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Sommario

CAPITOLO 1. L’ARTISTA VETRINA: SINTONIE E DISTONIE SULL’ AUTO RAPPRESENTAZIONE DI GENERE DELLE CANTANTI
ITALIANE.................................................................................................................................................................. 2
On the stage: percezioni e auto-percezioni delle performer.........................................................................................2
Il corpo e la rappresentazione di genere: farsi corpo nella musica...............................................................................3
Immagini e processi di assimilazione: la ricerca sul campo..........................................................................................3
Riproduzione dei corpi sui social visuali: pose “antiche” per nuovi significati...............................................................4
Conclusioni:.................................................................................................................................................................. 5

CAPITOLO 2. ATTIVISMO FEMMINISTA, ATTRAVERSO IL PUNK E I NUOVI MEDIA. IL CASO DELLE PUSSY RIOT..............5
Donne che protestano “nella” musica..........................................................................................................................5
Il punk come mezzo del messaggio femminista: cosa significa essere una Riot Grrrl?..................................................5
L’arte, l’uso del corpo, e l’occupazione degli spazi: il retaggio delle Riot Grrrl...............................................................6
Pussy Riot: storia, ideologia, ispirazioni........................................................................................................................8
La discografia delle Pussy Riot e l’uso dei social: un’analisi..........................................................................................9
Rivoluzioni a margine.................................................................................................................................................12

CAPITOLO 3. IL CANTAUTORATO AL FEMMINILE: STORIA DI MUSICA E DI DONNE....................................................13


Il cantautorato. Per una definizione............................................................................................................................13
La ricerca sul campo: l’impianto metodologico..........................................................................................................14
Essere donne che scrivono la musica..........................................................................................................................14
Chiamateci Cantautrici: riflessione a margine di uno studio.......................................................................................21
Per concludere............................................................................................................................................................25

CAPITOLO 4. LA MUSICA COME TESTO: LE RAPPRESENTAZIONI FEMMINILI NELLA CANZONE ITALIANA....................25


Introduzione: musica e società:..................................................................................................................................25
Nota metodologica: la scelta del corpus di analisi......................................................................................................27
Uno schema di lettura................................................................................................................................................28
Conclusioni................................................................................................................................................................. 31

MODELLI TEORICI ED EVIDENZE EMPIRICHE IN AMBITO INTERNAZIONALE..............................................................32


Il modello della parità dei sessi...................................................................................................................................32
il modello della valorizzazione femminile...................................................................................................................34
il modello post genere................................................................................................................................................36
Il ruolo dei media nelle rappresentazioni di genere....................................................................................................37
CAPITOLO 1. L’ARTISTA VETRINA: SINTONIE E DISTONIE
SULL’ AUTO RAPPRESENTAZIONE DI GENERE DELLE
CANTANTI ITALIANE

On the stage: percezioni e auto-percezioni delle performer

Il business della musica è complesso, pertanto è articolato intorno alla distribuzione del prodotto,
non include solo la traccia, ma anche l’interprete e il mondo dietro la produzione.

Questo capitolo parla di uno studio fatto sull’autorappresentazione delle artiste italiane, nel social
per eccellenza che è Instagram, e come queste pratiche si riflettano nella costruzione o
decostruzione di un modello di genere ben preciso.

È stato usato Instagram perché le regole di questa piattaforma contribuiscono a una performatività
gendered.

Quindi diventa interessante esplorare sia le logiche di costruzione di un’immagine sia i processi di
assimilazione da parte degli user.

Il focus sul ruolo delle artiste e come si raccontano è ancora più sensato dentro il dibattito che
considera anche le logiche dell’industria che veda nei pubblici un ruolo attivo.

Questi temi aprono anche una riflessione sul ruolo dei media, e della musica come industrie
culturali responsabili sia della co costruzione dell’immagine del femminile e della sua diffusione.

Il settore musicale co costruisce l’immagine del femminile e la sua diffusione attraverso più livelli
che vanno dai testi, (strumenti di significazione tra i pubblici), alla figura stessa dell’artista.

Le strategie di self-representation delle artiste sono espressione di scelte strategiche che maturano
in seno all’industria.

Le artiste sono state spesso al centro di sessualizzazione del loro corpo (cantante-vetrina), però
dall’altra parte ci sono anche artiste che propongono modelli di femminilità più diversi che
destrutturano la macro-narrazione dominante e che usano sempre il corpo come idioma, come
linguaggio per comunicare appunto queto spostamento.

Esempi di Billie Eilish, Madame, Ariete, prendono distanza dal modello di cantante vetrina,
affermandosi senza passare dall’esposizione del loro corpo, anzi addirittura Billie il suo
mascheramento ne ha fatto un punto centrale della narrazione.

Il corpo e la rappresentazione di genere: farsi corpo nella musica

Il corpo è anche una serie di significati culturali, e quindi è una costruzione sociale, e per questo è
soggetto a specifiche interpretazioni sulla base di modelli culturali.
I significati costruiti e scambiati attraverso il corpo sono organizzati in rappresentazioni sociali, cioè
in precise narrazioni e immagini. Le immagini si sviluppano lungo due dimensioni, le immagini
mentali e le icone corporee.

Le immagini mentali sono implicite, e relativamente stabili nel tempo, anche se hanno una matrice
sociale sono parte della psiche del soggetto e da esse dipenderà il percepito del corpo.

Le icone corporee sono forme di oggettivazione, diffuse dentro una micro-formazione.

I processi di significazione intorno al corpo sono dinamici e negoziati, specie nel nostro tempo che
è caratterizzato da una forte contaminazione tra produzione e consumo dei contenuti
socioculturali.

I media in generale hanno un ruolo importante quindi nelle logiche e nei processi di costruzione
sociale dei significati corporei.

Il corpo a sua volta è un dispositivo per il genere, interviene nei processi di significazione del
maschile e del femminile, e proprio per questo è interessante interrogarsi sui modi di farsi corpo
nei social.

Tre passaggi chiave effettuati in questa ricerca presentata nel primo capitolo: uso e abuso del
corpo per rappresentare il femminile in modo spesso oggettificato e ciò ha portato a una
sessualizzazione della cultura (ciò vale esclusivamente per il corpo femminile); questa immagine
femminile stereotipata è il risultato di uno sguardo gendered, cioè condizionato da un punto di
vista prettamente maschile e maschilista (risultato: immagine iper femminile, e iper erotizzata) ; da
un lato il corpo può essere visto come una forma di attivismo quotidiano andando contro il
modello pressante della brava ragazza però ciò comporta il rischio di confermare lo stereotipo,
perché pensato da e progettato per uno sguardo maschile etero normativo.

Immagini e processi di assimilazione: la ricerca sul campo

Risultati dello studio fatto per comprendere: le forme e i modi di autorappresentazione delle
artiste italiane, con riguardo sull’uso del corpo nella costruzione di uno o poi modelli di
femminilità, e li effetti di queste costruzioni sui processi di interpretazione e costruzione di una
propria self representation.

L’analisi visuale si basa su una scheda costruita attorno a tre driver principali: corpo, (scoperto o
coperto, cioè in qualche modo privo di connotazioni erotiche, tenendo conto anche delle
espressioni del viso), postura (spontanea o artificiale), contesto (stage o backstage).

La ricerca ha anche previsto un momento sul campo con interviste in profondità con foto stimolo
condotte con giovani tra i 18 e i 25 anni.
Riproduzione dei corpi sui social visuali: pose “antiche” per nuovi significati

Emerge una grammatica comune di self-representation dovuta sia alle affordances della
piattaforma analizzata (Instagram) sia per delle pratiche ormai consolidate.

Il corpo ha sicuramente un ruolo centrale, e ciò dipende dal fatto che la quasi totalità del campione
è fatta da rappresentazioni di sé.

Il corpo che ricostruiscono dall’analisi costruito ed o-sceno. Costruito perché sia negli scatti formali
che informali la posa è ricercata, e o-sceno perché incoerente con altri elementi con-testuali che
esulano dall’immagine stessa.

(le caption non sembrano ancorate al contenuto proposto nel testo: caption brevi, a volte anche
solo una parola)

Fatte alcune eccezioni principalmente il corpo assume pose erotiche o comunque che puntano a
una lettura di quel tipo, con a volte il riferimento sessuale che è provocatorio, incarnando una
narrazione con significati opposti al principio della sessualizzazione.

In altri il corpo esposto serve a restituire una retorica della trasgressione molto consolidata, in altri
ancora si ricerca un ingaggio con l’utente.

Emergono anche se in maniera minore due rappresentazioni differenti: femminile legato alla
maternità (Levante), l’altro femminile (quello che esula dalla eteronormatività), lontano dalle
immagini stereotipate.

Le ricercatrici hanno creato un modello interpretativo con due dimensioni il corpo e il contesto per
una analisi sintetica delle singole rappresentazioni:

- STAGE – SCOPERTO: VETRINIZZAZIONE  corpo in modo costruito, con pose con letture
sessualizzate
- SCOPERTO – BACKSTAGE: ESPOSIZIONE  corpo sempre scoperto però tra le lenzuola di
casa
- STAGE – COPERTO: POSIZIONAMENTO  scelte consapevoli di un modo diverso di
autorappresentarsi in rete, usando la stessa copertura come portatrice di significati
precisi.
- COPERTO – BACKSTAGE: QUOTIDIANIZZAZIONE  scelta di pose naturali, spontanee,
principio di quotidianità.

Esplorazioni delle interpretazioni: l’essere personaggi pubblici ha reso meno controversa la scelta
di apparire attraverso strategie di vetrinizzazione o di esposizione.

Nel caso del campione maschile prevale l’idea che la scelta sia puramente strategica e finalizzata
ad alzare le vendite.
Per le ragazze dietro queste pratiche c’è una possibilità espressiva che riconoscono solo alle artiste
(in un certo senso loro se lo possono permettere) .

Conclusioni:

Il cambiamento del farsi corpo deve essere accompagnato a un cambiamento dello sguardo
sociale. Superare la differenza significa accettare la varietà. Di corpi, di modelli, di espressioni.

CAPITOLO 2. ATTIVISMO FEMMINISTA, ATTRAVERSO IL


PUNK E I NUOVI MEDIA. IL CASO DELLE PUSSY RIOT.
Donne che protestano “nella” musica

2012, le Pussy Riot irrompono nel cuore della chiesa ortodossa cantando quella che diventerà
famosa come la Punk Prayer. Il significato dietro questa e poi dietro le altre performance, che
hanno forma di un atto di protesta in versione esibizione musicale, va ricercato nella scelta dei
mezzi, nell’interpretazione della rappresentazione visiva, dell’uso del corpo, e dell’occupazione di
uno spazio carico di valore simbolico.

Questo capitolo parlerà di come le Pussy Riot hanno usato il punk per veicolare una sottocultura,
scegliendo la musica per alzare la propria voce.

La loro musica porta un messaggio con al centro temi come: disparità di genere, la violenza
sessuale delle donne, lo sradicamento dei ruoli di genere e la sovversione dell’immagine del
femminile, che vuole la donna con il ruolo solo di madre e che performi il proprio ruolo di genere
secondo determinati standard sociali.

Il punk come mezzo del messaggio femminista: cosa significa essere una Riot Grrrl?

Nell’analizzare le Pussy Riot occorre notare come la musica sia fondamentale, specialmente la
scelta di usare il punk.

Le Pussy Riot si sono sempre definite punk-rock femministe sebbene usassero un format punk di
tipo occidentale politicamente, sia nei modi che nei temi, e ciò è stato alla base di molte critiche
verso la loro autenticità e la loro professionalità, portando l’opinione pubblica a vederle più come
un fenomeno di mero attivismo politico.

Ma in realtà come dice Tolokonnikova le Pussy Riot scrivono in modo consapevole musica brutta,
per far capire che la loro volontà è quella di veicolare principalmente un messaggio. Il punk è un
mezzo stilistico, considerandolo il migliore per veicolare in modo violento energia creativa, senza
dover avere una conoscenza specifica della tecnica musicale, ma soprattutto perché il punk è di per
sé politico. È un genere per natura estremo, esagerato, che dà la possibilità di esprimersi
liberamente, senza specifiche regole o restrizioni.
Da quando nasce negli anni Settanta il punk rappresenta un mezzo di sinistra e anarchico per
esprimere una condanna politica, come dice Willems in uno studio sul ruolo del punk nella
produzione delle Pussy Riot.

Infatti, notiamo come i temi trattati dalle Pussy Riot siano tipicamente legati all’ideologia radicale
di sinistra: fanno riferimento al neo-anarchismo, all’ambientalismo, all’anticapitalismo, e
soprattutto al femminismo.

I testi sono il mezzo attraverso cui tutti gli artisti punk veicolano questi concetti, esprimendo
inimicizia verso le autorità, il governo, la religione.

Willems porta come esempio anche i Sex Pistols, analizzando le somiglianze con le Pussy Riot,
entrambi che hanno come primo nome un riferimento all’ambito sessuale (Sex // Pussy) e come
secondo un riferimento alla violenza (Pistols // Riot).

Il parallelismo tra i due c’è anche nella critica verso il rapporto stretto tra Stato e Chiesa. Non è
attaccata la religione per sé, ma il suo sfruttamento per acquisire potere.

L’arte, l’uso del corpo, e l’occupazione degli spazi: il retaggio delle Riot Grrrl

Adesso per definire le Pussy Riot occorre metterle in uno spazio più preciso quello che coincide con
l’eredità delle Riot Grrrl.

Il punk è nato come un movimento sociale e culturale, non puramente musicale, ed è stato
storicamente esclusivamente di rappresentanza maschile, fino anche questa egemonia non viene
sovvertita con la nascita di un movimento femminista, le Riot Grrrl. Si sviluppano usando le zine,
cioè pubblicazioni indipendenti e di espressione creativa delle sottoculture tipiche dell’etica DIY,
che trattano degli argomenti più disparati.

Sara Marcus una partecipante di questo movimento scriverà poi parlando della nascita di ciò come
il Punk significhi do it yourself, creare qualcosa dal nulla, vestiti dalla spazzatura, musica, arte da
qualunque cosa a portata di mano, ed era una filosofia e un modo di vivere.

Confrontando questa definizione con quella che poi darà Tolokonnikova è interessante: dirà che
appunto l’etica del DIY insegna che è bene usare il proprio cervello e le proprie mani, ti salva
dall’alienazione mantenendoti sano.

Le stesse Pussy Riot dichiarano come le Riot Grrrl siano state una fondamentale fonte di
ispirazione.

La musica divenne per queste ragazze il mezzo prediletto per crearsi uno spazio dove esprimersi,
poiché è uno strumento accessibile e comprensibile, un amplificatore di ideali dentro una
comunità ben precisa (quella dei musicisti punk).
Le Riot Grrrl incentrarono la loro invettiva proprio su tematiche come le ideologie dominanti del
capitalismo e del patriarcato.

La loro ideologia è racchiusa nel loro manifesto Bikini Kill: emerge una volontà di parlare da ragazze
ad altre ragazze, di creare uno spazio di condivisione, una comunità che diventi una rete di
supporto nell’ambito artistico, promotrici di una cultura “donna-centrica”. Al centro della
discussione c’è il riconoscimento del proprio valore, slegato dalle aspettative e dagli standard
altrui, e un rifiuto del capitalismo e delle sue definizioni, come quello che determina lo stereotipo
delle donne.

Altro aspetto cruciale è la rivendicazione del corpo. Nel sistema capitalistico il corpo assume un
valore di scambio, che lo rende oggettificato, sessualizzato. Importante è anche il concetto di
rapporto tra il potere il corpo, e come poi ciò si realizzi nella creazione di differenze.

Il femminismo qua vuole prima denunciare e poi sradicare queste definizioni di identità di genere e
i rapporti di potere che ne conseguono.

Le denunce avvengono attraverso i testi delle canzoni, che vedono poi l’apice nelle performance
live.

I brani parlano di violenza domestica, discriminazione, concezione del corpo e sessualità.

L’attività musicale delle Riot Grrrl ha fatto si che il movimento prendesse una grande diffusione con
band. Il loro messaggio è un invito a iniziare una rivoluzione, una rivoluzione di genere non-
violenta, che esalta le diverse relazioni tra donna e donna sia di amicizia che romantiche.

I movimenti femministi contemporanei hanno la caratteristica comune di occupare uno spazio


pubblico, ed è per questo che le performance delle Pussy Riot acquisiscono un ulteriore significato,
occupando con il proprio corpo aree cariche di valore simbolico.

Esempi di questo lo possiamo trovare nella frase “All girls to the front” indicando alle sole ragazze
di farsi avanti, di andare nelle prime file, in un segno di protesta e di appropriazione di uno spazio
che socialmente apparteneva agli uomini. Così come anche il fatto di essere nel palco, esibendosi,
hanno occupato uno spazio di rilevanza che era riservato solamente ai musicisti maschi.

Il comune approccio alla fisicità, all’occupazione dello spazio con il corpo e come è usato
giustappone le Riot Grrrl alle Pussy Riot.

Pussy Riot: storia, ideologia, ispirazioni

Le Pussy Riot sono state fondate nel 2011 da Nadja Tolokonnikova e dalla sua amica Kat. Decidono
di inventare il femminismo punk in Russia rendendosi conto che di fatto ancora non esisteva, e da
quel momento in poi iniziarono a radunarsi e a scrivere la loro musica.
Il nome stesso rimanda a concetti di presa, di emancipazione femminile e di ribellione, ma si
riferisce anche a valori e ideali che sono collegabili anche all’attivismo politico in senso generale, e
allo spirito punk.

La principale fonte di ispirazione come dice Nadja sono state le Riot Grrrl, sia per le modalità
d’espressione che di estetica.

Inoltre prendono anche qualcosa dai movimenti come quello dei Voina ( di cui Nadja aveva fatto
parte) e anche di altri movimenti concettualisti e azionisti russi degli anni Ottanta e Novanta.

Il concetto alla base del loro attivismo è la “connessione organica” di arte e politica; questa
connessione non va interpretata come una semplice intersezione di elementi, ma nella loro
ideologia, e secondo una concezione avanguardista questi sono visti come qualcosa di intrinseco.

(“Cerchiamo di rendere l’arte politica e allo stesso tempo di arricchire la politica grazie agli sviluppi
dell’arte” Tolokonnikova 2018)

L’idea dell’arte politica si fonda sul desiderio degli artisti di riconnettere la società e l’arte. La
rottura delle barriere che dividono gli artisti e il pubblico permette così alla società di diventare
parte del movimento artistico di per sé, diventando parte integrante della protesta.

Questa idea si riflette anche sulla struttura organica del gruppo. Infatti, i componenti del gruppo
sono variabili, e la scelta di coprirsi il volto indica proprio questo: tutti possono essere le Pussy Riot.

Il passamontagna ha lo scopo di spersonalizzare la femminilità come concepita nella società


patriarcale.

Nel mondo mediatico i corpi delle donne sono enfatizzati e esasperati, nelle Pussy Riot al contrario
sono coperti e nascosti in modo che si renda difficile, quasi impossibile capire gli individui che ci
stanno sotto.

Il corpo e il viso nella società capitalistica assumono una connotazione politica partecipando alla
definizione del potere. Nel caso delle Pussy Riot l’indossare il passamontagna significa divenire una
Pussy Riot, assumere un’identità politica.

Il femminismo, nonostante non sia l’unico movimento nel quale si identifichino, ha un ruolo
fondamentale, specie nell’affrontare l’analisi delle loro esibizioni e testi. Si dichiarano parte della
terza ondata del femminismo, quella che si basa sulla decostruzione dell’idea di dualità di genere,
che respinge il modello duale “uomo-donna”. Loro vedono il concetto di genere come uno spettro
dove abbiamo alle estremità uomo e donna e nel mezzo contiene una varietà di generi che non si
identificano nei poli. Sulla base di questo, le Pussy Riot vogliono sovvertire le idee e le aspettative
relative ai comportamenti che sono dettati da un’aspettativa sociale e che sono proiettati sulle
persone a seconda del ruolo del proprio genere.
I punti di riferimento sono principalmente occidentali, ma soprattutto bell hooks. Lei ha introdotto
per prima il concetto di femminismo come movimento che non tratta solamente la questione del
genere ma che è costituito da un’intersezione di etnia, stato sociale e sesso.

Hooks è efficace perché sovrappone il personale e il politico, saltando da questioni relative al


piacere sessuale all’analisi del meccanismo del cambiamento politico radicale. Proprio lei parla
dell’importanza dell’espressione artistica nell’analizzare le istanze e i valori di gruppi marginalizzati.

La musica ha avuto un ruolo fondamentale nei movimenti femministi, e diventa allo stesso tempo
un mezzo espressivo efficace anche per le attiviste contemporanee.

La discografia delle Pussy Riot e l’uso dei social: un’analisi

Analisi considerando la produzione musicale, l’aspetto prettamente lirico, approfondendo anche le


scelte dal punto di visto tematico e comunicativo.

2011 – Uccidi il sessista!

È il primo brano scritto, e darà il nome alla prima raccolta che sarà pubblicata in maniera
indipendente, senza etichetta, rendendo le tracce disponibili online per il download.

Il testo è conto la società patriarcale russa, e un’esortazione a prendere parte al femminismo.

Prima parte canzone: parla delle principali figure maschili nella vita di una donna, il padre e il
marito; il personaggio femminile è presentato come una figura oppressa.

Sezione centrale: presenta un’esortazione “Scendi in strada, e libera le donne!”, mentre il finale
recita “E saremo felicemente lesbiche”, mettendo nella discussione anche temi che riguardano la
comunità queer.

Il femminismo è uno strumento liberatorio e che permette di comportarsi come uno si sente,
decostruendo i ruoli di genere, mescolandoli.

Il brano si conclude con un’escalation che è un imperativo violento “Uccidi il sessista”, usando una
lingua oscena, esplicita, violenta.

2011 – Liberare la zona

Il brano esplora il suo tema politico in maniera articolata e complessa.

Da un lato, emerge la protesta attraverso l'invocazione alla ribellione con espressioni come
"Abbasso lo zarismo, viva la rivoluzione".

Dall'altro, si approfondisce il tema del femminismo, che critica i simboli di potere mediante
l'immagine di una donna che domina un uomo, come evidenziato nelle frasi "Il poliziotto ti lecca
tra le gambe" o l'associazione della figura femminile a un'arma con "La Russia potrebbe usare una
frusta femminista".
Infine, il brano conclude con un messaggio di speranza presentato in chiave umoristica: "Non è mai
troppo tardi per diventare una dominatrice".

Il fulcro centrale del testo si concentra sull'oggettificazione e la sessualizzazione del corpo. La


sovrapposizione di sesso e violenza, particolarmente nell'immagine della donna come dominatrice,
propone un concetto di sessismo ribaltato.

2012 – Punk Prayer

La canzone "Punk Prayer" ha catapultato le Pussy Riot al centro dell'attenzione globale. Esibendosi
all'interno della Cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca, un simbolo della cultura e della religione
russa, le artiste hanno fatto scelte significative, come esibirsi in un'area generalmente vietata alle
donne secondo le regole della Chiesa ortodossa, inclusi i membri del clero. L'esibizione è durata
solo 40 secondi prima che le forze dell'ordine interrompessero le ragazze con i volti coperti da
passamontagna colorati.

La "Punk Prayer" è diventata famosa non solo per la sua diffusione su Internet, ma anche per le
gravi conseguenze subite dalle ragazze. A metà agosto, tre di loro sono state giudicate colpevoli di
"hooliganismo a sfondo di odio religioso" e condannate a due anni di reclusione. Nonostante la
corte, il governo e la Chiesa ortodossa abbiano dipinto l'azione come un'offesa religiosa, il suo
significato è molto più ampio. La "Punk Prayer" è un'azione politica con una forte connotazione
anti-machista e anti-patriarcale.

Il tema femminista è evidente fin dalle prime parole del testo, rivolte alla Vergine Maria, chiedendo
che diventi femminista. Questa invocazione viene ripetuta nei versi successivi come una preghiera
per sovvertire la supremazia di genere nella cultura ortodossa. Tolokonnikova denuncia la cultura
patriarcale intrinseca alla Chiesa ortodossa, evidenziando la subalternità del genere femminile e
spiegando come il movimento femminista venga demonizzato.

La visione di Tolokonnikova sul femminismo è connessa alla sovversione delle aspettative sociali sui
ruoli di genere, respingendo l'idea di una norma che condizioni i generi e sostenendo invece che "i
ruoli di genere sono legati al luogo, al tempo, al contesto".

Considerando le scelte comunicative dal punto di vista del contenuto del testo e della modalità
della performance, quest'ultima è percepita globalmente come un'azione femminista volta a
sovvertire gli stereotipi di genere e a manifestare il dissenso verso la cultura patriarcale.

2014 – Putin ti insegnerà ad amare la patria

Questa creazione segna una svolta significativa nella storia delle Pussy Riot per vari motivi. In
primo luogo, rappresenta il loro primo brano pubblicato dopo essere stati rilasciati dalla
detenzione nel 2014, aprendo così una nuova fase nella loro produzione musicale, caratterizzata
dall'adozione di nuovi elementi stilistici.
Il brano originariamente viene composto durante le Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014. Le Pussy
Riot si esibiscono eseguendo la canzone nello spazio antistante lo stadio, ma vengono fermate
dalla milizia locale. Il giorno successivo, il video dell'esibizione viene pubblicato, rivelando la
partecipazione di un uomo alla performance. La presenza di questo uomo nel collettivo viene
successivamente spiegata con uno dei principi distintivi delle Pussy Riot: "Tutti possono essere le
Pussy Riot". Questa esibizione è particolarmente interessante dal punto di vista dell'uso del corpo
e delle scelte di auto-rappresentazione. L'uomo coinvolto nell'esibizione è praticamente
irriconoscibile: le scelte di rappresentazione delle Pussy Riot implicano un abbigliamento che
parodia quello femminile, caratterizzato da colori accesi e abbinamenti casuali.

Questa performance mette in risalto tutte le questioni di genere sollevate dalle proteste delle
Pussy Riot, poiché l'approccio femminista in questo caso mira a sovvertire anche il concetto di
mascolinità, includendo un uomo nel collettivo e mettendo in discussione la definizione
tradizionale dei ruoli di genere.

2014/2016 – Make America Great Again

Dopo la pubblicazione di "Putin ti insegnerà ad amare la patria", le Pussy Riot interrompono la loro
produzione discografica per circa un anno. Il ritorno è segnato da "I Can’t Breathe", la prima
canzone in inglese del collettivo, pubblicata con crediti che includono più nomi, indicando una
maggiore complessità nelle produzioni musicali e nei video. Nel 2015, il brano "Refugees In" è
realizzato. L'attività musicale si intensifica durante la campagna elettorale statunitense del 2016,
con un focus crescente su tali tematiche.

Il 25 ottobre 2016, le Pussy Riot pubblicano "Straight Outta Vagina", un'ode all'organo femminile
come risposta alle ideologie "patriarcali e misogine" di Trump. Curato dal produttore Dave Sitek e
girato a Los Angeles, il video segna un cambiamento nell'approccio delle Pussy Riot,
abbandonando definitivamente il fai-da-te degli esordi. Proseguono pubblicando "Organi" il 26
ottobre 2016, rispondendo alla depenalizzazione della violenza domestica in Russia. La nuova fase
artistica culmina con "Make America Great Again" il 27 ottobre 2016, divenuto un successo
mondiale e una hit su Spotify.

Il titolo della canzone è lo slogan della campagna elettorale di Trump ed è utilizzato attraverso la
tecnica del ribaltamento per attaccare il futuro presidente.

Il brano rappresenta il manifesto della nuova era delle Pussy Riot, evidenziando il loro impegno
politico attraverso il femminismo. Il loro marchio di fabbrica resta sempre la protesta attraverso il
femminismo, lo strumento attraverso il quale il collettivo condanna un discorso politico di stampo
patriarcale che si basa sulla discriminazione di genere.

Il testo contiene anche un appello a categorie subalterne, inclusi i migranti. Nel video, la metaforica
scena della tortura e morte di Nadja da parte di un poliziotto simile a Trump denuncia
l'autoritarismo e l'uso della violenza. Nadja rappresenta l’ideologia femminista, le donne, i
subalterni e tutte le categorie sottorappresentate, e il poliziotto è l’immagine del potere e della
repressione attraverso la violenza.

"Make America Great Again" porta le Pussy Riot a essere portavoce di cause globali, oltre che
russe.

2022 – Matriarchy Now

Nel 2022, le Pussy Riot debuttano con l'album intitolato "Matriarchy Now". L'annuncio di questa
release avviene a fine giugno 2022 attraverso un post su Instagram che mostra un enorme
manifesto rosa appeso al Texas State Capitol con la scritta: “Vasectomy Prevents Abortion” (La
vasectomia previene l’aborto). Questo iniziale gesto dimostra l'abilità continua delle Pussy Riot
nell'utilizzo della sovversione, evidenziato dalla scelta del payoff "Vasectomy prevents abortion",
un'inversione critica della cultura patriarcale.

L'album rappresenta il debutto discografico ufficiale del collettivo, essendo il primo pubblicato
attraverso un'etichetta discografica. Prima di questo, le Pussy Riot avevano principalmente
rilasciato singoli o raccolte di tracce in modo indipendente. Il genere musicale si discosta
completamente dal passato, abbandonando le chitarre distorte e le registrazioni amatoriali degli
esordi, ma riprendendo e definendo le sonorità delle pubblicazioni successive al 2016. Nonostante
la trasformazione sonora, l'approccio rimane fedele alla tradizione delle Pussy Riot, con un
imperativo di ribaltare la società nelle sue dinamiche di potere, accompagnato dall'ironia distintiva
delle origini.

Il primo singolo, "Plastic8", è accompagnato da un videoclip in cui le ragazze appaiono


deliberatamente iper-sessualizzate, indossando abiti succinti e trucco accentuato, mentre cantano
testi sarcastici che affrontano temi fondamentali del femminismo, come l'oggettificazione e la
sessualizzazione del corpo femminile. Nel video, la donna è trattata come un "alieno", un essere
"altro", sfruttato, usato e idolatrato simultaneamente, attraverso una sovversione dei significati
che richiama i temi fondamentali delle battaglie delle Pussy Riot.

"Matriarchy Now" include diverse collaborazioni con altri artisti, come nel caso di "Plastic",
realizzato in collaborazione con ILOVE-MAKONNEN. Ciò evidenzia come le Pussy Riot siano
attualmente perfettamente integrate nelle dinamiche dell'industria musicale mondiale.

Rivoluzioni a margine

Esaminando le diverse fasi e brani emblematici nella produzione musicale delle Pussy Riot, emerge
un notevole sviluppo in termini di qualità audiovisiva, evoluzione del gusto musicale e significative
modifiche nell'approccio comunicativo nel corso del tempo.

Inizialmente, le prime tracce pubblicate su YouTube dal 2011 presentano una qualità audio e visiva
amatoriale, rispecchiando l'approccio della band agli esordi. Brani come "Uccidi il sessista!" sono
registrati con strumenti di bassa qualità in ambienti non adibiti alla produzione musicale. Questa
fase iniziale è caratterizzata anche dall'uso esclusivo della lingua russa, successivamente sostituita
dall'inglese intorno al 2016, non come rifiuto della propria lingua, ma come desiderio di
internazionalizzazione per ampliare l'audience della loro protesta femminista.

Il brano del 2014, "Putin ti insegnerà ad amare la patria", segna una svolta sonora, rappresentando
l'ultima traccia con uno stile punk-rock. Tuttavia, questa trasformazione nel sound si allinea con la
filosofia punk delle Pussy Riot, che enfatizza la costante sorpresa e cambiamento. (essere punk
significa cambiare la propria immagine sistematicamente, sabotare i codici culturali e politici)

Le produzioni successive mostrano un'apertura a sonorità elettroniche, evidente in brani come


"Refugees In" e "Organi", fino all'album più recente del 2022, "Matriarchy Now".

Parallelamente all'evoluzione sonora, l'immagine visiva delle Pussy Riot si trasforma, specialmente
dopo il 2015 e in modo significativo nel 2016. La svolta sonora di "Putin ti insegnerà ad amare la
patria" è accompagnata da un video più elaborato, segnando l'abbandono dell'approccio
documentaristico della fase iniziale. Nel corso degli anni, i video successivi, come "Chaika",
"Straight Outta Vagina", "Organi", "Make America Great Again", mostrano le Pussy Riot in scene
recitate, senza i loro iconici passamontagna, evidenziando una nuova estetica e un impegno
tematico continuo.

L'evoluzione comunicativa vede una transizione dai primi anni, in cui le canzoni venivano
pubblicate tramite il blog e YouTube, all'uso più esteso dei social media come Facebook, Twitter e
Instagram. La lingua principale diventa l'inglese, riflettendo l'intenzione di raggiungere un pubblico
globale. L'ascesa della loro popolarità le rende simili a vere e proprie pop star, ma mantengono il
loro ruolo di simbolo di protesta e dissenso, utilizzando la loro posizione di privilegio per dare voce
a chi è sottorappresentato e marginalizzato.

CAPITOLO 3. IL CANTAUTORATO AL FEMMINILE: STORIA DI


MUSICA E DI DONNE

Il cantautorato. Per una definizione


Il dibattito sul cantautorato come genere musicale è diviso tra chi lo nega e chi lo afferma.
Comunemente, il termine "cantautore" è associato a chi detiene i diritti d'autore sull'opera e
sull'esecuzione. Tuttavia, l'identità del cantautore va oltre queste caratteristiche.

Nato negli anni Sessanta per promuovere l'autore-interprete senza legarsi al chansonnier, il
cantautorato si è consolidato attorno al 1961, connotato da qualità musicali e comportamentali
specifiche. Questo costrutto culturale rispondeva alla richiesta di autenticità, opponendosi al
sistema di produzione musicale dell'epoca.

La canzone d'autore ha evoluto le sue caratteristiche nel tempo ma ha sperimentato una crisi negli
anni Ottanta, a causa della preferenza del pubblico per brani con tratti diversi.
La presenza femminile nell'industria musicale è stata notevolmente inferiore, e il termine
"cantautrice" è emerso in modo ironico e talvolta anti-femminista rispetto al maschile.

Nel contesto italiano degli anni Sessanta, le cantautrici emergevano brevemente dal mercato e non
venivano ricordate come autrici delle proprie opere. Questo fenomeno riflette le complesse
dinamiche associate al termine "cantautore", che va oltre i ruoli di autore ed interprete,
coinvolgendo ideologie di genere.

Questa prospettiva romantica influisce anche sulla percezione del valore della scrittura femminile,
considerata un momento intimo e isolato, a differenza di quella maschile. Nonostante la sensibilità
contemporanea alla parità di genere, i dati del 2018 indicano che solo l'8.7% degli interpreti e
cantautrici in Italia sono donne, evidenziando una marcata disparità di genere.

La ricerca si propone di esaminare il panorama della canzone d'autrice contemporanea,


approfondendo il significato dell'essere cantautrice oggi e considerando le influenze passate e la
predominanza di figure maschili nell'industria musicale.

La ricerca sul campo: l’impianto metodologico


La ricerca proposta è di tipo qualitativo e si articola in interviste e osservazione partecipata presso
l'etichetta discografica Musica di Seta, organizzatrice del Festival "Eco di Donna Evolution".

L'obiettivo è analizzare le dinamiche sociali e relazionali durante l'evento, evidenziando un


ambiente genuino e di supporto reciproco.

Le interviste, condotte su cantautrici attive nell'attuale panorama musicale italiano, mirano a


comprendere l'influenza della canzone d'autore degli anni Sessanta sulla formazione delle artiste
contemporanee, esplorare il significato attuale del termine "cantautorato", indagare sulla vita da
cantautrice nella società italiana, e analizzare il rapporto con figure professionali maschili.

Il campione include donne di età compresa tra i 20 e i 45 anni, provenienti da diverse regioni
d'Italia e con varie influenze musicali.

Le interviste, suddivise in tre sezioni, approfondiscono la storia personale delle artiste, il significato
del "cantautorato", e il rapporto con figure maschili nell'industria musicale, con l'obiettivo di
comprendere le dinamiche e le influenze nel processo creativo delle cantautrici contemporanee.

Essere donne che scrivono la musica


Molte cantautrici hanno sottolineato l'influenza significativa dell'ambiente famigliare nelle loro
prime esperienze musicali.

La maggior parte di loro ha avuto contatti precoci con la musica grazie ai genitori, che erano artisti
o appassionati del settore. Questo ha permesso loro di familiarizzare con strumenti musicali fin da
piccole. Mentre alcune iniziano a studiare musica in giovane età, altre lo fanno durante
l'adolescenza.
Tuttavia, al momento di scegliere la scuola superiore e successivamente l'università, molte
decidono di proseguire in ambiti al di fuori della creatività, mantenendo l'attività musicale solo
come un interesse parallelo. In seguito, molte di loro riprendono in modo più serio la loro passione
musicale, prendendo lezioni o apprendendo in modo autonomo in età adulta.

La famiglia offre anche quindi i primi punti di contatto con quelli che poi saranno i modelli che
definiranno i diversi approcci musicali.

In primo luogo l’intervista come abbiamo accennato prima si concentra su quale ruolo abbia avuto
la canzone d’autore degli anni Sessanta.

È emerso che l'attenzione principale è stata rivolta all'apprezzamento delle sonorità, delle strutture
e degli arrangiamenti delle canzoni prodotte durante quel periodo, i quali hanno influenzato
significativamente le generazioni successive attraverso un'impronta acustica duratura.

La canzone d'autore è stata descritta come una "narrativa musicata", evidenziando la sua capacità
non solo di trasmettere messaggi ed emozioni, ma anche di narrare storie. Nella ricerca sulle figure
femminili degli anni Sessanta, è risultato più agevole identificare cantautrici internazionali rispetto
a quelle italiane.

Dopo aver introdotto il tema del cantautorato, ci si è interrogati sulla sua definizione. Dalle risposte
ricevute emerge che oggi non ci si limita più a considerare la canzone d'autore come
semplicemente quella scritta e interpretata dalla stessa persona, ma si riconosce che essa possieda
qualcosa di più che la distingue dal mainstream. Il cantautorato nasce da un'urgenza di comunicare
qualcosa di autentico, una storia personale, il mondo visto attraverso gli occhi dell'artista.

Un altro punto evidenziato riguarda l'importanza del testo in confronto alla musica.

C'è una connessione con la parola che richiama più da vicino la letteratura e la poesia, ma senza
tralasciare la componente musicale, sebbene quest'ultima rimanga in secondo piano.

Gli arrangiamenti sono essenziali, non si cerca la complessità canora o la perfezione tecnica, poiché
ogni elemento mira a consentire all'ascoltatore di concentrarsi sul contenuto.

Il concetto di cantautorato si lega alla successiva indagine su cosa significhi, per una cantautrice,
assumere tale ruolo. Tutte le artiste evocano un bisogno di esprimersi, di rivelare la propria
autenticità e intimità senza temere giudizi.

Una cantautrice fa riferimento alla "Teoria della ghianda", sviluppata dallo psicanalista e filosofo
James Hillman nel 1997. Secondo questa teoria ogni individuo porta in sé un'unicità che richiede di
essere vissuta, un'immagine che ci definisce prima ancora di poter essere manifestata. Questa
immagine può rivelarsi attraverso chiamate a intraprendere determinate strade, bisogni improvvisi
o una serie di piccole circostanze che conducono a una meta inevitabile.

La riflessione sull'interiorità e l'auto-scoperta ritornano nelle considerazioni sul significato della


musica e della scrittura, componenti fondamentali della canzone d'autore. Entrambe vengono
connesse a strumenti di autoterapia e autoanalisi, ma le testimonianze delle artiste evidenziano
sfumature differenti tra le due.
La musica viene associata a una funzione salvifica che dona senso a cose altrimenti inspiegabili e
difficili da esprimere verbalmente.

Viene descritta come un mezzo di comunicazione particolare, capace di agire in modo occulto,
come sottolineato da un'intervistata che afferma che la musica consente di trasmettere messaggi
in modo sottile ed efficace, sebbene invisibile, creando bellezza dove c'è apertura all'ascolto.

Emerge anche la consapevolezza che la musica è imprescindibile, con la capacità di incantare e


catturare, esercitando un fascino simile al canto delle sirene nell'Odissea di Ulisse. Viene descritta
come una droga e una cura simultaneamente, ossessionante e guaritrice.

La scrittura invece, sembra funzionare come un mezzo per esprimere e organizzare i pensieri, un
modo di dare forma e dimensione alla realtà. La stragrande maggioranza delle intervistate afferma
di scrivere principalmente esperienze tristi e negative.

L'idea emergente è che scrittura e musica siano due elementi interconnessi di uno stesso puzzle,
con la prima che funge da linguaggio per comunicare e la seconda come sistema per comprendere.

In relazione al valore della scrittura, è stata posta una domanda riguardante le possibili differenze
tra lo scrivere da parte di uomini e donne. Le risposte si suddividono principalmente in due
approcci distinti.

Nel primo, si sostiene che il genere di un individuo non influenzi intrinsecamente ciò che viene
scritto, poiché il pensiero può superare le limitazioni di genere.

Sebbene esprimere emozioni non abbia età né sesso, all'interno di una società influenzata dal
patriarcato, molte ritengono che le donne abbiano più facilità nel farlo, dato che è comunemente
accettato che esprimano apertamente i loro sentimenti.

Si sottolinea inoltre che ciascuna persona, indipendentemente dal genere, incorpora una
percentuale di maschile e femminile come parte delle possibili caratteristiche identitarie,
modellate dal contesto, dall'ambiente familiare e dalle esperienze personali.

Ritornando al significato attribuito alla scrittura, cioè raccontare i propri aspetti più nascosti, una
partecipante inizia dicendo che "la scrittura è un modo per tirare fuori, e non è detto che uomini e
donne nascondano cose diverse".

Nel secondo invece si mettono in luce le divergenze tra la scrittura femminile e quella maschile. In
linea generale, emerge che le donne tendono a esplorare più approfonditamente gli aspetti
interiori, concentrandosi su sfaccettature più profonde, mentre gli uomini sembrano focalizzarsi
maggiormente su elementi esteriori, risultando più superficiali.

È importante sottolineare che esistono eccezioni a questa categorizzazione, in quanto alcuni artisti
possono discostarsi da tali generalizzazioni, influenzati dalla prevalenza di caratteristiche maschili o
femminili in ciascun individuo.

Viene evidenziata l'influenza della società patriarcale in questa dinamica. Gli uomini, all'interno di
tale contesto, possono assumere come scontato il privilegio di essere ascoltati, senza rendersi
conto di tale libertà. Al contrario, le donne spesso celebrano la propria libertà acquisita, poiché
non è loro garantita per default.
La differenza risiede anche nel modo in cui uomini e donne percepiscono i traguardi raggiunti. Gli
uomini possono permettersi di non essere gravati dal peso mentale di dover ringraziare per la loro
posizione, mentre le donne sono spesso consapevoli di aver conquistato la libertà e portano con sé
questo carico.

Inoltre, secondo la cultura maschilista, la visione dell'uomo viene ripetuta da anni, creando una
sorta di abitudine nell'occhio, nell'orecchio e nel pensiero di chi riceve il messaggio. Tra la sicurezza
della "solita" rappresentazione maschile e l'incertezza della novità, si tende a cercare rifugio nella
zona di comfort.

Un'altra considerazione riguarda l'universalità del linguaggio. Quando un uomo comunica, il suo
discorso è spesso interpretato in modo universale, comprendendo l'intera gamma di esperienze
umane. Al contrario, quando una donna parla, il suo linguaggio può essere interpretato in modo
più relativo, spesso riferendosi all'esperienza femminile.

Questa dinamica riflette l'intersezione tra linguaggio e patriarcato. Nella nostra quotidianità, è
comune che un termine maschile sia utilizzato per riferirsi sia agli uomini che alle donne,
denominato "maschile generico" o "maschile sovraesteso".

L'uomo viene considerato mostruoso non solo come un nome astratto universale che assimila
l'individualità di ogni essere umano, ma anche per la sua pretesa di includere
contemporaneamente le donne pur nominandosi al maschile. In altre parole, l'"Uomo"
rappresenta simultaneamente l'intera specie umana e uno dei suoi due generi. È neutro e maschile
allo stesso tempo, incarnando entrambi, nessuno o uno dei due. Che venga scritto con l'iniziale
maiuscola o minuscola, invocato in contesti filosofici o nel linguaggio di tutti i giorni, il suo impatto
e la sua prepotenza restano invariati.

La terza sezione della ricerca si concentra sulla questione di genere nell'industria musicale,
esplorando il rapporto delle artiste con le figure maschili e le sfide affrontate come donne in
questo contesto professionale.

Tutte le intervistate confermano di aver lavorato, e continuano a farlo, principalmente con uomini.

Il rapporto è generalmente considerato positivo quando si verifica una parità di ruolo all'interno
dello stesso settore, ad esempio tra musicisti di un gruppo. Tuttavia, quando si tratta di interazioni
con superiori o colleghi maschi di altri settori, come fonici o manager, la situazione può diventare
più complessa.

Anche all'interno di gruppi in cui tutti i membri hanno poteri e responsabilità equivalenti, si
osserva un atteggiamento specifico quando una donna è presente. Questo si manifesta attraverso
l'uso di un linguaggio o di un approccio differente, come se la consapevolezza della diversità
rimanesse implicita ma costante.

Tutte le artiste riportano almeno un episodio di violenza verbale, battute, sguardi indesiderati,
avances non richieste, molestie o proposte sessuali. Questo comportamento complica il rapporto
tra colleghi di lavoro, poiché le donne si trovano costrette a valutare costantemente se l'interesse
ricevuto è rivolto al progetto o ha secondi fini.
Un contesto particolarmente problematico emerge nei negozi di strumenti musicali, dove si nota
spesso un atteggiamento di superiorità da parte degli impiegati maschi nei confronti delle clienti
donne, anche se queste ultime sono musiciste competenti e consapevoli.

Questa difficoltà è stata confermata anche da ricerche più ampie, come lo studio condotto nel
2018 dall'azienda americana Fender, che ha rivelato che molte ragazze erano interessate
all'acquisto di chitarre, ma preferivano farlo online a causa delle difficoltà nell'interagire con i
negozianti.

Tutto ciò induce la donna a percepire di "valere meno" e di sentirsi "piccola". In contesti in cui una
donna è a capo di un progetto, spesso si manifesta una difficoltà da parte degli uomini
nell'accettare una figura femminile in una posizione di autorità. Ciò si traduce spesso in
atteggiamenti denigratori, con espressioni come "Ah, ma lo hai scritto tu?" o "Testo e musica?",
evidenziando pregiudizi sulle capacità delle donne nel mondo lavorativo e sottolineando l'idea che
il potere sia prerogativa maschile.

La maggior parte delle intervistate dichiara di non essere mai stata considerata la "partner
professionale" di una figura maschile. Anche se sono state definite, ad esempio, "musiciste di" o
"coriste in" gruppi in cui hanno partecipato con altri membri, o in progetti non loro, questa
denominazione è stata percepita come indipendente dal loro genere.

Tuttavia, quando si dedicano a produzioni personali, questa designazione tende a diminuire, sia
autonomamente sia attraverso la ricerca di collaboratori che rispettino la loro autonomia. Non
sempre questa definizione viene vista negativamente, poiché dipende dalle preferenze individuali,
ma è comune la consapevolezza che quando una donna è considerata "al fianco di" figure maschili,
ciò può avere effetti negativi sulla costruzione della sua identità.

Particolarmente grave è questa dinamica quando coinvolge giovani donne, che potrebbero non
avere ancora una solida struttura di esperienza ed età per gestire la situazione. Si evidenzia che
anche in età adulta, questo tipo di trattamento può avere ripercussioni, poiché "anche quando si
ha uno scudo, se si continua ad incidere, qualche scheggia si provoca".

Le conseguenze menzionate ruotano principalmente attorno a un sentimento di svalutazione che si


instaura nella donna, manifestandosi attraverso un continuo stato di insicurezza, la percezione di
essere minimizzata e priva di voce decisionale, la riduzione dell'autostima, la necessità di auto-
legittimarsi e il risentimento fino a provocare uno stato di mortificazione.

La percezione di inferiorità rappresenta una delle sfide principali che le donne devono affrontare
all'interno dell'industria musicale. Affermazioni come "la donna deve imparare ad avere un
atteggiamento umile, mentre l'uomo può autocelebrarsi quanto vuole" sottolineano le difficoltà
per le donne a esprimere soddisfazione senza essere giudicate.

All'interno dell'industria musicale, questo sentimento di inferiorità è spesso causato da


comportamenti poco professionali degli uomini nel contesto lavorativo, inclusi atteggiamenti
violenti sia verbali che fisici. Questi comportamenti, derivanti da una mancanza di controllo
dell'"istinto animale" maschile, possono creare disagi significativi per le donne, che devono
affrontare non solo la sfida di presentare i propri progetti, ma anche il costante monitoraggio di
come vengono percepite in termini di genere.
Che poi è una minoranza, non sto dicendo che gli uomini sono tutti un mito musicale però sicuramente nel
momento in cui le fi- gure su cui devi passare per avere un riconoscimento dal mondo esterno sono tutte
maschili, anche se la percentuale di persone che se ne approfitta è piccola, è sempre molto fastidioso che al
tuo carico mentale, già impegnato per proporre il tuo progetto a qualcun altro, a metterci dell’impegno e la
fatica che costa, c’è anche il fatto che una parte di cervello è destinata ad analizzare se l’altra persona ti sta
parlando in quanto cantautrice o se ti sta

guardando le gambe. Questo è un problema che gli uomini non hanno e io l’ho sempre invidiato molto.
(membro del collettivo “Canta fino a dieci”).

A ciò si aggiunge la prospettiva, filtrata attraverso gli occhi del patriarcato, che mette al primo
posto l'aspetto esteriore di una donna. L'elemento di valutazione e selezione diventa quindi la
bellezza anziché la qualità del proprio lavoro, anche in competizioni nazionali. Ad esempio, una
cantante ha raccontato di essere stata avvicinata da un direttore d'orchestra influente che le ha
fatto notare il peso degli anni e le ha suggerito di agire in fretta prima che le rughe
compromettessero la sua carriera. Questo esempio riflette una narrazione tossica che penalizza le
donne in base all'aspetto fisico, a differenza dei cantautori che possono guadagnare fascino con
l'età.

Questa dinamica si acuisce ulteriormente quando una donna decide di diventare madre. Una
cantante ha raccontato di essere stata abbandonata da un produttore quando ha annunciato la
gravidanza, poiché riteneva che essere incinta fosse la peggiore cosa che potesse capitare alla sua
carriera. Questa esperienza rientra nel concetto di "maternal wall", una forma di discriminazione
che colpisce spesso le donne con figli, specialmente in ambiti creativi, dove la maternità può
essere vista come una pausa forzata nella carriera.

Il corpo della donna viene nuovamente oggettivato attraverso lo sguardo maschile,


trasformandolo in un puro oggetto sessuale, descritto come "qualcosa di bello da vedere che non
ha di per sé alcun valore [...] ma esiste solo per provocare una reazione del protagonista" (Loreck,
2021). Questo atteggiamento può portare a conseguenze gravi, dall'instillare il desiderio di
rinunciare e abbandonare tutto, fino all'annullamento della propria femminilità pur di rimanere
nel settore. Ad esempio, una produttrice, vincitrice del Premio della Critica al Premio Amnesty, ha
confessato: "Faccio fatica a mostrare la mia bellezza perché penso che rubi qualcosa alla mia
scrittura. Cerco sempre di sacrificare la mia fisicità perché ho paura che passi in secondo piano il
messaggio che sto dando."

Questo pregiudizio persistente si manifesta nel fatto che una donna non venga presa sul serio e sia
costretta a dimostrare continuamente la sua competenza nel lavoro.

Spesso deve affrontare commenti denigratori come "non suoni così male la chitarra per essere una
donna" o sorprese ingiustificate riguardo alla sua capacità di maneggiare l'amplificatore.

Il pregiudizio si traduce anche in spiegazioni non richieste o motivate apparentemente solo dal
genere. Tale concetto viene definito Mansplaining cioè “l’inclinazione degli uomini a spiegare alle donne in maniera
paternalistica e arrogante cose che loro stesse conoscono bene se non addirittura meglio di loro, dando per scontato che
alcuni argomenti siano ad appannaggio esclusivamente maschile” (Di Biase, 2020).

Inoltre, il contesto lavorativo tra figure femminili si presenta diverso, nonostante siano meno
comuni, poiché solitamente si teme che possano essere caratterizzati da competitività e rivalità.
Tuttavia, le relazioni tra donne sono per la maggior parte professionali e meno emotivamente
distanti.

Un aspetto rilevato riguarda le donne che raggiungono posizioni di rilievo in settori comunemente
dominati dagli uomini. Queste donne vengono talvolta etichettate come "non come le altre" dagli
uomini, in quanto sono percepite come parte integrante del sistema che non vogliono
destabilizzare. In questo contesto, difendono il privilegio acquisito con determinazione. Questo
fenomeno è comune tra i gruppi discriminati, dove le persone cercano di compiacere coloro che
discriminano per essere considerate "diverse" e ottenere un trattamento speciale.

Viene identificato come "glass ceiling" quel limite trasparente che relega le donne a posizioni
professionali al di sotto di un determinato livello, riducendo le opportunità di carriera e
impedendo loro di raggiungere la vetta. Questo perché le posizioni apicali sono spesso riservate
esclusivamente a professionisti maschi.

Si evidenzia anche la problematica dell' "auto-ghetto", un fenomeno che si manifesta in queste


situazioni e che comporta la tendenza a lavorare preferibilmente con persone del proprio genere.
Una produttrice, vincitrice del Premio della Critica al Premio Amnesty, ha sottolineato: "Quando
lavori sempre con le donne risulta più semplice, ma crei quello che tu non vorresti, cioè ti precludi
l’altra parte. D’altronde, però, è una necessità, perché se dall’altra parte non sei scelta, non hai la
possibilità di poterti esprimere e non vieni chiamata, cosa fai? Stai a casa a pensare?"

Durante l'intervista, sono stati forniti dati sulla presenza di donne interpreti e cantautrici
nell'industria discografica italiana. Oltre alle reazioni di preoccupazione e sconforto, le motivazioni
ipotizzate sono state diverse. La maggior parte attribuisce la carenza di presenza femminile al
riflesso dell'arte sul mondo circostante e, quindi, alla rappresentazione della percentuale di donne
presenti in altri contesti. Ciò genera anche difficoltà nel trovare riferimenti e modelli per coloro
che desiderano intraprendere un percorso simile.

Una riflessione particolare riguarda la donna come creatrice di vita, sottolineando che la presenza
dell'utero e la capacità di portare a termine la gestazione rappresentano una caratteristica
distintiva. Si ipotizza che l'assenza di questa capacità renda l'uomo incline a concentrarsi su altri
aspetti, tra cui l'arte, come una forma di compensazione. In aggiunta al contesto maschilista e
patriarcale in Italia, si suggerisce che ci siano anche elementi antropologici riguardanti la necessità
per l'uomo di creare qualcosa di unico.

Un’altra riguarda la frequenza della voce: le frequenze delle voci maschili risultano più potenti
rispetto a quelle femminili; in una stanza vuota, la voce di un uomo si percepisce maggiormente
rispetto a quella di una donna, contribuendo, in un certo senso, a una maggiore presenza.

Tra le donne, si sottolinea la necessità di collaborare per rafforzare la voce femminile. Tuttavia, si
afferma che gli uomini abbiano favorito la competizione tra le donne, poiché un'unità di donne
potrebbe intimidire; pertanto, sarebbe auspicabile ridurre la competizione tra di loro e invece
valorizzarsi reciprocamente.

Alcune opinioni suggeriscono che alcune posizioni, come la percezione di numeri inferiori rispetto
alla realtà, potrebbero essere dovute all'assenza di una mappatura completa della scena
cantautorale femminile a livello italiano, portando a dati distorti.
Quando si chiede come potrebbero effettivamente cambiare questi numeri, vengono indicate
diverse vie possibili. Una delle soluzioni più citate riguarda l'educazione dei bambini, vista come
uno degli strumenti principali per cambiare questa situazione.

La visione patriarcale radicata nella cultura italiana istruisce i bambini e le bambine in modo
diverso, richiedendo comportamenti differenti da ciascuno di loro, anche dal punto di vista
emotivo. Il cambiamento, pertanto, dovrebbe partire dall'educazione, non solo in ambito
scolastico, ma anche familiare e soprattutto mediatico. Solo con l'unione di questi tre elementi -
scuola, famiglia e media - si può sperare in una revisione radicale del sistema.

Un'altra proposta suggerisce l'utilizzo della lingua italiana in modo che rifletta una prospettiva di
genere più equa, facendo uso di vocaboli declinati al femminile per riconoscere concretamente
che una determinata professione è aperta a entrambi i generi.

Al contempo, si consiglia alle donne di non delegare il lavoro agli altri, ma di agire
quotidianamente nel proprio piccolo, facendo gruppo puntando sulla sincerità e sulla coesione,
senza timori.

Probabilmente, in un'ottica attuale, ciò di cui abbiamo bisogno è che qualcuno si faccia avanti e
sfondi la porta, consapevole che la competenza è ciò che farà davvero la differenza.

Il carattere duplice dell'arte, che agisce sia influenzando il mondo esterno che subendone
l'influenza, introduce una complicazione nella promozione della parità di genere. Inoltre, la natura
soggettiva della musica rende difficile applicare un criterio oggettivo, come accade in altri campi:

Nel contesto musicale, la mancanza di oggettività, che in altre discipline può facilitare le dimostrazioni, è evidente. Se
vogliamo dimostrare che una donna ingegnere è altrettanto capace di un uomo ingegnere, possiamo farlo
presentando fatti e strumenti pratici per compensare gli squilibri. Tuttavia, nel caso di una cantautrice rispetto a un
cantautore, la decisione sul chi sia migliore o peggiore spetta al pubblico. Se il gusto del pubblico si è consolidato nel
preferire un cantautore maschio nel corso degli anni, è estremamente difficile modificarlo. Pertanto, emerge la
necessità di educare il pubblico (membro del collettivo "Canta fino a Dieci").

Si sottolinea la necessità di un lavoro di alfabetizzazione musicale fin dall'infanzia, in quanto "ai


bambini piccoli si fa ascoltare di tutto perché possano immagazzinare diversi linguaggi e
riconoscerli". Se le persone non sono abituate a un certo tipo di musica, rischiano di non
identificarla, comprenderla e, di conseguenza, apprezzarla.

Mentre si osserva un lento cambiamento nei numeri, si mantiene la consapevolezza che nulla
debba essere dato per scontato. Si riflette sul fatto che le donne in Italia hanno ottenuto il diritto
di esprimere il proprio parere politico solo negli ultimi settantasette anni e che pratiche come il
matrimonio riparatore o il delitto d'onore erano normali e legali fino agli anni Ottanta. L'auspicio
comune è che il divario di genere, anche nel campo musicale, diventi un "fossile destinato a essere
rimosso dalla roccia e collocato in una teca".

Chiamateci Cantautrici: riflessione a margine di uno studio


Le principali evidenze emerse sono le seguenti:
La canzone d'autore degli anni Sessanta continua a rappresentare un punto di riferimento,
soprattutto per le peculiarità legate all'arrangiamento, all'importanza attribuita al testo e alla
rilevanza storica che ha acquisito.

È ammirata per la capacità di affrontare temi impegnati con una visione poetica e per l'abilità degli
artisti nel creare atmosfere attraverso le loro opere. Tuttavia, in relazione a questo periodo storico,
vengono ricordati principalmente cantautori uomini, mentre i nomi femminili noti sono spesso
associati alle interpreti come Ornella Vanoni, Mina, Caterina Caselli e altre, talvolta confuse per
cantautrici.

Questa situazione è diversa quando si menzionano punti di riferimento internazionali, dove


emergono più facilmente i nomi di singer-songwriters come Joan Baez, Janis Joplin, Patti Smith o
Edith Piaf. Questo potrebbe essere attribuito a un contesto sociale diverso e a un pensiero più
all'avanguardia, come quello legato alla cultura hippie e al Festival di Woodstock, nel quale alcune
di queste artiste hanno partecipato, promuovendo un'ideologia di amore, fratellanza e libertà.

A livello italiano, risulta più semplice individuare cantautrici collocate in periodi più recenti che
hanno giocato un ruolo significativo nella costruzione della personalità artistica delle intervistate,
probabilmente a causa della loro età media che facilita il riconoscimento. Al contrario, i nomi
femminili legati al cantautorato degli anni Sessanta sembrano destinati a rimanere in secondo
piano.

Il termine "cantautorato" continua a portare con sé molteplici sfaccettature, andando oltre il suo
significato etimologico e i fini commerciali per cui è stato coniato (Savonardo, 2010). Rappresenta
una specificità legata allo stile, alle sonorità, al valore letterario del testo e all'importanza del
messaggio trasmesso attraverso la canzone.

Nel corso del tempo e con l'evoluzione di nuovi generi musicali, al termine si associano
rappresentanti di categorie aggiuntive, come quella del rapper considerato un "nuovo cantautore".
Le caratteristiche condivise includono spesso un'origine da contesti svantaggiati, esperienze
familiari ed economiche complesse, e la trattazione di tematiche personali o di denuncia nella loro
musica.

Il rap, insieme ad altre espressioni dell'hip hop, ha origini come strumento di protesta e si
caratterizza per l'utilizzo di una linea vocale parlata che segue il ritmo del beat, senza la necessità
di particolari competenze canore o musicali.

Il riflesso della canzone d'autore nel rap solleva una riflessione sulla rappresentazione della donna
in quest'ultimo genere, caratterizzato spesso da contenuti misogini in cui la donna è oggettificata e
vista come un oggetto sotto il controllo dell'uomo.

La connessione tra questi due generi è stata fatta considerando lo stile anziché i contenuti trattati,
ma è evidente che in entrambi predominano gli artisti uomini. Questa unione tra la concezione del
'genio romantico' associato al maschile e l'immagine della donna nei testi potrebbe rimanere
implicita, ma continua ad influenzare l'inconscio.

Essere cantautrici, e più in generale lavorare nell'industria musicale, è un lavoro privo di orari fissi e
retribuzione costante. Soprattutto per gli artisti, c'è una componente personale che rende la
professione parte integrante della vita privata.
La continuità e la precarietà sono caratteristiche che rendono difficile conciliare l'industria creativa
con legami affettivi e responsabilità familiari, specialmente in una società in cui spesso una donna
è vista principalmente come madre, con l'incarico di gestire casa e crescita dei figli.

Attualmente, l'ambito legislativo che riguarda il settore dello spettacolo risulta ancora carente,
come evidenziato in modo particolare durante il lockdown. Mancano direttive universali e
inequivocabili per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo.

La pressione della società si manifesta anche quando si discute della canzone d'autore come mezzo
di espressione. Le parole "raccontarsi", "esprimersi" e "essere se stesse" emergono ripetutamente,
contrapponendosi al contesto della cultura patriarcale in cui la donna può esprimere le proprie
emozioni senza vergogna, mentre l'uomo è spesso orientato a onorare la sua virilità.

Questo suggerisce un aumento di complessità nella nostra società, rendendo difficile per le donne
esternalizzare i propri sentimenti senza affrontare conseguenze e giudizi indesiderati. Di
conseguenza, si cerca ulteriori strumenti per esprimersi che possano giustificare stati d'animo e
prospettive specifici.

Da questa prospettiva, la canzone non è considerata solo un intrattenimento, ma un mezzo per


condividere il proprio punto di vista e permettere ad altri di identificarsi.

Può essere vista come un elemento di contrasto all'individualismo crescente che mette al centro il
singolo e il suo appagamento personale. Funziona come un ancoraggio in una società liquida che si
trasforma costantemente, creando una sensazione di incertezza, cambiamento continuo e
alienazione per gli individui coinvolti.

Attualmente, il rapporto con le figure maschili all'interno del settore musicale è più equo, ma a
volte può ancora essere complicato.

L'ambiente è permeato da un sentimento di maschilismo radicato, in cui la supremazia è attribuita


all'uomo che si sente autorizzato a comportarsi in determinati modi. (The Man di Taylor Swift – da
aggiungere)

Ciò impone alle donne uno sforzo e un impegno maggiori, poiché sono costrette a dimostrare
costantemente la propria competenza e a far valere la propria opinione.

Questo si traduce in un consumo di energie, soprattutto a livello mentale e psicologico, dovuto alla
continua valutazione della situazione lavorativa in cui si trovano. Ne consegue una sensazione di
inferiorità, con effetti anche a livello personale, dato che è stato dimostrato che la percezione che
un individuo ha di se stesso è influenzata dalla risposta del mondo circostante.

Dalle testimonianze delle intervistate emerge frequentemente la stessa narrazione, evidenziando


la donna come interpreti di brani scritti da altri. Risulta difficile per gli uomini comprendere che le
donne possano possedere una conoscenza tecnica degli strumenti o la capacità di scrivere le
proprie canzoni.

Questi elementi mettono in luce una narrazione tossica che oggettivizza la donna, riducendola a un
mero esecutore e contribuendo a cristallizzare un'immagine di semplice esecutrice (Micalizzi,
2021).
È importante notare che questo atteggiamento non coinvolge tutti i soggetti di sesso maschile. Al
contrario, si osserva una crescente diffusione di un atteggiamento rispettoso nei confronti delle
donne, riconoscendole i meriti che spettano loro.

Questa trasformazione interessa particolarmente le generazioni nate alla fine del Novecento e
all'inizio del Nuovo Millennio, conosciute come "Generazione Y" (Millennials) e "Generazione Z"
(Zoomers). Questi cambiamenti sono in parte attribuiti alle correnti femministe e alla crescita in
una società che promuove sempre più l'uguaglianza tra i generi. In questo contesto, si potrebbe
prevedere un progressivo miglioramento riguardo al gender gap, una sfida che non riguarda solo il
settore musicale.

Nonostante non fossero inizialmente tra gli obiettivi della ricerca, sono emerse riflessioni
interessanti su come modificare i numeri relativi alla presenza delle donne cantautrici nell'attuale
panorama musicale. Questi pensieri riflettono le disparità di genere che permeano l'intera società.

Uno dei metodi più efficaci individuati per avanzare verso una maggiore parità è l'educazione,
destinata non solo ai bambini ma anche agli ascoltatori adulti.

In questo contesto, emerge l'importante ruolo della famiglia, affiancato dall'istituzione scolastica a
vari livelli e dai media.

La chiave di volta sicuramente risiede nelle nuove generazioni, ed è fondamentale offrire loro
modelli di riferimento essenziali per lo sviluppo e la crescita sin dalla più tenera età.

Si incoraggia, quindi, ognuno a compiere piccoli passi quotidiani per trasformare il cambiamento
da un'utopia in una realtà, con la speranza di ricevere sostegno anche a livello legislativo e
giudiziario per agevolare tale progresso.

Si suggerisce l'uso di un linguaggio corretto, sfruttando tutte le declinazioni al maschile e al


femminile offerte dalla lingua italiana per rendere evidente la possibilità che un impiego possa
essere svolto da entrambi i generi.

Altri suggerimenti includono l'inserimento di donne professioniste in posizioni apicali negli


organigrammi per abbattere il "glass ceiling", l'aumento del numero di artiste nelle line-up di
festival e programmi televisivi-radiofonici per abituare l'orecchio del pubblico alla presenza delle
donne nell'ambiente musicale, e la promozione della tutela e del rispetto quotidiano degli individui
come esseri umani, senza distinzione di genere.

Un risultato mancante, che è emerso in altre ricerche ma non nelle interviste in questione,
riguarda il fenomeno comunemente definito come 'tutta l'erba un fascio', che colpisce tipicamente
le minoranze.

Questo fenomeno assegna la reputazione dell'intero gruppo alle azioni di un singolo individuo
appartenente a quel gruppo.

Nel contesto musicale, se una donna commette un errore, si presume che l'intero genere
femminile sia incompetente e impreparato, mentre se un uomo commette un errore, viene
giustificato e compreso come un fatto accidentale.
Questo scenario spesso induce le professioniste donne a sentirsi maggiormente responsabili, con
difficoltà a concedersi la possibilità di commettere errori e rendendole emotivamente più instabili.
Probabilmente l'assenza di questo dato può derivare da una mancata consapevolezza del
fenomeno da parte delle artiste o da un suo superamento.

Per concludere
La società italiana, sia nel passato che attualmente, è fortemente influenzata dal patriarcato,
complicando l'esperienza delle donne in vari ambiti lavorativi, inclusa la sfera musicale.

Questa ricerca rappresenta un modesto contributo in un contesto vastissimo in costante


espansione. Si suggerisce di espandere gli studi sia in orizzontale, mantenendo il focus sullo stesso
periodo storico ma esplorando la presenza femminile in ulteriori generi, sia in verticale, rimanendo
nell'ambito del cantautorato e osservando come esso si evolva nel tempo e come cambia la
presenza femminile al suo interno.

Attualmente, la canzone d'autore sembra guadagnare sempre più spazio nell'industria musicale,
forse favorita dagli sviluppi tecnologici che consentono a chiunque di esibirsi davanti a un vasto
pubblico e dagli avanzamenti sociali e culturali che caratterizzano l'Occidente negli ultimi anni.

Nonostante persista una notevole disparità numerica tra artisti uomini e donne, le cantautrici
stanno cominciando a emergere nelle classifiche musicali e a ottenere maggiore visibilità nelle line-
up dei festival, conferendo maggiore dignità e rilievo alla creatività scaturita da penne femminili.

Il cammino verso una parità di genere nell'industria musicale è ancora lungo, con molte barriere da
superare, ma attraverso l'educazione e la discussione su tali tematiche, è possibile realizzare il
desiderato cambiamento giorno dopo giorno.

L'auspicio è che la ricerca in questo settore continui e che, parlando apertamente di gender gap, si
possa assistere a un progressivo declino, avanzando sempre più verso una valutazione del lavoro
basata sulla qualità, indipendentemente dal genere con cui l'individuo si identifica.

CAPITOLO 4. LA MUSICA COME TESTO: LE


RAPPRESENTAZIONI FEMMINILI NELLA CANZONE
ITALIANA

Introduzione: musica e società:


La musica è uno dei media più importanti all’interno della nostra società oltre che essere anche
uno dei media più diffusi.

La musica può essere fruita sia in maniera consapevole quindi con un ascolto attento, sia attraverso
una fruizione passiva e casuale.
Dei recenti studi hanno fatto una stima di quanto effettivamente le persone ascoltino la musica e i
risultati hanno dimostrato che in media passiamo almeno metà della nostra giornata lavorativa ad
ascoltarla.

La musica può essere considerata come un medium di massa: è un mezzo che veicola a grandi
pubblici dei messaggi, a loro volta portatori di significati.

La musica è un’unione di media differenti, musica e testo, e questa sua doppia natura la rende già
multimediale per definizione.

La sovrapposizione di questi media diversi fa sì che possa comunicare attraverso una stratificazione
di significati. La parte musicale è un medium molto potente perché veicola messaggi in maniera
emozionale, il testo aggiunge un altro livello di senso che interagisce con la cornice di significato
della musica.

La multimedialità della musica è stata resa ancora più complessa dall’intervento delle immagini,
non ci si riferisce solo alle immagini del videoclip ma al fatto che la musica interagisce anche con la
figura dell’artista: la sua immagine e i significati che veicola attraverso l’immagine dei social media
e con l’immaginario culturale che avvolge le singole canzoni.

Insieme alla musica si accompagnano atteggiamenti, valori, stili di vita.

La musica è anche considerata pervasiva: questa pervasività è legata al fatto che è un prodotto che
può essere continuamente replicato e riprodotto. Ciò è stato reso possibile dalla digitalizzazione
della musica: a partire dalla fine degli anni 90, con la rivoluzione di Internet, la musica è diventata
fruibile anche tramite download digitale e poi dopo anche tramite lo streaming in questo modo
l’accesso alla musica è diventato disponibile per tutti.

Alla pervasività del medium corrisponde la sua capacità di consolidare i messaggi che veicola
all’interno della società: più il medium è diffuso e più i suoi messaggi, i suoi significati, i suoi
simboli e le sue rappresentazioni circolano dentro la società, moltiplicandosi ed entrando a fare
parte dell’immaginario collettivo condiviso.

Inquadrando la musica come mezzo di comunicazione emerge il legame che questa ha con la
società: questo legame risulta ancora più evidente se la consideriamo un oggetto culturale.

La musica è un fenomeno, oltre che culturale, sociale, ed è impossibile considerarla come


elemento scisso dal suo legame con la società in cui si inserisce.

La musica dentro la società svolge alcune funzioni fondamentali, tra cui quella identitaria: le
identità individuali e collettive delle persone che abitano nel tessuto sociale si costruiscono anche
attraverso la musica, e con questa si rafforzano.

La società partecipa al processo di creazione. Nella musica si riversano le credenze del tempo, le
dinamiche relazionali, le rappresentazioni sociali, che attraverso la produzione e la ricezione
culturale, sono replicate, consolidate, a volte anche trasformate fino a tornare ad abitare il tessuto
sociale, dove circolano e assumono nuovi significati.

Le dinamiche che regolano i processi di creazione, diffusione, replicazione e consolidamento dei


significati attraverso la musica possono essere riferibili a una sorta di meccanismo multidirezionale,
e non a un modello a specchio dove la società si esprime nella musica e la musica informa la
società.

Le rappresentazioni socioculturali trasmesse attraverso la musica specie attraverso i testi delle


canzoni, circolano nei discorsi culturali anche al di fuori della musica stessa.

I valori, le emozioni, i simboli e le rappresentazioni socioculturali che vengono espressi nella


musica si rintracciano anche nella società.

Un esempio di come una canzone possa amplificare rappresentazioni socioculturali diffondendole


in modo estremamente efficace è il brano Bitch di Meredith Brooks.

È importante fare una breve riflessione sul testo di questo brano poiché avuto un’importanza
fondamentale nello scenario della musica pop degli anni 90.

Iniziando dal titolo, il termine è una delle parole usate in inglese per insultare una donna. Meredith
Brooks si trova all’interno di un contesto dove si stavano affermando diverse donne cantautrici, che
avendo un sound alternativo, erano definite in modo stereotipato come arrabbiate, contrapposte
al modello pop della donna angelica e delicata; pertanto, si è riappropriata del termine
dispregiativo per rivendicarne l’uso, come spesso è storicamente accaduto in movimenti di
protesta nati da sottogruppi sociali marginalizzati.

L’obiettivo di questa canzone era di dare una rappresentazione femminile che fosse diversa da
quella stereotipata dello sguardo maschile, e di raccontare l’essere donna nella sua complessità e
nelle sue contraddizioni, in un’ottica di rivendicazione di libertà.

Una donna può essere molte cose insieme, ci dice la cantante e non è riducibile a una sola visione
tipizzata: opponendosi all’immagine polarizzata della donna che i media continuano a diffondere,
Brooks rivendica la libertà di uscire dall’identità preconfezionate della società per ricostruire
un’identità multi-sfaccettata e autentica per sé stessa e per il genere femminile.

Il brano ha avuto un successo globale, poiché ha contribuito non solo a mettere in circolo
rappresentazioni complesse della donna che hanno aiutato a porre sotto i riflettori i discorsi
culturali sulle questioni di genere, ma le rappresentazioni socioculturali create hanno avuto un
impatto tale da rimbalzare dalla società ad altri oggetti culturali.

Quindi analizzare la musica i testi delle canzoni come oggetti culturali è un modo per studiare come
alcune rappresentazioni socioculturali proprie della nostra società e della nostra cultura si
muovono tra mondo sociale e mondo culturale, replicandosi, diffondendosi e rafforzandosi.

L’analisi che sarà presentata studierà i testi delle canzoni più ascoltate per capire quali
rappresentazioni siano viaggiate e stiano viaggiando tra uno dei media più pervasivi, efficaci e
identitari.

Ci si concentrerà prevalentemente su come viene raccontata la figura della donna in musica.


L’analisi di oggetti culturali può aiutarci a inquadrare il tema del divario di genere e a darci uno
spaccato di come alcune visioni della donna vengano riprodotte, esplicitate, diffuse e replicate.
Nota metodologica: la scelta del corpus di analisi

L’obiettivo di questa ricerca è di individuare all’interno di brani musicali di lingua italiana alcuni
elementi linguistici e semantici che, riferendosi alla figura della donna, ne offrono particolari
rappresentazioni, che vengano assimilate da chi ascolta.

È stata analizzato un corpus di 125 brani al fine di fare emergere: l’uso di termini specifici relativi
all’universo semantico della donna; a quali contesti e genere musicale tali espressioni sono
correlate; chi canta e chi scrive per mettere i termini utilizzati nei testi in relazione con il genere di
appartenenza di chi scrive e canta; eventuali rappresentazioni di genere ricorrenti e sottolineatura
eventuali stereotipi; eventuali mutamenti linguistici e culturali nel quinquennio 2018-2022.

Uno schema di lettura

Analizzando il corpus di brani emergono due possibili letture in base alle quali le diverse
rappresentazioni delle donne si possono collocare: sessualizzazione e oggettivazione.

Quanto al primo punto di riferimento: le principali rappresentazioni individuate sembrano


posizionarsi su un continuum che va dai due estremi della donna 'non sessualizzata' a quella
'sessualizzata'.

La continuità tra questi due poli, che può essere organizzata in due categorie discrete ma non
senza criticità, si basa su un intrinseco dualismo che l'identità femminile ha storicamente acquisito
nella società occidentale: 'santa' versus 'puttana'.

Ciò che rende affascinante questa concezione della donna è la relazione di interdipendenza tra
questi due poli contrastanti: la donna è costantemente bifronte, simultaneamente 'santa' e
'puttana', e perpetuamente colpevole di esserlo.

Questi due estremi, corrispondenti a rappresentazioni fortemente stereotipate già radicate nella
nostra società, nei discorsi culturali e nei media, rischiano di appiattire l'identità della donna,
trasformandola in una figura monodimensionale.

Esistono, dunque, rappresentazioni socioculturali in cui la donna non è sessualizzata, avvicinandosi


al modello della 'santa', e rappresentazioni sessualizzate o iper-sessualizzate, che rappresentano
l'estremo opposto della donna considerata 'puttana'.

Per quanto riguarda l’asse dell’oggettivazione, riconosciamo un primo macro-livello di essa che
comprende la maggior parte dei testi analizzati, probabilmente ciò è dovuto dal fatto che la
maggior parte dei brani è scritta da uomini e quindi rappresenta un punto di vista gendered e
maschile.

Tutti i brani scritti da uomini replicano il modello di uomo soggetto che vede la donna solo come un
oggetto della narrazione, nonché quindi oggetto dello sguardo maschile.

Un secondo livello di oggettivazione è quello che riguarda la tendenza a rendere esplicita questa
oggettivazione: l’oggettivazione in questo livello diventa evidente e consiste nel rendere la donna
rappresentata in funzione dello sguardo maschile.
Quindi incrociando questi due assi mettiamo in luce quattro diverse macro-tipologie di donne:

- Donna non oggettivata e sessualizzata: DISINIBITA


- Donna non oggettivata e non sessualizzata: EMANCIPATA
- Donna non sessualizzata e oggettivata: SANTA (sessismo benevolo)
- Donna sessualizzata e oggettivata: PUTTANA (sessismo ostile)

DISINIBITA: è disegnata come in pieno possesso di agency, ma sessualizzata. Queste


rappresentazioni e le loro interpretazioni sono problematiche: poiché ogni volta che si considera la
donna come sessualizzata anche se lei stessa di autorappresenta come disinibita si corre il rischio
di riportarla sotto il cappello dell’oggettivazione del male gaze. Ogni rappresentazione sessualizzata
della donna rischia di scivolare nell’adesione a modelli che la portano a essere sessualizzata solo
per appagare lo sguardo e il desiderio maschile, ed è molto difficile tracciare una linea che separi
nettamente una sessualizzazione emancipatoria da una oggettivante.

In nessuno dei brani analizzati scritti da uomini troviamo questa tipologia di donna, ma solo tra
canzoni scritte da donne, in casi quindi di autorappresentazione; lo stesso vale anche per la donna
emancipata.

EMANCIPATA: è una donna rappresentata come libera, in grado di autodeterminarsi, sfuggente alla
lente del male gaze oggettivante e sessualizzante.

Se consideriamo che la donna è innegabilmente un individuo immerso nel contesto del mondo e
coinvolto in relazioni con altri esseri umani, è possibile concepire rappresentazioni che non si
focalizzino necessariamente sulle sue relazioni sessuali o che escludano completamente la sfera
sessuale dal quadro. Come emergerà, queste rappresentazioni consentono di esplorare altri aspetti
dell'essere donna, allineandosi con l'idea di una molteplicità di identità femminili e della loro
natura poliedrica e multidimensionale.

SANTA (sessismo benevolo): la donna è una figura pura che non si deve toccare neanche con un
fiore, trasparente, e integerrima dal punto di vista morale.

È timida, riservata, ingenua, incorruttibile, troppo buona per l’uomo. Spesso rivesta il ruolo di
salvatrice1, in grado di consolare l’uomo o addirittura di riportarlo sulla retta via.

La donna santa nel suo essere buona è anche vulnerabile. Queste caratteristiche che ha associate si
riflettono anche nel suo aspetto esteriore: è pulita, acqua e sapone, senza trucco.

Vediamo legate a questa donna il modello di essa come oggetto del desiderio amoroso-romantico;
anche il modello della madre come figura buona e comprensiva2; ulteriore tendenza stereotipata è
quella dell’infantilizzazione. Si può rintracciare attraverso l’uso di termini specifici (baby: nasconde
una punta di atteggiamento paternalistico volto a spogliare la donna della sua capacità di auto
determinismo).
1
Donna salvatrice: anche questa è rappresentata esistente esclusivamente in funzione dell’uomo. Narrata attraverso
metafore cristiane, il suo ruolo è quello di salvare l’uomo della perdizione portandolo sulla strada giusta grazie alle sue
azioni di cura. (Esempio: Torna a casa dei Måneskin.)
2
Donna madre: questa visione è fortemente oggettivata perché è sempre rappresentata in funzione dell’uomo, e la sua
identità è appiattita e ridotta a una pura funzione di escamotage narrativo che cristallizza il suo essere e il suo stare al
mondo irrigidendolo limitandolo.
Un’altra rappresentazione della donna come santa la ritroviamo in alcune canzoni d’amore. Nel
corpus analizzato dalla ricerca ci sono molte canzoni dedica cioè che sono interamente rivolte alla
persona amata. In queste la donna è oggettivata in quanto esistente puramente come oggetto
della narrazione maschile ed è rappresentata in modi fortemente stereotipati. 3

Anche se a primo impatto questa rappresentazione non è esplicitamente dannosa pone però le
basi per giustificare la concezione della donna come di un essere poco autonomo o idealizzato in
modo irrealistico, per questo si parla di sessismo benevolo.

Ci sono però alcune rappresentazioni ‘problematiche’, nel senso che se a un primo sguardo
possono essere riconducibili alla categoria della donna santa, a una seconda lettura più critica
sembrano spostarsi nella categoria donna puttana. Prima di addentrarci in ciò descriviamo un po’
come è espressa questa narrazione di donna puttana.

PUTTANA: la donna qua è associata a diverse connotazioni negative, è sempre e comunque


traditrice, superficiale, attaccata ai soldi, vendicativa, polemica, lamentosa. Questa donna viene
oggettivata in modo impietoso: in alcuni generi è dipinta anche come un oggetto sessuale 4 a uso e
consumo dell’uomo, e ridotta a uno strumento per la credibilità dell’uomo.

A rendere questa rappresentazione ancora più negativa è la visione di essa come tentatrice e
responsabile della corruzione morale dell’uomo.

Ci si sposta verso un sessismo che sfiora la violenza o il disprezzo esplicito, per questo sessismo
ostile.

Tornando alle rappresentazioni problematiche occorre ricordare come nei brani scritti dall’uomo è
sempre presenta la cornice del male gaze: a volte è oggettivante ma benevolo, altre invece tende a
sessualizzare, pur senza renderlo esplicito.

Ogni volta che c’è un riferimento alla bellezza della donna dobbiamo stare attenti a capire se è una
bellezza intesa come aderente al male gaze a quanto questa implichi una sessualizzazione della
donna (desiderio erotico).

Il riferimento alla bellezza in senso fisico e carnale svela sia la lente reificante e sessualizzante dello
sguardo maschile, sia la doppia natura della donna contemporaneamente santa e puttana.

Rappresentazioni problematiche sono la donna senza trucco 5: l’oggettivazione riduce la donna al


suo aspetto fisico con un’analogia tra purezza/bellezza d’animo e purezza/bellezza esteriore,
bellezza che è sempre riferibili a uno standard imposto dal male gaze.

Anche se la sessualizzazione non è esplicita è chiaro come la bellezza dipenda sempre da quanto
aderisca a un modello estetico che ha il compito di renderla desiderabile allo sguardo maschile.

Il tema del desiderio maschile tende a spostare questa rappresentazione verso la donna puttana.

3
È frequente l’uso di luoghi comuni legati alla narrazione dell’infatuazione e dell’amore idealizzato, il riferimento alla
bellezza, l’uso di metafore che paragonano la donna a dipinti, film, opere d’arte, senza però dire altro sulla sua identità,
di cui non si riesce a rendere la multidimensionalità.
4
È una tradizione rap, adottare un atteggiamento machista che vede la donna come puro oggetto di conquista insieme
a altri elementi che aggiunge valore alla figura maschile dentro la comunità.
5
Malibu di Sangiovanni
La donna timida, in alcuni casi anche infantilizzata6 sono altri casi problematici.

La donna timida è l’emblema della donna santa, nella realtà però la donna timida è esaltata come
ideale per lo sguardo maschile solo nella misura in cui, sotto il peso delle pressioni che le vengono
imposte dall’uomo stesso, riesce a lasciarsi andare diventando poi sia santa che puttana.7

Questo tema è ricorrente nel genere delle hit estive, di ispirazione latineggiante o reggaeton.

La donna è quindi spesso raccontata attraverso una visione sessualizzata e le viene riconosciuto un
valore solo quando è disinibita, seguendo l’invito sessuale dell’uomo.

Donna sia santa che puttana la disegnano come pura e oggetto di tentazione sessuale del bad boy.
8

La donna, nel ‘tentare’ l’uomo, sembra quasi portatrice di una sorta di colpa sessuale per cui
merita una ‘punizione’. In più, si è visto come, nel suo essere pura, timida, ingenua e ‘santa’ (oltre
che a volte infantilizzata), sia spogliata della propria agency: in sin- tesi, la donna risulta essere una
preda perfetta, una vittima indifesa.

La donna diventa oggetto dell’aggressività dell’uomo come se la scatenasse lei: è così ‘santa’ e
ingenua da animare in lui il desiderio di convertirla a ‘puttana’ sessualizzata, così indifesa da
generare nell’uomo una passione ani- male e brutale incontenibile, e così ‘puttana’ da essere
colpevole di trasformare l’uomo, altrimenti moralmente incorruttibile, in una bestia dominata da
istinto e aggressività sessuale.

Conclusioni

Abbiamo potuto constatare che le rappresentazioni della donna nei testi delle canzoni variano
notevolmente: alcune sono positive, tratteggiando la donna come soggetto equiparabile agli
uomini, mentre altre sono negative, relegando la donna al ruolo di oggetto delle relazioni e di uno
sguardo, prevalentemente maschile, sul mondo. La donna emerge contemporaneamente come
angelo e strega, santa e puttana, con la sua sessualizzazione diffusa in molte canzoni, e risulta
difficile individuare rappresentazioni alternative a tali stereotipi.

Tuttavia, è importante sottolineare che la musica non può essere considerata l'unico artefice della
percezione che la società ha delle donne. Le rappresentazioni socio-culturali sembrano seguire un
percorso circolare più che lineare, rendendo impossibile individuare un'origine precisa o un punto
di partenza per ciascuna rappresentazione. Sostenere che la musica crei direttamente
rappresentazioni negative della donna, influenzando le strutture sociali, è un'ipotesi non
confermabile e priva di basi dimostrative. La trap machista, ad esempio, avrebbe avuto meno

6
Nei versi sia di Malibu ma anche di Lady di Sangiovanni (“Sei ancora piccola se ti imbarazzi, quando ti regalo un po’ di
carezze, oppure ti faccio troppi complimenti”; “Sei così bambina, e io così maturo” e poi “Farò di te una donna,
baciami sulla bocca con il rossetto rosa”) emerge una descrizione dei comportamenti della donna come se fosse a una
bambina, prima sminuita e minata della sua capacità di autodeterminarsi e poi è cresciuta e resa donna dall’uomo,
dentro un modello culturale che è molto vicino a un atteggiamento predatorio.
7
Nera di Irama (glorificazione della donna quando si lascia andare, appagando il desiderio maschile: “Quando alzi il
gomito sei più sexy del solito”)
8
Autorappresentato
successo se non avesse già trovato terreno fertile nelle dinamiche sociali e nei modelli culturali
esistenti.

Nonostante ciò, è fondamentale continuare a esaminare da vicino la musica e le canzoni, insieme


agli altri elementi culturali, come uno specchio per analizzare lo stato attuale delle cose e rilevare
eventuali cambiamenti in corso. Gli effetti delle rappresentazioni delle donne nella musica sulle
nuove generazioni sono ancora da dimostrare.

Se le rappresentazioni in musica sembrano in gran parte riflettere modelli già presenti nella
società, c'è un aspetto che dovrebbe attirare l'attenzione: nonostante l'intenzione di analizzare
cambiamenti socio-culturali, la ricerca rivela una sostanziale staticità dei modelli rappresentati nel
corso di cinque anni. Trap e hit estive mantengono temi e narrazioni pressoché immutati nel
tempo.

Il fatto che le rappresentazioni non siano sorprendenti non significa che si possa accettare
passivamente la situazione attuale. La maggior parte delle rappresentazioni negative, oggettivanti
e iper-sessualizzate proviene prevalentemente dagli uomini, indicando che, in un contesto ancora
dominato da concezioni maschiliste e legate a una società patriarcale, è improbabile che gli uomini
producano o riproducano rappresentazioni che si discostino da tali stereotipi.

La soluzione a questo problema potrebbe risiedere nella scrittura e nella narrazione come
strumenti di costruzione dell'identità di genere. Se più donne avessero la possibilità di esprimersi
come autrici di rappresentazioni di sé, potrebbero riaffermare il potere della narrazione,
contribuendo a diffondere immagini alternative della donna. In questo modo, le donne potrebbero
diventare protagoniste e soggetti, generando rappresentazioni femminili che rendano giustizia alle
identità poliedriche e complesse delle donne.

MODELLI TEORICI ED EVIDENZE EMPIRICHE IN AMBITO


INTERNAZIONALE
Secondo Saveria Capecchi la ricerca su media e genere può essere ricondotta a tre modelli
principali nati in ambito anglosassone: il modello della parità fra i sessi, il modello della
valorizzazione femminile, e il modello post genere. Sono modelli astratti, funzionali per una breve
rassegna storia per fornire la cornice contestuale entro cui si collocano gli studi su media e genere.

Il modello della parità dei sessi.

Nasce dall’intreccio tra le istanze del movimento femminista liberale statunitense, che rivendica
l’uguaglianza tra donne e uomini, e l’approccio teorico funzionalista dei media studies, che
attribuisce ai media un ruolo rinforzante delle relazioni sociali e dei valori culturali consolidati.

L’incontro fra queste due prospettive dà inizio a una ricerca che analizza la distanza tra l’immagine
femminile veicolata dai media e la condizione reale delle donne nella società, e dall’altro, le
disuguaglianze fra donne e uomini nei contenuti così come nell’industria dei media.
Sul fronte dei contenuti, vengono inizialmente messe sotto accusa la pubblicità, la stampa,
soprattutto i periodici femminili, la fiction e, in generale, la televisione. La pubblicità è criticata per
promuovere una "mistica della femminilità" (Friedan 1963), un'ideologia che allontana le donne
dalle opportunità professionali, spingendole invece verso ideali di bellezza, maternità e vita
domestica, contribuendo al mantenimento dello status quo sociale in cui le donne sono subalterne
agli uomini. Un'analisi approfondita delle promozioni commerciali, ad esempio nel famoso libro
"Gender Advertisements" di Erving Goffman (1979), rivela come le donne siano spesso raffigurate
in posizioni subalterne rispetto agli uomini, sottolineando aspettative tradizionali di ruoli e
relazioni di genere distanti dalla realtà sociale in evoluzione.

Nei periodici femminili, si nota una focalizzazione su tematiche stereotipate considerate di


interesse femminile, come casa, moda e bellezza (Ferguson 1978; Phillips 1978; Lopate 1978). La
fiction è criticata per essere uno spazio simbolico prevalentemente maschile, con un numero
ridotto di donne e ruoli marginali (Lemon 1978). La televisione, in generale, è oggetto di critica per
la sua tendenza a proporre contenuti violenti che collocano le donne nel ruolo di vittime, con
conseguenze negative sulla socializzazione delle giovani generazioni (Gerbner 1978; Gerbner e
Connolly 1978). Le ricerche sulla programmazione televisiva mostrano come il piccolo schermo
tenda a confinare le donne nella narrazione della sfera privata degli affetti o del lavoro domestico,
mantenendole simbolicamente distanti sia dalla sfera pubblica della politica e dell'economia,
tradizionalmente maschile, sia dalla realtà di una società in cui si verificano profondi cambiamenti
nelle identità, nei ruoli e nelle relazioni di genere (Gerbner 1978; Lemon 1978; Cantor 1978).

L'analisi di questa doppia asimmetria è approfondita nel libro "Heart and Home: Images of Women
in the Mass Media" (Tuchman et al. 1978), riconosciuto come un lavoro pionieristico nel contesto
della riflessione sui media e il genere. Analogamente all'approccio di Robin Lakoff (1973) nella
relazione tra linguaggio e genere, i vari contributi presenti in questo volume sostengono che i
media non riflettono in modo oggettivo la realtà, bensì le idee e i valori maschili, che risultano
predominanti.

Rappresentando in modo insufficiente le donne e confinandole all'interno di spazi narrativi legati


alla sfera privata, identificati nel titolo del volume come "heart and home", i media attuano una
"symbolic annihilation" delle donne (Tuchman et al. 1978, 3), escludendole dall'ambito degli affari,
della politica e da tutte le questioni di interesse pubblico.

Una radicalizzazione di questa prospettiva emerge nell'approccio di George Gerbner (1978),


sviluppato all'interno della cultivation theory. Secondo questa teoria, l'esposizione del pubblico ai
contenuti mediatici, specialmente televisivi, durante il processo di crescita dall'infanzia all'età
adulta, ha un impatto negativo sulla percezione della realtà. Tale influenza si orienta verso il
mantenimento degli attuali assetti di potere, considerando i media sia come prodotti della classe
sociale dominante, sia come strumenti per perpetuare tale dominio. Vista attraverso la lente della
"teoria della coltivazione", la mancata rappresentazione dei cambiamenti sociali relativi a identità,
ruoli e relazioni di genere viene attribuita a un problema strutturale del sistema mediatico e al suo
ruolo attivo nel sostenere lo status quo culturale, sociale e politico della società.
The logical conclusion of our examination of the “world” constructed by television is that reinforce and
maintains conventional beliefs, concepts and behaviors. [...] Women's roles support the traditional
stereotypes of women prevalent in society (Gerbner 1978, 55).

Questo orientamento viene gradualmente abbandonato a favore di approcci più complessi e


metodologicamente robusti, che tengono conto sia dell'evoluzione del sistema mediatico, sia dei
cambiamenti nelle tematiche di genere. Tale evoluzione, tuttavia, fornisce le basi per un'analisi
della relazione tra media e genere non solo a livello di contenuto, ma anche a livello sistemico.
Quest’ultima prospettiva incoraggia, negli anni più recenti, un'esplorazione approfondita dei vari
fattori culturali, sociali e mediatici che influenzano positivamente o, al contrario, ostacolano una
rappresentazione paritaria, inclusiva e realistica delle identità, dei ruoli e delle relazioni di genere.

Nei primi anni in cui si discuteva della relazione tra media e genere, la questione era in qualche
modo prematura, poiché la priorità consisteva nel garantire alle donne accesso e opportunità di
carriera in settori e organizzazioni tradizionalmente dominati dagli uomini. La convinzione comune
era che un progressivo aumento del coinvolgimento e dell'avanzamento delle donne nel settore
mediatico avrebbe portato automaticamente a un miglioramento dei contenuti (Butler e Paisley
1980).

Tuttavia, già nel 1990, la studiosa canadese Marjorie Ferguson evidenziava la fallacia di questo
"mito ottimistico", confermata da ricerche che dimostravano come l'incremento dell'autonomia
delle donne nelle organizzazioni mediatiche non corrispondesse necessariamente a una maggiore
e migliore inclusione femminile nei contenuti mediatici. I fattori che influenzano positivamente o
negativamente una rappresentazione di genere equa e inclusiva sono infatti molto più complessi, e
coinvolgono diversi aspetti sia socio-culturali che mediatici.

il modello della valorizzazione femminile


Il concetto del "modello della valorizzazione" emerge negli anni Ottanta sotto l'impulso del
movimento femminista radicale, che, a differenza del movimento liberale, non cerca l'uguaglianza,
considerata una forma di omologazione delle donne agli uomini, ma piuttosto mira al
riconoscimento delle differenze, o meglio, delle molteplici diversità. Questo approccio enfatizza
che donne e uomini non sono semplicemente due categorie sociali distinte basate sul sesso e sul
genere, ma piuttosto gruppi eterogenei e variabili, influenzati da fattori come classe sociale, età,
etnia, livello di istruzione e generazione. Queste differenze devono essere riconosciute e
apprezzate.

Nel contesto degli studi sui media, la prospettiva femminista della valorizzazione si intreccia con un
modello teorico costruzionista e interazionista. Secondo questa visione, i significati dei contenuti
mediatici non sono semplicemente riflesso di rapporti di potere tra donne e uomini, né una
costruzione univoca e immutabile del dominio maschile, bensì sono costruzioni sociali condivise.
Queste costruzioni sono soggette a cambiamenti nel tempo e nello spazio, risultato di un processo
interattivo e negoziato con il pubblico. In altre parole, le rappresentazioni di genere nei media non
sono statiche e autonome, ma sono attivamente elaborate dal pubblico e interpretate in modo
diverso a seconda delle sue caratteristiche.
Partendo da questa premessa, molti studiosi e studiose, negli anni Ottanta del Novecento,
ribaltano la prospettiva critica delle loro colleghe precedenti e rivalutano le produzioni mediali,
concentrandosi soprattutto su quelle che mettono al centro dell'attenzione l'universo femminile.
Anche se orientate alla ricerca della differenza, non sempre trovano che la specificità femminile sia
adeguatamente valorizzata.

Gli studi dedicati alle pubblicità e alle riviste femminili riconoscono l'innovazione presente in questi
spazi narrativi e il loro ruolo catalizzatore nell'impulso verso l'emancipazione e l'empowerment
femminile. Tuttavia, sottolineano anche la sottomissione di tali rappresentazioni a motivazioni
prettamente commerciali. McRobbie (1999), ad esempio, suggerisce che alcune riviste femminili,
come Cosmopolitan, possano essere considerate femministe perché presentano l'immagine di una
donna sessualmente emancipata, discostandosi dal tradizionale modello della donna-oggetto di
desiderio sessuale maschile tipico delle riviste maschili. Winship (1987) riconosce la radicalità del
messaggio di riviste come Cosmopolitan, che offre modelli diversi dal tradizionale ruolo di "donna
madre, moglie e casalinga", ma allo stesso tempo ne evidenzia la contraddizione, notando che
"ogni azione della donna cosmopolita è in funzione dell'uomo".

Douglas (1995) individua un tema attuale noto come femvertising, ossia "il femminismo che fa
vendere", indicando narrazioni pubblicitarie e di altro genere che sfruttano le istanze femministe a
scopi commerciali, comportando l'assoggettamento delle donne alle esigenze del sistema
capitalistico. Infine, Gauntlett, noto per il suo ottimismo riguardo al ruolo della produzione
mediatica nella ridefinizione di identità, ruoli e relazioni di genere, osserva che i magazine
femminili non solo presentano immagini di donne forti, libere e indipendenti, ma ritraggono anche
l'uomo come oggetto, facendolo con consapevolezza del modo in cui gli uomini hanno trattato le
donne nei secoli. Questo ha l'obiettivo, a livello simbolico, di riequilibrare il potere tra i sessi.

Un apprezzamento più deciso e concorde delle narrazioni femminili emerge all'interno degli
"audience studies", un campo di ricerca che esplora per la prima volta le gratificazioni
dell'audience femminile nella fruizione di prodotti concepiti e realizzati per le donne, come ad
esempio le soap opera. Tra le numerose opere che rivalutano il piacere derivante da queste
produzioni seriali, si distingue "Watching Dallas: Soap Opera and the Melodramatic Imagination" di
Ien Ang (1985). Questo lavoro ha influenzato importanti ricerche nazionali pubblicate dalla Rai,
come quelle condotte da Capecchi (2000, 2004), evidenziando come le soap opera, a lungo
considerate un genere di secondo piano, abbiano pubblicamente rivalutato la sfera privata,
mediatizzandola, e consentano al pubblico di riflettersi in una cultura che riconoscono come
propria. In particolare, le soap opera permettono agli spettatori, inclusi gli spettatori maschili,
come dimostrato da Capecchi (2002, 2004), di esplorare il testo da un punto di vista emotivo.

Infine, rientrano nel "modello della valorizzazione" gli studi che si concentrano sulla fiction e
esplorano modelli di donna innovativi, sfidando gli stereotipi di genere. Tra le ricerche di questo
genere, che ancora oggi costituiscono un punto di riferimento per gli studi nazionali sulla fiction
italiana (cfr. Buonanno 2014b), si evidenzia "Defining Women: Television and the Case of Cagney
and Lacey" (D’Acci 1994). Questo studio analizza le protagoniste del poliziesco americano Cagney
and Lacey: donne emancipate, intelligenti, unite da forti legami di amicizia e solidarietà. Tali figure
si distinguono come "eccezioni" nel contesto prevalentemente maschile dei polizieschi degli anni
Ottanta e Novanta del Novecento, ricollocando al centro della narrazione la dimensione privata
valorizzata come una specificità femminile.
Nel contesto della rappresentanza femminile nelle organizzazioni dei media, il "modello della
valorizzazione" non mira tanto a un semplice riequilibrio numerico tra professioniste e
professionisti, quanto a una profonda revisione dell'industria mediatica. Si ritiene che la cultura dei
media debba essere ridefinita in modo da valorizzare le competenze e il punto di vista delle donne.
Questo cambio di prospettiva è motivato dalle evidenze emerse da indagini approfondite sulle
condizioni e i ruoli delle professioniste dei media, che sono aumentate numericamente dalla fine
degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, ma non hanno ottenuto un parallelo aumento di
potere. In particolare, le ricerche di Liesbet van Zoonen (1994) e Pamela Creedon (1989) sono
significative in questo contesto.

Liesbet van Zoonen (1994) evidenzia come i settori della produzione mediatica più accessibili alle
donne siano quelli simbolicamente associati agli ambiti stereotipicamente considerati femminili,
come la cura, la famiglia e l'evasione. Nel campo dell'informazione, ad esempio, le donne sono
spesso coinvolte nella realizzazione di servizi di "soft-news", dedicati a temi legati al costume, alla
società, alla cronaca e allo spettacolo, mentre le notizie di economia e politica ("hard-news") sono
per lo più gestite dai colleghi maschi. Creedon (1989) esamina la segregazione orizzontale e
verticale nel mercato delle professioni giornalistiche, dimostrando che le donne faticano sia a
raggiungere posizioni di vertice, sia a ottenere salari paritari a parità di mansioni rispetto ai colleghi
maschi.

Partendo dall'analisi di questa situazione, che evidenzia il fallimento delle donne nell'adattarsi al
sistema mediatico dominante, la studiosa americana riflette sulla necessità di spostare l'obiettivo
dalla parità alla differenza, cercando un approccio alternativo al giornalismo che dia maggiore
spazio alle donne sia come oggetto di notizia che come fonti. Questo obiettivo è al centro di
ricerche recenti sull'informazione, anche a livello nazionale.

il modello post genere


Il periodo che attraversa la fine del Novecento e l'inizio del Duemila è caratterizzato dall'emergere
del "modello post-genere". Questo modello abbraccia diverse prospettive femministe unite dalla
critica alla definizione binaria del genere basata sull'eteronormatività, insieme a una riflessione
ambivalente sul potere delle nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione (TIC). È
importante notare che, per completezza, vengono riassunte di seguito le principali teorie associate
a questo modello, anche se il suo sviluppo è avvenuto principalmente nell'ambito degli studi
femministi e della filosofia, piuttosto che nei media studies.

Secondo le diverse accademiche che si identificano con il "modello post-genere", la nozione di


genere, introdotta da Gayle Rubin (1975) per spiegare le differenze socialmente costruite tra donne
e uomini, rappresenta solo un superamento parziale del concetto scientifico di sesso. Questo
perché la nozione di genere è considerata dualista, pensando la relazione tra donne e uomini in
termini di un'opposizione eteronormata. Le teoriche del "modello post-genere" propongono,
pertanto, una riconsiderazione generale della relazione tra i generi, focalizzandosi sulla creazione
di nuove soggettività e, in particolare, su una reinterpretazione di questa relazione in connessione
con i media e le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC).

Teresa De Laurentiis (1987) afferma che i media sono delle "gender technologies", cioè tecnologie
che giocano un ruolo attivo nella costruzione del genere, favorendo una conformità delle donne
alle rappresentazioni dominanti. Per questo motivo, suggerisce di concepire una nuova forma di
soggettività, il "soggetto eccentrico", caratterizzato da una natura indisciplinata e mobile rispetto ai
confini storicamente assegnati al femminile. Questo concetto non si discosta molto da quanto
proposto da Judith Butler (1990, 1993, 1999), che, attraverso una riconsiderazione del tradizionale
concetto di genere, non solo orienta la ricerca sulla lingua e il genere, come discusso nel Capitolo 2
(§ 2.1.5), ma guida anche gli studi su genere e media verso un'analisi delle identità queer e gender
fluid.

Donna Haraway (1991) prospetta un superamento del dualismo di genere attraverso la figura del
"cyborg", che non è né uomo né donna, né umano né macchina. Questa rappresentazione serve da
metafora per la condizione umana, da cui la filosofa americana invita le donne a riconsiderare il
rapporto con la tecnologia. In particolare, le nuove Tecnologie dell'Informazione e della
Comunicazione (TIC) consentono l'uso di identità virtuali decostruite dal corpo, offrendo uno
spazio in cui destrutturare il dualismo di genere e sperimentare nuovi modelli identitari che
superano le tradizionali opposizioni tra uomo/donna, mente/corpo, attivo/passivo, e così via.

La visione della studiosa afroamericana bell hooks, pseudonimo di Gloria Jean Watkins, è orientata
a rendere visibili identità storicamente minoritarie. In un approccio intersezionale, hooks propone
un "oppositional gaze" permanente in contrasto con il "male gaze" (Mulvey 1975) dominante nei
contenuti mediatici. Questo "male gaze" non è solo uno sguardo maschile, ma anche la prospettiva
"white" della borghesia, che non tiene conto delle differenze di ceto, razza, istruzione, e così via.

Rosi Braidotti (1994) introduce infine il concetto di "soggetto nomade", che, in modo simile al
"soggetto eccentrico" di Teresa De Laurentis, rappresenta un individuo con identità complesse e
multiple, ribelle ai modelli di genere convenzionali. Tuttavia, a differenza di cercare di superare il
dualismo di genere, Braidotti recupera e valorizza tale dualismo, concependolo in termini di
differenze non solo tra donna e uomo, ma anche tra donna e donna.

Il ruolo dei media nelle rappresentazioni di genere

L'idea del GMMP ha origine nel febbraio del 1994, durante la Women Empowering Communication
Conference a Bangkok, in preparazione alla Quarta Conferenza mondiale sulle donne convocata
dalle Nazioni Unite a Pechino nel settembre del 1995 (successivamente nota come la Conferenza di
Pechino). La prima indagine del GMMP viene condotta nel gennaio 1995 e i risultati vengono
presentati e discussi al Women’s NGO Forum durante gli eventi della Conferenza di Pechino.
Questo contributo ha partecipato alle discussioni che hanno portato alla redazione della
Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino (ONU 1995), successivamente sottoscritta dai 189
stati membri delle Nazioni Unite.

Dopo le conferenze tenutesi a Città del Messico (1975), Copenaghen (1980) e Nairobi (1985), che
avevano come obiettivo il raggiungimento dell'uguaglianza come diritto fondamentale per le
donne, la Conferenza di Pechino rappresenta una svolta per due motivi. In primo luogo, in modo
più generale, si concentra su diversi fattori culturali, economici, politici e sociali che ostacolano il
progresso effettivo delle pari opportunità, anche nei paesi con un sistema legislativo formalmente
orientato al riconoscimento di pari diritti tra donne e uomini. In secondo luogo, in modo più
specifico, individua il settore dei media come uno dei dodici ambiti strategici per il progresso
effettivo dell'uguaglianza di genere. Da Pechino in poi, la riflessione sulla relazione tra media e
genere assume rilevanza internazionale, contribuendo a orientare l'attenzione sia della ricerca
accademica che delle diverse parti interessate (aziende media, associazioni professionali,
istituzioni, organizzazioni della società civile) sul potenziale potere dei media nel promuovere
l'empowerment femminile.

the media have a great potential to promote the advancement of women and the equality of women and
men by portraying women and men in a non-stereotypical, diverse and balanced manner, and by respecting
the dignity and worth of the human person (ONU 1995, 13).

Questa dichiarazione è particolarmente rilevante per due ragioni: in primo luogo, perché richiama
il ruolo dei media come agency, in secondo luogo, perché riconosce implicitamente che i media
hanno un “potere” ambivalente.

Il ruolo dei media come agenzia è una questione intricata strettamente legata al concetto di
"potere" dei media. Questo concetto è al centro delle riflessioni teoriche e delle ricerche sui media
fin dagli inizi della cultura di massa all'inizio del Novecento. Nel corso del tempo, ha spesso
polarizzato gli studiosi tra "apocalittici" da un lato e "integrati" dall'altro, come coniato da
Umberto Eco (1964). Tuttavia, sia la posizione pessimistica dei primi, che vedono i media come
strumenti omologanti influenzati dalle esigenze del progresso capitalistico, sia la posizione
ottimistica dei secondi, che credono che i media contribuiscano alla democrazia riducendo le
barriere geografiche e sociali, condividono un'idea fondamentale: entrambi considerano il potere
dei media sostanzialmente illimitato (Losito 1998, 31).

Questa concezione del potere è stata progressivamente abbandonata, sostituita da analisi più
attente degli effetti a breve e lungo termine. Nel primo caso, l'obiettivo è comprendere gli effetti
specifici di produzioni mediali circoscritte su atteggiamenti e comportamenti del pubblico,
utilizzando approcci teorici e metodologici appropriati. Ad esempio, si possono esaminare gli
effetti di una campagna elettorale sulle intenzioni di voto. Questa linea di ricerca, risalente ai lavori
di Lazersfeld (1948) e Katz e Lazersfeld (1955), dimostra stabilmente nel tempo che i media hanno
effetti limitati, mediati da condizioni psicologiche e sociali specifiche del pubblico.

Nel secondo caso, l'obiettivo è comprendere gli effetti cumulativi di un'esposizione continua ai
contenuti mediatici. Questo approccio di ricerca, che ha generato teorie come quella della
coltivazione (Gerbner 1978), della spirale del silenzio (Noell-Neumann 1973, 1977, 1980/2002) e
dell'agenda setting (Shaw 1979), ha affrontato da sempre difficoltà teoriche e metodologiche a
causa della complessità dell'oggetto di studio, spesso indagato attraverso ipotesi di ricerca poco
convincenti e pratiche di analisi inadeguate (Losito 1998, 37-75).

Secondo Losito (1998), che ho seguito nella sintesi di questa questione, una teoria che fornisce un
solido quadro teorico per affrontare il tema del "potere" dei media, guidando l'adozione di
pratiche di ricerca adeguate, è la teoria delle rappresentazioni sociali, precedentemente
menzionata citando la ricerca di Aebischer (1985/1988) nel Capitolo 2 (§ 2.2.1). Questa teoria,
secondo il sociologo, consente di trasferire l'analisi da una teoria dei media a una teoria dell'azione
sociale, combinando prospettive costruzioniste e interazioniste. In realtà, la teoria delle
rappresentazioni sociali funge da quadro per un'analisi multidisciplinare a più livelli, mantenendo
sullo sfondo una teoria dell'azione sociale. Questo approccio consente di esaminare le
rappresentazioni di genere all'interno e attraverso i media, considerando non solo la funzione
cognitiva e sociale dei media, ma anche quella della lingua, in particolare quella italiana, e le loro
interazioni.
Per quanto riguarda il ruolo della lingua nelle rappresentazioni di genere e del "potere", inteso
come il potenziale della grammatica italiana nel rendere visibili le donne in modo paritario agli
uomini, affrontando gli ostacoli principalmente rappresentati dalla resistenza culturale a un uso
non sessista, ho discusso ampiamente nel Capitolo 2 (§ 2.3). In questa sezione, mi concentrerò
sull'ambivalente "potere" dei media.

Il ruolo dei media come agenzia può essere definito, in generale, come un ruolo di agenzia di
socializzazione. I media, insieme ad altre istituzioni come la famiglia, la scuola, e il gruppo dei pari,
svolgono un ruolo significativo nei processi di socializzazione. Questi processi comprendono
l'apprendimento delle prerogative e delle aspettative di ruolo, delle norme sociali, delle mete
culturali, dei modelli di comportamento, dei valori, delle competenze comunicative, e altro ancora
(Losito 1998, 72). L'ampio sviluppo delle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (TIC)
su scala globale ha reso accessibili a donne e uomini informazioni altrimenti difficilmente
raggiungibili. Queste informazioni non solo ampliano la conoscenza del mondo, ma influenzano
anche la percezione di identità, ruoli, relazioni sociali, modelli comportamentali, stili di vita,
culture, lingue e valori. In tal modo, tali "informazioni" contribuiscono alla costruzione
dell'immaginario collettivo e orientano le persone.

Inoltre, i media contribuiscono a plasmare un immaginario collettivo diffondendo rappresentazioni


sociali, valori, modelli di comportamento e stili di vita che segnano un'epoca e con cui è inevitabile
confrontarsi (Capecchi 2002, 112). Come evidenziato da diversi autori (Losito 1998; Capecchi 2002;
Grossi e Ruspini 2007), questa partecipazione non implica una direzione unilaterale impostata
dall'alto. Al contrario, si tratta di un processo sempre situato nello spazio e nel tempo, soggetto a
negoziazione a livello intrasoggettivo e intersoggettivo, basato sulle diverse caratteristiche
individuali e sociali del pubblico.

I media rivestono anche un ruolo di agenzia più specifico, agendo come attori che partecipano al
cambiamento sociale (o al consolidamento dello status quo). In questo contesto, non agiscono in
modo isolato, ma collaborano con altre istituzioni e non seguono una direzione univoca, poiché
presentano "immagini", "concezioni" e "rappresentazioni" della realtà che possono influenzare i
processi attraverso i quali ogni membro del pubblico costruisce la propria conoscenza del mondo
(Losito 1998, 145).

Le immagini, concezioni e rappresentazioni della realtà diffuse dai media possono essere
interpretate come rappresentazioni sociali, secondo la definizione originariamente proposta da
Moscovici (1969), che afferma:

"Sistemi cognitivi che hanno una logica ed un linguaggio particolari, una struttura di implicazioni
relative sia ai valori sia ai concetti, uno stile di discorso che è loro proprio. Noi non vediamo in esse
unicamente 'opinioni su', 'immagini di' e 'atteggiamento verso', ma delle 'teorie', delle 'scienze' sui
generis destinate alla scoperta del reale e a mettere in ordine in esso" (Moscovici 1969, 10, trad. it.
Losito 1998, 146).

Una rappresentazione sociale è quindi un sistema di valori, nozioni e pratiche con una duplice
vocazione. Innanzitutto, serve a stabilire un ordine che fornisca agli individui la possibilità di
orientarsi nell'ambiente sociale e materiale e di dominarlo. Inoltre, assicura la comunicazione tra i
membri di una comunità offrendo loro un codice per denominare e classificare in modo univoco le
componenti del mondo, della loro storia individuale e collettiva (Moscovici 1969, 11, trad. it. Losito
1998, 146).

Una rappresentazione sociale è un modello mentale in cui vengono ordinatamente conservati e


progressivamente acquisiti dati di conoscenza teorica, pratica ed etica. Questi dati sono recepiti e
archiviati secondo un linguaggio specifico che funge contemporaneamente da strumento di
codifica, decodifica e comunicazione intersoggettiva. La sua dimensione sociale non è accessoria,
poiché ogni rappresentazione sociale deriva dalla partecipazione e dall'interazione tra le diverse
coscienze individuali, come evidenziato dalla descrizione del suo processo di costruzione, che si
articola in due fasi: l'oggettivazione e l'ancoraggio.

Nella fase di oggettivazione, avviene la selezione e l'organizzazione delle informazioni rilevanti


riguardanti l'oggetto della rappresentazione. Secondo Moscovici, nessuna coscienza, sia individuale
che collettiva, è tabula rasa, ma è il risultato di una storia. Pertanto, la fase di oggettivazione non
comporta la ricezione di "informazioni pure" come dati di una realtà oggettiva, ma piuttosto
l'assunzione selettiva di informazioni preesistenti, che vengono scomposte, decontestualizzate e
ricostruite per generare una nuova elaborazione tendenzialmente coerente e sistematica.

La seconda fase è quella di naturalizzazione e reificazione di questo primo schema figurativo


essenziale, attraverso il suo ancoraggio a un sistema simbolico, cognitivo e normativo già esistente.
In questa fase, la rappresentazione sociale si configura come uno strumento di classificazione
gerarchica della realtà e, contemporaneamente, come guida per l'orientamento nel
comportamento sociale.

I media svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione delle rappresentazioni sociali, poiché
forniscono o replicano informazioni, organizzandole in schemi basati su valori che contribuiscono a
formare il "campo" di una rappresentazione sociale (Losito 1998, 150). In questo modo,
influenzano gli atteggiamenti mediatici. Questo spiega l'ambivalente potere dei media, come ho
descritto precedentemente: diffondendo rappresentazioni stereotipate, sbilanciate o persino
degradanti del genere, consolidano un immaginario e comportamenti che possono ostacolare le
pari opportunità. Al contrario, quando veicolano rappresentazioni articolate, complesse, bilanciate
e rispettose della dignità umana di donne e uomini, contribuiscono alla costruzione di una realtà
democratica, paritaria e inclusiva, favorendo i cambiamenti sociali verso l'uguaglianza di genere.

Pertanto, la Dichiarazione e Piattaforma d'azione di Pechino (ONU 1995) presuppone che i media
possano promuovere il progresso delle donne e dell'uguaglianza di genere, ma solo a condizione
che le rappresentino in modo non stereotipato, bilanciato e dignitoso. Sulla base di questo
presupposto, stabilisce due obiettivi strategici:

1. Incrementare la partecipazione e l'accesso delle donne all'espressione e alla presa di decisioni


nei media e nelle nuove tecnologie della comunicazione (ONU 1995, 100).
2. Promuovere una rappresentazione bilanciata e priva di stereotipi delle donne nei media (ONU
1995, 101).

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