente c ∈ A oppure c ∈ B. Supponiamo c ∈ A,
ricordiamo che c il più grande elemento di A non potendo essere
c 6 0, segue che c 2 < 2.
Sia n un numero naturale, maggiore di 2c+12−c 2
, certamente esistente
per la proprietà di Archimede. Allora sfruttando che
n 6 n2 ⇒ n1 > n12 posso maggiorare nel seguente modo:

1 2
 
1 2c 2c + 1
c+ = c2 + 2 + 6 c2 + < c 2 − c 2 + 2 < 2.
n n n n

Dunque c + n1 appartiene a A e questo è assurdo essendo


c + n1 > c, mentre c è il più grande elemento di A. Analogamente
si perviene ad un assurdo supponendo c ∈ B.
Osservazione I due insiemi A e B, costituiti da numeri razionali,
possono essere riguardati come insieme di numeri reali e quindi
esiste c ∈ R tale che a 6 c 6 b, ∀a ∈ A, ∀b ∈ B.√Tale numero c
tale che c 2 = 2 è irrazionale e si denota con c = 2.

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Proprietà di densità

L’insieme dei razionali è denso in sé, cioè se x e y sono due numeri


razionali distinti, esistono infiniti numeri razionali tra essi compresi.
Analogamente per R:
1) se x, y ∈ R con x 6= y , esistono infiniti numeri reali tra essi
compresi (densità di R in sé).
2) se x, y sono due numeri reali e distinti esistono infiniti numeri
razionali tra essi compresi.
La (2) evidenzia un’importante relazione tra R e Q (Q è denso in
R).
3) Se x, y ∈ R e x 6= y esistono infiniti numeri irrazionali tra essi
compresi. Dunque anche R − Q è denso in R.

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Massimi e minimi di un insieme

Sia A un sottoinsieme non vuoto di R. Il massimo di A, se esiste, è


il numero M dell’insieme A che è maggiore o uguale ad ogni
elemento di A
(
M > a, ∀a ∈ A
M massimo di A ⇐⇒
M∈A

Si scrive M = max A.
(
m 6 a, ∀a ∈ A
m minimo di A ⇐⇒
m∈A

Si scrive m = min A.
Esempio. A = {x ∈ R : x > 0} non esistono né il massimo, né il
minimo (perchè 0 non appartiene ad A).

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Proposizione Se esistono il massimo e il minimo di un insieme A
essi sono unici.
Siano M1 e M2 due massimi di un insieme A vogliamo fare vedere
che M1 = M2 .
M1 = max A, M2 = max A

M1 > a, M2 > a, ∀a ∈ A

ma
M1 ∈ A ⇒ M2 > M1
M2 ∈ A ⇒ M1 > M2
di conseguenza
M1 = M2 .

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Un numero reale L si dice un maggiorante per un insieme A se
L > a, ∀a ∈ A.
Un numero reale l si dice un minorante di A se l 6 a, ∀a ∈ A.
Esempio A = {x ∈ A : x > 0} non ammette alcun maggiorante,
mentre lo 0 e tutti i numeri negativi sono dei minoranti di A.
Diciamo che A è limitato superiormente se ammette un
maggiorante. A limitato inferiormente se ammette un minorante.
A è limitato se è limitato sia inferiormente che superiormente

A limitato ⇐⇒ ∃l, L ∈ R : l 6 a 6 L, ∀a ∈ A

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Conseguenza dell’assioma di completezza

Teorema di esistenza dell’estremo superiore (inferiore).


Supponiamo che A sia un insieme non vuoto di numeri reali
limitato superiormente (limitato inferiormente). Allora esiste il
minimo dei maggioranti di A (il massimo dei minoranti).
Dimostrazione nel caso che sia limitato superiormente. Sia
B = {maggioranti di A}, B 6= ∅ perchè A limitato sup. Per
l’assioma di completezza, applicato agli insieme A e B esiste un
numero reale M:

a 6 M 6 b, ∀a ∈ A, ∀b ∈ B,

ma M > a, ∀a ∈ A quindi M è un maggiorante, quindi appartiene


all’insieme B dei maggioranti. Inoltre M è minore o uguale a tutti
gli elementi di B. Quindi M è il minimo di B.

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Definizione. Sia A un insieme di numeri reali non vuoto e limitato
superiormente. Diciamo che M ∈ R è l’estremo superiore di A se
M è il minimo dei maggioranti di A.
(
M > a, ∀a ∈ A
M estremo superiore di A ⇐⇒
∀ε > 0, ∃a ∈ A : M − ε < a.

Si scrive M = sup A.
Analogamente, si verifica che se A è un insieme non vuoto ed è
limitato inferiormente, allora l’insieme dei minoranti di A ha un
massimo.
Si dice che m è l’estremo inferiore di A se m è il massimo dei
minoranti di A. Ciò equivale a:
(
m 6 a, ∀a ∈ A
m estremo inferiore di A ⇐⇒
∀ε > 0, ∃a ∈ A : m + ε > a.

Si scrive m = inf A.
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Quindi, se un insieme è limitato superiormente esiste l’estremo
superiore ed è un numero reale. Se un insieme è limitato
inferiormente esiste l’estremo inferiore ed è reale. Se A è limitato
allora esistono sup A e inf A e sono numeri reali.
Introduciamo i simboli +∞ e −∞ per descrivere gli insiemi non
limitati
sup A = +∞ ⇐⇒ ∀L, ∃a ∈ A : a > L,
inf A = −∞ ⇐⇒ ∀l, ∃a ∈ A : a < l.
Facendo uso dei simboli −∞ e ∞ si può affermare che ogni
insieme non vuoto ammette sia estremo superiore che inferiore.

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Esempi
1 A = {x ∈ R : x > 0}

sup A = +∞, inf A = 0

Osservazione: il massimo e il minimo dell’insieme A non


esistono.
B = n−1

n , n ∈N
2

sup B = 1, inf B = min B = 0

oss. 0 < n1 6 1, 0 > − n1 > −1, 1 > 1 − 1


n >0
C = n+1

n , n ∈N
3

inf C = 1, sup C = max C = 2

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Intervalli numerici
Siano a, b ∈ R : a 6 b. Introduciamo le seguenti notazioni per
indicare un intervallo di estremi a, b ∈ R:

(a, b) = {x ∈ R : a < x < b}

intervallo aperto di estremi a e b .

[a, b] = {x ∈ R : a 6 x 6 b}

intervallo chiuso di estremi a e b.

[a, b) = {x ∈ R : a 6 x < b}

intervallo superiormente semiaperto di estremi a e b.

(a, b] = {x ∈ R : a < x 6 b}

intervallo inferiormente semiaperto di estremi a e b.


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Intervalli illimitati
Qualunque sia x ∈ R, −∞ < x < +∞. Si chiama insieme
ampliato dei numeri reali e si denota con R̂ l’insieme R con
l’aggiunta di +∞ e −∞.
R̂ = R ∪ {−∞} ∪ {+∞}.
Dato a ∈ R, l’insieme dei numeri reali x che verificano:
] − ∞, a] = {x ∈ R : x 6 a}
intervallo chiuso illimitato inferiormente, di estremo superiore a.
] − ∞, a) = {x ∈ R : x < a}
intervallo aperto illimitato inferiormente, di estremo superiore a.
[a, +∞[= {x ∈ R : x > a}
intervallo chiuso illimitato superiormente, di estremo inferiore a.
(a, +∞[= {x ∈ R : x > a}
intervallo aperto illimitato superiormente, di estremo inferiore a.
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Esempi
1 A = [2, 3[,
inf A = min A = 2, sup A = 3
2 B = [−1, 2[∪{3}

inf B = min B = −1, sup B = max B = 3


1
3 C= n, n ∈N ,

sup C = max C = 1, inf C = 0


1

4 D = 1− n :n∈N

inf D = min D = 0, sup D = 1

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Siano A e B due insieme non vuoti di R, A e B si dicono separati se

a6b ∀a ∈ A, ∀b ∈ B

Tale relazione è equivalente a

sup A 6 inf B

Definizione. Siano A e B due sottoinsiemi non vuoti di R, A e B si


dicono contigui se
sup A = inf B = c
Tale numero c si dice elemento di separazione di A e B.
Proposizione. Siano A e B due sottoinsieme non vuoti di R. A e B
sono contigui se e solo se A e B sono separati e soddisfano la
condizione che

∀ε > 0 ∃xε ∈ A e ∃yε ∈ B : yε − xε < ε

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Rappresentazione geometrica dei numeri reali

Consideriamo una retta r e fissiamo su di essa un punto O


(origine) un punto U (punto unità), distinto da O. Restano fissati
su r due versi di percorrenza, fra loro opposti: chiameremo positivo
il verso secondo il quale O precede U, negativo l’altro. La retta r
risulta cosı̀ orientata, e delle due semirette di origine O, private
dell’origine, quella cui appartiene U si chiama semiretta positiva,
l’altra semiretta negativa. Una retta orientata si chiama anche
asse, ed allora la semiretta positiva e la semiretta negativa si
dicono semiasse positivo e semiasse negativo. Indichiamo tali assi

→ − →
con r + e r − . Prendiamo come unità di misura il segmento OU per
ogni punto P di r denotiamo con OP la misura rispetto ad OU del
segmento di estremi O e P.

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Poniamo:  −
→+
OP se P ∈ r


xP = 0 , se P = O
−OP se P ∈ − →

r−

In tale modo ad ogni punto P ∈ r viene associato il numero reale


xP che si chiama ascissa di P. Ad U viene associato 1.
Reciprocamente si dimostra che ogni numero reale x è l’ascissa di
un ben determinato punto P della retta r : tale punto è l’


immagine del numero reale x sulla retta r . I punti di r + sono le
−→
immagini dei numeri positivi, i punti di r − sono le immagini dei
numeri reali negativi, l’origine immagine dello zero.
La corrispondenza fra i numeri reali e le loro immagini sulla retta
fornisce la rappresentazione geometrica dei numeri reali. Si usa
quindi identificare i punti della retta con le rispettive ascisse.

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Insieme finiti ed infiniti di R

Siano X e Y due sottoinsiemi non vuoti di R.


X e Y si dicono equipotenti se esiste una corrispondenza biunivoca
tra X e Y .
Un insieme X di R si dice finito se esiste n ∈ N tale che X è
equipotente all’insieme {1, .., n}. II numero n si dice cardinalità di
X . Si scrive |X | = n per denotare che X è equipotente a {1, .., n}
e quindi X ha n elementi. Un insieme X 6= ∅ , che non sia finito si
dice infinito. Evidentemente un insieme finito non può essere posto
in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria, quindi ogni
insieme equipotente ad una sua parte propria è infinito. Un
sottoinsieme Y di R che non sia finito si dice numerabile se è
equipotente a N. In questo caso |Y | = |N|.

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Caratterizzazione degli insiemi infiniti. Un insieme X è infinito se
e solo se è equipotente ad una sua parte propria.
L’insieme dei numeri naturali pari

f : n ∈ N → 2n ∈ Np

è biunivoca. Di conseguenza |Np | = |Nd | = |N|

f : n ∈ N → 2n − 1 ∈ Nd

biunivoca. L’insieme N è infinito.

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Principio di induzione
Supponiamo di avere una proposizione, che indichiamo con Pn ,
dipendente da un indice n ∈ N; Pn è vera per ogni n se
1 P è vera;
1
2 per ogni k ∈ N, P implica P
k k+1 .
Esempio. Formula per calcolare la somma dei primi n numeri
naturali
n · (n + 1)
1 + 2 + 3 + .... + (n − 1) + n =
2
1) per n = 1 vera, difatti 1 = 1·2
2
2) vera per n ⇒ vera per n + 1. Vogliamo dimostrarla per n + 1
(successivo di n)
n(n+1)
1 + 2 + ... + n + (n + 1) = 2 + (n + 1)

n(n+1)+2(n+1) (n+1)(n+2)
= 2 = 2

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Diseguaglianza di Bernoulli. Per ogni numero reale x > −1 e per
ogni numero naturale n risulta

(1 + x)n > 1 + nx

per n = 1 si ha 1 + x = 1 + x. Voglio fare vedere che, dal supporre


la proposizione vera per n, la si dimostra anche per n + 1.

(1 + x)n+1 = (1 + x)n (1 + x) > (1 + nx)(1 + x)


= 1 + nx + x + nx 2 > 1 + (n + 1)x

nell’ultima disuguaglianza abbiamo utilizzato che dal momento


che: nx 2 > 0 abbiamo 1 + x + nx + nx 2 > 1 + (1 + n)x.

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Somma di una progressione geometrica di ragione x 6= 1:

1 − x n+1
1 + x + x 2 + ... + x n = , ∀x 6= 1.
1−x
Per n = 1, abbiamo

1 − x2 (1 − x)(1 + x)
= = 1 + x,
1−x 1−x
quindi è vera. Supponiamola vera per n dimostriamola per n + 1
1−x n+1
1 + x + x 2 + ... + x n + x n+1 = 1−x + x
n+1
1−x n+1 +x n+1 −x n+2 1−x n+2
= 1−x = 1−x

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Rappresentazione geometrica di R2

Come i numeri reali si rappresentano su una retta, cosı̀ gli elementi


dell’insieme R2 , cioè le coppie ordinate di numeri reali, si possono
rappresentare su un piano.
Fissati in un piano un punto O, che si chiama origine, e una coppia
Ox, Oy di assi ortogonali passanti per O, si assegni su ciascuno di
tali assi un’unità di misura. Per ogni P del piano, indichiamo con
P 0 e P 00 le proiezioni ortogonali di P rispettivamente sull’asse Ox e
sull’asse Oy ; il punto P 0 è allora l’immagine di un numero reale a
rispetto al riferimento assunto sull’asse Ox e il punto P 00 è
l’immagine di un numero reale b rispetto al riferimento assunto
sull’asse Oy .

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In tale modo ad ogni punto P del piano resta associata una coppia
ordinata (a, b) di numeri reali, ossia un elemento di R2 . I due
numeri a e b si chiamano le coordinate cartesiane ortogonali del
punto P, e si dicono rispettivamente ascissa e ordinata di P,
rispetto al sistema di coordinate cartesiane ortogonali (O, x, y ), o
al riferimento cartesiano (O, x, y ). L’asse Ox si chiama asse delle
ascisse e l’asse Oy asse delle ordinate.
Viceversa, assegnata una coppia (a, b) di numeri reali, esiste uno
ed un solo punto P del piano avente per ascissa a e per ordinata b,
il punto P è l’immagine, sul piano dell’elemento (a, b) di R2 .

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Estremi di una funzione

Siano f una funzione reale definita in X .


Poichè il codominio di f è un insieme numerico, ad esso possono
riferirsi tutte le nozioni concernenti gli insieme numerici. Invece di
dire il codominio di f è limitato superiormente, il codominio di f è
dotato di massimo ed invece di parlare di maggioranti del
codominio di f , di estremo superiore del codominio di f si
preferisce dire, con il linguaggio più conciso, la funzione f è
limitata superiormente, la funzione f è dotata di massimo e parlare
di maggioranti della funzione f , di estremo superiore della funzione
f . Riportiamo per completezza le definizioni:

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Si dice che una funzione è limitata superiormente (limitata
inferiormente) se il suo codominio f (X ) è limitato superiormente
(limitato inferiormente). Se k è un maggiorante (minorante) di
f (X ), si dice che k è un maggiorante (minorante) della funzione f ,
e questo significa che:

f (x) 6 k (f (x) > k) ∀x ∈ X .

L’estremo superiore (inferiore) del codominio f (X ) si chiama


l’estremo superiore (inferiore) della funzione f , e si indica con:

sup f , sup f (x) (inf f , inf f (x))


x∈X x∈X

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Si ha quindi che se sup f = M:
1 f (x) 6 M ∀x ∈ X ;

2 ∀ε > 0 esiste almeno un punto x ∈ X tale che f (x) > M − ε.

Allo stesso modo per inf f = m


1 f (x) > m ∀x ∈ X ;
2 ∀ε > 0 esiste almeno un punto x ∈ X tale che f (x) < m + ε

Quando l’estremo superiore (inferiore) della funzione f è un valore


da essa assunto, cioè quando esiste almeno un punto x 00 (x 0 ) di X
tale che:
f (x 00 ) = sup f (f (x 0 ) = inf f )
si dice che la funzione f è dotata di massimo (o di minimo), e
l’estremo superiore (inferiore) si chiama il massimo e il minimo
della funzione f , e si indica con :

max f , maxf (x) (min f , minf (x))


x∈X x∈X

ogni punto nel quale la funzione assume il suo massimo (minimo)


valore si chiama un punto di massimo (di minimo) della funzione f .
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Se la funzione f non è limitata superiormente (inferiormente), essa
è sprovvista di numeri maggioranti (minoranti) e pertanto
qualunque sia il numero reale k esiste almeno un punto xk ∈ X
tale che:
f (xk ) > k (f (xk ) < k)
si conviene allora di attribuire alla funzione l’estremo superiore
+∞ (estremo inferiore −∞) e si scrive:

sup f = +∞ (inf f = −∞).

Se la funzione è limitata sia superiormente che inferiormente si dice


che f è limitata.

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Definizione. La funzione f : X → R si dice crescente se
∀x1 , x2 ∈ X , vale l’implicazione:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ).

La funzione f : X → R si dice strettamente crescente se


∀x1 , x2 ∈ X si ha:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 ).

La funzione f : X → R dice decrescente se ∀x1 , x2 ∈ X si ha:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ).

La funzione f :: X → R si dice strettamente decrescente se


∀x1 , x2 ∈ X si ha:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ).

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La funzione f : X → R si dice monotona quando è crescente
oppure decrescente. In particolare, si dice strettamente monotona
quando è strettamente crescente o strettamente decrescente.
Se f è crescente (decrescente) allora −f è decrescente (crescente).
Difatti per definizione di crescenza di una funzione

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ) ⇒ −f (x1 ) > −f (x2 )

−f è decrescente (crescente).
Sia f : X → Y una funzione invertibile. Se f è strettamente
crescente (strettamente decrescente) allora anche la funzione
inversa f −1 è strettamente crescente (strettamente decrescente).
Vogliamo dimostrarlo nel caso della funzione f strettamente
crescente che se y1 < y2 si ha f −1 (y1 ) < f −1 (y2 ).
Se p.a. ∃y1 , y2 ∈ R : y1 < y2 e f −1 (y1 ) > f −1 (y2 ) (l’uguaglianza è
da escludere per la invertibilità della funzione) si avrebbe
f −1 (y1 ) > f −1 (y2 ) ma allora per la stretta crescenza della funzione
f si ha : f (f −1 (y1 )) > f (f −1 (y2 )) e di conseguenza y1 > y2 in
contraddizione con l’avere preso che y1 < y2 .
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Funzione lineare, funzione valore assoluto

Si chiama funzione lineare una funzione del tipo:

y = mx + q

dove m e q sono fissati. m, q ∈ R. Consideriamo

f : x ∈ R → mx + q ∈ R

Tale funzione è suriettiva quando m 6= 0. Difatti


∀y ∈ R : mx + q = y implica che
y −q
x= .
m

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Se m = 0, la funzione è costante y = q.
Sia m > 0. Se x1 < x2 allora mx1 < mx2 di conseguenza
mx1 + q < mx2 + q e questo significa che f (x1 ) < f (x2 ). La
funzione è strettamente crescente.
Sia m < 0. Se x1 < x2 allora mx1 > mx2 e
f (x1 ) = mx1 + q > mx2 + q = f (x2 ). La funzione è
strettamente decrescente.
m prende il nome di coefficiente angolare e q il termine noto.

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Un’equazione è un’espressione del tipo

f (x) = 0 (1)

con f : A ⊆ R → B ⊆ R.
Una soluzione dell’equazione (1) è un numero reale x : f (x) = 0.
Risolvere un’equazione vuole dire trovare tutte le soluzioni. L’asse
delle x ha equazione y = 0, dunque risolvere la (1) equivale a
determinare le ascisse dei punti del grafico
Gf = {(x, f (x)) : x ∈ A} che hanno ordinata nulla, individuare cioè
del tipo (x, 0). L’equazione mx + q con m 6= 0 ha soluzione
q
x = −m .

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Analogamente studiare la disequazione:

f (x) > 0, (f (x) < 0)

vuole dire determinare l’insieme


{x ∈ A : f (x) > 0} , ({ x ∈ A : f (x) < 0}). Risolvere
f (x) = mx + q > 0, (f (x) = mx + q < 0)
q q
m > 0 la soluzione è x > − m , (x < − m )
q q
m < 0 la soluzione è x < − m (x > − m ).

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Valore assoluto

La funzione valore assoluto di x ∈ R è definita da:




 x se x > 0,





|x| = 0 se x = 0,






−x se x < 0.

Possiamo osservare che |x| > 0. Di conseguenza, consideriamo la


funzione:
x ∈ R → |x| ∈ R+ ∪ {0}.
Osserviamo che tale funzione definita da R in R+ ∪ {0} è
suriettiva, ma non è iniettiva. Difatti a −a e ad a corrisponde lo
stesso valore a.

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Figura: f (x) = |x|

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Proprietà della funzione valore assoluto

1 |x| > 0, ∀x ∈ R
2 |x| = 0 ⇐⇒ x = 0
3 | − x| = |x| ∀x ∈ R
4 |x1 · x2 | = |x1 | · |x2 | ∀x1 , x2 ∈ R,
x1 |x1 |
5
x2 = |x2 | ∀x1 , x2 ∈ R, x2 6= 0.
Proposizione 1. Per ogni numero reale r > 0 valgono le
equivalenze:
|x| 6 r ⇐⇒ −r 6 x 6 r
|x| < r ⇐⇒ −r < x < r

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( (
x >0 x <0
|x| 6 r ⇐⇒ oppure ⇐⇒
x 6r −x 6 r
⇐⇒ {x : 0 6 x 6 r } ∪ {x : −r 6 x < 0} = {x : −r 6 x 6 r }
Si ha
1 |x| > 0, ∀x ∈ R − {0}
2 |x| < 0, @x ∈ R.

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Disuguaglianza triangolare Per ogni coppia di numeri reali x1 , x2
vale la disuguaglianza
|x1 + x2 | 6 |x1 | + |x2 |
dim. ∀x ∈ R vale che |x| 6 |x|. Posto |x| = r si ha per la
precedente proposizione:
−|x| 6 x 6 |x|
quindi
−|x1 | 6 x1 6 |x1 |
e
−|x2 | 6 x2 6 |x2 |.
Sommando membro a membro:
−(|x1 | + |x2 |) 6 x1 + x2 6 |x1 | + |x2 |
ma allora
|x1 + x2 | 6 |x1 | + |x2 |
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Esercizio. |x + 3| − 2 > 0 ⇐⇒ |x + 3| > 2 ⇐⇒
( (
x +3>0 x +3<0
oppure
x +3>2 −(x + 3) > 2

Dal primo sistema x > −1, dal secondo x < −5.


La soluzione è data da {x ∈ R : x ∈ (−∞, −5) ∪ (−1, +∞)} .
Analogamente a quanto fatto per la Proposizione 1, si dimostra
che sia r > 0, |x| > r ⇐⇒ x < −r ∪ x > r . Di conseguenza
potevamo risolvere il precedente esercizio trovando direttamente le
soluzioni delle seguenti disequazioni:

x + 3 < −2

e
x + 3 > 2.
Otteniamo x < −5 e x > −1.

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Figura: f (x) = |x + 3|

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Definizione. Una funzione f definita nell’insieme X si dice pari
(dispari) se
1 l’opposto di ogni elemento di X appartiene a X .
2 ∀x ∈ X si ha:

f (−x) = f (x) (f (−x) = −f (x))

Il diagramma di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse


delle ordinate (asse di simmetria) mentre il diagramma di una
funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine (centro di
simmetria)

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La funzione si dice periodica di periodo τ , dove τ è un numero
reale positivo, se sono verificate le condizioni:
1 se x è un punto di X , all’insieme X appartengono anche tutti
i punti del tipo x + kτ , con k ∈ Z
2 per ogni x ∈ X si ha:

f (x) = f (x + kτ )

Il codominio della funzione f , periodica di periodo τ , coincide con


il codominio della sua restrizione all’insieme X ∩ [0, τ ), ed il grafico
di f si compone di infinite parti, ciascuna delle quali si ottiene dal
grafico della predetta restrizione con una traslazione parallela
all’asse delle x e di ampiezza multipla di τ .

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Funzione potenza n-esima con n ∈ N.

La funzione potenza di esponente 0:

f (x) = x 0

è definita per x 6= 0 dall’uguaglianza x 0 = 1, e si prolunga nel


punto x = 0 con il porre f (0) = 1. Dunque la potenza di
esponente 0 si identifica con la funzione costante in R uguale a 1.
La potenza di esponente n ∈ N è la funzione

f (x) = x n

definita per ogni x ∈ R. Per n = 1 la potenza si riduce alla


funzione identica . Supponiamo n > 1. Accade che:
1 (−x)n = x n per n pari
2 (−x)n = −x n per n dispari,
se n è pari la funzione è pari, se n è dispari la funzione è dispari.

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Consideriamo [0, +∞) = {x ∈ R : x > 0} e consideriamo la
funzione potenza n-esima definita in [0, +∞) avremo una funzione
g:
g : x ∈ [0, +∞) → x n ∈ [0, +∞)

1 la funzione è strettamente crescente

0 6 x1 < x2 ⇒ x1n < x2n ∀n ∈ N

dim. con il principio di induzione. Vera per n = 1. Vera per n


allora vera per n + 1 difatti

x1n+1 = x1 · x1n < x2n · x1 < x2 · x2n = x2n+1

2 ∀y ∈ [0, +∞), ∃! x ∈ [0, +∞) : x n = y .

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Sia n ∈ Nd e consideriamo f : x ∈ R → x n ∈ R
1 f strettamente crescente in tutto R
2 ∀y ∈ R ∃!x ∈ R : x n = y .
Abbiamo già dimostrato alcune proprietà nell’intervallo di def.
[0, +∞).
Siano x1 < x2 < 0 ⇒ −x1 > −x2 > 0, ma allora (−x1 )n > (−x2 )n .
Essendo n dispari −(x1 )n > −(x2 )n ⇒ x1n < x2n e quindi la funzione
è strettamente crescente.
Sia y < 0 si ha −y > 0 ∃!x ∈ [0, +∞) : −y = x n , ma allora
y = −x n = (−x)n .

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La funzione f (x) = x n con Nd è biunivoca da R in R, possiamo
considerare la f −1 :

f −1 : y ∈ R → x ∈ R : x n = y .

Tale funzione inversa, chiamasi radice n-esima ed è per definizione



x= n
y.

Di conseguenza: √
n

·:y ∈R→ n
y =x
In particolare,

f (f −1 (y )) = ( n y )n = y

f −1 (f (x)) = x n = x.
n

La funzione radice n-esima, per Nd è una funzione strettamente


crescente, in quanto inversa di una f strettamente crescente.

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Figura: f (x) = x 3

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Figura: f (x) = 3
x

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Se n ∈ Np
f : x ∈ R → x n ∈ [0, +∞)
1 f è strettamente crescente in [0, +∞), strettamente
decrescente in (−∞, 0).
2 ∀y ∈ [0, +∞), ∃!x ∈ [0, +∞) : x n = y .
Dimostriamo la (1) per l’intervallo (−∞, 0) sia x1 < x2 < 0
⇒ −x1 > −x2 > 0 ⇒ (−x1 )n > (−x2 )n ⇒ x1n > x2n . Di
conseguenza la funzione è decrescente in (−∞, 0).
Osservazione: la funzione non è biunivoca in tutto R in quanto
non è iniettiva. Possiamo restringere l’intervallo affinché si possa
considerare una funzione inversa.

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Figura: f (x) = x 2

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Consideriamo la funzione nell’intervallo [0, +∞). f ristretta a tale
intervallo, cioè

f : x ∈ [0, +∞) → x n ∈ [0, +∞).

è biunivoca. Possiamo considerare la funzione inversa f −1 :

f −1 : y ∈ [0, +∞) → x ∈ [0, +∞) : x n = y ,

chiamata radice n-esima, definita da :



x= n
y.

Abbiamo quindi osservato che la funzione x n non è biunivoca in R,


ma lo è in ] − ∞, 0] e in [0, +∞); le rispettive inverse sono:
√ √
x =−ny x= n
y

entrambe definite nell’intervallo [0, +∞).

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Figura: f (x) = x

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Risoluzione di equazioni e disequazioni
Sia n ∈ Nd . Vogliamo risolvere l’equazione: x n = a, con a ∈ R.

a → x : x n = a.

Otteniamo come soluzione x = n a.
Dalla stretta crescenza della funzione x n (e di conseguenza stretta
crescenza per la funzione inversa) quando n ∈ Nd :
√ √ √
x n < a ⇐⇒ x n < n a ⇐⇒ x < n a
n

√ √ √
x n > a ⇐⇒ x n > n a ⇐⇒ x > n a
n


Considerando, invece, la seguente equazione n x = a con a ∈ R.
Otteniamo come soluzione x = an ,

Data la stretta crescenza della funzione n x quando n ∈ Nd
√ √
n
x < a ⇐⇒ ( n x)n < an ⇐⇒ x < an
√ √
n
x > a ⇐⇒ ( n x)n > an ⇐⇒ x > an
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Figura: f (x) = x 3

Nel caso generale di x n = a il punto A intersezione della retta



y = a con y = x n ha coordinate: ( n a, a).
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Figura: f (x) = 3
x


Nel caso generale di n x = a il punto A intersezione della retta

y = a con y = n x ha coordinate: (an , a).

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Sia n ∈ Np e studiamo x n = a con a > 0. Le soluzioni sono date
√ √
da x = n a e x = − n a.
√ √ √
x n < a ⇐⇒ − n a < x < n a ⇐⇒ |x| < n a
√ √
x n > a ⇐⇒ x < − n a oppure x > n a
√ √
⇐⇒ x ∈ (−∞, − n a) ∪ ( n a, +∞)

Se a < 0, x n = a non ha soluzione. x n < a, @x ∈ R. x n > a,


∀x ∈ R.

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Figura: f (x) = x 4
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Consideriamo la funzione radice n-esima nel caso di n ∈ Np . Sia
a>0 √n
x = a ⇐⇒ x = an
√n
x < a ⇐⇒ x ∈ [0, +∞), x < an ⇐⇒ x ∈ [0, an )
√n
x > a ⇐⇒ x > an
√ √ √
Sia a < 0, n x = a non ha soluzione. n x < a, @x ∈ R. n x > a,
∀x ∈ [0, +∞).

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Figura: f (x) = 4
x


Nel caso generale di n x = a il punto A di intersezione tra la retta

y = a e y = n x ha coordinate: (an , a)

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Esercizi. Risolvere √
2
1 − x < 2.

1 X = {x ∈ R : 1 − x > 0} (insieme di definizione dalla radice


quadrata)
2 Elevando al quadrato
1 − x < 4, x > −3
La soluzione è x ∈ (−3, 1].


2
Figura: f (x) = 1−x

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La funzione potenza di esponente intero negativo

Trattasi della funzione:


1
f (x) = x −n =
xn
definita per x ∈ R − {0}.
La funzione è pari per n pari, dispari per n dispari, è positiva se n è
pari, mentre se n è dispari è positiva in ]0, +∞) e negativa in
(−∞, 0[. Se n è dispari la funzione è strettamente decrescente in
(−∞, 0) e in (0, +∞), ma non in tutto il suo insieme di
definizione. In (0, +∞) assume qualunque valore reale positivo e in
(−∞, 0) qualsiasi valore reale negativo; pertanto il suo codominio
è R − {0}. Se n è pari la funzione è strettamente crescente
nell’intervallo (−∞, 0), strettamente decrescente in (0, +∞). In
ciascuno di tali intervalli assume qualunque valore reale positivo e
pertanto il suo codominio è (0, +∞). Per n = 1 il diagramma
prende il nome di iperbole equilatera.
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Figura: f (x) = x −1

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Figura: f (x) = x −2

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Funzione potenza di esponente α ∈ R
Detto α ∈ R, si chiama funzione potenza di esponente α la
funzione:
f (x) = x α .
La funzione è definita in [0, +∞) se α è positivo, in ]0, +∞) se α
è negativo. Se α = m n (razionale) si ha:
m √
x α = x n = x m ∀x > 0 (∀x > 0 se α > 0).
n

Si ha f (0) = 0 e f (x) > 0 ∀x > 0. 0 è il minimo della funzione.


Dato che per ogni y > 0 l’equazione nella incognita x:
xα = y
ammette una unica soluzione
1
x =yα
il codominio della funzione è l’intervallo [0, +∞) e l’inversa di f ,
che si ottiene risolvendo la equazione x α = y , è definita per
y ∈ [0, +∞).
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Dunque l’inversa della funzione potenza di esponente α è la

funzione potenza di esponente α1 . La funzione 3 x, definita in R, è
1
il prolungamento in una funzione dispari della potenza x 3 . Per
x < 0 non si deve considerare una potenza, in quanto non ha le
proprietà delle potenze; basta osservare che con le regole delle
potenze si avrebbe:
√ 1 4 1
3
x = x 3 = x 12 = ((x 2 ) 12 )2 > 0,

il che è assurdo per x < 0.

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0<α<1

1
Figura: f (x) = x 4

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α>1

3
Figura: f (x) = x 2
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α<0

Figura: f (x) = x −3/2

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La funzione polinomio. Le funzioni razionali

Dati n + 1 numeri reali a0 , a1 , ... an con an 6= 0, la funzione


definita in R:
f (x) = a0 + a1 x + ... + an x n
si chiama funzione polinomio di grado n, di coefficienti
a0 , a1 , ..., an .
Se n = 0 si ha f (x) = a0 , ∀x ∈ R e f si riduce alla funzione
costante a0 .
Per n = 1 otteniamo una funzione lineare. Nel caso di coefficienti
tutti nulli, si parla di polinomio nullo.
Si chiama funzione razionale ogni funzione del tipo f = pp12 , dove
p1 e p2 sono polinomi, il secondo dei quali non identicamente
nullo. Se il denominatore è di grado 0, la funzione f è a sua volta
un polinomio e il suo insieme di definizione è R, in caso contrario
occorre escludere gli zeri del denominatore.

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Studio della funzione polinomio di secondo grado
Vogliamo studiare la funzione polinomio di secondo grado:
f (x) = ax 2 + bx + c, a 6= 0.
Risulta che:
 
b2 b2
f (x) = a x 2 + ba x + c b
= a x 2 + 2 2a c

a x+ 4a2
+ a − 4a2
=
h i
b 2 4ac−b 2

= a x+ 2a + 4a2

Posto ∆ = b 2 − 4ac, si ha:


" 2 #
b ∆
f (x) = a x+ − 2 .
2a 4a

Formula per
√ il ∆/4 (qualora il coefficiente b sia un multiplo di 2):
−b/2± (b/2)2 −ac
x= a
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1 caso: ∆ > 0. Se il ∆ è positivo, l’equazione ax 2 + bx + c = 0
ammette due radici distinte x1 , x2
√ √
−b − ∆ −b + ∆
x1 = , x2 =
2a 2a
Inoltre:
h i
ax 2 + bx + c = 1
4a (2ax + b)2 − ∆

1
√ √
= 4a [(2ax + b) + ∆][(2ax + b) − ∆]
√ √
−b− b 2 −4ac −b+ b 2 −4ac
= a(x − 2a )(x − 2a )

= a(x − x1 )(x − x2 )

Quindi ax 2 + bx + c > 0 ⇐⇒ a(x − x1 )(x − x2 ) > 0. Se a > 0


deve risultare (x − x1 )(x − x2 ) > 0 e questo è possibile se (x − x1 )
e (x − x2 ) hanno lo stesso segno.
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Con analogo ragionamento si ottiene:
1 ax 2 + bx + c > 0, a > 0; ∆ > 0 ⇐⇒ x < x e x > x ,
1 2
2 ax 2 + bx + c > 0, a < 0; ∆ > 0 ⇐⇒ x < x < x ,
1 2
3 ax 2 + bx + c < 0, a > 0; ∆ > 0 ⇐⇒ x < x < x ,
1 2
4 ax 2 + bx + c < 0, a < 0; ∆ > 0 ⇐⇒ x < x e x > x .
1 2
2 caso: ∆ = 0. Se il discriminante è nullo, la equazione
ax 2 + bx + c = 0 ammette una sola radice reale x1 = −b 2a .
ax 2 + bx + c = a(x − x1 )2
1 ax 2 + bx + c > 0, a > 0, ∆ = 0 ⇐⇒ ∀x 6= x
1
2 ax 2 + bx + c > 0, a < 0, ∆ = 0 ⇐⇒ nessuna soluzione

3 ax 2 + bx + c > 0, a > 0, ∆ = 0 ⇐⇒ ∀x ∈ R

4 ax 2 + bx + c > 0, a < 0, ∆ = 0 ⇐⇒ x = x
1
5 ax 2 + bx + c < 0, a > 0, ∆ = 0 ⇐⇒ nessuna soluzione

6 ax 2 + bx + c < 0, a < 0, ∆ = 0 ⇐⇒ ∀x 6= x
1
7 ax 2 + bx + c 6 0, a > 0, ∆ = 0 ⇐⇒ x = x
1
8 ax 2 + bx + c 6 0, a < 0, ∆ = 0 ⇐⇒ ∀x ∈ R

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3 caso: ∆ < 0 Se il discriminante ∆ è negativo l’equazione
ax 2 + bx + c = 0 non ammette soluzioni reali. Non è possibile fare
la scomposizione del polinomio ax 2 + bx + c come nel caso del
∆ > 0, però si ha:
1
ax 2 + bx + c = [(2ax + b)2 − ∆]
4a
Dato che ∆ < 0 nella parentesi quadra abbiamo una quantità
sicuramente positiva. Perciò il segno di ax 2 + bx + c è identico a
quello del coefficiente a si ha:
1 ax 2 + bx + c > 0, a > 0, ∆ < 0 ⇐⇒ ∀x ∈ R
2 ax 2 + bx + c > 0, a < 0, ∆ < 0 ⇐⇒ nessuna soluzione
3 ax 2 + bx + c < 0, a > 0, ∆ < 0 ⇐⇒ nessuna soluzione
4 ax 2 + bx + c < 0, a < 0, ∆ < 0 ⇐⇒ ∀x ∈ R.
Risultati analoghi valgono per le disequazioni ax 2 + bx + c > 0,
ax 2 + bx + c 6 0

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∆>0

Figura: f (x) = x 2 − 4x + 3

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∆=0

Figura: f (x) = x 2 + 2x + 1

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∆<0

Figura: f (x) = x 2 + x + 1

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Esempio.
√ √
1 x 2 − 3x + 2 < 0, x1 = 3− 29−8 , x2 = 3+ 29−8 ; x1 = 1 e
x2 = 2. Le soluzioni sono date da: 1 < x < 2.
2 x 2 + 5x > 0, x < −5 ∪ x > 0.
−4
3 16x 2 + 8x + 1 < 0, ∆ = 0, x = 16 nessuna soluzione.
4 −x 2 + 7x 2
√ − 10 > 0, x − 7x + 10 6√0.
7− 49−40
x1 = 2 = 2 = 2, x2 = 7+ 49−40
7−3
2 = 7+3
2 = 5. La
soluzione è data da x ∈ [2, 5].

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Disequazioni irrazionali
Fissato un numero naturale n, espressioni del tipo
pn
p
p(x) > q(x), n p(x) < q(x)
dove p(x) e q(x) sono polinomi si dicono disequazioni irrazionali.
Sia n ∈ Nd , y = x n è strettamente crescente su R. In formule:
x1 < x2 ⇐⇒ x1n < x2n
La funzione x n è invertibile su tutto l’asse reale ed in particolare

anche la sua funzione inversa n x è strettamente crescente in tutto
R, cioè:
√ √
x1 < x2 ⇐⇒ n x1 < n x2 .
In base a tali proprietà, le disequazioni irrazionali con n ∈ Nd si
risolvono elevando alla potenza n-esima entrambi i membri. Quindi
pn
p(x) > q(x) ⇐⇒ p(x) > [q(x)]n ;
pn
p(x) < q(x) ⇐⇒ p(x) < [q(x)]n .
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Esempio. q
3
x(x 2 − 1) > x − 1

x(x 2 − 1) > (x − 1)3 = x 3 − 3x 2 + 3x − 1


x 3 − x > x 3 − 3x 2 + 3x − 1
3x 2 − 4x + 1 > 0

2± 4−3 2±1
x= =
3 3
1
Le soluzioni sono date da x < 3 e x > 1.

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Sia n ∈ Np . Se n è un numero naturale pari y = x n è crescente per
x > 0.
0 6 x1 < x2 ⇐⇒ x1n < x2n
e
√ √
0 6 x1 < x2 ⇐⇒ n
x1 < n
x2 .

p
n
1 p(x) < q(x).
Eleviamo alla potenza n-esima e richiediamo che p(x) > 0 e
q(x) > 0. In simboli:

n
p p(x) < [q(x)]

n
p(x) < q(x) ⇐⇒ p(x) > 0

q(x) > 0

2
( (
p
n q(x) < 0 q(x) > 0
p(x) > q(x) ⇐⇒
p(x) > 0 p(x) > [q(x)]n .

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Esercizi.
√ Risolvere la seguente disequazione irrazionale:
2
4x 2 − 1 < x − 3

2
4x − 1 > 0

x −3>0

 2
4x − 1 < (x − 3)2 = x 2 − 6x + 9

3x 2 + 6x − 10 < 0

−3 ± 39
x=
3
√ √
39 39
−1 − < x < −1 +
3 3

39
Dalla seconda x > 3. Dato che 3 > −1 + 3 non vi sono
soluzioni.

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Risolvere la seguente disequazione irrazionale: 2 − x 2 > 2x − 1
(
2x − 1 < 0
2 − x2 > 0
oppure (
2x − 1 > 0
2 − x 2 > (2x − 1)2

Soluzioni del primo sistema − 2 6 x < 12 , soluzioni del secondo
1

2 6 x < 1. Soluzione finale x ∈ [− 2, 1).

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La funzione esponenziale
Dato un numero reale a > 0, la funzione:

f (x) = ax , definita in R,

si chiama funzione esponenziale di base a. Per a = 1 si ha ax = 1


∀x ∈ R e la funzione è costante, pertanto supponiamo a 6= 1. Per
le proprietà delle potenze, qualunque sia x1 , x2 ∈ R si ha:

ax1 · ax2 = ax1 +x2 , (ax1 )x2 = ax1 ·x2

Dati due numeri reali y e z, con y > z, dato che la funzione


potenza x y −z è strettamente crescente in [0, +∞) ed assume
valore 1 per x = 1.
Nel caso a > 1 si ha ay −z > 1, ne segue ay > az . Invece se a < 1
si ha ay −z < 1 e quindi ay < az .
Pertanto la funzione esponenziale di base a è strettamente
crescente se a > 1, strettamente decrescente se a < 1; di
conseguenza la funzione è invertibile.
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La funzione assume solo valori positivi e il codominio della funzione
esponenziale di base a 6= 1 è l’intervallo ]0, +∞[, ossia per ogni
y > 0 l’equazione:
ax = y ,
nell’incognita x, ammette soluzione. Osservazione: in analisi
riveste particolare importanza la funzione esponenziale la cui base
è il numero di Nepero dato da

e = 2, 718281828459045...

La funzione esponenziale di base e si chiama semplicemente


funzione esponenziale e si denota con e x . Dato che e > 1, il
diagramma della funzione esponenziale rientra nel caso a > 1.

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Figura: f (x) = e x

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Figura: f (x) = (1/2)x

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La funzione logaritmo
Se a è un numero positivo diverso da 1, per ogni y > 0, l’equazione
ax = y , nell’incognita x, ammette una ed una sola soluzione.
Per ogni y > 0 l’unica soluzione della ax = y si chiama logaritmo
di y in base a e si denota con:

loga y .

Se la base è maggiore di 1, il logaritmo di un numero maggiore di 1


è positivo, il logaritmo di un numero minore di 1 è negativo.
Se la base è minore di 1, il logaritmo di un numero maggiore di 1 è
negativo, il logaritmo di un numero minore di 1 è positivo.
Qualunque sia la base a risulta: loga 1 = 0, loga a = 1. Dato il
numero a, positivo e diverso da 1, la funzione:

f (x) = loga x definita in (0, +∞)

si chiama funzione logaritmo di base a.


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Per la definizione di logaritmo di un numero x, se x ∈ (0, +∞) e
y ∈ R, sussiste l’equivalenza:
loga x = y ⇐⇒ x = ay
e quindi la funzione esponenziale di base a e la funzione logaritmo
di base a sono l’una l’inversa dell’altra.
Questo significa che se di un numero x ∈ (0, ∞) si calcola il
logaritmo di base a, e successivamente del numero ottenuto si
calcola l’esponenziale di base a, si ritrova x; viceversa se di un
x ∈ R si calcola l’esponenziale di base a e successivamente del
numero ottenuto si calcola il logaritmo di base a, si ritrova x. In
simboli:
aloga x = x ∀x ∈ R+ ,
loga ax = x ∀x ∈ R.
La funzione logaritmo di base a, che è definita in (0, +∞), essendo
inversa della funzione esponenziale di base a, ha per codominio R
ed è strettamente crescente se a > 1, strettamente decrescente se
a < 1.
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Alcune proprietà:
1 loga (x1 x2 ) = loga x1 + loga x2 ∀x1 , x2 > 0
 
2 loga xx12 = loga x1 − loga x2 ∀x1 , x2 > 0
3 loga x b = b loga x ∀x > 0
loga x
4 logb x = loga b ∀x > 0.
Se x1 e x2 sono due numeri positivi, si ha :

x1 = aloga x1 x2 = aloga x2 ,

da cui, moltiplicando e dividendo:


x1
x1 · x2 = aloga x1 +loga x2 , = aloga x1 −loga x2
x2
Ne segue:
x1
loga (x1 · x2 ) = loga x1 + loga x2 , loga = loga x1 − loga x2 .
x2

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Elevando a b ∈ R, si trae:

x b = ab loga x

loga x b = b loga x ∀x ∈ R+ .
In particolare, se b = −1, si ha
1
loga = − loga x.
x
Si ha che:
logb x = logb aloga x = loga x · logb a
che possiamo scrivere anche come:
logb x
loga x =
logb a

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Esercizi.
1 2x < −3, nessuna soluzione.
2 2x > 0, ∀x ∈ R
3 2x > 3 ⇐⇒ log2 2x > log2 3 ⇐⇒ x > log2 3 ⇐⇒ x ∈
[log2 3, +∞).
1 x
x
> 3 ⇐⇒ log 1 12 6 log 1 3 ⇐⇒ x 6 log 1 3 ⇐⇒

4
2 2 2 2
x ∈ (−∞, log 1 3]
2
5 2x 6 3 ⇐⇒ log2 2x 6 log2 3 ⇐⇒ x 6 log2 3 ⇐⇒ x ∈
(−∞, log2 3].
log 1 x 5
log 1 x > 5 ⇐⇒ x > 0, 13 6 13 ⇐⇒ x ∈ 0, 315 .

6 3
3

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In rosso f (x) = ln x e in grigio g (x) = log 1 x.
2

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Le funzioni circolari

Per studiare le funzioni trigonometriche è opportuno adottare una


diversa unità di misura per gli angoli.
Definiamo la misura di un angolo piano espressa in radianti. Essa è
data dalla lunghezza dell’arco di circonferenza di raggio 1 e centro
nel vertice dell’angolo intercettato dalle due semirette individuanti
l’angolo. Si conviene indicare con π la lunghezza di una
semicirconferenza di raggio 1. Questo significa che, espresso in
radianti, un angolo piatto misura π, un angolo retto misura π2 ,
mentre un angolo giro misura 2π. Analogamente a quanto di fa
per l’ascissa su di una retta, si definisce un’origine ed un verso di
rotazione positivo (si suole scegliere il verso antiorario a partire
dall’asse delle x) e si considerano in modo naturale anche gli angoli
maggiori di 2π radianti, o minori di zero. Cosı̀ l’angolo x
geometricamente corrisponde all’angolo x + 2π ed anche all’angolo
x + 4π, oppure all’angolo x − 2π o in generale x + 2kπ, per ogni
k ∈ Z.
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Le funzioni senx e cos x si definiscono rispettivamente come
l’ordinata e l’ascissa del punto che si trova sulla circonferenza di
centro l’origine e raggio 1 e che sottende un angolo orientato di
lunghezza x, a partire dall’asse delle ascisse.
Le funzioni senx e cos x sono definite ∀x ∈ R, mentre l’immagine
delle due funzioni è compresa tra −1 ed 1, cioè:
−1 6 senx 6 1, −1 6 cos x 6 1 ∀x ∈ R.
Applicando il teorema di Pitagora al triangolo di cateti |senx| e
| cos x| e ipotenusa uguale a 1, si trova la relazione fondamentale:
sen2 x + cos2 x = 1 ∀x ∈ R.
Sono importanti anche le formule di addizione:
sen(x1 ± x2 ) = senx1 cos x2 ± senx2 cos x1 .
cos(x1 ± x2 ) = cos x1 cos x2 ∓ senx1 senx2 .
Per x1 = x2 = x, otteniamo:
sen2x = 2senx cos x.
cos 2x = cos2 x − sen2 x.
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A partire dalle funzioni senx e cos x si definisce la funzione
tangente
senx
tgx =
cos x
La funzione tgx è definita se cos x 6= 0, cioè se x 6= π2 + kπ, con
k ∈ Z. Usando le proprietà dei triangoli simili la tangente si può
rappresentare come in figura. Risulta che se 0 < x < π2 allora vale
che:
0 < senx < x < tgx.

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Funzione seno
f : x ∈ R → senx ∈ [−1, 1].
Trattasi di una funzione periodica di periodo 2π ed è una funzione
dispari. Tale funzione non è invertibile in tutto R, tuttavia se
consideriamo l’intervallo [− π2 , π2 ] la funzione risulta strettamente
crescente
 π π  in tale intervallo. Ma allora restringendo la funzione a
− 2 , 2 , cioè:
h π πi
senx : x ∈ − , → senx ∈ [−1, 1]
2 2
è invertibile. Detta f −1 la sua inversa:
h π πi
f −1 : y ∈ [−1, 1] → x ∈ − ,
2 2
definiamo allora ∀y ∈ [−1, 1] la funzione arcseny = x con
x ∈ [− π2 , π2 ].

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Figura: f (x) = senx

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Figura: f (x) = arcsenx

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Vogliamo risolvere:
senx = a

1 a ∈ [−1, 1] ⇐⇒ x0 = arcsena, con x0 ∈ [− π2 , π2 ] a cui


aggiungere la soluzione π − x0 , ad entrambe aggiungere la
periodicità. Tutte le soluzioni sono date da: x0 + 2kπ e
π − x0 + 2kπ.
2 se a < −1 o se a > 1 non ci sono soluzioni.
Esempio.
1 Risolvere senx = 21 . La soluzione è data da π6 ∈ [− π2 , π2 ] a cui
aggiungere π − π6 = 56 π. Tutte le soluzioni sono date
da: π6 + 2kπ ∪ 65 π + 2kπ, k ∈ Z.
2 Risolvere senx = 2 nessuna soluzione.

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Figura: f (x) = senx

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Disequazioni trigonometriche
1 senx > a, a > 1 ⇐⇒ nessuna soluzione.
2 senx > a, a < −1 ⇐⇒ ∀x ∈ R.
3 senx > a, −1 6 a < 1 ⇐⇒ x0 + 2kπ < x <
π − x0 + 2kπ, ∀k ∈ Z, con x0 = arcsen a.
Analogamente
1 senx < a, a > 1 ⇐⇒ ∀x ∈ R.
2 senx < a, a 6 −1 ⇐⇒ nessuna soluzione.
3 senx < a, −1 < a 6 1 ⇐⇒ −π − x0 + 2kπ < x < x0 + 2kπ.
Esempi.

1 senx < 23 . Le soluzioni sono date da:
− π3 − π + 2kπ < x < π3 + 2kπ quindi
− 34 π + 2kπ < x < π3 + 2kπ, k ∈ Z.
2 senx > −1. Devo escludere il valore −1. Quindi
− π2 + 2kπ < x < 32 π + 2kπ.

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1 arcsenx = a, a < − π2 oppure a > − π2 ⇐⇒ nessuna
soluzione
2 arcsenx = a, − π2 6 a 6 π
2 ⇐⇒ x = sena
3 arcsenx < a, a 6 − π2 ⇐⇒ nessuna soluzione
4 arcsenx > a, a > π2 ⇐⇒ nessuna soluzione
5 arcsenx > a, a < − π2 ⇐⇒ ∀x ∈ [−1, 1]
6 arcsenx < a, a > π2 ⇐⇒ ∀x ∈ [−1, 1]
7 arcsenx > a, − π2 6 a < π2 ⇐⇒ sena < x 6 1
8 arcsenx < a, − π2 < a 6 π2 ⇐⇒ −1 6 x < sena

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La funzione coseno

f : x ∈ R → cos x ∈ [−1, 1].

Trattasi di una funzione periodica di periodo 2π ed è una funzione


pari. Tale funzione non è invertibile in tutto R. Tuttavia se
consideriamo la funzione in [0, π] in tale intervallo la funzione è
strettamente decrescente. Ma allora restringendo la funzione
all’intervallo [0, π], cioè:

cos x : x ∈ [0, π] → cos x ∈ [−1, 1]

è invertibile. Detta f −1 la sua inversa

f −1 : y ∈ [−1, 1] → x ∈ [0, π]

definiamo allora per ogni y ∈ [−1, 1] la funzione arccos y = x con


x ∈ [0, π]

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Figura: f (x) = cosx

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Figura: f (x) = arccosx

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Equazioni e disequazioni trigonometriche

Vogliamo risolvere:

cos x = a, a ∈ [−1, 1]

⇐⇒ x = arccos a + 2kπ ∪ x = − arccos a + 2kπ


x0 è la soluzione di cos x0 = a con 0 < x0 6 π. Se invece a < −1
oppure a > 1 non vi sono soluzioni.
La funzione è pari cioè cos x = cos(−x).

3
1 cos x = 2 , x = ± π6 + 2kπ, k ∈ Z.
2 cos x = − 12 x
=π− π
3 = 32 π. La soluzione è data da =
± 23 π + 2kπ, k ∈ Z.

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Si ottiene il seguente schema di risoluzione:
1 cos x > a, a > 1 ⇐⇒ nessuna soluzione
2 cos x > a, a < −1 ⇐⇒ ∀x ∈ R
3 cos x > a, −1 6 a < 1
⇐⇒ x ∈ ∪k∈Z (−arccosa + 2kπ, arccos a + 2kπ).
Analogamente:
4 cos x < a, a > 1 ⇐⇒ ∀x ∈ R
5 cos x < a, a 6 −1 ⇐⇒ nessuna soluzione
6 cos x < a, −1 < a 6 1 ⇐⇒ sia x0 : x0 = arccosa,
x1 = 2π − x0 . Le soluzioni sono:
x0 + 2kπ < x < 2π − x0 + 2kπ, ∀k ∈ Z.

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1 arccosx = a, a < 0, oppure a > π ⇐⇒ nessuna soluzione
2 arccosx = a, 0 6 a 6 π ⇐⇒ x = cos a
3 arccosx < a, a 6 0 ⇐⇒ nessuna soluzione
4 arcosx > a, a > π ⇐⇒ nessuna soluzione
5 arccosx < a,a > π ⇐⇒ ∀x ∈ [−1, 1]
6 arccosx > a, a < 0 ⇐⇒ ∀x ∈ [−1, 1]
7 arccosx < a, 0 < a 6 π ⇐⇒ cos a < x 6 1
8 arccosx > a, 0 6 a < π, ⇐⇒ −1 6 x < cos a

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Esempi.

1 cos x > 23 La soluzione è data da :
− π6 + 2kπ < x < π6 + 2kπ k ∈ Z.
2 cos x > 1 nessuna soluzione

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Funzione tangente

senx π
f (x) = , ∀x 6= + kπ
cos x 2
La funzione tgx è periodica di periodo π. Se consideriamo la
funzione tangente ristretta all’intervallo (− π2 , π2 ) la funzione risulta
invertibile.
 π π
tgx : x ∈ − , → tgx ∈ (−∞, ∞)
2 2
Tale funzione è strettamente crescente. Inoltre
π π

∀y ∈ R, ∃!x ∈ − 2 , 2 : tgx = y
 π π
arctgy ∈ R → x ∈ − , : tgx = y
2 2
tg(arctgy ) = y , ∀y ∈ R
 π π
arctg(tgx) = x, ∀x ∈ − ,
2 2
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Figura: f (x) = tgx

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1 tgx = a ⇐⇒ x = arctga + kπ, k ∈Z
2 tgx < a ⇐⇒ − π2 + kπ < x < arctga + kπ, k ∈Z
π
tgx > a ⇐⇒ arctga + kπ < x < + kπ, k ∈ Z
3
2

Esempio. 3 + tgx > 0 ⇐⇒ − π3 + kπ < x < π2 + kπ

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Figura: f (x) = arctgx

π π
inf arctg(x) = − , sup arctgx =
2 2

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Dalla stretta crescenza della funzione arcotangente:
Caso − π2 < a < π2 :
1 arctgx = a ⇐⇒ x = tga,
2 arctgx < a ⇐⇒ x < tga,
3 arctgx > a ⇐⇒ x > tga
Caso a 6 − π2 :
1 arctgx = a ⇐⇒ nessuna soluzione
2 arctgx < a ⇐⇒ nessuna soluzione
3 arctgx > a ⇐⇒ ∀x ∈ R
π
Caso a > 2 :
1 arctgx = a ⇐⇒ nessuna soluzione
2 arctgx > a ⇐⇒ nessuna soluzione
3 arctgx < a ⇐⇒ ∀x ∈ R

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Angoli noti:
θ = 0, senθ = 0, cos θ = 1, tgθ = 0
√ √
π 3 3
θ = 6, senθ = 12 , cos θ = 2 , tgθ = 3
√ √
π 2 2
θ = 4, senθ = 2 , cos θ = 2 , tgθ = 1

π

3

θ = 3, senθ = 2 , cos θ = 21 , tgθ = 3

π
θ = 2, senθ = 1, cos θ = 0, tgθ non definita

θ = π, senθ = 0, cos θ = −1, tgθ = 0

3
θ = 2 π, senθ = −1, cos θ = 0, tgθ non definita

θ = 2π, senθ = 0, cos θ = 1, tgθ = 0

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Coordinate polari nel piano

Per rappresentare i punti di un piano mediante coppie ordinate di


numeri reali si fa riferimento oltre che alle coordinate cartesiane
anche alle coordinate polari.
Nel piano (O, x, y ) assumiamo come verso positivo delle rotazioni
quello secondo il quale deve ruotare attorno all’origine il semiasse
positivo delle x per sovrapporsi al semiasse positivo delle y con una
rotazione di un angolo retto.
Il piano (O, x, y ) si dice orientato. Dato un punto del piano
distinto dall’origine O, diciamo ρ la lunghezza del vettore OP e θ
la misura relativa di uno degli angoli di cui deve ruotare il semiasse
positivo delle x per sovrapporsi a OP.
Dato che tale rotazione non è unica, ma determinata a meno di
multipli di 2π (un angolo giro) si possono attribuire infiniti valori a
due a due differenti per un multiplo intero di 2π.

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Se θ0 è un valore particolare

θ = θ0 + 2kπ , k ∈ Z

ρ, θ si dicono coordinate polari del punto P, nel sistema di


coordinate polari con polo O e semi asse polare il semiasse positivo
delle x.
ρ si chiama raggio vettore o modulo .
θ si chiama anomalia o argomento.
Tra le infinite determinazioni dell’anomalia θ di P ve ne è una sola
θ∗ :
−π < θ∗ 6 π
Dato un punto P 6= 0 e dette x e y le sue coordinate cartesiane e ρ
e θ le sue coordinate polari.
Per passare delle coordinate polari a quelle cartesiane
(
x = ρ cos θ
y = ρsenθ

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Per passare alle coordinate cartesiane a quelle polari (determinate
da ρ e θ) :  p
ρ = x 2 + y 2


cos θ = √ 2x 2

x +y
senθ = √ y


 2 2
x +y

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Campo complesso

Sia a un numero reale negativo e sia n un numero pari.


L’equazione:
xn = a (1)
non ammette soluzioni. Si pone allora la questione di ricercare se
non sia possibile risolvere la (??) con a reale qualunque in un
campo numerico piu ampio del campo reale. La questione si risolve
positivamente con l’introduzione del campo complesso che è una
struttura ottenuta mediante R2 con opportune operazioni.

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Definiamo la somma e il prodotto di due elementi di R2 (somma e
prodotto )

(x1 , y1 ) + (x2 , y2 ) = (x1 + x2 , y1 + y2 )

(x1 , y1 ) · (x2 , y2 ) = (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 )


Le operazioni di addizione e moltiplicazione sono commutative e
associative e la moltiplicazione è distributiva rispetto all’addizione.
Le coppie ordinate (x, y ) di numeri reali, come elementi del campo
complesso, prendono il nome di numeri complessi.
(0, 0) è lo zero complesso.
(x, y ) + (−x, −y ) = (0, 0), ∀(x, y ) e quindi vi è il simmetrico.
L’elemento neutro rispetto alla moltiplicazione è (1, 0) difatti:

(x, y ) · (1, 0) = (x, y )

Vogliamo imporre

(x, y ) · (x 0 , y 0 ) = (1, 0)

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Abbiamo: (
xx 0 − yy 0 = 1
x 0 y + xy 0 = 0
se (x, y ) 6= (0, 0). Risolvendo il sistema si ottiene:
 
0 0 −1 x y
(x , y ) = (x, y ) = ,−
x2 + y2 x2 + y2

Si pone: (x, y )0 = (1, 0).

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Consideriamo l’insieme R = {(x, 0) ∈ R × R : x ∈ R} qualunque
siano (x1 , 0), (x2 , 0) ∈ R

(x1 , 0) + (x2 , 0) = (x1 + x2 , 0)

(x1 , 0) · (x2 , 0) = (x1 x2 , 0)


allora R è stabile sia rispetto alla somma che al prodotto e le
operazioni in questo caso sono le stesse che consideriamo per la
somma e il prodotto di numeri reali x1 , x2 . Per convenzione
possiamo considerare numeri reali come particolari numeri
complessi
(x, 0) = x

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Consideriamo ora

I = {(0, y ) ∈ R × R : y ∈ R}

∀(0, y1 ), (0, y2 ) ∈ I

(0, y1 ) + (0, y2 ) = (0, y1 + y2 )

(0, y1 ) · (0, y2 ) = (−y1 y2 , 0)


allora I è stabile rispetto alla somma, ma non al prodotto.
I numeri complessi non reali si dicono immaginari e gli elementi di
I si dicono immaginari puri

i = (0, 1)

i 2 = (0, 1)(0, 1) = (−1, 0) = −1


i 3 = −i
i4 = 1
i5 = i
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(0, y ) = (0, 1)(y , 0) = i(y , 0)
Di conseguenza:
(x, y ) = (x, 0) + (0, y )
(x, y ) = x + iy forma algebrica
x è la parte reale e iy la parte immaginaria, y coefficiente
dell’immaginario.
Si chiama coniugato del numero complesso z = x + iy il numero
complesso z = x − iy .
Un numero complesso coincide con il suo coniugato se e solo se è
reale. p
Si dice modulo del numero complesso z il numero reale x 2 + y 2
e si denota con |z|. Ovviamente |z| = | − z|.
Un numero complesso, il suo opposto, il suo coniugato e l’opposto
del coniugato hanno lo stesso modulo, cioè
|z| = | − z| = |z| = | − z|. L’unico numero con modulo uguale a
zero è zero
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La rappresentazione geometrica di R2 fornisce una rappresenta-
tazione dei numeri complessi. Ad ogni numero complesso
z = x + iy viene associato univocamente il punto P di coordinate
x, y cioè avente per ascissa la parte reale di z e per ordinata il
coefficiente della parte immaginaria.
Il piano quando i suoi punti sono pensati come immagini di numeri
complessi prende il nome di piano complesso o di Gauss.
I numeri reali (x, 0) hanno per immagine i punti dell’asse x detto
asse reale, mentre gli immaginari puri (0, y ) hanno per immagine i
punti dell’asse y detto asse immaginario.
z = x + iy e z = x − iy hanno per immagine i punti P = (x, y ) e
P = (x, −y ) simmetrico rispetto all’asse x.
Mentre z = x + iy e −z = −x − iy hanno come immagini
P = (x, y ) e P 0 = (−x, −y ), simmetrico rispetto all’origine.

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Forma trigonometrica dei numeri complessi
Se P è l’immagine sul piano complesso di z = x + iy , la distanza ρ
di P da O è uguale al modulo di z quindi:
p
ρ = |z| = x 2 + y 2

e (
x = ρ cos θ
y = ρsenθ
Di conseguenza z = x + iy = ρ(cosθ + isenθ) = [ρ, θ].
Utilizzeremo la notazione [ρ, θ] per indicare un numero complesso
che ha modulo ρ e argomento θ.
Dato un numero complesso in forma algebrica, per le formule di
passaggio tra p coordinate cartesiane a polari si può calcolare il
modulo: ρ = x 2 + y 2 e poi determinare θ in modo che senθ = yρ
e cos θ = xρ . Tali condizioni permettono di individuare l’angolo a
meno di multipli di 2π. L’argomento principale è dato da :
θ∗ ∈ (−π, π].
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Esercizio Scrivere in forma trigonometrica il seguente numero
complesso: z = 1 + i.
√ √ √ √
ρ = 1 + 1 = 2 e cos θ = √12 = 22 e senθ = √12 = 22 .
Individuiamo gli angoli θ = π4 + 2kπ: In forma trigonometrica :
√ π π
z= 2(cos + isen )
4 4
Chiaramente possiamo anche dovere trasformare dei numeri
complessi dalla forma trigonometrica a quella algebrica, ad esempio
consideriamo il numero complesso z che ha per modulo ρ = 1 e
θ = π2 .
p
ρ = x2 + y2 = 1
(
x = ρ cos θ = 1 · cos π2 = 0
y = ρsenθ = 1 · sen π2 = 1
⇒ z = 0 + 1 · i forma algebrica

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Calcoliamo z · z 0 con z = ρ(cosθ + isenθ) e z 0 = ρ0 (cos θ0 + isenθ0 ).

zz 0 = ρ(cos θ + isenθ)ρ0 (cos θ0 + isenθ0 ) =

= ρρ0 [cos θ cos θ0 + i cos θsenθ0 + isenθ cos θ0 − senθsenθ0 ]

= ρρ0 [(cos θ cos θ0 − senθsenθ0 ) + i(cos θsenθ0 + senθ cos θ0 )]

= ρρ0 [cos(θ + θ0 ) + isen(θ + θ0 )]

Il prodotto di due numeri complessi ha per modulo il prodotto dei


moduli e per argomento la somma degli argomenti. Tale relazione
si estende al prodotto di n fattori:

[ρ1 , θ1 ] · [ρ2 , θ2 ] · ... · [ρn , θn ] = [ρ1 · ρ2 · ρn , θ1 + θ2 + +θn ]

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Se ρ1 = ρ2 = ... = ρn e θ1 = θ2 = ... = θn , abbiamo il calcolo della
potenza n-esima, con n intero positivo, di un numero complesso,
cioè:
[ρ, θ]n = [ρn , nθ]
Tale formula prende il nome di formula di de Moivre.
Per n = 0, [ρ, θ]0 = 1 = [1, 0].
Supposto ρ 6= 0,

[ρ, θ]−n = 1
[ρ,θ]n = 1
ρn (cos nθ+isennθ) =

1
= ρn (cos nθ − isennθ) =

= ρ−n [cos(−nθ) + isen(−nθ)] =

= [ρ−n , −nθ]

Per n = 1, otteniamo [ρ, θ]−1 = [ρ−1 , −θ].

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Date le precedenti relazioni si ha che:
[ρ1 ,θ1 ]
[ρ2 ,θ2 ] = [ρ1 , θ1 ] · [ρ2 , θ2 ]−1 =

= [ρ1 , θ1 ] · [ρ−1
2 , −θ2 ] =

= [ρ1 ρ−1
2 , θ1 − θ2 ] =

= [ ρρ12 , θ1 − θ2 ]

Il quoziente di due numeri complessi ha per modulo il quoziente dei


moduli e per argomenti la differenza degli argomenti.
Se z = x + iy = ρ(cos θ + isenθ) osservando che yx = tgθ si
dimostra che θ è tale che:
y

arctg( x ) se x > 0

arctg( yx ) + π

se x < 0

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Se x = 0, z = iy
π
θ= , se y > 0
2
π
θ = − , se y < 0
2
Determinare la forma algebrica di (1 + i)8 . Posto z = 1 + i
√ √
ρ= 1+1= 2
( √
cos θ = 22
θ: √
senθ = 22
√ √ √
z = [ 2, π4 ] e quindi z 8 = [ 2, π4 ]8 = [( 2)8 , 8 π4 ] = [24 , 2π] =
24 (cos 2π + isen2π) = 24 = 16.

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Radici n-esime dei numeri complessi
Diremo radice n- esima del numero complesso z ogni numero
complesso ω che sia soluzione di:
ω n = z.
Per determinare le soluzioni della precedente equazione
rappresentiamo in forma trigonometrica sia il numero complesso z
che l’incognita ω.
Poniamo: z = [ρ, θ] e ω = [ρ0 , θ0 ].
Allora per le formule di de Moivre:
[ρ, θ] = [ρ0 , θ0 ]n = [(ρ0 )n , nθ0 ]
√ 1
cioè ρ = (ρ0 )n , θ = nθ0 + 2kπ, di conseguenza ρ0 = n ρ = ρn e
θ0 = θ+2kπ
n . Si ottiene dunque:

√ θ + 2kπ
[ρ0 , θ0 ] =
p
n
[ρ, θ] = [ n ρ, ]
n
al variare di k.
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h√ i
Se k1 e k2 sono due valori di k avremo le due radici: n ρ, θ+2k
n

h√ i
e n ρ, θ+2kn

.
Tali radici coincidono se e solo se:
θ + 2k1 π θ + 2k2 π
= + 2hπ
n n
con h ∈ Z ⇐⇒ k1 − k2 = hn.
Se a k attribuiamo n valori consecutivi, si ottengono n radici a due
a due distinte. Attribuendo a k un qualunque altro valore si
riottiene una delle precedenti radici, quindi facciamo variare
k = 0, 1, 2, ..., n − 1. Dato che le n radici hanno tutte lo stesso
modulo, le loro immagini giacciono sulla circonferenza di centro

l’origine e raggio n ρ e la dividono in n parti uguali.
Ogni numero complesso z = [ρ, θ] ammette n-radici n-esime, che si
ottengono attribuendo all’intero k n valori consecutivi.

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Determinare le radici cubiche di z = 1. Dalla formula
2kπ 2kπ
wk = cos + isen , k ∈Z
3 3
Per ottenere delle radici distinte prenderne tre valori di k
consecutivi:
w0 = cos 0 + isen0 = 1

2 2 1 3
w1 = cos π + isen π = − + i
3 3 2 2

4 4 1 3
w2 = cos π + isen π = − − i
3 3 2 2

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Se n > 3, i punti immagine delle radici sono i vertici di un poligono
di n lati inscritto nel cerchio avente frontiera il cerchio.

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Esempi.
1 Calcolare le radici seste di i. In forma trigonometrica :

i = [1, π2 ], di conseguenza


√ π 
6 6 2 + 2kπ
z= 1,
6
con k = 0, 1, 2, 3, 4, 5.
2 Calcolare le radici quarte di 1 + i
√ √
ρ= 1+1= 2
√ √
2 2 π
cos θ = 2 e senθ = 2 , cioè θ = 4


√ π 
4 8 4 + 2kπ
1+i = 2,
4 k=0,1,2,3

3 Calcolare le soluzioni di w3
+ 2 = 0, w3
= −2, w = 3 −2.
Posto z = −2, |z| = 2 e θ = π. Le soluzioni sono date da:

  
3 π + 2kπ π + 2kπ
wk = 2 cos + isen
3 3 k=0,1,2

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√ !

3
 π π √ 3 1 3
w0 = 2 cos + isen = 2 +i
3 3 2 2
√ √ √
 
3 π + 2π π + 2π 3 3
w1 = 2 cos + isen = 2(−1) = − 2
3 3
√ !
√ √
 
3 π + 4π π + 4π 3 1 3
w2 = 2 cos + isen = 2 −i
3 3 2 2
Osservazione w2 = w0 , cioè w è il coniugato di w0 .

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Forma esponenziale
Utilizziamo l’uguaglianza di Eulero:

e iθ = cos θ + isenθ.

Dunque e iθ ha modulo uguale a 1 e argomento θ + 2kπ.


Considerati
z1 = ρ1 (cos θ1 + isenθ1 ) = ρ1 e iθ1
z2 = ρ2 (cos θ2 + isenθ2 ) = ρ2 e iθ2
z1 · z2 = ρ1 e iθ1 · ρ2 e iθ2 = ρ1 ρ2 e i(θ1 +θ2 ) = [ρ1 ρ2 , θ1 + θ2 ]
dunque il numero z1 · z2 ha per modulo il prodotto dei moduli e
per argomento la somma degli argomenti.
Analogamente:
z1 ρ1 e iθ1 ρ1
= iθ
= e i(θ1 −θ2 ) .
z2 ρ2 e 2 ρ2
Osserviamo che e −iθ = cos(−θ) + isen(−θ) = cosθ − isenθ.
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Se z = e iθ = cos θ + isenθ, allora z = e −iθ = cos θ − isenθ si ha:

e iθ + e −iθ
cos θ = ,
2
e iθ − e −iθ
senθ = .
2i

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Calcolare (1 + 2i)(4 + 2i) , (1 − 2i)(3 − i).
Trasformare
√ in forma trigonometrica: 1 + i, 1 − i, −1 + √
i, −1 − i,
π
−5 3 + 5i (in questo caso l’angolo è dato da π − 6 ), 3 3 + 3i
(angolo uguale a π6 ).

(1 + i)32 , 4 16.

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Successioni reali

Una successione è una legge che ad ogni numero naturale n fa


corrispondere uno ed un solo numero reale an .
Ricordando la definizione di funzione possiamo dire che una
successione è una funzione da N in R. Indichiamo una successione
con il simbolo (an ) o più semplicemente an , o per esteso:

a1 , a2 , a3 , ..., an , ...

Parleremo di successione anche se non sono definiti i primi indici n,


cioè per un numero finito di indici n, ad esempio n 6 3. Si dice che
una successione è limitata superiormente, limitata inferiormente,
limitata, se tale è il suo codominio. L’estremo superiore (inferiore)
del codominio si chiama estremo superiore (inferiore) della
successione.

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Esempi
1 1 1 1
an = 1, , , ..., , ... (1)
n 2 3 n
n−1 1 2 3 n−1
an = 0, , , , ... , ... (2)
n 2 3 4 n
(−1)n 1 1 1 (−1)n
an = − 1, , − , , ..., , ... (3)
n 2 3 4 n
an = (−1)n − 1, 1, −1, 1, ..., (−1)n , ... (4)
an = n2 , 1, 4, 9, ..., n2 , ... (5)

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In generale, delle successioni ci interessa il comportamento per n
grande. Se avesse un senso, diremmo l’ultimo termine della
successione, però non ha senso perchè non esiste ultimo termine
della successione. Di conseguenza, definiamo il limite della
successione an . Il limite della successione an che indichiamo con
a ∈ R è quel numero vicino ai termini della successione per n
grande.
Questo si esprime cosı̀: a, limite della successione an , è un numero
reale tale che comunque si scelga un intervallo di numeri intorno
ad a, diciamo (a − ε, a + ε) con ε > 0, allora esiste un indice ν tale
che, per n > ν, an sta in questo intervallo, cioè a − ε < an < a + ε

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Definizione Un numero reale a è il limite della successione an (si
dice che an tende ad a oppure an converge ad a), e si scrive

lim an = a (an → a)
n→+∞

se, qualunque sia ε > 0, esiste un numero ν tale che


a − ε < an < a + ε per ogni n > ν.
La relazione a − ε < an < a + ε si può scrivere −ε < an − a < ε e
ciò equivale a:
|an − a| < ε.
Possiamo ripetere la definizione precedente:

lim an = a ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃ν : |an − a| < ε ∀n > ν.


n→+∞

La relazione precedente è equivalente a :

lim an = a ⇐⇒ ∃c > 0 : ∀ε > 0, ∃ν : |an − a| < cε, ∀n > ν.


n→+∞

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Usando la definizione verifichiamo che
1
lim =0
n→+∞ n

Risulta |an − a| = | n1 − 0| = n1 . Dato che n1 < ε equivale a n > 1ε ,


basta scegliere ν = 1ε . Abbiamo, quindi verificato che per ogni
ε > 0 esiste ν = 1ε per cui |an − a| = n1 < ε per ogni n > ν.
Verifichiamo ora che
n−1
lim =1
n→+∞ n

Risulta |an − a| = | n−1 1 1


n − 1| = | − n | = n . Stessi conti dell’esercizio
precedente.

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Proviamo a vedere cosa succederebbe se ipotizzassi che
limn→+∞ n1 = 1.
Avremmo |an − a| = | n1 − 1| = 1 − n1 < ε quindi n1 > 1 − ε. Questa
relazione non crea problemi se ε è grande, ad esempio se ε = 1 è
verificata ∀n ∈ N. Ma se ε è piccolo ad esempio ε = 21 allora
1 1
n > 2 è verificata solo se n < 2, Cioè solo a1 verifica la relazione
data, e non an con n > ν. Dunque che a = 1 non è il limite della
successione an = n1 .

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Unicità del limite Una successione convergente non può avere due
limiti distinti.
dim. supponiamo per assurdo che esistano due limiti distinti, cioè
supponiamo che an → a, an → b, con a 6= b. Poniamo
ε = |a−b|
2 > 0. Si ha:

∃ν1 : |an − a| < ε, ∀n > ν1

∃ν2 : |an − b| < ε, ∀n > ν2 .


Ponendo ν = max{ν1 , ν2 } le relazioni precedenti valgono entrambe
e si ha per la disuguaguaglianza triangolare:
|a − b| = |(a − an ) + (an − b)| 6

6 |a − an | + |an − b| =

= |an − a| + |an − b| < ε + ε = |a − b|

si è giunti ad un assurdo.
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Per le successioni (3) e (4) si ha che:

(−1)n
lim = 0.
n→+∞ n
Invece il limite
lim (−1)n
n→+∞

non esiste. Supponendo che esista a = limn→+∞ an . Se a > 0,


consideriamo |an − a| con n dispari. Allora an = −1 e quindi
|an − a| = | − 1 − a| = 1 + a > 1. Perciò, se ε < 1, non risulta mai
|an − a| < ε per n dispari. Allo stesso modo per a 6 0 prendendo i
termini con indice n pari.

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Definizione Una successione an ha limite uguale a +∞ (si dice che
an tende o diverge a +∞) e si scrive

lim an = +∞ (oppure an → +∞)


n→+∞

se, qualunque sia M > 0, esiste un numero ν tale che an > M, per
ogni n > ν. Analogamente

lim an = −∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃ν : an < −M, ∀n > ν


n→+∞

Una successione si dice convergente se ammette limite finito,


mentre si dice divergente se ammette limite uguale a +∞ oppure a
−∞.
Le successioni convergenti o divergenti si dicono regolari, mentre le
successioni che non ammettono limite si dicono non regolari.
Infine, una successione che converge a zero si dice infinitesima,
mentre una successione che diverge si dice infinita.

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Successioni limitate

Una successione si dice limitata se esiste un numero reale M tale


che
|an | 6 M, ∀n ∈ N
o equivalentemente

−M 6 an 6 M, ∀n ∈ N.

Esistono successioni limitate non regolari ad esempio an = (−1)n


(limitata perchè |an | 6 1), ma che non ammette limite.
Teorema. Ogni successione convergente è limitata.
dim. Supponiamo che an converga ad a e scegliamo ε = 1. In base
alla definizione di limite esiste un indice ν per cui |an − a| < 1 per
ogni n > ν. Quindi, utilizzando la disuguaglianza triangolare

|an | = |(an − a) + a| 6 |an − a| + |a| < 1 + |a|, ∀n > ν

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Osservazione: la precedente relazione è verificata per gli indici
maggiori di ν ma noi vogliamo che sia verificata ∀n ∈ N, di
conseguenza mancano i primi ν indici ma:

|a1 | 6 |a1 |, |a2 | 6 |a2 |, ..., |aν | 6 |aν |.

Ma allora, per ogni n ∈ N, si ha:

|an | 6 M = max{|a1 |, |a2 |, ...|aν |, 1 + |a|}

e quindi la successione è, in base alla definizione, limitata.

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Operazioni con i limiti
Operazioni con i limiti Se lim an = a e lim bn = b, con
n→+∞ n→+∞
a, b ∈ R, si ha:
lim (an ± bn ) = a ± b
n→+∞
lim an · bn = a · b
n→+∞
an a
lim = 6 0).
(bn , b =
n→+∞ bn b
Dimostriamo la prima relazione con il +. Per ipotesi, per ogni
ε > 0,
∃ν1 : |an − a| < ε, ∀n > ν1
∃ν2 : |bn − b| < ε, ∀n > ν2
Ponendo ν = max{ν1 , ν2 }, per ogni n > ν si ha
|(an + bn ) − (a + b)| = |(an − a) + (bn − b)| 6

6 |an − a| + |bn − b| < 2ε

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Dimostriamo la formula per il prodotto. Abbiamo dimostrato che
se una successione è convergente è anche limitata, cioè esiste un
numero reale M > 0 tale che:

|an | 6 M ∀n ∈ N.

Dalle ipotesi, per ogni n > ν = max{ν1 , ν2 } si ottiene

|an bn − ab| = |an bn − an b + an b − ab| =

= |an (bn − b) + b(an − a)| 6

6 |an ||bn − b| + |b||an − a| <

< Mε + |b|ε = (M + |b|)ε.

La prova che il limite di un quoziente è uguale al quoziente dei


limiti è simile alla prova della relazione per il limite di un prodotto.

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1
Esempi n2
→0

n2 + 5n − 4 1 + n5 − n42 1
lim = lim = .
n→+∞ 3n2 + 1 n→+∞ 3 + 12 3
n
Valgono le seguenti operazioni con i limiti infiniti

an → a, bn → ±∞ ⇒ an + bn → ±∞

an → ±∞, bn → ±∞ ⇒ an + bn → ±∞
an → a 6= 0, bn → ±∞ ⇒ |an bn | → +∞
an → ±∞, bn → ±∞ ⇒ |an bn | → +∞
an
an → a, bn → ±∞ ⇒ →0
bn
bn
an → a, bn → ±∞ ⇒ → +∞
an
an
an → a 6= 0, bn → 0 ⇒ → +∞
bn
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Risultano escluse le seguente forme indeterminate
∞ 0
∞ − ∞, 0 · ∞, ,
∞ 0
Dire che un limite è una forma indeterminata non significa che il
limite non esiste, ma significa che occorre preliminarmente eseguire
trasformazioni, o semplificazioni, per togliere, se possible,
l’indeterminazione.
Esempi:
1 (n + 1)2 − (n − 1)2 (forma del tipo ∞ − ∞) si ottiene 4n e
quindi tende a +∞
1 1 1
2
n2
(n+ 1) (forma del tipo 0 · ∞) si ottiene n + n2
e quindi
tende a 0
n−1 ∞ 1
3
n (forma del tipo ∞) si ottiene 1 − n e quindi tende a 1
1
4 n2
1 (forma del tipo 00 ) si ottiene 1
n e quindi tende a 0.
n

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Teoremi di confronto

Teorema della permanenza del segno Se lim an = a > 0, esiste


n→+∞
un numero ν tale che an > 0 per ogni n > ν.
Dim. dato che a > 0, possiamo scegliere ε = 2a . Esiste quindi un
numero ν per cui |an − a| < 2a per ogni n > ν. Ciò equivale a
− 2a < an − a < 2a . In particolare, abbiamo
a a
an > a − = > 0, ∀n > ν.
2 2
Corollario Se lim an = a e se an > 0 per ogni n ∈ N, allora anche
n→+∞
a > 0.
Dim. Se per assurdo a < 0 il teorema della permanenza del segno,
applicato alla successione −an comporterebbe che an < 0 per n
grande.

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Corollario Se lim an = a e lim bn = b e se an > bn per ogni
n→+∞ n→+∞
n ∈ N, allora a > b.
Basta applicare il corollario precedente alla successione an − bn .
Teorema dei carabinieri Siano an , bn , cn tre successioni tali che :
an 6 cn 6 bn , ∀n ∈ N.
Se lim an = lim bn = a, allora anche la successione cn è
n→+∞ n→+∞
convergente e lim cn = a.
n→+∞
Dim. Per ipotesi, per ogni ε > 0
∃ν1 : |an − a| < ε, ∀n > ν1 ; ∃ν2 : |bn − a| < ε, ∀n > ν2 .
Ricordiamo che il disuguaglianze con il valore assoluto si possono
scrivere:
a − ε < an < a + ε; a − ε < bn < a + ε
Quindi, se n > ν = max{ν1 , ν2 } risulta
a − ε < an 6 cn 6 bn < a + ε
Perciò |cn − a| < ε per ogni n > ν, come volevasi dimostrare.
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Valgono analoghi teoremi di confronto anche per i limiti infiniti:

an 6 bn ∀n ∈ N, an → +∞ ⇒ bn → +∞

an 6 bn ∀n ∈ N, bn → −∞ ⇒ an → −∞
Dimostrazione della prima. Per ipotesi an → +∞ che, per
definizione di limite significa:

∀M > 0, ∃ν : an > M, ∀n > ν.

Dato che bn > an , per ogni n ∈ N, si ottiene la tesi

bn > an > M, ∀n > ν

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Alcune proprietà dei limiti

Proposizione an converge a zero se e solo se |an | converge a 0.


Dim. Posto bn = |an |, bn converge a 0 se e solo se

∀ε > 0, ∃ν : |bn | < ε, ∀n > ν.

Dato che |bn | = ||an || = |an |, ∀n ∈ N la relazione precedente


equivale a dire che la successione an converge a 0.
Ricordiamo che una successione an è limitata se esiste un numero
M > 0 tale che
|an | 6 M, ∀n ∈ N.
Una successione che converge a zero si dice infinitesima.

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Teorema del limite di una successione limitata per una infinitesima
Se an è una successione limitata e bn è una successione
infinitesima, allora la successione prodotto an · bn converge a zero.
Per la definizione di limite si ha:

∀ε > 0, ∃ν : |bn | < ε, ∀n > ν.

Dalla ipotesi di limitatezza di an si ottiene:

|an bn | = |an ||bn | 6 M · |bn | < Mε, ∀n > ν,

ma questo equivale al fatto che la successione prodotto an · bn


converge a zero.
Esempio
(−1)n (n + 5)
lim =0
n→∞ 3n2 + 1
Difatti trattasi di una successione limitata (−1)n per una
infinitesima bn = 3nn+5
2 +1

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Alcuni limiti notevoli
Esaminiamo il seguente limite:



 +∞ se a>1

1 se a=1
lim an =
n→+∞ 

 0 se −1<a<1

non esiste se a 6 −1.
Se a > 1 è possibile utilizzare la disuguaglianza di Bernoulli
an > 1 + n(a − 1).
Dato che a > 1, il secondo membro tende a +∞ se n → +∞, per
il teorema di confronto anche an → +∞. I casi a = 1 e a = 0 sono
ovvi. Se a è diverso da zero e compreso tra −1, 1 (0 < |a| < 1),
risulta 1/|a| > 1 e quindi dal caso già trattato otteniamo:
1
lim |an | = lim =0
n→+∞ n→+∞ (1/|a|)n

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Abbiamo già trattato il caso a = −1. Se a < −1 la successione
con esponenti pari diverge positivamente, mentre quella di
esponenti dispari diverge negativamente. Perciò non esiste il limite
di an per n → +∞.
Se a è un numero reale positivo, risulta:

n
1
lim a = lim a n = 1
n→+∞ n→+∞

√ 1
Facile da ricordare in quanto n a = a n → a0 = 1.
Se b ∈ R, risulta √
n
lim nb = 1
n→+∞

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Consideriamo ora tre limiti relativi alle funzioni trigonometriche.
1 an → 0 ⇒ senan → 0,
2 an → 0 ⇒ cos an → 1
senan
3 an → 0, an 6= 0 ∀n ⇒ an →1
Dim della prima. Dato che an converge a 0, per la definizione di
limite esiste un indice ν per cui |an | < π2 per ogni n > ν. Per tali
valori di n, otteniamo che

0 6 |senan | = sen|an | 6 |an |

ma dato che an è infinitesima, lo è anche |an | di conseguenza per il


teorema dei carabinieri si ha che |senan | → 0 e questo implica che
senan → 0.

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Dim. della seconda. Utilizziamo la relazione cos x = ± 1 − sen2 x.
Allo scopo di stabilire il segno nella relazione precedente,
indichiamo con ν l’indice tale che risulti − π2 6 an 6 π2 per ogni
n > ν ( ν esiste per la definizione di limite, dato che an → 0). Per
tali valori di n risulta cos an > 0 e quindi
p
cos an = 1 − sen2 an , ∀n > ν

Avendo dimostrato che senan → 0 ne segue che


bn = 1 −√sen2 an → 1. La tesi è infine conseguenza del fatto che

bn → 1 = 1.

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Dim. della terza. Notiamo che dato che an → 0, trattasi di una
forma indeterminata 0/0. Cominciamo con il dimostrare che
π senx
0 < |x| < ⇒ cos x < <1
2 x
Infatti, se x è positivo, si ha :
senx
senx < x < tgx =
cos x
da cui dividendo per senx che è positivo e prendendo gli inversi, si
ha
senx
cos x < < 1.
x
Se invece x è negativo, considerando −x che è positivo si ottiene

sen(−x) senx
cos x = cos(−x) < = <1
−x x
dunque la relazione da dimostrare vale anche qualora si abbia x
negativo.
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Dato che an → 0 per la definizione di limite esiste un indice ν tale
che |an | < π2 per ogni n > ν. Ma allora,
senan
cosan < < 1, ∀n > ν.
an
Per n → +∞, cos an → 1. La tesi discende dal teorema dei
carabinieri.

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Successioni monotone

Abbiamo già dato la definizione di funzione crescente o


decrescente (anche strettamente crescente e decrescente)
1 an strettamente crescente an < an+1 , ∀n ∈ N
2 an crescente an 6 an+1 ∀n ∈ N
3 an strettamente decrescente an > an+1 ∀n ∈ N
4 an decrescente an > an+1 ∀n ∈ N.
Una successione an è monotona se è verificata una delle quattro
condizioni precedenti. Una successione è strettamente monotona
se verifica la 1) o la 3).
Se an = a per ogni n ∈ N, con a numero reale fissato, si dice che
an è una successione costante. Le successioni costanti sono allo
stesso tempo crescenti e decrescenti.

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Teorema sulle successioni monotone Ogni successione monotona
ammette limite. In particolare, ogni successione monotona e
limitata è convergente, cioè ammette limite finito.
Dim. Consideriamo il caso di una successione an crescente e
limitata. Posto l = supn an , fissato ε > 0, per le proprietà
dell’estremo superiore esiste ν ∈ N tale che

l − ε < aν .

Per n > ν risulta aν 6 an e dunque

l − ε < aν 6 an 6 l < l + ε,

da cui lim an = l.
n→+∞

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Consideriamo ora il caso di una successione an crescente e non
limitata superiormente. Fissato M > 0 esiste ν ∈ N tale che
aν > M. Dato che an è crescente, per ogni n > ν risulta

an > aν > M

da cui lim an = +∞. Ricordando che una successione si dice


n→+∞
regolare se ammette limite (finito o infinito). Il precedente teorema
afferma che Ogni successione monotona è regolare
Si può anche dire che ogni successione monotona crescente tende
al supan . Nel caso che la successione sia limitata tale supan = l,
n∈N n∈N
con l ∈ R, qualora la successione non sia limitata allora il
supan = +∞
n∈N

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Il numero e

Introduciamo il numero di Nepero come il limite di una particolare


successione monotona e limitata.
Poniamo
1 n
 
e = lim an con an = 1 + .
n→+∞ n
Infatti si dimostra che la successione è monotona crescente ed è
limitata.
La successione utilizzata per definire il numero e, combina due
tendenze opposte: la tendenza della base ad un limite uguale a 1 e
la tendenza dell’esponente ad un limite infinito. La forma 1∞ è
una nuova forma indeterminata come pure le forme ∞0 , 00 .
Quindi forme indeterminate:

1(+∞) , 1(−∞) , (+∞)0 , 00

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Infiniti di ordine crescente

Criterio del rapporto (per le successioni) Sia an una successione a


termini positivi. Definiamo bn = aan+1 n
. Se la successione bn
converge ad un limite b < 1, allora la successione an tende a zero.
Dim. Per il teorema della permanenza del segno (applicato alla
successione 1 − bn ) esiste un indice ν per cui bn < 1 per ogni
n > ν. Quindi aan+1n
< 1 , cioè an+1 < an , per ogni n > ν. Il
teorema delle successioni monotone assicura l’esistenza del limite a
(da notare che la successione an è limitata inferiormente dato che
per ipotesi an è a termini positivi, dunque an > 0, ∀n ∈ N ), che è
un numero reale non negativo, dato che la successione è
decrescente. Supponendo per assurdo che a 6= 0 e passando al
limite per n → +∞ nella relazione bn = aan+1 n
si ottiene b = aa = 1,
in contrasto con l’ipotesi b < 1. Pertanto a = 0.

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Applichiamo il criterio del rapporto al confronto delle successioni:

log n; nb ; an ; n!; nn .

Abbiamo scelto b > 0, a > 1. Il simbolo n! (n fattoriale) significa il


prodotto dei primi n numeri naturali:

n! = 1 · 2 · 3 · ... · (n − 1) · n.

Per n → +∞ le successioni tendono tutte a +∞. Possiamo però


dire che sono infiniti di ordine crescente, nel senso che

log n nb an n!
lim b
= lim n
= lim = lim n = 0
n→+∞ n n→+∞ a n→+∞ n! n→+∞ n

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Tralasciamo il primo limite. Vogliamo dimostrare il secondo.
b n+1 b 1
Poniamo an = nan , bn = aan+1 1

n
= n a → a < 1. Dal criterio del
b
rapporto nan → 0.
n
Per il terzo limite poniamo an = an! , bn = aan+1
n
a
= n+1 → 0. Ancora
n
dal criterio segue che a /n! → 0.
Infine per il quarto. Poniamo an = nn!n , bn = aan+1
n
1
= ( n+1 )n
→ e1 < 1
n
n!
e di nuovo per il criterio del rapporto la successione an = nn
converge a zero per n → +∞.

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Successioni estratte. Teorema di Bolzano-Weierstrass

Sia an una successione di numeri reali e sia nk una successione


strettamente crescente di numeri naturali. La successione ank
definita da
k ∈ N → ank
prende il nome di successione estratta da an , di indici nk .
Ad esempio, se nk = 2k, la successione estratta da an di indici 2k,
cioè di indici pari
a2 , a4 , ..., a2k , ...
Se invece nk = 2k − 1, si ottiene l’estratta da an di indici dispari

a1 , a3 , ..., a2k−1 , ...

Lemma Per ogni successione nk strettamente crescente di numeri


naturali, si ha
nk > k, ∀k ∈ N.

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dim. per k = 1 si ha ovviamente n1 > 1. Inoltre valida la relazione
nk > k proviamo che è vera anche per il successivo cioè
nk+1 > k + 1. Per hp nk+1 > nk > k, ovvero nk+1 > k ossia
nk+1 > k + 1.
Proposizione Se an converge verso a, allora ogni estratta ank
converge verso a.
dim. fissato ε > 0 esiste k0 tale che |an − a| < ε per ogni n > k0 .
Se k > k0 essendo nk > k per il lemma precedente, si ha anche
nk > k0 e perciò |ank − a| < ε.
Il viceversa non è vero quindi dall’essere convergente la successione
estratta non è detto che sia convergente la successione di partenza
(ad esempio (−1)n ).
Tuttavia sussiste il seguente teorema:
Teorema di Bolzano-Weierstrass Sia an una successione limitata.
Allora esiste almeno una sua estratta convergente.

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Successioni di Cauchy

Sia an una successione di numeri reali. Si dice che an è una una


successione di Cauchy se, per ogni ε > 0, esiste un indice ν tale
che per h, k > ν risulti

|ak − ah | < ε.

Proposizione Ogni successione convergente è di Cauchy.


Dim. Se an converge verso a allora, per ogni ε > 0, esiste ν tale
che
|an − a| < ε/2, ∀n > ν
Dalla disuguaglianza triangolare, segue allora, per h, k > ν:
ε ε
|ak − ah | 6 |ak − a| + |a − ah | < + =ε
2 2
Per dimostrare viceversa che ogni successione di Cauchy è
convergente premettiamo alcuni lemmi.
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Lemma 1 Una successione di Cauchy è limitata.
Dim. sia ε = 1, per ipotesi ∃ν ∈ N, tale che

|ak − ah | < 1, ∀h, k > ν.

Fissiamo un indice h0 > ν. Allora si ha che

ah0 − 1 < ak < ah0 + 1 ∀k > ν.

Posto
A = min{a1 , a2 , ..., aν , ah0 − 1},
e
B = max{a1 , a2 , ..., aν , ah0 + 1}.
Evidentemente risulta

A 6 ak 6 B, ∀k ∈ N

e perciò la successione è limitata.


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Lemma 2 Se una successione di Cauchy an contiene una estratta
ank convergente a l, allora anche an converge a l.
Dim. Fissato ε > 0 sia ν ∈ N tale che
ε
|ak − ah | < ∀h, k > ν
2
Sia inoltre k0 > ν tale che
ε
|ank − l| < ∀k > k0 .
2
Poichè si ha: nk0 > k0 > ν, per ogni n > ν risulta
ε ε
|an − l| 6 |an − ank0 | + |ank0 − l| < + =ε
2 2

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Criterio di convergenza di Cauchy Una successione an è
convergente se e solo se è di Cauchy.
Dim. Con la prima proposizione abbiamo provato che le
successioni convergenti sono di Cauchy. Viceversa, se an è di
Cauchy, per il lemma 1 è anche limitata. In base al teorema di
Bolzano- Weierstrass an ammette una successione estratta ank
convergente. Per il lemma 2, an è convergente.

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Valori di aderenza di una successione

Sia an una successione di numeri reali. Il numero reale a si dice


valore di aderenza di an se , per ogni ε > 0 l’insieme
{n ∈ N : |an − a| < ε} è infinito. Se la funzione an è convergente
verso a, allora a è anche un valore di aderenza. Il viceversa non
sussiste, come si vede considerando la successione an = (−1)n , la
quale ammette −1 e 1 come valori di aderenza anche se non è
convergente. Osserviamo che la successione (−1)n ha un’estratta
convergente verso −1 ed una estratta convergente verso 1.
Teorema 1 Un numero reale a è valore di aderenza di una
successione an se e solo se esiste una estratta convergente verso a.

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Limiti di funzioni

Dato un punto x0 ∈ R, ogni intervallo aperto cui x0 appartiene si


chiama intorno di x0 . Naturalmente un punto x0 ha infiniti intorni.
Nella pratica è però spesso conveniente riferirsi agli intorni di x0
che hanno x0 come punto medio, cioè agli intorni del tipo
]x0 − δ, x0 + δ[, con δ numero reale positivo (raggio o
semiampiezza dell’intorno); un intorno di questo tipo è costituito
dai punti x tali che |x − x0 | < δ.
Un intervallo semiaperto a destra avente x0 per estremo inferiore,
pur non essendo un intorno di x0 si suole chiamare un intorno
destro di x0 ; un intervallo semiaperto a sinistra avente x0 per
estremo superiore, si suole chiamare un intorno sinistro di x0 .
Evidentemente l’unione di un intorno destro e di un intorno sinistro
è un intorno di x0 , e viceversa.

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Per uniformità di linguaggio, diremo intorno di +∞ ogni intervallo
aperto non limitato superiormente, e diremo intorno di −∞ ogni
intervallo aperto non limitato inferiormente. Se x0 = +∞
definiamo intorno di +∞ ogni intervallo del tipo (M, +∞), M > 0.
Se x0 = −∞ definiamo intorno di −∞ ogni intervallo del tipo
(−∞, M), M < 0. Abbiamo cosi definito degli intorni per un
qualsiasi x0 in R ampliato.
Se x e y sono due punti distinti, esistono almeno un intorno di x e
un intorno di y , disgiunti.

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Sulla nozione di intorno si fonda il concetto di punto di
accumulazione per un insieme.
Dato un insieme numerico X , si dice che un punto x0 di R,
appartenente o no ad X , è di accumulazione per X , se in ogni
intorno di x0 cade almeno un punto di X distinto da x0 . E’ facile
riconoscere che, se in ogni intorno di x0 cade almeno un punto di
X distinto da x0 , necessariamente ne cadono infiniti.
La definizione di punto di accumulazione traduce in forma precisa
il fatto intuitivo che esistono punti di X distinti da x0 ma prossimi
a x0 quanto si voglia.
Se x0 appartiene a X e non è di accumulazione per X , ciò vuole
dire che esiste almeno un intorno di x0 nel quale non cadono altri
punti di X , si dice allora che x0 è un punto isolato di X . L’insieme
dei punti che sono di accumulazione al finito per un assegnato
insieme X , si chiama insieme derivato di X , o semplicemente
derivato e si denota con D(X ).

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Si chiama chiusura (o aderenza) di X l’insieme X definito da:

X = X ∪ D(X )

Un insieme X si dice chiuso quando contiene il suo derivato, cioè


D(X ) ⊆ X , cioè se X = X . Se x0 appartiene a X ∪ D(X ) si
esprime dicendo che x0 è un punto aderente ad X . L’insieme
X ∪ D(X ) cioè l’insieme dei punti aderenti ad X si chiama
aderenza di X .
Un insieme X ⊆ R si dice compatto se da ogni successione an di
punti si puo estrarre una sottosuccessione convergente verso un
punto a di X .
Teorema di Heine-Borel Un sottoinsieme X ⊆ R è compatto se e
solo se è chiuso e limitato.

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Esempi
1 A = [a, b], ogni x0 ∈ [a, b] è di accumulazione per A.
2 A = (a, b), ogni x0 ∈ (a, b) e lo sono anche a, b.
3 A = {a} non ha punti di accumulazione.
4 A = { n1 , n ∈ N} trattasi di un insieme limitato e quindi privo
di punto di accumulazioni all’ ∞ si verifica facilmente che
l’unico punto di accumulazione è l’estremo inferiore 0 che non
appartiene ad A.

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Sia f una funzione reale di una variabile reale, definita in un
insieme X , e sia x0 un punto di X .
Se x0 è di accumulazione per X , esistono punti di X prossimi a x0
quanto si voglia. E’ allora naturale confrontare il valore che la
funzione assume nel punto x0 con quelli che essa assume nei punto
prossimi a x0 e domandarsi da un punto di vista intuitivo se accade
che a piccole variazioni di x a partire da x0 , corrispondano piccole
variazioni di f (x) rispetto a f (x0 ), in altri termini se accade che il
valore f (x) sia prossimo a f (x0 ) quanto si voglia, purchè si scelga
x abbastanza vicino a x0 .

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La questione da esaminare è se la funzione gode della seguente
proprietà: Ad ogni intorno J di f (x0 ) è possibile associare un
intorno I di x0 , in modo che i valori assunti da f nei punti di I
appartengono a J, cioè in modo che:

x ∈ I ⇒ f (x) ∈ J.

Si dice che la funzione è convergente in x0 , se esiste un numero


reale l avente la seguente proprietà: Ad ogni intorno J di l è
possibile associare un intorno I di x0 , in modo che i valori assunti
da f nei punti di I (più precisamente di X ∩ I diversi da x0 ),
appartengano a J, cioè in modo che:

x ∈ I − {x0 } ⇒ f (x) ∈ J

Definizione Si ha lim f (x) = l se e soltanto se , qualunque sia


x→x0
ε > 0, esiste un numero δ > 0 in modo che l − ε < f (x) < l + ε,
per ogni x ∈ A − {x0 }, tale che x0 − δ < x < x0 + δ.

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La definizione è in simboli:
lim f (x) = l ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃δ > 0 : |f (x) − l| < ε
x→x0

∀x ∈ A : 0 6= |x − x0 | < δ

Si può dare anche un’altra definizione:


Definizione Si dice che f (x) ha un limite uguale a l (tende o
converge a l) per x che tende a x0 , se, qualunque sia la
successione xn → x0 , con xn 6= x0 per ogni n, risulta f (xn ) → l.
Secondo questa definizione
senx
lim =1
x→0 x

Cosı̀ pure:
lim senx = 0
x→0
lim cos x = 1
x→0

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Legame tra limiti di funzioni e di successioni
Teorema ponte Le seguenti relazioni sono tra loro equivalenti
(x0 ,l ∈ R):

∀xn → x0 , xn ∈ A − {x0 } ∀n ∈ N ⇒ f (xn ) → l (1)

∀ε > 0, ∃δ > 0 : x ∈ A, 0 6= |x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − l| < ε (2)


Proviamo prima che la (2) implica la (4): per ogni ε > 0, sia δ > 0
il numero reale per cui vale l’ipotesi (2); consideriamo una
successione xn , di punti di A, convergente a x0 , con xn 6= x0 per
ogni n ∈ N.

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Per la definizione di limite di successione, esiste un indice ν per cui
|xn − x0 | < δ per ogni n > ν inoltre essendo xn 6= x0 , in definitiva
si ha
xn ∈ A, 0 6= |xn − x0 | < δ ∀n > ν.
Per l’ipotesi (2) segue che

|f (xn ) − l| < ε ∀n > ν,

che in base alla definizione di limite di successione, significa che


f (xn ) → l per n → +∞.

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Proviamo ora per assurdo che la (4) implica la (2): contraddire la
(2) vuole dire:

∃ε0 > 0 : ∀δ > 0, ∃x ∈ A : 0 6= |x − x0 | < δ, |f (x) − l| > ε0

Poniamo δ = n1 , con n ∈ N e indichiamo con x = xn il valore di x


che compare nella relazione precedente in dipendenza da δ = n1 :

1
∃ε0 > 0 : ∀n ∈ N, ∃xn ∈ A : 0 6= |xn − x0 | < , |f (xn ) − l| > ε0 .
n
Si ha:
1 1
xn 6= x0 , x0 − < xn < x0 + ∀n ∈ N;
n n
perciò xn ∈ A − {x0 }, ∀n ∈ N e xn → x0 ; però f (xn ) non converge
ad l perchè la disuguaglianza |f (xn ) − l| > ε0 , ∀n ∈ N contrasta
con la definizione di limite di successione.

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Analoghe definizioni per i limiti infiniti:

lim f (x) = +∞ ⇐⇒ ∀xn → x0 , xn ∈ A − {x0 }∀n ∈ N


x→x0

⇒ f (xn ) → +∞

⇐⇒ ∀M > 0, ∃δ > 0 : f (x) > M,

∀x ∈ A : 0 6= |x − x0 | < δ

lim f (x) = l ⇐⇒ ∀xn → +∞, xn ∈ A∀n ∈ N ⇒ f (xn ) → l


x→+∞

⇐⇒ ∀ε > 0, ∃k : |f (x) − l| < ε, ∀x ∈ A : x > k


lim f (x) = +∞ ⇐⇒ ∀xn → −∞, xn ∈ A∀n ∈ N ⇒ f (xn ) → +∞
x→−∞

⇐⇒ ∀M > 0, ∃k : f (x) > M, ∀x ∈ A : x < k

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lim f (x) = l ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃δ > 0 : |f (x) − l| < ε
x→x0

∀x ∈ A − {x0 } : |x − x0 | < δ
lim f (x) = +∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃δ > 0 : f (x) > M
x→x0

∀x ∈ A − {x0 } : |x − x0 | < δ
lim f (x) = −∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃δ > 0 : f (x) < −M
x→x0

∀x ∈ A − {x0 } : |x − x0 | < δ

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lim f (x) = l ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃k > 0 : |f (x) − l| < ε
x→+∞

∀x ∈ A : x > k

lim f (x) = +∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃k > 0 : f (x) > M,


x→+∞

∀x ∈ A : x > k
lim f (x) = −∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃k > 0 : f (x) < −M,
x→+∞

∀x ∈ A : x > k

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lim f (x) = l ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃k > 0 : |f (x) − l| < ε
x→−∞

∀x ∈ A : x < −k
lim f (x) = +∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃k > 0 : f (x) > M,
x→−∞

∀x ∈ A : x < −k
lim f (x) = −∞ ⇐⇒ ∀M > 0, ∃k > 0 : f (x) < −M,
x→−∞

∀x ∈ A : x < −k
Si possono definire anche il limite destro (x → x0+ ) e il limite
sinistro (x → x0− ) ad esempio:
lim f (x) = l ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃δ > 0 : |f (x) − l| < ε
x→x0+

∀x ∈ A : 0 < x − x0 < δ
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Esempi e proprietà dei limiti di funzioni
Si ha che: (
+∞ se a > 1
lim ax =
x→+∞ 0 se 0 < a < 1.
In particolare se la base è e si ha
1
lim e x = +∞; lim e x = lim
=0
x→+∞ x→−∞ x→+∞ e x
lim log x = +∞; lim+ log x = −∞
x→+∞ x→0
Verifichiamo che invece i limiti
lim senx, lim cos x
x→+∞ x→+∞
non esistono. Limitiamoci al primo. Se esiste il limite = l
dovremmo avere che senxn tende allo stesso valore l qualunque sia
la successione xn → +∞. Mostriamo che esistono due successioni
xn e xn0 divergenti a +∞ con la proprietà che senxn e senxn0
tendono a limiti diversi. Infatti ponendo xn = 2πn, xn0 = 2πn + π2 ,
risulta senxn = 0 → 0 mentre senxn0 = 1 → 1.
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1 x 1 x
   
lim 1+ = e, lim 1+ =e
x→+∞ x x→−∞ x
Operazioni con i limiti di funzioni Il limite della somma, differenza,
prodotto , quoziente di due funzioni è rispettivamente uguale alla
somma, differenza, prodotto, quoziente (se il denominatore è
diverso da zero) dei due limiti, purchè non sia una delle forme
indeterminate ∞ − ∞, 0 · ∞, ∞ 0
∞, 0.
Calcoliamo
1 − cosx 1 − cos2 x
lim = lim
x→0 x2 x→0 x 2 (1 + cosx)

sen2 x
= lim =
x→0 x 2 (1 + cos x)

 senx 2 1 1
= lim · lim =
x→0 x x→0 1 + cos x 2

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Funzioni continue

Abbiamo calcolato

lim senx = 0 = sen0; lim cos x = 1 = cos 0;


x→0 x→0

il valore limite, per x → 0, è uguale al valore che si ottiene


calcolando la funzione per x = 0. Si dice che le funzioni senx e
cos x sono continue per x = 0 in accordo con la definizione:
Definizione Una funzione f (x) è continua in un punto x0 se

lim f (x) = f (x0 );


x→x0

una funzione è continua in un intervallo [a, b] se è continua in ogni


punto x0 ∈ [a, b] (se x0 = a si considera il limite destro x → a+ ,
mentre se x0 = b si considera il limite sinistro x → b − ).

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Dato che il limite di somma, differenza, prodotto è uguale alla
somma, differenza, prodotto dei limiti, risulta che la somma, la
differenza , il prodotto di funzioni continue è una funzione
continua. Anche il quoziente di funzioni continue è una funzione
continua, ma come al solito occorre fare attenzione ai punti dove il
denominatore si annulla. Si verifica che la funzione composta
mediante funzioni continue è continua. Molte funzioni elementari
sono continue. La continuità della funzione f (x) = senx si esprime
con il fatto che
lim senx = senx0
x→x0
o equivalentemente
lim sen(x0 + h) = senx0
h→0
Dim.
lim sen(x0 + h) = lim [senx0 cos h + cos x0 senh] =
h→0 h→0

= senx0 lim cos h + cos x0 lim senh = senx0


h→0 h→0

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Discontinuità

La funzione (
|x| 1 se x > 0
f (x) = =
x −1 se x < 0.
La funzione è continua per x 6= 0, ma non è continua se x = 0.

Figura: f (x) = segno(x)

Il grafico di questa funzione presenta per x = 0 un salto.

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La funzione f (x) non è continua in x0 = 0 perchè non è definita in
tale punto, perchè non esiste il valore f (x0 ) = f (0).
Estendiamo f (x) anche a x0 = 0 con un valore l ∈ R.
Consideriamo una nuova funzione f˜(x) definita da
(
f (x) = |x| se x 6= 0
f˜(x) = x
l se x = 0

La funzione f˜(x) è definita nel punto x0 = 0, ma non è continua in


tale punto perchè non esiste il limite per x → x0 di f˜(x).
Tutto ciò accade qualunque sia il valore l scelto per la definizione
di f˜(x), che risulta una estensione non continua (o prolungamento
non continuo) della funzione. La discontinuità di f (x) in x0 = 0 si
dice non eliminabile.

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Al contrario se consideriamo
senx
f (x) =
x
non è continua in x0 = 0 (perchè non è definita).

sen(x)
Figura: f˜(x) = x

Il grafico di f (x) è privo del punto di ascissa 0 posso prolungare la


funzione f considerando la f˜(x). Difatti è possibile prolungare la
f (x) per continuità come segue:
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mediante la funzione
( senx
f (x) = , se x 6= 0
f˜(x) = x
1 se x = 0.

Il grafico di f (x) si ottiene completando il disegno con un punto di


coordinate (0, 1).

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Sia f (x) una funzione definita in A e x0 un punto di A. Le
discontinuità di f (x) si classificano in:
la funzione presenta in x0 un discontinuità eliminabile se esiste
il limite di f (x) per x → x0 e risulta

lim f (x) 6= f (x0 ).


x→x0

In tal caso, ponendo l = limx→x0 f (x), la funzione


(
f (x) se x ∈ A − {x0 }
f˜(x) =
l se x = x0

risulta continua nel punto x0 .


la funzione f (x) presenta in x0 una discontinuità di prima
specie se esistono finiti i limiti destro e limite sinistro di f (x)
in x0 e si ha:
lim f (x) 6= lim+ f (x)
x→x0− x→x0

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La funzione f (x) presenta in x0 una discontinuità di seconda
specie se almeno uno dei due limiti
lim f (x), lim f (x)
x→x0− x→x0+

è infinito oppure non esiste.

Figura: f (x) = tg(x)


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Sia A un intervallo (o unione finita di intervalli), x0 ∈ A e f (x) una
funzione definita in A − {x0 }; se esiste il limite

lim f (x) = l
x→x0

allora la funzione f˜(x), definita in A da


(
f (x) se x ∈ A − {x0 }
f˜(x) =
l se x = x0

è detta prolungamento per continuità di f (x) in x0 .


Se poi f (x) è continua in A − {x0 } allora f˜(x), continua su tutto
l’insieme A, è detta prolungamento per continuità di f (x) su A.

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Alcuni teoremi sulle funzioni continue

Teorema della permanenza del segno Sia f (x) una funzione


definita un intorno di x0 e sia continua in x0 . Se f (x0 ) > 0 esiste
un numero δ > 0 con la proprietà che f (x) > 0 per ogni
x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).
La dimostrazione è analoga a quella per le successioni. Dato che
f (x0 ) > 0 possiamo scegliere ε = f (x20 ) quindi esiste un numero δ
per cui |f (x) − f (x0 )| < f (x20 ) per ogni x nell’intervallo |x − x0 | < δ.
Ciò equivale a − f (x20 ) < f (x) − f (x0 ) < f (x20 ) . In particolare

f (x0 ) f (x0 )
f (x) > f (x0 ) − = >0
2 2
Teorema dell’esistenza degli zeri Sia f (x) una funzione continua in
un intervallo [a, b]. Se f (a) < 0 e f (b) > 0, (oppure f (a) > 0 e
f (b) < 0) allora esiste x0 ∈ (a, b) tale che f (x0 ) = 0 .

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Esempio
f (x) = x 3 + x − 1
in −2, 1. La funzione f (x) è continua in [−2, 1] e
f (−2) = −8 + 2 − 1 = −7, f (1) = 1. Per il Teorema degli zeri
esiste x0 ∈ (−2, 1) : f (x0 ) = 0.
Dimostrazione usando metodo di bisezione
f (x) è continua in [a, b] e
f (a) < 0, f (b) > 0.
Consideriamo il numero c, punto di mezzo dell’intervallo [a, b],
cioè c = a+b
2 . Se f (c) = 0 abbiamo trovato una radice. Altrimenti
consideriamo due casi f (c) > 0, f (c) < 0. Se f (c) > 0 la funzione
f assume valori di segno discorde agli estremi dell’intervallo [a, c],
mentre se f (c) < 0, [c, b] è l’intervallo dove f cambia segno.
Indichiamo con [a1 , b1 ] l’intervallo da considerare, cioè:
(
se f (c) > 0 ⇒ a1 = a, b1 = c
se f (c) < 0 ⇒ a1 = c, b1 = b

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Abbiamo cosı̀ trovato un intervallo [a1 , b1 ] di ampiezza metà del
precedente [a, b] per cui risulta f (a1 ) < 0, f (b1 ) > 0. Definiamo
c1 = a1 +b
2
1
e ripetiamo il ragionamento.
Otteniamo tre successioni an , bn , cn che per n > 1 sono definite
analogamente da
(
se f (cn ) > 0 ⇒ an+1 = an , bn+1 = cn
se f (cn ) < 0 ⇒ an+1 = cn , bn+1 = bn

dove cn+1 = an+1 +b2


n+1
. Se per qualche n risulta f (cn ) = 0 ci si
ferma perchè si è trovata una radice, altrimenti per costruzione,
risulta
f (an ) < 0, f (bn ) > 0 ∀n ∈ N
E’ semplice scrivere la relazione che lega an con bn . Infatti ad ogni
iterazione, la lunghezza dell’intervallo [an , bn ] si dimezza. Quindi
b1 − a1 = (b − a)/2,b2 − a2 = (b1 − a1 )/2 = (b − a)/22 , dopo n
passi
b−a
bn − an = ∀n ∈ N.
2n
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Per costruzione la successione an è crescente ed è limitata perché
contenuta in [a, b]. Per il teorema sulle successioni monotone an
ammette limite finito e sia x0 tale limite. La successione bn è
decrescente e per il teorema delle successioni monotone converge.
Ma per di più, la successione bn data da
b−a
bn = an +
2n
converge allo stesso x0 per n → +∞. Dalla continuità della
funzione e dato che f (an ) < 0 e f (bn ) > 0 si ottiene

f (x0 ) = lim f (an ) 6 0; f (x0 ) = lim f (bn ) > 0.


n→+∞ n→+∞

Perciò f (x0 ) = 0 ed il teorema è dimostrato.

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(Primo) teorema dell’esistenza dei valori intermedi Una funzione
continua in un intervallo [a, b] assume tutti valori compresi tra
f (a) e f (b). Consideriamo il caso che f (a) 6 f (b). La tesi consiste
nel provare che, qualunque sia y0 ∈ [f (a), f (b)], esiste x0 ∈ [a, b]
tale che f (x0 ) = y0 .
Se y0 = f (a) allora x0 = a, analogamente se y0 = f (b),allora
x0 = b. Per trattare il caso y0 ∈ (f (a), f (b)) consideriamo la
funzione:
g (x) = f (x) − y0 , ∀x ∈ [a, b]
Essendo f (a) < y0 < f (b), risulta

g (a) = f (a) − y0 < 0, g (b) = f (b) − y0 > 0

Per il teorema di esistenza degli zeri esiste un numero x0 ∈ (a, b)


tale che g (x0 ) = 0, cioè f (x0 ) = y0 .

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Teorema di Weierstrass Sia f (x) una funzione continua in un
intervallo chiuso e limitato [a, b]. Allora f (x) assume minimo e
massimo in [a, b], cioè x1 , x2 in [a, b] tali che

f (x1 ) 6 f (x) 6 f (x2 ), ∀x ∈ [a, b].

dim. posto M = sup{f (x) : x ∈ [a, b]}, verifichiamo che esiste una
successione xn di punti di [a, b] tale che

lim f (xn ) = M.
n→+∞

Infatti, se M = +∞ per le proprietà dell’estremo superiore, per


ogni n ∈ N esiste xn ∈ [a, b] tale che f (xn ) > n e perciò
f (xn ) → M = +∞.
Se invece M < +∞, per ogni n ∈ N esiste xn ∈ [a, b] tale che

1
M− < f (xn ) 6 M
n
e perciò f (xn ) → M.
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Per il teorema di Bolzano Weierstrass esiste un’estratta xnk da xn
ed un punto x0 ∈ [a, b] tale che

xnk → x0 .

Poichè f (x) è continua, ne segue

f (xnk ) → f (x0 )

e allora, dato che abbiamo dimostrato che la successione f (xn ) è


regolare, si ha che le sue estratte convergeranno allo stesso limite.
Di conseguenza:

M = lim f (xn ) = lim f (xnk ) = f (x0 )


n→+∞ k→+∞

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Abbiamo cosı̀ dimostrato che:

f (x0 ) = M = sup{f (x) : x ∈ [a, b]}

ciò implica allo stesso tempo che M < +∞ e che l’estremo


superiore è un valore assunto dalla funzione in corrispondenza di x0
e quindi un massimo.
Analogamente si ragiona per determinare un punto di minimo,
partendo dall’estremo inferiore di f (x).

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(Secondo) teorema dell’esistenza dei valori intermedi Una funzione
continua in un intervallo [a, b] assume tutti i valori compresi tra il
minimo e il massimo.
dim. i valori di massimo M e di minimo m sono assunti in base al
teorema di Weierstrass, rimane da provare che qualunque sia
y0 ∈ (m, M) esiste x0 ∈ [a, b] tale che f (x0 ) = y0 .
Indichiamo con x1 , x2 i punti di minimo e di massimo di f (x), cioè
tali che f (x1 ) = m, f (x2 ) = M e consideriamo la funzione

g (x) = f (x) − y0 , ∀x ∈ [a, b]

Essendo f (x1 ) = m < y0 < M = f (x2 ), risulta

g (x1 ) = f (x1 ) − y0 < 0, g (x2 ) = f (x2 ) − y0 > 0

per il teorema dell’esistenza degli zeri esiste un numero x0


appartenente all’intervallo aperto di estremi x1 , x2 , tale che
g (x0 ) = 0, cioè f (x0 ) = y0

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Criterio di invertibilità Una funzione continua e strettamente
monotona in un intervallo [a, b] è invertibile in tale intervallo.
Dim. nel caso che f è strettamente crescente in [a, b]: risulta

f (a) < f (x) < f (b), ∀x ∈ (a, b)

quindi f (a) è il minimo della f in [a, b], mentre f (b) il massimo.


Inoltre si verifica come nel teorema precedente che f assume tutti i
valori compresi tra f (a) e f (b). Cioè per ogni y ∈ [f (a), f (b)],
esiste almeno un x ∈ [a, b] per cui f (x) = y . Tale x è unico.
Infatti se esistessero due valori x1 , x2 distinti tra loro, diciamo
x1 < x2 per cui y = f (x1 ) = f (x2 ), allora dovrebbe risultare anche
f (x1 ) < f (x2 ) dato che f è strettamente crescente. Quindi
f : [a, b] → [f (a), f (b)] è invertibile, cioè esiste
f −1 : [f (a), f (b)] → [a, b].

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Teorema sul limite delle funzioni monotone Sia f (x) monotona in
[a, b]; allora esistono finiti i limiti
lim f (x), lim f (x)
x→a+ x→b −
lim f (x), lim f (x) ∀x0 ∈ (a, b)
x→x0− x→x0+

Consideriamo il caso di una funzione f (x) crescente in [a, b],


vogliamo dimostrare che esiste finito limx→x − f (x) osserviamo che
0
f (x) è limitata in [a, b] in quanto:
f (a) 6 f (x) 6 f (b) ∀x ∈ [a, b]
cioè f (a) è il minimo di f (x) mentre f (b) il massimo. Fissiamo
x0 ∈ (a, b], poniamo
l = sup{f (x) : x ∈ [a, x0 )}
Dato che f (x) è limitata l’estremo superiore è finito.
Per le proprietà dell’estremo superiore, ∀ε > 0 esiste un x1 ∈ [a, x0 )
tale che
l − ε < f (x1 ).
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Per x > x1 risulta f (x) > f (x1 ) e quindi

l − ε < f (x1 ) 6 f (x) 6 l < l + ε,

ma questo vuole dire che

lim f (x) = l.
x→x0−

Si procede in modo analogo per il limite per x → x0+ con


x0 ∈ [a, b). Dunque

f (a) 6 lim+ f (x) 6 lim f (x) 6


x→a x→x0−

6 lim+ f (x) 6 lim f (x) 6 f (b), ∀x0 ∈ (a, b).


x→x0 x→b −

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Criterio di continuità per le funzioni monotone Sia f (x) una
funzione monotona nell’intervallo chiuso e limitato [a, b]. Allora
f (x) è continua in [a, b] se e solo se l’immagine di f (x) è tutto
l’intervallo di estremi f (a), f (b).
dim. se f (x) è continua in [a, b] allora, indipendentemente dalla
monotonia, assume tutti i valori compresi tra f (a) e f (b).
Viceversa, se f (x) è crescente in [a, b] ma non è continua in
x0 ∈ (a, b), per il teorema precedente ammette in x0 una
discontinuità di prima specie e si ha

lim f (x) = l1 < l2 = lim+ f (x)


x→x0− x→x0

ed f (x) non assume alcun valore nell’intervallo (l1 , l2 ). Si procede


in modo analogo se x = a oppure x = b. Ad esempio se x = a e se
f (x) è crescente e non è continua per x = a allora f(x) non assume
alcun valore in (f (a), l), essendo f (a) < l = limx→a+ f (x).

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Teorema di continuità delle funzioni inverse Sia f (x) una funzione
strettamente monotona in [a, b]. Se f (x) è continua, anche la
funzione inversa f −1 è continua.
La stretta monotonia di f (x) su [a, b] implica la sua invertibilità.
Supponiamo che f (x) sia strettamente crescente in [a, b], allora :

f : [a, b] → [f (a), f (b)], f −1 : [f (a), f (b)] → [a, b].

In particolare f −1 assume tutti i valori dell’intervallo [a, b], per il


criterio precedente di continuità delle funzioni monotone f −1 è
continua.

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Limiti fondamentali
x x
Ricordiamo che: limx→+∞ 1 + x1 = limx→−∞ 1 + x1 = e
x x
limx→+∞ 1 + yx = limx→−∞ 1 + yx = e y ∀y ∈ R
Banale per y = 0; supposto y 6= 0 basta porre x/y = t e si
ottiene che
 y
y  yx y 1 t
  
 y x
1+ = 1+ = 1+
x x t
e che per x → +∞, t diverge positivamente o negativamente
secondo che sia y > 0 oppure y < 0.
1
lim (1 + x) x = e, (3)
x→0

basta osservare che posto t = x1 , t tende a +∞ per x → 0+ a


−∞ per x → 0− e quindi
1 t
 
1
lim (1 + x) = lim
x 1+ =e
x→0− t→−∞ t
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1 t
 
1
lim (1 + x) = lim
x 1+ =e
x→0+ t→+∞ t
1
lim (1 + xy ) x = e y ∀y ∈ R si deduce dalla prima ponendo
x→0
xy = t.
loga (1 + x) 1
lim = .
x→0 x log a
Tale funzione è definita in ] − 1, 0[∪]0, +∞[ e nel punto 0 si
presenta una forma indeterminata 0/0. Dall’identità

loga (1 + x) 1
= loga ((1 + x)) x
x
e per la relazione (3) e per la continuità della funzione
logaritmo si ha
loga (1 + x) 1
lim = loga e =
x→0 x loge a

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Vogliamo infine dimostrare che
ax − 1
lim = log a. Tale funzione definita in R − {0} si
x→0 x
presenta nella forma 0/0 per x → 0. Ponendo ax − 1 = t cioè
x = loga (1 + t) si trova che

ax − 1 t
lim = lim = loge a.
x→0 x t→0 loga (1 + t)

Osservando che
ex
lim = +∞ (4)
x→+∞ x

si puo dimostrare che


e αx
lim = +∞ ∀α, p ∈ R+ difatti basta porre x = αp t.
x→+∞ x p
Si ha
 p pt  p  t p
e αx α e α e
lim p
= lim p
= lim = +∞
x→+∞ x t→+∞ p t p t→+∞ t

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log x
lim = 0, ∀p ∈ R+ basta porre x p = t e
x→+∞ x p
successivamente log t = y tenendo presente la (4) si ha

log x 1 log t 1 y
lim p
= lim = lim y = 0
x→+∞ x p t→+∞ t p y →+∞ e

lim x p log x = 0, ∀p ∈ R+ . Si deduce dal precedente limite


x→0
con x = 1t .

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Infiniti ed infinitesimi
Un infinitesimo in un punto x0 è una funzione f , definita in un
insieme per il quale x0 sia punto di accumulazione, tale che:

lim f (x) = 0.
x→x0

Confronto tra infinitesimi Fondamentale è la questione di introdurre


un criterio per confrontare tra loro due infinitesimi in un punto x0 .
Siano f e g due infinitesimi in x0 e supponiamo che f (x) e g (x)
non si annullino quando x è in un opportuno intorno di x0 con
x 6= x0 .
Si dice che f (x) è un infinitesimo di ordine superiore a g (x) se
f (x)
lim =0
x→x0 g (x)
in tal caso si dice anche che f (x) è un o-piccolo di g (x) e si scrive

f (x) = o(g (x)) per x → x0

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Si verifica che
1 o(g (x)) + o(g (x)) = o(g (x)). Difatti siano f (x) = o(g (x)) e
1
f2 = o(g (x)) due funzioni infinitesime di ordine superiore a
g (x) (per x → x0 ) cioè
f1 (x) f2 (x)
lim = lim = 0.
x→x0 g (x) x→x 0 g (x)

Allora
[f1 (x) + f2 (x)]/g (x) → 0
per x → x0 .
2 o(g (x)) · o(g (x)) = o(g 2 (x)). Difatti
f1 (x)f2 (x)
lim =0
x→x0 g 2 (x)
Si dice che f (x) e g (x) sono infinitesimi dello stesso ordine se
f (x)
lim =l
x→x0 g (x)
essendo l un numero diverso da 0. Se l = 1 si dice che f (x) e g (x)
sono due infinitesimi equivalenti.
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Si dice che f (x) è un infinitesimo di ordine inferiore a g (x) se

g (x)
lim =0
x→x0 f (x)

Si danno analoghe definizioni per x → x0+ e x → x0− oppure


x → ±∞.
Verificare che per x → 0, f (x) = 1 − cos x è un infinitesimo di
ordine superiore rispetto a g (x) = senx. Difatti

f (x) 1 − cos x 1 − cos2 x


= = →0
g (x) senx senx(1 + cos x)
senx
Dal limite notevole lim = 1 si ottiene che senx = x + o(x),
x→0 x
senx−x
difatti x → 0, ma allora senx − x = o(x).

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Si dice che f (x) è una funzione infinitesima di ordine α in x0 se
|f (x)| e |x − x0 |α sono infinitesimi dello stesso ordine per x → x0 .
Utile si rivela il principio di sostituzione degli infinitesimi. Siano
f1 (x), f2 (x), g1 (x), g2 (x) infinitesime per x → x0 . Se g1 (x) è
infinitesima di ordine superiore rispetto a f1 (x) e se g2 (x) è un
infinitesimo di ordine superiore rispetto a f2 (x), allora i limiti
seguenti sono uguali, purchè uno dei due esista:

f1 (x) + g1 (x) f1 (x)


lim = lim
x→x0 f2 (x) + g2 (x) x→x0 f2 (x)

Con il simbolo o-piccolo

f1 (x) + o(f1 (x)) f1 (x)


lim = lim .
x→x0 f2 (x) + o(f2 (x)) x→x0 f2 (x)

dim.
g1 (x)
f1 (x) + g1 (x) f1 (x) 1+ f1 (x)
= · g2 (x)
f2 (x) + g2 (x) f2 (x) 1+ f2 (x)

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Utilizzando il principio di sostituzione degli infinitesimi, calcolare il
limite: 3
e sen x − 1
lim
x→0 log(1 − x 3 )
3
Si ha che e t = 1 + t + o(t) ⇒ e sen x = 1 + sen3 x + o(sen3 x);
log(1 + t) = t + o(t) ⇒ log(1 − x 3 ) = −x 3 + o(−x 3 ). Dal
principio di sostituzione degli infinitesimi si ottiene:
3
e sen x − 1 sen3 x
lim = lim = −1
x→0 log(1 − x 3 ) x→0 −x 3

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Un infinito in un punto x0 è una funzione f , definita in un insieme
per il quale x0 sia punto di accumulazione. tale che:

lim |f (x)| = +∞.


x→x0

Confronto tra infiniti Fondamentale è la questione di introdurre un


criterio per confrontare tra loro due infiniti in un punto x0 .
Siano f e g due infiniti in x0 .
Si dice che f (x) è un infinito di ordine superiore a g (x) se

g (x)
lim =0
x→x0 f (x)

Si dice che f (x) e g (x) sono infinti dello stesso ordine se

f (x)
lim =l
x→x0 g (x)

essendo l un numero diverso da 0. Se l = 1 si dice che f (x) e g (x)


sono due infiniti equivalenti.
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Si dice che f (x) è un infinito di ordine inferiore a g (x) se

f (x)
lim =0
x→x0 g (x)

Si danno analoghe definizioni per x → x0+ e x → x0− oppure


x → ±∞.
Utile si rivela il principio di sostituzione degli infiniti. Siano f1 (x),
f2 (x), g1 (x), g2 (x) infinite per x → x0 . Se f1 (x) è infinita di ordine
superiore rispetto a g1 (x) e se f2 (x) è un infinito di ordine
superiore rispetto a g2 (x), allora i limiti seguenti sono uguali:

f1 (x) + g1 (x) f1 (x)


lim = lim
x→x0 f2 (x) + g2 (x) x→x0 f2 (x)

dim.
g1 (x)
f1 (x) + g1 (x) f1 (x) 1+ f1 (x)
= · g2 (x)
f2 (x) + g2 (x) f2 (x) 1+ f2 (x)

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Utilizzando il principio di sostituzione degli infiniti, calcolare:

x 6 + x 4 (2 + senx) + log x
lim
x→+∞ 1 + 3x 3 + 6x 6
log x
(ricordiamo che lim = 0, (b > 0)). f1 (x) è un infinito di
x→+∞ x b
ordine superiore rispetto a g1 (x) = x 4 (2 + senx) + log x e
f2 (x) = 6x 6 è un infinito di ordine superiore rispetto a
g2 (x) = 1 + 3x 3 . In base al principio di sostituzione degli infiniti il
limite vale 16 .

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Derivate
Sia f (x) definita nell’intervallo aperto (a, b) e sia x un punto di
(a, b); si dice che la funzione f è derivabile nel punto x se esiste
finito il limite del rapporto incrementale:
f (x + h) − f (x)
lim .
h→0 h
Tale limite è la derivata di f e si indica con una delle seguenti
notazioni, fra loro equivalente:
df dy
f 0 (x), , Df (x), y 0 , , Dy .
dx dx
Si dice che f è derivabile nell’intervallo aperto (a, b) se è derivabile
in ogni punto x ∈ (a, b).
In alcuni casi è utile considerare invece del limite completo per
h → 0, soltanto il limite destro h → 0+ oppure il limite per
h → 0− . Nel primo caso si parla di derivata destra, nel secondo di
derivata sinistra.
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Se f (x) è definita in [a, b], si dice che f è derivabile nell’intervallo
chiuso [a, b] se è derivabile in ogni punto x ∈ (a, b) e inoltre
ammette derivata destra nel punto x = a e derivata sinistra nel
punto x = b.
Esempi f (x) = q, ∀x ∈ R. Si ha

f (x + h) − f (x) q−q 0
= = =0
h h h
e quindi anche il limite del rapporto incrementale vale 0.
f (x) = mx + q, con m e q costanti. Si ha

f (x + h) − f (x) [m(x + h) + q] − [mx + q]


= = m.
h h
f (x) = x 2 , Df = 2x difatti

(x + h)2 − x 2 2xh + h2
lim = lim = 2x.
h→0 h h→0 h

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Verifichiamo che la funzione f (x) = |x| non è derivabile per x = 0.
Infatti se h 6= 0 si ha

f (0 + h) − f (0) |0 + h| − |0| |h|


= =
h h h
Il limite per h → 0 non esiste perchè risulta:

|h| |h|
lim+ = 1, lim = −1.
h→0 h h→0− h
Confrontiamo la nozione di derivabilità e continuità. L’esempio
precedente mostra che una funzione continua può non essere
derivabile. Invece, ogni funzione derivabile in x è continua in x.

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Il seguente Teorema stabilisce la relazione che intercorre tra la
continuità e derivabilità di una funzione.
Teorema Sia f una funzione derivabile in x allora la funzione f è
anche continua in x. Vogliamo fare vedere che

lim f (x + h) = f (x).
h→0

dim.
[f (x + h) − f (x)]
lim f (x + h) = f (x) + lim ·h =
h→0 h→0 h

f (x + h) − f (x)
= f (x) + lim · lim h =
h→0 h h→0

= f (x) + f 0 (x) · 0 = f (x)

N.B. è stato possibile scrivere che il limite del prodotto è uguale al


prodotto dei limiti proprio perchè trattasi di una forma non
indeterminata in quanto la derivata f 0 (x) ∈ R.
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Se una funzione è derivabile in tutti i punti di (a, b), allora la sua
derivata f 0 (x) è una funzione definita su (a, b). Se questa è a sua
volta derivabile, diremo che la sua derivata (f 0 )0 è la derivata
seconda. Useremo più in generale la simbologia f (n) (x) per
indicare la derivata n-esima.
Operazioni con le derivate Se f e g sono due funzioni derivabili in
un punto x, allora sono derivabili in x anche la somma, la
differenza, il prodotto, il quoziente (purchè il denominatore sia
diverso da zero), e si ha:

(f ± g )0 = f 0 ± g 0

(fg )0 = f 0 g + g 0 f
 0
f f 0 g − fg 0
= , g 6= 0
g g2

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Dimostriamo la prima relazione con il segno +
[f (x + h) + g (x + h)] − [f (x) + g (x)]
=
h
f (x + h) − f (x) g (x + h) − g (x)
= +
h h
passando al limite per h → 0 otteniamo la tesi.
Derivazione del prodotto
f (x + h)g (x + h) − f (x)g (x)
=
h
f (x + h)g (x + h) − f (x)g (x + h) + f (x)g (x + h) − f (x)g (x)
= =
h
f (x + h) − f (x) g (x + h) − g (x)
= g (x + h) + · f (x)
h h
Dato che la funzione g per ipotesi è derivabile, allora è anche
continua. Al limite per h → 0 risulta g (x + h) → g (x). Si ottiene
cosi la tesi passando al limite per h → 0.
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Per dimostrare la formula del quoziente supponiamo g (x) 6= 0. Per
il teorema della permanenza del segno esiste δ > 0 per cui se
|h| < δ allora g (x + h) 6= 0. Otteniamo
 
f (x + h) f (x) 1 f (x + h)g (x) − f (x)g (x + h)
− = =
g (x + h) g (x) h g (x + h)g (x)h

f (x + h)g (x) − f (x)g (x) + f (x)g (x) − f (x)g (x + h)


= =
g (x + h)g (x)h
 
f (x + h) − f (x) g (x + h) − g (x) 1
= g (x) − f (x)
h h g (x + h)g (x)
al limite per h → 0 per la continuità delle funzioni si ottiene la tesi.
Notiamo che applicando la regola di derivazione del prodotto
(cf )0 = cf 0 dove c è una costante.

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Derivate delle funzioni composte e delle funzioni inverse
Teorema di derivazione delle funzioni composte Se g è una
funzione derivabile in x e se f è una funzione derivabile nel punto
g (x), allora la funzione composta f (g (x)) è derivabile in x, e si ha
Df (g (x)) = f 0 (g (x)) · g 0 (x)
Dimostriamolo nel caso g (x + h) 6= g (x) per ogni h 6= 0.
f (g (x + h)) − f (g (x)) f (g (x + h)) − f (g (x)) g (x + h) − g (x)
= ·
h g (x + h) − g (x) h
Nel primo dei due quozienti a secondo membro compare il rapporto
incrementale della funzione f nel punto g (x), con incremento
k = g (x + h) − g (x). Tale incremento k tende a zero per h → 0,
dato che g è continua in x. Quindi
f (g (x + h)) − f (g (x))
lim =
h→0 g (x + h) − g (x)
f (g (x) + k) − f (g (x))
= lim = f 0 (g (x))
k→0 k
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che corrisponde alla tesi del nostro teorema.
Teorema di derivazione delle funzioni inverse Sia f (x) una funzione
continua e strettamente crescente (oppure strettamente
decrescente) in un intervallo [a, b]. Se f è derivabile in un punto
x ∈ (a, b) e se f 0 (x) 6= 0, allora anche f −1 è derivabile nel punto
y = f (x) e la derivata vale

1 1
Df −1 (y ) = = .
f 0 (x) f 0 (f −1 (y ))

Ad esempio y = f (x) = x 2 è strett. crescente per x > 0. La



funzione inversa f −1 è x = f −1 (y ) = y . In base al teorema si ha

che anche x = y è derivabile per y > 0 e la derivata vale:

√ 1 1 1
D y= 2
= = √ .
D(x ) 2x 2 y

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Derivate delle funzioni elementari

Cominciamo con la potenza ad esponente n ∈ N:


Dx n = nx n−1 . Per dimostrare tale formula si usa il principio di
induzione: Dx = 1. Supponiamo che la proposizione sia vera
per n e calcoliamo con la regola di derivazione del prodotto:

Dx n+1 = D(x n · x) = Dx n · x + x n Dx =

= nx n−1 x + x n = (n + 1)x n

1
D loga x = x loga e, ∀x > 0. Difatti

loga (x + h) − loga x 1 x +h
lim = lim loga =
h→0 h h→0 h h

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 1 "  1 #
x +h h h h
= lim loga = loga lim 1 + =
h→0 x h→0 x

1
1
= loga e x = x loga e.
In particolare D log x = x1 , ∀x > 0.

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La funzione y = log x è invertibile e la sua inversa è x = e y . Dal
teorema di derivazione delle funzioni inverse otteniamo:
1 1
De y = = 1 = x = ey
D log x x

De x = e x . Ricordiamo che e log x = x. Calcoliamo con a > 0 e


a 6= 1 la derivata di ax :
x
Dax = De log a = De x log a = e x log a D(x log a) = ax log a.
potenza di esponente reale:
b b
Dx b = De log x = De b log x = e b log x D(b log x) = x b · x =
bx b−1 .
√ 1 1
D x = Dx 2 = 12 x − 2 = 2√1 x
D x1 = Dx −1 = (−1)x −2 = − x12


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Per le funzioni trigonometriche:
Dsenx = cos x, D cos x = −senx
sen(x + h) − senx senx cos h + senh cos x − senx
lim = lim =
h→0 h h→0 h

cos h − 1 senh
= senx · lim + cos x lim
h→0 h h→0 h

= cos x.

cos(x + h) − cos x cos x cos h − senhsenx − cos x


lim = lim =
h→0 h h→0 h

cos h − 1 senh
= cos x · lim − senx lim
h→0 h h→0 h

= −senx.

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 senx  D(senx) cos x − senxD(cos x)
Dtgx = D = =
cos x cos2 x
cos2 x + sen2 x 1
= = .
cos2 x cos2 x

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Significato geometrico della derivata. Retta tangente Sia f (x) una
funzione definita in un intorno di un punto x0 e si consideri nel
piano x, y il grafico della funzione. Ci proponiamo di determinare
l’equazione della retta r passante per il punto P0 di coordinate
(x0 , f (x0 )) e tangente al grafico della funzione f .
Bisogna determinare l’equazione della retta r 0 secante il grafico
della funzione f nei punti P0 = (x0 , f (x0 )) e
P = (x0 + h, f (x0 + h)). L’equazione di una retta non verticale è
y = mx + q. Imponiamo il passaggio per P0 e P.
(
f (x0 ) = mx0 + q
f (x0 + h) = m(x0 + h) + q

Abbiamo un sistema in due equazioni nelle due incognite m e q. Si


ottiene m = [f (x0 + h) − f (x0 )]/h e poi si ricava q. L’equazione
della retta secante risulta essere:
f (x0 + h) − f (x0 )
y = f (x0 ) + (x − x0 ).
h
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L’equazione della retta tangente, quando esiste, è il limite per
h → 0 dell’equazione della retta secante. Si può passare al limite
se e solo se f è derivabile in x0 . Quindi, se f è derivabile in x0 si
ottiene l’equazione della retta tangente in (x0 , f (x0 )) al grafico
della funzione f :

y = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ).

Quanto stabilito fornisce il significato geometrico della derivata.


Dato che nell’equazione della retta tangente il coefficiente della x è
uguale a m = f 0 (x0 ), si dice che la derivata di una funzione f in un
punto x0 è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico
della funzione nel punto (x0 , f (x0 )). La derivata è quindi una
misura della pendenza del grafico della funzione.

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Le funzioni trigonometriche inverse
Le funzioni trigonometriche senx, cos x, tgx, non sono monotone
in tutto R e non esistono le loro funzioni inverse in tutto R.
Abbiamo visto che però possiamo restringere ad un intervallo
limitato in modo che risultino monotone nell’insieme considerato.
La funzione senx è invertibile in [− π2 , π2 ] e la sua inversa è arcsenx
definita nell’intervallo [−1, 1]. Dal teorema di derivazione delle
funzioni inverse si ha che arcsenx è derivabile nell’intervallo aperto
(−1, 1) e la derivata vale :
1 1 1
Darcsenx = = =p =
Dseny cos y 1 − sen2 y
1 1
=p =√
2
1 − sen (arcsenx) 1 − x2
sono state utilizzate le relazioni
p
cos y = 1 − sen2 y , sen(arcsenx) = x

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la prima delle quali è verificata perchè cos y > 0 per ogni
y ∈ (− π2 , π2 ). La funzione arcsenx non è derivabile per x = ±1
dato che cos y = Dseny si annulla per i corrispondenti valori
y = arcsen(±1) = ± π2 . Graficamente arcsenx ha retta tangente
verticale se x = ±1.
La funzione cos x è invertibile in [0, π] e la sua inversa è arccosx
definita nell’intervallo [−1, 1]. Dal teorema di derivazione delle
funzioni inverse si ha che arcsenx è derivabile in (−1, 1) e la
derivata vale :
1 1 −1
Darccosx = = =p =
D cos y −seny 1 − cos2 y

−1 −1
=p =√
2
1 − cos (arccosx) 1 − x2

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La funzione f (x) = tgx è continua e strettamente crescente
nell’intervallo aperto (− π2 , π2 ) e quindi invertibile in tale intervallo.
La funzione inversa è la la funzione arctgx definita per ogni x ∈ R.
E’ derivabile ∀x ∈ R e:
1 1
Darctgx = = =
Dtgy 1/ cos2 y

1 1
= = =
(sen2 y + cos2 y )/ cos2 y 1 + tg2 y
1 1
= = .
1 + tg2 (arctgx) 1 + x2

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Applicazioni delle derivate, studio di funzioni
Sia f (x) una funzione definita in un intervallo [a, b]. Diremo che
un punto x0 ∈ [a, b] è di massimo relativo per f , nell’intervallo
[a, b], se il valore f (x0 ) è il più grande dei valori f (x) con x ∈ [a, b]
vicino a x0 , più precisamente, se esiste δ > 0 tale che:

f (x0 ) > f (x), ∀x ∈ [a, b] : |x − x0 | < δ.

Quindi stiamo richiedendo che la relazione precedente valga per x


vicino a x0 , di qui la denominazione relativo.
Il più grande dei valori f (x) per x ∈ [a, b] si chiama massimo
assoluto di f nell’intervallo [a, b].
Analogamente, x0 è un punto di minimo relativo per la funzione f ,
nell’intervallo [a, b] se esiste δ > 0 per cui

f (x0 ) 6 f (x), ∀x ∈ [a, b] : |x − x0 | < δ.

N.B un estremo (massimo o minimo) assoluto è anche un estremo


relativo, ma non il viceversa.
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Teorema di Fermat Sia f una funzione definita in [a, b] e sia x0 un
punto di massimo o di minimo relativo interno a [a, b]. Se f è
derivabile in x0 risulta f 0 (x0 ) = 0.
Dim. Consideriamo il caso in cui x0 sia un punto di massimo
(relativo), significa che esiste δ > 0 per cui:
f (x0 ) > f (x0 + h), ∀h : |h| < δ.
Studiamo separatamente i casi h > 0 e h < 0 si ottiene:
(
f (x0 + h) − f (x0 ) 6 0 se 0 < h < δ
h > 0 se − δ < h < 0
e, al limite per h → 0± di conseguenza
[f (x0 + h) − f (x0 )]
f+0 (x0 ) = lim+ 6 0,
h→0 h
[f (x0 + h) − f (x0 )]
f−0 (x0 ) = lim > 0,
h→0 − h
ma allora dato che per ipotesi la funzione è derivabile in x0
necessariamente derivata destra e sinistra devono coincidere e
quindi f 0 (x0 ) = 0.
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Teorema di Rolle Sia f (x) una funzione continua in [a, b] e
derivabile in (a, b). Se f (a) = f (b), esiste un punto x0 ∈ (a, b) per
cui f 0 (x0 ) = 0.
Dim. Indichiamo con x1 e x2 due punti, rispettivamente di minimo
e di massimo assoluto per f nell’intervallo [a, b], cioè:

f (x1 ) 6 f (x) 6 f (x2 ), ∀x ∈ [a, b]

Tali punti esistono per il teorema di Weierstrass.


Se almeno uno dei due punti x1 , x2 è interno all’intervallo [a, b] in
corrispondenza la derivata si annulla per il teorema di Fermat.
Rimane il caso in cui i punti x1 e x2 non sono interni quindi
necessariamente x1 = a e x2 = b (oppure x1 = b e x2 = a). Ma
allora
f (a) 6 f (x) 6 f (b)
(oppure f (b) 6 f (x) 6 f (b)) per ogni x ∈ [a, b]. Dato che per
ipotesi f (a) = f (b), risulta f (x) = f (a) per ogni x ∈ [a, b] quindi
la funzione è costante nell’intervallo [a, b] e quindi la derivata è
ovunque zero.
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Teorema di Lagrange Sia f (x) una funzione continua in [a, b] e
derivabile in (a, b). Esiste un punto x0 ∈ (a, b) per cui

f (b) − f (a)
f 0 (x0 ) = .
b−a
Dim. Ci riconduciamo al teorema di Rolle con l’aiuto della funzione
g (x):  
f (b) + f (a)
g (x) = f (x) − f (a) − (x − a) .
b−a
La g (x) è ottenuta sottraendo da f (x) l’espressione della retta
congiungente gli estremi del grafico. Se x = a,
g (a) = f (a) − f (a) = 0 e g (b) = f (b) − [f (a) + f (b) − f (a)] = 0.
Inoltre g (x) è continua in [a, b] in quanto somma di funzioni
continue ed è derivabile in (a, b) in quanto somma di funzioni
derivabili e la derivata vale:
f (b) − f (a)
g 0 (x) = f 0 (x) − , ∀x ∈ (a, b)
b−a

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Per il Teorema di Rolle esiste x0 ∈ (a, b) per cui g 0 (x0 ) = 0.
Quindi si ha: g 0 (x0 ) = f 0 (x0 ) − [f (b)−f
b−a
(a)]
= 0 e quindi
f (b)−f (a)
f 0 (x0 ) = b−a .

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Funzioni crescenti e decrescenti
Criterio di monotonia Sia f una funzione continua in [a, b] e
derivabile in (a, b). Allora

f 0 (x) > 0, ∀x ∈ (a, b) ⇐⇒ f è crescente in[a, b]

f 0 (x) 6 0, ∀x ∈ (a, b) ⇐⇒ f è decrescente in[a, b].


dimostriamo la prima delle due (crescenza della funzione). L’altra
si dimostra in modo analogo.
⇒ supponendo f 0 (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b) occorre dimostrare la
crescenza della funzione cioè se a 6 x1 < x2 6 b, allora
f (x1 ) 6 f (x2 ). Siamo nelle ipotesi di potere applicare il Teorema di
Lagrange nell’intervallo [x1 , x2 ]: esiste x0 ∈ (x1 , x2 ) per cui

f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (x0 )(x2 − x1 ),

dato che f 0 (x0 ) > 0 (è la nostra ipotesi) e dato che x2 > x1 , risulta
f (x2 ) > f (x1 ) ma allora abbiamo dimostrato che la funzione è
crescente.
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Viceversa, se la funzione è crescente in [a, b], per ogni x ∈ (a, b) e
h > 0 tale che x + h ∈ (a, b) risulta f (x + h) > f (x) e quindi

f (x + h) − f (x)
>0
h
e inoltre se h < 0 si avrà che x + h < x e quindi f (x + h) 6 f (x)
ma allora il numeratore è una quantità non positiva, ma al
denominatore h è negativo e quindi il rapporto è comunque non
negativo. Quindi in entrambi i casi

f (x + h) − f (x)
>0
h
Passando al limite per h → 0 otteniamo che f 0 (x) > 0.

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Caratterizzazione delle funzioni costanti in un intervallo Una
funzione è costante in un intervallo [a, b] se e solo se è derivabile in
[a, b] e la derivata è ovunque nulla.
La derivata di una funzione costante in [a, b] è zero per ogni
x ∈ [a, b].
Viceversa, se f (x) è derivabile in [a, b] e f 0 (x) = 0 per ogni
x ∈ [a, b], per i criteri di monotonia la f (x) è contemporaneamente
crescente e decrescente in [a, b]. Perciò allo stesso tempo
f (x) > f (a) e f (x) 6 f (a), ∀x ∈ [a, b] perciò f (x) è identicamente
uguale a f (a) e quindi costante.

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Criterio di stretta monotonia Sia f una funzione continua in [a, b]
e derivabile in (a, b). Allora
f 0 (x) > 0, ∀x ∈ (a, b)
f 0 non si annulla identicamente in alcun intervallo contenuto
in (a, b)
⇐⇒ f è strettamente crescente in [a, b].
Oppure
f 0 (x) 6 0, ∀x ∈ (a, b)
f 0 non si annulla identicamente in alcun intervallo contenuto
in (a, b)
⇐⇒ f è strettamente decrescente in [a, b].

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Proviamo la ⇒ Essendo f 0 (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b), per il
criterio di monotonia f (x) è crescente in [a, b]. Se non fosse
strettamente crescente, esisterebbero x1 , x2 ∈ (a, b) con x1 < x2
tali che f (x1 ) = f (x2 ), ma allora, dato che f (x1 ) 6 f (x) 6 f (x2 ) se
x1 < x < x2 , f (x) sarebbe costante nell’intervallo [x1 , x2 ] e
f 0 (x) = 0 per ogni x ∈ [x1 , x2 ] contrariamente alla ipotesi, quindi
necessariamente la funzione deve essere strettamente crescente.
Proviamo la ⇐ dato che f è strettamente crescente in [a, b] per il
criterio di monotonia f 0 (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b); inoltre f 0 (x)
non può annullarsi identicamente in nessun intervallo
[x1 , x2 ] ⊆ (a, b) perchè altrimenti in tale intervallo f (x) sarebbe
costante, contrariamente all’ipotesi di stretta monotonia.
N.B. La funzione f (x) = x 3 è una funzione strettamente crescente
la cui derivata f 0 (x) = 3x 2 si annulla per x = 0. Questo non è in
contraddizione con il teorema in quanto si annulla la derivata in un
solo punto, non in un intervallo.

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Funzioni concave e convesse

Si dice che una funzione f è convessa in un intervallo [a, b], se per


ogni punto x0 ∈ [a, b] il grafico della funzione in [a, b] è al di sopra
della retta tangente al grafico della funzione nel punto di
coordinate (x0 , f (x0 )). Analogamente si dice che una funzione è
concava in [a, b] se per ogni punto x0 ∈ [a, b] il grafico della
funzione è, nell’intervallo [a, b] al di sotto della retta tangente in
(x0 , f (x0 )). Matematicamente:
(
f (x) > f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ),
f convessa in[a, b] ⇐⇒
∀x, x0 ∈ [a, b]
(
f (x) 6 f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ),
f concava in[a, b] ⇐⇒
∀x, x0 ∈ [a, b]

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Criterio di convessità Supponiamo che f (x) sia una funzione
derivabile in [a, b] e che ammetta derivata seconda in (a, b): le
seguenti condizioni sono tra di loro equivalenti
1 f (x) è convessa in [a, b],

2 f 0 (x) è crescente in [a, b],

3 f 00 (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b).

2) ⇐⇒ 3) il criterio di monotonia applicato alla derivata prima


f 0 (x) stabilisce che f 00 (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b) se e solo se f 0 (x)
è crescente in [a, b], pertanto le due condizioni 2) e 3) sono
equivalenti.
Dim. che 1) ⇒ 2) allo scopo di provare che f 0 (x) è crescente in
[a, b] consideriamo x1 , x2 ∈ [a, b], con x1 < x2 , ponendo
consecutivamente x0 uguale a x1 , oppure a x2 nella definizione di
convessità si avrà:

f (x) > f (x1 ) + f 0 (x1 )(x − x1 ), ∀x ∈ [a, b]

f (x) > f (x2 ) + f 0 (x2 )(x − x2 ), ∀x ∈ [a, b].


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Nelle precedenti relazioni x è un generico punto di [a, b] dunque
possiamo scegliere x = x2 nella prima e x = x1 nella seconda.
Sommando membro a membro e semplificando si ottiene

0 > f 0 (x1 )(x2 − x1 ) + f 0 (x2 )(x1 − x2 )

cioè
[f 0 (x2 ) − f 0 (x1 )](x2 − x1 ) > 0.
Essendo x2 > x1 si ottiene che f 0 (x2 ) > f 0 (x1 ).
Dim. che 2) ⇒ 1) fissati x, x0 ∈ [a, b] con x 6= x0 per il teorema di
Lagrange esiste x1 nell’intervallo di estremi x0 , x per cui

f (x) − f (x0 ) = f 0 (x1 )(x − x0 ).

Distinguiamo i casi x > x0 e x < x0 . Se x > x0 , essendo


x1 ∈ (x0 , x) per la monotonia di f 0 (x) dato che x1 > x0 si ha per
ipotesi che f 0 (x1 ) > f 0 (x0 ) dunque

f (x) − f (x0 ) > f 0 (x0 )(x − x0 ).

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Se x < x0 si procede in modo analogo visto che x1 ∈ (x, x0 ) si ha
che x1 è minore di x0 e quindi f 0 (x1 ) 6 f 0 (x0 ) ma dato che
x − x0 < 0 moltiplicando si ottiene che

f 0 (x1 )(x − x0 ) > f 0 (x0 )(x − x0 )

e quindi f (x) − f (x0 ) > f 0 (x0 )(x − x0 ). Abbiamo cosı̀ ritrovato la


definizione di convessità.
Il criterio vale anche per le funzioni concave. In particolare dunque
si dimostrano nelle stesse ipotesi del teorema precedente che sono
equivalenti le proposizioni:
1 f è concava in [a, b]
2 f 0 (x) è decrescente in [a, b]
3 f 00 (x) 6 0 per ogni x ∈ (a, b)

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Siano f (x) e g (x) due funzioni infinitesime per x → x0 . Il rapporto
f (x)
g (x) è una forma indeterminata per x → x0 . Spesso ci possiamo
servire del Teorema di L’Hopital.
Teorema di L’Hopital Siano f , g funzioni derivabili in un intorno di
x0 (con la eventuale eccezione di x0 ) tali che

lim f (x) = 0 lim g (x) = 0.


x→x0 x→x0

Se in un intorno di x0 risulta g (x), g 0 (x) 6= 0 per ogni x 6= x0 ,


allora si ha
f (x) f 0 (x)
lim = lim 0
x→x0 g (x) x→x0 g (x)

purchè esista il secondo limite.



Il teorema vale anche per forme indeterminate del tipo ∞ cioè se le
funzioni sono infinite per x → x0 . Valgono anche nel caso di
x → x0± e x → ±∞.

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Facciamo la dimostrazione solo nel caso in cui f e g siano
derivabili in x0 con derivata continua e g 0 (x0 ) 6= 0. Si dice anche
che f di classe C 1 e si scrive f ∈ C 1 .
In tale caso per la derivabilità delle funzioni f (x) e g (x) in x0 si ha
che limx→x0 f (x) = 0 = f (x0 ) e quindi f (x0 ) = 0 analogamente
g (x0 ) = 0. Si ha

f (x) f (x) − f (x0 )


lim = lim =
x→x0 g (x) x→x0 g (x) − g (x0 )
f (x)−f (x0 )
x−x0 f 0 (x0 ) limx→x0 f 0 (x) f 0 (x)
= lim = = = lim .
x→x0 g (x)−g (x0 ) g 0 (x0 ) limx→x0 g 0 (x) x→x0 g 0 (x)
x−x0

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Esercizi. Forme indeterminate 0/0

ex − 1
lim
x→0 sen2x

ex − 1 ex 1
lim = lim =
x→0 sen2x x→0 2 cos 2x 2
x2 − 1 2x
lim = lim =2
x→1 log x x→1 1/x

(1 + x)α − 1 α(1 + x)α−1


lim = lim =α
x→0 x x→0 1
Forma indeterminata 0 · ∞
log x 1/x
lim+ x log x = lim+ = lim+
x→0 x→0 1/x x→0 −1/x 2

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E’ possibile applicare il Teorema più volte.
Ad esempio:
ex
lim 3
x→+∞ x

è una forma indeterminata ∞/∞. Si ha

ex ex ex ex
lim = lim = lim = lim = +∞
x→+∞ x 3 x→+∞ 3x 2 x→+∞ 6x x→+∞ 6

1
log(1 + x 5 ) 1+x 5
5x 4 5x 2 x 3 + 2 5
lim = lim 1
= lim · =
x→+∞ log(2 + x 3 ) x→+∞ 3x 2 x→+∞ 1 + x 5 3 3
2+x 3

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Vogliamo calcolare
1 − senx
limπ
x→ 2 cos x
Utilizzando di l’Hopital:
1 − senx −cosx
limπ = limπ =0
x→ 2 cos x x→ 2 −senx

oppure

(1 − senx)(1 + senx) cos2 x cos x


limπ = limπ = limπ
x→ 2 cos x(1 + senx) x→ 2 cos x(1 + senx) x→ 2 (1 + senx)

=0

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limx→+∞ xe −x forma indeterminata 0 · ∞
x 1
lim xe −x = lim x
= lim x = 0
x→+∞ x→+∞ e x→+∞ e

limx→0+ x log x forma indeterminata 0 · −∞.

log x 1/x 1
lim x log x = lim+ = lim+ = lim+ · (−x 2 ) = 0
x→0+ x→0 1/x x→0 −1/x 2 x→0 x

limx→0 [log sen2 x − log(1 − cos x)] forma indeterminata −∞ + ∞

sen2 x
lim [log sen2 x − log(1 − cos x)] = lim log = log 2
x→0 x→0 1 − cos x
Difatti
sen2 x 2senx cos x
lim = lim =2
x→0 1 − cos x x→0 senx

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limx→ π2 (senx)tgx forma indeterminata 1∞ . Possiamo scrivere
log(senx)
(senx)tgx = e tgx log(senx) = e senx cos x dato che
1
log senx cos x
senx cos x
limπ = limπ = limπ =0
x→ 2 cos x x→ 2 −senx x→ 2 −sen2 x

di conseguenza:
lim (senx)tgx = e 0 = 1
x→ π2

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Gli asintoti orizzontali si trovano calcolando i limiti per x → ±∞
se tali limiti sono finiti. Cioè:

y = l asintoto orizzontale ⇐⇒ lim f (x) = l ∈ R


x→+∞

analogamente per x → −∞.


Gli asintoti verticali calcolando il limite per x → x0 eventualmente
x → x0+ , x → x0− , quando il limite è infinito:

x = x0 asintoto verticale ⇐⇒ lim f (x) = ±∞


x→x0

Gli asintoti obliqui. Un asintoto obliquo per x → +∞ rappresenta


una retta di equazione y = mx + q con la proprietà che

lim [f (x) − (mx + q)] = 0


x→+∞

Questo significa che per x → +∞ il grafico della funzione è vicino


al grafico della retta y = mx + q.

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Vogliamo ricavare i valori di m e q. Si ha

f (x) − (mx + q) f (x)


lim = lim −m =0
x→+∞ x x→+∞ x

Dunque
f (x)
m = lim , q = lim [f (x) − mx]
x→+∞ x x→+∞

N.B. Se è presente un asintoto orizzontale è inutile procedere alla


ricerca dell’asintoto obliquo. Difatti supponiamo che
limx→+∞ f (x) = l ma allora m = 0 e q = l di conseguenza in
pratica abbiamo ritrovato esattamente l’asintoto orizzontale.
Analoghe definizioni se facciamo il limite per x → −∞.

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Studio del grafico di una funzione

Si determina il dominio (o insieme di definizione) della


funzione
Si esamina se la funzione gode di qualche simmetria: pari,
dispari, periodica
Si determinano gli asintoti orizzontali, verticali e obliqui
Intervalli di monotonia della funzione con punti di minimo e di
massimo
Intervalli dove la funzione è concava o convessa con punti di
flesso

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1
Figura: f (x) = xe x

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Supponiamo (con un abuso di notazione) che f 0 (x0 ) = +∞
(oppure f 0 (x0 ) = −∞). Il diagramma è dotato di retta tangente
nel punto P0 , ma questa retta è verticale di equazione x = x0 . Se
x0 è interno ad X , la retta tangente attraversa la curva nel punto
P0 e perciò si dice che il diagramma presenta in P0 un punto di
flesso a tangente verticale la relativa retta tangente viene detta
tangente di flesso.

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Supponiamo che la funzione f sia continua, ma che il rapporto
incrementale non sia regolare.
Il caso più semplice è quello in cui il rapporto incrementale sia
regolare a destra e a sinistra ma che f−0 (x0 ) 6= f+0 (x0 ). In tale caso
la secante sx tende a due posizioni limite diverse secondo che x
tenda ad x0 da destra, diciamole t − e t + : il diagramma è unione di
due archi raccordati nel punto P0 e le rette orientate t − e t + sono
le tangenti in P0 al diagramma della restrizione di f all’insieme dei
punti di X aventi ascissa x 6 x0 e x > x0 . La semiretta di origine
P0 costituita dai punti di t − che precedono P0 prende il nome di
semitangente sinistra al diagramma di f nel punto P0 .

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Analogamente la semiretta di origine P0 costituita dai punti di t +
che seguono P0 prende il nome di semitangente destra al
diagramma di f nel punto P0 .
Se almeno una delle due derivate sinistra o destra non è infinita, le
due semitangenti formano un angolo non nullo e diverso da π di
conseguenza il punto P0 viene detto punto angoloso del
diagramma.

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Se le derivate sono entrambe infinite (di segno opposto) le rette t −
e t + coincidono ma hanno versi opposti di conseguenza le due
semitangenti coincidono e si dice che il diagramma presenta in P0
una cuspide. In tale caso è naturale chiamare ancora tangente la
retta verticale x = x0 (tangente cuspidale).

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p
Figura: f (x) = 3
x 2 (1 − x)

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Funzioni iperboliche

Consideriamo le cosiddette funzioni che si chiamano seno


iperbolico, coseno iperbolico, tangente iperbolica definite da

e x − e −x e x + e −x
senhx = , cos hx =
2 2
senhx e x − e −x
tghx = = x
cos hx e + e −x
tali funzioni sono definite ∀x ∈ R. Si vede facilmente che
senh(−x) = −senhx, cos h(−x) = cos hx, tgh(−x) = −tghx
dunque il seno iperbolico e la tangente iperbolica sono funzioni
dispari, il coseno iperbolico è una funzione pari

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Il coseno iperbolico è positivo, mentre le funzioni senhx e tghx si
annullano entrambe nel punto 0 e sono positive in ]0, +∞[,
negative in ] − ∞, 0[. Dato che e x è strettamente crescente, la
funzione e −x è strettamente decrescente e quindi −e −x è
strettamente crescente: di conseguenza senhx è strettamente
crescente.
La funzione cos hx è invece strettamente crescente in [0, +∞[ e
strettamente decrescente in ] − ∞, 0]. Data la sua parità basta
verificare la crescenza in [0, +∞[ (esercizio).
Anche la funzione tghx è strettamente crescente. Le funzioni
senhx e tghx sono invertibili, mentre coshx non è invertibile, ma
localmente invertibile in ogni intervallo [0, +∞[ e ] − ∞, 0].

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Vogliamo determinare i codomini delle funzioni.

e x − e −x
senhx = =y
2
nell’incognita x, che equivale a

e 2x − 2ye x − 1 = 0

Considerando questa come una equazione di secondo grado


nell’incognita e x , si trova
p
ex = y ± 1 + y 2

dovendo essere e x > 0. Si vede che


dove però va scelto il segno +, p
l’unica soluzione è x = log(y + 1 + y 2 ). Pertanto il codominio di
senhx è R, sicchè la funzione non è limitata inferiormente e
superiormente.

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Per determinare il codominio della funzione tghx osserviamo
preliminarmente che dalla definizione |tghx| < 1, pertanto il
codominio è incluso nell’intervallo ] − 1, 1[. Per determinarlo
consideriamo l’equazione nell’incognita x:
e x − e −x e 2x − 1
y= =
e x + e −x e 2x + 1
che equivale a
1+y
e 2x =
1−y
e quindi
1 1+y
x= log ∀y ∈] − 1, 1[
2 1−y
Per determinare il codominio di cos hx essendo il min cos hx = 1 il
codominio è incluso in [1, +∞[. Per determinarlo consideriamo
e x + e −x
=y
2
con y > 1. Procedendo come nel caso del senhx si trova:
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p
ex = y ± y2 − 1
p
essendo y 2 − 1 < y il secondo membro è positivo tanto che si
sceglie il segno positivo che negativo. Pertanto otteniamo due
soluzioni
p p
x1 = log(y + y 2 − 1), x2 = log(y − y 2 − 1)

la prima delle quali è non negativa. Osserviamo che


p 1
y− y2 − 1 = p
y + y2 − 1

e pertanto x2 = −x1 . Le due soluzioni sono quindi opposte. Quindi


p
x = ± log(y + y 2 − 1)

Il codominio dalla funzione cos hx è intervallo [1, +∞) e quindi la


funzione non è limitata superiormente.
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Le inverse delle funzioni iperboliche

Le funzioni inverse del seno iperbolico e della tangente iperbolica si


chiamano rispettivamente settore seno iperbolico e settore tangente
iperbolico. La prima definita in R, la seconda in ] − 1, 1[ e si ha
p 1 1+x
settsenhx = log(x + 1 + x 2 ), setttghx = log
2 1−x
Abbiamo anche visto che il coseno iperbolico è localmente
invertibile negli intervalli [0, +∞) e (−∞, 0]. L’inversa locale del
coseno iperbolico in [0, +∞) prende il nome di settore coseno
iperbolico. La soluzione positiva si ottiene per x1
p
settcoshx = log(x + x 2 − 1)

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Derivate:
Dsenhx = cos hx
D cos hx = senhx
1
Dtghx =
(cos hx)2
1
Dsettsenhy = p , ∀y ∈ R
1 + y2
1
Dsett cos hy = p , ∀y > 1
2
y −1
1
Dsetttghy = , ∀y ∈ (−1, 1)
1 − y2

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Figura: f (x) = senhx

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Figura: f (x) = cos hx

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Figura: f (x) = tghx

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Le funzioni logf g e f g

Sia logf (x) g (x) dove f e g definite in X e Y . Deve risulta


f (x) > 0, g (x) > 0 e f (x) 6= 1. Pertanto l’insieme è dato dai punti
di X ∩ Y che soddisfino le precedenti relazioni. Difatti

log g (x)
logf (x) g (x) =
log f (x)

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Sia f (x)g (x) è definita per i punti x di X ∩ Y per i quali f (x) > 0.
Essendo y = e loge y ∀y > 0 si ha:
g (x)
f (x)g (x) = e loge f (x) = e g (x) loge f (x) . (1)

In realtà la espressione f (x)g (x) può avere significato anche in


punti in cui f (x) 6 0 ad esempio negli eventuali punto in cui g (x)
assume valori interi positivi. Però perde significato il secondo
membro. E’ questo il motivo per cui, stante l’utilità della (1), si
trattano i predetti punti come dei punti non appartenenti al
dominio.

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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La formula di Taylor
Formula di Taylor per il polinomi
Sia:
p(x) = a0 + a1 x + a2 x 2 + ... + an x n (1)
un polinomio reale di grado n. La funzione p è indefinitamente
derivabile in R e le sue derivate di ordine maggiore di n sono
identicamente nulle, mentre, se n > 1, per ogni k 6 n l’espressione
della derivata k ma è:

p (k) (x) = k!ak +(k +1)k...2ak+1 x +...+n(n−1)...(n−k +1)an x n−k .


(2)
Difatti
p 0 (x) = a1 + 2a2 x + 3a3 x 2 + ... + nan x n−1
p 00 (x) = 2a2 + 6a3 x + ... + n(n − 1)an x n−2
p (k) (0)
Ponendo nelle (1) e (2) x = 0, si ottiene: a0 = p(0), ak = k!
e queste formule forniscono il significato dei coefficienti del
polinomio (1).
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La (1), dunque tenuto conto delle espressioni dei coefficienti del
polinomio, assume la forma:

p 0 (0) p 00 (0) 2 p (n) (0) n


p(x) = p(0) + x+ x + ... + x
1! 2! n!
che si chiama formula di Mac Laurin per i polinomi. La formula
precedente rappresenta il polinomio p ponendo in risalto i valori
assunti dal polinomio stesso e dalle sue derivate nel punto 0. E’
naturale domandarsi se è possibile rappresentare il polinomio
mediante una formula che evidenzi i valori assunti dal polinomio
stesso e dalle sue derivate in un punto qualsiasi x0 .

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Fissato x0 ∈ R, la funzione definita ponendo:
q(t) = p(x0 + t) ∀t ∈ R
è un polinomio di grado della variabile t. Applicando a tale
polinomio la formula di Mac Laurin si ha:
q 0 (0) q 00 (0) 2 q (n) (0) n
q(t) = q(0) + t+ t + ... + t
1! 2! n!
per la regola di derivazione delle funzioni composta, si ha:
q (k) (t) = p (k) (x0 + t)
da cui
q (k) (0) = p (k) (x0 )
e quindi abbiamo:
p 0 (x0 ) p 00 (x0 ) 2 p (n) (x0 ) n
p(x0 + t) = p(x0 ) + t+ t + ... + t
1! 2! n!
ponendo in tale uguaglianza t = x − x0 , si ottiene infine:
p 0 (x0 ) p 00 (x0 ) p (n) (x0 )
p(x) = p(x0 )+ (x−x0 )+ (x−x0 )2 +...+ (x−x0 )n
1! 2! n!
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Tale formula si chiama formula di Taylor per i polinomi, di punto
iniziale x0 .Un polinomio reale di grado n > 0 è univocamente
determinato quando siano noti i valori che esso e le sue prime n
derivate assumono in un punto.
Se f è derivabile n volte nel punto x0 esiste uno ed un solo
polinomio reale pn , di grado non superiore a n, che verifica le
uguaglianze:
(n)
pn (x0 ) = f (x0 ), pn0 (x0 ) = f 0 (x0 ), ..., pn (x0 ) = f (n) (x0 )

Il polinomio pn , che ha l’espressione:

f 0 (x0 ) f (n) (x0 )


pn (x) = f (x0 ) + (x − x0 ) + ... + (x − x0 )n
1! n!
si chiama il polinomio di Taylor di ordine n della funzione f ,
relativo al punto iniziale x0 .
Definiamo Rn la differenza tra f e pn .

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Formula di Taylor con il Resto di Peano Se f è derivabile n volte in
x0 , il resto Rn (x) è un infinitesimo in x0 di ordine superiore a
(x − x0 )n , ossia
Rn (x)
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n

Supponiamo che la funzione di classe C n (x0 ).


Dim. Tenendo presente la definizione di Rn (x) facciamo vedere che

Rn (x) f (x) − pn (x)


lim n
= lim =
x→x0 (x − x0 ) x→x0 (x − x0 )n

f (x) − [f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + ... + f (n) (x0 )(x − x0 )n /n!]


= lim
x→x0 (x − x0 )n
Siamo nelle ipotesi di potere applicare di L’Hopital. La prima volta
f (n) (x0 )(x−x0 )n−1
f 0 (x) − [f 0 (x0 ) + ... + (n−1)! ]
lim
x→x0 n(x − x0 )n−1

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Applicando n − 1 volte il Teorema di L’Hopital si ottiene

f (n−1) (x) − [f (n−1) (x0 ) + f (n) (x0 )(x − x0 )]


lim =
x→x0 n!(x − x0 )
" #
1 f (n−1) (x) − f (n−1) (x0 ) (n)
= lim − f (x0 ) =
n! x→x0 x − x0
1 (n)
= [f (x0 ) − f (n) (x0 )] = 0
n!
In base alla definizione di o-piccolo possiamo dire che

Rn (x) = o((x − x0 )n ) per x → x0

Possiamo riscrivere la formula di Taylor con il resto di Peano nella


forma
n
X f (k) (x0 )
f (x) = (x − x0 )k + o((x − x0 )n ))
k!
k=0

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Se x0 = 0 si ottiene la formula di Mac Laurin:
n
X f (k) (0)
f (x) = x k + o(x n )
k!
k=0

Scriviamo tale formula per alcune delle funzioni elementari:

x2 x3 xn
ex = 1 + x + + + ... + + o(x n )
2 3! n!
x2 x3 xn
log(1 + x) = x − + + ... + (−1)n+1 + o(x n )
2 3 n
x3 x5 x 2n+1
senx = x − + + ... + (−1)n + o(x 2n+2 )
3! 5! (2n + 1)!
x2 x4 x 2n
cos x = 1 − − + ... + (−1)n + o(x 2n+1 )
2 4! (2n)!

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x3 2 17 7 62 9
tgx = x + + x5 + x + x + o(x 10 )
3 15 315 2835
α(α − 1) 2 α(α − 1)(α − 2) 3
(1 + x)α = 1 + αx + x + x +
2! 3!
α(α − 1)...(α − n + 1) n
+... + x + o(x n )
n!
x3 x5 x 2n+1
arctgx = x − + + ... + (−1)n + o(x 2n+2 )
3 5 2n + 1

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Criterio per i punti di massimo e di minimo Se esistono le derivate
sottoindicate della funzione f (x) nel punto x0 vale lo schema:



f 00 (x0 ) > 0minimo relativo in x0
f 00 (x0 ) < 0massimo




  relativo in x0
(3)







 f (x0 ) 6= 0nè minimo nè massimo

f (4) (x0 ) > 0minimo relativo

 

f 0 (x0 ) = 0

 

 
(4)

f (x0 ) < 0massimo relativo
 

00 (x ) = 0
 
f

0
 
 (3)
f (x0 ) = 0 ...

  

 
  (4)
 
f (x0 ) = 0 ...

 
 


 
 

   
...
   

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Una situazione generica dello schema proposta è quella in cui f (x)
è derivabile n volte in x0 per qualche n > 2 e risulta:

f 0 (x0 ) = f 00 (x0 ) = ... = f (n−1) c(x0 ) = 0, f (n) (x0 ) 6= 0

Consideriamo il caso in cui f (n) (x0 ) > 0. Per l’annullarsi delle


derivate la formula di Taylor diventa:

f (n) (x0 )
f (x) = f (x0 ) + (x − x0 )n + Rn (x)
n!
e si ha che
f (x) − f (x0 )
lim =
x→x0 (x − x0 )n
" #
f (n) (x0 ) Rn (x) f (n) (x0 )
= lim + = >0
x→x0 n! (x − x0 )n n!

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Per il teorema della permanenza del segno, esiste δ > 0 tale che

f (x) − f (x0 )
> 0, ∀x : 0 6= |x − x0 | < δ.
(x − x0 )n

Se n è pari il denominatore (x − x0 )n è positivo per x 6= x0 perciò


risulta f (x) > f (x0 ) per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) − {x0 } e quindi
x0 è un punto di minimo relativo per f (x).
Se invece n è dispari dato che il denominatore della frazione
cambia segno per x maggiore o minore di x0 risulta f (x) > f (x0 )
oppure f (x) < f (x0 ) per x > x0 oppure x < x0 . Perciò la funzione
non ha nè massimo nè di minimo in x0 .

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Resto di Lagrange
Formula di Taylor con resto di Lagrange Se f è derivabile n + 1
volte in [a, b] con derivata f (n+1) continua, per ogni x ∈ [a, b],
esiste un numero x1 compreso tra x0 e x, tale che

f (n+1) (x1 )
Rn (x) = (x − x0 )n+1
(n + 1)!
Dim. Fissati x, x0 ∈ [a, b] con x 6= x0 definiamo g (t):
n
X f (k) (t) (x − t)n+1
g (t) = (x − t)k + Rn (x)
k! (x − x0 )n+1
k=0

g (t) risulta derivabile nell’intervallo chiuso di estremi x0 e x inoltre


agli estremi dell’intervallo assume i valori g (x) = f (x) e
n
X f (k) (x0 )
g (x0 ) = (x − x0 )k + Rn (x) = f (x)
k!
k=0

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Essendo anche g (x) = f (x) si ha che g (x) = g (x0 ), il Teorema di
Rolle assicura l’esistenza di un punto x1 nell’intervallo aperto di
estremi x0 e x tale che g 0 (x1 ) = 0. Esplicitando la derivata di g (t)
si ha:
n n
0
X f (k+1) (t) k
X f (k) (t)
g (t) = (x − t) − (x − t)k−1
k! (k − 1)!
k=0 k=1

(x − t)n
−(n + 1)Rn (x)
(x − x0 )n+1
f (n+1) (t) (x − t)n
= (x − t)n − (n + 1)Rn (x)
n! (x − x0 )n+1
sostituendo a t il valore t = x1 si ha g 0 (x1 ) = 0 e quindi la tesi.

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Stima del resto Sia f (x) una funzione derivabile n + 1 volte in un
intervallo [a, b] contenente x0 con derivata f (n+1) continua in
[a, b]. Posto

Mn+1 = max{|f (n+1) (x)| : x ∈ [a, b]}

il resto Rn (x) della formula di Taylor verifica la disuguaglianza

|x − x0 |n+1
|Rn (x)| 6 Mn+1 · ∀x ∈ [a, b]
(n + 1)!
Ritornando al resto di Peano, gli o-piccolo godono delle seguenti
proprietà:
o(x n ) ± o(x n ) = o(x n )
a · o(x n ) = o(a · x n ) = o(x n ), ∀a ∈ R − {0}
x m · o(x n ) = o(x m+n )
o(x m ) · o(x n ) = o(x n+m )
o(o(x n )) = o(x n )
o(x n + o(x n )) = o(x n )
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Verificare che
x4
sen2 x = x 2 − + o(x 5 )
3
Utilizziamo la formula del senx:
2
x3 x6 x4

2
sen x = x − + o(x ) = x 2 +
4
+ [o(x 4 )]2 − +
6 36 3

x3
+2x · o(x 4 ) − o(x 4 )
3
Per x → 0 sono infinitesimi di ordine superiore a x 5 , cioè o(x 5 ) i
seguenti addendi:

x6 x3
, [o(x 4 )]2 , 2x · o(x 4 ), − · o(x 4 )
36 3
x4
perciò sen2 x = x 2 − 3 + o(x 5 )

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Verifichiamo che per x → 0 vale il seguente sviluppo:
1 1
log(cos x) = − x 2 − x 4 + o(x 4 )
2 12
Difatti
x2 x4
cos x = 1 − + + o(x 5 )
2 24
y2
log(1 + y ) = y − + o(y 2 )
2
x2 x4
log(cos x) = log(1 − + + o(x 5 ))
2 24
2 x4
di conseguenza poniamo y = − x2 + 24 + o(x 5 ), otteniamo

x2 x4 1 x2
log(cos x) = − + + o(x 5 ) − (− + ...)2 + o(x 4 ) =
2 24 2 2
x2
 
1 1
=− + − x 4 + o(x 4 )
2 24 8
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Calcolare:
1  senx x 
lim −
x→0 x 2 x senx
4
!
1 sen2 x − x 2 1 x 2 − x3 + o(x 5 ) − x 2
 
1
lim 2 = lim 2 2 3
=−
x→0 x xsenx x→0 x x + o(x ) 3

ho utilizzato la formula di sen2 x.

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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Integrazione secondo Riemann per funzioni di una variabile

Sia f (x) una funzione limitata nell’intervallo chiuso [a, b] di R.


Una partizione P di [a, b] è un insieme ordinato costituito da n + 1
punti distinti x0 , x1 , ..., xn con n ∈ N, tali che

a = x0 < x1 < ... < xk < ... < xn = b

Quindi per definizione P = {x0 , x1 , ..., xn }. Gli n + 1 punti


individuano n intervalli [xk−1 , xk ] con k = 1, 2, ..., n.
Per ogni partizione P di [a, b], poniamo:

mk = inf{f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]}

Mk = sup{f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]}.

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Definiamo poi le somme integrali inferiori
n
X
s(P) = mk (xk − xk−1 )
k=1

e le somme integrali superiori


n
X
S(P) = Mk (xk − xk−1 )
k=1

Se la funzione è positiva in [a, b] le somme integrali hanno il


significato di somma delle aree dei rettangoli inscritti e circoscritti.
Dato che mk 6 Mk per ogni k, dalla definizione risulta che

s(P) 6 S(P) ∀P

Più in generale vale il seguente Lemma denotati con


m = inf{f (x) : x ∈ [a, b]} e M = sup{f (x) : x ∈ [a, b]}:

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Lemma Sia m 6 f (x) 6 M per x ∈ [a, b] allora per ogni coppia di
partizioni P, Q di [a, b] si ha

m(b − a) 6 s(P) 6 S(Q) 6 M(b − a)

dim. poniamo R = P ∪ Q, cioè indichiamo con R la partizione che


si ottiene prendendo contemporaneamente i punti di P e Q.
Cominciamo con il confrontare fra loro le somme integrali inferiori
s(P) e s(R). Supponiamo che R, per semplicità, contenga solo un
punto x in più di P e siano xk−1 e xk due punti consecutivi della
partizione P tali che x ∈ [xk−1 , xk ]. Siano

m1 = inf{f (x) : x ∈ [xk−1 , x]}

m2 = inf{f (x) : x ∈ [x, xk ]}


Le somme integrali s(R) e s(P) differiscono per pochi termini e
precisamente:
s(R) − s(P) =
= [m1 (x − xk−1 ) + m2 (xk − x)] − mk (xk − xk−1 ).
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Essendo m1 > mk , m2 > mk in quanto l’insieme dei valori f (x) per
x ∈ [xk−1 , xk ] contiene sia l’insieme delle f (x) per x ∈ [xk−1 , x] sia
l’insieme delle f (x) per x ∈ [x, xk ] otteniamo

s(R) − s(P) > mk (x − xk−1 + xk − x − xk + xk−1 ) = 0

Si procede allo stesso modo nel caso più generale che la partizione
R contenga più di un punto rispetto a P. Analogamente si
dimostra che S(R) 6 S(Q). Si ottiene

s(P) 6 s(R) 6 S(R) 6 S(Q).

Per dimostrare che

m(b − a) 6 s(R) 6 S(R) 6 M(b − a)

Basta nella prima disuguaglianza prendere la partizione banale


P = [a, b].

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Indichiamo con A l’insieme numerico descritto dalle somme
integrali inferiori s(P) al variare delle partizioni P dell’intervallo
[a, b] e con B l’insieme delle corrispondenti somme superiori:

A = {s(P)}, B = {S(P)}

Dal lemma precedente segue che i due insiemi A e B sono separati,


cioè a 6 b per ogni a ∈ A e per ogni b ∈ B. Dall’ assioma di
completezza segue che esiste almeno un numero reale c maggiore o
uguale a tutti gli elementi di A e minore o uguale a tutti gli
elementi di B. In generale non vi sarà un unico elemento di
separazione tra A e B.
Definizione di integrale definito Se vi è un unico elemento di
separazione c tra A e B allora si dice che f (x) è integrabile in
[a, b] secondo Riemann e l’elemento c si indica con
Z b
f (x)dx
a

e si chiama integrale definito di f in [a, b].


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Posto
s(f ) = sup{s(P) : P partizione di [a, b]}
S(f ) = inf{S(P) : P partizione di [a, b]}
si ha che se
s(f ) = S(f )
allora la funzione è integrabile secondo Riemann in [a, b].
Dalle proprietà dell’estremo inferiore e superiore si ottiene che:
Criterio di Riemann Una funzione limitata in [a, b] è ivi integrabile
secondo Riemann se e solo, per ogni ε > 0 esiste una partizione P
di [a, b] tale che
S(P) − s(P) < ε
dim. ⇒ se f è integrabile secondo Riemann in [a, b] allora
s(f ) = S(f ).

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In base alla definizione di estremo inferiore e superiore, per ogni
ε > 0 esistono partizioni P e Q dell’intervallo [a, b] tali che:
ε
s(f ) − < s(P)
2
ε
S(f ) + > S(Q).
2
Posto R = P ∪ Q si deduce che
ε ε
s(f ) − < s(P) 6 s(R) 6 S(R) 6 S(Q) < S(f ) +
2 2
da cui essendo s(f ) = S(f ),
ε  ε
S(R) − s(R) < S(f ) + − s(f ) − =ε
2 2

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⇐ Viceversa se vale che S(P) − s(P) < ε, essendo s(P) 6 s(f ) e
S(f ) 6 S(P), otteniamo:

0 6 S(f ) − s(f ) 6 S(P) − s(P) < ε

Dato che il numero S(f ) − s(f ) non dipende da ε la precedente


relazione può valere per ogni ε > 0 solo nel caso in cui
S(f ) − s(f ) = 0, cioè quando la funzione è integrabile secondo
Riemann in [a, b].

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Geometricamente, se la funzione è non negativa la somma s(P)
rappresenta l’area di un plurirettangolo (cioè unione di rettangoli)
contenuto nell’insieme

S = {(x, y ) ∈ [a, b] × R : 0 6 y 6 f (x)}

mentre la somma S(P) rappresenta l’area di un plurirettangolo


contenente S.

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Proprietà degli integrali definiti

Additività dell’integrale rispetto all’intervallo Se a, b, c sono tre


punti di un intervallo dove la funzione f (x) è integrabile, allora
Z b Z c Z b
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx
a a c

Linearità dell’integrale Se f , g sono funzioni integrabili in [a, b] e se


c’è un numero reale, anche f + g e c · f sono integrabili in [a, b] e
risulta
Z b Z b Z b
[f (x) + g (x)]dx = f (x)dx + g (x)dx
a a a
Z b Z b
c · f (x)dx = c f (x)dx
a a

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Uniforme continuità. Teorema di Cantor
Vogliamo introdurre in concetto di uniforme continuità.
Sia f (x) una funzione continua in un intervallo I di R. Allora per
ogni x0 ∈ I e per ogni ε > 0 esiste δ = δ(x0 , ε) > 0 tale che, se
x ∈ I e |x − x0 | < δ risulta |f (x) − f (x0 )| < ε. Tale numero δ
dipende in generale sia da ε che da x0 .
Ad esempio, sia f (x) = x 2 per x ∈ I = R. Fissato ε > 0,
supponiamo che esista δ > 0, dipendente solo da ε e non da x0
tale che
|x − x0 | < δ ⇒ |x 2 − x02 | < ε.
Posto x = x0 + h, pur di prendere |h| < δ, si ha

|(x0 + h)2 − x02 | = |2x0 h + h2 | < ε, ∀x0 ∈ R

ma questo è assurdo in quanto, per ogni h 6= 0, risulta

lim |2x0 h + h2 | = +∞
x0 →+∞

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Definizione di funzione uniformemente continua Si dice che
f : I → R è uniformemente continua nell’intervallo I di R se per
ogni ε > 0 esiste δ = δ(ε) > 0, tale che, per ogni x, x 0 ∈ I ,

|x − x 0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x 0 )| < ε.

Riprendendo l’esempio precedente, la funzione f (x) = x 2 non è


uniformemente continua su tutto R, invece essendo continua in R
lo è anche in un intervallo [a, b] chiuso e limitato, in quanto
sussiste in seguente:
Teorema di Cantor Sia f una funzione continua nell’intervallo
chiuso e limitato [a, b]. Allora f è uniformemente continua in [a, b].

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Vediamo una particolare classe di funzioni uniformemente continue.
Sia f (x) una funzione lipschitziana nell’intervallo I di R, cioè tale
che esista una costante L > 0 per cui

|f (x) − f (x 0 )| 6 L|x − x 0 | ∀x, x 0 ∈ I

Una tale funzione è anche uniformemente continua in I , in quanto,


fissato ε > 0 e posto δε = Lε , risulta |f (x) − f (x 0 )| < ε per ogni
coppia x, x 0 di punti di I tali che |x − x 0 | < δε . Ora ci chiediamo se
ogni funzione uniformente continua è anche lipschitziana.
Facciamo vedere che questa implicazione non sussiste.
Si dimostra la seguente:

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Proposizione Sia f (x) una funzione derivabile nell’intervallo I .
Allora f (x) è lipschitziana in I con costante L se e solo se
|f 0 (x)| 6 L per ogni x ∈ I .
Dim. Se |f 0 (x)| 6 L, ∀x ∈ I applicando Lagrange all’intervallo di
estremi x, x 0 , esiste x0 ∈ I :

|f (x) − f (x 0 )| = |f 0 (x0 )(x − x 0 )| 6 L|x − x 0 |.

e dunque la funzione è lipschitziana. Viceversa se f è lipschitziana


in I , per x ∈ I e x 0 = x + h ∈ I (con h 6= 0) si ha

|f (x) − f (x + h)| = |f (x + h) − f (x)| 6 L|h|

dividendo ambo i membri per |h| e passando al limite per h → 0 si


ottiene |f 0 (x)| 6 L.

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Di conseguenza abbiamo che f (x) = x per x ∈ [0, +∞) è una
funzione uniformemente continua dato che
√ √ p
| x − x 0 | 6 |x − x 0 |
√ √
posto δε = ε2 si ha che | x − x 0 | < ε per |x − x 0 | < δε e non
verificando in 0 il lemma non è lipschtziana.

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Integrabilità delle funzioni continue Sia f (x)una funzione continua
in [a, b]. Allora f (x) è integrabile secondo Riemann in [a, b].
dim. per il teorema di Cantor f (x) è uniformemente continua e
perciò, fissato ε > 0, esiste δ > 0 tale che
ε
|f (x) − f (x 0 )| <
b−a
per ogni coppia di punti x, x 0 ∈ [a, b] tali che |x − x 0 | < δ. Se P è
una partizione di [a, b], P = {x0 , x1 , ..., xn } con x0 = a, xn = b,
tale che |xk − xk−1 | < δ per ogni k = 1, ..., n, allora, posto

mk = inf{f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]},

Mk = sup{f (x) : x ∈ [xk−1 , xk ]}


risulta che
ε
Mk − mk < ∀k = 1, ..., n
b−a

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Tale relazione è verificata perchè per il teorema di Weierstrass il
sup e inf sono massimi e minimi e quindi posso applicare il
Teorema di Cantor essendo valori assunti della funzione.
Dunque:
n
X
S(P) − s(P) = (Mk − mk )(xk − xk−1 )
k=1

n
ε X
< (xk − xk−1 ) = ε.
b−a
k=1

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I teoremi della media
(Primo) teorema della media Sia f una funzione limitata ed
integrabile secondo Riemann in [a, b]. Allora
Z b
m(b − a) 6 f (x)dx 6 M(b − a)
a

m = inf{f (x) : x ∈ [a, b]}, M = sup{f (x) : x ∈ [a, b]} .


dim. l’integrale è l’elemento di separazione delle somme integrali
inferiori e superiori. Perciò qualunque sia la partizione P
dell’intervallo [a, b], si ha
Z b
s(P) 6 f (x)dx 6 S(P)
a

Scegliendo la partizione banale di [a, b] costituita dai soli punti a e


b, risulta
s(P) = m(b − a), S(P) = M(b − a)

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(Secondo) teorema della media Se f (x) è continua in [a, b], esiste
un punto x0 ∈ [a, b] tale che
Z b
f (x)dx = f (x0 )(b − a).
a

dim. per il teorema di Weierstrass esistono il valore minimo m ed il


valore massimo M di f (x) in [a, b]. Dividendo per b − a > 0 si ha
Z b
1
m6 f (x)dx 6 M
b−a a

perciò il valore medio y di f (x) in [a, b], definito da


Z b
1
y= f (x)dx
b−a a

è un valore compreso fra il minimo m ed il massimo M di f (x) in


[a, b] in base al secondo teorema dell’esistenza dei valori intermedi
esiste x0 ∈ [a, b] tale che f (x0 ) = y che equivale alla tesi.
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Corso di Analisi Matematica I

Teresa Radice

Dipartimento di Matematica e Applicazioni “R. Caccioppoli”,


Università degli Studi di Napoli “Federico II”
e-mail: teresa.radice@unina.it

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Integrali indefiniti

Vogliamo mettere in evidenza una importante relazione tra


integrali e derivate. Sia f una funzione continua nell’intervallo
[a, b]. Per ogni x ∈ [a, b] consideriamo l’integrale definito
Z x
F (x) = f (t)dt
a

Per ogni x è determinato l’integrale definito nell’intervallo [a, x]


della funzione f , pertanto il risultato dell’integrazione risulta una
funzione di x. La funzione F (x) si chiama funzione integrale.

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Teorema fondamentale del calcolo integrale Sia f una funzione
continua nell’intervallo [a, b]. La funzione integrale F (x) è
derivabile e la derivata vale:

F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ [a, b]

Occorre calcolare il limite del rapporto incrementale della funzione


F (x) quando l’incremento tende a zero.
Z x+h x 
F (x + h) − F (x)
Z
1
= f (t)dt − f (t)dt
h h a a
Z x Z x+h Z x 
1
= f (t)dt + f (t)dt − f (t)dt
h a x a
Z x+h
1
= f (t)dt.
h x
Trasformiamo l’ultimo integrale per mezzo del secondo teorema
della media applicato all’intervallo di estremi x e x + h.
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Esiste un punto compreso tra x e x + h, che dipende da h che
indichiamo con x(h) tale che
x+h
F (x + h) − F (x)
Z
1
= f (t)dt = f (x(h))
h h x

Dato che x(h) è compreso tra x e x + h, per h → 0 risulta:

lim x(h) = x.
h→0

Dato che la funzione per ipotesi è continua, si ha che:

F (x + h) − F (x)
lim = lim f (x(h)) = f (x)
h→0 h h→0

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Primitive. Formula fondamentale del calcolo integrale
Definizione. Una funzione F (x), derivabile nell’intervallo [a, b] è
una primitiva di f (x) se F 0 (x) = f (x) per ogni x ∈ [a, b].
Ad esempio, una primitiva della funzione f (x) = x è F (x) = x 2 /2.
Una primitiva della funzione cos x è la funzione senx. Se F (x) è
una primitiva di f (x), anche G (x) = F (x) + c, qualunque sia la
costante c è una primitiva di f (x).
Caratterizzazione delle primitive di una funzione in un intervallo Se
F (x) e G (x) sono due primitive della stessa funzione f (x) in un
intervallo [a, b], esiste una costante c tale che

G (x) = F (x) + c ∀x ∈ [a, b]

Dim. Posto H(x) = G (x) − F (x) risulta


H 0 (x) = G 0 (x) − F 0 (x) = f (x) − f (x) = 0 e quindi H(x) è una
costante.

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Formula fondamentale del calcolo integrale Sia f (x) una funzione
continua in [a, b]. Sia G (x)una primitiva di f . Allora
Z b
f (x)dx = [G (x)]ba = G (b) − G (a).
a
Per dimostrare la formula fondamentale, consideriamo la funzione
integrale con t la variabile di integrazione.
La funzione integrale F e la funzione G sono entrambe primitive
della funzione f . Esiste una costante c tale che
Z x
G (x) = F (x) + c = f (t)dt + c
a
Per x = a abbiamo
Z a
G (a) = c + f (t)dt = c
a
e sostituendo il valore trovato al posto di c si ha
Z x
G (x) = G (a) + f (t)dt
a
La tesi segue ponendo x = b.
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Integrale indefinito Sia f una funzione continua in un intervallo
[a, b]. L’insieme di tutte le primitive di f di [a, b] si chiama
integrale indefinito di f e si indica con il simbolo
Z
f (x)dx.

Possiamo affermare che


Z
f (x)dx = F (x) + c

dove F è una primitiva di f e c è una costante arbitraria.


Differenza
R b tra integrale
R definito e indefinito che indichiamo con i
simboli a f (x)dx, f (x)dx. Il primo è un numero, il secondo è
un insieme di funzioni.

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Ricordando che la derivata di una somma è uguale alla somma
delle derivate si ha :
Z Z Z
[f (x) + g (x)]dx = f (x)dx + g (x)dx
Z Z
cf (x)dx = c f (x)dx
Integrali indefiniti immediati
x b+1
Z
x b dx = +c
b+1
Z
1
dx = log |x| + c
x
Z
e x dx = e x + c
Z
senxdx = − cos x + c
Z
cos xdx = senx + c

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Z
1
dx = tgx + c
cos2 x
Z
1
√ dx = arcsenx + c
1 − x2
Z
1
dx = arctgx + c
1 + x2
Altri integrali praticamente immediati sono:
D([f (x)]b+1 ) (f (x))b+1
Z Z
[f (x)]b · f 0 (x)dx = = +c
b+1 b+1
Z
1 0
f (x)dx = log |f (x)| + c
f (x)
Z
e f (x) f 0 (x)dx = e f (x) + c
Z
senf (x)f 0 (x)dx = − cos f (x) + c
Z
cos f (x)f 0 (x)dx = senf (x) + c
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Z
1
f 0 (x)dx = tgf (x) + c
cos2 f (x)
Z Z Z
1 1 1
cos 3xdx = 3 cos xdx = D(sen3x)dx = sen3x + c
3 3 3
Z Z
sen3 x cos xdx = sen3 xDsenxdx

1
= sen4 x + c
4
−D(cos x)
Z Z Z
senx
tg xdx = dx = dx
cos x cos x
= − log | cos x| + c

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2
e −x
Z Z
−x 2 1 −x 2
xe dx = − (−2x)e dx = − +c
2 2
Z Z
1
dx = e −x dx = −e −x + c
ex
Z
1
dx = log | log x| + c
x log x

Z
1
√ 2
√ dx = 2tg x + c
x cos x
Z Z
x 1 2x 1
√ dx = √ dx = arcsen(x 2 ) + c
1−x 4 2 1−x 4 2
Z
3x 3
4
dx = arctgx 2 + c
1+x 2

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Integrazione per decomposizione in somma
Z Z Z
x 1
dx = dx − dx
x +1 x +1
= x − log |x + 1| + c
Z Z Z
3x + 2 1 4(3x + 2) 1 12x + 8
dx = dx = dx
4x + 5 4 4x + 5 4 4x + 5
12x + 15 − 7
Z Z Z
1 1 12x + 15 7 4
= dx = dx − dx
4 4x + 5 4 4x + 5 16 4x + 5
3 7
= x− log |4x + 5| + c
4 16
sen2 x 1 − cos2 x
Z Z Z
2
tg xdx = dx = dx
cos2 x cos2 x
Z  
1
= − 1 dx = tgx − x + c
cos2 x

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sen2 x + cos2 x
Z Z
dx
dx = dx
senx cos x senx cos x
Z Z
senx cos x
= dx + dx
cos x senx
= − log | cos x| + log |senx| + c

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Integrazione delle funzioni razionali Consideriamo il rapporto tra
due polinomi f (x), g (x):

f (x) am x m + ... + a0
= m, n ∈ N
g (x) bn x n + ... + b0

Se m > n si esegue la divisione tra i polinomi f (x) e g (x).


Indichiamo con r (x), q(x) resto e quoziente della divisione si può
scomporre
f (x) = g (x)q(x) + r (x)
dividendo per g (x) si ha che

f (x) r (x)
= q(x) +
g (x) g (x)

e quindi Z Z Z
f (x) r (x)
dx = q(x)dx + dx
g (x) g (x)

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Avere fatto la divisione tra i due polinomi ci riconduce a calcolare
l’integrale della funzione razionale r (x)/g (x) che ha la proprietà
che il grado del polinomio al numeratore è inferiore al grado del
polinomio al denominatore. Vediamo il caso di un polinomio di
secondo grado al denominatore g (x) = ax 2 + bx + c e al
numeratore r (x) = dx + e. Si distinguono tre casi g (x) = 0 abbia
2 radici reali distinte, 2 radici coincidenti, due radici complesse
coniugate. Si considera a = 1 e si studiano i vari casi :
∆ > 0,
Si trovano le radici del denominatore che sono reali e distinte x1 e
x2 . Sussiste la decomposizione
r (x) A B
= +
g (x) x − x1 x − x2
andando ad integrare
Z
r (x)
dx = A log |x − x1 | + B log |x − x2 |
g (x)
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∆=0
due soluzioni coincidenti x1
r (x) A B
= + +c
g (x) (x − x1 ) (x − x1 )2

andando ad integrare si ottiene


Z Z
r (x)
dx = A log |x − x1 | + B (x − x1 )−2 dx
g (x)
Z
r (x) 1
dx = A log |x − x1 | − B +c
g (x) (x − x1 )

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∆<0
f 0 (x)
Z
Ricordando che dx = arctgf (x) + c si ha che:
f (x)2 + 1
Z Z Z
x 1 2x + 1 1 dx
dx = dx −
x2 + x + 1 2 x2 + x + 1 2 x2 + x + 1
Z
1 2 1 dx
= log(x + x + 1) −
2 2 (x + 21 )2 + 34
Z
1 14 dx
= log(x 2 + x + 1) − i 2
2 23
h
√2 x + 1 +1
3 2
√  
1 2 3 2 1
= log(x + x + 1) − arctg √ x+ √ +c
2 3 3 3

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Formula di Hermite

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Integrazione per parti
Formula di integrazione per parti Se in un intervallo f e g sono
funzioni derivabili con derivata continua, risulta
Z Z
f (x)g (x)dx = f (x)g (x) − f 0 (x)g (x)dx
0

f (x) fattore finito, mentre g 0 (x) è detto fattore differenziale. Dato


che f 0 (x), g 0 (x) sono continue l’integrale è ben definito.

[f (x) · g (x)]0 = f 0 (x) · g (x) + f (x) · g 0 (x)

Calcoliamo gli integrali indefiniti utilizzando la proprietà di linearità


Z Z Z
[f (x) · g (x)] dx = f (x) · g (x)dx + f (x) · g 0 (x)dx.
0 0

Si ha la tesi osservando che f · g è una primitiva della sua derivata


[f · g ]0
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Z Z Z
x cos xdx = xDsenxdx = xsenx − Dxsenxdx

= xsenx + cos x + c
Z Z Z
1
log xdx = Dx log xdx = x log x − x · dx
x
= x log x − x + c
Z Z
e x senxdx = −e x cos x + e x cos xdx
Z
= −e x cos x + e x senx − e x senxdx

nella relazione precedente si hanno al primo al secondo membro


due quantità uguali ma opposte di conseguenza
Z
2 e x senxdx = e x (senx − cos x) + c

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Z Z Z Z
2
cos xdx = cos x cos xdx = cos xDsenxdx = senx cos x+ sen2 xd
Z Z
= senx cos x + (1 − cos2 x)dx = senx cos x + x − cos2 xdx

allora Z
2 cos2 xdx = (senx cos x + x) + c

Abbiamo quindi trovato che


Z
1
cos2 xdx = (senx cos x + x) + c
2
allo stesso modo si calcola sen2 xdx.
R

Se abbiamo un integrale definito si ha:


Z b Z b
f (x)g 0 (x)dx = [f (x)g (x)]ba − f 0 (x)g (x)dx
a a

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Integrazione per sostituzione
Integrazione per sostituzione Sia f una funzione continua e g una
funzione derivabile con derivata continua. Risulta
Z  Z
f (x)dx = f (g (t))g 0 (t)dt.
x=g (t)

Il simbolo a primo membro significa, indicando con F (x) una


primitiva di f (x), che
Z Z 
f (x)dx = F (x) + c, f (x)dx = F (g (t)) + c
x=g (t)
Dunque occorre dimostrare che
Z
F (g (t)) + c = f (g (t))g 0 (t)dt

e questo è conseguenza del teorema di derivazione delle funzioni


composte. Infatti
d
F (g (t)) = F 0 (g (t))g 0 (t) = f (g (t))g 0 (t)
dt
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abbiamo verificato che F (g (t)) è una primitiva di f (g (t))g 0 (t) cioè
la nostra tesi.
Se x = g (t) la quantità g 0 (t)dt che è una funzione delle due
variabili t, dt si chiama differenziale della funzione g (t) e si indica
con dx. Perciò il differenziale della funzione derivabile x = g (t) è
definito da:
dx = g 0 (t)dt
tale definizione è motivata dalla formula di integrazione per
sostituzione infatti x si trasforma in g (t) mentre il differenziale
dx = g 0 (t)dt.

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√ 1 dx è naturale porre x = t 2 . Otteniamo per t > 0
R
Calcolare x−3
Z Z
1 2t

dx = dt
x −3 t −3
Z 
t −3
Z
3
=2 dt + dt = 2t + 6 log |t − 3| + c
t −3 t −3
occorre sostituire
√ √
Z
1
√ dx = 2 x + 6 log | x − 3| + c
x −3

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Con la sostituzione x = sent si risolve il seguente integrale:
Z p Z p
2
1 − x dx = 1 − sen2 t cos tdt
Z
1
= cos2 tdt = (t + sent cos t) + c
2
1
= (arcsenx + x cos(arcsenx)) + c
2

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Integrazione di alcune funzioni irrazionali Vogliamo considerare
degli integrali del tipo
Z r
1−x
Z Z
1 dx
√ dx, x dx, √
x x +4 1+x x + 1 + x2
√ q
ax+b
Le funzioni integrande sono del tipo f (x, ax + b), f (x, cx+d ),

f (x, ax 2 + bx + c) con f = f (x, y ) funzione razionale delle
1
variabili x, y . Nel primo caso f (x, y ) = xy , nel secondo caso
1
f (x, y ) = xy e nel terzo caso x+y . Eseguiamo la sostituzione

t = x + 4 da cui x = t 2 − 4, dx = 2tdt. Pertanto si ha
Z Z Z
1 1 1 4
√ dx = 2tdt = dt
x x +4 (t 2 − 4)t 2 t2 − 4
Z  
1 1 1 1 1
= − dt = log |t − 2| − log |t + 2| + c
2 t −2 t +2 2 2
1 √ 1 √
= log | x + 4 − 2| − log( x + 4 + 2) + c
2 2
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Per risolvere la seconda conviene eseguire la sostituzione
r
1−x
t=
1+x
1−t 2 −4tdt
cioè x = 1+t 2
per cui dx = (1+t 2 )2
. Pertanto si ha:
r
1−x 1 − t2 −4t t4 − t2
Z Z Z
x dx = t dt = 4 dt
1+x 1 + t (1 + t 2 )2
2 (1 + t 2 )3

t 4 − t 2 = (t 4 + 2t 2 + 1) − 3t 2 − 1 = (t 2 + 1)2 − 3(t 2 + 1) + 2
si ha
Z r
1−x
Z Z Z
1 1 1
x =4 dt −12 dt +8 dt
1+x 1 + t2 (1 + t 2 )2 (1 + t 2 )3

per risolvere i due ultimi integrali occorre applicare le formule di


riduzione.

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Z
1
In = dx
(1 + x 2 )n
per ogni n > 1, si ha
 
1 x
In = (2n − 3)In−1 +
2(n − 1) (1 + x 2 )n−1
Z Z
1 x 1
In−1 = 2 n−1
(Dx)dx = 2 n−1
− xD dx
(1 + x ) (1 + x ) (1 + x 2 )n−1
x2
Z
x
= + 2(n − 1) dx
(1 + x 2 )n−1 (1 + x 2 )n
1 + x2 − 1
Z
x
= + 2(n − 1) dx
(1 + x 2 )n−1 (1 + x 2 )n
Z Z
x dx dx
= + 2(n − 1) − 2(n − 1)
(1 + x 2 )n−1 (1 + x 2 )n−1 (1 + x 2 )n

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Ritornando all’integrale precedente si ha:
Z Z
1 t 3 1
2 3
dt = 2 2
+ dt
(1 + t ) 4(t + 1) 4 (t + 1)2
2

Z Z
1 t 1 1
dt = + dt
(1 + t 2 )2 2(t 2 + 1) 2 1 + t2
per cui l’integrale diviene:
Z r
1−x
Z
1 3t 2t
x dx = 2
dt − 2 + 2
1+x 1+t t + 1 (t + 1)2

3t 2t
= arctgt − + 2 +c
t2 + 1 (t + 1)2
q
1−x
Risostituire t = 1+x .

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Abbiamo già visto la formula di Hermite possiamo anche utilizzare
un’altra scomposizione in fratti semplici però potrebbe essere più
complicato il calcolo dell’integrale. Ad esempio:
Z
1
dx
x (x + 1)2
2 2

Determiniamo le costanti A1 , A2 , h1 , k1 , h2 , k2 tali che:


1 A1 A2 h1 x + k1 h2 x + k2
= + 2 + 2 + 2
x 2 (x 2+ 1) 2 x x x +1 (x + 1)2
Risolvendo il sistema per le costanti si ottiene A1 = h1 = h2 = 0 e
A2 = 1, k1 = k2 = −1. Pertanto
Z Z Z Z
1 1 1 1
2 2 2
= 2
dx − 2
dx − dx
x (x + 1) x x +1 (x + 1)2
2

Occorre calcolare Z
1
dx
(x 2 + 1)2
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Z Z Z
1 1 x
dx = Dxdx = − xD(1+x 2 )−1 dx
(1 + x 2 ) (1 + x 2 ) (1 + x 2 )

x2
Z
x
= + 2 dx
(1 + x 2 ) (1 + x 2 )2
Z 2
x x +1−1
= 2
+2 dx
(1 + x ) (1 + x 2 )2
Z Z
x dx dx
= 2
+2 2
−2
(1 + x ) (1 + x ) (1 + x 2 )2
dunque
Z Z
dx dx x x
2 = + = arctgx +
(1 + x 2 )2 (1 + x 2 ) (1 + x 2 ) (1 + x 2 )

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Andando a sostituire e calcolando gli integrali si ottiene:
Z
1 1 x 1
2 2 2
dx = − − arctgx − 2
− arctgx + c
x (x + 1) x 2(x + 1) 2

1 x 3
=− − − arctgx + c
x 2(x 2 + 1) 2
Quella che abbiamo applicato è una formula di riduzione cioè In è
calcolato dalla In−1 .

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Per risolvere il terzo x + x 2 + 1 = t
Seguenti√ casi: √ n
f (x, ax + b)dx si pone n ax + b = t, ax + b = t n , x = t a−b ,
R n

n n−1
dx
R =n√a t dt. √ √ √
f ( 1 ax + b, n2 ax + b, ... nk ax + b)dx. Si pone n ax + b = t
con n uguale
q al m.c.m di n1q , n2 , ..nk .
n ax+b ax+b
R
f (x, cx+d )dx. Si pone n cx+d = t.
R √ √
f (x, ax 2 + bx + c) = a(t − x).
√ q
ρ2 −x
f (x, −ax 2 + bx + c), a > 0, b 2 + 4ac > 0 si pone a x−ρ
R
1
=t
dove ρ1 < ρ2 sono le radici dell’equazione −ax 2 + bx + c = 0.

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f (senx, cos x)dx. Si pone tg x2 = t cioè x = 2arctgt,
R
2t 1−t 2
dx = 2dt/(1 + t 2 ) e ricordiamo che senx = 1+t 2 , cos x = 1+t 2
.
Z
senx
dx
cos x − senx
Sostituendo: t = tg x2 e le formule di senx e cos x. Si ottiene
Z
2t 2
· dt
1 − t − 2t 1 + t 2
2

f (sen2 x, cos2 x, tgx). Si pone tgx = t cioè arctgt = x


R
dt 2 t2 2 1
dx = (1+t 2 ) si ricorda che sen x = 1+t 2 , cos x = 1+t 2 .
dt
f (ax )dx . Si pone ax = t cioè x = loga t , dx = t log
R
ea
dt
R
f (tgx)dx. Si pone tgx = t, cioè x = arctgt, dx = (1+t 2)

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Esempio. Z
1
dx
e 2x + ex + 1
Si pone e x = t, quindi x = log t e dx = 1t dt. Sostituendo
l’integrale diventa Z
1 1
dt
(t 2 + t + 1) t

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Serie numeriche
Sia an una successione di numeri reali
n ∈ N → an ∈ R.
Ci proproniamo di definire la somma dei termini della successione,
cioè
a1 + a2 + a3 + ... + an + .... (1)
Introduciamo la somma sn dei primi n termini della successione
(detta anche somma parziale o ridotta n-esima):
n
X
sn = a1 + a2 + ... + an = ak
k=1
Tale successione prende il nome di serie di termine generale an . E’
naturale definire l’espressione (1) come limite, per n → +∞ della
successione sn delle somme parziali. Cioè poniamo per definizione
X∞ Xn
ak = lim ak = lim sn
n→+∞ n→+∞
k=1 k=1
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se per n → +∞, sn → l, l ∈ R si dice che la serie è
convergente ed ha per somma esattamente l.
se per n → +∞, sn → ±∞ si dice che la serie è divergente.
se per n → +∞, il limite della sn non esiste allora si dice che
la serie è indeterminata.
Una serie convergente o divergente si dice anche regolare.
Il carattere di una serie è la sua proprietà di essere convergente,
divergente, oppure indeterminata.
Serie di Mengoli
1 1 1
+ + ... + + ...
1·2 2·3 n(n + 1)
la somma dei primi n termini termini
n
X 1 n
sn = =
k(k + 1) n+1
k=1

La sn converge a 1 e quindi la serie converge ed ha per somma 1.


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an = (−1)n , si ha che s1 = −1, s2 = 0, s3 = −1, s4 = 0. La
successione sn non ha limite quindi la serie è indeterminata.
Condizione
P∞ necessaria per la convergenza di una serie Se la serie
k=1 ak è convergente, allora la successione an è infinitesima.
dim. Indichiamo con sn la successione delle somme parziali e con
s ∈ R la somma della serie. Essendo

sn+1 = sn + an+1 ∀n ∈ N

risulta

lim an+1 = lim sn+1 − lim sn = s − s = 0


n→+∞ n→+∞ n→+∞

Tale condizione è necessaria, ma non sufficiente per la convergenza


di una serie.

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Serie armonica E’ una serie di termine generale an = n1 :
1 1 1
1+ + + ... + + ...
2 3 n
Tale serie diverge. Difatti osserviamo che ∀k ∈ N, x > k ⇒ x1 6 k1 .
Calcolando l’integrale definito nell’intervallo [k, k + 1] otteniamo
Z k+1 Z k+1
1 k+1
Z
dx dx 1
6 = dx =
k x k k k k k
Sommando per k che varia da 1 a n, otteniamo
n Z k+1 n
X dx X 1
6
k x k
k=1 k=1
al secondo membro la ridotta n-esima della serie armonica. Si
ottiene
n Z k+1 Z n+1
X dx dx (n+1)
sn > = = [log x]1 = log(n + 1).
k x 1 x
k=1

La successione log(n + 1) tende a +∞ e quindi anche sn .


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Criterio di CauchyP per le serie Condizione necessaria e sufficiente
affinchè la serie ∞
k=1 ak sia convergente è che per ogni ε > 0
esista ν > 0 tale che
n+p
X
| ak | = |an+1 + ... + an+p | < ε
k=n+1

per ogni n > ν e per ogni p ∈ N.


Dal criterio di Cauchy, sn converge se e solo se per ogni ε > 0
esiste ν > 0 tale che per m > ν, n > ν

|sm − sn | < ε

Essendo m > n, m = n + p con p ∈ N si ha


m
X n
X n+p
X
sm − sn = ak − ak = ak
k=1 k=1 k=n+1

da cui la tesi.
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Serie a termini non negativi Una serie si dice a termini non negativi
se an > 0, ∀n ∈ N. Si dice a termini positivi se an > 0, ∀n ∈ N. La
successione sn è crescente.
Difatti dato che an+1 > 0

sn+1 = sn + an+1 > sn

ma allora la sn è regolare e quindi la serie non può essere


indeterminata.

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La serie geometrica Per ogni numero reale x consideriamo la serie
geometrica
X∞
x k = 1 + x + x 2 + ... + x n + ...
k=0

Il numero x si dice ragione della serie geometrica.


Se x è positivo, la serie è a termini positivi; perciò se x > 0 la serie
è regolare. Se x > 1, la successione an = x n non tende a zero e
quindi la serie è divergente non essendo soddisfatta la condizione
che an → 0.
Fissato x < 1 calcoliamo la somma parziale sn
n
X 1 − x n+1
sn = xk =
1−x
k=0

Per n → +∞ x n tende a zero se x ∈ (−1, 1) mentre non ha limite


per x 6 −1.

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Riassumendo Serie geometrica:
1
se |x| < 1 la serie converge ed ha per somma s = 1−x ,
se x > 1 la serie diverge,
se x 6 −1 la serie è indeterminata.

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Serie armonica generalizzata
Consideriamo, per ogni valore del parametro positivo p, la seguente
serie armonica generalizzata :
1 1 1
1+ p
+ p + ... + p + ...
2 3 n
Ovviamente per p = 1 ritroviamo la serie armonica. Se
k 6 x 6 k + 1, risulta
1 1 1
p
6 p 6 p.
(1 + k) x k

Integriamo nell’intervallo [k, k + 1] e sommiamo rispetto a k:


n Z n+1 n
X 1 dx X 1
6 6 .
(k + 1)p 1 xp kp
k=1 k=1
Pn 1
Si vede facilmente che k=1 (k+1)p = sn+1 − 1.
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Di conseguenza possiamo scrivere che:
Z n+1
dx
sn+1 − 1 6 6 sn
1 xp

Caso p < 1 otteniamo:


n+1  1−p n+1
(n + 1)1−p
Z
dx x 1
sn > p
= = −
1 x 1−p 1 1−p 1−p

dato che 1 − p > 0 l’ultimo membro diverge positivamente e quindi


anche la sn . Perciò la serie è divergente se p < 1.
Caso p > 1 otteniamo:
Z n+1
dx (n + 1)1−p 1
sn+1 6 1 + p
= 1 + −
1 x 1−p 1−p

in questo caso p > 1 dunque 1 − p < 0 per n → +∞ la


successione (n + 1)1−p tende a zero. Quindi la successione sn+1
che è regolare perchè è termini positivi risulta essere convergente.
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Criteri di convergenza
Criterio del confronto Siano an , bn due successioni tali che
0 6 an 6 bn per ogni n. Si ha:

X ∞
X
bk < +∞ ⇒ ak < +∞
k=1 k=1

X ∞
X
ak = +∞ ⇒ bk = ∞.
k=1 k=1
Pn
Indichiamo
Pn con s n e tn le ridotte delle due serie s n = k=1 ak e
tn = k=1 bk . Per le ipotesi an 6 bn ∀n, ma allora sn 6 tn .
Inoltre le due successioni sn e tn sono regolari perchè la serie sono
a termini non negativi. Se tn ha limite finito anche il limite sn è
finito e quindi dalla convergenza della serie di termine generale bn
si avrà anche la convergenza della serie di termine generale an .
Se invece il limite di sn è +∞ anche tn diverge. In pratica, se la
serie di termine generale an diverge, diverge anche quella di
termine generale bn .
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Criterio degli infinitesimi Sia an una successione a termini non
negativi. Supponiamo che fissato un numero reale p, esista il
limite:
l = lim np an .
n→+∞
Si ha:

X
l 6= +∞, p > 1 ⇒ ak < +∞ (2)
k=1

X
l 6= 0, p 6 1 ⇒ ak = +∞ (3)
k=1
Nella (2) con il limite l finito per la definizione di limite di
successione con ε = 1, esiste un indice ν tale che:
np an < l + 1 ∀n > ν
(l+1)
Per tali n risulta 0 6 an < np . Applichiamo il criterio del
confronto considerando la successione bn = (l+1)np . Dato che p > 1,
la serie generalizzata relativa a bn è convergente e quindi lo sarà
anche quella di termine generale an .
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Nella (3) con l 6= 0, esiste un indice ν tale che (per semplicità
consideriamo l ∈ R) e sia ε = 2l ,

l
np an > ∀n > ν
2
ma allora an > 2nl p .
Questa volta detto bn = 2nl p possiamo applicare il criterio del
confronto. Dato che p 6 1 la serie di termine generale bn risulta
essere divergente cosi come la serie di termine generale an .
Esempio:

X 5k + 1
k + k2 + 1
3
k=1

è convergente. Difatti basta applicare criterio degli infinitesimi con


p = 2.

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Criterio del rapporto Sia an una successione a termini positivi.
Supponiamo che esista il limite
an+1
l = lim .
n→+∞ an
Allora si ha:

X
l <1⇒ ak < +∞
k=1

X
l >1⇒ ak = +∞.
k=1

Supponiamo l < 1 e scegliamo un numero x tale che l < x < 1. In


base alla definizione di limite di successione con ε = x − l, esiste
un indice ν per cui
an+1
< x, ∀n > ν.
an

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Per semplicità supponiamo che l’indice ν sia uguale a 1. Abbiamo
che a2 < a1 x, a3 < a2 x < a1 x 2 ... in generale:

an < a1 x n−1

La serie associata alla successione bn = a1 x n è una serie


geometrica di ragione x. Dato che 0 < x < 1, la serie associata a
bn è convergente. Per il criterio del confronto converge anche la
serie di termine generale an .
Se l > 1
an+1
> 1 ∀n > ν.
an
Quindi la successione an è strettamente crescente per n > ν e
perciò non può convergere a zero, ma allora non è verificata la
condizione necessaria dato che il termine generale non è
infinitesimo e quindi essendo una serie a termini positivi
necessariamente deve divergere.

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Criterio della radice Sia an una successione a termini non negativi.
Supponiamo che esista il limite:

l = lim n
an
n→+∞

Allora si ha che:

X
l <1⇒ ak < +∞
k=1

X
l >1⇒ ak = +∞
k=1

(stesse conclusioni del criterio del rapporto).


Sia l < 1, sia ε > 0 tale che l + ε < 1. Per la definizione di limite,

esiste ν ∈ N tale che n an < l + ε per n > ν, ovvero tale che
an < (l + ε)n per n > ν. Poichè la serie geometrica di ragione
l + ε < 1 converge, anche la serie di termine generale an converge
per il criterio del confronto.

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Se l > 1, sia ν ∈ N tale che n an > 1 cioè an > 1 per ogni n > ν.
Poichè an non può essere infinitesima per la condizione necessaria
la serie non è convergente e quindi è divergente in quanto trattasi
di una serie a termini non negativi.

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Serie alternate

Consideriamo serie alternate, che sono serie del tipo:

a1 − a2 + a3 − a4 + ... + (−1)n−1 an + ...

con an > 0. Scriviamo ad esempio la funzione armonica alternata:


1 1 1 1
1− + − + ... + (−1)n−1 + ...
2 3 4 n
Tale serie è convergente (a differenza della serie armonica). Difatti
è possibile applicare il seguente criterio, noto come il criterio di
Leibniz: Sia an > 0 una successione decrescente ed infinitesima.
Allora la serie alternata è convergente.

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Convergenza assoluta

Una serie
a1 + a2 + a3 + ... + an + ...
si dice assolutamente convergente se risulta convergente la serie
dei valori assoluti:

|a1 | + |a2 | + ... + |an | + ...

Una serie convergente non necessariamente è assolutamente


convergente. Il viceversa è vero invece, cioè
Teorema Una serie assolutamente convergente è convergente.

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dim. Per hp la serie con i moduli converge. In base al criterio di
Cauchy: per ogni ε > 0 esiste ν ∈ N tale che
n+p
X
|ak | < ε
k=n+1

per ogni n > ν e per ogni p ∈ N. Per la disuguaglianza triangolare


si ha:
n+p
X n+p
X
| ak | 6 |ak |.
k=n+1 k=n+1

Ma allora
n+p
X
| ak | < ε
k=n+1

per ogni n > ν e per ogni p ∈ N. Di conseguenza per il criterio di


Cauchy è convergente anche la serie di termine generale an .

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Serie di Taylor
Consideriamo una funzione f (x) definita in un intorno di un punto
x0 . Supponiamo che in x0 f (x) ammetta infinite derivate f 0 (x0 ),
f 00 (x0 ), ... , f (n) (x0 ), ... Traendo spunto dalla formula di Taylor è
naturale considerare la serie:
f 00 (x0 )
f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )2 + ...+
2
f (n) (x0 )
+ (x − x0 )n + ...
n!
La precedente espressione è detta serie di Taylor della funzione di
centro x0 . La funzione f (x) è sviluppabile in serie di Taylor se per
ogni x in un intorno di x0 , la serie è convergente e la somma vale
f (x); cioè esiste δ > 0 tale che:

X f (k) (x0 )
f (x) = (x − x0 )k ,
k!
k=0

∀x : |x − x0 | < δ,
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Teorema Sia f (x) una funzione che ammette infinite derivate
nell’intervallo [x0 − δ, x0 + δ], con δ > 0. Supponiamo che
|f (n) (x)| 6 M,
∀x ∈ [x0 − δ, x0 + δ], ∀n ∈ N.
Allora f (x) è sviluppabile in serie di Taylor di centro x0 .
Per ogni x ∈ [x0 − δ, x0 + δ] sia sn (x) la ridotta n esima della serie
e con Rn (x) il resto della formula di Taylor. Dunque
f (x) = sn (x) + Rn (x)
In base alla formula del resto di Lagrange si ha, dato che
|x − x0 | 6 δ:
f n+1 (ξ)(x − x0 )n+1 |x − x0 |n+1 δ n+1
|Rn (x)| = | |6M 6 M.
(n + 1)! (n + 1)! (n + 1)!
L’ultimo membro tende a zero e quindi |Rn (x)| → 0 e
analogamente Rn (x) → 0. Di conseguenza
sn (x) = f (x) − Rn (x) → f (x).
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Il teorema precedente si applica alle funzioni senx e cos x in tutto
R e alla funzione esponenziale f (x) = e x con x ∈ [−δ, δ].

x3 x5 x 2n+1
senx = x − + + ... + (−1)n + ...
3! 5! (2n + 1)!

x2 x4 x 2n
cos x = 1 − + + ... + (−1)n + ...
2! 4! (2n)!
x2 xn
ex = 1 + x + + ... + + ...
2! n!

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