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MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DEL PIEMONTE


SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL PIEMONTE E DEL MUSEO ANTICHITÀ EGIZIE

ENTE DI GESTIONE PARCHI E RISERVE NATURALI CUNEESI

Speleologia e archeologia
a confronto
Atti del Convegno
Chiusa di Pesio - Ormea
9-10 giugno 2007

a cura di
Marica Venturino Gambari
Il convegno è stato organizzato da

Ministero per i Beni e le Attività Culturali


Direzione Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici del Piemonte
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte
e del Museo Antichità Egizie

Ente di Gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi

con la collaborazione di

Associazione Gruppi Speleologici Piemontesi Onlus


Speleo Club Tanaro
Museo Civico di Cuneo

Segreteria scientifica
Marica Venturino Gambari
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e
del Museo Antichità Egizie
Piazza S. Giovanni, 2 – 10122 TORINO
Tel. 011-5212507, 5213323, 5214069;
fax 011-5213145;
e-mail: marica.venturino@beniculturali.it

Segreteria organizzativa
Patrizia Grosso
Caterina Musso
Erika Chiecchio
Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi
Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa di Pesio
Tel 0171-734021; fax 0171-735166;
e-mail: parcopesio@ruparpiemonte.it

Redazione del volume di Atti


Marica Venturino Gambari, con la collaborazione di
Maurizia Lucchino

Grafica e stampa
TIPOLITOEUROPA CN
Dedicato a Livio Mano
(1947-2007)

nel ricordo della sua attività a favore della ricerca e della valorizzazione
dell’archeologia e della paleontologia del Cuneese
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La necessità di adempiere ad un impegno istituzionale di tutela, previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio
(Decreto Legislativo 42/2004, art. 10, comma 4, lettera a) e la consapevolezza della frequenza di rinvenimenti di con-
testi e reperti paleontologici, verificatisi in passato senza che gli organi competenti ne fossero portati a conoscenza, ha
indotto la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie e l’Ente di gestione Parchi e
Riserve Naturali Cuneesi di Chiusa di Pesio a mettere a punto un progetto finalizzato al recupero, all’analisi e allo studio
di resti di orso (Ursus spelaeus e Ursus arctos) provenienti da grotte e cavità delle Alpi Marittime e a favorire occasioni di
incontro e di confronto con il mondo degli speleologi, con la speranza di contribuire all’emersione di altre informazioni
e all’avvio di forme di corretta collaborazione.

Il progetto “Quando c’erano gli orsi …”, attivato dalla Soprintendenza e dal Laboratorio Territoriale di Educazione Am-
bientale, con la collaborazione del Laboratorio di Paleontologia umana del Dipartimento di anatomia, farmacologia e
medicina legale dell’Università di Torino e di Gruppi speleologici piemontesi e liguri, ha preso avvio nel 2003 nell’ambito
del “Programma di Interventi Ambientali 2002” finanziato dalla Provincia di Cuneo e vede oggi la sua conclusione con
l’allestimento della sala didattica dedicata all’orso bruno presso la sede dell’Ente di gestione Parchi e Riserve Naturali
Cuneesi e con la pubblicazione del volume di atti del convegno “Speleologia e archeologia a confronto”, tenutosi a
Chiusa di Pesio e ad Ormea il 9-10 giugno 2007, conclusosi tragicamente con la prematura scomparsa di Livio Mano,
conservatore del Museo Civico di Cuneo e motore dell’attività di ricerca e di valorizzazione della preistoria e dell’arche-
ologia del Cuneese.

Quello tra speleologia e archeologia non è certo un incontro obbligatorio, ma è un incontro che frequentemente si è
verificato in passato e che si potrà verificare ancora in futuro, anche nel nostro territorio; molte scoperte, importanti e
talvolta straordinarie, sono avvenute proprio ad opera di speleologi o di appassionati escursionisti, senza la cui colla-
borazione non sarebbero divenute patrimonio comune di conoscenza, valorizzazione e fruizione. Ed è proprio a tutti
coloro hanno a cuore la conservazione e la tutela dell’importante potenziale di conoscenze spesso conservato nelle
nostre grotte, archivi oscuri e silenziosi nascosti nelle viscere della terra, mantenutisi intatti nel trascorrere dei secoli e dei
millenni, che si rivolge l’invito a non sottovalutare le conseguenze di interventi, incompetenti e frettolosi, di recupero di
“ossa” con la perdita di documentazione e di reperti di interesse archeologico e paleontologico, che ci priveranno per
sempre di preziosi tasselli di conoscenza.

Nel ringraziare quanti si sono adoperati per la buona riuscita del progetto, vogliamo dedicare questo volume di atti a
Livio Mano, nel ricordo del suo impegno costante a favore dello studio della paleontologia, e a tutti quegli speleologi
che scelgono di essere a fianco degli Enti di tutela per conservare le testimonianze del rapporto millenario tra l’uomo e
l’orso e per farlo conoscere in modo sempre più approfondito.

Egle Micheletto
Soprintendente per i Beni Archeologici del Piemonte
e del Museo Antichità Egizie
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Il nostro Parco è nato nel 1978 per tutelare il territorio del Massiccio del Marguareis, una delle maggiori aree carsiche
d’alta quota delle Alpi, caratterizzato da un notevole patrimonio forestale composto da estesi boschi di faggio ed abete
bianco e da un considerevole numero di specie botaniche ed entomologiche esclusive.

Per queste caratteristiche l’area protetta rappresenta una mèta ambita non solo per botanici, entomologi e ricercatori
ma anche per speleologi di tutta Europa che, con le loro appassionanti esplorazioni, ampliano i confini di questi bui
territori; nel corso di queste esplorazioni spesso possono imbattersi in reperti ossei di varia natura e di epoche diverse.

Proprio grazie al ritrovamento da parte di un gruppo di speleologi cuneesi di reperti ossei nella Conca delle Carsene, nel
Comune di Briga Alta, in una grotta denominata “Abisso El Topo”, è nato il progetto “Quando c’erano gli orsi …”, finaliz-
zato ad una più ampia conoscenza della presenza dell’orso (Ursus spelaeus e Ursus arctos) nelle Alpi Liguri e Marittime,
attraverso la raccolta di tutte le informazioni, della bibliografia disponibile, il recupero di reperti di orso provenienti dal
territorio o conservati presso enti e/o privati, lo studio, la datazione radiometrica e l’analisi completa dei resti, la valoriz-
zazione e la fruizione dei risultati delle ricerche.

In seguito l’Ente Parco ha recuperato i resti dell’animale e, sotto la direzione della dott.ssa Marica Venturino Gambari
della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, lo ha consegnato al Laboratorio di Paleontologia umana
dell’Università di Torino per lo studio osteometrico, che ne ha confermato l’appartenenza ad un esemplare di orso bru-
no (Ursus arctos). Lo scheletro, quasi completo, è stato infine assemblato dal tassidermista Agostino Navone di Riva di
Chieri (Torino) e riconsegnato all’Ente Parco, nella cui sede è esposto, insieme ad un altro esemplare proveniente dalla
grotta dei Termini nel Comune di Ormea. Quest’ultimo è di particolare interesse per la presenza sulla diafisi del femore
sinistro di un’area di colorazione verdastra al cui interno è stata rinvenuta una punta di freccia ad alette in bronzo.

Il 9 e 10 giugno 2007 si è svolto il convegno “Speleologia e archeologia a confronto” che ha fornito un’utile occasione
d’incontro e di scambio tra due mondi solo apparentemente lontani. Questo volume raccoglie le relazioni dei vari esperti
che si sono avvicendati in quell’occasione e la concreta esperienza sul campo del rilievo di un contesto paleontologico/
archeologico. Grazie al sostegno dei gruppi speleologici locali e piemontesi questo momento formativo ha assunto
un’importanza a livello nazionale che ha dato avvio ad una fattiva collaborazione tra gli enti coinvolti.

La stampa di questi atti rappresenta una tappa fondamentale per il nostro Ente, presso il quale si intende costituire un
Centro di Documentazione sulla presenza dell’orso nelle Alpi occidentali, dedicandolo a Livio Mano, conservatore del
Museo Civico di Cuneo, scomparso proprio nei giorni del convegno, prezioso collaboratore di questo e di altri progetti.

Contemporaneamente si è portata avanti la raccolta di tutte le informazioni e della bibliografia disponibile: sono stati
censiti 39 individui di orso bruno provenienti dall’arco alpino sud-occidentale, si è effettuata l’analisi anatomica dei resti
e si è provveduto alla datazione radiometrica di 13 campioni scelti tra i più rappresentativi.

Il Parco conserverà questi reperti presso la propria sede in uno spazio apposito dell’aula didattica dedicato a questo
grande mammifero, fruibile da coloro che vorranno approfondire ricerche e studi sull’orso bruno.

Infine il Parco intende rafforzare e costruire una rete di collaborazioni con musei e comuni limitrofi per migliorare ed
incrementare l’offerta formativa, promozionale e turistica del territorio.

Lorenzo Tassone
Presidente dell’Ente di Gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi
L’orso e l’archeologia.
Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo
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L’orso e l’archeologia.
Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo
Francesco Rubat Borel

“Des découvertes, relativement nombreuses, de chi ossi macellati si trovano negli abitati perché i cacciatori
squelettes fossiles d’ours des cavernes en Europe preferivano portarsi a casa le carni del grosso animale già
centrale et occidentale aux sépultures historiques disossate. E tuttavia l’orso rimane nel nostro immaginario
d’ours brun dûment documentées des contrées come un animale particolare, forse perché è l’unico mam-
nordiques1, on pouvait imaginer une relative mifero europeo che può ergersi eretto ed assomigliare un
continuité des témoignages de la présence et de poco all’uomo, sì da farlo essere così spesso presente nel
l’utilisation de ce plantigrade dans les sites néo- folklore del nostro continente; aggiungo che anche fisica-
lithiques ou protohistoriques d’Europe tempérée. mente può apparire non molto diverso dall’uomo, con le
La confrontation avec les données archéologiques zampe anteriori che possono sembrare braccia e l’assen-
et la discrétion de la représentation de l’ours brun za di elementi troppo distanti dall’uomo (non ha corna,
parmi les vestiges qui nous sont parvenus des lunghe code, manti colorati ...) sì da renderlo l’animale
communautés humaines de ces périodes, laissent più facile da imitare nei mascheramenti (Bestie, santi, di-
au contraire l’impression d’une éclipse dans l’hi- vinità 2003; interessante per le espressioni e i modi di dire
stoire des relations entre l’homme et l’ours”. sull’orso nel dialetto di Boves, Delpiano - Giuliano 2002,
pp. 190-192).
Rose-Marie Arbogast e Patrice Méniel (2002) Passeremo quindi qui in rassegna le testimonianze che
abbiamo trovato, non molte, e che confermano quanto
scritto in un recente libro da Michel Pastoureau, dedicato

Q
all’orso, definito un re decaduto perché negletto e dimen-
uando ho assunto l’impegno di pre- ticato nell’arte europea (Pastoureau 2008).
sentare le testimonianze archeologi- Pastoureau è uno storico dell’iconografia medievale: la
che dell’orso credevo di trovarmi di sua disamina delle fonti storiche e letterarie è ricca di
fronte a un lavoro sì complesso, ma esempi che mostrano come l’orso, ancora ben presente
tutto sommato facile2. Di certo, pen- tra le belve affrontate nelle leggende dei cavalieri e nell’a-
savo, l’animale più grosso dell’antica Europa, il maggiore raldica fino al XII secolo, viene quindi sostituito dal leone
carnivoro del nostro continente, ha lasciato un gran nu- e relegato al ruolo di animale grossolano, pericoloso, stu-
mero di reperti, di raffigurazioni: crani, scheletri, artigli, pido, perfino soggetto a scherzi fino ad essere un gioco,
statue, dipinti ... e poi miti, leggende, menzioni nella let- un pupazzo per bambini in età moderna. Il suo esame
teratura ... E invece fin da subito ho dovuto accorgermi delle fonti archeologiche, nelle prime pagine, però sem-
che non è affatto così. L’immagine popolare dell’uomo bra quasi tradire una delusione malcelata per la povertà
preistorico che affronta gli orsi nelle caverne è un cliché del protagonista del suo libro ... Lo stesso possiamo dire
moderno destituito di fondamento, le pelli d’orso che or- di Juha Pentikäinen che ha recentemente pubblicato un
nano le spalle e le capanne di antichi capi barbari lascia- libro sull’orso nella cultura dei paesi finnici dalla Scandina-
no al più pochi ossi delle zampe, gli orsi che affrontano via alla Siberia (Pentikäinen 2007): a fronte della ricchezza
i gladiatori non sono che delle povere bestie buttate nel di dati antropologici, bisogna riconoscere la rarità di dati
mondo dello spettacolo. Peggio ancora il mondo greco, archeologici e anche che la maggior parte degli oggetti le-
così ricco di immagini, statue, dipinti: poco, pochissimo, gati a tradizioni sull’orso sarebbero invisibili in un contesto
quasi niente sull’orso, nemmeno nella sua complessa mi- archeologico, perché realizzati in materiali deperibili (ma-
tologia. E se pure sappiamo che l’orso era mangiato, po- schere, tamburi, ornamenti in legno e cuoio e pelliccia)3.
54 Francesco Rubat Borel

Fig. 1. Le lingue indoeuropee nel I millennio a.C. e i nomi dell’orso (dis. F. Rubat Borel).

Questa nostra esposizione avrà un ordine cronologico e probabilmente significa “il buon bue”, come se si voles-
sarà geograficamente circoscritta all’Europa e al bacino se esorcizzare o blandire la grossa fiera (fig. 1). Se guar-
del Mediterraneo dalla preistoria al medioevo. In coda, sa- diamo ora all’estremo nord-est dell’Europa, alle lingue
ranno riportate come appendice le testimonianze sull’orso finniche, negli oltre centosessanta soprannomi dell’orso
dei più importanti testi di zoologia dell’antichità. in finlandese c’è di tutto (Pentikäinen 2007, pp. 94-96;
Lot-Falck 1961, pp. 109-112 per le lingue dei popoli della
Siberia): riferimenti ad altri animali (“bue della foresta”,
Una breve introduzione “gatto della foresta”, “mio lupo”, addirittura “uccellino”
linguistica: il nome dell’orso e “piede di serpente”), alle sue attività venatorie (“ter-
rore dei vitelli”, “mangia-vitelli”, “ghiotto di miele”), a
sue caratteristiche fisiche (“ciccione“,“sdentato”, “torace
Il nome dell’orso ha avuto un destino particolare (IEW, p. nero” e, come sempre quando si ha a che fare con so-
875; Buck 1949, p. 186; Pastoureau 2008, pp. 49-61). prannomi, non mancano gli aspetti sessuali, come “pene
Da un lato c’è una grande fascia di lingue che va dall’In- nero”, “grosso pene” o “osso del pene”, per la presenza
dia al Mediterraneo e all’estremo occidente con nomi da dell’osso penico), altri nomi più affettuosi (“buonuomo”,
un’antica parola che ricostruita dai suoi esiti doveva essere “nonnino”, “ospite”, “vecchio della foresta”), altri invece
*rktho-s: nelle lingue indiane rksa-, nelle lingue iraniche terrorizzanti (“occhio maligno”) o rispettosi e ossequiosi
abbiamo l’osseto (unisco discendente delle lingua degli (“signore d’oro”, “re d’oro”, “grande foresta”). Non ci si
Sciti) ars e l’avestico (la lingua dei testi sacri dei Persiani) deve stupire allora se nell’Europa settentrionale le lingue
arša; in armeno arj è stato influenzato da arjn ‘bruno scu- indoeuropee hanno adottato nuovi nomi che significano
ro’; in hittita hartagga; in albanese arí; in greco árktos (e “bruno”, “peloso”, “mangia-miele” ...
la forma più recente árkos); in latino ursus; nelle lingue
celtiche il gallico ha artos, il medio irlandese art, il gallese
arth. Invece nell’Europa settentrionale e orientale l’orso Il Paleolitico e il Mesolitico
ha denominazioni che derivano da soprannomi, come dal (fino al 6.000 a.C.)
colore bruno del suo pelo nelle lingue germaniche (an-
glosassone bera e inglese bear, antico altotedesco bera La presenza di grandi orsi nelle caverne della preistoria,
e tedesco bär, norreno bjorn ...), dal pelo ispido e irsuto durante l’ultima glaciazione, è una delle immagini più
nelle lingue baltiche (lituano lokys, lettone lācis), e infi- radicate nella nostra cultura, spesso in ricostruzioni di
ne nelle lingue slave un nome che significa “il mangia- combattimenti e lotte con uomini primitivi armati di rozze
tore di miele” (slavo ecclesiastico medvedi, serbocroato lance, oppure con sempre questi nostri antenati intenti
medvjed, russo medved, polacco niedzwiedz). Anche in in un rito attorno al cadavere della grande belva (tra le
irlandese, oltre l’antica forma art, c’è mathgamain, che pubblicazioni più recenti: Mano 2006 sul Cuneese; I cac-
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 55

ciatori paleolitici 1984 e Museo archeologico del Finale per altro, questa promiscuità [tra uomo e orso] è acciden-
2004, pp. 14-15 sui giacimenti delle grotte della Liguria tale, e dipende dalle acque che sconvolsero e confusero
di Ponente; Philippe 1993 sulle grotte del monte Grenier due giacimenti di diversa età. La caverna servì prima di
in Savoia; Uomini e orsi 1997 sul Carso triestino)4. L’or- covo agli orsi, ai leoni, alle pantere, poi, questi scompar-
so delle caverne, l’Ursus spelaeus, estintosi tra 15.000 e si, dopo lungo volgere di tempo, fu occupato dall’uomo
12.000 anni fa, di taglia superiore all’orso bruno, l’Ursus neolitico” (Issel 1908, p. 178). Non escludeva tuttavia che
arctos, ancora esistente, appariva come un essere enorme nel Paleolitico ci fossero casi di scontri tra uomini e orsi
e mostruoso e sicuramente (nell’immaginario) pericoloso e che gli ossi di questi fossero utilizzati: “ ... mentre io
per l’uomo. Solamente recentemente si è scoperto che, in ritengo che i cocci sopradescritti sono più recenti dell’U.
realtà, era un animale vegetariano che saliva sui pascoli spelaeus, non è men certo per me che colà questa fiera
alpini negli intervalli di riscaldamento del clima (Bocherens ebbe a imbattersi coll’uomo, e ne fa fede un pezzo di
2002; Argant - Argant 2003; Tillet 2003; Pacher 2003). mandibola inferiore, che osservai, sulla cui superficie in-
Il cliché dell’orso delle caverne come rivale dell’uomo è terna si vedono solchi e tagli, fatti artificialmente mentre
antico nel nostro immaginario, risalendo alla metà del XIX l’osso era ancora fresco” (Issel 1908, p. 178)5.
secolo quando, contemporaneamente, si svolgevano le Al di là delle diatribe italiane, furono alcuni contesti delle
prime ricerche paleontologiche nelle caverne, si sviluppa- Alpi svizzere che nella prima metà del XX secolo porta-
va la disciplina dell’archeologia preistorica e si diffondeva rono a riconoscere una cultura particolare dell’uomo di
la teoria dell’evoluzione. Così, quando Bartolomeo Ga- Neandertal, denominata Paleolitico alpino o Musteriano
staldi, geologo e pioniere della preistoria italiana, e i suoi alpino, dove le grotte sarebbero state frequentate sia da-
informatori locali iniziarono ad esplorare le grotte del Cu- gli uomini che dagli orsi. I Neandertal avrebbero cacciato
neese, ricche di giacimenti di ossi di orsi, più volte cercaro- in modo molto intenso l’Ursus spelaeus, provocandone i
no, e sperarono di trovare, delle tracce di frequentazione grandi giacimenti di ossi e anzi l’avrebbero venerato rac-
umana, ma vanamente. È significativo, sia per lo spirito cogliendone i crani, ridislocandone i resti in altari e am-
della ricerca di allora che per il grande rigore scientifico e massi... A formulare questa teoria fu soprattutto Emil
onestà intellettuale, il resoconto di Gastaldi nelle grotte di Bächler che indagò alcune grotte della Svizzera centro-
Bossea del 1865: quando da una vertebra d’orso uscì del orientale (Wildkirchli nel 1902, Drachenloch nel 1917-
carbone vegetale, finalmente credé di essere di fronte alla 1923, Wildenmannlisloch nel 1923-1927) dove migliaia
prova della contemporanea frequentazione delle caverne di resti ossei di orso delle caverne sembravano dislocati
da parte degli orsi e dell’uomo, ma subito si avvide che il secondo schemi particolari, con ammassi di crani, gli ossi
carbone si trovava sopra una stalattite che incrostava la lunghi adiacenti alle pareti, altri ossi spezzati apparivano
vertebra, segno che era giunto lì per ruscellamento (Mano come manufatti; avendo ritrovato in alcuni recessi alcuni
2006). manufatti litici e le tracce di focolari, gli parve che gli ossi
La convinzione di una compresenza di uomini e orsi nelle d’orso fossero stati manipolati dall’uomo (Bächler 1940;
caverne continuerà nei decenni successivi tra i fondatori Pignat 2002; Leuzinger - Leuzinger 2002; Tillet 2002,
della paletnologia italiana, come dimostra l’insistenza di con un censimento delle principali grotte con orsi e resti
Pellegrino Strobel, convinto che vi siano nelle Alpi Apuane dell’uomo di Neandertal) (fig. 2). Di lì, altri archeologi e so-
manufatti di ossi d’Ursus spelaeus, seppure tutti prece- prattutto gli etnografi iniziarono a riconoscere numerose
denti al Neolitico, mentre un ricercatore di forse minori tracce di culti dell’orso, ben più complesse degli ammassi
conoscenze ma scrupoloso, come Giovanni Battista Ame- di crani e ossi di Bächler: un cranio sotto una lastra di pie-
rano, rispondendogli annotava: “Le ricerche che ho fatto tra, circondato da ceneri, nel Petershöhle in Germania; tre
mi hanno persuaso che quando apparve per la prima volta crani con disposizione quasi stellare nella grotta Kölyuk in
l’uomo nel Finale, benché vivesse ancora il grand’orso del- Ungheria; crani e ossi nelle nicchie della grotta Veternica
le caverne, tuttavia fosse già formato il detto ossario [della in Croazia ... e spesso alcune fratture apparivano intenzio-
caverna delle Fate, dove recuperò 40 crani, 300 mandibo- nali, realizzate con strumenti litici (Pacher 2002) (fig. 3).
le e suppose che vi fossero i resti di oltre 1500 esempla- Si volle allora confrontare questi presunti rituali con quelli
ri]” (Strobel 1889; Amerano 1889; Amerano 1892, con
un elenco delle grotte in cui ha effettuato delle ricerche;
Mochi 1915, ancora sulle Alpi Apuane). È pur vero che
trent’anni dopo, in una lettera a Luigi Pigorini, Amera-
no scriverà: “ ... molte ossa dell’U. speleus (sic) sono evi-
dentemente lavorate dall’uomo” (in Leonardi - Paltineri
2008). Il fatto è che le datazioni assolute tra XIX e XX
secolo erano impossibili da ottenere e le stesse osserva-
zioni sulle modalità di formazione dei giacimenti e degli
strati erano a volte ingenue, altre volte erano gli stessi
indagatori che non superavano il carattere amatoriale
del cercatore di ossi e di selci, sconvolgendo stratigrafie
e producendo false associazioni. Così Arturo Issel, il più
attento ricercatore ligure, assieme ad Amerano, e dotato
di ben maggiori acume e conoscenze scientifiche, poté
riconoscere che i manufatti neolitici (ceramiche, innanzi-
tutto) erano ben posteriori ai depositi di resti faunistici: Fig. 2. Il culto dell’orso nel Paleolitico nelle ricerche di E. Bächler (da Bächler
“ ... nel caso presente [la Caverna delle Fate, nel Finalese] 1940 in Premiers hommes dans les Alpes 2002, pp. 59 e 125).
56 Francesco Rubat Borel

“Il fatto è che un orso, quando viene aperto e sezionato,


ha un aspetto penosamente umano; specialmente le zam-
pe assomigliano spaventosamente a mani e piedi di un
bambino” (Maraini 2001, p. 65).
Tornando al Paleolitico, gli ultimi cinquant’anni di ricerche
hanno mostrato l’insussistenza delle ipotesi di un culto
dell’orso, di una frequentazione coeva delle grotte, di cac-
cia all’orso (Stiner 2002; Tillet 2002; Pacher 2002).
Innanzitutto, i depositi di ossi si sono formati su un lun-
ghissimo lasso di tempo, di decine di migliaia di anni: il
gran numero di esemplari è perfettamente compatibile
con un orso che muore durante l’ibernazione ogni quattro
o cinque anni; prova ne è il fatto che la maggior parte dei
resti ossei appartiene a individui particolarmente deboli,
come piccoli e anziani. Le datazioni assolute, effettuate
prevalentemente con il radiocarbonio, mostrano una re-
mota antichità della maggior parte dei depositi, tra gli
80.000 e i 30.000 anni. Non ci sono tracce di ferite e colpi
inferti con armi e manufatti sui resti ossei, perciò non c’è
nessun elemento che provi che gli orsi sono stati uccisi, e
le fratture riscontrate sono dovute o a fenomeni geologici
o al calpestio di altri orsi. E soprattutto, tutti i depositi, an-
che laddove pare di vedere una selezione delle ossa, sono
naturali: il ruscellamento e i passaggi continui e prolungati
nei secoli degli orsi scompongono gli scheletri e porta-
no a ridislocare le diverse parti dello scheletro in maniera
selettiva per forme e dimensioni. Non ci sono manufatti
Fig. 3. Il preteso culto dell’orso: a. i siti in Europa; b. la grotta Veternica; c. la associati ai momenti di formazione dei depositi di ossa:
grotta Kölyuk (da Pacher 2002, fig. 1, 5 e 7). semplicemente, nello scorrere dei secoli, può accadere
che, in una grotta dove nelle decine di migliaia di anni
delle popolazioni delle terre settentrionali dove era ancora precedenti gli orsi erano andati ad ibernare e a morire, vi
presente un ambiente simile a quello dell’Europa durante siano passati uomini che abbiano perso degli strumenti
l’ultima glaciazione (Siberia, Lapponia, Alaska, Canada), o che vi abbiano acceso un fuoco (chi perdesse oggi una
dove l’orso è il carnivoro di maggiori dimensioni e rive- penna biro al Colosseo, di certo non è contemporaneo
ste un importante ruolo nelle credenze e nelle tradizioni degli imperatori Vespasiano e Tito). Per altro, i depositi di
locali. Si pensi al rito degli Ainu, lo iyomande, nelle iso- ossi si trovano nei più profondi recessi delle grotte, mentre
le settentrionali del Giappone, che allevavano per alcuni la frequentazione umana è prevalentemente concentrata
anni un orsacchiotto catturato per poi ucciderlo in un rito nelle gallerie e nelle sale d’accesso.
propiziatorio in cui l’animale, chiamato “piccolo dio”, ve- Qualche frammento di osso d’orso appariva lavorato ai
niva “inviato in cielo” e dopodiché ne erano mangiate primi ricercatori: alcuni avevano le estremità levigate, altri
le carni (Maraini 2001, pp. 33-72; Lajoux 2002); oppure portavano striature e ancora frammenti di perone e di co-
si considerino i rituali siberiani (Lot-Falck 1961, passim; ste sembravano lavorati per ottenere dei bottoni o fibbie,
Pentikäinen 2007). Punto di partenza era la convinzio- asportando un lato alle estremità e lasciando un setto-
ne che quelle popolazioni di cacciatori nordici avessero re centrale a risparmio. Erano queste le prove di un uso
conservato la cultura degli Europei dell’ultima glaciazione dell’orso da parte dei Neandertal? Fino alla metà del XX
(sostanzialmente, quindi, che non fossero stati in grado secolo sono stati in molti a crederlo, quasi assumendolo
di evolversi culturalmente nel corso degli ultimi diecimila come certezza. Se prendiamo un caso piemontese, nella
anni) o al più che vivendo in condizioni ambientali simili grotta di Sambughetto Valstrona, indagata nel 1949, la
allora avessero sviluppato usi simili. Oggi si sa come la maggior parte dei numerosi resti ossei di Ursus spelaeus è
comparazione etnologica possa essere utile per compren- frammentata e paiono esservi dei segni di graffi di leone
dere alcuni comportamenti o processi di fabbricazione di e tuttavia Carlo Maviglia ritenne che le coste fossero state
manufatti, ma che non si possa estendere forzatamente lavorate per produrre fibbie, pur mancando l’industria liti-
come modello interpretativo. Tra fine XIX e inizi XX secolo, ca che inequivocabilmente avrebbe dimostrato un’attività
poi, non mancava una certa tendenza a vedere come simi- umana (Maviglia 1952). In realtà, se già si era dubitato che
li gli orsi e gli uomini preistorici, entrambi che si riteneva questi non fossero altro che fratture naturali e, sempre per
vivere nelle caverne, entrambi che si pensava coperti di il Piemonte, porto il caso dei rinvenimenti al Ciutarun sul
peli ... e mi pare interessante sottolineare che tutto ciò av- Monfenera (Fedele 1966; 1974; Fozzati 1974), è con il
viene negli stessi anni in cui l’orso ricompare nella cultura breve ma documentato articolo di Giacomo Giacobini che
europea, ma come pupazzo di pezza, figura buffa e ami- si dimostra, partendo dalla biomeccanica dell’osso, che
chevole per i bambini (Pastoureau 2008, pp. 301-308). tutte le fratture dei cosiddetti bottoni o fibbie sono in re-
Sarà macabro, ma riporto una frase di Fosco Maraini di altà casuali, dati dal calpestio degli orsi sugli scheletri dei
quando assisté a una delle ultime cerimonie di sacrificio di loro simili (Giacobini 1982) (fig. 4).
orso degli Ainu dell’isola di Hokkaido nel marzo del 1954: Ovviamente, qualche oggetto realizzato con ossi di orso
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 57

È più complesso, e molto suggestivo, il caso dei supposti


flauti ricavati con gli ossi lunghi degli orsi. Gli esemplari
più antichi sarebbero stati trovati nelle grotte di Divje Babe
I in Slovenia, di circa 45.000 anni fa, e di Geissenklösterle
in Germania, di circa 36.000 anni fa, in contesti muste-
riani, ovvero dell’uomo di Neandertal. Su femori d’orso,
rimangono due e tre fori, perfettamente allineati, mentre
la serie sarebbe continuata in frattura. Mancano le estre-
mità dello strumento, con l’imboccatura e l’eventuale an-
cia, che invece si ritrovano su alcuni flauti, vecchi di circa
15.000 anni, su osso lungo di uccello. La scoperta dell’os-
so di Divje Babe I ha suscitato un ampio dibattito, per-
ché proprio sulla tradizione della questione di strumenti o
meno in osso di orso è stata contestata o affermata l’iden-
tificazione come flauto o invece si è sostenuto che i fori
fossero casuali e dovuto a morsi o deterioramento (Leo-
cata 2000-2001; scettico Tillet 2002 e 2003)6. Comunque
sia, è la mancanza di prove di una lavorazione all’estremi-
tà che mi pare dover lasciare in sospeso l’identificazione
come strumento musicale, e in particolare come flauto, di
questi ritrovamenti, almeno quelli più antichi (fig. 5).
Non ci sono quindi rapporti tra l’uomo e l’orso? Certa-
mente, ma limitati. Nella Grotte du Regourdou nella
Francia sudoccidentale tra il 1960 e il 1965 è stata in-
dagata una sepoltura di Neandertal in cui il corpo, privo
del cranio, con la costruzione di una struttura di pietre e
la deposizione degli elementi dello scheletro di un’orsa,
scarnificata (Bonifay 2002): indubbiamente un contesto
importante per riconoscere gli usi funerari del Paleoliti-
co medio e la presenza di offerte, forse con significato
alimentare. Arrivare da quest’esempio a voler vedere un
culto dell’orso, si va troppo lontano. Per altro, si trattava
di Ursus arctos, e non di Ursus spelaeus ...
Fig. 4. Esempi delle cosiddette fibule musteriane (da Giacobini 1982, fig. 2). L’orso non è neppure particolarmente frequente nell’ar-
te del Paleolitico superiore (40.000-10.000 anni fa circa,
esiste, ma in età molto più recente. Tra gli amuleti, si pos- quando si diffonde in Europa l’uomo anatomicamente
sono segnalare, sulle Alpi venete-trentine, un osso peni- moderno, l’Homo sapiens, ed è scomparso l’uomo di Ne-
co di orso con due tacche parallele sui lati opposti dalla andertal) sulle pareti delle grotte (Rouzaud 2002, con il
Grotta di Paina datata all’Epigravettiano finale (Guerreschi corpus completo delle raffigurazioni allora note; Morel
- Leonardi 1984), mentre nel deposito castelnoviano del - Garcia 2002; Azéma 2009, pp. 24-25). È vero che in
Riparo di Romagnano III è un metatarso ad avere delle genere i carnivori sono rari, ma l’orso è noto in solamente
tacche sottilmente incise disposte irregolarmente e con una sessantina di esemplari, che rappresentano tra l’1%
tracce di ocra rossa (Broglio 1984). e il 2% degli animali riconosciuti (fig. 6). A fronte della

Fig. 5. Esempi dei pretesi flauti da ossi di orso: a. da Divje Babe I; b. da Istallósko; c. da Potocka Zijalka (da Leocata 2000-2001, figg. 1 e 2).
58 Francesco Rubat Borel

Fig. 6. Percentuali delle specie rappresentate nell’arte paleolitica (da Azéma 2009, fig. 4).

pochezza degli esemplari, è vero però che almeno un de- In molti casi non ne compare che la testa, spesso il corpo
cimo delle caverne ornate (ventitré) ha delle raffigurazioni completo, di profilo, con l’animale a quattro zampe. Sola-
di orsi, per lo più in un solo esemplare per ogni contesto, mente una volta apparirebbe ritto sulle zampe posteriori,
tranne tre grotte, Chauvet, Les Combarelles e Les Trois- nella grotta di Font-de-Gaume. Nell’ultimo decennio la
Frères, che assieme sommano oltre trenta immagini. Per la scoperta e la pubblicazione della Grotte Chauvet, nella
maggior parte dei casi, le figure sono incise, mentre laddo- Francia meridionale, ha suscitato grande interesse per
ve il profilo è dipinto prevale il nero o il rosso (questo colo- l’antichità delle pitture (le datazioni radiocarboniche della
re soprattutto nella Grotte Chauvet). L’orso è distinguibile frequentazione della grotta danno 29.000-32.000 BP) e
dagli altri carnivori, come il leone delle caverne (che non per lo stile complesso e altamente espressivo delle raffi-
aveva la criniera, a differenza del maschio della attuale gurazioni di altri animali, come i leoni (La Grotte Chauvet
Panthera leo), per la forma più tozza ma soprattutto per il 2001; Clottes 2005) (fig. 8). La caverna era intensamente
cranio bombato che caratterizza l’Ursus spelaeus dall’Ur- frequentata dagli orsi, che hanno lasciato sul fondo le loro
sus arctos, e dalle poderose zampe anteriori che portano orme, per cui si possono riconoscere i percorsi effettuati
a una gobba molto marcata all’altezza delle spalle (fig. 7). da adulti e da piccoli lungo le pareti (La Grotte Chauvet
2001, fig. 32) (fig. 9), e numerosi resti ossei, con casi sug-
gestivi come il cranio ricoperto da concrezioni sul quale
si è formata una stalattite (La Grotte Chauvet 2001, fig.
48) (fig. 10). E inoltre, quindici pitture rappresentanti orsi
si dislocano sulle pareti. Ciò che più a suscitato interesse
è il cranio posto intenzionalmente su un masso piatto nel
mezzo di una vasta sala dove si trova un’altra quarantina
di crani (fig. 10). Questo ha fatto ripensare a culti dell’or-
so, in un ambiente così intensamente frequentato dal
plantigrado, che sarebbe stato una sorta di mediatore tra
l’uomo e il cosmo (La Grotte Chauvet 2001, pp. 204-209,
figg. 202 e 203). Questa interpretazione mi pare si basi
sulle suggestioni e non sia che una rielaborazione delle
vecchie ipotesi del culto dell’orso. Innanzitutto, un cranio
posto su una pietra piatta non implica, di conseguenza,
nessuna forma di culto: quante cose noi poniamo in una
posizione centrale per i motivi più vari? Non ho trovato
una planimetria dei crani disposti attorno a questo e se
uno di questi ha sopra l’arcata sopraciliare una traccia di
carbone, in una grotta può essersi formata in mille modi:
Fig. 7. Esempi di orsi nell’arte paleolitica (da Rouzaud 2002, rielaborato). un tizzone caduto dalla torcia, l’uomo che inciampa e che
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 59

Fig. 8. Orsi dipinti nella Grotte Chauvet (da La Grotte Chauvet 2001, figg. 62 e 193).

Fig. 9. Orme di orso nella Grotte Chauvet (da La Grotte Chauvet 2001, figg. 30 e 32, rielaborate).

fa cadere a terra la fiaccola ... Soprattutto, sono i dati sono rarissime, a dispetto delle ricostruzioni moderne che
statistici degli animali rappresentati che mi fanno dubitare mostrano spesso scene di lotta, per lo più con un grup-
di un culto dell’orso: 74 felini (leoni e almeno una pan- po di cacciatori che circonda la belva. Forse un combat-
tera), 67 mammut, 65 rinoceronti, 40 cavalli, 31 bisonti, timento, forse piuttosto un uomo attaccato da un orso,
16 stambecchi, 15 orsi, 12 renne, 9 uri, 7 cervi megaceri, è su una rondella frammentaria di scapola della grotta
4 cervidi, 2 cervi, 2 buoi muschiati, 1 gufo. Perché allora del Mas d’Azil, datata al Magdaleniano (18.000-11.000
non un culto del leone o del mammut o del rinoceronte, BP), e quindi sarebbe un Ursus arctos, onnivoro, e non il
animali solitamente non numerosi? mitizzato Ursus spelaeus, già estinto e comunque vege-
Passiamo a considerare eventuali scene di interazione tra tariano (Duhard 1992, fig. 4; Morel - Garcia 2002, fig. 6)
uomo e orso. Le scene di combattimento tra uomo e orso (fig. 11). Purtroppo è estremamente lacunosa e dell’orso
60 Francesco Rubat Borel

Fig. 10. Crani e resti di orso nella Grotte Chauvet: in alto a destra, il cranio Fig. 11. Rondella in osso incisa dalla grotta del Mas d’Azil (da Duhard 1992,
deposto su un masso, a sinistra quello ricoperto di ocra (da La Grotte Chau- fig. 4, rielaborata).
vet 2001, figg. 47, 48, 200 e 203).

rimane solamente la zampa. Su una faccia, l’uomo è af- come se fossero state bersaglio di tiri di lance e proiettili,
frontato dalla belva, mentre nell’altra è ormai atterrato e altre volte sono semplicemente dei tratti dipinti o incisi
anche qui dell’orso si vede solamente la zampa che pare che paiono lance. Si ritiene che questi siano dovuti a ri-
ghermire il corpo. La figura umana è evidenziata da brevi tuali di caccia, in cui la raffigurazione dell’animale viene
striature sui margini del dorso e della pancia, che credo colpita evocando uno scontro reale. In questo sono parti-
siano graffi, pur non essendo presenti sulla faccia b, dove colarmente suggestive alcune immagini in cui dalla bocca
l’uomo appare di schiena o sventrato. Un altro caso è su dell’orso escono delle linee incise che ricordano dei fiotti
una placchetta di scisto nella Grotte du Péchialet, dove di sangue. La raffigurazione più evocativa è quella nella
un orso in piedi pare abbattere un uomo, mentre un altro Grotte des Trois-Frères nell’Ariège, datata al Magdalenia-
gli si pone dietro, forse armato (Morel - Garcia 2002, fig. no, tra 17.000 e 10.000 anni fa (Morel - Garcia 2002, fig.
1). Altre figure, sia su piccoli oggetti che rappresentate 10). Per cronologia e caratteristiche dell’orso (assenza del-
sulle pareti delle grotte, sia nella scultura nella grotta di la bombatura del cranio, spalle poco sviluppate) dovrebbe
Montespan, riportano invece dei distacchi della superficie trattarsi di un Ursus arctos, crivellato da numerosi cerchi
incisi sul corpo, sulle zampe, sui quarti posteriori, men-
tre numerose linee escono dalla bocca, come un fiotto di
sangue o il fumo di un respiro pesante. In Italia troviamo
un’altra fiera, questa volta un lupo, che ricorda questo
orso, cronologicamente contemporanea (Epigravettiano
recente) su un ciottolo nella laziale Grotta Polesini, con
incisioni puntuali e lineari sul corpo (Radmilli 1954-1955;
Radmilli 1993, che contesta Mussi - Zampetti 1993 che
considerano gli stacchi naturali e casuali) (fig. 12).
Con la fine del Paleolitico e delle glaciazioni, e l’estinzione
di Ursus spelaeus, abbiamo ovviamente solo più testimo-
nianza di Ursus arctos: d’ora in avanti, quando scriveremo
di orso, sarà solo a questa specie che ci riferiremo.
In Trentino, nel Riparo Dalmeri, di oltre 11.000 fa, famoso
per i ciottoli dipinti, alcuni di questi raffigurano dei lupi e
degli orsi e uno in particolare ha un’orsa davanti a un pic-
colo (Dalmeri et al. 2005a, fig. 5; Dalmeri et al. 2005b, fig.
9) (fig. 13). Nei resti ossei del riparo, dominati dallo stam-
becco (86,46%, con quasi 7.500 elementi identificati), ci
sono delle testimonianze di orso, ma non si tratta che di
46 ossi, pari allo 0,53% di tutti gli elementi identificati
(che lo fanno essere però il carnivoro più rappresentato)
Fig. 12. Le raffigurazioni di un orso e di un lupo feriti nella Grotte des Trois- e limitati a denti, falangi e metapodi (tra le ossa lunghe,
Frères, in alto, e nella Grotta Polesini, in basso (da Radmilli 1993, fig. 1). l’unica presente è una porzione laterale di femore, con
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 61

Fig. 13. Ciottolo dipinto con forse un’orsa e davanti il piccolo dal Riparo Dalmeri (da Dalmeri et al. 2005b, fig. 9).

tracce di scarnificazione). Si tratta di almeno quattro in- di numerose armi in selce nella caverna e di un proiettile
dividui, uno con meno di cinque mesi, l’altro di otto e nel collo dell’orsa, si crede che si tratti di un incidente
di due adulti. Le tracce di macellazione sulle falangi non di caccia: la belva ferita a morte si rifugia nella grotta, il
sembrano finalizzate allo spellamento perché per questo cacciatore la segue e lì muore anche lui (Morel 1993) (fig.
si preferisce incidere la pelle all’altezza del radio, mentre 14). Vedremo che ottomila anni dopo, nella media età del
paiono dovute invece alla disarticolazione (Fiore - Taglia- Bronzo, un altro orso, colpito da una freccia, morirà in una
cozzo 2005; 2008). grotta a Ormea, nelle Alpi Marittime piemontesi.
È a questo torno di tempo, più precisamente all’11.700 Comunque, l’orso non era solamente cacciato, perché
BP, che risale una delle rarissime testimonianze dirette di alla fine del Mesolitico francese, nel VI millennio a.C., alla
caccia all’orso bruno. Nella Grotte du Bichon a La Chaux- Grande-Rivoire nel massiccio del Vercors a 580 m s.l.m.,
de-Fonds, in Svizzera occidentale, sono stati trovati gli un orso maschio di cinque-sei anni viveva con gli uomini
scheletri di un uomo e di un’orsa. Poiché la disposizio- con una museruola che ha provocato una deformazione
ne dei corpi non pare intenzionale e grazie alla presenza simmetrica con superfici lisce e arrotondate tra primo e
secondo molare, risultato di un legaccio con il quale l’ani-
male è cresciuto e che gli aveva profondamente inciso la
mandibola (Chaix 2002) (fig. 15).

I primi agricoltori europei: Neolitico


ed età del Rame (6.000-2.200 a.C)

La maggiore rivoluzione nel popolamento e nello stile


di vita dell’antica Europa è avvenuta circa settemila anni
fa, quando dall’Anatolia, attraverso i Balcani e le coste
del Mediterraneo, si sono diffusi nel nostro continente
l’agricoltura e l’allevamento, con la possibilità quindi di
nutrire molte più persone di quanto non facesse la caccia
(almeno venti persone in più nello stesso territorio) e ov-
viamente una maggiore sedentarietà. Questa nuova età
si chiama Neolitico (per l’Italia settentrionale 6.000-3.500
Fig. 14. Gli scheletri di un uomo e di un’orsa nella Grotte du Bichon (da a.C.), ovvero l’età della nuova pietra, perché si introduce
Morel 1993). l’uso di strumenti in pietra levigata a fianco delle tecniche
62 Francesco Rubat Borel

tra V e III millennio a.C., che si mostra la fragilità, e in


fondo l’insussistenza, della ricostruzione della Gimbutas.
È per altro curioso che l’antica cultura religiosa preindo-
europea sarebbe sopravvissuta proprio nelle terre che per
prime sarebbero state investite ed occupate dagli invasori
dalle steppe euroasiatiche: la Russia, i Paesi Baltici, la Peni-
sola Balcanica settentrionale. Ma al di là delle critiche alla
sua grande teoria storica e religiosa, rimangono interes-
santi o almeno suggestive alcune sue considerazioni sul-
le raffigurazioni di animali nell’Europa antica, compreso
l’orso. La Gimbutas riteneva che il cervo e l’orso avessero
uno stretto legame con la Dea del parto, ipotizzando an-
che un legame tra le parole inglesi bear “orso” e to bear
“portare” ma anche “generare, partorire”, che non ha
nessun valore linguistico-storico. In particolare l’orso ma-
schio sarebbe stato una divinità della vegetazione e per
questo sacrificato una volta l’anno, come mostrerebbero
le immagini del Paleolitico superiore. Citava in tal senso i
vasi zoomorfi del Neolitico della Penisola Balcanica. Così
nella cultura Karanovo, diffusa nel VII millennio a.C. in
Bulgaria e nella Romania meridionale, ci sono molte sta-
tuette con una gobba, per lo più inedite perché conside-
rate non abbastanza belle, che potrebbero essere inter-
pretate come orsi. Maggior certezza si ha nella cultura
Fig. 15. La mandibola dell’orso della Grande-Rivoire, con i segni del morso Vinča dei Balcani centrali a fine VI-V millennio a.C. per le
(da Chaix 2002). statuette di donna, dove il volto femminile è però piatto e
appuntito verso il basso, come se fossero delle maschere
di scheggiatura, cui succede l’Eneolitico o età del Rame di orso. In braccio tengono un bambino, altre volte han-
(3.500-2.200 a.C.), allorché cominciano a diffondersi i no una cesta o marsupio attaccato alle spalle (Gimbutas
primi strumenti in metallo (asce, pugnali, lesine) e si af- 1990, fig. 184)8. I vasi a forma di orso sono invece presen-
fermano le prime profonde differenze sociali all’interno ti per un lunghissimo periodo, seppure con forme molto
delle comunità, con l’emergere di capi e guerrieri. In alcu- differenti. Dal Peloponneso alla Dalmazia nel corso del VI
ne regioni europee l’introduzione dell’agricoltura avviene millennio a.C. si diffondono vasi con l’apertura obliqua,
attraverso la migrazione e la colonizzazione dei territori da poggianti su quattro piedi tozzi e cilindrici, e dalla grossa
parte di contadini e allevatori, in altre invece sono le po-
polazioni locali di tradizione mesolitica che acquisiscono
le nuove tecniche dai vicini. L’introduzione dell’agricoltura
e dell’allevamento porta a una profonda trasformazione
nell’ideologia, nella concezione del mondo, nella religio-
ne. Diventano più forti i legami con la terra, con il succe-
dersi dei lavori agricoli stagionali, con alcuni animali alle-
vati o cacciati che assumono il valore di simbolo. E anche
qui, le raffigurazioni di orsi non sono affatto numerose ...
Alcuni studiosi dell’Europa centro-orientale hanno inter-
pretato che la rarità dell’orso nella mitologia e nelle rap-
presentazioni iconografiche ed archeologiche europee sia
dovuta alle ideologie indoeuropea e semitica prevalente-
mente maschilistiche, laddove l’orso sarebbe invece una
raffigurazione della divinità femminile. In tal senso, l’ela-
borazione maggiore è venuta da Marija Gimbutas per la
quale la Dea era stata venerata sotto forma di orso, cervo,
serpente, uccello (Gimbutas 1990, pp. 113-119) nell’Eu-
ropa agricola prima dell’arrivo degli Indoeuropei, guerrieri
e maschilisti (le ipotizzate migrazioni sarebbero avvenute
tra V e III millennio a.C.)7. Le teorie della Gimbutas si basa-
vano su una grande quantità di reperti archeologici dalla
ricchissima iconografia, che erano interpretati basandosi
anche sul folklore moderno dell’Europa centro-orientale,
in particolare dei Paesi Baltici e della Penisola Balcanica. In
realtà, è proprio nella mole di confronti archeologici, an-
che disparati, uniti da una preconcetta visione di un’antica Fig. 16. Vasi a forma di orso dal Neolitico dell’Europa centro-orientale: a) da
Europa agricola e femminista sommersa dai guerrieri che Abraham in Slovacchia; b) da Sipenitsi in Ucraina; c) da Smilcic presso Zara;
portavano lingue indoeuropee in più ondate migratorie d) da Syros nelle Cicladi (da Gimbutas 1990, figg. 186-188).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 63

ansa ad anello verticale. La superficie ben levigata è spes-


so decorata da motivi incisi, con incrostazioni bianche che
contrastano con il rosso dell’orlo. Ancora più interessanti
sono due orsi internamente cavi, a quattro zampe, ben
sagomati, con sul dorso l’imboccatura, molto distanti l’u-
no dall’altro geograficamente e cronologicamente: il più
antico, della prima metà del V millennio a.C. della cultura
Lengyel, da Abraham in Slovacchia, è decorato da fasce
parallele dipinte, l’altro inornato della cultura Cucuteni
del 3.700-3.500 a.C. da Sipenici in Ucraina occidentale.
E infine, diverso per forma ma assai famoso, l’orsetto che
sostiene un bacile con un’apertura che dà al ventre della
bestiola, dalla pancia decorata da linee parallele, il dorso a
reticolo e gli occhi sottolineati da linee colorate, ritrovato
nell’isola di Syros nelle Cicladi e risalente al III millennio
a.C. (fig. 16). Sono manufatti di grande bellezza, ma da
qui trarre una ricostruzione teologica alla Gimbutas è ec-
cessivo per la grande distanza cronologica dei reperti e
tutto sommato la loro rarità.
È probabile che l’orso, animale delle foreste e di grande
mole, fosse macellato e depezzato là dove era stato cattu-
rato e ucciso, perché negli abitati i resti ossei ritrovati sono
per lo più limitati alle ossa delle zampe e del cranio. Un
cranio d’orso, assieme a manufatti, fu rinvenuto nel fossa-
to dell’abitato fortificato di Marechoul in Francia orientale Fig. 17. Pendagli da canini d’orso nei villaggi neolitici di Chalain (da Arbo-
nel Neolitico finale (corrispondente più o meno alla nostra gast - Méniel 2002, fig. 1).
età del Rame) e ritenuto un rito di fondazione (Arbogast-
Méniel 2002)9. Tuttavia il fatto che i canini fossero stati cati magici o eroici dovuti alla difficoltà della cattura del
estratti e che si evidenziassero delle tracce di usura dell’os- più grande carnivoro europeo. In ciò, mentre resti ossei
so incisivo mi porta a dubitare che ci si trovi davanti ad di esemplari di età infantile o subadulta si ritrovano negli
uno scarto di macellazione. Alla lunga, la maggior parte abitati, i canini sono ricavati solamente da orsi adulti.
delle testimonianze è limitata a canini usati come ciondoli In questi casi particolari, come gli abitati perilacustri, dai
per decorazione, assieme a denti di lupo e volpe o di cer- resti archeologici si può valutare non solo quanti orsi (e
vo e cinghiale. L’elaborazione del dente non consiste che lo stesso vale per gli altri animali) sono stati uccisi, ma
nella perforazione della radice o, più raramente, nella mo- anche quanti esemplari nel corso del tempo. Nei villaggi di
dellazione di una piccola gola. Dalla forma non parrebbe Clairvaux e Chalain, dove la dendrocronologia ha per-
che ci siano particolari valori da assegnare all’orso rispetto messo di determinare che tra il 3.700 e il 3.400 a.C. una
agli altri animali, tranne le maggiori dimensioni del dente. capanna aveva una vita di circa sette-otto anni prima di
Mancano anche le imitazioni in altri materiali, come l’osso essere abbattuta o abbandonata, si è ricostruito che in
o la pietra, che solitamente sono buoni indicatori di signi- quel periodo i membri di una casa hanno lavorato le pelli
ficati e simbolismi legati a oggetti di difficile reperimen- e pellicce di 4 tassi, 2 castori, 1,5 martore, 1,5 gatti sel-
to. A seconda dei siti tra Svizzera e Francia orientale, del vatici, 0,5 orsi, 0,5 puzzole, il che significa che le pellicce
Neolitico finale nordalpino, corrispondente all’età del non erano importanti nell’abbigliamento, che era preva-
Rame italiana, l’incidenza dei canini d’orso negli ornamen- lentemente di fibre tessili vegetali come il lino (Pétrequin
ti personali varia notevolmente da contesto a contesto e - Pétrequin 1988, p. 49). Non si deve dimenticare, inoltre,
forse anche da periodo a periodo, dal 60% e addirittura che l’orso era anche una riserva alimentare di non poco
100% a Horgen nel 3.200 e 3.150 a.C., a solamente il conto, come mostrano i resti ossei delle fasi di XXXII se-
12,5% a Chalain nel 2.600 a.C. e appena il 4,8% attorno colo a.C. di Chalain, dove sono rappresentate pressoché
al 2.750 a.C. (Maréchal et al. 1998, fig. 13). Tutt’al più, tutte le parti del corpo, comprese le zampe e la cassa to-
Rose-Marie Arbogast e Patrice Méniel per i siti perilacustri racica, ovvero laddove vi era più carne (fig. 18). E tuttavia
di Chalain e Clairvaux nella Francia orientale, nelle fasi di si deve notare che la maggior parte degli ossi riguarda le
frequentazione nella prima metà del III millennio a.C., no- zampe e il cranio, ovvero dove l’apporto di carne è limi-
tano che, poiché i canini d’orso a volte si trovano sparsi tato, e che per di più non è stata ritrovata nelle discariche
nell’abitato come se fossero stati persi (cosa difficile per davanti alle case, ma raggruppata attorno ai focolari o
un oggetto che può arrivare anche a 10 cm di lunghezza, nel retro degli edifici, come se le parti di orso avessero
o addirittura in più esemplari vicini), a questi si può attri- un uso o un significato differente da quelle degli altri ani-
buire un particolare significato per cui o in quel momento mali. Certamente si deve considerare che nelle pellicce
avevano cessato di avere un valore simbolico, oppure non d’orso si potevano conservare le ossa delle zampe e in
erano trasmissibili ad altre persone (Arbogast - Méniel tal caso la loro presenza presso i focolari si intende come
2002; Pétrequin - Pétrequin 1988 per il contesto arche- testimonianza di giacigli, oppure che le zampe fossero dei
ologico, in particolare p. 108) (fig. 17). Il canino d’orso trofei, mentre invece le ossa lunghe (quelle che hanno un
perduto quindi in realtà sarebbe un oggetto (un trofeo significato certamente alimentare) sono disperse in tutto
di caccia?) ormai defunzionalizzato da eventuali signifi- l’abitato (Arbogast - Méniel 2002, figg. 2 e 3) (fig. 19).
64 Francesco Rubat Borel

Fig. 18. Percentuali dei resti ossei di orso nel villaggio di Chalain nel XXXII secolo a.C. (da Arbogast - Méniel 2002, fig. 2).

Lo stesso vale per i crani, che come vedremo sono tra le avrebbero potuto essere usati dagli orsi durante il letargo
parti anatomiche quelle che più si ritrovano nei contesti invernale.
di età successiva, anche se proprio l’estrazione di elemen- L’unico oggetto antico deperibile ricavato da un orso che
ti pregiati per l’uso alimentare (cervella, lingua, eventuali si è conservato è il berretto di pelo di Ötzi, l’uomo il cui
muscoli facciali, oltre ai canini per ornamenti) potrebbe cadavere praticamente intatto fu ritrovato il 19 settembre
aver reso più comodo il trasporto nel villaggio della testa 1991 nella conca, ricoperta da ghiacci per cinquemilatre-
dell’orso rispetto ad altre parti anatomiche, che bastava cento anni, vicino al rifugio del Similaun tra Alto Adige e
disossare durante la battuta di caccia. A proposito delle Tirolo austriaco (Spindler 1998, pp. 156-157; de Marinis
falangi d’orso nelle capanne, per quel che può valere solo - Brillante 1998, pp. 81-83; didattico, con ricco appara-
come confronto e non come interpretazione di queste to iconografico, Sulzenbacher 2001) (fig. 20). Il berretto
testimonianze archeologiche, nelle popolazioni siberiane fu rinvenuto solamente durante la seconda campagna
un cacciatore munito di una zampa è ritenuto protetto di ricerca, nell’agosto del 1992, ai piedi della roccia su
nell’affrontare il grande plantigrado vivo, così come i Tun- cui giaceva il corpo mummificato. Un rischio, durante il
gusi a nord del lago Bajkal proteggevano l’entrata della recupero, era che la manipolazione del berretto potesse
loro tenda appendendovi una zampa d’orso (Lot-Falck distaccare e far cadere i peli e questi andar persi. Fu perciò
1961, pp. 100-101). fatto sciogliere il ghiaccio con una macchina che produce-
Guardiamo due siti a noi prossimi del Neolitico dell’Italia va vapore, mentre l’acqua di fusione era continuamente
nordoccidentale. Nella grande caverna delle Arene Can- aspirata. Contemporaneamente, una cinepresa filmava
dide a Finale Ligure, usata per millenni come abitazione, tutta l’operazione. Il berretto fu quindi riposto in una sca-
stalla e magazzino, la presenza di orso è occasionale e di- tola di metallo che, dopo essere stata nascosta sotto la
scontinua nel tempo e anche qui sono rappresentati pre- neve per mantenere la temperatura prossima agli 0° C, fu
valentemente denti e ossi delle zampe (Sorrentino 1999). rapidamente portata alla Soprintendenza di Bolzano e di
In Piemonte, nel sito della Maddalena di Chiomonte in Val lì ai laboratori del Museo di Magonza, dove dopo essere
di Susa, l’orso è relativamente abbondante, trentacinque stato ripulito con acqua distillata, è stato ingrassato, im-
reperti ossei su 800 ossi animali analizzati, ed è rappre- bevuto di una sostanza chimica e liofilizzato ed infine re-
sentato prevalentemente da ossa della zampa e del cranio staurato. Il manto di peli esterno si è conservato, pur rima-
(Fedele 1989; 2002). Sono ventuno i frammenti prove- nendo estremamente delicato e sempre sotto il pericolo di
nienti dai contesti della fine del Neolitico-inizi dell’età del distacco, come è avvenuto nel corso dei millenni al pelo
Rame (3.700-3.200 a.C.), anche se lo stato di conserva- di capra del giaccone. Il berretto è stato confezionato con
zione degli strati rende incerta una precisa datazione e fa pezze cucite assieme fino ad avere una forma troncoco-
sì che sia possibile che ci siano infiltrazioni di materiali più nica, con 25 cm di altezza, su una base ovoidale. All’orlo
recenti. Inoltre molti vengono da ripari sotto roccia, che inferiore erano fissate due strisce di cuoio per sottogola,
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 65

Fig. 19. Ripartizione dei resti ossei di orso nel villaggio di Chalain nel XXXII Fig. 20. Il berretto in pelo di orso di Ötzi, l’Uomo del Similaun (da Sulzbacher
secolo a.C. (da Arbogast - Méniel 2002, fig. 2). 2001, p. 45).

coi i capi annodati tra di loro, ma una delle stringhe era Marittime al di sopra di Ormea, dello scheletro di una gio-
strappata poco sopra il nodo. Forse fu durante la caduta e vane orsa con infissa nel femore sinistra una punta di frec-
la morte di Ötzi che il laccio si ruppe e il berretto ruzzolò cia ad alette a codolo, tipologicamente tipica del Bronzo
o scivolò ai piedi della roccia su cui giaceva il corpo e lì fu Medio e Finale dell’area alpina occidentale, coincidente
coperto dalla neve. Il pelame è grigio chiaro e inizialmente con le datazioni radiocarboniche sui resti ossei che danno
si credette fosse di camoscio, solamente ulteriori analisi l’animale vissuto tra XVII e XVI secolo a.C., mostra appun-
hanno determinato che si trattava di orso; incertezza si ha to l’attività di caccia in luoghi lontani dagli abitati (Ventu-
invece per la suola delle scarpe, che un’analisi microscopi- rino Gambari 2001; 2009; Giacobini et al. 2001). Ma sicu-
ca ha detto essere di cuoio bovino, un’altra invece di orso ramente, se la preda fosse stata raggiunta dai cacciatori,
(la tomaia è in pelle di cervo). sarebbe stata scorticata e depezzata là sulle montagne e
Si segnala infine un altro reperto che attesta l’allevamento al massimo ne avrebbero portato a valle la pelle, con gli
di un orso, certamente catturato da cucciolo e tenuto per ossi delle zampe e i denti.
lunghi anni legato, come abbiamo visto alla Grande-Rivoi- Su quarantun siti svizzeri dell’età del Bronzo, ci sono re-
re alla fine del Mesolitico. Nell’abitato perilacustre svizzero sti ossei di orso solamente in 19 e in tutti questi è rap-
di Portalban-Les Grèves un orso di dieci anni ha passato presentato da pochissimi reperti, tranne nei due siti dei
la sua vita con un legaccio attorno al muso, passante per Grigioni, in pieno ambiente montano, di Crestaulta e di
i suoi denti (Olive 2004). Si tratta della maniera per tenere Munt Baselgia (Schibler - Studer 1998, fig. 78). Queste
un orso legato, come vediamo sia presso quei popoli sibe- quantità attestano una presenza diffusa dell’orso, seppu-
riani che allevano cuccioli di orso per i loro culti, sia presso re limitata per lo più a canini usati come pendenti o agli
le corti medievali, dove ornavano i serragli dei principi, sia ossi delle zampe che mostrerebbero l’uso di pellicce negli
presso zingari e mendicanti che esibivano gli orsi alle fiere. abitati. La situazione è analoga a quanto riscontriamo in
Italia, dove i resti di orso sono presenti ma assai limitati
sia numericamente che tipologicamente, anche nei siti in
L’età del Bronzo (2.200-900 a.C.) ambiente montani quale il Trentino-Alto Adige, come rile-
va Alfredo Riedel, al quale si deve la maggior parte degli
La rarità di reperti ossei di orso continua anche nell’età del studi delle faune pre-protostoriche della regione, segno
Bronzo (“sparso, ma alquanto raro” annotava Pellegrino che è trascurabile, come in genere tutta la fauna selvatica,
Strobel in uno dei primi studi sulle faune nelle terrama- tranne in parte il cervo e i capriolo che sono ancora le
re, i grandi abitati di XV-XIII secolo a.C. dell’Emilia, forse specie più cacciate con il cinghiale (Riedel 1986a; 1985;
stupendosene a fronte della ricchezza nelle grotte che si 1997). Se resti ossei di orso sono piuttosto numerosi e
iniziava a indagare, Strobel 1883), sempre per gli stessi vari nell’abitato perilacustre di Ledro, generalmente negli
motivi che abbiamo visto per il Neolitico, al punto che i altri sono rari o rarissimi, come il frammento della zampa
reperti a nostra disposizione sono quasi solamente canini nell’abitato del Bronzo Finale di Sonnenburg in Val Puste-
perforati alla base e usati come decorazione o qualche ria (e quindi viene di nuovo in mente la presenza di pel-
osso di zampa. licce, come rilevato nei villaggi perilacustri nordalpini) così
L’eccezionale scoperta nella Grotta degli Orsi, nelle Alpi come all’Aica di Fié (Riedel 1984; 1986a, tab. 45; 1986b).
66 Francesco Rubat Borel

Fig. 21. Statuette fittili dai villaggi sommersi nel lago di Le Bourget: a sinistra, lontre, a destra, figure antropomorfe o orsi (da Kerouanton 2002, fig. 14).

Un discorso a sé ritengo costituiscano i canini, utilizzati (orsi?) che meglio sagomati (uomini) negli abitati perila-
come ornamenti nei corredi funerari di Bronzo Antico di custri del lago di Le Bourget in Savoia, dove per altro ci
Romagnano-Loc e della Vela di Valbusa e presenti in due sono anche alcune rarissime statuette di lontra (Kerouan-
esemplari anche nella terramara di Santa Rosa di Poviglio ton 2002, fig. 14) (fig. 21). Più certa l’identificazione colla
nel Bronzo Medio e Recente e alla Rocca di Rivoli (Nicolis statuetta alta appena 4 cm, dalla fattura poco accurata, la
2000; Marzatico - Tecchiati 2002, fig. 1,22 e 29; Riedel testa assottigliata, muso appuntito, collo massiccio, corpo
2004; Barfield 1976). Alla fine dell’età del Bronzo, tra XI cilindrico, coda appena accennata, zampe posteriori cilin-
e X secolo a.C., risale il frammento di omero di orso da driche, organi sessuali maschili fortemente evidenziati da-
Breolungi di Mondovì (Bedini 2001): anche qui una prova gli strati del 1.300-1.000 a.C. di Castellaro di Gottolengo,
di uso alimentare? Non possiamo inserire in questo elenco dove per altro c’è anche una piccola e grossolana figura di
i resti di orso rinvenuti nelle campagne degli anni ’70 nella quadrupede che potrebbe essere un orso a quattro zampe
grotticella della Boira Fusca a Cuorgnè (Fedele 1983, fig. (Barocelli 1970, p. 126 e fig. 29d,2; Salerno 2001, n. 38)
3): la frequentazione è molto lunga, con industria litica (fig. 22).
epipaleolitica, una sepoltura collettiva del Bronzo Antico,
una moneta altomedievale e manufatti contemporanei. Al
più, indica che questa grotticella è stata usata come riparo
da un orso bruno.
Un altro problema è che, essendo il corpo dell’orso piut-
tosto tozzo e non caratterizzato da elementi particolari,
come le corna di un bue o di un cervo, la testa e le zampe
sottili di un cavallo, il muso e la criniera di un cinghia-
le, diventa difficile rappresentare o riconoscere il grosso
plantigrado nelle statuette ceramiche presenti in nume-
rosi abitati della piena e avanzata età del Bronzo in Italia
settentrionale e nell’arco alpino10. In particolare, possiamo
chiederci se non fossero raffigurazioni di orsi eretti, e non
di uomini, quelle statuette ritenute antropomorfe, con
corpo in piedi, che hanno gli arti molto corti, sia le gambe
che le braccia limitate a dei moncherini, la testa appena
abbozzata e poggiante su un collo largo, a volte più del
capo, su un corpo piuttosto lungo in proporzione. Ce ne Fig. 22. Probabile statuetta fittile di orso dalla terramara di Castellaro di
sono così tra X e IX secolo a.C., sia con testa e arti tozzi Gottolengo (da Salerno 2001, n. 38).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 67

Fig. 23. La statua della dea Artione e dell’orso (da Pastoureau 2008, fig. 5).

I Celti selvatici riguarda anche quelle specie che rappresentano


il tipico carniere del cacciatore (cervo, cinghiale, caprio-
Nell’età del Ferro, corrispondente in Italia ed Europa gros- lo), segno dell’importanza che riveste l’allevamento come
so modo al I millennio a.C., l’orso è quasi del tutto assente fonte esclusiva dell’approvvigionamento di carne e che la
nei contesti archeologici. Così non era di certo in natura, caccia ormai è un’attività così particolare e aristocratica
perché la copertura forestale era ancora notevole, para- che probabilmente la consumazione della cacciagione e lo
gonabile a quella che sarà nel medioevo, ma rimangono scuoiamento degli animali da pelliccia avveniva durante le
validi i motivi per cui è poco attestato nelle età precedenti: stesse battute, senza pervenire negli abitati (Méniel 1987,
le carcasse erano scuoiate e depezzate prima di portarle pp. 89-94).
nei villaggi e così Patrice Méniel, nella disamina sulla cac- Eppure, per la sua grande forza, l’orso è presente nell’ono-
cia e l’allevamento dell’età di La Tène (450-52 a.C.) in Gal- mastica celtica (Delamarre 2003, pp. 55-56) con nomi
lia lamenta appunto l’assenza quasi totale di resti d’orso, come Artus, che significa semplicemente “orso”, Artula,
notando che “... contrairement à l’habitude, les indices “orsetta”, misto tra la radice celtica e il vezzeggiativo fat-
sont d’autant plus réduits que l’animal est grand ...” to alla latina, tant’è che in un’iscrizione questa è la madre
(Méniel 1987, p. 93). Nella presentazione più dettagliata di una Ursula pienamente latinizzata, il bel nome celtico
dei resti faunistici da specie selvatiche dagli abitati dell’e- Comartiorix “re degli orsi” e forse Artebudz, che sarebbe
tà del Ferro nell’area alpina e prealpina nordoccidentale un composto con buddos o bussos, che significa “labbro”
(Svizzera, Francia orientale, Germania sudoccidentale) si o “pene”, dalla credenza del vigore sessuale dell’orso e
evince che la percentuale di animali catturati e uccisi dalla dalla presenza di un osso penico, attestato a Ptuj in Slo-
caccia è minima (meno del 5% dei resti ossei nell’età di venia, dove come vedremo ci sono delle statuette di orso.
Hallstatt, 800-450 a.C., addirittura meno dell’1% per l’e- Ricordiamo che il nome del mitico re dei Britanni che si
tà di La Tène, 450-50 a.C.: Schibler et al. 1999). L’orso è opponevano ai Sassoni invasori, diventato simbolo della
presente in sedici contesti su quaranta, ma la quantità di cavalleria, Artù in italiano, Artorius nelle fonti antiche lati-
ossi è trascurabile: al massimo dodici a Berna e a Châtil- ne, prende nome proprio dall’orso ...
lon-sur-Glâne, per lo più una manciata. Purtroppo non ci Un ruolo dell’orso nella religione celtica ci viene da alcune
viene detto di che parti anatomiche si tratta: denti, ossi testimonianze più tarde, successive alla conquista roma-
delle zampe, crani ... Questa rarità di resti ossei di animali na, quando alcune antiche credenze erano rimaste sotto
68 Francesco Rubat Borel

Ai margini del mondo antico:


i Germani e l’Europa settentrionale,
gli Sciti e l’Europa orientale

Come abbiamo appena detto, nella Germania settentrio-


nale troviamo delle unghie e zampe di orso nelle tombe
dell’età del Ferro. Per il resto, ammettendo di non aver
avuto accesso alla ricca bibliografia sul mondo germanico,
dal poco che ho visto anche lì gli orsi sono rari. Segna-
lo che ci sono orsi raffigurati di profilo a quattro zampe
nell’arte rupestre della Norvegia (Pentikäinen 2007, tav.
X). Come per il mondo celtico, a questa povertà icono-
grafica e archeologica si oppone la tradizione dei gruppi
di guerrieri che si identificavano con gli orsi, i Berserkir, di
cui però abbiamo testimonianza attorno al 1.000 d.C. in
Scandinavia e che perciò mi pare eccessivo voler estende-
re a tutto il mondo germanico protostorico (Pastoureau
2008, pp. 39-48). Al più, segnalo che tra III e IV secolo
d.C. presso il popolo germanico orientale dei Taifali vigeva
una forma particolare di servitù e soggezione dei giovani
verso i guerrieri adulti, che si potevano liberare solamen-
Fig. 24. Il fondo del calderone di Gundestrup, con simbologie astrali: tra le te uccidendo un cinghiale o un orso, evidentemente tra
zampe posteriori del Toro e la coda del Dragone, l’Orsa (da Goudineau - le due bestie più pericolose nel loro territorio (Ammiano
Verdier 2006, p. 71). Marcellino Hist., XXXI,9).
Neanche presso gli Sciti l’orso ha molta fortuna, prefe-
la nuova veste della romanizzazione. Il caso più famoso rendogli leoni, cervi e cinghiali. Questa popolazione delle
è quello della dedica ritrovata a Muri presso Berna alla steppe, famosa per la meravigliosa oreficeria, ci ha però
dea Artione (appunto un derivato dal nome dell’orso) del- lasciato alcune tra le più graziose raffigurazioni di orso: il
la donna Licinia Sibinilla, di II secolo d.C.: una scultura bustino di un orsacchiotto, di certo senza simbologie di
in bronzo dove su una base rettangolare si dispongono potenza o forza, con gli occhi sgranati, le orecchie alte, la
accanto a un albero un grosso orso a quattro zampe che boccuccia aperta e le zampine è stato raffigurato su delle
rivolge il muso alla dea seduta, con alla mano destra una piccole applique in argento ritrovate nel ricco corredo del-
patera e sulle ginocchia un piatto pieno di frutti, mentre a la tomba principesca della seconda metà del IV secolo a.C.
fianco, a sinistra, su un pilastrino, è posato un cesto da cui di Agighiol in prossimità del delta del Danubio, simili alle
escono dei vegetali (LIMC, II.1, p. 856-7, e II.2, tav. 628) testine su un coprinaso dal tumulo di Oguz, del IV secolo
(fig. 23). Altre dediche a Artione si trovano lungo il Reno, a.C. (I Daci 1997, p. 191; Schiltz 1994, p. 220, figg. 162
mentre nelle Alpi francesi, a Beaucroissant, è Mercurio e 345) (fig. 25). Ben diverso, dalla bocca mostruosa, è in-
che assume l’epiteto di Artaio (Jufer - Luginbühl 2001, p.
23; alcuni altri riferimenti in Green 1999, pp. 217-218).
Al di là dell’omonimia e dei dati linguistici e religiosi, dob-
biamo constatare che non ci risultano rappresentazioni di
orsi nell’arte celtica, dove invece sono rielaborati leoni,
grifoni e altri animali dell’iconografia mediterranea. Così
nel famoso calderone di Gundestrup l’unico orso sarebbe
sul piccolo disco del fondo, dove sono raffigurate le co-
stellazioni del Toro, grande e centrale, Orione, la Lucertola
o Dragone e in piccolo l’Orsa Polare, accoccolata, stando
a una recente interpretazione (Goudineau - Verdier 2006,
p. 71) (fig. 24). Nei riquadri a sbalzo del grande calde-
rone d’argento, ritrovato in Danimarca e fabbricato nel
nord della Penisola Balcanica attorno al 100 a.C., non ci
sono orsi, pur di fronte a una ricchissima fauna mitica, con
lupi, tori, cervi, delfini, cani, aquile, grifoni e perfino due
elefanti. Il repertorio animale pare perciò rifarsi a quello
greco classico, che rifugge, come vedremo, l’orso, forse
troppo grossolano da rappresentare. Anche per i pochi ar-
tigli di orso in alcune tombe in Gallia ritrovati come orna-
mento o le ossa delle zampe incenerite, segno di un man-
tello bruciato, la distribuzione dei ritrovamenti nell’antico
Belgio (con qualche caso anche presso i Belgi emigrati in
Britannia), con casi analoghi nella Germania settentriona-
le, ci pare di poter vedere una tradizione germanica e non
celtica (Arbogast - Méniel 2002, fig. 4). Fig. 25. Una delle applique in argento di Aghighiol (da I Daci 1997, fig. 165).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 69

Fig. 26. Cucchiaio in osso da Bice Oba sull’Ural (da Lebedynsky 2001, p. 235).

Fig. 27. Vaso bronzeo dalla necropoli etrusca dell’Occhio Bello di Bisenzio Fig. 28. Stele da Novilara (Piceni 1999, fig. 402a).
(da Gli Etruschi 2000, p. 541).

vece la testa di un orso sul manico di un cucchiaio in osso Un combattimento, o scena di caccia, è sulla faccia incisa
di produzione sauromata da Bice Oba presso il fiume Ural (l’altra faccia è iscritta) di una delle stele di Novilara nelle
(Lebedynsky 2001, p. 235) (fig. 26). Marche, della metà del VI secolo a.C.: due uomini armati
di lancia affrontano un toro da un lato, un orso dall’altro,
mentre sopra c’è un’apparente scena di combattimen-
Gli Etruschi e gli Italici to tra due gruppi di armati sulle rive di un fiume (Piceni
1999, p. 244, fig. 402a) (fig. 28). La rappresentazione è
Nel mondo etrusco-italico, prima dell’influsso dell’arte molto sommaria, con la sola linea di contorno, ma dell’or-
greca, si ha qualche immagine di orso, il carnivoro di mag-
giori dimensioni della Penisola. Alla seconda metà dell’VIII
secolo a.C. risale un vaso bronzeo dalla tomba 22 della
necropoli dell’Occhio Bello di Bisenzio sul lago di Bolsena,
usato come cinerario (Torelli 1997, p. 36, fig. 25) (fig. 27).
La scena molto complessa è formata sul coperchio da un
essere mostruoso, seduto, dalle ampie narici, con le zam-
pe unghiate, con al collo una lunga catena, e tutt’attor-
no una danza di sette guerrieri. Sulla spalla del vaso, altri
nove guerrieri armati di scudo e di lancia (non conserva-
ta), interrotti da un uomo preceduto da un bue che tiene
per la coda o per una corda e da un uomo con lancia e
mazza. La scena è stata interpretata da Mario Torelli come
un rito funebre con guerrieri che danzano la pirrica e un
bue condotto al sacrificio. Il mostro centrale sarebbe una
figura infera, tuttavia suggerirei che prenda ispirazione da
un orso o che sia un orso identificato come creatura infera
(i tratti scimmieschi sono dovuti allo stile, piuttosto rozzo,
delle sculture). Fig. 29. Il mito di Caeculus infante (da LIMC, VIII.2, tav. 351).
70 Francesco Rubat Borel

so, che è a quattro zampe, visto di profilo, si sono voluti


tracciare, con due brevi tratti, la bocca e un orecchio.
Al margine del mondo italico, devo segnalare che non
risultano immagini di orsi nelle raffigurazioni di cacce
nell’arte rupestre della Val Camonica.
Tornando all’Italia peninsulare, non manca un mito se-
condario, quello di Caeculus, eroe di Preneste nell’antico
Lazio, che sarebbe stato allevato da una leonessa (LIMC,
VIII.1, p. 544; Grimal 1990, p. 112, non riporta la tra-
dizione della fiera che diede ospitalità al bambino) (fig.
29). Tuttavia il particolare che il nome dell’eroe significhi
“cieco” (come si pensava fossero gli orsacchiotti appena
nati, come si legge nel testo di Plinio qui riportato in ap-
pendice) e la raffigurazione sui piedi di una cista di bron-
zo, di fine V secolo a.C., ora a Berlino, in cui l’eroe infante
è allevato da una fiera dalla criniera, che voltata gli lecca
il fondo della schiena (e Plinio scrive che gli orsacchiotti,
nati informi, prendono il loro aspetto sagomati dalla lin-
gua della madre), ci fa chiedere se all’origine la belva non
fosse un’orsa e solamente più tardi sostituita dai mitografi
nella più nobile ed esotica leonessa.

I Greci

Delle culture dell’antica Europa, quella presso la quale Fig. 30. Il mito di Callisto: a) e b) l’inizio della metamorfosi in vasi apuli;
l’orso ha goduto di meno fortuna è la Grecia. È impressio- c). Arcade incontra Callisto trasformata in orsa, mosaico di età romana (da
nante come, in una tal ricchezza di miti, di raffigurazioni LIMC, V.2, tavv. 604 e 605).
artistiche, di testimonianze letterarie, l’orso non compaia
che poche, rarissime volte. Addirittura nella loro lingua, (Grimal 1990, pp. 57-58). Di questo mito le raffigurazioni
così ricca e creativa, hanno formato da árktos “orso” so- della metamorfosi sono pochissime e limitate alla Puglia
lamente 13 parole (escludendo i pochi toponimi e nomi tra il 380 e il 370 a.C.: su un frammento, resta solamente
propri di persona), contro 33 da lýkos “lupo” e quaran- la testa della fanciulla e le dita che diventano zampe, in
tasei da léõn “leone” (conteggi effettuati in Montanari una oinochoe invece Callisto, seduta, dai capelli ormai ir-
1995). suti si guarda una mano che si trasforma in zampa (LIMC,
Nessun eroe affronta orsi, neppure Ercole che ha com- V.1, pp. 940-944 e VI, 2, tav. 604). L’incontro tra Callisto e
battuto contro mostri, leoni, tori, cervi e perfino cavalli Arcade è in un mosaico a Italica in Spagna, tra II e III secolo
carnivori. Quest’assenza per altro coinvolge anche i lupi, d.C., con il giovane che scaglia il giavellotto contro l’orsa
forse si tratta di animali per quanto feroci ritenuti troppo (LIMC, V.1, pp. 940-944 e VI, 2, tav. 605); credo che però
comuni ed ordinari. Ma ciò che colpisce ancora di più è la qui più che la raffigurazione di un mito si abbia a che fare
quasi totale assenza di metamorfosi di uomini e semidei con uno spettacolo del circo che mette in scena la vicen-
in orsi. Si sa che una delle caratteristiche dei miti greci è la da, come vedremo accadere in età romana (fig. 30). Le al-
trasformazione del protagonista in un animale, un albero, tre comparse di orsi sono poca cosa11. In una versione del
un elemento naturale. Ebbene, solamente in un caso si ha mito, il bambino Paride, esposto sul monte Ida per ordine
l’eroina trasformata in orsa (Pastoureau 2008, pp. 24-33; del padre Priamo di Troia perché gli era stato predetto che
Pentikäinen 2007, pp. 16-19). Callisto è una ninfa o la da lui sarebbe venuta la rovina della città, fu allevato per
figlia di Licaone, re dell’Arcadia. Avendo fatto voto di ver- alcuni giorni da un’orsa prima di essere raccolto da alcuni
ginità, era nel gruppo di compagne di caccia di Artemide pastori (Grimal 1990, p. 481). Il nonno paterno di Ulisse,
tra i boschi e i monti. Zeus se ne innamorò e si unì a lei il padre di Laerte, era Arcisio, figlio dello sfortunato eroe
ingannandola dopo aver assunte l’aspetto di Artemide o Cefalo e di un’orsa, con la quale si era unito per obbedire
di Apollo. Generò un figlio, Arcade, e fu uccisa da Arte- all’oracolo di Delfi (Grimal 1990, pp. 113 e 626). Un’altra
mide perché irritata dal voto infranto o perché istigata da fanciulla della schiera di Artemide ha un mito con un orso:
Era gelosa. Zeus la trasformò nella costellazione dell’Orsa in Tracia Polifonte che, ispirata da Afrodite irritata per la
Maggiore, oppure fu mutata in orsa per punizione da Ar- sua verginità, si innamorò di un orso e da questo ebbe
temide o da Zeus per sottrarla alla vendetta di Era (Grimal due figli, Agrio il selvaggio e Orio il montanaro, in una
1990, pp. 102-103). Il figlio Arcade a sua volta, dopo aver grotta dove si era nascosta per sfuggire allo sdegno di
regnato sui Pelasgi del Peloponneso che da lui prenderan- Artemide (Grimal 1990, p. 522).
no nome di Arcadi, sarà trasformato nella costellazione di Si evoca spesso il culto di Artemide nel santuario di Brau-
Arturo, il Guardiano dell’Orsa, perché mentre era a caccia ron, nell’Attica, dove le fanciulle che compivano il rito,
attaccò un’orsa, non riconoscendovi la madre, e per cat- al passaggio dall’infanzia all’adolescenza, erano chiama-
turarla entrò in un tempio sacro a Zeus Licio (cioè dei lupi): te orse, ma devo ammettere che del sacrificio di orse al
il dio per impedire il matricidio o per evitare che fossero termine del rito, menzionata da alcuni autori moderni,
puniti per il sacrilegio, li fece diventare due costellazioni non ho trovato riscontro nei testi antichi (RE, III,1, cc.
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 71

Fig. 31. Artemide e le bambine “orse”: a sinistra, statua fittile da Corfù; a Fig. 32. Rilievo di Nemesi Diana (da LIMC, VI.2, tav. 447).
destra, rilievo in marmo da Brauron (da LIMC, II.2, tav. 504).

824-825; Strabone IX,399; Pausania I,23,7; Euripide Iph. oggetti di vita quotidiana come le lucerne e ceramica o
Taur., 1466; Aristofane Lysisistr. 465; Erodoto VI,138; Pa- i piccoli bronzi, segno di una familiarità e di una certa
stoureau 2008, pp. 27-28; Pentikäinen 2007, pp. 19-20). popolarità della belva, che doveva essere la più frequen-
E comunque, anche qui se mai all’origine c’era un culto te negli spettacoli del circo. Ad esempio nella ceramica
con orsi, come apparirebbe dalla terminologia, non pare sigillata della Gallia della seconda metà del II secolo d.C.
lasciare tracce evidenti nei resti archeologici. Elinor Bevan spesso compare un cavaliere attaccato o che attacca la
ipotizza che l’immissione dell’orso nel culto di Brauron grossa fiera (Stanfield - Simpson 1958)12. È da notare che
possa essere piuttosto recente e di origine peloponnesia- il cavaliere è armato di spada e non di lancia ed è sem-
ca, rilevando che le poche immagini del santuario attico pre voltato indietro o tira di fianco, più come se si stesse
raffigurano uomini e giovanette nei riti, mentre inaspet- difendendo che se fosse un cacciatore, il che mi fa pen-
tatamente manchino gli orsi, come mostra la scheda di sare che si tratti in realtà di uno spettacolo nel circo, con
Lilly Kahil sull’iconografia di Artemide (LIMC, II.1, pp. la trasposizione mitica nella raffigurazione del centauro
676-677) (fig. 31). Infatti l’orso è negletto non solo dal (Stanfield - Simpson 1958 p. 214, tav. 123, 42; p. 35, tav.
mito ma anche dall’arte greca. Sarebbero solamente sette 40,469; p. 188, tav. 100,1 e 3; p. 194, tav. 106,22; p.
i templi e santuari nei quali sono state rinvenute immagini 184, tav. 98,14; p. 161, tav. 83,9 e 10; p. 165, tav. 85,3;
di orsi e di questi tre erano dedicati ad Artemide (Bevan centauro a p. 263, tav. 163,75); non mancano per altro
1986, pp. 18-27). Un rilievo da Claros, forse proveniente le scene di dannati ad feras (Stanfield - Simpson 1958,
in realtà dall’Acropoli di Atene, e alcuni elementi del grup- donna dannata ad beluas con orso p. 248, tav. 145,8).
po scultoreo della statua di culto di Artemide a Brauron si Per altro, i dati etnografici mostrano che la caccia all’orso
datano al V e IV secolo a.C. L’orso potrebbe essere un in- effettuata a cavallo è nettamente minoritaria (6,72% per
flusso del culto di Artemide Orthia, preposta alle nascite, le popolazioni di cacciatori-raccoglitori dell’Asia e dell’A-
originaria dell’Arcadia. Sono miti secondari, particolari. E merica subartica, il che può aver inciso in negativo sulla
per il resto, non mi risultano orsi nella pittura su ceramica percentuale) e che comunque sono lancia o picca le armi
sia in Grecia che in Italia, tranne quei due vasi apuli dove per uccidere la belva (Binford 2002). Con più sicurezza
però non abbiamo un orso, ma l’inizio della metamorfosi abbiamo episodi di caccia quando ci sono degli orsi che
di Callisto, limitandosi a una zampa e ai capelli irsuti. fuggono; da notare che invece è piuttosto raro che siano
leoni a fuggire: è forse una testimonianza di realismo, es-
sendo l’orso presente e cacciato in Gallia, mentre il leone
Il mondo romano è importato e caratterizzato da numerosi valori mitologici
e di prestigio? Altre volte, con orsi in coppia che attaccano
Nemmeno nel mondo romano l’orso ha fortuna nelle cervi, si vede un episodio naturale (Stanfield - Simpson
immagini sacre, facendomi segnalare al più a Teurnia, 1958, p. 161, tav. 82,5). Sulle lucerne possiamo vedere
nell’attuale Austria meridionale, un’immagine di Diana orsi in fuga, orsi che balzano o attaccano cervi, semplici
nel suo aspetto di Nemesi, davanti a due bestiarii (i gla- teste, orsetti rappresentati come piccoli animaletti pelosi e
diatori specializzati nei combattimenti con gli animali) che dal muso abbassato (Bonnet 1988, p. 73, fig. 20; Di Filip-
attaccano un orso (LIMC, VI.1, p. 766 e VI.2, tav. 447) po Balestrazzi 1988, nn. 277, 400, 402,403, 649; Larese
(fig. 32): dedica di gladiatori o di appassionati ai giochi del - Sgreva 1997, n. 288; 1997, n. 153; Di Filippo Balestrazzi
circo, senza legami al culto della dea. Della dea Artione e 1988, n. 571) (fig. 33).
di Mercurio Artaio in Gallia abbiamo già visto. Non mancano orsi sull’artigianato artistico, come la termi-
Le scene di caccia all’orso si fanno più frequenti sugli nazione a testa ursina (e non di cane, come scrivono gli
72 Francesco Rubat Borel

Fig. 35. Mosaico di Orfeo tra le fiere, da Blanzy-lès-Fismes, inizi del IV secolo
d.C. (da LIMC, VII.2, tavv. 57-77, n. 111)

sul frammento di orlo di un piatto di bronzo ricoperto di


argento da Saulzoir, nel nord della Francia, della prima
metà del III secolo d.C., oppure l’orso che insegue due
antilopi o giovani cervi nel fregio di animali della situla
prodotta nella Germania Inferiore tra il 150 e il 175 d.C.
da Otterstadt nel Palatinato, o ancora il combattimento
tra due orsi, uno che balza in attacco, l’altro in difesa a
testa bassa, separati da un albero, in una scena silvestre
con amorini danzanti, di II-III secolo d.C. trovati nel tesoro
di Thil in Aquitania (Baratte 1989, nn. 106, 123, 197).
Infine, erano il tipico soggetto dionisiaco del tiaso con il
Fig. 33. Lucerna romana (da Larese - Sgreva 1997, n. 153). carro tirato da due fiere che avendo la testa che termina in
una punta affusolata potrebbero essere orsi (Dragendorff
- Watzinger 1948, tav. 15, 161).
Con l’età imperiale le raffigurazioni di orsi diventano par-
ticolarmente frequenti sui sarcofagi e sui mosaici degli
edifici pubblici e privati. Eppure anche qui non si tratta di
rappresentazioni di episodi mitici (escludiamo da questo
la scena di Orfeo tra le fiere, che appare un catalogo delle
specie animali selvatiche, o peggio, come vedremo, una
sorta di spettacolo nel circo: LIMC, VII.1, pp. 81-105, e
VII.2, tavv. 57-77) (fig. 35), ma legate a momenti della
vita reale antica, o almeno a quegli aspetti ritenuti parti-
colarmente prestigiosi dai committenti: scene di caccia o
di spettacoli nel circo. In una generale scarsa attenzione
verso il mondo naturale se non antropizzato, tipico della
cultura antica, la caccia è forse l’attività umana che più
di tutte ci dà immagini dell’ambiente antico. È da questi
contesti che si può intravvedere quale fosse la concezione
Fig. 34. Orso in ambra (da Koster 2007). della natura per gli antichi e in ciò gli animali sono raffi-
gurati o perché prede o perché ornamento di giardini o
editori) di una chiave di bronzo da Concordia in Veneto, perché al più oggetto di curiosità. Gli orsi non sono che
di I-II secolo d.C. (Antichi bronzi di Concordia 1983, p. grossi animali, spesso presenti nelle foreste come prede
44) o su anelli da Aquileia e da Poetovium/Ptuj scolpi- o avversari, o come semplici comparse. Nella villa di età
ti nelle perle d’ambra (dalla stessa località abbiamo già costantiniana di Antiochia, nel grande mosaico ora al
segnalato il personale Artebudz), dove troviamo animali Louvre, l’orso è la preda di tre cavalieri assieme alla tigre
tozzi proni, con muso corto e fitto pelame, dalla coda e al leone, quasi fossero la terna di fiere del migliore cac-
corta, da alcuni interpretati come cani ma che mi paiono ciatore (Dorigo 1966, p. 196, fig. 148). Sempre da An-
essere evidentemente degli orsi (Gaggetti 2001, nn. 119- tiochia, ma ormai nel VI secolo d.C., nel grande Mosaico
124). Non ci sono incertezze sull’identificazione con orsi, della Caccia Worcester si cacciano molte fiere, soprattutto
invece, per la piccola scultura in ambra deposta tra l’80 e leoni, e vi è anche una scena di rapimento di un tigrotto,
il 100 d.C. nel ricco corredo della tomba 1 della necropoli dopo aver allontanato la madre: gli orsi sono in disparte,
di Ulpia Noviomagus nella Germania Inferiore (oggi Ni- abbattuti con una lancia al collo, con un orsacchiotto so-
mega in Olanda), con l’orso dalla testa e la zampa rivolte litario, forse destinato ad essere rapito dai cacciatori per
verso l’alto e un foro sul dorso per l’inserimento su un essere condotto in un serraglio (Parrish 2005, fig. 5) (fig.
supporto (Koster 2007) (fig. 34). Si ha qualche esempio 36). Nemmeno nella villa siciliana di Piazza Armerina gli
anche nel ricco vasellame d’argento delle Gallie, in scene orsi paiono rivestire grande importanza. Mancano nelle
dionisiache, adatte al contesto (appunto, servizi da ban- grandi venationes (le cacce simulate nelle arene) e nelle
chetto) come l’orso seduto accanto a un asino che scalcia catture di animali, così come nelle scene complesse (tran-
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 73

Fig. 36. Scena del Grande Mosaico della Caccia Worcester da Antiochia, VI Fig. 38. Percentuali degli animali cacciati nei sarcofagi romani (dati da An-
secolo d.C. (da Parrish 2005, fig. 5). dreae 1980, p. 195).

presente (quasi un terzo) è infatti il leone, sia maschio con


la criniera, che femmina, e addirittura qualche piccolo, e
non mancano le pantere. È evidente qui che la caccia è in-
tesa come attività prestigiosa per la nobiltà dell’animale e
il riferimento a miti di antichi eroi. Maggior legame con la
realtà hanno invece le cacce al cinghiale (un quarto delle
raffigurazione) e al cervo (un quinto), mentre non man-
cano, seppur poco numerosi, lepri, tori (ricordiamo che
la forma selvatica, l’uro, era ancora presente nell’Europa
centrale, oltre ai miti che vedono bovini come protago-
nisti) e nelle regioni mediorientali e africane onagri (asini
selvatici), struzzi ed antilopi. Ci sono anche alcuni elefanti,
aquile e serpenti ... Ma se andiamo a vedere i carnivori
europei, ecco che non c’è nessun lupo, forse perché con-
fondibile con il cane, o piuttosto con l’animale simbolo
di Roma, e gli orsi sono tutto sommato rari, se teniamo
conto del fatto che si tratta dell’animale più pericoloso del
nostro continente: appena il 7%. Molto spesso l’orso è
presente in complesse scene di caccia dove la parte prin-
cipale è tenuta da altre fiere come il leone o addirittura il
cinghiale. Così attorno al 300 d.C. su sarcofagi da Cahors
e Bourges in Gallia ci sono scene di caccia al cinghiale e al
cervo, con un orso in fuga che si volta per far fronte all’at-
tacco di un cavaliere. Un episodio di caccia a un gruppo
di orsi effettuato da cavalieri con torme di cani è su un
Fig. 37. Mosaico dall’ambiente 19d della villa di Piazza Armerina (da Caran- sarcofago a Palazzo Lancellotti a Roma, del 320-330 d.C.:
dini et al. 1982, p. 156) due orsi affrontano i cavalieri, un altro in fuga, di un altro
già abbattuto non compare che la testa a terra (fig. 39).
ne che tra le molte fiere nella scena di Orfeo nell’ambiente Sempre a Roma, su un sarcofago di fine III secolo d.C. a
35 e due orsi che balzano nel peristilio attorno al cortile, Villa Doria Pamphilj, all’estremità sinistra ci sono due orsi,
ma si tratta ancora di poca cosa). Abbiamo però 13 teste uno dei quali azzanna un vitello, forse usato come esca;
di orso, viste di profilo, tra i 156 medaglioni con teste di comunque sia, nella stessa scena i cacciatori affrontano
animali nel peristilio dell’ambiente 19d, così come altre anche due cinghiali (fig. 40). Stesso realismo in un sar-
teste sono all’interno di volute vegetali nell’ambiente 46c: cofago coevo da Ostia, in cui un orso è attaccato da un
mere decorazioni (Carandini et al. 1982, pp. 128, 138, cacciatore mentre un cane gli è balzato sul dorso. Non è
300, fogli VII-XIV, XV, XLV) (fig. 37). raro per altro che l’orso non solo sia un mero comprimario
Anche se consideriamo le scene di caccia sui sarcofagi, in una scena con i più nobili leoni o con il cinghiale, ma
prevalentemente di III e IV secolo d.C., vediamo però su- addirittura che sia ridotto ad animale già ucciso, facendo
bito come anche in queste rappresentazioni prevalgano solamente capolino con la sua testa tra la vegetazione o
le convenzioni artistiche e culturali (Andreae 1980, pp. tra le gambe di cacciatori e fiere: è valida anche in questi
143-185 e 195)13 (fig. 38). L’animale di gran lunga più casi l’osservazione che il corpo tozzo e grosso dell’orso sia
74 Francesco Rubat Borel

Fig. 39. Sarcofago romano da Palazzo Lancelotti a Roma (da Andreae 1980, tav. 107,2).

Fig. 40. Sarcofago romano da Villa Doria Pamphilj a Roma (da Andreae 1980, tav. 95,1).

poco elegante da rappresentare rispetto a un felino o a Metamorph. IV,13; Plinio Nat. Hist. VIII,131). Marziale, nel
un irsuto cinghiale? Lo stesso si può dire per gli spettacoli suo opuscolo dedicato ai giochi nel Colosseo, ci descrive
nel circo, dove appunto gli orsi erano ben presenti, ma supplizi e spettacoli che vedono orsi come protagonisti,
nelle rappresentazioni si preferiscono i più eleganti leoni che anzi sono tra le fiere le più numerose, più di leoni e
(Augenti 2001, nn. 14, 16, 17, 18, 31). tigri che pur prevalgono nel nostro immaginario e nelle
La forma di intrattenimento più comune erano le vena- molte scene sui mosaici (Marziale L. spect. VII, XI, XV, XXI,
tiones, ovvero delle rappresentazioni nell’arena di cacce
dove gli orsi erano catturati come se fossero nelle foreste.
Gli orsi erano tra le belve di più facile reperimento alme-
no in Europa, come è attestato da numerosi testi lette-
rari, forse meno soggetti agli stereotipi e ai modelli delle
iconografie. Uno spettacolo particolarmente complesso
è raffigurato su un rilievo a Sofia, dove orsi combattono
contro tori, pugilatori, condannati a morte e addirittura
un coccodrillo (Augenti 2001, pp. 45-46) (fig. 41). Su
una pedana, un orsacchiotto con la testa coperta da una
maschera di scimmia è seduto circondato da bambini o
pigmei, anch’essi mascherati. Interessante uno degli spet-
tacoli, dove dietro una porta girevole, la cochlea, cerca di
nascondersi un condannato: questo serviva a far infuriare
ancor di più l’orso, che attaccava inizialmente vanamente
il pover’uomo che credeva così di potersi proteggere per
un poco (fig. 42). Gli orsi probabilmente ancora dalle fitte
foreste e dai monti dei Balcani erano stati radunati dal
ricco greco Democare nel II secolo d.C., come vedremo
tra poco, e nel 61 a.C. se n’erano portati a Roma ben Fig. 41. Rilievo con scena di spettacolo nell’arena da Sofia (da Augenti 2001,
100 dalla Numidia, tra le attuali Tunisia e Algeria (Apuleio p. 45).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 75

XXI): lo sfortunato Laureolo, condannato a morte, è lega-


to a una croce dove viene dilaniato da un orso della Cale-
donia (l’odierna Scozia, dove gli orsi sono ormai estinti da
secoli), tragica fine che subisce anche da parte di un’orsa
un musico nella parte di Orfeo, fino a suscitare la tetra
battuta che la belva era stata mandata da Euridice; nei
combattimenti tra animali, che più erano interessanti più
portavano bestie rare o che in natura non si sarebbero mai
incontrate, un orso viene scaraventato in aria da un rino-
ceronte, che fa fare la stessa fine a due manzi, un bufalo
e un bisonte, mentre un leone per sfuggirgli preferisce
essere infilzato dai giavellotti, oppure un altro è ucciso dal
cacciatore Carpoforo assieme a un leone e un leopardo (e
Marziale non perde l’occasione di fare un gioco di parole
tra l’orso e il punto cardinale Artico, da dove proverreb-
be). Di tutti gli epigrammi, però quello che ritengo essere
il più interessante è quello dove si ricorda il buffo spetta-
colo della cattura di un orso, deridendolo mentre furioso
si impiastriccia nel vischio non riuscendo più a fuggire: il
riso viene suscitato dal fatto che il grosso animale è cat-
Fig. 42. Particolare del rilievo con scena di spettacolo nell’arena da Sofia: turato come se fosse un uccelletto. E quattro secoli dopo
un orso e un condannato separati dalla cochlea (da Augenti 2001, p. 46). è buffa anche la scena di combattimento nel circo nel
dittico di Areobindo (Spätantike und frühes Christentum
1983, pp. 637-639). I consoli alla fine dell’Impero erano
soliti celebrare la loro nomina con due tavolette di avorio,
legate tra di loro (i dittici), sulle cui facce erano scolpiti i
ritratti degli imperatori, scene allegoriche, il console e i
suoi famigliari o altre scene, comprese quelle dei giochi
nel circo e le corse delle bighe che erano offerte dal ma-
gistrato appena nominato. Il console Areobindo nel 501
d.C. fa incidere un dittico con su una faccia una venatio
di leoni, sull’altra invece una scena con orsi, uno dei quali
attacca una sorta di gabbia sferica, un altro un uomo ar-
mato, un terzo invece si accascia mentre viene colpito dal
calcio di un cavallo e un uomo si nasconde dietro una por-
ta, probabilmente la cochlea che abbiamo già incontrato
nel rilievo di Sofia (fig. 43): è sempre e solo con l’orso che
si induce a scene anche comiche nel circo, mentre ne sono
esenti i nobili leoni e le rare tigri. In altri dittici si hanno
invece delle scene tipiche di caccia all’orso, come quello
al Louvre del 400 d.C., che era affrontato con la picca,
oppure catturato mettendogli un cappio al collo, mentre
si osserva che a volte due esemplari possono combattere
tra di loro, in piedi (Alföldi-Rosembaum 1983, fig. 4) (fig.
44). Per altro, i casi in cui l’orso è ritto e stante sulle zampe
posteriori (ovvero non è appoggiato al corpo dell’uomo

Fig. 43. Il dittico di Areobindo, 501 d.C. (da Roma e i barbari 2007, p. 211). Fig. 44. Il dittico al Louvre, 400 d.C. (da Alföldi-Rosembaum 1983, fig. 4).
76 Francesco Rubat Borel

tacolo, così come altri miti che vedono eroi o pastori tra
le belve, primo tra tutti Paride, che abbiamo detto essere
legato a antichi miti di orsi. Così, il grande mosaico nelle
Terme Occidentali dell’isola greca di Coo, di III secolo d.C.,
ha nel quadro centrale il giudizio di Paride, mentre nel
bordo vi è un fregio continuo di scene di caccia a orsi,
tori, cinghiali e cervi (De Matteis 1994). Sono gli orsi le
belve su cui cadono le attenzioni dell’artista, ben 11, af-
frontati da cacciatori a piedi con stocchi o a cavallo, in
diversi momenti e atteggiamenti della lotta. Che si tratti
di uno spettacolo circense e non di un semplice mito si
capisce dal fatto che dei nomi sono scritti a fianco sia dei
cacciatori che degli orsi, come se fossero delle celebrità.
D’altra parte, la scena del giudizio di Paride come introdu-
zione agli spettacoli nell’arena è ben descritta da Apuleio
(Metamoph. X, 30-34). Oppure per la nascita di Afrodite
nella conchiglia tra le spume del mare, eccola nel grande
mosaico di età Severa di Zeugma, sull’alto Eufrate, firmato
da Zosimo di Samosata (Darmon 2005, fig. 10). Il quadro
centrale ha Afrodite nella conchiglia, attorno c’è una sce-
na di caccia di amorini contro leoni, pantere e antilopi, ma
anche un orso in fuga ed un altro che affronta un amorino
armato di lancia e scudo: è evidente che qui si è preferito
volgere in decorazione e scherzo la reale venatio con i
Fig. 45. Mosaico con Afrodite e amorini a caccia, da Zeugma (da Darmon gladiatori sostituiti dai puttini (fig. 45).
2005, fig. 10). Ma si tratta di spettacoli e non di vere e proprie rappre-
sentazioni di miti, anche perché gli orsi sostanzialmente
o dell’animale che sta attaccando) o colpisce con le sue mancano nel mito greco, come abbiamo visto. Tutt’al più
possenti zampe anteriori sono molto rari quasi evitando gli orsi compaiono nelle ricche decorazioni con sfondo
confronti con l’uomo. Plinio ne accenna di sfuggita ed naturalistico di mosaici, pitture murali o di alcuni sarco-
aggiunge che anche quando scende dagli alberi lo fa al fagi. In questi, un carattere particolare prendono le scene
contrario, come gli uomini (Plinio Nat. Hist. VIII,130, vd. dove i personaggi principali sono amorini che cacciano o
anche qui l’Appendice). Al più l’orso è rampante, come combattono. È evidente che non si tratta più di episodi
quando attacca un gladiatore armato di scudo o balza al mitici, ma di allegorie e scherzi e decorazioni. Di tutti que-
collo di un toro o di cervo, e conosco solamente un caso in sti, credo che il più bell’esempio sia un sarcofago a New
cui è raffigurato senza davanti un avversario o una preda York del 120-130 d.C. dove gli amorini sono su bighe o a
su un vaso in ceramica sigillata (Stanfield - Simpson 1958, cavallo: ma gli animali al giogo o montati sono fiere come
p. 40, tav. 44, 514). orsi, leoni e leonesse, tigri, cinghiali, capri (Kranz 1984,
Torniamo un attimo all’epigramma in cui nel circo un cat. 316, p. 244, tav. 90, 2) (fig. 46). Nelle decorazioni pit-
dannato nella parte di Orfeo tra le belve è sbranato da toriche di Pompei, eccone una di IV stile con un amorino
un’orsa. Se all’inizio ho detto di scartare il mito di Orfeo, è che combatte con la lancia contro un orso (Barbet 1985,
perchè occorre ricordare questo tipo di condanna e spet- p. 199, fig. 141).

Fig. 46. Sarcofago romano con corsa di carri guidati da amorini e tirati da belve (da Kranz 1984, tav. 90,2).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 77

cittadino, con gladiatori e belve cui far sbranare dei con-


dannati. Tutta l’attenzione andava su delle orse, alcune
acquistate, altre regalate al munifico cittadino, ma le more
dell’organizzazione, sotto la canicola estiva, fecero morire
le belve, fiaccate dall’inerzia e da un’improvvisa epidemia.
Il popolino si buttò sui corpi delle grosse fiere, ormai ridot-
te a “relitti ferini di corpi semivivi”. I briganti escogitarono
allora un piano per derubare il ricco ma sfortunato Demo-
care e si presero la bestia di maggiori dimensioni per man-
giarsela tra di loro. L’orsa fu scuoiata e ne trattarono la
pelle, ben conservando la testa e gli artigli. Le carni furono
mangiate avidamente dai complici che quindi giurarono
che il più coraggioso tra di loro e “non necessariamente
il più forte” avrebbe rivestito le spoglie della belva per
entrare nella casa, facendo credere ai ricchi proprietari e
ai servi che fosse l’unica belva supersite. Che la carne d’or-
so fosse consumata non pareva essere una cosa strana,
perché la giustificazione dei ladri per prendersi la fiera era
proprio un uso alimentare. Fu scelto, per mascherarsi da
orso, Trasileone, il cui nome però significa “ardito come
un leone” (e di nuovo l’orso passa in secondo piano di
fronte al grande felino) ... Il falso animale fu accolto nella
ricca casa di Democare, che così sperava di por rimedio
al disastro dello spettacolo fallito. Nella notte il furfan-
te travestito da orso uscì dalla gabbia, uccise i servitori
vicini e fece entrare i complici, confidando che nessuno
sarebbe intervenuto vedendo una tale belva furiosa per
Fig. 47. Mosaico con scena di caccia dal Monte Nebo in Giordania, 530 d.C. la casa. Tuttavia la servitù fece fronte al pericolo e circon-
(da Parrish 2005, fig. 14). dò il falso orso, infilzandolo con stocchi e scatenandogli
contro i cani. Trasileone morì sbranato, ucciso e dilaniato
Con il tardoantico ci sono alcune immagini meno crudeli come un orso, combattendo come un orso. Al di là della
e anzi a volte anche buffe, come l’uomo che cerca di scac- connotazione picaresca dell’episodio, tipica dei romanzi
ciare a sassate un orso penetrato in un frutteto raffigurato antichi, emergono subito alcuni elementi che si rifanno
su un capitello di Vienne nella Gallia meridionale alla fine a più antiche credenze e tradizioni: l’episodio avviene in
del IV secolo d.C. (Lavagne 2003, p. 140, n. 324, tav. 211) Grecia, nella Penisola Balcanica, e non nell’Africa di cui è
o l’orso seduto sulle zampe posteriori verso il quale un Si- originario Apuleio; i briganti si cibano delle carni dell’or-
leno spinge un caprone, in una ricca decorazione vegetale so, come in molte popolazioni nei riti dell’orso allevato o
con fiere, nel mosaico del Sileno legato di El-Jem in Tunisia mangiato da cacciatori e guerrieri (pensiamo ai riti siberia-
(Malek 2005, fig. 4). ni e ainu); dell’orso si tengono la testa, la pelle e gli artigli,
Con il cristianesimo della tarda antichità, in Oriente com- con i quali si riveste un uomo che non solo combatterà da
pare ancora qualche orso, oltre che nei mosaici con scene orso, ma sarà un vero e proprio orso, fino a morire come
di caccia e spettacoli del circo, ancora tanto popolari. Ma avrebbe fatto la fiera.
gli esempi sono pochi, forse perché inizialmente la belva Eppure in tutta questa relativa ricchezza di attestazioni
mal si presta al simbolismo della nuova religione. Ecco un artistiche, i resti ossei di orsi rimangono molto rari, come
orso nella chiesa di San Cristoforo a Kabr-Hiram nel 575 già nelle età precedenti. Mi viene in mente, ad esempio, il
d.C. (Kier 1970, p. 70, fig. 285) o attorno al 530 d.C. nel frammento di mandibola rinvenuta in uno strato romano
memoriale di Mosé sul Monte Nebo in Giordania ritrovia- tra terzo e ultimo quarto del I secolo a.C. del chiostro del
mo la solita scena di caccia alle fiere con un cavaliere che medievale monastero della Visitazione a Vercelli (Cavallo
con la lancia attacca un orso voltato (Parrish 2005, fig. 1996).
14) (fig. 47) o sempre sul Monte Nebo, nella chiesa del Quali fossero i numeri delle stragi di animali che abbia-
diacono Tommaso, il combattimento tra un orso a quattro mo visto raffigurati su mosaici e sarcofagi ci è noto dal-
zampe e un uomo armato di spada e scudo, vicino a una le fonti storiche, che si stupiscono e compiacciono della
vigna dove un vignaiolo è tra le viti che si arrampicano agli magnificenza degli spettacoli con decine di fiere in età
alberi (Balmelle - Brun 2005, fig. 3). Tutto sommato poca tardorepubblicana e centinaia e migliaia di belve in età
cosa, fino a quando non avremo in Piemonte l’orso che imperiale. In un saggio sull’impatto delle attività umane
danza con l’uomo a Casale Monferrato (Kier 1970, p. 66). antiche sulla natura, come inquinamento, estinzioni, di-
Un episodio assai interessante, riguardante orsi da usare struzioni ambientali, sfruttamento eccessivo delle risorse,
negli spettacoli circensi ma anche immedesimazioni tra Karl-Wilhelm Weeber presenta i dati letterari ed epigrafici
uomini e orsi, è narrato da Apuleio nel suo romanzo “L’a- degli spettacoli del circo (Weeber 1991, pp. 102-117). Al
sino d’oro o Le metamorfosi” della metà del II secolo d.C. di là dei numeri enormi, sarebbe importante poter capire
(Apuleio Metamorph. IV,13-21). Dei briganti raccontano quanto questi massacri abbiano influito (ovviamente ne-
che un giorno a Platea in Grecia si stava allestendo un gativamente) sulle popolazioni naturali. Non pare tuttavia
grande spettacolo al circo pagato da Democare, un ricco che l’orso ne abbia risentito in maniera definitiva, perché
78 Francesco Rubat Borel

Fig. 48. Frammenti ossei macellati di orso dal castello medievale di Montaldo Mondovì (da Aimar et al. 1991, fig. 141).

nel medioevo nel nostro continente sarà straordinaria- la popolazione e portato a mettere a coltura aree in pre-
mente abbondante, fino all’età moderna quando i fucili cedenza a bosco. La distruzione dell’ambiente naturale,
e la completa antropizzazione del territorio ne provoche- la competizione dell’uomo, la scomparsa di territori che
ranno la pressoché completa estinzione in Europa occi- non solo gli davano alimenti ma anche rifugio hanno con-
dentale e meridionale, tranne alcune popolazioni relitte dotto all’estinzione dell’orso. In questo esito inglorioso,
nei recessi marginali delle catene montuose. Eccone i dati sono testimonianze preziose quelle che mostrano come
spaventosi, anche se può darsi che con l’andar del tem- l’orso diventasse un alimento, quando catturato, negli
po i numeri riportati non siano affidabili ma gonfiati dalla scarti e tra i rifiuti alimentari di numerosi siti medievali
propaganda: nel 168 a.C. Publio Cornelio Scipione Nasica nel Cuneese, come nella torre di Santo Stefano Belbo e
e Publio Lentulo mostrano a Roma 63 belve africane e 40 nel castello di Manzano a Cherasco; un cranio spaccato
tra orsi e elefanti (questi ultimi prede di guerra dagli eser- sagittalmente tramite fendenti è stato trovato nel castello
citi dei re ellenistici orientali), Gordiano I (238 d.C.) offre di Montaldo di Mondovì nelle fasi di XVI secolo d.C. (Sciol-
100 leoni, 1000 orsi, 200 cervi, 150 cinghiali, 300 struzzi, la - Aimar 1992; Bedini 1995; Aimar et al. 1991) (fig. 48).
30 asini selvatici ..., Probo (276-282 d.C.) 300 orsi, 100 Infatti secondo gli antichi statuti e regolamenti comunali
leonesse, 100 leopardi , 100 leoni (questi ultimi, essendo
addomesticati, pare non abbiano riscosso molto succes-
so perché poco spettacolari) ... Le città minori non erano
di meno, come abbiamo visto con Democare di Platea; a
Minturno nel 249 d.C. furono uccisi 10 orsi in uno spetta-
colo che si protrasse per quattro giorni, nella non lontana
Benevento gli orsi furono 16.

Il Medioevo

Con il medioevo la ricchezza di fonti storiche, letterarie ed


iconografiche ci porta numerose testimonianze sull’orso,
che però ormai superano le competenze dell’archeologo.
Segnalo quindi il recentissimo libro di Michel Pastoureau,
ma anche alcuni studi sull’area italiana ed alpina che mo-
strano come l’orso fosse animale molto diffuso sulle Alpi
e gli Appennini fino al XVI secolo (Pastoureau 2008; An-
dreolli 1988; Montanari 1988). Mi chiedo se a decretarne
l’estinzione pressoché completa non siano state le armi
da fuoco, che ne permettono l’uccisione senza correre i
rischi di una lotta corpo a corpo, e soprattutto lo sviluppo
dell’agricoltura montana che, dalla diffusione della patata Fig. 49. Mosaico della cattedrale di Aosta, 1200 circa (da Perinetti 2000,
a partire dalla fine del XVIII secolo, ha fatto aumentare fig. 7).
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 79

piemontesi al principe o al castellano suo rappresentante


va consegnato per ogni orso abbattuto un terzo dell’a-
nimale nella cuneese valle Stura e nelle valli di Lanzo la
spalla ad Usseglio, la testa a Mezzenile e Ceres, mezzo
quarto a Lemie e sole sei coste a Coassolo, dove per altro
tra il 1367 e il 1370 si catturarono 42 orsi (la metà dell’at-
tuale popolazione di orso marsicano!) (Micheletto 1991;
Cibrario 1851, p. 312).
Oltre all’orso in uno dei mosaici della cattedrale di Aosta
assieme a draghi e pantere (Perinetti 2000, fig. 7) (fig. 49),
in Piemonte si trova una delle più belle raffigurazioni del
grande animale nel medioevo, quello che pare danzare
o affrontare in piedi un uomo nel mosaico pavimentale
nel duomo di Casale Monferrato, all’interno di un meda-
glione in un ricco decoro con soggetti tratti da favole o
allegorie morali realizzate probabilmente a metà del XII
secolo d.C. (Pianea 2000) (fig. 50).
Infine, l’orso dello stemma di Biella, raffigurato a quattro
zampe davanti un albero di faggio, molto normale e poco
aristocratico a differenza dei, rari, orsi rampanti dell’aral-
dica: ma non sarà forse proprio dall’emblema dell’orso
che, per cattiva interpretazione del disegno, un simbolo
popolare dei biellesi è in piemontese ël babi ‘d Biela, “il
rospo di Biella”? E quindi di nuovo, il povero orso dileg-
giato a partire dalla fine del Medioevo, come segnala più Fig. 50. Mosaico della cattedrale di Casale Monferrato, metà del XII secolo
volte Michel Pastoureau. (da Pianea 2000, fig. 8).

Appendice

Riporto qui i passi sull’orso dai trattati scientifici antichi di Aristotele di Stagira (384-322 a.C.), il grande filosofo greco, di Gaio Plinio
Secondo il Vecchio (23-79 d.C.), generale romano e autore dell’enciclopedia antica Storia naturale, e di Claudio Eliano (170-235 ca.
a.C.), intellettuale romano che scrisse in greco un trattato sugli animali dall’intento moralistico più che scientifico.

Dalle Ricerche sugli animali (Perì ta zōa historíai) di Aristotele14

Libro II.
1. ... Fra gli stessi quadrupedi provvisti di peli, alcuni ne hanno tutto il corpo ricoperto, come il maiale, l’orso, il cane ... L’orso ha in-
vece quattro mammelle, mentre altri animali ne hanno bensì due, con due capezzoli, ma site presso le cosce: è il caso delle pecore ...
17. ... Gli animali provvisti di dentatura completa, invece, hanno un solo stomaco: così l’uomo, il maiale, il cane, l’orso, il leone, il lupo
(anche lo sciacallo ha tutte le parti interne simili a quelle del lupo). Tutti dunque hanno un solo stomaco, cui segue l’intestino: ma alcuni
presentano uno stomaco piuttosto grande, come il maiale e l’orso (e quello del maiale ha poche pieghe lisce), altri l’hanno molto più
piccolo e poco più grande dell’intestino, come il leone, il cane e l’uomo ...

Libro V.
2. ... Fra i quadrupedi, le orse giacciono sdraiate pur compiendo il coito nello stesso modo degli altri che restano in piedi, cioè con il
ventre del maschio contro il dorso della femmina ...

Libro VI.
18. ... Sia gli orsi sia i lupi diventano in questo frangente [durante l’accoppiamento, n.d.R.] aggressivi nei riguardi di chiunque si avvi-
cini, mentre combattono meno fra loro perché nessuno di tali animali vive in greggi. Anche le orse sono aggressive dopo la nascita dei
cuccioli, proprio come le cagne ...
30. Le orse si accoppiano, come si è già detto, non facendosi montare ma stando sdraiate al suolo. La loro gestazione dura trenta
giorni15. L’orsa partorisce uno o due piccoli, al massimo cinque. L’orsacchiotto alla nascita è piccolissimo in rapporto alle dimensioni del
corpo della madre: esso nasce minore di una donnola ma più grande di un topo. È privo di peli e cieco, e sia gli arti sia la quasi totalità
delle sue parti sono praticamente indistinti. L’accoppiamento ha luogo nel mese di marzo, e il parto verso la stagione dell’ibernazione.
In questo periodo sia la femmina sia il maschio diventano assai grassi. Dopo aver allevato i piccoli, le orse ricompaiono al terzo mese,
quand’è ormai primavera ... È difficile catturare un’orsa gravida.

Libro VIII.
5. ... L’orso è onnivoro. Mangia frutti, arrampicandosi sugli alberi grazie all’agilità del suo corpo, e legumi; mangia anche miele,
spezzando gli alveari, e granchi e formiche, oltre ad essere carnivoro. Grazie alla sua forza può attaccare non solo i cervi ma anche i
cinghiali, se riesce a piombare loro addosso all’improvviso, e i tori; fronteggiato il toro a breve distanza, si getta supino, e quando il toro
80 Francesco Rubat Borel

si appresta a colpire gli avvolge le corna con gli arti anteriori, e azzannatagli la spalla lo rovescia a terra. L’orso riesce per breve tempo
anche a camminare eretto sui due piedi. Prima di mangiare la carne, la lascia sempre marcire ...
6. ... L’orso non succhia né lambisce, bensì inghiotte l’acqua a sorsate ...
17. Fra gli animali vivipari quadrupedi, ibernano istrici ed orsi. Ora, che gli orsi ibernino è manifesto, ma si discute se lo facciano per
il freddo o per qualche altra causa. Durante questo periodo, in effetti, i maschi e le femmine diventano grassissimi, tanto che non
possono muoversi facilmente. La femmina partorisce in questa occasione, e resta rintanata finché non sia giunto il momento di condur
fuori gli orsacchiotti, ciò che fa in primavera, verso il terzo mese dopo il solstizio. L’ibernazione dell’orso dura al minimo circa quaranta
giorni; nelle prime due settimane dicono resti assolutamente immobile, mentre nella maggior parte dei giorni seguenti, pur restando
nella tana, si muove e si ridesta. Nessuno o quasi ha catturato un’orsa durante la gestazione. In questo periodo è chiaro che esse non
mangiano nulla: infatti non escono, e quando vengono prese lo stomaco e gli intestini risultano vuoti. Si dice anche che, non ingerendo
alcuni cibo, l’intestino dell’orsa venga quasi a richiudersi, e per questo, appena uscita, essa mangi dell’aron per distendere l’intestino
e dilatarlo ...

Dalla Storia naturale (Naturalis historia) di Gaio Plinio Secondo16

Libro VIII.
(54) 125. Nei mesi invernali [l’istrice] si nasconde, abitudine che è tipica di molti animali e soprattutto degli orsi.
(55) 126. L’accoppiamento di questi ultimi ha luogo all’inizio dell’inverno e non avviene nel modo consueto di tutti i quadrupedi, ma i
due animali stanno sdraiati e abbracciati; poi avviene la separazione in caverne diverse, nelle quali le femmine danno alla luce dopo 30
giorni per lo più cinque piccoli. Questi sono palline di carne bianca, prive di forma, poco più grandi dei topi, senza occhi, senza peli;
hanno soltanto gli unghielli già sporgenti. Le madri a poco a poco li plasmano, leccando questa massa. Niente è più raro che vedere
un’orsa partorire. I maschi stanno nascosti per quaranta giorni, le femmine per quattro mesi.
127. Se non hanno tane, se le costruiscono con un insieme di rami e di arbusti, impenetrabili alla pioggia e coperte di molli fronde.
Nelle prime due settimane sono preda di un sonno tanto profondo che non si svegliano neppure se vengono feriti. Allora, in modo
che desta meraviglia, durante questo loro letargo ingrassano. Il loro grasso è molto adatto per farne medicine ed è potente contro la
caduta dei capelli. Dopo questo periodo stanno seduti e vivono succhiandosi le zampe davanti. Le madri riscaldano i piccoli infreddoliti
stringendoli al petto, con un modo di covarli che non è diverso da quello che gli uccelli usano per le loro uova.
128. È incredibile a dirsi, ma Teofrasto crede che durante il periodo di letargo anche le carni cotte dell’orso crescano, se vengono
conservate; egli afferma che nel loro ventre non si trova allora traccia di cibo, se non una piccolissima quantità di liquido, e che hanno
soltanto poche gocce di sangue intorno al cuore, e che non ce n’è per niente nel resto del corpo.
129. Escono all’aperto in primavera, ma i maschi sono molto grassi, e non saprei indicarne la ragione, perché, come abbiamo detto,
non sono ingrassati nel sonno tranne che per 14 giorni. Quando escono mangiano un’erba chiamata aro per pulirsi l’intestino, altri-
menti indurito, e tritano i ramoscelli con i denti, per domare la bocca. I loro occhi si sono indeboliti e per questo motivo cercano i favi,
perché le api feriscano il loro muso ed il flusso del sangue ne possa alleviare la pesantezza.
130. Debolissima è nell’orso la testa, che invece è la parte più forte nel leone. Perciò, se vengono inseguiti e stanno per precipitarsi da
una rupe, si gettano nel vuoto coprendosi la testa con le zampe e spesso, nell’arena, muoiono con la testa spezzata da un pugno. In
Spagna credono che nel cervello dell’orso sia contenuto un veleno e bruciano le teste degli esemplari uccisi negli spettacoli del circo,
perché si è convinti che questo veleno una volta bevuto scateni nell’uomo una rabbia da orsi. Camminano anche su due zampe; scen-
dono dagli alberi all’indietro.
131. Affaticano col loro peso i tori stando sospesi con le quattro zampe al loro muso ed alle loro corna. Nessun altro animale è più
scaltro nel far del male pur nella sua stoltezza. Negli annali è stato scritto che durante il consolato di Marco Pisone e Marco Messalla
[61 a.C.], 14 giorni prima delle calende di ottobre [18 settembre], Domizio Enobarbo, che rivestiva la carica di edile curule, presentò
nel circo cento orsi della Numidia ed altrettanti cacciatori etiopi. Mi meraviglio che abbiano aggiunto “della Numidia”, perché si sa
benissimo che in Africa l’orso non esiste17.

Da La natura degli animali (Perì zōōn idiótētos) di Claudio Eliano18

Libro I.
31. Orsi, lupi, leopardi e leoni sono resi arditi dai loro poderosi artigli e dalle affilate zanne ...

Libro II.
19. L’orsa non è capace di partorire la prole e nessuno, vedendo i suoi nati subito dopo il parto, potrebbe affermare che sono esseri
viventi. Sebbene l’orsa abbia indubbiamente sofferto i dolori del parto, in realtà ciò che è uscito da lei è solo un mucchietto di carne,
indistinto, informe, privo di connotati. Tuttavia la madre lo ama, lo riconosce come proprio figlio e lo scalda tra le cosce, lo liscia con la
lingua, ne modella le membra e gli dà a poco a poco una forma tale che tutti, vedendolo, direbbero che è un cucciolo di orso.

Libro III.
21. Eudemo19 riferisce che sul monte Pangeo, in Tracia, un’orsa, approfittando del fatto che la tana di un leone era rimasta incustodita,
assalì i suoi nati, che erano ancora molto piccoli e incapaci di difendersi, e li uccise. Quando il padre e la madre tornarono dalla caccia e
videro che i cuccioli erano stati trucidati, furono presi, naturalmente, da grande furore e si gettarono sull’orsa, la quale, tutta impaurita,
si arrampicò il più velocemente possibile sopra un albero e si accovacciò, cercando di sfuggire alla loro insidia. Evidentemente erano
venuti lì proprio col proposito di punire l’orsa assassina; infatti la leonessa si pose in agguato ai piedi del tronco, volgendo verso l’alto
lo sguardo iniettato di sangue; il leone invece, tutto sconvolto e fuori di sé per il dolore, si mise a vagare per le montagne e trovò sul
L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 81

suo cammino un taglialegna. Costui, come lo vide, si impaurì, abbandonando l’ascia, ma il leone cominciò a fargli festa, si sollevò
sulle zampe e cercò, per quanto gli fu possibile, di abbracciarlo e leccargli il volto con la lingua. Il legnaiolo, allora, si rinfrancò e il
leone, circondandolo con la coda, lo condusse là dove aveva abbandonato l’ascia e gli fece segno con le zampe, insistentemente, di
raccoglierla; poiché l’altro non capiva, la raccolse lui stesso con la bocca e gliela porse; poi lo indusse a seguirlo e lo portò presso la sua
tana. Anche la leonessa, come lo vide, gli andò vicino e cominciò a fargli festa, guardandolo con aria addolorata e volgendo gli occhi
verso l’orsa. Il taglialegna guardò in quella direzione e capì che le due belve dovevano aver subito un’offesa da parte dell’orsa. Allora
cominciò a colpire con l’ascia la pianta finché quella non si abbatté al suolo, trascinando nella sua caduta anche l’orsa che fu subito
sbranata dalle due fiere. Il leone poi accompagnò quell’uomo, sano e salvo, nel luogo dove l’aveva precedentemente incontrato e lo
lasciò a continuare il lavoro che stava facendo prima.

Libro IV.
45. Eudemo racconta una storia straordinaria ed eccone il contenuto. Un giovane cacciatore, capace di convivere con le bestie più sel-
vatiche, che egli aveva domato fin da quando erano cuccioli, aveva come compagni con cui condividere il pasto un cane, un’orsa e un
leone. Questi animali per un po’ di tempo, dice Eudemo, vissero tra di loro in pace e con sentimenti d’amicizia reciproca; ma un giorno
accadde che, mentre il cane giocherellava con l’orsa e l’importunava coi suoi scherzi, essa si infuriò e comportandosi diversamente
dal solito assalì il cane e con gli artigli dilaniò il ventre di quell’infelice creatura, facendola a brani. Il leone, riferisce lo stesso autore,
sdegnato per questo fatto, prese in odio l’orsa, ritenendo che avesse compiuto un’azione contraria al patto d’amicizia, e vivamente
addolorato per la morte del cane che considerava un caro compagno, fu colto da un giusto sentimento di collera e si vendicò su di lei,
facendole ciò che quella aveva fatto al cane. ...

Libro V.
49. Quando gli orsi fiutano dei cacciatori che di fronte a loro si sono gettati per terra, trattenendo il fiato, non li assalgono poiché li
credono morti, dimostrando in questo modo la loro ripugnanza per i cadaveri. ...

Libro VI.
3. Ho già descritto come l’orsa partorisca della carne informe che poi, aiutandosi con la lingua, corregge e quasi, potremmo dire,
modella. Ma voglio aggiungere adesso, cogliendo questa occasione molto opportuna, ciò che ho passato sotto silenzio. L’orsa, dun-
que, partorisce durante l’inverno, e poiché teme il rigore del gelo, attende l’arrivo della primavera e non conduce mai all’aperto i suoi
cuccioli prima che abbiano compiuto il terzo mese. Quando si accorge di essere gravida, dal momento che essa considera la gravidanza
come una malattia, va in cerca di una tana (è per questo motivo che l’ibernazione dell’orso è chiamata folia20). L’orsa fa il suo ingresso
nella tana non camminando, ma strisciando sul dorso, e così cancella le orme che potrebbero riuscire utili ai cacciatori. Dopo che è
entrata nel suo covo, se ne sta tranquilla e lima, potremmo dire, la sua figura, riducendone il volume; si comporta in questo modo
per quaranta giorni. Aristotele, tuttavia, dice che l’orsa rimane nella più completa immobilità per quattordici giorni e per i rimanenti
si limita a rigirarsi. Per tutti i quaranta giorni non tocca assolutamente cibo; le basta leccarsi la zampa destra. A causa di questa rigida
astinenza dal cibo il suo intestino si raggrinza e restringe, ma l’orsa che lo sa, quando esce dalla tana, mangia la pianta che si chiama
gichero21. Questo vegetale produce flatulenza, apre l’intestino e lo allarga, rendendolo così atto a ricevere il cibo. Quando l’orsa si è di
nuovo rimpinzata di gichero, mangia allora un po’ di formiche e in questo modo può evacuare molto agevolmente. Dalla mia descri-
zione, cari lettori, avete appreso come gli orsi sappiano in modo naturale e in giusta misura riempirsi di cibo ed evacuare senza dover
ricorrere a medici e decotti.

Libro VII
9. Quanto sto per dirvi riguardo all’orso, mostra senza dubbio la sua intelligenza. Se un’orsa con i cuccioli è inseguita dai cacciatori,
essa sospinge i suoi nati in avanti più che può; quando però si accorge che non ce la fanno più per la stanchezza, allora ne prende
uno sul dorso e l’altro in bocca, e dopo aver raggiunto un albero, vi si arrampica sopra. Quello che sta sulla groppa della madre si tiene
aggrappato con gli artigli, l’altro invece, mentre quello si arrampica, è trattenuto dai denti. Se un orso affamato si imbatte in un toro,
non ingaggia con lui una battaglia diretta e all’ultimo sangue, ma ricorre a questo metodo di lotta: lo afferra per il collo e lo piega,
stringendo la sua presa; il toro muggisce stretto nella morsa, ma poi le sue forze cedono e si abbatte a terra, e così l’orso si rimpinza
delle sue carni.

Libro VIII
1. ... Gli Indiani usarono questo accorgimento per mostrare ad Alessandro, figlio di Filippo di Macedonia, come fossero forti questi loro
cani. Lasciarono libero un cervo, ma il cane non si mosse, poi un cinghiale e quello rimase fermo; successivamente fu liberato un orso,
ma neppure allora il cane si mosse; fu infine lasciato libero un leone: «e quello, come lo vide, fu preso da un violento attacco di bile»
[Iliade, XIX,16] poiché in esso vedeva il suo vero avversario; non indugiò, dunque, né si trattenne, ma piombò su di lui e opprimendolo
con la sua forte presa gli strinse il collo ...

Libro XVII
31. ... Gli Armeni, data la natura selvaggia del loro territorio, infestato da un gran numero di animali feroci, raccolgono questi pesci
e li mettono a seccare sotto la vampa del sole; poi li triturano, tappandosi prima il naso e la bocca per non aspirare l’odore che esala
dalle loro carni spezzettate e che potrebbe farli morire. Dopo averli infarinati, cospargono questo intruglio nelle zone maggiormente
infestate dalle fiere; hanno anche l’abitudine di mescolare con questa farina dei fichi. In tal modo eliminano cinghiali, gazzelle, cervi,
orsi, asini selvatici e capre (anche loro selvatiche). Tutti questi animali, per l’appunto, sono avidi di fichi e di farina. Uccidono invece il
altro modo i carnivori, come ad esempio i leoni, i leopardi e i lupi. Operano su un fianco di una pecora o di una capra domestica un
82 Francesco Rubat Borel

taglio largo abbastanza da potervi introdurre una mano e vi spargono dentro la farina; poi pongono quest’esca (veramente micidiale!)
alla portata delle belve ricordate sopra. Quando dunque un leone o un leopardo o un lupo o qualsiasi altro animale feroce si imbatte
in questa esca e la mangia, muore immediatamente ....

* Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie - Piazza San Giovanni 2 - 10122 Torino
E-mail: francescorubatborel@beniculturali.it

Note

1 Si tratta di alcune tombe di età vichinga della Svezia settentrionale.


2 Questo contributo trae origine dall’incarico conferito all’autore dall’Ente Gestione Parchi e Riserve Naturali Cuneesi (Chiusa
di Pesio) nel giugno 2007 per una ricerca bibliografica e la compilazione di schede sull’orso in contesti archeologici dalla prei-
storia al medioevo, sotto la direzione della dott.sa Marica Venturino Gambari della Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Piemonte e del Museo Antichità Egizie, nell’ambito del progetto “Quando c’erano gli orsi...”.
3 Durante la redazione di questo articolo, la mostra curata da Juha Pentikäinen Orsi e sciamani è stata allestita presso il Museo
di storia naturale di Firenze (inverno 2007-2008) e il Centro studi e museo di arte preistorica di Pinerolo (autunno 2009).
4 In attesa delle esplorazioni delle grotte del massiccio del Marguareis nelle Alpi Marittime, i più famosi giacimenti di ossi di Ursus
spelaeus in Piemonte sono nel capo opposto della regione, sul Monfenera tra Val Sesia e lago d’Orta, noto già nel XIX secolo
e portato alla ribalta dagli scavi tra il 1954 e il 1957 di C. Conti, purtroppo non condotti con un metodo scientifico moderno,
in occasione dei quali furono trovati i primi manufatti musteriani (Conti 1960; Lo Porto 1960). L’orso nella grotta Ciota Ciara è
così abbondante che rappresenta il 95% dei resti ossei nella relazione di Francesco Fedele della ripresa delle ricerche a partire
dal 1964 (Fedele 1966; 1972; 1974).
5 In Issel 1908 è dedicata un’amplissima parte alle grotte delle Alpi Marittime con depositi di ossi di orsi (Giacimenti quaternari,
pp. 146-264): Caverna delle Fate a Finale, pp. 164-181; grotte della Valle dell’Aquila, pp. 181-182; Caverne del Rio e di Mar-
tino a Finalborgo, pp. 182-186; Caverna di Verezzi, pp. 186-190; Grotta del Colombo a Toirano, pp. 190-191; Grotta del Pa-
store o Livra, pp. 191-196; Caverna della Giacheira a Pigna, pp. 196-201, i Balzi Rossi a Ventimiglia, pp. 205-257; le grotte sul
versante piemontese, dove non conosceva nessun manufatto o resto osseo umano, a Bossea, al Caudano di Frabosa Soprana
e al Bandito presso Borgo San Dalmazzo, pp. 257-264; per queste ultime, cfr. ora anche il contributo di Livio Mano in questo
volume, con bibliografia.
6 Leocata 2000-2001 porta numerosi altri casi, in molti dei quali è evidente che si tratta di perforazioni naturali o casuali. In
particolare, è da rigettare l’interpretazione come strumento musicale della mandibola di Potcka Zijalka in Slovenia, con una fila
di fori sul canale mandibolare, che ha invece un’origine patologica, così come alcune mandibole forate da Prélétang, dovute
ad ascessi e con il bordo arrotondato, segno che l’animale è vissuto a lungo dopo che si è realizzato il foro (Tillet 2002; 2003).
7 Per Roma, dove il culto dell’orso sarebbe precedente l’influsso etrusco, Alföldi 1974.
8 A p. 53 Marija Gimbutas scarta giustamente l’interpretazione come teste di orso o di gatto dei coperchi dei vasi di Vinča e fa
notare che dovrebbero invece essere teste di civetta perché hanno un becco, e non un muso, e le orecchie a punta sarebbero
i ciuffi di pelo degli strigidi.
9 In Italia ci fa venire in mente la zampa di cane coperta da un bicchiere in ceramica depositata nella trincea di fondazione della
palizzata del villaggio neolitico della seconda metà del VI millennio a.C. di Lugo di Romagna (Degasperi et al. 1998, fig. 5).
10 Ad esempio Fasani - Salzani 1975 danno una generica definizione di figurine fittili di quadrupedi a Frattesina e Villamarzana,
mentre altrove distinguono bovini, canidi, equini; Negroni Catacchio 1978.
11 Pastoureau 2008, pp. 28-29 scrive che anche Atalanta e Melanione o Ippomene furono trasformati in orsi, ma nei testi antichi
da lui citati la metamorfosi è in leoni: Ovidio Metam. X,704; Apollodoro Bibl. III,9.
12 Un indice di figure avulse dal loro contesto e trattate singolarmente in Oswald 1936-1937, nn. 1574-1633, tav. LXV-LXVIII.
13 Immagini di caccia all’orso nei sarcofagi nn. 1, 6, 15, 22, 25, 27, 45, 47, 60, 78, 81, 101, 107, 124, 128, 134, 158, 164, 167,
184, 185, 193, 206, 208, 219, 239, 244, 246, 247
14 Traduzione di M. Vegetti, ed. UTET, Torino 1971.
15 Il traduttore qui emenda il testo greco hèméras “giorni” in heptádas “settimane”.
16 Traduzione di E. Giannarelli, ed. Einaudi, Torino 1983.
17 In realtà, l’orso bruno sulle montagne dell’Atlante era presente fino alla seconda metà del XIX secolo.
18 Traduzione di F. Maspero, ed. Rizzoli, Milano 1998.
19 Filosofo greco e naturalista del IV secolo a.C., discepolo di Aristotele.
20 Da phõleós “tana”.
21 Il gichero, o calle selvatica o pan dei serpenti e altri nomi, è l’Arum italicum, già menzionato da Aristotele e Plinio, che provoca
dermatiti ed irrita la bocca.

Bibliografia

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L’orso e l’archeologia. Alcuni esempi dalla preistoria al medioevo 83

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