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Black to the Future.

Arte contemporanea
e pratiche creative
dell’abbigliamento in
Africa e nella Diaspora

“P
erché non vedere l’ambizione all’elegan- delle sue forme espressive, in modo particolare nelle me-
za come espressione della volontà di so- tropoli dell’Africa occidentale e centrale, dove diviene una
pravvivere?” Inaspettato, e stimolante, sorta d’intonazione generale.
l’interrogativo1 della fashion designer e «Espressione della volontà di sopravvivere». L’enfasi non
filmmaker maliana Awa Meïté, pone del- è fuori luogo, anzi. Queste forme di espressività sono atti
le domande. Sulla forza creatrice della bellezza, certo, ma performativi che trasformano chi li produce, valorizzando
soprattutto sulle ragioni che nel suo mondo fanno della ri- il singolo – le apparenze contano come mise en place di sé
cerca dell’eleganza un bisogno, una questione vitale. Come – e nello stesso tempo portano avanti una serie di istanze
spiegare altrimenti una tale enfasi sul modo di apparire? collettive. Così, dati gli stretti rimandi fra corpo, persona
Partendo dal Mali, pur con i limiti di ogni generalizzazione, e personalità e considerato il ruolo cruciale del pubblico
potremmo andare oltre fino ad affermare che l’aspirazione che assiste, la performance estetica ed emozionale del
all’eleganza, e segnatamente la ricerca di un look d’impatto corpo rivestito con outfit eclatanti – in cui abbigliare è ab-
attraverso lo stile appariscente degli abiti, da quelli di para- bagliare (e qui il richiamo obbligato è alla celebre SAPE)
ta a quelli di strada, è modalità ricorrente attraverso cui in – incarna l’intenzione strategica del performer in risposta
Africa, nelle culture black delle diaspore e nelle travagliate al contesto e sta lì a mostrare che il corpo vestito in quella
comunità di migranti, si rafforza la componente performa- maniera è un corpo in azione. Insomma, nei diversi scena-
tiva, negoziale e relazionale di identità composite. ri in cui si dispiega e interagisce l’abbigliarsi è una forma
In altre parole, la messa in scena del corpo attraverso un efficace di agency, non solo per essere visti, ma per allar-
abbigliamento d’effetto, e fortemente assertivo, appare gare la sfera di azione e di relazione della persona in un
come una pratica diffusa nei contesti di socializzazione, di mondo fortemente globalizzato, interconnesso anche nel-
aggregazione e competizione in quell’ampia e diversifica- la spettacolarità generalizzata e nella tensione permanen-
ta galassia in cui oggi molti si riconoscono come apparte- te che l’apparire o il rischio dell’invisibilità comportano.
nenti a una comunità nera globale all’interno della quale, Il corpo, dunque, come primo luogo in cui si incarnano
come dice la scrittrice e sceneggiatrice anglo-nigeriana identità problematiche e in movimento, prodotte dalle
Theresa Ikoko, «si sente una connessione».2 E dove il «di- connessioni e dalle tensioni tra mondi locali e più ampi
ritto all’immaginazione», di cui ci parla Arjun Appadurai scenari storici, economici, politici. Un corpo motore di
(2001: 77-92), fondamentale nella costruzione di identità creatività e moltiplicatore di presenza sociale, che si spe-
in grado di reggere le sollecitazioni e le ansie della globa- rimenta in performance condizionate dal giudizio estetico
lizzazione, trova proprio nell’inventività del vestirsi una e orientate in qualche misura dalle reazioni di chi guarda,

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E EDITORIALE

assiste, partecipa. Un corpo immerso in un corso di vita


fluido, operante e incorporante ciò che lo circonda.
La questione non può quindi ridursi a un semplice tra-
sporto diffuso per l’eleganza spettacolare. Se l’inclina-
zione al vestirsi per fare colpo si aggancia allo spirito
del tempo (dress to impress) lì però non si esaurisce. Nel
nesso fra corpo e vestito vi è la costruzione del sé pub-
blico, individuale e comunitario, di classe e di genere,
l’incorporazione di modi di vivere, sentire e pensare,
una stratificazione storico-culturale fatta di eredità as-
sunte e dismesse, rivendicate e subite. Da questo punto
di vista potremmo dire che ogni vestito è un patchwork,
una composizione più o meno riuscita di elementi etero-
genei. Come dimostra tutta la storia dell’abbigliamento e
dei commerci di tessili e filati, è una vicenda di incessanti
appropriazioni e trasformazioni.
In molte tradizioni di pensiero africane la costruzione
culturale del corpo ruota intorno all’esigenza di poten-
ziarlo. Attrezzare il corpo, infatti, contribuisce non poco
a esaltarne la potenza esistenziale e creativa. Va in que-
sta direzione l’incorporazione di segni-forza, non di rado
anche di origine straniera, come è stato il caso, in epoca
coloniale, di stoffe, tenute e divise di origine europea che
in quanto altre erano oggetto di fascinazione e appro-
priazione. Oggi la fascinazione è quella fashion, quella
esercitata dal sistema globale della moda, con la ripresa
di segni cult della modernità in funzione di segni-forza,
prodotti di una modernità globale e cosmopolita diventa-
ti elementi fondamentali di una modernità locale.
Sullo sfondo delle pratiche e manovre in atto sul terreno
poroso e in continua evoluzione dell’abbigliamento c’è
tutto ciò che ha contribuito a creare l’ambiente visivo nel Alia Ali, Radio, from the FLUX series, 2019. Archival Pigment Print,
quale viviamo. Dal campo delle estetiche del quotidiano 124 x 89 x 6.5 cm, mounted, UV laminated, framed (wood, wax print that has
a quello dei creativi africani della moda e dell’arte che been sourced in West Africa) © Alia Ali / courtesy of Galerie Peter Sillem
lavorano sulle trasformazioni materiali e simboliche del
corpo attraverso l’abbigliamento. Dai corpi rivestiti che
cercano visibilità sociale e una maggior presa sulla pro-
pria esistenza sulla scena pubblica, passando anche dalla ritto a immaginare un mondo futuro africano. Pionieri
loro riproduzione in immagine attraverso una molteplici- su questa strada sono stati gli esponenti della corrente
tà di media, alla scena estetica contemporanea africana culturale, sociale e artistica dell’“Afrofuturismo”, nata
e delle diaspore. Una scena affollata, che offre innume- come spazio di resistenza nera negli anni Settanta del se-
revoli opportunità di collaborazione fra artisti, fotogra- colo scorso dalla sinergia di scrittori, musicisti e artisti
fi, registi, fashion filmmaker, stilisti, fashion designer, de- afroamericani. Nel loro solco, oggi altri artisti (un nome
signer tessili, attivisti visuali, coreografi, performer. Che per tutti può essere quello del keniano Cyrus Kabiru) fre-
si tratti degli afrodiscendenti delle diaspore, degli afro- quentano questo campo di esplorazione estetica e politi-
politan affermati e ben integrati nei circuiti internazio- ca dove la sfida è reinventare la realtà attraverso la «lente
nali, o di chi vive in Africa – tutti operano all’interno di culturale nera» (Womack 2013).
configurazioni culturali mondiali in cui mass media e Archiviata ormai, già a partire dagli anni a ridosso
social media, flussi globali di persone e cose, immagini dell’indipendenza, la schematica contrapposizione fra
e informazioni, generano una connettività diseguale ma tradizione e modernità, nel fervore artistico che si muo-
generalizzata. ve tra Africa e altrove – e che riflette la crescente natu-
Nelle mani dei creatori odierni, segni e pratiche dell’abbi- ra transnazionale dell’arte contemporanea – rimangono
gliamento si rivelano straordinari dispositivi per affron- ancora in ogni caso le dolorose collisioni tra passato e
tare nodi cruciali della società contemporanea, rileggere presente. Così come rimangono le risonanze del passa-
diversamente il passato, raccontare il presente racco- to, anche se all’interno di linguaggi estetici attualissimi e
gliendone le sfide, provare ad andare oltre misurandosi globali, nelle scelte estetiche visionarie di più artisti afri-
con la sperimentazione di scenari sociali ed estetici alter- cani e caraibici le cui diverse produzioni risultano appa-
nativi, afrocentrici e utopici che, all’insegna del Blacks rentate nel rimettere in gioco una spiritualità dinamica
to the future, mescolano il passato culturale africano con che poggia su fondamenta precoloniali, e che riconduce
il futuro della fantascienza. Defraudati del loro passato, a contesti in cui la potenza fisica è tradizionalmente asso-
gli artisti dell’Africa e delle diaspore rivendicano il di- ciata a forze spirituali e in cui la linea fra realtà e imma-

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EDITORIALE E

ginazione sfuma. Da segnalare in particolare, a questo che muove il mercato dell’arte e della moda (particolar-
proposito, il fashion film d’autore diretto dalla fotografa mente stimolante a questo proposito il progetto di Alia
e artista visiva Kristin-Lee Moolman per Alchemy, la col- Ali, artista yemenita, bosniaca e statunitense, che nelle
lezione A/W 2021 – disegnata con l’apporto di una guari- sue opere utilizza anche stoffe africane).
trice tradizionale – del giovane fashion designer sudafri- Nel sistema sempre più integrato dell’arte della moda e
cano Thebe Magugu. del design, oggi trovano molto spazio anche temi di gran-
Da sottolineare inoltre è il gran numero dei creatori che de rilevanza sociale e politica come quelli dell’inclusivi-
nelle loro opere affrontano tematiche identitarie. Sono tà, dell’equità e dei diritti sociali e culturali. Collegata
in gran parte autori che prendono in considerazione il al resto del mondo e consapevole dell’avvenuta uscita
ruolo cruciale delle stoffe nella rappresentazione e ripro- di scena dell’occidente come unica misura del mondo,
duzione delle identità coloniali e postcoloniali africane, una giovane e militante generazione di artisti (fra loro
esplorando in modo critico e ridefinendo in chiave visi- numerose le donne), in continuità e discontinuità al con-
va l’ambigua relazione fra l’arte fotografica del ritratto e tempo con le generazioni di artisti “born free” (nati dopo
dell’autoritratto (e i suoi effetti performativi-trasformati- l’indipendenza) che l’hanno preceduta, spesso partendo
vi) e i tessuti – in prevalenza quelli vissuti come “auten- da vissuti strettamente personali, riesce a trascendere la
ticamente africani” perché assunti convenzionalmente specificità della esperienza individuale per inserirsi in
come indicatori di “africanità” in nome di una “tradizio- un dialogo globale – sempre più aperto alle eredità cultu-
ne” più o meno costruita o ricostruita (spicca la presenza rali non eurocentriche – intorno alle più incisive istanze
ubiquitaria del wax print o african print). Anche laddo- sociali e politiche. Artisti che combinano la riflessione
ve il richiamo è a culture dell’abbigliamento specifiche, sociale con la sperimentazione formale attraverso una
difficilmente restano relegate alla dimensione locale ma produzione che comprende installazioni e collage mul-
come nel caso, ad esempio, degli ormai diffusissimi bogo- timediali, performance, fotografie, immagini digitali, vi-
lan, indigo e kente vengono rinnovati e rilanciati su una deo, film, disegni, incisioni, pittura, scultura (ma anche
scena più ampia, anche per rispondere alla sete di novità danza, musica, poesia).
A venire affrontati nei lavori degli autori emergenti de-
gli ultimi decenni (moltissimi, faremo solo qualche nome
Alia Ali, Beat, from the FLUX series, 2019. a titolo di esempio) sono temi sensibili e controversi: le
Archival Pigment Print, 124 x 89 x 6.5 cm, mounted, UV laminated, questioni della differenza di genere (la keniana Ato Ma-
framed (wood, Masai wool from Kenya) linda), dell’identità (il senegalese Omar Victor Diop),
dell’heritage (la nigeriana residente negli Stati Uniti Nji-
deka Akunyili Crosby), dell’appartenenza (il sudafricano
Siwa Mbogoza), della costruzione della memoria (la su-
dafricana Lebohang Kganye), dell’emergenza ambienta-
le (il maliano Abdoulaye Konaté), della devastazione del
territorio (il nigeriano George Osodi), del recupero di vi-
sioni e costrutti di una spiritualità d’impronta africana
(l’artista e fotografa haitiana cresciuta a New York Fabio-
la Jean-Louis). A ritornare, inoltre, sono anche la denun-
cia sociale (il sudafricano Simphiwe Ndzube) e politica
(Kudzanai Chiurai, nato nello Zimbabwe ma in esilio
autoimposto per lunghi periodi in Sudafrica), così come
la contestazione della feticizzazione culturale dell’Africa
nera (Grace Ndiritu, artista di origine keniana nata a Bir-
mingham) e delle idee di autenticità e essenzialità insite
nei pregiudizi duri a morire legati al corpo nero (la gha-
nese Zohra Opoku), e in particolare al corpo della donna
nera (la sudafricana Mary Sibande). Come si può vedere,
fra le note dominanti spiccano le problematiche attuali
inerenti alla differenza di genere e alla sessualità fem-
minile, con il cursore spesso puntato sulle istanze della
comunità LGBTQ (per es. la sudafricana Zanele Muholi).
In breve, a dominare è la criticità delle identità, perso-
nali, culturali, razziali e di genere: a partire dalle discri-
minazioni sessuali a quelle razziali (la sudafricana Ste-
phanie “Kenyaa” Mzee), con rimandi tanto alle storiche
sopraffazioni nei confronti dei neri – la tratta atlantica
ma non solo (la sudafricana Kitso Lynn Lelliot) –, quanto
ai soprusi perpetrati nelle odierne migrazioni all’esterno
e all’interno del continente africano (la sudafricana No-
bukho Nqaba).
Nella produzione di questi artisti, memoria e vita dei tes-

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E EDITORIALE

suti e agency del vestiario e del corpo diventano potenti tazione, luoghi in cui le identità sociali e personali sono
strumenti per decentrare la prospettiva occidentale, ri- messe in gioco, rimodellate e rinnovate.
fiutare radicati paradigmi escludenti, arrivando a ribal- La dimensione temporale evocata dal titolo di questo dos-
tare la percezione negativa della Blackness spostandola sier – Black to the Future – riprendendo il famoso film di
dai margini della storia al centro della scena (Picarelli Zameckis, rimarca la centralità del rapporto fra passato
in questo dossier), fare i conti con vecchi e nuovi colo- e futuro che contrassegna qualsiasi processo di cambia-
nialismi e insieme, per citare Alessandro Triulzi, «con mento: che cosa si vuole o si può lasciare andare e cosa
l’ambiguo immaginario di possesso e di dominio» (2005: si desidera o si è costretti a portarsi dietro o reinventare.
114) che continua a influenzare il prisma visivo degli ex Uno dei nodi ineludibili resta quello dell’eredità colo-
colonizzatori e, in qualche modo, sembra ancora condi- niale e post-indipendenza, dei rapporti complessi e non
zionare lo sguardo degli ex colonizzati. lineari fra modernità e tradizione, dei modi in cui apro-
Gli articoli raccolti in questo dossier affrontano il tema no o restringono i futuri che si possono immaginare e
del nesso fra arte contemporanea e pratiche creative realizzare. E questo a partire dalle sollecitazioni del
dell’abbigliamento in Africa e nella Diaspora da una mol- presente, tra cui un posto di rilievo hanno avuto le que-
teplicità di prospettive sia teoriche che pratiche. Che si stioni poste dai movimenti #MeToo e #BLM (Black Lives
tratti di saggi o di esperienze, riflessione ed operatività Matter) e la loro risonanza internazionale.
vi appaiono come strettamente congiunte: in tutti i casi Alcuni degli articoli affrontano i temi posti da questo
si tratta di confrontarsi con dinamiche sociali, culturali dossier da una prospettiva di tipo storico-antropologi-
ed economiche che richiedono una presa di posizione, co, illuminando come le pratiche dell’abbigliamento
una consapevolezza delle poste politiche in gioco. Più contribuiscano ad articolare, mantenere o mutare iden-
che di rappresentazioni di stati di fatto, si tratta di in- tità nazionali e di genere.
terventi che tentano intercettare, facilitare o produrre, È il caso di Marco Sottilotta che propone una lettura
trasformazioni. Questo d’altra parte appare pressoché delle politiche della memoria dei Baganda dell’Ugan-
inevitabile, nella misura in cui tanto l’arte quanto l’ab- da e dei modi attraverso cui, definendo quale sia l’ab-
bigliamento sono pratiche che incentivano la sperimen- bigliamento “tradizionale” se ne faccia un elemento di
riconoscibilità, un’espressione appropriata, dell’essere
Aaaaaaab fmsdkafmlksdafnsdanf,.mnsda,fmnsd,m. sudditi del regno. In realtà quelli che sono i tessuti in
kdflsadk àfkòàasdkfà sadlfkàòlsadkf àlfsadkfòkàafn sdnfkjsdnklf sad klfj corteccia che rimandano al passato precoloniale resta-
sakdljflaòksjf aslòkfjlaksòdjf alòsdjfklòas. no ai margini, valorizzati solo negli usi utili legati alle
politiche di patrimonializzazione della cultura e del suo
sfruttamento turistico, mentre il dress-code ufficiale è
quello in cui si mischiano elementi di derivazione ara-
ba, indiani e britannici reinterpretati alla luce del pre-
sente, evidenziando come l’esperienza coloniale sia sta-
ta integrata e metabolizzata, dando luogo a un insieme
di autorappresentazioni nazionali ibride e nel contem-
po “autentiche”.
Questioni in parte analoghe sono quelle che solleva l’ar-
ticolo che Maria Suriano dedica al dibattito intercor-
so nella Tanzania negli anni ‘60 – ma con conseguenze
che si estendono agli anni ‘80 – su quale sia l’autentica
cultura nazionale, cha ha portato a legiferare sull’abbi-
gliamento talora bandendo quello di derivazione occi-
dentale, con particolare riguardo ai giovani e le donne
i cui indumenti (pantaloni e minigonne) potevano inco-
raggiarne la libertà sessuale e l’autonomia dall’autorità
patriarcale. Un invito alla “modestia” in cui l’appello
alle pratiche di abbigliamento precoloniale si conciliava
in realtà con le analoghe preoccupazioni dei missionari
coloniali che stigmatizzavano la “nudità” dei “primiti-
vi”. Quel che qui si coglie, è il tentativo di attuare un re-
cupero selettivo della “tradizione” che possa conciliarsi
con l’imperativo modernista allo sviluppo.
L’agentività politica dell’abbigliamento che ne fa non
solo il riflesso di una realtà preesistente ma uno dei
luoghi e strumenti per incidere politicamente sui rap-
porti di forza, è presente anche nell’articolo di Avi Soo-
ful, ma questa volta spostando l’attenzione dal lato dei
gruppi oppressi, laddove l’abbigliamento diviene un’ar-
te della resistenza. L’autrice esamina il ruolo svolto in
Sudafrica dalle T-shirt antiapartheid negli anni ‘80,

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EDITORIALE E

quale strategia politica per combattere la segregazione


razziale attraverso rappresentazioni visuali che poggia-
no sui corpi delle persone: magliette che, con parole e
immagini, portano sulla scena pubblica le rivendicazio-
ni dell’organizzazioni antiapartheid messe fuori legge,
sfidando repressione, censura e le uniformi di esercito
e polizia. Rafforzando il senso di appartenenza comuni-
taria aprono uno spazio simbolico in cui il cambiamen-
to appare possibile. Un’apertura del futuro che passa
dall’appropriazione attiva di una storia nata negli USA
quando le T-shirt erano capi di abbigliamento intimo
dei soldati americani, per divenire poi, negli anni ‘60
e ‘70 segno distintivo dei movimenti per i diritti civili.
In questi articoli è evidente la ricaduta politica effettiva
delle arti ed estetiche culturali dell’abbigliamento, quel
che gli altri articoli aggiungono è la tematizzazione dei
rapporti fra pratiche quotidiane, arte contemporanea,
sistema della moda e professioni creative.
Priscilla Manfren nel suo saggio ripercorre la genesi
dei tessuti con stampa a cera africani (wax) rimarcan-
do come siano stati celebrati e rivisitati da fotografi e
pittori africani, africano-americani e più in generale
della diaspora, tra cui il britannico-nigeriano Yinka
Shonibare che ha mostrato come la loro “africanità” sia
inscindibile dallo spazio coloniale e quindi espressione
significativa del carattere composito delle identità po-
stcoloniali. Nati in Indonesia, prodotti e commercializ-
zati in Africa dagli Olandesi cercando di corrispondere
alla sensibilità estetica dei consumatori africani, vengo-
no integrati nella vita sociale delle persone indossando-
li, dando loro un nome, associandovi motti e proverbi.
Staccati dalla foggia consueta dei pagne femminili, negli Aaaaaaab fmsdkafmlksdafnsdanf,.mnsda,fmnsd,m.
anni ‘80 e ‘90 vengono trasformati con taglio sartoria- kdflsadk àfkòàasdkfà sadlfkàòlsadkf àlfsadkfòkfjskadjfl òksadjfòaksljdf ò
le in abiti di ispirazione occidentale, che danno luogo a àafn sdnfkjsdnklf sad klf
una nuova stratificazione di senso.
Puntando in particolare la sua attenzione su due artiste
– l’africano-americana Bisa Butler e la nigeriana Marcel-
lina Akpojotor – Priscilla Manfren esamina come l’abbi- va un dibattito su identità nazionale e africana, estetiche
gliamento sia un elemento costitutivo del ritratto, con- del corpo, globalizzazione, sostenibilità ambientale, si-
tribuendo a contrastare il razzismo attraverso l’incontro gnificato dell’arte contemporanea, attrattività interna o
con l’umanità della persona che esso consente. internazionale del brand “made in Kenya”.
Molti degli articoli nel porre la questione del rapporto, In modo significativo l’esigenza od opportunità di crea-
mediato dal sistema della moda, fra arte contemporanea re un brand emerge in diversi articoli: qui la dimensione
e pratiche di abbigliamento, sottolineano sia la centrali- politica del riconoscimento si coniuga con quella eco-
tà della dimensione economica e del lavoro come anche nomica del poter vivere del proprio lavoro, di acquisire
l’osmosi che si stabilisce fra i due ambiti e il sovrapporsi visibilità in un mercato competitivo e asimmetrico, in
di artista e stilista nella figura di un “imprenditore cul- un’economia capitalistica contrassegnata da forti con-
turale” che è spesso e nel contempo, talora con qualche centrazioni di potere. L’icona personificata del brand di-
ambiguità, attivista politico. La rilevanza sociale della viene occasione per promuovere modi diversi di consu-
moda e dell’arte emerge nella loro visibilità e influenza mo e di relazioni sociali.
nella creazione di prodotti iconici di consumo che fanno Enrica Picarelli nel suo saggio analizza l’opera degli stili-
da supporto alla costruzione di relazioni, identità, appar- sti Walé Oyéjidé (figlio di nigeriani migrati negli Stati Uni-
tenenze, vite: anticipano o interpretano tendenze cultu- ti) ed Eli Gold (sudafricano che ha vissuto per molti anni
rali in corso potenziandole o cannibalizzandole. come rifugiato in diversi paesi) mostrando come, rielabo-
Beatrice Polato nel suo articolo delinea i rapporti fra rando le loro esperienze personali di dislocazione con gli
scena artistica e moda nel Kenya degli ultimi venti anni. strumenti dell’arte e della moda, riflettano sulle relazioni
In una società che conosce un forte sviluppo economi- fra spazio, mobilità e abbigliamento. Uno degli esiti di que-
co nasce un’industria della moda che attinge a forme di sto lavoro è la creazione di un “brand di design migrante”
creatività diffusa presenti sia nelle grandi città che nei in grado di migliorare la vita delle persone, di ridefinire le
piccoli villaggi e vede il protagonismo di artisti ideatori condizioni di un “made in Africa” sostenibile, denuncian-
di linee di moda. Una dimensione economica che solle- do il razzismo perdurante nel sistema della moda globale.

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E EDITORIALE

Questioni che per certi versi simili ritornano in composizione dalla forma dei vestiti diviene invece una
“B&W-Black&White, The Migrant Trend”, un progetto modalità di esplorazione del proprio corpo e dell’imma-
dell’artista Caterina Pecchioli che si colloca nel punto ginario e degli stereotipi che lo avvolgono, per cercare
di intersezione fra arte e moda. Attraverso laboratori che di andare oltre, realizzando vestiti che consentano un
coinvolgono attivamente richiedenti asilo e titolari di diverso modo di muoversi nel mondo, di avere corpi s-ve-
protezione internazionale, si cerca di elaborare uno “sti- stiti dai pregiudizi.
le migrante” che attinga sia dai diversi paesi da cui pro- L’ondata del Black Lives Matter nella sua denuncia delle for-
vengono che dalle competenze di sarti e stilisti africani me di razzismo strutturale incistate in molti sistemi sociali
residenti in Italia, da repertori culturali ridefiniti nell’e- e quindi delle discriminazioni e disuguaglianze che ne de-
sperienza della migrazione, così da riorientare il “made rivano a tutti i livelli ha travolto anche il mondo dell’ar-
in Italy” nella direzione di una moda etica, socialmente te e della moda, accelerando tendenze già in atto che ne
sostenibile e inclusiva. stanno mutando l’economia e la geografia, ormai policen-
La ridefinizione del “made in Italy” è alla base anche del trica, senza un cuore occidentale, almeno negli apporti
WAMI Project (We Are Made in Italy) promosso nel 2020 che gli danno forma, anche se non nei centri decisionali
da Michelle F. Ngonmo, stilista di origini camerunesi (Bloemberg, Deul, Kesteren 2021). In misura crescente,
ideatrice dell’Afro Fashion Week Milano, insieme altri musei prestigiosi e gallerie di peso rivedono le loro colle-
professionisti italiani neri della moda come Stella Jean zioni aprendole a sensibilità e filoni fino a ieri poco rap-
ed Edward Buchanan. Le questioni poste dal movimento presentati quando non trascurati. E costringendo diretto-
americano di #BLM vengono declinate sul terreno della ri di musei, galleristi, critici, art curator, art advisor, case
industria italiana della moda: “Do Black Lives Matter in d’asta, aziende, riviste di settore e collezionisti a dialogare
Italian Fashion?”. È questione di accesso e rappresentan- con le contrastanti memorie del passato e con il presente
za, non di colore della pelle e di eredità culturale ma di e a riflettere su appropriazione culturale, diritti d’autore
riconoscimento di talento e professionalità contro ogni individuali e collettivi, politiche del riconoscimento, pa-
discriminazione. Agire sul sistema della moda recla- rità di accesso alle risorse materiali e simboliche. In bre-
mando uguaglianza e pari opportunità significa mettere ve, a ripensare l’intero sistema dell’arte contemporanea e
in moto un cambiamento che potrebbe coinvolgere la della moda, le sue gerarchie, i suoi criteri di affiliazione e
società italiana nel suo insieme, ripensando il “made in modelli di finanziamento. Il valore delle Black Lives si con-
Italy” a partire dalla considerazione che la moda è fatta cretizza nell’incremento, recepito dal mercato, del valore
di persone e non solo di cose: “we are made in Italy and attribuito alla forza creativa delle differenti forme visive e
Italy is made of us”. narrative degli artisti africani e africano-americani (molte
Che le questioni poste dai temi toccati da questo dossier le donne). E si traduce in una rivendicazione da parte di
siano socialmente rilevanti da molti punti vista è indica- questi artisti del valore all’esperienza estetica della Black-
to anche dagli altri esempi di laboratori e sperimentazio- ness mischiando rivendicazioni politiche e usi imprendi-
ni che completano questo numero. toriali dell’identità culturale e razziale che aprono nuovi
Il poeta e performer di origine camerunese Stone Ka- mercati per un’economia capitalistica che si nutre delle
rim Mohamad che allaccia conversazioni con le persone differenze. È un terreno conteso in cui l’immaginazione
in mezzo alla strada a partire dalle reazioni suscitate l’a- oggi è per artisti e stilisti anche una palestra per l’azione
bito tradizionale ndop dei Bamileke del Camerun, mostra e il motore di un’economia che produce valore a partire
lo scollamento, anche agli occhi delle nuove generazioni dall’immaterialità di segni e simboli.
di origine camerunese che vivono in Germania, fra la sua
apparenza visibile e la storia e i significati di cui è potato- BIBLIOGRAFIA
re: il suo essere divenuto “out of fashion” in conseguenza
della dominazione coloniale così come il suo tornare cool Appadurai, A. (2001), Modernità in polvere, Meltemi, Roma.
alla luce di film come Black Panthers. Nella sua collabora- Trad. it. di: Modernity at Large: Cultural Dimensions of Glo-
balization, Minneapolis and London, University of Minnesota
zione con l’antropologa Sandra Ferracuti e il danzatore
Press, 1996
Zobel Raoul Tejeutsa, al Linden-Museum di Stoccarda,
emerge come all’interno del museo quel che appare, a Bloemberg, N., Deul, J., Kesteren, A.-K. (2021), Voices of Fash-
partire dai modi di vestire, viene letto diversamente a se- ion. Black Couture, Beauty & Styles, Waanders Uitgevers, Zwolle
conda del posizionamento di chi guarda.
Boltanski, L., Esquerre, A. (2017), Enrichissement. Une critique
Lawrence Kyere e Rosa Pfluger riflettono su una loro de la merchandise, Gallimard, Paris
esperienza condotta nel 2020, nel periodo pandemico, in
occasione di una mostra d’arte promossa dagli studenti Triulzi, A. (2005), “Lo sguardo coloniale. Appunti sulla
dell’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera. Safety costruzione dell’altro nella collezione fotografica della Società
Suit è una serie di dieci oggetti indossabili per difendersi africana d’Italia”, in C. Pasquinelli (a cura di), Occidentalismi,
Carocci, Roma
delle minacce portate dalla violenza razziale, dai cam-
biamenti climatici e dal Covid. Per quanto disegnati per Womack, Y. L. (2013), Afrofuturism: The World of Black Sci-Fi
proteggere in realtà questi abiti rivelano solo la vulnera- and Fantasy Culture, Lawrence Hill Books Publisher
bilità del corpo, dimostrando come la sicurezza possa es-
sere raggiunta solo attraverso solidarietà e uguaglianza. NOTE
Nel laboratorio artistico condotto da Leda Perretta 1 - “Uno stile africano”, D la Repubblica 10/12/2005.
con donne nigeriane e italiane la destrutturazione e ri- 2 - “La cultura nera è abitare due case”, Sette Corsera 11/12/2020.

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