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Progetto RIESCI

Preparazione ai corsi di

Analisi Matematica
ed al test d’ingresso
per l’accesso alle Facoltà di Ingegneria

Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi del Salento


Capitolo 1

Introduzione

1.1 Notazioni
La teoria degli insiemi non interviene direttamente nei test d’ingresso di
Matematica, ma sicuramente costituisce una base per l’approccio sistematico
di diversi argomenti di base, oltre che per le nozioni di logica previste in altre
parti del test d’ingresso.

1.1.1 Notazioni insiemistiche


Oltre alle notazioni utilizzate, lo studente dovrebbe essere in grado di utiliz-
zare contemporaneamente più concetti (ad esempio, l’intersezione dell’unione
di due insiemi con un ulteriore insieme) e descrivere il maniera alternativa
l’operazione svolta (ad esempio, utilizzando proprietà distributive) oltre a
saper fornire una rappresentazione grafica con i diagrammi di Eulero-Venn.
Gli insiemi vengono solitamente rappresentati con lettere maiuscole:
E, F, . . .
ed i loro elementi con lettere minuscole: x, y, . . . .
Un insieme contenente gli oggetti a, b, c, . . . si può indicare con il simbolo
{a, b, c, . . . }; inoltre, se E è un insieme assegnato e se, per ogni x ∈ E è
assegnata anche una proprietà P(x), l’insieme degli elementi di E per cui la
proprietà è vera si denota con {x ∈ E | P(x)}.
Se in particolare viene assegnata una proprietà che non è soddisfatta da
alcun elemento di E (ad esempio, P(x) =“x non è un elemento di E), si
ottiene un insieme privo di elementi, che viene denominato insieme vuoto e
denotato con ∅. L’insieme vuoto ∅ è caratterizzato dal fatto di non avere
elementi.
Inoltre, si assumono le seguenti notazioni:
4 Capitolo 1: Introduzione

∈ Simbolo di appartenenza. La notazione “x ∈ E” afferma che l’oggetto


x appartiene all’insieme (oppure è elemento di) E). La negazione di
tale circostanza si esprime scrivendo “x ∈
/ E”.

⊂ Simbolo di inclusione. La notazione “E ⊂ F ” afferma che l’insieme E è


contenuto nell’insieme (oppure è un sottoinsieme di) F , cioè gli elementi
di E sono anche elementi di F . La negazione di tale circostanza si
esprime scrivendo “E 6⊂ F ”.

∩ Simbolo di intersezione. La notazione “E ∩ F ” denota l’insieme cos-


tituito dagli elementi che appartengono sia ad E che ad F . Più in
generale, se I è un insieme e per ogni i ∈ I è assegnato un insieme
Ei , l’insieme intersezione costituito dagli\elementi che appartengono a
tutti gli insiemi Ei viene denotato con Ei . Due insiemi E ed F si
i∈I
dicono disgiunti se E ∩ F = ∅.

∪ Simbolo di unione. La notazione “E ∪ F ” denota l’insieme costituito


dagli elementi che appartengono o ad E oppure ad F (cioè ad almeno
uno dei due insiemi). Inoltre, se per ogni i ∈ I è assegnato un in-
sieme Ei , l’insieme unione costituito dagli elementi[
che appartengono
ad almeno uno degli insiemi Ei viene denotato con Ei .
i∈I

{ Simbolo di complementare. Se E è un sottoinsieme di F , la notazione


“{F (E)” denota l’insieme costituito dagli elementi di F che non ap-
partengono ad E.

r Simbolo di differenza di insiemi. La notazione “F r E” denota l’in-


sieme costituito dagli elementi di F che non appartengono ad E. Si ha
ovviamente F r E = {F (E ∩ F ).

Se x ed y sono oggetti distinti, l’insieme {x, y} viene denominato coppia


non ordinata (se x = y, si ottiene l’insieme {x} ridotto al solo elemento x).
Per quanto riguarda l’insieme {x, y}, non ha alcuna rilevanza l’ordine con il
quale compaiono i due elementi x ed y; invece nella coppia ordinata (x, y)
di prima coordinata x e seconda coordinata y l’ordine in cui compaiono gli
elementi diventa di importanza sostanziale (precisamente, si potrebbe porre
(x, y) = {{x}, {x, y}} per differenziare il ruolo dei due elementi, ma nel
seguito si preferirà basarsi su una definizione intuitiva).
Pertanto, si ha (a, b) = (c, d) se e solo se a = c e b = d.
In modo del tutto analogo, assegnati tre oggetti x, y e z, si può definire la
terna ordinata (x, y, z). Nel caso in cui x1 , x2 , . . . , xn siano n oggetti (n ≥ 2),
1.1 Notazioni 5

si definisce con lo stesso metodo la n-pla ordinata di prima coordinata x1 , di


seconda coordinata x2 , . . . , ed n-esima coordinata xn .
Se E ed F sono due insiemi, si può considerare l’insieme di tutte le coppie
ordinate con prima coordinata in E e seconda coordinata in F . Tale insieme
viene denominato insieme prodotto di E per F e viene denotato con il simbolo
E × F ; se E = F , si può anche scrivere E 2 anziché E × E.
Il prodotto cartesiano E × F può essere rappresentato geometricamente
indicando gli elementi dell’insieme E su un segmento disposto orizzontal-
mente e gli elementi di F su un segmento disposto verticalmente; gli elementi
del prodotto (coppie ordinate) sono allora rappresentati come elementi del
rettangolo in Figura 1.1.

y P

E x

Figura 1.1: Rappresentazione del prodotto cartesiano di due insiemi.

Si osservi che se l’insieme E è formato da n elementi distinti e l’insieme F


è formato da m elementi distinti, allora il prodotto cartesiano E × F possiede
esattamente n · m elementi distinti.
In modo analogo si considera il prodotto cartesiano E×F ×G di tre insiemi
E, F e G; esso è l’insieme delle terne ordinate la cui prima coordinata è un
elemento di E, la seconda coordinata è un elemento di F e la terza coordinata
è un elemento di G.
Più in generale, se E1 , E2 , . . . , En sono n insiemi (n ≥ 2), si può definire
il prodotto cartesiano E1 × E2 × · · · × En come l’insieme delle n-ple ordinate
(x1 , . . . , xn ) tali che x1 ∈ E1 , . . . xn ∈ En . Anche in questo caso, se E1 =
E2 = · · · = En = E, si utilizza il simbolo E n per denotare il prodotto
E1 × E2 × · · · × En .
6 Capitolo 1: Introduzione

1.1.2 Notazioni logiche


Lo studente dovrebbe essere in grado di utilizzare implicazioni ed equiv-
alenze in espressioni più complesse, coinvolgendo eventualmente anche la
congiunzione e la disgiunzione logica di due enunciati, ed effettuarne la
negazione.
Gli enunciati considerati in matematica (denominati anche proprietà,
proposizioni o affermazioni) sono asserzioni di senso compiuto che possono
essere o veri o falsi e vengono rappresentati con lettere corsive maiuscole; ad
esempio: A, B, C, . . . , P, Q, . . . .
Se A e B sono enunciati, si scrive A ⇒ B (“A implica B”) per denotare
l’enunciato vero nei casi in cui A sia falso oppure, supposto vero l’enunciato
A, risulta vero anche l’enunciato B; conseguentemente, “A ⇒ B” risulta falso
solo nel caso in cui A è vero e B è falso.
Inoltre, si scrive A ⇔ B (“A equivale a B”) per denotare l’enunciato vero
se e solo se gli enunciati A e B sono entrambi veri oppure entrambi falsi.

∀ Quantificatore universale “per ogni”. Per esprimere la circostanza in


cui una proprietà P (assegnata per ogni elemento x di un insieme E)
sia sempre verificata, si scrive

∀ x ∈ E : P(x)

(si legge “per ogni x in E si ha P(x))”. Il simbolo “:” ha la funzione


di abbreviazione linguistica e si legge “si ha che” oppure “risulta che”.

∃ Quantificatore esistenziale “esiste”. Per esprimere la circostanza in cui


una proprietà P (assegnata per ogni elemento x di un insieme E) sia
verificata per almeno un elemento, si scrive

∃ x ∈ E t.c. P(x)

(si legge “esiste x in E tale che P(x))”. Il simbolo “t.c.” ha la funzione


di abbreviazione linguistica e si legge “tale che”. In molti casi viene
utilizzato anche il simbolo 30 come abbreviazione di tale che. Nel caso
in cui esista esattamente un unico elemento di x ∈ E per cui P(x) sia
vera si scrive ∃|x ∈ E t.c. P(x) (si legge “esiste un unico x in E tale
che P(x))”.

1.1.3 Notazioni numeriche


N Insieme dei numeri naturali: 0, 1, 2, 3, . . .
1.1 Notazioni 7

Z Insieme dei numeri interi relativi: . . . , -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3, . . .

Q Insieme dei numeri razionali, che possono cioè essere espressi nella
forma
m
, dove m ∈ Z ed n ∈ N r {0}.
n
Un numero razionale q si può rappresentare in forma decimale:

q = a0 , a1 . . . ar ar+1 . . . ar+s

dove a0 ∈ Z, a1 . . . ar+s ∈ {0, 1, . . . , 9} e la parte periodica ar+1 . . . ar+s


è da intendersi ripetuta infinite volte.

R Insieme dei numeri reali, che in forma decimale hanno la seguente


rappresentazione
a0 , a1 a2 a3 . . .
dove a0 ∈ Z, a1 a2 a3 · · · ∈ {0, 1, . . . , 9} e non vi è necessariamente una
parte periodica.

C Insieme dei numeri complessi, che in forma geometrica hanno la rapp-


resentazione
z = (a, b)
con a, b ∈ R. (In forma algebrica, il numero complesso z = (a, b)
si scrive z = a + ib dove i denota l’unità immaginaria definita come
soluzione dell’equazione x2 + 1 = 0.)

Un’utile convenzione riguarda la somma e il prodotto di un numero finito


di elementi di un insieme numerico: assegnati i numeri a1 , . . . , an si pone
n
X n
Y
ak := a1 + . . . an , ak := a1 · · · an .
k=1 k=1

Per quanto riguarda i sottoinsiemi di R, avranno particolare rilevanza i


seguenti sottoinsiemi denominati intervalli:

• Intervalli limitati. Siano a, b ∈ R tali che a < b. Si pone:


[a, b] = {x ∈ R | a ≤ x ≤ b} (intervallo limitato chiuso di estremi a
e b);
]a, b[= {x ∈ R | a < x < b} (intervallo limitato aperto di estremi a
e b);
8 Capitolo 1: Introduzione

[a, b[= {x ∈ R | a ≤ x < b} (intervallo limitato semichiuso a sinistra


(oppure semiaperto a destra) di estremi a e b);
]a, b] = {x ∈ R | a < x ≤ b} (intervallo limitato semiaperto a
sinistra (oppure semichiuso a destra) di estremi a e b);

• Intervalli illimitati. Sia c ∈ R. Si pone:


[c, +∞[= {x ∈ R | c ≤ x} (intervallo illimitato a destra chiuso di
estremo c);
]c, +∞[= {x ∈ R | c < x} (intervallo illimitato a destra aperto di
estremo c);
] − ∞, c] = {x ∈ R | x ≤ c} (intervallo illimitato a sinistra chiuso
di estremo c);
] − ∞, c[= {x ∈ R | x < c} (intervallo illimitato a destra aperto di
estremo c).

Le notazioni [c, → [ e ] ←, c] sono equivalenti a [c, +∞[ e ] − ∞, c].


Se x0 ∈ R e δ > 0, si denomina intervallo centrato aperto (rispettiva-
mente, chiuso) di centro x0 e raggio δ, l’intervallo aperto ]x0 −δ, x0 +δ[ (rispet-
tivamente, l’intervallo chiuso [x0 − δ, x0 + δ]). Nel seguito, sarà opportuno
ricorrere alle seguenti notazioni:

Iδ (x0 ) =]x0 − δ, x0 + δ[ , Iδ+ (x0 ) = [x0 , x0 + δ[ , Iδ− (x0 ) =]x0 − δ, x0 ] .


(1.1.1)
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Capitolo 2

Alcune proprietà degli insiemi


numerici

In questo capitolo sono raccolte alcune delle proprietà degli insiemi numerici
che verranno utilizzate frequentemente nel seguito.

2.1 Principio di induzione


Per quanto riguarda l’insieme dei numeri naturali, si richiama la seguente pro-
prietà, la cui dimostrazione è basata sulle proprietà della relazione d’ordine
di N di cui si è evitato l’approfondimento.

Proposizione 2.1.1 (Principio di induzione completa) Se A è un sot-


toinsieme di N tale che
½
1) 0∈A,
2) n∈A ⇒ n+1∈A,

allora A = N.

Si supponga che, per ogni n ∈ N, sia assegnata una proprietà P(n);


applicando il principio di induzione all’insieme A := {n ∈ N | P(n)}, si
riconosce che se P(0) è vera e se, supposta vera P(n) per un fissato n ∈ N,
risulta vera anche P(n + 1), allora la proprietà P(n) è vera per ogni n ∈ N.
Naturalmente, se anzichè considerare 0 come punto iniziale si considera
un numero naturale p, si avrà che la proprietà P(n) sarà vera per ogni n ≥ p.
4 Capitolo 2: Alcune proprietà degli insiemi numerici

2.2 Formula del binomio di Newton


Il principio di induzione completa consente di riconoscere agevolmente la
seguente formula del binomio di Newton. È necessario tuttavia introdurre
alcune notazioni preliminari.
Innanzitutto, conviene richiamare la definizione di fattoriale di un numero
naturale:
0! := 1 , ∀ n ∈ N : (n + 1)! := (n + 1) · n! . (2.2.1)
Si possono definire ora i coefficienti binomiali. Se n ∈ N µ e¶k = 0, . . . , n,
n
si definisce coefficiente binomiale n su k, e si denota con , il seguente
k
numero naturale:
µ ¶
n n! n(n − 1) · · · (n − k + 1)
:= = . (2.2.2)
k k! (n − k)! k!
Il motivo per cui tale numero viene denominato coefficiente binomiale
risulterà chiaro dallo studio della formula del binomio di Newton.
Si possono elencare le seguenti proprietà elementari dei coefficienti bino-
miali.
µ ¶ µ ¶
n n
1. Per ogni n ∈ N, si ha = 1, = 1.
0 n
2. Per ogni n ≥ 2 e k = 1, . . . , n − 1, si ha
µ ¶
n n · (n − 1) · · · (n − k + 1)
= .
k k!

3. Per ogni n ∈ N e k = 0, . . . , n
µ ¶ µ ¶
n n
= .
n−k k

4. Per ogni n ≥ 1 e k = 1, . . . , n, si ha
µ ¶ µ ¶ µ ¶
n+1 n n
= + .
k k k−1
Infatti, dalla definizione,
µ ¶ µ ¶
n n n! n! (n − k + 1) · n! + k · n!
+ = + =
k k−1 k!(n − k)! (k − 1)!(n − k + 1)! k!(n − k + 1)!
µ ¶
(n + 1) · n! (n + 1)! n+1
= = = .
k!(n − k + 1)! k!(n − k + 1)! k
2.2 Formula del binomio di Newton 5

Proposizione 2.2.1 (Formula del binomio di Newton) Per ogni a, b ∈


R ed n ≥ 1, si ha:
Xn µ ¶
n n k n−k
(a + b) = a b .
k=0
k

Dimostrazione. Se n = 1, la tesi è ovvia. Si supponga ora che la tesi sia vera per un
numero naturale n ≥ 1.
Allora, dalle proprietà dei coefficienti binomiali,

(a + b)n+1 = (a + b)n · (a + b) = a · (a + b)n + b · (a + b)n


Xn µ ¶ n µ ¶
n k+1 n−k X n k n+1−k
= a b + a b
k k
k=0 k=0
X µn¶
n−1 Xn µ ¶
n k n+1−k
n+1 k+1 n−k n+1
= a + a b +b + a b
k k
k=0 k=1
Xn µ ¶ Xn µ ¶
n n k n+1−k
= an+1 + bn+1 + ah bn−h+1 + a b
h−1 k
h=1 k=1
Xn µµ ¶ µ ¶¶
n n
= an+1 + bn+1 + + ak bn+1−k
k−1 k
k=1
Xn µ ¶
n+1 n+1 n + 1 k n+1−k
= a +b + a b
k
k=1
X µn + 1¶
n+1
= ak bn+1−k ,
k
k=0

e quindi la tesi è vera per il numero naturale n+1. Dal principio di induzione (Proposizione
2.1.1), si ottiene la tesi.

2.2.1 Valore assoluto e distanza in R


Per ogni x ∈ R, il valore assoluto di x viene denotato con |x| ed è definito al
modo seguente ½
x, se x ≥ 0 ,
|x| := (2.2.3)
−x , se x < 0 .
In base alla definizione precedente, si dimostrano facilmente le seguenti
proprietà, valide per ogni x, y ∈ R.

1. |x| ≥ 0 ;

2. |x| = 0 ⇔ x = 0 ;

3. | − x| = |x| ;
6 Capitolo 2: Alcune proprietà degli insiemi numerici

4. x ≤ |x| ;
5. |x · y| = |x| · |y| ;
6. |x + y| ≤ |x| + |y| ;
(infatti, se x + y ≥ 0, dalla proprietà 4., |x + y| = x + y ≤ |x| + |y|, mentre, se
x + y < 0, sempre dalle 4. e 3., |x + y| = −x − y ≤ | − x| + | − y| = |x| + |y|).

7. | |x| − |y| | ≤ |x − y| ;
(infatti, se |x| − |y| ≥ 0, dalla proprietà 6. si ha |x| = |(x − y) + y| ≤ |x − y| + |y| e
quindi | |x| − |y| | = |x| − |y| ≤ |x − y|; se |x| − |y| < 0, si procede allo stesso modo
invertendo i ruoli di x e y.)

Nello studio delle disequazioni che coinvolgono il valore assoluto risultano


inoltre particolarmente utili le proprietà seguenti, in cui il valore assoluto
viene confrontato con un numero reale a.
8. i) se a < 0, la diseguaglianza |x| ≤ a non è mai soddisfatta;
ii) se a ≥ 0, si ha |x| ≤ a se e solo se −a ≤ x ≤ a.
9. i) se a ≤ 0, la diseguaglianza |x| < a non è mai soddisfatta;
ii) se a > 0, si ha |x| < a se e solo se −a < x < a.
10. i) se a ≤ 0, la diseguaglianza |x| ≥ a è sempre soddisfatta;
ii) se a > 0, si ha |x| ≥ a se e solo se x ≤ −a oppure x ≥ a;
11. i) se a < 0, la diseguaglianza |x| > a è sempre soddisfatta;
ii) se a ≥ 0, si ha |x| > a se e solo sex < −a oppure x > a.
Il valore assoluto di un numero reale consente di definire la distanza tra
due numeri reali. Precisamente, per ogni coppia di numeri reali (x, y) ∈ R2 ,
la distanza di x da y viene denotata con d(x, y) ed è definita ponendo
d(x, y) := |x − y| .
Valgono le seguenti proprietà della distanza, che seguono direttamente
dalle proprietà 1., 2., 3. e 6. del valore assoluto elencate sopra.
1. ∀ (x, y) ∈ R2 : d(x, y) ≥ 0 ;
2. ∀ (x, y) ∈ R2 : d(x, y) = 0 ⇔ x = y ;
3. ∀ (x, y) ∈ R2 : d(y, x) = d(x, y) (proprietà simmetrica della distanza);
4. ∀ (x, y, z) ∈ R3 : d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, z) (proprietà triangolare della
distanza).
2.2 Formula del binomio di Newton 7

2.2.2 Rappresentazione geometrica di Rn , n ≤ 3


Nello studio delle funzioni reali è di notevole aiuto la rappresentazione geo-
metrica sia di R che di R2 e, per le funzioni di due variabili, anche di
R3 .
L’insieme dei numeri reali viene solitamente rappresentato come l’insieme
dei punti di una retta. Infatti, sia r una retta e si fissino due punti distinti
O e U di r corrispondenti ai numeri reali 0 e 1. La semiretta avente O
come estremo e contenente il punto U viene denominata semiasse positivo
ed indicata con r+ ; analogamente, la semiretta di estremo O non contenente
il punto U viene denominata semiasse negativo ed indicata con r− . Si può
allora definire una corrispondenza tra un numero reale x ed uno ed un solo
elemento P della retta r prendendo il segmento OU come unità di misura e
considerando il segmento OP avente lunghezza x con P in r+ se x è positivo
e P in r− se x è negativo. Viceversa, la stessa corrispondenza consente di
far corrispondere ad ogni punto P della retta uno ed un solo numero reale
x. In questo modo ogni numero reale viene identificato con un punto della
retta r e viceversa. Per questo motivo la retta r (o l’insieme R) viene anche
denominata retta reale cosı̀ come gli elementi di R vengono spesso chiamati
punti. Infine la semiretta positiva r+ (denominata anche semiretta positiva)
viene spesso evidenziata mediante una freccia come in Figura 2.1.

»
:
»»
» »»» r
»
•»
»
»»» 1
» »•
»» »» 0
»»»

Figura 2.1: Rappresentazione geometrica dei numeri reali.

Si considera ora una rappresentazione del prodotto cartesiano R2 . In


questo caso si fissano due rette r1 ed r2 non parallele su un piano π. Si
denota con O il punto di intersezione di r1 ed r2 ed inoltre su ognuna delle
due rette si considera un ulteriore punto distinto da O che verrà denotato
con U1 e rispettivamente U2 . In questo modo si dice che è stato assegnato un
riferimento cartesiano ed il piano π viene anche denominato piano cartesiano.
Ad ogni (x, y) ∈ R2 , si può far corrispondere una ed una sola coppia (P1 , P2 )
con P1 ∈ r1 e P2 ∈ r2 (in quanto sulle rette r1 ed r2 si può considerare
una rappresentazione dei numeri reali) e successivamente si può considerare
il punto P del piano π ottenuto come intersezione delle rette parallele ad r2
ed r1 e passanti per P1 e rispettivamente P2 (vedasi la Figura 2.2).
8 Capitolo 2: Alcune proprietà degli insiemi numerici

y £± •P
£
£
£
£
£
£
£
£
£
0£ x -
£
£

Figura 2.2: Riferimento cartesiano non ortogonale.

Anche ora con il procedimento inverso, ad ogni punto del piano π si può
far corrispondere una ed una sola coppia di numeri reali. Quindi il piano π
può essere identificato con il prodotto cartesiano R2 .
Il punto O viene denominato origine del riferimento cartesiano e cor-
risponde ovviamente alla coppia (0,0) (mentre i punti U1 e U2 corrispondono
alle coppie (1,0) e rispettivamente (0,1)).
La retta r1 viene denominata asse delle ascisse e la retta r2 asse delle
ordinate. Inoltre le coordinate della coppia (x, y) al quale corrisponde il
punto P di π vengono anche denominate ascissa e ordinata di P ed il punto
P di coordinate (x, y) viene indicato anche con P (x, y).
Nel caso particolare in cui le due rette r1 e r2 siano perpendicolari, il
riferimento cartesiano si dice ortogonale. Se, in più, i punti U1 ed U2 su r1 e
rispettivamente r2 vengono fissati alla stessa distanza dall’origine O, allora il
riferimento ortogonale viene denominato ortonormale (vedasi la Figura 2.3).
Conviene osservare che la rappresentazione geometrica di R2 su un piano
cartesiano consente di definire anche in R2 una distanza con le stesse proprietà
di quella già precedentemente introdotta in R. Infatti, per ogni coppia x =
(x1 , x2 ) e y = (y1 , y2 ) di elementi di R2 la distanza di x da y viene indicata
con d(x, y) ed è definita ponendo
p
d(x, y) := (y1 − x1 )2 + (y2 − x2 )2 .

B La rappresentazione geometrica di R3 si può ottenere in maniera del tutto


analoga a quella discussa considerando tre rette non complanari r1 , r2 ed r3
nello spazio Σ, che si intersecano in un punto 0. Su ognuna delle rette r1 , r2 ed
2.2 Formula del binomio di Newton 9

y P
½•
½
½
½
½
½
½
½
½
½
½
½
½
0 ½½ x -

Figura 2.3: Riferimento cartesiano ortonormale.

r3 , che per semplicità vengono supposte perpendicolari tra loro, viene fissato
un ulteriore punto distinto da O e che viene denotato rispettivamente con
U1 , U2 e U3 . Il piano contenente le rette r1 , r2 viene spesso denominato piano
xy, quello contenente le rette r1 , r3 viene denominato piano xz ed infine il
piano contenente le rette r2 , r3 viene denominato piano yz.
Anche in questo caso si dice che è stato assegnato un riferimento carte-
siano nello spazio Σ, che viene denominato spazio euclideo. Ad ogni (x, y, z) ∈
R3 , si può far corrispondere una ed una sola terna (P1 , P2 , P3 ) con P1 ∈
r1 , P2 ∈ r2 e P3 ∈ r3 e successivamente si può considerare il punto P di Σ
ottenuto come intersezione dei piani paralleli ai piani yz, xz e xy e passanti
rispettivamente per i punti P1 , P2 e P3 (vedasi la Figura 2.4).
Il procedimento inverso fa corrispondere ad ogni punto di Σ una ed una
sola terna di numeri reali. Quindi lo spazio Σ può essere identificato con il
prodotto cartesiano R3 .
Anche ora il punto O viene denominato origine del riferimento carte-
siano e corrisponde ovviamente alla terna (0,0,0) (mentre i punti U1 , U2 e U3
corrispondono alle terne (1,0,0), (0,1,0) e rispettivamente (0,0,1)).
La retta r1 viene denominata asse delle ascisse, la retta r2 asse delle
ordinate e infine la retta r3 asse delle altezze.
Inoltre le coordinate della terna (x, y, z) alla quale corrisponde il punto
P di Σ vengono anche denominate ascissa, ordinata e altezza (oppure quota)
di P ed il punto P di coordinate (x, y, x) viene indicato anche con P (x, y, z).
Per n ≥ 4 non è possibile una rappresentazione geometrica di Rn ; tut-
tavia, è ancora possibile considerare una distanza che verifica le stesse pro-
10 Capitolo 2: Alcune proprietà degli insiemi numerici

z6

•P

-
´0 y
´
´
´
´
´
x´´

Figura 2.4: Riferimento cartesiano dello spazio.

prietà di quella introdotta in R.


Si supponga infatti n ≥ 3. Per ogni coppia di n-ple x = (x1 , . . . , xn ) e
y = (y1 , . . . , yn ) di elementi di Rn , infatti, si può definire la distanza d(x, y)
di x da y ponendo v
u n
uX
d(x, y) := t (yi − xi )2 .
i=1

2.3 Proprietà dei sottoinsiemi di R


Nella presente sezione si richiamano alcune nozioni relative ai sottoinsiemi di
R che verranno utilizzate in seguito per definire altrettante proprietà delle
funzioni reali.
Sia X un sottoinsieme non vuoto di R. Valgono le seguenti definizioni.
• Sottoinsiemi limitati. Si dice che X è limitato superiormente (rispet-
tivamente, limitato inferiormente) se
∃ M ∈ R t.c. ∀ x ∈ X : x ≤ M (rispettivamente, M ≤ x ). (2.3.1)
Ogni elemento M ∈ R verificante la (2.3.1) viene denominato maggio-
rante (rispettivamente, minorante) di X. Infine, si dice che X è limitato
se è limitato sia superiormente che inferiormente, cioè se
∃ m, M ∈ R t.c. ∀ x ∈ X : m ≤ x ≤ M . (2.3.2)
2.3 Proprietà dei sottoinsiemi di R 11

Gli intervalli illimitati a sinistra sono particolari esempi di sottoinsiemi


limitati superiormente di R, gli intervalli illimitati a destra sono esempi
di sottoinsiemi limitati inferiormente di R ed infine gli intervalli limitati
sono sottoinsiemi limitati di R. Viceversa, ogni sottoinsieme limitato
superiormente di R è un sottoinsieme di un intervallo illimitato a sin-
istra, ogni sottoinsieme limitati inferiormente è un sottoinsieme di un
intervallo illimitato a destra ed ogni sottoinsieme limitato di R è un
sottoinsieme di un intervallo limitato di R.
• Sottoinsiemi dotati di massimo e minimo. Si dice X è dotato di
massimo (rispettivamente, dotato di minimo) se
∃ M ∈ X t.c. ∀ x ∈ X : x ≤ M (rispettivamente, M ≤ x ). (2.3.3)
(A differenza dei maggioranti e minoranti in cui M ∈ R, questa volta si
pretende M ∈ X.) L’elemento M verificante la (2.3.3), univocamente
determinato dalla condizione M ∈ X, viene denominato massimo di
X (rispettivamente, minimo di X) e denotato con uno dei seguenti
simboli:
max X , max x , (rispettivamente, min X , min x ).
x∈X x∈X

Gli intervalli semichiusi a destra sono particolari esempi di sottoinsiemi


dotati di massimo e quelli semichiusi a sinistra di sottoinsiemi dotati
di minimo.
• Sottoinsiemi dotati di estremi. Si dice X è dotato di estremo
superiore (rispettivamente, dotato di estremo inferiore) se esiste un
elemento ` ∈ R tale che

 1) ∀ x ∈ X : x ≤ ` (rispettivamente, ` ≤ x );
2) m ∈ R, ∀ x ∈ X : x ≤ m ⇒ ` ≤ m (2.3.4)

(rispettivamente, ∀ x ∈ X : m ≤ x ⇒ m ≤ ` ).
Anche in questo caso l’elemento ` verificante la (2.3.4) è unico, viene
denominato estremo superiore di X (rispettivamente, estremo inferiore
di X) e viene denotato con
sup X , sup x , (rispettivamente, inf X , inf x ).
x∈X x∈X

La seconda proprietà in (2.3.4) si può esprimere in maniera equivalente


come segue
∀ ε > 0 ∃ x ∈ X t.c. ` − ε < x (rispettivamente, x < ` + ε ). (2.3.5)
12 Capitolo 2: Alcune proprietà degli insiemi numerici

Una proprietà notevole dei sottoinsiemi di R è la seguente.

Proposizione 2.3.1 (Seconda forma dell’assioma di completezza)1


Ogni sottoinsieme limitato superiormente (rispettivamente, inferiormente) di R è dota-
to (in R) di estremo superiore (rispettivamente, estremo inferiore).

Nel caso in cui un insieme non sia limitato superiormente (rispettiva-


mente, inferiormente), esso non è dotato di estremo superiore (rispettiva-
mente, inferiore); in tal caso, si scriverà per convenzione

sup X = +∞ , (rispettivamente, inf X = −∞ ). (2.3.6)

1
Tale proprietà costituisce la differenza sostanziale tra gli insiemi Q ed R; in Q, ad
esempio, l’insieme limitato {q ∈ Q | q > 0 , q 2 < 2} non è dotato di estremo superiore
(appartenente a Q).
Nella prima forma dell’assioma di completezza, equivalente a quella esposta, vengono
considerati sottoinsiemi separati di R; se A, B ⊂ R, si dice che A e B sono separati se sono
non vuoti e verificano una delle seguenti proprietà:

∀a∈A∀b∈B: a≤b oppure ∀a∈A∀b∈B: b≤a.

Un elemento λ ∈ R si dice elemento separatore di due sottoinsiemi separati A e B se

∀a∈A∀b∈B: a≤λ≤b oppure ∀a∈A∀b∈B: b≤λ≤a.

La prima forma dell’assioma di completezza asserisce allora che due sottoinsiemi separati
di R ammettono sempre almeno un elemento separatore.
Infine, si osserva che l’elemento separatore non è in generale unico, a meno che non
si supponga che i sottoinsiemi A e B, oltre d essere separati, siano anche contigui, cioè
verifichino l’ulteriore condizione:

∀ ε > 0 : ∃ a ∈ A, ∃ b ∈ B t.c. 0 ≤ b − a < ε oppure 0 ≤ a − b < ε .


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ed al test d’ingresso
per l’accesso alle Facoltà di Ingegneria

Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi del Salento


Capitolo 3

Funzioni

Rinunciando ad un’esposizione precisa del concetto di funzione, bisogna tener


presente che intuitivamente assegnare una funzione vuol dire assegnare tre
oggetti: un insieme di partenza (denominato anche insieme di definizione
oppure dominio di f ), un insieme di arrivo ed il grafico della funzione, cioè
una ‘corrispondenza’ che ad ogni elemento dell’insieme di partenza associa
uno ed un solo elemento dell’insieme di arrivo. Una funzione f che ha E
come insieme di partenza ed F come insieme di arrivo viene indicata con
f
f : E → F (oppure talvolta con E → F oppure con x 7→ f (x)). Il valore
che una funzione f assume in un elemento x ∈ E viene denotato con f (x) e
rappresenta l’unico elemento di F associato ad x mediante la funzione f .
Il grafico Gf di una funzione f : E → F viene definito come l’insieme
delle coppie ordinate (x, y) con x ∈ E e y = f (x):
Gf = {(x, f (x)) | x ∈ E} . (3.0.1)
Sia ora f : E → F una funzione di E in F . Se A è un sottoinsieme di E, si denomina
immagine diretta di A mediante f , e la si denota con f (A), il seguente sottoinsieme di F :
f (A) := {y ∈ F | ∃ x ∈ A t.c. f (x) = y} . (3.0.2)
L’immagine diretta di E mediante f viene denominata semplicemente immagine di f
(oppure insieme dei valori di f ) e denotata anche con Im(f ).
Si osservi che l’immagine di f non coincide necessariamente con tutto l’insieme F . Nel
caso in cui ciò accada, si dice che la funzione f è suriettiva (o anche surgettiva; quindi, f
è suriettiva se è verificata la seguente condizione:
∀ y ∈ F ∃ x ∈ E t.c. f (x) = y . (3.0.3)
Al contrario, se è assegnato un sottoinsieme B di F , si definisce immagine reciproca
−1
(oppure immagine indiretta o controimmagine) di B mediante f , e la si denota con f (B),
il seguente sottoinsieme di E:
−1
f (B) := {x ∈ E | f (x) ∈ B} . (3.0.4)
4 Capitolo 3: Funzioni

−1 −1
Se si considera y ∈ F , la controimmagine f ({y}) viene anche denotata con f (y). Si
−1
osservi che f (y) risulta vuota se la funzione f non assume il valore y in alcun elemento
−1
x ∈ E (tale circostanza non si verifica se la funzione è suriettiva). Inoltre, qualora f (y) sia
non vuota, non è detto che essa sia costituita da un solo elemento x ∈ E; se quest’ultima
condizione è soddisfatta, la funzione f viene denominata iniettiva (o anche ingettiva.
Quindi f è iniettiva se verifica la seguente condizione:

x, y ∈ E, f (x) = f (y) ⇒ x = y . (3.0.5)

Infine, una funzione f : E → F viene denominata biiettiva (o anche bigettiva) se


essa è contemporaneamente iniettiva e suriettiva. Dalle (3.0.3) e (3.0.5), la proprietà di
biiettività si caratterizza come segue:

∀ y ∈ F ∃|x ∈ E t.c. f (x) = y . (3.0.6)

La proprietà di biiettività consente quindi di considerare una nuova funzione g : F → E


definita ponendo, per ogni y ∈ F ,

g(y) := x , dove x ∈ E e f (x) = y (3.0.7)

(si osservi che x è univocamente determinato dalle condizioni x ∈ E e f (x) = y).


Viene quindi introdotto in modo naturale il seguente concetto di funzione inversa.
Si dice che una funzione f : E → F è invertibile se esiste una funzione
g : F → E tale che

∀ x ∈ E : g(f (x)) = x , ∀ y ∈ F : f (g(y)) = y . (3.0.8)

La funzione g è unica e viene denominata inversa di f e denotata con il


simbolo f −1 ; le proprietà (3.0.8) si possono quindi scrivere nel modo seguente

∀ x ∈ E : f −1 (f (x)) = x , ∀ y ∈ F : f (f −1 (y)) = y . (3.0.9)

Da quanto sopra, segue che ogni funzione biiettiva è invertibile; anche il viceversa come
si può verificare direttamente dalle definizioni e quindi le funzioni biiettive sono tutte e
sole quelle invertibili.
Un’ulteriore operazione importante tra funzioni è quella di funzione com-
posta.
Siano assegnati E, F e G insiemi e siano f : E → F una funzione di E
in F e g : F → G una funzione di F in G. Si denomina funzione composta
di f e g, e la si denota con g ◦ f “g cerchietto f ” la funzione avente E come
insieme di partenza, G come insieme di arrivo e tale che, per ogni x ∈ E,

(g ◦ f )(x) := g(f (x)) . (3.0.10)

In realtà, la funzione composta può essere definita in circostanze più


generali, in cui non è necessario che l’insieme di arrivo di f coincida con
5

l’insieme di partenza di g; è sufficiente, infatti, che l’insieme di arrivo di f sia


un sottoinsieme di F affinchè continui ad avere senso la definizione (3.0.10).
In molte circostanze, una funzione verifica una determinata proprietà (per esempio,
quella di essere iniettiva oppure biiettiva) non su tutto l’insieme di partenza, ma su di
un particolare sottoinsieme di esso. In tali casi, può risultare utile ricorrere al seguente
concetto di restrizione di una funzione.
Siano assegnati una funzione f : E → F ed un sottoinsieme A di E.
Si denomina restrizione di f all’insieme A, e si denota con f|A , la funzione da A in F
definita ponendo, per ogni x ∈ A,

f|A (x) := f (x) . (3.0.11)

Quindi i valori della restrizione sono gli stessi della funzione; la restrizione f|A tuttavia
risulta definita nel sottoinsieme A anziché nell’intero insieme E.
Il concetto di restrizione risulta utile soprattutto nei casi in cui si voglia ottenere una
funzione iniettiva partendo da una funzione arbitraria; in tali casi infatti si considera un
particolare sottoinsieme in cui la proprietà di iniettività è soddisfatta.
D’altra parte, è sempre possibile ottenere una funzione suriettiva partendo da una
qualsiasi funzione; infatti, se f : E → F è una funzione da E in F , si può considerare la
ridotta di f , che si denota con f# , ed è definita in E, ha f (E) come insieme di arrivo e
inoltre, per ogni x ∈ E,
f# (x) := f (x) . (3.0.12)
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Capitolo 4

Funzioni reali

Lo studio delle funzioni reali (aventi cioè R come insieme di arrivo) è l’obi-
ettivo principale dello studio seguente.
Nella prima parte saranno considerate funzioni reali definite in un inter-
vallo di R (oppure nell’unione di intervalli di R) mentre nella seconda parte
si considereranno funzioni reali definite più in generale in un sottoinsieme di
Rn , n ≥ 2.

4.1 Operazioni con le funzioni reali


Per le funzioni reali, valgono tutti i concetti introdotti nella sezione prece-
dente. Inoltre, la struttura di R consente di prendere in considerazione le
seguenti operazioni.
1. Somma. Siano X ed Y insiemi e siano f : X → R e g : Y → R funzioni
reali. Si definisce funzione somma di f e g, la funzione f +g : X∩Y → R
definita ponendo, per ogni x ∈ X ∩ Y ,
(f + g)(x) := f (x) + g(x) . (4.1.1)
Dalle proprietà della somma dei numeri reali, seguono analoghe pro-
prietà della somma di funzioni reali, come quella associativa e commu-
tativa. La funzione nulla è la funzione 0 : X → R definita ponendo
0(x) = 0 per ogni x ∈ R. Più in generale, se c ∈ R, si continua a de-
notare con c la funzione costante di costante valore c (per ogni x ∈ R,
c(x) = c); con tale convenzione, si può dare un significato alla somma
f + c.
2. Funzione opposta. Se f : X → R è una funzione reale, la sua opposta,
che si denota con −f , è la funzione −f : X → R definita ponendo, per
ogni x ∈ X, f (x) = −f (x).
4 Capitolo 4: Funzioni reali

3. Prodotto. Siano X ed Y insiemi e siano f : X → R e g : Y → R


funzioni reali. Si definisce funzione prodotto di f e g, la funzione f · g :
X ∩ Y → R definita ponendo, per ogni x ∈ X ∩ Y ,
(f · g)(x) := f (x) · g(x) . (4.1.2)
Anche in questo caso valgono le proprietà associativa e commutativa.
Inoltre, la funzione unità è la funzione 1 : X → R definita ponendo
1(x) = 1 per ogni x ∈ R. Con le stesse convenzioni relative alla funzione
somma, si può ora considerare il prodotto c · f di un numero reale per
una funzione.
4. Funzione reciproca. Sia f : X → R una funzione reale non costan-
temente nulla e si consideri l’insieme X0 = {x ∈ X | f (x) 6= 0}. La
1
funzione reciproca di f , che si denota con (non con f −1 ), è la funzione
f
1 1 1
: X0 → R definita ponendo, per ogni x ∈ X0 , (x) = .
f f f (x)
5. Funzione quoziente. Siano X ed Y insiemi e siano f : X → R e
g : Y → R funzioni reali, con g non costantemente nulla. Si definisce
f 1
funzione quoziente di f e g, e si denota con , la funzione f · (prodotto
g g
di f con la reciproca di g). Ovviamente, la funzione quoziente è definita
in {x ∈ X ∩ Y | g(x) 6= 0}.
6. Funzione inversa. Siano X un sottoinsieme di R ed f : X → R una
funzione reale. Si è già visto che se f è biiettiva, si può considerare
la funzione inversa f −1 : R → X. Tuttavia, per le funzioni reali, è
possibile estendere tale definizione anche al caso in cui f sia solamente
iniettiva. Infatti, in tale circostanza, si può considerare la funzione
ridotta f# di f (vedasi la (3.0.12)) la quale risulta biiettiva e quindi
ammette un’inversa (f# )−1 : f (X) → X. Si estende ora l’insieme
di arrivo all’intero R (per ottenere una funzione reale) considerando
la funzione f −1 : f (X) → R definita ponendo, per ogni y ∈ f (X),
f −1 (y) = (f# )−1 . Tale funzione viene ancora denominata funzione
inversa di f e, per come è definita, in ogni y ∈ f (X) assume come
valore l’unico elemento x ∈ X tale che y = f (x). Si osservi che, al pari
di f , la funzione f −1 risulta essere iniettiva.
Tale procedimento verrà applicato in particolare per ottenere le funzioni
inverse delle funzioni elementari (in qualche caso bisognerà inoltre con-
siderare opportune restrizioni (vedasi la (3.0.11)) in modo da ottenere
una funzione iniettiva.
4.2 Estremi di funzioni reali 5

7. Funzione composta. Se X ed Y sono sottoinsiemi di R e f : X → R


e g : Y → R sono funzioni reali, si è già visto in generale che la funzione
composta g ◦ f può essere considerata supponendo f (X) ⊂ Y (vedasi
la (3.0.10)).

4.2 Estremi di funzioni reali


Tutte le proprietà esposte nella Sezione 2.3 possono essere riferite alle funzioni
reali applicandole all’immagine della funzione, che è un sottoinsieme di R.
Pertanto, se X è un insieme1 ed f : X ∈ R è una funzione reale, si ottengono
le seguenti definizioni:
• Funzioni limitate. Si dice che f è limitata superiormente (rispetti-
vamente, limitata inferiormente) se f (X) è un sottoinsieme limitato
superiormente (rispettivamente, inferiormente) di R, cioè se
∃ M ∈ R t.c. ∀ x ∈ X : f (x) ≤ M (rispettivamente, M ≤ f (x) )
(4.2.1)
(si è tenuto conto del fatto che per ogni y ∈ f (X) esiste x ∈ X tale che
y = f (x)).
Ogni elemento M ∈ R verificante la (4.2.1) viene ovviamente denomi-
nato maggiorante (rispettivamente, minorante) di f . Infine, si dice che
f è limitata se è limitata sia superiormente che inferiormente.
• Funzioni dotate di massimo e minimo. Si dice f è dotata di
massimo (rispettivamente, dotata di minimo) se se tale è il sottoinsieme
f (X) di R, e quindi se esiste M ∈ R tale che
½
1) ∃x ∈ X t.c. f (x0 ) = M ;
2) ∀ x ∈ X : f (x) ≤ M (rispettivamente, M ≤ f (x) ).
(4.2.2)
L’elemento M verificante la (4.2.2) è unico e viene denominato massimo
di f (rispettivamente, minimo di f ) e si denota con uno dei seguenti
simboli:
max f , max f (x) , (rispettivamente, min X , min f (x) ).
x∈X x∈X

Spesso a tale elemento M si attribuisce anche la denominazione di mas-


simo assoluto (rispettivamente, minimo assoluto di f per distinguerlo
dai massimi e minimi relativi di cui si tratterà di seguito.
1
In tutto il seguito, l’insieme di definizione di una funzione verrà implicitamente
supposto non vuoto, anche se non precisato esplicitamente.
6 Capitolo 4: Funzioni reali

Al contrario, l’elemento x0 ∈ X previsto in 1) non è necessariamente


unico. Ogni elemento x0 ∈ X verificante la condizione 1) precedente
viene denominato punto di massimo (rispettivamente, punto di minimo
per f .

Accanto alle definizioni precedenti, conviene a questo punto introdurre la


seguente.

Definizione 4.2.1 Siano f : X → R una funzione reale e sia x0 ∈ X. Si


dice che x0 è un punto di massimo (rispettivamente, di minimo) relativo per
f se esite un numero reale δ > 0 tale che:2

∀ x ∈ X ∩ Iδ (x0 ) r {x0 } : f (x) ≤ f (x0 ) (rispettivamente, f (x0 ) ≤ f (x) ).


(4.2.3)

Se la (4.2.3) vale con una diseguaglianza stretta (“<” al posto di “≤”),


il punto di massimo (rispettivamente, di minimo) per f viene denominato
proprio.
Il valore f (x0 ) che la funzione assume in un punto di massimo (rispet-
tivamente, di minimo) relativo per f , viene denominato massimo relativo
(rispettivamente, minimo relativo) di f .
In Figura 4.1 viene raffigurata geometricamente una funzione che ha il
massimo assoluto M assunto nel punto m ed ulteriori punti di massimo
relativo p e q, con valori P e rispettivamente Q.

• Funzioni dotate di estremi. Si dice f è dotata di estremo superiore


(rispettivamente, dotata di estremo inferiore) se tale è il sottoinsieme
f (X) di R, e quindi se esiste un elemento ` ∈ R tale che

 1) ∀ x ∈ X : f (x) ≤ ` (rispettivamente, ` ≤ f (x) );
2) m ∈ R, ∀ x ∈ X : f (x) ≤ m ⇒ ` ≤ m

(rispettivamente, ∀ x ∈ X : m ≤ f (x) ⇒ m ≤ ` ).
(4.2.4)
L’elemento ` verificante la (4.2.4) è unico, viene denominato estremo
superiore di f (rispettivamente, estremo inferiore di f ) e viene denotato
con uno dei seguenti simboli:

sup f , sup f (x) , (rispettivamente, inf X , inf f (x) ).


x∈X x∈X

2
Si ricorda che Iδ (x0 ) =]x0 − δ, x0 + δ[ (vedasi la (1.1.1) a pag. 8).
4.3 Proprietà di monotonia 7

x
m 0 p q

Figura 4.1: Esempio di massimo assoluto e relativo.

Anche ora naturalmente la seconda proprietà in (4.2.4) si può esprimere


in maniera equivalente come segue

∀ ε > 0 ∃x ∈ X t.c. ` − ε < f (x) (rispettivamente, f (x) < ` + ε ).


(4.2.5)
Dalla seconda forma dell’assioma di completezza (Proposizione 2.3.1)
segue che ogni funzione limitata superiormente è dotata di estremo su-
periore ed analogamente ogni funzione limitata inferiormente è dotata
di estremo inferiore.
Se f non è limitata superiormente (rispettivamente, inferiormente), si
scriverà per convenzione

sup f = +∞ , inf f = −∞ .

4.3 Proprietà di monotonia


Le proprietà considerate nella presente sezione sono molto importanti per lo
studio qualitativo del grafico di una funzione reale.

Definizione 4.3.1 Siano X un sottoinsieme di R ed f : X → R una fun-


zione reale. Si dice che f è crescente (rispettivamente, strettamente crescente,
8 Capitolo 4: Funzioni reali

decrescente, strettamente decrescente) se:

∀ x, y ∈X : x<y ⇒ f (x) ≤ f (y) (4.3.1)


(rispettivamente, ∀ x, y ∈X : x<y ⇒ f (x) < f (y) , (4.3.2)
∀ x, y ∈X : x<y ⇒ f (x) ≥ f (y) , (4.3.3)
∀ x, y ∈X : x<y ⇒ f (x) > f (y) ). (4.3.4)

Inoltre, f si dice monotona se verifica una qualsiasi delle condizioni prece-


denti e viene denominata strettamente monotona se invece verifica la (4.3.2)
oppure la (4.3.4).
Infine, se A è un sottoinsieme di X, si dice che f è crescente (rispetti-
vamente, strettamente crescente, decrescente, strettamente decrescente) in A
se la restrizione f|A di f al sottoinsieme A verifica tale proprietà.

In Figura 4.2 viene mostrato un esempio di una funzione strettamente


crescente in un intervallo I e strettamente decrescente in un intervallo J.

0 J
x
I

Figura 4.2: Funzione strettamente crescente (decrescente) in un intervallo.

Proposizione 4.3.2 Una funzione f : X → R risulta strettamente monotona


se e solo se è monotona e iniettiva.

Dimostrazione. Se f è strettamente monotona essa è ovviamente monotona.


Inoltre, se x, y ∈ X e x 6= y, si può supporre x < y a meno di uno scambio
di notazioni. Se f verifica la (4.3.2) allora f (x) < f (y), mentre se f verifica
la (4.3.4) si ha f (y) < f (x); in ogni caso risulta f (x) 6= f (y) e ciò dimostra
che f è iniettiva.
4.3 Proprietà di monotonia 9

Si supponga ora f monotona; se f non fosse strettamente monotona dalle


(4.3.2) e (4.3.4) esisterebbero x, y ∈ X con x < y e f (x) = f (y), il che
contraddirebbe l’iniettività di f . ¤
Anche ora conviene prendere in considerazione una nozione locale di
monotonia, che nel seguito per le funzioni derivabili potrà essere messa in
relazione con il segno della derivata prima.

Definizione 4.3.3 Siano X un sottoinsieme di R, f : X → R una funzione


reale e x0 ∈ X. Si dice che f è crescente (rispettivamente, strettamente
crescente, decrescente, strettamente decrescente) in x0 se esiste un numero
reale δ > 0 tale che
½
∀ x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [: f (x) ≤ f (x0 ) ,
∀ x ∈ X∩ ]x0 , x0 + δ[: f (x0 ) ≤ f (x)

(rispettivamente,
½
∀ x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [: f (x) < f (x0 ) ,
∀ x ∈ X∩ ]x0 , x0 + δ[: f (x0 ) < f (x) ;
½
∀ x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [: f (x) ≥ f (x0 ) ,
∀ x ∈ X∩ ]x0 , x0 + δ[: f (x0 ) ≥ f (x) ;
½
∀ x ∈ X∩ ]x0 − δ, x0 [: f (x) > f (x0 ) ,
∀ x ∈ X∩ ]x0 , x0 + δ[: f (x0 ) > f (x) ).

In Figura 4.3, viene mostrato geometricamente un punto a in cui una


funzione è strettamente crescente ed un punto b in cui è strettamente decres-
cente.
Nell’osservazione seguente si considera per brevità una funzione crescente;
con ovvie modifiche, analoghe proprietà possono essere stabilite nel caso in
cui f sia strettamente crescente, decrescente o strettamente decrescente.

Osservazione 4.3.4 Dalle definizioni adottate, segue subito che:


1. Se f : X → R è crescente, allora f è crescente in x0 per ogni x0 ∈ X.

2. Se X è un intervallo, allora f : X → R è crescente se e solo se f è


crescente in ogni x0 ∈ X.
Infatti, tenendo conto della proprietà precedente, bisogna solo dimostrare che se f
è crescente in ogni punto x0 ∈ X, allora f è crescente. Infatti, in tal caso, siano
x, y ∈ X tali che x < y. Poiché X è un intervallo, si ha [x, y] ⊂ X e quindi si
può considerare l’insieme A := {t ∈ [x, y] | f (x) ≤ f (t)} . L’insieme A è non
10 Capitolo 4: Funzioni reali

x
a 0 b

Figura 4.3: Funzione strettamente crescente (decrescente) in un punto.

vuoto (infatti x ∈ A) e limitato superiormente (in quanto contenuto in [x, y]); dalla
seconda forma dell’assioma di completezza, esso è dotato di estremo superiore x0 ∈
[x, y]. Poiché f è crescente in x0 , esiste δ > 0 verificante le proprietà previste nella
Definizione 4.3.3. Dalla seconda proprietà dell’estremo superiore, si può trovare
t ∈ A tale che x0 − δ < t ≤ x0 , da cui segue f (x) ≤ f (t) ≤ f (x0 ); quindi x0 ∈ A.
Inoltre, non può essere x0 < y altrimenti, considerato t ∈ X∩]x0 , x0 + δ[∩]x0 , y], si
avrebbe f (x0 ) ≤ f (t) e conseguentemente anche f (x0 ) ≤ f (t); ciò comporterebbe
t ∈ A in contraddizione con il fatto che x0 < t e che x0 = sup A. Si è cosı̀ dimostrato
che y = x0 ∈ A e quindi, dalla definizione di A, f (x) ≤ f (y). Dall’arbitrarietà di
x, y ∈ X tali che x < y segue che f è crescente.

In generale, la parte 1) dell’osservazione precedente non si può invertire


nel caso in cui X non sia un intervallo.
Ad esempio, la funzione f : R r {0} → R definita ponendo, per ogni
x ∈ R r {0}, f (x) = −1/x è strettamente crescente in ogni punto, ma non
è strettamente crescente (le sue restrizioni agli intervalli ] − ∞, 0[ e ]0, +∞[
sono chiaramente strettamente crescenti ma, ad esempio, si ha −1 < 1 e
f (−1) > f (1)).
La nozione di crescenza o decrescenza in un punto non va confusa con
quella di crescenza o decrescenza in un intervallo aperto contenente tale pun-
to. Infatti, ad esempio, la funzione f : R → R definita ponendo, per ogni
x ∈ R, 
 x+1, x<0,
f (x) := 0, x=0,

x−1, x>0,
4.4 Proprietà di simmetria e periodicità 11

è strettamente decrescente in 0, mentre è strettamente crescente in ogni x0 ∈


R r {0}.

4.4 Proprietà di simmetria e periodicità


Anche le proprietà seguenti sono utili per lo studio qualitativo del grafico di
una funzione reale in quanto consentono di limitare lo studio della funzione
a quello di una sua opportuna restrizione.

Definizione 4.4.1 Siano X un sottoinsieme di R ed f : X → R una fun-


zione reale. Si dice che f è pari (rispettivamente, dispari) se è verificata la
seguente condizione:
½
1) ∀ x ∈ X : −x ∈ X ,
2) ∀ x ∈ X : f (−x) = f (x) (rispettivamente, f (−x) = −f (x) ).

Le proprietà 1) precedente si esprime anche dicendo che X è simmetrico.


Innanzitutto, quindi, è importante verificare tale condizione, senza la quale
non ha senso chiedersi se la funzione è pari o dispari.
Diversi esempi di funzioni pari o dispari saranno considerati in seguito
quando saranno studiate le funzioni elementari.
Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate,
mentre il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine.
Pertanto, si può studiare una funzione pari o dispari dapprima in X ∩[0, +∞[
(oppure in X∩] − ∞, 0] e poi si può ricavare il comportamento nella parte
rimanente dell’insieme di definizione in base alle proprietà di simmetria.
A questo punto si passa a studiare la proprietà di periodicità, anch’essa
utile per ridurre lo studio di una funzione a quello di una sua opportuna
restrizione.

Definizione 4.4.2 Siano X un sottoinsieme di R, f: X → R una funzione


reale e ω > 0. Si dice che f è periodica di periodo ω (oppure, brevemente,
ω-periodica) se è verificata la seguente condizione:
½
1) ∀ x∈X : x−ω ∈X , x+ω ∈X ,
2) ∀ x ∈ X : f (x − ω) = f (x) = f (x + ω) .

La proprietà 1) precedente si esprime anche dicendo che X è ω-periodico.


Gli esempi più importanti di funzioni periodiche saranno le funzioni trigono-
metriche; si vedrà che le funzioni seno e coseno sono periodiche di periodo
2π, mentre le funzioni tangente e cotangente sono periodiche di periodo π.
12 Capitolo 4: Funzioni reali

Come segue dalla condizione 2) della Definizione 4.4.2, il grafico di una


funzione ω-periodica si ripete ad intervalli di periodo ω. Pertanto, è suffi-
ciente studiare tali funzioni in un intervallo di ampiezza ω.
Se, in più, una funzione è anche pari o dispari, si può scegliere l’insieme
simmetrico [−ω/2, ω/2] come intervallo di ampiezza ω e quindi ridurre lo
studio della funzione al sottoinsieme X ∩ [0, ω/2] (oppure X ∩ [−ω/2, 0]) a
causa della proprietà di simmetria.
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Capitolo 5

Successioni

Una funzione f : N → E viene denominata successione di elementi di E.


Nel caso in cui E = R si userà la denominazione di successione reale.
L’insieme dei valori di una successione viene denominato insieme degli
elementi della successione.
Pertanto, tutte le definizioni e le proprietà delle funzioni reali possono
essere applicate al caso delle successioni di numeri reali, riguardando queste
come particolari funzioni aventi N come insieme di definizione.
Per le successioni, tuttavia, si adoperano una terminologia e delle no-
tazioni particolari. Cosı̀, anzichè utilizzare le notazioni tipiche delle funzioni,
per le successioni si preferisce utilizzare la notazione (an )n∈N evidenziando
in tal modo il ‘valore’ an che la successione assume in un generico elemento
n ∈ N.
A titolo di esempio, si passano ora in rassegna alcune delle definizioni
viste in generale per le funzioni traducendole nel caso delle successioni.
Se (an )n∈N e (bn )n∈N sono successioni reali, la somma e il prodotto delle
due successioni sono definite al modo seguente:
(an )n∈N + (bn )n∈N := (an + bn )n∈N , (an )n∈N · (bn )n∈N := (an · bn )n∈N .
Una successione (an )n∈N si dice limitata superiormente (rispettivamente,
limitata inferiormente) se esiste M ∈ R tale che
∀ n ∈ N : an ≤ M (rispettivamente, ∀ n ∈ N : M ≤ an ).
Se una successione (an )n∈N è limitata superiormente (rispettivamente, in-
feriormente), l’estremo superiore (rispettivamente, inferiore) ` di (an )n∈N è
caratterizzato dalle seguenti proprietà:

 1) ∀ n ∈ N : an ≤ ` (rispettivamente, ` ≤ an );
2) m ∈ R, ∀ n ∈ N : an ≤ m ⇒ ` ≤ m

(rispettivamente, ∀ n ∈ N : m ≤ an ⇒ m ≤ ` )
4 Capitolo 5: Successioni

e viene denotato con il simbolo supn∈N an (rispettivamente, inf n∈N an .


Se (an )n∈N non è limitata superiormente (rispettivamente, inferiormente),
si scriverà supn∈N an = +∞ (rispettivamente, inf n∈N an = −∞).
Una successione (an )n∈N si dice crescente se:1

∀ n ∈ N : an ≤ an+1 . (5.0.1)

In modo analogo si considerano le definizioni di successione strettamente


crescente, decrescente, e strettamente decrescente.
Per le successioni è spesso importante stabilire le proprietà definitive, che
sono cioè vere da un certo indice n in poi. Cosı̀, ad esempio, si dice che una
successione (an )n∈N è definitivamente crescente se:

∃ν ∈ N t.c. ∀ n ∈ N, n ≥ ν : an ≤ an+1 .

Analogamente, si dice che gli elementi di una successione (an )n∈N sono
definitivamente minori o uguali di quelli di una successione (bn )n∈N (o, più
brevemente, che (an )n∈N è definitivamente minore o uguale di (bn )n∈N ) se
esiste ν ∈ N tale che, per ogni n ∈ N, n ≥ ν, si abbia an ≤ bn .
In base a quanto sopra, in generale potrebbe non interessare il compor-
tamento di una successione in un numero finito di elementi e addirittura la
successione (si continua a denominare tale) potrebbe essere definita solo da
un certo numero naturale p in poi, nel qual caso si adopera la notazione
(an )n≥p .
Si conclude la presente sezione con un esempio molto importante di
successione che consente di definire il numero di Nepero.

5.1 Numero di Nepero


Si consideri la successione reale definita ponendo, per ogni n ≥ 1,
µ ¶n
1
en := 1+ .
n
1
È facile riconoscere che tale condizione è equivalente alla seguente

∀ n, m ∈ N : n < m ⇒ an ≤ am .

Infatti, è ovvio che quest’ultima implica la (5.0.1) considerando m = n + 1. Per stabilire il


viceversa, si può procedere per induzione completa sul numero naturale p = m − n (vedasi
la Proposizione 2.1.1).
5.1 Numero di Nepero 5

Si osservi che e1 = 2 e inoltre, dalla formula del binomio di Newton (Proposizione


2.2.1), si ha, per ogni n ≥ 2,
µ ¶n Xn µ ¶ Xn
1 n 1 n(n − 1) · · · (n − k + 1) 1
1+ = = 1 + 1 + (5.1.1)
n k nk k! nk
k=0 k=2
Xn
1 n n−1 n−k+1
= 2+ ···
k! n n n
k=2
n
X 1 µ ¶ µ ¶
1 k−1
= 2+ 1− ··· 1 − .
k! n n
k=2

Pertanto, 2 è il minimo della successione (en )n≥1 .

Proposizione 5.1.1 La successione (en )n≥1 è limitata superiormente.


Dimostrazione. Per ogni n ≥ 2, dalle (5.1.1) segue
n
X 1
en ≤ 2 + ;
k!
k=2

inoltre, poichè 2k−1 ≤ k! per ogni k ≥ 2 (tale diseguaglianza si stabilisce facilmente per
induzione completa (vedasi la Proposizione 2.1.1), si ottiene
n
X n−1
X n−1
X 1
1 1
en ≤ 2 + =2+ =1+ .
2k−1 2 h 2h
k=2 h=1 h=0

A questo punto, ricordando che


n−1
X
∀ a, b ∈ R : an − bn = (a − b) ak bn−1−k
k=0

(anche questa uguaglianza si stabilisce direttamente per induzione completa), si conclude


1 − 1/2n 1
en ≤ = 1 + 2 − n−1 < 3 .
1 − 1/2 2
¤
In base alla proposizione precedente, si può considerare l’estremo superi-
ore della successione (en )n≥1 , il quale viene denominato numero di Nepero e
denotato con e: µ ¶n
1
e := sup 1 + . (5.1.2)
n≥1 n
Dalle osservazioni precedenti si ha 2 < e ≤ 3; un’analisi più precisa per-
mette di riconoscere che e ∼ 2, 718281828945 . . . . Si può dimostrare inoltre,
ma non si approfondisce tale aspetto, che e è un numero irrazionale.
Un’ulteriore proprietà importante della successione (en )n≥1 , che consen-
tirà di scrivere il numero di Nepero come limite della successione (en )n≥1 ,
viene invece stabilita di seguito.
6 Capitolo 5: Successioni

Proposizione 5.1.2 La successione (en )n≥1 è strettamente crescente.

Dimostrazione. Infatti, per ogni n ≥ 1, dalle (5.1.1), si ha

Xn µ ¶ µ ¶
1 1 k−1
en < 2+ 1− ··· 1 −
k! n+1 n+1
k=2
X 1 µ
n+1
1
¶ µ
k−1

< 2+ 1− ··· 1 − = en+1 .¤
k! n+1 n+1
k=2
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Capitolo 6

Funzioni elementari

Vengono a questo punto considerate alcune tra le più importanti funzioni


reali; esse vengono denominate funzioni elementari in quanto le funzioni reali
di cui ci si occuperà in seguito si otterranno in generale da esse mediante
operazioni algebriche oppure di composizione tra funzioni. Le proprietà e il
grafico di tali funzioni si riveleranno molto utili nei capitoli successivi.

6.1 Funzioni potenza ad esponente intero pos-


itivo
Per ogni n ∈ N, la funzione potenza ad esponente intero positivo n è la
funzione fn : R → R definita ponendo, per ogni x ∈ R,

fn (x) = xn .

Dalle proprietà elementari delle potenze di numeri reali, si ricavano facilmente


le seguenti proprietà delle funzioni fn :

1. fn (0) = 0 , fn (1) = 1 .

2. Se x, y ∈ R e 0 ≤ x < y, allora fn (x) < fn (y).


Tale proprietà può essere dimostrata facilmente utilizzando il principio di induzione
completa. Se n = 1, la proprietà è ovviamente vera. Si supponga che sia vera per
n e siano x, y ∈ R tali che 0 ≤ x < y. Dall’ipotesi di induzione si ha fn (x) < fn (y),
cioè xn < y n e da qui si ricava xn+1 = xn · x < y n · x < y n · y = y n+1 , cioè
fn+1 (x) < fn+1 (y). Quindi la proprietà è vera per n + 1. Lo schema della pre-
sente dimostrazione, fornita a titolo di esempio, si applica anche a diverse proprietà
successive.
4 Capitolo 6: Funzioni elementari

3. Se x ∈ R e 0 ≤ x ≤ 1, allora 0 ≤ fn+1 (x) ≤ fn (x) ≤ 1.

4. Se x ∈ R e x ≥ 1, allora 1 ≤ fn (x) ≤ fn+1 (x).

5. fn è una funzione pari se n è pari ed è una funzione dispari se n è


dispari.

Tenendo presente le proprietà precedenti, si può ora tracciare approssima-


tivamente il grafico delle funzioni potenza con esponente pari e dispari. Tali
grafici sono utili anche perché riassumono in modo geometrico le proprietà
enunciate sopra.
Nelle Figure 6.1–6.2, il grafico continuo rappresenta la funzione potenza
n-esima, mentre quello tratteggiato rappresenta la potenza (n + 2)-esima. In
Figura 6.1 viene illustrato il grafico tipico delle funzioni potenza nel caso n
pari, mentre in Figura 6.2 quello nel caso n dispari.

x
-1 0 1

Figura 6.1: Funzione potenza ad esponente pari (≥ 2).

6.2 Funzioni radice


Innanzitutto si osserva che, come conseguenza dell’assioma di completezza,
per ogni n ≥ 2 e per ogni b ≥ 0 esiste uno ed un solo a ≥ 0 tale che an = b
(l’elemento a, infatti, può essere definito come estremo superiore dell’insieme
6.2 Funzioni radice 5

-1
x
0 1
-1

Figura 6.2: Funzione potenza ad esponente dispari (≥ 3).

{x ∈ [0, +∞[ | xn < b}). Tale elemento viene denominato radice n-esima di
b e denotato con uno dei seguenti simboli:

b1/n ;
n
b,

nella notazione n b si può omettere l’indice n nel caso n = 2.
Tale risultato consente ora di definire la funzione radice. Sia n ≥ 2; se
n è pari, la funzione radice f1/n : [0, +∞[→ R è definita ponendo, per ogni
x ∈ [0, +∞[, √
f1/n (x) := n x . (6.2.1)
Se n è dispari, la funzione radice può essere definita in√tutto R (ciò dipende
dal fatto che, se b ∈] − ∞, 0], allora l’elemento a := − n −b è l’unico numero
reale (negativo) verificante la condizione an = b). Quindi, la funzione radice
n-esima in questo caso è la funzione f1/n : R → R definita ponendo, per ogni
x ∈ [0, +∞[, ( √
n
x, se x ≥ 0 ;
f1/n (x) := √ (6.2.2)
− −x ,
n
se x < 0 .
6 Capitolo 6: Funzioni elementari

Alternativamente, la funzione radice n-esima può essere definita tenen-


do presente quanto osservato nella Sezione 4.1, considerando l’inversa della
restrizione di fn ad [0, +∞[ nel caso n pari, e l’inversa di fn nel caso n
dispari. Dalla (3.0.7), infatti, tale inversa assume come valore in x proprio
l’unico numero reale y tale che y n = x e quindi coincide con la funzione sopra
definita.
Seguono, a titolo di esempio, alcune delle proprietà delle radici n-esime.

1. f1/n (0) = 0 , f1/n (1) = 1.

2. Se x ∈ [0, +∞[, f1/n (x) ≥ 0 .

3. Se x, y ∈ [0, +∞[ e x < y, allora f1/n (x) < f1/n (y).


√ √
Infatti, se fosse n y ≤ n x, elevando alla potenza n-esima, dalle proprietà delle
potenze seguirebbe y ≤ x, in contraddizione con le ipotesi.

4. Se x ∈]0, 1[, allora f1/n (x) < f1/(n+1) (x) .

5. Se x ∈]1, +∞[, allora f1/(n+1) (x) < f1/n (x) .

6. Se n è dispari, la funzione radice n-esima risulta una funzione dispari


(mentre se n è pari non ha senso chiedersi se la funzione radice n-esima
sia simmetrica in quanto essa è definita in un insieme non simmetrico).

Nelle Figure 6.3–6.4, approssimativamente il grafico delle funzioni radice


nei casi n pari ed n dispari; viene usato il tratto continuo per la radice
n-esima, e tratteggiato per la radice (n + 2)-esima.

0
x
1

Figura 6.3: Funzione radice con indice pari.


6.3 Funzione potenza ad esponente intero negativo 7

-1 0
x
1

-1

Figura 6.4: Funzione radice con indice dispari.

6.3 Funzione potenza ad esponente intero neg-


ativo
Si fissi ora un numero naturale n ≥ 2 e si consideri la funzione reale f−n :
R r {0} → R definita ponendo, per ogni x ∈ R r {0},
1
f−n (x) := . (6.3.1)
xn
Tale funzione viene denominata funzione potenza ad esponente intero neg-
ativo n. Dalla definizione adottata, tale funzione non è altro che la funzione
reciproca della funzione potenza ad esponente intero positivo n.
Dalla definizione adottata e dalle proprietà già viste delle funzioni potenza
ad esponente intero positivo, si possono ricavare altrettante proprietà della
funzione f−n , che per brevità vengono omesse.
Si conclude pertanto con le Figure 6.5–6.6, nelle quali viene tracciato
approssimativamente il grafico delle funzioni potenza ad esponente intero
negativo nei casi n pari ed n dispari; viene usato il tratto continuo per la
funzione f−n , e tratteggiato per la funzione f−n−2 .

6.4 Funzioni potenza ad esponente razionale


e reale
Si vuole ora studiare il caso delle funzioni potenza in cui l’esponente sia un
numero razionale oppure reale.
Nel caso di un esponente razionale q ∈ Q, si possono considerare m ∈ Z
ed n ∈ N tali che n 6= 0 e q = m/n. Per ogni numero reale strettamente
8 Capitolo 6: Funzioni elementari

0
x
-1 1

Figura 6.5: Funzione potenza ad esponente intero negativo pari.

x
-1 1
-1

Figura 6.6: Funzione potenza ad esponente intero negativo dispari.


6.4 Funzioni potenza ad esponente razionale e reale 9

positivo x, ha senso considerare la potenza ad esponente razionale xq che si


definisce ponendo √
xq := (xm )1/n (= n xm ) ;
se q > 0, tale definizione può essere estesa ad x = 0 ponendo 0q = 0.
Conviene subito osservare che se si considera un’altra rappresentazione del
0 1/n0
numero razionale q del tipo q = m0 /n0 , si ha (xm ) = (xm )1/n in quanto
0 0
m0 · n = m · n0 e conseguentemente xm ·n = xm·n . Pertanto il numero xq non
dipende dalla particolare rappresentazione del numero razionale q.
Si fissi un numero reale arbitrario r e sia x un numero reale strettamente
positivo. Per ogni numero razionale q < r ha senso considerare, per quanto
visto sopra, la potenza xq ; allora la potenza ad esponente reale xr viene
definita ponendo

 inf xq , se 0 < x < 1 ;
r q∈Q, q≤r
x := q (6.4.1)
 sup x , se x ≥ 1 .
q∈Q, q≤r

Alternativamente, si potrebbero considerare i numeri razionali q > r e


porre 
 sup xq , se 0 < x < 1 ;
r q∈Q, q≥r
x :=
 inf xq , se x ≥ 1 .
q∈Q, q≥r
Si può dimostrare che le due definizioni sono equivalenti. Se r > 0, si
pone inoltre 0r = 0.
A questo punto, si considera la funzione potenza ad esponente reale. Pre-
cisamente, se r > 0, si considera la funzione fr : [0, +∞[→ R definita
ponendo, per ogni x ∈ [0, +∞[,
fr (x) := xr .
Se r ≤ 0, la funzione potenza ad esponente reale fr :]0, +∞[→ R viene
definita allo stesso modo, ma non è definita in 0 e quindi ha come insieme di
definizione l’intervallo ]0, +∞[.
Se q ∈ Q, le proprietà della funzione fq possono essere ricavate tenendo
presente contemporaneamente le proprietà delle funzioni ad esponente intero
e delle funzioni radice; conseguentemente, dalla (6.4.1), si possono consi-
derare le proprietà delle funzioni potenza ad esponente reale. Per brevità, ci
si limita ad osservare che l’andamento grafico di tali funzioni è quello tipico
di una funzione potenza ad esponente intero positivo nel caso r > 1, di una
funzione radice nel caso 0 < r < 1 e di una funzione potenza ad esponente
intero negativo nel caso q < 0.
Nella Figura 6.7, sono riportati i grafici generali delle funzioni potenza ad
esponente reale.
10 Capitolo 6: Funzioni elementari

0
x
1

Figura 6.7: Funzione potenza con esponente razionale o reale.

6.5 Funzioni esponenziali e logaritmiche


Nel paragrafo precedente si è attribuito un significato alla potenza avente
come base un numero reale strettamente positivo e come esponente un nu-
mero reale arbitrario. Fissato poi un numero reale arbitrario r, si è studiata
la funzione potenza fr , cioè il comportamento della potenza xr al variare
della base.
Si vuole invece ora studiare la funzione ottenuto fissando la base della
potenza ad esponente reale e facendo variare l’esponente. Si deve osservare
che la base deve essere un numero strettamente positivo, mentre l’esponente
può essere un numero reale qualsiasi. Sia pertanto a > 0 e si supponga, per
evitare casi banali, a 6= 1. Si consideri la funzione expa : R → R definita
ponendo, per ogni x ∈ R,
expa (x) := ax . (6.5.1)
Tale funzione prende il nome di funzione esponenziale di base a. Le proprietà
di tale funzione sono conseguenza delle proprietà delle potenze ad esponente
reale. Si osservi che la funzione esponenziale è definita in tutto R ed assume
valori strettamente positivi. Nel caso particolare in cui a sia il numero e di
Nepero (vedasi la (5.1.2)), la funzione esponenziale viene denominata sem-
plicemente funzione esponenziale e denotata con il simbolo exp (quindi, per
ogni x ∈ R, exp(x) := ex ).
6.5 Funzioni esponenziali e logaritmiche 11

Il comportamento della funzione esponenziale dipende dai casi 0 < a < 1


oppure a > 1.
Alcune proprietà delle funzioni esponenziali sono elencate di seguito:

1. expa (0) = 1 e expa (1) = a;

2. Per ogni x, y ∈ R, risulta expa (x + y) = expa (x) · expa (y);

3. La funzione expa è strettamente crescente se a > 1 e strettamente


decrescente se 0 < a < 1;

4. Per ogni x ∈ R, risulta expa (x) = ax = (1/a)−x = exp1/a (−x); quindi i


grafici di expa e exp1/a risultano simmetrici tra di essi rispetto all’asse
delle ordinate;

5. Per ogni x, y ∈ R, risulta (expa (x))y = expa (x y).

Riassumendo, l’andamento del grafico delle funzioni esponenziali è del


tipo tracciato nelle Figura 6.8. Come si può notare, il comportamento della
funzione esponenziale dipende dai casi 0 < a < 1 oppure a > 1; la curva
continua rappresenta il grafico di una funzione esponenziale con base a > 1,
mentre quella tratteggiata il grafico di una funzione esponenziale con base
0 < a < 1.

1
a
x
0 1

Figura 6.8: Funzione esponenziale.

Si osservi che la funzione esponenziale expa è strettamente monotona e


quindi iniettiva. Pertanto, tenendo presente quanto osservato nella Sezione
12 Capitolo 6: Funzioni elementari

4.1, si può considerare l’inversa di expa , che viene denominata funzione log-
aritmo di base a e denotata con loga . Tenendo presente che l’immagine di
expa è ]0, +∞[, la funzione logaritmo è definita in ]0, +∞[ (ed a valori in
R): loga :]0, +∞[→ R; inoltre, dalla (3.0.7), per ogni x ∈]0, +∞[, loga (x) è
l’unico numero y ∈ R tale che expa (y) = x.
Anche ora, se a = e, la funzione logaritmo viene denominata semplice-
mente funzione logaritmo e denotata con il simbolo loga (quindi, per ogni
x > 0, log(x) := loge (x)).
Le proprietà di tale funzione sono conseguenza delle proprietà generali
delle funzioni inverse e dipendono da quelle delle funzioni esponenziali. Ad
esempio, si ha

1. loga (1) = 0 , loga (a) = 1 .

2. Per ogni x ∈ R: loga (expa (x)) = x .

3. Per ogni x ∈]0, +∞[: expa (loga (x)) = x .

Altre proprietà derivano da quelle generali dei logaritmi; per comodità,


si richiamano di seguito quelle di più frequente utilizzo (la verifica di tali
proprietà è diretta usando la definizione di logaritmo e le proprietà delle
funzioni esponenziali). Nelle proprietà successive, i numeri a e b che figurano
come base dei logaritmi devono chiaramente intendersi strettamente positivi
e diversi da 1.

4. Per ogni x, y ∈]0, +∞[: loga (x · y) = loga (x) + loga (y) .


µ ¶
1
5. Per ogni x ∈]0, +∞[: loga = − loga (x) .
x
µ ¶
x
6. Per ogni x, y ∈]0, +∞[: loga = loga (x) − loga (y) .
y

7. Per ogni x ∈]0, +∞[ ed y ∈ R: loga (xy ) = y loga (x) .

loga (x)
8. Per ogni x ∈]0, +∞[: logb (x) = .
loga (b)

Anche il comportamento della funzione logaritmo dipende dai casi 0 <


a < 1 oppure a > 1 (questa volta i grafici di loga e log1/a risultano simmetrici
tra di essi rispetto all’asse delle ascisse).
Il grafico delle funzioni logaritmo è del tipo tracciato nella Figura 6.9.
6.6 Richiami di trigonometria e funzioni trigonometriche 13

x
0 a 1 a

Figura 6.9: Funzione logaritmo.

6.6 Richiami di trigonometria e funzioni trigono-


metriche
Si premettono alcuni richiami di trigonometria elementare che non costitu-
iscono una trattazione esauriente, ma sono utili per fissare le notazioni e
per evidenziare le relazioni che saranno più frequentemente adoperate. Si
richiama innanzitutto il concetto di circonferenza trigonometrica, che è da
intendersi come una circonferenza nel piano cartesiano avente centro nell’o-
rigine degli assi e raggio uguale ad uno; tale circonferenza inoltre viene dotata
di un verso positivo che per convenzione è quello antiorario e di un punto
iniziale, che per convenzione è il punto A di intersezione di tale circonferenza
con il semiasse positivo delle ascisse (vedasi la Figura 6.10).
Inoltre, si assume per convenzione di denotare con il numero π la lunghez-
za della semicirconferenza unitaria (risulta all’incirca π = 3, 1415 . . . ; si di-
mostra, però, che π è un numero irrazionale uguale anche all’area del cerchio
unitario). Il fatto di aver fissato un punto iniziale, un verso sulla circonferen-
za trigonometrica ed un’unità di misura permette di far corrispondere ad ogni
numero reale un elemento della circonferenza trigonometrica. Precisamente,
assegnato un numero reale x, si può considerare l’arco di circonferenza che
ha un estremo nel punto iniziale A, lunghezza uguale al valore assoluto di x
e verso antiorario se x è positivo, altrimenti orario. Si può quindi individ-
uare il punto P sulla circonferenza trigonometrica che rappresenta il secondo
estremo dell’arco suddetto (se il numero reale assegnato è maggiore di 2π in
14 Capitolo 6: Funzioni elementari

6
.........................................................Q
k
............ ..........Q
.....
........... .........
...Q
.......
...
... .....
....
.
.
. ....
.. ......
..... ..... P
... .....
... . .....
....
..
.. ......
... sin(x) ....... x
... .......
.
... .......
..... 0 ....... A
... -
... ...
...
...
cos(x) 1 ... ..
... ..
... . ...
... . .
... ...
...
... . . ..
... ..
.... ....
.....
..
. .....
...... ...
........ .......
.........
........... ................
................... ......
........................................

Figura 6.10: Circonferenza trigonometrica.

valore assoluto, la circonferenza trigonometrica viene ripercorsa più volte).


Ora, assegnato il numero reale x, si consideri il punto P sulla circonferenza
trigonometrica costruito come descritto sopra.
Si definisce seno di x, e lo si denota con sin(x), l’ordinata del punto P ,
mentre si definisce coseno di x, e lo si denota con cos(x), l’ascissa del punto P ;
se non vi è possibilità di equivoci, le parentesi che racchiudono la x vengono
omesse e si scrive semplicemente sin x e cos x. Poiché i numeri reali sin x e
cos x sono stati definiti per qualsiasi valore di x, si possono ora considerare
la funzione seno e la funzione coseno, che verranno denotate rispettivamente
con sin e cos, e fanno corrispondere ad ogni numero reale x, i numeri sin x
e cos x appena definiti. Dalle definizioni adottate segue subito che, per ogni
x∈R
−1 ≤ sin x ≤ 1 , −1 ≤ cos x ≤ 1 .

In particolare, quindi, le funzioni seno e coseno sono limitate. Inoltre, utiliz-


zando il teorema di Pitagora, si ricava la seguente relazione tra il seno ed il
coseno, valida anch’essa per ogni x ∈ R,

sin2 x + cos2 x = 1
6.6 Richiami di trigonometria e funzioni trigonometriche 15

(il simbolo sin2 x è da intendersi come (sin x)2 ; la stessa convenzione vale per
il coseno e, più in generale, per tutte le funzioni trigonometriche definite di
seguito).
Si descrivono ora alcune proprietà del seno e del coseno di un qualsi-
asi numero reale x la cui dimostrazione è una immediata conseguenza delle
definizioni adottate.

1. Per ogni x ∈ R: sin(x + 2π) = sin x , cos(x + 2π) = cos x .


Tale proprietà esprime il fatto che le funzioni seno e coseno sono peri-
odiche di periodo 2π.
³ π´ ³ π´
2. Per ogni x ∈ R: sin x + = cos x , cos x + = − sin x .
2 2
³π ´ ³π ´
3. Per ogni x ∈ R: sin − x = cos x , cos − x = sin x .
2 2
4. Per ogni x ∈ R: sin(x + π) = − sin x , cos(x + π) = − cos x .

Accanto alla proprietà di periodicità del seno e del coseno conviene tener
presente anche che la funzione seno è una funzione dispari mentre la funzione
coseno è una funzione pari (infatti, per ogni x ∈ R, sin(−x) = − sin x,
cos(−x) = cos x). Le proprietà precedenti conseguono tutte dalle seguenti
formule di addizione del seno e del coseno. La dimostrazione di tali formule
per brevità verrà omessa. Per ogni x, y ∈ R, si ha

5. sin(x + y) = sin x cos y + cos x sin y .

6. sin(x − y) = sin x cos y − cos x sin y .

7. cos(x + y) = cos x cos y − sin x sin y .

8. cos(x − y) = cos x cos y + sin x sin y .

Considerando, in particolare, x = y nelle proprietà 5. e 7. precedenti


si ottengono le seguenti ulteriori formule, note con il nome di formule di
moltiplicazione.

9. Per ogni x ∈ R: sin 2x = 2 sin x cos x .

10. Per ogni x ∈ R: cos 2x = cos2 x − sin2 x = 2 cos2 x − 1 = 1 − 2 sin2 x .

Considerando x/2 al posto di x nell’ultima uguaglianza, si ottiene cos x =


2 cos2 (x/2) − 1, dalla quale si ottengono le seguenti formule di bisezione.
16 Capitolo 6: Funzioni elementari

x 1 + cos x
11. Per ogni x ∈ R: cos2 = .
2 2
x 1 − cos x
12. Per ogni x ∈ R: sin2 = .
2 2

Infine, addizionando e sottraendo a due a due le 5.–6. e le 7.–8., si ot-


tengono le cosiddette formule di prostaferesi, che consentono di esprimere il
prodotto di due funzioni seno e/o coseno nella somma di due di tali funzioni.

13. Per ogni x, y ∈ R: sin(x + y) + sin(x − y) = 2 sin x cos y .

14. Per ogni x, y ∈ R: sin(x + y) − sin(x − y) = 2 cos x sin y .

15. Per ogni x, y ∈ R: cos(x + y) + cos(x − y) = 2 cos x cos y .

16. Per ogni x, y ∈ R: cos(x + y) − cos(x − y) = −2 sin x sin y .

Le formule precedenti possono essere scritte in forma diversa ponendo


x = (α + β)/2 e y = (α − β)/2; se ne lascia per esercizio la trascrizione con
tali posizioni.
Si passa ora ad elencare alcuni valori delle funzioni seno e coseno in alcuni
archi particolari che si possono dedurre facilmente da proprietà geometriche
sulla circonferenza trigonometrica. In base a tali valori ed alle proprietà
precedenti, si potrà poi tracciare il grafico delle funzioni seno e coseno con
sufficiente precisione.

sin 0 = 0 , cos 0 = 1 .

π 1 π 3
sin = , cos = .
6 2 6 2
√ √
π 2 π 2
sin = , cos = .
4 2 4 2

π 3 π 1
sin = , cos = .
3 2 3 2
π π
sin = 1 , cos = 0 .
2 2
Utilizzando le proprietà 1.–4, dagli archi noti precedenti possono esserne
ricavati altri come, ad esempio,
3 5 7 5 4 3 5 7 11
π, π, π, π, π, π, π, π, π, π.
4 6 6 4 3 2 3 4 6
6.6 Richiami di trigonometria e funzioni trigonometriche 17

Usando poi la periodicità delle funzioni seno e coseno si ricavano archi noti
non appartenenti a [0, 2π[.
Il grafico delle funzioni seno e coseno è tracciato approssimativamente
nella Figura 6.11.

y
1

π 0 π x
-π 2
-- 2
- π
-1

Figura 6.11: Funzioni seno e coseno.

A questo punto si possono definire ulteriori funzionin trigonometriche. o


π
Si osserva che la funzione coseno si annulla nell’insieme + kπ | k ∈ Z
2
e quindi
n π la funzione oquoziente tra le funzioni seno e coseno è definita in
Rr + kπ | k ∈ Z . Tale funzione quoziente prende il nome di funzione
2 nπ o
tangente e viene denotata con tan; dunque tan : R r + kπ | k ∈ Z → R
nπ 2o
è definita ponendo, per ogni x ∈ R r + kπ | k ∈ Z ,
2
sin x
tan x := . (6.6.1)
cos x
Utilizzando la similitudine dei triangoli di vertici OBP e OAQ rappresen-
tati in Figura 6.12, si deduce facilmente l’interpretazione geometrica della
tangente. Essa è utile in numerose circostanze per ricavare alcune proprietà
della funzione tangente.
Ad esempio, per ogni x ∈ Rr{π/2+kπ | k ∈ Z}, si ottiene tan(x+π) =
tan(x) = tan(x − π), e quindi la funzione tangente è periodica di periodo
sin(−x) − sin x
π. Inoltre, tan(−x) = = = − tan x e quindi la funzione
cos(−x) cos x
tangente è dispari (si osservi che il suo insieme di definizione è simmetrico).
Altre proprietà della funzione tangente possono essere ricavate dalle analoghe
proprietà delle funzioni seno e coseno. Nello stesso modo è possibile ricavare
i valori della tangente in alcuni archi particolari.
Il grafico della funzione tangente è approssimativamente quello tracciato
nella Figura 6.13.
18 Capitolo 6: Funzioni elementari

6
...............................................................
............ ..........
.....
........... ........ Q
.
. ...... ......
.....
....
.... .
. P
.....
...
.... .........
....
.... ....... tan(x)
..
.. .......
... x.......
... .......
.. .......
..
..... O B ....... A
... -
... ...
...
...
1 ... ..
... ..
... ....
... . .
... ...
...
... . . ..
... ..
.... ....
.....
...
.....
...... ...
........ .......
.........
........... ..
. .............
................... ......
........................................

Figura 6.12: Interpretazione geometrica della tangente.

In modo analogo a quanto visto per la funzione tangente, si può procedere


considerando il rapporto tra la funzione coseno e quella seno. Poichè la
funzione seno si annulla nell’insieme {kπ | k ∈ Z}, tale rapporto è definito
in R r {kπ | k ∈ Z}. Si ottiene pertanto la funzione cotangente cot :
R r {kπ | k ∈ Z} → R definita ponendo, per ogni x ∈ R r {kπ | k ∈ Z},

cos x
cot x := . (6.6.2)
sin x

Anche ora, utilizzando la similitudine dei triangoli con vertici OBP e


OCQ in Figura 6.14, si deduce facilmente l’interpretazione geometrica della
cotangente.
Le proprietà della cotangente si discutono in maniera analoga a quanto
svolto per la tangente e dipendono ancora una volta da quelle delle funzioni
seno e coseno.
Si richiama solamente l’attenzione sul fatto che la funzione cotangente è
anch’essa periodica di periodo π, ma non è simmetrica.
Il grafico della funzione cotangente è approssimativamente quello traccia-
to nella Figura 6.15.
6.7 Funzioni trigonometriche inverse 19

π 0 π x
-π 2
- - 2
- π

Figura 6.13: Funzione tangente.

6.7 Funzioni trigonometriche inverse

Si è ora interessati alla possibilità di determinare una funzione inversa per le


funzioni trigonometriche studiate nella sottosezione precedente.

Si considera innanzitutto la funzione seno. Al fine di ottenere una fun-


zione iniettiva, si considera la restrizione della funzione seno all’intervallo
[−π/2, π/2]; a questo punto, tenendo presente quanto osservato nella Sezione
4.1, si può considerare la funzione inversa di tale restrizione, che viene de-
nominata funzione arcoseno e denotata con arcsin. Tenendo presente che
l’immagine di sin è [−1, 1], la funzione arcoseno è definita in [−1, 1]; inoltre,
dalla (3.0.7), arcsin : [−1, 1] → R è definita ponendo, per ogni x ∈ [−1, 1],
arcsin x = y dove y è l’unico elemento dell’intervallo [−π/2, π/2] tale che
sin y = x.

Dal calcolo del seno di alcuni archi noti, si può dedurre il valore della
20 Capitolo 6: Funzioni elementari

6
C cot(x) Q
................................................................
...................
. ..........
....... ........
...... ......
.
...... .....
...P
.... B ......
..
. .....
... .....
... . .....
....
..
.. ......
... x .......
... .......
.
... .......
..... O ....... A
... -
... ...
...
...
1 ... ..
... ..
... . ...
... . .
... ...
...
... . . ..
... ..
.... ....
.....
...
. ....
...... ...
........ .......
.........
........... ..
. .............
................... ......
........................................

Figura 6.14: Interpretazione geometrica della cotangente.

funzione arcoseno in altrettanti punti particolari; infatti, ad esempio,

sin 0 = 0 ⇒ arcsin 0 = 0 ,
π 1 1 π
sin = ⇒ arcsin = ,
6 √2 2√ 6
π 2 2 π
sin = ⇒ arcsin = ,
4 √2 √2 4
π 3 3 π
sin = ⇒ arcsin = ,
3 2 2 3
π π
sin = 1 ⇒ arcsin 1 = .
2 2
Inoltre, poiché la funzione seno ristretta all’intervallo [−π/2, π/2] con-
tinua ad essere una funzione dispari, anche la funzione arcoseno è dispari
(infatti se arcsin x = y, allora y ∈ [−π/2, π/2] e sin y = x, da cui segue
anche −y ∈ [−π/2, π/2] e sin(−y) = − sin y = −x; quindi arcsin(−x) =
−y = − arcsin x). Nello stesso modo si può anche riconoscere che la funzione
arcoseno è strettamente crescente.
Il grafico della funzione arcoseno è approssimativamente quello tracciato
nella Figura 6.16.
6.7 Funzioni trigonometriche inverse 21

x
-π π 0 π π
2
-- 2
-

Figura 6.15: Funzione cotangente.

Si procede ora in modo analogo con la funzione coseno. Questa volta


si considera la restrizione della funzione coseno all’intervallo [0, π], la quale
è strettamente decrescente e quindi iniettiva. Con lo stesso procedimen-
to adottato per la funzione arcoseno si può definire la funzione arcocoseno
arccos : [−1, 1] → R ponendo, per ogni x ∈ [−1, 1], arccos x = y dove y è
l’unico elemento dell’intervallo [0, π] tale che cos y = x.
Si verifica facilmente che la funzione arcocoseno è strettamente decres-
cente. Inoltre, come per la funzione arcoseno, dal calcolo del coseno di alcuni
archi noti, si può dedurre il valore della funzione arcocoseno in alcuni punti
particolari, che in questo caso per brevità non vengono elencati.
Il grafico della funzione arcocoseno è approssimativamente quello traccia-
to nella Figura 6.17.
Anche per la funzione tangente si adopera un procedimento analogo. La
restrizione della funzione tangente all’intervallo aperto ] − π/2, π/2[ è stret-
tamente crescente ed è quindi iniettiva. Si definisce pertanto la funzione
arcotangente arctan : R → R ponendo, per ogni x ∈ R, arctan x = y, dove y
è l’unico elemento dell’intervallo ]0, π[ tale che tan y = x.
Come nei casi precedenti, si possono ottenere i valori della funzione ar-
cotangente in alcuni punti particolari: ad esempio, arctan 0 = 0, arctan 1 =
π/4 e arctan(−1) = −π/4 (la determinazione di altri valori corrispondenti
22 Capitolo 6: Funzioni elementari

y
π
2
-

x
-1 1

π
2
--

Figura 6.16: Funzione arcoseno.

agli altri archi noti viene lasciata per esercizio). Si può inoltre riconoscere
che la funzione arcotangente è dispari e strettamente crescente.
Il grafico della funzione arcotangente è approssimativamente quello trac-
ciato nella Figura 6.18.
Infine, con procedimento esattamente analogo a quello svolto, si considera
la restrizione della funzione cotangente all’intervallo aperto ]0, π[, la quale
risulta strettamente decrescente e quindi iniettiva. Ciò consente di definire la
funzione arcocotangente arccot : R → R ponendo, per ogni x ∈ R, arccot x =
y, dove y è l’unico elemento di ]0, π[ tale che cot y = x. Tra le proprietà di
questa funzione si segnala il fatto che essa è strettamente decrescente, e
arccot 0 = π/2, arccot 1 = π/4, arccot (−1) = 3π/4.
Il grafico della funzione arcocotangente è approssimativamente quello
tracciato nella Figura 6.19.
6.7 Funzioni trigonometriche inverse 23

y
π

π
2
-

x
-1 0 1

Figura 6.17: Funzione arcocoseno.

y
π
2
-

0
x

π
2
--

Figura 6.18: Funzione arcotangente.


y

π
2
-

x
0

Figura 6.19: Funzione arcocotangente.


Progetto RIESCI

Preparazione ai corsi di

Analisi Matematica
ed al test d’ingresso
per l’accesso alle Facoltà di Ingegneria

Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi del Salento


Capitolo 7

Numeri complessi

7.1 Proprietà generali dei numeri complessi


Nell’insieme dei numeri reali R non è possibile risolvere tutte le equazioni
algebriche; ad esempio, l’equazione x2 + 1 = 0 non ammette alcuna soluzione
reale. L’insieme dei numeri complessi permetterà di risolvere in modo defini-
tivo tale problema nel senso che, in tale insieme, tutte le equazioni algebriche
ammetteranno almeno una soluzione. Tuttavia in tale estensione si perdono
alcune proprietà importanti di R, come quelle relative alla relazione d’or-
dine: nell’insieme dei numeri complessi non è possibile definire una relazione
d’ordine totale compatibile con le operazioni algebriche.
Partendo proprio dall’equazione x2 + 1 = 0, se si vuole che essa ammetta
almeno una soluzione, bisogna ammettere l’esistenza di un elemento il cui
quadrato sia −1. Tale elemento, che non può essere un numero reale in
quanto i quadrati dei numeri reali sono sempre positivi, verrà denotato con i
e verrà denominato unità immaginaria. Quindi il ‘numero’ i è caratterizzato
dalla proprietà:
i2 = −1 . (7.1.1)
Assunta l’esistenza del numero i, anche l’equazione più generale x2 + b2 = 0
(b ∈ R) ammetterà le soluzioni i · b e −i · b; più in generale, le equazioni di
secondo grado della forma (x − a)2 + b2 = 0, con a, b ∈ R ammetteranno
le soluzioni a ± i · b (si può riconoscere facilmente che tutte le equazioni di
secondo grado con discriminante ∆ < 0 si possono scrivere in tale forma).
Tuttavia, bisogna tener presente che le operazioni di addizione e moltipli-
cazione utilizzate nel simbolo a + i · b non sono state compiutamente definite
ma presuppongono un’estensione delle proprietà algebriche dei numeri reali.
Per rendere più precisa tale estensione, conviene innanzitutto osservare che
tali numeri sono caratterizzati dalla coppia (a, b) di numeri reali. In questo
4 Capitolo 7: Numeri complessi

modo, è possibile trasferire lo studio di tali operazioni algebriche nell’insieme


già noto R2 . In R2 l’addizione viene definita ponendo, per ogni (a, b) ∈ R2 ,
(c, d) ∈ R2 ,
(a, b) + (c, d) = (a + c, b + d) . (7.1.2)
Tale addizione verifica le proprietà associativa e commutativa, e inoltre l’ele-
mento neutro 0 è dato dalla coppia (0,0); infine, per ogni (a, b) ∈ R2 , l’opposto
di (a, b), che si denota con −(a, b), è la coppia (−a, −b).
La moltiplicazione di R2 viene invece definita nel seguente modo, per ogni
(a, b) ∈ R2 , (c, d) ∈ R2 ,
(a, b) · (c, d) = (a · c − b · d, a · d + b · c) (7.1.3)
Anche per la moltiplicazione è facile riconoscere la validità delle proprietà as-
sociativa e commutativa, l’esistenza dell’elemento neutro 1 dato dalla coppia
(1,0) e, per ogni (a, b) 6= (0, 0), l’esistenza dell’elemento inverso (reciproco di
1
(a, b)) che si denota con (a, b)−1 oppure con , ed è dato dalla coppia
(a, b)
µ ¶
a −b
,
a2 + b2 a2 + b2
L’insieme R2 , munito dell’addizione e della moltiplicazione definite rispet-
tivamente dalla (7.1.2) e dalla (7.1.3) viene denominato insieme dei numeri
complessi e denotato con il simbolo C.
Se z = (a, b) ∈ C, il numero (reale) a viene denominato parte reale di
z e denotato con Re z, mentre il numero (reale) b viene denominato parte
immaginaria di z e denotato con il simbolo Im z. In questo modo un numero
complesso z può essere rappresentato come z = (Re z, Im z). La coppia
(Re z, Im z) viene anche denominata forma geometrica di z.
Partendo da una discussione riguardante la possibilità di ottenere delle
soluzioni di opportune equazioni algebriche, si è cosı̀ giunti ad introdurre l’in-
sieme C, i cui elementi sono stati individuati mediante coppie di numeri reali.
In tale corrispondenza, l’unità immaginaria i è rappresentata ovviamente dal-
la coppia (0,1). Inoltre un numero reale a è rappresentato dalla coppia (a, 0);
in questo senso l’insieme R dei numeri reali può essere considerato come un
sottoinsieme di C, in quanto può essere identificato con il sottoinsieme di C
costituito da tutti gli elementi di C aventi parte immaginaria nulla. Tenendo
presente tale identificazione, si ottiene, per ogni (a, b) ∈ C,
(a, b) = (a, 0) + (0, b) = (a, 0) + (0, 1) · (b, 0) = (a, 0) + i · (b, 0) = a + i · b ;
si ottiene cosı̀ un’espressione diversa del numero complesso z, detta forma
algebrica di z.
7.1 Proprietà generali dei numeri complessi 5

La forma geometrica dei numeri complessi rende possibile la loro rappre-


sentazione come elementi di un piano, sul quale sia stato fissato un sistema
di assi cartesiani; in tal caso si preferisce parlare di piano complesso anziché
di piano cartesiano e di asse reale e asse immaginario anziché di asse delle
ascisse e rispettivamente delle ordinate; tale denominazione è giustificata dal
fatto che tutti e soli i numeri reali considerati come numeri complessi aventi
parte immaginaria nulla vengono cosı̀ a trovarsi sull’asse reale, mentre tutti
e soli i numeri complessi aventi parte reale nulla vengono a trovarsi sull’asse
immaginario (gli elementi dell’asse immaginario vengono anche per questo
denominati spesso numeri immaginari puri). L’unità di C rappresenta l’u-
nità sull’asse reale mentre l’unità immaginaria rappresenta l’unità sull’asse
immaginario. Naturalmente, anziché parlare di ascissa ed ordinata di un nu-
mero complesso si preferisce utilizzare le definizioni già introdotte di parte
reale e di parte immaginaria.
La possibilità di considerare diverse forme di un numero complesso è utile
in quanto il grado di difficoltà nello svolgere le varie operazioni in C dipende
spesso dalla forma che si sta adoperando. Inoltre, è chiara la possibilità
di passare in modo immediato dalla forma algebrica a quella geometrica e
viceversa. Si è già visto, ad esempio, che l’unità immaginaria i si scrive (0,1)
in forma geometrica; come ulteriore esempio, si osserva che l’elemento nullo
0 corrisponde alla coppia (0,0) e l’elemento unità 1 alla coppia (1,0). Si
riconsiderano ora le operazioni descritte sopra utilizzando la forma algebrica.
Siano z = a + ib e w = c + id elementi di C. Allora

(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d) ,

(a + ib) · (c + id) = (ac − bd) + i(ad + bc)


e quindi l’addizione e la moltiplicazione in forma algebrica seguono le regole
classiche della somma e del prodotto di due binomi. Inoltre, −z = −a+i(−b)
e, se z 6= 0,
a b
z −1 = 2 2
−i 2 .
a +b a + b2
Conviene tenere presente, inoltre, che calcolando le potenze dell’unità
immaginaria i, si ottiene

i0 = 1 , i1 = i , i2 = −1 , i3 = i2 · i = −i , i4 = i2 · i2 = 1 , ... ;

come si vede, le potenze di i si ripetono di quattro in quattro, cioè vale la


proprietà ip+4 = ip per ogni p ∈ N.
Due numeri complessi in forma algebrica o geometrica coincidono se e
solo se coincidono sia le loro parti reali che le loro parti immaginarie.
6 Capitolo 7: Numeri complessi

Si è visto nelle considerazioni iniziali che le soluzioni delle equazioni di


secondo grado a coefficienti reali sono del tipo a ± ib; assegnato, quindi, un
numero complesso z = a + ib, ha un ruolo sicuramente importante il numero
complesso w = a − ib, che ha la stessa parte reale di z, ma parte immaginaria
opposta; esso viene denominato numero complesso coniugato di z e denotato
con il simbolo z.
Infine, come si vede dal calcolo del reciproco di un numero complesso
diverso da 0, Ï anche utile definire, per ogni numero complesso z = a + ib, il
numero reale a2 + b2 , il quale prende il nome di modulo di z e viene denotato
con il simbolo |z| (l’uso dello stesso simbolo che rappresenta il valore assoluto
di un numero reale non dà luogo ad equivoci in quanto, se si considera un
numero√ reale a ∈ √ R come numero complesso della forma z = a + i · 0, si ha
|z| = a2 + 02 = a2 = |a|).
Nel piano complesso, il coniugato di un numero complesso z è il simmet-
rico di z rispetto all’asse reale mentre il modulo rappresenta la distanza di z
dall’origine.
Seguono ora alcune proprietà del coniugato e del modulo di un numero
complesso.

Proposizione 7.1.1 Per ogni z = a + ib ∈ C e w = c + id ∈ C, valgono le


seguenti proprietà:

1. z + w = z + w , z·w =z·w .

2. z = z .

3. z + z = 2 Re z , z − z = 2 Im z .

4. z · z = |z|2 .

5. | − z| = |z| .

6. |z| = |z| .

7. Re z ≤ |z| , Im z ≤ |z| .

8. |z · w| = |z| · |w| .

9. Se z 6= 0, allora |z −1 | = |z|−1 .

10. |z + w| ≤ |z| + |w|; .

11. ||z| − |w|| ≤ |z − w| .


7.2 Coordinate polari 7

Le proprietà precedenti possono tutte essere verificate direttamente us-


ando le definizioni adottate.
È opportuno osservare che non si può considerare in C una relazione
d’ordine totale (in cui cioè due qualsiasi elemento siano confrontabili) com-
patibile con le operazioni algebriche. Infatti, se una tale relazione d’ordine ≤
esistesse, si avrebbe z > 0 oppure z < 0 per ogni z ∈ C r {0} e quindi, dalla
compatibilità con le operazioni algebriche, z 2 > 0 per ogni z ∈ C r {0}; in
particolare −1 = i2 > 0, da cui una contraddizione.
Si considerano ora altre forme in cui possono essere espressi i numeri
complessi; è necessario, per questo, un sistema diverso di coordinate nel
piano cartesiano.

7.2 Coordinate polari


Si è visto in precedenza che gli elementi di un piano rappresentano geomet-
ricamente gli elementi di R2 ; ora se ne studia una diversa rappresentazione,
utile soprattutto in questa fase per poter esprimere i numeri complessi in una
forma alternativa.
Sia assegnato un piano π e si fissi su di esso un riferimento cartesiano
ortonormale; quindi ogni elemento P ∈ π può essere univocamente individu-
ato mediante una coppia (x, y). Si osservi ora che se il punto P non coincide
con l’origine, esso può essere individuato in modo alternativo assegnando la
sua distanza ρ dall’origine e l’arco di circonferenza unitaria θ compreso tra il
semiasse positivo dell’asse reale e la semiretta uscente dall’origine e passante
per P . Gli elementi ρ e θ cosı̀ definiti vengono denominati coordinate polari
del punto P . Il numero ρ viene denominato modulo (oppure raggio vettore)
di P , mentre il numero θ viene denominato argomento (oppure anomalia)
di P . Bisogna osservare che l’argomento non è individuato univocamente;
infatti se θ è un argomento di P , ogni altro numero del tipo θ + 2kπ con
k ∈ Z, è ancora un argomento di P . Tuttavia, esiste sicuramente uno ed un
solo argomento θ di P che verifica le condizioni −π < θ ≤ π; tale argomento
viene denominato argomento principale di P . Per quanto riguarda l’origine,
essa è individuata univocamente dalla condizione ρ = 0; per convenzione,
all’origine si può attribuire un argomento arbitrario. Se si conoscono le co-
ordinate cartesiane (x, y) di un punto P diverso dall’origine, il modulo ρ di
P si ottiene dalla formula p
ρ = x2 + y 2 , (7.2.1)
mentre un argomento θ di P può essere individuato dalle condizioni
x y
cos θ = , sin θ = ; (7.2.2)
ρ ρ
8 Capitolo 7: Numeri complessi

in particolare, se x = 0, l’argomento principale è


(
π/2 , se y > 0 ,
θ=
−π/2 , se y < 0 ;

se invece x 6= 0, l’argomento principale è



 arctan xy , se x > 0 ,

θ= π + arctan xy , se x < 0, y ≥ 0 ,


−π + arctan xy , se x < 0, y < 0 .

Viceversa, se sono note le coordinate polari (ρ, θ) di P , si possono ricavare


facilmente le coordinate cartesiane di P ponendo
(
x = ρ cos θ ,
(7.2.3)
y = ρ sin θ ,

y − − − − − − − − − − − − −•| P
½½
½
½
½ρ |
½
½
½ |
.... ½
½ ....

½
...
...
... |
½ ...
...
... θ
½ ..

0 ½½
..
..
..
..
|x
..
. -

Figura 7.1: Coordinate polari.

7.3 Forma trigonometrica dei numeri comp-


lessi
La forma trigonometrica di un numero complesso z si ottiene semplice-
mente considerando le coordinate polari del punto P del piano complesso
corrispondente a z.
7.3 Forma trigonometrica dei numeri complessi 9

Sia z = a + ib ∈ C; essendo (a, b) la forma geometrica di z,√le coordi-


nate polari si possono ottenere dalle (7.2.1)–(7.2.2) ponendo ρ = a2 + b2 e
considerando θ soddisfacente le relazioni cos θ = x/ρ e sin θ = y/ρ; tenendo
presenti le (7.2.3), il numero z si potrà quindi scrivere nella forma

z = ρ(cos θ + i sin θ) , (7.3.1)

che viene appunto denominata forma trigonometrica di z. Ad esempio,


1√ = cos 0 + i sin 0, −1 = cos π + i sin π, i = cos(π/2) + i sin(π/2), 1 + i =
2(cos(π/4) + i sin(π/4)).
Dalle considerazioni svolte riguardanti le coordinate polari, si ricava che
la forma trigonometrica di z non è univocamente determinata; gli argomenti
di z sono del tipo θ +2kπ con k ∈ Z; in particolare, il numero 0 ha modulo 0 e
argomento arbitrario. Tuttavia, l’argomento di un numero complesso diverso
da 0 risulta univocamente determinato se si considera quello principale com-
preso nell’intervallo ] − π, π]. Come conseguenza di ciò, si ottiene il seguente
principio di uguaglianza di due numeri complessi in forma trigonometrica.

Proposizione 7.3.1 Siano z = ρ(cos θ + i sin θ) e w = σ(cos ϕ + i sin ϕ) due


numeri complessi in forma trigonometrica diversi da 0. Si ha z = w se e
solo se ρ = σ ed esiste k ∈ Z tale che θ = ϕ + 2kπ.
Inoltre, se θ è l’argomento principale di z e ϕ è l’argomento principale di
w, si ha z = w se e solo se ρ = σ e θ = ϕ.

Si studiano a questo punto le varie operazioni algebriche in forma trigono-


metrica. Le operazioni di somma e differenza di due numeri complessi non
sono immediate in forma trigonometrica e per tali operazioni conviene utiliz-
zare soprattutto la forma algebrica o geometrica. Al contrario, si fa vedere
ora che le operazioni di prodotto, reciproco, quoziente, potenza e radice
si possono eseguire in modo molto semplice utilizzando proprio la forma
trigonometrica.
Siano, infatti, z = ρ(cos θ + i sin θ) e w = σ(cos ϕ + i sin ϕ) due numeri
complessi. Poiché la forma algebrica di z e w è data da z = (ρ cos θ) +
i(ρ sin θ), w = (σ cos ϕ) + i(σ sin ϕ) il prodotto z · w è dato da

z · w = ρ · σ((cos θ cos ϕ − sin θ sin ϕ) + i(cos θ sin ϕ + sin θ cos ϕ))


= ρ · σ(cos(θ + ϕ) + i sin(θ + ϕ)) .

Quindi si conclude che il prodotto in forma trigonometrica di due numeri


complessi z e w ha come modulo il prodotto dei moduli di z e di w e come
argomento la somma degli argomenti di z e di w:

z · w = ρ · σ(cos(θ + ϕ) + i sin(θ + ϕ)) . (7.3.2)


10 Capitolo 7: Numeri complessi

Tuttavia, in generale, conviene tener presente che se θ e ϕ sono gli argo-


menti principali di z e rispettivamente di w, non è detto che θ + ϕ sia l’ar-
gomento principale di z · w; per ottenerlo, potrebbe infatti essere necessario
aggiungere o sottrarre 2π.
Sia ora z = ρ(cos θ + i sin θ) un numero complesso diverso da 0; si verifica
facilmente che il reciproco di z è dato da

z −1 = ρ−1 (cos(−θ) + i sin(−θ)) (7.3.3)

Pertanto, il reciproco di un numero complesso diverso da 0 ha come modulo


il reciproco del modulo di z e come argomento quello opposto all’argomento
di z.
Da tale regola, si ricava anche la regola sul quoziente di due numeri com-
plessi. Infatti, se z = ρ(cos θ + i sin θ) e w = σ(cos ϕ + i sin ϕ) con w 6= 0,
allora, dalle (7.3.2) e (7.3.3),
z ρ
= z · w−1 = (cos(θ − ϕ) + i sin(θ − ϕ)) . (7.3.4)
w σ
Si conclude che il quoziente di z e w ha come modulo il quoziente dei moduli
di z e di w e come argomento la differenza degli argomenti di z e di w
Come conseguenza della regola sul prodotto, si ottiene facilmente anche il
calcolo delle potenze di un numero complesso z = ρ(cos θ + i sin θ). Ponendo
w = z nella (7.3.2) si ha infatti z 2 = ρ2 (cos(2θ) + i sin(2θ)) e più in generale,
procedendo per induzione, per ogni n ≥ 1,

z n = ρn (cos(nθ) + i sin(nθ)) . (7.3.5)

La formula (7.3.5) precedente viene denominata formula di De Moivre.


Viene considerato infine, il calcolo delle radici n-esime (n ≥ 2) di un nu-
mero complesso z = ρ(cos θ + i sin θ). Una radice di z è definita come un
numero complesso w ∈ C che verifica la proprietà wn = z. Si riconosce in
modo immediato che l’unica radice di 0 è il numero 0. Si supponga quin-
di che z 6= 0. Se si pone w = σ(cos ϕ + i sin ϕ), dalla (7.3.5) si ricava
wn = σ n (cos(nϕ) + i sin(nϕ)), e quindi, imponendo l’uguaglianza wn = z,
dal principio di uguaglianza di due numeri complessi in forma trigonometrica
(Proposizione 7.3.1) segue:

ρ = σn , nϕ = θ + 2kπ con k ∈ Z;
√ θ + 2kπ
quindi σ = n ρeϕ= , con k ∈ Z; si osserva a questo punto che, al
n
θ + 2kπ
variare di k ∈ Z, gli argomenti ϕ = non danno tutti luogo a numeri
n
7.3 Forma trigonometrica dei numeri complessi 11

complessi distinti, in quanto, per ogni k ∈ Z,


θ + 2(k + n)π θ + 2kπ
= + 2π ;
n n
quindi si possono considerare solo n argomenti distinti corrispondenti ai valori
k = 0, . . . , n − 1 e tali argomenti forniscono tutte le possibili radici n-esime
di z, che sono date quindi da:
√ θ + 2kπ θ + 2kπ
wk = n
ρ (cos + i sin ), k = 0, 1, . . . , n − 1 . (7.3.6)
n n
Quindi ogni numero complesso z diverso da 0 ammette esattamente n
radici distinte. Dalla formula precedente, si ricava che le radici n-esime di z
si trovano tutte su una stessa circonferenza con centro nell’origine e raggio
uguale alla radice n-esima del modulo di z e formano i vertici di un poligono
regolare con n lati (geometricamente, quindi, è sufficiente individuare uno
dei vertici che ha argomento uguale alla n-esima parte dell’argomento di z).
Nella Figura 7.2 si rappresenta un esempio di radici terze e quinte di un
numero complesso z.

6 6

.........
...........
..................
r
......................................
...........
.........
½
•z .........
...........
..................
......................................
...........
.........
½
•z
.......
..........
.......
.......
...... ½ r .......
..........
.......
.......
...... ½
...
.
....... ....
....
....
½ ...
.
....... ....
....
....
½
r ....
.. ½ ....
... ....
.. ½ ....
...
.
.
..
.. ½ ...
... .
.
..
.. ½ ...
...
.... ½ ...
.. .... ½ ...
r
..
...
r ...
0½½ 0½½
.. ..
... .. ... ..
.. ..
... ...
..
..
..
.
..
..
- ..
..
..
.
..
..
-
.. .. .. ..
.. .. .. ..
.. .
. .. .
.
... ...
... ... ... ...
... ... ... ...
... .. ... ..
... .... ... ....
.... .. .... ..
.... .... .... ....
.... ....
....
r
.....
...... ...
........
...
....
.....
...... ...
........
...
....... ....... ....... .......
........
.........
.............
.........................................................
r
.........
........
........
.........
r
.............
.........................................................
.........
........

Figura 7.2: Radici terze e quinte di un numero complesso.

Dalla 7.3.6 è facile constatare che le radici quadrate di un numero comp-


lesso sono l’una l’opposta dell’altra (in quanto i loro argomenti differiscono
di π); in particolare, le due radici complesse di un numero reale positivo sono
una reale positiva (che coincide con la radice quadrata aritmetica) e l’altra
reale negativa (l’opposta della prima); se, invece, si considera un numero reale
strettamente negativo, le due radici complesse saranno immaginarie pure l’u-
na l’opposta dell’altra). Per quanto riguarda le radici terze complesse di un
12 Capitolo 7: Numeri complessi

numero reale, si può osservare che esse sono una reale (coincidente con la
radice terza aritmetica) e due tra loro complesse coniugate.

7.4 Forma esponenziale dei numeri complessi


Se z = x + iy è un numero complesso, si pone innanzitutto

ez = ex (cos y + i sin y) ; (7.4.1)

si osservi che x, y ∈ R e quindi le funzioni a secondo membro sono quelle già


note nel caso reale. In particolare, se θ ∈ R, si ha

ei θ = cos θ + i sin θ ; (7.4.2)

conseguentemente, se si conosce la forma trigonometrica z = ρ(cos θ + i sin θ)


di un numero complesso z si può scrivere

z = ρei θ . (7.4.3)

La (7.4.3) viene denominata forma esponenziale di z. Dalla forma espo-


nenziale è anche immediato passare alla forma trigonometrica e viceversa
utilizzando la (7.4.2). Inoltre, dalle (7.4.1) e (7.4.2) si ottengono facilmente
le seguenti proprietà di ez , che valgono per ogni z, w ∈ C e θ ∈ R.

1. ez+w = ez · ew ;

2. ez 6= 0 ;

3. |ei θ | = 1 ;

4. ez+2kπi = ez ;

5. |ez | = eRe z ;

6. ez = eRe z (cos(Im z) + i sin(Im z)) .

Dalla (7.4.2) si ottiene anche, per ogni θ ∈ R, e−i θ = cos θ − i sin θ e


tale formula, unita alla (7.4.2) permette di ricavare le cosiddette formule di
Eulero:
ei θ − e−i θ ei θ + e−i θ
sin θ = , cos θ = . (7.4.4)
2i 2
Progetto RIESCI

Preparazione ai corsi di

Analisi Matematica
ed al test d’ingresso
per l’accesso alle Facoltà di Ingegneria

Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi del Salento


Capitolo 8

Polinomi ed equazioni
algebriche

8.1 Polinomi e relative radici


Le funzioni elementari che si possono considerare più semplici dal punto di
vista del calcolo esplicito sono sicuramente le funzioni potenza ad esponente
intero positivo. In questa sezione vengono considerate combinazioni lineari
di tali funzioni. Esse verranno definite in tutto l’insieme dei numeri comp-
lessi, per studiarne alcune proprietà generali; si eviterà di enunciare o appro-
fondire proprietà che, sebbene di interesse generale, non verranno utilizzate
esplicitamente nel seguito.

Definizione 8.1.1 Sia n ∈ N. Si dice polinomio di grado n ogni funzione


P : C → C per cui esistono a0 , . . . , an ∈ C con an =6= 0 tali che, per ogni
z ∈ C,
P (z) = a0 + a1 z + · · · + an z n . (8.1.1)

Il grado di un polinomio è, quindi, il più grande dei numeri naturali k per
cui il coefficiente della potenza z k è diverso da 0. Il grado di un polinomio P
viene indicato spesso con il simbolo deg(P ).
Il coefficiente a0 del termine di grado 0 di un polinomio viene spesso
denominato termine noto del polinomio.
Si denomina zero (oppure radice, oppure soluzione) del polinomio P ogni
numero complesso z0 ∈ C tale che P (z0 ) = 0. Nel seguito avranno particolare
interesse i polinomi per cui i coefficienti a0 , . . . , an sono numeri reali. Essi
verranno denominati polinomi a coefficienti reali.
Conviene osservare che se P è un polinomio a coefficienti reali allora, per
ogni x ∈ R, P (x) è anch’esso un numero reale; in tale circostanza, quindi,
4 Capitolo 8: Polinomi ed equazioni algebriche

il polinomio P può essere anche riguardato come funzione da R in R. Sarà


chiaro dal contesto, nel seguito, se tali polinomi vengono considerati definiti
in R (come funzioni reali) oppure in C.
Si considera ora qualche esempio. In base alla definizione adottata, un
polinomio di grado 0 è una funzione costante P : C → C di costante valore
un numero a0 ∈ C r {0}. Un polinomio di grado 0 ovviamente non ammette
alcuna radice. Invece, la funzione costante di costante valore 0 viene denom-
inata polinomio nullo; per definizione di grado di un polinomio, il grado del
polinomio nullo non può essere zero: si assume, per convenzione, che il grado
del polinomio nullo sia -1. In effetti, il polinomio nullo è l’unico ad avere
infinite radici, come afferma il seguente risultato. Quindi se un polinomio P
ammette infinite radici, allora P è il polinomio nullo. Da tale affermazione
segue il principio di identità di due polinomi, che è utile in molte circostanze.

Proposizione 8.1.2 (Principio di identità dei polinomi) Siano P e Q


due polinomi. Se P e Q coincidono in infiniti punti, allora P = Q.

Dimostrazione. Infatti, il polinomio P − Q ammette infinite radici e quindi P − Q = 0.


¤

In effetti, se n é il grado massimo dei due polinomi, é sufficiente che i due


polinomi coincidano in n + 1 punti per essere uguali (infatti, in tal caso la
differenza dei due polinomi avrebbe un numero di zeri superiore al proprio
grado e ciò, come si vedrà in seguito, può valere solamente per il polinomio
nullo).
Dalla Proposizione 8.1.2 precedente segue anche che i coefficienti di un
polinomio sono univocamente determinati nel senso che se, per ogni z ∈ C,
P (z) = a0 + a1 z + · · · + an z n con an 6= 0 e P (z) = b0 + b1 z + · · · + bm z m con
bm 6= 0, allora n = m e, per ogni k = 0, . . . , n, ak = bk .
Riprendendo gli esempi, un polinomio di grado 1 è una funzione P : C →
C del tipo P (z) = a0 + a1 z (z ∈ C), con a0 ∈ C, a1 ∈ C, a1 6= 0. Un
polinomio di grado 1 ammette sempre un’unica radice data da c = −a0 /a1 .
Nel caso in cui le costanti a0 e a1 siano reali, esse vengono indicate solitamente
con n e rispettivamente m; nel piano cartesiano l’equazione y = mx + n
(x ∈ R) fornisce l’equazione della retta di coefficiente angolare m ed ordinata
all’origine n. Ad esempio, il polinomio P (z) = iz + 3i − 3 è un polinomio di
grado 1; la sua unica radice è data da c = −3 − 3i.
Un polinomio di grado 2 è del tipo P (z) = a0 + a1 z + a2 z 2 (z ∈ C), con
a0 ∈ C, a1 ∈ C, a2 ∈ C, a2 6= 0. I coefficienti a0 , a1 e a2 vengono indicati di
solito con c, b e rispettivamente a. Nel caso in cui tali coefficienti siano reali,
l’equazione di secondo grado y = ax2 + bx + c rappresenta una parabola nel
piano cartesiano. Per determinare gli zeri di un polinomio P (z) = az 2 +bz +c
8.1 Polinomi e relative radici 5

di grado 2 è importante il seguente numero ∆ = b2 − 4ac(∈ C), denominato


discriminante (o brevemente delta) del polinomio P (z) = az 2 +bz +c. Infatti,
l’equazione az 2 + bz + c = 0 si può scrivere
µ ¶2
b ∆
z+ − 2 =0.
2a 4a

Dall’equazione precedente segue che, denotate con w1 e w2 le radici (comp-


lesse) del numero complesso ∆, gli zeri del polinomio P sono forniti da

−b + w1 −b + w2
z1 = , z2 =
2a 2a
e il polinomio si può scrivere come P (z) = a(z − z1 )(z − z2 ). I numeri
complessi w1 e w2 , in quanto radici del numero complesso ∆, devono essere
l’uno opposto dell’altro. Quindi, le radici z1 e z2 possono essere espresse
scrivendo √ √
−b − ∆ −b + ∆
z1 = , z2 = ,
2a 2a
dove ∆ denota una qualsiasi delle due radici complesse di ∆. Da ciò segue
che i numeri complessi z1 e z2 sono caratterizzati dalle condizioni seguenti

b c
z1 + z2 = − , z 1 · z2 = .
a a
Le radici z1 e z2 coincidono solo nel caso in ∆ = 0; se ciò accade, l’unica
radice è data da z0 = −b/2a e si può scrivere P (z) = a(z − z0 )2 (si dice in
questo caso che z0 è una radice di molteplicità 2.
Se il polinomio di secondo grado è a coefficienti reali, cioè se a, b, c√∈ R,
anche ∆ √ è un numero reale. Nel caso in cui ∆ > 0, si ha w1 = ∆ e
w2 = − ∆ e quindi il polinomio P ammette le due radici reali distinte
√ √
−b − ∆ −b + ∆
x1 = , x2 = ,
2a 2a
e si può scrivere come P (z) = a(z − x1 )(z − x2 ).
Se ∆ = 0, P ammette un’unica radice reale data da x0 = −b/(2a) e si ha
P (z) = a(z − x0 )2 . √
Infine,
√ se ∆ < 0, le radici complesse di ∆ sono w 1 = −i −Delta e
w2 = i −∆; quindi il polinomio P ammette due radici complesse coniugate
date da √ √
−b − i −∆ −b + i −∆
z1 = , z2 = .
2a 2a
6 Capitolo 8: Polinomi ed equazioni algebriche

Per i polinomi di grado 3 oppure 4 esistono delle formule esplicite per la


determinazione degli zeri. Invece, per i polinomi di grado superiore a 4, si
dimostra che non è possibile stabilire un procedimento generale che consenta
di ottenerne gli zeri.
Si considera ora la divisione di due polinomi. Si ha innanzitutto il seguente
risultato di cui si omette per brevità la dimostrazione.

Proposizione 8.1.3 Siano P1 un polinomio di grado n e P2 un polinomio


non nullo di grado m. Allora esistono, e sono unici, due polinomi Q ed R
tali che
P1 = Q · P2 + R , deg(R) < m .
Inoltre, se m ≤ n si ha deg(Q) = n − m, mentre se m > n si ha Q = 0 e
R = P1 .

I polinomi Q ed R previsti nella proposizione precedente vengono denom-


inati rispettivamente polinomio quoziente e polinomio resto di P1 e P2 .
Si osservi che se P1 e P2 sono polinomi a coefficienti reali, anche il
quoziente ed il resto lo sono. Un caso particolarmente rilevante si ottiene
quando il resto della divisione tra due polinomi è il polinomio nullo.

Definizione 8.1.4 Siano P1 e P2 polinomi con P2 non nullo. Si dice che


P1 è divisibile per P2 (oppure che P2 divide P1 ) se il polinomio resto della
divisione di P1 e P2 è il polinomio nullo e quindi se esiste un polinomio Q
tale che P1 = Q · P2 .

Un caso particolarmente interessante è quello in cui il polinomio P2 è del


tipo P2 (z) = z − z0 , con z0 ∈ C. La divisione di un polinomio P con P2 deve
avere come resto un polinomio di grado minore di 1, cioè deve essere R(z) = a,
con a ∈ C. Inoltre, dalla relazione P (z) = Q(z) · P2 (z) + R(z) = (z − z0 ) ·
Q(z) + a si ricava P (z0 ) = a e quindi R(z) = P (z0 ). Dunque, il resto della
divisione di un polinomio P per il polinomio z − z0 è un polinomio costante
di costante valore P (z0 ). Da ciò segue immediatamente la caratterizzazione
della divisibilità per z − z0 , con z0 ∈ C

Proposizione 8.1.5 Sia P un polinomio e sia z0 ∈ C. Allora, le seguenti


proposizioni sono equivalenti:

a) Il polinomio P è divisibile per z − z0 .

b) z0 è una radice di P .
8.1 Polinomi e relative radici 7

Quindi, se un polinomio P di grado n ≥ 1 ammette una radice z0 ∈ C,


esso si decompone nel prodotto

P (z) = (z − z0 )Q(z)|; , (8.1.2)

con Q polinomio di grado n − 1 in quanto il coefficiente di z n−1 di Q deve


coincidere con il coefficiente di z n di P .
Uno dei più importanti risultati riguardanti i polinomi e le equazioni alge-
briche è il fatto che i polinomi aventi grado maggiore o uguale di 1 ammettono
sempre almeno una radice. Per brevità, ci si limita ad enunciare solamente
tale risultato, studiandone poi qualche conseguenza.

Teorema 8.1.6 (Teorema fondamentale dell’algebra) Se P è un poli-


nomio di grado n ≥ 1, allora esiste z0 ∈ C tale che P (z0 ) = 0.

Dalla (8.1.2) si ottiene la seguente conseguenza del teorema fondamentale


dell’algebra.

Corollario 8.1.7 Se P (z) = a0 + · · · + an z n (an 6= 0) è un polinomio di


grado n ≥ 1, allora esistono esattamente n elementi z1 , . . . , zn ∈ C tali che

P (z) = an · (z − z1 ) · · · (z − zn ) . (8.1.3)

Dimostrazione. Si procede per induzione completa sul numero naturale n ≥ 1. Se


n = 1, si ha P (z) = a0 + a1 z e la tesi si verifica direttamente. Si supponga che la tesi sia
vera per n ∈ N e che il grado di P sia n + 1, cioè P (z) = an+1 z n+1 + an z n + · · · + a0 ,
an+1 6= 0. Dal Teorema 8.1.6, esiste zn+1 ∈ C tale che P (zn+1 ) = 0 e quindi, dalla
(8.1.2), P (z) = (z − zn+1 )Q(z), con Q polinomio di grado n; inoltre, il coefficiente di z n
del polinomio Q è an+1 6= 0. Per l’ipotesi di induzione, esistono z1 , . . . , zn ∈ C tali che
Q(z) = an+1 · (z − z1 ) · · · (z − zn ) e quindi P (z) = an+1 · (z − z1 ) · · · (z − zn ) · (z − zn+1 ); la
tesi è quindi vera per il numero naturale n + 1. Dal principio di induzione completa segue
la tesi per ogni n ≥ 1. ¤

Ognuno dei numeri z1 , . . . , zn ∈ C verificanti la (8.1.3) è una radice di P ;


tuttavia, tali radici non sono necessariamente tutte distinte. Per tener conto
di ciò, conviene dare la seguente definizione.

Definizione 8.1.8 Sia P un polinomio di grado n ≥ 1 e sia h ∈ N, h ≥ 1.


Si dice che una radice z0 di P ha molteplicità h se esiste un polinomio Q di
grado n − h tale che Q(z0 ) 6= 0 (cioè z0 non deve essere una radice di Q) e
inoltre, per ogni z ∈ C,

P (z) = (z − z0 )h · Q(z) . (8.1.4)


8 Capitolo 8: Polinomi ed equazioni algebriche

In qualche caso, per comodità la definizione precedente può essere estesa


al caso h = 0 convenendo di denominare di molteplicità 0 un numero che non
è radice di P .
Il Corollario 8.1.7 si può esprimere dicendo che un polinomio di grado
n ≥ 1 ha esattamente n radici, se ognuna di esse viene contata con la propria
molteplicità; se z1 , . . . , zs sono le radici distinte di P e se h1 , . . . , hs sono le
rispettive molteplicità, si ha
P (z) = an · (z − z1 )h1 · · · (z − zs )hs (8.1.5)
con h1 + . . . hs = n.
Dalla formula precedente segue in particolare che un polinomio di grado
n ≥ 1 ha al più n radici distinte. Conseguentemente, due polinomi P e Q,
entrambi di grado minore o uguale di n, che coincidono in n + 1 punti distinti
sono necessariamente uguali (infatti il polinomio P − Q si annulla in n + 1
punti distinti).
Uno dei metodi più comunemente utilizzati per determinare le radici di
un polinomio P consiste nell’applicazione della regola di Ruffini, che per il
suo carattere elementare non viene qui approfondita.

8.2 Polinomi a coefficienti reali


Ci si sofferma ora maggiormente sui polinomi a coefficienti reali, in quan-
to per tali polinomi si possono aggiungere alcune proprietà interessanti che
risulteranno particolarmente utili nel seguito.
Per esporre compiutamente tali proprietà, conviene introdurre il poli-
nomio coniugato di un assegnato polinomio (a coefficienti complessi) e stu-
diarne il comportamento delle radici.
Definizione 8.2.1 Siano a0 , . . . , an ∈ C con an 6= 0 e si consideri il poli-
nomio P (z) = a0 + · · · + an z n . Si denomina polinomio coniugato di P , e si
denota con P il polinomio
P (z) = a0 + · · · + an z n .
Quindi il polinomio coniugato di un polinomio P ha come coefficienti i
coniugati dei coefficienti di P . Se P ha grado n, anche il polinomio coniugato
ha grado n. Ad esempio il coniugato del polinomio P (z) = iz 4 − 2z 3 + (2 −
i)z + 1 + i è il polinomio P (z) = −iz 4 − 2z 3 + (2 + i)z + 1 − i.
Ovviamente, un polinomio coincide con il suo polinomio coniugato se e
solo se è a coefficienti reali.
Per quanto riguarda le radici del polinomio coniugato, vale la proprietà
seguente.
8.2 Polinomi a coefficienti reali 9

Proposizione 8.2.2 Se P è un polinomio e z0 ∈ C è una radice di P , allora


il numero complesso coniugato z0 di z0 è una radice del polinomio coniugato
P.

Dimostrazione. Siano a0 , . . . , an ∈ C con an 6= 0 tali che P (z) = a0 + · · · + an z n . Allora,


dalla Definizione 8.2.1, P (z0 ) = a0 + a1 z0 + · · · + an z0 n = a0 + · · · + an z0n = P (z0 ) e quindi
si ha P (z0 ) = 0 se e solo se P (z0 ) = 0 ¤

Si può osservare in più che sez1 , . . . , zs sono le radici distinte di P aventi


rispettivamente molteplicità h1 , . . . , hs , dalla (8.1.5) si ha P (z) = an · (z −
z1 )h1 · · · (z − zs )hs con h1 + . . . hs = n e quindi

P (z) = an · (z − z1 )h1 · · · (z − zs )hs (8.2.1)

Dunque z1 , . . . , zs sono le radici distinte del polinomio coniugato P ed hanno


le stesse molteplicità h1 , . . . , hs di z1 , . . . , zs .
Dalla proprietà precedente si è in grado di ricavare alcune proprietà delle
radici di un polinomio a coefficienti reali.

Proposizione 8.2.3 Sia P un polinomio a coefficienti reali. Se z0 ∈ C è


una radice di P , allora anche il numero complesso coniugato z0 è una radice
di P avente la stessa molteplicità di z0 .

La dimostrazione della proposizione precedente è ovvia, tenendo presente


che nel caso in esame P = P .
Poiché le radici di un polinomio di grado n sono esattamente n se si tiene
conto della molteplicità, si deduce che le radici complesse non reali devono
essere a due a due coniugate e quindi sono in numero pari. Pertanto si ha la
seguente proprietà.

Proposizione 8.2.4 Sia P un polinomio a coefficienti reali di grado n ≥ 1,


con n dispari. Allora esiste almeno una radice reale di P .

Come ulteriore conseguenza della Proposizione 8.2.3, si può ricavare un’u-


tile decomposizione di un polinomio a coefficienti reali.
Sia P (z) = a0 + · · · + an z n un polinomio con coefficienti a0 , . . . , an ∈ R,
an 6= 0. Dalla (8.1.5), e tenendo presente che le radici complesse sono tra
loro coniugate (e quindi possono essere moltiplicate tra loro dando luogo a
termini di secondo grado con ∆ < 0), si deduce che il polinomio P si può
decomporre nel modo seguente:

P (x) = an (x−x1 )h1 · · · (x−xp )hp (x2 +b1 x+c1 )k1 · · · (x2 +bq x+cq )kq , (8.2.2)
10 Capitolo 8: Polinomi ed equazioni algebriche

dove x1 , . . . , xp sono le radici reali di P aventi rispettivamente molteplicità


h1 , . . . , hp , e k1 , . . . , kq sono le molteplicità delle radici complesse coniugate
dei termini x2 + b1 x + c1 , . . . , x2 + bq x + cq con ∆1 = b21 − 4c1 < 0, . . . , ∆q =
b2q − 4cq < 0. Poiché la somma di tutte le molteplicità deve essere n, si deve
infine avere
h1 + · · · + hp + 2(k1 + · · · + kq ) = n .
Progetto RIESCI

Preparazione ai corsi di

Analisi Matematica
ed al test d’ingresso
per l’accesso alle Facoltà di Ingegneria

Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi del Salento


Capitolo 9

Alcuni metodi di risoluzione di


equazioni e disequazioni

Siano X ed Y sottoinsiemi di R ed f : X → R e g : Y → R funzioni reali.


Un’equazione si presenta nella forma seguente

f (x) = g(x) .

Risolvere la precedente equazione significa determinare l’insieme

S := {x ∈ X ∩ Y | f (x) = g(x)} .

In maniera analoga, una disequazione si presenta in una delle seguenti


forme

f (x) ≤ g(x) , f (x) ≥ g(x) , f (x) < g(x) , f (x) > g(x)

e risolverla significa determinare l’insieme degli elementi di X ∩ Y per cui la


diseguaglianza indicata risulta vera.

9.1 Equazioni e disequazioni razionali intere


Un tipo molto semplice di equazioni e disequazioni é costituito da quelle di
tipo algebrico. Esse si presentano nella forma

P (x) = 0

oppure, rispettivamente,

P (x) ≤ 0 , P (x) ≥ 0 , P (x) < 0 , P (x) > 0 ,


4 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

con P polinomio.
In precedenza ci si è soffermati sulle soluzioni delle equazioni polinomiali
e pertanto ora si prenderanno in considerazione soprattutto le disequazioni;
ovviamente, queste hanno senso solo per polinomi a coefficienti reali in quanto
in C non si possono considerare disequazioni. Passando, se necessario, alla
disequazione opposta, nel seguito si potrà supporre, qualora lo si ritenga
conveniente, che il coefficiente della potenza di grado massimo del polinomio
sia strettamente positivo.
Si studiano dapprima i casi più semplici in cui il grado del polinomio P
è 0, 1 oppure 2 e poi si passa al caso generale.
Si supponga dapprima che P sia un polinomio di grado 0, cioè P (x) = a0
per ogni x ∈ R con a0 6= 0. In questo caso, se a0 > 0, le disequazioni
P (x) ≤ 0 e P (x) < 0 non sono mai soddisfatte per cui S = ∅, mentre le
disequazioni P (x) ≥ 0 e P (x) > 0 sono sempre soddisfatte per cui S = R; il
caso a0 < 0 si discute in maniera analoga.
Si considera ora il caso in cui P sia un polinomio di grado 1, cioè P (x) =
mx + n per ogni x ∈ R con m, n ∈ R ed m > 0; in questo caso, è facile
vedere che le disequazioni in esame hanno rispettivamente come soluzioni i
seguenti intervalli: S =] − ∞, −n/m], S = [−n/m, +∞[, S =] − ∞, −n/m[,
S =] − n/m, +∞[. Ad esempio, la disequazione 2x+3¿0, ha come soluzioni
l’insieme S =] − 3/2, +∞[, mentre la disequazione 3 − 4(5 − x) ≤ 2x + 5 ha
come soluzioni l’insieme S =] − ∞, 11].
Sia ora P (x) = ax2 + bx + c un polinomio di secondo grado con a, b, c ∈ R
ed a > 0. In questo caso bisogna tener presente che:

• Se ∆ > 0, denotate con x1 e x2 le due radici distinte di P con x1 < x2 ,


risulta P (x) ≥ 0 in ]−∞, x1 ]∪[x2 , +∞[ e P (x) ≤ 0 in [x1 , x2 ] (se a < 0,
si ha ovviamente P (x) ≥ 0 in [x1 , x2 ] e P (x) ≤ 0 in ]−∞, x1 ]∪[x2 , +∞[).

• Se ∆ = 0, risulta sempre P (x) ≥ 0 e P si annulla solo nell’unica radice


x0 = −b/2a (se a < 0, risulta sempre P (x) ≤ 0 e P si annulla solo
nell’unica radice x0 ).

• Se ∆ < 0, risulta sempre P (x) > 0 (se a < 0, risulta sempre P (x) < 0).

Da quanto osservato si deduce facilmente l’insieme delle soluzioni di og-


nuna delle disequazioni in esame. Ad esempio, la disequazione 2x2 −2x+1 ≤ 0
non è mai soddisfatta il quanto il polinomio 2x2 − 2x + 1 ha ∆ = 4 − 8 =
−4 < 0 ed è quindi sempre strettamente positivo. Invece, la disequazione
x2 − x − 6 > 0 è soddisfatta in ] − ∞, −2[∪]3, +∞[ in quanto il polinomio
x2 − x − 6 ha due radici reali −2 e 3.
9.1 Equazioni e disequazioni razionali intere 5

Si considera, infine, il caso generale. Siano n ∈ N ed a0 , . . . , an ∈ R con


an 6= 0 e si consideri il polinomio

P (x) = a0 + a1 x + · · · + an xn , x∈R.

Essendo a coefficienti reali, il polinomio P si può decomporre come segue


(vedasi la Sezione 8.2, formula (8.2.2))

P (x) = an (x − x1 )h1 · · · (x − xp )hp (x2 + b1 x + c1 )k1 · · · (x2 + bq x + cq )kq ,

dove x1 , . . . , xp sono le radici reali di P aventi rispettivamente molteplicità


h1 , . . . , hp , e k1 , . . . , kq sono le molteplicità delle radici complesse coniugate
dei termini x2 + b1 x + c1 , . . . , x2 + bq x + cq con ∆1 = b21 − 4c1 < 0, . . . , ∆q =
b2q − 4cq < 0. Poiché la somma di tutte le molteplicità deve essere n, si deve
infine avere
h1 + · · · + hp + 2(k1 + · · · + kq ) = n .
Per ottenere tale decomposizione, si può procedere in modo diretto per
i polinomi di grado minore o uguale di 2 (oppure anche per quelli di grado
3 e 4), oppure utilizzare la regola di Ruffini per i polinomi di grado superi-
ore. La decomposizione del polinomio è il punto di partenza per lo studio
delle disequazioni algebriche. Una volta ottenuta tale decomposizione, si può
studiare il segno di ogni fattore e dedurre poi il segno del prodotto tenendo
presente che il prodotto di un numero dispari di numeri negativi è negativo
e il prodotto di un numero pari di numeri negativi è un numero positivo.
Inoltre, poiché i fattori di secondo grado hanno tutti discriminante negati-
vo, tali fattori hanno tutti segno costante strettamente positivo (in quanto
il coefficiente di x2 è 1 > 0). Per rendere più chiaro lo studio dei segni dei
singoli fattori, ci si può avvalere di uno schema grafico utilizzando per ogni
fattore un tratto continuo per rappresentare gli intervalli in cui è positivo
e tratteggiato per gli intervalli in cui è negativo; ad esempio, il segno del
fattore x − 1 viene rappresentato come segue
1
x−1≥0 −−−−−−−−−−−−•

e quello del fattore x2 − 2x − 3 nel modo seguente


−1 3
x2 − 2x − 3 ≥ 0 • − − − − − − −− •

In questo modo, il segno del polinomio sarà positivo negli intervalli in cui
vi è un numero pari di fattori negativi e negativo negli intervalli in cui vi è
un numero dispari di fattori negativi. Alla fine, si considerano gli intervalli
corrispondenti al tipo di disequazione richiesta.
6 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

Ad esempio, si consideri la disequazione x3 + x2 − 4x − 4 > 0; il polinomio


P (x) = x3 + x2 − 4x − 4 si può decomporre utilizzando la regola di Ruffini
come segue P (x) = (x−2)(x+1)(x+2); nello schema seguente si rappresenta
il segno di ogni fattore e quello del prodotto:

−2 −1 2
x−2≥0 •−
−−−−−−−−−−−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

x+1≥0 •−
−−−−−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

x+2≥0 •−
−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

P (x) ≥ 0 •−
−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−• −−−−−−
•−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

Poiché si vuole che il segno di P sia strettamente positivo, alla fine van-
no considerate le soluzioni date dall’insieme S :=] − 2, −1[∪]2, +∞[; nella
seguente rappresentazione geometrica si é convenuto di rappresentare con
un cerchietto pieno gli estremi inclusi nell’insieme, o in cui é soddisfatta la
diseguaglianza in esame, e con un cerchietto vuoto i rimanenti estremi.

−2 −1 2
S ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦ ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

Anziché utilizzare i simboli • e ◦ spesso si ricorre ai simboli [ e ] con le


stesse convenzioni che riguardano gli intervalli; pertanto, l’insieme S si può
anche rappresentare nel modo seguente.
−2 −1 2
S ]−
−−
−−
−−
−−
−−
−−[
− ]−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

9.2 Equazioni e disequazioni razionali fratte


Si considerano ora equazioni e disequazioni in cui sono coinvolte funzioni
razionali fratte. Si ricorda che una funzione R : X → R definita in un
sottoinsieme X di R si dice funzione razionale fratta (oppure semplicemente
funzione razionale) se esistono due polinomi P e Q, con Q non nullo, tali che

X := {x ∈ R | Q(x) 6= 0}

e inoltre, per ogni x ∈ X,


P (x)
R(x) := .
Q(x)
9.2 Equazioni e disequazioni razionali fratte 7

Poiché il polinomio Q ha sempre un numero finito di radici, le funzioni


razionali non sono definite al più in un numero finito di punti.
Per quanto riguarda le equazioni con funzioni razionali, esse si riducono a
quelle polinomiali. Infatti, si ha R(x) = 0 se e solo se P (x) = 0 e Q(x) 6= 0;
bisogna quindi trovare le radici del polinomio P e verificare che in esse non
si annulli anche il denominatore, nel qual caso la funzione razionale non
risulterebbe definita. Ad esempio l’equazione
(x − 1)(x − 2)
=0
x2 − x
ha come unica radice l’elemento 2, in quanto l’altra radice 1 del numeratore
annulla anche il denominatore e quindi non ha senso considerare l’equazione
in tale punto. Anche lo studio delle disequazioni razionali fratte viene condot-
to in modo molto simile a quello delle disequazioni razionali intere. Bisogna
innanzitutto decomporre entrambi i polinomi P e Q in fattori di primo e
secondo grado con discriminante minore di 0 e successivamente studiare il
segno di ogni fattore (sia del numeratore che del denominatore); infine si
tiene presente che il segno della funzione razionale sarà, come nel caso delle
disequazioni razionali intere, positivo negli intervalli in cui vi è un numero
pari di fattori negativi e negativo negli intervalli in cui vi è un numero dispari
di segni negativi. Rispetto al caso polinomiale, nel considerare gli interval-
li corrispondenti alla disequazione richiesta, bisogna comunque escludere i
punti in cui si annulla il polinomio Q al denominatore.
Ad esempio, si consideri la disequazione
x−2
≤2;
x−1
essa è equivalente a
x−2
−2≤0,
x−1
e quindi, considerando il minimo comune multiplo,
−x
≤0.
x−1
Pertanto, bisogna studiare i segni di −x e x − 1, da cui si ottiene
0 1
−x ≥ 0 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−• −−−−−−−−−−−−−−−

x−1≥0 •−
−−−−−−−−−−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

R(x) ≥ 0 •−
−−−−−−−−−−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−• −−−−−−−−
8 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

dove R(x) denota la funzione razionale −x/(x − 1).


Poiché nel caso in esame si vuole che R(x) ≤ 0, le soluzioni sono date dal-
l’insieme S :=] − ∞, 0]∪]1, +∞[, che si può rappresentare nel modo seguente.

0 1
S −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•
− ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

9.3 Sistemi di equazioni e disequazioni


Nelle sezioni successive, si studieranno alcuni casi in cui le equazioni o dise-
quazioni in esame possono essere ricondotte ad una o più equazioni o dise-
quazioni di tipo più semplice. Quando, in generale, si hanno più equazioni
(rispettivamente, disequazioni) che devono essere soddisfatte contemporanea-
mente si preferisce parlare di sistemi di equazioni (rispettivamente, sistemi
di disequazioni ) e raggruppare le disequazioni con una parentesi graffa. Un
sistema di equazioni (rispettivamente, disequazioni) si presenta nella forma


 f1 (x) = g1 (x) ,

 f2 (x) = g2 (x) ,
..

 .

 f (x) = g (x)
n n

(rispettivamente, 

 f1 (x) ≤ g1 (x) ,

 f2 (x) ≤ g2 (x) ,
..

 .

 f (x) ≤ g (x) ),
n n

con f1 : X1 → R, . . . , fn : Xn → R e g1 : Y1 → R, . . . , gn : Yn → R funzioni
reali assegnate.
Le soluzioni di un sistema di equazioni (rispettivamente, disequazioni)
sono date dall’insieme

S := {x ∈ X1 ∩ · · · ∩ Xn ∩ Y1 ∩ · · · ∩ Yn | f1 (x) = g1 (x), . . . , fn (x) = gn (x)}

(rispettivamente,

S := {x ∈ X1 ∩ · · · ∩ Xn ∩ Y1 ∩ · · · ∩ Yn | f1 (x) ≤ g1 (x), . . . , fn (x) ≤ gn (x)} ).

Quindi, per determinare l’insieme S si determinano separatamente gli insie-


mi S1 , . . . , Sn di ognuna delle equazioni (rispettivamente, disequazioni) del
9.3 Sistemi di equazioni e disequazioni 9

sistema. Allora l’insieme S é dato da S1 ∩ · · · ∩ Sn . Quanto osservato vale


anche per i sistemi misti, che contengono sia equazioni che disequazioni.
Ad esempio, si consideri il sistema

 2x > 5 ,
x2 − 5x + 6 = 0 ,

x 6= 0 .
La prima disequazione ha come soluzioni l’insieme S1 =]5/2, +∞[; la
seconda equazione l’insieme S2 = 2, 3 e la terza l’insieme R r {0}. Quindi
l’insieme S delle soluzioni del sistema è dato da S = S1 ∩ S2 ∩ S3 = {3}.
L’intersezione può essere facilmente determinata graficamente consideran-
do i punti comuni agli insiemi delle soluzioni di ogni disequazione o equazione.

0 2 5/2 3
S1 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
S2 • •
S3 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S •

Si consideri ora il sistema


 2
 x + 5 ≤ 2x2 + 4 ,
x4 − 16 < 0 ,

2x − 1 > 0 .
L’insieme S1 delle soluzioni della prima disequazione é dato da S1 :=
] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[, l’insieme S2 delle soluzioni della seconda disequazione
é dato da S2 :=] − 2, 2[ ed infine l’insieme S3 delle soluzioni della terza
disequazione é dato da S3 :=]1/2, +∞[. Pertanto, le soluzioni del sistema
sono date dall’insieme S := S1 ∩ S2 ∩ S3 = [1, 2[, come si riconosce anche dal
grafico seguente.

−2 −1 1/2 1 2
S1 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•
− •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S2 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦
S3 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S •−
−−
−−
−−
−−◦

10 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

9.4 Equazioni e disequazioni irrazionali


Si considerano innanzitutto equazioni irrazionali del tipo
p
n
f (x) = g(x) .

Se n è pari, sia la funzione f che la funzione g devono essere positive,


la prima in quanto argomento della radice n-esima, la seconda in quanto
deve soddisfare l’uguaglianza prevista; una volta che ciò sia stato imposto,
si possono elevare primo e secondo membro alla potenza n-esima ed ottenere
un’equazione in cui non figura più la radice n-esima. Se n invece è dispari,
non è necessario imporre la positività delle funzioni f e g e quindi si possono
elevare direttamente alla potenza n-esima entrambi i membri dell’equazione.
Si conclude che l’equazione in esame è equivalente al seguente sistema

 f (x) ≥ 0 ,
g(x) ≥ 0 ,

f (x) = g(x)n ,

se n é pari, altrimenti é equivalente all’equazione

f (x) = g(x)n

se n é dispari.
Per quanto riguarda le disequazioni irrazionali conviene considerare sep-
aratamente i seguenti due casi:
p
n
p
f (x) ≤ g(x) , f (x) ≤ n g(x)

(le diseguaglianze strette < al posto di ≤ vengono trattate in maniera analo-


ga). Se n é dispari entrambi i tipi di disequazioni sono equivalenti a quelle
che si ottengono elevando entrambi i membri alla potenza n-esima. Se n é
pari, con ragionamento analogo a quello svolto per le equazioni, si riconosce
che la prima disequazione in esame é equivalente al sistema

 f (x) ≥ 0 ,
g(x) ≥ 0 ,

f (x) ≤ g(x)n ,

mentre la seconda é equivalente ai due sistemi



½  f (x) ≥ 0 ,
f (x) ≤ 0 ,
g(x) ≥ 0 ,
g(x) ≥ 0 , 
f (x)n ≤ g(x) ,
9.4 Equazioni e disequazioni irrazionali 11

nel senso che le soluzioni della disequazione sono date dall’unione delle soluzioni
dei due sistemi.
Ad esempio, si consideri la disequazione

x2 − x − 2 < x + 1 .

In base alla discussione precedente, essa é equivalente al sistema


 2
 x −x−2≥0,
x+1≥0,
 2
x − x − 2 < x2 + 2x + 1 ;

denotati con S1 , S2 e rispettivamente S3 gli insieme delle soluzioni della


prima, seconda e rispettivamente terza disequazione, si ottiene facilmente

S1 =] − ∞, −1[∪[2, +∞[ , S2 = [−1, +∞[ , S3 =] − 1, +∞[

e conseguentemente la disequazione assegnata é soddisfatta nell’insieme S =


S1 ∩ S2 ∩ S3 = [2, +∞[.

−1 2
S1 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•
− •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S2 •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
S3 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

Al contrario, la disequazione opposta



x2 − x − 2 > x + 1

é equivalente ai due sistemi


 2
½ 2  x −x−2≥0,
x −x−2≥0,
x+1≥0,
x+1<0,  2
x − x − 2 > x2 + 2x + 1 ;

in base alla discussione precedente, si riconosce facilmente che il primo sis-


tema ha come soluzioni l’insieme S 0 =] − ∞, −1[, mentre il secondo sistema
non é mai soddisfatto (S 00 = ∅); allora le soluzioni della disequazione sono
date da S = S 0 ∪ S 00 =] − ∞, −1[ (si osservi che in questo caso alla fine viene
considerata l’unione delle soluzioni dei due sistemi).
12 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

Come ulteriore esempio, si consideri la disequazione



2 − x < x2 − 1 ;

essa é ancora una volta equivalente ai due sistemi



½  2−x≥0,
2−x<0,
x2 − 1 ≥ 0 ,
x2 − 1 ≥ 0 , 
4 − 4x + x2 < x2 − 1 .

Per quanto riguarda il primo sistema, la prima disequazione é soddisfatta in


S10 =]2, +∞[ e la seconda in S20 =] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[, per cui le soluzioni
del primo sistema sono date dall’insieme S 0 =]2, +∞[.
−1 1 2
S10 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
S20 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•
− •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S0 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

Il secondo sistema ha invece come soluzioni l’insieme S 00 =]5/4, 2], in


quanto la prima disequazione é soddisfatta in S100 =] − ∞, 2], la seconda in
S200 =] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[ e la terza in S300 =]5/4, +∞[.
−1 1 5/4 2
S100 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•

S200 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•
− •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S300 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S 00 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•

Si conclude che le soluzioni della disequazione assegnata sono date dal-


l’insieme S = S1 ∪ S2 =]5/4, +∞[.
5/4 2
S0 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
S 00 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−•

S ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

9.5 Equazioni e disequazioni con valore assoluto 13

9.5 Equazioni e disequazioni con valore asso-


luto
Per ogni x ∈ R, il valore assoluto |x| di x è definito ponendo
½
x, x≥0;
|x| :=
−x , x<0.

Un’equazione del tipo


|f (x)| = g(x) ,
con f e g funzioni reali assegnate, può essere ricondotta facilmente ad un
sistema di equazioni e disequazioni in cui non compare più il valore assolu-
to. Infatti, tenendo presente che deve essere necessariamente g(x) ≥ 0, le
soluzioni sono date dai due sistemi:
½ ½
g(x) ≥ 0 , g(x) ≥ 0 ,
f (x) = g(x) , f (x) = −g(x) .

Ad esempio, l’equazione

|x2 + x + 1| = x2 − 3x + 2

ha come soluzioni quelle dei due sistemi


½ 2 ½ 2
x − 3x + 2 ≥ 0 , x − 3x + 2 ≥ 0 ,
2 2
x + x + 1 = x − 3x + 2 , x2 + x + 1 = −(x2 − 3x + 2) .

Il primo di essi è soddisfatto in S1 = (]−∞, 1]∪[2, +∞[)∩{1/4} = {1/4};


il secondo invece non ha soluzioni in quanto l’equazione x2 + x + 1 = −(x2 −
3x + 2), equivalente a 2x2 − 2x + 3 = 0 non è mai soddisfatta. Si conclude
che l’equazione assegnata ammette come unica soluzione il punto x = {1/4}.
Si considerano ora le disequazioni che coinvolgono il valore assoluto.
Anche in questo caso conviene considerare separatamente quelle che si
presentano nella forma
|f (x)| ≤ g(x) ,
da quelle del tipo
f (x) ≤ |g(x)|
(nel caso di diseguaglianze strette i metodi di risoluzione sono del tutto
analoghi e pertanto per brevità vengono omessi).
14 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

Tenendo presente che la disequazione |x| ≤ a non é mai soddisfatta se


a < 0 ed é soddisfatta per −a ≤ x ≤ a se a ≥ 0, la prima disequazione é
equivalente al seguente sistema

 g(x) ≥ 0 ,
−g(x) ≤ f (x) ,

f (x) ≤ g(x) ,

in cui non é più coinvolto il valore assoluto.


Analogamente, tenendo presente che la disequazione a ≤ |x| é sempre
soddisfatta se a < 0 ed é soddisfatta sia per x ≥ a che per x ≤ −a se a ≥ 0,
allora la seconda disequazione in esame é equivalente ai seguenti tre sistemi
(nel senso che l’insieme delle soluzioni é dato dall’unione degli insiemi delle
soluzioni dei tre sistemi)
½ ½ ½
f (x) < 0 , f (x) ≥ 0 , f (x) ≥ 0 ,
x ∈ Xg ; g(x) ≥ f (x) ; g(x) ≤ −f (x) ,

dove nel primo sistema si é denotato con Xg l’insieme di definizione della


funzione g (infatti la condizione f (x) < 0 assicura la validità di f (x) ≤ |g(x)|
purché anche la funzione g sia definita in x).
Ad esempio, si consideri la disequazione |x2 − 9x + 7| ≤ 7. Da quanto
osservato, essa si riconduce al sistema

 7≥0,
x2 − 9x + 7 ≤ 7 ,

−7 ≤ x2 − 9x + 7 .

La prima disequazione è sempre soddisfatta (S1 = R). La seconda si


può scrivere x2 − 9x + 14 ≥ 0; poiché ∆ = 25, si hanno due radici x1 = 2
e x2 = 7 e la disequazione è soddisfatta per x ≤ 2 o per x ≥ 7, cioé in
S2 =] − ∞, 2] ∪ [7, +∞[. L’ultima disequazione si scrive come x2 − 9x ≤ 0 e
quindi è soddisfatta in S3 = [0, 9]. Quindi la disequazione assegnata ha come
soluzioni l’insieme S = [0, 2] ∪ [7, 9].
0 2 7 9
S1 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
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−−
−−

S2 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
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−−
−−
−−•
− •−
−−
−−
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−−
−−
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−−

S3 •−
−−
−−
−−
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−−
−−
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−−
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−−
−−
−•

S •−
−−
−−
−−
−−
−• •−
−−
−−
−−
−−
−•
9.6 Metodo grafico 15

Si consideri ora la disequazione


x + 1 < |x2 − 3x − 8| ,
che in base alla discussione effettuata, si riconduce ai tre sistemi
½ ½
© x+1≥0, x+1≥0,
x+1<0, 2
x − 3x − 8 < −x − 1 , x + 1 < x2 − 3x − 8 .
Il primo sistema ha come soluzioni l’insieme S 0 =] − ∞, −1[.
Per quanto riguarda il secondo sistema, la disequazione x + 1 ≥ 0 è
soddisfatta per x ≥ −1, e la disequazione x2 − 3x − 8√ < −x − 1 è equivalente

2
a x − 2x − 7 < 0; si hanno due soluzioni
√ x 1 = 1 − 2√ 2 e x 2 = 1 + 2 2 e la
disequazione è soddisfatta per 1 − 2 2 < x < 1 + 2√ 2; pertanto il secondo
sistema ha come soluzioni l’insieme S 00 = [−1, 1 + 2 2[.
Infine, la prima disequazione x + 1 ≥ 0 del terzo sistema è soddisfatta
per x ≥ −1; la seconda disequazione x + 1 < √ x2 − 3x − 8 è √
equivalente a
2
x − 4x − 9 > 0; si hanno due soluzioni x3 √= 2 − 13 e x4 = 2√ + 13, e quindi
la disequazione è soddisfatta per x < 2 − 13 e per√x > 2 + 13; pertanto il
terzo sistema ha come soluzioni l’insieme S 000 =]2 + 13, +∞[. Concludendo,
le soluzioni √della disequazione
√ iniziale sono date da S = S1 ∪ S2 ∪ S3 =
] − ∞, 1 + 2 2[∪]2 + 13, +∞[.
√ √
1 1+2 2 1+ 13
S0 −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦
S 00 •−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦

S 000 ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

S −
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−◦ ◦−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−
−−

9.6 Metodo grafico


Si considerano ora alcuni tipi di equazioni e disequazioni in cui sono coin-
volte funzioni esponenziali, logaritmiche, trigonometriche e trigonometriche
inverse.
Uno dei metodi più semplici per la risoluzione di tali equazioni consiste
nel confrontare i grafici delle funzioni che compaiono al primo ed al secondo
membro della disequazione in esame e dedurre da tale grafico l’insieme delle
soluzioni della disequazione; per tale confronto bisogna comunque sempre
imporre che le funzioni siano definite nei punti considerati.
16 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

Il confronto grafico può essere effettuato molto facilmente nei casi in cui
una delle funzioni sia una retta o, più in particolare, una retta orizzontale,
nel qual caso uno dei membri della disequazione é costante.
Si considera qualche esempio, al fine di illustrare più chiaramente il meto-
do descritto.

Si consideri la disequazione

log x < 1 .

Confrontando il grafico della funzione log con la retta orizzontale passante


per il punto (0, 1), si deduce in maniera immediata che la disequazione é
soddisfatta nell’insieme S =]0, e[ (vedasi la Figura 9.1).

x
0 1 S e

Figura 9.1: Metodo grafico per le disequazioni: Esempio 1

Si consideri ora la disequazione

1
sin x > .
2
Confrontando il grafico della funzione sin con la retta orizzontale passante per
il punto (0, 1/2), si deduce subito che nell’intervallo [−π, π], la disequazione
é soddisfatta nell’insieme S0 =]π/6, 5π/6[ (vedasi la Figura 9.2).
Tenendo poi conto della periodicità della funzione seno, si ricava l’insieme
S di tutte le soluzioni dato da
[ ¸π 5
·
S= + 2kπ, π + 2kπ .
k∈Z
6 6
9.6 Metodo grafico 17

x
-π 0 S0 π

Figura 9.2: Metodo grafico per le disequazioni: Esempio 2

Si prende ora in esame la disequazione


π
arcsin x ≤ .
6
Confrontando il grafico della funzione arcsin con la retta orizzontale pas-
sante per il punto (0, π/6), si deduce subito che la disequazione é soddisfatta
nell’insieme S = [−1, 1/2[ (vedasi la Figura 9.3).

y
π
2
-

π
6
-

x
-1 1 1
2
-

π
2
--

Figura 9.3: Metodo grafico per le disequazioni: Esempio 3

Più generale, il metodo descritto negli esempi precedenti può essere ap-
plicato anche nei casi in cui il confronto non sia necessariamente con una
retta; in tali casi l’utilizzo del calcolo differenziale può essere utile per la
dimostrazione di qualche diseguaglianza. Inoltre, il teorema degli zeri può
anche essere utilizzato per una determinazione approssimata delle soluzioni,
nei casi in cui non sia possibile descrivere le soluzioni in maniera precisa.
18 Capitolo 9: Equazioni e disequazioni

Ad esempio, si consideri la seguente disequazione:

x4 + e x ≤ 1 .

0
x
S

Figura 9.4: Metodo grafico per le disequazioni: Esempio 4

Confrontando i grafici della funzione 1 − ex e della funzione x4 (vedasi la


Figura 9.4), si riconosce subito che tali funzioni assumono lo stesso valore in
un punto x0 < 0 e in 0 e conseguentemente, le soluzioni della disequazione
assegnata sono date dall’insieme S =]x0 , 0[. Il punto x0 non può essere
determinato in modo preciso, tuttavia esso è sicuramente compreso tra −1 e
−1/2 in quanto nel punto −1/2 la disequazione é soddisfatta (come si verifica
direttamente), mentre nel punto −1 non lo è.

Michele Campiti
Dipartimento di Matematica “E. De Giorgi”
Università degli Studi di Lecce
P.O.Box 193
73100 Lecce
E-Mail: michele.campiti@unile.it

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